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PERSONALIA In memoria di Gerardo Massimi (1939- 2014) Il 30 maggio 2014 è venuto a mancare Gerardo Massimi, già professore ordinario di Geografia Economica nella Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Univer- sità «Gabriele d’Annunzio» di Chieti-Pesca- ra. Un dolore immenso e un colpo durissi- mo per il gruppo di geografi che, in trent’anni, è cresciuto nell’Ateneo abruzze- se, intorno a lui e a chi scrive queste note. Una bella storia di provincia, nata da zero, nel clima di quella che fu la vera Università italiana prima del declino, quando i valori accademici costituivano un obiettivo prestigioso e un onore assoluto, riconosciuto dalla società tutta. E per le piccole città di Chieti, Pescara e – allora – Teramo (oggi sede universitaria autono- ma) quel progetto della «Libera Università Abruzzese», voluto dalla classe politica lo- cale e sbocciato, nel 1965, con l’accredita- mento come Ateneo non statale (fino al 1982), rappresentava un miraggio e un ri- scatto, un impegno e una sfida vissuti, ini- zialmente, sotto la guida di grandi maestri provenienti da molti atenei titolati (Roma, Bologna, Napoli, Bari e altri), aprendo così spazio all’intelligenza e alla volontà degli studiosi di una regione da sempre rurale e pastorale, martoriata dal secondo conflitto mondiale, che solo allora si apriva alla modernità. Gerardo Massimi è stato figura emble- matica del riscatto, dell’impegno e, possia- mo dirlo, del successo di quella storia. Nato nel Teramano, ai piedi del Gran Sasso, ha dovuto ben presto sfoderare la grinta tipica degli abruzzesi, compiendo gli studi univer- sitari di Economia e Commercio a Napoli mentre, per sostentarsi, lavorava a Trieste. Laureato con una tesi sulla valorizza- zione della fascia costiera abruzzese-moli- sana, di cui fu relatore Domenico Ruocco, risultava, nei primi anni Settanta, vincitore del concorso a cattedra di Geografia Gene- rale ed Economica (la rimpianta Tabella G II) negli istituti tecnici commerciali, fucina di tanti grandi geografi universitari, e vi iniziava la carriera, ancora oggi ricordato dai vecchi studenti come assolutamente eccezionale per metodo e innovatività. La sua propensione alla didattica si è peraltro tradotta nella lunga e apprezzata attività svolta nella sezione regionale (allora pre- sieduta dalla indimenticabile Concetta Te- sta) dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AIIG), che lo avrebbe portato anche a sedere nel consiglio centrale della medesima (1988-1991). Fu proprio nei primi anni Settanta che ebbi occasione di sentirlo nominare per la prima volta, da Elio Migliorini, di cui ave- vo avuto la fortuna di divenire assistente a Roma: «in Abruzzo c’è quel Massimi che non è male». Conoscendo il rigore del Maestro, mi parve un apprezzamento non da poco, ma non avrei mai potuto immagi- nare cosa sarebbe accaduto dopo un de- cennio, quando, chiamato nella neo-stata- lizzata «Gabriele d’Annunzio», me lo vidi presentare da Filippo Di Donato, che ave- va tenuto in vita la cattedra di Geografia Economica in una complessa fase di vaca- tio, il quale, caldeggiando la mia attenzio- ne nei suoi confronti, a sua volta mi disse: «fra noi è quello di gran lunga più incline alla ricerca e ci ha sempre fatto da traino». Gli altri geografi di ruolo nell’Ateneo era- no, all’epoca, Michelangelo Ruggieri, Or- lando Veggetti e Paola Mazzara, tutti esperti ma certamente penalizzati dallo scarso radicamento dei docenti esterni che vi avevano coperto incarichi di insegna- mento. Incarichi cui Massimi avrebbe po- N O T I Z I A R I O

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PERSONALIA

In memoria di Gerardo Massimi (1939-2014)

Il 30 maggio 2014 è venuto a mancareGerardo Massimi, già professore ordinariodi Geografia Economica nella Facoltà diLingue e Letterature Straniere dell’Univer-sità «Gabriele d’Annunzio» di Chieti-Pesca-ra. Un dolore immenso e un colpo durissi-mo per il gruppo di geografi che, intrent’anni, è cresciuto nell’Ateneo abruzze-se, intorno a lui e a chi scrive queste note.

Una bella storia di provincia, nata dazero, nel clima di quella che fu la veraUniversità italiana prima del declino,quando i valori accademici costituivano unobiettivo prestigioso e un onore assoluto,riconosciuto dalla società tutta. E per lepiccole città di Chieti, Pescara e – allora –Teramo (oggi sede universitaria autono-ma) quel progetto della «Libera UniversitàAbruzzese», voluto dalla classe politica lo-cale e sbocciato, nel 1965, con l’accredita-mento come Ateneo non statale (fino al1982), rappresentava un miraggio e un ri-scatto, un impegno e una sfida vissuti, ini-zialmente, sotto la guida di grandi maestriprovenienti da molti atenei titolati (Roma,Bologna, Napoli, Bari e altri), aprendo cosìspazio all’intelligenza e alla volontà deglistudiosi di una regione da sempre rurale epastorale, martoriata dal secondo conflittomondiale, che solo allora si apriva allamodernità.

Gerardo Massimi è stato figura emble-matica del riscatto, dell’impegno e, possia-mo dirlo, del successo di quella storia. Natonel Teramano, ai piedi del Gran Sasso, hadovuto ben presto sfoderare la grinta tipicadegli abruzzesi, compiendo gli studi univer-sitari di Economia e Commercio a Napolimentre, per sostentarsi, lavorava a Trieste.

Laureato con una tesi sulla valorizza-zione della fascia costiera abruzzese-moli-sana, di cui fu relatore Domenico Ruocco,risultava, nei primi anni Settanta, vincitoredel concorso a cattedra di Geografia Gene-rale ed Economica (la rimpianta Tabella GII) negli istituti tecnici commerciali, fucinadi tanti grandi geografi universitari, e viiniziava la carriera, ancora oggi ricordatodai vecchi studenti come assolutamenteeccezionale per metodo e innovatività. Lasua propensione alla didattica si è peraltrotradotta nella lunga e apprezzata attivitàsvolta nella sezione regionale (allora pre-sieduta dalla indimenticabile Concetta Te-sta) dell’Associazione Italiana Insegnanti diGeografia (AIIG), che lo avrebbe portatoanche a sedere nel consiglio centrale dellamedesima (1988-1991).

Fu proprio nei primi anni Settanta cheebbi occasione di sentirlo nominare per laprima volta, da Elio Migliorini, di cui ave-vo avuto la fortuna di divenire assistente aRoma: «in Abruzzo c’è quel Massimi chenon è male». Conoscendo il rigore delMaestro, mi parve un apprezzamento nonda poco, ma non avrei mai potuto immagi-nare cosa sarebbe accaduto dopo un de-cennio, quando, chiamato nella neo-stata-lizzata «Gabriele d’Annunzio», me lo vidipresentare da Filippo Di Donato, che ave-va tenuto in vita la cattedra di GeografiaEconomica in una complessa fase di vaca-tio, il quale, caldeggiando la mia attenzio-ne nei suoi confronti, a sua volta mi disse:«fra noi è quello di gran lunga più inclinealla ricerca e ci ha sempre fatto da traino».Gli altri geografi di ruolo nell’Ateneo era-no, all’epoca, Michelangelo Ruggieri, Or-lando Veggetti e Paola Mazzara, tuttiesperti ma certamente penalizzati dalloscarso radicamento dei docenti esterni chevi avevano coperto incarichi di insegna-mento. Incarichi cui Massimi avrebbe po-

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tuto ben aspirare ma che, paradossalmen-te, gli erano stati sempre negati.

In questo nucleo di «anziani» egli stavacertamente bene, e nel 1988 entrò nel ruo-lo dei ricercatori, dopo un brillantissimoconcorso nel quale, fra l’altro, ottenne ilpieno apprezzamento di Carlo Da Pozzo,che non si poteva certo dire incline a facilientusiasmi.

Avevamo subito cominciato a lavorarescientificamente insieme, esordendo conun contributo negli Atti delle Giornate diLavoro AIRO (1984), in cui organizzammouna sezione geografica (la relazione prin-cipale fu tenuta da Adalberto Vallega), se-guito dall’edizione italiana di un notissimovolume di David Unwin, Analisi spaziale.Un’introduzione geocartografica, di cuiMassimi – da allora affettuosamente ribat-tezzato Gerry – curò per intero la traduzio-ne e l’adattamento, oltre a una parte assaipregnante dell’introduzione critica.

Il gruppo cresceva con l’arrivo di Fran-co Salvatori, Carlo Lefebvre, Claudio Smi-raglia e, successivamente, di Claudio Cer-reti e Luca Zarrilli, mentre iniziava il reclu-tamento dei giovani abruzzesi: Marina Fu-schi, Bernardo Cardinale, Giacomo Cavuta,Silvia Scorrano, Concettina Pascetta, Fabri-zio Ferrari, oltre a Umberto Di Menno DiBucchianico, borsista CNR, e ai tanti dotto-ri di ricerca. Di questa crescita Gerry Mas-simi fu da subito motore insostituibile, ilvero «braccio scientifico», capace di suppli-re alla forzata distrazione di energie disci-plinari verso impegni gestionali di lungadurata, pur utili negli equilibri dell’Ateneo.

Professore di seconda fascia dal 1993(per un biennio nell’Università di Cassino)e di prima fascia dal 2002, Gerry coronavacon pieno merito la rincorsa a quei risulta-ti scientifici che aveva costruito con pervi-cacia non inferiore alla capacità, intellet-tuale e di lavoro, davvero straordinaria.

Geografo ad amplissimo spettro (lo di-mostra la monografia regionale Marche.Mutamenti nell’assetto urbano e problema-tiche ambientali, Bologna, Pàtron, 1999),grazie a una preparazione di base quanto

mai solida e completa, la sua numerosaproduzione, concretizzata in oltre 100 lavo-ri principali, ha spaziato dalla geografia fisi-ca e climatologia (si ricorda il solido artico-lo sulle precipitazioni e il regime pluviome-trico nella zona calanchiva di Atri, in que-sto «Bollettino», 1984, pp. 655-672) alla geo-grafia economica (fra i lavori più significati-vi, il volume Processi di convergenza e di-vergenza tra industria manifatturiera eservizi alle imprese negli ambiti territorialidel Mezzogiorno. Stato di fatto e dinamicanegli anni Novanta, curato insieme a chiscrive e pubblicato pure dalla Società Geo-grafica Italiana, nel 2001), avendo peraltro icapisaldi nella geografia della popolazione,con numerosissimi contributi (per tutti,quelli pubblicati nel volume Abruzzo. Unmodello di sviluppo regionale, Roma, So-cietà Geografica Italiana, 1999, su Movi-menti virtuali di popolazione nella regioneAbruzzo 1861-1991. La componente alti-metrica e Struttura per età della popolazio-ne nei comuni della regione Abruzzo, conMarina Tubito), ma soprattutto nell’analisiterritoriale, di cui può considerarsi espressi-vo il grosso volume I sistemi geo-economiciabruzzesi. Una lettura integrata areale/re-ticolare, ancora con chi scrive, pubblicatodal Centro Regionale di Studi e RicercheEconomico-Sociali (CRESA) delle Cameredi Commercio d’Abruzzo.

Padrone degli strumenti quantitativi(prima della cattedra in Geografia avevaconseguito l’abilitazione in Matematica),ne sapeva ricavare modelli originali, digrande efficacia applicativa, senza mai ri-schiare di esserne dipendente: indimenti-cabile la sua lezione di prova nel concorsoper professore associato, in cui riuscì mira-bilmente a sintetizzare teoria, metodo etecnica, dando prova di assoluta maturitàconcettuale e interpretativa. Ne fa fede lamole dei materiali prodotti dal laboratoriodi geografia, da lui diretto per oltre un de-cennio, ancora in gran parte consultabilinel sito http://www.gerardomassimi.it/.

In quel suo sito sono reperibili anchemolte delle elaborazioni cartografiche digi-

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tali che Gerardo Massimi produsse nel tem-po, sia in funzione didattica, sia per corre-dare i suoi lavori, sia anche per pura esemplice sperimentazione di soluzioni cro-matiche e volumetriche, di metodi nuovi,di algoritmi da lui stesso adattati.

Ma Gerry era anche un profondo uma-nista. Nel gruppo, lo definivamo «il mecca-nicista con l’animo del poeta»: scherzoso –e, come detto, immeritato – il primo termi-ne, assolutamente calzante il secondo. Dagiovanissimo aveva pubblicato una bellaraccolta di poesie, rieditata e arricchita investe informatica poco prima della scom-parsa, ad accompagnare la nascita dell’a-dorata nipotina. Ancora, gli eccellenti la-vori di toponomastica, culminati nella cura(con Marina Fuschi) del volume LXXXVdelle «Memorie» di questa Società, Topono-mastica italiana. L’eredità storica e le nuo-ve tendenze (2008), che raccoglieva gli Attidella Giornata di Studio da lui organizzata,in Pescara, il 13 dicembre 2007, e, poconoto, uno splendido volume che riassume-va il radicamento di Gerry Massimi alla suaterra: L’Abruzzo, Tocco da Casauria e ilBel Paese (Lanciano, Itinerari, 2002).

Da questo insieme di caratteri emergela figura dell’uomo prima che del geo-grafo: talora aspro e inesorabile nell’impe-gno personale che trasfondeva senza infin-gimenti negli allievi e in tutti noi, manife-stava per contro una sensibilità e una dol-cezza ineguagliabili in ogni circostanza al-trui, lieta o problematica, di successo o disconfitta, insomma di vita.

Oggi, anche nella «Gabriele d’Annun-zio», la grave crisi dell’Università italiana fasembrare lontani quegli anni di crescita edi entusiasmo: ma la bella storia di provin-cia non si perde e il ricordo di un suo pro-tagonista, come è stato Gerry, dà la forzadi continuare a credere in quei valori dellaricerca, della didattica e, complessivamen-te, della Scuola, con l’iniziale maiuscola enel significato più ampio, nei quali, finoall’ultimo, Gerry ha creduto.

Piergiorgio Landini

STORIA DEL PENSIERO GEOGRAFICO

Geografie che hanno fatto storia

Il 27 febbraio scorso, con il sostegnodel Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici (CISGE), si è tenuto presso il Di-partimento di Studi Umanistici dell’Univer-sità «Roma Tre» quello che è stato propostocome il primo di una serie di incontri sui«grandi libri» nella geografia italiana con-temporanea. Questa prima edizione è statadedicata agli anni Ottanta del Novecento.

Come sottolineato dagli organizzatori,Claudio Cerreti e Claudio Minca, l’obiettivodel seminario non era riflettere sulla geo-grafia degli anni Ottanta, bensì sulla geogra-fia odierna alla luce di quegli anni, attraver-so tre libri di quel periodo. Si trattava dun-que di dialogare sulla loro influenza e suicambiamenti che essi hanno introdotto nelpensiero geografico italiano fino a oggi.

Sotto il coordinamento di Franco Fari-nelli, i lavori sono iniziati con le considera-zioni di Clara Copeta e Giulia de Spuchessul libro di Denis Cosgrove, Realtà sociali epaesaggio simbolico (1984). La curatrice del-l’edizione italiana del libro, C. Copeta, ha ri-cordato il carattere fluido e la libertà di pen-siero che Cosgrove ha introdotto nel suomodo di affrontare «l’ambiguità del paesag-gio». Il suo approccio – evocato da più vocidurante il dibattitto – ha proposto una pos-sibile alternativa alle perplessità di LucioGambi sul come trattare la questione delpaesaggio. Questa «nuova» sensibilità (peraltro già presente in lavori contemporanei oanteriori di Eugenio Turri: Dentro il paesag-gio: il territorio laboratorio, 1982; Semiolo-gia del paesaggio italiano del 1979; Antro-pologia del paesaggio, 1974) ha altresì per-messo di distanziarsi dalle «soffocanti com-ponenti e determinanti» (C. Copeta) di allo-ra, che si ritrovavano persino nella legge431 dell’8 agosto 1985 (la «legge Galasso»).A proposito di normative, F. Farinelli ha pre-cisato che la Convenzione europea del pae-saggio ha segnato il netto passaggio dallapercezione moderna a quella postmoderna,

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introducendo il soggetto «mobile» (il turista)e non solo il soggetto «statico» (gli stanziali).

G. de Spuches, con una panoramicavariegata, ha ricordato i riferimenti cosgro-viani, più o meno diretti e concordi, pre-senti in alcuni lavori di studiosi italiani(Massimo Quaini, Claudio Minca, AngeloTurco, Bruno Vecchio eccetera). La distin-zione insider/outsider di Cosgrove è stataelemento centrale nell’analisi di G. de Spu-ches, anche in relazione con la necessità diprendere in considerazione il soggetto «dichi parla e di chi è parlato» e la selezioneche si fa di una narrazione (a discapito dialtre). Volendo andare oltre la mera que-stione definitoria del paesaggio e ribaden-do il suo carattere performativo, nell’inter-venire nel dibattito Giuseppe Dematteis hainsistito sull’importanza di sapere a che co-sa serva il paesaggio (quali sono i suoi rap-porti con le pratiche sociali e politiche) equali eventuali conflitti vi si nascondano.

D. Cosgrove, come altri (per esempio,James Duncan, 1980), ha cercato di supera-re la dimensione descrittiva per concentrarsisulle rappresentazioni e sull’interpretazionesimbolica che i gruppi e le classi sociali dan-no del loro ambiente e sulle giustificazioniestetiche o ideologiche che ne propongono(ne sono esempio l’interpretazione e il mo-delage dei paesaggi da parte dell’aristocra-zia veneziana del XVI secolo o della gentrybritannica del XVIII per legittimare il loropotere). Come ricorda Paul Claval in una re-censione del libro di Cosgrove (Geographi-cal Imagination and the Authority of Ima-ges, 2006) a proposito della svolta che Co-sgrove ha dato alla new cultural geographye del grande interesse per il paesaggio cheegli ha testimoniato nell’ultimo trentennio:«L’attention accordée à la dimension artisti-que ne doit pas être lue comme une formed’esthétisme, mais comme une manière deplonger dans les représentations et de com-prendre l’imagination de ceux qui habitentle monde et le construisent avec leurs rêves»(La géographie culturelle selon Denis Co-sgrove, in «Géographie et cultures», 2007, 61,http://gc.revues.org/2691)

Claudio Minca e Mario Neve hannocommentato Le metafore della Terra diGiuseppe Dematteis (1985). Minca ha piùvolte fatto riferimento a un articolo da luiscritto con Juliet J. Fall, come uno dei prin-cipali spunti per l’ideazione del seminarioe come premessa al seguito del suo ragion-amento (Not a Geography of What doesn’texist, but a Counter-geography of Whatdoes: Rereading Giuseppe Dematteis’ LeMetafore della Terra, in «Progress in Hu-man Geography», 2013, 37, 4, pp. 542-563):«The shaping of geography as a disciplinehas been the result of a combination ofproductive and successful communicationand missed opportunities, of presence andabsence, of fluid travels of ideas and pro-jects, but also of closures, impediments,good lessons that got lost. This paper sug-gests that using a counterfactual approachto draw attention to specific geographiesthat remained unfulfilled and poorlyknown helps to think beyond linear ge-nealogies» (apertura dell’abstract). NelleMetafore della Terra C. Minca vede la pro-posta di una geografia critica che anticipa itempi, non solo della geografia italiana, madella geografia tout court, introducendonovità quali l’«idea di discorso», il «bisognodi agire con riflessività», la «performatività»,l’«accenno alla spazialità» o le «teorie dellarappresentazione» – che sarebbero diven-tate appannaggio della geografia anglosas-sone degli anni Novanta. Nel contempo,proprio gli anni Ottanta sono teatro a livel-lo internazionale di molteplici cambiamen-ti nel mondo delle scienze sociali: culturalturn, studi postcoloniali, new cultural ge-ography eccetera, filoni che non vengonoconsiderati di per sé nel testo di Dematteis.In questo senso, ampliando la riflessione, ildibattito del convegno è più volte tornatosulla paradossale tendenza di tanti studiosiad adottare contributi di non-geografi edessere invece più riluttanti al dialogo congeografi di altri paesi. Tema che si collegatra l’altro alla questione delle cause dellanon circolazione delle idee. Non si trattasolo dell’ovvio problema linguistico o della

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qualità delle traduzioni, bensì della diver-sità nelle culture di riferimento e nellacostruzione del proprio sistema cognitivo.

Rispetto alla propria posizione di allo-ra, G. Dematteis si è detto sempre più con-vinto che «la geografia sia una scienza di ti-po connettivo, nel senso che mette insiemele cose più disparate in quanto rappresen-tazione spaziale – lo spazio: c’è tutto oquasi – e nel momento in cui io osservo u-na quantità di fenomeni che esistono nellospazio cerco di darne una rappresentazio-ne connettiva, però è una rappresentazio-ne che per essere connettiva deve basarsisu una selezione di fatti (perché ce ne sonotroppi) e quindi è una rappresentazioneimplicitamente progettuale […] c’è un’in-tenzionalità in questa selezione di fatti equindi nella costruzione di rappresentazio-ne connettiva».

Mario Neve ha insistito sul carattere co-raggioso delle Metafore al momento dellaloro pubblicazione e sul fatto che esse ab-biano dato una risposta alla «sete di teoriadi allora». A suo parere due aspetti in modoparticolare hanno risonanza ancora oggianche al di fuori dell’ambito geografico: ilprimo è relativo alla questione del paradig-ma scientifico come «garanzia di autenticitào quanto meno di verità del lavoro di ricer-ca» che rimanda in qualche misura al pro-blema (politico) della scelta; il secondo èlegato alla re-interpretazione a posteriori,ai giorni nostri, delle considerazioni cheDematteis fece a proposito del probabileaumento della diffusione delle informazio-ni che si sarebbe verificato negli anni a ve-nire e del conseguente impatto di tale fe-nomeno a livello locale, considerando tut-tavia il fatto che la progressione nella diffu-sione delle informazioni non si è poi avve-rata ovunque in tutto il mondo.

Tornando alla geografia critica, approc-ci come quello adottato nel testo di Demat-teis (l’autore stesso ha ricordato che il sag-gio era stato scritto tre anni prima della suapubblicazione e che in qualche misura tira-va le somme delle esperienze degli anniSettanta e dei «nuovi» movimenti di pensie-

ro, in particolare del filone neo-marxista oneo-marxiano e che non era scollegato dalprogetto di «geografia democratica» e dall’i-dea che «la geografia si studia nei conflitti»)sembrano ormai dominare la letteratura i-taliana e internazionale, quando invece lamaggioranza delle pubblicazioni odiernenon sarebbe probabilmente stata accettata40 anni fa. La discussione ha tuttavia lascia-to una domanda aperta: quale può essere ilsignificato di geografia critica oggi, rispettoa quella proposta negli anni Ottanta?

Claudio Cerreti ed Elena dell’Agnesehanno dialogato su Per una geografia delpotere di Claude Raffestin (1981). Dell’A-gnese si è concentrata in particolare sul-l’impatto di questo libro sulle diverse co-munità scientifiche. Mentre ha avuto un’ac-coglienza piuttosto fredda nel mondo fran-cofono e limitata in quello anglofono, ilsaggio in questione ha incontrato un am-pio successo in Italia (ne è testimone ilgran numero di adozioni per i corsi di geo-grafia umana negli ultimi decenni). Oltread aver introdotto in geografia le idee diMichel Foucault con largo anticipo, il pre-gio di C. Raffestin è di aver fatto evolverele prospettive della geografia politica (su-perando la consuetudine di focalizzarsisullo Stato, il confine e le relazioni interna-zionali, come nel caso di Norman J.G.Pounds o Martin I. Glassner…), inserendoun’approfondita riflessione sull’idea di ter-ritorio e di territorialità. Riferendosi al pen-siero di Angelo Turco, E. Dell’Agnese haconcluso ricordando che il territorio delloStato, quello della geografia politica, non èaltro che una delle infinite possibili confi-gurazioni del territorio e della territorialitàche esiste fra gli esseri umani e la loro or-ganizzazione sociale e che se la geografiapolitica internazionale, anglofona e nonsolo, cominciasse a pensare in questo mo-do, quella famosa rivoluzione di cui si èparlato potrebbe forse innescarsi.

In una lunga recensione del saggio di C.Raffestin, J. Lévy sostiene che esso fornì unasoluzione per superare due problemi di allo-ra: l’ingombrante ricordo della geopolitica di

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Ratzel e la reazione della geografica classicafrancese, che di proposito evitava ogni con-siderazione sulla dimensione politica e sulpotere («Annales de Géographie», 1983, 92,514, pp. 720-723).

Secondo C. Cerreti questo libro costi-tuisce un vero e proprio «manuale» di geo-grafia (politica), non solo per l’ampio spet-tro di temi classici trattati (confini, capitali,risorse, popolazione eccetera), ma ancheper il carattere significativo e rivoluziona-rio del considerare il potere come un filod’Arianna, consentendo di impostare l’in-sieme del discorso geografico, di cogliernela complessità e di illustrarne la conse-quenzialità. Questo, insieme al ragionaresui processi di territorializzazione (il cosid-detto «TDR») e sulla costruzione sociale delterritorio che necessariamente mobilita ladimensione politica, porta a considerare «lageografia come una scienza, un’arte, unafilosofia politica o ancora come un’attivitàspeculativa di ordine politico». Il successodi questo saggio trova ulteriori spiegazioninello scarso numero di pubblicazioni digeografica politica in Italia in quegli anni.Cerreti ha tuttavia sottolineato il fatto chequalche timido accenno a una geografiapolitica distinta dalla geografia dello Statoera già apparso – prima del saggio di Raffe-stin – in alcuni appunti di Umberto Toschie di Bruno Nice, che non riuscirono però aimprimere una reale svolta a questo filone.

In conclusione del convegno, in un’otti-ca – caldamente auspicata da C. Minca – diricostruzione genealogica dei grandi traccia-ti che attraversano la storia dei pensieri geo-grafici e della comunità scientifica, il presi-dente dell’AGEI ha evocato il problema del-le future generazioni in un contesto accade-mico così difficile, a cominciare dalla restri-zione del numero dei dottorati in geografia.

L’insieme della ripresa dei lavori e ilprogramma completo sono disponibili sulsito web del CISGE (http://www.cisge.it/blog/news/geografie-che-hanno-fatto-storia-1-1980/#more- 880/).

Isabelle Dumont

GEOGRAFIA UMANA

I dati dell’ISPRA «Il consumo di suolo inItalia»

Tornando sull’argomento del consumodi suolo trattato nel Notiziario precedenteda Luisa Spagnoli («BSGI», 2014, 2, pp. 268-269), si segnala l’uscita dell’edizione 2014del rapporto intitolato Il consumo di suoloin Italia a cura dell’Istituto Superiore per laProtezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA).

Nel Decreto Legislativo del 3 aprile2006, n. 152 «Norme in materia ambientale»,art. 54, il suolo è definito come «il territorio,il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opereinfrastrutturali», mentre la Commissione Eu-ropea nella «Strategia tematica per la prote-zione del suolo» definisce il suolo come lostrato superiore della crosta terrestre, costi-tuito da particelle minerali, materia organi-ca, acqua, aria e organismi viventi, che rap-presenta l’interfaccia fra terra, aria e acquae ospita gran parte della biosfera.

Insieme con aria e acqua, il suolo rive-ste un ruolo di primaria importanza per lavita delle specie presenti sul nostro pianetae «fornisce» servizi eco-sistemici fondamen-tali quali prodotti alimentari, materie pri-me, regolazione del clima, cattura e stoc-caggio del carbonio, protezione e mitiga-zione dei fenomeni idrologici estremi, ha-bitat delle specie, decomposizione e mine-ralizzazione di materia organica, funzionedi paesaggio eccetera.

Ma quali sono le minacce che il suolopuò subire nel corso del tempo? La Com-missione Europea identifica una serie diprocessi di degrado quali l’erosione, lacontaminazione locale o diffusa, la diminu-zione di materia organica, il sealing ovverola copertura permanente del terreno e delsuolo con materiale artificiale non permea-bile, la compattazione, la perdita della bio-diversità, la salinizzazione, le frane e le al-luvioni, la desertificazione.

Le scorrette pratiche agricole, zootecni-che e forestali, le dinamiche insediative, levariazioni d’uso del suolo e gli effetti locali

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dei cambiamenti ambientali globali posso-no dare luogo a ulteriori gravi processi didegrado che possono limitare o inibire lafunzionalità del suolo.

Due sono i concetti fondamentali legatial suolo.

Il primo, il consumo di suolo, è legatoalla perdita di una risorsa ambientale epuò essere definito come una variazioneda una copertura non artificiale (suolo nonconsumato) a una copertura artificiale delsuolo (suolo consumato). La copertura delsuolo va intesa come copertura fisica ebiologica della superficie terrestre, com-prese le superfici artificiali, le zone agrico-le, i boschi e le foreste, le aree seminatura-li, le zone umide, i corpi idrici. Il consumodi suolo riguarda dunque le aree coperteda edifici, capannoni, strade asfaltate, can-tieri, aeroporti, porti, ferrovie, ambiti ruralie comunque tutte le aree impermeabilizza-te non necessariamente urbane, mentresono escluse le aree aperte naturali e se-minaturali in ambito urbano. Il consumodi suolo netto è calcolato invece come dif-ferenza tra il consumo di suolo e l’aumen-

to di superfici agricole, naturali e semina-turali per effetto di interventi di recupero,demolizione, «deimpermeabilizzazione», ri-naturalizzazione o altro. Occorre però sot-tolineare che i processi di rigenerazionedei suoli sono complessi e come tali ri-chiedono notevoli apporti di energia elunghi tempi di recupero.

Il secondo concetto importante è l’usodel suolo, da intendersi come l’insieme del-le interazioni tra l’uomo e la copertura delsuolo che denotano l’impiego del suolostesso ai fini delle attività antropiche. In ba-se alla direttiva 2007/2/CE del ParlamentoEuropeo e del Consiglio, l’uso del suolo vie-ne classificato in base alla dimensione fun-zionale o alla destinazione socioeconomicadel territorio, presente e programmata per ilfuturo, vedi uso residenziale, industriale, a-gricolo, silvicolo, ricreativo, commerciale.

Le tabelle 1 e 2 indicano rispettivamen-te la stima del suolo consumato dagli anni1950 al 2012 in tutta la Penisola e nellequattro macroaree geografiche Nord-ovest,Nord-est, Centro, Mezzogiorno. La tabella1 mostra un incremento costante nel con-

1950 1989 1996 1998 2006 2009 2012

Suolo consumato (%) 2,9 5,4 5,9 6,1 6,8 7,0 7,3

Suolo consumato (km2) 8.700 16.220 17.750 18.260 20.350 21.170 21.890

1950 1989 1996 1998 2006 2009 2012

Nord-ovest 3,9 6,6 7,1 7,3 7,9 8,2 8,4

Nord-est 2,9 5,5 6,2 6,4 7,2 7,5 7,8

Centro 2,3 5,2 5,8 6,0 6,7 7,0 7,2

Mezzogiorno 2,6 4,8 5,2 5,3 6,0 6,3 6,5

Tab. 1 – Stima del suolo consumato a livello nazionale, in percentuale sulla superficie na-zionale e in ettari, per anno

Tab. 2 – Stima per macro-regioni del suolo consumato in percentuale per anno

Fonte: ISPRA, 2014

Fonte: ISPRA, 2014

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sumo di suolo che vale 4,4 punti percen-tuali in un periodo di circa 60 anni, ovveroun valore approssimato di 70 ettari al gior-no pari a 8 metri quadrati al secondo.

La ripartizione geografica indica valoripiù elevati di consumo di suolo per l’areadel Nord-ovest mentre le altre macroareemostrano percentuali inferiori, seppurecon incrementi percentuali annuali diversi.In base ai dati raccolti da Copernicus (ilprogramma europeo finalizzato alla realiz-zazione di un sistema per l’osservazionedella terra in grado di fornire servizi infor-mativi e cartografie in diversi settori), nel2012, in 15 regioni è stato superato il 5% disuolo consumato, con percentuali elevatein Lombardia e Veneto (oltre il 10%), Emi-lia-Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Si-cilia (con valori compresi tra l’8 e il 10%).

Ulteriori informazioni di dettaglio ri-guardano il consumo di suolo nei comuni,ma in questo caso i valori stimati risentonodel rapporto tra area urbana e perimetroamministrativo, in quanto alcuni comuni,come Roma e Potenza, hanno un’estensio-ne territoriale molto ampia rispetto all’areaurbanizzata e possono includere anche a-ree agricole o naturali; in altri casi, comeMilano, Napoli e Torino, le città hanno su-perato i limiti amministrativi comunali, percui gli spazi aperti all’interno della superfi-cie comunale ricoprono una ridotta esten-sione. Le percentuali stimate di consumo disuolo nei comuni nel 2012 presentanodunque oscillazioni molto ampie che van-no dal 61,7% di Milano al 37,9% di Comoall’8,1% di Arezzo (dato 2011).

Per quanto riguarda le diverse tipologiedi consumo di suolo (si veda la tabella 3),che non sono sempre direttamente correla-bili al fattore demografico, al primo postosi trovano gli edifici e i capannoni, cui siimputa il 30% delle superfici perse, seguitida strade asfaltate e ferrovie con il 28%, poile altre strade (strade sterrate e infrastruttu-re di trasporto secondario) con il 19%,piazzali, parcheggi, aree di cantiere, areeestrattive, discariche con il 14% e altre areeconsumate con il 9%.

Tab. 3 – Percentuale di superficie di suoloconsumato, per tipologia, sul totale del suo-lo consumato in Italia, anno 2006

È altresì interessante un confronto «dimassima» con altri paesi europei sulla co-pertura artificiale del suolo, che a livello eu-ropeo è cresciuta globalmente del 3,4% tra il2000 e il 2006. Per il nostro paese, tale indi-catore è stimato essere pari al 7,8% contro il4,6% della media dell’Unione Europea. Mal-ta è al primo posto con il 32,9%, seguita daBelgio (13,4%), Paesi Bassi (12,2%), Lus-semburgo (11,9%), Germania (7,7%), Dani-marca (7,1%), Regno Unito (6,5%).

Ulteriori informazioni sul consumo disuolo sono fornite dall’analisi di altri aspet-ti quali la localizzazione in area urbana o a-gricola, l’altitudine, la distanza dalla costa.Le aree urbane sono le zone dove più in-tensamente si verifica il consumo di suolo,con un valore stimato che passa dal 64,7%nel 1990 al 67,6% nel 2006; nel medesimoarco di tempo, le aree agricole mostranoun valore che oscilla dal 7,9 al 9%. Nella fa-scia compresa entro i 10 km dalla costa, l’a-nalisi del consumo di suolo ne evidenziaun incremento maggiore rispetto al rima-nente territorio nazionale, con valori chevanno dal 4% negli anni 1950 al 10,5% nel2012. Per distanze superiori ai 10 km, la sti-ma del suolo consumato era del 2,5% neglianni 1950 contro il 6,5% del 2012. Le areedel territorio nazionale ove si registrano ivalori più elevati sono alcune zone di Ligu-ria e Toscana settentrionale e delle provin-ce di Roma e Latina, alcune aree di Campa-nia e Sicilia, Bari, Taranto, la costa adriaticada Ravenna a Pescara.

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Edifici, capannoni 30%

Strade asfaltate e ferrovie 28%

Altre strade 19%

Piazzali, parcheggi, aree di cantiere,

aree estrattive, discariche 14%

Altre aree consumate 9%

Fonte: ISPRA, 2014

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Notiziario 677

Anche l’altimetria gioca un ruolo im-portante nel consumo di suolo: le zone si-tuate a una quota inferiore ai 300 metri sullivello del mare mostrano un andamentomolto più marcato, dal 4,2% negli anni1950 all’11,4% del 2012, mentre le quotetra 300 e 600 metri passano dal 2,3% al5,7%. Le quote superiori ai 600 metri pre-sentano invece una percentuale molto bas-sa, dall’1% all’1,9% per il medesimo arcotemporale.

Un fenomeno che riguarda le aree ur-bane è il cosiddetto urban sprawl, ovverola diffusione di insediamenti a bassa den-sità dal centro urbano verso l’esterno, chetendono a eliminare la distinzione tra cittàe campagna. Si passa dunque da centri ur-bani compatti tipici degli anni 1960-70 aforme di insediamenti caratterizzati da u-nità immobiliari a costi minori rispetto alleunità più centrali e dalla presenza di areeverdi che soddisfano una richiesta di mi-gliore qualità della vita e di benessere.

L’indice di dispersione urbana, vale adire il rapporto tra la superficie urbanizza-ta discontinua e la superficie urbanizzatatotale, indica che Perugia, Potenza e Sassa-ri sono le città in cui i processi di espan-sione della superficie urbanizzata a bassadensità hanno più interessato il territoriocomunale. Tale indice è pari al 79% a Ro-ma, al 59% a Napoli, al 44% a Milano ed al43% a Torino. All’urban sprawl si associaspesso l’ED (Edge Density), un indicatoreche misura la densità di una superficie ur-banizzata tramite il rapporto tra la sommatotale dei perimetri dei poligoni delle areecostruite e la superficie in oggetto.

L’ED dei comuni italiani oscilla dai 18m/ha di Foggia ai 126 m/ha di Pescara,passando per gli 83 di Roma, i 91 di Paler-mo, i 96 di Milano e i 111 di Napoli. Nonmancano poi altre tipologie di indici, co-me il LPI (Largest Patch Index) e il RMPS(Remaining Mean Patch Size) adatti a for-nire ulteriori informazioni sulla diffusioneurbana.

Maria Luisa Felici

GEOGRAFIA URBANA

I processi di urbanizzazione in tempidi crisi

Presso l’Università di Tours, Faculté deDroit, d’Economie et des Sciences Sociales,si è svolto nei giorni 16 e 17 giugno 2014 ilsettimo convegno internazionale di geo-grafia sociale dal titolo Penser la fabriquede la ville en temps de crise(s). Organizzatoquest’anno dal gruppo di ricerca CITERESUMR 7324 (équipes CoST et EMAM), e dalCNRS dell’Università di Tours, con il soste-gno del Conseil régional du Centre, ha vi-sto la partecipazione di un nutrito gruppodi geografi francesi e italiani. I saluti di C.Cerreti, I. Dumont – apripista di questopluriennale sodalizio scientifico – e H. TerMinassian, alla presenza di R. Hérin, hannoaperto le due giornate focalizzate sul bino-mio città-crisi, una questione di pressanteattualità dove la componente sociospazialeè di primaria importanza.

Quale rapporto si può individuare tracrisi, processi di urbanizzazione e logicheneoliberali? Che ruolo gioca la crisi – il cuilessico si compone di termini quali immobi-lità, declino, degrado, abbandono, conflitto,disoccupazione, diminuzione del welfare –nelle azioni urbane dei diversi attori sociali?Quali sono le semantiche implicate? Quan-to e come la crisi paralizza o movimenta ri-sposte e strategie? Attorno a tali quesiti sisono concretizzate le quattro sessioni di la-voro: Il fallimento dell’urbanistica neolibe-rista; Crisi della città, crisi dell’azione pub-blica; Abitare e accesso all’alloggio in tempidi crisi; Resilienza, adattamento e strategieurbane. Si sono così sviluppati discorsi chehanno abbracciato sia il versante teorico siaquello empirico, attraverso l’analisi criticadi specifici casi di studio.

L’assunto è che la città si possa conside-rare non tanto il luogo preferenziale delneoliberalismo quanto il contesto più inte-ressante per esaminarne le realizzazioni: inessa, infatti, si esprime una particolare con-centrazione di forme e di politiche di rige-

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nerazione, legate a processi di privatizzazio-ne e «imprenditorializzazione» atti a creareun paesaggio urbano ripetitivo e standardiz-zato nonché fenomeni di esclusione socio-spaziale. Ciò è tanto più vero di fronte allacrisi economica e istituzionale che conducealla ridefinizione della relazione tra Stato emercato e tra pubblico e privato, stimola l’a-zione di nuovi attori locali e comporta unadifficile conciliazione tra tensione alla «me-tropolizzazione» e identità della città.

La crisi può dinamizzare e trasformarelo spazio urbano ma spesso agisce più se-condo una produzione narrativa che reale,come afferma L. Fournier in una lettura cri-tica dello sviluppo urbano spagnolo, conparticolare riferimento alla sua capitale e aiprogetti di macrositi universitari, veri epropri campus territoriali generanti possi-bili nuove identità su scala metropolitana.

Anche in città di media dimensione, co-me Cagliari, recenti opere evidenziano lariproduzione di un modello riconoscibiledi stampo neoliberale, per cui esse diven-gono pezzi estrusi rispetto al tessuto con-nettivo urbano, spazi «sospesi», spazi «in at-tesa» (M. Memoli e M. Puttilli si sono riferitiin particolare a Villanova, quartiere storicodestinatario di una complessiva ridefinizio-ne tesa ad attrarre nuovi consumatori dellusso, e alle Zunc Towers, torri simbolo diun nuovo centro residenziale, commercialee direzionale). L’unica novità si ravvisa nelfatto che nel caso di studio proposto il ca-pitale ha un nome, l’investitore è ben co-nosciuto e visibile nel territorio, decretan-do così una peculiare relazione tra attorepubblico e privato. In tale tipo di relazio-ne, tuttavia, il grande marginalizzato rima-ne l’interesse pubblico, come ravvisa J.-M.Fournier trattando del complesso rapportotra crisi, gruppi sociali e fasi di ordine e di-sordine urbano a Santiago del Cile, cittàneoliberale per eccellenza.

Altri segni di reazione alla crisi com-merciale leggibili nelle aree urbane – se-condo quanto proposto dalla ricerca di C.Cirelli, T. Graziano, L. Mercatanti, E. Nico-sia, C.M. Porto – sono soluzioni quali il

franchising, i temporary shops, le luxurystreets e lo smart retail: tali nuove forme dioccupazione dello spazio urbano – soprat-tutto dei centri città – sempre più connota-te dal paradigma emozionale associato allavendita/acquisto del prodotto, possono co-stituire strumenti di rivitalizzazione econo-mica ma non altrettanto sociale.

Una densa e specifica riflessione è statasviluppata sulla crisi dell’azione pubblicanello spazio urbano francese (interventi diW. Serisier e R. Vigneron): ne è emersaun’assenza di concertazione con la colletti-vità, una mancanza di accorpamento e diconnessione di singole idee progettuali inun organico disegno di sviluppo, una deci-sa permanenza di comportamenti specula-tivi associata a una sorta di rinuncia a pen-sare in quale città vivere.

Quale presenza dello Stato è ormai au-spicabile? Come si ridefiniscono i ruoli tra idiversi poteri? Esplicita è l’ipotesi propostanell’intervento riguardante il consistentepatrimonio militare cagliaritano (C. Perelli,G. Sistu) secondo la quale l’intricato rap-porto tra azione/non azione dei potericoinvolti (le istituzioni, i gruppi e le asso-ciazioni, le forze militari), cristallizzando la«decolonizzazione» degli spazi militari, han-no spostato le volumetrie su altre zone del-la città originariamente destinate a verde,creando così un cortocircuito dello svilup-po urbano stesso.

Di fronte all’emergere di conflitti territo-riali, rispetto all’inadeguatezza, alla debo-lezza e/o all’assenza dell’azione pubblica apiù livelli di scala, quale può essere il com-portamento della cittadinanza? Stimolante atale proposito è studiare la funzione dei so-cial networks nel contesto della mobilitazio-ne popolare (M. Fraire, S. Marino, S. Stasi,S. Spagnuolo, F. Sessa): essi risulterebberofavorire sia la partecipazione – di genere, divari gruppi sociali e di molteplici classid’età – sia l’identificazione dei diritti e dellemodalità in cui si vuole siano rispettati.

La crisi, oltre a mobilitare forze locali adiversi gradi d’intensità, incide sulla funzio-ne di determinati spazi e sulla loro occupa-

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Notiziario 679

zione da parte di gruppi specifici di popo-lazione: è il caso, ad esempio, del ricono-scimento a Parigi di spazi pubblici autoriz-zati per il mercato dei biffins, termine po-polare per indicare gli straccivendoli, que-stione che deve essere letta, come ricordatoda H. Balan, nel composito intreccio traambito economico (disoccupazione), socia-le (esclusione) e ambientale (riciclaggio).

Ulteriori dinamiche ineriscono alla crisidegli alloggi. L’habitat participatif (S. Bres-son) potrebbe costituire una delle soluzio-ni, ma per la sua storia e per l’insieme ete-rogeneo di denominazioni e di realizzazio-ni che lo caratterizzano, più che una rispo-sta alla marginalità abitativa si rivela essereuna scelta di vita rispetto a una crisi di lun-go periodo, segnata dall’individualismo edall’assenza di sensibilità ecologica. Versola marginalità abitativa, intesa come assen-za di un alloggio connessa all’impossibilitàdi accesso ai servizi, rispondono dal bassofenomeni di occupazione edilizia, come di-mostrato dall’analisi di E. Rosa a Torino, at-ti concreti di una reazione al capitalismo eal fallimento delle politiche pubbliche.

Nell’ambito della riflessione sui feno-meni di resilienza, adattamento e strategieurbane, A. Schar analizzando Belfast, capi-tale segnata dai conflitti religiosi, mette inluce come la scelta turistica di riqualificaregli spazi centrali apparentemente «neutri»,secondo uno schema classico per il rilan-cio delle città, non sia idonea rispetto allespecificità del contesto, in quanto sancireb-be la disarticolazione della città e la con-servazione, soprattutto nelle periferie, deisegni del conflitto tra comunità.

Il fattore culturale è scelto anche dal-l’amministrazione di Cagliari (R. Cattedra,M. Tanca) ed esibito attraverso slogan atti asottolineare l’auspicata nuova centralitàterritoriale nel Mediterraneo. Essere «capi-tale» culturale significa essere città dellacreatività, dell’intelligenza, della conoscen-za; è un’immagine effimera che pervadetutte le politiche e i discorsi urbani ma chenon collima con la Cagliari degli abitanti econ i disequilibri sopracitati.

Altre città credono nel fattore tecnolo-gico come sorta di oggetto moltiplicatoreda mobilizzare e attivare in quanto in gra-do di rilanciare tutto il territorio a scala in-ternazionale: è quello che accade a Siracu-sa (A. Di Bella, L. Ruggiero), unica città ita-liana selezionata, assieme a una trentina dicittà nel mondo, per il programma globaleSmarter Cities Challenge della IBM. Culturae tecnologia sono certamente fattori di persé positivi, che facilmente possono trovareconsenso e condivisione, ma contemplanoil rischio di produrre e/o rinnovare un’im-magine esteriore della città a detrimentodella sua coesione interna.

Al quesito su quali altri fattori potreb-bero essere relati alle forme di resilienzaurbana risponde E. Dansero nel contributofirmato anche da G. Pettenati e A. Toldo.Una città può divenire «capitale» in nomedel cibo, come accaduto per Torino «Capi-tale del Gusto», ma la prospettiva cui si do-vrebbe guardare è pensare al cibo comeproblematica di tipo economico, sociale eambientale legata ai consumi alimentari. Intal senso la città è lo spazio dove si perce-piscono le conseguenze del paradigma a-groindustriale vigente, si verificano i limitisulla conoscenza del cibo e si coglie l’ur-genza di una governance alimentare urba-na, necessaria per la qualità della vita, lasostenibilità, la salute pubblica e la giusti-zia sociale. L’ottica geografica può dunquespingere a visualizzare non tanto la singolacapitale del gusto quanto un sistema terri-toriale del cibo, a perseguire non solo lalogica dell’eccellenza e della competitivitàma anche quella solidale e cooperativa.

La ricchezza delle numerose riflessioniemerse dal fervido e vivace confronto tra ipartecipanti, più che condurre a elaborareconclusioni, tracciano ulteriori piste di lavo-ro rispetto ai significati e all’evoluzione delneoliberalismo, agli attori sociali, agli spazie alle energie coinvolte, agli effetti generatie generabili nell’ambito della tensione con-tinua tra crisi e sviluppo, tra forze omolo-ganti e specificità locali, tra istituzioni e cit-tadinanza, tra pianificazione e conflitto terri-

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toriale, come più volte ricordato da N. Sem-moud, P. Melé, I. Garat e F. Maccaglia.

Arrivato come detto alla sua settima e-dizione, dopo aver affrontato una serie ditemi che dimostrano la cucitura di unacontinua e sempre più ricca narrazione(Aiutare a capire il mondo: la posta in gio-co della geografia sociale oggi, Parma 2008;La società tra spazio e territorio: il ruolodella geografia sociale, Napoli 2009; Lagéographie sociale, le temps, le paysage,Caen 2010; Geografia sociale e democra-zia. Opportunità e rischi della comunica-zione non convenzionale, Roma 2011;Geographie sociale: des groupes à l’indivi-du. Théories et méthodes, Nantes 2012;Giustizia spaziale: marginalità, isolamen-to, cittadinanza, Cagliari 2013), questo ap-puntamento di geografia sociale, allietatodalla gradevolissima ed efficiente ospitalitàdei colleghi di Tours, rilancia la volontà diproseguire nell’inquadramento concettualee semantico necessario all’acquisizione dicoerenza interpretativa, di forza nella ricer-ca della verità dei territori e delle loro esi-genze di sviluppo. Ciò risponde non soloalla crisi, ma anche alla necessità di una vi-sione di futuro, spesso abbandonata in no-me di effimere e veloci soluzioni, che coin-volga in primis i cittadini e la loro modalitàdi percepire il territorio. Ecco quindi cheun topic da indagare può essere il divenirestesso di uno spazio attraverso il dibattitoche si innesca in base ai progetti a esso de-stinati. La logica che contrappone competi-tività e solidarietà dovrebbe essere discus-sa e superata con un approccio territorialeche favorisca dinamiche virtuose nelle/fracittà, tra i loro attori pubblici e privati, tra illoro patrimonio materiale e immateriale.

Le considerazioni finali hanno portatoal duplice auspicio di consolidare e di am-pliare la rete dei componenti il gruppostesso, così da arricchire di sempre nuoviapporti un dibattito a tutti gli effetti con-temporaneo. Il prossimo rendez-vous siterrà a Torino nel 2015.

Emanuela Gamberoni

CARTOGRAFIA STORICA

Per un atlante della Grande Guerra

È ormai divenuto un consolidato puntodi riferimento per gli studiosi di geografia ecartografia storica l’appuntamento annualecon i seminari Dalla mappa al GIS, ideati eorganizzati dal Centro Italiano per gli StudiStorico-Geografici (CISGE). La loro ottava e-dizione si è svolta lo scorso 21-22 maggiopresso il Laboratorio geocartografico «Giu-seppe Caraci» del Dipartimento di Studi U-manistici dell’Università «Roma Tre», con ilpatrocinio delle principali associazioni geo-grafiche nazionali (AGeI, AIC, AIIG, SGI,SGG). Il seminario ha inteso valorizzare glistudi di geografia e cartografia storica, pro-ponendo una riflessione sul tema «Per un a-tlante della Grande Guerra» nella ricorrenzadel centenario della prima guerra mondialee ha visto la partecipazione di numerosi stu-diosi italiani e stranieri, appartenenti a variearee disciplinari e provenienti da differentiuniversità ed enti di ricerca nazionali. Arduoè riassumere la ricchezza dei contributi delseminario, distribuiti in quattro sessioni (piùuna dedicata ai posters), che hanno offertomolti elementi di riflessione per la realizza-zione di un ipotetico Atlante. In generale,sono state prospettate molteplici possibilitàd’indagine dei cambiamenti culturali e terri-toriali precedenti, coevi e successivi allosvolgimento del conflitto mondiale, nonchéproposti gli strumenti per il recupero, la tu-tela e la valorizzazione del patrimonio geo-grafico-storico legato alla Grande Guerra.

La prima sessione, coordinata da Clau-dio Cerreti, ha posto l’attenzione sul proble-ma della definizione, descrizione e rappre-sentazione dei confini politici italiani, attra-verso cinque interessanti contributi. I primidue, basati sulle «reconnaissances» e «mé-moires» del fondo «Dépôt de Fortifications»del Genio militare, hanno presentato docu-menti descrittivi e cartografici di confini, sitistrategici e fortezze prodotti dall’attività dispionaggio francese in Tirolo fra il XIX se-colo e i primi anni del XX secolo (Elena Dai

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Notiziario 681

Prà e Davide Allegri) e analoghi documentidi anni successivi (1914-1918), relativi allefortificazioni del confine alpino, delle costetirreniche e adriatiche d’Italia (Carlo A. Ge-mignani e Luisa Rossi con Valentina De San-ti). Il problema dei confini è stato ulterior-mente esaminato attraverso il concetto di re-gione, con un lungo excursus tra le idee chedurante il conflitto elaborarono la fondazio-ne geografica, cartografica e spaziale dell’i-dea di nazione (Matteo Proto) e, a seguire,ricordando le attività dei principali protago-nisti della geografia fiorentina di quegli an-ni, allorché l’Istituto Superiore di Firenze ac-colse giovani studiosi destinati a eccellerecome Olinto Marinelli e Cesare Battisti (Lau-ra Cassi). Si è infine esaminato il ruolo dellapropaganda ideologica della guerra, attra-verso la descrizione della geografia «comu-nicazionale» di «Il Piccolissimo» (1917-1919),giornale di indottrinamento patriottico a so-stegno degli insegnanti, fondato sul coinvol-gimento emotivo di ragazzi e famiglie perincentivare il sostegno del popolo al conflit-to (Mariarosa Rossitto).

La seconda sessione, coordinata da AnnaGuarducci, ha messo a fuoco alcuni aspetti i-nusuali e determinanti della Grande Guerra.Aperta da un intervento sul tema del proces-so d’interazione geografico-culturale emersodai racconti e dai diari dei soldati italianitrentini, bellunesi, friulani arruolati nell’eser-cito austriaco, poi coinvolti nelle vicendedella rivoluzione russa e giunti sino in Cinaprima del rientro in Italia (Monica Ronchini),la sessione è proseguita con un’originaleproposta sulle molteplici possibilità offerteagli studi storico-geografici da un’analisi piùampia e meno convenzionale dei luoghi edei tempi del primo conflitto mondiale (Mi-chele Castelnovi). Dalla metodologia si èquindi direttamente «entrati» nei luoghi diguerra con la presentazione di alcune cartemeteorologiche dell’IGM, evidenziando l’im-portanza dell’altitudine e del clima per l’an-damento delle azioni belliche (SimonettaConti). Gli itinerari storico-culturali dellaGrande Guerra, oggi al centro del processodi costruzione di una comune identità euro-

pea, sono stati poi ripercorsi con una rilettu-ra delle fonti documentarie, bibliografiche ecartografiche degli Archivi della SocietàGeografica Italiana (Patrizia Pampana e Mi-chele Pigliucci con Simone Bozzato e Pier-luigi Magistri), seguita dall’analisi delle mo-dalità d’uso dell’artiglieria, soprattutto sulfronte italiano contraddistinto dalla presenzadi rilievi montuosi e da una revisioneprofonda dell’uso delle armi da fuoco (Ro-berto Reali e Alessandro Ricci). Il successivointervento è stato dedicato invece alla speri-mentazione didattica, con la presentazionedi un metodo di ricostruzione storica «dalbasso» dei luoghi della Grande Guerra, apartire da documenti, fotografie e filmati gi-rati sulle retrovie (Manlio Piva e Daniele A-gostini); ha fatto seguito la presentazione diun’iniziativa del Gruppo «L’Espresso» e del-l’Archivio diaristico nazionale di Pieve SantoStefano (Pier Vittorio Buffa e Nicola Marane-si) per la pubblicazione on line di centinaiadi estratti di diari, memorie ed epistolari del-la Grande Guerra e un altro contributo cheha evidenziato il ruolo dell’archeologia qua-le cerniera tra macro e micro storia, con la ri-costruzione degli studi sinora compiuti a ri-guardo nel Regno Unito, sino ai più recentiin Francia e in Italia (Maura Medri).

La terza sessione, coordinata da PaolaPressenda, è stata contraddistinta dall’analisidel rapporto tra Grande Guerra, paesaggi egeografia italiana. Aperta da riflessioni sul-l’Atlante della nostra guerra del 1916 di Dar-dano e De Magistris e sul confronto tra ma-teriali cartografici e aerofotografici elaboratidallo Stato Maggiore austriaco sul fronte delPiave nel 1918 (Massimo Rossi), è prosegui-ta con una disamina di scritti delle due rivi-ste geografiche nazionali («Bollettino dellaSocietà Geografica Italiana» e «Rivista Geo-grafica Italiana»), in riferimento ad altre pub-blicazioni di interesse geografico per gli anni1914-1920 (Leonardo Rombai) e poi con larilettura delle geografie degli storici e di al-cuni classici (Nicola Labanca) e con una ri-flessione sul contesto geografico, paesaggi-stico, ambientale e storico del conflitto, attra-verso il confronto delle tecniche fotografiche

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dell’aviazione militare e delle attuali tecnolo-gie di telerilevamento e georeferenziazionedei dati (Luisa Carbone e Antonio Ciaschi).Le attuali possibilità d’indagine offerte dalletecnologie informatiche sono state al centroanche dei successivi interventi, a partire dal-la ricostruzione dinamica degli eventi storicibellici con un Sistema Informativo Geografi-co per l’identificazione e archiviazione delleinformazioni geografiche sui siti coinvoltidalla prima guerra mondiale (Paolo Plini,Anna Villari e Luigi Cailotto), passando allegrandi possibilità offerte dal programma«Street View» nel ripercorrere i sentieri delconflitto e le fortificazioni di Monte Ragogna(Alessandro Cecili e Giancarlo Della Ventu-ra), per arrivare infine all’utilizzo dei GIS ap-plicati alle geoscienze militari per la presen-tazione di alcuni casi di studio sul fronte do-lomitico (Mauricio Nicolas Vergara).

Dopo la presentazione della sessioneposters, la quarta e ultima sessione, coordi-nata da Nicola Labanca, è stata dedicata allarappresentazione cartografica della GrandeGuerra e di alcuni dei suoi principali luoghi.Dalla disamina delle modifiche territoriali,economiche e sociali causate dal conflitto inFriuli-Venezia Giulia (in particolare sul Car-so e lungo l’Isonzo), poi degenerate nellostravolgimento sociale e paesaggistico dellaregione (Sergio Zilli), si è passati all’analisidi inedite cartografie della Grande Guerra(per lo più di produzione austriaca e italia-na) conservate a Firenze, insieme a una rile-vante produzione cartografica tematica edi-ta per motivi commerciali e a favore degli ir-redentisti (Anna Guarducci). Ha fatto segui-to una nutrita riflessione sul progetto geo-grafico-ideologico della Società GeograficaItaliana durante gli anni del conflitto, a so-stegno delle ragioni della Grande Guerra,ulteriormente rafforzate dalla letteratura epubblicistica dell’epoca per la ricostruzionedell’immagine dei territori di rivendicazioneitaliana, quali l’Albania e la Dalmazia (LuisaSpagnoli e Nadia Fusco). L’invenzione del-l’identità nazionale è stata al centro anchedel successivo intervento sulla produzionecartografica italiana durante gli anni della

guerra, con la sua esaltazione, la raffigura-zione dei principali caratteri dello Stato mo-derno (confini territoriali e nazione) e la tra-sformazione della cartografia in vero e pro-prio strumento di politicizzazione delle col-lettività (Edoardo Boria); vi ha fatto seguitoun’interessante esposizione di alcune parti-colari riproduzioni cartografiche dello scac-chiere geopolitico europeo negli anni 1870-1914, veri e propri strumenti di manipola-zione di massa e propaganda visiva, accessi-bili ad ogni sorta di pubblico, raffiguranti inmaniera satirica e caricaturale i ruoli e le mi-re espansionistiche dei paesi europei (AstridPellicano). Si è quindi passati all’analisi del-la narrazione pittorica delle battaglie di Vit-torio Veneto, del Piave, della Bainsizza e diGorizia nei dipinti murali di C.E. Oppo eA.G. Santagata, che decorano la corte inter-na della Casa Madre dei Mutilati e Invalidi diGuerra a Roma (Lucia Morganti, ValentinaWhite, Carla Masetti) e alla presentazionedel «Progetto Grande Guerra», volto alla rea-lizzazione di un Sistema Informativo Inte-grato per il recupero e la valorizzazione diquanto resta dei sistemi difensivi austroun-garici in area trentina, quali importanti sim-boli di coesione identitaria (Sandro Flaim,Valentina Barbacovi, Pietro Dalprà). La ses-sione si è conclusa con la presentazione diun esempio di archeologia della GrandeGuerra in ambiente glaciale, con il caso diPunta Linke, uno dei centri nevralgici più al-ti e più importanti del fronte nel gruppo Or-tles-Cevedale, di cui sono state recuperatele strutture e molti oggetti di uso quotidianodei soldati (Franco Nicolis).

A conferma del successo dell’iniziativa,tutte le sessioni sono state animate da viva-ci interventi del pubblico presente, chehanno confermato ancora una volta il cli-ma di partecipazione attiva e consapevoleche questi seminari riescono a creare.

La varietà dei contributi proposti per larealizzazione dell’Atlante richiederà ungrande lavoro di coordinazione per traccia-re un fil rouge che li tenga tutti assieme.

Silvia Siniscalchi

682 Notiziario

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Notiziario 683

ITALIA

Cartografia e confini del territoriotrentino. Dall’archivio al terreno tra ri-cerca e misura

Lo scorso 10 giugno, nella Sala della Re-gione a Trento, si è tenuto un incontro sultema «cartografia e confini del territorio tren-tino», tappa intermedia di carattere pubblicodell’omonimo progetto per il censimentodei confini nella Provincia Autonoma a par-tire dalla ricostruzione storica. Il progetto,coordinato scientificamente da Elena DaiPrà (Università di Trento) e operativamenteda Roberto Revolti (Servizio Catasto dellaProvincia Autonoma di Trento), vede le dueistituzioni collaborare – con finanziamentidella Regione Trentino-Alto Adige – per laricognizione quanto più puntuale dei confi-ni attuali della Provincia, sulla base dellacartografia storica e di quella attuale.

Il progetto è volto infatti a fornire stru-menti utili alla gestione provinciale per larisoluzione delle questioni relative ai confi-ni comunali e provinciali. In alcuni casi, in-vero, si assiste a una discrepanza tra le car-tografie attuali utilizzate dalle amministra-zioni locali, tale da rilevare l’urgenza di unintervento che si basi sulla precedente rap-presentazione cartografica e che prenda inconsiderazione anche gli elementi confina-ri presenti sul terreno, come pilastrini, cip-pi o croci e le testimonianze dirette di chi ilterritorio lo abita.

Si tratta in totale di circa 180 «scostamen-ti» superiori ai cinque ettari (in un perimetrodi circa 650 chilometri di confini) distribuitilungo i confini della Provincia Autonoma diTrento, nonché delle sei Province contermi-ni di Sondrio, Brescia, Verona, Vicenza, Bel-luno e Provincia Autonoma di Bolzano. Lecontroversie non concernono soltanto leamministrazioni comunali e provinciali, matalvolta anche i singoli cittadini e in alcunicasi derivano da contese centenarie: un e-sempio particolarmente evidente della di-scordanza confinaria sul territorio, conclusa-si soltanto nel 2008 dopo quasi ottocento

anni, è quello della «causa Lastarolla» tra Fol-garia (TN) e Lastebasse (VI).

L’incontro, che ha visto una buona par-tecipazione – non solo di istituzioni locali edi accademici intervenuti – ha mostrato lostato dell’arte dell’indagine e del progetto,che fino a quel momento si è concentratosulla ricerca d’archivio, bibliografica, carto-grafica e sulla ricognizione sul campo. Que-st’ultima ha previsto un lavoro in situ fattodi interviste agli abitanti per una migliorecomprensione della cognizione locale e del-la percezione del territorio da parte di chi lovive – elemento, questo, di sicura utilità an-che per i passaggi successivi del progettostesso che prevedranno la rettificazione at-traverso la georeferenziazione delle carteche interessano gli sfridi oggetto di studio(si tratta, in questo caso, del lavoro previstoper il secondo anno di progetto). Per mo-strare lo stato del lavoro a cittadini e interes-sati, sono intervenuti i responsabili del pro-getto, l’assessore alla Coesione territorialedella Provincia Autonoma di Trento, CarloDaldoss, Giuseppe Scanu (Università di Sas-sari), il quale ha introdotto e concluso i la-vori, esprimendo soddisfazione per l’inizia-tiva, il dirigente della Provincia Luca Com-per, Marco Mastronunzio quale parte attivanel progetto e Dino Buffoni, direttore del-l’Ufficio geodetico-cartografico della Provin-cia di Trento.

Il progetto ha il merito cruciale di sapereoffrire, rispetto alle esigenze che il territorioesprime attraverso le sue Amministrazioni,strumenti conoscitivi e di ricognizione chesono propri della disciplina geografica. Sitratta infatti di un caso particolarmente posi-tivo di interlocuzione tra saperi geografici egoverno locale, in cui la disciplina geografi-ca si presta anche all’utilizzo fattivo per la ri-soluzione di problematiche concrete, mo-strando come talvolta si possa utilmentepassare dai libri e dagli archivi, dallo studiodel territorio e della sua rappresentazione auna proposta seria e apprezzata da chi il ter-ritorio lo gestisce quotidianamente.

Alessandro Ricci

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MEDITERRANEO

Dinamiche migratorie odierne

L’École Française de Rome (EFR) ha o-spitato il 26 e 27 maggio 2014 la tavola ro-tonda Migrations meditérranéennes dans latourmente, une lecture au prisme du chan-gement. Le due giornate, introdotte da F.Dumasy, C. Virlouvet, B. Tadié, C. Schmoll,H. Thiollet e C. Wihtol de Wenden e pro-mosse dall’EFR, Sciences Po/Centre d’Étu-des et de Recherches Internationales, ANR«Mobilité globale et gouvernance des migra-tions» e Institut Français, hanno coinvoltocirca venti studiosi di varie nazionalità. Sco-po dell’evento era fare il punto della situa-zione sulle attuali dinamiche migratorie nel-lo spazio mediterraneo e sulla mobilità uma-na legata anche alle dinamiche del turismo.

Nella prima giornata le relazioni si sonoconcentrate sulla crisi economica mondialee sul contesto politico-istituzionale. La primasessione è stata dedicata al tema della mobi-lità nello spazio euro-mediterraneo, all’evo-luzione della geopolitica delle migrazioni ealla ridefinizione dell’asilo politico, con in-terventi di C. Wihtol de Wenden (SciencesPo-CERI), F. Pastore (FIERI Torino), J.-P.Cassarino (IUE Firenze), A. Triandafyllidou(IUE Firenze). La seconda sessione ha inve-ce discusso di spazi frontalieri e del temadella marginalizzazione, con interventi di M.Ambrosini (Università di Milano), M. Bassi(Sciences Po-CERI), N. Bernardie-Tahir (U-niversité de Limoges-Geolab), F. Souiah(Sciences Po-CERI) e C. Bergeon (Universitéde Poitiers-Migrinter). Le comunicazionihanno riguardato: le politiche di controllo eil rapporto con le comunità locali, per esem-pio nel centro di accoglienza per i rifugiati ei richiedenti asilo politico di Mineo; il rap-porto esistente tra immigrazione e lavoro ir-regolare e tra pratiche di tolleranza e non; lamobilità umana sotto l’aspetto migratorio equello turistico a Cipro; la riconfigurazionedelle migrazioni sotto il profilo del controllo.

Nella seconda giornata il tema dominan-te è stato l’evoluzione dei sistemi migratori:

flussi polimorfi in un contesto di cambia-mento sociale. Notevole è stato l’interventodi C. Schmoll (Université Paris 7 Diderot),con una rilettura critica dei modelli migrato-ri nell’Europa del Sud. Secondo la Schmollla letteratura internazionale su questo temaè stata sviluppata essenzialmente dagli studiitaliani e anglosassoni che hanno portato aconfrontarsi demografi e sociologi, mentreraramente sono stati coinvolti i geografi (aparte R. King autore di molti lavori sul bino-mio mobilità/migrazione). C’è però un mo-dello specifico per l’interpretazione di talefenomeno che evidenzia zone d’ombra e nepermette un’interpretazione critica.

Altri spunti di riflessioni sono arrivati daS. Weber (Université Paris-Est Marne-la-Val-lée) sulla migrazione di genere dal Medio O-riente, e da H. Thiollet sul significato di Pri-mavera araba in relazione alle migrazioni eagli asili politici. E. Ambrosetti e A. Paparus-so hanno invece parlato dei determinanti diritorno dei migranti marocchini in Italia ehanno presentato il progetto EU-SILC (Stati-stics on Income and Living Conditions, Re-golamento del Parlamento europeo) che co-stituisce una delle principali fonti di dati peri rapporti periodici dell’Unione Europea sul-la situazione sociale e sulla diffusione dellapovertà nei paesi membri. L’Italia, hannospecificato, partecipa al progetto con un’in-dagine sul reddito e sulle condizioni di vitadelle famiglie, condotta ogni anno dal 2004.

Le relazioni in un’ottica transcalare e in-terdisciplinare (antropologica, geografica, discienze politiche, di scienze sociali) si sonoincentrate sui cambiamenti sociali, econo-mici e politici, sulle aperture delle frontiere,sul carattere polimorfo delle pratiche di mo-bilità e sulla necessità di un approccio mul-tidisciplinare. L’obiettivo del convegno eraquello di approfondire la conoscenza delladrammatica situazione dei flussi migratorinell’area del Mediterraneo ove ogni giornodecine di migranti perdono la vita e di dareuna nuova configurazione a un fenomenoche in varie forme è sempre esistito.

Rossella Belluso

684 Notiziario

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Notiziario 685

AFRICA

Africa in movimento

Dal 17 al 20 settembre 2014 si è svolta,presso il Dipartimento di Scienze Politiche,della Comunicazione e delle Relazioni In-ternazionali dell’Università di Macerata, laterza conferenza dell’Associazione per gliStudi Africani in Italia (ASAI) intitolata A-frica on the Move.

Da tempo il mondo degli studi italianisull’Africa sentiva la necessità di creare unorganismo capace di rafforzare scambi edesperienze fra le varie discipline interessa-te all’Africa. Già nel 1967 questa esigenzaaveva portato alla costituzione dell’Asso-ciazione degli Africanisti Italiani, che siproponeva di rilanciare gli studi sull’Africadopo la travagliata fase postbellica.

Nel 2010 la conferenza di Studi Italianisull’Africa (Napoli 30 settembre – 2 otto-bre) è stata l’occasione per rilanciare l’ideadi un’associazione degli africanisti italiani eper coordinare l’azione in questo senso. Lacostituzione formale dell’associazione è av-venuta il 24 maggio 2011, con un’assem-blea costituente tenutasi a Roma.

L’obiettivo principale dell’ASAI è quellodi favorire gli scambi e i collegamenti, an-che internazionali, fra gli studiosi strutturatie non, che si occupano di Africa in un’otticaspiccatamente interdisciplinare. L’associa-zione è dunque aperta agli studiosi di tutti isettori disciplinari e a ogni approccio meto-dologico. Gli strumenti principali di cui l’A-SAI si è dotata per conseguire questi obietti-vi sono, essenzialmente, il proprio sito in-ternet (http://www.asaiafrica.org/) e l’orga-nizzazione di una conferenza biennale.Benché la conferenza di Napoli abbia pre-ceduto la costituzione effettiva dell’ASAI, èinvalso l’uso di considerarla come la primaconferenza biennale dell’Associazione. Allaconferenza di Napoli è seguita nel 2012quella di Pavia.

La conferenza di Macerata, nei quattrogiorni dei suoi lavori, ha visto presentare147 relazioni distribuite su 31 panels, tre

keynote speeches, tenuti rispettivamente daPatrick Harries (University of Basel), Col-lins O. Miruka (North-West University,South Africa) e Flavia Lattanzi (UniversitàRoma Tre), e una tavola rotonda.

Al contrario delle edizioni precedenti,l’ASAI di Macerata ha voluto darsi un titoloAfrica in movimento/Africa on the Move. Inbuona parte, i panels presentati si sono i-spirati a questo tema specifico, che è statoperò declinato in modi diversi dalle variediscipline che animano l’ASAI. Movimentoè stato inteso, in primo luogo, come spo-stamento migratorio. L’approccio prevalen-te è stato il desiderio di superare stereotipi,retoriche e immaginari per dare il giustospazio alla complessità intrinseca del feno-meno migratorio. La volontà di confrontar-si con le criticità del presente ha fatto met-tere al centro dei lavori di alcuni panels te-mi fortemente legati alla contemporaneità.L’analisi delle rotte, delle tappe e dei prota-gonisti dei flussi verso l’Europa ha rappre-sentato, per esempio, un tema trasversale amolti panels. Le problematiche dei flussi,del controllo delle frontiere e della sovra-nità dei paesi sono state invece oggetto diun approfondimento specifico. Sono statepresentate analisi delle migrazioni interna-zionali dall’Africa sub-sahariana con parti-colare riguardo ai paesi del Corno d’Africae della Libia, aree che ricoprono un ruolofondamentale nei flussi attuali e sulle qualigli studi italiani sull’Africa vantano una tra-dizione consolidata.

Molti interventi hanno messo in luce lamolteplicità dei fattori all’origine dei pro-cessi migratori. Instabilità politica, conflit-tualità locale e regionale giocano un ruolonella spinta verso l’esterno, ma per unamaggiore comprensione del fenomenovanno prese in considerazione anche lefondamentali dimensioni economiche, so-ciali, ambientali e culturali.

Ugualmente importanti si sono rivelatele relazioni che hanno analizzato il rappor-to fra lo spostamento e la sfera individualedel migrante, nonché le aspirazioni e l’im-maginario legati alla mobilità. In questa di-

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rezione sono andati, per esempio, i panelsche hanno messo in luce la relazione frapentecostalismo e mobilità sociale, geogra-fica e identitaria e i panels che hanno trat-tato del viaggio inteso come trasformazio-ne del sé. Nell’insieme, i partecipanti han-no sottolineato l’esistenza di varie forme dimobilità e di vari livelli d’analisi.

Evidente è stato il tentativo di trattare iltema del movimento in una cornice piùampia, dove lo spostamento verso l’Europarappresenta solo una componente di un fe-nomeno dotato di una maggiore profon-dità storica e geografica. A questo proposi-to, alcuni contributi hanno tentato di ana-lizzare la relazione fra mobilità, lavoro emutamento economico in Africa, utilizzan-do la mobilità come strumento analitico emostrando come il movimento, sia internosia esterno all’Africa, abbia plasmato le re-lazioni fra il continente e il mercato globa-le. Il processo di urbanizzazione ha offertoun’altra chiave di lettura del più vasto temadel movimento, con interessanti approfon-dimenti sul legame fra spazio insediativo etrasformazioni sociali.

Una conferenza dunque con un titolo,ma non strettamente tematica. La questio-ne del movimento ha indicato solamenteun possibile filo rosso per gli interventi deivari partecipanti. Durante i quattro giornidei lavori, letteratura, linguistica, archeolo-gia, storia, cinema e digital humanities so-no stati oggetto d’interessanti indagini.

A margine della conferenza si è tenutaanche l’assemblea ASAI, che si è data unnuovo presidente (Federico Cresti, Univer-sità degli Studi di Catania) e un nuovo di-rettivo. I nuovi assetti non modificano lefinalità originarie dell’associazione. L’o-biettivo di favorire lo scambio interdisci-plinare, scienze geografiche comprese, fragli studiosi che si occupano di Africa rima-ne quindi immutato.

L’appuntamento, allora, è al 2016 conla quarta conferenza biennale dell’Associa-zione per gli Studi Africani in Italia.

Massimo Zaccaria

AMERICA LATINA

Dalle Ande agli Appennini: i congressimondiali sui paesaggi terrazzati

Dal 19 al 22 maggio 2014 si è tenuto inPerù il Segundo Congreso Internacional deTerrazas, incontro mondiale di studiosi, cu-stodi e appassionati estimatori dei paesaggiterrazzati promosso dall’International Terra-ced Landscapes Alliance (ITLA), alleanzafondata ad Honghe (Cina) in occasione del-la First World Terraced Landscape Confe-rence del novembre 2010. Il congresso èstato preceduto, tra il 14 e il 18 maggio, dauna serie di «lavori di campo» consistenti inescursioni e incontri con i protagonisti di ta-luni paesaggi terrazzati tra i più significatividel mondo andino (Santa Eulalia, Matucanae Nor Yauyos-Cochas nella regione di Lima,valle del Colca nella regione di Arequipa,Pampachiri nella regione di Apurímac, Pata-cancha e Piuray nella regione di Cusco).

I lavori del congresso vero e proprio sisono svolti in lingua inglese e spagnola (macon intermezzi in lingua quechua) presso ilcentro congressi del municipio di Cusco, esono stati organizzati in sessioni plenarie etavoli di lavoro ripartiti in cinque sessioni te-matiche: Water and soil management andclimate change; Agro-biodiversity and foodsovereignty; Landscape, social organisationand cultures; Traditional and modern tech-nologies; Governance, local, national andinternational policies. Più che di un con-gresso nel senso scientifico e classico deltermine si è trattato di un forum di discus-sione e confronto che ha coinvolto 280 i-scritti provenienti da tutto il mondo, seppurcon una cospicua presenza sudamericana.Ricercatori, amministratori, campesinos, arti-giani della pietra a secco, rappresentanti diistituzioni e organizzazioni non governativea diverso titolo impegnate nello svilupposostenibile dei paesaggi terrazzati hannotrovato in esso un’occasione di confronto edibattito che ha messo in evidenza la valen-za polifunzionale di tali paesaggi, ma anchei problemi e le difficoltà di gestione di un

686 Notiziario

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Notiziario 687

patrimonio diffuso in tutto il mondo, ma intutto il mondo minacciato, seppur da spintee motivazioni sensibilmente diverse.

Gli obiettivi che il congresso si è postosono stati l’identificazione e analisi dello sta-to di conservazione dei terrazzamenti (nelleAnde peruviane sono stati stimati oltre700.000 ettari di andenas, prevalentementesituati tra i 3.000 e i 4.000 metri di quota, eancora per oltre il 70% conservati e tuttoracoltivati); il riconoscimento della ricchezzacolturale/culturale di saperi e pratiche legatiai paesaggi terrazzati (i campesinos della val-le del Colca hanno esibito le innumerevolivarietà di mais e patate tuttora coltivate amano nei propri terreni); la promozione deldialogo tra saperi, anche attraverso un con-fronto tra pratiche tradizionali e innovazione(tema particolarmente dibattuto – forse te-muto più che atteso dalle stesse comunità –è stato l’introduzione della meccanizzazione,con le paventate conseguenze su biodiver-sità coltivata e tessuto sociale di intere valla-te); l’elaborazione di strategie e piani d’azio-ne per il recupero e la promozione dei ter-razzamenti (dagli strumenti di sostegno pub-blico a proposte innovative, quale per esem-pio l’iniziativa di adozione a distanza di an-denas e l’impegno all’acquisto di prodottiandini da parte di ristoranti internazionali).

Il congresso si è soffermato poi su alcu-ni problemi particolarmente sentiti nel mon-do andino: il cambiamento climatico e i pro-blemi legati alla regolazione dell’acqua inzone aride o fortemente colpite da fenome-ni meteorici estremi, ma anche la minacciarappresentata dallo sfruttamento minerarioin espansione che spesso genera conflitticon gli usi del suolo tradizionali delle comu-nità andine, ancora organizzate economica-mente sulla piccola agricoltura familiare, ul-teriormente minacciata – nell’Anno interna-zionale a essa dedicato – dall’esodo verso legrandi città, in particolare la capitale Lima,che supera ormai i 12 milioni di abitanti (ol-tre la metà della popolazione del paese), necontava 9 milioni solo cinque anni fa.

Rinviando per un più approfondito esa-me degli interventi (tutti disponibili online,

come pure seguiranno a breve gli Atti) nelsito ufficiale del Consorcio para el DesarolloSostenible de la Ecorregión Andina(http://www.condesan.org), che ha sostenu-to e curato l’organizzazione del congressoassieme alle Università di Lima e Cusco, va-le la pena soffermarsi brevemente sul ruolodi rilievo assunto dalla delegazione italiana(presente con una decina di partecipanti,provenienti dal Veneto e dal Trentino). Ladelegazione ha infatti avanzato la propriacandidatura per organizzare il prossimomeeting mondiale, che si terrà così per laprima volta in Europa nell’autunno del2016. La sezione italiana dell’Alleanza mon-diale si è costituita come associazione senzafini di lucro nel giugno 2011, oggi raccoglieoltre una cinquantina di soci (prevalente-mente provenienti dalle regioni dell’arco al-pino) tra i quali si annoverano ricercatori u-niversitari, amministratori, agricoltori, arti-giani, professionisti, associazioni, semplicicultori o appassionati. L’obiettivo che ci siprefigge è sostenere i paesaggi terrazzatiquale esempio di «stretta relazione tra gene-re umano e natura», salvaguardando al tem-po stesso il connubio tra biodiversità e va-rietà culturale (Dichiarazione di Honghe,2010), nonché la validità delle qualità for-mali e simboliche di tale patrimonio storico.

Con il titolo scelto per il prossimo con-gresso «Terrazzamenti, paesaggi del futu-ro», l’Alleanza intende sottolineare il ruoloche a livello europeo tali paesaggi sonochiamati ad assumere non come relitti mu-seali di pratiche del passato o come pae-saggi dalla valenza estetica eccezionale (l’I-talia dal 1997 vanta ben due siti Unesco suversanti terrazzati: Costiera amalfitana eCinque Terre), ma come ordinari luoghi dimediazione tra istanze diverse (di carattereecologico, sociale, economico ed estetico),a partire dal riconoscimento della polifun-zionalità delle pratiche agricole, secondo lelinee guida della nuova Politica AgricolaComunitaria (PAC).

Sia all’interno dell’Alleanza, sia auspica-bilmente nell’organizzazione del futuro con-gresso, che verrà definita nei dettagli nei

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prossimi mesi (così come la sede plenaria incui avrà luogo), l’approccio geografico e ilcontributo dei geografi appare strategico,sia per il ruolo di cerniera tra approcci setto-riali che la nostra disciplina può assumere,sia in virtù dell’ormai trentennale tradizionedi studi sull’argomento: dai lavori pionieri-stici di Remo Terranova e della scuola geno-vese a partire dagli anni 1980, sino ai più re-centi lavori del gruppo di lavoro AGEI coor-dinato da Guglielmo Scaramellini, senza di-menticare l’apporto all’interno di progettieuropei come il progetto ALPTER TerracedLandscapes of the Alpine Arc (2005-2008),tuttora punto di riferimento per lo scambioe la condivisione di esperienze di ricerca suquesto tema a livello europeo (http://www.alpter.net). Il congresso mondiale del 2016può costituire utile occasione per passaredalla fase di ricognizione e analisi a quellapropositiva per un reale sostegno a politi-che e iniziative in grado di rilanciare il desti-no di «paesaggi dalle filiere fragili», spessostritolati dagli esiti opposti della «intensiviz-zazione» e dell’abbandono, ma anche un so-stegno a insperate e virtuose iniziative di re-cupero, come quella del Comitato «Adottaun terrazzamento nel Canale di Brenta», inprovincia di Vicenza (2010), raccontata neldocumentario Piccola terra di Michele Tren-tini e Marco Romano (2012).

Perché questo avvenga, tuttavia, è ne-cessario costruire forme di governance ereti o strumenti di cooperazione trasversalitra soggetti deboli, in grado di contrastarela spinta alla banalizzazione e semplifica-zione di tali paesaggi. In questo senso gliaccordi in corso di perfezionamento con larete dei presidi Slowfood e il Gruppo TerreAlte del comitato scientifico centrale delClub Alpino Italiano sembrano andare nel-la giusta direzione. Per chi volesse essereaggiornato o partecipare all’organizzazionedel congresso l’indirizzo è il seguente: [email protected]/; il sito web del-l’Alleanza italiana è: http://www.paesaggi-terrazzati.it/.

Mauro Varotto

VARIE

Abitare la Terra: riflessioni a marginedel Festival International de Géographie

La XXV edizione del FIG di Saint-Dié-des-Vosges ha esplorato, mediante unapluralità d’approcci metodologico-interpre-tativi, la realtà fenomenica dell’abitare laTerra, le pluriformi modalità di «fare l’espe-rienza dello spazio» indagandone anche ladimensione sociale.

Nel suo intervento, il presidente dell’e-dizione di quest’anno, l’antropologo e filo-sofo Philippe Descola del Collège de Fran-ce, ha approcciato la tematica partendo dal-la sua personale esperienza maturata nelcorso della missione etnografica che hacondotto – dal settembre 1976 al settembre1979 – presso gli Jivaro Achuar dell’Amaz-zonia ecuadoregna. Lo studioso si trova inquesti casi confrontato a un sistema altro dirappresentazione che non contempla l’occi-dentale antinomia tra cultura e natura e defacto ne inficia il presunto carattere di uni-versalità. Adottando un paradigma interpre-tativo che si basa su due coppie di oppostiquali «fisicità/psiche» e «identità/differenzia-zione» (quest’ultimo d’ispirazione simmelia-na e di memoria bourdieusiana), Descola hadistinto quattro modalità di identificazione(tipi ontologici) che permettono d’indivi-duare le frontiere tra Sé e l’Altro nelle so-cietà umane: totemismo, animismo, analogi-smo, naturalismo. All’origine di un’«ecologiadelle relazioni», Descola ha dunque propo-sto un’antropologia non dualista, che nonsepari in due campi ontologici distinti gli u-mani dai non-umani, un’antropologia inclu-siva che s’interessi tanto ai rapporti sociali(tra esseri umani) quanto alle relazioni trauomini e non-umani. In tale prospettiva, lacasa assurge per gli Achuar a «modello d’ar-ticolazione delle coordinate del mondo esegmento terminale di un continuum natu-ra/cultura, [a] matrice spaziale di una plura-lità di sistemi di congiunzione e di disgiun-zione, [...] punto d’ancoraggio della sociabi-lità inter – e intra – famigliare».

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Notiziario 689

Consustanziale alla nostra specie, l’abi-tare, hanno ricordato i partecipanti alla ta-vola rotonda inaugurale, invita a ripensareil rapporto alla spazialità, il filosofico «esse-re e porsi» nel mondo, la plasticità dellescelte urbanistiche dettate dall’adattamentoalla configurazione morfologica dei luoghi,talora a rischio (vulcani, zone sismiche),nonché da condizionamenti ideologici e daimperativi socioeconomici.

Fenomeno universale, pluriforme e di-namico, l’abitare rifugge a una definizioneunivoca: è diventato un concetto centraleper comprendere lo spazio vissuto, le mo-bilità, le costruzioni territoriali, l’interrela-zione tra sfera economica ed ecologia,nonché gli immaginari geografici.

Molteplici sono le forme e le manièresd’habiter la Terre (dallo spazio privato aquello pubblico, dall’intimità domestica al-l’integrazione ecosistemica) che sono inti-mamente connesse a fattori geoclimatici,nonché a motivazioni d’ordine socioeco-nomico e politico, senza trascurare le di-mensioni simboliche e ontologiche.

Nel tempo «liquido» (Z. Bauman) dellamondializzazione che rima con effimero, i-stantaneità, virtualizzazione e «fragilizza-zione» delle relazioni sociali, l’esperienzadell’abitare, immersa nel flusso continuodelle trasformazioni, invita a pensare e ri-pensare le molteplici frontiere (territoriali,sociali, economiche, culturali e simboliche)che definiscono lo spazio dei possibili indi-viduali e collettivi. In questo stato di mobi-lità e «impermanenza», che sembrano esse-re le stigmate del mondo contemporaneo,la plasticità dell’esperienza dell’abitare pa-re pronta a seguire, assecondare o addirit-tura stimolare il mutamento.

Un tempo gli spazi abitativi si confor-mavano a una spartizione gerarchizzantedello spazio e si caratterizzavano per unamonofunzionalità tributaria che riflettevauna visione compartimentata del reale. Ma-nifestazione epifanica del compulsivo di-venire di un mondo la cui identità sembrafondarsi su una continua e vertiginosa me-tamorfosi, oggi la casa riflette la crisi del

modello tradizionale della famiglia borghe-se e il dissolvimento di ritualità che scandi-vano i tempi e luoghi del vivere domestico.

Pensare la spazialità implica dunquepensare la soglia, la porosità condizionale erelativa della frontiera tra il pubblico e il pri-vato. Privilegiare una concezione dell’abitaredinamica, socialmente incastrata e cultural-mente connotata favorisce quindi una letturacritica del rapporto alla terra (ma anche allacittadinanza) che si affranchi dalle mistifica-zioni del roman national o da un’idealizza-zione passatista in larga parte congetturale.

Nel contesto attuale di crisi sistemica, dicrescente pauperizzazione dell’Occidente,di desaffiliazione degli esclusi dalla societàdi mercato (marginalizzazione dei senzatet-to, problematica del «rurbano» e delle perife-rie), di ripiegamento identitario e religioso(integrismi e conflitti intercomunitari) e infine di massificazione delle mobilità taloraimposte, è mancata a questa edizione delFIG una più forte attenzione alla questionesociale pensata nel suo rapporto alla spazia-lità. All’era dell’intensificazione dei flussi mi-gratori, dell’emergenza dei rifugiati climati-ci, la categoria dell’abitazione dev’essere su-perata a vantaggio di una concezione inte-razionista e dinamica del vivere insieme.

Il clochard habite le carton: immagine e-pigrammatica ed eloquente con cui BéatriceCollignon compendiava l’habitus comune atutti gli uomini di dotarsi di un’abitazioneanche nella forma ultima di un simulacro.Un cartone come «minimalista» spazio diun’«intimità pubblica» per usare un ossimoro.Ciononostante, la tematica dell’esclusione a-vrebbe meritato, a nostro avviso, di esseretrattata in profondità, come fatto globale.Donde la necessità d’inverare in tutta la suacomplessità l’«abitare la terra» di chi è emar-ginato dal sistema, di chi vive nella più tota-le precarietà, di chi è ridotto a mobilier ur-bain nel desolato panorama di una semprepiù generalizzata indifferenza. Anche certiapprocci estetizzanti e lirico-solipsisti sem-brano relegare a una no men’s land il territo-rio del «diverso», di chi è marginalizzato per-ché disabile o economicamente fragile.

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Come ha ricordato il presidente-fonda-tore del FIG Christian Pierret, l’abitazione èrivelatrice dello statuto dell’individuo: l’abi-tare riflette dunque la struttura e il sistema divalori che informano la società. In piena cri-si sistemica, lo studio del rapporto agli spazidi produzione (di valore economico, d’iden-tità e senso collettivo) avrebbe meritato diessere affrontato in tutta la sua complessità.

Nel suo brillante intervento Les placesurbaines, foyer du sacré, Jean-Robert Pitte,presidente della Société de Géographie, hainvitato il folto uditorio a una peregrinazio-ne planetaria alla scoperta delle città nel lo-ro rapporto fusionale o dicotomico tra lospazio della sfera politica e quello della sfe-ra religiosa, indagandone, attraverso un ap-proccio geostorico e umanista, la contiguitào la separazione, talora la confusione.

Habiter la terre, formula lapidaria cheinvita a ripensare filosoficamente il rappor-to alla terra, la Tellus mater celebrata dapoeti e artisti, ma anche a interrogarci sullamobilità umana indotta da migrazioni for-

zate per motivi politici ed economici, dalriscaldamento climatico e da un liberali-smo agguerrito e conquérant.

Historia magistra vitae...Nel calendario delle commemorazioni

(centenario della prima guerra mondiale ericorrenza in Francia del settantesimo anni-versario della Liberazione), il tema dell’abi-tare il mondo durante lo sforzo bellico –dalle trincee, alle prigioni ai campi di con-centramento, ai rifugi provvisori e precaridei profughi – offriva una pluralità di pisteriflessive che avrebbero meritato di esseremeglio esplorate (pensare la condizione u-mana nello spazio disumanizzante dellacattività e in quelle «industrie della morte»che furono i lager).

«J’habite une blessure sacrée, j’habitedes ancêtres imaginaires» scriveva il grandepoeta Aimé Césaire. Abitare i simboli, abi-tare le idee, abitare i luoghi di memoria af-finché la Storia non si ripeta.

Giulia Bogliolo Bruna

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