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2004,Anno del 50ºanniversario

della prima ascensionedel K2

FABRIZIO FALLANI

2004,Anno del 50ºanniversario

della prima ascensionedel K2

FABRIZIO FALLANI

Il 31 luglio 1954 gli italiani LinoLacedelli e Achille Compagnoni sonoi primi alpinisti a raggiungere la vet-

ta del K2, 8611 metri di altezza e secon-da montagna più alta della terra dopol’Everest, 8850 m (salito per la prima vol-ta il 29 maggio 1953 dal neozelandeseEdmund Hillary e dallo sherpa TenzingNorgay). Determinante al successo dellasalita fu il giovane alpinista WalterBonatti che, insieme alla guida hunzaMahdi, riuscì a portare le bombole di os-sigeno fino alla quota di 8100 m, permet-tendo ai due compagni di proseguire perla vetta. La spedizione italiana era stataorganizzata dal Club Alpino Italiano edal Consiglio Nazionale delle Ricerche eguidata da Ardito Desio. Gli altri compo-nenti la spedizione furono gli alpinistiErich Abram, Ugo Angelino, CirilloFloreanini, Pino Gallotti, Mario Puchoz,Ubaldo Rey, Gino Soldà, Sergio Viotto,il medico Guido Pagani e il già citatoWalter Bonatti. M. Puchoz morì il 21 giu-gno per edema polmonare, al campo II(quota 6095). Inoltre parteciparono allaspedizione, il geofisico Antonio Marussi,il petrografo Bruno Zanettin, il paleonto-logo Paolo Graziosi, il cineoperatoreMario Fantin e il topografo dell’IstitutoGeografico Militare capitano FrancescoLombardi. Oltre agli italiani c’era un ad-detto ufficiale del governo pakistano, ilcolonnello Ata Ullah e 13 pakistani di et-nia hunza per le alte quote.

Inquadramento geografico e morfolo-gico del Karakorum

La catena montuosa del Karakorum,che si estende per circa 400 Km nel sen-so sud-est nord-ovest, è situata al confi-ne fra gli stati di Pakistan, Cina, India eAfghanistan, ad una latitudine compresafra 34° e 37° nord e alla longitudine fra74° e 78° est da Greenwich.

L’area si presenta in prevalenza mon-tagnosa, con profonde valli incise da im-petuosi fiumi che raccolgono le acque difusione dei ghiacciai. Nel Karakorum sitrovano quattro cime superiori agli otto-mila metri (K2 8611 m, Broad Peak 8047m, Gasherbrum I 8068 m, Gasherbrum II8035 m), tutte situate nella zona fra ilghiacciaio del Baltoro ed il ghiacciaioGodwin Austen, al confine fra Pakistane Cina. Nel Karakorum sono situati an-che due sistemi glaciali fra i più estesi al

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mondo, al di fuori delle aree polari. Sitratta del sistema glaciale Biafo-Hispar(120 km di lunghezza) e di quelloBaltoro-Siachen (135 km), fra l’altronon contigui solo per un breve tratto. Ighiacciai sono la peculiarità delKarakorum. Il limite delle nevi perenni èsituato intorno ai 5000-6000 metri, ma lelingue dei ghiacciai scendono più a vallefino a quote intorno ai 3500 metri, quin-di molto basse considerata la latitudinedell’area (nel bacino del Mediterraneo a

latitudini simili troviamo la costadell’Algeria). Questo può essere spiega-to dal fatto che i ghiacciai raccolgonomolto materiale detritico, tanto che nelleparti più a valle i detriti ricoprono total-mente la superficie ghiacciata (per que-sto vengono chiamati «ghiacciai neri»),rallentandone l’ablazione. Solo risalen-do verso i 4000 metri di quota il ghiacciocomincia a sbucare dai detriti, formandoanche caratteristici pinnacoli alti fino a50 metri, che sul ghiacciaio del Baltoro

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prendono il nome di «vele del Baltoro».Al di sotto del limite delle nevi pe-

renni il territorio si presenta spesso de-sertico, conseguenza delle ridotte preci-pitazioni portate dal monsone, il ventocaldo e umido proveniente da sud ovest.La forza del monsone arriva attenuata acausa della posizione geografica dellacatena dell’Himalaya che forma una bar-riera per il Karakorum, situato più anord. Nella cittadina di Skardu (2340 m),da dove partono le spedizioni alla voltadel ghiacciaio del Baltoro, si registranoappena 200 mm di precipitazioni annue,mentre nella zona del K2 (a 5000 metri)le precipitazioni annue sono di circa1500 mm, comunque molto limitate se sipensa che alla base dell’Annapurna, unottomila situato nell’Himalaya nepalese,sono di oltre 5000 mm annui. Le tempe-rature nei fondovalle sono tipiche del cli-ma continentale, con inverni rigidi ed

estati calde. Naturalmente salendo diquota le temperature diminuiscono note-volmente, con punte che in inverno pos-sono toccare – 50°C sulla vetta del K2.

In passato alcuni geografi considera-vano il Karakorum un prolungamentodella catena himalayana; in realtà la pre-senza di grandi fiumi delimita nettamen-te il territorio del Karakorum dal-l’Himalaya.

I confini fisici del Karakorum sono

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Mercato di Rawalpindi. A sinistra: tipicocamion sulla Karakorum Highway.A destra: anziano hunza col tipico cappello. In apertura: campo di Urdukas (4060 m). Ilghiacciaio del Baltoro verso valle, sullosfondo da destra il ghiacciaio Dumge checonfluisce nel Baltoro, il gruppo delle Torridi Trango, la Torre Uli Biaho (6109 m), ilgruppo del Paiju Peak.

stati stabiliti nel 1936-1937 a Londra,nell’ambito della «KarakoramConference»:- a sud: corso del fiume Indo dalla con-fluenza col fiume Shyok fino alla con-fluenza con il fiume Gilgit e da qui finoalla confluenza con il fiume Ishkuman.- ad ovest: fiumi Ishkuman e Karumbarfino al Chilinji pass.- a nord: Chilinji pass, fiume Chapursan,Kermin pass, fiume Kilik verso valle finoalla confluenza col fiume Khunjerab. Poifiume Khunjerab fino all’omonimo pas-so. Nell’altro versante in territorio cinese(Sinkiang) fiumi Oprang e Shaksgam fi-no alle sorgenti (Wood’s pass).- ad est: margine del ghiacciaio Rimu epoi fiume Rimu fino alla confluenza colChip Chap, poi fiume Shyok che si diri-ge a sud e confluisce nel fiume Indo.

La delimitazione oggi convenzional-mente adottata, amplia di poco il confi-ne ovest, mentre estende il confine estfino al Karakorum pass (5570 m) ed alcorso del fiume Chip Chap che nasce asud del passo.

Origine dei toponimi

Il nome Karakorum è composto da dueparole di un dialetto locale, il turki. Karache significa nero e korum che significapietra, ghiaia. Nel 1938 durante la«Karakoram Conference Report» laRoyal Geographical Society indicò chel’ultima sillaba doveva essere am(Karakoram), ma questa desinenza oggiviene utilizzata solo nella dicitura inglese.

Ma con Karakorum viene identifica-to anche il Karakorum pass (5570 m),importante valico di comunicazione perla Cina.

Infatti già nella relazione della mis-sione inviata nel 1815 dalla Compagniadelle Indie presso il re dell’Afghanistan,che all’epoca dominava gran parte del

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territorio viene riportato che una catenamontuosa «[....] o uno speciale passo cheè in essa, vicino alla via tra Yarcand ed ilLadakh, è molto nota nel Turkestan colnome di Karakorum».

Quindi con questo toponimo venivaindicata o la catena montuosa o il passo(Karakorum pass) situato ad est della ca-tena stessa, che era utilizzato come col-legamento carovaniero per i commercifra Ladakh (India) e Turkestan (oraSinkiang, Cina) e quindi aveva una im-portanza particolare.

La catena montuosa veniva anchechiamata Muztagh dove Mus-tag, signi-fica «Montagna di neve» (VIGNE, 1835)o «Alta Montagna» (SCHLAGINTWEIT,1856). Ma con Muztagh veniva indicataanche montagna in modo generico, tantoche l’italiano Osvaldo Roero di Cortanzevissuto dal 1853 al 1875 in India allependici meridionali dell’Himalaya, ri-porta nei suoi scritti che il Muztagh erala vetta più elevata della terra dopol’Everest. Col passare del tempo però, iltoponimo modificato in Mustagh, ha in-dicato un valico (5420 metri), situato frail ghiacciaio Sarpo Laggo e l’odiernoghiacciaio Mustagh che confluisce nelghiacciaio del Baltoro. Con lo stesso to-ponimo è stata denominata anche unasplendida cima che si erge vicino al pas-so, la Torre Mustagh (7273 metri).

Verso la metà del XIX secolo, ilSurvey of India (Servizio trigonometricoe geodetico del British Raj) inizia unacampagna di rilevamenti topografici nel-le catene himalayane e del Karakorum,inserendola nel programma per la realiz-zazione della cartografia dei possedi-

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Askole (3050 m), terrazzamenti coltivati.In alto: la confluenza fra il fiume Gilgit (a si-

nistra) e l’Indo, punto d’incontro delle catenedi Himalaya (destra), Karakorum (al centro),

Hindukush (a sinistra).

menti britannici. Nel 1852 viene misura-ta l’altezza dell’Everest e nel 1856 il to-pografo colonnello Montgomery, dallavetta del monte Haramuk (4880 m) inKashmir, traguarda con il suo strumentoverso nord, e ad una distanza di 250 kmindividua due cime che sovrastano tuttele altre («[...] vidi due belle vette che si er-gevano molto al di sopra del resto dellacatena»). Una era il Masherbrum (7821m), l’altra il K2 (8611 m). Quest’ultimofu siglato N13 ma in seguito gli venne as-segnato il nome monte Godwin Austendal nome del topografo che per primo siavvicinò e lo descrisse. Infine venne de-ciso che tutte le montagne dell’area fos-sero identificate solo da una sigla, com-posta dalla K di Karakorum seguita da un

numero. Le due in questione presero le si-gle K1 (il Masherbrum) e K2. Dopo dueanni, terminata la triangolazione dell’a-rea, alla cima K2 viene confermata laquota di 28251 piedi (8611 metri). Tutti itoponimi rilevati da Montgomery venne-ro poi riportati sulla Mappa Ufficiale del-la Survey of India del 1876.

La montagna siglata K2 ancora oggiporta questo nome, mentre in baltì vienechiamato col nome generico Chogori, ilgrande monte.

Quasi inesistenti i nomi indigeni loca-lizzanti monti e ghiacciai. Di solito sonomolto generici come Mustagh (montagnadi neve, alta montagna), o Chogori (gran-de monte, grosso monte) o Kangri (montenevoso). Fanno eccezione il Gasherbrum

(il Gasherbrum IV per laprecisione), da rgasha(bello, splendido) e brum(vetta, cima isolata) e ilMasherbrum da masha(nevosa) e brum. Ma an-che il Belché Kurik (ditotorto), una caratteristicatorre storta che svettasulla cresta della PrimaCattedrale del Baltoro.

La maggior parte del-le località sono state bat-tezzate da chi le ha esplo-rate, dandogli nomi dipersone (ghiacciaiSavoia, Austen, Vigne,Duca degli Abruzzi,Younghusband, sellaSavoia, sella Conway),che non sempre suonanobene (ad esempio la sella

Vittorio Sella). L’esploratore inglese W.Martin Conway, il primo ad aver raggiun-to la parte alta del bacino del Baltoro, haconiato diversi toponimi suggeriti dallecaratteristiche del luogo. Abbiamo quindiil circo Concordia, riferito al grande circoglaciale situato all’incrocio dei ghiacciaiBaltoro ed Austen, in analogia al circoConcordia del massimo ghiacciaio alpino,l’Aletsch nelle alpi Bernesi; il MarblePeak, per il caratteristico colore biancodella roccia simile al marmo; il CrystalPeak per la lucentezza delle pareti; il MitrePeak, che domina il circo Concordia conla sua forma a mitria; l’Hidden Peak il pic-co nascosto, che coperto da altre cime sipuò vedere solo arrivandogli vicino; ilGolden Throne, trono d’oro, per l’impo-nenza dei ghiacci; il Bride Peak, la sposa,per le grandi velature bianche dei ghiaccie il Pioneer Peak, picco dei pionieri, scala-to per la prima volta proprio da Conway.

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Il campo di Kumburse (3850 m) e la Prima Cattedrale del Baltoro.In alto a destra: il «Dito Torto»

In basso: salendo sul fianco del ghiacciaio, fra i campi di Kumburse e diUrdukas. Sullo sfondo la Torre Uli Biaho.

Alcuni dei toponimi originali sono sta-ti in seguito modificati, utilizzando la lin-gua locale (Golden Throne, ora BaltoroKangri; Bride Peak, ora Chogolisa;Hidden Peak, ora Gasherbrum I; QueenMary Peak, ora Sia Kangri). Invece ilBroad Peak, il monte largo, era stato mo-dificato in Phalchan Kangri, ma continuaad essere denominato da tutti col suo no-me originale.

In pubblicazioni e cartografia italianadegli anni Trenta-Quaranta troviamo no-mi italianizzati, sia di persone che di luo-ghi, imposti dal regime fascista. Abbiamoquindi le guide Mattia Zurbriggen (inve-ce di Matthias), Giuseppe e LorenzoPetigax (Joseph e Laurent), ecc., ma an-che Caracorum (Karakorum), Turchestan(Turkestan), Scardu (Skardu), Ascole(Askole), ed i monti Punta di Marmo(Marble Peak), Gascherbrum (Gasher-brum), Ciogolisa (Chogolisa), i ghiacciaiSiacen (Siachen), Teram Scer (TeramShehr), ecc.

L’origine del toponimo Baltoro è in-vece incerta. Si ritiene composto da dueparole tibetane: dPal (abbondanza, ric-chezza) e dTor-po (distributore, semina-tore), ma potrebbe derivare anche dallalingua degli hunza, il burushaski, dove ilsuffisso pal, bal che significa rupe, pare-te di roccia, si ritrova spesso nei toponi-mi della zona (Baltit, Baltar ecc).

2004 50º anniversariodella prima salita al K2

Nel corso del 2004 numerose sono sta-te le iniziative per ricordare questa storicasalita. L’obiettivo del Club AlpinoItaliano, promotore di «K2 1954 - 2004 -dalla conquista alla conoscenza» è statoquello di far conoscere agli italiani la«montagna degli italiani» come viene de-finita, tramite opere di divulgazione e ri-cerca ed iniziative di sviluppo sostenibile

sul territorio pakistano. Quindi non l’or-ganizzazione di un’altra spedizione alpi-nistica, ma un trekking sul ghiacciaio delBaltoro fino al circo Concordia e al cam-po base del K2, strutturato con partenze digruppi da maggio a settembre 2004 in mo-do da poter consentire a tanti appassiona-ti di montagna di arrivare in quei luoghi.

Impatto ambientalePer ridurre al minimo l’impatto am-

bientale, il CAI ha organizzato il trek-king sul Baltoro applicando le linee gui-da relative alle attività eco-turistiche de-finite in campo internazionale (ONU eComunità Europea). In questo ambito è

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stato realizzato un testo distribuito adogni escursionista per un corretto com-portamento durante il trekking (realizza-to da CAI, Ministero dell’Ambiente eUniversità di Torino).

Queste le principali iniziative del pro-getto:- prevedendo l’afflusso di circa 600 perso-ne, divise in gruppi fra maggio e settem-bre, sono stati organizzati dei campi fissicon tende rimaste montate per tutta la sta-gione. Questo ha permesso di ridurre il nu-mero di portatori al seguito, con conse-guente minore produzione di rifiuti. Trecampi situati esternamente al ghiacciaiodel Baltoro sono dotati anche di strutturefisse e sono gestiti dall’organizzazione

no-profit pakistana MGPO (Mountainand Glacier Protection Organization). Glialtri campi, con tende e strutture smonta-bili, sono stati istallati in aree idonee dasempre utilizzate durante le spedizioni. Ilresponsabile del progetto ambientale, ag-gregato all’ultimo gruppo di trekkers, haseguito le operazioni di smontaggio deicampi e di ripristino ambientale delle aree;- raccolta differenziata dei rifiuti e tra-sporto a valle del materiale riciclabile co-me vetro e metallo. Incenerimento pressoi campi dell’altro materiale di rifiuto.Costituzione nei vari campi di punti diraccolta per le batterie esauste e loro tra-sporto a valle per lo smaltimento in Italiacon l’occasione del rientro dell’ultimo

gruppo trekking. In accordo conuna ditta italiana specializzata econ il contributo di tutti i parte-cipanti, è stata effettuatauna bonifica, per quantopossibile, lungo tutto l’itine-rario fino al campo base delK2 sotto la verifica di incaricatidel CAI Molti i rifiuti raccolti, so-prattutto nei pressi dei campi, re-sidui delle vecchie spedizioni.Grazie a questa iniziativa e non-ostante il grande flusso di perso-ne durante tutta l’estate, il Baltoroè molto più pulito di prima.

Già nel 1990 l’associazioneMountain Wilderness organizzòuna spedizione internazionaleper una grande iniziativa di puli-zia nelle aree dei campi ma anchee soprattutto lungo le vie di salitadel K2. Furono riportati a vallechilometri di corde, bombole diossigeno, tende, scalette metalli-che, nonché scatolette di cibo etant’altro; in totale vennero rac-colte 3 tonnellate solo di metallo.

C’è da tener conto di un’altragrossa fonte di inquinamento,sulla quale purtroppo non sonopossibili interventi immediati.Intorno al ghiacciaio Siachen dal1984 viene combattuta fra India ePakistan la guerra alla più altaquota della storia. Anche se ilBaltoro non è proprio al centrodella zona interessata, ci sono po-stazioni militari sparse lungo tut-to il ghiacciaio fino a quote diquasi 6000 metri. Ne consegue uninquinamento ben visibile, comead esempio i bidoni di keroseneammucchiati o sparsi intorno aicampi militari, con probabili in-filtrazioni del prodotto anche nelghiacciaio. Per fa terminare que-sta guerra in un territorio monta-

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Dal 1947, anno dell’indi-pendenza del Pakistan, in

questa area il confine fra India ePakistan è sempre stato molto vago. Nel

1972 è stata demarcata la frontiera fra i duePaesi nel territorio del Kashmir fino ad un punto de-

nominato NJ 9842. Da qui al Karakorum Pass il confineera stabilito con una definizione molto incerta («[…] e da quia nord fino ai ghiacciai »). Essendo un’area desolata e priva diinteressi, tutto è filato liscio, finché le spedizioni alpinistichenon cominciarono a chiedere i permessi per entrare in que-ste zone. Autorizzazioni sono state rilasciate da entrambi glistati, interpretando a proprio modo la linea di confine so-pracitata. Nel 1984 l’India invia truppe sul ghiacciaio Siachene sulla cresta del Saltoro, occupando due passi strategici inalta quota (il Sia-La, 6160 m e il Bilafon-La, 5550 m). A que-sta operazione seguirono numerosi scontri col Pakistan. Nel1987 il Pakistan riuscì con una impresa che può essere defi-nita alpinistica per la posizione del luogo, ad occupare un al-tro punto della cresta in seguito riconquistato dall’India.

I negoziati che seguirono non hanno portato risultatimentre gli eserciti dei due stati continuano sporadicamentea fronteggiarsi mantenendo le proprie posizioni ad altitudinicomprese fra i 3700 e i 6700 metri con militari che vivono incondizioni impossibili a causa dell’alta quota e del maltempo.I rifornimenti avvengono per lo più con elicotteri mentre ri-fiuti di tutti i generi, compresi olii e carburanti, stanno riem-piendo i ghiacciai. Il progetto del Parco della Pace (nel mon-do ne sono già stati istituiti 169 in 113 paesi), prevede la tra-sformazione di tutta l’area in un parco transfrontaliero, da at-tuarsi in varie fasi sotto il controllo internazionale. Vieneproposto quindi il ritiro delle due parti, senza vinti ne vinci-tori ma con la consapevolezza che il sacrificio degli uominiche hanno combattuto in luoghi così inospitali possa essereservito per creare un'area protetta in un ambiente spettaco-lare, teatro delle grandi esplorazioni realizzate a cavallo fraOttocento e Novecento da Moorcroft, Vigne, Strackey,Longstaff, Workman, Hunt, Dainelli.

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no di grande interesse naturalistico, dovel’unica risorsa economica può essere soloil turismo, la Commissione Mondiale del-le Aree Protette (WPCA) ha proposto aidue Stati la creazione di un parco della pa-ce transfrontaliero nell’area del ghiac-ciaio Siachen, proposta raccolta fra gli al-tri anche dal Comitato EV-K2-CNR e dalgruppo «Amici della Montagna» delParlamento Italiano. Sebbene sia in attouna generale distensione fra le parti la si-tuazione non è stata ancora definita.

Viene ora descritto l’itinerario perraggiungere la città di Skardu, nelKarakorum, partendo dalla capitaleIslamabad, e di seguito il trekking fino alcampo base del K2.

AvvicinamentoIslamabad è la nuova capitale del

Pakistan costruita negli anni Sessanta, a

poche decine di chilometri di distanzadalla vecchia e caratteristica città diRawalpindi. Da Islamabad con dei pulmi-ni si prende la direzione verso nord per laKarakorum Highway. Costruita fra il1966 ed il 1978 per collegare il Pakistan ela Cina, la strada risale la valle dell’Indofino al bivio di Alam, poi la valle del fiu-me Gilgit e dopo del fiume Hunza, nell’o-monima regione, fino a giungere alKhunjerab Pass (4709 m), punto di confi-ne con la Cina, ripercorrendo l’antica viache usavano le carovane provenienti dal-la Cina. È una delle strade più impressio-nanti della terra e durante il tortuoso per-corso si incontrano lunghi tratti dove lastrada è intagliata nelle rocce a picco sulfiume. All’inizio attraversa aree coltivatepoi col salire di quota l’ambiente circo-stante si fa sempre più roccioso o deserti-co con scarsa vegetazione fra cui crescespontanea la pianta della marijuana. Alla

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Vele del Baltoro a quota 4300 circa. Sullo sfondo a destra il Gasherbrum IV /7929 m). Nellepagine successive: la parte alta del ghiacciaio Austen, dal campo base del K2

confluenza dei fiumi Gilgit ed Indo, in unluogo dominante le due vallate, un mo-numento con tanto di carta geografica di-pinta sulla muratura ricorda che in quelpunto convergono tre catene montuosefra le più imponenti della terra, cioèHimalaya, Karakorum e Hindukush.Poco oltre (bivio di Alam) si lascia laKarakorum Highway per proseguire nel-la valle dell’Indo fino a raggiungere aSkardu (2340 metri), centro situato nel-l’ampia pianura alla confluenza del fiu-me Shigar con l’Indo. Skardu conta circa10 000 abitanti ed è il capoluogo delBaltistan. Un antico forte dove si stabili-rono i primi abitanti della valle, dominala città e tutta la vallata dall’alto di unpromontorio roccioso che si eleva di 380metri a picco sull’Indo.

Da Skardu si prosegue in fuoristrada,sulla pista lunga 150 km che conduce alvillaggio di Askole (quota 3050 m).Abbandonato l’Indo (che giunge qui dal-le sorgenti situate nel lontano Tibet, sulmonte Kailas luogo sacro ai tibetani e ri-velato all’occidente dallo svedese SvenHedin), si percorre ora il fondale di un an-tico lago che nel periodo delle glaciazionisi estendeva per oltre 150 chilometri edera sbarrato a valle dalle morene deighiacciai che fungevano da diga. È unalunga ed ampia distesa di sabbia bianca,punteggiata da particolari formazioni ar-gillose, probabili depositi detritici tra-sportati dai ghiacciai che con le loro lin-gue terminavano nel lago. Si attraversa lapianura dell’oasi di Shigar, ricca di vege-tazione e con numerosi piccoli villaggi ecase sparse, con coltivazioni di alberi dafrutto (albicocchi, meli, peri), ma anchepioppi, salici e gelsi alternati a campi digrano e orzo. Anche in questa valle l’irri-gazione avviene tramite antiche canaliz-zazioni ancora efficienti grazie ad una co-stante manutenzione. Grande è il contra-sto cromatico fra il verdeggiante fondo-valle e le pendici delle montagne circo-

stanti con cime fra i 5000 ed i 6500 metridi quota; sabbia, sassi, rocce e più in altoneve e ghiaccio. Si supera il villaggio diKashumal, che significa «il luogo deglialberi di mela», dopo il quale si trova laconfluenza dei fiumi Basha, che provieneda nord dal ghiacciaio Chogo Lungma,con il fiume Braldo, proveniente da est.La pista comincia ad inerpicarsi in un am-biente roccioso a picco sul fiume Braldo,impetuoso ed impressionante anche oranonostante che, essendo autunno, non siaal massimo della portata d’acqua comeinvece avviene in estate quando il mag-giore scioglimento dei ghiacciai gonfiaancora di più i fiumi. Anche in questa val-le, così come lungo le gole dell’Indo, sul-le pareti a picco in posti quasi impossibilida raggiungere si vedono gli scavi dei cer-catori di minerali. Acquamarine, tormali-ne nere, rubini, quarzi, ortoclasi, lapislaz-zuli, che poi vengono venduti nei mercatidi Skardu, di Gilgit e nei paesi della valledell’Hunza. Un ondeggiante ponte sospe-so con cavi d’acciaio e tavole di legno per-mette ai fuoristrada di superare il fiumeBraldo e continuare il percorso nel ver-sante destro orografico. La pista terminaad Askole (3050 metri) ultimo villaggioabitato e punto di partenza per tutte le spe-dizioni che si inoltrano verso le zone piùfamose del Karakorum. La pista è statacostruita negli anni Novanta ed è percor-ribile solo con fuoristrada e spesso inter-rotta da frane. Prima della sua costruzio-ne per raggiungere Askole occorrevanosei giorni di cammino da Skardu e neipressi del villaggio di Chongo il fiumeBraldo veniva superato tramite una pas-serella sospesa, una jula. Nelle valli delKarakorum le jula erano molto numerose,ora sono state sostituite quasi tutte da te-leferiche o passerelle sospese con cavid’acciaio e tavole di legno. Le jula eranocostruite con tre grosse corde fatte di ramie radici intrecciate, una posta in basso perl’appoggio dei piedi, le altre di lato per

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corrimano unite fra loro con altre cordepiù piccole. L’ancoraggio alle rive era as-sicurato con due torri di pietra alte una de-cina di metri, che servivano da contrappe-so alla passerella. Un’altra via di accessoper Askole, più corta ma più faticosa, eraattraverso il passo Skoro-La (5105m), ri-salendo la valle di destra dopo Shigar escendendo nell’altro versante a Darso epoi Askole. Questa via venne percorsa nel1899 dai coniugi Workman con la guidaitaliana Matthias Zurbriggen, nel 1909 daalcuni membri della spedizione del ducadegli Abruzzi, ma anche da alcuni parte-cipanti delle spedizioni del duca diSpoleto (1929) e di Desio al K2 (1954).

Askole è situato su un terrazzamento amezza costa sul lato destro della valle delfiume Braldo. Giungendo ad Askole sem-bra di tornare indietro nel tempo e no-nostante il passaggio di occidentali e l’ar-rivo della pista, la vita del villaggio è ri-masta la stessa di sempre e il turismo nonha fatto nascere nuove attività. Le case so-no piccolissime, di pietra, fango e legno, auno o due piani. Gli edifici sono addossa-ti gli uni agli altri lungo le tortuose vie,spesso contornate da muretti di pietra sor-montati da spinosissimi cespugli secchi infunzione di filo spinato che delimitanospazi per gli animali. Le vie sono anche lasede di canaletti atti a portare l’acqua diuso domestico in piccole cisterne scavatenella terra, poste vicino alle case. Le colti-vazioni sono situate in ampi terrazzi crea-ti con muri a secco, irrigati anche qui concanalizzazioni. Alcune persone del villag-gio sono addette all’irrigazione: bloccanol’acqua di un canale con della terra e sassie contemporaneamente aprono l’argine afianco, e così via, permettendo l’arrivodell’acqua in tutti i terrazzamenti che nenecessitano. In altri terrazzamenti fami-glie intere tagliano il grano, con falcetti diforma particolare. Hanno una impugnatu-ra a maniglia ricavata da un unico pezzo dilegno ed una lama non tanto lunga, se-

ghettata; sono tutti diversi uno dall’altro, ilche fa pensare ad una costruzione localeanche perché introvabili in altre zone.

L’isolamento di questo villaggio e ledifficili condizioni igieniche e sanitariehanno portato delle gravi conseguenzesulla salute della popolazione. Tramite ilFondo Solidarietà «Lorenzo Mazzoleni»,costituito dopo la morte dell’alpinista lec-chese Lorenzo Mazzoleni deceduto nel1996 durante la discesa dalla vetta del K2,è stato costruito un piccolo dispensariomedico, nel quale medici e personale spe-cializzato italiano offrono servizio volon-tario di assistenza e formazione per il per-sonale locale.

TrekkingIl 21 settembre parte l’ultimo gruppo

del CAI per raggiungere il circoConcordia. Con i trekkers un nutritogruppo di portatori baltì, due guide alpi-ne italiane e tre guide pakistane di etniahunza. La forza fisica e l’adattamentodei baltì alle alte quote li ha fatti diven-tare portatori sin dalle prime esplorazio-ni, a differenza degli hunza (gli abitantidell’omonima valle), dai quali invece sisono formati guide e alpinisti. Le guidesono anche di cultura più elevata, spessolaureate, quindi di rango superiore ri-spetto ai portatori e con responsabilitàorganizzative e decisionali. Anche fra iportatori esistono ranghi da rispettare, disolito il più anziano è il capo.

Si risale il lato destro della valle, se-guendo un sentiero ben tracciato con nu-merosi saliscendi, molto sabbioso e sasso-so come d’altra parte è tutto l’ambiente cir-costante. Lasciato Askole la vegetazionesi fa sempre più rada, erbe seccate dal so-le, alti arbusti di rose canine, qualche gine-pro, e salici e pioppi per lo più in corri-spondenza di acquitrini riparati dal vento.Un affluente proveniente dal ghiacciaioBiafo viene guadato agevolmente: essen-do autunno a quote elevate la temperatura

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è già bassa, quindi il torrente ha poca por-tata d’acqua, mentre per superarlo in esta-te occorre risalirlo per un lungo tratto. Ilghiacciaio Biafo è fra i più estesi delKarakorum ed a monte è collegato colghiacciaio Hispar che scende verso nord-ovest fino alla valle dell’Hunza (sistemaglaciale Biafo-Hispar, in totale 120 km dilunghezza). La grande morena a ventagliodel ghiacciaio Biafo è larga oltre due chi-lometri e termina la sua corsa sulla spondadel fiume Braldo anche se ora è più arre-trata rispetto al passato. Sembra infatti chein epoche passate la morena sia avanzataparecchio, fino a sbarrare il corso del fiu-me creando un grande lago. A monte diquesto punto il fiume Braldo assume il no-me di Biaho. Giotto Dainelli nel 1913 tra-versa questa larghissima morena duranteuna delle sue esplorazioni e la descrive co-sì: «La superficie dava esatta la impressio-ne di un gran mare tormentato dalla tem-pesta e subitamente reso immoto; e noi tra-versandola, ci trovavamo ora come nelfondo di una valle d’onda, di dove non siscorgeva altro che le creste imminenti, edora invece sopra una cresta, di dove altre sene vedevano da ogni parte, all’infinito. Civollero tre buone ore per traversare quellafronte tumultuosa del ghiacciaio Biafo».

Il primo campo è situato sulla spondaopposta del fiume Dumordo, grosso af-fluente del Biaho e per raggiungerlo si de-ve risalire il fiume fino ad un ponte so-speso costruito nel 1998 (prima esistevauna jula) per poi riscendere dall’altro latogiungendo infine al campo di Jhula (quo-ta 3200 m). Questo è uno dei tre campi ge-stiti dalla MGPO che con i proventi deri-vati dal turismo ha eseguito un rimbo-schimento della zona con pioppi e salici.

Un forte vento tiene compagnia tuttala notte e al mattino si nota che più in al-to è nevicato. Si prosegue sempre lungola sponda destra orografica del fiumeBiaho fra ciottoli e sabbia fino al campodi Bardumal (quota 3250 m), situato nel-

l’ampio alveo del fiume, contornato dadiversi muretti di pietra per ripararlo dalforte vento. Dopo il nostro passaggioquesto campo sarà subito smantellato, inquanto al ritorno non verrà utilizzato. Neicampi il centro della vita sociale è il gran-de tendone usato come mensa ma anchecome punto di ritrovo del gruppo e delleguide hunza. A fianco della tenda mensaè situata la tenda cucina, mentre le tendeper dormire (a cupola da due posti) sonoposizionate poco distanti, di solito rag-

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gruppate. I portatori invece stanno piùlontani, in disparte a gruppetti. Al tra-monto si isolano sparpagliandosi fra isassi per il rito della preghiera rivolti ver-so la Mecca. Dopo cena spesso cantano edanzano, al ritmo del suono di flauti e dipercussioni usando vecchie stagne di ke-rosene e coinvolgendo tutto il campo.Come in una specie di gara fra villaggi, si

esibiscono a turno, in gruppetti dello stes-so villaggio di provenienza. Ritmi lenti,che poi aumentano via via, accompagna-ti dal battito delle mani sempre più velo-ce. Anche i danzatori iniziano con movi-menti lenti, che poi diventano frenetici.

La terza tappa è molto più faticosa, lavalle è più stretta e spesso siamo co-stretti a lasciare il fiume per evitare trat-

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Il K2 (8611 m) a sinistra e il Broad Peak (8047 m) dal circo Concordia.

ti rocciosi salendo di quota per poi ri-scendere sul fiume. La valle poi si apree dopo un’altra salita giungiamo al cam-po di Paiju (quota 3430 m), dominatodal Paiju Peak (6610 m). Paiju significasale; infatti poco prima del campo, sullaterra e sulle rocce franate si trovanobianche incrostazioni saline. Il campo èsituato su un terrazzamento in alto ri-spetto al fiume, fra due impluvi ricchi divegetazione. Salici, betulle, qualche ci-presso e pioppi secolari, non alti ma daitronchi enormi, contorti e bitorzolutitanto da assomigliare ai grandi faggi so-litari dei calcari delle nostre alpiApuane. Questo è l’ultimo luogo doveriesce a svilupparsi della vegetazionearborea. Intorno alle tende grandi massirotondeggianti di granito. La vista co-mincia a spaziare sulle montagne più fa-mose, ed in lontananza si vede il frontedel ghiacciaio del Baltoro che sbarral’ampia valle. Anche questo campo ègestito dalla MGPO, ma il luogo vieneutilizzato anche come alpeggio estivodai pastori di Askole.

Il quarto giorno sosta a Paiju per mi-gliorare l’acclimatamento in vista del-l’alta quota, con l’occasione visita deidintorni. Un sentierino sale ripido versoalcuni contrafforti rocciosi, dove a circa3650 metri di quota, addossati alle paretisi trovano dei muretti a secco di pietra, re-sti di vecchi alpeggi non più utilizzati. Daquassù la vista spazia a 180 gradi: versoovest la caratteristica cima del MangoGusor (6288 m), verso sud una serie di ci-me senza nome fra i 5000 ed i 6000 me-tri e verso est il Liligo (6251 m), la fron-te del Baltoro e le torri ed i ghiacci delleCattedrali del Baltoro

Paiju è la prima località che rientranella carta Ghiacciaio Baltoro inscala 1:100 000 prodotta dall’IstitutoGeografico Militare nel 1969 e tutt’oggiconsiderata la migliore cartografia del-l’area, molto apprezzata e conosciuta an-

che dalle guide hunza.Da Paiju occorre un’ora per arrivare al-

la fronte del ghiacciaio Baltoro, seguendosempre il lato destro orografico della val-le ed attraversando vari ruscelli che scor-rono incassati in canali sassosi. La frontedel Baltoro ha una larghezza di un paio dichilometri e alla base, vicino al sentiero, sitrova una delle bocche, una grande caver-na nel ghiaccio da cui esce un ramo del fiu-me Biaho, formatosi all’interno del ghiac-ciaio. Si risale la fronte del ghiacciaio pas-sando proprio sopra la bocca, traversandopoi in direzione del lato sinistro orografi-co, con continui e ripidi saliscendi. La su-perficie è quasi totalmente coperta da sfa-sciumi e sabbia, e solo nei tratti verticali ilghiaccio emerge con striature stratificate emisto a detriti dai toni grigiastri. Si incon-trano anche dei piccoli laghi, alcuni conacqua lattiginosa, altri limpidissimi.Sull’altro versante del Baltoro, versoovest spicca il Paiju Peak (6610 m), chesecondo Fosco Maraini «[...] è colCervino, il Siniolchu, l’Alpamayo ed ilFuji una delle più splendide montagne delmondo». Lo sguardo spazia dal ghiacciaioUli Biaho con la caratteristica e isolataTorre di Uli Biaho (6109 m), al ghiacciaioTrango, sovrastato dai monolitici granitidelle verticali torri di Trango (6286 m,6250 m , 6231 m, 6223 m) e più avanti leCattedrali del Baltoro. Quando nel 1958Fosco Maraini passò da qui con la spedi-zione del CAI al Gasherbrum IV, descris-se così questa vista: «Stiamo passando di-nanzi ad una delle più straordinarie selvedi torri, di pinnacoli, di castelli della Terra;e tutti di un granito che va dal bruno, al ful-vo ed al rosso della terracotta, colori che sisposano meravigliosamente col candoredella neve, con le tinte azzurrine e gelideche hanno i ghiacciai sospesi, i seracchi, lecascate rapprese in cristalli. [...] La primasala del più spettacoloso museo di formedella Terra». Superata la località diRobutze, in passato utilizzata come cam-

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La carta Ghiacciaio Baltoro inscala 1:100 000 è prodotta

dall’Istituto Geografico Militarenel 1969 (ristampa 2004), sulla base

dei rilievi della spedizione del 1929 del ducadi Spoleto e dei rilievi del topografo capitano Francesco Lombardi che partecipòalla spedizione del 1954 al K2. La carta comprende tutto il bacino del Baltoro finoalla località di Paiju come limite ovest. Verso est comprende anche diversi ghiac-ciai che scendono verso la valle del fiume Shaksgam (Sinkiang, Cina), mentre a nordè inclusa nella cartografia buona parte del bacino del ghiacciaio Sarppo Laggo an-ch’esso confluente nella valle dello Shaksgam.

La carta è inquadrata nel Sistema di Riferimento Internazionale (origine dellaLongitudine Greenwich) ed ha una ampiezza di 37’ in longitudine e 20’ in latitudi-ne. È stampata in 4 colori (nero, azzurro, bistro, rosso) con sfumo in bistro e az-zurro (questo per i ghiacciai) mentre le zone rocciose sono rappresentate in bistrocosì da renderle più tenui alla vista, mantenendo ben leggibili i toponimi e le quo-te che sono riportati in nero. I toponimi dei ghiacciai sono invece in azzurro.L’equidistanza è di 100 metri, con curve di livello tracciate in azzurro anche suighiacciai . In rosso è riportato il tracciato della via di salita al K 2 del 1954, la posi-zione e le quote dei campi alti.

Durante l’itinerario sul ghiacciaio, l’utilizzo di uno strumento GPS, che haavuto sempre un’ottima ricezione dei satelliti, ha consentito di ricostruire e ri-portare il tracciato sulla carta, nonché di verificare le posizioni e le quote del-le località, soprattutto dei luoghi usati da sempre come campi. Per la verificadelle quote sono stati utilizzati anche due altimetri barometrici con approssi-mazione di 5 metri.

Da tali osservazioni risulta che il campo in località Paiju è situato più a sud-ovest rispetto al toponimo riportato sulla carta ed ha una quota barometrica di3430 m mentre sulla carta è di 3807 m. Il campo di Khuburse (3850 m) situato allosbocco del ghiacciaio Liligo nel Baltoro non è riportato sulla carta perché all’epo-ca tale località non veniva utilizzata come campo. Al suo posto veniva utilizzato ilcampo di Robutze, riportato sulla carta in posizione corretta anche se mancantedella quota. Urdukas è riportato correttamente sia come posizione che come quo-ta. La località di Gore si trova alla confluenza del ghiacciaio Younghusband colBaltoro mentre sulla carta il toponimo è riportato molto più ad est.

Le quote di alcune cime non corrispondono ai valori odierni perché rimisuratein tempi recenti. Ecco qualche esempio. Il Gasherbrum IV all’epoca della prima sa-lita (1958) era quotato 7980, poi 7925 come riportato anche sulla carta dell’I.G.M.,mentre ora è 7929, rimisurato nel 1987 da una spedizione di Desio. Il Chogolisa sul-la carta è quotato 7628, ora è 7654. La Torre Mustagh sulla carta è quotata 7273,ora è 7284. Così come le quote delle Torri di Trango, che comunque tuttora nonsono state ben rilevate.

Da notare che sulla carta i toponimi delle montagne principali sono trascrittisia col nome attualmente in uso che col nome utilizzato in passato. Considerandoche nelle pubblicazioni più vecchie, come anche in alcune recenti, i monti possonoessere citati col vecchio toponimo, l’impiego della carta dell’I.G.M. permette unimmediato orientamento anche al lettore poco esperto di cartografia o di storiadell’alpinismo.

Lacarta del Ghiacciaio Baltoro

prodotta dall’I.G.M.

Nelle pagine precedenti: Ghiacciaio Baltoro, riduzione dall’originalein scala 1:100 000, I.G.M., 1969, ristampa 2004

po, si attraversa il letto sabbioso di un vec-chio lago. È frequente la formazione di la-ghi temporanei sui ghiacciai ma anche lascomparsa repentina dell’acqua che, acausa del movimento del ghiacciaio stes-so, trova dei varchi e penetra all’interno. Siarriva quindi al campo di Khuburse (quo-ta 3850 m), situato sul Baltoro poco amonte della confluenza con il ghiacciaioLiligo e sovrastato dalla cima Liligo, 6251

metri. Una guida hunza racconta l’originedel toponimo Liligo: Lili era una signorainglese che, col marito stava effettuando laprima salita di questa cima. Mentre il ma-rito riesce ad arrivare in vetta, la signora adun certo punto rinuncia e torna indietro.Sulla via del ritorno però la signora preci-pita e muore. Al rientro al campo, la guidapakistana non sapendo come fare per darela brutta notizia al marito e non conoscen-

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do bene la lingua inglese, pronuncia solo«Lili go» per dire che Lili se n’era andata.Da qui il nome.

Dopo Khuburse si risale lungo il latosinistro orografico del Baltoro con un per-corso monotono: un’infinita serie di ripidecolline da salire e riscendere, fra sabbie epietre di tutte le dimensioni che copronoquasi interamente il ghiaccio sottostante.Il movimento del ghiacciaio è impercetti-

bile, ma reso evidente dai nume-rosi rotolii e crolli di sassi e gros-si massi sulla superficie. Il pano-rama è sempre più incredibile,reso ancor più bello dalla nevi-cata notturna che ha imbiancatole cime. Una ripida salita sulla

nostra destra ci conduce alla località diUrdukas (quota 4060 m) situata su terraz-zi erbosi più alti rispetto al Baltoro, fraenormi massi arrotondati di granito(Urdukas in baltì significa «pietre cadu-te»), che formano ripari e grotte naturali.Questo è il terzo ed ultimo campo gestitodalla MGPO Il luogo veniva utilizzatodalle carovane che in passato risalivano ilghiacciaio Mustagh e tramite l’omonimo

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La parete ovest del GasherbrumIV (7929 m) e a destra il

Gasherbrum V (7921 m), dal circoConcordia.

La sua parete ovest domina im-ponente il campo del circo

Concordia ed anche questa cima èstata salita per la prima volta da unaspedizione italiana. Salendo per lacresta nord est, senza uso di bom-bole di ossigeno, il 6 agosto 1958giungono in vetta Carlo Mauri eWalter Bonatti della spedizione delCAI guidata da Riccardo Cassin. Glialtri alpinisti erano Bepi DeFrancesch, Toni Gobbi, FoscoMaraini, Giuseppe Oberto, eDonato Zeni (medico). Per le gran-di difficoltà tecniche incontrate allealte quote questa salita è entratanella storia dell’alpinismo, tanto chesoltanto nel 1986 viene di nuovoraggiunta la vetta, da una spedizio-ne di americani e australiani salen-do per la cresta nord ovest.

IL GASHERBRUM IV, 7929 metri

passo (5420 m) attraversavano ilKarakorum verso il Turkestan (oraSinkiang, Cina). Essendo alti rispetto alBaltoro la vista da quassù è ancora più do-minante. Proprio di fronte a noi abbiamole Cattedrali del Baltoro, con in primo pia-no l’imponente monte Thunmo (5866 m)ed i ghiacciai Dunge e Biale che conflui-scono nel Baltoro; verso ovest il gruppodel Pajiu Peak, la Torre di Uli Biaho e frai ghiacciai Dunge e Trango, le slanciateTorri di Trango.

Il mattino successivo al campo tutto èghiacciato, si parte per una lunga tappaquando ancora le tende non sono stateraggiunte dal sole. Dai terrazzi erbosi delcampo si scende sul ghiacciaio. Si risale ilBaltoro prima in diagonale e poi mante-nendoci al centro con i soliti ripidi sali-scendi. Il ghiaccio compare sempre di piùfra lo sfasciume detritico. Sullo sfondo sistaglia nel cielo senza nuvole l’imponen-te versante ovest del Gasherbrum IV(7929 m), la cui vista ci accompagnerà fi-no al circo Concordia, mentre verso sudspicca il Masherbrum (7821 m) e a nordla Torre Mustagh (7273 m). Il K2 inveceresterà nascosto fino al circo Concordia.In questo tratto cominciano ad apparire lefamose «vele» del Baltoro, creste dighiaccio alte anche 50 metri che sbucanodalla superficie del ghiacciaio come pin-ne di squali che emergono dall’acqua.Sosta su un pianoro che veniva usato co-me campo (campo di Gore 1) e nell’occa-sione si raccolgono molti rifiuti di vecchiespedizioni. Il campo dove finisce la tappa(Gore 2, 4300 metri) è situato sulla super-ficie del ghiacciaio, fra detriti, ghiaccio, etorrentelli d’acqua di fusione che col ca-lar del sole si solidificano diventandoghiaccio a vista d’occhio. Le tende sonosparpagliate nel raggio di un centinaio dimetri, in piazzole create con i sassi.Proprio davanti al campo, a nord, con-fluisce nel Baltoro il ghiacciaioYounghusband, mentre a sud ci sono il

Masherbrum e il monte Biarchedi (6759m) e ad ovest, sempre più imponente ilGasherbrum IV, dietro il quale la sera sialza la luna piena.

Ottavo giorno di cammino, arriviamoal circo Concordia. La tappa non è lunga,ma i disagi relativi all’alta quota comin-ciano a farsi sentire. Durante il percorso sitrovano lunghi tratti innevati, qualche«fungo» (grossi macigni rimasti appog-giati su torri di ghiaccio) e molte «vele».E finalmente viene raggiunto il campo delcirco Concordia (4700 metri) all’incrociodi due fiumi di ghiaccio, il Baltoro ed ilGodwin Austen. Dal Concordia si ab-braccia una visuale incredibile a 360°. Anord est il Broad Peak (8047 m), piuttostotozzo a confronto con le cime intorno danon sembrare neanche un ottomila. Ad estil Gasherbrum IV (7929 m) più vicino alcampo, con la sua caratteristica parete diroccia e ghiaccio che si erge per quasi3000 metri dalla base ed il Gasherbrum V(7921 m) che nasconde il Gasherbrum I(8068 m). Verso sud sono visibili la partesuperiore del ghiacciaio del Baltoro, conil Baltoro Kangri (7312) ed il Chogolisa(7654 m), ammantati di ghiaccio. A sud,vicinissimo ed incombente proprio soprail campo, svetta l’aguzza punta del MitrePeak (6013 m). Verso ovest la vista spaziasu tutta la distesa del Baltoro e dei suoi tan-ti ghiacciai affluenti. A nord-ovest si er-gono il Cristal Peak (6237 m) ed il MarblePeak (6238 m). E finalmente a nord il K2,rimasto nascosto finora e che solo arrivan-do qui al Concordia è possibile ammirarenella sua più splendida visione.

Quasi 100 anni prima, nel 1909, giun-geva al grande anfiteatro glaciale del circoConcordia la spedizione guidata da LuigiAmedeo di Savoia, duca degli Abruzzi.Nel resoconto della spedizione Filippo DeFilippi descrive così l’apparizione del K2:

«Solo, staccato da ogni altro monte, siestolle con sovrana grandezza il K2, il ve-ro ed indiscusso monarca di tutta la regio-

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ne, gigante solitario, nascosto alla vistadegli uomini da innumerevoli giogaie, ge-losamente custodito da una selva di sud-diti, protetto dall’invasione umana da chi-lometri e chilometri di ghiacciai. Riempietutto lo sfondo della valle, dove non v’èalcun particolare che distragga l’attenzio-ne da esso; e sembra che tutte le linee delpaesaggio convergano a lui, che i monti siraggruppino naturalmente a fargli corona,ma senza fargli ressa intorno, senza inter-rompere in nessun modo il suo slanciosublime verso il cielo. Le sue forme sonoperfette, equilibrate ed idealmente pro-porzionate, il disegno architettonico soli-dissimo, confacente alla maestà del mon-te, e pur non greve, tremenda la ripidezzadelle pareti, delle creste e dei ghiacciai; èuna muraglia di 3600 metri!».

L’estate è alla fine e tutte le spedizionialpinistiche sono già rientrate da tempo.Resta soltanto un grosso tendone giallodella Protezione Civile Italiana che ospi-tava l’ospedale da campo e che verràsmontato alla partenza dell’ultimo grup-po. Invece in piena estate qui stazionava-no varie spedizioni con decine di alpinisti,ma anche giornalisti e reti televisive cheseguivano le vicende delle spedizioni alK2. Tramite internet mandavano articoli,filmati e foto con notizie aggiornate intempo reale, mentre le spedizioni poteva-no avere tutti i dati sulle previsioni meteoed essere costantemente in contatto con ipaesi di origine. E pensare che in un pas-sato neanche tanto remoto per comunica-re col resto del mondo le spedizioni si ser-vivano di corrieri e le previsioni meteonon esistevano. L’arrivo della posta aicampi era sempre un momento particola-re, per mesi l’unico legame col mondo.Maraini, durante la spedizione del 1958 alGasherbrum IV, descrive così questo mo-mento mentre è al campo base: «[...] sonoapparsi oggi i due corrieri che arrivano or-mai regolarmente ogni dieci – dodici gior-ni [...]Un corriere porta la posta da Skardu

ad Askole; lì la prendono due uomini chesalgono, in quattro giorni di marce forza-te, al campo base. [...] Appena si apre [...]ognuno si precipita a cercare una calligra-fia che gli è cara. È uno dei pochi momentidi vero e vivissimo piacere in questa vitapiena di affanni, di pericoli, di controsen-si. [...] I figli della spedizione sono undi-ci, [...] , undici sottilissimi tenaci legamiattraverso ghiacciai, deserti, mari e vora-gini lungo i quali ci raggiungono brividid’amore nei momenti più impensati». Econ la posta ricevevano anche il «Corrieredella Sera» e il «Time». Altri tempi.

Nonostante la stagione avanzata il tem-po è ancora bello, anche se le notti sonomolto fredde. Un ultimo sforzo ci condur-rà al campo base del K2, con rientro la se-ra stessa al circo Concordia. Si parte quan-do ancora è buio, alla luce delle pile fron-tali. Per arrivare sulla lingua del ghiacciaioGodwin Austen si deve aggirare faticosa-mente numerosi grossi crepacci, poi si ri-sale il lato sinistro orografico del ghiac-ciaio Austen e si supera il campo base delBroad Peak. Il percorso continua sulla lin-gua centrale ; viene lasciata la confluenzadel ghiacciaio Savoia con l’Austen e doposei ore dalla partenza si arriva al luogo uti-lizzato come campo base del K2 (5100metri), proprio sotto la parete sud. Ad estsi staglia lo Sperone Abruzzi ed il ghiac-ciaio Austen completamente ricoperto daguglie di ghiaccio che risale verso la selladei Venti (Skjang-La, 6233 m). Anchequesto campo ora è deserto; testimonianzadel campo sono gli spazi dove vengonoposizionate le tende delle spedizioni, rica-vati sui detriti morenici e riparati dai venticon dei muretti. A mezz’ora circa dal cam-po, verso ovest, si trova lo sperone roccio-so dove ci sono le tombe di vari alpinistideceduti sul K2: il cosiddetto MemorialGilkey, dal nome dello scalatore america-no Art Gilkey deceduto nel 1953. Fra letante ci sono anche le tombe di MarioPuchoz (deceduto durante la spedizione

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italiana del 1954) e di Renato Casarotto,caduto in un crepaccio quando ormai eranelle vicinanze del campo base, al ritornodal tentativo in solitaria dello sperone sud-sud-ovest nel 1986 (in realtà Casarotto fusoccorso e recuperato ancora vivo da altrialpinisti, ma morì poco dopo e venne tu-mulato in un crepaccio. Nell’ottobre 2003il ghiacciaio col suo lento movimento harestituito il corpo dell’alpinista, ritrovatoda alpinisti kazaki e quindi deposto alMemorial).

Al tramonto si arriva nuovamente alConcordia. Da qui il rientro ad Askole sisvolge sullo stesso percorso ma con duegiorni in meno di percorrenza. I campi di

Khuburse (3850 m) e di Bardumal (3250m) sono stati già smontati e ripristinati alnaturale mentre gli altri campi vengonosmantellati via via durante la discesa,sotto la visione del responsabile del pro-getto ambientale che verifica il ripristinoambientale delle aree.

La lunghezza del percorso del trek-king, da Askole al campo base del K2 eritorno è stata di circa 200 km, coperti incirca 80 ore di cammino effettivo.

Complessivamente sono stati 586 ipartecipanti a questa iniziativa, di cui 410hanno raggiunto il campo base, mentresolo 8 hanno abbandonato per vari moti-vi prima del circo Concordia. o

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