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1 IX. La natura delle cose 1. Una nozione tmscurata Per avviare una discussione intorno alla nozione di u na- tura delle cose », può essete utile cominciare dalle parole con cui Gustav Radbruch chiudeva il suo saggio del 1941: « Il problema della natura della cosa è appunto, nel momento presente della storia dello spirito, abbastanza importante per non essere, come è stato finora, soltanto l’episodico oggetto di una sempre rinnovata e sempre nuovamente dimenticata ricerca individuale, ma per diventare il tema di una assidua e comune riceica scientifica » ‘. È davvero sorprendente, infatti, come la nozione di u na- tura delle cose », a cui ci si riferisce pur tosi frequentemente nel linguaggio giuridico in espressioni come « natura dei fat- ti », « natura della prestazione », « natura del rapporto », « natura degli interessi », « natura dell’istituzione Y), sia stata sinora così poco analizzata. Si può dire in generale che, da un lato, <r natura delle cose » è ancor oggi un’espressione generica con cui si abbracciano oggetti diversi, e pertanto viene talora adoperata più come una formula suggestiva, ad uso polemico, che come un insieme di parole aventi un si- gnificato rigorosamente delimitato; che, dall’altro, è una espressione ancora troppo poco differenziata tanto che viene sovente sostituita da altre espressioni analoghe senza che la sostituzione desti alcuna meraviglia, come si può vedere nel- la seguente frase del Regelsberger: « Natur der Sache, Vet- nunft der Dinge, naturalis ratio, Zweckgedanken, Verkehrs- bedtirfnis, Rcchtsgefiihl sind mir verschiedene Bezeichnungen ftir dasselbe Ding » ‘. Partendo da questa situazione, mi pare che il lavoro di analisi dovrebbe procedere in una duplice direzione: per un La rrafura delle core come forma giuridica di pensiero, in (Rivista intcrnazionnle di lilosofia del diritto », XXI, 19-11, p. 156. F. I~r:cxr.sr~~‘~c;r~, P<r/~drl~/o~ (1X93), 1, 4 12, p. 68.

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1 IX. La natura delle cose

1. Una nozione tmscurata

Per avviare una discussione intorno alla nozione di u na-tura delle cose », può essete utile cominciare dalle parolecon cui Gustav Radbruch chiudeva il suo saggio del 1941:« Il problema della natura della cosa è appunto, nel momentopresente della storia dello spirito, abbastanza importante pernon essere, come è stato finora, soltanto l’episodico oggettodi una sempre rinnovata e sempre nuovamente dimenticataricerca individuale, ma per diventare il tema di una assiduae comune riceica scientifica » ‘.

È davvero sorprendente, infatti, come la nozione di u na-tura delle cose », a cui ci si riferisce pur tosi frequentementenel linguaggio giuridico in espressioni come « natura dei fat-ti », « natura della prestazione », « natura del rapporto »,« natura degli interessi », « natura dell’istituzione Y), sia statasinora così poco analizzata. Si può dire in generale che, daun lato, <r natura delle cose » è ancor oggi un’espressionegenerica con cui si abbracciano oggetti diversi, e pertantoviene talora adoperata più come una formula suggestiva, aduso polemico, che come un insieme di parole aventi un si-gnificato rigorosamente delimitato; che, dall’altro, è unaespressione ancora troppo poco differenziata tanto che vienesovente sostituita da altre espressioni analoghe senza che lasostituzione desti alcuna meraviglia, come si può vedere nel-la seguente frase del Regelsberger: « Natur der Sache, Vet-nunft der Dinge, naturalis ratio, Zweckgedanken, Verkehrs-bedtirfnis, Rcchtsgefiihl sind mir verschiedene Bezeichnungenftir dasselbe Ding » ‘.

Partendo da questa situazione, mi pare che il lavoro dianalisi dovrebbe procedere in una duplice direzione: per un

’ La rrafura delle core come forma giuridica di pensiero, in (Rivistaintcrnazionnle di lilosofia del diritto », XXI, 19-11, p. 156 .

’ F. I~r:cxr.sr~~‘~c;r~, P<r/~drl~/o~ (1X93), 1, 4 12, p. 6 8 .

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verso, dovrebbe esaminare i vari contesti in cui l’espressioneè effettivamente adoperata dal giurista, per giungere ad unaclassificazione dei significati o sfumature dei significati; perl’altro verso, dovrebbe esaminare le diverse espressioni chesono o passano per sinonime e discutere l’opportunità di adot-tare l’una piuttosto dell’altra. Se uno dei compiti principalidella scienza giuridica, come io credo, è di purificare il lin-guaggio giuridico, di trasformare il linguaggio comune in lin-guaggio tecnico, non c’è dubbio che la nozione di natura dellecose per lo stato grezzo in cui ancora si trova offre vastamateria per il giurista.

Nelia dottrina italiana questa nozione non ha sinora avutomolta fortuna né presso i giuristi né presso i filosofi del di-ritto ‘. È probabile che sull’atteggiamento dei giuristi abbiainfluito il giudizio negativo del Windscheid, secondo il qualel’espressione « natura delle cose » è « non a torto scrcdita-ta »4, e in generale il prevalente indirizzo positivistico, secondocui non c’è altro ordinamento giuridico che quello dello sta-to, e, nell’ordinamento dello stato, non c’è altra fonte chela legge. E infatti nei trattati, nelle opere generali, nei ma-nuali di diritto positivo italiano, della natura delle cose, ingenere, o non si parla affatto oppure se ne parla di sfuggitain un paragrafo sulle « pretese fonti del diritto » in cui vienemescolata alla rinfusa con altre nozioni affini e non affini ‘.Per quanto riguarda i filosofi del diritto, il disinteresse peril problema dovrà essere cercato nel prevalere, dopo la crisidel positivismo, di indirizzi antinaturalistici, siano essi ilneo-kantismo che ha canonizzato la distinzione tra la sfera delSein e quella del Sollen o lo storicismo idealistico che ha as-segnato il diritto al regno dello spirito.

’ Per un esame particolareggiato della fortuna della nozione nella dot-trina italiana cfr. il saggio pubblicato in appendice La noturu delle cosenella dottrina italiana.

’ B. WINDSCHEID,. Diritto delle pandette, trad. it., 1, 1, § 23, p. 7 8 ,in nota. ove ribadisce 11 aiudizio analogo dello Adickes (Zur Lehte uon denRechts&ellen, 1872, pp.-8 e 67). -

’ Si veda per tutti N. COVIELLO , Manuale di dirirro civile, p. 39; cfr.anche A. R~vj(, lstibrzioni di diritto privato, CEDAM, Padova 1938, p. 52;e F. FERRARA, Trattato di diri/to chile itoliano, 1, p. 149. PuB essere interes-sante notare che la voce « natura delle cose h non era apparsa nei piùcomuni dizionari giuridici, sino al recentissime volume dei Novissimo Di-gesto Ilaliano

La natura delle cose 199

L’unico saggio sull’argomento è rimasto, per parecchiotempo, quello dell’Asquini nel 1921 6. Il quale, peraltro, èla miglior prova di quel che si è detto sin qui, vale a direche « natura delle cose » è un’espressione ambigua, suscet-tibile delle più diverse interpretazioni, e che il problema daessa sollevato non gode di molta popolarità tra i giuristi ita-liani. L’Asquini, infatti, per non essere sottoposto alla trop-po facile accusa di oggettivismo o di naturalismo, interpretala nozione di natura dei fatti come « la rappresentazione chedella funzione dei rapporti sociali e delle loro esigenze eco-nomiche fa la coscienza umana » e per « coscienza umana »intende la coscienza collettiva o comune, quella « coscienzamedia sociale, a cui per molti altri fini (es.: determinazionedel concetto di colpa) nel mondo del diritto si è usi far ri-corso »; quindi nega che vi sia una « verità delle coseobiettivamente accertabile dalla ragione del singolo interpretesenza riferimento alla valutazione che ne fa la coscienza co-mune ». Interpreta insomma il concetto di natura delle cosein modo da spogliarlo, è vero, di ogni suo intento polemico,ma anche della sua ragion d’essere, che sta proprio nel sug-gerire al giurista l’idea dell’esistenza di una realtà oggettivada cui egli possa trarre regole giuridiche. E così interpretata,la nozione di natura della cosa finisce per confondersi conquella di equita e può essere tranquillamente eliminata.

2. 1 tre bersagli della dottrina della natura delle cose

L’interesse per il problema della natura delle cose, chesi è andato risvegliando soprattutto nella filosofia del dirittoe nella scienza giuridica tedesca in questi ultimi anni, hamanifestamente un’origine polemica. In termini generali eancor poco precisi, si può dire trattarsi di un aspetto del.l’odierna lotta contro il formalismo giuridico. Per questo,mi sembra che tra le diverse prospettive che si possono sce-gliere per condurre una prima analisi della nozione di < na-tura delle cose », possa presentare un certo interesse esami-

6 A. ASQUINI, La natura dei fatti come fonte di diritto, in s Archiviogiuridico », LXXVI, 1921, pp. 129-67.

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nare il suo significato polemico, allo scopo di chiarire questidue punti: 1) se il significato polemico sia univoco o pluri-voto, e in questa sede il mio proposito è puramente descrit-tivo; 2) constatata la molteplicità degli usi polemici delconcetto, quale sia per ciascuno di essi il valore e i limiti,e in questa sede il mio proposito è anche critico.

Prima di tutto, quando si afferma che la regola giuridicaè tratta dalla natura delle cose, si vuole addurre un argo-mento contro ogni forma di volontarismo giuridico, secondocui le regole giuridiche sono unicamente il prodotto dellavolontà del legislatore. Poiché il volontarismo giuridico hatrovato la sua più recente incarnazione nella dottrina impe-rativistica del diritto, in quella dottrina che è stata dominan-te nell’ultimo secolo tra i giuristi soprattutto in Germaniae in Italia, e per la quale il diritto è l’insieme dei comandidel legislatore, la dottrina della natura delle cose appareanzitutto come una forma della reazione antimperativistica,che va di pari passo con la rinascita del diritto naturale.

In secondo luogo, chi afferma la possibilità di derivareuna regola giuridica dalla natura delle cose può avere un al-tro bersaglio: è la dottrina che eleva a suprema fo?te deldiritto la legge, e ritiene non esserci altre regole giuridicheche quelle derivabili direttamente o indirettamente dalla leg-ge. Se si chiama statualistica questa dottrina, il concetto dinatwa delle cose si presenta in questa seconda direzionecome un aspetto della polemica antistatualistica. E, in quan-to tale, si inserisce nel movimento del pluralismo giuridicoin antitesi al monismo, anch’esso prevalente tra i giuristicontinentali dall’epoca delle grandi codificazioni, e va di patipasso col rinnovato interesse per la sociologia giuridica

j d’Infine, la dottrina della natura delle cose ha una terza

Irezione polemica, che è forse la più frequente. Il bersaglioquesta volta è il carattere dogmatico della giurisprudenza,vale a dire la tradizionale considerazione della giurisprudenza

1 non già come libera ricerca del diritto, ma come forma disapere fondata in ultima analisi sul principio d’autorità, edha trovato avversari, di volta in volta, la scuola del dirittolibero, la giurisprudenza sociologica e via dicenclo. Chi pro-pone di colmare le lacune dcll’ordinatncnto giuridico ricor-

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rendo anche alla natura delle cose, diventa alleato di tuttequelle correnti che combattono il cosiddetto feticismo legi-slativo, e che, tanto per intenderci, possiamo far rientrarenella corrente del « realismo giuridico ».

Ritengo opportuna questa distinzione tra le tre direzionipolemiche della dottrina della natura delle cose, petché, puressendo connesse, toccano tre diversi problemi: la prima ilproblema stesso del fondamento del diritto - se cioè il di-ritto sia ragione o volontà -; la seconda, il problema dellefonti del diritto positivo - se cioè vi siano altre fonti didiritto oltre la legge e la consuetudine -; la terza, il pro-blema dell’interpretazione giuridica o dei metodi della giu-risprudenza - se cioè la giurisprudenza sia una dogmaticao una scienza empirica. Per quanto i tre problemi siano con-nessi, e non c’è chi non veda che essi rappresentano treaspetti diversi dello stesso movimento di pensiero, pure misembra si tragga qualche giovamento dal tener distinta l’ana-lisi critica, perché diversi, a mio avviso, sono nelle tre di-verse questioni i meriti e i demeriti della dottrina, e didiversa natura soprattutto sono le difficoltà ch’essa solleva.

3. Natura delle cose contro volontarismo giuridico

Nella prima direzione, la dottrina della natura delle cosesi presenta sotto molti aspetti come una prosecuzione delladottrina del diritto naturale. Rappresenta la trasformazioneche la dottrina del diritto naturale subisce passando dallemani dei filosofi a quelle dei giuristi. In altre parole, è ciòche rimane della teoria classica del diritto naturale nel pas-saggio dalla filosofia razionalistica della società alla sociologia.Del dititto naturale classico rimane, nella dottrina della na-tura delle cose, l’esigenza di non arrestarsi alla volontà dellegislatore come a criterio giuridico supremo, e il principioispiratore, che muove a trovare questo criterio di giudizioin qualche cosa di obiettivo, sottratto al mutevole giudiziodei detentori del potere politico.

Rispetto alla dottrina classica del diritto naturale, il con-cetto di natura delle cose, qual è inteso o intuito dai giu-

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risti, evita almeno una delle grosse obiezioni cui quella vaincontro, l’obiezione derivante dalla ripetuta constatazioneche il lumen naturae, cui questa dottrina si affida, deve es-sere ben fioco se in duemila anni di riflessione non c’è isti-tuto giuridico di cui non si sia a volta a volta affermata ocontestata la corrispondenza alla natura dell’uomo. Dietro ladottrina della natura delle cose c’è una concezione della na-tura diversa da quella dei giusnaturalisti. 1 quali avevano unaconcezione metafisica della natura, intesa come la totalitàdelle leggi che reggono l’universo fisico e morale. Partendodalla natura umana in generale, ritenevano di poter dedurretutto il sistema giuridico da alcuni principi auto-evidenti.Quando, al contrario, un giurista parla della natura dellecose non si riferisce alla natura generale dell’universo uma-no, ma ai caratteri o elementi costitutivi di un rapporto odi un istituto giuridico in una determinata societa storica-mente condizionata. Per esempio, un giusnaturalista pretendedi dedurre le norme regolanti l’istituto del matrimonio dallanatura dell’uomo e della società, astrattamente considerati;ii giurista sociologo si limita a chiedere alla natura delle cosedi suggerirgli le norme più opportune per regolare il matri-monio in una società particolare. Cos], mentre un giusnatu-ralista è pur sempre attratto dal miraggio della regola giustain senso assoluto, il giurista sociologo restringe la propriaambizione alla scopctta delle regole piU convenienti in fun-zione di un certo fine da raggiungere. Il giusnaturalista miraai valori ultimi; la dottrina della natura delle cose si accon-tenta di stabilire rapporti tra mezzi e fini. In questo sensola teoria della natura delle cose può essere considerata comeun aspetto della concezione generale del diritto, secondo cuiil diritto è una tecnica della convivenza sociale: la quale è,tra tutte le concezioni del diritto, quella che mi è sempresembrata la più convincente.

Non son sicuro, peraltro, che la teoria della natura dellecose eviti la seconda obiezione che si può muovere al gius-naturalismo classico: la dottrina del diritto naturale pretendedi derivare un giudizio di valore, ad esempio: u La societaè preferibile all’isolamento », da un giudizio di fatto: « L’uo-mo ha la tendenza alla società », mentre in realtà deriva il

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primo giudizio di valore da un altro giudizio di valore,implicito ma non confessato, di questo tipo: « La tendenzaalla società & buona ». Anche nei sostenitori della naturadelle cose come fonte di regole giuridiche si rivela una pre-tesa siffatta. Essi credono, o lasciano credere, che le cose acui si riferisce l’esperienza giuridica - siano esse beni, per-sone, comportamenti, rapporti intersoggettivi, istituti - sia-no tali che da esse, ovvero dalla loro costituzione o essenza,si possano ricavare regole giuridiche, le quali, in tal modo,avrebbero una sorta di oggettivita che loro non competerebbese fossero derivate da giudizi di valore.

In realtà, il procedimento adoperato dal legislatore, dalgiudice o dal giurista per produrre regole giuridiche dallacosiddetta natura delle cose è più complesso. Ciò che il giu-rista apprende dall’osservazione della realtà, per esempio diun dato comportamento, è che questo comportamento pro-duce in certe circostanze certe conseguenze. Ora, se è vero._che una regola tecnica (e possiamo considerare le regolegiuridiche come regole tecniche) deriva dalla risoluzione di unrapporto di causa-effetto: « A-produce B »; in un rapporto difine-mezzo: « Se vuoi il fine A, devi volere pure il mezzo B »,è altrettanto vero che dall’osservazione che un comporta-mento produce certe conseguenze, io non ricavo necessaria-mente una regola, ma ne posso ricavare almeno tre secondoil diverso modo con cui ptendo posizione di fronte alle con-seguenze: « Se vuoi A, devi fare B »; « Se non vuoi A, nondevi fare B »; « Se A ti è indifferente, puoi fare e puoi nonfare B ». Orbene, la diversa valutazione che io posso daredelle conseguenze di un’azione non deriva dalla constata-zione che quella azione ha quelle conseguenze, bensì dallavalutazione di queste conseguenze come buone, cattive o in-differenti, cioè da un giudizio di valore. La constatazioneempirica mi può indicare quale sia il mezzo migliore perraggiungere un certo fine, ma non mi dice perché questo finepiuttosto che quell’altro sia degno di essere perseguito. Eppure solo dalla risposta alla seconda domanda - cioè qualesia il fine degno di essere perseguito -, e non dalla prima

quale sia il mezzo più idoneo per raggiungere il fine -,7.errva la regola. Che l’estensione della pratica dell’aborto

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abbia per effetto la diminuzione della popolazione è un giu-dizio di fatto. Che la pratica dell’aborto debba essere proi-bita o permessa dipende unicamente dalla risposta al seguentegiudizio di valore: « La diminuzione di popolazione è unbene o un male? ». In altre parole, possiamo dire che pertrarre una regola da una cosa, dobbiamo considerare questacosa come un mezzo per raggiungere un fine, cioè attribuirlela qualità di valore strumentale; ma questa qualità è attri-buibile soltanto in quanto sia presupposto un valore finale,che io non ricavo dalla natura del comportamento, ma dagiudizi di valore ulteriori, in una catena continua di valorilinali che diventano strumentali rispetto a valori ulteriori.sino R che si girmge incvitabilmcnte ai valori ultimi, cioè avalori non ulteriormente riducibili, dai quali poi tutte le cosedi cui si compone quel dato sistema normativo traggono illoro valore.

Generalmente, noi siamo così assuefatti ai valori socialiespressi dall’ordine giuridico in cui viviamo che non ci ac-corgiamo della loro presenza, e consideriamo meri fatti con-statabili empiricamente quelli che sono in realtà già espressio-ni di valutazioni precedenti. Non vi è norma più dell’art. 84Codice civile italiano, tanto per fare un esempio, che tissarispettivamente a 16 e a 14 anni la capacità matrimonialedell’uomo c della donna, che sembri ricavata « (Ialla naturadcllc cose », in questo caso dalla costituzione fisica dei sog-getti. In realtà, anche in questa norma la natura della cosaaltro non è che il mezzo che si considera più adatto p e rraggiungere un certo fine, che è quello che nella nostra so-cietà viene attribuito al matrimonio. Immaginiamo una so-cietà che attribuisca al matrimonio altri lini, per esempio dicarattere economico, oltre quello della generazione della pro-le, e quei limiti d’eth potranno esscrc elevati. Non ci sarebbeda stupirsi che nell’evoluzione della nostra società quei li-miti di età vc’nisscro clcvati, ove si ritcncssc di dovcr tenerconto 1x3 valutate la capacità matrimoniale di altri requisitioltre quelli lisiologici, per esempio della capacità economica.

Tl legislatore cr& di Iqgcrc nel l i b r o d e l l a n a t u r a .In realth lo interpreta.

La natura delle cose 205

4. Natura delle cose contro formalismo

Nella sua seconda direzione polemica la dottrina dellanatura delle cose si affianca alla teoria sociologica del dirittocontro il positivismo giuridico di stretta osservanza. È unaspetto della rivolta sempre ricorrente dei fatti contro leleggi. In breve, essa si solleva contro il monopolio del di-ritto da parte della legge, e mira a promuovere una visionepiù ampia e più articolata delle fonti del diritto, partendonon più da un’ideologia, come quella per cui solo la volontàdel legislatore è fonte di diritto, ma da una considerazioneoggettiva, critica, spregiudicata dei fatti, che vede scaturirele regole giuridiche dal reale movimento degli individui edei gruppi in una determinata società.

Premetto che la controversia tra fautori della sociologiagiuridica e fautori del normativismo è, a mio giudizio, unadi quelle controversie che potrebbero continuare indefinita-mente, perché gli avversari non si incontrano sullo stessoterreno, sì che ciascuno ha, dal suo punto di vista, ragione,e non riconosce di essere confutato dalle ragioni dell’avver-sario. La dottrina della natura delle cose, in quanto pretendedi presentarsi come un contributo alla difesa della sociologiacontro il formalismo giuridico, adducendo il pluralismo del-le fonti giuridiche, mi conferma questo sospetto. Invero, ildibattito sulle fonti del diritto può condurre ad una solu-zione solo se i contendenti si accordano nel dare all’espres-sione « fonte del diritto » lo stesso significato. Orbene:quando un giurista sociologo sostiene che la natura dellecose è fonte di diritto, intende l’espressione « fonte deldiritto » nello stesso senso in cui il giurista tradizionale chia-ma « fonte di diritto » la legge? Vi sono, com’è noto, nellinguaggio giuridico almeno due modi d’intendere l’espres-sione « fonte di diritto »: ora come fonte di derivazionedi una regola, ora come fonte di qualificazione. La differenzafondamentale fra l’una e l’altra fonte è che la prima puòessere costituita da un fatto o da una serie di fatti, la se-conda è sempre costituita da una norma. Una regola, inquanto la si consideri come un fatto, deriva da un altrofatto; ma riceve la sua validità in un sistema per opera di

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un’altra norma. Se non si facesse questa distinzione non sicapirebbe perche regole aventi la stessa fonte di derivazionenon siano allo stesso modo valide in un sistema, perché, adesempio, l’equità produca regole, ma non tutte le regole pro-dotte dall’equità siano valide in un certo ordinamento, ben4soltanto quelle a cui una norma del sistema attribuisce laqualifica di norme giuridiche. Analogamente, il comporta-mento costante, uniforme, generale dei consociati produceregole di condotta, ma, affinché queste regole siano ricono-sciute valide in un certo sistema giuridico, occorre che nelsistema vi sia una norma, non importa se esplicita 0 impli-cita, che attribuisca alla consuetudine valore di fonte deldiritto. In altre parole, l’esistenza di fatto di una consuetu-dine non coincide con la sua esistenza di diritto, cioè conla sua validità. Perché una consuetudine esista come fatto,basta che venga constatata; perché esista come diritto è ne-cessario che sia riconosciuta come norma valida di un sistema,cioè bisogna risalire alla sua fonte di qualificazione.

Quando si chiede che la natura delle cose sia consideratacome fonte del diritto, in che senso si parla di fonte deldiritto? nel senso di fonte di derivazione o di fonte di qua-lificazione? A me non par dubbio che il senso comunementeaccolto sia il primo. In generale chi attribuisce alla naturadelle cose il carattere di fonte di diritto, si limita a direche si può trovare una regola di condotta considerando uncerto comportamento idoneo a raggiungere un fine deside-rato, ma non afferma nello stesso tempo che quella regola,solo per questo, sia valida, cioè valga come regola in undeterminato sistema. Affinché questa regola derivata dallanatura delle cose sia valida, occorre che essa possa esserericondotta a una delle fonti di qualificazione del sistema.In particolare, se s’intende per ricerca della regola attraversola natura delle cose il procedimento inventivo e ricostruttivoche si vale del rapporto mezzo-fine, come io credo sia piùopportuno intendere e come vedremo meglio nel paragrafoseguente, essa può essere ricondotta a un ben noto procedi-mento dell’interpretazione giuridica, a quel procedimentointerpretativo che si suole chiamare « interpretazione teleo-logica ». In questo caso, non mi par dubbio che la natura

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delle cose funga da fonte da cui l’interprete deriva la regola,ovvero da espediente ermeneutico di cui si vale per trovareuna regola inespressa. Ma è altrettanto indubbio che ciò cherende la regola cos1 trovata una regola giuridica, cioè unaregola appartenente a un dato sistema giuridico, è una nor-ma, come per esempio l’art. 1.2 delle Disposizioni prelimi-nari al Codice civile italiano, il quale autorizza l’interpretea cercare la regola non solo nelle « parole », ma anche nel-l’« intenzione del legislatore ». La natura delle cose serveper trovare la regola; ma è la norma autorizzante l’inter-prete a cercare la regola seguendo la natura delle cose chefa della regola trovata una regola giuridica. Dunque, anchein questa accezione più ristretta della natura delle cose comefonte di diritto, la distinzione tra il momento della elabo-razione della regola e il momento della qualificazione giuri-dica, è inevitabile. E la natura delle cose compare, in ognicaso, nel primo momento e non nel secondo.

Oltretutto, la distinzione serve a chiarire i due diversicampi in cui operano la dottrina sociologica e quella norma-tiva del diritto, e quindi i limiti del valore della polemicache i giuristi di tendenza sociologica conducono contro igiuristi accusati di formalismo. Il campo dei primi è quellodell’esistenza di fatto della norma, il campo dei secondi èquello dell’esistenza di diritto o validita. Che una normacorrisponda alla natura delle cose può essere o una consta-tazione di carattere sociologico oppure un’esigenza di carat-tere ideologico; al contrario, il giurista formalista affermache, affinché una norma sia valida, è necessario che appar-tenga al sistema, indipendentemente dal fatto che corrispondao no alla natura delle cose. Il primo problema è di contenu-to; il secondo è di forma. Ma con ciò il giurista formalistanon esclude che le norme si possano trarre dalla naturadelle cose, onde le critiche dei sociologi non lo riguardano.Si limita ad affermare che questo problema, cioè il problemadell’origine delle regole, è un problema sociologico e nongiuridico, un problema relativo alla derivazione delle normegiuridiche, e non alla loro validità. A questa esigenza di unarigorosa distinzione tra i due campi, mi pare difficile possasfuggire il sociologo.

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Il giurista, quando ha interpretato la natura, crede diaver creato un sistema normativo, e invece ha fornito sol-tanto il materiale per la sua costruzione.

5. Natura delle cose contro legalismo

Nella sua terza direzione polemica la dottrina della na-tura delle cose rappresenta una reazione contro il feticismolegislativo che si rivela in un’adesione troppo rigida ai testilegislativi da parte dei giuristi, contro l’atteggiamento tradi-zionalmente dogmatico della giurisprudenza di fronte al si-stema normativo costituito. Essa è un invito a guardare piùai fatti che alle leggi, ad abbandonare il principio d’autoritàper quello della indagine empirica, ad avviare la giurispru-denza per una strada in cui venga ad assomigliare sempremeno ad una disciplina teologica e sempre più a una scienzadi fatti.

Ritengo opportuno tener distinto l’aspetto metodologicoda quello ideo ogico di questa terza questione. Dal punto di1vista metodologico credo che la discussione guadagnerebbein chiarezza se il concetto di natura delle cose fosse ulte-riormente analizzato e specificato nelle sue diverse accezioni.Per parte mia credo che, quando il giurista parla della na-tura di un oggetto o di un soggetto o di un comportamentoo di un’istituzione, si riferisca al rapporto mezzo-fine e pre-supponga consapevolmente 0 inconsapevolmente il principiofondamentale di Ihering: « Lo scopo è il creatore di tuttoil diritto ». La natura di un oggetto per un giurista è lasua idoneità a fungere da mezzo per conseguire certi fini;la natura di un soggetto è la sua idoneità a compiere certiatti per raggiungere certi lini; la natura di un comporta-mento è la sua idoneità a raggiungere certi fini; e la naturadi un istituto è nient’altro che la sua funzione economico-sociale. La regola fondamentale cui il giurista si ispira perprodurre nuove regole dalla natura delle cose è la seguente:« Se un certo fine è obbligatorio (o proibito), sono da consi-derarsi obbligatori (o proibiti) tutti i mezzi oggettivamenteatti a raggiungerlo ».

La natura delle cose 2 0 9

Se questa interpretazione del procedimento interpreta-tivo fondato sulla natura delle cose è esatta, esso non diffe-risce dal procedimento noto col nome di « interpretazioneteleologica ». Ma allora si deve riconoscere che è procedi-mento più comune di quel che l’espressione generica « na-tura delle cose » lasci intendere e, quel che è più notevole.esso è usato anche da quei giuristi (e sono la maggior parte,almeno in Italia) che si professano suoi avversari. Quandoil giurista si richiama all’intenzione del legislatore, compienella maggior parte dei casi un’interpretazione teleologica,la quale procede in base a questi due postulati: 1) il legisla-tore è una persona ragionevole; 2) in quanto persona ragio-nevole, esso adopera mezzi oggettivamente adeguati ai finiche si propone. L’intenzione del legislatore è una finzionead uso del giurista legato al dogma volontaristico, il qualeha bisogno di attribuire al legislatore la scoperta di quellaregola che egli ha desunto dall’indagine teleologica, cioè habisogno di fingere che sia opera di un legislatore ragionevolequello che è l’opera della sua stessa ragione. Ma dietro aquesta finzione c’è la ricerca effettiva della regola che, tantonel caso in cui venga attribuita al legislatore quanto nel casoin cui venga posta come ricavata direttamente dalla naturadelle cose, è pur sempre la ricerca fondata sull’idoneità dicerti mezzi a raggiungere certi fini. Nel caso delle lacunedell’ordinamento giuridico, è opinione comune che si possaricorrere alla natura delle cose solo là dove il legislatoreabbia lasciato libero il giudice di scegliere i mezzi di inte-grazione più idonei, non là dove, come nel diritto italiano,ha indicato i mezzi e fra questi mezzi la natura delle cosenon è compresa. Ma questa opinione t da correggere. Anzi-tutto, la legislazione, anche quando prevede l’analogia comemezzo per colmare le lacune, non stabilisce la serie di re-quisiti in base ai quali due istituti possono dirsi simili:spetta all’interprete stabilire di volta in volta se due istitutisiano simili, ed è noto che il procedimento più adoperato aquesto scopo è proprio la natura delle cose. E non parliamodel caso in cui si tratti non già di formulare una regola, madi trovare la disciplina di un intero istituto: il giurista inquesto caso, anche se non ne è consapevole, crea la disci-

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La nafura delle cose 211210 Del ,qinsnatrrralismo

plina traendola dalla natura dell’istituto, e non ritiene conquesto di far cosa sconvolgente e neppure sconveniente. Inun recente saggio sul danno morale, a cui il diritto civileitaliano dedica un solo articolo, l’autore, cercando di dare unaprima complessiva sistemazione dell’istituto, dice, come sefosse la cosa più ovvia, che le questioni relative alla disci-plina dell’istituto, nel silenzio della legge, devono essererisolte « soprattutto » tenendo conto della « sua natura » ‘.

Senonché, riconoscere che il metodo di trarre regole dal-la natura delle cose è abituale tra i giuristi piU di quel checomunemente si affermi, ancorché non’sia esplicitamente ac-cettato o sia chiamato con altro nome, non significa addurreun argomento decisivo - e qui entra in campo l’aspettoideologico della questione -- in favore di una trasforma-zione della scienza giuridica in. scienza empirica, sia che siconsideri questa trasformazione già avvenuta o in atto. siache si desideri che avvenga afinché l’opera del giurista di-venti pii1 « scientifica » e pii] « corrispondente alle condi-zioni della societA contemporanea ». Per quanto si possadeprecare l’eccessiva rigidità del sistema giuridico, soprat-tutto negli ordinamenti continentali, per quanto sia auspi-cabile una maggior libertà del giurista nella scoperta delleregole, il credere che la giurisprudenza possa cessare dall’es-scrc una dogmatica e diventare una scienza empirica, il cheequivale poi a credere che a lunga scadenza possa esseresostituita totalmente dalla sociologia, a me pare il frutto diuna confusione tra il metodo sociologico e il metodo giuri-dico ‘. Questa confusione deriva dalla non chiara distinzionetra due diversi criteri di verità, il principio di verificazioneempirica. proprio di una ricerca scientifica come la fkica ela biologia, per Ir quali la suprema prova delle verità 0 fal-sit‘+ di una proposizione è data dalla conferma dell’espe-rienza, e il principio di autorità, proprio della giurisprudenzae della teologia, per le quali la suprema prova della validitào invalidità di una notma ì: data dalla corrispondenza a ciò

che è considerato come valido o invalido da una fonte par-ticolarmente accreditata di regole, sia essa il legislatore, lasocietà, il popolo, il giudice. Vi sono oggi due concezionidella giurisprudenza in contrasto, la concezione logico-siste-matica e la concezione sociologica. Per quanto la seconda siameno rigida della prima, essa non ha il potere di trasformareil lavoro del giurista in quello di un fisico o di un biologo:la giurisprudenza sociologica è una dogmatica diversa dalladogmatica della giurisprudenza logico-sistematica, perché ilprincipio d’autorità a cui si appella è diverso da quello cuisi appella la sua eterna avversaria, non è la volontà dellegislatore ma la coscienza sociale; ma è pur sempre unadogmatica, cosl come una teologia modernista è pur sempreuna teologia. Il giurista, quale che sia il principio cui siispira, quali che siano le innovazioni che introduce nei pro-cedimenti interpretativi, ha il compito di stabilire non ciòche è ma ciò che deve essere. Ma ciò che deve essere presup-pone un giudizio di valore. E un giudizio di valore è p,xsempre un giudizio che non può essere empiricamente verifi-cato, ma se mai soltanto giustificato con argomenti persua-sivi. E l’argomento più consueto e più efficace per persuaderegli altri è mostrare che quel giudizio di valore è posto ocondiviso in ultima istanza da persone, reali o immaginarie,invcstitc di pwstigio o di potere superiore, Dio, il legisla-tore, il giudice, la società, il popolo, i grandi giuristi, latradizione, e nel caso limite, anche la propria coscienza.

6. Conclusioni

Concludo. Sono pronto a riconoscere l’importanza dellapresente rivalutazione della nozione di natura delle cose.Essa è uno spiraglio aperto verso una miglior comprensionedel lavoro del legislatore, del giudice 2 del giurista nellaformulazione delle regole, e soprattutto è un elemento co-stitutivo della concezione del diritto come tecnica della con-vivenza sociale, che, come ho detto all’inizio, mi pare sopraogni altra accettabile. Ma la riconosco a due condizioni:1) che la nozione di « natura delle cos2 » sia precisata e la

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212 Del giusnatrrralismo

si adoperi non come una formula suggestiva ma in un si-gnificato tecnico rigoroso; 2) che riconosca i propri limitie non pretenda di aprire tutte le porte. Per quanto riguardala prima condizione, propendo a credere che il procedimentoimpiegato nel ricavar regole dalla natura delle cose coincidacol cosiddetto ragionamento teleologico. E pertanto riterreiopportuno sostituire l’espressione troppo vaga di « naturadelle cose » con quella di « funzione economico-sociale » diun istituto. Quanto alla seconda condizione, la carica pole-mica della nozione di natura delle cose, si imbatte in treostacoli che mi paiono insuperabili: la differenza tra la ri-cerca dei mezzi e la posizione dei fìni, tra la conoscenzadi una regola e la sua legittimazione, tra una qualsiasi scienzaempirica e la scienza giuridica.

Il punto fondamentale sta per me nel rendersi conto chenon si tratta di sopprimere il momento sociologico nel nor-mativo e viceversa, ma di delimitare i due campi e di rico-noscere la distinzione dei problemi che vi si riferiscono.

Appendice a

Ancora !+l -diritto natur& *_ _. __ _ ._._

Tra le recenti difese del diritto naturale, trascelgo, per aprireuna discussione, quella esposta da John Wild nel libro Plato’sModem Enemies and the Theory of Natura1 Law (The Universityof Chicago Press, 1953, pp. X1-259). La trascelgo perché l’autoreci fa sapere chiaramente che cosa intende per diritto naturale,mentre la maggior parte degli attuali difensori si perdono nelF,enerico, ed espone ordinatamente il proprio pensiero valendosidi argomenti teorici, mentre di solito gli appassionati e improvvi-sati giusnaturalisti di oggi ricorrono ad argomenti retorici o sug-gestivi, quale quello che mette in relazione gli orrori delle ditta-ture e delle guerre contemporanee con la crisi del diritto naturale.

Il libro dc1 Wild prende le mosse da alcuni scritti anglosassoni,tra cui piU pioto quello di Karl Popper, che nell’ambito del rinno-vato empirismo rapprescnlano una vera e propria corrente anti-platonica: questi scrittori hanno in vario modo accusato Platonedi essere un pensatore antidemocratico, precursore del -modernototalitarismo, del razzismo, del fascismo, ecc. Ma la difesa diPlatone non è che lo spunto dell’opera. Wild risponde che nonsi può comprendere Platone se non si comprende la teoria deldiritto naturale, di cui l’etica platonica è una manifestazione, enon si comprende la teoria del diritto naturale se non ci si rendeconto che essa è la più compiuta elaborazione di una concezionerealistica c oggettivistica dell’etica, è, brevemente, realismo etico.Ma questi odierni nemici di Platone non possono comprendereun’etica realistica e oggettivistica, perché sono soggettivisti, irra-zionalisti, emotivisti, convenzionalisti, relativisti, proprio comei nemici di allora, i sofisti. Alla confutazione della nuova sofisticaì* dedicato il libro, la cui tesi centrale è la seguente: la dottrinatic1 diritto naturale è una dottrina etica realistica, anzi è la dottri-na realistica per eccellenza, perché fonda il valore sul fatto; cometale si oppone a tutte le dottrine etiche soggettivistiche che sepa-rano la sfera dei valori da quella dei fatti.

* Il libro di John Wild, cui è dedicata la presente nota, è stato ampia-mente discusso anche dal Kelsen in un articolo che apparve contempora-neamente al mio: A Dinanzic Theory of Nalf~ul Law, in « Louisiar,a L a wReview D, XVI, 1956, pp. 597-620, quind: raccolto nel volume Whnt irJustice?, California University Press, Rerkeley and Los Angeles 1957. pp.17497. Anche la critica del Kelsen, sottile e convincente, è fondata sullaconfusione, operata dal Wild, tra mondo dei fatti e mondo dei .y.alori.

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Appendice b

La natura delle._cose nella dottrina italiana

1. La discussione sulla « natura delle cose » fu introdottain Italia, alla fine del secolo scorso, dagli studiosi del diritto com-merciale. Per la sua natura e la sua origine, il diritto commercialeera sempre stato un campo in cui le fonti del diritto diverse dallalegge, come la consuetudine e l’elaborazione scientifica, avevanoopposto maggior resistenza al fatale processo di monopolizza-zione del diritto da parte dello stato. Nei maggiori trattati tede-schi -di diritto commerciale, della-sec&da meta del secolo scorso,da cui trassero ispirazione gli studiosi italiani, la natura dellecose appariva quasi costantemente come fonte del diritto accantoalla legge e al!a consuetudine; ed era la fonte del diritto da cuiricavava iI proprio materiale e giustificava la propria autonomia,accanto al diritto legislativo e al diritto consuetudinario, il di-ritto scientifico. Goldschmidt, dopo aver affermato che ogni rap-porto sociale porta con sé « seine angemessene, natiirliche Rechts-stitze », sosteneva che il più alto compito della scienza giuridicaconsiste nella scoperta e nella formulazione del diritto imma-nente alle cose stesse ‘. Th61 e Behrend ponevano natura dellecose e diritto scientifico nella stessa rubrica; e il primo, dopoavere specificato che la scienza giuridica può ricavare regole giu-ridiche « aus factischen Grundlagen, aus der Natur der Sache, derVerhaltnissen, der Institute, des Thatbestandes, also aus dem Fac-tischen », concludeva con un’affermazione che mostrava l’enormeimportanza della natura delle cose come fonte di diritto nellosviluppo del diritto commerciale: « Ein grosser Theil des Han-dclsrcchts bcsteht aus solchen aus der Natur der Sache folgendenRcchtssatzen » *.

Uno dei fondatori della @cienza del diritto commerciale inItalia, Cesare Vivante (n. 1855-), nel fortunato Tvu~/ato di dirittocommerciale, i! cui primo volume apparve ne! 1893, accolse esp!i-citamente tra le fonti del diritto la~~ti&k Jelle cose con unaformulazione che riecheggiava le tesi dei giuristi tedeschi. Poichél’opinione del Vivante fu il punto di partenza della discussioneche si svolgerà in Italia per più di due decenni, conviene ripor-tarla testualmente: « Talora la regola emerge immediatamentedalla natura dei fatti e deve dirigere la sentenza dei giudici, ben-

’ L. GOLLWXMIDT, Hnndbuch des Handelsrechfs, Verlag von FerdinandEnk? Etlangen. Cito dalla 2’ ed. del 1874, 5 34, pp. 301-2.

I. Fr. BEIIREND, Lchrhuch des liandelsrechts, Verlag von 1. Gutten-tag, Betlin und Leipzig 1886, Bd. 1, 4 19, p. 85; FI. THOL, Das Handels-re&, Pues’s Verlag, Lcipzig. Cito dalia 6’ ed., 1879, 4 15, p. 59.

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2 2 6 Del giusnaturalismo

ché non sia configurata né in una legge né in una consuetudine.Queste lacune sono frequenti negli affari commerciali, che p i -gliano continuamente nuove forme non previste dal diritto posi-tivo ed è compito della pratica forense di fissare la regola giu-ridica, che è conforme alla loro natura » ‘. Precisava quindi inuna nota che « a questa intima natura delle cose » si era ispirato« quel diritto naturale (naturalis ratio) che rinnovò col suo con-tinuo alimento il diritto civile di Roma » ‘. Riconosceva in unaaltra nota che solo in seguito alla ricerca scientifica degli avvocatie dei giudici, le corti avevano fissato la disciplina giuridica diparecchi istituti, accolti poi dal codice s, e nel paragrafo suc-c&sivo dichiarava che « mercé lo studio delle cose e del diritto chele governa naturalmente la scienza prepara anche fa legge del-l’avvenire perché la prima re ola di ogni costruzione giuridica èl’osservazione genuina d e i fatti » 6. Dal riconoscimento dellanalura delle cose come vera e propria fonte del diritto traevainfine la conseguenza più radicale, in quanto attribuiva alla Cortesuprema il potere di cassare una sentenza che avesse qualificatoun rapporto giuridico « in modo contrario alle esigenze della suanatura » 7.

2. Nonostante l’indiscussa autorità di cui godeva il Vivante,questo suo tentativo di introdurre la natura delle cose tra lefonti del diritto non fu accolto con favore. La communis opiniodei giuristi italiani è stata ed è tuttora contraria all’a!larga-mento delle fonti del diritto oltre quelle previste dallo stesso legi-slatore. Nei trattati la natwa delle cose non è generalmente nep-pure menzionata; e quando viene menzionata, viene di solitocollocata, insieme con la dottrina, la giurisprudenza, l’equità,ecc., tra le « pretese » fonti del diritto.

Già nello stesso anno in cui usci il primo volume del Trattatodel Vivante, il suo quasi coetaneo Leone Bolafio (n. 1848), giuri-sta non meno autorevole, prese netta posizione in una recensione,del resto piena di elogi, del Trattato, contro l’illegittimo innalza-mento della natura dei fatti a fonte del diritto, compiuto dal Vi-vante « sulle tracce dei tedeschi », se pure « con argomentazioniproprie ». La natura dei fatti, egli commentò, iniziando la seriedelle confutazioni che si sarebbero susseguite più o meno sullastessa falsariga, poteva costituire un elemento prezioso per l’inter-

’ C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, Bocca, Torino 1893,vol. 1. § 9. nn. 21-2. P P. 64-6. Cir « dalla 3” ed., Vallardi, Milano 1907, vol.1, § $,-nn: 25-6, pp: 91-3.

’ Op. cit., p. 91.’ Op. cit., p. 92.’ Op. cit., p. 93.’ op. cit., p. 92.

Lu natura delle cose nella dottrina italiana 2 2 7

pretazione: « ma norma legale, no, né per forza di legge, né perforza d’autorita ». Bastavano, allo scopo di riempire i vuoti, l’ana-logia e i principi generali del diritto; non c’era affatto bisognodi evocare evanescenti fantasmi II.

Risposero poi direttamente al Vivante, per negare alla na-tura delle cose lo status di fonte del diritto, due ben noti studiosidel diritto commerciale della più giovane generazione, AlfredoRòcco (n. 1875) e Antonio Scialoja (n. 1879). Entrambi escluseroche-si potessero ammettere altre fonti di produzione giuridica.oI-tre la legge e la consuetudine e attribuirono alla natura deile cOSeun’efficacia limitata all’ambito dell’interpretazione del diritto: ‘ilprimo, parlando di una fonte d’interpretazione o di conoscenza deldiritto accanto alle fonti di produzione 9, il secondo, parlando dimezzo o sussidio per l’applicazione e per l’interpretazione deldiritto e condannando quindi la confusione tra il processo di for-mazione e il processo di applicazione del diritto lo. Ammetterela natura delle cose come mezzo d’interpretazione e non come fon-te di produzione voleva dire riconoscere l’utilita di analizzare lanatura del fatto o del rapporto o dell’istituto allo scopo di inter-pretare e di applicare al caso concreto una regola gia data, manello stesso tempo escludere che questa analisi fosse da sola ingrado di fornire una regola nuova.

Al di fuori della polemica immediata col Vivante, la consi-derazione della natura delle cose come fonte di conoscenza e nonfQ&u;ione, o, come anche si disse, come fonte materiale e non

valente t;aha finito per diventare l’opinione di gran lunga pre-

i giuristi italiani, tra i quali mi è accaduto di ri-scontrare Giuseppe Messina 12, Francesco Ferrara 13, Tullio Asca-

’ B. [ LEONE BOLAFPIO], ree. al Tmtuto di diritto commerciule, 1893,vol. 1, di C. Vivante, in *Temi veneta ., XSWI. 1893, p. 469.

* Alfredo Rocco, L‘interpretazione delle leggi processuali, in a fuchi-vio giuridico *, LXXVII, 1906, pp. 87-150. La citazione è a p. 102. Cfr.anche, dello stesso autore, Corso di diritto commerciale, La litotipo, Padova1921 (dispense litografate), pp. 131-2. Nello stesso senso anche ArturoRocco, Il problema e il metodo della scienza del diritto penale, in a Rivistadi diritto e procedura penale *, 1, 1910, p. 46 (estratto).

” A. SCXALOJA, Le fonti e l’interpretazione del diritto commerciale,Unione tipografica cooperativa, Perugia 1907, 5 35, p. 57.

” Questa distinzione viene accolta, proprio a proposito di fonti, comela necessita, la comune convinzione degli uomini, la scienza, e a concettopiù elevato e comprensivo D la natura, delle cose, da D. ANZILOXTI, Teoria

fenerale della responsabilitd dello Stato nel diritto internazionale, parte l’,1 problema della tesponsabilitd di diritto internazionale, F. Lumacti Iitxni*

editore, Firenze 1902, p. 30, nota 1.‘* G. MESSINA, 1 negozi fiduciari (1910), ora in Scritti giuridici, Giuf-

fr& Milano 1948, 1, p. lOO? n. 231. Contro coloro che invocano la naturadelle cose come fonte di dwitto afferma che «essa non da che I’elementomateriale della costruzione P.

” F. FERRARA, Trattato di diritto ciuile italiano, 1. Dottrine generali,Athenaeum, Roma 1921, p. 152. Delle pretese fonti del diritto, tra cui pone

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228 Del giusnaturalistno La natura delle cose nella dottrina italiana 229

relli “, Umberto Navarrini “, Paolo Greco 16, Mario Rotondi “,Francesco Messineo ‘*.

3. Gli argomenti addotti per negare alla natura delle cose10 status di fonte formale del diritto positivo italiano sono vari.Se ne possono indicare soprattutto quattro. Il primo 8 di naturaemotiva e quindi assai fragile: consiste nel mettere innanzi lospauracchio del diritto naturale, affermando che il riconoscimentodella natura delle cose come fonte del diritto implica la credenzain un diritto superiore al diritto positivo e quindi in ultima istan-za il ritorno all’aborrito diritto naturale 19. Il secondo argo-mento è di natura etico-politica e sottolinea le conseguenze pra-tiche che deriverebbero dall’accoglimento di regole derivate dallanatura delle cose: la formulazione di queste regole, affidata allavalutazione personale e all’elaborazione soggettiva dell’interprete,finirebbe per mettere a repentaglio la certezza del diritto m. Ilterzo argomento, di natura logica, è razionalmente il più strin-gente: consiste nel mostrare che la pretesa di ricavare una regoladall’esame della natura delle cose si risolve nell’errore logico, noto

Ia ragione umana, il sentimento giuridico, la natura delle cose, dice chen bisogna usare con prudenza, ma usare sempre nell’applicazione, non perla creazione del diritto ».

” T. ASCARELLI, Il problema delle lacune e l’art. 3 Dis. Prel. nel di-ritto privato, in E( Archivio giuridico B, XCIV, 1925, pp. 235-79. Considerala natura delle cose come « prezioso ausilio dell’interpretazione s che diper SC non può suggerire la norma giuridica (p. 260). Cfr. anche L’impor-tanza dei criteri tecnici nella sistemazione delle disci line iuridiche e deldiritto agrario, in * Atti del primo Congresso “aziona e dlf ’ airitto agrario »Tip. editrice Mariano Ricci, Firenze 1935, p. 105; e la * Prefazione » aiJaggi di diri/to commerciale, GiuffrP, Milano 1955, p. 3, in cui affefma, aproposito della natura delle cose, che non bisogna soswuire la soclo!ogiacuri il diritto, confondendo le constatazioni storiche con le valutazioni nor-mative.

” U. NIVARRINI, Trattato elementare di diritto cbmmerciale, UTET,Torino 1935, 4’ ed., vol. 1, p. 39: « La natura dei fatti rientra nei criterid’interpretazione, perché determina il metodopet la interpretazione del diritto adattandolo a

fp’ la costruzio?e e quindie esigenze pratIche ».

Ib P. GRECO, Lezioni di diritto commerciale, Giappichelli, Torino 1936(dispense litografate), pp. 27-8. Distingue le fonti formali dalle fonti mate-riali, e considera la natura delle cose tra le seconde.

” M. ROTONDI, Istituzioni di diritto privato, Casa editrice ambrosiana,Milano 1942, 4’ ed., n. 38, pp. 64-6, il quale riconosce l’importanza dell’at-tento esame del fatto per la migliore comprensione delle norme giuridiche,ma esclude perentoriamente che dall’esame del fatto si possa desumere laregola perché *fatto e diritto si ptesentano come termini contrapposti *te. 65).

” F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Giuffrè, Mi-lano 1950, s’ ed., vol. 1, pp. 66. Ammette che la natura dei fatti & unelemento da tenere in considerazione in sede d’intetpretazione della norma.

” Rocco, Corso di diritto commerciale, cit., pp. 131-2.m FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, cit., p. 152.

,

dal Moore in poi col nome di « naturalistic fallacy », ossia nell’er-rore di credere che sia possibile trarre un giudizio di valore da ungiudizio di fatto. Beninteso i giuristi che si valgono di questo ar-gomento non lo espongono in modo rigoroso: esso prende di soli-to forma nell’affermazione che è impossibile ricavare una regoladal fatto perché la regola precede il fatto ed è la regola che qua-lifica il fatto e non viceversa “. Il quarto argomento è di naturagiuridica: fa appello alla lettera e allo spirito del sistema positivoitaliano, il quale - per quel che riguarda la lettera - non am-mette o sembra non ammettere altre fonti di produzione giuridicaoltre quelle espressamente previste dall’art. 1 delle Disposizionisulla legge in generale, e - per quel che riguarda lo spirito - èinformato al principio di legalità e alla separazione dei poteri,onde si ritiene inammissibile l’introduzione di nuove fonti del di-ritto che aprirebbero il varco alla creazione del diritto da partedel giudice “.

A proposito di quest’ultimo argomento è sempre stata fre-quente tra i nostri giuristi l’osservazione che il ricorso alla na-tura delle cose poteva essere più facilmente ammesso in altri or-dinamenti, come quello francese e quello tedesco, in cui non sonoespressamente previsti i procedimenti da seguire in caso di lacuna,che non nel nostro ordinamento, ove l’allora art. 3 delle Disposi-zioni preliminari (corrispondente all’art. 1.2 attuale) prevedeva,in caso di lacuna, il ricorso all’analogia e ai principi generali didiritto, cioè a metodi di autointegrazione dell’ordinamento. Ep-pure la discussione intorno alla natura delle cose in Italia ebbeil suo momento. più felice proprio in occasione di una famosa di-sputa che si accese tra il 1921 e il 1925 intorno all’interpreta-zione dell’art. 3 predetto e in particolare al modo con cui dovesseessere intesa l’espressione « principi generali di diritto . .

4. La discussione fu aperta nel 1921 da un articolo del piùautorevole filosofo del diritto del tempo, Giorgio Del Vecchio, ilquale scelse la scomoda posizione di opporsi all’interpretazione

; ormai divenuta dominante tra i giuristi circa i principi gene-rali di diritto. Secondo l’opinione dominante per u principi ge-

l’ ASCARELLI , Il problema delle lacune, cit., p. 260. Nel modo piùcompiuto ed esemplare, ROTONDI , Istituzioni di diritto privato, cit., * . ..èlogico che nessun rapporto, nessun fatto si pub valutare, se non formulandoun giudizio, in base a un criterio necessariamente distinto, ed estrinseco adesso...; non si pub negare che, logicamente, la norma non pub concepirsiche come qualcosa di idealmente preesistente al fatto, che solo ci rendepossibile di valutare giuridicamente la natura di esso. Per valutare un fattodal punto di vista del diritto occorre appunto concepire la norma di dirittocome qualcosa di indipendente e preesistente w (p. 65).

*’ Anche questo argomento è chiaramente esposto da ROTONDI, op. cit.,p. 66.

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2 3 0 Del giusnattrralismo La natura delle cose nella dottrina italiana 231

nctali di diritto » dovevano intendersi quelle norme gencralissi-me che potevano ricavarsi attraverso un processo di successivegeneralizzazioni delle norme vigenti, e quindi più precisamente iprincipi generali del diritto positivo e vigente. Il Del Vecchio so-stenne, invece, anche con argomenti testuali, la tesi opposta: iprincipi generali cui il nostro legislatore si eta richiamato etanogli stessi principi del diritto naturale. Parlando del diritto natu-rale, il Del Vecchio comprendeva nella nozione di diritto naturaleanche il riconoscimento dell’« esistenza di un necessario tappot-to tra la sostanza intrinseca delle cose e le rispettive regole didiritto » =: in tal modo lasciava capire che tra ricorso ai prin-c\pi generali di diritto e ricorso alla natura delle cose non ci po-teva essere, per lo meno secondo la sua intcrprctazionc e dci ptin-clpi generali di diritto c del diri t to natotalc, a l c u n a diffcrcnza.

Alla fine dello Stesso anno sulla stessa rivista un giovanestudioso del diritto commerciale, Alberto Asquini (n. 1889), feceancora un passo avanti: riconobbe esplicitamente la natura deifatti come fonte di diritto, facendola passate, anch’egli, attta-vetso la porta dei principi generali di diritto se put con un atgo-mento diverso da quello adoperato dal Del Vecchio. Per il DelVecchio, poiché i principi generali di diritto si identificavano coiprincipi del diritto naturale, e i principi del dititto naturale sipotevano interpretate anche come tegole ricavate dalla natura del-le cose, gli stessi principi generali di diritto comprendevano ilricorso alla natura delle cose; pet l’Asquini, invece, il ricorso allanatura delle cose era, esso stesso, uno dei principi generali didititto, e quindi, come tale, legittimato dall’art. 3, in patticola-re era il principio generale che pctmetteva In chiusura dcl!‘otdi-namcnto giuridico c tic assicurava la complctczxn “. SenonchéI’Asyuini, nel momento stesso in cui ricsrlmava la tesi dc1 Vivantc,generalmente respinta, e dava alla natura delle cose il più ampioriconoscimento precisandone il ruolo di fonte formale dc1 diritto,se put valevole soltanto in caso di lacune, e quindi sussidiaria, laprivava del suo significato pregnante di fonte oggettiva di regole,definendola come luc~s a non lucendo, « la rappresentazione chedella funzione dei rapporti sociali e delle loto esigenze econo-miche fa la coscienza umana » 2s. Con questa interpretazioneI’Asquini risolveva un criterio di rilevazione giuriclics che preten-deva di essere oggettivo in un ctitctio soggettivo, anche se per« coscienza umana » egli intendeva non già la coscienza indivi-

” <;. 11~1. Vr~ccr~ro, Sui primipi grrtcrali del diriffo, in « Archivio giu-ridico », LXXXV, 1921, pp. 33.90. Or:I in .StrrJi sul diri//o, C;iufirc, Milano1958. vol. 1, pp. 207-X. Il passo citnto CZ :I p. 25-l. IJn richiamo esplicitoalla natura dei fatti, secondo la teoria dc1 Vivante, a p. 256, n. 84.

” h ASWUNX La rlaturn dei jn/fi corm fonte di diritro, in «Archiv iogiuridico;,, LXXXVI, 1921, pp. 12W7. In part~colate cfr. p. 145.

IS fiSQUIN1, op. cit., p. 138.

duale dell’interprete, secondo le proposte della scuola del dirittolibero, ma la coscienza collettiva alla maniera della scuola storica.

Certamente la natura delle cose cos1 interpretata sfuggivaall’obiezione che abbiamo considerata testé più striniente, cioèall’obiezione fondata sull’impossibilità di dedurre un giudiziodi valore da un giudizio di fatto; ma vi sfuggiva per il semplicemotivo che la natura delle cose veniva intesa come l’insieme dellevalutazioni date dalla coscienza collettiva su quel determinatorapporto, cioè per il fatto che il significato originario di naturaveniva - mi si permetta il bisticcio - completamente snatura-to 26. Non era più la natura del rapporto che dettava la regola,ma la coscienza che gli uomini ne avevano avuto in un determi-nato tempo e in un determinato luogo, che era poi a sua volta unavalutazione o un insieme di valutazioni: in questo modo il ricorsoalla natura delle cose si risolveva nel ricavate una tegola non dal-l’esame di un fatto, ma dall’esame di altre valutazioni precedenti,se pur esistenti allo stato fluido.

La soluzione data dall’bsquini al problema della natura dellecose testa un esempio caratteristico dell’ambiguità di questo con-cetto: nel momento stesso in cui si cerca di analizzarlo, si con-verte nel suo contrario.

5. Il riconoscimento della natuta delle cose nella dottrinaitaliana toccò i suoi fastigi in un articolo di Calogero Gangi, ap-parso due anni dopo, sempre sulla stessa rivista, come nuovo anel-lo della discussione intorno ai principi generali di diritto.

Il Del Vecchio aveva parlato, seguendo la vecchia dottrina, didiritto naturale; Asquini aveva ammesso la natura dei fatti mal’aveva interpretata in modo da non lasciatla più riconoscere. IlGangi disse chiaro e tondo che, d’accordo con Del Vecchio, i ptin-clpi generali di diritto non potevano essere intesi come prindpidel diritto positivo in vigore, e l’unico modo per intenderli era diintenderli come « dei principi generali, delle generali verità, cheson comuni a qualunque diritto e che stanno alla base di qualun-que diritto: ptinclpi generali, generali verità, che sono rivelatee dettate dalla ragione umana e da questa desunte dalla naturadelle cose, di cui l’uomo è parte » *‘. Poi si spinse molto più in-

” Questa osservazione fu del resto già fatta immediatamente do daG. PACCWONJ, 1 principi generali del diritto, in N Archivio giuri tco w,.s”XCI, 1924, pp. 142-3, il quale sostenne che per principi generali di dirittosi dovessero intendete i princ\pi generali elaborati dalla giurisprudenza.

I’ C,. GANGI Il problema delle lacune nel diritto privato, in (Archiviogiuridico w, LXXXIX, 1923, pp. 137-71. Il passo citato 6 a p. 155. Ma siveda anche, nello stesso anno., G. BRUNETTI, Le fonti e la funzione deldubbio ne& giurisprudenza, In * Giurisprudenza italiana B, LXXV, 1923,parte IV, cc. l-16. il quale scrisse che i principi generali di diritto dove-vano essere interpretati secondo la dottrina piti recente come (tutti quei

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232 Del giwnaturalismo La natura delle cose nella dottrina italiana 233

nanzi, affermando che anche il ricorso ai principi generali non erasempre sufficiente a colmare le lacune, onde la necessita di unafonte ulteriore ed ultima cui il giudice avrebbe potuto ricorrerenei casi estremi. Questa fonte ultima, non espressamente richia-mata ma ineliminabile, era la natura delle cose. La natura dellecose era la fonte delle regole poste dal legislatore: perché nonavrebbe dovuto essere la fonte ultima cui ricorre il giudice inmancanza delle regole poste dal legislatore? « 1 rapporti di vita- egli spiegava - quando siano scrutati attentamente ed analiz-zati minuziosamente in tutti i loro elementi... scoprono, ossia ri-velano, essi stessi alla ragione umana la norma più adatta al lororegolamento » m, Contro chi l’avesse voluto fare indietreggiaremettendogli innanzi lo spettro del diritto naturale, rispose in an-ticipo che il richiamo alla natura delle cose non aveva niente ache vedere col vecchio diritto naturaie, perché significava pura-mente e semplicemente « quella norma di decisione che l’interpre-te o il giudice desumera dall’esame minuto ed accurato di tuttiquanti gli elementi del rapporto da regolare » 29.

Il Gangi si preoccupò di controbattere l’obiezione fondatasull’argomento di diritto positivo, avvertendo che la regola trattadalla natura delle cose per colmare una lacuna avrebbe avuto va-lore soltanto nel caso concreto e non avrebbe mai potuto essereassunta a regola generale. Ma ciononostante non riusd a tran-quillizzare i suoi colleghi, fedeli generalmente alla più schiettaortodossia positivistica: Aldo Checchini, continuando la disputasui prindpi generali e proponendone una nuova interpretazione,rispose additando il pericolo del soggettivismo e dell’incertezza,e condannando la soluzione anche rispetto all’ius condendum m.Sfortunatamente il Gangi non si preoccupò di confutare l’argo-mento logico contro la natura delle cose: non sospettò neppurel’esistenza della difficoltk E in una replica ai suoi contraddittoricontinuò a ripetere, senza fornire alcuna dimostrazione, che sa-

prindpi, che la coscienza comune, illuminata dalla tradizione e dalla r ‘o-ne, derma desumendoli dullu natura dei lutti, ci& dei rapporti SOCITL(c. 13, il corsivo è mio). Quindi P. COGLIOLO, 1 principii generali del diritto,in n Il diritto commerciale *, XVI, 1924, parte 1, pp. 161-85, per il quale!dLzeE dei principi generali di diritto deve essere fatta attraverso l’esame

e della natura degli istituti, con questa precisazione: * Lp na-tura der attt, la natura delle cose, la natura det fenomeni costituiscono per.p”.ogni legislatore l’indicazione della regola da creare per quei fatti, per quellecose, per quei fenomeni: la difhcoltà e conoscere uesta rerum nuturu, e,conosciutala, i principi regolatori sono appunto quel 1 che conferiscono allo9.scopo...: nasce dunque dal codice stesso il principio generalissimo: ognifatto umano deve avere le norme che lo proteggono per il raggiungimentodel suo stono lecito. ID. 176).

u Op. cit., p. 163.‘-n Op. cit., p. 166.)” A. C H E C C H I N I, Storia della giurisprrtdenzu e interpretazione deh

legge, in a Archivio giuridico *, XC, 1923, pp. 167-230. La critica alla tesidel Gangi si trova a p. 210, n. 1.

rebbe bastato « il ricorso all’esame attento, minuto, di,tutti quantigli elementi del rapporto da regolare » per trovare in caso di la-cuna la norma di decisione3’. Ma la difficolta fu additata, tragli altri, dal giovanissimo Ascarelli, il quale chiuse la disputa conun articolo in cui salomonicamente dava ragione ai giuristi posi-tivisti sul piano dogmatico e ai critici del positivismo sul pianostorico e filosofico, e a proposito della natura delle cose denun-ciava l’errore consistente nel mettere i fatti innanzi ai valori 32.

6. Con. la fine di questa prima fase della disputa intornoai principi generali di diritto la fortuna della natura delle cosenella dottrina italiana si esaurl. Prevalse incontrastata l’inter-pretazione piìr ristretta dei principi generali, d che nel nuovocodice, attualmente in vigore, aflinche fosse eliminato ogni dubbio, la vecchia formula troppo generica 8 stata mutata nella for-mula più specifica « piinc_ìpi -generali dell’ordinamento giuridicodello stato » (art. 12 Disp. sulla legge in generale ,lanatura delle cose è stata finalmente snidata da1

e in‘tal.gZsasuo ultimo ri-

fugio. Non valse a rinfrescarne l’interesse la traduzione del notoarticolo di Gustav Radbruch che apparve sulla « Rivista interna-zionale di filosofia del diritto » nel 1941, per opera di BrunoLeoni 33,

Nel 1940 aveva avuto luogo la seconda fase della disputaintorno ai prindpi generali di diritto, vertente, questa volta, nontanto sulla loro natura e validità quanto sull’opportunità di unaloro formulazione de iure condendo. È significativo il fatto chenel lungo saggio di Vexio Crisafulli, che riassumeva i terminidella questione, e fu pubblicato sulla stessa rivista in cui era ap-parsa la traduzione del saggio di Kadbruch, e nello stesso anno,alla vecchia questione della natura delle cose non era dedicataneppure una riga U.

La crisi del positivismo giuridico e la cosiddetta rinascitadel diritto naturale, avvenuta in questo secondo dopoguerra, nonhanno indotto i giuristi italiani a mutare la rotta e a riproporsiil problema della natura delle cose, come è avvenuto invece in Ger-mania. Nella più importante opera sull’interpretazione giuridica

” C. GANGI, Ancora sul problema delle lacune nel diritto privato, in* Studi nelle scienze giuridiche e sociali pubblicati dall’Istituto di esercita-zioni presso la Facolti\ di Giurisprudenza della R. Universi& di Pavia s,1X, 1925, pp. 71-106. Il passo citato è a p. 92. Questa replica i? rivolta inparticolare al Pacchiani e al Checchini.

” ASCARELLI , Il problema delle lacune. cit.. v. 266.” G. RADBRI~H i.u natura della coru c&e johnu giuridicu di pensiero,

in *Rivista internazjonale di filosofia del diritto s. XXI. 1941. DD. 145-56.y V. CRISAFULLI, Per la’ determinazione del &ncetto dei &nhpi ene-

ruli del diritto, in Q Rivista internazionale di filosofia del diritto D, LI,1941, pp. 41-63; 157-81; 230-64.

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234 Del giusnaturalistno La natura delle cose nella dottrina italiana 235

apparsa nella dottrina italiana, che è del 1948, l’autore, EmilioBetti, riesuma ed accoglie l’interpretazione soggettivistica dellanatura delle cose, già avanzata dall’Asquini, e ripresa dal Pac-chioni, e condanna « l’illusione ingenuamente oggettivistica » delGangi, il quale riteneva che i rapporti di vita rivelino la regolaad essi immanente qualora siano analizzati minuziosamente intutti i loro elementi. « Non è, né può essere, cos): perché non sitratta di registrare ab extra dati naturali, ma di apprezzare esigen-ze della vita sociale: e qui è proprio vero che ciascuna societàstoricamente determinata vede ciò che ha nel cuore, ossia quel chepif le preme e le sta a cuore, e parimenti ciascuna epoca storicavede le stesse cose con occhi diversi » 35.

Quel ch’è più, la nozione stessa di natura delle cose, cui purefa spesso riferimento il Codice civile attualmente in vigore, inespressioni come « natura della prestazione » (art. 1182, commal), « natura dell’affare » (artt. 1326, 1329, 1330, 1333), « naturadel rapporto » (art. 1360), « natura del contratto » (artt. 1369,1389, 1454), « natura dei contratti » (art. 1469), « natura dellasomministrazione » (art. 1569), « natura della cosa » (art. 1800),non ha generalmente attirato l’attenzione dei giuristi e non è maidiventata oggetto di un’analisi specifica %. Da un primo e som-mario esame dei principali commentari del Codice civile 37 agliarticoli citati, non sembra che l’espressione usata dal legislatoreabbia sollevato problemi degni di essere discussi: probabilmenteè apparsa ovvia, perfettamente comprensibile e innocua. Eppurela lettura di questi articoli lascia credere che uno studio sullanatura delle cose potrebbe cominciare, anziché dalle solite astra-zioni filosofiche. nroprio dall’analisi dell’uso di questa nozionenel linguaggio deistanti e dal auale

legislatore, che presenta alcuni caratteri co-quindi appare possibile ricavare una prima

generalizzazionL.

7. 11 problema,questi ultimi anni. . . .

caduto di mano ai giuristi, è stato raccolto indai filosofi del diritto, i quali, quando i

giuristi ne discutevano, non avevano mai interloquito, tranne,come abbiamo visto, il Del Vecchio 38. Peraltro, con l’interventodella critica filosofica, la discussione sulla natura delle cose ha

” E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Giuffrè.Milano 1949, p. 215.

y L’elenco di questi articoli mi & stato gentilmente comunicato dalprof. C. E. Balossini.

” Ho riscontrato i noti commentati pubblicati dalle Case editrici Bat-bera, Societa editoriale libraria, Utet e Zanichelli.

y Il Del Vecchio è rimasto col passar degli anni fedele alle sue idee.Si veda una sintesi del suo pensiero circa il rapporto tra la natura e il di-ritto, tra il diritto naturale e il diritto positivo, nelle Lezioni di filosofiadel diritto, di cui cito la 12’ ed., GiuffrP, Milano 1963, p. 371 SS.

cambiato direzione: questa ormai viene in questione non tanto co-me fonte del diritto quanto come argomento o topos del ragienamento giuridico. Nello svolgimento della discussione sulla na-tura delle cose in Italia si possono in tal modo distinguere net-tamente due fasi: nella prima fase, svoltasi nel primo quarto disecolo, i giuristi fecero, come abbiamo visto, qualche tentativo,se pur sporadico, di utilizzare la nozione, o in sede di teoria dellefonti o in sede di teoria dell’interpretazione, per smuovere le ac-que della ristagnante dogmatica, ma i filosofi generalmente nonmostrarono alcun interesse al problema che fu lasciato, del restonon soltanto in Italia, in istato di grande abbandono; nella se-conda fase che, dopo un silenzio da ambo le parti di circa ven-t’anni, si sta svolgendo sotto i nostri occhi, mentre i filosofi sisono accorti dell’esistenza del problema e vanno sottoponendoad analisi critica la nozione di natura delle cose, i giuristi sem-brano ormai completamente assenti dal dibattito. Non si può direperaltro che nel passaggio dall’una all’altra fase le sorti dellanatura delle cose siano migliorate: la tendenza sinora prevalsapresso coloro che hanno affrontato l’analisi filosofica della no-zione, e nel senso di non riconoscerne la validità o per lo menodi limitarne la portata.

Non vorrei sbagliarmi, ma il primo saggio critico sulla na-tura‘delle cose scritto da un filosofo del diritto italiano ma pubblicato in lingua tedesca, è stata la relazione da me svolta nell’ot-tobre 1957 al congresso di Saarbriicken che aveva giusto per tema« Die Natur der Sache » 39. In questa relazione mi proposi didiscutere soprattutto tre punti: la natura delle cose come conce-zione generale del diritto (antivolontarismo), come fonte del di-

M N. BO B B I O, Uber den Begriff der Natur der Sache, in e Archiv tirRechts- und Sozialphilosophie a, XLIV, 1958, pp. 305-21 (ora ripubbli-cato come cap. 1X di questa raccolta). Ma si vedano,. precedentemente,l’accenno di W. CESARINI SFORZA, Ex facto ius oritur, m Studi filosofico-

iuridicis

dedicati a Giorgio Del Vecchio nel XXV anno di insegnamento,ocietà tipografica modenese, Modena 1930, vol. 1, p. 95; le pagine de-

dicate alla natura delle cose a proposito della discussione se il dirittosia riducibile al fatto in P. P IOVANI, Il significato del principio di e#et-tic&, Giuffrè, Milano 1953, p. 123 S S. ; e quelle sullo stesso argomentodi G. FASSÒ, Lu storia come esperienza giuridica, Giuffrè, Milano 1953.

87-8, e di L. CAIANI, 1 giudizi di valore nell’interpretazione giuridicaElkDAM, Padova 1954, pp. 144-5, 248-9 che nega la legittimita del ricorsoalla natura delle cose in sede logica. Il iostante atteggiamento polemico neiconfronti della natura delle cose risulta anche da questa battuta di G. FAS-sb: a . . . l’intramontabile mito del diritto naturale, magari sotto le equivochespoglie della natura delle cose s (a Sociologia e diritto nel loro nesso e neiloro limiti ., in Filosofia e sociologia, Il Mulino, Bologna 1954, p. 166). Madello stesso Fassò, in senso favorevole all’utilizzazione della natura dellecose da parte del giudice, si veda il più recente volume La legge della ra-gione, Il Mulino, Bologna 1964, p. 237, note 43, 44, 46, con un riferimentoad una sentenza della Corte Costituzionale.

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2 3 6 Del giusnaturalismo

ritto (antilegalismo) e come mezzo interpretativo (anticoncettua-lismo). In tutti e tre i sensi cercai di mostrare come il bersa-glio polemico non fosse stato mai pienamente raggiunto e comeil richiamo alla natura delle cose promettesse assai più di quelche riuscisse a mantenere. Feci anche un tentativo, che però nonha avuto seguito, d’identificare il ricorso alla natura delle cosein sede d’interpretazione, cioè in quella sede in cui ha trovatosinora maggiori consensi (anche dagli avversari), con I’interpre-tazione teleologica. Dicevo: « Per parte mia credo che, quandoil giurista parla di natura di un oggetto o di un soggetto o diun comportamento o di un’istituzione, si riferisca al rapportomezzo-fine e presupponga consapevolmente 0 inconsapevolmenteil principio fondamentale di Iherinp: “ Lo scopo è il creatore ditutto il diritto ” . . . La regola fondamentale cui il giurista si ispiraper produrre nuove regole traendole dalla natura delle cose è laseguente: “ Se un certo fine e obbligatorio (o proibito), sono daconsiderarsi obbligatori (o proibiti) tutti i mezzi oggettivamenteatti a raggiungerlo ” N @.

Segd l’anno dopo un’ampia rassegna del pensiero tedescosulla natura delle cose, in particolare sulle teorie del Radbruche del Maihofer, di un filosofo del diritto esordiente, AlessandroBaratta ‘l, il quale contrappose alla filosofia naturalistica tede-sca, che aveva aperto un troppo facile accesso alla natura dellecose, la prospettiva soggettivistica dell’idealismo italiano nell’in-terpretazione di Cesarini Sforza, per cui, non esistendo se non perastrazione una natura distinta dallo spirito e quindi un fatto di-stinto dall’atto, la natura da sola non è buona a nulla e restitui-sce unicamente quel che ci si mette dentro. Nelle conclusioni cri-tiche Baratta, rifacendosi all’idealismo nostrano, riecheggiava ifondamentali motivi polemici che la dottrina italiana aveva co-stantemente e severamente ribaditi nei confronti della natura del-le cose come fonte del diritto: e così, nel momento stesso in cuirichiamava l’attenzione degli studiosi italiani sul dibattito cheferveva in Germania, si faceva interprete, ancora una volta, deldisagio che ogni concezione oggettivistica e naturalistica del di-ritto ha sempre provocato in una cultura, come la nostra, con-sacrata al culto dello spirito creatore e devota allo storicismo.Di questa filosofia giuridica ispirata all’idealismo italiano Ba-ratta diceva che « mostra l’impossibilita di fondare nei fatti unanormatività oggettiva indipendente dalla valutazione e dalla voli-zione del soggetto, e di scorgere nella natura del fatto un valoreche preceda l’atto e la qualificazione del soggetto: giacché la na-

(o Uber dm Begrig der Nutur der Suche, cit., p. 317 (in questa rac-colta, p. 208).

” A. BARATTA , Notura del futto e diritto nuturule, in e Rivista inter-nazionale di filosofia del diritto P, XXXVI, 1959, pp. 177-228.

La natura delle cose nella dottrina italiana 237

fura dell’atto è l’attivita del soggetto che lo pone e lo qualificacreandone e ricreandone il senso » “.

8. Certo è che in questi ultimi anni, per la prima volta, lanatura delle cose è entrata a far parte dei temi abituali e addi-rittura obbligati della filosofia del diritto: se ne parla e la si di-scute in recenti monografie, pur dedicate ad altri argomenti, co-me quella di E. di Robilant ” e quella di A. G. Conte”. Maforse la miglior prova del suo riconoscimento è data dal fatto cheuna delle grandi enciclopedie giuridiche italiane, che nell’edizionedi prima della guerra non faceva posto tra le innumerevoli vocidei suoi dodici poderosi volumi alla natura delle cose, nella nuovaedizione in corso ha dedicato all’argomento un’ampia trattazione,per opera di Nello Morra, che è, oltretutto, sino ad ora, l’esposi-zione più esauriente del tema “.

Peraltro, se è mutato l’interesse per il problema, non è mu-tato il tradizionale atteggiamento polemico: tutti e tre gli autoritesté citati sono sostanzialmente d’accordo nell’opporre alla va-lidità della natura delle cose come fonte di regole giuridiche l’ar-gomento fondato sull’indeducibilità del valore dal fatto. In par-ticolare, Robilant, che si occupa del problema in due parti diversedel suo libro, nega, per un verso, che la natura delle cose deter-mini direttamente e univocamente le valutazioni del legislatore,e contesta, per altro verso, che per ciò stesso il ricorso alla na-tura delle cose costituisca fondamento sufficiente dell’oggettivitadelle valutazioni, là dove afferma che essa si risolve tutt’al piùin un richiamo alla maggiore o minore fondatezza dei criteri digiustizia. Conte si sofferma a ricordare che il derivare il valoredal fatto e illusione ricorrente ed antica, prendendo ad esempiola pretesa di derivare norme del buon soldato dal concetto di sol-dato. Movendo anch’egli dall’argomento della fallacia naturali-stica, Morra abbatte sistematicamente i vari ripari innalzati daifautori della natura delle cose a favore della loro dottrina; l’ac-cetta come criterio e strumento d’interpretazione dichiarativa deldiritto, e ne delimita l’impiego nell’mterpretazione abrogante enella determinazione della condotta da tenere in base a una nor-ma finale; chiarisce infine il nesso che lega la natura delle cose ai

o Op. cit., p. 222.u E. DI ROBILANT , Sui principi di giustiziu, Giufftè, Milano 1961; pp.

139-50, 22434.u A.G. GJNTE, Saggio sulla completezzu degli ordinumenti giuridici.

Giappichelli, Torino 1962, pp. 102-5.“ Novissimo Digesto Italiunb, voce * Natura delle cose n di N. MORRA,

vol. x1.

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giudizi d’equità: in questo nesso la natura delle cose appare comela prima fase, strettamente osservativa, di tale specie di giudizi (6

9. Resterebbe a domandarsi per quali ragioni la naturadelle cose abbia avuto COSI poca fortuna nella dottrina italianatanto da essere o trascurata (dai giuristi) o ripudiata (dai filo-sofi). Per quel che riguarda l’indifferenza dei giuristi la ragionefondamentale è certamente l’attaccamento al dogma dell’onnipo-tenza del legislatore, rafforzato dal particolare carattere del no-stro ordinamento ispirato al principio dell’autointegrazione. Perquel che riguarda la critica dei filosofi, la ragione fondamentaleè da ricercarsi nell’antinaturalismo dominante nella filosofia ita-liana attraverso il permanente e radicato influsso dello storicismo.

” Un ultimo segno del rinnovato dibattito sulla natura delle cose èdato dalla pubblicazione dell’articolo di 1. T A M M E L O , Lu rrafuru dei fatticome tops giuridico, in « Rivista internazionale di filosofia del diritto *,X1, 1963, pp. 655-83, a cura dello stesso N. Morra.

Indice dei nomi

Achenwall G., 167.Adickcs F., 198.Agnelli A., 147.Ago R., 26, 27, 101, 147, 155.Allorio E., 25, 35, 80, 91.Antoni C.. 179. 184.Ardigò R.; 56,.62.Aristotele. 128. 169.

60, 67, 80, 83, 112, 119, 120, 147,155, 156.

Cattaneo MA., 146, 148, 149, 150,151, 152, 153, 155, 156, 157.

Cesatini Sforza W., 24, 59, 67, 235,236.

Charmont J., 57, 180.Checchini A., 232, 233.Cogliolo P., 232.Coine H.. 156.

As;;~“:;~~, 3b, 31, 68, 227, 228,

Asquihi A., 199, 230, 231, 234. Contg A.G., 237.Astuti G., 116. Coviello N., 198.Austin J., 37,49, 147, 148, 154, 155, Crisafulli V., 233.

157, 158, 163. Croce B., 59, 62, 63, 67, 71, 193.Cromwell O., 171.Cumhetland R., 169.Bagolini L., 31, 94.

Balossini CE., 234.Baratta A., 236.Barhero D., 23, 33, 35, 101.Barbeyrac J., 171.Barile G., 27, 101.Rarker E., 179.Battaglia F., 57, 60, 67.Battaglini G., 99.Behrend I.Fr., 225.Bentham J., 45, 148, 156, 157, 158,

182.Bcntivoglir; L.M., 101.Benvenuti F., 35, 91.Bcrghohm K., 11X.Betti E.. 29. 30. 234.Bcttiol G., ‘33. ’Binder J., 41.Biondi B., 19, 29.Bolalfio L., 226.Bonfantc P., 62.Bonnecasc J., 115, 179.Brrlgi B., 6 2 .Brunctti G., 231.Burkc E., 139, 140.

Caiani I.., 29, 35, 235.Calamandrci P., 19, 28, 69, 82, 94,

117.CalogcBro Cr., 67.Cammarata A.E., 34, 56, 60, 61, 67,

92. 142.Camnanella T.. 170.(;ap&rassi G.,’ 20, 25, 59, 60, 67,

116. 117.

Gahrieli V., 171.Gangi C., 231, 232, 233, 234.Garhagnati E., 23, 28.Gentile G., 41, 43, 44, 59, 62, 67.G6ny F., 44, 115, 179, 180.Giannini A., 189.Gierke O., 179.Goldschmidt L., 225.Greco P., 228.Groppali A., 62.Grozio CT., 49, 168, 171, 187, 218.

(:nrnclrltti l:., 19 28. 3.1. 35, 56, 58, llarc Il.R.M., 219.

Dahin J., 115.1%~ Marini C.M., 29.David A.. 210.Del Vecchio G., 42, 56, 59, 60, 229,

230, 231, 234.De Ruggiero G., 63.Di Robilant E., 36, 47, 87, 237.Donati M., 118.Duguit L., 42.

Ehrlich E., 44, 107, 118, 155.Eisenmann Ch., 148, 149.

Falk R.A.. 103. 147.I I

Fassò G., 10, Il, 32, 60, 61, 62, 139,179, 235.

Favara E., 28.Ferrara F., 198, 227.Fricdmann W. , 103.Fullcr L.L., 123.