Notte Medea Appunti1.docx Medea... · 2017-12-05 · che, giochi di prospettiva e ripide scale,...

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Corrado Alvaro, Lunga notte di Medea - Appunti - p. 1 L'11 luglio del 1949 al Teatro Nuovo di Milano viene rappresentata Lunga notte di Medea, tragedia in due tempi scritta da Corrado Alvaro. La regia e l’interpretazione sono affidate a Tatiana Pavlova [attrice russa, Belopavlovič, 10 dicembre 1893 – Grottaferrata (Roma), 7 novembre 1975; abbandona Mosca a seguito della rivoluzione], le scene ed i costumi sono realizzati da Giorgio De Chirico, le musiche da Ildebrando Pizzetti. La tragedia è scritta dal Alvaro su esplicita commissione di Tatiana Pavlova, regista ed allo stesso tempo interprete dello spettacolo. Ekaterina Nikolaevna, Ritratto dellattrice Tatiana Pavlova “Non avevo mai pensato a questo mito, il più singolare ed esotico dei miti greci. Se mai, mi sarebbe piaciuto di scrivere un’Andromaca: la fine di Ilio, le donne vinte spartite tra i vincitori, la ricerca e il sacrificio di Astianatte come l’ultimo che avrebbe potuto risollevare il prestigio di Pergamo e unire nuovamente il popolo abbattuto: ed Elena fra le donne, causa di tanta rovina, e il fraudolento Ulisse tra gli inseguitori dell’ultimo rampollo della potenza troiana. In un ambiente artistico in cui non esi- stono rapporti, in cui nessuno chiede niente, in cui non si sa per chi lavori, l’occasione che mi offriva Tatiana Pavlova dovevo coglierla a volo. Io sono di quegli scrittori cui piacerebbe di lavorare su commissione. Sono convinto che uno scrittore, naturalmente su fatti congeniali, sapendo a chi sia destinata la sua opera, possa lavorare con minore incertezza, che su un tema dato e che gli piaccia possa scoprire qualcosa di insospettato in se stesso, e su una fiducia che gli è concessa scoprire forze in sé che egli stesso ignora; e adattandosi a un temperamento di attore possa oggettivarsi meglio. Sono convinto che non è tanto quello che si dice a fare lo scrittore, ma come si dice: non ho mai capito quelli che vanno a caccia di temi singolari, di intrecci complicati, ciò che è sovratutto dei

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L'11 luglio del 1949 al Teatro Nuovo di Milano viene rappresentata Lunga notte di Medea, tragedia in due tempi scritta da Corrado Alvaro. La regia e l’interpretazione sono affidate a Tatiana Pavlova [attrice russa, Belopavlovič, 10 dicembre 1893 – Grottaferrata (Roma), 7 novembre 1975; abbandona Mosca a seguito della rivoluzione], le scene ed i costumi sono realizzati da Giorgio De Chirico, le musiche da Ildebrando Pizzetti. La tragedia è scritta dal Alvaro su esplicita commissione di Tatiana Pavlova, regista ed allo stesso tempo interprete dello spettacolo.

Ekaterina Nikolaevna, Ritratto dell’attrice Tatiana Pavlova “Non avevo mai pensato a questo mito, il più singolare ed esotico dei miti greci. Se mai, mi sarebbe piaciuto di scrivere un’Andromaca: la fine di Ilio, le donne vinte spartite tra i vincitori, la ricerca e il sacrificio di Astianatte come l’ultimo che avrebbe potuto risollevare il prestigio di Pergamo e unire nuovamente il popolo abbattuto: ed Elena fra le donne, causa di tanta rovina, e il fraudolento Ulisse tra gli inseguitori dell’ultimo rampollo della potenza troiana. In un ambiente artistico in cui non esi-stono rapporti, in cui nessuno chiede niente, in cui non si sa per chi lavori, l’occasione che mi offriva Tatiana Pavlova dovevo coglierla a volo. Io sono di quegli scrittori cui piacerebbe di lavorare su commissione. Sono convinto che uno scrittore, naturalmente su fatti congeniali, sapendo a chi sia destinata la sua opera, possa lavorare con minore incertezza, che su un tema dato e che gli piaccia possa scoprire qualcosa di insospettato in se stesso, e su una fiducia che gli è concessa scoprire forze in sé che egli stesso ignora; e adattandosi a un temperamento di attore possa oggettivarsi meglio. Sono convinto che non è tanto quello che si dice a fare lo scrittore, ma come si dice: non ho mai capito quelli che vanno a caccia di temi singolari, di intrecci complicati, ciò che è sovratutto dei

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principianti e dei dilettanti. Intendiamoci: nel comico, tanto narrativamente che teatralmente, i fatti e le complicazioni sono tutta la poetica del genere. Ma questo sarebbe un altro discorso. Gli anni scorsi Medea fu in grande voga; ci fu quella di Anouilh scritta alla maniera francese come un fatto marginale e intellettuale sul mito greco; in America quella di Jeffers, rifusa sugli esemplari di Euripide e di Seneca; al Teatro Romano di Ostia fu riesumata quella di Euripide. Poiché sono italiano, mi misi a lavorare alla maniera nostra, rispettando il mito e la finzione antica. Si trattava di animarla quel tanto di vivo e di attuale che rendesse leggibile a noi quella vicenda e che giustificasse una nuova opera sull’antica. Medea, in Euripide come in Seneca, uccide i figli per gelosia verso il marito che la abbandona. Studiando le origini del mito, trovavo un appiglio ben moderno che è poi il senso di questo fatto terrificante alle sue origini: Medea mi è apparsa un’antenata di tante donne che hanno subito una persecuzione razziale, e di tante che, respinte dalla loro patria, vagano senza passa-porto da nazione a nazione, popolano i campi di concentramento e i campi di profughi. Secondo me, ella uccide i figli per non esporli alla tragedia del vagabondaggio, della persecuzione, della fame: estingue il seme d’una maledizione sociale e di razza, li uccide in qualche modo per salvarli, in uno slancio di disperato amore materno. Un critico, in un giornale settimanale, ha trovato nel mio lavoro un significato che mi pare acuto: Medea è la vittima tipica del passaggio d’una civiltà, quando la società umana, da primitiva e patriarcale ed eroica, diventa società politica retta da concetti politici. E Giasone non è l’eroe che ha tutti i diritti in quanto eroe, come in Seneca che gli attribuisce gli stessi caratteri di Enea di fronte a Didone (la missione provvidenziale per cui l’eroe può calpestare l’amata) ma un personaggio affatto moderno, spinto dalla sua stessa ambizione a liquidare il suo passato eroico per assumere un rango politico. L’uomo vittima, nei suoi affetti, della sua stessa popolarità. Su questi concetti ho lavorato. Naturalmente, il personaggio di Medea usciva dal mio lavoro molto umanizzato, perdeva della sua terribilità; e non a torto alcuni critici rimpiangono l’affascinante antica maga Me-dea. Non so però se sia chiaro nel mio lavoro che, per me, la potenza magica di Medea, la sua facoltà di operare portenti, era contenuta nell’amore. Non diciamo comunemente di una donna che ha fatto qualche magia a un uomo? Tatiana Pavlova non mi diede tregua fino a quando, in venticinque giorni, non le ebbi letta la prima

stesura della tra-gedia. Accompa-gnandoci per an-dare da Ildebrando Pizzetti o da Gior-gio de Chirico che arricchirono delle musiche e della decorazione il la-voro, facevamo lunghe strade a piedi, di notte, ed ella per strada pro-vava le battute. Qualche passante nella notte si vol-tava a quella vi-sione d’una donna che supplicava, in-veiva, piangeva, rideva, davanti a

un uomo che la guardava insensibile. Delle sue reazioni e dei suoi consigli alla lettura, io feci tesoro per l’elaborazione della prima stesura. Alcune scene le riscrissi fino a sette volte, anche quando ella pareva soddisfatta. E ancora per un mese, dopo averle consegnata la copia definitiva, le riportavo una

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nuova versione di alcune scene. I suoi suggerimenti erano di minuto mestiere, di pratica di palcosce-nico, perché là dove la vedevo indifferente o commossa, questo mi bastava come indicazione. Trovò una frase “beccabile”, e molti avverbi che ella classifica “non recitabili”. Altri consigli suoi molto utili furono di badare di continuo all’ambiente circostante, al clima del dramma, quello che si muove attorno ai protagonisti. Mi avvertiva dei vuoti, affidandosi interamente alla mia invenzione. Il suo insegnamento più prezioso fu quello del tema o, come lei lo chiama, “il seme” del personaggio, con-ducendo là di continuo, scopertamente o larvatamente. Diciamo che uno rappresenti l’ambizione, uno la gelosia, un altro la volontà di potenza, un altro l’amore: sono come strumenti che a volta a volta entrano nell’orchestra. Il tema di queste passioni deve ripullulare di continuo nel personaggio, e iso-

lato in una frase tra le più tipiche, dà del personaggio il motivo dominante. Difatti, quando Tatiana Pavlova cominciò a pro-vare, estrasse alcuni di questi temi facen-doli ripetere all’infinito all’attore, con una continua indagine di quelle intenzioni e di quell’effetto. E’ come la chiave del perso-naggio. Ho dovuto constatare che l’attore, impadronitosi di questo segreto, può con un minimo sforzo, poi, costruire quasi da sé il resto della sua interpretazione.”. (C. Alvaro, La Pavlova e Medea, in Cro-nache e scritti teatrali, pp. 284-286).

La Pavlova volle recuperare “al livello della recitazione una dimensione tragica suggerita ma non contenuta nel testo, reinfondendo in Medea quella dimensione di donna barbara, preda di sfrenate passioni, sull’orlo della disumanità, che Alvaro, pur nella conflittualità tra il mondo primitivo di Medea e quello civilizzato di Giasone, aveva rifiutato. Perciò [...] esa-sperò la recitazione all’eccesso, rifacendosi all’immagine, forse allo stereotipo, della Medea tramandata da una certa tradizione del mito” (R. Deodati, La drammaturgia del mito di Me-dea nel Novecento: analisi di due messe in scena del dopoguerra italiano, in in AAVV, Il libro di teatro, Roma, Bulzoni, 1996, p. 290) *. Con la scenografia di De Chirico la scena risultava essere una sorta di teatro nel teatro, un articolatissimo impianto scenografico che tra-mite finzioni di bagliori lontani, quinte pittori-che, giochi di prospettiva e ripide scale, vo-leva indurre l’occhio a spaziare in ogni suo punto e quindi a creare uno spettacolo a sé stante. Il vero luogo dell’azione scenica però, cioè la casa di Medea, era letteralmente inca-strato nell’articolazione scenografica e obbe-diva a una propria prospettiva, risultando iso-lato dal contesto. Si produceva così un gioco a scatole cinesi: il palcoscenico che conte-neva la scatola scenica di De Chirico, che conteneva la casa di Medea, che si isolava dalla scena stessa. Tale giocoso impianto

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aveva poco a che fare con lo spirito della Pavlova e dell’Alvaro. Lo scopo di De Chirico era di utilizzare la scenografia per suggerire al pubblico un’antichità non ben definita. Lo stesso criterio fu da lui seguito per la creazione dei costumi. Una ricostruzione visiva dello spetta-colo è resa possibile dalle rarissime foto di scena esistenti, conservate a Roma, nell’archivio fotografico della Biblioteca e Raccolta Teatrale del Burcardo (cf. Deodati, p. 292, n. 26). Le musiche di Ildebrando Pizzetti sono andate perdute. *

* Il testo delle informazioni riportate proviene, con qualche aggiu-stamento, da Michela Svaldi, Ricerche su ''La lunga notte di Me-dea'' di Corrado Alvaro, Università degli studi di Trento, Tesi di laurea 2003-04, Lettere e filosofia, relatore Giorgio Ieranò.

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