Novità fiscali

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale www.novitafiscali.supsi.ch N° 6 – giugno 2021 Diritto tributario svizzero Richiesta dell’elenco degli azionisti: legittima o arbitraria? 313 Sara Scalmana Diritto tributario italiano Il riparto della potestà impositiva sui proventi derivanti dai diritti connessi ai diritti d’autore nel Trattato italo-svizzero 320 Iacopo Buriani La tassazione in Italia degli interessi su finanziamenti erogati a soggetti residenti da banche estere 324 Pierangelo Chiodino Diritto tributario internazionale e dell'UE Transfer pricing e Covid-19: recenti novità 330 Antonio De Francesco The Maltese Implementation of DAC-6 338 Edward-Hector Spiteri Diritto finanziario La violazione dell’obbligo di comunicazione 342 Filippo Recalcati Diritto societario Le multinazionali e gli aspetti di “tax minimising” 349 Franco Confalonieri Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero La ripartizione fiscale in caso di imprese intercantonali 356 Samuele Vorpe Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano Transfer pricing e finanziamenti infruttiferi: un’originale lettura nella giurisprudenza di merito emiliana 359 Giada Cesaro Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE Finanziamenti infruttiferi infragruppo e transfer pricing secondo l’interpretazione della CGUE 362 Laura Allevi

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento economia aziendale, sanità e socialeCentro competenze tributarie

Novità fiscaliL’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale

www.novitafiscali.supsi.ch

N° 6 – giugno 2021

Diritto tributario svizzeroRichiesta dell’elenco degli azionisti: legittima o arbitraria? 313Sara Scalmana

Diritto tributario italianoIl riparto della potestà impositiva sui proventi derivanti dai diritti connessi ai diritti d’autore nel Trattato italo-svizzero 320Iacopo Buriani

La tassazione in Italia degli interessi su finanziamenti erogati a soggetti residenti da banche estere 324Pierangelo Chiodino

Diritto tributario internazionale e dell'UETransfer pricing e Covid-19: recenti novità 330Antonio De Francesco

The Maltese Implementation of DAC-6 338Edward-Hector Spiteri

Diritto finanziarioLa violazione dell’obbligo di comunicazione 342Filippo Recalcati

Diritto societarioLe multinazionali e gli aspetti di “tax minimising” 349Franco Confalonieri

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzeroLa ripartizione fiscale in caso di imprese intercantonali 356Samuele Vorpe

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italianoTransfer pricing e finanziamenti infruttiferi: un’originale lettura nella giurisprudenza di merito emiliana 359Giada Cesaro

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UEFinanziamenti infruttiferi infragruppo e transfer pricing secondo l’interpretazione della CGUE 362Laura Allevi

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Il numero di NF giugno dà il benvenuto alla sta-gione estiva con un’edizione poliedrica. Per la rubrica di diritto svizzero, Sara Scalmana affronta la recente prassi dell’AFC sulla richiesta di esibizione dell’elenco degli azionisti. Seguono la disamina di Iacopo Buriani sul noto interpello reso dall’Agenzia delle Entrate italiana sull’imposizione convenzio-nale italo-svizzera dei diritti connessi ai diritti d’autore e l’analisi di Pierangelo Chiodino sulla tas-sazione italiana degli interessi su finanziamenti a residenti operati da banche svizzere. Per la sezione di diritto internazionale, un focus sulla disciplina dei prezzi di trasferimento a fronte della pandemia derivante da Covid-19 ad opera di Antonio De Francesco ed uno sguardo all’implementazione della recente direttiva europea DAC 6 nell’isola di Malta fornitoci da Edward Spiteri. Filippo Recalcati si china sulla violazione dell’obbligo di comunica-zione in ambito finanziario. Ancora, Franco Confalonieri ci proietta nella pianificazione fiscale delle multinazionali alla luce, in particolare, delle vivaci discussioni sull’economia digitale. Seguono le rassegne di giurisprudenza dove, Samuele Vorpe, riprende la decisione del TF sulla ripartizione fiscale in caso di imprese intercantonali. Giada Cesaro e Laura Allevi si soffermano entrambe sulla coppia prezzi di trasferimento e finanziamenti infruttiferi: l’una con un’originale lettura di una pronuncia di merito della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna e l’altra analizzando l’interpre-tazione della CGUE.

Vi auguro una piacevole lettura!

Francesca Amaddeo

RedazioneSUPSI

Centro di competenzetributarieStabile SuglioVia Cantonale 186928 MannoT +41 58 666 61 75F +41 58 666 61 [email protected]

ISSN 2235-4565 (Print)ISSN 2235-4573 (Online)

Direttore scientificoSamuele Vorpe

Comitato scientifico dei revisoriFrancesca AmaddeoFlavio AmadòPaolo ArginelliSacha CattelanThierry De MitriRocco FilippiniSimona GeniniMarco GreggiPatrizia LangGiordano MacchiGiovanni MoloAndrea PedroliPaolo PiantavignaAndrea PurpuraFilippo Recalcati Nicola SartoriCurzio ToffoliSamuele Vorpe

Impaginazione e layoutLaboratorio cultura visiva

IntroduzioneNovità fiscali06/2021

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Diritto tributario svizzero

Sara ScalmanaAvvocato, MAS SUPSI in Tax Law, Altiqa SA

Breve riflessione sulla recente prassi dell’AFC in merito alle richieste di esibizione dell’elenco degli azionisti

Richiesta dell’elenco degli azionisti: legittima o arbitraria?

Da qualche tempo si sta assistendo ad una richiesta da parte dell’AFC di esibire l’elenco degli azionisti e degli aventi econo-micamente diritto ai sensi dell’art. 697l CO. Invero tale norma non viene menzionata, ma il riferimento è esplicito. La richiesta in questione si inserisce in una più ampia, avente ad oggetto il semplice invio dei conti annuali della società in questione all’autorità menzionata. Ragione di tale domanda è la man-canza di tali documenti negli incarti dell’AFC e la necessità di una loro integrazione. In un tale contesto è, dunque, possibile ritenere legittima la richiesta ulteriore di esibizione degli elenchi in questione o siamo di fronte ad un esercizio troppo arbitrario e discrezionale del potere proprio dell’autorità fiscale?

Le ragioni per una tale scelta sono molteplici e si possono rinvenire in alcune caratteristiche loro proprie quali la facile trasferibilità, nel senso che non è necessaria la girata a favore del beneficiario, l’assenza di vincoli al loro trasferimento e l’anonimato dell’azionista. Infine, grazie alla costituzione in pegno le azioni al portatore sono adatte a essere utilizzate come titoli di garanzia del credito.

La crescente pressione internazionale esercitata nei confronti della Svizzera sia sul piano economico che su quello politico e la crescente sensibilizzazione a contrastare reati quali il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo hanno portato, via via, ad un necessario cambiamento e, in ultima analisi, al loro abbandono.

Le azioni al portatore ancora in circolazione, infatti, a partire dal 1° maggio 2021 sono state convertite in nominative il che ha portato, anche se non esplicitata, alla loro totale abolizione.

Al fine di garantire la trasparenza di società anonime che ancora si avvalgono di tale tipologia di titoli partecipativi è stata prescritta la tenuta di un elenco degli azionisti (e degli aventi economicamente diritto) al quale deve essere garantito l’accesso in ogni momento. Di questo accesso, però, non ne sono stati delineati né la portata né i confini.

In tal ottica, in virtù della recente prassi dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), si ritiene, invero, fonda-mentale circoscriverne la portata poiché, se da una parte può trattarsi di un esercizio di un potere (da parte dell’AFC), dall’altro deve essere anche tutelato il diritto del soggetto (azionista).

II. GAFICostituito nel 1989 in occasione del G7 di Parigi, il Gruppo d’A-zione Finanziaria Internazionale (GAFI) o Financial Action Task Force (FATF) è un organismo intergovernativo che ha per scopo l’elaborazione e lo sviluppo di strategie di lotta al riciclaggio dei capitali di origine illecita e, dal 2001, anche di prevenzione del finanziamento al terrorismo. Nel 2008, il mandato del GAFI

I. IntroduzioneSin dalla loro comparsa, risalente all’entrata in vigore del diritto della società anonima nel lontano 1938, gli investimenti si sono effettuati soprattutto nella forma di azioni al portatore che venivano preferite a quelle nominative[1].

[1] Henry Peter/Tamara Erez, Futuro delle azioni al portatore in Svizzera, in: NF n. 2/2012, p. 11.

I. Introduzione ...................................................................... 313II. GAFI ................................................................................... 313III. Forum globale ................................................................. 314IV. Le prescrizioni in merito alla trasparenza delle persone giuridiche ..................................................... 314A. La raccomandazione GAFI n. 24 ............................................314B. Le modifica al CO ........................................................................ 315C. Le prescrizioni del Forum globale ......................................... 316V. L’accesso agli elenchi degli azionisti ............................ 316A. Azionisti .......................................................................................... 316B. Amministratori ............................................................................. 316C. Organo revisore ........................................................................... 316D. Autorità terze ............................................................................... 316VI. Conclusione .................................................................... 318

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è stato esteso anche al contrasto del finanziamento della proliferazione di armi di distruzione di massa[2].

Per contrastare le attività finanziarie illecite il GAFI valuta i sistemi dei vari Paesi individuandone le vulnerabilità e for-nendo al settore finanziario elementi utili per le relative analisi di rischio evitando in tal modo possibili forme di abuso.

Per raggiungere il suo scopo il GAFI emana delle raccoman-dazioni ovvero standard riconosciuti a livello internazionale rivolte ai singoli Paesi i quali sono chiamati alla loro imple-mentazione a livello di leggi interne.

Le prime raccomandazioni furono stilate nel lontano 1990 e da allora costantemente aggiornate. L’evoluzione della crimi-nalità finanziaria internazionale, in seguito, ha reso necessario un loro riesame che ha portato tra il 2009 e il 2012 ad una revisione parziale delle norme di lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, nonché ad una estensione di tali norme alla lotta contro il finanziamento della proliferazione delle armi di distruzione di massa.

La Svizzera è membro del GAFI sin dai suoi albori e sin dall’i-nizio si è prodigata nell’attuazione delle raccomandazioni del GAFI ottenendo, nel complesso, un giudizio tendenzialmente positivo. Nonostante abbia sempre soddisfatto in ampia misura gli standard, a seguito delle raccomandazioni rivedute nel 2012 sono stati richiesti ulteriori adeguamenti mirati ad adattare la legislazione svizzera alle richieste internazionali, oltreché per colmare lacune retaggio ancora del passato[3].

Il 7 dicembre 2016, il GAFI ha pubblicato l’ultimo report sulla Svizzera nel quale il giudizio che è stato dato in merito alla trasparenza delle persone giuridiche e, quindi, all’imple-mentazione interna della raccomandazione n. 24, è stato ampiamente conforme e la loro efficacia come “moderata”[4].

III. Forum globaleIl Forum globale sulla trasparenza e sullo scambio di informa-zioni a fini fiscali è una organizzazione multilaterale fondata nel 2000 nell’ambito dei lavori dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) relativi ai rischi inerenti la tax compliance dei cd. paradisi fiscali.

Il Forum globale ha lo scopo di verificare, attraverso delle valutazioni tra pari (peer review) l’applicazione degli standard OCSE inerenti la trasparenza e lo scambio di informazioni a fini fiscali. Ad oggi fanno parte del Forum globale 126 Paesi tra cui anche la Svizzera.

[2] Lucas Glanzmann/Philip Spoerlé, Die Inhaberaktie – leben Totgesagte wirklich länger?, Zurigo 2014, p. 7.[3] Messaggio concernente l’attuazione delle Raccomandazioni del Gruppo d’azione finanziaria (GAFI) rivedute nel 2012, n. 13.106, del 13 dicembre 2013, in: FF 2013 563, p. 569 ss. (cit.: Messaggio GAFI).[4] GAFI, Anti-money laundering and counter- terrorist financing measures in Switzerland, Mutual evaluation report, 2016, in: https://www.fatf-gafi.org/media/fatf/content/images/mer-switzerland-2016.pdf (consultato il 15.06.2021), p. 205.

Nel 2009 è iniziata la fase uno del peer review la quale si è conclusa per la Svizzera nel 2011. A seguito di questa valutazione è emerso che alcuni aspetti, tra cui la trasparenza delle persone giuridiche in caso di azioni al portatore, non è stata ritenuta sufficiente. Tale giudizio è rimasto anche nella fase due al termine della quale, il 26 luglio 2016, il Forum globale ha espresso il giudizio insufficiente per quanto riguarda la trasparenza delle persone giuridiche[5].

A seguito di ciò la Svizzera ha provveduto ad adottare le misure necessarie per attuare le raccomandazioni del Forum globale che, per quanto concerne la trasparenza delle persone giuridiche, si allineano alle raccomandazioni formulate dal GAFI[6].

IV. Le prescrizioni in merito alla trasparenza delle persone giuridicheÈ da parecchi anni, ormai, che la problematica relativa alla trasparenza delle persone giuridiche e, in specifico, delle azioni al portatore (poiché fondamentalmente non permet-tono l’identificazione dell’azionista) è oggetto di discussione. È, infatti, nel lontano 2005 che la Svizzera fu oggetto di valutazione reciproca da parte del GAFI sull’applicazione delle allora emanate raccomandazioni. In tal sede, però, la Svizzera fu tendenzialmente contraria a cambiamenti sul punto.

Dieci anni dopo la Svizzera ha dovuto rivedere la sua posi-zione. Il 1° luglio 2015 è, infatti, entrata in vigore la prima parte della Legge federale del 12 dicembre 2014 concernente l’attuazione delle Raccomandazioni del Gruppo d’azione finanziaria (di seguito “Legge GAFI”) riguardante, appunto, le modifiche al diritto societario[7].

A. La raccomandazione GAFI n. 24Questa raccomandazione, che riprende lo scheletro della pre-cedente, concerne la trasparenza delle persone giuridiche[8]. Essa pone sostanzialmente a carico degli Stati determinati obblighi quali garantire la disponibilità di informazioni sul titolare effettivo e sull’avente economicamente diritto delle persone giuridiche nonché l’accesso delle autorità competenti a tali informazioni.

[5] Oltre che la modalità dello scambio di informazioni, in particolare il regi-me applicabile ai dati rubati che, però, non vuole essere oggetto del presente contributo.[6] Messaggio concernente l’attuazione delle raccomandazioni del Forum globale sulla trasparenza e sullo scambio di informazioni a fini fiscali formu-late nel rapporto sulla fase 2 della valutazione tra pari relativa alla Svizzera, n. 18.082, del 21 novembre 2018, in: FF 2018 275.[7] RU 2013 1389. Vi sono, invero, ulteriori modifiche che sono entrate in vigo-re il 1° gennaio 2016.[8] “Countries should take measures to prevent the misuse of legal persons for money laundering or terrorist financing. Countries should ensure that there is adequate, accurate and timely information on the beneficial ownership and control of legal per-sons that can be obtained or accessed in a timely fashion by competent authorities. In particular, countries that have legal persons that are able to issue bearer shares or bearer share warrants, or which allow nominee shareholders or nominee directors, should take effective measures to ensure that they are not misused for money laun-dering or terrorist financing. Countries should consider measures to facilitate access to beneficial ownership and control information by financial institutions and DNFBPs undertaking the requirements set out in Recommendations 10 and 22“.

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Diritto tributario svizzero

Il concetto di “avente economicamente diritto”[9] viene menzionato nella stessa raccomandazione[10] e trattasi della persona fisica che, direttamente o indirettamente, detiene una quota di partecipazione in seno ad una persona giuridica e che in tal modo esercita l’effettivo controllo. Non viene fatto esplicito riferimento ad una soglia de minimis ma, nella nota a titolo esemplificativo, si rinviene la menzione di una percen-tuale corrispondente al 25%[11].

Sempre per le finalità che le sono proprie, il GAFI ha richiesto in merito alle azioni al portatore l’adozione di misure atte a escludere il loro uso per finalità di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo.

Proposte a tal fine, si ritrovano nella nota interpretativa alla raccomandazione n. 24 del GAFI[12] la quale, in maniera non esaustiva, prevede: (i) l’abolizione, rispettivamente il divieto di emissione delle azioni al portatore; (ii) la loro conversione in azioni nominative; (iii) la loro immobilizzazione attraverso, a titolo esemplificativo, il loro deposito presso un intermediario finanziario; (iv) l’introduzione di un obbligo posto a carico degli azionisti che detengono una partecipazione di controllo di annuncio della loro identità alla società e, corrispettivamente, l’obbligo per la società di registrazione.

B. Le modifica al COLa Legge GAFI ha trasposto gli obblighi di trasparenza delle persone giuridiche introducendo nel Codice delle obbligazioni (CO; RS 220) alcune prescrizioni concernenti i nuovi obblighi di annuncio dei possessori di azioni al portatore (art. 697i CO) e dell’avente economicamente diritto (art. 697j CO), nonché la tenuta dell’elenco dei titolari di azioni al portatore (art. 697l CO), così come la regolamentazione in caso di inadempimento (art. 697m CO).

Si ripercorrono brevemente, in questa sede, alcune di queste disposizioni:

◆ l’art. 697i CO prevede l’obbligo per ogni acquirente di azioni al portatore di una società, le cui azioni non sono quotate in borsa, di annunciare il proprio nome, cognome (o la ditta), nonché il proprio indirizzo alla società entro un mese dall’acquisto. L’obbligo è statuito esclusivamente per

[9] Le raccomandazioni del GAFI utilizzano il termine “bénéficiaire effectif”.[10] GAFI, International Standards on Combating Money Laundering and the Financing of Terrorism & Proliferation, FATF Recommendations 2012_updated June 2019, Parigi 2019, in: https://www.fatf-gafi.org/media/fatf/documents/recommendations/pdfs/FATF%20Recommendations%202012.pdf (consultato il 15.06.2021), p. 86 (cit.: Nota interpretativa alle raccomandazioni GAFI).[11] GAFI, Nota interpretativa alle raccomandazioni GAFI (nota 10), p. 86, nota 42. Certamente viene lasciato ampio margine alla determinazione di questa soglia, ovvero ai criteri in base ai quali ritenere raggiunta tale soglia.[12] GAFI, Nota interpretativa alle raccomandazioni GAFI (nota 10), pp. 88-89: “Countries should take measures to prevent the misuse of bearer shares and bearer share warrants, for example by applying one or more of the following mechanisms: (a) prohibiting them; (b) converting them into registered shares or share warrants (for example through dematerialisation); (c) immobilising them by requiring them to be held with a regulated financial institution or professional intermediary; or (d) requiring shareholders with a controlling interest to notify the company, and the company to record their identity”.

le azioni al portatore (dal momento che quelle nominative non sono anonime già per definizione), indipendente-mente dal numero. Non sussiste, quindi, in tale caso, una soglia de minimis da raggiungere scattando tale adempi-mento già dalla prima azione acquistata. Non è prescritta alcuna forma particolare di annuncio ma, ovviamente per questioni probatorie, giusto l’art. 697m CO che prescrive corrispondenti sanzioni in caso di inadempimento, verrà richiesto alla società un annuncio scritto con tutte le indicazioni del caso (quindi anche il numero delle azioni e il momento dell’acquisto) [13];

◆ l’art. 697j CO, a differenza del precedente, prevede l’obbligo relativo all’annuncio dell’avente economicamente diritto, che si applica sia per quanto concerne le azioni al portatore sia per le azioni nominative. In base a tale norma l’acqui-rente formale (ovvero l’azionista) deve annunciare il nome, cognome e l’indirizzo della persona fisica per la quale, in ultima analisi, agisce. In questo caso interviene la soglia del 25% a partire dalla quale scatta l’obbligo in questione, la quale può essere raggiunta mediante acquisto individuale o di intesa con terzi. L’intento è, ovviamente, quello di evitare l’aggiramento dell’obbligo di trasparenza tramite uno splitting tra più soggetti di un pacchetto azionario di controllo[14]. Tale articolo inserisce, inoltre, per la prima volta, all’interno del CO, il concetto di “avente economica-mente diritto”, sul quale, però, non vogliamo addentrarci ulteriormente in questa sede[15];

◆ l’art. 697k CO prevede che l’assemblea degli azionisti possa delegare un intermediario finanziario allo svolgi-mento degli obblighi di cui ai precedenti articoli. Questa scelta si giustifica allorquando l’intenzione è quella di rendere inaccessibile tali elenchi agli amministratori i quali delegheranno l’intermediario, appunto, alla loro corretta tenuta e aggiornamento. La delega ad un intermediario finanziario permette di mantenere la caratteristica dell’anonimità riferita all’azionista di azioni al portatore nei confronti della società, senza mettere in discussione la richiesta di trasparenza degli organismi internazionali[16];

◆ l’art. 697l CO stabilisce che la società o l’intermediario finanziario, nel caso si versi nell’ipotesi di cui all’art. 697k CO, deve tenere un elenco dei titolari delle azioni al por-tatore e degli aventi economicamente diritto annunciati alla società. Dal tenore letterale della norma si evince che tale elenco sia unico e contenga al suo interno le informa-zioni dei titolari delle azioni al portatore come quelle degli aventi economicamente diritto. Come si ha avuto modo di sottolineare già in precedenza[17], la società viene comun-que lasciata libera di scegliere se dotarsi di un solo elenco o prevederne diversi. Sicuramente, in ragion del diverso

[13] Henry Peter/Tamara Erez, Nuovi obblighi di annuncio e tenuta dell’elenco per le società anonime, in: NF n. 12/2015, p. 22.[14] Federica De Rossa Gisimundo/Henry Peter, Nuovi obblighi di annuncio per gli azionisti delle società non quotate: un ulteriore tassello verso un azionariato più responsabile e mercati più trasparenti, in: RtiD II-2016, p. 707.[15] De Rossa Gisimundo/Peter (nota 14), p. 707.[16] Peter/Erez (nota 13), p. 27.[17] Peter/Erez (nota 13), p. 20.

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Diritto tributario svizzero

contenuto, della diversa funzione rivestita e di un possibile accesso da parte delle autorità è indicata una loro differen-ziazione.

C. Le prescrizioni del Forum globaleAccanto alle prescrizioni già previste dal GAFI per attuare le raccomandazioni del Global Forum in merito alla trasparenza delle persone giuridiche è stata inserito l’art. 622 cpv. 1bis CO.

Questo articolo, accanto all’ammissione delle azioni al por-tatore solamente laddove la società abbia titoli partecipativi quotati in borsa ovvero se le stesse rivestono la forma di titoli contabili, prevede l’obbligo di conversione delle azioni al portatore in nominative. Tale misura era già stata pro-posta nell’avamprogetto del 2005 relativo alla revisione del diritto della società anonima ma, stante la lunga tradizione di tali tipologie di società in Svizzera, non era stata accolta positivamente.

A seguito della sua entrata, in vigore il 1° novembre 2019, è stato lasciato un periodo transitorio di 18 mesi entro il quale deve essere attuata la conversione delle azioni al portatore in azioni nominative. Dunque le azioni al portatore in circo-lazione devono essere convertite in azioni nominative entro il 31 maggio 2021 scaduto il quale, per le azioni ancora in circolazione e non convertite vi si procederà d’ufficio.

Si precisa che la conversione esplica i suoi effetti nei confronti di ogni persona, indipendentemente da disposizioni statu-tarie o registrazioni a registro di commercio (RC) divergenti. L’Ufficio del RC procederà d’ufficio alle modifiche dell’iscri-zione (art. 4 cpv. 2 disposizioni transitorie).

V. L’accesso agli elenchi degli azionistiDopo aver ripercorso brevemente le modifiche della Legge GAFI una delle questioni che a tutt’oggi risultano avvolte da un’indubbia incertezza risulta essere quella relativa all’am-piezza e alla portata della possibilità di accesso agli elenchi sopra menzionati. In concreto chi, quali autorità possono accedere a tali elenchi? E, se è data la possibilità, in che misura può essere esplicata? Quali sono i confini da rispettare[18]?

Il CO si limita, infatti, a statuire esclusivamente al suo art. 697l cpv. 4 un obbligo nei confronti della società ad una loro tenuta in modo tale da renderne possibile l’accesso in ogni momento in Svizzera[19].

Seppur sia evidente che l’elenco non sia pubblico tanto per gli azionisti quanto per i terzi, si può affermare, però, che il contenuto di tale norma sia particolarmente infelice dal momento che porta con sé una moltitudine di domande, appunto, alle quali, fino ad ora, in mancanza di ulteriori spe-cificazioni da parte delle autorità, non è stato possibile dare una risposta univoca.

[18] Peter/Erez (nota 13), p. 20.[19] Tale obbligo permane fino a dieci anni dalla cancellazione della società dal registro di commercio giusto l’art. 747 CO.

A. AzionistiPer quanto l’elenco non sia pubblico da parte degli azio-nisti, lo è invece per ciò che attiene specificatamente i dati personali del richiedente. Questo da una parte viene esplicitamente menzionato nel Messaggio GAFI[20] dove si precisa che tale diritto risulta essere analogo a quello dei titolari di azioni nominative per ciò che attiene il registro delle azioni, dall’altra si ritiene legittimo in base all’art. 8 della Legge federale sulla protezione dei dati (LPD; RS 235.1) laddove è previsto che il detentore dei dati deve darne comu-nicazione alla persona alla quale si riferiscono. Dunque, in altre parole, la persona può sempre chiedere, rispettivamente, avere accesso ai dati che la riguardano, mentre risulta esclusa la possibilità dell’azionista di consultare l’elenco (rispettiva-mente gli elenchi) in merito ad altri azionisti[21].

B. AmministratoriIn merito al potere degli amministratori di poter prendere visione dell’elenco degli azionisti (e degli aventi economica-mente diritto) rimando viene fatto all’art. 718 cpv. 4 CO che prevede un generale potere di accesso a tale elenco ad opera degli stessi salvo che non si versi nell’ipotesi di cui all’art. 697k CO ovvero laddove tale elenco sia tenuto da un intermediario finanziario. La domanda è quale sia la portata di tale accesso dovendosi circoscrivere, in linea di massima, strettamente all’espletamento degli obblighi incombenti in tale ambito (ad es. l’aggiornamento in caso di modifica della compagine sociale).

C. Organo revisoreI libri che sono sottoposti all’organo di revisione sono quelli propri della società, così come indicati all’art. 747 cpv. 1 CO (si legga a contrario), tra i quali non si annoverano gli elenchi di cui all’art. 697l CO. In tale prospettiva si può ritenere che non si possa attribuire un generico accesso agli stessi. È pur vero che, laddove nello svolgimento della propria attività, dovesse emergere il sospetto di una violazione, quale ad es. in caso di distribuzione di dividendi ad azionisti i cui diritti sono stati sospesi ai sensi dell’art. 697m cpv. 2 CO, tale accesso possa essere acconsentito[22]. Si può tendere in tale direzione anche dalla lettura dell’art. 730b cpv. 1 CO, a norma del quale gli amministratori devono mettere a disposizione dell’organo di revisione tutti i documenti necessari per l’espletamento del loro incarico[23].

D. Autorità terzeE per quanto riguarda le autorità terze? Ritornando alla rac-comandazione n. 24 del GAFI, essa fa rimando ad un concetto generale di “autorità competenti” menzionando a mero scopo esemplificativo quelle del perseguimento penale. Sappiamo, però, che l’elenco degli azionisti possa rilevare anche in una procedura civile, amministrativa e, a maggior ragione, fiscale.

[20] Messaggio GAFI (nota 3), p. 916 ss.; De Rossa Gisimundo/Peter (nota 14), p. 714.[21] Lukas Glanzmann, Entwicklungen im Gesellschaftsrecht XI - Neue Tran-sparenzvorschriften bei AG und GmbH, Berna 2016, p. 298.[22] Carlo Egle, Das schleichende Ende der Anonymität des Aktionärs, Zurigo 2018, p. 381.[23] Philip Spoerlé, Die Inhaberaktie, Zurigo 2015, p. 495.

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Diritto tributario svizzero

Si può sostenere che la legittimità o meno di un accesso a tali elenchi debba fondarsi, in primis, sulla tutela dei diritti fondamentali. La ponderazione che deve essere effettuata deve tenere presente quelli che sono i diritti fondamentali in gioco, come tutelati dalla Costituzione federale (Cost.; RS 101), e quanto questi vengano compromessi o lesi nel singolo caso di specie. In sostanza, quindi, si potrebbe legittimare una restrizione di tali diritti (siano essi attinenti alla personalità, relativi al segreto bancario o riferiti ad altri interessi) laddove vi sia un interesse pubblico da perseguire ovvero si renda necessaria la protezione di diritti fondamentali altrui (art. 36 cpv. 2 Cost.).

Chiaramente, la restrizione dei diritti fondamentali non può essere legittimata tout court, ma deve, comunque, sempre poggiare su di una base legale (art. 36 cpv. 1 Cost.).

Così, nelle more di una causa civile, si può presuppore che l’accesso all’elenco possa essere richiesto, ad es., nell’am-bito di una procedura di diritto societario volta ad ottenere informazioni specifiche sulla partecipazione azionaria, in una procedura successoria oppure in una procedura relativa alla liquidazione di un regime patrimoniale tra coniugi[24].

Si può presumere che, in casi di tal genere, venendo integrati alcuni presupposti quali la pertinenza delle prove ai fatti pre-sunti, la sussistenza di un interesse pubblico ovvero la tutela di un diritto fondamentale altrui e l’esclusione che si tratti di una fishing expedition, possa essere data l’autorizzazione a concedere l’accesso agli elenchi[25].

Problema o domanda analoga, soprattutto in ragion della recente evoluzione alla quale si sta assistendo, si pone nell’ambito di un procedimento fiscale. In altre parole, quando la richiesta di accesso da parte dell’autorità fiscale può essere qualificata come legittima e quando, viceversa, delinea i con-notati di una vera e propria fishing expedition?

Nel tentativo di dare, più che una risposta, un mero tentativo interpretativo, non bisogna dimenticare lo scopo che il GAFI e le sue raccomandazioni perseguono dal momento che le norme introdotte nel CO non sono altro che loro espressione. Si tratta, dunque, di andare ad analizzare la norma alla luce del suo scopo teleologico.

Come precisa il GAFI stesso, l’obiettivo delle raccoman-dazioni è quello di offrire ai Paesi un quadro di misure il più possibile completo per combattere il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, nonché il finanziamento della proliferazione delle armi di distruzione di massa[26].

[24] Henry Peter/Federica De Rossa Gisimundo, Réflexions critiques sur l’adoption par la Suisse des normes du GAFI en matière de transparence des socieétés: du bricolage législatif à l’abolition des actions au porteur?, in: RSDA 2017, p. 322.[25] Peter/De Rossa Gisimundo (nota 24), p. 322.[26] GAFI, Nota interpretativa alle raccomandazioni GAFI (nota 10), p. 6.

Sotto questo cappello, la raccomandazione n. 24, relativa per l’appunto alla trasparenza delle persone giuridiche, pone quale obiettivo quello di evitare che queste, così come le azioni al portatore che vengono viste esplicitamente sotto tale ottica, vengano utilizzate proprio per il riciclaggio di denaro e per il finanziamento del terrorismo.

Se guardiamo, dunque, allo scopo originario che giustifica l’in-troduzione delle norme menzionate, dobbiamo circoscriverlo al contrasto del terrorismo e del riciclaggio di denaro.

Leggere la richiesta di esibizione dell’elenco degli azionisti sotto tale prospettiva significa trovarsi nell’ambito uno dei casi di cui all’art. 305bis cifra 1bis del Codice penale (CP; RS 311.0) ovvero di frode fiscale qualificata o truffa fiscale ai sensi dell’art. 14 della Legge federale sul diritto penale amministrativo (DPA, RS 313.0). Con il recepimento delle rac-comandazioni GAFI del 2012, infatti, il legislatore ha dovuto modificare il diritto penale estendendo la qualifica di reati presupposti al riciclaggio, per le imposte dirette, al delitto fiscale qualificato e per le imposte indirette alla truffa fiscale. Fino ad allora, infatti, nessun reato fiscale rientrava nella categoria dei reati presupposti avendone ristretto la categoria a quelli punibili come crimini (e nessun reato penale veniva punito le pene proprie di tale categoria)[27]. Laddove, quindi, ci troviamo in questa situazione è indubbia la legittimità della richiesta di accesso in questione[28].

Laddove, viceversa, ci si trovi nell’ambito del diritto fiscale ordinario? Quando una richiesta può dirsi legittima? Nel caso, ad es., di un procedimento fiscale come può chiamarsi la richiesta dell’autorità fiscale alla società di esibire gli elenchi al fine di verificare l’esattezza delle dichiarazioni del contri-buente? E ancora, in questo ambito è fondamentale anche chiarire la portata del potere delle autorità di darsi reciproca assistenza ai sensi dell’art. 112 della Legge federale sull’impo-sta federale diretta (LIFD; RS 642.11).

Andando per ordine è necessario esaminare, prodromica-mente quelli che sono i doveri che incombono sul contribuente. Un rimando deve essere fatto, in primo luogo, alla peculiarità che riveste la procedura di accertamento fiscale la quale può definirsi come “congiunta” dal momento che sia l’autorità fiscale sia il singolo sono chiamati ad adempiere obblighi reciproci e tra loro collegati (art. 123 cpv. 1 LIFD).

Il motore risulta essere, sicuramente, il contribuente il quale è chiamato a compilare e inoltrare la dichiarazione di imposta in modo completo, veritiero e corretto presentando gli allegati richiesti (art. 124 cpvv. 1 e 2 LIFD). Sussiste poi un generico dovere di collaborazione, indipendentemente da chi supporta l’onere della prova, giustificato dal fatto che nessuno, meglio del contribuente, è a conoscenza dei fatti e delle informazioni

[27] Paolo Bernasconi, Novità epocale in diritto penale svizzero: reati fiscali a monte del riciclaggio, in: Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, n. 3-4/2017, p. 356.[28] De Rossa Gisimundo/Peter (nota 14), p. 715.

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Diritto tributario svizzero

per una corretta imposizione[29]. Questo viene ribadito all’art. 126 cpv. 1 LIFD, dove viene ripetuto il concetto che il contri-buente deve fare tutto il necessario al fine di permettere una tassazione corretta e completa.

A questo si collega un obbligo generale di fornire informazioni e documenti laddove l’autorità fiscale ne dovesse fare richie-sta (art. 126 cpv. 2 LIFD). Trattasi di un obbligo sussidiario al precedente dal momento che il contribuente dovrebbe già aver dato seguito all’esibizione, allegazione e dichiarazione di tutti i fatti e documenti rilevanti nella fase di presentazione della propria dichiarazione[30]. L’articolo fa riferimento, poi, ai libri contabili nei quali rientrano ovviamente il libro princi-pale, nonché, laddove previsto dalla natura e dall’estensione dell’azienda, i libri ausiliari[31]. Assai dubbia risulta essere l’ap-partenenza nel novero di questi documenti dell’elenco degli azionisti (cosi come degli aventi economicamente diritto).

Seppur sussista un generale obbligo di collaborazione del contribuente questo non può però dirsi indiscriminato ed è proprio dallo stesso principio di collaborazione che si evin-cono anche i suoi confini. La richiesta di informazioni e di documenti, da parte dell’autorità fiscale, deve essere, infatti, necessaria e pertinente ad una corretta imposizione, nonché attribuibile al contribuente (quindi non una fishing expedition).

Si considera essere pertinente una domanda dalla cui risposta si possa verosimilmente ritenere che vada a chiarire e spe-cificare la fattispecie in questione. Necessaria una richiesta che risulta essere fondamentale per poter specificare o chiarire punti dubbi. Viene considerata tale una richiesta o una domanda che risulta essere l’unica passibile per risolvere il dubbio in questione. Nel caso vi siano più strade percorribili, viceversa, non è integrato il requisito della necessità e sarà da prediligere il mezzo, rispettivamente, la via meno onerosa per il contribuente[32].

Dall’altra parte, sull’autorità fiscale incombe un dovere di controllo della veridicità e completezza della dichiarazione di imposta per l’ottemperanza del quale l’autorità stessa può intraprendere le necessarie indagini (art. 130 LIFD). Questo principio legittima, da una parte, e obbliga, dall’altra, l’autorità fiscale a determinare i fatti rilevanti per la corretta imposi-zione. Anche in questo caso, però, il rimando deve essere fatto ai requisiti sopra menzionati[33].

Ulteriore domanda è poi anche la portata, in questo ambito, dell’art. 112 LIFD che prevede una collaborazione reciproca tra le autorità. Riferimento viene fatto a tutte le

[29] Martin Zweifel/Silvia Hunziker, p. 2158, in: Martin Zweifel/Michael Beusch (a cura di), Bundesgesetz über die direkte Bundessteuer (DBG), Kom-mentar zum Schweizerischen Steuerrecht, Basilea 2017, p. 2158.[30] Zweifel/Hunziker (nota 29), p. 2197.[31] Si veda l’art. 1 cpv. 1 dell’Ordinanza sulla tenuta e la conservazione dei libri di commercio (Olc; RS 221.431), in base al quale “[c]hi ha l’obbligo di tenere libri di commercio deve tenere un libro principale e, a dipendenza della natura e dell’estensione dell’azienda, anche libri ausiliari”.[32] Zweifel/Hunziker (nota 29), p. 2197.[33] Ovvero della necessità e della pertinenza.

autorità amministrative e giudiziarie siano esse parte della Confederazione, dei Cantoni o dei Comuni le quali possono, rispettivamente sono obbligate dal prestare assistenza all’autorità fiscale per la corretta applicazione della legge fiscale. Oggetto di tale collaborazione risultano essere tutte le informazioni in possesso delle autorità menzionate le quali siano necessarie durante la procedura di accertamento fiscale, cosi come in un procedimento fiscale sia ordinario che penale.

L’autorità fiscale, laddove intenda richiedere ad un’altra informazioni relative ad un proprio contribuente dovrà giu-stificare tale richiesta escludendosi delle richieste generiche non giustificate (cd. fishing expeditions) le quali risultano essere non ammesse anche sotto la luce della LRD[34]. Deve, quindi, sussistere un obiettivo concreto, una valida ragione per la quale una richiesta di collaborazione venga esplicitata[35]. Al contrario, poi, ci si può porre la domanda di quali siano le condizioni che devono sussistere prima che le altre autorità comunichino a quella fiscale le informazioni in loro possesso sul contribuente in questione. Sempre a fondamento, infatti, dovrebbe esserci, una ponderazione degli interessi e dei diritti in gioco che, anche in tale direzione, non dovrebbe giustificare uno “scambio dei dati tout court”.

VI. ConclusioneA conclusione di quanto esposto, si può dunque affermare che all’elenco degli azionisti (cosi come degli aventi econo-micamente diritto) non può essere dato accesso in modo indiscriminato da parte di tutte le autorità (civile, amministra-tiva, ecc.) né tantomeno che alla locuzione “ogni momento” di cui all’art. 697l CO sia possibile attribuire una interpretazione talmente estensiva da giustificare e legittimare una richiesta tout court.

In assenza di ulteriori specificazioni si può sostenere che per legittimare una richiesta di accesso agli elenchi de quo debba sussistere sempre, perlomeno, una norma di legge che giustifichi tale accesso e la rilevanza, pertinenza, necessità e correlazione effettiva e concreta tra le informazioni richieste e l’oggetto della causa principale.

Alla domanda che, dunque, sorge spontanea ovvero se si possa ritenere legittima una richiesta ad opera dell’AFC di esibire l’elenco degli azionisti (e degli aventi economicamente diritto), così come inoltrata da sua recente prassi, si dovrebbe rispondere negativamente. Si tratta, infatti, di domande inviate nell’ambito di una generale richiesta di integrazione dei conti annuali. A loro fondamento non si ravvisa esservi un’espressa ragione ulteriore, oltre al fatto che non vengono integrate neppure le condizioni minime previamente esposte. In tal senso è ravvisabile il deline-arsi dei caratteri di una fishing expedition.

Alla luce delle incertezze che si rilevano in questo ambito, si ritiene auspicabile, ad opera delle autorità, porre un poco di chiarezza e delineare effettivamente i limiti e le condizioni

[34] Zweifel/Hunziker (nota 29), p. 2011.[35] Zweifel/Hunziker (nota 29), p. 2011.

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Diritto tributario svizzero

che possano giustificare un accesso agli elenchi in questione. Seppur dal 1° giugno 2021 le azioni al portatore sono state, di fatto, abolite, non deve, infatti, essere dimenticato che la società è tenuta a conservare gli elenchi in questione per dieci anni rendendo, quindi, possibile una richiesta in tal senso per situazioni pregresse per tutto l’arco di questo periodo.

Specificare e chiarire significa anche integrare uno dei pilastri fondamentali del diritto ovvero la sua certezza, la quale, in questo ambito, tende a vacillare e porta al corollario di una lesione di quella fiducia del singolo contribuente nella corretta e non arbitraria applicazione del diritto.

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Diritto tributario italiano

Iacopo BurianiAvvocato, LL.M.

Le somme corrisposte da un’impresa residente in Italia ad una cantante residente in Svizzera, per lo sfruttamento commerciale dei diritti connessi ai diritti d’autore, rientrano nel campo di applicazione dell’art. 12 CDI CH-ITA

Il riparto della potestà impositiva sui proventi derivanti dai diritti connessi ai diritti d’autore nel Trattato italo-svizzero

Risposta ad interpello n. 493 del 21 ottobre 2020.Con la risposta ad interpello n. 493/2020 del 21 ottobre 2020, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le fees percepite da una cantante residente in Svizzera da parte di una società residente in Italia, a fronte della cessione dei diritti di utilizzo, riproduzione e duplicazione delle interpretazioni canore, rien-trano nel campo di applicazione dell’art. 12 par. 2 CDI CH-ITA. Ne consegue che i suddetti proventi rilevano a tassazione anche nello Stato della fonte e, quindi, in Italia, dove tuttavia beneficiano del regime fiscale più favorevole accordato dalla norma convenzionale. La conclusione dell’Ufficio sembra defi-nire un principio generale applicabile alla maggior parte delle CDI stipulate dall’Italia, in forza del quale i canoni percepiti a fronte dell’utilizzo dei diritti connessi al diritto d’autore, tro-vano collocazione nell’art. 12 M-OCSE e nella corrispondente disposizione delle singole CDI che a questo si ispirano.

sincronizzazioni (pubblicitarie e cinematografiche), sponsorship, endorsement, digital e physical premiums rights, partecipazione, edicole, D2C, artist management, nonché al live business.

L’istante rappresenta di avere concluso con la cantante un rapporto contrattuale di esclusiva in forza del quale, quest’ul-tima, le avrebbe ceduto il diritto esclusivo, trasferibile a terzi, di utilizzare industrialmente e commercialmente, in ogni Paese del mondo, le riproduzioni e duplicazioni foniche, cioè le regi-strazioni delle sue esecuzioni e interpretazioni come cantante.

A fronte della cessione di tali diritti, all’artista viene riconosciuta una royalty pari al 5% del prezzo netto di vendita. La società istante ha considerato territorialmente rilevanti in Italia le som-me corrisposte a titolo di royalties all’artista, ai sensi dell’art. 23 comma 2 lett. c del Testo Unico sulle Imposte sul Reddito (TUIR)[1]. Dette somme sono state assoggettate, pertanto, a ritenuta d’imposta nella misura del 30%, sulla parte imponibile del loro ammontare, pari al 75%, in applicazione del combinato disposto dell’art. 25 comma 4 del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 600/1973 e dell’art. 54 comma 8 TUIR.

Per contro, l’istante non ha applicato il regime più favo-revole previsto dall’art. 12 par. 2 della Convenzione tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimo-nio (CDI CH-ITA; RS 0.672.945.41), poiché ha ritenuto che a ciò ostassero i principi espressi dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 29 settembre 2006, n. 21220[2] ed il parere dell’Agenzia delle Entrate espresso nella risoluzione del 9 febbraio 2004, n. 12/E[3].

[1] Il tema della tassazione di un artista non residente è affrontato da Sante Battistini, La tassazione dei compensi e delle royalties percepiti da artisti non residenti in Italia, in: Il fisco 41/2013, fasc. 1, p. 6375.[2] Corte di Cassazione, 29 settembre 2006, n. 21220.[3] Agenzia delle Entrate, Risoluzione del 9 febbraio 2004, n. 12/E, in: https://def.finanze.it/DocTribFrontend/getContent.do?id=%7B376CE63E-50F3-45C5-BAB1-5B44427DE5E7%7D (consultato il 15.06.2021).

I. L’istanza di interpelloL’istanza di interpello in esame è stata proposta da una società resi-dente in Italia che appartiene alla compagine sociale di una società che gestisce in Italia la raccolta e la distribuzione dei compensi dovuti ai produttori discografici per l’utilizzo in pubblico di musica registrata, ai sensi della Legge italiana sul diritto d’autore (Legge [L.] n. 633/1941).

Il core business della società istante è costituito dalla produzione, realizzazione, distribuzione, promozione e commercializzazione di fonogrammi, videogrammi e registrazioni fonografiche e ide-ografiche su supporto fisico e digitale e dal loro sfruttamento per

I. L’istanza di interpello ....................................................... 320II. I precedenti di USA e Germania .................................... 321III. La soluzione dell’Agenzia delle Entrate ..................... 321IV. La tassazione transnazionale dei diritti connessi al diritto d’autore ................................................................ 322V. Conclusioni ....................................................................... 323

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Diritto tributario italiano

Con l’istanza d’interpello, dunque, la società intende ottenere chiarimenti in merito a due profili: da un lato, intende sapere se la posizione espressa dall’Ufficio nella risoluzione n. 12/E del 2004 può considerarsi superata, mentre, dall’altro lato, intende accertarsi della possibilità di applicare alle royalties il regime più favorevole previsto dall’art. 12 par. 2 CDI CH-ITA.

II. I precedenti di USA e GermaniaI precedenti in base ai quali la società istante ha escluso di concedere alla cantante i benefici previsti dalla CDI CH-ITA, costituiscono una interpretazione del tutto particolare delle rispettive disposizioni convenzionali in tema di pagamenti transnazionali di royalties.

Dette interpretazioni sono state influenzate dal tenore letterale delle singole disposizioni convenzionali contratte con Stati Uniti d’America (USA)[4] e Germania[5], rispet-tivamente oggetto della sentenza della Cassazione 29 settembre 2006, n. 21220 e della risoluzione 9 febbraio 2004 n. 12/E.

Infatti, tanto la Convenzione per evitare le doppie impo-sizioni (CDI) tra Italia e USA, quanto quella tra Italia e Germania, si pongono in modo eccentrico rispetto alla prassi delle CDI stipulate dall’Italia, alla quale, invece, ade-risce la CDI CH-ITA. In particolare, nelle CDI anzidette gli Stati contraenti hanno deciso di accordare un trattamento più favorevole al reddito prodotto da determinate catego-rie di beni immateriali e precisamente dai diritti di autore. Così la CDI con gli USA ha inteso concedere ai soli diritti d’autore una ritenuta alla fonte nella misura del 5%, assog-gettando, invece, i diritti spettanti ai produttori fonografici, qualificati diritti connessi ai diritti d’autore, a ritenuta nella misura del 10%[6].

La CDI con la Germania, d’altra parte, concede l’esenzione dall’imposizione nello Stato della fonte sia ai diritti d’autore sia ai diritti ad essi connessi[7], in deroga alla previsione

[4] L. n. 20/2009, Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d’America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi e le evasioni fiscali, con protocollo e verbale d’intesa, fatta a Washington il 25 agosto 1999, con scambio di note effettuato a Roma il 10 aprile 2006 e i 27 febbraio 2007, in: https://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/.galleries/Documenti/Varie/USA_1999-Testo_G.U._ita.pdf (consultato il 15.06.2021).[5] L. n. 459/1992, Ratifica ed esecuzione della convenzione tra la Repub-blica italiana e la Repubblica federale di Germania per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e prevenire le evasioni fiscali, con protocollo, fatta a Bonn il 18 ottobre 1989, in: https://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/.galleries/Documenti/Varie/GERMANIA_1989-Testo_G.U._ita.pdf (consultato il 15.06.2021).[6] In particolare l’art. 12 par. 2 lett. a CDI USA-ITA prevede che il livello di tas-sazione dei canoni nello Stato dal quale essi provengono non può eccedere il 5% dell’ammontare lordo dei canoni relativi a compensi di qualsiasi natura corri-sposti per l’uso e la concessione in uso di un diritto d’autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche.[7] In particolare, l’art. 12 par. 3 CDI GER-ITA prevede che, nonostante le dispo-sizioni generali del par. 2, i canoni a titolo di diritto d’autore e gli altri analoghi compensi provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’al-tro Stato contraente che ne è il beneficiario effettivo, sono imponibili soltanto in detto altro Stato.

generale di imposizione concorrente dei canoni nello Stato della fonte nel limite del 5%.

III. La soluzione dell’Agenzia delle EntrateL’Amministrazione italiana è stata chiamata a chiarire se i pro-venti percepiti dalla cantante, a fronte dell’utilizzo industriale e commerciale delle registrazioni delle sue interpretazioni, rientrassero o meno nell’ambito di applicazione dell’art. 12 CDI CH-ITA.

A tal fine l’Agenzia delle Entrate ha aderito all’interpretazione fornita dal Commentario al Modello OCSE di Convenzione fiscale (M-OCSE)[8], laddove distingue i diritti corrisposti per le dirette radiotelevisive, che costituiscono compensi di natura artistica rilevanti ai fini dell’art. 17 M-OCSE, rubricato “artisti e sportivi”, da quelli erogati in caso di registrazione dell’esecuzione e successiva distribuzione, che, diversamente, costituiscono canoni rientranti nell’ambito dell’art. 12 M-OCSE.

Tuttavia, la contrapposizione tra queste due norme appare coerente solo nei confronti dei proventi percepiti dall’artista a fronte dello sfruttamento del suo diritto all’immagine, compreso delle caratteristiche biometriche e, quindi, incluso il timbro della voce, ma non con riferimento ai compensi percepiti per l’esercizio dell’attività artistica, per i quali non vi sarebbe alcun concorso dell’art. 12.

Ad ogni modo, solo qualora vi fosse una stretta correlazione tra lo sfruttamento dell’immagine e l’attività caratteristica esercitata della cantante, potrebbe sostenersi l’uscita dei relativi proventi dall’ambito di applicazione dell’art. 12 e la loro attrazione alla sfera della tassazione delle attività artistiche (e sportive) di cui all’art. 17[9].

Sul punto il Commentario M-OCSE precisa che, qualora in base al contratto la prestazione sia registrata e l’artista abbia accettato, sulla base dei propri diritti concernenti la registrazione, di ricevere compensi sulla vendita dei dischi, la parte della remunerazione ricevuta riferibile a tali compensi rileva ai fini dell’art. 12[10]. D’altra parte, la giurisprudenza italiana di legittimità non dubitava dell’applicabilità dell’art. 12 ai proventi derivanti dallo sfruttamento dei diritti connessi al diritto d’autore, poiché, precisano i giudici, “sarebbe illogico ritenere che nell’ambito di un accordo destinato a disciplinare le più rilevanti componenti reddituali, sia stato disciplinato il trattamento dei compensi per lo sfruttamento dei diritti d’autore, ma non quello dei diritti connessi”[11].

[8] Commentario M-OCSE, art. 12, in: https://www.oecd.org/ctp/treaties/ model-tax-convention-on-income-and-on-capital-condensed-version-20745419.htm (consultato il 15.06.2021). Il Commentario all’art. 12, par. 8, a titolo esemplifi-cativo rappresenta il caso della prestazione artistica di un direttore d’orchestra, il quale abbia concesso la registrazione della prestazione musicale ed abbia accettato, sulla base dei propri diritti concernenti la registrazione, di ricevere compensi sulla vendita dei dischi, la parte della remunerazione ricevuta riferibi-le a tali compensi rileva ai fini dell’art. 12.[9] Marco Greggi, Profili fiscali della proprietà intellettuale nelle imposte sui redditi, Pisa 2009, p. 264.[10] Commentario M-OCSE, art. 12 (nota 7), par. 18.[11] Cass., sez. tributaria, 29 settembre 2006, n. 21220.

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Diritto tributario italiano

Tuttavia, il richiamo del Commentario M-OCSE ai diritti spettanti all’artista concernenti la registrazione, crea un collegamento con la disciplina dello Stato della fonte e, per quanto riguarda l’Italia, con la disciplina dei diritti connessi ai diritti d’autore.

IV. La tassazione transnazionale dei diritti connessi al diritto d’autoreDunque, anche alla luce delle interpretazioni sopra rassegnate, la qualificazione fiscale delle royalties percepite dalla cantante, ai fini dell’applicazione della CDI, deriva dalla definizione attribuita al bene immateriale produttivo di reddito dalle norme di diritto industriale dello Stato contraente[12]. Dette norme, infatti, divengono rilevanti in forza del rinvio disposto dall’art. 3 par. 2 della medesima CDI[13], alla legislazione dello Stato contraente relativa alle norme oggetto della CDI, e quindi in quanto recepite nelle disposizioni fiscali dello Stato stesso. Peraltro alla disciplina dello Stato della fonte rimanda lo stesso art. 12 par. 2 CDI CH-ITA, nonché, come rilevato poc’anzi, il Commentario M-OCSE a detto articolo.

L’ordinamento italiano richiama le nozioni del diritto indu-striale laddove all’art. 23 TUIR si occupa di disciplinare il regime fiscale delle royalties in ambito internazionale. L’art. 23 TUIR, infatti, considera prodotti in Italia e dunque ivi tassati se pagati da soggetti residenti nel territorio dello Stato, i redditi derivanti dall’utilizzazione di opere dell’ingegno, brevetti industriali e marchi d’impresa, nonché di processi formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo indu-striale, commerciale o scientifico[14].

Il termine opere dell’ingegno utilizzato nel suddetto art. 23, riceve una prima, generale, definizione all’art. 2575 del codice civile (c.c.), dove il riferimento è alle opere di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinemato-grafia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.

Il codice civile italiano, tuttavia, contiene solamente i principi generali della disciplina del diritto d’autore, mentre l’intera materia è regolata in dettaglio dalla Legge sul diritto d’autore (L. n. 633/1941), e dalle successive modificazioni ed integrazioni[15]. Questa legge protegge due diverse categorie di diritti rientranti nell’ambito della proprietà intellettuale: da un lato si trovano i diritti d’autore veri e propri; mentre, dall’altro lato, si trovano i diritti connessi al diritto d’autore. Il tratto distintivo dei diritti d’autore consiste nel carattere creativo

[12] Giovanni Rolle, Royalty, in: Diego Avolio (a cura di), Fiscalità internazio-nale e dei gruppi, Milano 2021.[13] Cfr., Cass. Sez. tributaria 29 settembre 2006, n. 21220, ove ai fini dell’interpre-tazione della CDI USA-ITA, si richiamano espressamente i criteri dell’art. 3. L’art. 3 par. 2 CDI CH-ITA prevede che le espressioni non diversamente definite nella medesima CDI, hanno il significato ad esse attribuito nella legislazione dello Sta-to contraente relativa alle imposte oggetto della CDI, a meno che il contesto non richieda una diversa interpretazione.[14] Greggi (nota 8).[15] Vedasi, in Normativa: https://www.normattiva.it/ricerca/avanzata/0?tabID=0.23153644834161335&title=lbl.risultatoRicerca&initBreadCrumb=true (consultato il 15.06.2021).

dell’opera dell’ingegno, vale a dire nell’originalità e nella novità dell’opera rispetto ad altre già presenti[16]. I diritti connessi, invece, tutelano il diritto del produttore dei fonogrammi allo sfruttamento economico dell’opera registrata su supporto fisico o digitale, e dunque proteggono l’investimento e/o l’attività organizzativa del produttore. Quindi anche i diritti spettanti ai produttori fonografici trovano tutela nell’ambito della Legge sul diritto d’autore, nonostante la giurisprudenza di legittimità sia intervenuta a precisare che la tutela accordata al diritto d’autore non si estende ai diritti ad esso connessi, con ciò confermando la diversa natura dei due tipi di diritti. In questo senso la Cassazione Penale ha confermato che la tutela del diritto d’autore offerta dalla Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) non comprende necessariamente anche quella dei diritti connessi[17].

A ben vedere i diritti connessi accolgono proprio gli strumenti oggetto del contratto concluso tra la cantante e la società istante, il quale fa espresso riferimento alle riproduzioni e duplicazioni foniche, cioè alle registrazioni delle sue esecuzioni e interpretazioni come cantante, che nella legislazione italiana rientrano nell’ambito dell’art. 73 comma 1 L. n. 633/1941.

Detta norma, in particolare, riconosce agli artisti interpreti ed agli artisti esecutori che abbiano compiuto l’interpretazione o l’esecuzione fissata o riprodotta nei fonogrammi, il diritto ad un compenso per l’utilizzazione a scopo di lucro dei fono-grammi stessi. Al fine di attrarre i redditi prodotti dai diritti connessi al diritto d’autore nell’ambito dell’art. 23 TUIR, la giurisprudenza di legittimità ha valorizzato l’assimilazione di detti diritti a quelli d’autore in senso proprio[18]; d’altra parte si è sostenuto che l’esclusione dei diritti connessi dall’ambito di applicazione della disciplina sulle royalties fosse un’ipotesi non praticabile[19], anche perché in ambito transnazionale le royalties acquistano piena dignità di categoria reddituale autonoma per quanto riguarda la localizzazione dei relativi redditi e la ripartizione della potestà impositiva tra le giurisdi-zioni coinvolte[20].

Peraltro la natura unitaria delle royalties in ambito transnazionale era stata confermata dalla risalente Circolare del 12 dicembre 1981, n. 42[21], che chiariva come l’intento del Legislatore ita-liano fosse stato quello di costituire una categoria autonoma, nell’ambito dei redditi tassabili in capo ai soggetti non residenti, che accoglieva i proventi derivanti dall’utilizzazione dei beni immateriali. L’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria è confermata dalla Corte di Cassazione italiana, che ha indivi-duato nell’art. 23 TUIR la base giuridica per l’imposizione in Italia

[16] Vittorio M. De Sanctis, Il carattere creativo delle opere dell’ingegno, Milano 1971, p. 59.[17] Cfr., Cass. Pen., sez. III, 29 aprile 2009, n. 34857, che in applicazione del principio enunciato ha stabilito che la violazione dei diritti connessi può dar luogo alla configurabilità del reato di cui all’art. 171-ter, comma 1, lett. a, L. n. 633/1941, anche quando i diritti spettanti alla Siae siano stati soddisfatti.[18] Cass., sez. tributaria, 29 settembre 2006, n. 21220.[19] Giovanni Rolle, Royalty, in Diego Avolio Fiscalità, cit.[20] Greggi (nota 8).[21] Circolare del 12 dicembre 1981, n. 42, in: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1982/01/02/082A0011/sg (consultato il 15.06.2021).

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dei redditi da royalty in via concorrente con lo Stato di residenza del percipiente, mentre ha riconosciuto alla norma convenzio-nale soltanto una funzione limitativa rispetto all’esercizio della potestà impositiva da parte dello Stato della fonte sulla base della sua normativa interna[22].

V. ConclusioniCon la risposta ad interpello in commento, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le fees percepite da una cantante residente in Svizzera da parte di una società residente in Italia, a fronte della cessione dei diritti di utilizzo, riproduzione e duplicazione delle interpretazioni canore, rientrano nel campo di applicazione dell’art. 12 par. 2 CDI CH-ITA. Dunque, l’Amministrazione finanziaria italiana qualifica dette somme come royalties e le assoggetta al relativo trattamento fiscale previsto dalla CDI CH-ITA.

L’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria aderisce a quella offerta dal Commentario M-OCSE, laddove viene chiarito che, qualora in base al contratto, la prestazione sia registrata e l’artista abbia accettato sulla base dei propri diritti concernenti la registrazione, di ricevere compensi sulla ven-dita dei dischi, la parte della remunerazione ricevuta riferibile a tali compensi rileva ai fini dell’art. 12.

Con la suddetta interpretazione, il Commentario M-OCSE risolve il concorso tra l’art. 17 e l’art. 12 M-OCSE privile-giando l’applicazione di quest’ultimo quando la prestazione dell’artista sia registrata, tuttavia, non si preoccupa di chiarire la nozione di “diritti concernenti la registrazione”. Pertanto, alla luce degli artt. 3 e 12 CDI CH-ITA, detta nozione deve essere individuata nella disciplina interna dello Stato della fonte: nel caso di specie, coincide con la disciplina italiana sulla proprietà intellettuale, la quale colloca detti diritti nella categoria dei diritti connessi al diritto d’autore.

Nelle fattispecie di tassazione transnazionale, come quella in commento, i proventi relativi ai diritti connessi al diritto d’autore se pagati ad un soggetto non residente rientrano nella disciplina unitaria del pagamento internazionale di royalty di cui all’art. 23 TUIR. Ne consegue che detti proventi, restano assoggettati alla potestà impositiva dello Stato della fonte, dunque dell’Italia, ma con il limite di cui all’art. 12 par. 2 CDI CH-ITA, ossia nella misura massima del 5% del loro ammontare lordo.

[22] Cass., sez. tributaria, 21 febbraio 2005, n. 3414; Corte di Cassazione, sez. tributaria, 25 marzo 2004, n. 6038.

La soluzione adottata dell’Agenzia delle Entrate, tuttavia, sembra trascurare l’interpretazione consolidata della giurisprudenza italiana di legittimità[23], che sostiene la diversa natura dei diritti d’autore rispetto ai diritti ad esso connessi, con la conseguenza che la tutela accordata ai primi non si estende a questi ultimi.

Ciò invero non pone particolari problemi nel caso dei paga-menti di royalties tra Italia e Svizzera, dove nel testo dell’art. 12 della relativa CDI sembrano trovare collocazione entrambi i tipi i diritti con la medesima aliquota d’imposta.

D’altra parte, non può escludersi la sussistenza di CDI che contengano una norma relativa alle royalties dal tenore lette-rale più articolato (sembra il caso della CDI USA-ITA oggetto della pronuncia della Suprema Corte n. 21220/2006), dove il mero richiamo all’interpretazione del Commentario M-OCSE potrebbe non essere sufficiente a dirimere i dubbi interpreta-tivi e ad orientare il contribuente ad una applicazione corretta delle disposizioni in gioco.

[23] Cfr., Cass. Sez. trib. n. 21220/2006 (nota 13); Cass. Pen., Sez. III 34857/2009 (nota 17).

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Pierangelo ChiodinoDottore Commercialista – revisore legale,Studio Antonelli Cattaneo Bottai Chiodino, Milano

Considerazioni in merito all’attuale business practice: i criteri di territorialità e la tassazione per le banche non coperte da un trattato

La tassazione in Italia degli interessi su finanziamenti erogati a soggetti residenti da banche estere

Nel corso degli anni la prassi che le banche estere hanno adottato in merito alla tassazione degli interessi percepiti sui finanziamenti erogati alla propria clientela residente in Italia è stata in larga parte basata sulle linee guida e sulle posizioni interpretative fornite dall’Agenzia delle Entrate in molteplici documenti di prassi. Una recente risoluzione, in cui è stata incidentalmente affrontata la questione della territorialità dei redditi di capitale di fonte italiana, presupposto necessario per la loro tassazione in capo ad intermediari esteri, in termini che si pensavano ormai superati, offre lo spunto per una riflessione di carattere generale sul quadro normativo e interpretativo alla base dell’attuale business practice e su alcune criticità che tuttora permangono: le regole di territorialità dei redditi appunto e la tassazione delle banche estere non coperte da trattato in base alla normativa interna.

Nella recente risoluzione 12/E del 18 febbraio, l’Agenzia delle Entrate ha affrontato la questione della territorialità dei redditi di capitale, presupposto necessario per la tassazione dei non residenti, richiamando un principio che si considerava ormai superato in quanto non più menzionato nelle succes-sive occasioni.

Partendo da tale spunto e attraverso una ricognizione della prassi che si è ormai consolidata sul mercato e delle basi giuridiche e interpretative che ne stanno alla base, il presente contributo si propone di evidenziare alcune criticità che ancora permangono: (i) le regole di territorialità dei redditi di capitale alla luce di tale risoluzione, cercando di capirne le eventuali implicazioni operative, e (ii) la tassazione delle banche non coperte da un trattato sulla base della normativa interna.

II. La tassazione degli interessi di fonte italiana: attuale business practiceLa prassi che si è via via consolidata presso gli intermediari esteri si basa sul principio ormai di generale accettazione che gli interessi percepiti sui finanziamenti erogati a clienti residenti in Italia rientrino nella categoria dei redditi di capitale di fonte italiana ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. b del Testo Unico delle Imposte sui redditi (TUIR)[1] e siano, quindi, imponibili come tali anche in capo a beneficiari non residenti. Dalla loro qualificazione come redditi di capitale anziché d’impresa (questione a lungo dibattuta, ma ormai superata) discende la loro imponibilità anche nell’ipotesi in cui la banca estera non disponga di una stabile organizzazione in territorio Italiano[2].

[1] Marco Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, Milano 2004, p. 287 ss.; Giuseppe Zizzo, Gli enti non commerciali e le società ed enti non residenti, in: Gaspare Falsitta (a cura di), estratto dal manuale di diritto tributario, Milano 2019, p. 452 ss.[2] Riguardo alle problematiche sottese a tale qualificazione perlomeno anteriormente al 2016, cfr. Marco Piazza, Ancora sul tavolo delle autorità la tassazione degli interessi di fonte italiana percepiti da banche svizzere, in: NF 9/2020, pp. 564-567; cfr. anche Maurizio Leo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Milano 2020, p. 2342 ss.

I. IntroduzioneLe modalità di tassazione degli interessi su finanziamenti erogati a clienti italiani si basano in larga parte sulle posi-zioni interpretative che l’Agenzia delle Entrate ha via via espresso nel corso degli anni in molteplici documenti di prassi ed alle quali le banche estere si sono conformate, con maggiore o minore convinzione, in un’ottica di collabora-zione e di mitigazione del rischio di accertamento fiscale.

I. Introduzione ...................................................................... 324II. La tassazione degli interessi di fonte italiana: attuale business practice ................................................... 324III. La tassazione degli interessi su finanziamenti: quadro normativo ............................................................... 325IV. La rassegna delle principali posizioni interpretative dell’Agenzia delle Entrate ....................... 326V. Alcune considerazioni critiche ..................................... 327A. La territorialità dei redditi di capitale ................................. 327B. La tassazione per le banche non coperte da una CDI ... 328VI. Conclusioni ..................................................................... 329

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look-through)[6]. In questi casi gli interessi, giuridicamente di fonte estera, vengono riqualificati come di fonte italiana per-ché considerati nella sostanza provenienti non già dal formale titolare estero, ma dal soggetto residente quale reale bene-ficiario del finanziamento. La base giuridica di tale approccio è costituita dalle disposizioni interne in materia di interposi-zione (art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973) e abuso del diritto (art. 10-bis, comma 1, L. n. 212/2000). Le fattispecie che più comunemente rientrano in tale casistica sono i finanziamenti nei confronti di trust, fondazioni e istituti aventi analogo contenuto, laddove non “genuini” secondo i criteri usualmente presi in considerazione dalle autorità fiscali italiane, ovvero verso società localizzate in paesi a bassa fiscalità apparente-mente prive di sostanza economica (società panamensi, BVI, ecc.), o ancora nei confronti di società cd. “esterovestite”, ecc.

III. La tassazione degli interessi su finanziamenti: quadro normativoVa innanzitutto constatato come le disposizioni interne e quelle convenzionali relative agli interessi siano sostanzial-mente allineate per quanto riguarda definizione, criteri di territorialità e regole di tassazione.

La norma interna (art. 44 TUIR) include nella categoria dei redditi di capitale gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi, conti correnti (lett. a), obbligazioni e titoli similari, altri titoli diversi dalle azioni e similari, nonché certifi-cati di massa (lett. b), non discostandosi in modo sostanziale dalla corrispondente definizione di “interessi” contenuta nella generalità delle CDI attualmente in essere (in gran parte basati sul Modello OCSE): ad es., l’art. 11 CDI CH-ITA con il termine “interessi” designa “i redditi dei titoli del debito pubblico, delle obbligazioni di prestiti (garantite o non) da ipoteca e portanti o meno una clausola di partecipazione agli utili, e dei crediti di qualsiasi natura, nonché ogni altro provento assimilabile, in base alla legislazione fiscale dello Stato da cui i redditi provengono, ai redditi di somme date in prestito”.

Sia le norme interne che quelle convenzionali individuano lo Stato della fonte sulla base della residenza del soggetto che eroga il reddito. Il già menzionato art. 23 TUIR considera, infatti, di fonte italiana “ i redditi di capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti (con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancali e postali)” in linea con l’analogo criterio previsto nelle CDI: ad es., l’art. 11, par. 5, CDI CH-ITA pre-vede che “gli interessi si considerano provenienti da uno Stato contraente quando il debitore è lo Stato stesso, una sua suddivi-sione politica o amministrativa, un suo ente locale o un residente di detto Stato” (salvo che gli interessi siano a carico di una stabile organizzazione in un Paese terzo, nel qual caso si considerano provenienti dallo Stato contraente in cui è situata la stabile organizzazione).

[6] Agenzia delle Entrate, Risoluzione, n. 88/E del 18 ottobre 2019; cfr. Toni Marciante, Il regime fiscale italiano degli interessi su finanziamenti erogati a persone fisiche italiane da banche svizzere, in: NF n. 3/2019, p. 120.

Le concrete modalità di tassazione variano a seconda che il finanziamento nei confronti di sia una società, ente, asso-ciazione, impresa o professionista individuale (quindi, ai sensi della normativa interna, “sostituto d’imposta”) ovvero di un soggetto privato. Nel primo caso la tassazione avviene alla fonte attraverso ritenuta da parte del sostituto d’imposta applicata con l’aliquota domestica del 26% nei confronti delle banche non coperte da convenzioni contro la doppia imposi-zione (CDI) (ad es. attualmente quelle del Liechtenstein o del Principato di Monaco) ovvero con la minore aliquota conven-zionale, laddove applicabile (ad es. il 12,5% nei confronti delle banche svizzere ai sensi dell’art. 11 della Convenzione tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio [CDI CH-ITA; RS 0.672.945.41]).

La tassazione attraverso ritenuta solleva la banca estera da ogni obbligo di tax compliance in Italia (art. 3, comma 3, lett. a, TUIR). La tassazione tramite ritenuta non è, invece, possibile nel caso di clienti “privati” in quanto ai sensi della vigente normativa (art. 23, comma 1, del Decreto del Presidente Repubblica [D.P.R.] n. 600/1973), questi non possono agire come sostituti d’imposta. In questi casi la banca estera è tenuta a corrispondere autonomamente le imposte dovute attraverso la presentazione di apposita dichiarazione dei redditi[3] in cui riportare gli interessi percepiti nel periodo d’imposta e liquidare l’imposta dovuta, calcolata con l’aliquota domestica del 27,5% (l’aliquota base dell’imposta sui redditi delle società del 24% con la maggiorazione del 3,5% prevista per gli intermediari finanziari[4]) ovvero con la minore aliquota convenzionale (il 12,5% nel caso delle banche svizzere).

Gli interessi percepiti da banche stabilite nell’Unione europea (UE)[5] su finanziamenti a medio-lungo termine a favore delle imprese non sono imponibili in Italia.

Occorre, inoltre, considerare che le autorità fiscali italiane tendono ad applicare estensivamente le regole di cui sopra, perché in sede di accertamento sono solite attrarre a tassa-zione in Italia gli interessi derivanti da finanziamenti concessi non solo a soggetti residenti, ma anche a strutture estere di cui essi siano beneficiari economici effettivi (approccio cd.

[3] Modello Unico – Società di Capitali, In tal senso, la risposta dell’Agenzia del-le entrate n. 41 del 24 ottobre 2018.[4] A decorrere dal periodo d’imposta 2017 l’aliquota base dell’imposta sul reddito delle società (IRES) è stata portata dal 27,5% al 24%. Per ovviare all’im-patto negativo sul patrimonio di vigilanza che la svalutazione dello stock di imposte anticipate conseguente a tale riduzione di aliquota avrebbe avuto, l’art. 1, comma 65, della Legge (L.) n. 208/2015, ha previsto a carico degli inter-mediari finanziari la maggiorazione del 3,5% in modo da mantenere inalterata l’aliquota d’imposta.[5] Ai sensi della regolamentazione bancaria, gli enti creditizi basati nello Spazio Economico Europeo (Norvegia, Islanda, Liechtenstein) sono assi-milati a quelli comunitari (Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, Circolare n. 285/2013, Parte I, Titolo I, Capitolo 3, Sezione I, par. 2 “Definizioni”). Per le problematiche sottese a tale fattispecie, vedasi Michele Gusmeroli, Prime considerazioni in merito al nuovo regime di esenzione da ritenuta su interessi da finanziamenti a medio lungo termine, in: Bollettino Tributario d’informazioni 2014.

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rappresenti, per il soggetto residente che lo eroga, l’adempimento del proprio obbligo contrattuale assunto, consistente nella remunerazione delle somme e dei valori ricevuti per l’ impiego del capitale. Pertanto, per stabilirne l’ imponibilità non è sufficiente che detti proventi siano soltanto materialmente «pagati» dai sud-detti soggetti residenti quando essi svolgono la funzione di meri incaricati al pagamento”. Di assoluto rilievo in questa circolare è il riferimento al “luogo di impiego” del capitale, non previsto nelle disposizioni interne né in quelle convenzionali.

Nella successiva risoluzione n. 89/E del 2012, dopo aver chia-rito in modo inequivocabile che gli interessi percepiti da una banca estera senza stabile organizzazione in Italia devono essere considerati come redditi di capitale e tassati come tali e non come redditi d’impresa imponibili solo in presenza di una stabile organizzazione (questione allora ancora aperta[9]) l’Agenzia delle Entrate ritenne ammissibile per una società fiduciaria italiana, controparte di un finanziamento contratto a nome proprio, ma per conto dei fiducianti ed incaricata del pagamento dei relativi interessi, di poter operare come sostituto d’imposta applicando la tassazione alla fonte e sollevando la banca estera da ogni obbligo dichiarativo in Italia (rimuovendo quindi il dubbio che tale possibilità potesse essere preclusa dalla circostanza che in tale schema il debitore effettivo fosse il singolo fiduciante e non la fiduciaria). In tale risoluzione, ai fini della territorialità, viene fatto riferimento alla sola residenza in Italia del debitore senza alcun richiamo al “luogo di impiego del capitale in territorio Italiano” ai fini della territorialità.

Con le successive Risoluzioni n. 41/2018 e n. 379/2019, che riguardano specificamente le banche svizzere, venne chiarito un altro punto su cui ancora permaneva una residua incer-tezza (in realtà immotivata dato che al riguardo l’Agenzia delle Entrate si era già espressa[10], seppur con riguardo alla diversa fattispecie dei finanziamenti a medio lungo termine erogati da banche comunitarie a imprese italiane), ossia l’obbligo per la banca di presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e corrispondere autonomamente la relativa imposta nel caso in cui la tassazione attraverso ritenuta non fosse possibile. Entrambe le risoluzioni richiamavano quale presup-posto territoriale ai fini dell’imponibilità la sola residenza del debitore.

L’ultimo documento di prassi di rilievo ai fini dell’analisi, la citata risoluzione n. 12/E del 18 febbraio 2021, riguarda in realtà una questione assai diversa, ossia la tassazione for-fettaria dei redditi di fonte estera per i neo-residenti. Al fine di chiarire quali siano i redditi di fonte estera che possono beneficiare di tale regime e quali, invece, di fonte italiana soggetti a tassazione ordinaria, l’Agenzia delle Entrate ha

[9] Con la sentenza n. 9197 del 21 aprile 2011 la Corte di Cassazione aveva rite-nuto che gli interessi corrisposti a società estere che non agiscono attraverso una stabile organizzazione in territorio italiano dovessero essere considerati come redditi d’impresa (in quanto interessi rientranti nell’ambito dell’attività commer-ciale istituzionale della società estera) e non di capitale, dando quindi prevalenza al requisito soggettivo del percettore rispetto a quello oggettivo della tipologia di reddito. Sulla situazione anteriore al 2016 (cfr. Piazza [nota 2]).[10] Agenzia delle Entrate, Risoluzione 84/E del 29 settembre 2016.

Per quanto riguarda, invece, la relativa tassazione, le CDI di regola ripartiscono la potestà impositiva tra Stato della fonte e Stato di residenza del beneficiario, ma lasciano impregiudi-cato il diritto dello Stato della fonte di applicare le modalità di tassazione previste dalla propria normativa[7]. Pertanto, sulla base dell’art. 11, par. 2, CDI CH-ITA (che riflette lo standard OCSE alla base delle altre CDI stipulate dall’Italia), “[g]li interessi provenienti da uno Stato contraente (ndr. nel caso di specie, l’Italia) e pagati ad un residente dell’altro Stato (Svizzera) sono imponibili in detto altro Stato (ndr. nel caso di specie, la Svizzera) (art. 11, par. 1). Tuttavia, tali interessi possono essere tassati nello Stato contra-ente dal quale essi provengono (ndr. nel caso di specie, l’Italia) ed in conformità della legislazione di detto Stato (ndr. nel caso di specie, l’Italia), ma, se la persona che percepisce gli interessi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere il 12,5 per cento dell’ammontare degli interessi”. Fissato tale principio, la tas-sazione in Italia avviene secondo la propria normativa, ossia, come già illustrato, o attraverso ritenuta alla fonte (anche nel caso in cui per la banca estera costituiscano reddito d’im-presa[8] [art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973]) o attraverso autonoma dichiarazione dei redditi da parte della banca estera (art. 151, commi 1 e 2, TUIR). Ovviamente le stesse modalità valgono nei confronti delle banche non coperte da una CDI, nei cui confronti si applicherà la tassazione interna anziché quella (più conveniente) convenzionale.

IV. La rassegna delle principali posizioni interpretative dell’Agenzia delle EntrateNel corso degli anni l’Agenzia delle Entrate è più volte interve-nuta con i propri chiarimenti in relazione ad alcuni punti su cui vi erano incertezze applicative.

Con la Circolare n. 207 del 26 ottobre 1999 (par. 1.2.), l’Agenzia delle Entrate offrì i primi chiarimenti su due punti di estrema rilevanza: (i) il requisito di territorialità dei redditi di capitale ed (ii) il concetto strettamente connesso di “provenienza” del reddito da parte del debitore effettivo.

Sul primo punto venne chiarito che “[…] in linea generale, il presupposto di imponibilità deriva innanzitutto dalla circostanza che il reddito sia «prodotto» nel territorio dello Stato, ossia che l’ impiego di capitale da cui derivano i proventi sia effettuato in Italia ed è altresì, necessario che l’effettiva corresponsione dei proventi stessi provenga dallo Stato, da un soggetto residente o da una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di sog-getti non residenti”, mentre in relazione al secondo venne specificato che “ai fini dell’ imponibilità del reddito di capitale, è necessario che la corresponsione si riferisca ad un reddito che

[7] Il Commentario OCSE all’art. 11 (edizione 2017, par. 12) conferma il principio secondo cui la tassazione nel Paese della fonte avviene ai sensi della normativa interna “the paragraph lays down nothing about the mode of taxation in the State of source. It therefore leaves that State free to apply its own laws and, in particular, to levy the tax either by deduction at source or by individual assessment. Procedural questions are not dealt with in this Article. Each State should be able to apply the procedure provided in its own law”[8] L’art. 48 TUIR chiarisce che “interessi e utili” conseguiti da società o enti residenti e da stabili organizzazioni di soggetti non residenti, nonché quelli con-seguiti nell’esercizio di imprese commerciali, “non costituiscono redditi di capitale” (cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare n. 165/E, del 24 giugno 1998, par. 4.5).

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Va innanzitutto premesso come questo ulteriore “filtro” non trovi alcun riscontro né nelle disposizioni interne né in quelle convenzionali che, invece, fanno esclusivo riferimento al con-cetto di residenza del debitore.

Pertanto, una prima interpretazione possibile è che in realtà il riferimento al “luogo di utilizzo del capitale” non costituisca un vincolo nuovo e ulteriore, ma altro non sia che una spe-cificazione del concetto secondo cui il mero intervento nel pagamento da parte di un soggetto residente (che non sia però il debitore) non modifica la territorialità del reddito. In quest’ottica il luogo di impiego di capitale non deve essere inteso come luogo di “utilizzo” in senso proprio, bensì ricol-legato al successivo capoverso della risoluzione, secondo cui, ai fini dell’imponibilità in Italia, non è sufficiente che il reddito sia soltanto materialmente “pagato” dai suddetti soggetti residenti quando essi svolgono la funzione di meri incaricati al pagamento. Secondo questa impostazione, un finanziamento erogato a un cliente Italiano presuppone di per sé l’impiego del capitale in Italia da parte della banca, mentre il successivo utilizzo che il cliente fa della somma ricevuta non è rilevante in quanto rappresenta un atto di impiego suo proprio e non della banca. È facilmente ipotiz-zabile che questa sarebbe con ogni probabilità la posizione che verrebbe assunta dall’Agenzia delle Entrate in sede di eventuale chiarimento, pena una completa sconfessione di quanto attuato finora in sede di accertamento nei confronti degli intermediari esteri.

Tuttavia, se è certamente vero che le disposizioni interne e convenzionali non fanno alcun riferimento al luogo di impiego del capitale, la formulazione letterale delle risolu-zioni non consente questa interpretazione.

Innanzitutto, se il significato fosse effettivamente quello appena illustrato, il riferimento al luogo di utilizzo del capi-tale sarebbe pleonastico e privo di significato in quanto il riferimento alla sola residenza fiscale del debitore sarebbe stato sufficiente e perfettamente coerente con i successivi passaggi in cui si chiariscono i concetti di “corresponsione”, debitore effettivo, nonché “incaricato al pagamento”.

Quindi, perché sotto il profilo prettamente letterale il testo della risoluzione è assai chiaro nell’indicare due condizioni (l’impiego del capitale e la corresponsione del reddito) chiaramente diverse e distinte, come confermato dalla locuzione di collegamento tra le due (“ed è, altresì necessario […]”). Il successivo capoverso della risoluzione è altrettanto chiaramente riferito solo alla seconda delle due (ossia alla corresponsione del reddito, laddove “[...] è necessario che la corresponsione si riferisca all’adempimento del proprio obbligo contrattuale” e che l’“adempimento del proprio obbligo contrat-tuale” vale ad escludere i casi in cui i proventi “siano soltanto materialmente pagati dai soggetti residenti quando essi svol-gono funzione di meri incaricati di pagamento”. Pertanto, sotto il profilo squisitamente testuale, ritenere che il riferimento al luogo di utilizzo del capitale non costituisca un vincolo nuovo, ma altro non sia che una specificazione del concetto secondo cui il mero intervento nel pagamento da parte di un soggetto

chiarito ancora una volta i criteri di territorialità dei redditi e, con riguardo ai redditi di capitale, ha richiamato in toto la precedente circolare n. 207/1999: “come precisato dal citato documento di prassi (ndr. appunto la Circolare 207/1999) […] il pre-supposto di imponibilità deriva innanzitutto dalla circostanza che il reddito sia «prodotto» nel territorio dello Stato, ossia che l’impiego di capitale da cui derivano i proventi sia effettuato in Italia ed è, altresì, necessario che l’effettiva corresponsione dei proventi stessi provenga dallo Stato, da un soggetto residente o da una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetti non residenti […]”. Il richiamo ad un principio non più menzionato nelle successive occasioni solleva inevitabilmente la domanda su quale sia la sua effet-tiva portata.

Il quadro normativo ed interpretativo appena illustrato pone allo stato attuale alcune questioni sulle quali si vuole fornire in questa sede qualche spunto di riflessione: uno, di portata generale, che riguarda appunto la definizione del concetto di territorialità alla luce degli elementi illustrati in precedenza, ed uno più specifico relativa alla tassazione domestica applicabile nei confronti delle banche estere non coperte da una CDI.

V. Alcune considerazioni criticheA. La territorialità dei redditi di capitaleAttenendosi al dato testuale della risoluzione n. 12/E sopra richiamata, secondo cui un elemento dirimente ai fini della territorialità sarebbe appunto il luogo di utilizzo del capitale oggetto di finanziamento, si potrebbe ritenere che gran parte dei finanziamenti concessi a clienti residenti dovrebbe in realtà essere esclusa dal perimetro di imponibilità in quanto l’impiego del capitale in territorio italiano appare difficilmente configurabile. Di regola, i finanziamenti sono erogati diretta-mente all’estero, senza alcun flusso veicolato o appoggiato su conti aperti in Italia, i beni offerti in garanzia (immobili o portafogli titoli) sono anch’essi localizzati all’estero, così come l’impiego stesso del capitale da parte del cliente. È, infatti, del tutto evidente come nessun collegamento funzionale, neppure potenziale, tra impiego di capitale e territorio Italiano possa essere ravvisato, ad es., nel caso di mutui ipotecari concessi e utilizzati per l’acquisto di proprietà immobiliari all’estero o crediti Lombard per investimenti di portafoglio in titoli esteri o eseguiti su mercati esteri direttamente dalla banca (o da gestori patrimoniali esteri nell’ambito delle gestioni discrezio-nali di portafoglio)[11].

Si tratta, quindi, di capire se l’Agenzia delle Entrate abbia real-mente inteso attribuire un significato preciso al concetto di “luogo di utilizzo del capitale” e quale sia la sua eventuale portata pratica. Allo stato attuale è possibile solo formulare ipotesi ed esprimere un giudizio di plausibilità in attesa degli auspicabili chiarimenti.

[11] Viceversa, per finanziamenti concessi a clienti in execution only potreb-be essere più difficile stabilire l’impiego del capitale da parte del cliente, non potendosi escludere che questo possa essere trasferito discrezionalmente dal cliente su un conto italiano o impiegato in Italia.

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che in concreto comporterebbe la presentazione di una nuova dichiarazione dei redditi (sostitutiva di quella già presentata), il pagamento della maggiore imposta dovuta sugli interessi originariamente non dichiarati maggiorata dei relativi interessi (0,8% per il 2019; 0,05% per il 2020 e 0,01% dal 2021) e di una sanzione fortemente ridotta[14] rispetto a quella base.

B. La tassazione per le banche non coperte da una CDIPer le banche estere non coperte da una CDI, la tassazione sulla base della normativa interna presenta un’evidente incongruità: gli interessi percepiti attraverso sostituti d’imposta sono tassati attraverso ritenuta al 26%, men-tre quelli ricevuti da persone fisiche sarebbero tassati in sede di dichiarazione al 27,5% per effetto dell’applicazione dell’aliquota base del 24% (prevista per la generalità dei contribuenti) e della maggiorazione del 3,5% prevista a carico degli intermediari finanziari[15]. Perlomeno, questa è la posizione assunta dalle autorità fiscali italiane in sede di accertamento.

Se la tassazione al 26% attraverso ritenuta non solleva alcuna questione, la pretesa applicazione della maggiora-zione nei confronti di intermediari finanziari privi di stabile organizzazione in territorio Italiano appare quanto meno discutibile.

Innanzitutto, va rilevato come la norma che ha introdotto tale maggiorazione non contenga alcun riferimento utile a stabilire se questa sia effettivamente applicabile anche nei confronti di intermediari non residenti o meno. Tuttavia, la

[14] La riduzione della sanzione varia in funzione del tempo decorso tra la data in cui interviene la regolarizzazione e quella in cui la violazione è stata commes-sa: ossia (i) 1/9 del minimo (ossia 3,75%, pari ad un nono della sanzione base del 30%. In questo caso la sanzione è quella applicabile per la fattispecie di “omes-so pagamento” e non quella del 90% per l’ipotesi di “dichiarazione infedele”) qualora la regolarizzazione per l’insufficiente pagamento (ad es. effettuato nel giugno 2021 sui redditi 2020) avvenga entro il termine di presentazione della dichiarazione (ad es. il 30 novembre 2021); (ii) 1/9 del minimo (ossia 11,11%, pari ad un nono della sanzione base del 90% per la fattispecie di “dichiarazione infedele”), qualora la regolarizzazione avvenga entro 90 giorni (28 febbra-io 2022) dal termine per la presentazione della dichiarazione (ad es. dopo 30 novembre 2021) relativa all'anno in cui la violazione è stata commessa; (iii) 1/8 del minimo (ossia 11,25%, pari al 90% della maggiore imposta/8), qualora la regolarizzazione intervenga entro il termine per la presentazione della dichia-razione (ad es. il 30 novembre 2022) relativa all’anno (ad es. 2021) nel corso del quale è stata commessa la violazione; 1/7 del minimo (ossia 12,86%, pari al 90% della maggiore imposta/7), qualora la regolarizzazione intervenga entro il termine per la presentazione della dichiarazione (ad es. il 30 novembre 2023) relativa all’anno successivo (ad es. il 2022) a quello in cui la violazione è stata commessa (2021); (iv) 1/6 del minimo (ossia 15%, pari al 90% della maggiore imposta/6), qualora la regolarizzazione intervenga oltre il termine per la pre-sentazione della dichiarazione (ad es. il 30 novembre 2023) relativa all’anno successivo (ad es. 2022) a quello in cui la violazione è stata commessa; (v) 1/5 del minimo (ossia 18%, pari al 90% della maggiore imposta/5) in caso di conte-stazione formale (PVC).[15] Secondo l’art. 1, comma 65, L. n. 208/2015 (nella sua attuale formula-zione) “[p]er gli intermediari finanziari, escluse le società di gestione dei fondi comuni d’investimento e le società di intermediazione mobiliare di cui al testo unico delle dispo-sizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e per la Banca d’Italia, l’aliquota di cui all’articolo 77 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è applicata con una addizionale di 3,5 punti percentuali”.

residente diverso dal debitore non modifica la territorialità del reddito, come sostenuto, non appare corretto.

Si potrebbe, quindi, pensare che tale filtro sia stato introdotto per un’evidente questione di ragionevolezza con riferimento a quelle situazioni in cui, al netto della residenza del debitore, il collegamento funzionale tra reddito e territorio italiano appaia oggettivamente debole e i conseguenti obblighi di tax compliance che ne deriverebbero per l’intermediario estero sproporzionati: si pensi, ad es. ad un’operazione del tutto iso-lata e non ricorrente, di mutuo concesso ad un cliente Italiano per l’acquisto di un immobile negli Stati Uniti da parte di una banca locale ed al conseguente obbligo di dichiarazione dei redditi in Italia che ne deriverebbe[12].

Se inizialmente si poteva forse ritenere che la posizione mani-festata con la circolare del 1999 fosse superata dai documenti di prassi successivi che non avevano più fatto alcun riferimento al luogo di impiego del capitale, il richiamo al medesimo prin-cipio con quest’ultima risoluzione solleva il legittimo dubbio su quale ne sia l’effettiva portata.

Nell’attesa degli auspicabili chiarimenti, gli intermediari esteri potrebbero considerare diverse opzioni: la prima, assoluta-mente cautelativa, è quella di non modificare l’attuale modus operandi che presuppone la tassazione degli interessi derivanti da ogni tipologia di finanziamento erogato a clienti Italiani, senza alcuna distinzione tra quelli erogati e utilizzati in Italia o all’estero. In alternativa, potrebbero considerare di escludere dalla base imponibile italiana gli interessi relativi a finanzia-menti inequivocabilmente utilizzati all’estero sulla base di un’interpretazione strettamente letterale della risoluzione n. 12/E. Da un punto di vista pratico, una simile posizione potrà riguardare esclusivamente gli interessi relativi a finan-ziamenti concessi a privati, perché nei casi di finanziamenti a clienti sostituti d’imposta è presumibile che questi non si assumerebbero la responsabilità di disapplicare la ritenuta nel presupposto che tali interessi non siano più imponibili, in assenza di ulteriori chiarimenti sul punto da parte dell’Agenzia delle Entrate, dato che l’applicare o disapplicare una ritenuta è una loro esclusiva responsabilità.

Nell’ipotesi in cui venisse adottata questa nuova posi-zione[13], ma successivamente gli auspicati chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate risultassero contrari alla posizione assunta, la banca estera potrà rettificare la pro-pria posizione e regolarizzare spontaneamente gli interessi omessi attraverso la procedura di ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 472/1997,

[12] Cfr. Marco Piazza, Tassazione degli interessi di fonte italiana percepiti da non residenti, in: https://www.sbnp.it/wp-content/uploads/2020/01/09-tas-sazione-degli-interessi-di-fonte-italiana.pdf (consultato 15.06.2021).[13] Per completezza va anche segnalato che la nuova posizione potrà essere adottata anche per i periodi d’imposta precedenti, rettificando a proprio favore le dichiarazioni dei redditi già presentate (cd. “dichiarazione integrativa a favo-re”), ossia presentando una nuova dichiarazione con l’indicazione del minor reddito imponibile e chiedendo a rimborso o (preferibilmente) riportando a nuovo le maggiori imposte a suo tempo versate sul maggior imponibile dichia-rato originariamente.

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329 giugno 2021

Diritto tributario italiano

applicabile nei confronti di intermediari esteri privi di stabile organizzazione, benché, al momento, questa non sia la posizione delle autorità fiscali italiane. Anche sotto questo profilo sarebbe utile una loro posizione ufficiale anche al fine di consentire agli operatoti esteri che dovranno liquidare autonomamente le imposte da corrispondere la più corretta posizione da assumere.

VI. ConclusioniNonostante i molteplici interventi nel corso degli anni, per-mangono tuttora alcuni elementi di dubbio e criticità sui quali sarebbero auspicabili opportuni chiarimenti da parte delle autorità fiscali italiane.

Nel presente lavoro ne sono stati evidenziati due: i criteri di territorialità dei redditi di capitale, alla luce della infelice for-mulazione letterale della risoluzione n. 12/E da ultimo citata, che sembra legittimare una possibile interpretazione non coerente con la business practice che si è via via consolidata nel corso degli anni, ed il tax rate applicabile nei confronti delle banche estere non coperte da una CDI, relativamente all’ap-plicabilità o meno della maggiorazione IRES del 3,5%, finora richiesta in sede di accertamento, ma di cui appaiono assai discutibili i presupposti alla luce delle considerazioni di ordine interpretativo e sistematico sopra indicate.

finalità di tale maggiorazione è stata quella di prevenire in capo agli enti creditizi l’impatto negativo sul patrimonio di vigilanza che si sarebbe verificato per effetto della svalu-tazione delle attività per imposte anticipate determinato dalla riduzione dell’aliquota dell’imposta sui redditi dal precedente 27,5% al 24%[16].

È del tutto evidente come sotto questo profilo tale finalità sia del tutto irrilevante per un intermediario estero privo di stabile organizzazione in Italia, nei cui confronti una problematica di imposte anticipate si può porre esclusivamente nel proprio Paese di stabilimento in funzione del tax rate ivi previsto.

Occorre, inoltre, considerare come non possa neppure eccepirsi che l’esenzione dalla maggiorazione a favore di un intermediario estero determinerebbe una distorsione competitiva a danno di quelli residenti che, invece, ne sono soggetti: in capo a questi ultimi la maggiorazione è applicata su una base imponibile “netta”, ossia il reddito d’impresa dal quale sono deducibili i costi sostenuti per la sua produzione, a differenza degli intermediari esteri che sono, invece, tassati su un reddito di capitale dal quale non è ammesso in deduzione alcun tipo di onere (art. 45, comma 1, TUIR)[17]. In aggiunta, appare determinante l’ulteriore circostanza per cui la mag-giorazione del 3,5% è stata accompagnata da una contestuale rimozione delle limitazioni alla deducibilità degli interessi passivi che fino a quel momento gravavano in capo agli intermediari finanziari (art. 1, comma 67, L. n. 208/2015)[18]. Pertanto, mentre per un intermediario residente la maggiora-zione IRES è stata controbilanciata dall’integrale deducibilità degli interessi (in precedenza non ammessa), l’intermediario estero rimane inciso dalla maggiore imposta senza poter fruire di un corrispondente beneficio compensativo.

Pertanto, considerazioni di ordine logico e sistematico sug-geriscono che la maggiorazione IRES non dovrebbe essere

[16] Daniele Majorana, Addizionale IRES per gli enti creditizi e finanziari, in: Corriere Tributario n. 31/2017, Giuseppe Molinaro, Le misure per gli enti cre-ditizi e finanziari, in: Corriere Tributario n. 4/2016 (in particolare commento a nota 4); Renzo Parisotto, Revisione delle aliquote IRES e del regime degli inte-ressi passivi per gli enti creditizi e finanziari, in: Fisco n. 11/2016.[17] Lo stesso concetto è contenuto nel commentario OCSE all’art. 11 (par. 7.1) secondo cui: “the tax in the State of source is typically levied on the gross amount of the interest regardless of expenses incurred in order to earn such interest”. Al riguar-do si segnala comunque come secondo la sentenza del 13 luglio 2016 – causa C-18/15 della Corte di Giustizia dell’UE (CGUE), le ritenute sugli interessi devo-no essere applicate, non sul reddito lordo, ma su un importo pari agli interessi al netto dei costi diretti di produzione. Benché rilevante all’interno dell’UE, la sen-tenza riveste particolare importanza, dal momento che la disciplina portoghese (oggetto della causa) risulta modellata, come peraltro quella della maggior par-te degli altri ordinamenti, sull’art. 11 del Modello OCSE di Convenzione fiscale. Cfr. al riguardo Gianfilippo Scifoni, Incompatibile con la libera prestazione dei servizi la tassazione “al lordo” degli interessi su prestiti transfrontalieri, in: Cor-riere Tributario n. 36/2016; Raul Angelo Papotti/Carlomaria Setti, Ritenute applicate al netto dei costi, in: Italia Oggi dell’11 agosto 2016. Va tuttavia rile-vato come in una recente risposta (la n. 67 del 1° febbraio 2021) ad un quesito posto da una banca lussemburghese, l’Agenzia delle Entrate abbia da un lato confermato l’applicazione della tassazione sull’importo lordo degli interessi (discostandosi quindi dal principio sancito dalla citata sentenza), dall’altro abbia fatto incidentalmente riferimento alla sola aliquota IRES base (24%) senza alcuna menzione alla citata maggiorazione.[18] Cfr. anche Molinaro (nota 16).

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330 giugno 2021

Diritto tributario internazionale e dell’UE

Antonio De FrancescoDottore commercialista in MilanoRevisore Legale

Linee Guida OCSE relative alle implicazioni della pandemia da Covid-19 sul Transfer Pricing e Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate in materia di idonea documentazione

Transfer pricing e Covid-19: recenti novità

L’emergenza Covid-19 ha determinato un diverso scenario economico in considerazione del quale i Gruppi multinazionali, atteso il possibile impatto sulla politica dei prezzi di trasfe-rimento, hanno in molti casi dovuto riconsiderare misure ed azioni di adeguamento rispetto al nuovo contesto economico e sociale. In tale contesto, l’arm’s length principle risulta inevita-bilmente influenzato in virtù dei cambiamenti che la pandemia ha comportato nelle caratteristiche economicamente rilevanti ai fini delle operazioni infragruppo; termini e condizioni dei rapporti infragruppo vanno riconsiderati, valutando se parti indipendenti avrebbero anch’esse ragionevolmente rinegoziato gli accordi contrattuali. In questa direzione intervengono le indicazioni OCSE rese note con il documento “Guidance on the transfer pricing implications of the Covid-19 pandemic”, pub-blicate il 18 dicembre 2020, quale espressione del consenso dei 137 Paesi membri dell’Inclusive Framework on BEPS. In aggiunta, lo scorso 23 novembre 2020, in Italia, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha emanato Provvedimento n. 360494, introducendo rilevanti e sostanziali modifiche alle disposizioni relative alla documentazione “idonea” a consentire il riscontro della conformità al principio della libera concor-renza delle condizioni e dei prezzi di trasferimento praticati dalle imprese multinazionali, oltre a stabilire nuovi requisiti per l’accesso al regime di protezione delle sanzioni per infedele dichiarazione.

I. Linee Guida OCSE sulle implicazioni su Transfer Pricing causa Covid-19: premessaLe condizioni economiche impreviste e fortemente impattanti sia a livello sanitario e sociale, nonché economico e finanziario derivanti dalla pandemia da Covid-19 da un lato, e le rispo-ste dei governi dall’altro, hanno portato a sfide pratiche per l’applicazione del principio di libera concorrenza. Le norme precedentemente adottate dai Gruppi multinazionali in tema di prezzi di trasferimento alla luce dei riverberi negativi della pandemia sono divenute inadeguate rispetto agli esercizi finanziari temporalmente connessi alla pandemia. Da ciò discende un dovere – probabilmente morale, prima ancora che giuridico – di rivedere le procedure in adozione alla luce delle mutate condizioni in cui le imprese si trovano ob torto collo ad operare.

Le implicazioni sulle transazioni infragruppo subite dalle multinazionali hanno richiesto di adeguare, nella prevalenza dei casi, i propri modelli di business al contesto imprevisto valutandone gli impatti sulla catena del valore e quindi sulle politiche di transfer pricing necessariamente da riconsiderare rispetto al principio della libera concorrenza, influenzato nella sostanza da un sistema economico e sociale trasformato dalla pandemia. In alcuni settori la domanda è crollata; in altri invece sono stati registrati degli aumenti o delle diversificazioni settoriali. Un recente documento pubblicato dall’Area Studi Mediobanca ha esaltato tale aspetto, ossia quanto la pandemia abbia impattato (e stia impattando) in maniera differente i diversi settori, in termini di ricavi ed investimenti, tanto che in molti casi le quotazioni in Borsa risultano essere già superiori ai livelli pre-pandemici[1]. La profittabilità delle imprese ha visto registrare effetti anche

[1] Area Studi Mediobanca, Gli effetti del Covid-19 sui bilanci 2020 del-le grandi multinazionali mondiali: analisi per settore e area geografica, Milano, 30 marzo 2021, in: https://www.mediobancasecurities.com/file/CS_Mediobanca%20Covid-19%20ok%20FINALE.pdf?uid=a39011a2-6d77-48cb-b516-f8870e7265a9&docRef=2439a8e4-a0a6-43d2-ae1f-7341ee814a9e&jobRef=9df03247-ef60-4899-9140-fc33d761def4 (consultato il 15.06.2021).

I. Linee Guida OCSE sulle implicazioni su Transfer Pricing causa Covid-19: premessa .................................... 330II. L’analisi di comparabilità ............................................... 331III. Le perdite e l’allocazione dei costi specifici derivanti dal Covid-19 ........................................................ 332IV. I programmi di sostegno governativo ....................... 334V. Gli APAs ............................................................................. 334VI. Il provvedimento Agenzia delle Entrate del 23 novembre 2020 ............................................................... 335VII. Conclusioni .................................................................... 337

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331 giugno 2021

Diritto tributario internazionale e dell’UE

rilevanti a seconda degli impatti subiti, comportando, in presenza di significative difficoltà finanziarie, la necessaria ridefinizione e/o rinegoziazione dei propri accordi contrattuali in forza con terze parti. Conseguentemente i governi hanno posto in essere misure normative di sostegno per le imprese ed i lavoratori[2].

E proprio in virtù dei cambiamenti che potenzialmente influenzano le caratteristiche economicamente rilevanti ai fini delle operazioni infragruppo, termini e condizioni dei rapporti “Intercompany” andrebbero riconsiderati, tenuto conto in ogni caso che la pandemia, che pur avendo causato differenti riflessi sui diversi business, ha di fatto, come noto, coinvolto la maggior parte dei settori industriali e delle aree geografiche, modifi-cando le ordinarie modalità di gestione delle attività di impresa.

Ed è proprio sulla base di tali presupposti che l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) è inter-venuta con un documento, a dire il vero molto atteso, recante linee guida sulla modalità di gestione delle politiche in tema di prezzi di trasferimento da parte delle multinazionali in relazione al periodo pandemico[3]. L’alterazione dei principi della libera concorrenza, a causa dei mutati scenari economici e finanziari, ha fatto sì che le multinazionali insieme alle Amministrazioni finanziarie potessero avere delle indicazioni di riferimento da considerare nell’ambito di eventuali azioni di verifica di con-formità delle politiche di transfer pricing adottate rispetto ad un principio di libera concorrenza che, come detto, è da riconside-rarsi per effetto dei mutati scenari imposti dalla pandemia.

L’intervento dell’OCSE tende a suggerire un maggior sforzo di rappresentazione delle implicazioni del mutato contesto economico insieme ad una differente sensibilità da adottare nella verifica delle condizioni di libera concorrenza. Ed indi-rizzandosi verso un approccio siffatto, vengono proposte alcune soluzione pratiche. Il forte richiamo ad un’informativa sempre più trasparente insieme ad un’analisi di compara-bilità coerente con l’ineludibile ed inatteso contesto, dovrà considerare informazioni, sia interne che esterne, quanto più attuali in relazione all’impresa e alla sua operatività, al settore industriale di riferimento e alle transazioni cross border poste in essere tra le entità del Gruppo, favorendo in modo quanto più diretto ed immediato il collegamento dei risultati e delle decisioni aziendali con gli effetti della pandemia, facilitandone l’approccio valutativo.

Le Linee Guida si focalizzano in particolare su quattro macro-tematiche: (i) l’analisi di comparabilità, (ii) le perdite ed i costi specifici derivanti dalla pandemia, (iii) il trattamento dei benefici relativi ai programmi di sostegno governativi e (iv) gli accordi preventivi Advance Pricing Agreements (APAs).

[2] In Italia, il Governo e il Parlamento hanno messo in campo risorse attra-verso diversi e successivi decreti quali ad es.: Cura Italia, Liquidità, Rilancio, e Agosto insieme ai successivi provvedimenti “Ristori”.[3] OCSE, Guidance on the transfer pricing implications of the COVID-19 pandemic, Parigi, 18 dicembre 2020, in: https://read.oecd-ilibrary.org/view/?ref=1059_1059931-t94e20hrqo&title=Guidance-on-the-transfer-pricing-implications-of-the-COVID-19-pandemic (consultato il 15.06.2021).

II. L’analisi di comparabilitàIl primo aspetto affrontato dall’OCSE nelle linee guida in oggetto è l’analisi delle problematiche derivanti dalla ricerca di soggetti e transazioni comparabili nei periodi interessati dal Covid-19 (“transfer pricing Guidance on Comparability Analysis”)[4].

L‘analisi di comparabilità è al centro del Transfer Price in quanto rappresenta l’essenza della regolamentazione delle procedure di conformità dei termini e delle condizioni poste in transa-zioni, nonché in accordi tra parti di uno stesso gruppo rispetto alle medesime poste tra parti indipendenti tra loro.

Gli effetti recessivi provocati dalla pandemia, condizionando i presupposti economici alla base della definizione dei prezzi di trasferimento, hanno avuto una diretta influenza per i fattori già delineati sulle transazioni infragruppo richiedendone una revisione rispetto alle necessarie analisi per la verifica delle condizioni di libera concorrenza. Al fine di supportare la conformità delle transazioni rispetto al nuovo contesto, per determinare validi parametri di comparabilità, l’OCSE individua alcune soluzioni pratiche necessarie per compren-dere e valorizzare qualsiasi cambiamento economicamente rilevante derivante dalla pandemia, incoraggiando implicita-mente le Amministrazioni fiscali a non essere troppo esigenti o inflessibili nell’esecuzione di valutazione del rischio e/o nel giudicare la ragionevolezza degli sforzi di un contribuente per conformarsi al principio della libera concorrenza.

Giustificare le azioni assunte nell’ambito della procedure in tema di Transfer Price nel periodo pandemico richiederà un approccio flessibile che deve avere come presupposto la capa-cità di sapersi misurare rispetto alle effettive conseguenze della pandemia, con particolare riferimento agli accordi in corso di negoziazione[5].

L’analisi e la determinazione dei prezzi di trasferimento sia da parte del contribuente che da parte delle autorità fiscali deve essere informata al “Reasonnable commercial judgment”[6]. Condizioni di mercato mutevoli e imprevedibili come quelle imposte dalla pandemia richiedono l’adozione di un approccio sempre più ragionato rispetto ad una situazione economica che condizioni in modo incisivo, ma non sempre con pari intensità (ad es. è da considerare in un ambito valutativo complessivo il settore di operatività più o meno impattato e/o la regione geografica di operatività; quali effetti registrati sulla parte testata o sui soggetti com-parabili a seguito degli interventi governativi; la possibilità di utilizzare metodi alternativi per la definizione e/o il testing della transazione controllata; la possibilità di utilizzare dati riferibili a periodi diversi rispetto a quelli utilizzati

[4] OCSE (nota 3), Chapter I. Transfer pricing guidance on comparability analysis.[5] A tal proposito, l’OCSE indica anche la possibilità di stipulare: (i) due accordi separati, uno “breve” avente ad oggetto i soli esercizi impattati dagli effetti del Covid-19 e uno distinto per le annualità successive; (ii) un accor-do per il periodo di tempo ordinariamente previsto con una valutazione dell’impatto Covid-19 ex post per ciascun anno interessato, con possibilità di effettuare degli aggiustamenti retroattivi.[6] OCSE (nota 3), par. 21.

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332 giugno 2021

Diritto tributario internazionale e dell’UE

abitualmente coerentemente con gli effetti economici della pandemia da Covid-19). Su tale ultimo aspetto, l’OCSE pare riservare qualche perplessità in merito alla possibilità di considerare ed utilizzare i dati della crisi globale 2008/2009 per approssimare gli effetti della pandemia a causa la pecu-liarità della pandemia da Covid-19).

Le informazioni individuate dall’OCSE quali fonti da poter utilizzare per la predisposizione dell’analisi di comparabilità con riferimento all’anno fiscale 2020, possono essere som-mariamente rappresentate dall’analisi di volumi di vendita durante la pandemia rispetto all’anno precedente, ponendo in evidenza l’analisi comparativa dei trend di vendita pre e post Covid-19, dall’analisi delle variazioni dell’utilizzo della capa-cità produttiva, dalle informazioni relative all’incremento di costi straordinari, dalle informazioni dettagliate relative alle misure assistenziali previste dagli Stati, dalle informazioni di natura macroeconomica e studi di regressione atti a misu-rare la variabilità dei risultati aziendali in base a specifiche variabili economiche e dal confronto tra dati previsionali e dati consuntivi.

Particolare enfasi viene attribuita all’utilizzo dei dati pre-visionali. L’OCSE si concentra sul valore informativo di dati prospettici di budget o forecast nella definizione della politica dei prezzi, rivalutandone la rilevanza per l’accertamento dei risultati consuntivi impattati dal contesto congiunturale. L’analisi degli scostamenti/varianze alla luce degli effetti Covid-19 potrebbe estendersi anche alla stima della profit-tabilità, cercando di rappresentare la situazione economica della parte testata simulando l’ipotesi in cui non ci fosse stata la crisi (attraverso opportuni aggiustamenti da motivare). In aggiunta, saranno indubbiamente da evidenziare i supporti documentali relativi ad aumenti nei costi allocati, o contra-zione dei ricavi nella parte testata, oltre all’evidenza di ogni sussidio o aiuto governativo fornito che ha avuto impatto sulla tested party e relativo effetto contabile.

Affidabili fonti di dati (reperibilità di informazioni finanziarie) risultano essenziali per i contribuenti per comprovare le poli-tiche adottate in tema di prezzi di trasferimento rispetto al mutato contesto che la pandemia ha imposto.

L’OCSE affronta in modo pragmatico la gestione della carenza o insufficienza delle informazioni attuali. Secondo l’approccio suggerito, qualsiasi forma di informazione dispo-nibile in modo pubblico riguardante gli effetti del Covid-19 sull’attività, il settore di appartenenza e la specifica tran-sazione o accordo in questione riferito alla multinazionale, potrebbe essere ritenuto rilevante. Ad es. poter ricorrere a comparabili interni consentirebbe di avere a disposizione informazioni aggiornate su transazioni finanziarie favo-rendo un pronto riscontro degli effetti della pandemia; aspetto questo non prevedibile in caso di applicazione del metodo Transactional Net Margin Method (TNMM) con comparabili esterni se non a partire dal momento della disponibilità di informazioni finanziarie comparabili per il tramite delle banche date “aggiornate”.Infatti, l’utilizzo di dati reddituali non aggiornati e, quindi, tali

da non riflettere gli effetti della pandemia sulla redditività delle imprese comparabili, potrebbe distorcere i risultati dell’analisi di benchmark. E proprio alla luce di tali difficoltà le indicazioni OCSE illustrano alcuni approcci praticabili per valutare le condizioni arm’s length unitamente agli effetti della pandemia. L’OCSE in modo specifico suggerisce di:

◆ attendere la pubblicazione dei dati ufficiali del 2020 per effettuare l’analisi dei prezzi di trasferimento;

◆ utilizzare un periodo di riferimento specifico per l’analisi di comparabilità in modo da distinguere le condizioni economiche divergenti nel periodo ante e post pandemia da Covid-19, anche per effetto degli interventi governativi.

◆ prevedere degli aggiustamenti retroattivi dei prezzi di trasferimento (ad es. in sede di dichiarazione dei redditi[7]) per recepire informazioni più accurate e attuali tenuto conto degli effetti del Covid-19 sul periodo di imposta appena concluso;

◆ includere anche soggetti comparabili in perdita (in quanto è sempre necessario analizzare in concreto le motivazioni della perdita), nel caso soddisfino i criteri di comparabilità oltre ad una revisione del campione in virtù della maggiore adeguatezza che l’introduzione di nuovi soggetti potrebbe soddisfare rispetto al mutato contesto;

◆ utilizzare più metodi di transfer pricing per valutare la rispondenza al principio di libera concorrenza della transazione in esame e supportare i propri prezzi di tra-sferimento.

In aggiunta a quanto sopra, l’OCSE evidenzia che le Amministrazioni finanziarie dovrebbero intervenire pro-ponendosi con approcci maggiormente flessibili, rendendo possibili aggiustamenti lì dove ne emergono le condizioni, anche per il tramite di informazioni aggiornate, desumibili solo successivamente. E proprio su tale impostazione le amministrazioni finanziarie dovranno distaccarsi dal ricorso ad analisi consuntive che prediligono approcci ex ante di accertamento delle condizioni delle transazioni controllate nella fase di definizione infragruppo. È necessario che le tax authorities tendano ad orientarsi ad approcci di maggiore flessibilità, ad accordare aggiustamenti compensativi per la presentazione delle dichiarazioni fiscali e a favorire l’accesso alle Mutual Agreement Procedures (MAP) o ad altre procedure di risoluzione della doppia imposizione.

III. Le perdite e l’allocazione dei costi specifici derivanti dal Covid-19La crisi sanitaria derivante dalla pandemia Covid-19 ha portato i Gruppi multinazionali, così come le imprese indipendenti, a registrare perdite ascrivibili sia ad una riduzione dei profitti che a costi eccezionali od operativi non ricorrenti. In tale contesto, per le imprese è di assoluta importanza comprendere come procedere correttamente all’allocazione delle perdite e dei costi tra associated entities.

[7] Possibilità, al momento, praticabile nell’ordinamento italiano solamente nell’ipotesi in cui dagli aggiustamenti derivi un aumento del reddito imponibile.

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333 giugno 2021

Diritto tributario internazionale e dell’UE

Benché non sembrerebbe possibile definire sul punto una regola generale, su tale aspetto l’OCSE osserva che indi-viduare gli effetti della pandemia sul modello di business adottato per accertare quale entity debba farsi carico delle perdite (eccezionali) derivanti dall’emergenza sanitaria debba essere considerato un aspetto di rilevante[8] importanza.

Con specifico riferimento alle perdite, l’OCSE osserva che la valutazione in merito all’allocazione delle stesse debba tener conto dei rischi sostenuti da ciascuna entità coinvolta nella transazione. Un’entità a basso rischio si contraddistingue tipicamente quale impresa con un livello più basso di funzioni e rischi. Pertanto, non ci si può attendere che entità carat-terizzate da un sistema funzionale/operativo semplice e ben definito (e quindi caratterizzato da minori rischi assunti), possano realizzare perdite per lunghi periodi di tempo[9]. Definendo le perdite realizzate nel periodo della pandemia Covid-19 quali perdite di breve periodo derivanti da una situazione economica (si spera temporanea) sfavorevole, le stesse possono essere attribuite alle cd. “entità a basso rischio”, in base alle specifiche funzioni esercitate e ai rischi assunti. In sostanza, un’entità che in periodo antecedente alla pandemia non assumeva alcun rischio (ad es. finanziario o di mercato) non dovrebbe procedere ad una allocazione delle perdite connesse, salvo che non siano evidenti accadimenti ulteriori straordinari (ad es. ristrutturazione societaria o operazioni straordinarie estranee alla pandemia) che abbiano comportato la modifica dell’assetto funzionale e di rischio della stessa entità. L’OCSE, per rendere comprensibile tale rappresentazione relativamente alla modalità di allocazione delle perdite in funzione dei rischi assunti, fornisce l’esempio di un distributore[10] “a basso rischio” soggetto a limitati rischi di mercato. In ragione del suo particolare assetto funzionale, tale distributore potrebbe realizzare una perdita associata ad un significativo calo della domanda conseguenziale al Covid-19. Contrariamente, la medesima allocazione non sarà opportuna in corrispondenza di un distributore “a rischio limitato” che non si assume alcun rischio di mercato od altro rischio specifico. In sintesi, per l’OCSE risultano allocabili le sole perdite connesse a rischi specifici supportati dalle entità a basso rischio, secondo quanto in essere nell’analisi funzionale prima della pandemia. È pertanto richiesta continuità tra l’as-setto funzionale pre e post Covid-19, e l’entità a basso rischio, come già sopra definita, non potrà procedere all’allocazione delle perdite connesse a rischi che si sono materializzati suc-cessivamente al Covid-19 come effetti dello stesso. In sintesi, secondo l’interpretazione fornita dall’OCSE ai fini dell’alloca-zione delle perdite, sarà necessario valutare le funzioni svolte e i rischi assunti dall’entità nel periodo pre e post Covid-19. In sostanza, un’entità che prima della pandemia non assumeva

[8] OCSE (nota 3), par. 35.[9] OCSE (nota 3), par. 39: “simple or low risk functions in particular are not expected to generate losses for a long period of time”.[10] OCSE (nota 1), par. 40: “For example, where there is a significant decline in demand due to COVID-19, a «limited-risk» distributor (classified as such, for example, based on limited inventory ownership – such as through the use of «flash title» and drop-shipping – and therefore limited risk of inventory obsolescence) that assumes some marketplace risk (based on the accurate delineation of the transaction) may at arm’s length earn a loss associated with the playing out of this risk”.

alcun rischio, non potrà procedere ad un’allocazione delle per-dite connesse (e dei costi tra associated entities), salvo che siano fornite evidenze di un’avvenuta ristrutturazione aziendale che abbia comportato la modifica dell’assetto funzionale e di rischio della stessa entità.

L’OCSE si pronuncia altresì in merito alla possibilità di modi-ficare gli accordi Intercompany in essere, insieme al modus operandi delle parti nelle relative relazioni commerciali. Nello specifico, è opinione dell’OCSE che tali accordi siano rinego-ziabili solo quando la loro modifica è nel migliore interesse delle parti coinvolte (ad es. se la loro integrale applicazione possa condizionare la “sopravvivenza” di un fornitore o cliente chiave così da motivarne la rinegoziazione).

Su tale presupposto, l’OCSE riconosce che parti correlate potranno procedere alla modifica degli accordi in essere solo nel caso in cui anche parti indipendenti, in circostanze comparabili, avrebbero proceduto alla modifica dei termini contrattuali. In assenza di evidenze chiare circa il compor-tamento di parti indipendenti, la rivisitazione degli accordi Intercompany è da ritenersi non at arm’s length; è rilevante poter dimostrare che in circostanze comparabili, imprese indipendenti avrebbero proceduto parimenti alla modifica degli accordi e/o dei rapporti commerciali in quanto ritenuti convenienti, rispetto al contesto attuale[11].

Riconducendo la possibilità di rinegoziazione di accordi Intercompany nel perimetro dell’intero Gruppo, l’OCSE considera proponibile l’ipotesi di rinegoziazione a cascata, affermando la legittimità di siffatta modifica, laddove una delle società facenti parte del Gruppo multinazionale rinegozi un contratto con un’altra società indipendente. Ad es. consi-derate A e B quali due entità di un medesimo Gruppo con B che acquista prodotti da A (Intercompany) e li rivende ad una terza parte Z indipendente, A e B potrebbero rinegoziare il loro accordo/contratto di fornitura (Intercompany) nel caso in cui ad es. Z, parte indipendente, non rispetti le sue obbligazioni verso B (ad es. causa impossibilità/ritardo di pagamento o necessità di rivedere i rapporti commerciali).

Rispetto all’allocazione tra parti correlate dei costi specifici non ricorrenti connessi alla pandemia da Covid-19 (ad es. per l’acquisto di dispositivi individuale, per la riconfigurazione di spazi lavorativi, costi relativi alla riorganizzazione della infrastruttura di IT, implementazioni del telelavoro), l’OCSE fornisce alcune indicazioni utili riconducendo la fattispecie, come da prassi, al comportamento di soggetti indipendenti in contesti comparabili. A questo fine occorrerà tenere presente che:

◆ l’allocazione dei costi operativi o eccezionali segue di regola l’assunzione del relativo rischio ed il modo in cui soggetti terzi indipendenti si sarebbero comportati in circostanze comparabili;

[11] La modifica degli accordi in essere deve avvenire nel migliore interesse delle parti coinvolte in considerazione di tutte le opzioni realisticamente dispo-nibili e alla luce degli effetti di lungo termine sui profitti delle parti.

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334 giugno 2021

Diritto tributario internazionale e dell’UE

◆ alcuni dei costi sostenuti potrebbero non essere conside-rati eccezionali o non ricorrenti e quindi “trattati” come operativi e riconducibili alla “normale” operatività (ad es. telelavoro o gestione del lavoro agile, ossia costi che pur sostenuti per favorire la sicurezza dei lavoratori a seguito della pandemia, possono diventare ricorrenti anche suc-cessivamente). Inoltre, occorre tenere presente che per alcune società la pandemia ha portato ad un risparmio di costi riconducibili ad es. a minori costi di affitto o minori spese per viaggi, trasferte e ospitalità;

◆ in alcuni casi, i costi eccezionali possono essere traslati sui clienti o sui fornitori. L’accurata delineazione della tran-sazione e l’analisi di comparabilità dovrebbero portare a determinare chi sostiene in ultima istanza tali costi.

L’analisi dettagliata dei costi sostenuti per fronteggiare la pandemia (costi operativi eccezionali ed i costi non ricorrenti derivanti dalle mutate condizioni causate dalla pandemia) è necessaria nella predisposizione delle analisi di benchmark. Potrà emergere, come necessario, dover procedere ad even-tuali aggiustamenti a livello di tested party e/o comparables per uniformare le diverse prassi di contabilità, lì dove sia ragio-nevole ritenere che tali aggiustamenti portano a risultati più affidabili. La presenza di costi eccezionali, infatti, dovrebbe essere esclusa in linea generale dal calcolo dell’indicatore di profitto netto, salvo che non si riferiscano alla transazione controllata accuratamente delineata. L’esclusione di tali costi deve però essere uniforme sia a livello della società controllata che dei soggetti comparabili, potendo creare problematiche relative alla disponibilità dei dati.

IV. I programmi di sostegno governativoI programmi di sostegno governativi sono definiti dal docu-mento OCSE come misure, monetarie o meno (detrazioni fiscali, sussidi per gli investimenti, dilazioni di finanziamenti, ecc.), che si risolvono in un’agevolazione per i destinatari, ai quali sono concessi.

I termini e le condizioni dei programmi di sostegno governa-tivi relativi al Covid-19 dovranno essere considerati al fine di valutare il potenziale impatto sulle transazioni infragruppo e sulle transazioni comparabili.

Le Linee Guida dell’OCSE qualificano i programmi di soste-gno governativi come una caratteristica del mercato di riferimento nel quale le parti operano. Per valutare corretta-mente le implicazioni connesse alla fruizione di sovvenzioni statali si dovrà tener conto di una serie di fattori. Ad es. se il programma procura al Gruppo multinazionale un vantaggio sul mercato oppure eventuali maggiori entrate, diminuzione di costi procurati dai programmi in questione, in confronto a quelli conseguiti da soggetti potenzialmente comparabili, oppure ancora se queste misure sono trasferite o meno alle parti indipendenti (clienti e fornitori).

Questi aspetti devono essere presi in considerazione nell’ambito dell’analisi di comparabilità, in quanto potrebbero limitare l’effetto delle sovvenzioni statali sul prezzo dei beni o servizi offerti dall’entità ricevente tali sovvenzioni.

Di fondamentale importanza risulta anche capire come il Gruppo multinazionale ha risposto alla presenza di pro-grammi di sostegno governativi e se questi hanno portato ad un cambiamento della strategia di prezzo verso parti non correlate. Sarà necessario un’analisi specifica case-by-case al fine di comprendere se gli stessi hanno avuto effetti sulle politiche dei prezzi di trasferimento.

L’OCSE in aggiunta evidenza che i governi dei vari Paesi sono intervenuti con misure differenti rispetto alle sovvenzioni governative concesse. Aspetto questo che può incidere senza dubbio alcuno sull’analisi di comparabilità se si considera che il trattamento contabile dell’effetto economico delle sovven-zioni pubbliche in base a principi contabili diversi può avere un impatto differente su diversi livelli di redditività (ad es. utile lordo, utile operativo, utile netto, ecc.).

Laddove i trattamenti contabili dello stesso tipo di sov-venzione differiscono tra la parte testata e le società comparabili, potrà essere necessario effettuare un aggiu-stamento di comparabilità al fine di migliorare l’affidabilità dell’analisi.

Premesso quanto sopra, per superare tali difficoltà l’OCSE suggerisce di (i) effettuare aggiustamenti di comparabilità, (ii) utilizzare comparabili appartenenti alla stessa area geo-grafica e (iii) utilizzare più di una metodologia di analisi per corroborare il riscontro alle condizioni di libera concorrenza.

V. Gli APAsL’OCSE analizza l’impatto che mutamenti significativi nelle circostanze economiche del mercato di riferimento derivanti dalla pandemia possono avere su (i) accordi preventivi conclusi ed efficaci per l’anno 2020 e annualità successive poten-zialmente impattate dagli effetti del Covid-19 e (ii) accordi preventivi in corso di negoziazione che una volta conclusi si applicheranno all’anno 2020 e successivi.

Le indicazioni fornite dall’OCSE nelle linee guida intro-dotte, non sembrano particolarmente innovative rispetto a quanto già in applicazione. Nel contesto di un favor per la conservazione, l’OCSE osserva come gli APAs attualmente in essere dovrebbero continuare ad essere rispettati, salvo che si verifichino le condizioni per una loro revisione ovvero il loro annullamento. Infatti, una loro eventuale revisione non andrebbe considerata nel caso in cui i mutamenti delle condizioni economiche non avessero comportato alcuna modifica delle condizioni dell’accordo, e pertanto quest’ultimo potrà essere ritenuto valido. In ogni caso, il contribuente oppure l’Amministrazione finanziaria non possono di propria iniziativa venire meno al rispetto dei termini stabiliti con gli accordi preventivi già definiti a causa del cambiamento delle condizioni economiche. Occorre, di contro, evidenziare che ad avviso dell’OCSE i contribuenti dovrebbero adottare un atteggiamento trasparente e collaborativo, rendendo disponibili all’Amministrazione finanziaria competente le informazioni dell’impatto delle attuali condizioni economiche sull’accordo, producendo (se del caso) anche la necessaria documentazione di supporto ad evidenza degli effetti subiti.

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Diritto tributario internazionale e dell’UE

Con riferimento alla valutazione dell’impatto della pandemia Covid-19 sui business durante l’anno 2020, l’OCSE osserva che nel caso in cui i mutamenti delle condizioni economi-che non abbiano comportato alcuna violazione delle critical assumptions sottostanti l’accordo preventivo, quest’ultimo può essere ritenuto valido. In caso contrario, l’OCSE prospetta la possibilità di una revisione dell’accordo preventivo o anche una risoluzione. In ogni caso la valutazione è da disporsi case-by-case.

Per quanto riguarda, invece, gli effetti del Covid-19 in relazione ad accordi recentemente conclusi o in corso di negoziazione, l’OCSE propone di adottare un approccio flessibile e collabo-rativo che permetta sia al fisco che al contribuente di valutare contestualmente gli effetti delle mutate condizioni economi-che. E su tali basi l’OCSE suggerisce una serie di metodologie da adottare, quali:

◆ Term test: valutazione dei risultati in tutto il periodo di vali-dità dell’accordo e non per singolo anno di imposta;

◆ estensione del periodo di validità dell’accordo in combi-nazione con il Term test in modo da compensare i risultati eccezionali del 2020 con un maggior numero di annualità a condizioni normali;

◆ segregazione per anno di imposta, distinguendo tra gli anni colpiti dal Covid-19 e gli anni non colpiti;

◆ cancellazione dell’accordo per il 2020 con rinnovo per anni successivi, eventualmente rinegoziandone il contenuto;

◆ approccio aggregato per tutte le transazioni oggetto dell’accordo e in origine considerate separatamente al fine di verificare se congiuntamente possano soddisfarne le condizioni in termini di marginalità target;

◆ possibilità di stipulare: (i) due accordi separati, ossia un accordo “breve” avente ad oggetto i soli anni colpiti da Covid-19 e un accordo distinto per gli anni successivi; o (ii) un accordo per il periodo di tempo originariamente previsto (ad es. cinque anni) con una valutazione dell’im-patto Covid-19 ex post per ciascun anno interessato, con la possibilità di effettuare degli aggiustamenti retroattivi.

In ogni caso le Linee Guida OCSE ribadiscono il rilevante ruolo degli APAs, quale strumento volto a garantire certezza e trasparenza nei rapporti tra contribuenti e Amministrazione finanziaria[12].

VI. Il provvedimento Agenzia delle Entrate del 23 novem-bre 2020Con il Provvedimento del 23 novembre 2020, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha introdotto rilevanti e sostanziali modifiche alle disposizioni relative alla documentazione “idonea” a consentire il riscontro della conformità al principio

[12] In Italia, il comma 1101 dell’articolo unico della Legge di Bilancio 2021 (Legge [L.] n. 178/2020) ha introdotto alcune significative modifiche alla disci-plina degli “accordi preventivi per le imprese con attività internazionale” (cd. APAs). In sostanza, le novità introdotte dal comma 1101 riguardano un potenziamen-to dell’applicazione retroattiva degli APAs, estendendola ai periodi di imposta i cui termini di accertamento non risultano scaduti alla data di stipulazione dell’accordo.

della libera concorrenza dei prezzi di trasferimento e stabilisce i nuovi requisiti per l’accesso al regime premiale di Penalty Protection.

Il nuovo Provvedimento, per il quale è stata prevista l’adozione già a far riferimento dal periodo di imposta 2020, sostituisce il precedente del 29 settembre 2010 n. 137654. In particolare, l’art. 8 del Decreto ministeriale (D.M.) del 14 maggio 2018 ha previsto che, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, siano aggiornate le disposizioni relative alla documentazione in materia di prezzi di trasferimento e sta-biliti i requisiti di idoneità della stessa, in funzione dell’accesso al regime di cui agli artt. 1, comma 6, e 2, comma 4-ter, del Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 471/1997.

Con il nuovo Provvedimento, l’Agenzia delle Entrate ha voluto ribadire e chiarire che la documentazione debba essere consi-derata idonea laddove fornisca i dati e gli elementi conoscitivi necessari ad effettuare un’analisi delle condizioni e dei prezzi di trasferimento. E la documentazione “idonea” continuerà ad essere costituita dal Masterfile e dalla Documentazione Nazionale (o Country File), la cui predisposizione permette di beneficiare della disapplicazione delle sanzioni amministra-tive per infedele dichiarazione (cd. Penalty protection già sopra richiamata), in caso di rettifica del reddito derivante dalle operazioni infragruppo da parte dell’Amministrazione finan-ziaria. Infatti, al fine di essere immuni dalle sanzioni, come sopra osservato, Masterfile e Documentazione Nazionale[13] rappresentano la documentazione da consegnare in caso di controllo atta a consentire alle imprese residenti o stabilite nel territorio dello Stato, che si trovino in una o più delle ipotesi indi-cate negli artt. 110 comma 7, e 152 comma 3, nonché 166-ter comma 10 TUIR.

Tutti i soggetti che rientrano nell’ambito di applicazione della normativa in materia di transfer pricing hanno l’onere di predisporre il Masterfile (con facoltà di disposizione in lingua Inglese), documento che in precedenza era richiesto per le società residenti o stabili organizzazioni in Italia, e la Documentazione Nazionale. Analogamente anche le stabili organizzazioni di società non residenti nel territorio dello Stato e le società residenti con stabili organizzazioni all’estero dovranno assolvere gli oneri documentali mediante la predisposizione dei due documenti.

Al fine di soddisfare i requisiti di idoneità, il Provvedimento prevede una sostanziale modifica della struttura rispetto alle precedenti disposizioni, nonché un ampliamento dei dati e delle informazioni che devono essere riportati nel Masterfile e nella Documentazione Nazionale, disponendo un profondo restyling conformandosi a quanto previsto dall’Azione 13 del Progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) dell’OCSE.

Il Masterfile deve contenere informazioni relative al gruppo multinazionale e deve essere articolato in capitoli e paragrafi, ciascuno contenente le informazioni desumibili dalla relativa

[13] Di cui all’art. 1, comma 6, e all’art. 2 comma 4-ter D.Lgs. n. 471/1997.

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336 giugno 2021

Diritto tributario internazionale e dell’UE

titolazione, come la struttura organizzativa, l’attività svolta per i capitali e ad es. i flussi delle operazioni, così come gli accordi per le prestazioni infragruppo per i paragrafi. In aggiunta, il Provvedimento in esame prevede la possibilità di redigere più di un Masterfile laddove il Gruppo realizzi attività tra loro diverse e disciplinate da specifiche politiche di prezzi di trasferimento. Ad es. in riferimento al Masterfile, viene attri-buita una maggiore rilevanza:

◆ all’individuazione dei fattori che caratterizzano la genera-zione del profitto del gruppo;

◆ alla struttura operativa; ◆ alla catena del valore, ponendo in evidenza un’ana-

lisi approfondita della catena produttiva/distributiva relativamente a prodotti e servizi che hanno un’impor-tante incidenza sul fatturato del gruppo;

◆ ai beni immateriali del Gruppo, richiedendo in aggiunta all’elenco degli stessi, anche gli accordi stipulati tra le società del Gruppo, le operazioni rilevanti avvenute tra le imprese associate e le relative politiche di transfer pricing adottate;

◆ alle attività finanziarie infragruppo, includendo informazioni relative alla modalità di finanziamento del Gruppo, l’indicazione delle entità che svolgono funzioni di finanziamento, e delle politiche di transfer pricing relative alle transazioni finanziarie infragruppo.

In sostanza, il Masterfile fornisce una panoramica del business del Gruppo multinazionale, inclusa la natura delle operazioni commerciali a livello globale (catena del valore, le politiche generali dei prezzi di trasferimento e l’allocazione a livello globale del reddito e delle attività economiche, per consentire alle Amministrazioni fiscali di valutare la presenza di un signi-ficativo rischio dei prezzi di trasferimento.

Quale ulteriore novità introdotta si osserva che risulta neces-sario allegare il bilancio consolidato del Gruppo, nonché un elenco di tutti gli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento e i ruling preventivi transfrontalieri sottoscritti o rilasciati dalle Amministrazioni finanziarie in cui il Gruppo opera.

La Documentazione Nazionale, strutturata analogamente al Masterfile, (capitoli, paragrafi e sotto paragrafi), raccoglie le informazioni infragruppo relative all’entità locale. In sostanza, offre informazioni di maggior dettaglio relative a specifiche operazioni infragruppo, focalizzando l’attenzione sui dati concernenti l’analisi dei prezzi di trasferimento rela-tivi a transazioni tra un’impresa associata in un determinato Stato e le imprese correlate in Stati differenti.

Nello specifico, in riferimento alla Documentazione Nazionale, viene richiesto che contempli:

◆ entità residente (storia, evoluzione recente, mercato di riferimento, struttura operativa);

◆ singole e specifiche operazioni infragruppo (con indicazione della natura delle operazioni, ammontare, controparti, analisi di comparabilità e metodo di transfer pricing adottato).

In aggiunta, tra le novità introdotte dal Provvedimento, la Documentazione Nazionale dovrà evidenziare i riporti funzionali delle risorse impiegate in ciascuna unità organizzativa, nonché in eventuali riorganizzazioni o trasferimenti, anche di beni immateriali, che abbiano interessato l’entità locale. Si dovrà poi motivare, rispetto ai criteri di scelta e applicazione del metodo adottato, l’eventuale scelta di testare l’operazione sulla base dei dati pluriennali, così come fornire un’esaustiva descrizione rispetto a eventuali rettifiche di comparabilità adottate, evidenziandone le motivazioni; indicare le principali critical assumptions adottate nell’applicazione del metodo di transfer pricing, evidenziando gli impatti derivanti da eventuali modifiche delle stesse.

Il Provvedimento vigente prevede altresì che siano disposte integrazioni relativamente ai dati di natura economico-finan-ziaria. Ad es. alla documentazione risulta necessario allegare il bilancio consolidato del Gruppo, nonché un elenco di tutti gli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento e i ruling preventivi transfrontalieri sottoscritti o rilasciati dalle Amministrazioni finanziarie in cui il Gruppo opera.

Il Kit documentale, rappresentato appunto dal Masterfile e dalla Documentazione Nazionale, che il Provvedimento disciplina come necessario e obbligatorio, consente di evitare le sanzioni per infedele dichiarazione, in quanto consente di applicare (e con spirito collaborativo consente la verifica) i prezzi di trasferimento praticati nelle transazioni con imprese associate.

Per quanto riguarda, invece, le piccole e medie imprese (PMI) – meglio identificate come le imprese che registrano un volume di affari o ricavi inferiore a 50 mio. di euro –, viene confermata la semplificazione già prevista dal previgente Provvedimento, ossia a facoltà di non aggiornare i capitoli relativi alle transazioni infragruppo nei due periodi di imposta successivi, a condizione che l’analisi di comparabilità si basi su dati rilevabili da fonti pubblicamente disponibili e che non si siano registrate modifiche significative nei vari periodi di imposta.

A tal proposito va evidenziato che il provvedimento esclude dalla definizione di PMI i soggetti residenti che sono con-trollati direttamente o indirettamente da un soggetto non qualificabile come.

Ulteriore novità introdotta dal Provvedimento, è rappresen-tata dalla Documentazione necessaria per quanto riguarda i servizi a basso valore aggiunto[14] (di cui all’art. 7 del Decreto

[14] L’OCSE fornisce una definizione riferendosi a quei servizi infragruppo svol-ti da una o più entità di un Gruppo multinazionale per conto di una o più entità del medesimo Gruppo che: (i) hanno natura di supporto; (ii) non sono parte dell’attività principale del Gruppo multinazionale, ossia non favoriscono la cre-azione di attività profittevoli o contribuiscono ad attività economicamente significative del Gruppo multinazionale; (iii) non richiedono l’uso di beni imma-teriali unici e di valore e non portano alla creazione di beni immateriali unici e di valore; (iv) non comportano l’assunzione o il controllo di un rischio sostanziale o significativo da parte del fornitore del servizio né tantomeno generano in capo al medesimo l’insorgere di un rischio significativo.

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Diritto tributario internazionale e dell’UE

del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 14 maggio 2018). Il Provvedimento nel merito prevede la possibilità di utilizzare un approccio semplificato. In tal caso, è richiesta un’apposita documentazione, in aggiunta al Masterfile e alla Documentazione Nazionale, contenente:

a) la descrizione dei servizi infragruppo,b) i relativi contratti di servizi/fornitura,c) la valorizzazione delle operazioni,d) i relativi prospetti di calcolo con cui si è effettuata la valo-

rizzazione delle operazioni,e) eventuale documentazione.

Documentazione che può essere anche integrata (al cap. 2) nella Documentazione Nazionale ai fini della Penalty protection.

In merito alla decorrenza delle nuove disposizioni recate dal Provvedimento, queste trovano applicazione a partire dal periodo di imposta in corso alla data della sua pubblicazione (23 novembre 2020) e, quindi, per i soggetti con il periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, le nuove disposizioni trovano applicazione a partire dal periodo d’imposta 2020.

Le novità relative ad aspetti formali riguardano sommaria-mente quanto segue:

◆ il Masterfile e la Documentazione Nazionale devono essere redatti in lingua italiana; tuttavia, il Masterfile può essere presentato in lingua inglese;

◆ il Masterfile e la Documentazione Nazionale devono essere firmati dal legale rappresentante o da un suo delegato mediante firma elettronica con marca temporale (aspetto di assoluta novità) da apporre entro la data di presen-tazione della dichiarazione dei redditi, analogamente a quanto già previsto per il regime di autoliquidazione e di Penalty protection in materia di Patent Box;

◆ la documentazione deve essere presentata in formato elettronico ed è esibita entro venti giorni dalla relativa richiesta (prima pari a dieci giorni);

◆ la documentazione deve essere redatta su base annuale, produce effetti esclusivamente per il periodo d’imposta cui si riferisce e deve essere conservata fino al termine di decadenza per l’accertamento.

In riferimento alla comunicazione all’Agenzia delle Entrate del possesso della documentazione, tecnicamente nulla cambia rispetto a quanto previsto in precedenza. In caso di successiva dichiarazione presentata per correggere errori od omissioni derivanti dalla non conformità al principio di libera concorrenza delle condizioni e dei prezzi di trasferimento e che abbiano determinato l’indicazione di un minore imponibile o, comunque, di un minore debito d’imposta oppure di un maggiore credito (cd. dichiarazione integrativa a sfavore), la documentazione idonea può essere integrata o modificata e la relativa comunicazione all’Agenzia delle Entrate deve essere effettuata unitamente alla presentazione della suddetta dichiarazione integrativa a sfavore.

Il Provvedimento fa riferimento al concetto di “modifica” e “integrazione”. Ne deriva che, l’opzione per l’accesso al regime in esame può essere esercitata dal contribuente soltanto nella dichiarazione originariamente presentata.

VII. ConclusioniPare evidente, in conclusione, come sia le Linee Guida OCSE che il Provvedimento interno dell’Agenzia delle Entrate vadano in un certo senso nella medesima direzione. Descrivere e rap-presentare in modo analitico e dettagliato, nonché accurato e ragionato anche la singola transazione, può favorire l’approc-cio valutativo che le Amministrazioni finanziarie si troveranno a dover porre in essere, rispetto ad es. a transazioni che si sono realizzate in tempi Covid-19 e da valutare sulla base del principio cardine della libera concorrenza. Principio che deve essere riconsiderato linearmente allo scenario “globale” mutato che la pandemia Covid-19 ha imposto, così che la definizione e la verifica dei prezzi di trasferimento possa tener conto dello scenario economico di riferimento.

Favorire un approccio basato sulla flessibilità e sulla collabo-razione è senza dubbio l’obiettivo a cui tendere, sia dal punto di vista del contribuente, ossia il Gruppo multinazionale che opera su sfera globale, sia da quello delle Amministrazioni finanziarie. Da un lato, al contribuente viene richiesta una nuova modalità di organizzazione e di rappresentazione della documentazione giustificativa delle politiche in tema di tran-sfer pricing adottate ed adeguate in tempi condizionati dalla pandemia; dall’altro lato, le Amministrazioni finanziarie sono chiamate ad adeguarsi ai nuovi contesti che richiedono l’ado-zione di nuovi approcci valutativi, come ad es. la capacità di strutturare il sistema dei controlli in modo da rendere compa-rabili le operazioni oggetto di analisi rispetto ad un coerente modello di riferimento che ha impattato sul concetto di libera concorrenza, ma dal quale però, come fortemente indicato dall’OCSE, non si può prescindere per valutare le transazioni Intercompany.

Rendere disponibile una completa e ragionata docu-mentazione tale da facilitare l’esecuzione dei controlli, insieme ad un approccio basato sulla collaborazione e sulla comprensione, renderà più agevole qualunque eventuale con-tradditorio in tema di prezzi di trasferimento tra contribuente e Amministrazione finanziaria relativamente a transazioni cross-border condizionate dal contesto pandemico.

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Diritto tributario internazionale e dell’UE

Edward-Hector SpiteriAccountant with specialisation in taxationTutor for research studies at the University of Malta

DAC6 – Its change to Malta’s tax ecosystem

The Maltese Implementation of DAC-6

DAC-6 implementation in several national legal systems is overhauling the relationship between Tax administrations and the practice. International tax planning, transparent tax consultancy and teh (new) duties of disclosure seem to collide with the client-attorney privilege and privacy that are tradi-tionally granted in such circumstances by the Code of Ethics and the Law. Malta is caught in many respects in the crossfire: Brussels-imposed new transparency clashes here with the tra-ditional discretion and privacy of the practitioners operating in the Island. This article helps and understand the limits of the professional secrecy in Malta and the extension of the privilege in the Maltese legal system, in the attempt to cope with the new European rules.

◆ to obtain early information about potentially aggressive or abusive tax avoidance schemes in order to perform an adequate risk assessment;

◆ to identify schemes, including users and promoters of these, in a timely manner;

◆ to act as a deterrent, that is to reduce the promotion and use of avoidance schemes.

Action 12 introduces MDR as being either transaction based, or promoter based, and its design principles have been enacted in a manner that:

◆ MDRs should be clear and easy to understand; ◆ MDRs should balance additional compliance costs to

taxpayers with the benefits obtained by the tax adminis-tration;

◆ MDRs should be effective in achieving the intended policy objectives and accurately identify relevant schemes;

◆ Information collected under MDRs should be used effec-tively.

The scope is anyway not broad enough to cover VAT, customs and excise duties and eventually compulsory social contribu-tions, but it considers local financial transaction taxes, stamp duties and insurance taxes as well[3].

In this regard, DAC 6 is the latest update in a series of EU initiatives in the field of automatic exchange of information in tax matters (DAC 1-5)[4], introducing MDR: yet despite the coherence of the directive, the Maltese reaction to its implementation hasn’t been positive[5]. Most of the stake-holders on the island emphasized the possible threat to the

[3] Mandatory Disclosure Rules, Action 12, 2015, Final Report.[4] Council Directive 2018/822/EU of 25 May 2018; Marco Greggi/Fran-cesca Amaddeo, Lo scambio di informazioni in materia tributaria, in: Fabrizio Amatucci/Roberto Cordeiro Guerra (ed.), L’evasione e l’elusione fiscale in ambi-to nazionale e internazionale, 1st ed., Rome 2017, p. 645.[5] Observation made in research, to date of this article no DAC 6 report has been sent by subject person to the Tax Authorities.

I. Introduction: The Goals of DAC 6 StrategyThe directive on administrative cooperation - DAC 6[1] - is one of the latest products of the European relentless activity in the field of tax transparency and exchange of information. It is possible to trace back its roots to the BEPS Action 12 Final Report[2], which provided a set of recommendations for the design of mandatory disclosure rules. In this respect, transparency is one of the three pillars of the OECD/G20 BEPS Project objective of Mandatory Disclosure Rules (from now on, MDR), and it covers several priorities, including:

[1] Council Directive 2018/822/EU of 25 May 2018. Arthur Bianco, “DAC6 and the Challenges Arising from Its Disclosure Obligation”, EC Tax Review 30, n. 1 (2021): 8.[2] The OECD BEPS 2015 Final Reports.

I. Introduction: The Goals of DAC 6 Strategy ................. 338II. The Maltese implementation ....................................... 339III. Continued: The Maltese approach to the Directive 339IV. Continued: The Reporting Obligations in Malta .....340V. Conclusions ......................................................................340

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Diritto tributario internazionale e dell’UE

professional secret and the client – attorney privilege as it is routinely granted in the Island[6].

II. The Maltese implementationWith the introduction of DAC 6 in Malta by way of transpo-sition into Maltese Law by way of Act n. 342 of 2019[7], tax planning evolved in a way to be particularly sophisticated, possibly entailing further elaborated strategies by tax advisors. Tax authorities need comprehensive and relevant informa-tion to react promptly against harmful tax practices. Thus, reporting of potentially aggressive cross border tax-planning arrangements can contribute effectively to the efforts for creating an environment of fair taxation, by obliging interme-diaries to share certain information with tax authorities and these share this information with other Member States.

In Malta, the reporting duty is placed upon all the actors that are usually involved in designing, marketing, organizing or managing the implementation of a reportable cross-border transaction or a series of such transactions, as well as those who provide assistance or advice. In certain cases, the report-ing obligation would not be enforceable upon an intermediary due to a legal professional privilege or where there is no intermediary under the Maltese regulations applicable. These provisions, as a matter of fact, have been left unaffected by the European discipline, thus professional secrecy as ordinarily understood in Malta is still applicable irrespective of DAC-6.

The definition of an intermediary is however now broader as to capture any person that designs, markets, organizes or makes available for implementation or manages the imple-mentation of a reportable cross-border arrangement[8]. An intermediary may also be a person who directly or indirectly provides aid, assistance or advice as regards any of the above-mentioned activities.

Additionally, an intermediary must be:

◆ resident for tax purposes in a Member State; ◆ incorporated in and/or governed by the laws of a Member

State; or ◆ have a permanent establishment in a Member State

through which services with respect to the arrangement are provided; or

◆ registered with a professional association related to legal, taxation or consultancy services within a Member State.

Due to this wide net used so as to place all service providers in the spotlight most professionals of both the financial and

[6] Finding made by researcher in focus groups held to gather Field research. See on this André Zarb/Raluca Enache, Malta – Mandatory Disclosure Rules, KPMG, January 2020. See in particular p. 2 of the aforesaid report.[7] 17 December 2019. The office of the Commissioner of Revenue has also released further guidance as to the proper interpretation of the law on 4 January 2021 (S.L. 123.127); Ruth Bonnici, Comments on the Maltese DAC6 Implementation and Interpretative Guidance, European Taxation, no. 5/2021, p. 222.[8] Council Directive 2018/822/EU of 25 May 2018, as transposed in Maltese Law by L. N. 342 of 2019.

legal arena have adopted the philosophy of being reactive when it comes to giving advice, rather than proactive, as the modern dynamic economy would need.

III. Continued: The Maltese approach to the DirectiveA cross-border arrangement becomes reportable once it has one or more of the hallmarks identified within the Directive[9]. These conditions are split into 5 categories (from A to E). Hallmarks are features or characteristics in a transaction that could potentially enable tax avoidance or abuse. They can be either standalone or to be analyzed cumulatively with a second test for the cross-bor-der arrangement to be reportable. Hallmarks are classified as either generic or specific, and may be subject to a “main benefit test”[10].

The “Main benefit test” is satisfied if it can be established that the main advantage or one of the main benefits which, having regard to all relevant facts and circumstances, a person may reasonably expect to derive from an arrangement is a tax advantage[11]. Such a justification test is of high controversy to the profession of a tax advisor when full consideration is made to DAC6 the tax advisory role in itself. The role of a tax advisor in practice is that of giving the client tax related advice in obtaining an advantage position to the entity whilst not incurring additional taxes and still being in conformity to the related laws. If however the role and duties of the tax advisor are to become more restrictive in the future by the additional disclosure obligations being introduced within the European legislation then it is likely that the role of a tax advisor will be reduced to a tax compliance role and eliminate all advi-sory functions. Thereby belittling the profession and simple reducing the job of a tax consultant to simply a office desk job where by statutory compliance documents are done. That is to say: are tax advisors and advocates in the matter of taxation destined to start giving advice on structuring an economic activity that maximizers the taxation charge rather than minimizing it? – This situation of confusion[12] is undoubtedly an issue that questions the very principle of the advisory role of financial consultants and advocates in Malta.

To the latter mentioned, an argument put against this is that of the Anti-Tax Avoidance Directive GAAR which refers that[13]: “There shall be ignored an arrangement or a series of arrangements which, having been put into place for the main purpose or one of the main purposes of obtaining a tax advantage that defeats the object or purpose of the applicable tax law, are not genuine having regard to all relevant facts and circumstances. An arrangement may comprise more than one step or part. An arrangement or a series thereof shall be regarded as non-genuine to the extent that they are not put into place for valid commercial reasons which reflect economic reality”.

[9] Council Directive 2018/822/EU of 25 May 2018, p. 2.[10] Council Directive 2018/822/EU of 25 May 2018, p. 2, Category A, B & C.[11] See the guidance of the Maltese Tax office mentioned at footnote 2 above.[12] George M. Mangion, Let Us Talk about DAC6, Malta Independent, 24 February 2021.[13] ATAD EU 2016/1164 as transposed into Maltese Law by L.N 411 of 2018.

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340 giugno 2021

Diritto tributario internazionale e dell’UE

Thus, the argument put forward here is that a doctrine such as the GAAR should surely have a superseding power over the newly established directive – DAC 6. In light to this conflict in interpretation of GAAR and DAC 6 arise. This is due to GAAR providing for an omission of a tax advantage offence as mentioned in the quote above, whilst DAC 6 is obliging a reporting obligation of all tax planning arrangements with the intension of obtaining a reduction in tax charge.

IV. Continued: The Reporting Obligations in MaltaAn intermediary is supposed to file an information on report-able cross-border arrangements to the tax authorities when some conditions are met under domestic regulations[14] (enacting the directive):

a) if it is resident for tax purposes in Malta;b) if it has a permanent establishment in Malta through

which the services with respect to the arrangement are provided;

c) if it is incorporated in Malta, or governed by the laws of Malta;

d) if it is registered with a professional association related to legal, taxation or consultancy services in Malta.

Hence, since Malta is a small island State that promotes for-eign investment and start up facilities, a number of reportable events will be triggered: this will ultimately lead to a reduction in value of the client attorney privilege that practitioners so proudly uphold to in the country.

As for what concerns the waiver from filing in information, Regulation 13(7)(e)[15] provides that an intermediary whose profession is referred to in Article 3 of the Professional Secrecy Act has the right to a waiver from filing information on a reportable cross-border arrangement where the reporting of such information would constitute an offence under article 257 of the Maltese Criminal Code.

Article 3 (1) of the Professional Secrecy Act of Malta[16] is applicable to the following list of practitioners: “[…] members of a profession regulated by the Medical and Kindred Professions Ordinance, advocates, notaries, legal procurators, social workers, psychologists, accountants, auditors, employees and officers of financial and credit institutions, trustees, officers of nominee com-panies or licensed nominees, persons licensed to provide investment services under the Investment Services Act, stock brokers licensed under the Financial Markets Act, insurers, insurance agents, insurance managers, insurance brokers and insurance sub-agents, officials and employees of the State”.

Article 257 of the Criminal Code moreover adds that: “[i]f any person, who by reason of his calling, profession or office, becomes the depositary of any secret confided in him, shall, except when compelled by law to give information to a public authority, disclose

[14] Laws of Malta, L. N 342 of 2019.[15] Laws of Malta, L. N 342 of 2019, Regulation 13(7)(e).[16] Laws of Malta, Chapter 377, Article 3(1).

such secret, he shall on conviction be liable to a fine or to imprison-ment […]”.

In this regard, the infringement of professional secrecy is seen as a criminal offence and only the law courts of Malta or any higher courts have the power to remove one’s professional secrecy[17]. However with relation to the legal practice the Client-Attorney privilege cannot be removed by any Court as the latter would be exposed to case sensitive information that was disclosed only by the client to the attorney in good faith in belief that the attorney will be acting as the defense lawyer.

The condition is that intermediaries may only be entitled to a waiver to the extent that they operate within the limits of the Maltese relevant law, which defines the profession of the case. If an intermediary has the right to waive his reporting obliga-tions and exercises such right, the reporting obligations shifts to any other intermediary involved in the same arrangement, or the relevant taxpayer if there is no other intermediary.

If an intermediary exercises its right to a waiver, he/she must notify, no later than seven working days from the relevant date, any other intermediary or the relevant taxpayer of their reporting obligations. Notification shall be made in writing on an ad hoc basis and shall include details of the intermediary exercising the waiver, including the name, address and tax identification number.

The waiver of reporting obligations contemplated in Regulation 13(7) of the Cooperation Regulations[18] is not applicable in case of a reportable marketable arrangement.

Intermediaries waiving their reporting obligation are required to notify the Commissioner for Revenue on an annual basis of those reportable cross border arrangements in respect of which the reporting obligation was waived, to another intermediary or the relevant taxpayer. Notifications shall contain the identification of the intermediary, the applicable Arrangement ID (or the date when the Arrangement ID was requested the date when the intermediary advised of the waiver) and the identification of the person to whom the obligation was waived (address, country of tax residence and tax identification number).

V. ConclusionsThe European Union policymakers in the field of taxation have been intensively working on tax transparency for years: this is a decade’s long march that started with the necessity to share pertinent information on cross border transactions (including payment mechanisms) and has now led up with the DAC6. The journey is not yet over, as DAC7 has been very recently rolled out, extending the duty of reporting to digital platforms as to drain in the swap of the (possible) tax evasion in the digital economy.

[17] Laws of Malta, Chapter 377, Article 6A(b)[18] Laws of Malta, L. N. 342, Article 7(e).

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341 giugno 2021

Diritto tributario internazionale e dell’UE

In this respect, the strategy of the Commission is clear and coherent: to extend the duty of disclosure, and the con-sequent liabilities, to other entities but the taxpayer. Tax preparers, advisors, counsellors are in a way pawns in this eternal chess game. More than that’s the duty of reporting that been remarkably anticipated, as now disclosure must occur long before the relevant business operation has been enacted.

This sort of two-prong strategy would eventually provide more comprehensive data in a timely manner to the tax office of the case, allowing fast reaction mechanisms and curbing the possibilities of avoidance or aggressive tax planning.

There is however one aspect that arguably the European legislator did not consider properly. Namely, the fact that the intermediaries called to comply are not in the same juridical position the taxpayer is. Thus, they are different subjects with distinct possibilities and with separate legal remedies availa-ble in case of conflict with the tax administration.

As for the taxpayer, any possible miscarriage in the audit phase will resonate in the assessment by the tax administration. In the case of litigation with the tax office the taxpayer can have a judicial review (in most of the jurisdictions) of the decision by the tax office on several grounds. Serious violations might ultimately lead to have the assessment declared void and deprived of any effect. This is what happened in the past (in some jurisdictions) with the application of the “Poisonous tree’s fruit” doctrine to the assessment activity based on evidence collected in breach of the law: in these scenarios taxpayer enjoyed some sort of ex post protection from an improper activity of the tax administration.

In the case of DAC6 the context is different. Intermediaries pushed to disclose do not qualify for an ex post protection from the improper audit and they are left out of any possible judicial review. They are not part of the possible future tax litigation, in which they will have no possibility to bring their case and their evidence.

Although they are not directly interested by the audit per se, yet they are in most of the situations bound to the taxpayer under a contract, with professional privilege and conditions. They are, in many respects, potentially caught between two fires. The European legislator is aware – arguably – of this paradox, as it clearly states that confidentiality has to be considered and the relation with the client to be taken into account. Yet according to the overall architecture of the DAC6 is difficult (if not impossible) to strike a balance between an unrestrained duty of reveal, and the traditional, customary, duty of confidentiality.

In this brief research, the possible conclusion would be to draw a distinction between two categories of consultants: the lawyers (individuals practicing the law according to the legislation in the home country and under the control of a guild, association, bar or equivalent) and the others.

For the first category, DAC6 should have no ground of application whatsoever, given the client-attorney privilege part of customary law and a fundamental pillar of the Rule of Law. In this respect a possible sub-distinction could be drawn between information received and recommendations given (with only the first one covered by the privilege), yet in practical terms such a separation would be unfeasible as recommendations given essentially are on the basis of the information received during the consultancy activity.

For the second category, the duty of advanced disclosure and the application of DAC6 would be possible only when such a consultancy falls under the business activity and is managed via a commercial structure. Possibly the distinction between (intellectual) independent worker and business by the OECD, that has been obliterated in the past, would be useful to try and keep a distinction between the former and the latter. In this respect, a circumscribed application of DAC6, limited in scope but more in line with the fundamental principles of EU law would be the best solution and the more coherent one with taxpayers’ right and prerogatives, in all the states of the Union, not to mention the principle of proportionality.

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342 giugno 2021

Diritto finanziario

Filippo RecalcatiHead of global activities Ticinodell’Associazione svizzera digestori patrimoniali (ASG)

Disclaimer: l’autore si esprime a titolo personale

In una recente sentenza il Tribunale federale ha confermato la condanna di un Compliance Officer per violazione dell’obbligo di comunicazione ex art. 37 cpv. 2 LRD per negligenza

La violazione dell’obbligo di comunicazione

L’Alta Corte, con la sentenza TF n. 6B_786/2020 dell’11 gennaio 2021, si è espressa sulla violazione dell’obbligo di comunicazione, che prevede una multa fino a fr. 150’000 nel caso in cui venga omessa una segnalazione all’MROS. Questo rischio determina un atteggiamento molto più prudente, soprattutto da parte dei Compliance Officer, i quali, spesso, procedono a segnalare all’MROS delle situazioni per scongiu-rare l’apertura di procedimenti nei loro confronti. Purtroppo, questa circostanza finisce per scontentare tutti e rischia di creare momenti di tensione tra il Compliance Officer ed il consulente alla clientela e, in alcuni casi anche con il cliente dell’intermediario finanziario. Durante la sessione primaverile delle Camere federali, è stata dibattuta una revisione parziale della LRD, che ha quale oggetto anche il concetto di fondato sospetto, alla base dell’obbligo di comunicazione ex art. 9 LRD. Questo contributo non vuole essere una critica alla lotta contro il riciclaggio, che è uno dei pilastri della piazza finanziaria sviz-zera, quanto piuttosto una critica alle distorsioni di un sistema che possono avere effetti controproducenti, con un aumento di segnalazioni “infondate” o poco sostanziate per mancanza di informazioni precise da parte degli intermediari finanziari, con l’unico scopo di evitare un procedimento aperto nei confronti di Compliance Officer. Il sistema anti-riciclaggio all’interno degli intermediari finanziari non dovrebbe essere posto unicamente sulle spalle della Compliance, ma un coinvolgimento maggiore della prima linea di difesa e della Direzione Generale compor-terebbe senz’altro maggiore consapevolezza dei rischi e delle responsabilità.

I. I fattiLa fattispecie oggetto di analisi da parte del Tribunale federale (cfr. sentenza TF n. 6B_786/2020 dell’11 gennaio 2021) rispecchia un modus operandi abbastanza classico nell’ambito delle operazioni di riciclaggio di denaro. In realtà, la dinamica dei fatti risulta più complicata di quanto traspare dalla sentenza di ultima istanza.

Il signor C. ha aperto una relazione bancaria l’11 maggio 2011 presso la succursale del Canton Friburgo di una banca avente sede in Svizzera. Contestualmente, il cliente ha annunciato alla consulente della banca l’entrata per bonifico di non precisati fondi, indicando la propria intenzione di investire il denaro in alcuni progetti. L’indomani, sul conto sono stati accreditati euro 350’000, provenienti da una società francese F. Nel bonifico non era indicata alcuna causale. Il giorno stesso, C. si è recato in banca chiedendo di prelevare fr. 100’000 e ordinando diversi bonifici. C. ha evidenziato come vi fosse una certa urgenza.

C. ha inoltre spiegato che la somma di euro 350’000 era riconducibile ad un prestito personale, garantito da suo padre, al fine di liquidare i propri affari in Svizzera. Con l’importo di fr. 100’000 in contanti avrebbe liquidato una posizione debi-toria legata ad una società di franchising. Gli ulteriori bonifici avrebbero permesso di acquistare un’opera d’arte (fr. 98’000), accreditare fr. 58’400 a proprio favore presso un’altra banca, rimborsare un prestito concessogli da un conoscente (fr. 30’000), accreditare fr. 55’000 a favore di una società a garan-zia limitata dove egli era l’unico socio gerente e fr. 80’000 in favore di un’altra persona, indicata quale socio in un affare immobiliare. Inoltre, il cliente ha spiegato che, a seguito del suo divorzio, non voleva mantenere delle relazioni commer-ciali con la banca presso la quale intratteneva i propri conti personali legati all’ex coniuge e, di conseguenza, aveva deciso di aprire una nuova relazione presso una nuova banca.

Il consulente dell’agenzia non ha autorizzato il prelievo in contanti e bloccato, a titolo cautelativo, la relazione; ha inol-tre prontamente informato il servizio compliance della banca. Il

I. I fatti ...................................................................................342II. Sentenza TF n. 6B_786/2020 dell’11 gennaio 2021 .. 343A. Le motivazioni dei giudici ........................................................ 343B. Una sensibilità diversa? .............................................................344C. Le particolarità del caso ........................................................... 346D. Il procedimento penale in corso, quid comunicazione MROS? .................................................................. 347III. Rafforzare la prima linea di difesa .............................. 347IV. Conclusioni ...................................................................... 347

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343 giugno 2021

Diritto finanziario

una segnalazione all’MROS, anche dopo aver ricevuto notizia dell’apertura del procedimento penale aperto nei confronti di C. Il cliente è stato condannato per riciclaggio e falsità in documenti in relazione al bonifico di euro 350’000.

Il Ministero pubblico ha aperto in seguito una procedura penale nei confronti della banca e di due collaboratori della stessa per il reato di riciclaggio di denaro per omissione[2]. Il procedimento penale ha avuto un seguito solo nei confronti del responsabile della Compliance e la Corte degli affari penali del Tribunale penale federale ha assolto il Compliance Officer con sentenza del 25 marzo 2019[3]. Il Dipartimento federale delle finanze (DFF) ha interposto appello e la Corte d’appello ha ribaltato la decisione, condannando C. ad una pena pecuniaria di fr. 10’000 per violazione dell’obbligo di comunicare ex art. 37 cpv. 2 della Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo (LRD; RS 955.0) per negligenza[4]. Contro la sentenza di condanna il Compliance Officer ha interposto ricorso al Tribunale federale il quale ha confermato la sentenza di condanna[5].

II. Sentenza TF n. 6B_786/2020 dell’11 gennaio 2021A. Le motivazioni dei giudiciNella prima parte della sentenza il Tribunale federale esamina la prescrizione, giungendo alla conclusione che la decisione pronunciata al DFF comporta l’interruzione della prescrizione[6]. In seguito, viene affrontato il concetto di “sospetto fondato”[7] che fa nascere l’obbligo di comunicazione. L’obbligo di comunicazione si inserisce negli obblighi di diligenza particolari di cui all’art. 6 LRD, secondo cui, nella versione attuale “l’ intermediario finanziario è tenuto a identificare l’oggetto e lo scopo della relazione d’affari auspicata dalla contro-parte. L’entità delle informazioni da raccogliere, il livello gerarchico al quale decidere di avviare o proseguire una relazione d’affari e la periodicità dei controlli dipendono dal rischio rappresentato dalla controparte”. In particolare, deve chiarire le circostanze e lo scopo di una transazione o di una relazione d’affari se vi sono sospetti che i valori patrimoniali provengano da un crimine o

[2] Secondo l’art. 11 del Codice penale (CP; RS 311.0) “commette un crimine o un delitto per omissione contraria a un obbligo di agire chiunque non impedisce l’esposizione a pericolo o la lesione di un bene giuridico protetto dalla legislazione penale benché vi sia tenuto in ragione del suo status giuridico, in particolare in virtù: (a) della legge; (b) di un contratto; (c) di una comunità di rischi liberamente accettata; o (d) della creazione di un rischio”.[3] Sentenza del TPF n. SK.2018/32 del 25 marzo 2019. Per un commento su questa prima sentenza si legga ad es. Andrew Garbarski/Alain Macaluso, Violation de l’obligation de communiquer des soupçons de blanchiment d’argent (art. 37 LBA): le compliance officer ne répond pas des éventuels manquements du service juridique de la banque, in: https://verwaltungsstrafrecht.ch/fr/kategorien/droit-penal-administratif-materiel/violation-de-lobligation-de-communiquer-des-soupcons-de-blanchiment-dargent-art-37-lba-le-compliance-officer-ne-repond-pas-des-eventuels-manquements-du-service-juridique-de-la-banque (consultata il 15.06.2021).[4] Sentenza della Corte d’appello del TPF n. CA.2019/7 del 28 maggio 2020.[5] Sentenza del TF n. 6B_786/2020 del 11 gennaio 2021.[6] Il tema della prescrizione meriterebbe di per sé stessa un approfondimento. Ricordo che la dottrina non è unanime al riguardo.[7] Si veda al riguardo ad es. Francesco Naef/Daniele Calvarese, in: NF 12/2017, p. 404 ss.; Daniel Thelesklaf/Ralph Wyss/Mark Van Thiel/Stilia-no Ordolli, GwG Kommentar/AMLA Commentary, 3a ed., Zurigo 2019, N 33 ad art. 9 LRD.

giorno dopo, ossia il 13 maggio 2011, D., Compliance Officer, ha chiesto al sostituto della consulente della relazione, di fornire informazioni supplementari su C., la produzione di documen-tazione di supporto sulle attività economiche, nonché sul prestito personale di cui avrebbe beneficiato C.

Lo stesso giorno il cliente ha trasmesso tutta la documentazione richiesta, estratti del Registro di Commercio, documenti di identità, un’attestazione del prestito, una conferma scritta della società relativa al bonifico di euro 350’000. Anche l’avvocato di C. aveva chiamato in banca facendo presente il carattere d’urgenza della transazione e paventando azioni di risarcimento nel caso in cui la banca non avesse dato seguito agli ordini del cliente.

Il 16 maggio 2011, sulla base delle informazioni raccolte, delle verifiche svolte sia in internet che attraverso la banca dati Factiva, i due Compliance Officer, che hanno gestito la pratica, sono giunti alla conclusione che non vi fossero indizi sufficienti per procedere ad una comunicazione all’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (MROS) per sospetto di riciclaggio di denaro, vietando comunque operazioni in contanti.

Lo stesso giorno D. ha inviato una e-mail al sostituto del con-sulente, con in copia il capo del dipartimento compliance della banca (il ricorrente), avente il seguente contenuto: “Je fais suite à notre conversation de ce jour. Sur la base des informations en notre possession, je ne m’oppose pas formellement à l’entrée en relation d’affaires avec Monsieur C. Les explications bien que confuses sont plausibles. Les transactions semblent avoir une réalité économique. A ce stade, je n’ai pas trouvé d’informations défavorables sur le client même si son profil et son rôle ne sont pas clairement établis. De plus, les autres intervenants existent. L’urgence de la demande du client et la manière qu’il a eu d’interpeller la banque sont des éléments à prendre en compte dans l’appréciation de ce cas mais ils ne sont pas déterminants. L’historique client devrait être étoffé pour envisager la suite. Une discussion sur la qualité d’ayant droit économique du client s’impose également. Toute transaction cash est formellement proscrite en I‘état. A mon sens, même si l’historique client devrait être complété de manière satisfaisante, B. SA n’a aucun intérêt à aller de l’avant avec ce client mais il s’agit là d’un aspect commercial que je laisse à votre appréciation ainsi qu’à celle de votre ligne. [...]”[1].

Il cliente si è, quindi, nuovamente recato presso gli uffici della banca e ha modificato gli ordini di bonifico conferiti in precedenza. In particolare, ha bonificato euro 270’000 in favore di un conto societario aperto presso la stessa banca. Il servizio compliance non è stato informato degli ordini di bonifico né tanto meno della chiusura del conto.

Il 18 maggio 2018, il Ministero pubblico del Canton Friburgo ha aperto una procedura penale nei confronti di C., e il 20 maggio ha emanato un ordine di perquisizione e sequestro concernente la relazione di C. presso la banca. Quest’ultima non ha proceduto nemmeno in quell’occasione ad effettuare

[1] Cfr. sentenza TF n. 6B_786/2020 dell’11 gennaio 2021 consid. 3.2.

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344 giugno 2021

Diritto finanziario

B. Una sensibilità diversa?La fattispecie risale al 2011, ormai dieci anni separano i fatti dalla condanna definitiva. Soprattutto in questo ambito percepita come un’era geologica. Seppur vero che gli articoli di legge non hanno subito radicali modifiche, così come traspare dalla motivazione della sentenza del Tribunale federale, da quando l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) annunciò un inasprimento del proprio agire, si è assistito anche ad un incremento delle procedure aperte nei confronti dei Compliance Officer, soprattutto avviate dal DFF[11]. Si potrebbe concludere che sia cambiato il rigore nell’applicazione della legge.

Benché nella valutazione a sapere se vi sia stata una violazione dell’art. 37 LRD[12] si debbano considerare uni-camente gli elementi presenti al momento della valutazione delle fattispecie da parte dell’intermediario finanziario, l’apertura a posteriori o addirittura una condanna per un crimine commesso dal cliente peserà spesso in modo decisivo sull’apprezzamento dei fatti che hanno portato l’intermediario finanziario a non comunicare il caso. A volte capita che la valutazione della diligenza venga giudicata a

[11] FINMA, Rapporto annuale 2020, in: https://www.finma.ch/it/~/media/finma/dokumente/dokumentencenter/myfinma/finma-publikationen/geschaeftsbericht/20200325-finma-jahresbericht-2020.pdf?la=it (consulta-to il 15.06.2021), p. 47. La FINMA sporge denuncia penale in caso di violazioni penalmente perseguibili del diritto in materia di vigilanza (in particolare viola-zioni dell’obbligo di comunicazione ai sensi dell’art. 9 LRD o attività svolte senza la necessaria autorizzazione).[12] Conformemente all’art 37 LRD, l’intermediario finanziario che sa o ha il sospetto fondato che i valori patrimoniali oggetto di una relazione d’af-fari sono in relazione con un reato ai sensi degli artt. 260ter cpv. 1 o 305bis CP, provengono da un crimine, sottostanno alla facoltà di disporre di un’organizza-zione criminale, o servono al finanziamento del terrorismo ne dà senza indugio comunicazione all’MROS (art. 9 cpv. 1 lett. a LRD, nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2015). La violazione intenzionale dell’obbligo di comunicazione è punita con la multa sino a fr. 500’000 (art. 37 cpv. 1 LRD). In caso di negli-genza l’ammontare massimo della multa è di fr. 150’000 (art. 37 cpv. 2 LRD). Perché vi sia una violazione dell’obbligo di comunicazione devono quindi esse-re adempiute quattro condizioni cumulative: (i) l’autore deve anzitutto essere un intermediario finanziario e (ii) i valori patrimoniali devono essere oggetto di una relazione d’affari; (iii) inoltre, l’intermediario finanziario deve sapere o ave-re il sospetto fondato che i valori patrimoniali sono in relazione con un reato ai sensi degli artt. 260ter e 305bis CP, che provengono da un crimine, che sotto-stanno alla facoltà di disporre di un’organizzazione criminale o che servono al finanziamento del terrorismo; (iv) infine, l’intermediario finanziario deve omet-tere di effettuare la comunicazione all’MROS, oppure effettuarla tardivamente. Il dovere di comunicazione di cui all’art. 9 LRD deve trovare concretizzazione all’interno del singolo istituto finanziario a mezzo di adeguate disposizioni interne concernenti il servizio di lotta contro il riciclaggio, avente come scopo quello di fornire il sostegno e i consigli necessari ai responsabili gerarchici e alla direzione nell’applicazione dell’autorità di vigilanza sui mercati finanziari sulla lotta contro il riciclaggio di denaro. Giusta l’art. 9 LRD, la comunicazione deve essere effettuata senza indugio. Anche una comunicazione tardiva costituisce una violazione dell’obbligo di comunicazione. Il reato è iniziato e consumato dal momento in cui vi è conoscenza, rispettivamente sospetto fondato, della situa-zione sottoposta all’obbligo di comunicazione, rispettivamente quando una tale conoscenza o un tale sospetto fondato avrebbe dovuto esserci. Questo è il caso segnatamente dal momento in cui sono state effettuate, rispettivamente avrebbero dovuto essere state effettuate, delle indagini che non hanno per-messo di dissipare il sospetto ma attraverso le quali, al contrario, il sospetto si è rivelato fondato. Il momento varia pertanto a seconda del caso concreto e vi è un certo potere discrezionale al riguardo. Sebbene l’obbligo di comunicazio-ne incomba principalmente all’intermediario finanziario, la persona fisica che non ha effettuato la comunicazione nonostante ne avesse il dovere, può essere punita ai sensi dell’art. 37 LRD.

da un delitto fiscale qualificato di cui all’art. 305bis n. 1bis CP, sot-tostiano alla facoltà di disporre di un’organizzazione criminale (art. 260ter cpv. 1 CP) o servano al finanziamento del terrorismo (art. 260quinquies cpv. 1 CP).

L’allegato dell’ORD-FINMA elenca degli esempi di indizi di riciclaggio. “Di per sé i singoli indizi non permettono di fondare un sospetto sufficiente dell’esistenza di una transazione di riciclaggio passibile di pena, tuttavia il concorso di diversi di questi elementi può indicarne la presenza”[8]. La plausibilità delle dichiarazioni del cliente sul retroscena economico di tali operazioni deve essere verificata. Al riguardo è importante che non tutte le dichiarazioni del cliente siano accettate senza essere esaminate e vagliate.

L’intermediario “deve appurare se la transazione sospetta è legale o se il sospetto era fondato ed è quindi necessario darne comunicazione all’Ufficio di comunicazione conformemente all’articolo 9 capoverso 1. Per poter decidere in merito, l’intermediario finanziario deve verifi-care i retroscena economici e lo scopo della transazione”[9].

L’MROS considera che la giurisprudenza del Tribunale federale vada nella direzione di un’interpretazione del concetto di sospetto fondato già preconizzata nel suo Rapporto del 2007. La sentenza, oggetto del presente contributo, riporta espressamente l’introduzione del citato rapporto: “Du point de vue du MROS, il s’agit bien plus de transmettre une communication au sens de l’art. 9 LBA si, selon diverses indications, selon l’obligation particulière de clarification prévue à l’art. 6 et selon les indices qui en résultent, l’intermédiaire financier présume ou du moins ne saurait exclure que les valeurs patrimoniales sont d’origine criminelle”[10].

Il Tribunale federale conclude che sicuramente la giurispru-denza ha concretizzato un’interpretazione evolutiva dell’art. 9 LRD. D’altra parte, il ricorso ad una nozione giuridica indeterminata nella legge deve precisamente permettere di lasciare alla pratica un certo margine di interpretazione nella sua applicazione. Inoltre, a mente dei giudici dell’Alta Corte, il concetto di “fondato sospetto” ha continuato ad essere interpretato nello stesso modo e, quindi, in modo sufficien-temente prevedibile.

Detto questo il Tribunale federale indica che il ricorrente non avrebbe provato, come sostenuto, che l’istanza inferiore avrebbe interpretato in maniera estensiva il concetto di fondato sospetto e respinge quindi il ricorso.

[8] Così nella versione attualmente in vigore.[9] Cfr. FF 1996 III 993, p.1020.[10] Per semplicità di lettura viene qui ripresa anche la versione in italiano: “L’Ufficio di comunicazione ritiene piuttosto che occorra trasmettere una comu-nicazione in virtù dell’articolo 9 LRD se è possibile presumere o perlomeno non si può escludere che i beni siano di provenienza criminale, sulla base delle informa-zioni, dell’obbligo di chiarimento di cui all’articolo 6 LRD e degli indizi che da esso risultano” (Ufficio federale di polizia fedpol, Rapporto 2007, Rapporto d’atti-vità dell’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro MROS, aprile 2008, p. 3, in: https://www.fedpol.admin.ch/dam/fedpol/it/data/kriminalitaet/geldwaescherei/jabe/jb-mros-2007-i.pdf.download.pdf/jb-mros-2007-i.pdf [consultato il 15.06.2021]).

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oggettivamente molto difficile, anche se non sempre la cosa è ben compresa dalle autorità. Difficile spiegare ad un cliente il motivo per il quale il suo bonifico non venga eseguito nelle usuali tempistiche.

Che questi temi siano di estrema importanza ed attualità lo testimonia anche il fatto che proprio nel corso della sessione primaverile delle Camere federali[19], nell’ambito della revi-sione parziale della LRD, il concetto di “fondato sospetto” e della responsabilità in caso di omessa segnalazione sono stati al centro del dibattito parlamentare[20].

Da notare che avvocati, notai e consulenti[21] non saranno assoggettati alla normativa contro il riciclaggio di denaro. Il Consiglio nazionale ha infatti accettato, con 108 voti contro 86, di escluderli dalla relativa revisione di legge.

Anche l’art. 9 LRD è stato oggetto di discussione e dibattito. Rispetto alla versione uscita dal Consiglio degli Stati, il Consiglio nazionale ha apportato una modifica riguardante proprio la nozione di “sospetto fondato”. Con 176 voti contro 16, hanno accolto una proposta di Nicolas Walder, che si avvicina alla versione del Governo[22].

Quindi la proposta può essere così liberamente tradotta: “si è in presenza di un sospetto fondato se l’ intermediario finanziario ha un indizio concreto o più elementi concreti che lasciano supporre che i valori patrimoniali implicati nella relazione d’affari potrebbero provenire da un crimine […] e se i chiarimenti supplementari effet-tuati in base all’art. 6 LRD non permettono di dissipare i sospetti”. Il Consiglio degli Stati aveva proposto una versione diversa, precisando nella legge “se i chiarimenti supplementari effettuati lo rendono verosimile o lo confermano”.

Sulla base di questo voto, il dossier è ritornato quindi al Consiglio degli Stati ed è finalmente giunto al voto finale il 19 marzo 2021.

[19] Si veda l’oggetto n. 19.044 concernente la modifica della LRD, in: https://www.parlament.ch/it/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20190044 (consultato il 15.06.2021).[20] Messaggio concernente la modifica della legge sul riciclaggio di denaro, n. 19.044, del 26 giugno 2019, in: FF 2019 4539, https://www.fedlex.admin.ch/eli/fga/2019/1932/it (consultato il 15.06.2021).[21] Da non confondere con i consulenti alla clientela (Relationship Manager) di banche e gestori patrimoniali.[22] Proposition de la minorité I (Walder, Arslan, Bellaïche, Brélaz, Brenzikofer, Fehlmann Rielle, Flach, Funiciello, Hurni, Markwalder, Marti Min Li, Suter) Al. 3 “Il y a des soupçons fondés lorsque l’intermédiaire financier dispose d’un élément con-cret ou de plusieurs indices laissant supposer que les critères définis à l’alinéa 1 lettre a pourraient être remplis pour les valeurs patrimoniales impliquées dans la relation d’affaires et que les clarifications supplémentaires effectuées en vertu de l’article 6 LBA ne permettent pas de dissiper les soupçons”. Proposition de la minorité II (Nidegger, Geissbühler, Guggisberg, Reimann Lukas, Schwander, Steinemann, Tuena) Al. 3 “Il y a des soupçons fondés au sens des alinéas 1 à 1bis lorsque ces soupçons s’appuient sur un élément concret ou sur plusieurs indices concrets laissant supposer un rapport entre les valeurs patrimoniales impliquées dans la relation d’affaires et une infraction visée à la lettre a chiffre 1 à 4, et que les soupçons se confirment dans un délai raisonna-ble sur la base des clarifications supplémentaires effectuées en vertu de l’article 6 LBA, de sorte que les soupçons sont corroborés ou, tout au moins, rendus vraisemblables”.

posteriori sulla base di informazioni raccolte anche presso altri istituti bancari. Informazioni sovente non pubbliche, difficilmente accessibili, poiché ad es. anche raccolte in base a norme di procedura amministrativa o penale[13].

Da più parti la dottrina ha sostenuto ed indicato che il Compliance Officer avrà la tendenza a comunicare mag-giormente all’MROS, non tanto perché abbia un fondato sospetto, ma per il rischio di essere sanzionato. Si veda al riguardo la critica di Carlo Lombardini che, nel suo consueto modo molto chiaro e diretto, indica che spesso la comunicazione all’MROS è fatta non per l’esistenza di un elemento di sospetto, quanto piuttosto per la probabilità di essere perseguiti e puniti[14].

Nel caso in cui l’istituto finanziario decida di non comunicare una relazione, sarà necessario ben documentare i ragio-namenti e le riflessioni fatte. Si assiste quindi alla stesura di memo sempre più dettagliati, che sono diventati di estrema importanza[15]. L’assenza di una nota interna può compor-tare l’apertura di un procedimento penale.

Spesso l’apertura di un procedimento per omessa comu-nicazione è questione di giorni[16]. Quindi procedere ad una comunicazione anche con un solo giorno di ritardo può comportare una violazione dell’art. 37 LRD. Questo aspetto viene spesso criticato poiché, da un lato, si assiste ad una prassi molto rigorosa e ferrea, mentre, dall’altro, l’intermediario che procede con una segnalazione attende anche mesi una risposta da parte dell’MROS sull’esito della segnalazione stessa[17]. Circostanza che comporta una situazione di stress molto intenso, che spesso sfocia in rapporti tesi tra la Compliance ed il Fronte e anche tra l’Istituto e il Cliente, ad es. per i ritardi nell’esecuzione degli ordini del cliente[18] stesso. La gestione del cliente risulta

[13] Nella sentenza del Tribunale federale si legge comunque che la banca ha raccolto delle informazioni, della documentazione, ha svolto delle ricerche indi-pendenti in internet e attraverso banche dati. Purtroppo, questo modo di agire non è stato considerato sufficiente.[14] Sébastien Ruche, Blanchiment: l’effet pervers de la multiplication des dénonciations, in: Le Temps, del 3 settembre 2019, in: https://www.letemps.ch/economie/blanchiment-leffet-pervers-multiplication-denonciations (con-sultato il 15.06.2021).[15] Importante, inoltre che questi siano datati, firmati, archiviati diligen-temente, per evitare critiche o accuse di aver scritto il memo in un secondo tempo.[16] Nella sentenza della Corte d’appello del TPF n. CA.2019/7 del 28 maggio 2020, i giudici penali federali, analizzano se l’intermediario finanziario avesse dovuto procedere con la segnalazione già il 16 maggio 2011 (consid. 1.3.1), rispettivamente il 23 maggio 2011 (consid. 1.3.2) e nel periodo compreso tra il 25 maggio ed il 6 giugno 2011 (consid. 1.3.3), giungendo alla conclusione che l’intermediario abbia violato il proprio obbligo di comunicazione già il 16 mag-gio e, in seguito, ancora dopo il 25 maggio 2011.[17] La recente modifica legislativa (FF 2021 668) ha portato alla soppres-sione del termine di “20 giorni feriali” per l’elaborazione di una comunicazione dell’art. 23 cpv. 5 LRD da parte dell’MROS. Il rischio è quello di aumentare il numero già importante delle comunicazioni pendenti.[18] Benché vi sia il divieto assoluto di informare il cliente, purtroppo capita che il ritardo nell’esecuzione di bonifici, dovuto ad es. alla necessità di coor-dinazione con l’MROS o il Ministero pubblico, faccia nascere il sospetto che l’intermediario abbia comunicato la relazione all’MROS. In particolare, se il cliente è patrocinato da un legale.

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legali[28], l’acquisto di opere d’arte e da ultimo il divorzio[29], utilizzato spesso quale “scusa” per l’apertura di una relazione. Inoltre, vi è un’incoerenza nello scopo indicato al momento dell’apertura del conto. L’importo avrebbe dovuto servire a liquidare le operazioni in Svizzera. Se per due bonifici (fr. 58’400 e fr. 55’000) ciò potrebbe corrispondere alla realtà, in altri tre casi, il cliente procede a degli investimenti, addirit-tura acquisendo una società di franchising in Svizzera.

Nella decisione del 28 maggio 2020, i giudici della Corte d’ap-pello hanno sottolineato un fatto, e meglio come l’importo accreditato sul conto (euro 350’000 pari a fr. 439’616,10) sia una “somme importante d’argent”[30]. Soprattutto nelle rela-zioni di private banking una somma di fr. 500’000 viene spesso considerata come “normale”[31].

Gli obblighi di diligenza particolari previsti dall’art. 6 LRD impongono all’intermediario finanziario di chiarire le circostanze e lo scopo di una transazione o di una relazione d’affari se una transazione o una relazione d’affari appaiono inusuale, a meno che la loro legalità non sia manifesta.

Ovviamente, di fronte a tutta una serie di indizi e a situazioni inusuali, la raccolta informazioni e documentazione diventa molto importante, addirittura fondamentale. Nella sentenza del 28 maggio 2020 si legge che “il convient de ne pas se limiter de clarifier des transactions isolées, mais de contrôler la relation d’affaire dans sa globalité”[32]. Questo punto è molto importante perché una serie di indizi e situazioni anomale devono indurre l’intermediario finanziario alla prudenza e, soprattutto, a non limitarsi a delle spiegazioni orali del cliente[33]. Inoltre, è necessaria una valutazione critica e occorre verificare la plausibilità dei chiarimenti e come detto, documentarli adeguatamente.

Nella sentenza traspare che cliente, consulente e Compliance Officer, hanno avuto dei contatti con il cliente e sono stati fatti degli approfondimenti. Il Tribunale federale è dell’opinione che

[28] Il quale non ha fornito alcuna spiegazione aggiuntiva, ma si è limitato a mettere pressione sulla banca affinché effettuasse le operazioni richieste dal suo cliente.[29] Analizzando bene l’operatività sul conto, ci si può rendere conto come il cliente avesse già per lo meno un altro conto personale presso un altro istituto (infatti egli ha conferito un ordine di bonifico di fr. 58’400). La domanda che sor-ge spontanea è quella a sapere per quale motivo il cliente non abbia utilizzato il conto presso quella banca invece di aprire una nuova relazione.[30] Sentenza della Corte d’appello del TPF n. CA.2019/7 del 28 maggio 2020 consid. 1.3.1.4.1.[31] In un’ottica di approccio al rischio è molto importante sempre circostan-ziare i movimenti in entrata e/o uscita e cercare sempre di essere obbiettivi. Un importo del genere costituisce pur sempre circa il quadruplo del reddito pro-capite medio annuo svizzero.[32] Cfr. sentenza della Corte d’appello del TPF n. CA.2019/7 del 28 maggio 2020, consid. 1.1.4.3.[33] L’art. 26 ORD-FINMA (mezzi di chiarimento) prescrive che “secondo le circostanze, i chiarimenti comprendono segnatamente: (a) informazioni raccolte per scritto o oralmente presso la controparte, i detentori del controllo o gli aventi econo-micamente diritto dei valori patrimoniali; (b) visite nei luoghi in cui la controparte, i detentori del controllo o gli aventi economicamente diritto svolgono la loro attività; (c) la consultazione delle fonti e delle banche dati pubblicamente accessibili; (d) in caso di necessità, informazioni presso persone degne di fiducia”.

L’art. 9 cpv. 1quater indica che “nei casi di cui al capoverso 1 il sospetto è fondato se l’ intermediario finanziario ha un indizio concreto o più elementi secondo cui per i valori patrimoniali impli-cati nella relazione d’affari potrebbero essere adempiuti i criteri di cui al capoverso 1 lettera a e se i chiarimenti supplementari effettuati conformemente all’articolo 6 non permettono di fugare tale sospetto”[23].

L’auspicio è quello che questa modifica legislativa possa avere un effetto positivo e concreto, in particolare che possa chiarire meglio gli obblighi degli intermediari finanziari, scongiurando quindi l’apertura di procedimenti penali per mancata o ritardata comunicazione all’MROS.

C. Le particolarità del casoIl caso in questione riunisce sicuramente alcuni elementi tipici che dovrebbero indurre, in primo luogo, il gestore della relazione e, in secondo luogo, il Compliance Officer ad appro-fondire la fattispecie. Vi sono perlomeno due indizi generali di riciclaggio, così come elencati nell’allegato all’Ordinanza dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari sulla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo nel settore finanziario (ORD-FINMA; RS 955.033.0)[24]. Non è chiaro il motivo per il quale delle ope-razioni, così urgenti, vengano eseguite per il tramite di una nuova relazione e non vengano fatte direttamente da una relazione preesistente e, inoltre, la relazione appena alimen-tata venga di fatto quasi istantaneamente svuotata (in parte in contanti).

Inoltre, l’apertura di un procedimento penale costituisce un ulteriore indizio, in questo caso addirittura un indizio qualificato[25]. Oltre a ciò, vi sono ulteriori circostanze che dovrebbe sempre far nascere più di un dubbio: il carattere d’urgenza[26], l’esistenza di un prestito personale[27], l’in-tervento di un legale esterno con la minaccia di ripercussioni

[23] FF 2021 668.[24] In particolare, 2.1.2 i valori patrimoniali sono ritirati poco tempo dopo essere stati versati (conto di passaggio), sempre che l’attività commerciale del cliente non renda plausibile un tale ritiro immediato e 2.1.3 non sono chia-ri i motivi per cui il cliente ha scelto proprio questo intermediario finanziario o questa sede per i suoi affari.[25] Si veda l'Allegato ORD-FINMA, cifra 4.6 degli Indizi qualificati: “procedi-menti penali contro il cliente dell’intermediario finanziario per crimini, corruzione, uso improprio di denaro pubblico o delitto fiscale qualificato”.[26] Non risulta dalla documentazione una spiegazione del carattere di urgen-za, nonostante il servizio compliance avesse esplicitamente richiesto di spiegare il motivo di tutta questa urgenza. Oggettivamente difficile comprendere come così tante operazioni eterogenee possano essere così urgenti, tutte contempo-raneamente. Sul carattere d’urgenza in generale, nel corso della mia esperienza lavorativa spesso e volentieri mi sono trovato a dover gestire situazioni nelle quali alcune operazioni vengono richieste quando il consulente è assente, ad es. perché in vacanza oppure nelle ore centrali della giornata, tipicamente durante la pausa pranzo. Il cliente richiede l’esecuzione di bonifici con urgenza, paven-tando grande sicurezza che induce il proprio interlocutore in errore.[27] Il contratto di prestito presentava degli errori di ortografia e delle firme non coincidenti e di difficile verifica. Nonostante queste due particolarità pre-se singolarmente potrebbero non destare particolare sospetto, unitamente al carattere insolito del prestito (assenza di interesse e nessuna data contrat-tualmente definita per il rimborso) avrebbero dovuto far nascere un sospetto al Compliance Officer. Un esame di tutte queste circostanze avrebbe dovuto essere eseguito.

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a volte di difficile applicazione. Le Autorità di perseguimento penale dispongono di mezzi di indagine che permettono loro di raccogliere informazioni e documentazione presso più intermediari e, quindi, possono farsi un’idea molto più chiara dei fatti. L’intermediario sarà tentato il più delle volte a pro-cedere con una segnalazione all’MROS per evitare qualsiasi rischio.

III. Rafforzare la prima linea di difesaLa responsabilità e la pressione che viene spesso posta sulle spalle della Compliance è notevolmente cresciuta negli ultimi anni. Il Compliance Officer, soprattutto nelle piccole strutture, si trova spesso a dover autonomamente prendere posizione su fattispecie molto complicate oppure poco chiare. Se non si dispongono delle conoscenze, esperienze e seniority sufficienti, svolgere l’attività di Compliance Officer diventa molto difficile. Vi sono Compliance Officer che soffrono di quella che si definisce “la solitudine del Compliance Officer”. Situazione che si viene a creare proprio quando il Compliance Officer deve da solo decidere casi complessi. Si condivide, pertanto, l’avviso della dottrina che sostiene che l’intera prima linea di difesa deve essere sensibilizzata sulle questioni che sorgono[37]. I dipendenti di rango superiore devono inoltre realmente monitorare i team di cui sono responsa-bili. Devono essere fissati obiettivi realistici di acquisizione dei clienti e gli aspetti di conformità devono essere presi in considerazione nell’assegnazione dei bonus. A tal fine, è necessario identificare i dipendenti che non sono disposti a rispettare le norme in vigore o che non sono in grado di applicarle (questionari Know Your Customer [KYC] compilati regolarmente, ad es., o avvisi di sistema Anti-Money Laundering [AML] spesso chiusi in ritardo). Ciò che vale per la prima linea di difesa vale anche per i collaboratori della seconda e della terza linea. Devono svolgere le loro funzioni con intelligenza e pensiero critico, non semplicemente come un compito buro-cratico. I controlli devono essere effettuati tenendo conto dei rischi concreti che possono essere affrontati. Per quanto riguarda le risorse tecniche, principalmente informatiche, esse stanno diventando sempre più importanti con le dimensioni dell’istituto; solo sistemi informatici efficienti possono dare rapidamente un’idea reale dei rischi connessi e garantire la rapida ripresa delle informazioni pertinenti.

tenti in virtù dell’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 29 capoverso 2 LRD in abbinamento agli articoli 260ter numero 1 CP (Organizzazione criminale), 305bis CP (Riciclaggio di denaro) e 305ter CP (Carente diligenza in operazioni finanziarie). Di con-seguenza, in entrambi questi casi non è necessaria alcuna comunicazione di sospetto. Nell’eventualità in cui, invece, l’obbligo di chiarimenti speciali facesse emergere ulterio-ri elementi, tali da fornire spunti di fondato sospetto che vadano al di là delle relazioni con il cliente menzionate nell’ordinanza di pubblicazione e/o di sequestro, bisogna tra-smettere a MROS una propria comunicazione di sospetto ai sensi dell’articolo 9 LRD. In tale comunicazione è importante che l’intermediario finanziario faccia riferimento all’ordinanza di pubblicazione e/o di sequestro originaria, così da permettere a MROS di coordinare l’invio alle autorità di perseguimento penale”.[37] Carlo Lombardini, Pourquoi des procédures anti-blanchiment n’abou-tissent à rien, in: Le Temps, del 1° dicembre 2019, in: https://www.letemps.ch/economie/procedures-antiblanchiment-naboutissent-rien (consultato il 15.06.2021).

le verifiche sono state fatte ma la valutazione e le conclusioni non siano corrette. Dalle sentenze traspare, infatti, come la banca abbia svolto delle analisi, sia attraverso ricerche in internet che nel database Factiva. Ha raccolto sia documenti che informazioni presso la controparte.

La Corte d’appello ritiene che alla luce di un esame globale, le spiegazioni e i documenti forniti dal cliente non sono considerati plausibili e, di conseguenza, i dubbi sulla relazione e sulle transazioni non sono stati dissipati[34].

Ciò si può senz’altro ritenere che il concetto di “plausibilità” viene valutato in modo molto critico e che si debba valutare ed approfondire ogni singolo elemento.

D. Il procedimento penale in corso, quid comunicazione MROS?Un tema di interesse è quello dell’utilità di procedere ad una comunicazione quando vi è già un procedimento penale in corso. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale l’art. 9 LRD mira a perseguire il riciclaggio di denaro, mentre l’obbligo di comunicazione mira a scoprire e confiscare i valori patrimoniali oggetto di riciclaggio. L’obbligo di comunicazione perdura fintantoché i valori possono essere scoperti e sequestrati a scopo di confisca[35].

La prassi dell’MROS[36] appare molto chiara nella teoria, ma

[34] L’MROS ritiene che occorra trasmettere una comunicazione in virtù dell’art. 9 LRD se è possibile presumere o perlomeno non si può esclu-dere che i beni siano di provenienza criminale, sulla base delle informazioni, dell’obbligo di chiarimento di cui all’art. 6 LRD e degli indizi che da esso risul-tano. L’intermediario finanziario deve agire con la diligenza necessaria di cui all’art. 11 LRD per poter beneficiare dell’esclusione della responsabilità penale e civile (Ufficio federale di polizia fedpol [nota 10], p. 3).[35] DTF 144 IV 391 consid. 3.1: “L’obligation de communiquer dure aussi longtemps que les valeurs peuvent être découvertes et confisquées, ce qui correspond au but de l’art. 9 LBA, soit la poursuite pénale du blanchiment”.[36] Cfr. Ufficio federale di polizia fedpol, La prassi di MROS, marzo 2016, in: https://www.fedpol.admin.ch/dam/fedpol/it/data/kriminalitaet/geldwaescherei/praxis-berichte/mros-die-praxis-i.pdf.download.pdf/mros-die-praxis-i.pdf (consultato il 15.06.2021), p. 59: “A volte accade che un intermediario finanziario riesca ad ottenere solo grazie a un’ordinanza di pubblicazione e/o di sequestro emanata da un’autorità di perseguimento penale indizi tali da far nascere il motivato sospetto che i beni patrimo-niali di un cliente siano frutto di un reato, coinvolti nel riciclaggio di denaro o suscettibili di ricadere sotto il controllo di un’organizzazione terroristica o criminale. In tali circo-stanze, il quesito che si pone all’intermediario finanziario è se inviare a MROS, sulla base dell’ordinanza di pubblicazione e/o di sequestro, una comunicazione di sospetto in base all’articolo 9 LRD o se tale comunicazione sia superflua perché l’autorità di persegui-mento penale è già a conoscenza del caso. In linea di principio va detto che un’ordinanza di pubblicazione e/o di sequestro fa sempre scattare l’obbligo di chiarimento speciale previsto all’articolo 6 LRD. Ogni ordinanza di pubblicazione e/o di sequestro deve essere formulata in modo sufficientemente preciso, da permettere all’intermediario finanzia-rio invitato alla pubblicazione dei documenti di comprendere esattamente quali sono i dati che deve fornire all’autorità di perseguimento penale. Questo perché l’impe-gno contrattuale alla diligenza lo obbliga a non fornire nulla di più di quanto gli venga concretamente richiesto. Nel caso in cui l’obbligo di chiarimento non riveli nulla più di quanto le autorità di perseguimento penale già richiedono nella loro ordinanza di pub-blicazione e/o di sequestro, l’intermediario finanziario può evitare di inviare un’ulteriore comunicazione di sospetto a MROS. Tale comunicazione di sospetto rappresenterebbe infatti un inutile doppione, in quanto MROS la trasmetterebbe alle autorità di persegui-mento penale che hanno emanato l’ordinanza di pubblicazione e/o di sequestro. Inoltre, le autorità di perseguimento penale possono ottenere ulteriori informazioni diretta-mente da MROS mediante una richiesta di assistenza e, dal canto suo, MROS viene informato sull’apertura di procedimenti penali dalle autorità di perseguimento compe-

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Diritto finanziario

IV. ConclusioniNella mia esperienza lavorativa ultraventennale, ho visto nascere i primi uffici compliance nelle banche, ho sempre incontrato Compliance Officer coscienziosi e che svolgevano il proprio lavoro con competenza, attenzione e dedizione. Nessuno ha mai preso alla leggera il proprio lavoro, ben coscienti inoltre dei rischi connessi all’apertura di un procedimento di riciclaggio nei confronti di un cliente, dell’istituto o di un dipendente della banca. Il rischio legale e reputazionale fa ormai parte del DNA del Compliance Officer. L’aumento delle procedure aperte nei confronti dei Compliance Officer preoccupa molto gli addetti ai lavori. Per escludere questo rischio si è assistito ad un aumento delle comunicazioni, il cui scopo principale è quello di proteggere l’intermediario finanziario e i suoi collaboratori dall’apertura di queste procedure. Una circostanza che non può soddisfare, ma che al contrario porta ad una distorsione del sistema, con conseguenze negative anche nei rapporti Cliente-Intermediario finanziario rispettivamente all’interno degli istituti tra il Fronte e la “Compliance”. Vedremo se la recente modifica della LRD invertirà questo trend. Auspicabile inoltre un coinvolgimento maggiore del Fronte e della Direzione Generale, sia attraverso un approccio critico che in termini di responsabilità personale.

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Diritto societario

Franco ConfalonieriDottore Commercialista,Revisore Legale,Docente incaricato al MAS SUPSI in Business Law,già Professore a contratto di “Business Plan”all’Università di Milano Bicocca

Quale ruolo gioca la programmazione lineare nella pianificazione anche alla luce delle nuove prospettive di tassazione dell’economia digitale?

Le multinazionali e gli aspetti di “tax minimising”

Spesso siamo portati a pensare alle pianificazioni come il perseguimento di progetti giuridici che hanno alla base “tax arbitrage” fatti tra giurisdizioni diverse. Sovente, però, si dimentica o si sbaglia a misurare gli effetti prodotti da lunghe opinion che fanno sembrare sulla carta l’intera manovra come un “paradiso”. Da qui nasce l’esigenza di capire e misurare gli effetti anche attraverso strumenti non usuali, per questo settore, come la modellazione matematica. Il presente articolo non ha la pretesa di descrivere in dettaglio e con parole semplici questo tema, bensì di introdurre alcuni spunti di riflessione almeno in linea teorica. La presenza di software specifici e le capacità di tradurre un problema in un modello funzionante farà il resto. A ogni norma giuridica corrisponde un effetto economico prodotto e, se è vero, allora abbiamo o dipendiamo dalla misurazione di quell’effetto.

bilanci consolidati non esiste un obbligo di pubblicazione delle informazioni fiscali; questi tuttalpiù possono essere tratti da assunzioni tra utile netto di bilancio, imposte e utile lordo. Inoltre, simili analisi, entrerebbero nell’intimo delle strategie fiscali mettendo a nudo i vettori utilizzati per ottimizzare i relativi flussi. In primis si discuterebbe delle politiche di transfer pricing che, seppur utilizzate in forma legittima, presterebbero il fianco a critiche. Così come l’allocazione dei finanziamenti, di diritti e lo sfruttamento di brevetti e licenze. Ho cercato ancora e, successivamente, posto la mia attenzione nell’evi-denziazione di quei punti, per me cruciali, che danno le basi per comprendere le variabili e le costanti che influenzano queste strategie. Ho, inoltre, perimetrato per una miglior compren-sione la casistica solo su alcune transazione tra alcune società appartenenti a Gruppi. Ho pure compreso la difficoltà di creare un modello di Programmazione Lineare che implica la conoscenza di infiniti aspetti e dati, le loro variazioni e l’im-portanza di una completa loro ricerca. Lascio poi a coloro che sappiano cogliere la “sfida” di sbizzarrirsi nella costruzione di questi modelli e di trarne le relative conseguenze.

Obiettivo di questo lavoro è fornire alcuni strumenti, almeno in linea teorica, che permettano di analizzare l’aspetto della pianificazione da un punto di vista di analisi quantitativa piuttosto che “one way”, sempre e solo, sotto l’aspetto giuridico. Trovo che l’universo delle considerazioni che debbano essere fatte presenta mille sfaccettature e gode di un fascino proprio.

Da molti anni i sistemi fiscali stanno unendo le forze per raggiungere obiettivi comuni nella tassazione delle transazioni aventi rilevanza internazionale. Nell’ambito delle corporations le autorità discutono e trovano accordi per definire livelli di imposizione equi e ripartiti su base convenzionale. Obiettivo comune tra i contendenti è quello di evitare la doppia imposizione di un reddito o l’assoluta non tassazione dello stesso[1]. Oggi, più di ieri, questi aspetti sono particolarmente

[1] Peter Birch Sørensen, Issues in the theory of international tax coordina-tion, Bank of Finland Discussion Papers 4/90 del 20 febbraio 1990, p. 7 s.: “The issue of international tax coordination has often been seen mainly as a problem of alle-

I. PremesseHo tratto spunto per questo articolo cercando metodi di misurazione degli effetti della pianificazione fiscale in ambito multinazionale. Ho subito notato che esistono pochi studi per questo interessante argomento qual è la Programmazione Lineare in ambito di pianificazione. Ho compreso che la care-stia di analisi nasce dalla difficoltà di reperire i dati essendo gli stessi confine invalicabile nei reports a questo scopo dedicati dai Gruppi. A differenza dei bilanci di esercizio e dei

I. Premesse ............................................................................349II. Cos'è la programmazione Lineare ................................ 350III. L’applicazione della Programmazione Lineare ......... 351IV. La Programmazione Lineare nella pianificazionefiscale ..................................................................................... 352V. La funzione obiettivo ..................................................... 353VI. Le limitazioni .................................................................. 353A. Le ritenute ...................................................................................... 354B. Le raccomandazioni dell’OCSE................................................355VII. Conclusioni .................................................................... 355

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Diritto societario

adatte alla gestione aziendale. Con l’avvento della rete il mondo si è evoluto a una velocità impressionante producendo miliardi di informazioni e mostrando sfaccettature sofisticate di problemi che in passato erano lasciati confinati in un contesto più generale. La conseguenza è stata la possibilità di risolvere grandi problemi aiutati da sistemi informatici che gestiscono algoritmi complessi.

La complessità della gestione aziendale tocca la conoscenza di aree diverse e l’interconnessione delle stesse. Oggi gestire significa immaginare scenari futuri e prevedere la loro evolu-zione. Modelli di previsione sono stati e sono tuttora studiati. Tutti presentano punti di debolezza nelle imponderabili variabili che posso inaspettatamente concretizzarsi. In molte situazioni, per la continua produzione di dati, è impossibile esaminare tutti i casi e scegliere tra di essi il migliore.

Si è passati dalla soluzione di problemi ground-rule approach alla creazione di sistemi modellistici mirati a fornire le risposte utili per un problema di decisione. La modellazione di un problema gestionale viene affrontato in due steps:

a) la ricerca degli aspetti essenziali del problema e la schematizzazione delle interrelazioni esistenti tra i diversi aspetti del fenomeno che si sta studiando;

b) lo studio e la creazione di metodi matematici (algoritmi di soluzione) per arrivare alla definizione dell’ottima soluzione o avvicinarsi alla stessa.

Qualsiasi processo di ottimizzazione deve essere solidamente basato su parametri di controllo e su strumenti di valutazione della miglior soluzione. La Programmazione Lineare è, indubbiamente, l’argomento principale dei processi di ottimizzazione ed è quello che viene più utilizzato per molti problemi che hanno una struttura lineare. Attraverso l’applicazione di questi metodi quantitativi si è arrivati alla soluzione di algoritmi deputati alle decisioni nella gestione delle imprese e delle organizzazioni.

Quando si parla di Programmazione Lineare, generalmente, si fa riferimento a modelli che espongono un problema in ter-mini matematici, cioè qualcosa quantitativamente misurabile attraverso i numeri. La modellazione di un aspetto economico aziendale rappresenta, quindi, lo sviluppo di processi e formule collegate da interrelazioni che descrivono rigorosamente pro-blemi reali. Ciò non è un’operazione semplice. Alcuni problemi impongono il disegno di complesse relazioni che hanno il compito di unire aspetti soggetti a variabili non ben definite. Si parla in questo caso di modelli stocastici quando alcune parti del problema definito sono influenzate da vettori aleatori. Per contro, i modelli deterministici basano la loro costruzione su grandezze certe. Entrambi i modelli citati possono essere statici o dinamici, di riscontro immediato o distribuiti su dif-ferenti assi temporali. Generalmente si procede all’analisi del problema oggetto di modellazione. Successivamente si passa alla vera e propria costruzione del modello e all’analisi del funzionamento dello stesso.

analizzati nel tentativo di attrarre, anche in modo bizzarro, redditi soggetti a sovranità impositiva di altri Stati.

Spesso nelle pianificazioni si cerca l’ottimale allocazione delle risorse in diverse giurisdizioni attraverso arbitraggi di convenienza; i metodi quantitativi atti alla misurazione degli effetti prodotti dagli stessi arbitraggi, invece, vengono messi in secondo piano. L’ottimizzazione dei flussi finanziari, anche con l’utilizzo della legittima pianificazione fiscale, pone le basi in conoscenze interdisciplinari che richiedono competenze in diversi campi economici. I nostri studi si sono sempre basati principalmente sui processi di misurazione dei comporta-menti aziendali specialmente fiscali, aspetto fondamentale e prioritario ai teorici flussi non contestualizzati in processi quantitativi. Non parliamo dell’applicazione di infinite for-mule che spesso restano confinate tra le mura accademiche quali trade-union tra esperti matematici; ci riferiamo a quegli strumenti, seppur tecnicamente di complesso studio e com-prensione per estrazione di formazione, fondamentali per capire se ciò che è stato ipotizzato in lunghi pareri trovi dimo-strazione in logici numeri. Questi metodi di misurazione e di ottimizzazione provengono da una branca della matematica oggi più accessibile grazie all’aiuto di elaboratori ampiamente utilizzati in molti settori, anche economici, attraverso lo sviluppo di efficienti algoritmi. Il risultato finale di queste elaborazioni è la massimizzazione o la minimizzazione di una data funzione obiettivo influenzata da diverse variabili che impongono vincoli di calcolo. Un esempio classico di una funzione obiettivo nella Programmazione Lineare è la mas-simizzazione di un profitto legata a delle scarse risorse sia in termini quantitativi, sia di allocazione delle stesse oppure la minimizzazione dei costi.

I modelli di ottimizzazione stanno acquisendo sempre più importanza nelle decisioni aziendali. Data la complessità di studio di alcuni problemi aziendali la risoluzione di un problema di decisione o di convenienza, attraverso la modellazione matematica, viene espletato in diverse fasi.

Nel presente articolo non solo esamineremo gli effetti della Programmazione Lineare in ambito di pianificazione, ma cercheremo di esporre, in modo semplice, strumenti di misurazione matematica applicata a norme giuridiche; tutto per dimostrare che nessun aspetto che coinvolge scelte di ottimizzazione di carichi (anche fiscali) possa prescindere dal proprio “peso” numerico.

II. Cos'è la programmazione LineareNel passato molti aspetti della gestione aziendale interessavano soprattutto una limitata produzione e analisi dei dati e la loro, conseguente, trasformazione in informazioni. Le decisioni erano accentrate in personale esperto che, per la conoscenza maturata, sceglievano strategie potenzialmente

viating double taxation. This problem arises because most countries insist on their right to tax all income originating within their borders as well as all income earned by their residents. However, since some countries have found it in their interest to play the role of «tax havens», the international tax coordination problem may often be one of preven-ting tax evasion rather than a problem of double taxation”.

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allocazione di risorse scarse[8]. Attualmente la stessa è una delle tecniche più utilizzate nella ricerca operativa ed ampia-mente utilizzata da chi si occupa di gestione aziendale[9]. Nella Programmazione Lineare è la corretta rappresentazione matematica del problema di scelta che si deve affrontare. In quest’ambito alcuni studi consiglierebbero l’utilizzo del “pure profit”[10] per dimostrare agevolmente l’applicazione della Programmazione Lineare nella pianificazione fiscale, ma le incertezze nella sua determinazione indirizzano la tassazione dei gruppi sul reddito determinato con le regole contabili. La Programmazione Lineare implica la formulazione di una fun-zione in due o più variabili indipendenti. Questa è la funzione obiettivo che si deve massimizzare oppure minimizzare in un contesto, rispettivamente, di ricavi e costi. Inoltre, questa funzione è “soggetta a” un insieme di vincoli in variabili indi-pendenti rappresentate da equazioni o disequazioni lineari anch’esse a due o più variabili. Inoltre, nella ricerca di soluzioni a problemi di decisione, generalmente, devono essere neces-sariamente poste condizioni di positività dei vincoli ai quali è soggetta la funzione obiettivo. Questo esclude la ricerca di soluzioni in insiemi di segno contrario.

Più in dettaglio nella Programmazione Lineare è necessario definire, come detto, una funzione obiettivo che si vuol perseguire, fine ultimo della modellazione di un problema di scelta.

In linea generale possiamo identificare i seguenti punti quali componenti di un modello di programmazione:

1) parametri: sono le informazioni raccolte di un problema. Configurano le grandezze fissate che appartengono alle risorse (limitate) del sistema indagato;

2) variabili decisionali: sono le incognite del sistema identificato che possono essere oggetto di modifica per trovare soluzioni ottimali diverse;

3) vincoli: sono le condizioni alle quali la funzione obiettivo è “soggetta a”. Soluzioni al problema che non rispettano i vincoli non sono accettabili.

Questo approccio sposta il baricentro della ricerca dal come cercare le soluzioni ottimali (caratteristiche della soluzione e cosa si vuol ottenere) al cosa cercare (strategia di ricerca e procedura). La soluzione finale non può che passare, quindi, dalla definizione delle grandezze delle variabili che soggiacciono a tutti i vincoli e, conseguentemente, trovano la soluzione ottimale che massimizza o minimizza il risultato della funzione obiettivo.

In questo contesto parliamo indifferentemente di problemi di massimo o di minimo in equivalenza di:

min x ∈ S f(x) = − max x ∈ S (−f(x))

[8] Don T. Phillips/A. Ravindran/James J. Solberg, Operations research: principles and practice, John Wiley & Sons, 1976, p. 13.[9] Hamdy A. Taha, Operations research: an introduction, Pearson Prentice Hall, 8a ed., 2007, p. 4.[10] Cfr. www.enotes.com (consultato il 15.06.2021).

Gli algoritmi di ottimizzazione, per diversi motivi il più delle volte riconducibili alla poca conoscenza di questa materia, sono poco utilizzati nelle pianificazioni fiscali. Questi tipi di misurazioni trovano le principali difficoltà nella costruzione o nella rappresentazione matematica di un problema dovuta alla sua corretta analisi. Infatti, rappresentare una possibilità di scelta in linguaggio numerico presuppone di identificare tutte i fattori che possono influenzare la risposta di scelta. Tralasciare qualche aspetto nella rappresentazione matematica del problema potrebbe significare ottenere risultati opposti a quelli che si sarebbero ottenuti con una corretta conversione numerica.

III. L’applicazione della Programmazione LineareLa sempre crescente mobilità dei capitali permette alle società sovranazionali di attivare opportunità di arbi-traggio[2] fiscale tra le diverse giurisdizioni. Bisogna però considerare che questa specifica produzione di reddito non trascende da quella complessiva avente rilevanza nazionale e internazionale costituendo, la stessa, tutt’uno del sistema[3] del prelievo tributario. Bisogna considerare che svariati sono i metodi utilizzati dalle multinazionali per spostare i profitti da giurisdizioni più sconvenienti ad altre più miti. Il loro operare coinvolge sistemi complessi extra/intra-gruppo; la maggior pressione però viene rivolta a opportunità di risparmio legate a “trame” interne[4] al Gruppo sovente meno riscontrabili delle esterne[5]. Il comportamento di soggetti che operano in un contesto internazionale può essere accompagnata da regole che disciplinano diversi settori attraverso restrizioni sulla capitalizzazione, sul rapporto di debito/capitale proprio, sull’obbligatorietà del prelievo anche a mezzo di ritenute. Alcune scelte, al contrario, potrebbero essere incentivate da sgravi fiscali esteri, detrazioni d’imposta e crediti di imposta, tutto finalizzato a regolare il tax burden e massimizzare l’utile al netto delle imposte prodotte.

Autori hanno dimostrato che l’obiettivo delle multinazionali di ottimizzare il carico fiscale possa essere ricondotto a un problema di Programmazione Lineare[6].

I primi studi di Programmazione Lineare hanno origine da temi di natura economica[7] specialmente relativi all’ottimale

[2] Ruud De Mooij/Michael Keen/Victoria Perry, Taking a bite out of Apple? Fixing international corporate taxation, in: https://voxeu.org/article/fixing-international-corporate-taxation (consultato il 15.06.2021).[3] Rosanne Altshuler/Harry Grubert, Corporate taxes in the world eco-nomy: reforming the taxation of cross border income, in: John W. Diamond/George R. Zodrow (a cura di), Fundamental tax reform: issues, choices, and implications, Cambridge 2008, pp. 319-321.[4] OCSE, Dealing effectively with the challenges of transfer pricing, Parigi, 1° marzo 2012.[5] Kevin S. Markle/Douglas A. Shackelford, Cross country comparisons of the effects of leverage, intangible assets, and tax havens on corporate income taxes, in: Tax Law Review, n. 65/2002, p. 415.[6] Jaroslav Brada/Tomáš Buus, Detection of possible tax evasive transfer pricing in multinational enterprises, in: European Financial and Accounting Journal, n. 4/2009, p. 65 ss.[7] Philippe Gaston Ciarlet/Bernadette Miara/Jean-Marie Thomas, Intro-duction to numerical linear algebra and optimisation, Cambridge 1989.

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degli effetti che determinano le distorsioni indotte dalle imposte, che altrimenti non potrebbero essere osservate da semplici analisi qualitative.

Abbiamo avuto modo di verificare che questo tipo di analisi e ricerche associate al reddito imponibile delle società sovente presenta difficoltà di raccolta dei dati. Infatti, le dichiarazioni dei redditi/fiscali spesso non sono documenti pubblici come i bilanci di esercizio e i bilanci consolidati. I report fiscali sono circondati da aloni di mistero quasi fossero documenti segreti. Recentemente, in alcuni gruppi multinazionali, si sta diffondendo l’abitudine di comunicare anche le informazioni fiscali del gruppo dando trasparenza a ciò che prima, spesso, veniva considerato off-limits al personale esterno al gruppo[13].

L’applicazione della Programmazione Lineare nel contesto di azienda sovranazionale implica non solo la ricerca di tutte le informazioni rilevanti ed utili ai fini dell’elaborazione di un calcolo attendibile, ma anche le difficoltà intrinseche nella creazione di un modello consono a produrre informazioni utili. A questo fine poniamo attenzione a quello che sono le transazioni interne al singolo gruppo che si prestano, più delle esterne, ad una più facile “manipolazione”[14].

Chiamiamo con NPBTα,0[15] il Profitto Netto Prima delle Imposte della società α all’inizio del periodo di osservazione. Con NPBTα,1 consideriamo il profitto prodotto alla fine del periodo 1. Invece con r∈* intendiamo l’aliquota fiscale che colpisce il reddito imponibile prodotto dalla società appartenente al gruppo nel Paese ∈. Per semplicità di calcolo consideriamo NPBT come una costante sia per ogni società appartenente al gruppo, sia in ogni Paese ove è presente.

Una volta identificato l’insieme delle variabili ipotizzate possiamo costruire l’equazione di ogni subsidiary del gruppo e del rispettivo NPBT connotato dalla sommatoria dei seguenti addendi:

NPBTi,1 = NPBTα,0 + Iα + Dvα + Rα + Lα

Ove:Iα = sono gli interessi ricevuti dalla società αDvα = sono i dividendi ricevuti dalla società αRα = sono le royalties ricevute dalla società αLα = sono i pagamenti dei canoni di leasing ricevuti dalla società α

dato NPBTα,t+1 > 0 abbiamo DTT > 0. Se invece NPBTα,t+1 ≤ 0 allora DTT = 0

[13] Pwc Switzerland, Total tax Contribution or why Swiss companies play a key role as taxpayers and tax collectors.[14] Per dovere di precisazione riteniamo ovviamente che tutto si svolga nell’ambito della “legittima” possibilità di agire e mai si prescinde dalla legittimità di ciò che è permesso.[15] Il Profitto Netto Prima delle Imposte, qui convenzionalmente definito NPBT, è il Profitto Lordo meno le Spese Operative. Il Profitto Lordo è definito il profitto totale generato dalle vendite. È ottenuto dai ricavi totali meno il Costo del Venduto (CdV).

Applicando questa regola generale al campo oggetto di analisi possiamo identificare la funzione obiettivo da minimizzare o massimizzare[11]:

min. (o mass.) f(x) = C1X1 + C2X2 + … + ... CnXn

dove X1, X2 sono le variabili di decisione, mentre C1, C2 sono costantix e C ∈ R^nX ≥ 0 e C > 0

Se anche le funzioni che stabiliscono i vincoli della funzione obiettivo sono lineari, cioè esprimibili nella formula C1X1 + C2X2 + ··· + CnXn, siamo in presenza di un problema risolvibile applicando la Programmazione Lineare.

Come abbiamo visto la funzione f(x) è la funzione obiettivo e l’insieme R^n è l’insieme delle soluzioni possibili del problema. Il punto x ∈ R^n è la soluzione ammissibile che soddisfa i limiti posti. La soluzione ottimale è una tra le soluzioni ammissibili che attribuisce alla funzione obiettivo il massimo (o il minimo) valore finito[12]. La funzione obiettivo deve essere “soggetta a”, cioè al rispetto dei vincoli ai quali è costretta la stessa. Questi ultimi devono essere determinati e con la funzione obiettivo hanno una relazione lineare.

In questo contesto, nell’ambito delle società multinazionali, possiamo ragionevolmente sostenere che la funzione obiettivo sia la (legittima) minimizzazione del debito fiscale. Le variabili di decisione, invece, sono rappresentate dall’utile prodotto in ogni singola giurisdizione ove il gruppo sovranazionale parte-cipa a società territoriali. Infine, le costanti che abbiamo sopra identificato con C1, C2, … incorporano l’aliquota fiscale propria dei Paesi in cui le subsidieris sono insediate e producono i loro profitti. Le poche ricerche trovate sull’argomento sono dipendenti da alcune condizioni limitative che indirizzano le analisi sull’astrazione delle sole transazioni rilevanti a livello internazionale, limitandone, pertanto, la ricerca sull’esclu-sione della rilevanza complessiva della formazione del reddito imponibile del gruppo. A questo proposito le limitazioni alle quali la funzione obiettivo deve soggiacere, ai fini dello studio, sono solo quelle rilevanti per i flussi prodotti dalle transazioni intercompany che influenzano – in aumento o in diminuzione – le componenti dell’utile per ogni singola giurisdizione rile-vante per ogni subsidieris. Infatti, queste realtà sovranazionali sono oggetto di particolare attenzione da parte dei Legislatori fiscali di ogni singolo Stato che promulgano norme giuridiche specifiche inerenti alla loro attività.

IV. La Programmazione Lineare nella pianificazione fiscaleNelle nostre esposizioni abbiamo sempre sostenuto che accompagnare le pianificazioni con strumenti di analisi quantitative consente di comprendere meglio le interazioni

[11] P. Sankara Iyer, Operations Research, India Tata McGraw Hill Education, 2008, p. 3.[12] Silvana Stefani/Anna Torriero/Giovanni Zambruno, Elementi di Matematica Finanziaria e cenni di Programmazione Lineare, 2a ed., Torino 2003, p. 119 s.

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L’ultimo insieme di constrains introdotti nell’ipotesi di studio è relativo al pagamento dei leasing (finanziari). L sono i canoni di leasing ricevuti dalla company α. Sαλ sono i beni ricevuti in leasing dalla società λ. L è la funzione dei beni dati in leasing moltiplicato rαλS che è il tasso di rendimento del leasing:

nL = ∑Sαλ x rαλS

α=1 α≠λ

Ovviamente in una modellizzazione di un problema di Programmazione Lineare devono essere introdotte tutte le limitazioni necessarie alla riconduzione del modello in forma completa.

V. La funzione obiettivoCome abbiamo sopra evidenziato, bisogna stabilire se la nostra funzione obiettivo sia da minimizzare o da massimizzare. Trovandoci in presenza di una funzione di costo (imposte) collegata ad un debito (tributario) possiamo sicuramente considerare la minimizzazione della predetta funzione del Debito Tributario Totale (DTT).

La nostra prima ipotesi prevede la simulazione con tre società appartenenti al gruppo multinazionale con successiva addizione della quarta. Quest’ultima con sede in una giurisdizione fiscalmente più mite.

La funzione obiettivo da minimizzare – con riferimento a tre giurisdizioni – risulta pertanto essere:

minimizza: DTT = NPBTA,1[17] x 0,24 + NPBTB,1 x 0,20 + NPBTC,1 x 0,30

Con il Paese A, B e C che rispettivamente hanno aliquote di imposte proporzionali del 24%, 20% e 30%.

Aggiungendo un Territorio a fiscalità privilegiata D possiamo riproporre la funzione obiettivo nella seguente forma:

minimizza: DTT = NPBTA,1x 0,24 + NPBTB,1 x 0,20 + NPBTC,1 x 0,30 + NPBTD,1 x 0,12

VI. Le limitazioniAnche per quanto riguarda le limitazioni a cui sottoporre la funzione obiettivo ipotizziamo, per semplicità espositiva, l’uniformità dei tassi di rendimento sulle diverse tipologie di cash-flow trasferiti all’interno delle international corporations.

Gli algoritmi che rappresentano il trasferimento dei flussi infragruppo sono di seguito evidenziati ipotizzando il ren-dimento evidenziato. Per precisione la lettera evidenziata accanto a I (e agli altri fondi) rappresenta il trasferimento a favore della società identificata con la lettera. Invece, le lettere combinate con D (o altre) rappresentano, la prima α,

[17] Chiamiamo con NPBTi,0 il Profitto Netto Prima delle Imposte della società i(A)(B)(C) all’inizio del periodo di osservazione. Con NPBTi,1 consideriamo lo stesso profitto alla fine del periodo 1.

Con NPBTα,t +1 > 0 allora DTT = NPBTα,t+1 x r∈*, con DTT = Debito Tributario Totale

Come abbiamo già avuto modo di scrivere, in questo caso il problema di ottimizzazione implica la minimizzazione di una funzione obiettivo attraverso l’aggiustamento delle variabili e allo stesso tempo rispettando le limitazioni poste.

La nostra “tax minimaising” è la funzione obiettivo[16] che è rappresentata dal Debito Tributario Totale (DTT) della società multinazionale, cioè:

nminimizza: DTT ∑ NPBTα,t+1 x rα* α=1

Una funzione obiettivo deve inoltre soggiacere, come abbiamo visto più sopra, a delle limitazioni entro le quali deve ricadere la miglior soluzione ottimale. Non varrebbe l’ipotesi di trovare soluzioni di massimo o di minimo fuori dai constrains (im)posti.

Nella presente ipotesi di lavoro abbiamo introdotto le seguenti tipologie di fondi tra le società appartenenti al gruppo: debiti finanziari D, finanziamento a mezzo di capitale E, royalties C e canoni di leasing L.

La prima limitazione, in questo esempio, è relativa agli interessi che vengono trasferiti all’interno del gruppo multinazionale a fronte di un debito di finanziamento che la società λ (debitore) ha nei confronti della società α (finanziatore). I è una funzione del debito Dαλ moltiplicato per rαλD identificato col tasso di rendimento del finanziamento:

nI = ∑Dαλ x rαλD

α=1 α≠λ

La seconda limitazione posta è relativa al trasferimento dei dividendi all’interno del gruppo multinazionale al socio α a fronte della dotazione di equity Eαλ alla partecipata λ. Dv è una funzione del capitale Eαλ moltiplicato rαλE che è il tasso di rendimento del capitale:

nDv = ∑Eαλ x rαλE

α=1 α≠λ

Il terzo insieme di limiti imposto nell’esempio è relativo ai flussi generati dalle royalties per lo sfruttamento di licenze e diritti. R è il flusso di royalties trasferito alla società α. Cαλ sono le licenze date in concessione alla società λ. R è una funzione delle licenze moltiplicato rαλC, tasso di rendimento delle licenze:

nR = ∑Cαλ x rαλC

α=1 α≠λ

[16] Formule tratte da (e alcune rielaborate) Ann Kayis-Kumar, MPRA Paper n. 72828, 5 agosto 2016.

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L’impostazione algoritmica del vincolo di Thin Cap Rules può essere rappresentata modo seguente considerando, in questo caso, un rapporto tra Debito e Patrimonio pari a 1,8:

Dαλ − 1,8 x Eαλ ≤ 0

Bisogna considerare che le regole della capitalizzazione sottile potrebbero avere futuro breve corso perché incalzate dal Piano di Azione 4 del Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) che raccomanda restrizioni sulla deducibilità degli interessi passivi nei limiti della differenza con la predefinita capienza di una percentuale dell’EBITDA[18].

Inoltre, nel contesto delle pianificazioni effettuate dalle aziende multinazionali in modelli di Programmazione Lineare di questo tipo possono essere introdotti anche aspetti diversi di concorrenza o alternanza delle regole fiscali sovranazionali esistenti. L’importanza di questa modellazione permette sicuramente di prevedere alcuni comportamenti del management delle multinazionali nella scelta di decisioni alternative in merito alle variazioni dei prelievi tributari o nell’opzione di scelta di attività aziendali alternative. Inoltre, la previsione di questi comportamenti potrebbe porre le condizioni di valutare proposte di sostanziali riforme fiscali a beneficio della riduzione delle distorsioni esistenti tra sistemi fiscali, questi ultimi alla base delle decisioni che guidano le scelte di comportamento delle aziende. Questi studi presentano campi di applicazione sia nell’ambito della singola impresa, sia in un Gruppo unitario.

Il modello di programmazione lineare deve essere formu-lato anche considerando le regole fiscali nazionali diverse da Paese a Paese. Più precisamente devono essere inseriti gli effetti di quelle poste che potrebbero influenzare la fun-zione quali: ritenute, crediti di imposta, parametri legati a società intermedie e (previsione) degli effetti di raccoman-dazioni OCSE.

A puro titolo esemplificativo introduciamo gli effetti da consi-derare relativi alle ritenute e alle raccomandazioni dell’OCSE.

A. Le ritenuteLe ritenute sono disciplinate all’interno di ogni giurisdizione e, in connessione, anche all’interno di ogni convenzione contro le doppie imposizioni (CDI) negoziata bilateralmente tra Stati. A differenza di ogni modifica delle disposizioni normative interne liberamente introducibili autonoma-mente da ogni Paese, la modifica delle ritenute contenute in ogni CDI implica la negoziazione e il raggiungimento di un accordo fra due giurisdizioni autonome. Come è facil-mente comprensibile l’applicazione differenziata di ritenute sul trasferimento di flussi fra le diverse società interne al gruppo influenza in modo e vincola in forma determinante il trasferimento dei fondi.

[18] Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization, ovvero utili pri-ma degli interessi, delle imposte, del deprezzamento e degli ammortamenti.

la società che ha concesso l’asset che ha generato il flusso finanziario, la seconda λ, la società a favore della quale l’asset è stato concesso.

Gli interessi I sono una funzione del debito D moltiplicato il suo rendimento:

nI = ∑Dαλ x rαλD

α=1 α≠λ

IA = DAB x 0,08 + DAC x 0,08 + DBA x 0,08 + DCA x 0,08IB = DBA x 0,08 + DBC x 0,08 + DAB x 0,08 + DCB x 0,08IC = DCA x 0,08 + DCB x 0,08 + DAC x 0,08 + DBC x 0,08

I dividendi Dv sono una funzione del capitale E conferito dai soci:

nDv = ∑Eαλ x rαλE

α=1 α≠λ

DvA = EAB x 0,05 + EAC x 0,05 + EBA x 0,05 + ECA x 0,05DvB = EBA x 0,05 + EBC x 0,05 + EAB x 0,05 + ECB x 0,05DvC = ECA x 0,05 + ECB x 0,05 + EAC x 0,05 + EBC x 0,05

Le royalties R sono una funzione delle licenze e dei diritti dati in uso C:

nR = ∑Cαλ x rαλC

α=1 α≠λ

RA = CAB x 0,03 + CAC x 0,03 + CBA x 0,03 + CCA x 0,03RB = CBA x 0,03 + CBC x 0,03 + CAB x 0,03 + CCB x 0,03RC = CCA x 0,03 + CCB x 0,03 + CAC x 0,03 + CBC x 0,03

I canoni di leasing L sono una funzione dei beni dati in leasing (finanziario) S:

nL = ∑Sαλ x rαλS

α=1 α≠λ

LA = SAB x 0,12 + SAC x 0,12 + SBA x 0,12 + SCA x 0,12LB = SBA x 0,12 + SBC x 0,12 + SAB x 0,12 + SCB x 0,12LC = SCA x 0,12 + SCB x 0,12 + SAC x 0,12 + SBC x 0,12

Abbiamo più volte evidenziato che la funzione obiettivo è “soggetta a” limitazioni poste dalla costruzione del modello. Ciò comporta la ovvia possibilità di vincolare la stessa anche ad altre funzioni lineari.

Inoltre, come già indicato i vincoli ai quali soggiace la funzione possono essere i più diversi. Ciò dipende ovviamente dalle restrizioni riconducibili alla giurisdizione oggetto di analisi. A titolo di esempio possiamo citare le restrizioni imposte dalla Thin Capitalisation.

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La modellazione dei principi delle raccomandazioni dell’OCSE, relative alla limitata possibilità di deduzione degli interessi passivi eccedente la data percentuale sull’EBITDA, è formulata con la seguente disequazione:

Iα + Lα ≤ 30% x NPBTα,t+1

Posto che Iα + Lα ≥ 0 allora avremo Iα + Lα ≤ 30% x NPBTα,t+1

Iα + Lα - 30% x NPBTα,t+1 ≤ 0

VII. ConclusioniIl presente scritto non ha la pretesa di spiegare compiutamente e con parole semplici l’intera tematica della Programmazione Lineare applicata alla pianificazione fiscale e i fatti che la influenzano o la modificano. Con questo articolo mi sono prefisso lo scopo di intro-durre un aspetto poco conosciuto e non molto utilizzato in ambito di imposizione, almeno da un punto di vista del management interno al Gruppo. Quello che più preme è poter lasciare spunti di rifles-sione su una tematica sottovalutata e che trova le sue radici nella modellazione di problemi finalizzata alla loro razionale soluzione. La Programmazione Lineare è molto conosciuta laddove bisogna mescolare risorse limitate e trovare il miglior mix per la “soluzione ottimale”. Noi abbiamo pensato di proporre questo tema traendo spunto dalle poche ricerche accademiche trovate estraendo dalle stesse quelle variabili (decisionali) che influiscono sulla funzione obiettivo, nel nostro caso, da minimizzare.

Il reddito imponibile di un Gruppo unitario multinazionale è la somma di molti addenti complessi dipendenti e indipendenti tra di loro. La Programmazione Lineare permette di studiarne gli effetti in diverse fasi combinando gli aspetti ottimali dei flussi. Molte volte non basta incrociare norme giuridiche favo-revoli esistenti in giurisdizioni diverse per ottenere il meglio. Quest’ultimo deve essere comprovato nel grande campo della partita dei numeri. Non basta essere ottimi giuristi d’azienda, ma bisogna essere anche economisti d’impresa e verificare gli effetti del prodotto delle leggi.

Nel contesto, se la funzione obiettivo è la minimizzazione del Debito Tributario Totale (DTT) quest’ultimo è il risultato della sommatoria di addendi e la moltiplicazione di altri fattori. Questa funzione deve essere “soggetta a” constrains entro i quali deve essere trovata la soluzione ottimale della funzione. Qualsiasi soluzione fuori da questi vincoli non sarebbe ammissibile perché non darebbe compimento al mix di componenti (addendi e fattori) che abbiamo a disposizione, ma astrarrebbe da ciò per ricadere in quello che non abbiamo.

Abbiamo cercato di estrarre dalle ricerche internazionali disponi-bili sull’argomento i punti, a nostro avviso principali, per fornire in linea teorica alcuni spunti di riflessione su temi di modellazione matematica spesso di non semplice comprensione. Sono sicuro che qualche ora spesa per capire il contenuto di questo articolo possa dare un quid in più almeno del possibile scenario su quale si lavora.

Se non diversamente stabilito nell’assetto fiscale nazionale, supponiamo che la ritenuta incida proporzionalmente[19] sull’incremento del DTT. Ciò porterà alla modifica della funzione obiettivo con l’integrazione della stessa del menzionato effetto proporzionale, cioè:

minimizza: DTT =+ (Dαλ x rαλ-WHTI + Eαλ x rαλ-WHTDV + Cαλ x rαλ-WHTR + Sαλ x rαλ-WHTL)

ove rαλ-WHT rappresenta l’incremento del Debito Tributario. Questo ulteriore onere è una funzione del tasso di rendimento di ogni variabile di decisione[20].

Inoltre, la ritenuta che incide il trasferimento del cash-flow aumenta anche il costo del capitale specifico per il tipo di fondo colpito[21]. La sua rappresentazione algoritmica è la seguente:

r-WHT = r(1 + τ)

ove r-WHT è il nuovo costo del capitale aumentato del rate della ritenuta. Gli altri sono i termini noti con τ percentuale della ritenuta applicata.

B. Le raccomandazioni dell’OCSEL’OCSE è intervenuta creando regole per diversi aspetti della vita economica delle aziende multinazionali e tra questi, ad es., l’uso abnorme della deduzione degli interessi passivi[22] in ambito multinazionale; lo scopo è quello di prevenire l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti in giurisdizioni più miti. I temi della legittima pianificazione fiscale, se ben studiati e valutati, invadono anche i campi della finanza aziendale intesa quale scienza delle misurazioni quantitative mirate a rispondere alla domanda: conviene o non conviene fare? Sempre nell’am-bito dell’esempio citato, la materia richiama competenze basate su conoscenze approfondite delle differenze tra i trattamenti fiscali del debito e del capitale proprio[23] interconnessi a regole internazionali (BEPS) e a leggi nazionali proprie di ciascun Paese. Queste ultime stabiliscono, a questo proposito, anche norme di Thin Capitalisation mirate a salvaguardia delle proprie casse. È evidente che sia il progetto BEPS dell’OCSE, sia le ragioni d’essere delle regole di capitalizzazione sottile proprie di ciascun Paese si occupano principalmente di proteggere gli imponibili fiscali nazionali. Sappiamo dalla storia recente che le scelte di politiche fiscali delle autorità nazionali hanno influenzato la tassazione del capitale e hanno spinto le aziende a cercare vie, anche aggressive, di erosione della base imponibile[24].

[19] Non è prevista in questo caso alcuna possibilità di detrazione dalle impo-ste complessive della ritenuta subita sul cash-flow.[20] Non è prevista in questo caso alcuna possibilità di detrazione dalle impo-ste complessive della ritenuta subita sul cash-flow.[21] European Commission, The economic impact of the commission recom-mendation on withholding tax relief procedures and the FISCO proposals, in: European Commission Staff Working Document, 24 June 2009, p. 44.[22] OCSE, BEPS Action 4: interest deductions and other financial payments, final report, Parigi, 5 ottobre 2015.[23] OCSE (nota 22), p. 47.[24] Dean Hanlon, Thin capitalisation legislation and the Australia/United Sta-tes Double Tax Convention: can they work together?, in: Journal of Australian Taxation n. 4/2000.

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Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

Samuele VorpeResponsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI

In mancanza di una contabilità separata dello stabilimento d’impresa, il metodo indiretto basato sugli onorari incassati va privilegiato per le piccole imprese mediche

La ripartizione fiscale in caso di imprese intercantonali

Sentenza TF n. 2C_350/2018 del 17 giugno 2019. Ripartizione fiscale in caso di imprese intercantonali – Utile in capitale – Ripartizione secondo il metodo diretto.L’utile di un’impresa intercantonale va ripartito fra il Cantone di sede e quello dello stabilimento d’impresa mediante delle quote dell’utile complessivo conseguito dall’azienda e non in modo oggettivo, fatta eccezione per i proventi e gli utili immobiliari. L’utile in capitale derivante dalla vendita di una partecipazione va, quindi, ripartito per quote. In mancanza di una contabilità separata dello stabilimento d’impresa, il metodo indiretto basato sugli onorari incassati va privilegiato per le piccole imprese mediche, come nel caso di specie. L’attribuzione di un precipuo alla sede dell’impresa intercantonale è contraria alle norme sviluppate dal Tribunale federale in relazione all’art. 127 cpv. 3 Cost. dal momento che la funzione dirigenziale è già sufficientemente rimunerata con l’attribuzione di una quota dell’utile in capitale.(Traduzione a cura di Fernando Ghiringhelli)

I. I fattiA. Un caso di doppia imposizione intercantonale effettivaUna contribuente residente nel Canton Soletta esercita la propria attività lucrativa indipendente quale medico specializzato in ginecologia in uno studio nel Canton Berna come pure quale medico aggregato in una clinica del Canton Soletta.

Nel corso del periodo fiscale 2012, la contribuente ha venduto le proprie quote della clinica del Canton Soletta realizzando un utile in capitale di fr. 749’283. Con decisione di tassazione del 13 luglio 2015, l’autorità fiscale solettese ha imposto la contribuente attribuendo tale utile in capitale per oggetto a Soletta.

Nella propria decisione di tassazione del 12 luglio 2016, l’autorità fiscale bernese ha pure rivendicato un’imposizione parziale del suddetto utile in capitale, sostenendo che esso non andava attribuito per oggetto al Canton Soletta, bensì ripartito per quote fra i due Cantoni all’interno dell’utile complessivo conseguito dall’impresa intercantonale.

B. La contribuente per ovviare alla doppia imposizione giunge sino al Tribunale federaleDopo aver esaurito le istanze cantonali, che avevano respinto tanto il suo reclamo quanto il suo ricorso inteso a far annullare la decisione del Canton Soletta ed a confermare quella del Canton Berna, la contribuente ha sottoposto la medesima richiesta al Tribunale federale per mezzo di un ricorso in materia di diritto pubblico.

II. Il ricorso al Tribunale federaleA. Ripartizione per oggetto vs. ripartizione per quoteSecondo la costante giurisprudenza relativa all’art. 127 cpv. 3 della Costituzione federale (Cost.; RS 101), i Cantoni nei quali sono situati degli stabilimenti d’impresa di un’impresa inter-cantonale non sono autorizzati ad imporre i redditi conseguiti sul loro territorio (ripartizione per oggetto), bensì unicamente una quota parte dell’utile complessivo dell’intera impresa

I. I fatti ................................................................................... 356A. Un caso di doppia imposizione intercantonale effettiva ................................................................................................ 356B. La contribuente per ovviare alla doppia imposizione giunge sino al Tribunale federale ...................... 356II. Il ricorso al Tribunale federale ...................................... 356A. Ripartizione per oggetto vs. ripartizione per quote ..... 356B. Nel caso in specie l’utile in capitale va ripartito per quote .............................................................................................. 357C. Metodo diretto vs. metodo indiretto .................................. 357D. La ripartizione dell’utile conseguito dai medici e da altre professioni liberali nei rapporti intercantonali . 357E. Il ruolo del precipuo .................................................................... 358III. Conclusione ..................................................................... 358

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aziendale fra i Cantoni dello stabilimento d’impresa e quello della sede principale, rispettivamente dell’attività, utilizzando dei fattori ausiliari. Quali fattori entrino in considerazione dev’essere determinato in funzione del tipo di impresa intercantonale[6].

D. La ripartizione dell’utile conseguito dai medici e da altre professioni liberali nei rapporti intercantonaliIl Tribunale federale ha già esaminato diversi casi relativi alla problematica della doppia imposizione intercantonale dei medici[7]. Non ha tuttavia mai dovuto analizzare il metodo utilizzato per determinare le quote di ripartizione dell’u-tile di un’impresa medica intercantonale. Nella sentenza n. 2P.249/2006, del 29 gennaio 2007, ha sì verificato l’esistenza di uno stabilimento d’impresa a lato del luogo dell’attività rispondendo, tuttavia, negativamente a tale quesito, non dovendosi, quindi, esprimere sulla correttezza del metodo di ripartizione.

In dottrina si propone di ripartire gli utili conseguiti dai medici e da altre professioni liberali, analogamente a quanto avviene per le imprese di servizio intercantonali, sulla base degli onorari incassati[8]. Ciò appare appropriato per le piccole imprese mediche, dal momento che, in simili imprese, la creazione di valore dipende essenzialmente dalla prestazione di lavoro dei medici che le dirigono, ciò che sovente non si riflette nell’ammontare dei salari. Una ripartizione in funzione dei fattori di produzione (lavoro e capitale) non condurrebbe, per tale motivo, ad un risultato soddisfacente.

Nel presente caso le quote non possono essere determi-nate in funzione del metodo diretto vista la mancanza di una contabilità separata dello stabilimento d’impresa nel Canton Soletta. Il calcolo va, quindi, effettuato sulla base dei fattori ausiliari e, in tale ambito, bisogna tener conto degli onorari incassati, come menzionato in precedenza, e come effettuato in modo corretto dall’autorità fiscale del Canton Berna. L’autorità inferiore ha pure considerato gli onorari incassati, ma ha, a torto, applicato tale metodo soltanto dopo l’attribuzione per oggetto dell’utile in capi-tale e, quindi, unicamente sul resto dell’utile dell’impresa intercantonale. Per il calcolo delle quote essa ha, inoltre, ingiustamente considerato che l’utile in capitale era stato conseguito dallo stabilimento d’impresa.

[6] Cfr. ad es. DTF 103 Ia 233 consid. 4a; DTF 96 I 560 consid. 6; DTF 92 I 264 consid. 2a; DTF 88 I 240 consid. 1; DTF 52 I 238 consid. 9.[7] Cfr. le sentenze TF n. 2C_396/2011 del 26 aprile 2012, in: StE 2012 A 24.1 Nr. 7; n. 2P.249/2006 del 29 gennaio 2007; n. 2P.98/2005 del 27 settembre 2005; n. 2P.235/2003 del 5 aprile 2004; n. 2P.325/1999 del 15 giugno 2000; n. 2P.145/1995 del 24 febbraio 1998.[8] Daniel De Vries Reilingh, La double imposition intercantonale, 2a ed., Berna 2013, nm. 950 e 979; Hannes Teuscher/Frank Lobsiger, N 40 ad § 31, in: Martin Zweifel/Michael Beusch/Peter Mäusli-Allenspach (a cura di), Kommentar zum Schweizerischen Steuerrecht, Interkantonales Steuerrecht, Basilea 2011; cfr. pure Peter Locher, Einführung in das interkantonale Steuer-recht, 4a ed., Berna 2015, p. 103.

(ripartizione per quote)[1]. Una regolamentazione parzial-mente differente si applica esclusivamente ai proventi ed agli utili connessi con gli immobili dell’impresa intercantonale, che costituiscono un domicilio fiscale speciale[2].

B. Nel caso in specie l’utile in capitale va ripartito per quoteNel caso concreto si tratta di un utile in capitale proveniente dalla vendita di 10 quote di una società cooperativa. Il Canton Soletta non dispone, quindi, di un foro speciale. Contrariamente all’avviso dell’autorità inferiore, la realizzazione di un utile in capitale non può essere assimilata al conseguimento di un utile immobiliare. L’utile in capitale appartiene, infatti, all’utile complessivo dell’impresa intercantonale che, sulla base della giurisprudenza, va ripartito fra i diversi Cantoni in funzione delle rispettive quote.

L’attribuzione per oggetto effettuata dall’autorità inferiore contraddice i principi che il Tribunale federale ha sviluppato in relazione all’art. 127 cpv. 3 Cost. La decisione deve, quindi, essere corretta nella misura in cui, assieme alla tassazione del Canton Berna, impone più del 100% dell’utile conseguito dall’impresa intercantonale[3].

C. Metodo diretto vs. metodo indirettoBisogna, quindi, controllare se, ed in quale misura, una corretta ripartizione fiscale dell’utile aziendale in funzione delle singole quote permetta di evitare una doppia imposizione. Innanzitutto è necessario definire il metodo con cui determinare le quote attribuibili ai due Cantoni. Si dovrà in seguito decidere se il Canton Berna, quale luogo dell’attività, abbia diritto ad un’assegnazione in via preliminare (precipuo) dell’utile dell’impresa intercantonale, come riconosciutogli dall’autorità inferiore.

Sulla base della giurisprudenza, la ripartizione intercantonale dell’utile e dei profitti delle imprese intercantonali deve avvenire, in primo luogo utilizzando, il metodo diretto in funzione delle quote[4]. Secondo tale sistema, l’utile complessivo dell’impresa intercantonale viene ripartito fra i Cantoni dello stabilimento d’impresa e quello della sede principale, rispettivamente dell’attività, per mezzo della contabilità dello stabilimento d’impresa tenuta in modo separato.

Il metodo diretto in funzione delle quote esige, quindi, che la contabilità venga tenuta in maniera separata per ogni stabilimento d’impresa e che lo stesso operi in modo ampiamente indipendente[5]. Caso contrario, si dovrà applicare il metodo indiretto che prevede di ripartire l’utile

[1] DTF 103 Ia 233 consid. 3b; DTF 93 I 415 consid. 3; DTF 71 I 327 consid. 1.[2] Sentenza TF n. 2C_41/2012 del 12 ottobre 2012 consid. 3.2, in: RDAF 2012 II 515 = StE 2013 A 24.34 Nr. 6 = RF 68/2013 p. 146; Sentenza TF n. 2C_312/2010 dell’11 marzo 2011 consid. 2.5, in: StE 2011 A 24.44.1 Nr. 2, con i relativi riferimenti.[3] DTF 103 Ia 233 consid. 3b; DTF 71 I 327 consid. 1.[4] DTF 93 I 415 consid. 3; DTF 50 I 87 consid. 3.[5] Sentenza TF n. 2P.326/2003 del 31 agosto 2004 consid. 4.2.1, in: StE 2005 A 24.44.3 Nr. 1 = RF 60/2005 p. 107.

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E. Il ruolo del precipuoSecondo la giurisprudenza, il Cantone del luogo dell’attività, rispettivamente della sede principale, può vedersi attribuita un’assegnazione in via preliminare dell’utile dell’impresa intercantonale (detto precipuo) quando l’attività dirigenziale che viene svolta in tale Cantone e la sua influenza sul risultato dell’azienda non verrebbe altrimenti considerato in modo sufficiente[9]. Ciò è sovente il caso quando la ripartizione viene effettuata sulla base della cifra d’affari, rispettivamente degli onorari[10].

Nel presente caso tuttavia, l’attribuzione di un precipuo al Canton Berna non si giustifica. L’autorità inferiore ha in effetti considerato, a giusta ragione, che le partecipazioni nella società cooperativa che gestisce la clinica erano legate all’attività della ricorrente a Soletta. Dal momento che il luogo dell’attività nel Canton Berna partecipa all’utile in capitale derivante dalla vendita della partecipazione per mezzo delle quote, la funzione dirigenziale, che potrebbe se del caso essere riconosciuta al luogo dell’attività, è già sufficientemente compensata.

L’autorità inferiore, dopo aver attribuito l’utile in capitale per oggetto al Canton Soletta, ha accordato al Canton Berna un precipuo del 20% calcolato sul rimanente utile dell’impresa intercantonale. Nella propria decisione di tassazione, il Canton Berna non ha per contro rivendicato, a giusta ragione, un’assegnazione in via preliminare a proprio favore. La decisione dell’autorità inferiore contraddice, quindi, anche su questo punto le norme che il Tribunale federale ha sviluppato in relazione all’art. 127 cpv. 3 Cost.

III. ConclusioneQuanto detto in precedenza dimostra che la doppia imposizione sarebbe stata evitata se il Canton Soletta avesse ripartito l’utile dell’impresa intercantonale applicando i principi del Tribunale federale intesi ad evitare una doppia imposizione intercantonale. La tassazione del Canton Berna risulta per contro adeguata. La tassazione del Canton Soletta va, quindi, modificata nel senso sopra indicato, facendo in modo che essa, unitamente a quella ineccepibile del Canton Berna, imponga soltanto il 100% dell’utile complessivo dell’impresa intercantonale (comprensivo dell’utile in capitale).

[9] DTF 88 I 240 consid. 2.3.[10] Cfr. ad es. DTF 96 I 560 consid. 6; Sentenza TF n. 2P.301/1978 dell’8 maggio 1979 consid. 3e, in: RF 35/1980 p. 31.

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Giada CesaroLaureata in Diritto dell’Economia, Università degli Studi di PadovaStudentessa di Giurisprudenza, Università degli Studi di Ferrara

Analisi della sentenza n. 440 della C.T.R. dell’Emilia-Romagna, depositata il 17 febbraio 2020

Transfer pricing e finanziamenti infruttiferi: un’originale lettura nella giurisprudenza di merito emiliana

Sentenza n. 440 del 17 febbraio 2020 della C.T.R. dell’Emilia-Romagna.La C.T.R. dell’Emilia-Romagna non aderisce al recente orien-tamento della Corte di Cassazione relativo all’istituto del transfer pricing: essa sostiene di individuare nel principio della libera concorrenza l’effettiva ratio dell’istituto. In quest’ot-tica, dunque, anche i finanziamenti infruttiferi internazionali derivanti da transazioni infragruppo sarebbero sottoposti alla disciplina del transfer pricing, con lo scopo di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali. Discostandosi da questa impostazione, la C.T.R. emiliana, nella sentenza n. 440, si trova a rigettare l’appello propostole dall’Agenzia delle Entrate, non ammettendo il recupero a tassazione dei finanziamenti infruttiferi.

risulta ancora difficile ostacolare l’attività di pianificazione fiscale aggressiva e l’erosione della base imponibile da uno Stato a favore di un altro. La repressione di queste strategie avviene solo grazie all’introduzione di norme come quella qui in esame, peraltro nel quadro di principi generali stabiliti dall’OCSE.

La Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.) dell’Emilia-Romagna, con la sentenza n. 440, depositata il 17 febbraio 2020, affronta il tema dell’applicabilità della disciplina del transfer pricing, con particolare riguardo ai finanziamenti infruttiferi, originati da rapporti transnazionali. Tenendo in considerazione la complessa evoluzione normativa dell’istituto in esame, la C.T.R. non aderisce al recente orientamento della Corte di Cassazione, rigettando il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate[2].

II. L’oggetto del contenziosoLa fattispecie che ha indotto la C.T.R. ad intervenire ha ad oggetto l’impugnazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale

Amministrazioni finanziarie relative allo scambio di informazioni (ex artt. 25 e 26), e di riscossione (art. 27). Ne è un esempio la clausola convenzionale sugli aggiustamenti correlativi, strumento di cooperazione internazionale a cui si ricorre per evitare la doppia imposizione, disciplinata dall’art. 9 M-OCSE. Essa, però, non garantisce l’automatica eliminazione della doppia imposizione, in quanto lo Stato a cui spetta effettuare l’aggiustamento correlativo deve condividere la rettifica primaria effettuata dall’Amministrazione finanziaria dello Stato di residenza del contribuente sottoposto a verifica sui prezzi di trasferimento. In particolare, l’aggiustamento non può essere automatico, perché è collegato alla corretta osservazione dell’“arm’s length principle”, il quale deve essere condiviso nei principi e nel risultato dallo Stato che dovrebbe effettuare l’aggiustamento: ciò viene chiarito nel par. 2 dell’art. 9 del Commentario al M-OCSE.[2] Sentenze n. 13387/16, n. 27018/17 e n. 1102/19. La Corte ha evidenziato come la normativa in esame non integri una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno del transfer pricing in sé considerato, rinvenendo la ratio della normativa nel principio della libera concorrenza “sicché la valutazione in base al valore normale investe la sostanza economica dell’operazione, che va confrontata con analoghe operazioni realizzate in circostanze comparabili in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e prescinde dalla capacità originaria di produrre reddito e da qualsiasi obbligo negoziale”.

I. Premessa Il legislatore italiano ha codificato nell’ordinamento italiano l’istituto dei prezzi di trasferimento (cd. transfer pricing) all’art. 110, comma 7 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR).

A livello internazionale, non esistendo un principio di cooperazione multilaterale generalizzato e vincolante tra gli Stati nelle materie di accertamento e riscossione dei tributi[1],

[1] Diversamente da quanto accade nell’ambito dell’Unione europea (UE) e da quanto disposto dal più recente Modello OCSE di Convenzione fiscale (M-OCSE), in cui sono previste clausole che dispongono la collaborazione tra

I. Premessa ........................................................................... 359II. L’oggetto del contenzioso ............................................. 359III. Transfer pricing e finanziamento infruttifero ..........360IV. Dal principio del valore normale al principio di libera concorrenza: il nuovo orientamento della Corte di Cassazione.............................................................360V. Considerazioni conclusive ............................................. 361

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Il secondo motivo è che il recupero a tassazione dei finanziamenti infruttiferi non è ammesso e nella transazione infragruppo non c’è traccia di intento elusivo. La C.T.R. e parte della giurisprudenza della Cassazione ritengono che, nell’ottica della disciplina antielusiva della normativa di riferimento, i finanziamenti infruttiferi rimangano sottratti dalla disciplina del transfer pricing[4]. L’art. 110, comma 7, TUIR, ai fini dell’applicazione sancisce che dall’operazione deve emergere una componente rilevante ai fini reddituali: nel caso in questione invece, le operazioni esaminate dall’Amministrazione finanziaria come infruttifere, non generano alcuna componente avente rilevanza reddituale.

III. Transfer pricing e finanziamento infruttiferoLa Cassazione sul punto ha mantenuto in passato un orientamento incerto. In alcuni casi aveva ammesso l’applicazione dell’art. 110, comma 7, TUIR in via surrettizia, richiamando il criterio del valore normale ex art. 9, comma 3, TUIR.

Affinché la norma tributaria fosse applicabile, occorreva si fossero verificate due condizioni: (i) dall’operazione negoziale infragruppo doveva derivare per la società contribuente componenti reddituali e (ii) a seguito dell’applicazione del criterio del valore normale doveva derivare un aumento del reddito imponibile.

Queste due condizioni, nella fattispecie del finanziamento non oneroso, non sussistono. La mancata produzione di componenti reddituali, fermo restando la gratuità del mutuo tra società transfrontaliere appartenenti allo stesso gruppo, fa venire meno l’elemento costitutivo della fattispecie abusiva dell’indebito prevista dalla norma di riferimento.

IV. Dal principio del valore normale al principio di libera concorrenza: il nuovo orientamento della Corte di CassazioneLa C.T.R. considera anche un secondo orientamento della Corte di Cassazione, a cui non aderisce[5]: secondo la Suprema Corte la normativa in esame sarebbe finalizzata a reprimere il fenomeno economico del transfer pricing, e quindi a preservare il principio di libera concorrenza[6]. In questo

[4] Sentenze n. 27087/14 e n. 15005/15.[5] Sentenze n. 13387/16, n. 27018/17 e n. 1102/19.[6] Sul punto, cfr. Augusto Fantozzi/Franco Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Milano 2019, p. 307 ss. Il principio della libera concor-renza è disposto dall’art. 9 M-OCSE e stabilisce che i prezzi di trasferimento infragruppo devono rispecchiare le condizioni che avrebbero convenuto parti indipendenti in condizioni similari. Il citato articolo così dispone: “[a]llorché […] le due imprese, nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, sono vincolate da condizioni, convenute o imposte, diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indi-pendenti, gli utili che, in mancanza di tali condizioni, sarebbero stati realizzati da una delle imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di conseguenza”. Con riferimento alla discipli-na dei prezzi di trasferimento, il Decreto Legge (D.L.) n. 50/2017 (convertito con la Legge [L.] n. 96/2017) ha introdotto una nuova formulazione dell’art. 110, comma 7, TUIR. Più precisamente, l’art. 59 rubricato “Transfer pricing” ha sostituito il comma 7 dell’art. 110 TUIR, stabilendo che i componenti del red-dito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, “sono determinati

(C.T.P.) di Bologna che ha accolto il ricorso presentato dal contribuente, una società holding, contro l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate.

Più precisamente, con l’avviso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate contestava alla società la mancata contabilizzazione di proventi finanziari relativi ad interessi attivi sul finanziamento effettuato a favore della società controllata estera, calcolati secondo il valore normale[3], quindi applicando in combinato disposto l’art. 9, comma 3 e l’art. 110, comma 7 TUIR: l’omessa contabilizzazione di interessi attivi intercompany, relativa all’anno 2008, era già stata contestata nel 2011, ma ai fini dell’Imposta sul Reddito delle Società (IRES).

Con la Legge finanziaria del 2014, è stato esteso al comparto dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP) l’applicabilità della disciplina del transfer pricing per l’anno 2008.

La fattispecie del recupero a tassazione dei proventi relativi ad un finanziamento infragruppo, dichiarato a titolo non oneroso, effettuato dalla società holding italiana alla partecipata lussemburghese, è stata considerata erronea, oltre che dai giudici della C.T.P., i quali avevano accolto il ricorso presentato dalla società, anche dalla C.T.R., che ritiene infondato l’appello presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della C.T.P.

Due sono i motivi su cui si basa l’infondatezza della questione: il primo è che sono stati violati gli artt. 41-bis e 43 del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 600/1973 per carenza di nuovi elementi utili ad integrare l’avviso di accertamento originario. Nel caso di specie, è stata eseguita una semplice riconsiderazione della situazione di fatto già nota, in previsione della norma contenuta nella Legge finanziaria 2014.

[3] Il valore normale è un criterio di derivazione interna: esso costituisce il valo-re tassabile degli scambi infragruppo per espressa disposizione legislativa. Per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorren-za e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore (art. 9, comma 3, TUIR). Il terzo comma dell’art. 9 TUIR dà una nozione genera-le di valore normale e definisce i criteri per la sua determinazione. La nozione generale fa riferimento al prezzo di beni o servizi simili in condizioni di libera concorrenza; per la determinazione del valore normale, si ricorre al metodo del confronto di prezzo: più precisamente, il confronto avviene con le vendi-te effettuate dalla stessa impresa a operatori indipendenti, cioè con vendite, tra operatori indipendenti, di beni o servizi simili. Il concetto di valore normale, legislativamente definito, recepisce il principio del prezzo di libera concorren-za consigliato dall’OCSE per determinare i prezzi di trasferimento tra imprese associate (cfr. Circolare ministeriale n. 9/2267 del 22 settembre 1980). Occorre considerare il passaggio logico che sussiste nell’interpretazione del suddetto art. 9, comma 3, TUIR: la norma nazionale recepisce per intero il concetto di prezzo di libera concorrenza dell’OCSE, insieme ai relativi criteri di determina-zione, poiché il confronto di prezzo è considerato dall’OCSE come il metodo migliore per stabilire le condizioni che sarebbero state convenute tra operato-ri indipendenti. Sul punto, cfr. Andrea Musselli/Alberto Musselli, Transfer pricing, Gruppo24ore, Milano 2012, p. 74 ss.

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In un primo momento, la presa di posizione della Corte era volta a ritenere inapplicabile la normativa relativa ai prezzi di trasferimento ai finanziamenti infragruppo, benché infruttiferi.

Successivamente, ha modificato il proprio orientamento ritenendo, nel caso, applicabile il principio del valore normale per determinare l’importo da riprendere a tassazione nella società erogante il finanziamento.

V. Considerazioni conclusiveIn chiusura, occorre fare alcune considerazioni: da un punto di vista civilistico, non esiste alcuna norma che imponga la fruttuosità dei prestiti infragruppo; similmente, dal punto di vista fiscale, come emerge dalla norma di Comportamento AIDC (Associazione Italiana Dottori Commercialisti) n. 194 che afferma “[q]ualora le somme erogate siano da considerare concesse a titolo di mutuo, sulla fruttuosità o meno delle stesse non sussiste una specifica previsione normativa nel D.P.R. n. 917/86”; inoltre, la Corte di Cassazione, ha stabilito che “la valutazione in base al valore normale prescinde dalla capacità originaria dell’operazione di generare reddito e, quindi, da qualsivoglia obbligo negoziale delle parti attinente al pagamento del corrispettivo”.

Da ciò ne deriva che, la fattispecie dei finanziamenti infragruppo infruttiferi con controparti estere, non esistendo una norma volta a regolarla ai fini fiscali, continua ad essere esposta ad un elevato rischio di subire contestazioni. Si ritiene auspicabile, dunque, in merito a questa specifica casistica, una presa di posizione ufficiale da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Infine, in relazione alla nuova formulazione dell’art. 110, comma 7, TUIR, essa ha segnato una tappa fondamentale di adeguamento della normativa domestica sul transfer pricing ai più recenti sviluppi in ambito OCSE[10]. Ciò ha permesso alla Suprema Corte di esprimere il proprio orientamento in merito alla disciplina in esame, finalizzata alla repressione del transfer pricing, salvaguardando il principio della libera concorrenza: impostazione, nel caso in esame, non condivisa dalla C.T.R. emiliana in un’ottica di interpretazione estensiva della norma, all’epoca dei fatti di causa non ancora vigente.

mutuo tra società transfrontaliere appartenenti allo stesso gruppo, fa venire meno lo stesso elemento costitutivo della fattispecie abusiva dell’indebito risparmio fiscale”, dunque, dichiara inapplicabile la disciplina dei prezzi di trasferimento ai finan-ziamenti infruttiferi; sentenza n. 7493/2016 in cui l’orientamento della Corte si pone a favore della ripresa a tassazione degli interessi attivi presunti sulle somme di denaro messe a disposizione dalla casa madre alle società controllate estere: la Suprema Corte sostiene, in questo caso, la necessità di “esaminare la sostanza economica dell’operazione intervenuta e confrontarla con analoghe operazioni realizzate, in circostanze comparabili, in condizioni di libero mercato tra soggetti indi-pendenti e valutarne la conformità a queste” e che “la qualificazione di infruttuosità del finanziamento, eventualmente operata dalle parti (sulle quali incombe il relativo one-re probatorio, dato il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo, ai sensi dell’art. 1815 c.c.), si rivela ininfluente, essendo di per sé inidonea ad escludere l’applica-zione del criterio di valutazione in base al valore normale”.[10] Si veda in proposito Bruno Ferroni, Stabilite le nuove linee guida per il transfer pricing, in: il fisco, n. 25/2018, p. 2449.

senso, la valutazione in base al valore normale riguarderebbe l’economicità dell’operazione e prescinderebbe dalla capacità originaria di produrre reddito e da qualsiasi obbligo negoziale.

Tale recente impostazione della Corte di Cassazione si afferma a seguito della novella legislativa (D.L. n. 50/2017, convertito in L. n. 96/2017) che ha modificato l’art. 110, comma 7, TUIR: la nuova formulazione risponde all’esigenza di adeguare l’ordinamento giuridico nazionale ai principi internazionali applicati nella maggior parte dei Paesi OCSE. Più precisamente, attraverso il richiamo all’arm’s length principle, l’ordinamento giuridico nazionale si conforma a quanto previsto in ambito internazionale dall’art. 9 M-OCSE, che riguarda l’imposizione degli utili delle imprese associate e applica il principio di libera concorrenza[7].

La C.T.R., discostandosi da questo insegnamento, non è d’accordo nell’individuare la ratio dell’istituto nel principio della libera concorrenza, includendo nella normativa del transfer pricing anche i finanziamenti infruttiferi internazionali che avvengono tra imprese controllate/controllanti con lo scopo di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali[8].

Più sentenze della Corte di Cassazione dimostrano che, nel corso degli anni, la fattispecie dei finanziamenti infragruppo, qualificati dalle parti come infruttiferi, sia stata più volte oggetto di contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate[9].

con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indi-pendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito”.[7] Le relazioni esistenti tra imprese di un gruppo multinazionale possono con-sentire loro di stabilire particolari condizioni nei rapporti infragruppo, diverse da quelle che sarebbero state stabilite se i membri del gruppo avessero agi-to come imprese indipendenti operanti in un mercato libero. Per garantire la corretta applicazione del metodo basato su entità separate, gli Stati membri dell’OCSE hanno adottato il principio della libera concorrenza, in base al quale i contribuenti e le Amministrazioni finanziarie devono valutare le transazioni sul libero mercato e le attività commerciali di imprese indipendenti, confrontando-le con le transazioni e le attività delle imprese associate.[8] A tal proposito, è utile richiamare quanto affermato dalla C.T.P. di Milano nella sentenza n. 7019/12/17 del 18 dicembre 2017: tale Commissione, da un lato ritiene legittimo l’intervento dell’Amministrazione finanziaria ver-so qualsiasi operazione non onerosa, dall’altro richiama concetti che sono già stati espressi da precedenti pronunce della Corte di Cassazione (sentenza n. 7493/2016), precisando che rimane l’obbligo secondo cui l’operazione oggetto di controllo venga esaminata con oggettività, valutando la sostanza economica dell’operazione per confrontarla con transazioni analoghe già rea-lizzate, in circostanze comparabili, in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti, con lo scopo di valutarne la conformità a queste. Seguendo que-sto iter, il Collegio sostiene che “in relazione al regime fiscale del transfer pricing, ogni finanziamento infruttifero non genera necessariamente una redditività imponibile; per cui il controllo delle Autorità fiscali non deve essere relegato a mero formalismo, ma deve essere diretto alla ricerca dell’esistenza di operazioni confrontabili di libero mer-cato”.[9] Cfr. sentenza n. 22010/13 in cui la Cassazione ha sancito che anche al ricorrere di operazioni di finanziamento infragruppo debba esse-re automaticamente applicata la disciplina del transfer pricing; sentenza n. 27087/2015, la Corte esclude il potere dell’Amministrazione finanziaria di applicare la disciplina del transfer pricing sui finanziamenti infragruppo; sen-tenza n. 15005/2015, in cui la controversia aveva ad oggetto il recupero a tassazione del maggior reddito imponibile, costituito dai ricavi per interessi derivanti da un finanziamento, concesso da una società italiana ad una con-trollata francese a titolo di mutuo infruttifero: la Corte, in questa pronuncia, afferma che “la mancata produzione di un reddito tassabile, stante la gratuità del

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362 giugno 2021

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

Laura AlleviPhD., Cultore della materia inInternational & EU Tax Lawpresso l’Università di Bergamo

Il giudizio di bilanciamento tra il diritto alla libertà di stabilimento e la sovranità fiscale degli Stati membri in ambito di imposte dirette

Finanziamenti infruttiferi infragruppo e transfer pricing secondo l’interpretazione della CGUE

Sentenza CGUE C-558/19 dell'8 ottobre 2020, Impresa Pizzarotti & C SPA Italia Sucursala Cluj contro Agenţia Naţională de Administrare Fiscală – Direcţia Generală de Administrare a Marilor Contribuabili.Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunalul Cluj. Il presente contributo è un commento alla recente sentenza della CGUE, di cui alla causa C-558/19. La domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 267 del TFUE, oggetto del giudizio, verte sulla possibilità o meno che l’autorità fiscale domestica di uno Stato membro possa – in virtù della sovranità fiscale che le è propria in materia di fiscalità diretta – discriminare tra imprese consociate residenti ed imprese consociate aventi una stabile organizzazione con sede all’estero, riservando a queste ultime un trattamento diretto a far emergere i prezzi di trasferimento dalle transazioni intercompany.

un atto amministrativo tributario emesso da tale autorità nonché dell’avviso di accertamento redatto sulla base di detto atto.

La CGUE, con sentenza di cui alla causa C-558/19, dopo aver sommariamente esposto il diritto rumeno applicabile alla fattispecie esaminata, tra cui la normativa nazionale sui prezzi di trasferimento applicabile alle stabili organizzazioni di imprese e soggetti non residenti, entra nel vivo del procedimento principale, nonché della questione pregiudiziale sottopostale.

L’Impresa Pizzarotti è la succursale rumena della Pizzarotti Italia (chiamate così nel prosieguo). Nel corso dell’anno d’imposta 2012, oggetto di verifica nel 2017 da parte dell’Autorità fiscale rumena, l’Impresa Pizzarotti concedeva in qualità di mutuante due finanziamenti infruttiferi alla controllante Pizzarotti Italia. L’Autorità fiscale rumena contestava l’infruttuosità dei suddetti finanziamenti ed emetteva un atto amministrativo e correlato avviso di accertamento, contestando la mancata percezione da parte della stabile organizzazione mutuante di interessi attivi, calcolandoli al prezzo di mercato, conformemente alle norme domestiche in materia di prezzi di trasferimento.

A seguito di un primo ricorso, respinto dalla competente autorità tributaria, l’Impresa Pizzarotti ricorreva innanzi al Tribunale superiore di Cluj, lamentando altresì che le disposizioni nazionali invocate da parte dell’Autorità fiscale rumena violassero gli artt. 49 e 63 TFUE “nella parte in cui prevedono che i trasferimenti di risorse finanziarie tra una succursale stabilita in uno Stato membro e la società madre stabilita in un altro Stato membro costituiscono operazioni che possono essere sottoposte alle norme in materia di prezzi di trasferimento, mentre tali norme non sono applicabili nel caso in cui la succursale e la società madre siano stabilite nel territorio del medesimo Stato membro”.

I. Il fattoIl Tribunale rumeno di Cluj, davanti a cui pendeva il procedimento tra l’Impresa Pizzarotti & C Spa Sucursala Cluj e l’Amministrazione fiscale rumena, ha proposto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE), avente ad oggetto l’interpretazione degli artt. 49 e 63 TFUE relativamente alla normativa sui prezzi di trasferimento (o transfer pricing), applicata in occasione della richiesta di annullamento di

I. Il fatto ................................................................................. 362II. In diritto ............................................................................ 363III. La sentenza della CGUE e la gerarchia delle fonti applicabile.......................................................... 363A. Il transfer pricing tra soft law, direttive e normativa domestica .................................................................. 363B. La discriminazione interna ...................................................... 366IV. Conclusioni ......................................................................366

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Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

III. La sentenza della CGUE e la gerarchia delle fonti applicabileLa sentenza in esame[2] porta alla luce due ordini di problemi principali: (i) il primo riguarda la materia dei prezzi di trasfe-rimento, la quale presenta notevoli margini di incertezza e non possiede tipiche caratteristiche di oggettività, tali da ren-derne le relative stime inconfutabili, anzi basandosi su analisi spesso fortemente soggettive a seconda del soggetto che si imbatte nelle transazioni intercompany; (ii) secondariamente, la CGUE conferma inoltre che non sussiste discriminazione nel momento in cui la stessa situazione si verifica se i soggetti (sede e succursale) sono entrambi residenti all’interno del medesimo Stato, vale a dire che non si verificano situazioni di cd. transfer pricing interno, in quanto la materia imponibile (o gli utili, se vogliamo utilizzare la terminologia della CGUE) non viene detratta dalla potestà impositiva di uno Stato verso altri ordinamenti; tale ragionamento, tuttavia, soffre di alcune eccezioni nel momento in cui vanno a considerarsi gli ordina-menti fiscali presi singolarmente.

A. Il transfer pricing tra soft law, direttive e normativa domesticaAndando ad analizzare il primo degli aspetti qui messi in rilievo, vale a dire la normativa domestica applicabile, costituente la base dell’eccezione all’applicazione del principio di libertà di stabilimento, si può affermare che la materia dei prezzi di trasferimento è da sempre stata oggetto di vivace dibattito sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale.

In primo luogo, invero, occorre specificare che in ambito di transfer pricing, oggetto di costante contenzioso con le Amministrazioni fiscali di tutti i Paesi, esistono diverse fonti di diversa natura: internazionali, dell’UE e nazionali. Il confine di applicazione della normativa di riferimento non è limitato ai Paesi aderenti all’UE, ma arriva ad avere dimen-sioni globali, posto che le transazioni intercompany possono avere luogo tra soggetti correlati aventi sede in qualsiasi territorio del mondo.

Ma partiamo con ordine.

Dal punto di vista della fiscalità internazionale, nel mese di febbraio 2020 sono state pubblicate le Linee Guida OCSE sul transfer pricing relative alle transazioni finanziarie[3]: queste ultime hanno deliberatamente eliminato, all’interno della casistica analizzata, l’ipotesi riguardante i finanziamenti infruttiferi[4], prevedendo però la possibilità che un finanziamento possa rivestire, nella sostanza commerciale,

[2] Per ulteriori approfondimenti vedasi anche Raffaele Petruzzi/Argyro Myzithra, transfer pricing Rules Under EU Law and the CJEU’s Decision in Impresa Pizzarotti, in: Tax Notes International, vol. 101, 1° febbraio 2021.[3] OCSE, transfer pricing Guidance on Financial Transactions, Inclusive Fra-mework on BEPS: Actions 4, 8-10, Parigi, 11 febbraio 2020, in: http://www.oecd.org/tax/beps/transfer-pricing-guidance-on-financial-transactions-inclusive-framework-on-beps-actions-4-8-10.htm (consultato il 15.06.2021).[4] Il Report OCSE del 1979 sui prezzi di trasferimento, infatti, recitava “se può essere provato che ad un mutuante indipendente sarebbe convenuto rinunciare alla riscossione di interessi o differirne il pagamento, si può ragionevolmente ammettere che imprese associate agirebbero allo stesso modo”.

II. In dirittoIl giudice dell’UE, nell’esaminare la questione pregiudiziale di cui trattasi, facente riferimento agli artt. 49 e 63 TFUE – rispettivamente, alla libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali – ha innanzitutto stabilito che, per quanto concerne il trasferimento di risorse finanziarie tra una succursale e la società madre, l’eventuale ostacolo alla libertà di stabilimento, provocato dal regime tributario in oggetto, sussume al suo interno anche l’eventuale violazione della libertà di circolazione dei capitali ex art. 63 TFUE, che non viene quindi trattata in detta sede.

Assodato che allo Stato membro ospitante la succursale è vietata qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità della società madre, a garanzia del beneficio del trattamento nazionale, la CGUE accenna il fatto che, nel caso dell’Impresa Pizzarotti, quest’ultima beneficerebbe di un trattamento meno favorevole di quello cui avrebbe accesso la succursale di una società residente che effettuasse transazioni analoghe con la società madre, in quanto la normativa tributaria applicabile esclude la rettifica dei redditi in base alle norme sui prezzi di trasferimento qualora succursale e società madre abbiano entrambe sede in Romania. Ciò costituirebbe una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art 49 TFUE.

Tuttavia, prosegue la CGUE, una misura fiscale idonea ad ostacolare la libertà di stabilimento ex art. 49 TFUE può giu-stificarsi per motivi imperativi di ordine generale riconosciuti dall’UE, rispettando il principio di non discriminazione. Una disparità di trattamento, invero, può essere concepita – a detta del giudice dell’UE – qualora il regime fiscale impositivo (nella specie, la correzione della base imponibile di una stabile organizzazione residente, la quale abbia intrattenuto transa-zioni non a prezzo di mercato con la propria società madre estera) sia inteso a prevenire violazioni del “diritto di uno Stato membro di esercitare il proprio potere impositivo in relazione alle attività svolte sul proprio territorio”[1].

Alla luce di quanto sopra espresso, la CGUE conclude il proprio ragionamento giuridico asserendo che l’art. 49 TFUE non osta all’applicazione di una normativa domestica (come quella rumena più sopra richiamata in materia di prezzi di trasferimento) in quanto non eccedente quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo perseguito (preponderante sul diritto sancito dall’art. 49 TFUE) – quello dell’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri.

La CGUE, invero, rileva infine che la normativa di cui si discute deve fondarsi su elementi oggettivi e verificabili al fine di stabilire se la transazione sia stata effettuata al fine di eludere/evadere il fisco, onde essere considerata non eccedente quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

[1] CGUE, causa C-588/19, Pizzarrotti, sentenza dell’8 ottobre 2020, punto 30.

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Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

Recentemente la Cassazione si è nuovamente espressa, dipanando qualsiasi dubbio sulla contraddittorietà delle precedenti pronunce. Con ordinanza del 9 ottobre 2020, n. 21828. Infatti, la Corte asserisce che l’orientamento, “secondo cui la stipula di un finanziamento non oneroso erogato dalla società controllante a favore delle controllate residenti in altri Paesi appartenenti al medesimo gruppo societario realizza una ope-razione che, escludendo la pattuizione di interessi corrispettivi dovuti dalla mutuataria, non contrasta con la previsione dell’art. 76, quinto comma (oggi art. 110, settimo comma), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917”, sia ormai superato, a favore di una lettura dell’art. 110 comma 7 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) attuativo non già di un fine anti-elusivo, bensì del principio di libera concorrenza, in virtù del quale la valutazione del valore normale delle operazioni poste in essere postula l’esame della loro sostanza economica, mettendo a confronto analoghe operazioni effettuate tra imprese indipendenti e in libera con-correnza, tale per cui risultano essere soggetti alla medesima disciplina anche i finanziamenti infruttiferi internazionali tra imprese controllate e controllanti.

Da tale affermazione possiamo già denotare una prima importante differenza tra quanto stabilito dalle Linee Guida OCSE sui prezzi di trasferimento nelle transazioni finanziarie e quanto invece portato avanti dalla Suprema Corte, vale a dire la validità di un’analisi delle transazioni intercompany basata sulla sostanza commerciale, non già sulla sostanza economica.

Tale assunto è confermato dalla giurisprudenza della CGUE, secondo cui i finanziamenti gratuiti potrebbero trovare una giustificazione, rispetto alla violazione del principio di libera concorrenza, nelle “ragioni commerciali” interne al gruppo, connesse al ruolo che la controllante assume a sostegno delle altre consociate. Vari, infatti, potrebbero essere i motivi che inducono la casa madre ad aiutare le parti correlate: bilanci in perdita, necessità di penetrare nuovi mercati, bassa redditività, ecc.

Prima con la sentenza del 21 gennaio 2010, causa C-311/08[9], poi con la sentenza del 31 maggio 2018, causa C-382/16[10], la CGUE, sempre in tema di finanziamenti infruttiferi e transfer pricing, tuttavia, ha ritenuto compatibile con i principi euro-unitari una normativa domestica diretta a recuperare gli utili trasferiti ad una consociata non residente, nel rispetto del principio di proporzionalità e purché sia consentito alla società residente di dimostrare che l’operazione di finanziamento non è stata posta in essere a fini elusivi e che anzi risponderebbe a ragioni economiche obiettivamente apprezzabili.

[9] CGUE, causa C-311/08, Société de Gestion Industrielle (SGI) vs Stato belga, sentenza del 21 gennaio 2010.[10] CGUE, causa C-382/16, Hornbach-Baumarkt-AG vs Finanzamt Landau, sentenza del 31 maggio 2018, commentata da Marco Mazzetti Di Pietra-lata/Alessandro Maria Colombo, Transfer pricing e transazioni finanziarie: alcune riflessioni alla luce del caso Hornbach Baumarkt, in: La gestione straor-dinaria delle imprese, II, 2019, p. 29.

un apporto di capitale, situazione contemplata dalle stesse Guidelines. Tuttavia, la valenza normativa delle Linee Guida OCSE, tanto del Modello che dell’omonimo Commentario, già sappiamo, non impone obblighi giuridici in capo agli Stati che adottano tali strumenti, rappresentando un mero legittimo bisogno di inclusività nel perseguire obiettivi di fiscal policy a livello globale[5].

Vale comunque la pena esaminare nel dettaglio cosa suggeriscono tali Linee Guida, al fine di comprendere al meglio la sentenza del giudice dell’UE sulla stabile organizzazione della Pizzarotti Italia.

Il Report del 2020 afferma che la corretta applicazione del principio di libera concorrenza ad un’operazione di finanziamento infragruppo impone la verifica preliminare riguardante la corretta determinazione della struttura del capitale della società borrower, al fine di verificare se il finanziamento concesso debba essere meglio considerato apporto di capitale. Tale assunto è confermato dal Commentario al Modello OCSE di Convenzione fiscale (M-OCSE) all’art. 9, secondo cui il valore di mercato ed il principio di libera concorrenza sarebbero rilevanti anche al fine di valutare se un’operazione di finanziamento debba essere effettivamente considerata un prestito o, in alternativa, un apporto di capitale proprio[6].

Giova rammentare, con riferimento alla giurisprudenza italiana, che le corti nazionali sono state più volte investite del caso riguardante il socio di un gruppo multinazionale che decide di finanziare gratuitamente la propria consociata e della possibilità di assimilare tale finanziamento ad un apporto di capitale, come tale al di fuori del campo applicativo delle norme sui prezzi di trasferimento. La Corte di Cassazione, in merito ai finanziamenti infragruppo a titolo gratuito, ha assunto diverse posizioni in merito, dapprima esprimendosi favorevolmente alla mancata applicazione della normativa sul transfer pricing[7], per poi virare verso un atteggiamento più rigido, affermando l’imponibilità dei componenti positivi di reddito derivanti dal ricalcolo, a prezzi di mercato, degli interessi relativi ai finanziamenti infragruppo gratuiti[8].

[5] Allison Christians/Laurens Van Apeldoorn, The OECD Inclusive Framework, in: Bulletin for International Taxation, vol. 72, IV, 2018, p. 226.[6] Le stesse Linee Guida sui trasferimenti finanziari ricordano, infatti, che il Commentario all’art. 9 M-OCSE afferma che il medesimo art. 9 rileva “not only in determining whether the rate of interest provided for in a loan contract is an arm’s length rate, but also whether a prima facie loan can be regarded as a loan or should be regarded as some other kind of payment, in particular a contribution to equity capital”. Vedasi in merito altresì Diego Avolio/Stefano Bognandi, Approvato il Report dell’OCSE sulle transazioni finanziarie, in: Il Fisco, XII, 2020, p. 1159.[7] Sentenza Corte di Cassazione del 19 dicembre 2014, n. 27087; in senso conforme sentenza Corte di Cassazione del 27 marzo 2015, n. 15005.[8] In particolare si veda sentenza Corte di Cassazione del 15 aprile 2016, n. 7493; sentenza Corte di Cassazione del 17 gennaio 2019, n. 1102 e da ulti-mo ordinanza Corte di Cassazione del 9 ottobre 2020, n. 21828. Per ulteriori approfondimenti vedasi inoltre, Gianfranco Dolci/Gian Luca Nieddu, Finan-ziamenti (in) fruttiferi e transfer pricing, in: NF 2/2017, p. 66; Raul-Angelo Papotti/Filippo Molinari, I finanziamenti infruttiferi infragruppo nell’ambito del transfer pricing, in: Corriere Tributario, XVII, 2017, p. 1341; Franco Roc-catagliata, Ancora incertezze sui finanziamenti infruttiferi: stessi dubbi oltre confine?, in: Corriere Tributario, n. 30, 2016, p. 2353.

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Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

Dal lato della normativa domestica, infatti, la legislazione di ogni singolo Stato membro tendenzialmente non prefigura le Linee Guida OCSE come “obbligatorie” (nel senso di cogenti), nonostante la Commissione europea in molte delle sue deci-sioni, soprattutto in ambito di transfer pricing[13], si esprima affermando che, qualora le transazioni rispettino le Linee Guida OCSE in materia, molto probabilmente siano compa-tibili con il diritto euro-unitario. Le stesse norme domestiche, inoltre, devono rispettare le norme sovraordinate di origine europea, nonché applicare mediante il criterio di specialità le conferenti norme interne in tema di fiscalità e valore normale a prezzi di mercato.

Sicuramente la materia esaminata non è tra le più semplici per via del fatto che i vari diritti si sovrappongono e spesse volte si contraddicono, inducendo l’interprete verso questa o quella direzione.

Il principio di proporzionalità di matrice europea, il quale sancisce che, in generale, l’intervento delle istituzioni europee non deve eccedere ciò che è necessario, come generalmente affermato dall’art. 5 del Trattato sull’UE (TUE), potrebbe venire in aiuto. Se da un lato, infatti, la CGUE – ritornando quindi alla causa dell’Impresa Pizzarotti – deve applicare il diritto euro-unitario e garantire l’uniforme applicazione dei diritti di libertà fondamentali, dall’altro stabilisce quando tale diritto debba limitarsi a prendere atto dell’esistenza di una normativa interna che prevede la soluzione dei casi specifici, ricadenti nell’ambito della materia della fiscalità diretta, di stretta competenza domestica.

Tuttavia, occorre rammentare che, soprattutto per quanto riguarda la tematica del transfer pricing, non esiste un criterio oggettivo di determinazione del reddito sottratto ad imposizione e soprattutto non è possibile stabilire con la dovuta certezza l’ancoraggio normativo cui si appoggia la decisione dell’autorità fiscale. Questo, a parere di chi scrive, viola a sua volta il principio di legittimo affidamento sul quale il contribuente, in primis, dovrebbe riporre la propria fiducia, vieppiù che dal punto di vista della “certezza del diritto” la ragione commerciale di cui si è discusso non costituisce un valido argomento dirimente.

[13] Vedasi, ad es., Decisione UE n. 2017/502 della Commissione europea, del 21 ottobre 2015, relativa all’aiuto di Stato SA.38374 (2014/C ex 2014/NN) al quale i Paesi Bassi hanno dato esecuzione a favore di Starbucks, punto 66, in cui si afferma che “data la natura non vincolante delle linee guida, le amministrazioni fiscali dei paesi membri dell’OCSE sono semplicemente invitate a seguirle. Tuttavia, in generale, le Linee Guida OCSE PT rappresentano principi fondamentali ed esercitano una chiara influenza sulle pratiche fiscali dei paesi membri dell’OCSE (e anche di quelli non membri). Inoltre, in numerosi paesi membri dell’OCSE a tali orientamenti è stata conferita forza di legge oppure essi sono usati come riferimento per interpretare il diritto fiscale nazionale. Nella misura in cui la Commissione cita le Linee Guida OCSE PT nella presente decisione, lo fa perché esse costituiscono un manuale esistente in materia di prezzi di trasferimento, rappresentano il risultato delle discussioni tra esperti nel contesto dell’OCSE e sono state sviluppate a partire da tecniche volte ad affrontare le sfide comuni dell’applicazione del principio di libera concorrenza a situazioni concrete. Le Linee Guida OCSE PT forniscono, quindi, utili orientamenti per le amministrazioni fiscali e le imprese multinazionali in materia di applicazione del principio di libera concorrenza. Tali linee guida raccolgono anche il consenso internazionale sui prezzi di trasferimento”.

Verrebbe da chiedersi se l’atteggiamento della Cassazione non risulti essere obsoleto e se, da un punto di vista prettamente giuridico, sia più corretto considerare la sostanza economica o quella commerciale nell’analizzare le transazioni tra consociate appartenenti a Stati diversi.

Esistono, infatti, ragionevoli dubbi: lo stesso Guidance di cui è causa alla sez. B.1. ammette la possibilità che esistano finanziamenti infragruppo infruttiferi nella parte in cui afferma che tali Linee Guida non costituiscono un unico approccio, ma un supporto per capire quali siano le caratteristiche che contraddistinguono i finanziamenti da ciò che finanziamenti non sono[11].

Dal lato dell’accennata elusione fiscale, invece, occorre ram-mentare l’esistenza della recente Direttiva UE n. 2016/1164, recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno (cd. Direttiva ATAD).

All’art. 6 Direttiva ATAD, intitolato “Norma Generale Antiabuso”, si ritrova inequivocabilmente un chiaro dovere degli Stati membri di combattere le pratiche fiscali elusive[12]. Tale articolo stabilisce in sostanza che, qualora l’Autorità fiscale di uno Stato membro accerti che una determinata operazione sia stata posta in essere al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali, in contrasto con le finalità del diritto fiscale applicabile e “nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica”, l’imposta può essere ricalcolata senza tenere in considerazione dette costruzioni e in base alla normativa domestica.

Il legislatore dell’UE richiama anch’esso le “valide ragioni commerciali”, citando la realtà economica e relegandola ad un ruolo secondario. Verrebbe da chiedersi cosa si intenda per ragione commerciale e in che modo si discosti dalla ragione economica, così come l’abbiamo studiata finora. La ragione commerciale, in verità, sembrerebbe fare riferimento ad una nozione più vasta, contenente al suo interno operazioni cd. economiche ed operazioni prive di tale profilo, perciò non anti-economiche bensì non profittevoli (ma pur sempre det-tate da ragioni commerciali). Tuttavia, questo allargamento delle giustificazioni a favore di un recupero della sovranità fiscale da parte degli Stati membri potrebbe prestare il fianco alla violazione dei diritti fondamentali di libertà e creare differenze all’interno del mercato unico, causate dal diverso atteggiamento degli Stati membri nei confronti delle mede-sime situazioni fiscali (anche perché, come ricordato dalle Linee Guida e dalla General Anti-Abuse Rules [GAAR] ATAD, ogni Stato membro può trattare una data transazione in base alla propria normativa domestica fiscale).

[11] Non solo, sempre al par. 10.12 sez. B.1. delle Linee Guida sul transfer pricing relativo alle transazioni finanziarie, viene testualmente citato che – parafrasando – nello stabilire se si sia innanzi ad un finanziamento o meno, può essere un utile indicatore, tra gli altri, l’obbligazione di pagare interessi o meno.[12] Per un’analisi della stessa Direttiva e, in particolare, dell’art. 6, vedasi Diane De Charette, The Anti-Tax Avoidance Directive General Anti-Abuse Rule: A Legal Basis for a Duty on Member States to Fight Tax Abuse in EU Corporate Direct Tax Law, in: EC Tax Review, vol. 28, IV, 2019, p. 176.

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Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

IV. ConclusioniNonostante una giurisprudenza tutta rivolta a giustificare la sopra descritta discriminazione e ad avallare la tesi dell’in-violabilità della competenza statuale in materia di fiscalità diretta, vale la pena porre l’accento su alcune criticità cui si è accennato nel presente contributo.

Da una parte il giudice dell’UE non si è posto alcuna domanda riguardo la possibilità che in altri ordinamenti la normativa sui prezzi di trasferimento si applichi diversamente, magari ammettendo i finanziamenti infruttiferi infragruppo, con ciò alimentando una discriminazione non solo a livello nazionale, ma anche a livello europeo. Nel giudizio sottoposto alla CGUE, inoltre, quest’ultima si è basata sulla normativa nazionale, la quale generalmente si rifà largamente alle Linee Guida OCSE che nulla dicono riguardo ai finanziamenti a tasso zero fra società correlate e che anzi ammettono che un finanziamento possa essere considerato apporto di capitale a determinate condizioni.

Secondariamente, il rispetto delle rispettive potestà impositive facenti capo agli Stati membri suonerebbe alquanto debole, posto che, secondo la tecnica interpretativa utilizzata dalla CGUE, anche denominata “teoria del poteri impliciti”, al fine di raggiungere determinati obiettivi dell’UE (tra i quali rientra sicuramente il principio di non discriminazione e la libertà di stabilimento), le istituzioni dell’UE possono allargare le proprie competenze anche quando queste ultime non siano espressamente previste dai Trattati (principio dell’effetto utile)[15].

Infine, come da ultimo accennato, all’interno del medesimo Stato membro potrebbero trovare sede diverse autorità politiche, tali da ingenerare fenomeni di concorrenza fiscale interna, il cui contrasto è il primo passo verso la libera concorrenza ed il superamento delle barriere che si frappongono al mercato unico.

[15] Cfr. Giuseppe Tesauro, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Napoli, 2020, p. 51.

Il principio di proporzionalità richiamato potrebbe costituire un valido aiuto contemporaneamente a due livelli: (i) nello stabilire se l’Amministrazione fiscale nazionale non eccede ciò che è necessario nell’accertare l’eventuale imposta detratta al fisco o se più semplicemente, non sia possibile stabilire a priori, anche mediante limiti quantitativi, se una data violazione si ponga in netto contrasto con le regole anti-elusive volte a contrastare veri fenomeni di evasione fiscale pianificata; (ii) nel giudizio di bilanciamento tra interessi contrapposti ad opera della CGUE chiamata ad interpretare il diritto euro-unitario e, nel caso specifico che qui ci occupa, tra il diritto alla libertà di stabilimento nei confronti di parti correlate e il diritto impositivo degli Stati membri in materia di fiscalità diretta.

B. La discriminazione internaAltro argomento su cui vale la pena fare qualche riflessione, è rappresentato dal principio di non discriminazione basato sulla nazionalità e dalla necessità di salvaguardare il mercato unico.

L’Amministrazione fiscale italiana, ad es., nonostante alcuni tentavi di contestazione di casi di transfer pricing interno, è stata chiaramente smentita dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale, da ultimo con la sentenza n. 16948 depositata il 25 giugno 2019, ha concluso affermando che l’istituto del transfer pricing risponde all’esigenza di garantire che le operazioni infragruppo tra enti soggetti a differenti discipline nazionali, avvengano nel rispetto del principio della libera concorrenza, escludendone l’applicazione alle operazioni tra enti nazionali, il cui eventuale scostamento dal valore normale di mercato può rilevare solo come mero indizio ai fini della valutazione dell’anti-economicità.

Una filiale stabilita all’interno del medesimo territorio nazionale cui appartiene la società madre non può porre in essere transazioni con quest’ultima tali da risultare sottratte all’imposizione dello Stato cui appartengono. Al più, potrebbe sussistere una peculiarità dal punto di vista dell’articolazione statale: in uno Stato membro suddiviso in più enti politici autonomi dal punto di vista fiscale, possono questi ultimi stabilire differenti livelli di tassazione tali per cui le imprese possano incorrere in spostamenti “elusivi” di materia imponibile da un ente politico ad un altro a più bassa fiscalità? Basti pensare al caso degli Stati Uniti d’America[14], in cui per ovviare a tali problemi le transazioni intercompany non vengono prese in considerazione all’interno delle dichiarazioni consolidate, oppure vengono stipulati con la competente Autorità fiscale degli Advanced Pricing Agreements (APAs).

[14] A fronte di questa realtà, nel 2015, la “Multi-state Tax Commission (MTC)” ha ideato un’iniziativa per la quale gli Stati membri condividono le informazioni e aiutano a formare gli “auditor” al fine di contestare con maggiore successo le pratiche di transfer pricing interno messe in atto da parte di società. Per ulteriori approfondimenti si veda il sito https://www.mtc.gov/The-Commission/Com-mittees/SITAS (consultato il 15.06.2021).

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