Notiziario Fondazione Dicembre 2009

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N O T I Z I E I D E A P ERIODICO DELL’I STITUTO PER LA RICERCA E LA PREVENZIONE DELLA DEPRESSIONE E DELLANSIA ANNO 16 Numero 2 - 2009 49 segue a pag. 2 Andrea Fagiolini Paura di volare 7 10 Qualcuno vi ascolta 14 Allarme giovani! Uso di sostanze 19 Lavori in corso 12 Testimonianza 16 Notizie dal mondo 4 Nell’epoca della tristezza, nell’epoca della diffidenza In breve dalla ricerca 11 Spediz. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2 filiale di Milano - Reg. presso il Tribunale di Milano N. 407 del 22.07.1995 Depressione, esercizio fisico e stili di vita Per lungo tempo la depressione è stata considerata come un’alterazione delle funzioni della mente, con ripercussioni potenzialmente devastanti ma prevalentemente limitate ad un malessere psicologico o emotivo. Ricerche recenti hanno tuttavia messo in discussione il dualismo mente-corpo,suggerendo che la depressione rappresenta un disturbo sia della mente che del corpo. Depressione, esercizio fisico e stili di vita 9 Psicoterapia cognitivo-comportamentale del disturbo di panico

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N O T I Z I EI D E A

PERIODICO DELL’ISTITUTO PER LA RICERCA E LA PREVENZIONE DELLA DEPRESSIONE E DELL’ANSIA

ANNO 16 Numero 2 - 2009 49

segue a pag. 2

Andrea Fagiolini

Paura di volare7 10 Qualcuno vi ascolta

14 Allarme giovani!Uso di sostanze 19 Lavori in corso12 Testimonianza 16 Notizie dal mondo

4 Nell’epoca della tristezza,nell’epoca della diffidenza

In brevedalla ricerca11

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Depressione,esercizio fisicoe stili di vita

Per lungo tempo la depressione è stata considerata come un’alterazione delle funzioni della mente,con ripercussioni potenzialmente devastanti ma prevalentemente limitate ad un malessere psicologicoo emotivo. Ricerche recenti hanno tuttavia messo in discussione il dualismo mente-corpo,suggerendoche la depressione rappresenta un disturbo sia della mente che del corpo.

Depressione,esercizio fisicoe stili di vita

9Psicoterapia cognitivo-comportamentaledel disturbo di panico

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Depressione, esercizio fisicoe stili di vita

e conseguenze della depressione sulla salute psi-cologica e sulla qualità di vita sono spesso deva-stanti ma purtroppo quelle sulla salute fisica nonsono da meno. Recenti studi epidemiologici pro-

spettici indicano infatti che la depressione rappresenta un si-gnificativo fattore di rischio per lo sviluppo di malattie car-diache, diabete, obesità, osteoporosi, ipertensione e di unosvariato numero di altre malattie, inclusi alcuni tumori. Adesempio, la depressione è associata ad alterazioni del sistemaimmunitario (che ci protegge sia dagli attacchi esterni di viruse batteri che da quelli interni di cellule “impazzite” che cerca-no di “costruire” tumori). Dati recenti hanno dimostrato che iglobuli bianchi dei soggetti depressi hanno una capacità ridot-ta di scatenare una risposta immunitaria quando esposte amicrorganismi invasivi, un indicatore potenziale di alterata com-petenza immunitaria. In pazienti depressi sono inoltre stateevidenziate una ridotta risposta proliferativa dei linfociti ai mi-togeni e una bassa attività delle cellule natural killer. Le alte-razioni del sistema immunitario durante la depressione com-prendono inoltre segni di infiammazione sistemica, come in-dicato da elevati livelli di citochine proinfiammatorie circolanti(come la IL-6) e di proteine di fase acuta (come la proteina C-reattiva). Se è vero che la depressione altera il sistema immu-nitario è inoltre anche vero che le alterazioni del sistema immu-nitario possono essere responsabili o peggiorare il decorso del-la depressione. Alcuni autori hanno infatti dimostrato che lasomministrazione di citochine proinfiammatorie negli animali enegli uomini induce sintomi simil-depressivi come crollo degliinteressi, ridotta assunzione di cibo, astenia, rallentamentopsicomotorio, disturbi cognitivi e del sonno.

Diventa quindi sempre più chiaro che la depressione contribui-sce in modo determinante allo sviluppo di svariate malattie fi-siche proprio come svariate malattie fisiche (ictus, malattie del-

la tiroide, altre malattie endocrine, tumori, etc) si associano adun rischio elevatissimo di sviluppare depressione. E ancorapiù chiaro è oggi il fatto che la cura della depressione non puòprescindere dalla prevenzione e cura delle malattie fisiche e deiloro fattori di rischio: mens sana in corpore sano.

Depressione ed esercizio fisicoL’attività fisica contribuisce in modo determinante a prevenire ma-

lattie come il diabete, l’ipertensione, l’obesità e svariati tumori.

Studi recenti hanno ad esempio dimostrato in modo inequivoca-

bile che l’esercizio fisico riduce drammaticamente il rischio di svi-

luppare demenza e migliora le capacità cognitive, portando indie-

tro le “lancette” dell’orologio del nostro cervello anche di 20 o 30

anni. L’attività fisica migliora anche il funzionamento psico-

logico, lo stato di benessere, l’autostima, il sonno, la resisten-

za allo stress e la depressione, in alcuni casi con un’efficacia

simile a quella dei farmaci e della psicoterapia.

L’attività fisica è un naturale comportamento di rinforzo e di pro-

L Malattie

l Frequenza di disturbi dell’umore

l Predisposizione ad una maggiore morbilità e mortalità in questa fascia di popolazione

l Le malattie più frequenti sono l’obesità, la dislipidemia, le malattie cardiovascolari, il diabete e le malattie della tiroide.

Cambiare abitudini?

l Intervenire sullo stile di vita come parte chiave della nostra routine quotidiana per pazienti chesoffrono di:

n Disturbi dell’umore

n Disturbi di ansia ?

n Disturbi psicotici

n Altri disturbi ?

La nuova scienza sul cervello

uVisione precedente: Il cervello ha una strutturafissa ed un determinato numero di cellule cerebrali che diminuiscono con il passare degli anni ed in seguito a traumi

uNuova visione: nel cervello possono crescere nuove cellule e svilupparsi nuove connessioni nel corso della vita

Perchè fare esercizio?

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mozione del benessere, anche se gli specifici meccanismi attra-

verso cui l’esercizio fisico promuove un effetto antidepressivo so-

no largamente sconosciuti. Studi su modelli animali di depressio-

ne mostrano che la up-regulation di neuropeptide Y (NPY) e Braid

Derived Neurotrophic Factor (BDNF), portando alla proliferazione

cellulare e alla neurogenesi (rigenerazione del tessuto nervoso),

è la via finale comune dell’attività antidepressiva sia dei farmaci

che dell’esercizio fisico e che l’attività fisica può migliorare il turn-

over centrale della noradrenalina, un neurotrasmettitore pesante-

mente implicato nella depressione. In aggiunta, potrebbe esiste-

re un effetto indiretto dell’esercizio fisico sull’umore mediato da

un miglioramento della forma fisica, della pressione arteriosa, dal-

la riduzione del peso corporeo e da cambiamenti metabolici come

la riduzione dell’obesità addominale e dell’insulino-resistenza. Per

non parlare degli effetti sull’autostima, sul senso di benessere e

sull’apprezzamento del proprio corpo.

Purtroppo molte domande relative all’efficacia antidepressiva dell’eser-

cizio rimangono aperte. Ad esempio, non è ancora chiaro quali sono

i casi in cui l’esercizio può essere usato in alternativa al trattamento

farmacologico e/o psicoterapico, quali quelli in cui l’esercizio è utile so-

lo in associazione ai farmaci e/o ad una psicoterapia, quali sono i sot-

totipi di depressione che rispondono meglio all’esercizio, etc.

E’ inoltre indispensabile sviluppare interventi (ad esempio inter-

venti di psicoterapia motivazionale e di psicoeducazione) che aiu-

tino i pazienti depressi a trovare l’energia fisica e mentale neces-

saria per iniziare e mantenere un’adeguata attività fisica in un pe-

riodo in cui le loro “batterie” sono quasi completamente scari-

che e “calibrare” il programma alle esigenze e possibilità (sia fisi-

che che mentali) del singolo paziente. Iniziare e mantenere un

programma di esercizio fisico è difficile per tutti. Figuriamoci per

un paziente che sta soffrendo le pene della depressione ed ha dif-

ficolta’ anche ad alzarsi dal letto.

E’ molto difficile però che un paziente non sia in grado di pratica-

re alcuna forma di esercizio fisico. L’importante è quindi aiutare

la persona a scegliere degli obiettivi facilmente raggiungibili: me-

glio 1 minuto di esercizio al giorno (magari da aumentare in modo

molto graduale) che l’immobilità totale. In uno studio che ho con-

dotto quando ero ancora negli Stati Uniti, i cui risultati sono stati

recentemente pubblicati sul Journal of Clinical Psychopharmaco-

logy, abbiamo infatti chiaramente dimostrato che anche i pazien-

ti con disturbi dell’umore più severi (disturbo bipolare nel ca-

so specifico) possono avere un enorme beneficio da un pro-

gramma basato sulla scoperta (o riscoperta) dell’importanza

Il prof. Andrea Fagiolini laureato all’Università di Pisa e specializzato in psichiatria all’ Università diModena, nel 1996, grazie ad una borsa di studio IDEA, ha passato un periodo di studio all’ Universitàdi Pittsburgh negli Stati Uniti, che lo ha successivamente assunto attribuendogli gradualmente i ruolidi Istruttore, Professore Assistente, Professore Associato, Direttore Medico del Centro per il DisturboBipolare e Direttore Medico del Centro per la Prevenzione della Depressione e della Malattia ManiacoDepressiva. Rientrato di recente dagli Stati Uniti, il professor Fagiolini è attualmente titolare dellacattedra e direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria dell’Università di Siena.

di uno stile di vita sano (e basato prevalentemente sull’eser-

cizio, sul rispetto del sonno e su un’alimentazione corretta)

ammesso che vengano loro forniti gli strumenti (psicoeduca-

zione, personal coach/trainer, etc) per imparare a riprender-

si cura del proprio corpo.

Ovviamente qualsiasi programma richiede una iniziale visita

(con appropriati accertamenti strumentali quando necessario)

e una successiva supervisione medica. E’ naturale che il pro-

gramma suggerito al paziente che ha forti dolori fisici o al pa-

ziente che non riesce a mantenere l’equilibrio o al paziente che

ha da poco avuto un infarto o un ictus debba essere molto di-

verso da quello suggerito ad un giovane di 20 anni in buona sa-

lute fisica. E’ però difficile che esista una controindicazione per

tutti i tipi di esercizio fisico e vale comunque sempre la pena

ch iedere a l p ropr io medico d i famig l ia e ps ich ia t ra .

Motivazioni frequenti pernon fare esercizio

l Non ho tempo

l Non ho la motivazione

l Non mi piace sudare

l Sembrerei stupido

l E’ doloroso

l Non so cosa fare

l Non è una cosa importante

l Mi sono dimenticato

l Non ho energia

L’attività fisica può migliorare ilbenessere mentale?

l Autostima e percezione di sé

l Benessere individuale

l Soddisfazione nella vita

l Umore e predisposizione

l Stress – stati di ansietà

l Sonno

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l discorso e la pratica che vanno sotto il nome di cura sot-tendono due radicali operazioni della mente. La prima,la capacità di comprendere la diversità dei punti di vistasullo stesso fenomeno/evento (la malattia) da parte delcurante e del curato; capacità che chiede al medico di svi-

luppare sufficiente empatia per la sofferenza del malato, senzaaderirvi, ed al malato di sentire la possibile vicinanza del medicoal proprio vissuto penoso, senza che questi debba per forza aver-lo sperimentato personalmente. Capacità, per entrambi, diffici-le quando si tratta di patologie strettamente somatiche, e maga-ri limitate; ardua, quando si tratti di una patologia minacciosa perla vita, tanto in senso biologico, quanto – come nel caso della de-pressione – minacciosa per il progetto individuale, che della vitacostituisce il senso. Va detto anche che ogni volta è richiestaal medico una specifica declinazione della sua competenzain relazione alla sofferenza, a volte molto occulta o occul-tata da chi ne soffre, come può accadere nella depressioneche può, come altre sofferenze, non avere il modo di dirsi,essendo caratterizzata a volte da una faticosa e dolorosasottrazione a se stessi e al mondo.

La seconda concerne il problema dell’affidarsi o, se si vuole,del tollerare la passività, l’essere soggetto/oggetto dell’attività diqualcun altro: opzione difficile, nel contesto di una cultura cheimpone la produttività, l’efficienza e l’approccio aggressivo al-l’ambiente come valori fondamentali. Opzione difficile, che po-trebbe aiutare – fattore certamente tra molti altri – a compren-dere perché la depressione sia più frequente nelle donne , piùgrave negli uomini (costretti a non chiedere aiuto, fino al raggiun-gimento del punto di rottura pena la perdita di un’immagine disé spesso costruita sul mito dell’efficacia ed efficienza, a tutti icosti). Non a caso, la nostra è, in Occidente, l’epoca della cocai-na; non più la ricerca di un regressivo Nirvana, ma la necessitàdi una presenza stenica, penetrante, occupante spazio, mobilea costo di essere indeterminata; agitata, finalizzata a tenersi inpiedi, al passo; ma anche a volte anestetizzante rispetto al doverconfrontarsi con la fatica, gli scacchi, il dolore.

Ma la funzione del curare in senso medico, non è di fatto sepa-rabile dalla funzione del prendersi cura in senso relazionale o for-se, più profondamente, parentale. Questa impossibile separa-zione incide sugli aspetti della relazione di cura di cui si andràdicendo poi, ovvero punteggia la cura, da ambedue le parti.

Curare significa, in effetti, non tanto ri-muovere una condizione materiale chealteri un precedente stato meccanica-mente stabile; significa, nel senso hei-deggeriano, compiere un percorso diapprossimazione verso una perso-na, comprenderne e, per certi aspet-ti, farne proprio, il progetto biogra-fico a volte non chiaro , cogliere lecondizioni che disarticolano ed of-fendono tale progetto e cercare dioperare per rimuoverle, sulla base diun sicuro con-sentimento, piuttosto checon-senso, della persona di cui ci si de-ve prendere cura. Ora, approssimarsiin un movimento reciproco, se non è mai facile per nessuno, tan-to più lo è se uno dei due attori coinvolti nella relazione è, come perdefinizione, in sottrazione; come cercarlo? Dove cercarlo? E comeavvicinarsi?

Per questo il percorso di cura, che non implica per definizioneuna guarigione stabile, aprendo quindi i soggetti coinvolti all’oriz-zonte dell’incertezza, dell’instabilità e dell’imprevedibilità, si con-figura come un’avventura, con tutte le paure e i rischi che l’av-ventura evoca e porta con sé; avventura, nel caso di una depres-sione, che coincide con una disorientante, quanto desiderata, re-stituzione al flusso del vivere corrente. Restituzione valida perogni sofferente, ma maggiormente portata e avvertita da chi sidichiara “depresso”; ammesso che si dichiari tale. Percorsocome processo, con tutte le fasi e quindi le declinazioni tempo-rali di gesti, azioni e interventi non sempre sincronizzati e sin-cronizzabili, destinato a non pochi impasse; percorso come uncammino, che pur con tutta la fatica, anche in termini di resisten-za psicologica e fisica, che un cammino può comportare, conconseguenti arresti e soste obbligate, è fattibile: è tanto fattibi-le che una volta dichiarato il bisogno, si può tollerare di esser de-presso e ci si può imbarcare nell’avventura di affidarsi; che ègià un passo verso il ritornare ai giorni correnti, vissuti come me-no pesanti e grigi. Si può star meglio, ma non con percorsi ma-gici e semplicistici, o fatti di peritose deleghe al curante.

Ora, avventura, processo e cammino nella loro dinamicitàesposta a variazioni, ricontrattazioni, cadute, perdite, conquiste

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Nell’epoca dellatristezza, nell’epocadella diffidenza

Massimo Rabboni*

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effimere, riprese, sono parole che nella loro intrinseca com-plessità sono di fatto non proprio assimilabili o consonanti al pen-siero lineare, al pensiero più tecnico che scientifico (nell’acce-zione della tecnica come mera esecutività secondo protocolli pre-stabiliti) che tanto tenta noi medici, che tanto tenta i pazienti ele famiglie e che forse predomina sotto il segno di una ricercae di un’affermazione di efficacia molto consolatoria, anche senon vera, che non è poco diffusa.

Forse la difficoltà sta nell’accettare che non ci sono “ricette” pre-confezionate, c’è una ricerca che, se affrontata, è già l’inizio dellafine, e dell’apertura ad altri inizi, certo impegnativi, ma forse avver-tibili come più vitali e felici per la persona.

È l’affermazione per cui, dati i grandi progressi della medicina, sipuò, si DEVE sempre risolvere tutto, essendo possibile ritornare“perfetti” più o meno come si pensa di essere stati o nati primadi un qualche incidente biografico di diverso peso e rilievo, cheva “messa da parte”, sospesa e forse superata; accettare di di-ventare “altro”, dopo che la storia è passata sulla propria pelle, ègià essere e accettarsi in colloquio con se stessi e il mondo.

Quindi c’è una prima tentazione: la consolante e consolatoriasemplificazione del ritrovarsi e del trovare nuovi, e soprattutto,non poche volte, diversi equilibri con se stessi e gli altri; c’è an-che una prima possibile diffidenza che potremmo sintetizzarenella domanda: “Ma non si può fare proprio nulla? E subito? Esoprattutto con esiti tangibilmente positivi? ma poi non si potreb-be fare come dice la mia ultima ricerca in internet o l’annunciogiornalistico del magazine settimanale?” Domanda che è un

esempio estremamente semplificato di una po-sizione “magica” nei confronti di ciò che è“scientifico”, proprio in un periodo in cui si èrestituita alla scienza la necessità di dubitare edi orientarsi verso la percezione della comples-sità degli eventi.

Nel caso di chi fa fatica a portarsi in giro, arapportarsi e vivere i giorni come trascorren-ti pur nella loro fatica, questo è un passaggiofondamentale: l’importante non è pensare diguarire appena ci si dichiara in difficoltà, l’im-portante è volere, desiderare e con tenaciacercare di guarire.

Tornando al discorso aperto poco sopra, va rile-vato che, in questo senso, non vi sono differen-ze tra la cura della malattia mentale o la cura diuna malattia fisica, poiché entrambe ledono l’in-tegrità della persona, che costituisce il sog-getto dell’intervento; persona che, come ormaitutti noi, può ritenere talvolta o che gli elemen-ti di possibile lesione debbano essere già statitolti tutti dal suo orizzonte ad opera di continuiinterventi di bonifica del mondo, orientati stret-tamente sui suoi bisogni (vedasi, come esem-pio, il problema delle allergie alle piante: to-gliamo tutte le piante, come qualcuno ha pro-posto? O ci prendiamo un raffreddore? O sem-plicemente un temporaneo sollievo farmacolo-gico?) o che questi eventuali elementi patoge-ni non debbano e non possano toccarla.

E questo è tanto più vero per la depressione: se la sofferenzapsichica conclamata e dichiarata attraverso comportamenti rite-nuti bizzarri o situazioni dirompenti si riesce ad agganciare è pro-prio della depressione, un comportamento tale per cui non la sivede, ma che abita, senza tregua, chi la vive.

Dobbiamo tenere conto che siamo nell’epoca della non reciprocità, delsoggetto debole, che, proprio in quanto debole e incerto, si sente sem-pre perseguitato e che deve e chiede sempre di essere accompagnatonei modi e nelle forme suoi propri che ritiene ovviamente quelli “giusti”;soprattutto che “ha ragione” per definizione. Si confonde forse “il sape-re di qualcosa” con “il comprendere il portato di qualcosa”?

È sempre necessario, nella relazione di cura, chiarire, anche dolorosamen-te, questo.

Della persona depressa infatti, non poche volte si dice: “E’ esau-rito!”; oppure: “Passerà!” o ancora non essendo così palese-mente distruttiva, in termini sociali, può essere “tollerata” nelcerchio familiare o in quello amicale.

Considerazioni apparentemente scettiche o amare sul camminoche ogni volta fanno coloro i quali sono coinvolti in un percorso dicura, ma che si collocano nelle più recenti riflessioni sociologichee filosofiche che ci parlano di crollo della dimensione comunitaria,con la relativa poi nostalgia e voglia di comunità, dell’impossibilitàdi incontrare l’Altro, di fare prossimo e di farsi prossimo; di adole-scenti il cui ideale è “stare collegati” (come dice un famoso rap-

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te che porta con sé; sapere semplicemente, e condividere il sa-pere, che curare non significa sempre guarire. Da parte medicaquindi non resta che fare continuamente un’analisi della fonda-tezza, della sostenibilità, della credibilità e dell’affidabilità delleproprie scelte rispetto e nei confronti di chi viene curato, scelteper altro ponderate, riflettute, comparate, monitorate, valutate.

Da parte del paziente però va chiesta, e va chiesta in un con-tratto chiaro e giocato sempre su un livello adulto, in cui la reci-proca possibilità di chiudere il rapporto sia prevista, una parteci-pazione consapevole, la più alta possibile, al percorso che il ma-lato sceglie di fare o che gli si propone di fare; partecipazione chesi può e si deve chiedere ad ogni persona in cura, per evitare chela cura possa diventare un percorso di costruzione di dipenden-za che, per le questioni sopra accennate, potrebbe avere trasci-namenti rancorosi e risentiti. Diventare e stare in una posizioneadulta non è facile per nessuno; sappiamo, a differenza di qual-che decennio fa, che è una ricerca e non uno stato, che quindichiede ancor più un continuo esercizio di responsabilità.

Sarà per questo che spesso chi è in cura fugge dalla cura? Saràper questo che spesso chi cura tende a sedurre o a fare quelloche il curato chiede? Sarà per questo che spesso vengono aper-ti contenziosi ancor prima che le due parti in causa si parlino?Sarà per questo che potrebbe anche far comodo pensare anco-ra che il cosiddetto “potere medico” su chi va curato sia così ar-rogante da tacitare comunque e sempre chi viene curato? Saràper questo che potrebbero aumentare i casi in cui i medici aggi-rano interventi necessari al fine di non avere poi questioni?

Ma ci può essere una relazione senza un esercizio costante diresponsabilità di ambedue i soggetti? E ancora: se ambedue isoggetti si prendono reciprocamente in carico, va da sé che pos-sono e forse devono anche non convergere, senza quindi obblighiper nessuno? Potrebbe aprirsi, su questo, il rischio o l’inclinazionead una reciproca indifferenza e una tentazione abbandonica?Situazione da evitare il più possibile e con tutti i mezzi, proprio eanche con chi si dichiara depresso; così rischiosamente, nel silen-zio non distruttivo socialmente, del sentire, esposto alla deriva.Quindi se si tratta di non lasciare che qualcuno vada alla deriva…,allora è pur preferibile questionare, alla ricerca di mediazioni soste-nibili per ambedue gli attori coinvolti nella cura, che forse deve pa-gare questo prezzo per rimanere possibile.

* Direttore del Dipartimento di Psichiatria II pressol’Ospedale Riuniti di Bergamo

per), ma che poi si segregano in casa, impossibilitati a toccare l’ester-no (Hikikomori in Giappone, senza nome ancora da noi).

Ma la cura è, prima di tutto, una funzione dell’intersoggetti-vità, caratterizzata dalla capacità del paziente di desideraredi essere curato, e di accettare, per questo, non solo di fidar-si, ma di affidarsi ad un curante, ben al di là delle operazionimateriali che a questo curante sarà richiesto di compiere.

Una tale operazione presuppone però ciò che nella nostra epo-ca è divenuto, come si cominciava a dire sopra, del tutto inquie-to, e cioè la certezza dell’identità, della soggettività e, con que-sto, della possibilità della relazione. Nell’epoca della diffidenzae dell’enfasi dei diritti, presentare una malattia come bisogno esofferenza, piuttosto che come lesione di un diritto legittimo, ap-pare difficile e, forse, improbabile; forse ci si può “vergognare”o essere più lesi dal dover chiedere, dal dover ammettere di ave-re bisogno; e potrebbe essere difficile per il curante accoglierequesto sentire . Ma quale percorso di cura può intraprendere ilmedico, che non è l’avvocato che tutela i diritti, avvocato con ilquale oggi il paziente spesso si accompagna?

“Prendere le pillole”, “Andare dallo psichiatra!” per un esauri-mento nervoso! Può far parte anche di quel disvalore che tantopuò determinare la depressione di una persona o il contesto incui vive. Curarsi anche dallo psichiatra per un semplice “esauri-mento nervoso”, non vuol dire essere “matti” secondo un’im-magine molto deformata che ci viene dal passato. Anche perchéoggi la situazione è ben diversa.

Erose, anche forse legittimamente, le figure di autorità, come era unavolta il medico, affermata una democratizzazione di tutti i rapporti, al-lora non resta che tornare a una riaffermazione di alcuni punti.

Tornare a ripensare costantemente il fare e operare medico intermini di clinica della relazione, tanto più ed elettivamente in psi-chiatria, ma non solo in psichiatria, attraverso una declinazioneumanistica; ricordarci che gli strumenti (dalle scale di valutazio-ne, al laboratorio più sofisticato, ai farmaci) sono strumenti chenon esimono dalla relazione. Questa posizione radicalmente em-patica della professione non confligge con le richieste di effica-cia ed efficienza, nonché di economicità; quindi dichiarare al pa-ziente, in apertura del contratto, che a volte non si potrà risolve-re il suo “caso”, ma lo si potrà gestire, dando limiti e possibilitàdi intervento in termini di realtà; dichiarare la fallibilità dell’inter-vento, lavorando su “quello specifico incontro e caso” semprecon le dimensioni del dolore e dell’evocazione di danno e mor-

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Nell’epoca della tristezza,nell’epoca della diffidenza

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Ringraziamo il prof. Rabboni per il suo interessante contributoe per gli ottimi r isultati raggiunti dall’Ambulator io IDEAa t t i v o a l l ’ i n t e r n o d e l l ’ O s p e d a l e R i u n i t i d i B e r g a m o

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Roberta Necci, Maria Beatrice Toro

ze; chi ha troppa paura dell’altezza e non sopporta l’idea di gal-leggiare nell’aria; chi, infine, detesta il fatto di non avere il con-trollo del mezzo su cui sta viaggiando.

I sintomi dell’aerofobia sono quelli tipici delle crisi d’ansiache comprendono sintomi fisici (tachicardia, sudorazioneeccessiva, mancanza d’aria, sensazione di oppressione to-racica) e sintomi psichici (per esempio, paura di morire,immagini catastrofiche). La sensazione sgradevole più diffu-sa è quella di trovarsi in una situazione di pericolo che non si puògestire, percepirsi in balia di eventi incontrollabili e affidati allecapacità di persone sconosciute quali piloti e assistenti di volo.L’assenza di “vie di fuga” fa quindi sentire l’aerofobico bracca-to, intrappolato e impotente, qualunque cosa accada.

Un ulteriore elemento di disagio, comune in chi già soffre di pa-nico, è il timore di avere una crisi in volo con conseguente “brut-ta figura” davanti agli altri passeggeri. In questo caso alla paurasi sommano imbarazzo e senso di inadeguatezza che finisconocon l’alimentare il circolo vizioso.

Da cosa nasce la paura di volare? Come per altre forme di an-sia, dietro questa fobia specifica potrebbe esserci un esageratobisogno di sicurezza, di stabilità e di controllo, che solitamenteinizia durante un periodo di tensione e stress elevati per poi du-rare anni o, anche, tutta la vita. L’aerofobia, come tutte le fobie,

Paura di volare

atale, tempo di feste, di vacanze e, sempre piùspesso, di viaggi. Il sogno di tutti è trascorrere unperiodo di riposo al sole in un posto esotico, visi-tare un paese lontano o, più semplicemente, an-dare in una città nuova per qualche giorno.

Molte persone però, pur potendoselo permettere, non riesco-no a realizzare il proprio desiderio perché trovano intollerabilel’idea di salire su un aereo. Si tratta di un problema comune, tan-to che le compagnie aeree stimano che almeno un quarto dei lo-ro clienti ha paura di volare e sperimenta una notevole soffe-renza prima e durante il viaggio. Il dato diffuso dalle compagnie,peraltro, descrive solo la punta dell’iceberg: la maggior parte dicoloro che ha questo problema prova una paura tanto forte daevitare del tutto di salire in aereo, anche se si rende conto dellelimitazioni che questo comporta. Il danno che ne deriva è eviden-te: non c’è solo il dispiacere di non poter visitare posti nuovi oconoscere culture diverse, ma anche la consapevolezza di doverrinunciare ad interessanti opportunità di lavoro che comportanofrequenti spostamenti. Come non capire, quindi, se ad un certopunto compaiono uno stato di scoraggiamento e la sensazionedi essere sciocchi perché ci si lascia condizionare da una paurairrazionale?

La storia di ciascun aerofobico, come viene tecnicamente defi-nito chi soffre di fobia del volo, è diversa: c’è chi ha già volato esi è spaventato per delle avversità, come temporali o turbolen-

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ha poco o nulla a che vedere con l’effettiva realtà e/o pericolosi-tà del volo, che sappiamo essere di gran lunga la più sicura mo-dalità di trasporto, riflettendo piuttosto paure, pensieri e fantasieche la persona ha sviluppato nel tempo.

Ma chi comunque percepisce l’aereo come un pericolo reale cheinnesca una forte reazione di allarme cosa può fare per fronteg-giare il problema?

Alcuni, pur provando ansia e forte disagio, cercano di superarela paura e volano ugualmente mettendo in atto strategie di di-strazione, per esempio ascoltando musica, impegnandosi in unalettura o conversazione particolarmente piacevoli. Altri assumo-no sostanze allo scopo di ridurre l’ansia. È indubbio che dalpunto di vista pratico l’uso di farmaci che abbassano il livello diansia sia di grande aiuto, ma in questo campo il “fai da te” èfortemente sconsigliato ed è meglio rivolgersi al proprio medi-co. Questi, a seconda dell’entità dell’ansia, dello stato di salutegenerale della persona e della lunghezza del volo, suggerirà ilfarmaco più adatto e la corretta modalità di assunzione. In alcu-

ni casi, al fine di evitare l’instaurarsi di un alto livello di ansia an-ticipatoria e arrivare al giorno della partenza più rilassati, il medi-co può suggerire l’assunzione di ansiolitici nei giorni precedentiil volo. Un esempio di autoterapia, purtroppo molto frequente mada evitare e sconsigliare sempre, è l’associazione alcol-ansioliti-ci. Si tratta di un’associazione che può avere importanti conse-guenze in quanto gli effetti secondari delle due sostanze si som-mano e amplificano a vicenda. In altri casi ancora gli aerofobicitentano di mantenere continuamente il controllo della situazio-ne, prestano attenzione ad ogni minimo particolare, chiedonocontinuamente informazioni sull’andamento del volo o sulle con-

dizioni metereologiche, studiano l’espressione degli assistentidi volo o concentrano la propria attenzione su ogni rumore o scos-sone. Questo comportamento, oltre a non favorire il rilassamen-to, ha un forte effetto controproducente, quasi sempre infattiporta a vedere rischi e pericoli anche dove non ce ne sono.

Per chi preferisce combattere l’aerofobia affidandosi ad un per-corso psicologico la terapia cognitivo comportamentale si è rive-lata molto utile. Questo tipo di psicoterapia insegna ad affronta-re la situazione temuta tenendo sotto controllo le sensazioni fi-siche che accompagnano lo stato d’ansia (tachicardia, affanno,vertigini) e che la persona ansiosa tende a vivere con una reatti-vità esagerata, temendole più del dovuto e attribuendo loro unsignificato catastrofico. Con l’aiuto dello psicoterapeuta la per-sona imparerà ad identificare i propri pensieri, a mettere inluce le convinzioni erronee o irrazionali che spesso peggio-rano lo stato d’ansia, a capire che la realtà può essere in-terpretata in modi diversi e a rivedere le proprie convinzio-ni secondo una differente chiave di lettura. E per gli aerofo-

bici irriducibili? Un efficace metodoper tentare di superare la paura divolare è rappresentato da corsi te-nuti dalle principali compagnie ae-ree. L’obiettivo di tali corsi non ècercare i motivi che hanno scate-nato la paura di volare ma accet-tare che si tratta di una fobia, quin-di di un comportamento irraziona-le, e imparare ad affrontarla e a ge-stirla. I corsi prevedono un’espo-sizione graduale al volo (dall’entra-re in aeroporto, al passaggio ad unsimulatore e quindi al volo vero eproprio), una maggiore informazio-ne sugli aerei e sulle dinamichedel volo, incontri con piloti e assi-stenti di volo. Ogni tappa del pro-gramma è associata all’apprendi-mento delle tecniche di rilassa-mento più adatte alla specifica si-tuazione.

La paura di volare, un tempo un pro-blema che riguardava un’elite di benestanti che potevano per-mettersi il lusso di viaggiare in aereo, oggi è un fenomeno dif-fuso e in costante aumento. Per fortuna, negli ultimi anni si so-no rese disponibili diverse strategie di intervento grazie alle qua-li è possibile limitare le conseguenze invalidanti di questa fobiain modo che tutti, con maggiore o minore facilità, possano usu-fruire delle infinite possibilità che gli spostamenti aerei offrono.

Istituto di Psicopatologia - Roma

Roberta Necci - Supervisore Gruppi di Auto Aiuto Idea-Roma

Maria Beatrice Toro - Psicoterapeuta cognitivo comportamentale

segue da pag. 7

Paura di volare

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IDEA_novembre_09 14-10-2009 20:10 Pagina 8

Page 9: Notiziario Fondazione Dicembre 2009

Coerentemente con tale concettualizzazione del disturbo, le tera-pie cognitivo-comportamentali si pongono come obiettivo quellodi aiutare il paziente con panico ad interpretare i propri stati inter-ni in modo meno catastrofico e dunque a viverli come più accet-tabili. Se infatti il paziente inizia a considerare tollerabili e meno pe-ricolosi i propri segnali di attivazione fisiologica e le proprie emo-zioni, sarà più difficile che il meccanismo a circolo vizioso primadescritto si attivi e si ridurrà l’evitamento delle situazioni temute.

Gli strumenti terapeutici per raggiungere questo obiettivo sonoil dialogo socratico, la discussione delle convinzioni patogene, la

psicoeducazione, le tecniche di rilassamento e gli esperimenticomportamentali, all’interno di una relazione terapeuta-pazienteparitetica e collaborativa. Le tecniche che si sono dimostrate dimaggiore efficacia nel trattamento del panico e dell’agorafobiasono quelle di esposizione. Esse consistono in una graduale espo-sizione agli stimoli temuti secondo precise modalità concorda-te di volta in volta e mai imposte dal terapeuta. Richiedono la ri-nuncia a evitamenti e comportamenti protettivi e sono tese a fa-vorire processi di abituazione fisiologica (riduzione dell’ansia inpresenza degli stimoli temuti), ristrutturazione cognitiva e accet-tazione di sensazioni e situazioni prima evitate.

* Istituto di Psicopatologia - Roma

ormai dimostrato che chi soffre di panico hauna particolare attitudine psicologica chiama-ta “Anxiety Sensitivity”, ossia una tenden-za a considerare pericolosa (per la propriasalute fisica e mentale o per la propria im-

magine sociale) l’ansia e, in generale, a temere tutti i segna-li fisici (tachicardia, respiro corto) di attivazione neurovege-tativa. Questo sembra essere il fattore psicologico determinan-te nello sviluppo del disturbo, perché espone il soggetto al rischiodi panico tutte le volte che sperimenta un’emozione particolarmen-te intensa o un’attivazione neurofisiologi-ca del tutto naturali. In questo senso, adesempio, anche l’aumento del ritmo cardia-co e l’affanno che normalmente seguonoad attività fisica (come salire le scale dicorsa) potrebbero essere vissuti dal sogget-to con elevata anxiety sensitivity come sin-tomi pericolosi, determinando l’insorgenzadell’ansia e poi del panico.

Il meccanismo cognitivo che determina ilpanico è ben descritto nel modello diClark che proviamo, in estrema sintesi, adillustrare: uno stimolo esterno o interno (adesempio, una sensazione di stanchezza)viene percepito come minaccioso (adesempio, potrebbe essere interpretato co-me segno di un imminente svenimento)innescando una risposta d’ansia coeren-te con tale interpretazione. L’ansia, cometutte le emozioni, ha dei correlati psicofi-siologici tipici e del tutto naturali (ad esem-pio, aumento del ritmo cardiaco, leggeraalterazione dello stato di coscienza, ecc.). Purtroppo i soggetti condisturbo di panico interpretano tali sensazioni come conferma dellaminaccia incombente («oddio! Allora, è proprio vero che sto per sve-nire») o come ulteriore minaccia («sta per prendermi un infarto?»).Tale interpretazione è cruciale perché aumenta ulteriormente il livel-lo di ansia e i suoi correlati psicofisici, e tale aumento ancora una vol-ta viene visto come conferma di un grave pericolo per la propria in-tegrità psicologica e/o fisica. Si sviluppa in questo modo un ve-ro e proprio circolo vizioso di sensazioni fisiche ed interpreta-zioni catastrofiche di queste sensazioni, fino al panico vero eproprio caratterizzato dalla convinzione che la minaccia non èpiù solo incombente, ma ormai attuale («ecco, muoio!»; «ec-co, sto impazzendo!»).

Psicoterapia cognitivo-comportamentale

del disturbo di panico

Angelo Maria Saliani*

E’

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Page 10: Notiziario Fondazione Dicembre 2009

Inviate le vostre lettere per posta ordinaria al Prof. Antonio Tundo - Idea Bologna, Via Barberia 18 • 40123 Bologna-o per E-mail: [email protected] questa rubrica saranno pubblicate quelle che contengono richieste di informazioni o quesiti clinici di interesse comune

Qualcuno vi ascolta (Risponde Prof. Antonio Tundo, Istituto di Psicopatologia, Roma)

nel singolo caso quanto grande è il rischio di ricaduta, quan-

to grave questa potrebbe essere e se può essere utile ri-

correre almeno temporaneamente ad un trattamento alter-

nativo ai farmaci, come la psicoterapia cognitivo compor-

tamentale o interpersonale. Quando la prosecuzione della

cura farmacologica appare la soluzione più affidabile, lo psi-

chiatra prescrive l’antidepressivo con minore rischio tera-

togeno alla più bassa dose efficace, evitando l’associazio-

ne di più farmaci. Ritornando alla sua domanda, le sugge-

risco di parlarne con lo specialista che l’ha in cura in modo

da fare un progetto terapeutico ragionevole e mirato. Le

consiglio di andare con suo marito per porre tutte le do-

mande necessarie e ricevere tutte le informazioni utili per

una decisione “consapevole”. Dopo aver discusso a fon-

do con lo specialista i pro e i contro delle diverse opzioni,

ed aver sentito anche il parere del suo ginecologo, spette-

rà a lei e a suo marito, e solo a voi, l’ultima parola.

Se desidera avere informazioni scientificamente corrette e

continuamente aggiornate sui problemi che i singoli farma-

ci possono causare sullo sviluppo del feto, al momento del

parto e sul successivo sviluppo del bambino può telefonare

al seguente numero 800-883300 (il servizio è gratuito). Le

risponderanno medici qualificati che si occupano specifi-

camente di questo tema. In base alla mia esperienza pos-

so dirle che quando si soffre di depressione e si ha neces-

sità di cure a lungo temine avere un bambino può essere

un percorso complesso, ma certamente non impossibile.

Mara da Vicenza ci chiede: “Ho 35 anni e soffro di de-pressione ricorrente. Ho cominciato le cure 6 anni fa: fin-ché assumo gli antidepressivi sto bene, ma ogni volta chetento di smetterli ricado rapidamente. Non avrei alcun pro-blema ad andare avanti con i farmaci, che peraltro tollerobene, solo che vorrei avere un bambino e, data la mia età,non posso attendere troppo. Cosa fare?”

Cara Mara, la condizione che mi descrive è piuttosto co-

mune poiché la depressione colpisce soprattutto donne

giovani. Fino a qualche anno fa il suo problema sarebbe sta-

to “senza soluzione”: avrebbe dovuto scegliere tra rinun-

ciare ad avere un bambino o rischiare una ricaduta e, se

questa veniva, sopportarla per tutto il periodo di gestazio-

ne. In base alle informazioni scientifiche disponibili, ma an-

che all’atteggiamento mentale degli specialisti, si ritene-

va infatti incompatibile con la gravidanza l’assunzione di far-

maci a causa del loro potenziale “effetto teratogeno”, cioè

della possibilità di causare malformazioni nel feto. Oggi mol-

te cose sono cambiate. Innanzitutto, è sempre più eviden-

te che il rischio teratogeno di alcuni antidepressivi è mode-

sto, se non del tutto assente. Inoltre, c’è una diversa sen-

sibilità a questo tema e un buon clinico deve tenere conto

di tutte le variabili in gioco, senza escludere il legittimo

desiderio di maternità della donna e le possibili conseguen-

ze che una depressione durante la gravidanza può avere

sul nascituro. Il nuovo orientamento è volto quindi a cerca-

re una soluzione personalizzata, valutando con attenzione

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In breve dalla ricerca(a cura della Dott.ssa Fulvia Marchetti, Istituto di Psicopatologia, Roma)

Anche ONLINE la terapia cognitivocomportamentale è efficaceE’ ampiamente dimostrato che la psicoterapia cognitivo comportamentale, da sola o in

associazione alla terapia farmacologica, è un efficace trattamento per diversi disturbi men-

tali, dalla depressione al disturbo di panico al disturbo ossessivo compulsivo. Purtroppo,

non tutti i pazienti possono usufruire di questo strumento terapeutico o perché diversa-

mente abili o perché risiedono in aree con difficoltoso accesso ai servizi. Di qui la neces-

sità di verificare l’utilità di una psicoterapia online, accessibile a tutti. Secondo uno stu-

dio condotto da Kessler e collaboratori (Lancet, Agosto 2009) su soggetti affetti da

depressione, le persone che seguono un trattamento combinato con farmaci e psi-

coterapia cognitivo comportamentale online ottengono risultati migliori, sia nel-

l’immediato che nel lungo periodo, rispetto a coloro che sono curati solo con i farmaci.

Ansia e depressione in ETÀ PRESCOLAREContrariamente a quanto ritenuto fino a qualche anno fa, è sempre più evidente che anche i

bambini in età prescolare possono soffrire di ansia o depressione. Solo che nei più piccoli le

manifestazioni sono differenti da quelle tipiche degli adulti: nervosismo, tensione, paura o

preoccupazione, disinteresse verso i giochi. Data l’importanza di una diagnosi precoce, diversi

ricercatori hanno tentato di individuare quali sono i possibili fattori di rischio. In uno studio

longitudinale condotto su un campione numeroso di bambini di età compresa tra i 5 mesi ed i

5 anni (Cassels e collaboratori, J. Child Psychology and Psychiatry, Giugno 2009), il più importante

fattore predisponente è risultato un “temperamento difficile” all’età di 5 mesi. Inoltre, la

probabilità di ammalare è maggiore se la madre ha a sua volta ha sofferto di depressione.

Una nuova possibilità per contrastare laTRICOTILLOMANIALa tricotillomania è un disturbo caratterizzato da un irrefrenabile impulso a strapparsi capelli

e peli, con conseguente comparsa di aree di alopecia più o meno estese. L’efficacia dei

trattamenti oggi disponibili, essenzialmente la terapia cognitivo comportamentale e gli

antidepressivi che agiscono sulla ricaptazione della serotonina, è solo parziale. Nel mese di

Giugno, Grant e collaboratori (Arch. Gen. Psychiatry, 2009) hanno pubblicato uno studio in cui

dimostrano che l’N-acetilcisteina, un aminoacido ad effetto glutammatergico, è in grado di bloccare

i sintomi del disturbo in più della metà dei pazienti trattati per 9 settimane. La sostanziale

assenza di effetti collaterali rendono questa molecola meritevole di ulteriori indagini.

IL LITIO PREVIENE IL SUICIDIO:un’ulteriore confermaTra il 15% e il 20% di coloro che soffrono di un disturbo dell’umore, depressione o disturbi

bipolari, mettono in atto tentativi di suicidio. Fino ad ora non è stato trovato un trattamento

“mirato” per questo comportamento. Di tutti i farmaci testati, il più efficace è risultato il litio

che, se assunto regolarmente, è in grado di ridurre in modo significativo la propensione al suicidio

in chi è affetto da depressione. Un recente studio, condotto da Lauterbach e collaboratori (Acta

Psychiatr Scand, 2008) su 167 pazienti, ha confermato questo risultato consentendo agli autori

di concludere che i sali di litio hanno un effetto anti-suicidio specifico e unico e dovrebbero

essere il trattamento di elezione per coloro che hanno un alto rischio di condotte auto-lesive.

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Page 12: Notiziario Fondazione Dicembre 2009

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o 52 anni, soffro ormai

da anni di attacchi di

panico e, anche se allo

stato attuale devo più

che altro tenere sotto controllo l’ansia

anticipatoria, che si mette in moto ap-

pena provo ad affrontare situazioni che

possono generare l’attacco, la mia sto-

ria e la mia vita sono fortemente lega-

te agli attacchi di panico. Il primo at-

tacco l’ho avuto all’età di 25 anni, ero

con mio padre, non vedente, in un uf-

ficio postale, stavamo facendo la fila,

il cassiere ha iniziato a perdere tempo

con attività non legate al suo lavoro,

le lamentele salivano da parte di tutti,

mentre in me cresceva un profondo di-

sagio, sentivo molto caldo e sudavo,

il cuore ha iniziato una corsa all’impaz-

zata e più si avvicinava il mio turno,

più questa angoscia saliva alla testa,

non riuscivo più a controllare la si-

tuazione. Finito l’attacco, stavo co-

munque male. Lo shock provato, la

paura dell’ignoto che mi aveva assa-

lito, mi ha lasciato frastornata e tre-

mante per lungo tempo. La mia vita

inaspettatamente mutava rotta da

quel giorno. Questo attacco non può

però essere visto isolato dal contesto

del mio vissuto fino all’età di 25 an-

ni. Sono nata da due genitori non più

giovanissimi, in un ambiente colmo

di amore ma i miei genitori avevano

entrambi gravi problemi di salute.

Mio padre aveva perduto la vista

molto giovane a causa di una malat-

tia e mia madre soffriva di gravi tur-

be psichiche che si manifestavano in

forma maniacale, non era in grado di

riconoscere la realtà che la circonda-

v a , s o p r a t t u t t o n o i f a m i l i a r i .

L’ultima crisi di mia madre si manife-

stò quando io avevo circa 12 anni, fu

curata da un eminente psichiatra e

con gli affetti di chi la circondava.

La sua guarigione fu quasi improvvi-

sa ma dopo pochi mesi fu colpita da

un’ischemia cerebrale: il danno non

fu però irreversibile e si ristabilì quan-

to prima.

Simonetta – G.A.A. Terni

H

Il conforto aiutandogli altri …

Testimonianza

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Page 13: Notiziario Fondazione Dicembre 2009

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Anche questa volta il benessere durò

poco, presto si scoprì un grave tumo-

re che, con sofferenze indescrivibili,

l’avrebbe portata alla morte all’età di

54 anni.

Era il 1° agosto del 1970, perdevo per

sempre mamma. Avevo 16 anni, ero

poco più di una bambina, con lei è par-

tita una parte di me ed è rimasto un

dolore sottile e struggente, un rimpian-

to per un destino che mi ha tolto un

amore così grande.

Papà fu molto bravo a sostituire la fi-

gura materna, insieme abbiamo

camminato tanto. Continuai a studia-

re con molta dedizione, a scuola ero

molto brava, arrivai al diploma e il mio

papà era raggiante, cominciavo sem-

pre più ad essere io la sua guida fisica

e lui la mia guida morale. Qualcuno ha

detto che mio padre vedeva attraver-

so i miei occhi, attraverso me vedeva

il mondo ed io crescevo, senza avver-

tire molto la mancanza di mia madre.

Mancanza che però è stata forte nel

momento in cui mi sono sposata e so-

prattutto quando è nato mio figlio. Non

avevo ancora ventitré anni che già ave-

vo un bambino tutto mio che mi ha da-

to energia e volontà, anche nei mo-

menti più tremendi.

Perché quel giorno d’estate il mio at-

tacco di panico? Mi ero appena laurea-

ta ed avevo cominciato ad insegnare

in un corso per centralinisti ciechi. Già

da qualche giorno avevo cominciato a

notare un annebbiamento all’occhio

sinistro. Più tardi, la visita oculistica

aprì la porta ad un dramma che co-

noscevo solo in parte, la mia miopia

era molto elevata e dovuta ad una ma-

lattia che poteva portare alla perdita

definitiva della vista. Mentre stavo se-

guendo una cura molto potente di far-

maci, destino volle che una sera, gio-

cando con mio figlio che non aveva an-

cora due anni, presi una testata sulla

parte sinistra della fronte. La mattina

successiva non vedevo più nulla dalla

parte sinistra. Fui ricoverata ed opera-

ta, dimessa e poi ricoverata altre vol-

te. Per mesi non vidi nulla con l’occhio

sinistro e pochissimo con il destro,

passarono mesi, poi finalmente un

giorno affacciandomi dal balcone vidi

confusamente l’immagine di alcune

macchine parcheggiate nel cortile, la

speranza si riaccese.

Una mattina mi recai a fare delle ana-

lisi, non appena il dottore mi prelevò

il sangue provocandomi una lieve

emorragia al braccio, mi paralizzai dal-

la paura e da quel momento iniziai a

conoscere l’Ansia. Ero sempre agita-

tissima, senza tregua, bevevo in con-

tinuazione acqua ed iniziai ad isolar-

mi da tutto e da tutti, non sopportavo

nemmeno che le persone mi chie-

dessero come stavo. Le prime cure le

ho iniziate con il medico di famiglia,

assumendo solo ansiolitici, che tam-

ponavano solo l’ansia senza alleviare

il terrore che si era annidato dentro

di me. Successivamente, fui seguita

da uno psichiatra di Roma che mi im-

bottì con ogni tipo di farmaco ed ini-

ziai a stare meglio. Superai veramen-

te il problema solo quando fui segui-

ta da una psicologa molto brava del

CEPASA, Centro di Psicologia e

Scienze Antropologiche, che, seguen-

do la terapia del comportamento uni-

tamente a sedute di training autoge-

no, pian piano mi ha ridato la giusta

dose di coraggio per affrontare la vita.

Passarono tanti anni di completo be-

nessere psichico ed il problema agli

occhi si andava stabilizzando. Perché

sono qui oggi a parlare ancora di at-

tacchi di panico? La vita purtroppo

mi ha riservato altri tristi esperienze.

Nel 1990, mio padre, l’unico conforto

della famiglia, il perno di una situazio-

ne poco stabile, veniva colpito da ic-

tus emorragico, alla cecità si aggiun-

geva ora anche l’impossibilità di cam-

minare, di muovere il braccio destro e

di parlare. Ho lottato da sola giorno e

notte con l’aiuto di mio figlio e di mia

cugina, ho passato sette lunghi anni

nella camera di papà, dove ho vissuto

momenti tragici, momenti di serenità,

di affetto, di dolore e disperazione, fi-

no a quando, alcuni anni dopo, in se-

guito a gravi postumi di una brutta in-

fluenza, si spegneva la sua vita, non

senza avermi prima abbracciata forte

e avermi dato tanti consigli, lasciando-

mi solo il suo amore. Dopo circa un an-

no, all’improvviso sono tornati gli at-

tacchi di panico, il primo lo ebbi pro-

prio davanti a quell’ufficio postale do-

ve tantissimi anni prima, accompagna-

ta da mio padre, lo conobbi per la pri-

ma volta e fui costretta a chiedere aiu-

to ad una persona anziana per poter

attraversare la strada.

Il desiderio di ritrovare la mia auto-

nomia è stato così forte da darmi la

spinta per cercare i rimedi giusti, ho

iniziato a fare delle sedute con una psi-

chiatra, con lei ho pianto tanto, ho rac-

contato tutta la mia vita, anche i segre-

ti più profondi. La dottoressa, con

estrema dolcezza, mi ha consigliato

una terapia a base di antidepressivi,

che io non ho voluto mai prendere,

non sentendomi depressa ma sola-

mente ansiosa.

Fu un grosso sbaglio, che capii solo

p i ù t a r d i q u a n d o , g r a z i e a l l a

Fondazione IDEA, ho frequentato un

corso per facilitatori di gruppo di auto

aiuto. Il corso, che si tenne a Rimini nel

2003, fu un’esperienza favolosa, i no-

stri docenti erano psichiatri eminenti,

imparai che gli attacchi di panico fan-

no parte della depressione e si curano

con gli antidepressivi.

Dopo questa esperienza ho dato vita

a Terni ad un Gruppo di Auto Aiuto

IDEA. Ci riuniamo tutte le settimane,

sono due ore che dedico solo a me

stessa, in cui lascio dietro la mia vita

e cancello le mie paure parlandone e

tentando di aiutare gli altri.

Nel ringraziare la Sig.ra Simonetta, per la coinvolgente testimonianza, rinnoviamo l’invito a tutti i nostri gentili lettori ad inviarciarticoli e testimonianze, personali o dei propri cari, affinché l’esperienza di chi ha sofferto possa essere di aiuto ad altri.

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Page 14: Notiziario Fondazione Dicembre 2009

e funzioni cognitive possono essere definite come l’in-sieme delle facoltà intellettive che sono alla base delprocesso di acquisizione della conoscenza in quantoconsentono all’individuo di percepire e comprenderela realtà, di memorizzare le informazioni, di elaborarle

e confrontarle con altre apprese in precedenza, e, ancora, di svolge-re in modo adeguato un determinato compito. In generale, l’uso dimolti composti psicoattivi, cioè dotati di preminenti attività sul SistemaNervoso Centrale, si associa ad una compromissione delle funzionicognitive, sia nel loro complesso che limitatamente ad alcune spe-cifiche componenti quali, ad esempio, la coscienza, l’immaginazio-ne, l’apprendimento, la memoria a breve ed a lungo termine, il sa-per prendere decisioni e la capacità di pianificare e prevedere le con-seguenze di un’azione o di un comportamento.Le varie sostanze non sfuggono a questa regola.In una prospettiva generale, è innanzitutto da sottolineare che le di-sfunzioni cognitive indotte dalle sostanze possono risultare di in-tensità e durata variabile a seconda del tipo di sostanza e della du-rata dell’utilizzo, cosicché ci si può di volta in volta trovare di frontead alterazioni lievi, modeste, gravi o gravissime e ad alterazioni tran-sitorie, relativamente persistenti o, addirittura, irreversibili. Inoltre,è anche da tener presente che l’utilizzo concomitante di più sostan-ze, cioè il poliuso o il poliabuso, spesso si associa ad una compar-sa anticipata delle alterazioni a carico delle varie facoltà mentali, aduna amplificazione della loro intensità e ad una maggior persisten-za dei deficit, talvolta al punto da precludere la possibilità di un com-pleto recupero, anche dopo un prolungato periodo di astinenza.Passando dal generale al dettaglio degli effetti svolti dalle varie so-stanze sulle principali funzioni cognitive, è innanzitutto da sottoli-neare che, in acuto, la cocaina, oltre a ridurre i tempi di reazio-ne ed a migliorare del tutto temporaneamente lo stato di vigilanzaed attenzione, induce spesso nel consumatore un’alterata valuta-zione dei propri limiti ed una diminuita capacità di critica e di giudi-zio e che non di rado l’intensità di queste alterazioni è tale da indi-rizzare verso azioni del tutto inabituali in condizioni di lucidità, ad

esempio comportamenti violenti ed aggressivi incon-trollati, spese eccessive, azzardate o comunque inop-portune, errori nello svolgere le abituali mansioni lavo-rative, scelte sbagliate, azioni illecite e violazioni delle re-gole tipiche della convivenza sociale. Sempre in acuto, la cocaina è anche in grado di peggio-rare le capacità di svolgere attività manuali in modo ade-guato e preciso, di comprendere e risolvere i problemi e dimettere in campo reazioni adeguate in risposta a situazio-ni critiche. Tutte queste alterazioni delle funzioni cognitive,possono essere osservate anche a distanza di oltre un mesedall’assunzione della sostanza e l’entità del deficit sembra esse-re direttamente proporzionale alla quantità di cocaina usata nel-l’arco dell’ultima settimana. In caso di utilizzo cronico, la cocainacomporta, invece, innanzitutto una serie di compromissioni acarico dell’attenzione, della memoria, dell’apprendimento,dei tempi di reazione e della flessibilità cognitiva, cioè dellacapacità di spostare a seconda delle necessità la “direzione”dei pensieri e delle azioni. Sempre in cronico, la cocaina in-terferisce negativamente anche sulle cosiddette funzioni ese-cutive, cioè su quell’insieme di attività che regolano nonsolo la capacità di pianificare , apprendere, controllare e va-lutare il proprio comportamento nella prospettiva del rag-giungimento di un determinato obiettivo, ma anche la strut-turazione del pensiero astratto. I deficit indotti dalla cocaina sul-la capacità di prendere decisioni sono reversibili, almeno entrocerti limiti di durata dell’esposizione: per questo motivo, la mes-sa in atto di interventi precoci finalizzati alla cessazione della as-sunzione rappresenta un passaggio fondamentale per consenti-re il recupero almeno di quelle funzioni cognitive che non sino sta-te già irrimediabilmente compromesse. Come la cocaina, anche le amfetamine inducono spessostati di disinibizione, disturbi dell’attenzione ed alterazioni deitempi abituali di reazione, tutti fenomeni, questi, che contribui-scono in maniera decisiva al gran numero di incidenti stradali

L

<<Tratto da “I Giovani e le Sostanze d’Abuso – nota per una scelta consapevole”,libretto informativo a cura del prof. Sacchetti, distribuito a tutti gli studenti degli IstitutiSuperiori di Brescia e provincia, nell’ambito del progetto “Assunzione di droghe: dannicollaterali”, volto a sensibilizzare i giovani sulle gravi conseguenze derivanti dall’assunzio-ne di droghe. Il progetto è stato realizzato dalla sede di Brescia, con la collaborazione delprof.E.Sacchetti,direttore della Clinica Psichiatrica dell’Università di Brescia e sotto il patro-cinio del Comune, della Provincia,dell’ASL e del Provveditorato agli Studi della città>>.

14

Emilio Sacchetti*

Uso di sostanze

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Page 15: Notiziario Fondazione Dicembre 2009

che caratterizza le cosiddette “stragi del sabato sera”. Inoltre,la metamfetamina ed altri derivati dell’amfetamina, sono in gra-do di provocare un’alterata percezione dei proprilimiti e, quindi, tutta la cascata di con-seguenze negative checonseguo-

n o aques to t i po d i

modificazione. In acuto, i variamfetaminosimili causano, inoltre, una visione distorta

della realtà, inducono un senso artificiale di energia ed euforia spes-so associato ad una modificazione della percezione del tempo edello spazio e determinano uno stato di eccitazione ed agitazio-ne. In cronico, invece, le varie amfetamine, provocano incapacitàa mantenere l’attenzione per periodi prolungati, compromettonol’apprendimento, alterano la velocità di ragionamento e peggiora-no la memoria sia verbale che di lavoro, cioè l’insieme di proces-si complessi rispettivamente deputati, nel primo caso alla capaci-tà di ricordare serie di parole o fatti che è alla base di qualsiasi at-tività socio lavorativa e, nel secondo caso, all’immagazzinamentodi informazioni di vario genere allo scopo di poterle utilizzare nellosvolgimento di un compito immediato. La gravità e la persistenzadelle alterazioni a carico delle funzioni esecutive provocate dai va-ri amfetaminosimili, dipendono largamente dall’intensità e dalladurata dell’uso e, in molti casi, i deficit rimangono evidenti anchemolti mesi dopo la cessazione dell’assunzione o, addirittura, si ri-velano del tutto irreversibili. A loro volta i cannabinoidi possono in acuto indurre nonsolo una riduzione dell’attenzione e della memoria a brevetermine, cioè della capacità di richiamare alla memoria fat-ti accaduti pochi minuti prima ma anche un peggioramen-to a carico della memoria di lavoro e delle funzioni esecu-

tive. I derivati della cannabis compromettono anche la velo-cità psicomotoria, la capacità di percepire in modo correttogli stimoli e la vigilanza. La diminuzione delle capacità di guidae, quindi, l’aumento del rischio di provocare incidenti automobi-listici, rappresentano solo una delle tante drammatiche conse-guenze che tutte queste alterazioni possono provocare nellavita quotidiana. Alcuni deficit dell’attenzione e della memoriaa breve termine possono persistere per giorni o addiritturaper settimane dopo l’ultima assunzione: per tale motivo ivari pericoli causati dai cannabinoidi si dilatano anche no-tevolmente nel tempo, in genere il numero di anni di uti-lizzo si correla con la gravità dei vari deficit.Per quanto riguarda gli allucinogeni, il loro prin-cipale effetto a breve termine è rappresentato dallacomparsa di fenomeni allucinatori, cioè di situazioninelle quali il consumatore “vede” immagini, “sen-te” suoni, o “avverte” sensazioni a carico de-gli altri apparati sensoriali ed attribuisce lorovalore di realtà anche se queste “percezioni”non esistono, cioè non sono mediate dagliorgani di senso. Le caratteristiche dei fenome-ni allucinatori, sono spesso imprevedibili, nonsolo perché fortemente influenzati dallo statopsicofisico della persona al momento dell’as-sunzione ma anche perché gli allucinogenipossono essere “tagliati”con elementi di-versi in grado a loro volta di indurre effettipiacevoli, il “Good trip” o insopportabili e

terrifici , il “Bad trip”. Anche se presi in piccole quan-tità, alcuni allucinogeni, ad esempio la Ketamina, possono, inol-

tre, ridurre i livelli di attenzione e determinare importanti deficit acarico della memoria. Nel lungo termine, si possono anche instau-rare una riduzione globale delle capacità intellettive, una incapacitàa pensare in modo razionale, una tendenza all’aggressività e la com-parsa di alterazioni a carico del linguaggio. Inoltre, risultano spessodrammatiche anche le sindromi d’astinenza da allucinogeni, adesempio quelle da fenciclidina e da Ketamina, nelle quali si puòdeterminare un quadro di grave amnesia persistente con grossola-na difficoltà di ragionamento che si può mantenere anche a di-stanza di un anno dalla sospensione della sostanza.Infine, l’uso di oppiacei si associa in acuto soprattutto ad unadiminuzione della velocità di pensiero e delle abilità moto-rie, oltre che ad un calo di prestazioni nelle prove di memoria ver-bale a breve termine. Più gravi e complesse sono le alterazioni in-dotte in cronico dai vari derivati dell’oppio: in questo caso, si haspesso un coinvolgimento delle funzioni esecutive, compresa laflessibilità mentale, della memoria visiva a breve termine, dellamemoria di lavoro spaziale e dell’attenzione selettiva, cioè dellacapacità di riuscire ad indirizzare l’attenzione verso uno stimoloignorando altri stimoli confondenti. Oltre a tutti questi deficit co-gnitivi in senso stretto, la dipendenza da oppiacei, eroina in par-ticolare, si caratterizza pressoché invariabilmente anche per undiminuito controllo dell’impulsività.

* Professore Ordinario di Psichiatria presso l’Universitàdegli Studi di Brescia e direttore del Dipartimento diSalute Mentale dell’Azienda Spedali Civili di Brescia

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Napoli

L'IDEA … si fa più chiara. Per ivolontari del Nucleo IDEA di Na-poli i mesi di giugno e luglio han-no segnato una tappa importan-te. In questo periodo, infatti, si èsvolta la prima fase dell'attesocorso di formazione per facilitato-ri e, per noi aspiranti, si è tratta-to di un'esperienza importante sindal primo incontro, durante il qua-le la presenza e le parole della co-ordinatrice nazionale della Fonda-zione, dottoressa Maria Mad-dalena Fiordiliso Grimaldi, han-no saputo infonderci coraggio e

determinazione. Proprio quello che ci occorreva perché, se tutte le forme di volontariato richiedono disponibilitàdi tempo e passione, per essere volontari di IDEA è necessaria una preparazione specifica, sia pratica che scien-tifica. Questa prima fase della nostra formazione si è articolata in quattro incontri, lezioni impegnative e approfon-dite che hanno preso in considerazionemolte patologie psichiatriche, le loro con-seguenze sul piano personale, familiare esociale ed i diversi tipi di intervento possi-bili; un percorso non facile per noi profa-ni! Ma la guida dei nostri relatori, i giovanie competenti medici dott. Fiorillo, dott.Perris, dott. Volpe e dott. Piegari, ai qua-li il prof. May ci ha affidati, ci ha fatti sen-tire a nostro agio, permettendoci di porredomande o raccontare esperienze senzaimbarazzo. Anche la gustosa pausa del buf-fet, molto apprezzata da tutti, si è svoltain una serena atmosfera conviviale. Que-sta esperienza, benché non ancora conclu-sa, ci ha sicuramente resi più consapevoli del ruolo che dovremo svolgere; conoscere più a fondo la sofferenza dichi telefona o si presenta al G.A.A. ci impegna a porci nei suoi confronti con empatia e sensibilità, ma anche conequilibrio e competenza, soppesando ogni parola, consci del fatto che, talvolta, rappresentiamo “l'ultima spiaggia”per naufraghi soli e disperati. Per questa importante occasione di crescita personale e sociale, oltre alla Fonda-

zione IDEA, vogliamo ringraziare i nostri amici e Coordi-natori di Napoli, Anna Tammaro e Peppe Manetti, checon la loro azione competente e discreta hanno resopossibile questa importante esperienza.

Lucia ParianteIDEA Napoli

Notizie dal Mondo

Dott.ssa Maria Maddalena Fiordiliso Grimaldi

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Roma

Mercoledì 27 maggio 2009, nel lasplendida sala della Protomoteca delCampidog l io , ha avuto luogo unConcerto per pianoforte a favore dellaFondazione Idea. L’iniziativa benefica,voluta da IDEA Roma, si è potutarealizzare grazie alla disponibilità della

eminente concertista Marcella Crudeli, cheancora una volta ha regalato a Idea la gioia diascoltare la sua musica. Alla bellezza dellamusica si è associato il piacere di una locationdi prestigio concessa dal Comune di Roma,come la sala della Protomoteca, che dall’alto delCampidoglio offre la vista mozzafiato del ForoRomano. Marcella Crudeli, considerata dallacritica internazionale uno dei più importantirappresentanti del concertismo italiano, direttrice

di conservatorio e insignita di alti titoli e premi di livello internazionale, ha voluto farsi accompagnare da unasua cara allieva, la giovane ed apprezzata concertista di talento Rosalba Vestini. Le due artiste hanno suonatoinsieme in una brillante esecuzione a quattro mani le Danze Ungheresi di Brahms e le Danze Slave di Dvorak,brani famosi, applauditi a lungo dal pubblico entusiasta che ha letteralmente gremito la sala.

Notizie dal Mondo

La concertista Marcella Crudeli e la sua allieva Rosalba Vestini

Roma

A Roma, dall’11 al 15 Ottobre, presso il Rome Marriott Park Hotel, si è

tenuto il XLV Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria

dal titolo <<La Psichiatria Moderna ed il “Mondo Reale”: molteplicità,

integrazione, eclettismo>>.

Il Congresso ha affrontato le complesse problematiche del rapporto

esistente fra psichiatria e mondo reale, i pregiudizi e lo stigma che

tuttora esistono sia verso il malato di disturbi psichici, sia verso lo stesso

medico psichiatra.

Molteplici gli aspetti del mondo reale analizzati durante gli incontri, fra

questi, ad esempio, la famiglia, l’ambiente, le diverse fasi della vita,

l’influenza dei mass media, le comorbilità con altre patologie mediche,

l’effectiveness delle terapie, le sfide dell’etica in continuo cambiamento.

Si è poi cercato di valutare l’influenza di tutti questi fattori sulla vita

quotidiana dei pazienti, sul decorso dei loro disturbi e sulla scelta dei

trattamenti di cura.

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Page 18: Notiziario Fondazione Dicembre 2009

Salerno

Sabato 8 Maggio si è tenuto a Salerno, presso l’Ordine dei Me-dici e degli Odontoiatri della provincia di Salerno, un Convegno dal

titolo “Donna e Depressione”. L’evento, organizzato dalla prof.ssa Simona Ca-pezzuto Petronella, Presidente di Inner Wheel Salerno Est, ha visto, accanto ad

altri relatori, la presenza del prof. Antonio Tun-do, direttore del Dipartimento di Psicopatologiadi Roma e membro del Comitato Scientifico diIDEA. Il Convegno ha trattato il tema della depres-sione con particolare riferimento alla figura fem-minile, analizzando i motivi per i quali le donnene sono principalmente colpite. La dott.a Chia-ra Colavito, responsabile di IDEA Roma, ha te-nuto un intervento conclusivo sull’importanzadei gruppi di auto aiuto. Presenti all’occasioneanche la dott.a Roberta Necci, responsabiledell’Auto Aiuto Nazionale, la dott.a Maria Mad-dalena Fiordiliso Grimaldi, responsabile della

sede di Bologna ed il sig. Peppe Manetti, responsabile di IDEA Napoli.

Prof. Antonio Tundo

Notizie dal Mondo

Bologna

Concha Baras danza per Idea. Sabato 17 ottobre, lag r a n d e S c u o l a s p a g n o l a d i F l a m e n c o d i S a nFernando, rappresentata dalla straordinaria ConchaBaras e Daniel Saltares, ha regalato una notte di fuo-co al la nostra Fondazione, nel le suggestive sale diPalazzo Leoni, messe gentilmente a disposizione dalReale Collegio di Spagna.La serata, organizzata da Maria Cañedo Valdecasas eda Maghida Fiordiliso Grimaldi, è stata anche un’oc-casione per riflettere sullo stretto legame tra il benes-s e r e d e lc o r p o equello del-l a mente .Gli psichia-tri presen-

ti all’occasione hanno, infatti, sottolineato l’importan-za della musica e della danza come vera e propria te-rapia di supporto ai disturbi dell’umore. La serata siè conclusa attorno ad un ricco “Buffet di Mezzanotte”i n n a f f i a t o d a s a n g r i a e d a v i n i d i E S P A Ñ A .

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Volontarie di IDEA Bologna

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Lavori in corso

IDEA Bologna

In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, allestimento di un punto IDEA presso

l’Ospedale Maggiore per la distribuzione di materiale informativo (10 Ottobre ‘09)

Flamenco a Palazzo, spettacolo di beneficenza e buffet di mezzanotte (17 Ottobre ‘09)

IDEA sotto i portici – Punto IDEA nel centro storico della città organizzato dai volontari e con la

presenza dei partecipanti ai Gruppi di Auto Aiuto (Autunno e Inverno 2009 - 2010)

IDEA Brescia

Ciclo di incontri sul tema “Diagnosi e terapie dei disturbi dell’umore”, che si terranno presso la

sede (dal 10 Novembre al 15 Dicembre ’09)

Progetto “Assunzione di droghe: danni collaterali”, presso alcune Scuole Medie Inferiori del-

la città per sensibilizzare anche i più giovani sulle gravi conseguenze che derivano dall’assunzio-

ne di sostanze. (Anno Accademico 2009 – 2010)

IDEA Milano

Conferenza dal titolo “Riconoscere i sintomi della depressione. Cosa fare per curarsi” tenuta

dalla dott.a Elena Di Nasso presso il Consiglio di zona 4 (6 Ottobre ’09 alle ore 17:30).

IDEA Genova

Serata di beneficenza a favore di IDEA Genova presso Palazzo Ponzone (21 Novembre 2009)

In occasione dell’inaugurazione dell’Anno Sociale, serata presso l’Auditorium del Teatro Carlo

Felice (Data e programma da stabilirsi)

Corso di formazione per volontari della risposta telefonica (date da stabilirsi)

IDEA Roma

Partecipazione al Convegno “Le donne del Mondo a Roma”, organizzato dall’ On. Gilberto

Casciani e con la partecipazione del Sindaco Alemanno (Ergife Palace Hotel – 26 Settembre 2009)

IDEA Trieste

Conferenza “Invecchiare non è difficile, basta sapere come” in collaborazione con l’Associazione

per i Diritti degli Anziani (25 Settembre ‘09)

IDEA Informa (presso Stazione Rogers – 27 Ottobre ’09)

Corso di formazione per volontari e facilitatori di G.A.A. (dal 12 al 15 Novembre 2009)

Progetto Scuola, in collaborazione con gli Istituti Oberdan e Dante (date da stabilirsi)

Progetto “Musica e Depressione” (date da stabilirsi)

informazioni sulle prossime iniziative dei nuclei locali

per maggiori informazioni consultare il sito “www.fondazioneidea.it” cliccando su “NUCLEI LOCALI di IDEA”

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IDEA Bologna • Via Barberia 18 - 40123 Bologna

IDEA Brescia • Via Cimabue 16 - 25134 Brescia

IDEA Genova • Via San Luca 15/5 - 16124 Genova

IDEA Napoli • V.le Cavalleggeri d’Aosta 119 - 80124 Napoli

IDEA Roma

IDEA Trieste • Via Don Minzoni 5 - 34124 Trieste

“IDEArisponde…”IDEArisponde: un servizio al paziente e alla sua famiglia. Un gruppo di volontari, che hanno seguito un apposito corso di formazione, risponde

alle telefonate dei pazienti e dei loro familiari per dare ascolto, conforto, consiglio, informazioni. Segreteria e servizioIDEArisponde:

Milano (Dal Lunedì al Venerdì ore 9-18) 02 80.58.18.66 - 65 / [email protected] (Dal Lunedì al Venerdì ore 15.30-19.30) 06 48.55.83 / [email protected]

Bologna (Dal Lun. al Mer. 16-19, Giov. e Ven. 10-13) 051 64.47.124 / [email protected] (Lun., Merc., Giov. 16-18 e Mart. 10-12) 010 24.76.402 / [email protected] (Lun. e Giov. 10-12, Mart. 16-18, Merc. 15-16, Ven.17-18) 040 31.43.68 [email protected]

Brescia (Martedì e Giovedì 15-18) 030 23.00.196Napoli (Martedì e Giovedì 18-19) 081 57.84.622 / [email protected]

Numero verde NAZIONALE 800 538 438 (Dal Lunedì al Venerdì ore 10-19)Numero verde Lombardia S.O.S. DEPRESSIONE 800 122 907

Sede: Via Cornaggia 9 - 20123 Milano - Tel. 02 72.09.45.60 - Fax 02 80.58.18.67 http://www.fondazioneidea.it - e-mail: [email protected]

I D E AN O T I Z I E

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Grazie per l’aiuto e Buon Natale a tutti!

• Via Cavour 258 - 00184 Roma (ingresso)• Via Frangipane 38 - 00184 Roma (ind. postale)

Direttore responsabileRoberto Bianchin

Comitato di redazioneAntonio Tundo, Paolo Cioni, Enrico Poli

Coordinamento grafico/editorialeZAP srl - Roma

PresidenteSergio Camerino

TesoriereCarla Ceppi

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