Numero 28 - novembre 2015

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- Non me lo posso permettere (editoriale) - Camaleonti urbani - La centralità della residenza nella tutela dei diritti fondamentali - Senza tetto e senza bus - Housing first, un progetto innovativo - Dalla casa alla strada: Marco alla ricerca della normalità - I giornali di strada: uno strumento alternativo per i senzatetto - Arte Migrante, la ricchezza nella diversità

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Editoriale

Camaleonti urbani

La centralità della residenza nella tutela dei diritti fondamentali

Housing first Un progetto innovativo

Senza tetto e senza bus

Dalla casa alla strada Marco alla ricerca della normalità

I giornali di stradauno strumento alternativo per i senzatetto

Arte Migrante La ricchezza nella diversità

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Esiste una piramide, detta piramide di Maslow dal nome dello psicologo statu-nitense che la concepì, che raggruppa gerarchicamente i bisogni fondamentali dell’uomo in differenti livelli. Maslow distinse i bisogni fra essenziali alla so-

pravvivenza e immateriali: bisogni come la fame, la sete, il sonno sono elementari; mentre il bisogno di autorealizzazione è di un ordine superiore. Secondo lo psicologo un uomo non potrà mai soddisfare i suoi bisogni superiori se sarà costretto a convo-gliare tutte le sue energie per provvedere ad esigenze come quella di procurarsi del cibo, un riparo e dei vestiti. Appena sopra il gradino dei bisogni fisiologici si trova la categoria del bisogno di sicurezza che ha come fondamento la necessità di trovare dei punti di riferimento certi come una casa sicura, un lavoro stabile, un’assistenza sanitaria, la possibilità di nutrirsi. Esiste purtroppo un mondo che nella lotta alla sopravvivenza è rimasto bloccato in prossimità del gradino del bisogno di certezze, ed è stato automaticamente taglia-to fuori dal sistema. Un mondo fatto di possibilità negate e di diritti vagheggiati, un mondo che certe sicurezze non può permettersele. Cadere oggi nella fascia della povertà assoluta corrisponde ad essere relegato ai margini di una comunità che non si rivela affatto democratica, dal momento in cui non tutti hanno gli stessi diritti perché non tutti hanno gli stessi poteri, che sostanzialmente si riducono a uno solo, quello economico. Chi non può permettersi il potere non può permettersi tutto il re-sto, in primo luogo i diritti. Chi, agli occhi della società, ha fallito è costretto a vivere nella marginalità, destinato ad essere escluso da quella comunità che invece dispone di istituzioni nate per promuovere lo sviluppo personale. È molto più semplice far finta di non vedere che porsi delle domande. Forse non ci saremo mai domandati se un senzatetto è considerato giuridicamente e socialmente un cittadino come tutti gli altri, oppure non ci sarà mai capitato di riflettere sulle circostanze che hanno portato un uomo a perdere tutto e andare a vivere sulla strada. Probabilmente non ci saremo posti la questione della mancanza di diritti fondamen-tali costituzionalmente tutelati; non saremo a conoscenza di cosa comporta effetti-vamente perdere la residenza, di quali servizi può o non può usufruire un senzatetto.Un senzatetto non potrà permettersi alcune certezze che noi diamo per scontate: nel-la scala dei bisogni non potrà che soddisfare quelli relativi alla sopravvivenza fisica, non potendo aspirare a obiettivi più alti. Eppure ignorare che un problema esista non porterà il problema a risolversi da sé; ed è per questo motivo che informarsi di-venta ineludibile se si vuole mettere in moto un sistema, in particolar modo quando interessa quelle realtà maggiormente escluse dalla società. �

A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io.A modo mio avrei bisogno di sognare anch’io. di Micol Gennaro

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Bologna. Città degli universitari, dal bel centro medioe-vale, città delle ville sui colli, degli appartamenti con i soffitti affrescati, delle passeggiate domenicali tra ne-

gozi. Nell’intestino della Dotta convivono però contraddizioni e prima tra tutte è la Bologna dei pigmei, la Bologna dei ca-maleonti delle strade. Abituarsi a non vederli è un breve sfor-zo, quasi naturale, ma c’è aria di denuncia negli sguardi di chi abita la stada. L’abitare non è per tutti d’altronde, non è diritto ma privilegio, ed è lampante per chi conosce i posti mai suffi-cienti dei dormitori e le notti invernali che si avvicinano.

di Miriam Mazzoni

camaleonti urbani

CAMALEONTI URBANI

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Le stutture che ospitano i cama-leonti urbani sono state atten-tamente riportate nella guida destinata ai senza fissa dimora “Dove andare per” che ogni anno viene pubblicata dalla Onlus Av-vocato di Strada. Questo piccolo vademecum ne elenca diverse, schematizzabili secondo le carat-teristiche dell’ac-cesso: strutture a bassa soglia, di primo livello, di secondo livello, di pre-autonomia. Le categorie si basano, tra gli altri criteri, sulla capacità di autogestione del sog-getto e vengono stabilite dai ser-vizi sociali mediante progetto ad hoc.Le strutture ad accesso diret-to, il cui ingresso, per motivi di urgenza, non è sottoposto al va-glio dei servizi sociali, sono Casa Willy e Spazio Open, che garan-tiscono accoglienza solo nottur-na fino ad esaurimento posti. L’accesso diretto passa attraver-so l’Help Center ubicato presso la Stazione ferroviaria Bologna

Centrale (Piazzale Est). L’acco-glienza, come in altri dormitori,

è limitata ad un paio di settima-ne reiterabili dopo un intervallo di ventotto giorni, a causa della limitatezza dei posti e in linea con la loro funzione di sostegno momentaneo ma non abitativo.

I centri di acco-glienza a bassa soglia sono il dor-mitorio Rostom e il Beltrame che accolgono, in par-ticolare, persone con bisogni indif-feribili ed urgen-

ti (problemi sanitari emergenti, violenze subite, condizioni psi-co-fisiche incompatibili con la vita di strada), previo invio del Servizio Sociale Bassa Soglia o su segnalazione dei SST, dei CSM, Sert, USSI. I dormitori di primo e secondo livello comprendono la casa di riposo notturno Massimo Zacca-relli, il Rifugio notturno della so-lidarietà di Via del Gomito, il cen-tro Beltrame, la struttura Madre Teresa di Calcutta per sole don-ne, l’Opera di Padre Marella e, a Funo di Argelato, nella provincia, la Capanna di Betlemme gestita dall’associazione Papa giovanni XXIII. Infine vi sono le strutture di pre-autonomia: la Casa di ac-coglienza per donne Rosa Virgi-nia e i gruppi appartamento. Ai Servizi Sociali Territoriali si accede mediante gli Sportelli So-ciali presenti in ogni quartiere ed è l’Azienda Pubblica di Ser-vizi alla Persona (ASP) a gestire il Servizio sociale a bassa soglia e gli interventi di prossimità at-traverso le Unità di strada mi-

[...] i servizi godono di limi-tate risorse, sono soggetti a quei tagli figli di una po-litica cieca e sopravvivono grazie a volontari, vivendo quindi in una situazione di

precaria stabilità.

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rati a intercettare e prevenire situazioni di disagio sociale (in particolare vertenti sulla tossico-dipendenza). Una vera e propria rete silenziosa che non riesce però a coprire la crescente on-data di senza fissa dimora che si riversa su Bologna, luogo di sno-do tra Nord e Sud, e che di certo non può combattere una politica del lavoro frustrata. Gli ultimi dati Istat calcolati insieme alla Federazione Italiana Or-ganismi per le Persone Senza Dimora (FIOPSD) avevano riportato infatti tra le città più popolate dagli stessi Bologna, il cui numero di senza fis-sa dimora si avvicinava ai 1005. Dato interessan-te è la minore presenza femminile che si registra nei dormitori anche se in forte aumento; il fattore maschile è andato parimenti cre-scendo a causa dal recente feno-meno degli uomini che perdono la dimora in seguito ai divorzi. Nonostante la quantità di ottime strutture presenti è da esorcizza-re il credo che vede Bologna come paradiso a livello sociale: i servizi godono di limitate risorse, sono soggetti a quei tagli figli di una politica cieca e sopravvivono grazie a volontari, vivendo quin-di in una situazione di precaria stabilità. La loro stessa esistenza, va ricordato, risponde ad un cre-scendo di disagi che non dovrebbe rendere orgogliosa questa città. Quest’anno, inoltre, si faticherà a garantire posti a sufficienza per l’emergenza freddo, e a que-

sto si sta cercando di rispondere lavorando in concerto con nuovi progetti come la riqualificazione di spazi di “Accoglienza Degna” portata avanti dal centro Làbas. Pur cercando di trovare soluzioni alle esigenze immediate va sotto-lineato che questi servizi garan-tiscono un posto letto in grandi camerate, quindi una situazione abitativa senza privacy, e tanti per questo optano ancora per le

strade. Senza nulla togliere allo straordinario servizio garantito dai dormitori, ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere” lo scrit-tore ceco Milan Kundera sugge-risce un’interessante riflessione circa la mancanza di riservatez-za: “Il campo di concentramento è un mondo nel quale le persone vivono continuamente una ac-canto all’altra giorno e notte (...) è l’eliminazione totale della vita privata”. La grave mancanza di un luogo intimo e privato defor-ma e danneggia la dignità uma-na: ledere quest’ultima significa ferire l’intero tessuto sociale. Bisogna ricordare che è un caso l’esserci trovati da questo lato della strada. �

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Tra le questioni giuridiche attinenti alla vita dei senza fissa dimo-ra, assume rilievo, per l’ampiezza e complessità, quella relativa alla residenza, condizione necessaria per accedere ad un’ampia

gamma di diritti fondamentali costituzionalmente tutelati.

La residenza come diritto soggettivo è “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale” come delineato dall’art. 43 comma 2 codice civile. La perdita della residenza, ad esempio in seguito ad un censimento, com-porta che una fascia della popolazione, la più povera, venga confinata ancora più brutalmente ai margini della società, in condizioni che ren-dono puramente utopico il principio di eguaglianza formale e sostan-ziale sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione.

di Antonella Frasca Caccia

la CENTRALITÀ della RESIDENZA

nella tutela deid i r i t t i f o n d a m e n t a l i

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Più dettagliatamente una per-sona senza residenza è una per-sona a cui viene ostacolato l’ac-cesso al lavoro poiché non può aprire una partita IVA o sempli-cemente iscriversi al Centro per l’impiego. Altrettanto, una per-sona senza fissa dimora non può accedere al Servizio Sanitario Nazionale; non appartenendo a nessuna circoscrizione elettora-le non può esercitare il diritto di voto; è dunque una persona che, perdendo il diritto all’accesso ai servizi di welfare locale non ha la possibilità di percepire una qualunque pensione; una perso-na che perde anche il diritto ad essere difeso, non potendo acce-dere al gratuito patrocinio e che, infine, non potrà iscrivere i pro-pri figli a scuola.

In ogni Comune è istituita un’a-nagrafe della popolazione resi-dente, dove sono registrati tutti coloro che hanno fissato in quel comune la propria residenza, nonché le persone senza fissa dimora che hanno lì stabilito il proprio domicilio. Vale infatti la regola per cui la persona sen-za fissa dimora si considera re-sidente nel comune dove ha il domicilio, vale a dire “il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e inte-ressi” come dice l’art. 43 comma 1 codice civile, o in mancanza di questo, nel suo comune di nasci-ta. La circolare ISTAT n. 29/1992 riconosce poi che la persona sen-za dimora sprovvista di un vero e proprio domicilio ha comun-que diritto a chiedere e ottenere

l’iscrizione anagrafica in un de-terminato comune. In questi casi farà quindi richiesta di ottenere l’iscrizione in una via fittizia. Per fare qualche esempio a Bolo-gna è stata istituita via Mariano

Tuccella, a Firenze Via Libero La-strucci e a Roma Via Modesta Va-lenti. Secondo le circolari del Mi-nistero dell’Interno n. 8/1995 e n. 2/1997 è vietato all’amministra-zione subordinare la residenza alla titolarità di un lavoro o alla disponibilità di un’abitazione. In particolare, la prima delle citate circolari specifica che “la richie-sta di iscrizione anagrafica, che costituisce un diritto soggettivo del cittadino, non appare vin-colata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tal modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamen-to e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale in palese violazione dell’art. 16 della Carta costituzionale.”Lo scopo della legislazione ana-grafica è quindi nell’interesse

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della persona senza dimora e mira a promuovere il legame con il territorio. Inoltre, nell’interes-se dello Stato, rientra la possibi-lità di registrare la popolazione stabilmente presente sul territo-rio.Dall’entrata in vigore della leg-ge 94/2009 non è più sufficiente la dichiarazione anagrafica ma sarà necessario dimostrare di avere un domicilio. In tal modo, le persone senza dimora assisti-te da enti assistenzia-li, sia pubblici che pri-vati, possono eleggere domicilio nella sede della struttura assi-stenziale, altrimenti, a meno che non richiedano di essere iscritti presso la via fitti-zia di cui sopra, verranno iscritti presso il comune di nascita.

A occuparsi di alcune delle que-stioni ancora irrisolte relative alla residenza è l’associazione Avvocato di Strada. Questa as-sociazione nasce a Bologna alla fine dell’anno 2000 per fornire tutela giuridica gratuita alle per-sone senza fissa dimora e con il passare degli anni si espande aprendo sportelli in tantissime città italiane (ad oggi presenti in quarantuno città). L’associazio-ne, per garantire l’assistenza sa-nitaria alle persone senza dimo-ra che, non avendo la residenza non possono iscriversi al SSN, ha presentato un progetto di legge per la modifica dell’art. 19 della legge n. 833/1978, e si è mobilita-ta contro la norma immediata-

mente operativa prevista all’art. 5 del decreto legge n. 47/2015 (il cosiddetto Piano casa o decreto Lupi) che prevede che “chiun-que occupi abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allac-ciamento a pubblici servizi in re-lazione all’immobile medesimo”. A proposito di questa previsio-ne, Avvocato di strada sottolinea

come il presupposto che sta alla base del-la previsione ex art. 5 sia nullo, poiché la residenza non forni-sce alcun diritto re-ale sull’immobile. A questa situazione ha provvisoriamente fat-

to fronte la circolare del Mini-stero dell’Interno n. 633 del 2015 che prevede che chi occupa una casa, vada registrato all’Anagrafe “analogamente a quanto succede alle persone senza dimora che hanno la residenza in via della casa comunale o in vie fittizie”. È comunque evidente che per una questione di gerarchia delle fon-ti una circolare ministeriale non dovrebbe essere sovraordinata a una legge.

L’auspicio di un intervento che riscriva tale normativa, incosti-tuzionale nella misura in cui fi-nisce per sacrificare diritti ina-lienabili e costituzionalmente garantiti alla persona, si accom-pagna a quello più generico di una futura normativa che rifug-ga dal creare situazioni giuridi-camente e socialmente parados-sali. �

[...] il presupposto che sta alla base del-la previsione ex art. 5 sia nullo, poiché la residenza non for-nisce alcun diritto

reale sull’immobile.

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Immaginate di avere perso il lavoro, in questo momento di crisi economica. Aggiunge-

te anche il fatto che, non poten-do pagare l’affitto, avete subito uno sfratto. Siete rimasti senza casa e dormite in un dormitorio del Comune, magari al Rostom di via Pallavicini. La mattina vi svegliate e, per fare colazione, dovete andare in via Guinizzelli, dove c’è una mensa per i poveri. Come ci arrivate? Sono 4 kilome-tri e mezzo, troppi da percorrere a piedi ogni giorno. E allora uti-lizzate l’autobus, ma come paga-re il biglietto?Il Comune di Bologna offre, so-prattutto tramite assistenti so-ciali, numerosi percorsi e servi-zi per persone in situazioni di difficoltà, senza fissa dimora e senza reddito: dormitori, mense, assistenza sanitaria, formazione

e crescita personale. Questi sono solo alcuni dei supporti messi a disposizione per le fasce povere, che creano però un ulteriore bi-sogno: la reale possibilità di rag-giungere i luoghi dove poter usu-fruire di questi servizi, che sono dislocati ovunque nella città, spesso anche fuori dalle mura. E come raggiungere questi po-sti, se non prendendo l’autobus? “Spostarsi a piedi o in bicicletta è un ‘lusso’ che in pochi possono permettersi – spiega Carlo Fran-cesco Salmaso, operatore di Ami-ci di Piazza Grande –: oltre alle difficoltà motorie e di salute, bi-sogna ricordare quelle economi-che per poter comprare e mante-nere una bici, oltre al rischio di furto, che in una città come Bolo-gna è decisamente alto. Per non parlare dell’auto, che quasi nes-suno possiede”.

Senza tetto e senza busdi Andrea Parolin

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Ma trattandosi di persone in gra-vissima situazione economica, acquistare il biglietto, per non parlare poi di un abbonamento, è un’utopia. Il costo di un singolo biglietto è di 1.30 euro, che sale a 1.50 euro se comprato diretta-mente a bordo dell’autobus: un prezzo che può diventare proi-bitivo per chi non ha reddito, nel caso si trovi a utilizzare i mezzi anche tre o quattro volte al gior-no. Per un abbonamento mensile servono invece 36 €, ma difficil-mente queste persone riusciran-no ad accumulare quella somma e tenerla da parte per l’acquisto. Per muoversi, quindi, capita che i senzatetto usufruiscano del ser-vizio di trasporto pubblico senza pagare, rischiando così di pren-dere la multa. Prima di tutto, a livello personale, la sanzione ge-nera un forte sentimento di umi-liazione e vergogna, per una persona per cui non pagare non è una scelta. “Questo sentimento alla lunga porta al diventare indifferenti – continua Salmaso –: a queste per-sone non importa più di venire mal giudicate per un qualcosa che non dipende dalla loro volontà. Questo mec-canismo va quindi nella direzio-ne opposta rispetto agli obiettivi che vorrebbero raggiungere le istituzioni, ovvero il supporto e l’inclusione”. Il vero problema arriva poi nella fortunata ipotesi che la persona trovi lavoro, con un contratto re-gistrato: in questo caso, le multe si trasformano immediatamente

in cartelle Equitalia, e i primi sti-pendi vengono trattenuti diret-tamente dallo Stato. Se non pa-gata, una multa di 60 euro, arriva anche a superare la cifra di 300 euro. Tutto questo meccanismo non solo è inutile, perché queste persone difficilmente riusciran-no a saldare il debito, ma è anche dispendioso per lo Stato, che im-piega tempo e professionisti nel seguire queste procedure buro-cratiche molto lunghe. Paralle-lamente, operatori e volontari di associazioni, come ad esempio “Avvocati di Strada”, impiegano le loro risorse e competenze per fare annullare le multe o renderle non esigibili: un processo che ha un costo sociale enorme.Tper prevede agevolazioni sugli abbonamenti per determinate fasce di popolazione, come an-ziani, disabili e bambini in età

scolastica, ma non c’è nessu-no sconto per persone con reddito basso o per senzatetto. “Questo è uno di quei casi in cui legalità e

giustizia si scontrano – conclude Salmaso –. È giusto che i senza casa vengano equiparati a citta-dini con un normale reddito? È giusto che chi vive in dormitorio e mangia alla mensa, debba pa-gare il prezzo pieno del bigliet-to?”. �

Prima di tutto, a livello personale, la sanzione genera un forte senti-

mento di umiliazione e vergogna, per una per-

sona per cui non pagare non è una scelta.

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Da qualche anno abbiamo assistito all’intensificarsi di una nuo-va forma di servizio per gli individui ai margini della società: l’Housing.

Scopo principale dell’Housing è quello di offrire una dimora a persone che non ne hanno o che l’hanno persa e di dare un supporto non solo abitativo ma anche riabilitativo, per aiutare gli individui a reintegrarsi pienamente nella società. Questa innovazione è stata portata in Italia prendendo spunto dalle realtà di Housing negli Stati Uniti, e ha portato alla formazione di di-versi ed eterogenei progetti nel territorio italiano. Uno dei migliori, per risultati ottenuti e persone coinvolte, è il progetto Housing First di Piazza Grande (nota associazione Onlus bolognese fondata nel 1993 dalle persone senza dimora) denominato “Tutti in casa”. Solitamente il complesso sistema attuato da servizi sociali e associa-zioni Onlus per aiutare e supportare i senzatetto è un processo, come ricordato da una coordinatrice dell’Housing, a “gradini”: l’individuo bi-sognoso di una dimora, prima di poter acquisire un domicilio stabile, deve attraversare numerosi passaggi ed essere abilitato alla convivenza con altri in appartamento. Tutti a casa, invece, ribalta il sistema tra-dizionale, offrendo come prima cosa un tetto al senza dimora che si è rivolto ai responsabili del progetto. Si può quindi ben dire che la filoso-fia dell’Housing bolognese sia all’opposto: si parte dalla casa e il resto viene dopo. Il progetto naturalmente ha i suoi paletti, poiché esistono tre semplici punti che gli individui sono tenuti ad osservare: innanzi-tutto la persona deve essere consapevole della sua situazione ed avere un minimo di autosufficienza, poi è tenuta a partecipare ad incontri mensili con gli operatori di Piazza Grande ed infine deve contribuire in minima parte a livello economico al pagamento dell’affitto dell’ap-partamento.

Housing firstun progetto innovativo

di Sergio Scollo

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A parte questo si dà molta liber-tà alle persone, che possono sce-gliere la casa e con chi convivere per creare una situazione serena e sicura. Non si fanno discrimi-nazioni in base alle condizioni personali dei singoli e dei loro problemi, indipendentemente che siano di tossicodipendenza, di salute mentale o semplice-mente economici.Un’altra innovazione riguarda il monitoraggio delle condizioni degli individui da parte dell’asso-ciazione. Infatti, per ogni appar-tamento ci sono due operatori di riferimento, che hanno il compito di seguire gli inquilini e di impostare di-versi percorsi formativi. Si seguono in-nanzitutto le dinamiche di gruppo, e quindi la convivenza con gli altri. Poi si dà risalto al piano individuale, cioè al rispet-to della propria persona e al su-peramento di disturbi presenti o dipendenze. Infine si arriva al reintegro e al sostentamento au-tonomo della persona.Il progetto non fissa un tempo standard per l’individuo, poiché l’obiettivo è quello di portare alla completa autonomia la persona che si sta seguendo, anche con supporto nella ricerca del lavoro e tirocini formativi, per arrivare a un equilibrio emotivo e sociale.L’inclusione e il contatto fra re-sponsabili e senzatetto avviene

grazie alla rete dei servizi socia-li, al servizio mobile di sostegno collegato al servizio di bassa so-glia.Il progetto è stato reso operativo nel dicembre 2014, successiva-mente alla vittoria del bando co-munale da parte di Piazza Gran-de; l’associazione ha presentato una stima dei costi (affitti degli appartamenti, ore di lavoro degli operatori, costi di gestione, ec-cetera) e ha ottenuto il finanzia-mento per dare inizio al progetto di Housing first.Periodicamente, il progetto bolo-

gnese partecipa a degli incontri con le altre re-altà italiane, per confronta-re i metodi usa-ti e riportare le condizioni di a v a n z a m e n t o dell’Housing.Si parla spesso

di molte persone costrette a vi-vere in strada per diverse cause quasi sempre collegate alla man-canza di lavoro o a problemi di dipendenza da sostanze stupefa-centi o alcool. Come si può com-battere questo fenomeno?Secondo una operatrice di Piaz-za Grande sono proprio iniziati-ve come l’Housing che “tutelano quella classe di persone che la società non ha voluto accettare o ha rigettato fuori, persone che hanno il diritto come tutti di po-ter avere una vita tranquilla e un lavoro che li sostenga economi-camente”.�

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Questa è la storia di Marco.Immaginate di trovarvi nel 1900, che Samuel Beckett sia il

regista e che lui sia più o meno fermo su un palco in cui invece di esserci un albero spoglio ci siano tanti portici. Immaginate che sia solo, come Estragon e Vladimir, e che invece di aspetta-re Godot stia aspettando, aspettando, aspettando. Cosa?

Dalla casa alla strada Marco alla ricerca della normalità

di Giulia Tosti

Marco è un senzatetto, un uomo che vive un interminabile oggi in cui sera e mattina sono poten-zialmente uguali, in cui il tempo sembra non scorrere, e tutto è uguale a se stesso. Mattina sera notte, mattina sera notte. A questo punto lui potrebbe ir-rompere con un’allegria sorpren-dente, dicendo che non è vero, e

che le sue giornate sono piene di eventi, così come la sua pancia che raramente è vuota: la matti-na la colazione offerta da qualche associazione bolognese, il pranzo o la cena offerti dall’Antoniano, il pomeriggio ricco di incontri a te-atro, e la sera destinata alla ricer-ca di un giaciglio, un letto mobile dove dormire.

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Eppure quello lì non è Marco, o almeno, è una versione di Marco che lui non vuole essere. Marco è fermo sotto i portici ad aspetta-re il ritorno alla normalità, quel frame narrativo che riempie la nostra vita e che la fa apparire a noi sensata e ordinata. Se non c’è normalità, c’è solo fragile ostile sopravvivenza. Questa è la storia di sopravvivenza di Marco e la sua vita è ferma sotto i portici ac-canto a lui, ad aspettare di essere vissuta. I senzatetto sono pellegrini non per scel-ta: viaggiano lungo strade asfaltate e la loro casa è il grande zaino che portano sulle spalle.Marco era un uomo normale, o almeno si credeva tale. La sua vita era come un’altalena che lo spingeva su e lo riportava giù, quotidianamente. Un’oscillazio-ne continua fatta di errori e or-rori quali la droga e il carcere, contratti di lavoro a tempo deter-minato, rapporti di amore e odio con la famiglia. Ma anche nella confusione questa vita aveva un senso, una routine, un abbozzo di normalità. Fino a quando...“Marco, devi andare via!” “Perché signore?” “Non possiamo più pa-garti!” “Ah”.“Marco, devi andare via!” “Capi-sco.” “Scusami, ma non puoi più pagarmi l’affitto, quindi... scusa-mi”.Primo treno della mattina, da Fa-enza a Bologna, senza una casa,

senza una reale direzione, ma con il solo obbiettivo di resiste-re. Marco non stava fuggendo dalla realtà, ma al contrario sta-va cercando un nuovo se stesso, lontano da quello che un tempo, in quel luogo e fra quella gente, era caduto nel vizio. Così, tutto è cominciato. “Qual è il ricordo più bello che hai e che ti fa sorridere gli oc-chi?” “Mio padre, il giorno in cui è venuto a trovarmi in comunità”.

Parlando con Marco ho immaginato due uomini che avevano smesso di fare a pu-gni l’uno contro l’al-tro e, prendendosi le mani ferite, avevano iniziato a cammina-re, insieme. Da quel

giorno, dice Marco, nessuna si-tuazione lo avrebbe più ferma-to...quel giorno in cui un padre smette di vergognarsi di suo fi-glio e inizia ad essere orgoglioso di lottare con lui e non contro di lui. Quel ricordo è la forza che gli apre gli occhi la mattina, ma che soprattutto gli fa credere che c’è speranza.Mettendo piede a Bologna, Marco trova nella sua testa un interrut-tore che non pensava esistesse, e lo accende. Improvvisamente, scompaiono del tutto quei pen-sieri futili che affannano quo-tidianamente le nostre vite, per lasciare posto ad altre domande: dove dormire, dove mangiare, dove lavarsi. Quando incontri il suo sguardo ti rendi conto che è un’esplosione, un ossimoro vivente: ti fa ridere

Marco non stava fuggendo dalla realtà, ma al contrario stava cercando un nuovo se

stesso, lontano da quello che un tempo, in quel luogo e fra quella gente, era caduto nel

vizio.

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perché è seriamente comico e i suoi occhi non smettono mai di essere lucidi, espressivi, pesanti, mentre lui vuole trasmettere leg-gerezza. Ma quello che più col-pisce è la voglia di riappropriar-si della sua posizione sociale, di dimostrare che con le sue qualità può porre fine a questa tragica commedia. Marco si muove men-tre tutto scorre più velocemen-te di lui. E’ facile immaginare la scena. Basta sedersi per terra, come lui o altri fanno giornal-mente, e guardare di fronte a sè: non si vedranno che una miriade di gambe che velocemente pas-sano vicino con la loro storia... e poi vanno via. Seduti, guardano dal basso i passanti, parte di una società che li guarda dall’alto. Marco mi ha raccontato tutto ciò ad Arte Migrante, una comunità dove la parola d’ordine è condivi-sione. Di cosa? Di se stessi, sem-plicemente e solo di se stessi. Per lui questo gruppo rappresenta la luce alla fine di un lungo tunnel: e non perché vi trovi da mangia-re o da bere, ma per la presenza di persone con cui parlare, con cui sentirsi a casa. Nelle sue pa-role c’è calore umano. Quando gli ho chiesto cosa gli avrebbe fatto vincere questa bat-taglia, mi ha risposto: riappro-priarmi della mia normalità. Arte Migrante è per lui un’occasione per sentirsi parte di un gruppo in cui la ricchezza risiede nella di-versità. Un uomo che non vuole fermarsi al mero ricordo del pas-sato ma che desidera scacciare la tristezza e la delusione, il fal-limento, l’anonimato. Un uomo

che è in grado di dare speranza e gioia agli altri. Un uomo che sa davvero apprezzare la vita perchè l’ha persa e riconquistata troppe volte. La speranza regna sovrana nell’e-sistenza di questi individui così forti e così fragili, rendendoli ca-paci di avere fiducia in se stessi e negli altri. Viene allora spon-taneo citare un verso tratto dalla poesia “Prima di tutto l’uomo” di Nazim Hikmet, che riassume in pochissime parole un messaggio che, trascendendo lo status so-ciale, proclama: “Ama le nuvole, le macchine, i libri, ma prima di tutto, ama l’uomo”. �

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Li vedete in giro per Bologna, con la loro casacca gialla, agli angoli delle strade, a

vendere un giornale che sempre porta in copertina una fotografia di un volto. Il prezzo lo decidete voi, da un euro in su. Sono i ven-ditori di Piazza Grande, giorna-le di strada di Bologna, nato nel 1993 per aiutare i senzatetto della città ad avere un piccolo introito senza dover chiedere le elemo-sina. “Negli anni ’90, iniziava a risvegliarsi l’attenzione sui temi sociali” afferma Leonardo Tan-credi, direttore di Piazza Gran-de. “È in quel periodo che sono nati la maggior parte dei gior-nali di strada, sia in Italia sia nel mondo”.

Il primo giornale di strada al mondo nasce nel 1989 a New York, con il nome di Street News: il successo che riscuote lo fa di-ventare il modello per tutti gli al-tri. Nel 1991 vengono fondati The Big Issue a Londra, Macadam Journal a Parigi, Street Spirit a San Francisco, e tanti altri. Due anni dopo, con Piazza Grande viene fondato il primo street ma-gazine italiano.

Ma cosa accomuna queste pub-blicazioni? Innanzitutto, il fatto di non essere vendute in edico-la. Se vi interessa leggere uno di questi giornali dovete comprarlo per strada, da venditori che, negli anni ’90, erano spesso anche gli autori degli articoli. Oggi inve-ce, nella maggior parte dei casi,

la redazione è composta da gior-nalisti professionisti e non più da senza dimora: questo cambia-mento è legato alla nuova com-posizione sociale dei senzatetto, che molto spesso sono migranti e che dunque faticano a parlare di una città che conoscono poco o a

I giornali di stradauno strumento alternativo per i senzatetto

di Alice Facchini

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scrivere in una lingua che non è la loro. Un’altra particolarità dei giornali di strada sono i conte-nuti: il focus è puntato su temi come la povertà, il disagio abita-tivo, le dipendenze… Argomenti dimenticati dai media mainstre-am, che vengono affrontati qui con una prospettiva alternativa, dal basso.

In Italia oggi si contano otto giornali di strada. Dopo Piazza Grande, nel 1994 nascono Terre di Mezzo di Milano e Fuori Bina-rio di Firenze. Mentre a Milano l’iniziativa parte da un gruppo di quattro giovani che volevano aprire un giornale alternativo, Fuori Binario viene pensato e poi realizzato all’interno dell’Alber-go popolare di Firenze, l’unico dormitorio della città. Due anni dopo, sempre a Milano, arriva Scarp de’ Tenis, promosso dal-la Caritas Am-brosiana e dal-la diocesi della città. Il feno-meno esplode v e l o c e m e n t e , portando que-ste esperienze non solo ad au-tosostenersi, ma anche ad ave-re una nuova autorevolezza nei confronti delle istituzioni: que-sti giornali, quindi, diventano importanti interlocutori con cui confrontarsi, suggerendo anche concreti miglioramenti ai servizi di welfare offerti dalle ammini-strazioni locali.

Nel 2005 a Foggia arriva il primo

giornale di strada del sud Italia: si chiama Foglio di Via ed è volu-to dall’associazione Fratelli della Stazione. L’anno dopo a Roma nasce Shaker, street paper del laboratorio di scrittura del cen-tro di accoglienza Binario 95: gli articoli sono tutti scritti dai sen-zatetto che frequentano la strut-tura, che hanno così l’occasione di raccontare le loro storie. Ne-gli ultimi anni, infine, vengono fondati i più giovani giornali di strada italiani: del 2012 è Palaz-zuolo Strada Aperta, che sem-pre a Firenze racconta la vita di via Palazzuolo e dintorni, zona multietnica e ricca di differenze culturali, mentre nel 2014 apre a Catania Telestrada Press, l’evolu-zione della web tv Telestrada.

Un panorama molto ricco quello italiano, dunque, che però oggi fatica ad andare avanti a causa

della crisi della car-ta stampata, non-ché della difficile congiuntura econo-mica. Questi gior-nali devono quindi trovare nuove stra-de per mantenere vivo il loro proget-

to iniziale, cercando strategie di network sia a livello naziona-le che transnazionale, ma anche sfruttando al meglio l’informa-zione multimediale e la rete. �

[...]questi giornali diventano importanti interlocutori con cui confrontarsi, suggeren-do anche concreti migliora-menti ai servizi di welfare

offerti dalle amministrazio-ni locali.

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Migranti, senza dimora, studenti, lavoratori, pensionati: questa è la ricca ed eterogenea composizione sociale di Arte Migran-te, comunità di persone il cui scopo è condividere, ogni setti-

mana, una serata all’insegna dell’arte. Si contano quasi venti naziona-lità diverse: c’è, a titolo esemplificativo, una ragazza marocchina nata in Italia, quattro rifugiati politici eritrei scappati dalla dittatura, un musicista di Istanbul qui in Erasmus, molti rumeni in cerca di lavoro, un cinese che ridacchia mentre dice il suo nome. Anche dall’Italia, si toccano quasi tutte le regioni. Tutti con una provenienza diversa, ma tutti cittadini del mondo.Si spazia dalla musica al teatro, dalla danza alla giocoleria, dalle rifles-sioni filosofiche alle letture di poesie. Un filippino che balla una can-

di Giovanni Modica Scala

ARTE MIGRANTEla ricchezzadiversità

nella

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zone pop asiatica, un egiziano che legge poesie in arabo, un ar-gentino che recita un monologo e un siriano che canta una inno della minoranza curda… ogni esibizione diventa un mezzo per creare ponti tra persone di diver-sa estrazione sociale, geografica, anagrafica. “Vogliamo dimo-strare che l’arte non ha confini - afferma Tommaso Carturan, fondatore del gruppo - e che essa può diventare uno strumento di condivisione importante. Non importa quanti soldi hai in ta-sca o il colore della tua pelle, qui ognuno vale come gli altri. Siamo allo stesso tempo uguali e diver-si”Così, ogni mercoledì alle 20:30, ci si ritrova in una sala messa a disposizione dalla parrocchia di Sant’Antonio, a pochi kilometri da porta S. Vitale: in un contesto molto orizzontale ed informale, ci si presenta velocemente; segue il momento della cena in cui, chi può, offre del cibo tipico della propria terra. Col-mato il vuoto nello stomaco si dà fi-nalmente avvio alla fase clou della sera-ta.Oltre al rituale ap-puntamento del mercoledì, l’attività artistica del gruppo si esprime in feste mi-granti, collaborazioni con realtà dell’associazionismo bologne-se ed interventi di animazione presso i dormitori o centri di ac-coglienza.Il progetto nasce nel 2012 grazie a un gruppo di amici che ha idea-

to questa formula, con l’obiettivo di accogliere nel modo più auten-tico possibile i senza dimora di Bologna e i migranti che vivono o passano dal capoluogo emilia-no. “Il mio sogno - confida Tom-maso - è quello di portare questa esperienza in altre città d’Italia, magari in altre città del mondo”. Un desiderio che parzialmente è già stato esaudito, essendo sorti nuovi presidi a Modena, Torino e Modica. Dallo scorso febbraio sono sta-ti avviati in collaborazione con l’Antoniano Onlus dei laboratori gratuiti e aperti a tutti, talvol-ta tenuti dagli stessi migranti o senza fissa dimora: informatica, musica, teatro, danza, curricu-lum vitae, e lingua italiana sono solo alcuni degli svariati ambiti in cui si articola l’offerta forma-tiva dei “laboratori migranti”. I propositi della comunità, il ca-rattere aconfessionale e rispet-toso delle sfaccettature di ogni cultura, lasciano spazio ad un’u-

topia quale naturale conseguenza del de-siderio di Tommaso: “In un’ipotetica diffu-sione planetaria, per-sone di culture diffe-renti imparerebbero a rispettarsi recipro-

camente, sperimentando la ricca diversità del patrimonio umano. Sarà allora che la calda luce spri-gionata dall’incontro tra i popoli scioglierà i muri di ghiaccio del prestigio nazionale, veicolo di in-numerevoli guerre.” �

“Non importa quanti soldi hai in tasca o il co-lore della tua pelle, qui ognuno vale come gli

altri. Siamo allo stesso tempo uguali e diversi.”

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S O S T I E N I L ’ A S S O C I A Z I O N E :

Carlo Tamburelli

AP

PE

LL

O 1500-20001/3

i senza fissa dimora presenti a Bologna

i posti garantiti dai dormitori rispetto alla domanda

Durante l’inverno tanti resteranno in strada !!!

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