Note Critiche Sul Bordighismo

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1 Note critiche sul bordighismo Contributi per una discussione da proseguire I parte Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve , apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in nove parti. Alla parte successiva 1. Questo breve resto critico dedicato al bordighismo è il terzo ed ultimo di un sommario "trittico" le cui prime due parti sono state consacrate al trotzkismo ed al maoismo . In tutti e tre questi contributi la parte storica è stata ridotta al minimo, e questo non certo per disprezzo verso la conoscenza storica, che è anzi preliminare ed irrinunciabile, ma perché si è voluto espressamente concentrare l'attenzione sulla teoria, nel doppio senso dei presupposti epistemologici, impliciti ed espliciti, e sulla conseguente ricaduta ideologica, la sola visibile a livello di identità, appartenenza ed organizzazione militante. Chi si ferma al solo livello delle manifestazioni ideologiche di appartenenza (e cioè il 90% degli storici detti erroneamente "marxisti ") assomiglia all'antropologo che, riscontrando che la tale tribù primitiva crede che un coccodrillo sacro determini le sorti del mondo, finisce con il credere veramente che un coccodrillo sacro determini effettivamente le sorti del mondo. Ho voluto evitare per quanto ho potuto questo coccodrillocentrismo. Nello stesso tempo, è bene ricordare

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Note critiche sul bordighismo

Contributi per una discussione da proseguire 

I parte

 

Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in nove parti. 

Alla parte successiva

1. Questo breve resto critico dedicato al bordighismo è il terzo ed ultimo di un sommario "trittico" le cui prime due parti sono state consacrate al trotzkismo ed al maoismo. In tutti e tre questi contributi la parte storica è stata ridotta al minimo, e questo non certo per disprezzo verso la conoscenza storica, che è anzi preliminare ed irrinunciabile, ma perché si è voluto espressamente concentrare l'attenzione sulla teoria, nel doppio senso dei presupposti epistemologici, impliciti ed espliciti, e sulla conseguente ricaduta ideologica, la sola visibile a livello di identità, appartenenza ed organizzazione militante. Chi si ferma al solo livello delle manifestazioni ideologiche di appartenenza (e cioè il 90% degli storici detti erroneamente "marxisti") assomiglia all'antropologo che, riscontrando che la tale tribù primitiva crede che un coccodrillo sacro determini le sorti del mondo, finisce con il credere veramente che un coccodrillo sacro determini effettivamente le sorti del mondo.

Ho voluto evitare per quanto ho potuto questo coccodrillocentrismo. Nello stesso tempo, è bene ricordare che il mio giudizio su questi tre fenomeni storico-ideologici non è lo stesso, è molto differenziato, e non deve pertanto essere annegato in un solo calderone.

A proposito del maoismo, indipendentemente dalla sua importanza cruciale nella storia della Cina, ritengo che si sia trattato del tentativo teorico più serio di riforma radicale del modello complessivo del comunismo storico novecentesco. Il maoismo è infatti giunto a due conclusioni imprescindibili ed irreversibili, la concezione multilineare e non unilineare ed eurocentrica dello sviluppo storico mondiale, ed

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infine la comprensione del fatto che un partito comunista che "cambia di colore" diventa un elemento organico e strutturale della gestione politica del capitalismo più totale. A mio avviso, e non l'ho per niente nascosto nel mio contributo, si tratta di due condizioni necessarie ma non sufficienti, e cioè solo del 50% del problema complessivo, che richiede soluzioni teoriche molto più radicali e "discontinuiste" rispetto alla tradizione marxista novecentesca (dall'autonomia della conoscenza filosofica dall'ideologia al riconoscimento della funzione non-rivoluzionaria strategica della classe operaia di fabbrica, eccetera).

A proposito del trotzkismo, indipendentemente dal sincero coraggio e dalla autentica devozione rivoluzionaria del suo fondatore e di moltissimi dei suoi dirigenti e militanti (che non ho mai messo in discussione), si tratta a mio avviso di una teoria di "media portata" (middle-range theory), una teoria che si ferma a metà strada, perché intende criticare globalmente lo stalinismo vincitore con un apparato categoriale secondinternazionalista "di sinistra" che non può veramente cogliere la dinamica (che invece il maoismo coglie molto meglio, sia pure anch'esso in modo parziale).

Il bordighismo, invece, è tutta un'altra faccenda. Le sue ragioni di interesse stanno altrove. Vediamo.

2. Le ragioni che rendono interessante il bordighismo, nonostante la sua estrema modestia storica e numerica, e che ne fanno un oggetto veramente meritevole di riflessione spregiudicata, stanno in ciò, che il bordighismo rappresenta nel modo più puro e perfetto, ed a mio avviso insuperabile, una forma di settarismo estremo integralmente autoreferenziale, pienamente "sferico" nel suo non avere nessuna fessura critica possibile. Questo fondamentalismo marxista "sferico", che come vedremo più avanti è sorto del tutto indipendentemente dal pensiero di Marx, perché ha la sua genesi teorica nella radicalizzazione di un paradigma meccanicistico e crollistico completamente interno alle correnti di sinistra della Seconda Internazionale (1889-1914), rappresenta potenzialmente una possibilità di esistenza per ogni posizione marxista radicale. Per questo, ed a mio avviso quasi solo per questo, il bordighismo è interessante. Esso porta alle estreme conseguenze una possibilità evolutiva che riguarda tutti i marxisti. I marxisti possono essere infatti talmente scoraggiati dalla realtà effettuale delle cose, che generalmente manifesta le più oscene e pittoresche vittorie storiche del capitalismo in tutte le sue varianti (da quelle hard neoliberiste a quelle soft keynesiane e socialdemocratiche), da essere tentati da due sbocchi apparentemente opposti ma complementari. Da un lato,

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l'abiura per stanchezza ed opportunismo ed il cambiamento di campo con vari travestimenti e con diverse strategie retoriche di razionalizzazione ex post. Dall'altro, la chiusura autoreferenziale ed autistica in un universo parallelo che rotola a fianco di quello reale senza interferire mai con esso, ma semplicemente mimandolo in un gioco di specchi e di ombre. Studiare e riflettere sul bordighismo è allora interessante. Il bordighismo non è infatti un affare di "scemi". Bordiga era uno degli intellettuali italiani meno scemi del Novecento, infinitamente meno "scemo" della stragrande maggioranza degli intellettuali conformisti e creduloni del vecchio PCI 1945-1991. Voglio insistere sul fatto che il bordighismo non è una tentazione degli scemi, ma di persone spesso coraggiose ed intelligenti che ragionano però con schemi meccanicistici tratti da una superata concezione ottocentesca della scienza fisica (e tuttavia ancora dominante), schemi che essi pensano di poter applicare alle scienze sociali e più in generale al processo storico complessivo. È questo il punto essenziale che il lettore non deve mai perdere di vista.

3. In questo contributo seguirò uno schema espositivo il più possibile chiaro. Primo, darò alcune minime informazioni bibliografiche e storiche su Amadeo Bordiga e sul bordighismo politico, accennando ovviamente anche ad Antonio Gramsci, alla fondazione del Partito Comunista d'Italia nel 1921 ed alle sue lotte politiche interne fra il 1921 ed il 1926. Non sarà però questo in nessun modo il centro del contributo. Secondo, segnalando la vera e propria genesi del "bordighismo" (che a mio avviso non è nel 1926, nonostante la prosecuzione della militanza della sinistra comunista fra il 1926 ed il 1945, soprattutto in Francia, ma dopo il 1945), ne discuterò cinque elementi teorici basilari: il fondamentalismo marxista e la trasformazione del marxismo in dottrina metafisica rigorosa, l'applicazione del modello fisico al mondo sociale, la negazione dell'individuo (contro l'esplicita e da me citata posizione inequivocabile di Marx), la teoria delle classi e l'esclusivismo operaio e proletario (con negazione rigorosa della teoria leniniana della strategia delle alleanze di classe e della tattica del fronte unito) ed infine, quinto ed ultimo punto, la concezione catastrofistica e crollistica delle crisi capitalistiche. Con questa riduzione a cinque punti si "tagliano fuori" certamente molti aspetti importanti, e non mi sogno affatto di negarlo. Ma è inutile inseguire sogni di completezza in un breve contributo teorico. Meglio che venga messo a fuoco magari poco, ma quel poco sia almeno evidenziato, piuttosto che fare una sorta di defatigante ed inutile elenco di temi.

4. Il reperimento bibliografico delle fonti del bordighismo è reso difficile da molti fattori. Dal 1945 Amadeo Bordiga scrisse senza

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fermarsi mai, con il doppio (e doppiamente specioso) argomento per cui bisognava scoraggiare il narcisismo individualistico delle prime donne vanitose e per cui comunque la vera dottrina marxista, una volta consegnata ai posteri dai suoi tre fondatori (Marx, Engels e Lenin) era comunque immutabile ed anonima come le scienze naturali. La cosa è buffa, perché Bordiga è uno dei prosatori più espressivi e riconoscibili dell'intera letteratura italiana del Novecento, con il suo inimitabile "stile misto" di dialetto napoletano, lessico da ingegnere e linguaggio politico marxista, e pur non firmandosi resta riconoscibilissimo. Ma sul suo "anonimato" torneremo più avanti, perché si tratta di un sintomo filosofico fondamentale.

In Italia i movimenti politici di ispirazione bordighista possono essere classificati secondo il metodo buddista della divisione fra Piccolo Veicolo (o buddismo stretto) e Grande Veicolo (o buddismo largo). Il "bordighismo stretto", quello legato direttamente ad Amadeo Bordiga, fece riferimento al giornale Programma Comunista ed al Partito Comunista Internazionalista (con scissioni successive, Battaglia Comunista, Rivoluzione Comunista, eccetera). In senso più ampio, c'è però anche un "bordighismo largo", non direttamente risalente a Bordiga, come quello del notevole gruppo Lotta Comunista di Arrigo Cervetto, gruppo che ha ormai cinquant'anni di età e che potrebbe anche durare altri mille anni, dal momento che rotola in modo perfettamente sferico sulla superficie del mondo, traducendo in linguaggio "proletario" gli studi sulle fusioni capitalistiche originariamente scritte in linguaggio "borghese" sui giornali economici del grande capitale. Personalmente, sono un saltuario ma fedele lettore di queste analisi di Lotta Comunista che ha il pregio di essere mensile, di costare meno del Sole-24 Ore e di ricordarmi cose intelligenti dette a suo tempo da Marx, Engels e Lenin.

Tuttavia, questo contributo non è dedicato al bordighismo politico, ma al paradigma teorico bordighista. In ogni caso, bisogna avere prima qualche informazione storica e biografica. Importanti sono i volumi della Storia della Sinistra Comunista, in una ormai introvabile edizione di Programma Comunista. Ci sono i documenti originali del periodo storico della formazione del Partito Comunista nel 1921. Fondamentali sono anche le analisi di Bordiga sull'URSS, come Struttura economica e sociale della Russia di oggi, e specialmente i due capolavori polemici Dialogato coi morti e Dialogato con Stalin. Tutta roba scritta da Bordiga, travestito da Anonimo Napoletano. Le cose più interessanti di Bordiga sono però disperse qua e là in deplorevole situazione di clandestinità. Vi sono le sue analisi si Auschwitz e sull'ipocrisia occidentale che lasciò gli ebrei al loro destino quando poteva salvarne molti. Notevoli le sue analisi da ingegnere sul

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naufragio del transatlantico italiano "Andrea Doria" e su come i capitalisti risparmiano sulle opere strutturali per privilegiare i saloni di lusso ed altre menate. Anticipatrici le sue analisi sui disastri ecologici del capitalismo, scritte in modo premonitorio quando i futuri "verdi" facevano ancora la pipì nella culla. Insomma, non si consiglierà mai abbastanza di leggere Bordiga, il cui stile riesce ad unire creativamente due altri napoletani illustri, Benedetto Croce e Totò, con lontane ascendenze da Giambattista Vico.

Per chi si accontenta e vuole cominciare, consiglio la troppo concisa antologia di A. Bordiga, Scritti scelti (a cura di F. Livorsi), Feltrinelli, Milano 1975, e la monografia di F. Livorsi, Amadeo Bordiga, Editori Riuniti, Roma 1976. Livorsi scrive quando sembrava che quella che lui chiamava "la tradizione gramsciana-togliattiana" stesse vincendo alla grande sull'onda di milioni di voti, e quando si poteva pensare di liquidare (cioè di "storicizzare") tutte le esperienze minoritarie come vicoli ciechi della storia. Da Paolo Spriano al nostro Livorsi quelle gigantesche falangi universitarie di intellettuali di area PCI, convinte di nuotare nella grande corrente vincente della storia, non potevano neppure immaginare (anche per la loro storica carenza di fantasia) che il loro crollo sarebbe stato mille volte più patetico e grottesco di quanto poteva esserlo il minoritarismo dei gruppetti bordighisti, trotzkisti, maoisti e anarchici. Alla luce e dal punto di vista del partito di Berlinguer, ideologicamente avallato con i ritratti di Gramsci, è assolutamente impossibile capire qualcosa del bordighismo. Ed infatti a mio avviso il pur volenteroso e diligente Livorsi non capisce pressoché niente, anche se val la pena leggerlo lo stesso, perché dà moltissime utili informazioni.

Il testo bordighista più completo ed esauriente per studiare la concezione di Bordiga del socialismo sovietico è quello, a mio avviso tuttora insuperato, di Liliana Grilli, Amadeo Bordiga: capitalismo sovietico e comunismo, Edizioni La Pietra, Milano 1982. Essendo totalmente bordighista, la Grilli non prende le distanze dal suo oggetto di studio, in quanto ci si identifica completamente. Ma almeno capisce di che cosa sta parlando, e pertanto merita andare a ripescare questo ottimo testo dimenticato, che vola comunque mille miglia sopra la testa di Spriano, Livorsi, Pajetta, Occhetto, D'Alema e del loro pletorico accompagnamento militante ed universitario.

5. Amadeo Bordiga (1889-1970), ingegnere napoletano, primo segretario del Partito Comunista d'Italia nel 1921, poi sostituito da Antonio Gramsci a partire dal 1924, ritiratosi a vita privata ai tempi del fascismo dopo il 1929, ed infine dopo il 1943 fondatore e capo carismatico del cosiddetto "bordighismo" (dai bordighisti ovviamente

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mai definito così), attivo fino alla morte avvenuta nel 1970, è stato un uomo di grande valore, di alta moralità, di convinzioni salde. Dico questo del tutto indipendentemente dall'accordo con quanto ha sostenuto, accordo che nel mio caso è pressoché inesistente. Ma il giudizio morale ed intellettuale su di una personalità non deve mai basarsi, a mio avviso, sull'accordo o il disaccordo teorico, ma deve fondarsi su altri parametri, che sono poi sostanzialmente due: il rigore morale e l'originalità intellettuale. E qui Bordiga vola sopra le nostre teste. Confrontiamolo soltanto con il pulcino d'allevamento togliattianoMassimo D'Alema, che ancora giovanissimo espelle nel 1969 per semplici ragioni d'opinione il gruppo de Il Manifesto e nel 1999, dopo trent'anni malvissuti, bombarda con uranio impoverito la vicina Jugoslavia sulla base dell'invenzione (smentita in tutti i modi dagli osservatori dell'OCSE presenti in forze in Kosovo) di un presunto ed inesistente "genocidio" e di una presunta ed inesistente "espulsione etnica". Abissi di moralità separano questi tipi umani. So bene che oggi è troppo presto perché questo venga riconosciuto, ma in generale in queste cose il tempo è galantuomo, il polverone mediatico prima o poi si deposita, i sicofanti mentitori prima o poi si strozzano con il denaro ingurgitato, e la prospettiva storica fa vedere meglio le cose.

Quando scoppia la guerra del 1914 i confusionari dell'epoca, cioè i cosiddetti "interventisti democratici" (nonni parzialmente giustificati, ma egualmente idioti, dei loro nipotini "bombardatori umanitari") gridano per la guerra all'Austria come coronamento delRisorgimento, ignari della differenza storica fra guerre di liberazione nazionale e guerre imperialistiche per la spartizione dei mercati. Persino Antonio Gramsci "sbanda" per qualche mese, anche perché il repentino voltafaccia del socialista Benito Mussolini, pur consumatosi in pochi mesi con barcate di franchi francesi coadiuvanti, non è affatto un fulmine a ciel sereno, ma viene da una tradizionale ignoranza italiana sui problemi internazionali. Ma Bordiga non ci casca neppure per un minuto. È da subito contro la guerra, e da subito auspica il vero e proprio boicottaggio della guerra stessa. È passato quasi un secolo, ma fa ancora piacere vedere un uomo intelligente che ha capito come gira il mondo in mezzo a masse di idioti e di confusionari "di sinistra".

Dal 1917 al 1921 si apre la corsa per fondare il partito comunista, nel caso non si possano trasformare semplicemente i socialisti in comunisti (cosa in Italia rivelatasi impossibile). Ai blocchi di partenza ci sono molti gruppi e molte personalità, fra cui spiccano due formazioni fra le altre, il gruppo torinese Ordine Nuovo di Antonio Gramsci ed il gruppo napoletano Il Soviet di Amadeo Bordiga. Quando

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nel gennaio 1921 a Livorno si giunge alla formazione del nuovo partito comunista, Amadeo Bordiga ne diventa il primo segretario.

6. Le polemiche del tempo fra i "partitisti immediati" di Bordiga e gli "operaisti gestionali" di Gramsci hanno ormai solo più un interesse storico, ma sul piano teorico non ci dicono più niente. Partitocentrici e fabbricocentrici erano ovviamente solo due metà del guscio di un solo uovo. La questione è a mio avviso molto meglio impostata in un libro in lingua tedesca pubblicato nel 1991 da Georg Fülberth, in cui si fa una convincente periodizzazione in quattro successivi momenti delle forme organizzative rivolte all'abbattimento del capitalismo. La prima forma (1810-1880) furono le società di propaganda sorte durante la rivoluzione industriale. La seconda (1880-1914) furono i partiti socialdemocratici di massa ad ideologia radicale. La terza (1917-1926 circa) furono gli eserciti politici rivolti a suscitare ed a vincere una guerra civile fra le classi. La quarta ed ultima (1926-1991) furono i partiti basati sulla contrapposizione fra due sistemi economici e sociali contrapposti. Secondo Fülberth (ed io sono d'accordo con lui) proseguire oggi come se niente fosse successo il tipo d'organizzazione della quarta fase storica è del tutto privo di prospettiva. Naturalmente, neppure Fülberth sa che cosa fare. Il lettore può stare sicuro che se lo sapessi non perderei tempo con le esegesi di Lukácse di Althusser e lo direi subito con abbondanza di dettagli. Ma il problema non sono io, che non faccio finta di saperlo, ma quelli che si muovono come tarantolati sulle tribune urlando che loro lo sanno, e basta andargli dietro, mentre intanto accumulano pensioni principesche alla faccia dei peraltro sempre meno numerosi veri credenti.

7. Se Gramsci diventa segretario nel 1924, e Bordiga passa all'opposizione "di sinistra", ciò avviene soltanto perché lo decide la direzione dell'Internazionale Comunista di Zinoviev, che poi a suo tempo Stalin fece fucilare dopo una farsa di processo. Quando sembrava che il PCI sarebbe diventato il Moderno Principe della Prima Repubblica, e Paolo Spriano ne scriveva la storia sacra, il passaggio da Bordiga a Gramsci era ritualizzato come il passaggio dall'estremismo infantile perdente al moderatismo unitario vincente. Oggi sappiamo che estremisti e moderati sono stati sconfitti insieme, ma siccome gli estremisti erano il 5%, ed i moderati erano il 95% (parlo ovviamente a livello politico, parlamentare ed elettorale), solo un ipocrita potrebbe parlare di eguali responsabilità storiche.

Incarcerato nel 1926, Gramsci scrive in carcere i suoi Quaderni, discutibili finché si vuole, ma anche profondi ed intelligenti. Per chi proprio non ne sa niente, consiglio per cominciare la bella antologia A.

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Gramsci, Filosofia e politica, La Nuova Italia, Firenze 1997. Ne viene fuori un pensatore di tutto rispetto. Altri tempi.

8. Espulso dal partito comunista, convinto che Stalin stesse soltanto costruendo un capitalismo burocratico di stato e pertanto non dovesse essere appoggiato, Amadeo Bordiga dal 1929 al 1939 non fa alcuna attività politica antifascista in Italia e dal 1939 al 1945 si dichiara "neutrale" fra i due blocchi in guerra, rifiutando di appoggiare gli "antifascisti" (USA, Inghilterra ed URSS) contro i "fascisti" (Germania, Italia e Giappone). Dal momento che il rilancio del comunismo europeo dopo il 1941 passa in modo pressoché esclusivo attraverso l'antifascismo combattente e partigiano, si ha qui la spiegazione del perché il bordighismo dopo il 1945 resterà un fenomeno marginale. Dopo il 1945 un comunismo non antifascista sarà una specie di assurdità storica e culturale.

La questione del giudizio sulla scelta di Bordiga e dei suoi seguaci di separare il comunismo dall'antifascismo, giudicato una trappola interclassista affossatrice della spirito rivoluzionario del protocomunismo leninista 1917-1924 non può essere evitata. Ed io infatti non la eviterò, e dirò la mia opinione in due punti sintetici.

In primo luogo, personalmente ritengo che l'antifascismo negli anni Trenta fosse assolutamente corretto, giusto ed obbligato per un comunista, ed infatti non solo gli staliniani, ma anche i trotzkisti ed i socialisti di sinistra furono antifascisti. L'antisemitismo in Germania ed il colonialismo fascista in Africa erano intollerabili, inescusabili e non giustificabili con la scusa che anche gli altri facevano porcate coloniali. Non dimentichiamoci la Spagna del 1936. Ma non dimentichiamo soprattutto l'aggressione all'Etiopia del 1935, che non è più considerata una vergogna nell'attuale clima di riscrittura della storia, dove sembra che l'unico crimine inescusabile del fascismo siano state le leggi antisemite del 1938, che furono certo un crimine, ma non l'unico, e neppure il principale (in proposito, 250.000 morti etiopici furono a mio avviso il crimine principale e soverchiante). Dunque il bordighismo ha avuto torto. Ed ha avuto torto, fra l'altro, proprio per il suo classismo metafisico, in cui la contraddizione capitale/lavoro salariato è vista come la sola e l'unica degna di rilievo. Se la centralità della teoria del valore-lavoro è vista come il nucleo metafisico espressivo dell'intero mondo dotato di significato e di giudizio etico-politico, non possiamo stupirci che poi si possano tirare certe conseguenze.

In secondo luogo, non bisogna dimenticare che il bordighismo non fu mai un fenomeno di collaborazionismo attivo con il nazifascismo, non

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andò mai a rastrellare gli ebrei ed i partigiani, e si limitò a sostenere l'estraneità degli interessi proletari alla lotta. Fu un errore, ma a mio avviso non fu un crimine. Mi rendo conto che nel clima surriscaldato del 1945 questo non potesse essere oggetto di pacata valutazione, ma oggi possiamo e dobbiamo ragionare in modo più ampio. Quando Bordiga sosteneva che il blocco capitalista più forte guidato dagli USA aveva vinto contro il blocco capitalista più debole guidato dalla Germania, e pertanto il capitalismo come sistema mondiale era più forte nel 1945 che nel 1939, egli sottovalutava certamente la forza delle rivoluzioni anticoloniali del trentennio 1945-1975, ma diceva una cosa sostanzialmente esatta. E quando notava che coloro che avevano bombardato Hiroshima e Dresda nel 1945 non erano meno criminali degli altri, aveva anche su questo punto sostanzialmente ragione.

Fino al 1991 di certe cose non si poteva neppure parlare senza suscitare brontolii d'ira e di disapprovazione. So bene che enormi apparati ideologici della sinistra politicamente corretta cercano di perpetuare questo clima, con una semplice sostituzione di Mussolini con Berlusconi. Ma oggi il "fascismo", se vogliamo così chiamarlo, sono solo Sharon e Bush, e chi continua ad intrattenere guerre civili simboliche simulate finite da tempo lavora di fatto, lo voglia o no, per Sharon e per Bush. Personalmente, ritengo che lo faccia anche volutamente, in malafede e con malizia.

9. Ed ora, ricordato doverosamente il contenzioso storico, passiamo finalmente a parlare della sola cosa veramente interessante, e cioè del bordighismo come fenomeno teorico, e come modello puro ed inarrivabile di metafisica meccanicistica che si autointerpreta con falsa coscienza necessaria come l'unico marxismo ortodosso del mondo. Esamineremo ad uno ad uno alcuni dei punti principali.

10. Il bordighismo è una forma pressoché perfetta di integralismo marxista. Ho preferito il termine "integralista" al termine "fondamentalista" per una ragione ben precisa. I "fondamenti" che il bordighismo attribuisce al marxismo non sono assolutamente quelli esatti, e ad esempio non sospetta neppure che per Marx il soggetto rivoluzionario trans-modale non è assolutamente la classe operaia di fabbrica, ma è il lavoratore collettivo cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all'ultimo manovale. Se il bordighismo lo sapesse (ma per sua fortuna non lo saprà mai, perché non legge mai i commenti marxologici degli eretici, degli apostati e degli scismatici piccolo-borghesi) ne sarebbe certo orripilato, perché scoprirebbe un Marx interclassista insospettato. Il bordighismo è invece "integralista", nel senso dell'integralismo biblico dei predicatori protestanti americani alla Jerry Falwell, quei cialtroni assassini che odiano tutte le

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altre religioni del mondo (con l'eccezione del sionismo). L'integralismo accetta tutte le citazioni dei tre sacri autori di riferimento (Marx, Engels e Lenin), indipendentemente dalla data di "emissione" (per cui Marx ha sempre ragione in tutto quello che dice dal 1839 al 1883). I tre autori di riferimento sono fusi insieme in una sorta di Blocco Sacro (BS). Il Blocco Sacro è perfettamente sferico e rotondo, e non sono permesse maliziose interpretazioni critiche che lavorino su differenze e divergenze implicite o esplicite. Dunque, non c'è nessuna differenza fra il Marx giovane ed il Marx maturo, come opina la scuola di Althusser, e neppure nessuna divergenza implicita fra Marx ed Engels, come ha sempre opinato il marxismo occidentale (giovane Lukács, eccetera).

Tutto questo è molto religioso. In effetti, se Gesù di Nazareth è il figlio di Dio, e Maometto è l'inviato terreno di Allah ed il sigillo dei profeti, non ha senso considerare quello che hanno detto a venti anni e quello che hanno detto a trenta come un processo popperiano di autocorrezione anche radicale. L'autocorrezione è tipica solo degli esseri umani di ascendenza piccolo-borghese, luogo della tentazione narcisistica dell'individualismo. Ed è allora del rifiuto (apparente) del bordighismo per l'individualismo che vale la pena di parlare.

11. Il bordighismo ha spinto il suo rifiuto dell'individuo al punto di praticare l'anonimato dei suoi scritti biblico-marxisti di riferimento. Se leggiamo il Bordiga dopo il 1945, il suo stile (che ho definito poco sopra una sintesi inimitabile di Croce e di Totò) è inimitabile, ma il testo è rigorosamente anonimo. Il bordighista si alza in pubblico, ma non è la sua miserabile identità piccolo-borghese che parla. È la grande ombra della trimurti del Blocco Sacro che parla in lui. Nonostante il mio maligno stile piccolo-borghese possa farlo sembrare, non ho nessuna intenzione di fare del facile umorismo a buon mercato su questa modalità che definirei di "ispirazione positivistica", perché è per metà magica (il Blocco Sacro continua a parlare in noi) e per metà ultrascientifica (è inutile firmare con nome e cognome ciò che è oggettivo). Su questo è necessario condurre alcuni ordini di ragionamento.

12. La prima ragione di questo anonimato è naturalmente la mentalità matematica ed ingegneristica di Bordiga, ben comprensibile dal suo punto di vista. In effetti, se scrivessi la seguente frase "12 + 12 = 24, firmato: Costanzo Preve", il lettore ne trarrebbe una sensazione di straniamento e di comicità. Si firmano le opinioni discutibili, in modo da consentire all'interlocutore di rivolgersi polemicamente a chi le ha enunciate, ma non si firmano operazioni aritmetiche. Se per caso sono

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sbagliate, le si corregge anonimamente, senza bisogno di entrare in narcisistiche polemiche personali.

È evidente, ma in questo modo non si coglie il centro della questione. E non si può cogliere, perché come tutti i positivisti Bordiga non sospetta neppure la differenza fra esattezza, certezza e verità, e del fatto che il marxismo, se vuole recuperare la sua dimensione veritativa, non può ridurre i suoi accertamenti ad esattezza ed a certezza.

Spieghiamoci meglio, anche se ovviamente il tema merita ben altra analisi critica, che faremo altrove con l'ampiezza necessaria. Che 2 + 2 faccia 4 non è né certo né vero, ma è solo esatto. È esatto che 2 + 2 = 4. È invece certo, perché presuppone empiricamente un momento di accertamento sperimentale eventualmente falsificabile, che l'acqua comincia a diventare ghiaccio a zero gradi centigradi. Nel linguaggio comune è del tutto accettabile che si usino le parolette "esatto" e "certo" come intercambiabile, e che si dica anche che è "vero" che 2 + 2 = 4, e che l'acqua solidifica a zero gradi centigradi. Ma se vogliamo capirci veramente, allora bisogna che il termine "vero" sia inteso in modo ben più completo.

Come scrisse correttamente Hegel, il maestro filosofico di Marx, il vero è l'intero. Più esattamente, il vero è solo l'intero. Le proposizioni esatte e certe non sono dunque a rigore vere (ma neppure false, a meno che vengano assolutizzate, ed allora lo diventano, ma non per colpa loro). Dal momento che il vero è solo l'intero, ha senso cercarne il fondamento, ma questa ricerca può essere soltanto dialogica, cioè interpersonale, ed allora essendo dialogica deve essere per forza nominativa, perché ogni interlocutore ha un nome con cui viene connotato. Infatti Socrate parla con Callicle, Gorgia, Protagora, Teeteto, eccetera, non per narcisismo piccolo-borghese, ma perché sa bene che l'enunciazione anonima della verità è impossibile per natura, in quanto la verità (lo ripeto: non l'esattezza e la certezza, che possono anche essere anonime) risulta strutturalmente dal carattere dialogico della pluralità degli interlocutori. È esatto che in ogni merce c'è un valore d'uso ed un valore di scambio. È certo che l'inflazione porta con sé l'aumento dei prezzi (più esattamente, l'inflazione come aumento della massa monetaria in circolazione). Ma per sapere che il capitalismo è una forma di vita sociale ingiusta ed alienata (affermazione di per sé né esatta né certa) bisogna attingere ad una concezione logica, ontologica e dialogica di verità.

Tutto questo non è neppure lontanamente accessibile ai relativisti del "pensiero debole" oggi dominanti, ma non è neppure accessibile ai

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positivisti come Bordiga. Per loro tutto questo è chiacchiera filosofica piccolo-borghese su inesistenti oggettoni metafisici. Chi vuol seguirlo in questo anonimato faccia pure, ma lasci perdere Marx, il marxismo, il capitalismo ed il comunismo, e si dedichi solo alla Settimana Enigmistica, in cui la soluzione degli enigmi non è mai "personalizzata", perché o li si risolve nell'unico modo oppure non li si risolve, senza più rompere le scatole alla gente.

13. Vi è però una seconda e più importante ragione di questo anonimato, ed è il fatto che il bordighismo rifiuta integralmente la categoria di individuo e di individualità, ritenute residui piccolo-borghesi per politicanti "elettoraleschi" (espressione di Bordiga stesso). Posizione legittima, ma Marx non c'entra niente. Perché il lettore ne prenda atto, dovrò fare una cosa che odio, e cioè ricorrere ad una citazione.

14. Apriamo Karl Marx (cfr. Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, La Nuova Italia, Firenze 1968, pp. 98-99). Scrive Marx: "I rapporti di dipendenza personale (all'inizio su una base del tutto naturale) sono le prime forme sociali, nelle quali la produttività umana si sviluppa soltanto in un ambito ristretto ed in punti isolati. L'indipendenza personale fondata sulla dipendenza materiale è la seconda forma importante in cui giunge a costituirsi un sistema di ricambio sociale generale, un sistema di relazioni universali, di bisogni universali e di universali capacità. La libera individualità, fondata sullo sviluppo universale degli individui e sulla subordinazione della loro produttività collettiva, sociale, quale loro patrimonio sociale, costituisce il terzo stadio. Il secondo crea le condizioni del terzo".

E adesso commentiamo brevemente.

15. Commentare significa fare una serie di commenti, più esattamente una rosa di commenti. Solo i sacerdoti credono nel commento veramente autentico, e bruciano sul rogo i falsi commentatori. Cominciamo.

In primo luogo, io non odio affatto le citazioni in sé, ma l'uso dogmatico, idolatrico, terroristico e falsamente risolutivo delle citazioni stesse. Tra l'altro, citare Platone e Marx non è affatto la stessa cosa. Se non cito correttamente Platone, non saprò mai che cosa Platone ha detto, e gli attribuirò posizioni che non ha mai veramente sostenuto (e si pensi al modo sciagurato con cui Popper cita Platone che era già "totalitario" nell'antica Atene, laddove il "totalitarismo" non nasce prima del Novecento). ma per Marx le cose non stanno in questo modo. Il marxismo è una scienza sociale aperta,

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in costruzione ed in progresso, di cui Marx fu solo l'iniziatore, e credere di potersela cavare citandolo significa che non si ha un'idea corretta dell'avanzamento delle scienze. Inoltre, ho conosciuto a Parigi negli anni Sessanta due dei massimi esperti mondiali in citazioni di Marx, Maximilien Rubel e Roger Dangeville. Essi conoscevano praticamente Marx a memoria, e pubblicarono entrambi fondamentali studi di citazioni marxiane bene ordinate in tematiche. Ebbene, Rubel approdò ad un marxismo etico ed umanistico integrale, mentre Dangeville praticava invece un marxismo di tipo esplicitamente bordighista. Dallo stesso arsenale di citazioni essi avevano tratto, in perfetta buonafede e con la massima serietà scientifica, conclusioni teoriche assolutamente opposte. Non mi raccontino, allora, che le citazioni "tagliano la testa al toro".

In secondo luogo, tuttavia, ogni tanto e con parsimonia citare fa bene. In questo caso lo fa. E lo fa perché Marx riteneva di avere già completamente "metabolizzato" la propria coscienza filosofica e di averla completamente travasata nella sua critica dell'economia politica, ed è dunque assolutamente parco di osservazioni filosofiche. Esse sono pochissime dopo il 1845, ma ciò non significa che non siano importanti. Questa per esempio lo è, ed appunto a mio avviso scoraggia ogni lettura bordighista o similbordighista.

In terzo luogo, è chiaro che Marx parla di schiavismo e feudalesimo (dipendenza personale), capitalismo (indipendenza personale) e comunismo (libera individualità). Si tratta, in estrema sintesi, delle figure antropologiche tipiche e caratterizzanti di questi tre diversi tipi di legami sociali (correttamente definiti da Marx "sistemi di ricambio sociale generale", ottima formulazione dell'equivalente termine di "modo di produzione"). Non mi si racconti allora, citando Louis Althusser, che Marx faceva solo epistemologia e non antropologia filosofica. Io sono un noto credulone, ma non fino a questo punto.

In quarto luogo, non è un caso che Marx utilizzi i due termini distinti di persona e di individuo, più esattamente del termine persona per indicare i modi di produzione precapitalistici ed il capitalismo, ed il termine individuo per indicare solo il comunismo. La distinzione è molto importante. Il termine persona è la versione latina del grecoprosopon, che significa "maschera", e cioè non persona quanto piuttosto ruolo, personificazione, ruolo teatrale. Il prosopon era fatto per mascherare il volto dell'attore, non per mostrarlo, e ce n'erano solo di due tipi, tragico e comico. Le facce erano milioni, ma i prosopa erano solo due. Per Marx nei modi di produzione classistici (sia precapitalistici che capitalista) gli individui entrano in scena solo come persone, cioè come "maschere di carattere" (Charaktermasken),

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in quanto devono "impersonare" ruoli economici prefissati dal modo di produzione, ruoli che sono di fatto di due diversi tipi, e cioè di dipendenza personale e di indipendenza personale.

In quinto luogo, è chiaro che Marx distingue fra in-dipendenza ed in-dividualità. Ho messo il trattino perché il lettore presti un'attenzione particolare. Questo in corrisponde al greco a, ed è un prefisso unicamente privativo, dunque negativo. Nel capitalismo si è in-dipendenti, perché non si dipende più come ai tempi degli schiavi e dei servi della gleba, ma non si è ancora pienamente in-dividui, perché il processo di in-dividualizzazione dell'uomo sociale non è stato portato a termine, e non lo sarà finché saremo ancora dipendenti non più da persone, ma dal rapporto di produzione capitalistico.

In sesto luogo, per finire, si vede che Marx, quando usa l'espressione "libera individualità", parla di libertà e non di eguaglianza. L'eguaglianza è solo la forma del comunismo, mentre solo la libertà ne è il contenuto. In termini kantiani, l'eguaglianza è solo una struttura trascendentale formale a priori, mentre solo la libertà è una vera determinazione concreta. Se si presta attenzione a questo punto, saltano subito fuori alcune conseguenze, di cui ne farò risaltare solo tre.

Primo, si vede bene come sia del tutto infondata la classica concezione del marxismo, stabilita da Engels e da Plechanov (e ripresa da Lenin) per cui la libertà coincide con la coscienza della necessità. Lascio qui in sospeso (ma lo riprenderò altrove) se essa si possa o no far risalire a Spinoza (io non lo credo). Per Marx la libertà (attributo indiscutibile della libera individualità) coincideva con l'espansione di tre fattori creativi (le relazioni universali, i bisogni universali e le universali capacità). Non mi raccontino allora che la corretta concezione marxista di libertà è la sua identità con la coscienza della necessità. Si tratta della deformazione positivistica di un originario substrato meccanicistico.

Secondo, si vede bene come l'ossessione polemica di Bordiga e dei bordighisti contro l'"individualismo" è del tutto infondata, soprattutto poi quando è sostenuta in nome di Marx. Ma Marx, cari bordighisti, diceva esattamente il contrario. Se veramente foste conseguenti con la vostra mania citazionistica, dovreste onestamente ammetterlo, senza credere in modo demonologico che tutto questo sia solo un complotto piccolo-borghese contro il Blocco Sacro.

Terzo, ed ultimo, chi ha inteso bene la citazione di Marx avrà anche capito che gran parte dell'abituale modo di accostarsi al marxismo è da buttare. Ad esempio Norberto Bobbio, grande creatore di

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(ingannevoli) dicotomie, sulla base delle due dicotomie Libertà/Eguaglianza e Individualismo/Collettivismo, ha ripetutamente inserito Marx nella doppia casella dell'Eguaglianza e del Collettivismo, in modo da farlo diventare il contrario della Libertà e dell'Individualismo. Curioso, per un signore che ha scritto che la figura antropologica del comunismo è la "libera individualità", e cioè l'esatto contrario. Ignoranza? Disonestà? Sciocchezze. Io ho conosciuto molto bene Norberto Bobbio, persona colta ed onesta, del tutto priva di ignoranza e di disonestà. Ed allora perché questo equivoco clamoroso di 180°? Ma il perché è semplice. Ognuno ripete ciò che il clima generale del proprio tempo ripete credendo di sapere, e ci vogliono mutamenti tellurici (peraltro non ancora avvenuti) perché un riorientamento gestaltico possa aver luogo, in particolare nelle due categorie dei professori universitari e dei militanti politici, due delle categorie più conservatrici e lente di riflessi dell'intero panorama geografico mondiale.

16. Per quanto possa aver scioccato il lettore, so purtroppo di non averlo ancora scioccato abbastanza. Devo allora purtroppo aprire ancora una parentesi sul tema dell'individualismo. Si usa ripetere con tetragona pigrizia che purtroppo Marx è stato troppo egualitario e collettivista, e che allora bisognerebbe un pochino piegarlo in senso maggiormente individualista, particolarmente in questa epoca post-moderna di individui flessibili, nomadi e sradicati. E se invece, guarda caso, non fosse il contrario, ed il marxismo non avesse fino ad oggi peccato per eccessivo individualismo?

Questa tesi sembra a prima vista paradossale e stralunata. Non è affatto vero. Io per esempio la condivido nei suoi elementi di fondo. Nel dibattito filosofico francese essa è stata sostenuta da Pierre Rosanvallon e da Louis Dumont. Il fondamentale libro di Rosanvallon sul capitalismo utopico non è mai stato tradotto in italiano (a mia conoscenza), ma quello di Dumont sì (cfr. Homo aequalis, Adelphi, Milano 1984, traduzione di Guido Viale). Dumont sostiene che Marx è sostanzialmente stato, sul piano filosofico, una sorta di individualista etico, che soleva sostanzialmente salvare l'individuo dal capitalismo, che lo stava distruggendo con il potere anonimo e spersonalizzante del capitale. La classe operaia e proletaria, ed il conseguente genere umano di cui la classe anticipava l'elemento universalistico, sarebbero stati solo il mezzo per la liberazione, non certo il fine, che era puramente individualistico. Le premesse antropologiche di Marx non si sarebbero dunque dovute cercare in Hegel, che era un sostenitore del carattere etico autonomo dei "corpi intermedi" (famiglia, corporazione professionale, eccetera), ma in Adam Smith, che invece assume l'individuo isolato come attore unico nel teatro economico della mano

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invisibile del mercato. Ed allora Marx avrebbe solo "rovesciato" Smith, non Hegel, rovesciando l'individuo proprietario in individuo comunista, ma comunque "saltando" ogni aggregazione intermedia.

Si tratta di una tesi da discutere e da verificare bene. Ma non è affatto una tesi idiota. Anzi, è una tesi intelligentissima ed inquietante. Mi rendo conto che quando uscirono nel silenzio assordante dell'incomprensione dei commentatori i libri di Rosanvallon e di Dumont questa tesi poteva ancora sembrare troppo paradossale per essere capita. Ma oggi, dopo la dissoluzione delle società del comunismo storico novecentesco dopo il 1989, e la diffusione di un individualismo di massa sradicato quasi grottesco nel suo estremismo dissolutorio, sarebbe sciocco non farci un pensierino.

Questo pensierino, però, non può farlo il bordighismo. Il bordighismo non sospetta neppure che in Marx vi sia un segreto antropologico eccessivamente individualistico, e che sotterraneamente Smith abbia lavorato più in profondità di Hegel, fino a configurare un "rovesciamento" non della filosofia del diritto hegeliana ma dell'individualismo proprietario smithiano. Bobbio e Bordiga sono in questo d'accordo nel pensare che Marx sia un teorico esclusivo dell'Eguaglianza contro la Libertà e del Collettivismo contro l'Individualismo. Verificare prima, prego.

17. Il bordighismo si è occupato precocemente della cosiddetta natura sociale dell'URSS, giudicandola in termini di capitalismo di stato impegnato a sviluppare con metodi dispotici un'accumulazione primitiva del capitale in forma "socialista". Qui appare particolarmente evidente l'utilità di compiere un esame comparativo e contrastivo del bordighismo con il trotzkismo e con il maoismo, con cui il bordighismo non deve essere assimilato, nonostante le superficiali somiglianze. Paradossalmente, il bordighismo, nonostante le sue intenzioni "ortodosse" rispetto a Marx, assomiglia maggiormente alle teorie "borghesi" alla Walt Rostow dei gradi dello sviluppo capitalistico accelerato. E questo non è un caso, perché l'economicismo è sempre lo stesso, anche se a volte si veste di rosso ed a volte si veste di blu. La teoria bordighiana del capitalismo di stato, simile ma non eguale a quella del trotzkista Cliff e del maoista occidentale Bettelheim, si caratterizza per una concezione del Capitale come sistema sferico autoriproduttivo in cui la concorrenza fra diversi capitali, pur ammessa, non gioca un ruolo rilevante e decisivo. In questo senso la concezione di Bordiga è simile a quella di Bernard Chavance del cosiddetto Capitale Socialista, delle Brigate Rosse del 1978 sul cosiddetto SIM unificato (lo stato imperialista delle multinazionali), ed infine dell'Impero del 2002 diToni Negri e Michael Hardt. Se ho messo

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insieme il bordighismo, Chavance, le Brigate Rosse e Toni Negri, cosa effettivamente un po' scandalosa, non l'ho fatto certamente per la cattiva abitudine settaria dell'amalgama diffamatoria. Odio questa cattiva abitudine, anche perché spesso personalmente ne sono vittima. Ma ho voluto ricordare al lettore questa inquietante somiglianza, perché in tutti e quattro questi casi c'è una comune posizione teorica che ritiene che ci possa essere un rapporto di produzione capitalistico senza concorrenza fra diversi capitali in lotta per il profitto, al massimo sostituita da pressioni politiche di cordate di partito in lotta per una diversa configurazione del piano quinquennale "socialista".

Sviluppata prima da Amadeo Bordiga, sistematizzata da Liliana Grilli, ed infine perfezionata da P. Giussani e A. Peregalli (cfr. Il declino dell'URSS. Saggi sul collasso economico sovietico, Graphos, Genova 1991), la concezione bordighiana utilizza le categorie marxiane classiche di aumento della composizione organica del capitale e di diminuzione tendenziale del saggio di profitto (complessivo) per interpretare la storia economica dell'URSS. Si tratta a mio avviso solo di allucinazione economicistica. Ma questo avviene, lo ripeto, per due ragioni teoriche di fondo. In primo luogo, come ho detto, per l'errore di soggettivizzazione unitaria di un fantomatico Capitale in generale (in questo caso un Capitale addirittura socialista e comunista), indipendentemente dalla concorrenza intercapitalistica privatistica che ne è invece parte strutturale. In secondo luogo, per il rifiuto della distinzione di Lenin fra modo di produzione e formazione economico-sociale, che porta a non capire che ci può tranquillamente essere una formazione economico-sociale storicamente inedita, non studiata da Marx e da Engels, che non è né capitalista né socialista.

L'impostazione di Giussani e Peregalli, rigorosamente bordighista, è a mio avviso criticata in modo molto sobrio ma anche convincente dallo studioso di indirizzo marxista-leninista Andrea Catone (cfr. La transizione bloccata, Laboratorio Politico, Napoli 1998). Ad essa rimando il lettore per l'eventuale approfondimento della questione.

18. Ho parlato prima di "allucinazione economicistica", e mantengo il severo giudizio. Ma tutti i giudizi devono essere storicamente contestualizzati, ed in questo caso persino questa allucinazione economicistica bordighiana diventa un capolavoro alla Newton ed alla Lavoisier se viene confrontata con le due teorie che il PCI assunse rispettivamente nel 1956 e nel 1968, e cioè quella del "culto della personalità" e quella del "socialismo con tratti illiberali".

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La politica culturale di Togliatti consisteva nel creare una specie di zoo-parco in cui gli intellettuali erano tenuti con un guinzaglio molto lungo in modo da dare l'apparenza della libertà di movimento. Si trattava di una libertà molto controllata (anche se il guinzaglio era molto più lungo di quello corto con cui il PCF controllava gli intellettuali marxisti francesi). Quando l'intellettuale "abusava" di questa libertà di movimento allora la stampa di partito si scatenava in termini di "frocio" e di "anarchico piccolo-borghese", ed i compagni di base delle sezioni cominciavano a gridare che c'erano di sicuro dei borghesi a "pagarli" [il Chi Li Paga? (CLP) era infatti l'argomento teorico di ultima istanza usato per risolvere tutte le dispute difficili, come sanno tutti coloro che hanno vissuto il periodo storico 1945-1991 con qualche rapporto con il PCI].

La teoria del "culto della personalità", avanzata dal dilettante distruttore Krusciov nel 1956, si limitava a tuonare contro il fatto che Stalin era stato fatto oggetto di un culto della personalità. Questa non è ovviamente una teoria, che deve spiegare il perché qualcosa avviene, ma una semplice tautologia, che constata che se qualcuno è fatto oggetto di culto della personalità allora c'è certamente culto della personalità. C'è da restare trasecolati a pensare come era stata ridotta la teoria di Marx, che era invece per sua essenza esplicativa e non tautologica.

In realtà il cosiddetto "culto della personalità" di Stalin rappresentava simbolicamente a livello non solo ideologico ma anche iconografico (monumenti, mummie egizie, nomi di città, peana di bardi uzbechi e soprattutto turcomanni, eccetera) l'unità sociale e politica della nuova classe dei burocrati di partito. Solo un dilettante cretino come Krusciov, frutto integrale di questa leva staliniana ed epuratore nel 1937 del popolo ucraino, poteva segare il ramo su cui i burocrati erano seduti con tanta incosciente leggerezza, aprendo una crisi ideologica che non si chiuse più fino al 1991 ed al fallimento di tutta la baracca.

La teoria del "socialismo dai tratti illiberali", che l'eurocomunismo di Berlinguer e Carrillodiffuse negli anni Settanta, è altrettanto e forse ancora più tautologica. È infatti del tutto evidente che se il sistema socialista non permette legalmente la pubblicazione scritta di opinioni dissidenti e la libera organizzazione di formazioni politiche dissenzienti esso ha tratti illiberali. Una fulminante scoperta da Premio Nobel. naturalmente, la questione sta nel capire perché il sistema socialista non può permettersi ciò che il normale capitalismo può fare, in cui Costanzo Preve, che se potesse imprigionerebbe domani stesso Bush e Sharon, può pubblicare quello che vuole (ma anche tutti i bordighisti, trotzkisti, maoisti e anarchici possono farlo, e non solo i

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piccolo-borghesi eclettici), e chiunque può fondare il Partito del Livellamento Integrale (PLI) o il Partito del Comunismo Assolutamente Totale (PCAT).

Si dirà che questo avviene perché tanto questi partitini sono innocui, perché non avendo soldi per i media e le campagne elettorali non contano un cazzo. Giusto, ma insufficiente. In realtà un sistema che vive e si riproduce con un mercato economico non può fare a meno anche di un mercato politico e di un conseguente mercato ideologico. Certo, il mercato politico è ferreamente controllato con un bipolarismo fittizio (Democratici e Repubblicani negli USA, Polo e Ulivo in Italia, eccetera). Certo, il mercato ideologico è ferreamente controllato con una gestione manipolata del pluralismo apparente (Gad Lerner, Giuliano Ferrara, Bruno Vespa, eccetera). Ma sta di fatto che anche la rivista Praxis può essere pubblicata, senza che (almeno per ora) squadre di torturatori giungano a Foligno con le tenaglie roventi. Tutto ciò non significa ovviamente che il capitalismo è buono, dal momento che metterebbe fuori legge anche il teorema di Pitagora se fosse incompatibile con la sua riproduzione, ma significa che è forte, ed è forte perché è flessibile e non è rigido.

La rigidità dei sistemi socialisti è dovuta certamente ai cosiddetti complotti esterni della CIA e dei capitalisti. Se Fidel Castro liberalizzasse il sistema dei partiti a Cuba si formerebbe immediatamente un partito di restauratori del capitalismo mafioso dell'Avana con finanziamento americano che si chiamerebbe Partito Cubano Socialdemocratico Riformista (PCSR). Il partito di rappresentanza della mafia dei bordelli di Las Vegas si chiamerebbe invece Partito Libertario della Felicità (PLF). Essi godrebbero di crediti illimitati fino allo sbriciolamento del sistema ad all'arrivo di Joe Rotunno, Billie Pernacchia, Solomon Fusilli e Tom Bistecca.

Ma non c'è solo questo. Il sistema della pianificazione economica governativa centralizzata, che è effettivamente un sistema di economia di comando, non può consentire un pluralismo politico e culturale aperto, per il fatto che non si organizzerebbero solo i capitalisti e gli agenti della CIA, ma tutti i gruppi di pressione locali e tutti i settori sociali scontenti del sistema delle retribuzioni. Questo, di fatto, avrebbe fatto saltare la pianificazione. Se così non fosse stato, anche la burocrazia più stupida e dispotica avrebbe consentito volentieri la pubblicazione di gigantografie della Madonna e di Trotzky, e la formazione del Partito della Restaurazione del Feudalesimo (PRF) e del Partito del Capitalismo Sfrenato (PCS). sarebbe stato un buon modo di lasciar sfogare la protesta sociale, neutralizzandola e banalizzandola molto meglio di quanto poteva

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essere fatto con i licenziamenti, le prigioni e le cliniche psichiatriche. Se però questo non poteva avvenire bisogna pensare che si trattasse di un'impossibilità strutturale riproduttiva. Ma l'economicismo bordighista in proposito non può essere che cieco e muto.

19. La teoria delle classi e delle crisi capitalistiche è un altro elemento fondamentale del bordighismo. In proposito, la cosa migliore è proporre un commento di una citazione dello stesso Amadeo Bordiga (cfr. Scritti Scelti, cit., p. 263). Si tratta di una lettera che Bordiga scrisse all'amico di gioventù Umberto Terracini, rivoluzionario storico degli anni Venti e poi parlamentare del PCI fin dal 1946. Questa lettera è del 4 marzo 1969, un anno prima della morte di Bordiga.

Citiamo: "Io attendo, in posizione sempre cocciuta e settaria che, come ho sempre preveduto, entro il 1975 giunga nel mondo la nostra rivoluzione, plurinazionale, monopartitica e monoclassista, ossia soprattutto senza la peggiore muffa interclassista: quella della gioventù così detta studente. Dal canto nostro quando avevamo quei verdi anni abbiamo fatto il meglio che si doveva".

Citazione stupefacente. Essa merita qualche commento.

20. In primo luogo, è bene ricordare il fatto che Bordiga rivendica integralmente il suo impegno comunista. "Per conto nostro quando avevamo quei verdi anni abbiamo fatto il meglio che si doveva". A distanza di mezzo secolo Bordiga rivendica tutto quanto ha fatto, persino sul piano tattico, ed infatti in un punto precedente della lettera scrive che "…Lenin fece una tirata d'orecchi al mio indirizzo, ma non la ho accusata né allora né oggi". Io non posso evitare un moto d'ammirazione leggendo la confessione di questo vecchio rivoluzionario ben vissuto e bene invecchiato, se penso alle grida di Adriano Sofri in favore dei bombardamenti americani e sionisti, al saltabeccare nervoso di Achille Occhetto rimasto senza posto di comando, al ghigno di sufficienza di Massimo D'Alemanel sostenere l'inesistente genocidio del Kosovo del 1999 ed infine allo stratosferico panzone di Giuliano Ferrara che traborda dai televisori. Dopo mezzo secolo Bordiga, ormai vicino alla morte, ha la piena consapevolezza di aver vissuto una vita sensata, del tutto indipendentemente dai conflitti secondari di tipo ideologico e politico.

In secondo luogo, a distanza di un solo anno dal mitico Sessantotto, in opposizione polare a posizioni come quelle di Herbert Marcuse che invece inneggiavano alla "rivoluzione degli studenti", Bordiga parla della "…peggiore muffa interclassista, quella della gioventù così detta studente". Ammetto di avere un pregiudizio positivo, e pertanto una debolezza verso l'estremismo verbale, e sono dunque incline ad

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ammirare il coraggio espressivo di Bordiga. A distanza di alcuni decenni è assolutamente impossibile negare il carattere modernizzatore del Sessantotto, che credette di stare praticando un rivoluzionarismo comunista da anni Venti mentre in realtà stava favorendo un passaggio del costume dalla fase protoborghese, familistica ed autoritaria, ad una fase ultracapitalistica completamente liberalizzata, la Società Senza Superio di cui opportunamente parlarono alcuni intelligenti psicoanalisti francofortesi. Fatta questa debita premessa storiografica, è bene però rilevare che la teoria della "muffa interclassista" di Bordiga resta una sciocchezza teorica. Alla base ci sta un mito, uno dei miti meno razionali e più mitologici mai esistiti, quello della "rivoluzione classisticamente pura".

In terzo luogo, infatti, è bene riflettere a come Bordiga immagina una rivoluzione classisticamente pura. Facciamo allora attenzione ai tre aggettivi "plurinazionale, monopartitica e monoclassista", perché tutti e tre questi aggettivi non sono messi lì a caso, ma vogliono dire qualcosa. È bene dunque allora analizzarli separatamente.

Primo, la rivoluzione di Bordiga sarà plurinazionale. Può sembrare assolutamente evidente, anche perché Bordiga aveva già scritto a lungo sui cosiddetti "fattori" di razza e di nazione nella teoria marxista. Per Bordiga le nazioni sono certo un fatto storico e non naturale, ma tuttavia esistono e sono un dato imprescindibile. Questa è una posizione classica, e pienamente corretta, che risale a Marx ed alla Seconda Internazionale (cfr. R. Monteleone, Marxismo, Internazionalismo, Questione Nazionale, Loescher, Torino 1982). Vogliamo qui ricordarlo, perché a volte il trotzkismo sembra dimenticarsene, l'operaismo se ne fa un vanto ad ignorarlo ed infine l'ultimo Toni Negricostruisce la sua teoria "imperiale" proprio sul disprezzo esplicito e provocatorio verso la questione nazionale.

Secondo, la rivoluzione comunista di Bordiga sarà monopartitica. Si tratta della concezione originaria dell'Internazionale Comunista del 1919, per cui esisteva un solo partito comunista internazionalista mondiale unificato da un programma (il "programma comunista", appunto), di cui le diverse sezioni nazionali erano solo divisioni secondarie. È questa la grande utopia internazionalista del 1919, estremamente generosa, che si basava però su di un presupposto errato, e cioè l'esportazione del modello eurocentrico unilineare, un modello che il maoismo giustamente corresse, prendendo atto del carattere di sviluppo multilineare della storia mondiale. Occorre capire che la concezione del monopartitismo internazionalista mondiale, che Bordiga difese fino alla morte, è solo la radicalizzazione estremistica di una concezione eurocentrica ed unilineare della storia mondiale, con

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un solo partito comunista che si "espande" a macchia d'olio nel mondo intero. Nonostante il superficiale folklore indigenista, differenzialista e pluralista, si tratta di una concezione comune a molti pensatori no-global di oggi, che si collocano al centro di una rete mondiale di Internet rigorosamente monolinguistica (chi non conosce l'inglese non esiste), rete che ha simbolicamente sostituito la vecchia funzione unificatrice del partito, e che dettano al mondo intero le regole della civiltà imparate a Toronto, a New York ed a Londra. Su questo la canadese Naomi Klein è assolutamente impagabile.

Terzo, la rivoluzione comunista di Bordiga sarà monoclassista. Monoclassista significa, ovviamente, che sarà una rivoluzione esclusiva della classe operaia e proletaria mondiale, senza muffa interclassista, senza studenti, impiegati, contadini, artigiani, ceti medi, eccetera eccetera. Al massimo, si potrà concedere un allargamento al cosiddetto lavoro produttivo sociale generale (cfr. P. Garbero, Lavoro produttivo e lavoro improduttivo, Loescher, Torino 1980). Qui Bordiga accetta integralmente la l'equazione diMarx fra classe operaia e classe proletaria. In proposito, io ritengo invece che fra i due concetti vi sia in realtà asimmetricità, perché la classe operaia è una classe economico-sociologica, cioè l'insieme dei salariati cui viene estorto il plusvalore assoluto e relativo attraverso lo scambio ineguale fra lavoro e capitale, mentre la classe proletaria è una classe storico-filosofica, e cioè l'insieme di coloro che hanno solo da perdere le proprie catene, hanno un mondo da guadagnare ed una missione storico-universale da compiere, la redenzione dell'intera umanità. So bene che questa mia distinzione fra classe sociologica dei salariati e classe filosofica dei proletariati sembrerà ai bordighisti (e non solo a loro, purtroppo) un miserabile sofisma piccolo-borghese, ma le cose stanno egualmente così. La centralità della classe dei salariati dà luogo ad una problematica economica (e per di più molto più neoricardiana che marxista), mentre la centralità della categoria dei proletari dà luogo ad una problematica filosofica, il ruolo emancipativo e messianico di un unico soggetto storico risolutivo. Del resto, la centralità metodologica della classe dei salariati dà luogo ad un modello economicistico, in cui la teoria del valore diventa il nucleo illuminato della totalità dei rapporti sociali di produzione, mentre la centralità metodologica della classe dei proletari dà luogo ad un modello metafisico di Grande Narrazione, che a suo tempo Lyotard criticò in modo sostanzialmente corretto. La Grande Riduzione economicistica e la Grande Narrazione storicistica sono solo i due lati convergenti di un unico modello da abbandonare.

E su questo mille urla sprezzanti di dogmatici che denunciano i piccoli borghesi miserabili e scettici che vorrebbero "revisionare" il marxismo,

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questa dottrina fusa in un solo blocco, non fanno che rimandare la resa dei conti con le vecchie forme ideologiche obsolete. Queste urla, comiche quando si è di buon umore, fastidiose quando si è di cattivo umore, sono comunque sempre una manifestazione di decadenza storica e di impotenza e di sterilità teorica.

21. Resta però un ultimo punto teorico, forse il più interessante. Si tratta dell'attesa, in posizione sempre cocciuta e settaria, dell'avvento previsto della rivoluzione comunista entro il 1975. Tutto ciò merita un breve commento.

Tutto ciò mi ricorda un episodio. Quando avevo solo sei anni, e stavo imparando a leggere le maiuscole dei titoli dei giornali esposti fuori delle edicole, ricordo che rimasi letteralmente terrorizzato dall'annuncio di un profeta sulla prossima fine del mondo, cui il profeta ed i suoi seguaci si sarebbero sottratti salendo sul Monte Bianco. Dal momento che nella mia beata infanzia credevo che tutto ciò che era scritto sui giornali fosse vero (in buona compagnia con il 90% degli adulti nel moderno capitalismo liberale), scongiurai mia nonna piangendo di salire in montagna anche noi per sottrarci al diluvio. Ma la miscredente non volle sentire ragioni, ed in effetti pochi giorni dopo ebbi la mia prima lezione sulla teoria popperiana della falsificabilità degli enunciati empirici.

In modo rigorosamente popperiano, il che torna a suo onore, Bordiga si sbilancia nel dare una data di scadenza alla profezia, il 1975. Esso è passato, ma il capitalismo c'è ancora. Bisogna dire, però, che Bordiga aveva correttamente previsto un mutamento d'epoca, ed infatti gli anni Settanta furono il decennio di svolta epocale della storia del capitalismo storico del Novecento. Come tutti i crollisti impenitenti, Bordiga aveva confuso una crisi ricorsiva con una crisi precipitativa e definitiva. Il passaggio dalla seconda alla terza età del capitalismo fu scambiato per il crollo finale del sistema.

Non c'è niente da ridere, niente da sogghignare e niente da sghignazzare. Solo chi non si espone in previsioni non sbaglia mai. Meglio chi si espone dei furbastri e dei "pesci in barile" che hanno sempre ragione perché fanno sempre molta attenzione a calibrare ipocritamente le previsioni, come gli antichi oracoli greci e romani, che si prestavano sempre ad una doppia interpretazione. Bordiga si espose, al rischio di falsificare se stesso. Ricordo ancora un gruppo di suoi seguaci pazzi, che avendo verificato che nel 1975 il capitalismo non era crollato, ne trassero la conclusione allucinata per cui il capitalismo procedeva come un sonnambulo "drogato", e camminava solo appunto perché drogato.

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Ma lasciamo da parte il pittoresco folklore gruppuscolare e minoritario, perenne sorgente di involontaria comicità. Qui bisogna invece capire una cosa, e cioè che se non si abbandona una concezione crollistica delle crisi capitalistiche per una più sobria concezione ricorsiva si incapperà sempre in simili profezie. Chi vuole esaminare bene tutte le teorie crollistiche può proficuamente rivolgersi al libro di F. Maggiora (Il dibattito sull'economia nell'ambito del marxismo, Loescher, Torino 1978). Chi invece vuole uscire da gioco di specchi del crollismo precipitativo dovrebbe rivolgersi al chiaro libro diGianfranco La Grassa (cfr. La tela di Penelope, Editrice CRT, Pistoia 1999). Per quanto mi riguarda, io ho già tratto le mie conclusioni. Ed esse stanno in ciò, che tutti i crollisti, di qualunque tendenza, sono solo dei bordighisti inconseguenti, ed allora tanto vale andare all'originale e lasciar perdere le copie.

22. Bene, con questo chiudiamo. Se il lettore esaminerà insieme i tre testi successivi sultrotzkismo, sul maoismo e sul bordighismo, vedrà che si tratta di un solo ed unico testo diviso in tre parti. Un testo che parla della grandezza e della dignità umana dei rivoluzionari, di Trotzky, di Mao e di Bordiga, ma anche della necessità di essere più coraggiosi nell'innovazione. Detto questo, so bene con Luigi Einaudi che quanto dico fa per ora parte della lunga serie delle prediche inutili.