Non niente cè - Caritas

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POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 – AUT. GIPA/NE/PD/31/2014 Immigrazione Punire la solidarietà? Fa regredire la civiltà Settimane sociali Santoro: «Il lavoro che vogliamo, veicolo di dignità» Venezuela Tragica telenovela, il baratro ormai è a un passo MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO L - NUMERO 5 - WWW.CARITAS.IT giugno / luglio 2017 Italia Caritas sorridere da Nei villaggi palestinesi, il Muro eretto dagli israeliani soffoca speranze e futuro. Cristiani in diaspora. Caritas Italiana lancia i gemellaggi niente Non c è

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Immigrazione Punire la solidarietà? Fa regredire la civiltàSettimane sociali Santoro: «Il lavoro che vogliamo, veicolo di dignità»Venezuela Tragica telenovela, il baratro ormai è a un passo

M E N S I L E D I C A R I T A S I T A L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O L - N U M E R O 5 - W W W. C A R I T A S . I T

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editoriali

I GIOVANI,ASCOLTO E MOVIMENTO

coinvolge e si attiva accanto ai poveri.Un esempio anche per il servizio

Caritas: siamo sollecitati a esserci, adabitare con responsabilità il territorio,a sperimentare con coraggio nuoveforme di carità. La visione di Mazzo-lari e Milani include anche la dimen-sione sociale, la costruzione nonvio-lenta della pace, l’impegno educativo,la responsabilità verso l’ambiente. Inparticolare don Milani, con tenacia,coerenza e sapienza profetica, è testi-mone di come «l’amore cristianospinge alla denuncia, alla proposta eall’impegno di progettazione cultura-le e sociale, a una fattiva operosità, che sprona chi ha sinceramente a cuore lasorte dell’uomo a offrire il proprio contributo» (Compendio Dottrina Socialedella Chiesa, 6).

«La sofferenza, le ferite subite, la Croce – ha detto papa Francesco in un recentemessaggio, a proposito di don Milani – non hanno mai offuscato in lui la luce pa-squale del Cristo Risorto, perché la sua preoccupazione era una sola, che i suoiragazzi crescessero con la mente aperta e il cuore accogliente e pieno di compas-sione, pronti a chinarsi sui deboli e a soccorrere i bisognosi, come insegna Gesù».

Per il suo sostegno all’obiezione di coscienza al servizio militare, don Milanisubì un processo; ai giudici ricordò che, di fronte al comando di uccidere, «l’ob-bedienza non è più una virtù». Nel giugno 1977, a dieci anni dalla sua morte,Caritas Italiana firmerà la convenzione per il servizio civile degli obiettori.

Da allora e sino al 2005, quando la leva è stata sospesa, quasi 100 mila giovanihanno scelto l’obiezione di coscienza con Caritas Italiana. Forte di questa ere-dità, Caritas prosegue oggi con rinnovata convinzione l’impegno sul versantedel servizio civile, seguendone con attenzione prospettive e sviluppi.

scolto e movimento: sono le pa-role-chiave che papa Francescoha utilizzato per annunciareche nell’ottobre 2018 si celebre-

rà il Sinodo dei vescovi sul tema “I gio-vani, la fede e il discernimento vocazio-nale”. «Il mondo può cambiare – ha sot-tolineato il pontefice – soltanto se igiovani sono in cammino. Ma questo èil dramma: i giovani spesso sono scar-tati. Non hanno lavoro, non hanno unideale da seguire, manca l’educazione,manca l’integrazione… Tanti giovanidevono fuggire, emigrare in altre terre».

Una vera PasquaIl tema dei giovani si incrocia con quel-lo delle migrazioni (binomio che fa dafilo conduttore del 16° Rapporto sul-l’immigrazione Caritas-Migrantes).Abbiamo bisogno di giovani che non siaccontentino di una fede sbiadita, fattadi abitudini e vuote tradizioni, ma sap-piano essere presenza critica, ancheper la Chiesa, e costruttori di una so-cietà e di un mondo diversi. Non piùpoggiati sull’egoismo e sugli interessidelle varie nazioni, come ci appare og-gi anche la nostra vecchia Europa. Per-ché le merci e il denaro si possono glo-balizzare e gli uomini no? Seguendooggi logiche di muri e di chiusure congli immigrati, si corre il rischio di spe-rimentare le stesse logiche domani,all’interno della nostra nazione: l’an-ziano conta meno del giovane, il disa-bile meno di chi sta bene… e si potreb-be continuare, arrivando a una sorta difar west. È questa la civiltà?

Non possiamo più rassegnarci amisurare il tempo contando morti. Ilmondo ha bisogno di vera Pasqua evera vita: ha bisogno di togliere lepietre dai sepolcri, non di aggiungerepietre su nuove tombe.

Il Papa rende omaggio a don Mazzolari

e don Milani. Anticipatori del Concilio, hanno

insegnato che la pace si costruisce praticando

la nonviolenza. Dopo la grande stagione

dell’obiezione dicoscienza, Caritas segue

con attenzione glisviluppi del servizio civile

Adi Francesco Soddu di Francesco Montenegro

DUE PROFETIE UN SERVIZIODA CONFERMARE

apa Francesco il 20 giugno a Bòzzolo, nel mantovano, si reca pres-so la tomba di don Primo Mazzolari, figura profetica, attenta aibisogni degli ultimi, divenuto convinto operatore di pace e tenace

assertore della nonviolenza dopo la dolorosa esperienza delle due guer-re mondiali. Lo stesso giorno prega anche sulla tomba di don LorenzoMilani a Barbiana, nel Mugello, dove il sacerdote toscano, morto 50 annifa a soli 44 anni, fu priore e avviò una scuola per i più poveri.

Il Papa dunque rende omaggio a due figure profetiche del Nove-cento, anticipatrici delle istanze conciliari. In entrambi c’era l’idea delcristiano che provoca e stimola coscienze e istituzioni, e insieme si

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direttoreFrancesco Soddu

direttore responsabileFerruccio Ferrante

coordinatore di redazionePaolo Brivio

in redazionePaolo Beccegato, Renato Marinaro,Francesco Marsico, Sergio Pierantoni, Domenico Rosati, Francesco Spagnolo

hanno collaboratoDanilo Angelelli, Francesco Carloni,Francesco Dragonetti, RobertaDragonetti

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Italia CaritasMensile della Caritas ItalianaOrganismo Pastorale della Ceivia Aurelia, 796 - 00165 Romawww.caritas.itemail: [email protected]

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UN BUON FINE NON HA FINE

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sommario

rubriche

3 editorialidi Francesco Soddu

e Francesco Montenegro

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

13 databasedi Federica De Lauso

20 contrappuntodi Domenico Rosati

20 panoramaitalia APPELLO ANTI-AZZARDO,AUGURI AL PRESIDENTEBASSETTI

30 cibo di guerradi Paolo Beccegato

35 zeropovertydi Alberto Bobbio

39 contrappuntodi Giulio Albanese

40 panoramamondoINDIA E PAKISTAN: IMPEGNO PER I BAMBINI

47 a tu per tuALEX CORLAZZOLI:«LA SCUOLA VA CAMBIATA:PARTIAMO DALL’ASCOLTO.E DALLA COSTITUZIONE»di Daniela Palumbo

anno L numero5

IN COPERTINADipinto murale sul lato palestinesedella “barriera di sicurezza”eretta nell’ultimo decennioda Israele attorno ai territoripalestinesi occupati.E in parte su di essi(foto Chiara Bottazzi)

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la pesantezza nel cuore (5,6). Il muro, questa volta, èquello a protezione della città, presidiato da guardie esentinelle che fanno la ronda e vigilano sulla sicurezzadegli abitanti (5,7). Lei passa sola, al buio, trepidante eveloce, ma diventa una minaccia all’ordine pubblico,una vergogna per la morale comune; sicuramente è pre-sa per una donna di malaffare.

Le guardie delle mura aggrediscono, i custodi del mu-ro picchiano, spogliano l’amata che cerca l’amore incu-rante della notte e degli ostacoli. Lei rimane ferita, spo-gliata, umiliata senza più la protezione del mantello(5,7). Lei non protesta, né aggredisce; è malata d’amore(5,8), non avvelenata di rabbia, né ossessionata dalla si-curezza. Così continua a cercare e a chiedere di lui. Lotroverà, improvvisamente, scoprendolo accanto a sé(6,2). E i due saranno l’uno per l’altra (6,3). Al di qua, aldi là del muro, poco importa.

il profumo dei fiori non inebria; al diqua del muro c’è la solitudine di chiha attraversato monti e colline, di chivede la primavera, l’estate e l’autun-no, ma non gli bastano due occhi.Cerca altri occhi per guardare e altreparole da ascoltare: «O mia colomba,che stai nelle fenditure della roccia,nei nascondigli dei dirupi, mostramiil tuo viso, fammi sentire la tua voce,perché la tua voce è soave, il tuo visoè incantevole» (2,14). Di fronte al mu-ro non si viene con la violenza, macon la dolcezza struggente di un de-siderio che chiama, attira, che con-vince a uscire, abbandonando la pro-tezione. E del resto, lei al di là del mu-ro non aspettava altro che quellavoce, quella presenza, non aspettavaaltro che l’insistenza di un invito a ol-trepassarlo.

Diventa una minacciaI muri tornano in questa storiad’amore, tornano nella notte in cuilei – credendo di averlo perduto –uscirà a cercare il suo amato, chia-mando il suo nome nel buio, con ad-dosso la leggerezza di un mantello e

ra le pagine della Bibbia si nasconde un canto d’amore a duevoci, teso e vibrante. Si dice che parli dell’amore mistico traDio e il suo popolo o tra l’anima e il suo sposo divino: sembra

quasi di allentarne la corda. Ma non è facilmente addomesticabilela parola che dice l’amore, tra un uomo e una donna, che ha la fre-schezza di una passione giovane e la tenacia di un amore allenatodal tempo e dal desiderio. Una dolcezza che si pone contro la fer-mezza di un muro, di molti muri.

«Una voce! L’amato mio, eccolo viene, saltando per i monti, bal-zando per le colline» (Cantico dei Cantici 2,8): è lei che vede arrivare

SONO L’UNO PER L’ALTRAE NON C’È MURO CHE TENGA

colui che ama, lo sente da lontano.Arriva leggero, non ci sono montagnea fermarlo; lei lo percepisce perché loaspetta, trepidante; lo guarda mentrearriva e lo rassomiglia a un piccolo dicervo, scattante nel suo fascino. Im-provvisamente si ferma: «Ecco, eglista dietro il nostro muro; guarda dal-la finestra, spia dalle inferriate» (2,9).

C’è un muro a rallentare lo slancioverso l’amata e lei è al di là. È il murodella casa di lei, un muro che vuoleproteggere, il muro della sicurezzadella propria intimità; ma non è ca-pace di frenare il desiderio di rag-giungere colei che si ama. Lui si ferma, allunga lo sguardoa cercare qualche fessura che permetta di raggiungere leio la sua ombra almeno con lo sguardo. E lei lo osserva eracconta a chi legge un incontro furtivo di sguardi, che sicercano separati, eppure ostinati.

Un amato leggero come una gazzella non ha certo laforza di abbattere un muro, ma non desiste e alza la voce:«Alzati, mia amata, mia bella, vieni! Ecco, l’inverno è pas-sato, è cessata la pioggia, se n’è andata. I fiori sono ap-parsi nei campi, il tempo del canto è tornato […] il ficosta maturando i primi frutti e le viti in fiore spandonoprofumo. Alzati, mia amata, mia bella, vieni!» (2,12-13).

La campagna di Israele è attraversata da un muro chenon permette di godere la sua bellezza, soprattutto tagliala possibilità di goderne insieme a chi si ama, nella libertàdi respirare in due la vita del creato. Al di là del muro c’èla sicurezza di casa, ma anche l’inverno; al di là del muro

I recinti della casa e della città provano a separare gli amanti

del Cantico dei Cantici.La fermezza contro

la dolcezza, le istanzedella protezione contro

la freschezza dellapassione. Chi sta

a guardia, aggredisce e umilia. Chi ama,

supera ogni ostacolo

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parolaeparoledi Benedetta Rossi

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nazionale6 MIGRAZIONI:

PUNIRE LA SOLIDARIETÀFA REGREDIRE LA CIVILTÀdi Oliviero Forti

10 SERVIZIO CIVILE: CI CREDIAMO,E NON PER NOSTALGIAdi Diego Cipriani

14 «IL LAVOROCHE VOGLIAMO,STRUMENTO DI DIGNITÀ»di Paolo Brivio

17 DISABILI AL LAVORO?LA BARRIERA È CULTURALEdi Annalisa Loriga

rapportoannuale 201623 MISERICORDIOSI

COME IL PADRE

internazionale

27 VENEZUELA: IL BARATRO È A UN PASSOdi Silvana Monti

31 PALESTINA: SEGREGATI EDEPRESSI ALL’OMBRA DEL MUROtesti e foto di Chiara Bottazzi

36 BOSNIA ERZEGOVINA:I RAGAZZI E L’AMBIENTE,UN PAESE DA SBLOCCAREtesti e foto di Andrea Bimbi

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Si sta combattendo una guerra nondichiarata, di cui a fare le spese non sonosolo i migranti, ma l’idea stessa di civiltà.

Fino a mettere in discussione principi che ormai consideravamo come acquisiti

co-artefice. Per questo, bisogna deli-neare di nuovo il nostro territorio,non tanto dal punto di vista geografi-co, quanto in termini di civiltà, di cul-tura, forse perfino di simboli. La cosapiù importante sarà distinguere traciò che è superficiale e di nessuna im-portanza nella tradizione europea eciò che è duraturo, prezioso e unico.

Castello accusatorioOggi l’Unione ha bisogno di riscopri-re il senso dell’essere anzitutto “co-munità” di persone e di popoli, in unrapporto di interdipendenza che staa fondamento del principio di solida-rietà. Una solidarietà, ha detto papaFrancesco nel suo discorso per i 60anni dei Trattati di Roma, che costi-tuisce «il più efficace antidoto ai mo-derni populismi» e «comporta laconsapevolezza di essere parte di unsolo corpo». La storia dell’Europa, hacontinuato il pontefice, «è fortemen-te determinata dall’incontro con altripopoli e culture e la sua identità è, edè sempre stata, un’identità dinamica

come l’ordinanza di Ventimiglia, èsintomo di uno sbandamento gene-ralizzato, che ritroviamo ormai inmolte decisioni adottate in quasi tuttii paesi di vecchia e nuova migrazione.

Guerra non dichiarataIn ambito europeo e internazionale,serie preoccupazioni suscitano l’ac-cordo firmato dall’Ue con la Turchiaper bloccare i profughi siriani nel pae-se di Erdogan, i vari decreti di Trumpcontenenti il divieto di ingresso negliStati Uniti di cittadini provenienti daalcuni paesi a maggioranza musul-mana (tra cui gli stessi siriani), infinel’accordo tra l’Italia e la Libia di Serrajper contrastare i trafficanti. Ma altret-tanto preoccupanti sono i provvedi-menti adottati da molti paesi europei,a seguito dei quali sono state costruite

barriere fisiche per evitare l’ingressodei profughi nel vecchio continente.

La sensazione è che si stia com-battendo una guerra non dichiarata,di cui a fare le spese non sono solo imigranti, ma l’idea stessa di civiltà.Le tensioni sociali, politiche ed eco-nomiche generate dall’immigrazionearrivano in effetti a mettere in discus-sione principi che ci eravamo abitua-ti a considerare come definitivamen-te acquisiti.

Donald Tusk, presidente del Con-siglio europeo, recentemente ricon-fermato alla guida dell’organismo co-munitario, ha affermato che le fonda-menta della solidarietà europea sonofragili. D’altronde, senza solidarietàl’Europa non avrà influenza alcunasulla direzione dei cambiamenti futu-ri, diventandone vittima invece che

COSTRETTI A RISCHIARE LA VITADonne e uomini africani sbarcano

nei porti italiani, quindi (sotto) restanoin attesa nei centri di identificazione

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Lo strumento dei canali sicuri e regolari di ingressocostituisce una delle proposte della Chiesa italianaper affrontare la cosiddetta “emergenza sbarchi”, e soprattutto le morti in mare. La possibilità di organiz-zare e programmare gli arrivi in sicurezza è un aspet-to prioritario sul quale si è deciso di investire, in colla-borazione con le istituzioni. In questo quadro la Con-ferenza episcopale italiana, attraverso i fondi otto per mille e per mezzo di Caritas Italiana, ha avviato a marzo 2017 una operazione di resettlement (rein-sediamento) che ha riguardato alcune famiglie siria-ne provenienti dal campo profughi di Zaatari, in Gior-dania. Cinquanta persone, alcune delle quali con gra-vi patologie mediche, sono state accolte dalla Caritasdiocesana di Manfredonia che, attraverso il progettoProtetto. Rifugiato a casa mia, ha messo in atto inter-venti e attività volti all’accoglienza, all’accompagna-mento sanitario e all’integrazione dei beneficiari.

Nel frattempo, a seguito del protocollo firmato il 12 gennaio 2017 dalla Cei con i ministeri degliesteri e dell’interno e la Comunità di Sant’Egidio, Caritas Italiana ha aperto un corridoio umanitario dall’Etiopia, per l’arrivo in Italia di 500 profughi, pro-venienti da Somalia, Eritrea e Sud Sudan, che vivono da anni nei campi profughi. Nei prossimi mesi è pre-visto il loro arrivo e l’accoglienza nelle strutture mes-se a disposizione dalle Caritas diocesane.

Canali sicuri d’ingresso? Due progetti per dimostrare che non sono utopia

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solidarietàlaPunire

ra i molteplici fatti che negliultimi mesi hanno interes-sato l’opinione pubblica, inmateria di immigrazione,uno ha colpito gli operatori

più attenti. Si tratta della notizia, di-vulgata a fine marzo dalla stampa na-zionale, relativa a una vicenda acca-duta a Ventimiglia, che aveva dell’in-credibile: nella cittadina di confine,meta da anni di migranti che inten-dono spostarsi dall’Italia alla Francia,tre attivisti d’oltralpe sono stati de-nunciati per aver assistito alcuni cit-tadini stranieri, distribuendo loro delcibo e contravvenendo così a un’or-dinanza del sindaco ligure.

Allo sgomento iniziale, suscitatodalla lettura del dispositivo firmatodagli ufficiali di polizia giudiziaria, hafatto seguito un moto di rabbia e diinquietudine, dettate dal crescentedeteriorarsi della situazione in Italia ein Europa. Sul fronte del rapporto coni migranti e della tutela dei loro dirittistiamo infatti assistendo a una re-gressione culturale senza precedenti.

Per fortuna la società civile ha saputoreagire immediatamente, a Ventimi-glia, con un appello che ricordavasenza mezzi termini che dar da man-giare a chi ha fame è, da sempre, il ge-sto fondamentale della solidarietà. Èciò che fonda una comunità di uguali.Punire la solidarietà o impedirnel’esercizio, qualunque ne sia la ragio-ne, mette in pericolo i principi e i va-lori minimi di umanità e civiltà.

Un mese dopo, verso fine aprile,l’ordinanza veniva revocata. La deci-sione, dovuta e necessaria, non can-cella però un fatto a dir poco deplo-revole, come pochi altri nel passato. Ilmigrante viene sempre più spessopercepito come il nemico contro cuicombattere, a costo di porre sotto as-sedio la sua esistenza, magari attra-verso la vecchia strategia del “bloccostatico”, antica tattica militare chepiegava il nemico per fame e per sete.Ma immaginare di gestire una vicen-da così complessa e delicata, comequella dei migranti sbarcati in Italia ediretti verso il nord Europa, con atti

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nazionale migrazioni

di Oliviero Forti

fa regredire la civiltà

L’ordinanza di Ventimiglia, le insinuazioni sulle ong attive in mare, le leggi per esternalizzarefrontiere ed erigeremuri: in materia di migrazioni, Italia ed Europa vivono una fase di involuzioneculturale. Che mette a repentaglio conquistegiuridiche e civili

GENERAZIONI A CONFRONTOIl 26°RapportoImmigrazioneCaritas-Migrantesviene presentato a Roma il 21 giugno.Approfondimenti sul prossimo numero di IC

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Incapacità nei controlliA chiudere questo quadro preoccu-pante, ci sono le ultime vicende giu-diziarie che hanno riguardato il cen-tro di accoglienza Sant’Anna di IsolaCapo Rizzuto (Crotone), dove i “solitinoti” sono stati arrestati per aver po-sto in essere un florido business sulleaccoglienze. Evidentemente il fattoche i soggetti in questione fossero vi-cini alla Chiesa e in un caso all’inter-no della stessa, costituisce un ele-mento di ulteriore inquietudine. Ma,come detto, si tratta dei soliti noti,ovvero personaggi che da anni eranoconosciuti dalle autorità giudiziarie,considerato che giànel 2007 un rapportodei Ros dei Carabi-nieri evidenziavapossibili collega-menti con la crimi-nalità organizzata:viene naturale chie-dersi perché non si èintervenuti prima.

Una possibile ri-sposta sta nell’inca-pacità dell’attuale si-stema di monitorare

ritas da anni sostiene la cosiddetta “ac-coglienza diffusa”, in piccoli numerinell’intero territorio nazionale, inquanto – oltre a garantire migliori op-portunità di integrazione – questa mo-dalità di accoglienza è fondamentaleper prevenire fenomeni come quellodel Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto.Con questo spirito, da anni Caritas Ita-liana promuove per esempio “Protet-to. Rifugiato a casa mia”, progetto voltoall’accoglienza nelle famiglia e nelleparrocchie, con un forte coinvolgi-mento della comunità locale.

Il progetto punta non soltanto al-l’accoglienza, ma soprattutto all’au-tonomia dei beneficiari, attraversol’affiancamento di famiglie tutor inun percorso di integrazione sociale elavorativa. La famiglia è il cuore di“Protetto. Rifugiato a casa mia”, ilperno al quale ancorare i difficili pro-cessi di integrazione. Sino a oggi ilprogetto ha riguardato circa 600 ri-chiedenti asilo, sostenuti e accompa-gnati da una fitta rete di solidarietà,che ha generato fiducia e speranzanelle persone accolte, ma ha anchecontribuito a sviluppare relazioni elegami comunitari più solidi.

i soggetti a cui vengono affidati gliappalti pubblici dell’accoglienza. Lacostante emergenza porta le prefet-ture a preoccuparsi esclusivamentedi cercare posti disponibili in cui col-locare i migranti, senza poi attivare lenecessarie procedure, volte al con-trollo dei soggetti assegnatari. Ciò ac-cade anche per la mancanza di risor-se, necessarie al monitoraggio per-manente delle accoglienze. Inoltre, lapresenza di centri nei quali vengonostipati migliaia di richiedenti asilocostituisce un elemento di ulteriorefragilità del sistema.

Per questo motivo, la rete delle Ca-

L’emigrazione, la malattia, la rinascita. È la parabola vissuta da Rami,un uomo di nazionalità tunisina, che con la moglie Ines (i nomi sonodi fantasia) e i loro tre bambini è stato accolto dalla Caritas diocesa-na di Ragusa nell’ambito di “Protetto. Rifugiato a casa mia”, in un ap-partamento messo a disposizione dell’associazione Vo.Cri. (Volontaria-to cristiano).

Le cose non erano cominciate bene. In uno dei primi giorni di acco-glienza, Rami è stato colto da infarto, quindi sottoposto a un interven-to cardiaco. Dopo un periodo di convalescenza, durante il quale la fa-miglia tutor, coadiuvata dai volontari dell’associazione e della parroc-chia, si è occupata dell’inserimento scolastico dei bambini, della loropartecipazione alle attività ludiche della parrocchia e della comunità,la cooperativa agricola annessa all’associazione Vo.Cri. ha messo a disposizione un appezzamento di terreno incolto, per far sì che Ramifosse seguito nell’apprendimento delle tecniche agricole. In pochissi-mo tempo la dedizione dei volontari, unita al lavoro attento e minuzio-so dell’uomo, hanno fatto sì che il raccolto raggiungesse quantitativi e qualità soddisfacenti. Rami, dopo essere stato assunto dalla cooperati-

va e aver preso una licenza da ambulante,oggi vende i prodotti al mercato ortofrutti-colo comunale. Ines invece lavora comecollaboratrice familiare e insieme al mari-to è riuscita ad affittare un appartamento.Accolta da famiglie, la loro famiglia puòguardare al futuro con speranza e dignità.

Rami dall’infarto al mercato,l’integrazione è un terreno da coltivare

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e multiculturale. Non ci si può limi-tare a gestire la grave crisi migratoriadi questi anni come fosse solo unproblema numerico, economico o disicurezza. La questione migratoriapone una domanda più profonda,che è anzitutto culturale».

Oggi, però, ci stiamo misurandoproprio con un deficit culturale senzaprecedenti, capace di minare alle basile conquiste di civiltà che hanno fattodell’Europa un baluardo dei diritti ci-vili e sociali. Il diffuso clima di sospet-to che negli ultimi tempi si è insinua-to nell’opinione pubblica circa l’ope-rato delle organizzazioni umanitariene è testimonianza viva. Per settima-ne abbiamo assistito a un teatrinomediatico, il cui scopo è stato quellodi criminalizzare chi fa solidarietà,con il preciso intento di celare, mal-destramente, le evidenti difficoltànella gestione dei flussi migratori.L’assenza di risposte alla situazione li-bica e l’incapacità di offrire alternati-ve agli ingressi irregolari via marehanno portato a spostare l’attenzionesu chi, invece, ha permesso a decinedi migliaia di persone di raggiungerela salvezza senza perdere la vita nelMediterraneo. Ma qualcuno si è spin-to oltre, insinuando rapporti con lacriminalità organizzata per la gestio-ne di un traffico che poi frutterebbeulteriori guadagni con la gestionedelle accoglienze in Italia. Insomma,si è costruito un castello accusatorio,che però ha dovuto fare i conti conuna realtà molto diversa, per rivendi-care la quale, anche questa volta, si èmobilitata la società civile.

Campagna denigratoriaCaritas Italiana, in occasione del fe-stival Sabir, svoltosi a maggio a Sira-cusa, ha sottoscritto, insieme ad altreorganizzazioni, un appello nel qualesi ribadisce che, in assenza di percor-si sicuri e legali verso l'Europa, negliultimi anni centinaia di migliaia di

Invece di creare un sistema ordinato, che prevedeva percorsi sicuri per i migranti,i leader europei preferiscono concentrarsi

sul blocco delle frontiere e sui negoziaticon governi che violano i diritti umani

gendo, dopo la chiusura del pro-gramma Mare Nostrum, attività di ri-cerca e salvataggio nel Mediterraneocentrale, ha travolto tutte le organiz-zazioni che svolgono iniziative di so-lidarietà e tutela dei diritti umani.

Invece di dare priorità alle attivitàdi ricerca e soccorso per prevenire lamorte di migliaia di uomini, donne ebambini che continuano a partiredalla Libia, abbiamo assistito a unavera e propria campagna denigrato-ria, fatta di accuse di ingenuo “buo-nismo”, insinuazioni sulle complicitàcon i trafficanti e sospetti di lucro ri-guardo alle attività di solidarietà, e inparticolare all’accoglienza.

Pochi giorni dopo l’appello lanciatoda Sabir, sono stati presentati i risultatidell’indagine conoscitiva condotta dal-la commissione difesa del senato: neemerge ciò che il mondo della solida-rietà ha tentato di raccontare per mesi,ovvero che non vi è alcuna evidenzacirca possibili responsabilità penalidelle ong nelle attività di ricerca e soc-corso in mare. Nel frattempo, però, do-po giorni e giorni di accuse incrociate,la fiducia dei cittadini verso il mondodelle ong era già calato sensibilmente.

migranti e rifugiati hanno attraversa-to il Mediterraneo in modo illegale emettendo in pericolo le loro vite.

Invece di creare un sistema ordi-nato, in grado di mettere a disposi-zione percorsi sicuri per i migranti edi promuovere il rispetto e la prote-zione dei diritti umani nei paesi incui dominano conflitti, persecuzionie povertà, i leader europei si sonosempre più concentrati sul bloccodelle frontiere e sui negoziati con go-verni che violano i diritti umani, alloscopo di impedire le partenze e la-sciando ricadere l’onere improroga-bile di salvare vite umane sempre piùsulle associazioni umanitarie.

In Italia, la campagna di diffama-zione contro le ong che stanno svol-

nazionale migrazioni

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APPRODO IN UN LIMBODonna dal Corno d’Africa sbarca in un porto siciliano. Sotto, l’estenuanteattesa di un titolo di protezione

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sia ridotto numericamente, ma sia cre-sciuto esponenzialmente. Più il mon-do militare, incapace di affrontare lacrisi palese del servizio militare, cerca-va di ostacolare e boicottare l’obiezio-ne e gli obiettori, più questi aumenta-vano, fino ad arrivare, a cavallo dei duesecoli, a sorpassare il numero di co-scritti in armi.

rompeva gli schemi tradizionali di unacultura non abituata a mettere in di-scussione l’uso dello strumento milita-re per fare la pace. Una cultura, sia ec-clesiale che civile, che negli anni se-guenti ha fatto fatica ad accettare lapresenza degli obiettori. Ha scritto donPasini a questo proposito: «La Chiesaha simpatizzato con i giovani che face-vano questa scelta, piùin quanto volontari chein quanto obiettori dicoscienza. L’obiezione dicoscienza non raramen-te è stata guardata conun senso di sospetto».

Sorprende il fatto che,nonostante questa osti-lità, il “fenomeno degliobiettori di coscienza”(come veniva definitodalla pubblicistica fino anon molti anni fa) non si

Gli anni dell’affermazione dell’obie-zione sono stati, almeno fino al 1998,anni di lotta. Lotta anzitutto per otte-nere una prima legge, arrivata nel 1972,che riconoscesse il “beneficio”, conces-so dallo stato, di prestare un servizio ci-vile “sostitutivo” del militare. Lotta,successivamente, per superare i nefastiostacoli che quella legge punitiva ave-va introdotto nella vita di un giovaneche si dichiarava obiettore: basti pen-sare agli otto mesi in più di servizio im-posti rispetto al militare, con la Caritasche sosteneva gli obiettori che, giuntial dodicesimo mese, si autoriduceva-no il periodo e finivano sotto processo.Lotta, ancora, per ottenere il rispettodelle scelte “vocazionali” espresse conla domanda di obiezione, con la Cari-tas che, nel 1986 e nel 1996, plateal-mente rifiutò centinaia di obiettori chele erano stati assegnati senza alcunapreparazione previa (cosa che lei pre-

STAGIONI DI SERVIZIOPartecipanti alla quinta Conferenza degli

obiettori Caritas in servizio civile(Firenze, 1994). Sotto, volontarie di oggi

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Così monsignor Giovanni Nervo ricordava la genesidella convenzione tra Caritas e ministero della dife-sa per il servizio civile:

«Può sembrare strano, ma chi suggerì con insi-stenza alla Caritas di fare una convenzione con il mi-nistero della difesa per il servizio civile, fu monsignorGaetano Bonicelli, allora sottosegretario della Cei, poiOrdinario militare. Io, allora responsabile della Caritas Italiana, alle sue fre-quenti e forti pressioni facevo resistenza, cercando di guadagnare tempo:non avevo ancora maturato sufficientemente la cultura della nonviolenza, e non vedevo come potevo proporre alle Caritas diocesane l’obiezione di co-scienza, quando avevamo difficoltà a far cogliere la proposta pastorale del-la Caritas, un aspetto qualificante del rinnovamento pastorale del Concilio.

Ciò che ci spinse a questa decisione fu il convegno ecclesiale “Evange-lizzazione e promozione umana” del 1976. Nella sesta Commissione, cheaveva come tema “Evangelizzazione, promozione umana e i problemi de-gli emarginati in Italia”, tra gli animatori c’era monsignor Giuseppe Pasini.Fu lui che portò all’assemblea generale questa mozione: «La Commissio-ne chiede al Convegno di fare propria la proposta di farsi carico della pro-mozione del servizio civile sostitutivo di quello militare nella comunità ita-liana, come scelta esemplare e preferenziale dei cristiani, e di allargare la proposta di servizio civile anche alle donne». L’assemblea – un migliaiodi delegati e un centinaio di vescovi – accolse la proposta con un lunghis-simo applauso. Comprendemmo: «Vox populi, vox Dei».

Così Caritas avviò la pratica per la convenzione. Ricordo che quando il Consiglio di presidenza della Caritas Italiana prese questa decisione, il vescovo presidente aveva delle incertezze, ma di fronte alla scelta unanime degli altri membri, con squisita signorilità e con umiltà disse:“Se voi ritenete che sia una cosa buona, la facciamo” e diede anche il suo voto favorevole. Nelle Caritas diocesane poi la nuova realtà maturòun po’ alla volta. Nella Chiesa italiana non mi risulta ci siano state presedi posizione ufficiali, né pro né contro, né ci furono contrasti».

Monsignor Nervo faceva resistenza:«Il convegno si fece “vox populi”»

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Quarant’anni faCaritas Italiana siglava la convenzionecon il ministero delladifesa, per l’impiego di obiettori di coscienzanel servizio civile. Ne è seguita una storiaappassionante per centomila giovani.Il cui spirito alimentanuove proposte per i giovani di oggi

il 10 giugno 1977. I quotidianiriportano la cronaca dellostorico incontro tra il leadercomunista ungherese JanosKadar e Paolo VI, la notizia

dell’accordo tra i partiti sull’ordinepubblico e quella del ferimento di uncaporeparto della Breda da parte delleBrigate Rosse, mentre nelle pagine disport si parla ancora della vittoria dellaNazionale a Helsinki.

Proprio quel giorno monsignor Gio-vanni Nervo, allora vicepresidente diCaritas Italiana, firma la “Convenzioneper il distacco degli obiettori di co-scienza in servizio sostitutivo civile”con il ministero della Difesa, rappre-sentato dal vicedirettore generale Mi-chele Pizzullo. Il testo prevede il distac-co, da parte di Levadife, di “numero 2obiettori di coscienza”, ai quali andràpoi una paga giornaliera (identica aquella dei militari di leva) di 500 lire

(meno di 25 centesimi di euro).Altri tempi. Eppure, probabilmente

nemmeno lo stesso monsignor Nervoimmaginava che quella firma avrebbespalancato la porta all’ingresso di unpopolo: il popolo dei giovani obiettoriin servizio civile nelle Caritas di tuttaItalia. In meno di tre decenni, quasicentomila.

Nonostante l’ostilitàLo stesso Nervo, anni dopo, racconteràche a sollecitare insistentemente la Ca-ritas ad accendere la convezione fu laConferenza episcopale italiana, men-tre lui stesso faceva resistenza, e che lasituazione fu sbloccata da una mozio-ne, approvata per acclamazione alconvegno ecclesiale “Evangelizzazionee promozione umana” del 1976.

Certamente non bastò una mozio-ne per fare accettare una proposta,quella dell’obiezione al militare, che

È

Crediamo servizio,al

nazionale servizio civile

di Diego Cipriani

e non per nostalgia

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Scarse opportunitàMediante un’analisi multivariata èstato possibile individuare le causedel gap tra intenzioni e realizzazioni.Coloro che sono costretti a rivedere ipropri obiettivi sono soprattutto igiovani con posizioni occupazionaliincerte, o che vivono in regioni menoavanzate in termini di welfare e op-portunità.

Tra i principali motivi che hannoostacolato l’uscita dalla famiglia diorigine, figurano in primo luogo il la-voro e la condizione economica (in-sieme, rappresentano per oltre il70% degli intervistati un elementoche ha pesato “molto” o “abbastan-za”). Anche tra i lavoratori a tempodeterminato, l’81%ritiene la propriasituazione economica una causa ri-levante nel vanificare le aspirazionidi autonomia; il dato si accentua, ov-viamente, tra i Neet.

Rispetto alla nascita del primo figlio,le difficoltà si concentrano su aspettiabitativi, lavoro e situazione economi-ca (con valori sopra il 60%). Anchein questo caso i più sfavoriti sono iNeet e i lavoratori a tempo determi-

nato (rispetto ai lavoratori autonomi e a quelli con con-tratti a tempo indeterminato).

Le scarse opportunità occupazionali (disoccupazione,precarietà, basse remunerazioni) stanno quindi impe-dendo ai giovani italiani di costruirsi un futuro, costrin-gendoli a posticipare le tappe che connotano l’età adultae la maturità (autonomia economica, uscita dalla casa diorigine, acquisto di una casa, creazione di un nuovo nu-cleo familiare, genitorialità).

Alla soglia dei 30 anni non ci si può più, per questionianagrafiche, definire giovani. Ma al tempo stesso non siè adulti, se si è lontani dall’autonomia e dall’indipenden-za economica e familiare. Spiega Alessandro Rosina, co-ordinatore del Rapporto: «I ventenni Neet si stanno tra-sformando in trentenni Nyna (Not Young and Not Adult).Ma sprecando capacità e vitalità dei trentenni, il paesenon può crescere».

stato pubblicato a maggio il Rapporto Giovani 2017 dell’Istitu-to Toniolo, giunto alla quarta edizione. Il lavoro di ricerca, apartire dal 2013, costituisce la più estesa e approfondita inda-

gine empirica sulla condizione giovanile in ambito nazionale. Il vo-lume offre uno spaccato interessante della vita dei cosiddetti Millen-nials, ragazzi nati alla fine del secolo scorso, oggi tra i 18 e i 35 anni.

Tanti i temi approfonditi: lavoro, scuola, Neet, web e social network,atteggiamento nei confronti dell’Europa. Un approfondimento inte-ressante riguarda il lungo e travagliato percorso di transizione alla vitaadulta. Il Rapporto evidenzia che la generazione dei nati tra gli anniSessanta e Ottanta ha scelto di rinvia-re l’uscita dalla casa dei genitori e lacostituzione di una propria famiglia,mentre la generazione successiva haconsolidato il trend dell’uscita tardi-va, ma più per effetto di difficoltàambientali oggettive che per scelta.

Tale lettura è frutto di uno studiolongitudinale (su un campione di ol-tre 6 mila giovani, intervistati a più ri-prese a distanza di tempo), da cuiemerge che i giovani italiani si diffe-renziano rispetto ai loro coetanei eu-ropei non tanto in termini di sogni eprospettive, quanto per ciò che poiriescono a realizzare. Infatti, mentre in Europa la mag-gioranza dei figli lascia la casa di origine prima dei 25an-ni, in Italia lo si fa mediamente intorno ai 30 anni. Que-sto, però, non perché lo si voglia. Oltre il 90%dei ragazziitaliani ritiene, infatti, che sia auspicabile uscire di casaprima dei 30 anni; oltre la metà afferma che sarebbebene farlo prima dei 25 anni. E oltre il 60% dei ragazziè a favore di una maternità prima dei 30 anni (solo il6,5% indica come età ideale i 35 anni).

Alla domanda “se tu non avessi costrizioni o impedi-menti di alcun genere, quanti figli vorresti avere?”, la mediadelle risposte è 2,18; alla domanda “realisticamente quantifigli prevedi di avere in tutto il corso della tua vita?”, la me-dia delle risposte è 1,70. Se i giovani potessero realizzarequanto desiderano avremmo in Italia – scrivono i ricerca-tori del Toniolo – una fecondità paragonabile al resto d’Eu-ropa e non in deficit rispetto al rimpiazzo generazionale.

Il Rapporto Giovanidell’Istituto Toniolo,giunto alla quarta

edizione, affronta ildelicato tema dell’uscita

della famiglia,della genitorialità e

dell’autonomia. Si restaa casa più per obbligoche per scelta: il paesespreca la generazione

dei trentenni

NÉ GIOVANI NÉ ADULTI,I ‘‘NYNA’’ NON TRANSITANO

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databasedi Federica De Lauso

nazionale servizio civile

L’esperienza del servizio civile dovràresistere alla deriva “lavoristica” che staavanzando negli ultimi tempi, così come

al rischio e alle tentazioni di trasformarsiin una ennesima attività mordi-e-fuggi

10 giugno 1977. Caritas Italiana firma la convenzione col ministero della difesa per l’impiego di obiettori di coscienza. Il 15 settembre entra-no in servizio i primi due obiettori

10 maggio 1980. Primo numero di Servizio Civile, bollettino dedicatoagli obiettori Caritas

12 giugno 1982. A Roma, prima Conferenza nazionale sull’obiezione di coscienza, indetta dalla Caritas Italiana (con Acli, Agesci, Azione Catto-lica, Comunione e Liberazione)

25 giugno 1984. Il presidente della Caritas Italiana, monsignor Mario Castellano, scrive al ministro della difesa, Giovanni Spadolini, per prote-stare contro le precettazioni d’ufficio di obiettori

11 dicembre 1985. Conferenza stampa di Caritas Italiana per avanzareproposte per una nuova normativa e una nuova gestione del servizio civile

10 settembre 1986. Caritas Italiana decide di ricusare tutti gli obiettoriche il ministero della difesa precetterà d’ufficio, assegnandoli senza esse-re stati richiesti

2 giugno 1988. Documento programmatico e nascita della Cnesc (Con-sulta nazionale enti servizio civile): ne fanno parte Acli-Enaip, Arci, CaritasItaliana, Cenasca-Cisl, Cesc, Ispettorie Salesiane, Italia Nostra e Wwf

15 dicembre 1990. Ad Assisi terza Conferenza nazionale obiettori Cari-tas: vengono presentati i risultati dell’indagine sul “dopo l’obiezione”. Ulti-mo numero di Servizio Civile, che dal 1991 diventerà Arcobaleno di pace

16 novembre 1991. Rivolgendosi ai partecipanti al convegno per i 20anni di Caritas Italiana, papa Giovanni Paolo II afferma: «Meritano specia-le apprezzamento la proposta di un anno di volontariato sociale rivolta alle ragazze e il servizio civile prestato nel settore caritativo assistenzialedai giovani obiettori di coscienza»

7 dicembre1992. Più di mille obiettori Caritas a Napoli per la quartaConferenza nazionale: “Contro ogni violenza, organizziamo la speranza”

SERVIZIO CIVILE IN CARITASQuarant’anni di lotte e conquiste

Resta, anche nella stagione del nuo-vo servizio civile, la sfida educativa chequesta esperienza comporta per chi lapropone, e che l’ha da sempre caratte-rizzata, raggiungendo in 40 anni diver-se generazioni di giovani. L’esperienzadel servizio civile dovrà insomma resi-stere alla deriva “lavoristica” che staavanzando negli ultimi tempi (il servi-zio civile unicamente come esperienzapre-lavorativa), così come alle tenta-zioni di trasformarsi in un’ennesimaattività mordi-e-fuggi (mentre è bennoto che ogni esperienza che voglia es-sere significativa dal punto di vista for-mativo ha bisogno di tempo).

I 40 anni trascorsi stanno a dirci cheè possibile, anche con il servizio civile,far crescere il paese. E soprattutto i gio-vani del nostro paese. Auguri di buonservizio futuro!

MILITANZA NONVIOLENTAMonsignor Giuseppe Pasini, direttore

di Caritas Italiana, con i giovaniobiettori in servizio per Caritas,

partecipanti alla Conferenza di Firenze

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vedeva per i “suoi”, come tirocinio pre-servizio). Lotta ulteriore, per vedere ri-conosciuta la pari dignità (prima anco-ra della pari durata, che arriverà nel1989) tra servizio militare e servizio ci-vile, entrambi rispondenti, come diràla Corte Costituzionale nel 1985, al do-vere costituzionale di difesa della pa-tria. Lotta, infine, per ottenere unanuova legge (arrivata nel 1998, dopo 15anni di lavoro parlamentare) che tra-sformasse in diritto soggettivo l’obie-zione al militare, smilitarizzandola.Una legge, peraltro, arrivata tardi, vistoche nel 2000 anche l’Italia opterà per lasospensione della leva e il passaggio aforze armate professionali.

Partecipazione attivaDi quelle lotte, nel nuovo servizio civilesu base volontaria, inaugurato nel di-cembre 2001 (e che ha visto la Caritastra i primi cinque enti a offrire possibi-lità d’impegno) non è rimasta solol’eco nei racconti fatti ai giovani duran-te gli incontri di formazione. Il patri-monio di idee e valori che ha caratte-rizzato il servizio civile degli obiettori èlo stesso di quello che sta al fondo delleproposte che oggi le Caritas continua-no a fare ai giovani. Ed è un patrimonioche si può rinvenire nella legge del2016 che ha disegnato il “nuovo” servi-zio civile (ribattezzandolo non più “na-zionale”, ma “universale”): un istitutofinalizzato, ai sensi degli articoli 52 e 11della Costituzione, alla “difesa non ar-mata della patria e alla promozione deivalori fondativi della Repubblica”.

Non è dunque affatto per nostal-gia che Caritas continua a credere nelservizio civile come proposta ai gio-vani di partecipazione attiva alla vitadella comunità, in Italia e all’estero,di contributo alla costruzione dellapace attraverso le “armi” della non-violenza, di adempimento del dovereinderogabile di solidarietà, di relazio-ni più giuste ed eque per tutti, so-prattutto per i più deboli.

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I lavori ipertecnologici, iperspe-cialistici e iperparcellizzati di og-gi conservano ancora un valoreeducativo? Se viene meno la ne-cessità di trasferire un depositodi esperienza, viene meno anchela relazione educativa tra genera-zioni (di lavoratori)?

Noi ci avviamo a un’economia 4.0, incui si fa sempre più strada l’innovazio-ne tecnologica. Dobbiamo guardarlanon con sospetto, ma osservarla comeuna possibilità, che certo farà perderediversi posti di lavoro, ma aprirà altrispazi occupazionali. L’importante èche l’innovazione sia guidata dalla co-scienza, che si promuova un lavorocomunque umano, che la vita non siamessa in mano a robot. La robotizza-zione può essere utile (pensiamo agliambiti medico e assistenziale), a pattoche sia guidata dalla coscienza e indi-rizzata a operare per uno sviluppo del-la dignità della persona umana. Nelcontempo, non posso non costatareche tanti giovani tornano a recuperareesperienze lavorative legate ai campi,all’artigianato, alle botteghe, ai tesoriculturali e monumentali: si assiste allaripresa di una tradizione dei nostri ter-ritori, che non è in contrasto con l’in-novazione e intende mettere a profittouna storia e una cultura. Ribadisco: èimportante che l’innovazione sia gui-data dalla coscienza. Questo non im-pedisce il recupero di professioni e

verso, che assoggetta il lavoratore allaproduzione e sottomette le persone allamassimizzazione del profitto, non ri-spettando la dimensione complessivadelle persone. Per questo motivo oc-corre un approfondimento del sensodel lavoro, connesso alla dignità, pernon soccombere a logiche economici-stiche, secondo cui il profitto è consi-derato un assoluto, non uno degli ele-menti per la crescita della persona,dell’impresa e del bene comune. La sfi-da non è solo correre ai ripari, promuo-vendo l’occupazione in una fase di di-soccupazione, ma anche costruire inmaniera solida un lavoro libero, creati-vo, in cui la persona si realizza, parteci-pativo e solidale. Ovvero una visionedella realtà, in cui la persona non è sot-tomessa a criteri di accumulazione pri-vi di ricadute sul bene della società.

La sfida odierna non è solo promuovereoccupazione in una fase di disoccupazione,ma anche costruire una visione della

realtà, in cui la persona non è sottomessaa criteri di profitto e di accumulazione

mestieri del passato, forieri di una va-lorizzazione globale della persona edella comunità, anche nel rapportoeducativo tra generazioni.

Lei è stato a lungo sacerdote e ve-scovo in Brasile: i lavoratori del Suddel mondo stanno facendo conqui-ste che li avvicinano ai nostri stan-dard, in termini di diritti, o sono inostri lavoratori a scivolare – in no-me della flessibilità – verso modelliche non escludono forme più o me-no esplicite di sfruttamento?

Mi dispiace purtroppo dover afferma-re, sulla scorta delle riflessioni di papaFrancesco, che i diritti e le garanzie atutela dei lavoratori sono sempre piùsacrificati in nome dei profitti. I lavo-ratori e le lavoratrici del mondo sonoin larga parte accomunati dalla ridu-zione dei salari e (ciò che più preoc-cupa) dalla diminuzione della qualitàdella vita. La globalizzazione, dellaquale si dicevano grandi cose, consi-dera i profitti come l’assoluto della vi-ta, a spese dei deboli. Si svilupperan-no sempre più forme esplicite di sfrut-tamento, se non s’interviene condecisione. Anzitutto, c’è bisogno diuna direzione dell’economia: la pro-spettiva non può essere la massimiz-zazione dei profitti, né d’altro conto ilcontrollo del sindacato, ma la creazio-ne di lavoro, riferito al bene della per-sona e della società. Io avverto unapressione grande, un’angoscia realeper chi non ha lavoro. Dobbiamometterci tutti nella prospettiva dicreare lavoro, di sviluppare camminidi occupazione. Rivolti a un lavoromagari più sobrio, meno orientato

QUESTIONE CENTRALEManifestazione di lavoratori. A destra,

artigiano nella sua officina. Sotto,monsignor Santoro con un operaio

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A fine ottobreCagliari ospiterà la 48ª Settimana socialedei cattolici italiani. Il lavoro sarà al centrodi analisi, confronti,racconti di buonepratiche. Intervista a monsignor FilippoSantoro, arcivescovodi Taranto, presidentedel Comitatoorganizzatore

agliari ospiterà, dal 26 al 29ottobre, la 48ª Settimana so-ciale dei cattolici italiani. Alcentro della riflessione, “Il la-voro che vogliamo”, tema

quanto mai carico, nell’attuale fasestorica, di implicazioni sociali e di in-trecci con il dilagare delle povertà. ICprova ad analizzarle con monsignorFilippo Santoro, arcivescovo di Ta-ranto, presidente del Comitato scien-tifico e organizzatore.

“Libero, creativo, partecipativo esolidale”: così il lavoro che i cat-tolici vogliono, stando al titolocompleto della 48ª Settimana so-ciale. Può spiegare il senso diquesti quattro aggettivi?

Sono quattro espressioni di PapaFrancesco nella Evangelii Gaudium.Rimandano in maniera sintetica alladottrina sociale della Chiesa sul lavo-ro. Secondo la quale esso è non solol’ambito della vita dal quale riceviamoil necessario per la sussistenza, ma an-che la realtà in cui avviene gran parte

della realizzazione e dell’espressionedella persona. In sintesi, noi vogliamoun lavoro degno, perché la dignità del-la persona si realizza nella relazioneaffettiva, nella famiglia, nei rapporticon gli altri, ma anche nella costruzio-ne della propria vita attraverso il lavo-ro. Il lavoro degno non è solo questio-ne di giusta retribuzione, ma un lavoroche non schiavizza e non è un idolo,che fa venir fuori i talenti di ognuno,che favorisce l’inserimento nella co-munità, che si apre alla società, allenecessità degli altri, al bene di tutti.

Nel Messaggio per il 1° maggio ivescovi ragionano intorno al “sen-so del lavoro”. Discettare di creati-vità, gratificazione e realizzazionepersonale è un lusso, in un’epocadi cronica disoccupazione e dila-gante precarizzazione?

Proprio nel momento in cui smettiamodi guardare alla persona, alla realizza-zione e al bene comune, in nome del-l’emergenza e della precarietà econo-mica, favoriamo un meccanismo per-

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«Il lavorovogliamo,

nazionale verso cagliari / 1

di Paolo Brivio

strumento di dignità»

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La disoccupazione, tra le persone con disabilità, è sopra l’80%.Nonostante la leggesul collocamentoobbligatorio del 1999e gli aggiornamentiintrodotti dal Jobs Act.Enti e aziendeconsiderano i disabiliun peso. Ma tanteesperienze dimostranoil contrario

i è portati a pensare che sianopoche, ma in realtà tutte le ri-cerche ci dicono che sono dav-vero tante. In Italia vivono circa4 milioni di persone con disa-

bilità, e il loro numero è destinato neiprossimi anni e decenni a crescere an-cora. Per lungo tempo la loro vita èstata caratterizzata da una forte esclu-sione sociale, causata da un muro dipregiudizi, che hanno contribuito acreare una netta separazione dal restodella società. Una condizione di invi-sibilità, se non di segregazione, chesenza dubbio negli ultimi decenni stalentamente cambiando, lasciandospazio a una maggiore consapevolez-za sociale dei diritti e delle possibilitàdelle persone con disabilità.

Se è impossibile negare i passiavanti compiuti negli ultimi decenni,è anche vero che ancora molto va fat-to, per arrivare a una piena e completainclusione sociale. Come per ogni al-

tro cittadino, anche per la persona condisabilità prima la scuola e successiva-mente il lavoro rappresentano gli am-biti principali in cui si sviluppa la per-sonalità, anche in termini di autostimae realizzazione individuale. L’inclusio-ne deve inoltre estendersi anche a unambito che fino all’altro ieri non veni-va neppure preso in considerazione: iltempo libero. Vale a dire viaggi, turi-smo, cinema, teatro, divertimento ecultura in senso ampio. In tutti questiambiti si sono accese di recente tanteluci, ma in generale la condizione del-le persone disabili è fatta ancora damoltissime ombre, che nonostantetutto rimangono spesse.

Dati in ritardo e preoccupantiBasta prendere il tema dell’occupazio-ne, per capire quanta strada ancora ilnostro paese debba percorrere. Il lavo-ro si configura davvero come una bar-riera: oggi, infatti, neanche una perso-

di Annalisa Loriga

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nazionale inclusione sociale

lavoro?Disabilial

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La barriera è culturale

SI PUÒ FAREUna persona con disabilitàrealizza le decorazioni di uno specchio nel laboratoriodi una cooperativa sociale

all’accumulazione. Poi è utile, il Papalo dice nella Laudato Sì, una gover-nance internazionale, che renda pos-sibile il rispetto della vita dei lavorato-ri e il rispetto dell’ambiente. Bisognadare una risposta giusta sia al gridodella terra sia al grido dei poveri.

Caritas da anni si batte per intro-durre un Reddito d’inclusione so-ciale, ormai agli esordi. La lotta allapovertà richiede strumenti specifi-ci: come integrarli con politiche disviluppo inclusivo, volte a favorireuna più ampia occupazione?

La cosa fondamentale, lo dicevo, èpromuovere più lavoro. Bisogna met-tere tutte le energie di stato e governonella creazione di lavoro, per esempiofavorendo le piccole e medie imprese,liberandole da pesi fiscali. Lo stato, incollaborazione con le regioni, devemettere in condizione le persone e isoggetti presenti nei territori di ope-rare al meglio per produrre lavoro.Sussidi e sostegni vanno indirizzati aquesto scopo, oltre che a liberare il la-voro da forme di illegalità avvilenti,ecomafie, agromafie, caporalato.

Taranto, la città di cui è vescovo,sperimenta da decenni un dram-matico dilemma: proteggere l’am-biente o garantire la produzione?Tutelare la salute o promuovere illavoro? Sintesi difficile: sostenibi-lità economica e sostenibilità am-bientale sono inconciliabili?

Quando abbiamo letto la Laudato Sì’,qui a Taranto abbiamo respirato unaboccata di aria pura. Soprattutto in re-lazione ai passaggi in cui il Papa stig-matizza la realtà del debito ecologico.Taranto ha pagato un debito grandis-simo alla produzione dell’acciaio pertutto il paese, e cosa ne ha ricavato? Ladevastazione dell’ambiente e un feri-mento della vita. È dunque della mas-sima importanza sviluppare un’ecolo-gia, dice il Papa, «integrale», in cui con-

vergano il rispetto dell’ambiente, dellasocietà, della persona. La vicenda ta-rantina è emblematica di come econo-mia e politica siano state sottomessealla tecnologia e alla finanza in nomedel profitto. D’altro canto si sta mani-festando una rinnovata comunione diintenti, una «rinnovata alleanza», l’hachiamata papa Francesco, tra la comu-nità cristiana e quella scientifica, checonvergono nella protezione del benecomune, minacciato sia dalla crisi eco-logica sia dall’esclusione sociale. L’im-presa di conciliare salute e lavoro sem-bra ardua, ma noi la affrontiamo. L’in-novazione tecnologica può diventareun alleato sul fronte della riduzionedell’inquinamento, quindi nella pro-spettiva di creare un lavoro nuovo, checonsenta un contatto armonico conl’ambiente, con il territorio e la sua vo-cazione. A Taranto, per esempio, po-tremmo sviluppare un’agricoltura dieccellenza, poi la pesca e l’economiadel mare, l’artigianato, il turismo, lagrande tradizione storica...

Cosa si aspetta esattamente dallaSettimana di Cagliari? Si è dettoche genererà una proposta non

Si manifesta una “rinnovata alleanza”, tra la comunità cristiana e quella scientifica,che convergono nella protezione

del bene comune, minacciato sia dalla crisiecologica sia dall’esclusione sociale

solo culturale, ma anche politico-normativa: a quale proposito e conquali obiettivi?

La Settimana sociale di Cagliari ha unobiettivo duplice. Anzitutto, valorizza-re e ascoltare ciò che emerge dai terri-tori, in particolare dalle diocesi, a pro-posito del lavoro, sia in termini di de-nuncia, sia in termini di buonepratiche. Si tratta di ascoltare sia il gri-do della terra e dei poveri, sia tanteproposte positive, mettendole in rete,indicando una prospettiva di creazio-ne di lavoro, di valorizzazione delle im-prese virtuose, non solo quelle indu-striali, ma anche in agricoltura, nelcommercio, ecc... L’altro obiettivo è pe-rò incidere sulla legislazione, avendocome interlocutore il parlamento: hogià detto della defiscalizzazione delleaziende, e di tutte le misure di facilita-zione della creazione di impresa. Inol-tre dobbiamo chiedere una strategiaspecifica del governo e dello stato sulMezzogiorno, perché la forbice delladisuguaglianza tra nord e sud non puòcontinuare ad ampliarsi: la crescita dlsud fa bene a tutto il paese. Insieme,occorre maturare uno sguardo al Me-diterraneo, e naturalmente anche inquesta prospettiva maturare un’atten-zione specifica al ruolo che il meridio-ne può giocare. Il Comitato promotoredella Settimana di Cagliari, sia i pastoriche i laici, nell’elaborare analisi e pro-poste cerca di aver presente presenti ivolti delle persone, di quelle che nonhanno lavoro e di quelle che lo hannoma precario. Non possiamo essere noia risolvere tutti i problemi, però possia-mo – ed è la nostra missione – indicarepercorsi umanizzanti.

CREATIVO E PARTECIPATIVO?Operaia in una fabbrica tessile.La Settimana sociale dei cattolicisi svolgerà a Cagliari a fine settembre

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nazionale verso cagliari / 1

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netto dei fondi statali destinati allepolitiche sociali e alla non autosuffi-cienza (tagli poi rientrati dopo le pro-teste) e in cui era stata avanzata laproposta di pagare le prestazioni dellepersone disabili con i cosiddetti “vou-cher” (ipotesi poi superata dalla loroabrogazione totale, ma che intantoaveva reso evidente la scarsa conside-razione riservata a questi lavoratori).

«Tutti questi – ragiona Falabella amente fredda – sono segnali chiariche il problema è anzitutto culturale,e consiste nel pregiudizio che le per-sone con disabilitànon siano produtti-ve, non sappianocioè assumersi im-pegni, decisioni e re-sponsabilità; che perle aziende, insom-ma, essi siano sola-mente un peso. Di-ciamo con forza chenon c’è niente di piùfalso: le persone condisabilità sviluppa-no competenze, ac-quisiscono profes-

sionalità, alcune si laureano e hannocapacità eccellenti. Quello che occor-re è un cambio di paradigma, chepermetta di considerare le personedisabili alla stregua di ogni altro cit-tadino: è giusto quindi che esse ven-gano valutate sulla base delle lorocompetenze e capacità, su ciò chesanno davvero fare, e non come sem-plici numeri per rispettare un obbli-

go di legge o per avere un vantaggiofiscale sul costo del lavoro».

Accomodamento ragionevoleLa Convenzione Onu sui diritti dellepersone con disabilità (legge in Italiadal 2009) prevede il principio dell’“ac-comodamento ragionevole”: se noncomporta un onere sproporzionato oeccessivo, bisogna cioè realizzare gliadattamenti che garantiscano il dirit-to al lavoro (piena accessibilità dellapostazione, ausili, supporto o assi-stenza personale, ecc.). Ma importan-te è anche il criterio della “personagiusta al posto giusto”: fare in modo,cioè, che ogni singola persona trovi unimpiego coerente con le sue caratteri-stiche, a partire dalle competenze tec-niche, personali e relazionali che sononecessarie per svolgerlo, tenendo nelgiusto conto anche preferenze e aspi-razioni personali. È una regola che nelmondo del lavoro vale sempre, mache per le persone con una disabilitàè ancora più essenziale.

La dimostrazione che tutto questoè possibile e può accadere davverosta nell’azione concreta delle tanteassociazioni che curano, nei territori,inserimenti lavorativi di persone condisabilità. Attraverso corsi, stage e ti-rocini, operatori adeguatamente for-mati aiutano le persone ad acquisireuna professionalità, svolgendo altempo stesso una funzione di media-zione con i datori di lavoro che sonointeressati ad assumere personalecon disabilità. Una volta individuatoun possibile abbinamento fra singolapersona e singolo impiego, i tutor ac-compagnano non solo il nuovo lavo-ratore, ma anche i suoi colleghi, al fi-ne di far comprendere quali dinami-che e azioni favoriscono la buonariuscita del rapporto di lavoro e qualiinvece la ostacolano. Si tratta di un la-voro di squadra, che può coinvolgereanche la famiglia del lavoratore e cheviene attuato indipendentementedalla tipologia di disabilità: fisica,sensoriale o intellettiva-relazionale.

Il lavoro, attuando le giuste accor-tezze, può quindi davvero essere pertutti. E può così contribuire alla realiz-zazione di chi vive con una disabilità.C’è però bisogno di cambiare il siste-ma di incontro fra domanda e offerta,provando a rendere un po’ più facileciò che oggi è troppo difficile.

MANSIONI DI PRECISIONEGiovani con disabilità impegnati in

lavori di assemblaggio, commissionatida aziende a cooperative sociali

nazionale inclusione sociale

na disabile su cinque lavora. La disoc-cupazione, secondo tutte le analisi sultema, rimane nettamente sopra l’80%,con evidenti ripercussioni in terminidi realizzazione personale e di manca-to guadagno. Il lavoro, insomma, perle persone con disabilità è un mirag-gio, e la crisi economica che ha colpitoil paese non ha certo contribuito a mi-gliorare le cose. Tutto questo, nono-stante dal 1999 sia in vigore una leggesul cosiddetto “collocamento obbliga-torio”, che dovrebbe garantire il dirittoal lavoro delle persone disabili.

Le proporzioni di quella che appareuna disfatta si rintracciano nelle cifrecontenute nella “Relazione al Parla-mento” sull’attuazione della legge68/99: dati resi noti con grande ritardo(i più recenti sono relativi al 2013), mache descrivono bene la gravità della si-tuazione, che nessuno si illude possaessere radicalmente cambiata negli ul-timi tre anni. Nel 2013 c’erano circa700 mila persone disabili iscritte aglielenchi unici provinciali del colloca-mento obbligatorio, 70 mila delle qualiinserite nell’ultimo anno: di questa va-sta platea, appena 18.295 persone era-no state avviate al lavoro nel corso diquegli ultimi 12 mesi. Un numero cheha rappresentato il minimo storico, ildato più basso dal momento dell’en-trata in vigore della legge.

In pratica, ogni quattro nuovi disa-bili iscritti alla lista del collocamentoobbligatorio, solo uno trova effettiva-mente un lavoro; se poi come terminedi paragone consideriamo tutti gliiscritti, il risultato è ancora più impie-toso, con un avviamento al lavoroogni 36 iscritti al collocamento. Nonc’è da stupirsi, allora, se in molti ri-nunciano perfino a cercarlo, un im-piego. Anche perché (cosa gravissima)neppure i posti di lavoro obbligatoriprevisti dalla legge sono poi davverocoperti: fra pubblico e privato nel2013 ce n’erano a disposizione oltre 41mila. I ridottissimi inserimenti dipen-

dono anche dall’irrisorio numero dicontrolli effettuati (violare la legge sulcollocamento obbligatorio di solitonon crea particolari problemi ai datoridi lavoro, che infatti ne approfittano),che si aggiunge all’elevato numero diaziende che a causa della crisi chiedo-no (e ottengono) di essere esoneratedall’obbligo di assunzione.

Chiamata nominativaCon questi numeri, che la legge 68/99avesse bisogno di un “tagliando” eraevidente. E infatti un aggiornamentonormativo è stato effettivamente rea-lizzato, in occasione dell’approvazio-ne della recente riforma del lavoro,meglio nota come Jobs Act. Le nuovenorme danno più spazio alla cosid-detta “chiamata nominativa” (l’assun-zione mirata di una determinata per-sona) e offrono una forte decontribu-zione al datore di lavoro che assume atempo indeterminato, con incentiviper tre anni e fino al 70% della retribu-zione lorda. Parallelamente, vengonoaumentate le sanzioni a carico di chinon rispetta le “quote” di riserva. Lemodifiche hanno trovato accoglienzamolto diversa all’interno del variegatomondo delle associazioni delle perso-ne con disabilità (c’è chi le ha appog-giate e chi le ha avversate), in partico-lare per la centralità assunta dallachiamata nominativa, che presuppo-ne una fase di attento studio delle ca-ratteristiche della persona in rapportoa quel preciso posto di lavoro.

Il Jobs Act portava con sé ancheun’altra interessante modifica, preve-dendo che le aziende tra 15 e 35 di-pendenti che non avessero ancora alloro interno neppure una personacon disabilità dovessero immediata-mente assumerne una. Un obbligoche doveva entrare in vigore a marzo2017 e che, secondo i calcoli della Fish(Federazione italiana superamentohandicap), avrebbe aperto una con-creta aspettativa di assunzione per un

Ogni quattro nuovi disabili iscritti alla listadel collocamento obbligatorio, solo unotrova un lavoro. Se consideriamo tutti

gli iscritti, il risultato è ancora più impietoso:un avviamento al lavoro ogni 36 iscritti

numero compreso fra 70 e 90 milapersone con disabilità. A fine di feb-braio, però, qualche giorno prima del-la sua entrata in vigore, con il decretoMilleproroghe, poi convertito in leggedal Parlamento, il governo ha rinviatol’obbligo al 2018. Lasciando nuova-mente a bocca asciutta una platea cheaveva sperato in una svolta.

La tegola del rinvio. E non soloSecondo il presidente della Fish, Vin-cenzo Falabella, quel rinvio è stato«una tegola» per le tante persone di-sabili che vogliono accedere al mon-do del lavoro: «La norma del Jobs Actportava un segnale concreto control’esclusione dal mondo del lavoro,uno dei più pesanti elementi di di-scriminazione delle persone con di-sabilità oggi in Italia. L’averla sposta-ta avanti di 12 mesi è un segnale par-ticolarmente preoccupante, perché èuna chiara espressione della reticen-za del mondo produttivo italiano adaprirsi ai lavoratori con disabilità».

Il rinvio è arrivato nelle stesse set-timane in cui si è rischiato un taglio

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Il cardinale Gualtiero Bassetti, arcive-scovo di Perugia – Città della Pieve, è stato nominato dal Papa nuovo presi-dente della Conferenza episcopale italiana. La nomina è stata comunicatail 24 maggio; subito dopo monsignor

Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, ha invia-to un messaggio di congratulazioni e auguri al neo-pre-sidente: «Siamo sicuri che nel nuovo impegnativo com-

pito pastorale saprà aiutare la Chiesaad essere sempre più capace di ascol-to, comunione, testimonianza e missio-ne, con un’attenzione preferenziale a chi è ai margini». Monsignor Soddu ha scritto anche al cardinale Angelo Bagnasco,presidente uscente, per manifestargli «profonda gratitudine per la passione, la saggezza e la lungimi-ranza con cui ha guidato la Chiesa in Italia».

Dieci sigle (tra organismi, associazioni,movimenti e campagne) hanno sotto-scritto l’appello “Azzardo: non limitiamoi poteri di comuni e regioni, aboliamo la pubblicità e altro ancora”, inviato al governo il 23 maggio in relazione

al testo di “riordino” del gioco d’azzardo in concessionestatale, presentato dal sottosegretario all’economiaPier Paolo Baretta. L’articolato documento è stato rias-sunto in pochi ma fondamentali concetti: «1) Ogni inter-vento nel settore deve mirare a ridurre non solo l'offerta,ma anche il consumo di gioco d'azzardo. 2) La pubblici-tà al gioco d’azzardo va rapidamente estinta in manieraassoluta (con l’impegno a discutere e approvare i pro-

getti di legge presentati alle Camere da oltre 200 parla-mentari). 3) La giurisprudenza favorevole a comuni e regioni deve tradursi in un concreto, esplicito e incon-dizionato riconoscimento agli enti locali di totale auto-nomia potestà regolamentare e legislativa in materia (…).4) Le Aziende sanitarie devono dispiegare l’offerta di presa in carico terapeutico e predisporre la sorve-glianza sanitaria su tutti i locali dove si esercita giocod’azzardo, con divieto ovunque di consumo di alcolici e di fumo. 5) L’articolo 14 della legge antiusura va este-so rapidamente anche alle persone fisiche, a comincia-re dalle vittime di usura connessa alla dipendenza da gioco d’azzardo. 6) Va stabilita una moratoria inte-grale di ogni tipo e struttura di nuovi giochi d’azzardo».

GIOCORiordino dell’azzardo, appello delle associazioni al governo

BOLZANO-BRESSANONE“Integra” personevulnerabili: festaper dire grazieagli imprenditori

«Per persone che presenta-no difficoltà di autonomia,

promuovere il lavoro e un siste-ma di relazioni interpersonali è di fondamentale importanza».Così la Caritas diocesana di Bol-zano-Bressanone ha voluto rin-graziare le circa 50 aziende delterritorio che hanno collaboratoalla realizzazione del servizio “Integra”, con il quale, dal 2011,Caritas ha cercato di inserire nelmondo del lavoro e nella societàpersone diversamente abili e conproblemi psichici, attraverso tiro-cini e stage. Nel corso di una fe-sta di ringraziamento, a maggio,a circa 50 imprenditori e respon-

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sabili di aziende o istituzioni è stato consegnato un diploma di riconoscimento. Le personeseguite da “Integra”, 43 uomini e donne tra i 18 e i 50 anni, han-no ricevuto un premio mensile fino a un massimo di 490 euro.

ROMAGli “hikikomori”della capitale,“Foglie chiuse”tra quattro mura

La solitudine a Roma è una piaga che non afflig-

ge solo gli anziani. Dell’esercitodei dimenticati fanno parte an-che le centinaia di persone tra i 18 e i 64 anni residenti in cinquemunicipi della capitale aiutate daCaritas. Uomini e donne soli, af-fetti da patologie importanti, condisturbi mentali, separati con pro-

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blemi economici, disabili senzagenitori, giovani che non lavoranoe non studiano... Non di rado an-che intere famiglie risultano isola-te. I dati sono emersi durante il convegno “Le solitudini a Ro-ma. La nuova pandemia sociosa-nitaria per anziani, giovani e fami-glie”, promosso a fine maggio in collaborazione con la regioneLazio. Nel 2016, Caritas Romaha fornito assistenza a 161 uomi-ni e 362 donne (il 52% tra 18 e 64 anni): persone fragili, che fini-scono per isolarsi tra le pareti do-mestiche, cercando talora riparodietro lo schermo di un computer.È il fenomeno noto in Giapponecon il termine hikikomori. Il con-vegno si è aperto con la proiezio-ne del documentario Foglie Chiu-se, prodotto da Caritas (regia diAlessandro Giordani, amichevolepartecipazione di Giulio Scarpati).2

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panoramaitalia

CONFERENZA EPISCOPALEGli auguri Caritas al cardinal Bassetti, nuovo presidente Cei

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tore che producono certe inchiestegiornalistiche, e soprattutto certe tra-smissioni tv, che fanno d’ogni erba unfascio. Sull’insieme si dispiega poi unalone di... glorificazione delle vittimeche – più pronte, o più fortunate, omeglio attrezzate – riescono a contra-stare la minaccia facendo fuoco.

Il ragionamento corretto dovrebbeessere un altro: poiché la tutela dellasicurezza è una funzione pubblica, sidovrebbe realizzare il potenziamentoo, come si dice, l’“efficientamento”delle entità preposte all’ordine pub-blico, magari aumentando le entratetributarie volte a tale scopo.

Il clamore più forte s’indirizza in-vece verso un’amministrazione priva-tistica della materia, con la tendenzaa dare spazio a un criterio pressochéassoluto di autodeterminazione. Chesuona più o meno così: quando ricor-rono le condizioni previste dalla leg-ge, non c’è bisogno che la vittimadebba dimostrare davanti al giudicedi aver agito secondo giustizia.

La discussione sulla legge si è con-centrata soprattutto sulla collocazio-ne... notturna di scassi, rapine e vio-

lazioni di domicilio come fattore di scagionamento dellavittima. Ma il grosso del problema è altrove. C’è infatti, alfondo, una questione etico-culturale, riassunta nell’in-terrogativo: che valore si dà alla vita umana? Anche quelladi un malfattore e di un criminale. Un paese che ha ban-dito la pena di morte può consentire che la morte violen-ta di una persona sfugga all’attenzione della giustizia? Laquale ha tutti gli strumenti per accertare lo svolgimentodei fatti. Ma non le si può chiedere di chiudere gli occhidi fronte a un evento comunque drammatico.

A meno che non si ritenga di condividere che tutto si ri-solverebbe se, cambiando la Costituzione, si attribuisse me-desimo valore alla salvaguardia della vita umana e alla tuteladella proprietà privata. Considerando la prima bene fungi-bile, al pari della seconda. L’obiettivo dichiarato è difenderela proprietà, anche a costo di mettere in pericolo l’incolu-mità del malvivente. Ce ne vogliamo occupare?

a difesa è sempre legittima”: lo slogan ha imperversatonelle contrade della politica per tutta (o quasi) la prima-vera. Se ne sono fatti vessilliferi i fautori dell’intervento

privato, anche mortale, a difesa della incolumità dei cittadini, maanche dei beni minacciati da ladri e rapinatori. La discussione si èsviluppata intorno alla proposta di legge, nata dalla Lega Nord, chetendeva a rivedere la disciplina penale nei casi – che si studiano agiurisprudenza – in cui la vittima di un’aggressione o di un’inva-sione (nell’abitazione o nel luogo di lavoro) reagisce sparando, eferendo o uccidendo il delinquente di cui è vittima.

Il codice vigente, a dire il vero, con-templava già tali situazioni e le rubri-cava, quando ci scappava il morto,come “eccesso colposo di legittimadifesa”. Era un’eredità del codice Roc-co, inficiato di fascismo, ma il criterioera già presente nel liberalissimo co-dice Zanardelli del secolo XIX. Giudicie avvocati hanno sempre battagliatosul punto; l’“eccesso colposo”, con-nesso alla “proporzionalità” della rea-zione, faceva da ponte tra i due polidella tensione processuale. E la bilan-cia della giustizia raggiungeva unasorta di equilibrio sostanziale.

Statistiche e stati d’animoC’era bisogno di cambiare le norme? L'esigenza era statagià considerata sotto uno dei consolati di Berlusconi, conemendamenti che imponevano di valutare il grado di tur-bamento, quindi la speciale condizione psicologica dellavittima al momento della consumazione del reato. Saggiae prudente variazione. Ma non bastava.

Il quadro è mutato quando nel dibattito pubblico s’èintrodotto il concetto di sicurezza declinato in tutte le sueespressioni. Inclusa la distinzione tra insicurezza effettivae percepita. La prima dovrebbe essere certificata dallestatistiche, l’altra è affidata agli stati d’animo dei cittadini.Le statistiche rivelano che, almeno negli ultimi tempi, ireati in questione non sono in aumento. Al contrario, lapercezione di insicurezza è in decisa crescita.

Un’indagine andrebbe condotta sull’effetto moltiplica-

Legittima difesa, si discute della nuovalegge: c’è una cultura

che parte dall'insicurezzapercepita, passa

all’autodeterminazionearmata e giunge alla

svalutazione della vitaumana in nome delladifesa della proprietà.

Ce ne vogliamooccupare?

FRANCHIGIA PER CHI SPARA:LA PROPRIETÀ VALE LA VITA?

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contrappuntodi Domenico Rosati

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rapporto annuale 2016

2016Il 2016 di Caritas Italiana, riassunto nel Rapporto annuale(integrale su www.caritas.it). Intense attività di formazione, studioe comunicazione; grandi e piccoli progetti in Italia, in Europae nel mondo: fatti e cifre, per ricapitolare un intenso lavoro pastoralea servizio dei poveri, in accordo con lo spirito del Giubileo

a cura dell’Ufficio comunicazione

compiti, le linee di azione e di impe-gno, a servizio della Chiesa e dei po-veri, che devono contraddistinguereCaritas.

Restare, migrare, vivereIl 2016 è stato molto intenso anchesu altri versanti. In Italia, Caritas hamanifestato un’attenzione semprepiù forte alla condizione di povertàassoluta, che riguarda il 7,6% dellapopolazione. A questo ha dedicato il“Rapporto sulle politiche contro lapovertà in Italia”, Non fermiamo lariforma, e il “Rapporto su povertà edesclusione sociale”, Vasi comunican-

ti. Inoltre l’argo-mento è stato ap-profondito in un’in-dagine nazionale suigiovani Neet rivolti-si ai centri di ascol-to Caritas.

A fine 2016, inun appello inviatoalle più alte caricheistituzionali insie-

anniversario particolare,il Giubileo universale. Il2016 di Caritas Italiana èstato caratterizzato dallaricorrenza dei 45 anni di

vita e servizio dell’organismo, mentrela Chiesa, in tutto il mondo, celebra-va il Giubileo straordinario della Mi-sericordia.

Per tenere insieme le due occasio-ni, Caritas ha condotto, insieme aMissio e alla confederazione Focsiv,la campagna giubilare Il diritto di ri-manere nella propria terra. Inoltre, iltema della Misericordia ha caratte-rizzato il 38° Convegno nazionaledelle Caritas dio-cesane, svoltosi aSacrofano (Roma)dal 18 al 21 aprile,giorno in cui PapaFrancesco ha rice-vuto in aula PaoloVI i rappresentantidi Caritas diocesa-ne e Caritas Italia-na, e ha ribadito i

L’

Misericordiosi

Un annodi Caritas

L’IMPEGNO CARITAS

TOTALE51.847.157,91

TOTALE IMPORTO IN €

Progetti/attività in Italia 37.444.317,33 Progetti/attività nel mondo 11.155.950,58Costi di gestione 3.246.890,00 Totale 51.847.157,91

L’IMPEGNO CARITASRiepilogo complessivo utilizzo fondi 2016

COSTI DI GESTIONE 3.246.890,00 6,3%

PROGETTI/ATTIVITÀ IN ITALIA37.444.317,33

72,2%

PROGETTI/ATTIVITÀNEL MONDO

11.155.950,5821,5%

come il Padre

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panoramaitalia

PESCARA-PENNERipulito e apertoa un uso sociale,rivive il “Parcodella Speranza”

È stato inaugurato a iniziomaggio il “rinnovato” Parco

della Speranza, a Pescara, esitodel progetto “Responsabili delcreato”, condotto dalla Caritasdiocesana di Pescara-Penne tramite laboratori didattici nellescuole sul rispetto del creato. La riqualificazione del parco, resapossibile da fondi otto per mille

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Cei e da fondi pubblici, ha previ-sto la piantumazione di nuovi al-beri, la posa di cartelli informativi,la realizzazione di un’area relax,la sostituzione di giochi e arredidanneggiati con strutture fruibilianche da bambini con disabilità.

BENEVENTO“Porti di terra”,il welfare passadai servizialle relazioni

Tre giorni intensi, a finemaggio, a Benevento 4

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Alessandro Zanoni (Caritas Imola). «Da una nostra ricerca sui giovani, è emersoche il 50% gioca d’azzardo. E se si considerano quelli che, pur non giocando, han-no un componente della famiglia o un amico stretto che gioca, si arriva ai due terzidi ragazzi che hanno a che fare con questa pratica. Partendo da tali dati, preoccu-panti, ci siamo focalizzati sulla prevenzione. Stiamo realizzando incontri nelle scuo-le con i ragazzi, poi con genitori e insegnanti. Parallelamente promuoviamo nelleclassi attività di volontariato, presentiamo le realtà associative, del terzo settore…Questo perché, sempre dall’indagine, sappiamo che il 40% dei ragazzi giocano per passare il tempo, quindi il volontariato vuole essere un’alternativa. Così comeil gioco cosiddetto “sociale”, cioè lo sport e le attività che mettono in relazionecon gli altri in maniera positiva e genuina».

Giovanna Pani (Caritas Ozieri). «Una trentina di anni fa arrivarono a Ozieri alcunisenegalesi in cerca di lavoro. All’inizio erano spauriti. Li abbiamo avvicinati e si è manifestata la necessità che imparassero la lingua. Abbiamo organizzato un corso di italiano, durato alcuni mesi. Quegli incontri sono stati un’opportunitàper conoscerci e raccontarci i rispettivi usi e costumi. Si è creato un rapporto fraterno, continuato negli anni. Terminato il corso, ci regalarono un bellissimo crocifisso, che dopo 30 anni è ancora bene in vista nella nostra sede. Hanno capito quanto è importante per noi».

don Alberto Conti, Caritas Trivento. «L’iniziativa “Pane donato” è stata possibilegrazie all’adesione di alcuni panifici di quattro paesi: Trivento, Frosolone, Fossalto,Agnone. Il progetto è semplice: quando si va a comprare il pane, si può lasciare pagato altro pane, che verrà poi ritirato dagli operatori Caritas e distribuito alle fami-glie in difficoltà economica. Siamo in una diocesi tra le più piccole d’Italia per nu-mero di abitanti, a cavallo tra Molise e Abruzzo, formata da paesini di montagna,dove tutti si conoscono. Proprio per questo, alcune persone nel bisogno hanno ver-gogna a venire nei nostri centri d’ascolto. Così sonoraggiunti nelle rispettive abitazioni dagli operatori Caritas; portando il pane, si coglie l’occasione perincontrare volti, ascoltare storie, tristezze e angosce,e insieme cercare, per quanto possibile, di portarenei loro cuori la speranza di una vita dignitosa».

Ai giovani si propone il gioco “sociale”il “pane donato” ricostruisce speranza

5levocingiro di Danilo Angelelli

e nel San-nio, con #Porti-diTerra – Festivaldel Welfa-re&Welco-me. L’inizia-tiva è natacome sintesidel cammino pastora-le incentrato sul pas-saggio da un “welfaredei servizi” a un “welfare delle relazioni”. Cioè un welfareche si trasforma in “welcome”,declinato in rapporti di reciproci-tà tra chi accoglie e chi arriva,tra chi offre un servizio e chi lo riceve. Il festival si è svoltonei paesi che ospitano i progettiSprar della Caritas di Benevento(Petruro Irpino, Chianche e Roc-cabascerana, oltre al capoluogo)ed è servito anche ad approfon-dire il confronto sul “Manifestoper una Rete dei piccoli comunidel Welcome”.

NOTOGiovani migrantie del territorio:ora c’è un luogodove conoscersi

Un luogo di incontro per i giovani, in una terra

che rappresenta un “ponte”,non solo ideale. Su iniziativa di una rete di associazioni e organismi (tra cui anche la Caritas diocesana di Noto), in maggio a Pozzallo (Rg) è statoinaugurato Ite – Youth meetingpoint, centro di incontro tra giovani italiani e stranieri.L’iniziativa guarda soprattutto ai sempre più numerosi minori non accompagnati che arrivano all’Hot spot di Pozzallo: dovreb-bero rimanerci pochi giorni, maspesso restano anche qualchemese, disorientati, ospitati in condizioni spesso di superaf-follamento. Ma guarda anche ai tanti giovani migranti che or-mai da tempo vivono a Pozzallo, oltre che naturalmente ai ragaz-zi e ai giovani del posto.

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ATTIVITÀ IN ITALIAUtilizzo fondi 2016

AMBITO DI INTERVENTO

MODALITÀ DI IMPIEGO

TOTALE 37.444.317,33

Di fronte alle sfideglobali (...) è necessario

(...) portare avantil’impegno per educareall’incontro rispettoso

e fraterno tra culturee civiltà, e alla cura del creato, per una

“ecologia integrale”Papa Francesco, 21 aprile 2016, Roma

Discorso ai partecipanti al 38° Convegnonazionale delle Caritas diocesane

PROGETTAZIONE SOCIALEPER LE CHIESE LOCALI

29.957.432,23 80,0%

ricordati Annalena Tonelli e monsi-gnor Oscar Arnulfo Romero; con iprimi vincitori di due borse di studioa loro dedicate, anche i due “padriCaritas”, monsignor Giovanni Nervoe monsignor Giuseppe Pasini.

PROGETTI CEI 8XMILLE ITALIA30.564.900,01

81,6%

BOLIVIAYolanda la pasticcerasi cucina una vita nuova

«Mi chiamo Yolanda Choquehuanca, ho 24 anni e tre fratelli minori. Abito con loro e i miei genitori a Munaypata, uno dei quartieri più poveri della capitale, La Paz. Dove si sopravvive vendendo quinoa al mercato, quando va bene il raccolto... Mia madre fa anche la lavandaia, per arrotondare. Ma un giorno, nella parrocchia Apostol Santiago, la Pastoral Social di Caritas Munaypata ha avviato 18 laboratori con 13 specializzazioni.

Grazie al contributo di Caritas Italia-na (4.500 euro), io e altre 19 ragazzeabbiamo frequentato un corso di pastic-ceria. Dieci si sono ritirate, io e le altreabbiamo conseguito un attestato. Orapossiamo fare pane, dolci e torte deco-rate! E io posso dare un contributo eco-nomico alla mia famiglia».

CAMERUNPiù salute e meno fame nel carcere sovraffollato

Il carcere di Batouri è un lager a cieloaperto. Progettato per un centinaio di detenuti, ne contiene oltre 480, di cui 50 minorenni. Mancano i servizi,persino lo spazio fisico; scarseggianoaria e nutrimento. La diocesi e la Cari-tas di Batouri, nell’ambito della campa-gna Caritas, Focsiv e Missio Il diritto di rimanere nella propria terra, hanno attivato un dispensario medico e un pronto soccorso sanitario nel carcere. Il progetto ha permesso sia la collaborazione delle Formazionisanitarie cattoliche (Fosaca) del Came-run con il carcere, sia la costituzionepermanente di uno stock di medicinalisalvavita e di un sistema di visite medi-che e controlli costanti. Inoltre è statopossibile realizzare un piccolo orto, come forma di sostentamento per i carcerati.

MACEDONIAMigranti in transito,i volontari si formano

Sono molti i volontari e gli operatori che offrono soccorso alle migliaia di persone migranti che transitano nei due campi di sosta o raccolta pre-senti nel paese. Le parrocchie di Gevge-lija, Radovo, Nova Maala, Strumica e Petralinci hanno organizzato gruppi di giovani volontari che prestano servi-zio a Gevgelija e Tabanovce; provengonoda comunità rurali, sono molto motivati,ma con poche esperienze. Svolgonomansioni materiali, ma anche attività di ascolto e supporto a famiglie fragili e ai numerosi bambini presenti nei cam-pi. Grazie alla campagna Caritas, Focsive Missio Il diritto di rimanere nella pro-pria terra, con 5 mila euro sono stati or-ganizzati tre percorsi formativi: due suitemi connessi alla gestione di situazionidi emergenza, una sul dialogo interreli-gioso e la mediazione culturale.

PAKISTANPolli e galline, cosìil reddito è aumentato

«Mi chiamo Kinzia Babil e vivo nel villag-gio di Nusikottala, diocesi di Kurnool.Quando l’associazione Aware, grazie a un finanziamento di 5 mila euro ottenuto da Caritas Italiana, ha offertoai membri di 80 famiglie del villaggiol’opportunità di aumentare il proprio reddito tramite l’allevamento, ho datosubito la mia disponibilità.

Sono bastate 20 galline, due galliper famiglia e alcune sessioni formati-ve, e in un anno il nostro reddito è aumentato in modo significativo. A ogni famiglia è stato chiesto di contribuire al mangime e alle speseveterinarie. La vendita delle uova e del pollame al mercato ci ha permes-so di uscire dal baratro della povertà. A me, in quanto donna, l’esperienza ha permesso di riacquistare dignità e diritto di azione.

Nel mondo: alcuni microprogetti realizzati Totale 2016: 473 microprogetti finanziati in 60 paesi

Vendere quinoa non fa sopravvivere. Pane,dolci, pasta: dal corso, nuove opportunitàVolontari da comunità rurali: tanta buona

volontà, ma l’ascolto richiede preparazioneLa vendita di uova e pollame consente di uscire dalla povertà. E fa acquisire dignità

MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA1.781.147,2216,0%

EMERGENZE 5.409.887,5614,4%

PROMOZIONE /ANIMAZIONE /FORMAZIONE 1.584.036,544,3%

accolto i rifugiati.Un impegno particolare è stato

dedicato alle emergenze acute: ilterremoto in India, Bangladesh eMyanmar, quelli in Ecuador e Indo-nesia, le alluvioni in Sri Lanka e

l’uragano Matthew ad Haiti. L’Euro-pa, in un anno difficile per l’Unione(Brexit, ecc), è stata al centro di studie progetti.

Attraverso altri due audiolibri del-la collana Caritas-Rerum, sono stati

EUROPA 1.445.346,7913,0%

MICROPROGETTI 2.232.677,8220,0%

PACE / DIRITTI UMANI266.856,57 2,4%

PROMOZIONE / ANIMAZIONE /FORMAZIONE673.819,906,0%

ACCOMPAGNAMENTO DELLE CARITAS DIOCESANE 6.308.926,5116,9%

FORMAZIONECONVEGNISEMINARI 227.824,81 0,6%

GESTIONEPROGETTI 270.108,122,5%

DOCUMENTAZIONE 342.666,000,9%

PROGETTI DI SERVIZIO PER I GIOVANI 492.961,001,3%

AMERICA LATINA E CARAIBI 2.053.600,8418,4%

ATTIVITÀ NEL MONDOUtilizzo fondi 2016

AREA GEOGRAFICA

TOTALE11.155.950,58

PROGETTI SOCIALI DELLE CHIESELOCALI4.071.362,5936,5%

SOCIO-ECONOMICO/ SANITARIO 1.129.950,0010,1%

AFRICA 2.906.994,42 26,1%

rapporto annuale 2016

24 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O / L U G L I O 2 0 1 7

ASIA E OCEANIA2.968.861,3126,5%

MODALITÀ DI IMPIEGO

EMERGENZA /RIABILITAZIONE4.743.853,4042,5%

AIUTI D’URGENZA2.210.000,00 19,8%

PROGRAMMI DI SVILUPPO6.713.272,76 60,2%

AMBITO DI INTERVENTO

me a 36 organizza-zioni nazionali rag-gruppate nell’Alle-anza contro la po-vertà, si è chiesto diapprovare la leggedelega sul Redditod’inclusione (Rei) epredisporre il Piano

nazionale contro la povertà.Altro tema “caldo” è stato l’immi-

grazione, seguito con la pubblicazionedel 25° Rapporto Caritas-Migrantes edel 3° Rapporto sulla protezione inter-nazionale, e con interventi nei territoriper far fronte ai flussi migratori e cer-care risposte innovative di accoglienza(progetto Protetto. Rifugiato a casamia) o di contrasto dello sfruttamento(Progetto Presidio). Il tema è stato og-getto del concorso Il diritto di restare,di migrare, di vivere, proposto, insie-me al ministero dell’istruzione, allescuole di ogni ordine e grado.

L’emergenza piùgrave in Italia è sta-to il terremoto inMarche, Lazio, Um-bria e Abruzzo: Ca-ritas (grazie al con-tributo Cei otto permille e alla collettanazionale del 18 set-tembre, indetta dallaCei in tutte le parroc-chie) ha subito av-viato interventi d’aiu-to e gemellaggi di so-lidarietà, in contattocon diocesi e delega-zioni Caritas locali.

Sul fronte dellapromozione delleCaritas, si è messo apunto un piano in-tegrato di formazio-ne, con i conseguen-ti piani regionali.

Attenzione al Medio OrienteNel mondo, grazie anche al contri-buto del Comitato Cei otto per mille,Caritas ha continuato a sostenereCaritas Siria e le Caritas nazionali deipaesi del Medio Oriente che hanno

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I numeri

4.488*centri ecclesiali di erogazione beni primari, che si fanno caricodei bisogni essenzialidi persone e famiglie, italiane e straniere

3.547*Centri di Ascolto ecclesiali diffusisu tutto il territorio nazionale

244.031 interventi di ascolto, orientamento,consulenza e segretariato sociale,realizzati nel 2016 da 1.022 Centridi Ascolto della rete Ospoweb(dislocati su 123 diocesi italiane)

1.096.945 erogazioni di beni e servizi materiali(viveri, vestiario, prodotti igienepersonale, buoni pasto, ecc. ) e ettuate nel 2016 da 1.022 Centri di Ascolto della rete Ospoweb(dislocati su 123 diocesi italiane)

246progetti 8xmille Italia approvati a 146 Caritas diocesane, finanziatidalla Conferenza Episcopale Italianae accompagnati da Caritas Italiana

150 progetti di servizio civile in Italia(per un totale di 1.048 posti) e 6 all’estero (per 58 posti).Coinvolte 88 Caritas diocesane

28progetti da parte di 27 Caritasdiocesane che hanno proposto ai giovani l’esperienza dell’anno di volontariato sociale

85Paesi in cui Caritas Italianae presente accanto alle Chieselocali con progetti per far frontea emergenze, interventi in aree di crisi, programmi di cooperazione,riabilitazione e sviluppo

473microprogetti finanziati – di cui 400per la campagna giubilare Caritas,Focsiv e Missio Il diritto di rimanerenella propria terra – in 60 Paesi e in 213 diocesi. Oltre milleconsiderando anche quellipromossi direttamente da diocesie parrocchie, per un importocomplessivo di € 2.232.677,82

* dato stimato a partire dai dati delCensimento 2010 dei servizi socio-sanitariecclesiali e dagli aggiornamenti realizzatinel 2014 da 126 diocesi italiane

rapporto annuale 2016

MONDOVÌ, LAMEZIA TERME E TEMPIO-AMPURIAS In buona salute insieme,cure per mente e corpo

Il progetto Gaudium, promosso dalla Cari-tas diocesana di Mondovì, in collabora-zione con la locale azienda sanitaria, so-stiene la comunità territorialenell’accoglienza, accompagnamento e in-tegrazione di persone e famiglie portatricidi fragilità mentale, con particolare atten-zione ad adolescenti e giovani. Si speri-menta così una “convivenza guidata” conalcune famiglie del territorio; sono inoltrestati avviati un cineforum e uno spettaco-lo teatrale, centri di informazione e con-sulenza per studenti, un laboratorio musi-cale per adolescenti, inserimentilavorativi. Prossimo obiettivo, un osserva-torio provinciale sulla salute mentale.

La Caritas diocesana di Lamezia Ter-me, con l’associazione Comunità Proget-to Sud onlus, gestisce da circa due anniil progetto Mi ritorni in mente. In buonasalute insieme. Si articola in tre azioni:diffondere cultura sulla salute mentale,attraverso percorsi di alfabetizzazionedi parrocchie, associazioni di volontaria-to, operatori di servizi, ecc.; creare un luo-go di selfcoaching, nel quale ci si con-fronta, per far emergere le capacità volteall’autonomia; realizzare una “mappa in-clusiva” della città. La collaborazionecon soggetti pubblici e privati ha consen-tito ai partecipanti di avviare percorsi in-dividualizzati integrati. Si è inoltre facili-tata la costituzione di un Coordinamentoregionale sulla salute mentale.

Il centro di ascolto Caritas, inauguratoa Tempio Pausania nel 2015, si è arric-chito ad aprile 2016 di uno sportello gra-tuito per prestazioni sanitarie e infermie-ristiche. Grazie a diversi medici, vengonoeseguite medicazioni, controlli dello stickglicemico, iniezioni sottocutanee, intra-

muscolari ed endovenose, misurazionidei parametri vitali. Il servizio è accessi-bile da persone disagiate e in difficoltàeconomiche. Il servizio si aggiunge ad altri, tra cui gli sportelli dentistico e per la distribuzione dei farmaci.

LUCCA E SPOLETO-NORCIABotteghe e orti, strumenti per includere

Si chiama 5 pani, è una bottega solida-le nata circa tre anni fa nella diocesi di Lucca. Vi si possono trovare prodottifreschi e secchi, recuperati dalla retelocale o forniti da una filiera corta e biologica, spesso con un occhio allepiccole aziende in difficoltà. I produttori,in cambio di prezzi speciali, ottengonoun bollino di eticità. Le verdure freschee biologiche provengono da un orto so-ciale, realizzato su un terreno parroc-chiale. I beneficiari hanno una tesserapunti, caricata sulla base delle esigen-ze nutrizionali del nucleo familiare, valu-tate con il supporto di una nutrizionista.Una volta al mese, nello spazio bambi-ni, momenti di educazione nutrizionalee al consumo.

Sono stati inaugurati a Trevi, a mag-gio 2016, gli Orti solidali della Misericor-dia. Ispirandosi all’enciclica di papaFrancesco Laudato Si’, la Caritas dioce-sana di Spoleto-Norcia ha dato vita a un’opera segno, resa possibile dallariqualificazione di un terreno inutilizzatoda anni a Borgo Trevi: famiglie in diffi-coltà vi producono frutta e verdura a fini di auto-sostentamento. La regioneUmbria ha concesso il terreno, circa 15mila metri quadrati: 7.700 sono statisuddivisi in una quarantina di lotti perle famiglie, il resto sarà in parte adibitoa giardino, in parte a frutteto e piccolobosco. Le eccedenze sono distribuite a soggetti in difficoltà.

In Italia: alcuni progetti 8x1000 realizzati Totale 2016: 246 progetti 8xmille approvati in tutte le regioni

Convivenza “guidata” nelle famiglie,chance per superare la fragilità mentaleMedicazioni, controlli, iniezioni: la sanità

di base va garantita alle persone disagiateFiliera corta, biologica e solidale ai “5 pani”,famiglie autonome negli orti di Borgo Trevi

tiful – e l’evoluzione del governo so-cialista di Hugo Chávez, che ha pre-parato, sin dalla fine degli anni No-vanta, le radici della crisi attuale. Lastoria del Venezuela sulle prime puòsembrare un racconto surreale diGarcía Márquez. Invece è una teleno-vela lunga 18 anni.

Debito, nonostante il boomTutto ha inizio quando il tenente co-lonnello Chávez, dopo essere stato in-carcerato per aver disonorato le forzearmate e la patria nel fallito tentativo digolpe del 1992, vince democratica-mente le elezioni del 1998, puntandosu promesse di aiuto e riscatto dellapopolazione in povertà. Il generale èun uomo fortunato e lui stesso si sor-prende quando l’aumento del prezzodel petrolio, fondamentale risorsa eco-nomica del paese, apporta inaspettaterisorse al bilancio dello stato. Risorseutilizzate poi “in libertà”, al fine di ot-tenere sostegno politico in tutta l’Ame-rica Latina e nel resto del mondo.

di Silvana Monti

Il Venezuela è sull’orlodi una crisi politica e militare catastrofica.Ma gli effetti sociali e umanitari (carestia,denutrizione, carenzadi cure mediche) sono già pesanti.Tramonta nellaviolenza un ventennioche non ha preparatolo sviluppo. Il ruolodella Caritas

l mondo intero osserva con stu-pore il Venezuela sprofondarevelocemente nel baratro. Unapopolazione stremata da annidi stenti, da due mesi conduce

proteste semplicemente uscendo perle strade.

Il governo di Nicolas Maduro si negaall’ascolto delle ragioni delle proteste.Anzi, cerca di delegittimarle. Per il di-stratto mondo civilizzato, la sorpresarisulta enorme, soprattutto perché nonè facile capire come un paese media-mente ricco, che ha sempre vissuto,pur tra alti e bassi, grazie al petrolio ead altre risorse minerarie del suo sot-tosuolo, oggi possa trovarsi in una si-tuazione di violenza e carestia. Com’èpossibile che la gente sia ridotta a cer-care cibo in strada, tra l’immondizia,per poter mangiare?

Il Venezuela è da sempre un im-portante produttore di feuilleton e ditelenovela. E in effetti si possono tro-vare punti di coincidenza tra operet-te di serie B – come Topazio o Beau-

I

internazionale venezuela

il baratro è a un passo

Tragicatelenovela,

TRA LOTTA E RASSEGNAZIONEUna donna agita una bandieradurante una recente protesta

di piazza. Sotto, persone in codadi fronte a un’immagine murale

del generale Hugo Chávez

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I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O / L U G L I O 2 0 1 7 29 28 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O / L U G L I O 2 0 1 7

Il mondo si preoccupa principal-mente degli aspetti politici della crisivenezuelana, ma gli effetti sociali eumanitari si fanno sempre più acuti.«Per sopperire alla carenza di medici-nali – prosegue la direttrice Caritas –,abbiamo organizzato un’importanteBanca del farmaco, che distribuiscemedicine in tutto il paese, raccolte at-traverso donazioni provenienti dalleparrocchie di tutta Europa, in partico-lare dall’Italia, anche grazie all’organiz-zazione Programma Humanitario peril Venezuela e all’associazione di volon-tari Ali per il Venezuela, con il sostegnofondamentale di Caritas Italiana».

di medicine hanno provocato nelpaese. «Grazie all’Osservatorio di Ca-ritas Venezuela – conferma JanethMarquez –, sappiamo però che nel2016 più di 11 mila bambini sonomorti per mancanza di medicinali eche la mortalità materna è salita qua-si del 70%, livelli da anni Cinquanta.Inoltre, malattie che sembravano or-mai debellate o quasi, come tuberco-losi e malaria, sono ricomparse inmaniera importante. E il virus Zika,nuova malattia trasmessa dalle zan-zare e apparsa da pochi anni, colpi-sce con maggior frequenza una po-polazione sempre più indebolita».

La vita dei venezuelani ha sofferto negliultimi quattro anni un deterioramentocontinuo. La gente cerca cibo tra i rifiuti:

non c’è niente nei supermercati e il poteredi acquisto è annullato dall’iperinflazione

nificazione, la popolazione è vittima diuna grave scarsità di alimenti, medici-ne e presidi medici. La previsione di unulteriore aumento inflattivo, fin oltre il2000%, non fa che aggravare un qua-dro già devastante: in Venezuela man-ca tutto.

La telenovela del chavismo sta in-somma per avere una brutto finale.Anzitutto sul piano politico: mentre in-furiano le proteste, la mancanza di ri-sposte chiare e la cecità di Maduro edell’opposizione hanno (sinora) impe-dito qualunque tregua o negoziazione.

Caritas Venezuela sintetizza la con-dizione del paese nel suo ultimo rap-

«All’interno, le ingenti entrate eco-nomiche hanno permesso di redistri-buire le ricchezze, sanando enormi in-giustizie economiche e sociali. Il pro-blema, tuttavia, è che non si è maiinvestito nello sviluppo del paese –spiega oggi Janeth Márquez, direttricedi Caritas Venezuela –. Dopo il 2002 so-no state avviate le cosiddette “Missionipopolari”, ovvero un piano di redistri-buzione sociale che ha permesso dimigliorare i dati economici ottenuti fi-no a quel momento. Le persone hannoavuto maggiori disponibilità liquide,che però hanno preferito spendere perl’acquisto di un’automobile, invece cheper migliorare strutturalmente le pro-prie condizioni di vita. Si era coscientiche, quando il flusso di denaro si fossefermato, la realtà sarebbe stata un’altra:però mancavano educazione e forma-zione, fondamentali per incrementareuna reale produttività».

Chávez venne riconfermato presi-dente alle elezioni del 2000, 2006 e2012. Questo gli consentì di portareavanti il suo progetto di “socialismo delXXI secolo” fino al 2013, anno della suamorte, preceduta dall’indicazione delsuccessore: Nicolás Maduro, un passa-to da autista di autobus e successiva-mente da ministro degli esteri nel go-verno Chávez. Maduro dimostrò subi-to di non avere il carisma del defuntopredecessore, né il suo appeal, né lasua fortuna, al punto che nel 2016 hadovuto affrontare una disastrosa (per ilVenezuela) caduta del prezzo del pe-trolio, sceso fino a 27 euro al barile. Nelfrattempo, invece di approfittare delboom petrolifero per accantonare ri-sorse in vista di momenti difficili, il Ve-nezuela aveva quintuplicato il debitoestero, spendendo tutto il denaro di-sponibile.

Pentolone comunitarioArriviamo così ai nostri giorni. Giorniin cui, come risultato delle fluttuazionieconomiche e dell’assenza di una pia-

internazionale venezuela

porto. Evidenziando che «la vita deivenezuelani ha sofferto un deteriora-mento continuo negli ultimi quattroanni. La gente cerca cibo nell’immon-dizia perché non c’è più niente nei su-permercati o semplicemente perché ilpotere di acquisto è stato annullatodall’iperinflazione». Lo stipendio me-dio di una famiglia non arriva a 12dollari americani mensili; sommandoil buono alimentare erogato dal go-verno, si arriva a 40 dollari americani,importo assai inferiore rispetto al va-lore del “paniere” (alimenti e generi diprima necessità di cui una famiglianon può fare meno), che è di 187 dol-lari americani. Ci sono persone legateal chavismo che possono permettersiuna vita agiata: l’ideologia socialistasbandierata da Maduro e dai seguacisi appella a idee umanitarie e di be-nessere diffuso, di cui però solo pochipossono usufruire.

E così le conseguenze sono dram-matiche. «Nell’ultimo anno le personehanno subito in media un calo ponde-rale di 9 chili. Per sostenere la popola-zione sul versante alimentare, Caritas

PASSI INDIETROControllo medico su una bambina,in uno degli ambulatori di CaritasVenezuela. La malnutrizione è tornataa colpire la popolazione infantiledel paese latinoamericano

CAR

ITAS

VEN

EZU

ELA

L’attuale fase politica del Venezuela si è aperta con le elezioni del dicem-bre 2015, vinte dalle opposizioni, che all’Assemblea nazionale si sono ritrovate maggioranza. Il risultato è stato però contestato dal governoMaduro. Il presidente ha nominato alcuni magistrati della Corte supremadi giustizia, seppur privi dei requisiti minimi, e ha dato inizio a un bracciodi ferro con il parlamento che ha generato instabilità politica, in aggiuntaal disastro economico.

Il finale del match è arrivato qualche settimana fa, quando la Cortesuprema ha usurpato funzioni proprie del potere legislativo, togliendo ai deputati l’immunità e ampliando ulteriormente i poteri eccezionali già concessi al capo dello stato. In sostanza, un colpo di stato giudiziariocontro il parlamento. La vicenda ha suscitato le proteste dei paesi vicinie di Onu, Europa e Stati Uniti. «Da quel momento, il popolo è sceso in strada per marciare e chiedere nuove elezioni – riassume monsignorJosé Luis Azuaje, vescovo di Barinas e presidente di Caritas America Latina e Caraibi –. Senza leader politici, i manifestanti vogliono semplice-mente recuperare i loro diritti, la loro libertà. La risposta del governo è stata la repressione. L’impostazione di fondo, rimasta sempre latentenel potere chavista, era imprimere un cambio totale alla repubblica e al-le istituzioni democratiche. Ora la situazione si fa sempre più pressante».

Le manifestazioni sono controllate in modo ferreo da polizia, guardianazionale e collectivos (gruppi paramilitari al servizio del governo). Tanta mobilitazione, per contenere una popolazione inerte e disarmata,appare spropositata, una sorta di guerra contro il popolo. Fino a finemaggio, più di 50 persone sono morte mentre marciavano pacificamen-te ed erano disarmate.

Le vittime sono soprattutto giovani, che si mettono in apertura dei cor-tei e così vanno incontro alla morte. Ragazzi che non hanno da mangiare,né una prospettiva futura, che vivono dentro la violenza. Prendono i loroscudi, fatti con materiali di fortuna, e si mettono in marcia senza pensarea ciò che potrà succedere. «Ogni tentativo di aprire negoziazioni con il go-verno è stato un fallimento – lamenta monsignor Azuaje, alludendo aglisforzi intrapresi dalla Chiesa venezuelana –. Ma mi chiedo: perché sacrifi-care tanta gente per imporre un punto di vista, senza ascoltarne altri?».

Una quota di responsabilità ricade anche sulla comunità internaziona-le: «Il Venezuela non ha mai abbandonato i popoli che ne avevano biso-gno e che ha sempre accolto nel proprio territorio. Ora tocca agli altridarci una mano, per aiutarci a uscire da questo momento travagliato».

IL PRESIDENTE CARITAS«Rischiano soprattutto i giovani,ora il mondo ci tenda una mano»

Venezuela ha ideato il progetto Olla co-munitaria (pentolone comunitario,ndr), che consiste nell’offrire un giornodi alimentazione collettiva a beneficiodelle comunità più vulnerabili – rac-conta la direttrice Janeth Márquez –. Ilprogetto intende supplire alle carenzealimentari primarie, attraverso la pre-parazione e la distribuzione di razionidi zuppa tra gli abitanti, calibrando ilgiusto apporto nutrizionale. Un altroproblema che ci preoccupa moltissi-mo è la mancanza di medicine e dipresidi sanitari negli ospedali e neicentri di salute. Anche in questo ambi-to la Caritas è al momento l’unica or-ganizzazione non governativa che pos-sa alleviare un po’ le sofferenze dellapopolazione».

Tornano antichi malanniLa direttrice di Caritas Venezuelacontinua affermando che, purtroppo,in assenza di dati ufficiali attendibili(il governo ha smesso almeno da unanno di fornire statistiche), non puòindicare con certezza il numero dimorti che denutrizione e mancanza

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Il muro (formalmente “barriera di si-curezza”), messo in opera dal governodi Tel Aviv per ridurre gli attacchi terro-ristici per mano palestinese, alternacemento e reticolato metallico con filospinato. Quest’ultimo indica i tracciatipiù “freschi”, che presto si trasforme-ranno in muratura. Non risulta difficileassimilare il muro a un serpente: sisnoda sinuoso attraverso i territoriisraelo-palestinesi e porta zizzania(storia antica…) fra gli uomini e le don-ne scelti da Dio. E come i rettili cre-scendo cambiano pelle, così cresce ilmuro, quando paura e arroganza su-perano il limite, alzando più in altol’asticella del conflitto.

Le finestre di ClaireA Betlemme, in ebraico “la casa del pa-ne”, la barriera di cemento sfiora i 9metri di altezza e proietta un’ombranera, che soffoca ogni speranza. Inprossimità del check-point che per-mette l’accesso alla tomba di Rachele,in territorio israeliano, c’è il piccolo ne-

testi e foto di Chiara Bottazzi

Flessione economica,disagio sociale, diritti limitati: la vitaquotidiana, nei villaggipalestinesi solcatidalla “barriera di sicurezza” israeliana,soffoca speranze e futuro. Cristianicostretti alla diaspora.Caritas Italiana lanciaun programma di gemellaggi

l muro di cemento corre velocelungo tutta la terra di Canaan.A vederlo dal cielo sembra unaspina dorsale, atta a sostenerei millenni di fede e storia che si

concentrano in questa Terra Santa,apparentemente troppo piccola perpoterli contenere. Invece, visto da vi-cino, rivela la sua natura di barriera,costruita da uomini contro altri uo-mini, con l’intento di dividere e se-gregare due popoli, israeliano e pale-stinese, soffocando vita e futuro.

Realizzato a partire dalla primavera2002, quando incominciò la cosiddetta“seconda Intifada”, (scatenata dopo lavisita del premier israeliano Ariel Sha-ron alla Spianata delle Moschee, luogosacro per i musulmani), il muro si sno-da per oltre 700 chilometri, intervallatoda check-point presieduti da militariarmati e porte elettroniche attraversole quali passano i cittadini palestinesiche, per lavoro o motivi famigliari, de-vono transitare, tramite permesso con-cesso da Israele, in territorio israeliano.

I

internazionale terra santa

all’ombra del Muro

Segregati depressie

LA MIA CASASULLA TUA TERRA

Recentissima colonia israelianain territorio palestinese,

alle porte di Gerusalemme.Sotto, foto di case di due fratelli

separate dal Muro israelianoCIBO DAI GOVERNI,AIUTO O CONDIZIONAMENTO?

della possibilità di dedicare una partedel loro tempo e delle loro energieall’educazione, alla formazione pro-fessionale o ad attività alternative perprodurre reddito.

La grande maggioranza dell’aiutoalimentare erogato nel mondo vienedagli Stati Uniti, che rendono dispo-nibili grandi quantità di cereali, sia co-me dono derivante dall’acquisto, daparte del governo, degli eccessi di pro-duzione, sia tramite acquisti diretti, daparte delle agenzie umanitarie, pressoproduttori indicati dal governo.

Ma i regolamenti americani inmateria di aiuti alimentari, che risalgono agli anni Cin-quanta, prevedono regole precise per l’acquisto da pro-duttori “indicati” e, comunque, l’origine americana delprodotto anche quando venga donato; inoltre sancisconoche il trasporto avvenga tramite navi “preferite” dal go-verno americano. E questo anche qualora il cibo fosse di-sponibile, e a prezzi più convenienti, in paesi più viciniall’area colpita dalla crisi.

Proprio queste regole impediscono al Programma ali-mentare mondiale (Pam) di acquistare il cibo da altrivenditori. Il tutto comporta la necessità di provvedere altrasporto per molte migliaia di chilometri, provocandoritardi anche di 4-5 mesi nella consegna degli aiuti, oltrea un aumento del costo dell’intera operazione. Questosi traduce spesso in un aumento dell’insicurezza alimen-tare per diversi mesi, il che spinge le vittime delle crisialimentari a fare scelte negative, come vendere le pro-

prietà o ipotecarle, indebitarsi o ven-dere sesso in cambio di cibo. Oppurefuggire.

Indipendenti e bersagliateOggi i governi sono molto criticatinella loro veste di donatori alimenta-ri: per la scarsa efficienza del sistemada loro stessi creato; perché manten-gono in vita forme d’aiuto che neglianni sono state in gran parte supera-te da metodi migliori; per l’uso prin-cipalmente bilaterale (da stato a sta-to) dell’assistenza alimentare; infineperché continuano a utilizzare quasiesclusivamente l’aiuto in natura an-ziché quello in denaro, di gran lungapiù flessibile ed efficiente.

In generale, l’aiuto in cibo ha sem-pre qualche effetto negativo sul mer-cato. È minimo nelle economie moltopovere, nei paesi in cui, in assenza diaiuti, la gente rinuncia a mangiareperché troppo povera. Ma in societàin condizioni anche leggermente mi-gliori, magari in una fase di iniziale ri-presa dopo la crisi, l’arrivo tardivo de-gli aiuti può paralizzare il mercato,scoraggiare la ripresa della produzio-

l moltiplicarsi delle emergenze nel mondo, in particolare con-flitti armati e guerre, scarsamente ripresi dal circuito mediaticotradizionale, non provoca solo violenze e fenomeni migratori

improvvisi, ma tutta una serie di dinamiche di cui non si parla af-fatto, a partire da quelle che riguardano gli aiuti alimentari.

L’aiuto alimentare viene utilizzato normalmente per due scopi;per rispondere a crisi alimentari provocate da disordini interni econflitti o da emergenze climatiche (siccità, alluvioni, ondate difreddo) e come meccanismo di sostegno alle azioni di sviluppo, perconsentire agli agricoltori di ridurre il carico di lavoro in funzione

Crisi umanitarie in continuo aumento.

E bisogno di cibo,nell’emergenza, sempre

più comune a tantediverse popolazioni. Nelmondo, la maggior partedi questi aiuti proviene

dagli Stati Uniti. Secondoregole di alcuni decenni

fa. Criticabili sottodiversi aspetti…

ne (perché coltivare se non c’è modo di vendere?) e dan-neggiare l’esportazione dai paesi produttori. Un effettodeprimente del mercato e della produzione, dunque, chemina le prospettive di vita degli agricoltori locali, aggra-vando il ciclo della povertà, mentre il recupero della ca-pacità produttiva e la riattivazione dei mercati locali sonofattori centrali della ricostruzione e dell’uscita dalla crisi.

Ecco dunque un altro ruolo delle organizzazioni nongovernative: l’indipendenza e “l’imperativo umanitario”,di cui sono portatrici, permettono loro di criticare le Na-zioni Unite e i singoli governi, in particolare quelli cheutilizzano l’aiuto alimentare anche con finalità di sussi-dio surrettizio all’agricoltura nazionale e per ampliare imercati ai loro prodotti, sino a protrarlo oltre il tempostrettamente necessario. L’azione imprescindibile di ad-vocacy rende spesso scomode le ong. E quindi bersagliatedalle “macchine del fango”, servili verso i poteri forti.

cibodiguerradi Paolo Beccegato

I

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Gli occidentali pensano che questi ul-timi siano tutti integralisti, ma si sba-gliano! I rapporti fra cristiani e musul-mani locali sono ottimi, viviamo in pa-ce e amicizia. Non ci sono problemi diintegrazione. E lo dimostra anche ilfatto che ci siamo trovati insieme aprotestare contro l’apertura degli en-nesimi insediamenti israeliani».

Questi ultimi costituiscono un ulte-riore, annoso problema per l’unità ter-ritoriale palestinese, sempre più isola-ta e frammentata. Si tratta di comunitàabitate da israeliani e situate nei terri-tori palestinesi occupati da Israele nelcorso della Guerra dei sei giorni (1967),ovvero in Cisgiordania e a Gerusalem-me est. Gli insediamenti, se si conside-rano solo le abitazioni, occupano soloil 2% della Cisgiordania, ma le attivitàche gravitano intorno, come i terreniagricoli coltivati, occupano uno spaziomolto più grande. Forte è inoltre lapresenza militare, che ha lo scopo diproteggere i coloni israeliani.

Questi ultimi scelgono di vivere ne-gli insediamenti per una serie di ragio-ni: i vantaggi economici e gli incentivigovernativi, ma anche motivazioni più

diventeranno una città, sono espres-sioni di una guerra indiscriminata.Vogliono cacciarci dalla nostra terra»,si infervora Sahil.

Il sindaco di Ain Anirik avrebbepreferito che l’intera Palestina fossesotto il dominio israeliano, piuttostoche vederla ridotta così, segregata daun muro. «Conoscete il racconto bi-blico delle due madri che si presenta-no al cospetto del re Salomone, riven-dicando entrambe la maternità su unfiglio conteso? Ecco, io sono come lavera madre del Libro dei Re: preferireivedere la terra che mi appartiene uni-ta, concedendola al go-verno israeliano, piutto-sto che divisa da unmuro che soffoca losguardo e le speranze»,conclude Sahil.

Anche suo figlio Isa-ac, 35 anni, ha subitoconseguenze direttedall’occupazione israe-liana. «Sono stato impri-gionato quattro volte; inun’occasione sono ri-masto in carcere per ol-

tre cinque anni, solo per il fatto di averprotestato contro il muro e gli insedia-menti israeliani nel territorio palesti-nese». Isaac parla un ottimo inglese,ma a scatti. Fatica a deglutire, la salivasi condensa ai lati della bocca. Gli oc-chi sono mobili, con difficoltà si fissa-no su un oggetto o una persona perpiù di dieci secondi e appaiono rico-perti da un lucido velo di sofferenza.Non vuole parlare dei maltrattamentie delle violenze subite in prigione, male fa intuire. «Sono riuscito a soppor-tare il carcere grazie all’amicizia conaltri palestinesi, per lo più musulmani.

PROSSIMI, SEPARATIChiacchiere tradue anziani palestinesinella parte arabadella Città Vecchiadi Gerusalemme.Sopra e a destra,il Muro (al quale si continua a lavorare)condiziona l’assetto di tanti villaggipalestinesi. Sotto, c’è distanza,anche nella quotidianità,tra arabi e israeliani

Il fratello abita a un centinaio di metri. Ma a causa del muro le due famiglie, di puntoin bianco, si sono trovate a vivere in due

stati diversi e nemici. «Da tre anni non vedoRami. Israele non dà visti per i check-point»

– sintetizza Halil, 19 anni, il figlio mag-giore, che lavora nel negozio di fami-glia –. Da oltre 12 anni vivo una de-pressione costante. Come vi sentirestevoi, in una prigione a cielo aperto,senza aver commesso crimini?».

L’altro dramma che il muro ha por-tato nella vita di Claire è stata la divi-sione della famiglia. Il fratello Ramiinfatti abita a un centinaio di metri didistanza. Ma a causa del muro, che ilgoverno israeliano ha fatto costruirein pieno territorio palestinese, le duefamiglie, di punto in bianco, si sonotrovate a vivere in due stati diversi enemici. «Sono circa tre anni che nonvedo Rami. Israele non ci dà i visti perattraversare il check-point. Eppuresiamo separati da una manciata dimetri…», si rattrista Claire.

Le violenze su IsaacIl muro è un castigo democratico che

gozio di Claire Anastas. Vende souvenirin legno d’ulivo, ha una cinquantinad’anni, un bel viso orientale, illumina-to dagli occhi neri delle donne arabe.Il muro sorge a circa tre metri dal luo-go in cui lavora. «Adesso, Inshallah,riusciamo a camminare, e qualche vi-sitatore viene persino a fare acquisti. Ilprimo tracciato era stato realizzato ameno di un metro dall’entrata del ne-gozio; per me e la mia famiglia, che ab-biamo la casa sopra l’attività commer-ciale, era diventato impossibile viveree lavorare», racconta Claire.

La sua è una storia emblematicadel periodo di occupazione israeliana.Iniziò tutto nel 2002 e con la secondaIntifada, quando si scatenò una guer-riglia armata fra i due popoli, conclu-sasi solo nel 2006, con il tragico bilan-cio di 5 mila morti palestinesi e milleisraeliani. A quel tempo la famiglia diClaire era benestante, possedeva duenegozi di articoli domestici e due offi-cine per la riparazione delle automo-bili. Quando iniziarono gli scontri, lacasa di Claire, in posizione sopraele-vata e dunque strategica, venne inva-sa dai militari di Israele. «La primavolta che l’esercito entrò era mezza-notte. Ci fecero rannicchiare controuna parete sicura e iniziarono a spa-rare contro i palestinesi. Lo scontrodurò fino alle prime luci dell’alba. Daallora i militari sono entrati molte al-tre volte – continua Claire –. I miei figlierano terrorizzati. Per oltre un annoio, mio marito e i nostri cinque bam-bini abbiamo dormito con i materassisul pavimento, per la paura che i pro-iettili potessero colpirci. La figlia piùgrande, non sentendosi sicura, hapassato tutte le notti in dormiveglia suuna sedia. È stato terribile».

Le finestre dell’abitazione di Clairesi affacciano su un panorama orribilee desolato; per ben tre lati sono espo-ste alla vista del muro, che impedisceallo sguardo di spaziare. «La prima co-sa che vedo ogni mattina è il cemento

internazionale terra santa

colpisce equamente vecchie e nuovegenerazioni palestinesi, musulmani ecristiani, dal sud della Giudea al norddella Galilea. Ad esempio il sindaco cri-stiano di Ain Anirik, Sahil. Ha 70 anni euna corporatura robusta, avvolta dauna camicia color viola. Racconta cheda oltre 25 anni non va a Gerusalemme,la città santa per definizione, perchénon riesce a ottenere il permesso daIsraele. «Eppure sono cristiano! – escla-ma –. Sono nato e cresciuto nella terradi Gesù, ma non posso andare a prega-re nella chiesa del Santo Sepolcro».

Alla domanda su come vede il de-stino della Palestina e se c’è una pro-spettiva di pacificazione fra i due po-poli, risponde: «Non vedo niente dibuono. Penso che sia troppo tardi,per Israele, per tornare sui propripassi. Continua a giocare una politicabasata su provocazioni, via via sem-pre maggiori, crescenti, che umilianoil mio popolo. I tagli indiscriminatiad acqua ed elettricità, la costruzionedel muro, o il semplice fatto di sve-gliarsi una mattina e trovarsi sullacollina antistante le case mobili degliinsediamenti israeliani, che a breve

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EUROPA “EN MARCHE”,LA POSTA È LA DEMOCRAZIA

Non è vero che tutti i movimenti chestanno sostituendo i partiti tradizio-nali, in molte nazioni europee, sonotutti uguali e che il “movimentismo”sia per forza una minaccia, invece cheun’opportunità. Dipende da come los’intende, lo si riempie e lo si declinanella società e nelle istituzioni. I mo-vimenti possono anche diventare par-titi, seri e non di plastica, dopo averscalato consenso elettorale.

Ciò che è accaduto in Francia, e ri-schia di accadere nel resto dell’Euro-pa, è la conferma netta di una sfidu-cia verso un sistema tradizionale del-la costruzione del consenso, nel quale i vecchi partitiavevano un ruolo primario. Se ciò significa, per proprietàtransitiva, fiducia nel nuovo dei movimenti è però ancoratutto da dimostrare. La prima verifica sarà in Germania.È l’unico paese dove i partiti tradizionali resistono e doveil tentativo di Martin Schultz, cioè dare un’anima mode-ratamente movimentista alla nuova Sdp, non sembra su-scitare grandi entusiasmi. Una sinistra tedesca en marcheè un sogno dei rosso-verdi di Berlino, che mai ha valicatoi confini della capitale della Germania riunita.

Diversamente accade in Spagna, dove Podemos si stastrutturando. E accadrà in Francia per il movimento diMacron. In Italia la “rivoluzione” ha connotati che si an-nunciano diversi, essendo i movimenti sulla scena moltovicini al populismo e molto lontani da un’impresa comequella di En Marche. Macron è riuscito a essere “antisi-stema” senza sbaragliare il sistema, a presentarsi come

uomo nuovo senza ripetere sloganche potevano arruolarlo, a secondadei punti di vista, a destra o a sinistra.La sua vittoria è una buona ipotecasu una politica europea che devecambiare, mettendo da parte paure,chiusure in perimetri di certezze, ti-mori sulla sicurezza della vecchia esempre cara dialettica tra destra e si-nistra.

Diventare grandi insiemeL’Europa oggi è terra di contrasti, diveleni semantici, di contrapposizionirancorose a livello sociale e a livellopolitico. Ha bisogno di una narrazio-ne nuova della memoria e del pre-sente. Ma soprattutto ha bisogno chei leader politici, i movimenti e i partitiriscoprano la loro funzione sociale.La posta in gioco è altissima e si chia-ma democrazia, cioè governo di unospazio non solo economico, ma an-che sociale, con riduzione delle dise-guaglianze e aumento delle opportu-nità per tutti e non solo per chi va-gheggia muri e chiude le frontiere,con la fissazione perversa di proteg-gere i cosiddetti propri cittadini.

desso la sfida di En Marche passa all’Europa. Ma non perchéil capolavoro politico del nuovo giovane presidente francese,Emmanuel Macron, ha scongiurato il pericolo che un’altra

nazione, per di più fondatrice dell’Unione, facesse una clamorosaretromarcia, ma perché l’Unione intera potrebbe imparare come sifa a costruire il consenso utilizzando ottimismo, riformismo, equi-librio, tolleranza e rinnovamento in misura sobria, ma decisiva.

La lezione di Macron deve essere studiata attentamente. Quella cheera stata sveltamente definita la radice “antipolitica” di En Marche siè infatti rivelata, alla fine, il miglior modo di fare una politica nuova.

La vittoriadel neo-presidentefrancese rivela che

i movimenti non sonoper forza “antipolitici”.

Possono essereun’opportunità.

Anche in Europa:alla cooperazione

non c’è alternativa,il nostro destino

non è alzare muri

Se non si decide di governare la globalizzazione in rap-porto alle esigenze, alle elaborazioni culturali e anche aisogni dei territori, secondo un contrappunto virtuoso dilocale e globale, quel glocal che può riempire di signifi-cato il concetto di “destino comune dei popoli”, l’Unionerischia il tracollo, cioè di trasformarsi in un condominiodi appartamenti confinanti, ma decisamente lontani, chealla lunga si faranno guerra. Così il “destino comune” ver-rà spazzato via, schiacciato tra Mosca e Washington. E infuturo da chissà quali altre potenze...

La vittoria di Macron è un dito che indica altro, in un’Eu-ropa che discute troppo di euroscettismo e di europessi-mismo e inventa soluzioni basate sugli algoritmi e non sullepersone. Macron ha vinto spiegando che alla cooperazionenon c’è alternativa e che l’Europa deve confermarsi culladi popoli che devono diventare grandi insieme, non incu-batrice di populismi che li sbaragliano.

zeropovertydi Alberto Bobbio

A

Le soluzioni a questa vita imposta sonodue: o sei depresso, schiacciato dal muro e accetti passivamente tutto, oppure non ce

la fai più e lasci la tua terra, dando però via libera alla creazione di altri insediamenti...

il governo israeliano abbia un disegnopreciso, volendo trasformare in norma-lità quella che nella realtà dei fatti è soloun’aberrazione. Le soluzioni a questavita imposta sono due: o sei depresso,schiacciato dal muro e accetti passiva-mente tutto, oppure non ce la fai più e

ideologiche e religiose, come la con-vinzione che Dio abbia destinato quel-la terra al popolo ebraico. Se nel 1991 icoloni israeliani erano 112 mila, nel2008 erano diventati 285 mila, e oggisono 547 mila. Di certo non ha aiutatoil provvedimento del premier Benja-min Netanyahu, approvato in febbraiodalla Knesset, il parlamento israeliano,che regolarizza di fatto circa 4 mila in-sediamenti in Cisgiordania.

La speranza di ShameranIn questo delicato contesto, la vita deipalestinesi di religione cristiana è assaidifficile. Ne dà conto abuna Bashar,classe 1987, parroco della parrocchiadella Madonna di Fatima, nel villaggiodi Beit Shaour, il “campo dei pastori”dove, secondo il racconto biblico”, ap-parvero nel cielo gli angeli esultantiper annunciare la nascita di Cristo. Nelcorso degli anni, il sacerdote ha vistola sua comunità rimpicciolirsi a vistad’occhio, a causa delle migrazioni, chespingono molti cristiani di Palestina acercare all’estero una vita migliore. «Ildramma della Palestina è che manca illavoro. E quei pochi impieghi disponi-bili hanno un salario ridicolo; qui lostipendio medio equivale a 400-500euro, ma il costo della vita è simile aquello di città come Roma e Milano.Vivere è diventato sempre più difficile,in particolare per i giovani», raccontaabuna Bashar. La sua parrocchia contacirca 2 mila persone, ma i parrocchianiche nel tempo hanno scelto di emigra-re superano gli 8 mila; una diasporasenza fine, iniziata nel 1948, con lafondazione dello stato di Israele, checoincide con la Nabka, la “catastrofe”,per il popolo palestinese.

Tra i rimasti in parrocchia c’è Sha-meran, 23 anni, insegnante di inglesenella scuola comunale. «Sono nata sot-to l’occupazione militare e cresciutacon il crescere del muro. Non posso ac-cettare che questa prigione sia la miavita – afferma con dolore –. Sembra che

internazionale terra santa

lasci la tua terra, dando però campo li-bero alla creazione di nuovi insedia-menti. Io ho scelto di rimanere. Ancheperché vorrei almeno per una volta ve-dere il “mio” mare. Non l’ho mai visto.Spero che un giorno le cose cambino eche io possa attraversare liberamente ilterritorio israeliano e sdraiarmi sullespiagge di Tel Aviv. Per ora non possofarlo; anche se ottenessi il permesso, iltaxi per arrivare alla costa più vicina co-sterebbe i tre quarti del mio stipendio.Ma non perdo la speranza».

L’iniziativa Caritas

«Questi fratelli sono i nostri antenati nella fede, sono i custodi del messaggio evangelico, che i loro padri hanno ascoltato direttamente dalla bocca di Gesù». Con queste parole monsignor Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario del Patriarcato latino di Gerusalem-me, nella prima metà di maggio ha spronato una delegazione accom-pagnata da Caritas Italiana a realizzare il programma di gemellaggicon Caritas Gerusalemme e le comunità parrocchiali della Terra Santa.

Le Caritas diocesane italiane coinvolte sono chiamate a centrare tre obiettivi:1. ridurre il senso di isolamento e la perdita di speranza della comuni-

tà cristiana palestinese, costruendo relazioni pastorali (pellegrinaggisolidali, campi di volontariato, scambio di volontari esperti, visite di studio in Italia, scambio tra sacerdoti o seminaristi);

2. diminuire l’impatto della povertà estrema nelle comunità parroc-chiali, cooperando con Caritas Gerusalemme per creare gruppi di volontari Caritas negli ambiti parrocchiali;

3. contribuire allo sviluppo economico, attraverso la realizzazione di microprogetti di sviluppo da sviluppare nelle parrocchie palestine-si e in alcuni settori chiave (turismo, agricoltura e artigianato).

Sino a oggi hanno aderito al programma di gemellaggio 7 Caritas dio-cesane: Reggio Calabria, Sabina – Poggio Mirteto, Foligno, Piacenza-Bobbio, Concordia-Pordenone, Verona e Novara. «L’incontro con le par-rocchie palestinesi, la comprensione di come si vive oggi nella terra di Gesù, costituiscono una esperienza fondamentale per rianimare le nostre comunità parrocchiali in Italia», ha commentato don NinoPangallo, direttore di Caritas Reggio Calabria.

Il programma nasce anche con l’obiettivo di riportare i pellegrini italiani in Terra Santa. Negli ultimi anni, soprattutto a partire dal 2002,dopo l’inizio della seconda Intifada, il loro numero è diminuito costan-temente, e quello dei turisti italiani in particolare, anche a causa di paure spesso ingiustificate per la sicurezza. Con il programma “gemellaggi e pellegrinaggi”, le Caritas diocesane italiane potranno organizzare “pellegrinaggi solidali” in Terra Santa, che prevedano l’incontro con le comunità parrocchiali locali, la condivisione di espe-rienze, momenti di preghiera comune e di fraternità. Chi vorrà, potràanche sperimentare una forma di pellegrinaggio più sobria e intensa,alloggiando presso famiglie locali o strutture parrocchiali.Info: Ufficio Medio Oriente e Nord Africa di Caritas Italiana, [email protected] 26 giugno Caritas Italiana lancerà il Dossier con dati e testimonianzeMuri nel mondo, con un focus specifico sul muro israelo-palestinese.

Gemellaggi con diocesi, impulso ai pellegrinaggi

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stamente, è difficile controbattere».Anche i dati che riguardano la par-

tecipazione dei giovani ad azioni dicittadinanza attiva destano preoccu-pazione: un'indagine del centro di ri-

cerca Friedrich Ebert Stiftung (2015),ha evidenziato che solo il 19% deigiovani aveva svolto un'attività di vo-lontariato nei 12 mesi precedenti al-l'intervista.

Bijela Tabija, ovvero la Fortezza Bianca, è un'antica struttura militareche domina l'entrata a Sarajevo dalla parte orientale. Costruita nel1555, era caduta in rovina già prima che, negli anni Novanta del Nove-cento, la guerra civile travolgesse la Bosnia Erzegovina e determinassel'assedio della sua capitale. Nulla è cambiato dopo la guerra: un luogoche potrebbe essere meta e attrazione turistica (la vista panoramicasulla città è totale) è lasciato a se stesso ed è diventato una discarica a cielo aperto; mancano persino i cestini per la raccolta dei rifiuti. Lun-go le mura, invece, ben visibili sono i segnali che invitano alla prudenza,perché il crollo delle pietre è possibile in ogni momento.

La decadenza, però, non è irreversibile. Grazie alla sensibilità di nu-merosi cittadini stanno mostrando sia al valore ambientale che a quel-lo monumentale del luogo. In una domenica di marzo decine di volonta-ri, muniti di guanti e tanta volontà, hanno raccolto nella zonacircostante circa 200 sacchi di immondizia. Ridare dignità all'ambientee ai monumenti: sfide intrecciate, da cui passa il futuro delle comunità.

La Fortezza Bianca prova a farsi bella:ambiente e monumenti, destini intrecciati

IL FUTURO DA RIPULIRELa Fortezza Bianca, monumento... al degradoambientale. Sopra, ragazzi del progetto Inside!all’opera. Sotto, la raccolta differenziata dei rifiuticostituisce un problema di non facile soluzione

Bruciati, non raccoltiSe il mondo giovanile presenta evi-denti segni di depressione, le cosenon vanno meglio sul versante dellaprotezione ambientale. Come riportaun report della Commissione euro-pea di novembre 2016, in Bosnia Er-zegovina non esistono una legislazio-ne uniforme e una strategia comunea livello nazionale: i passi da compie-re per migliorare la qualità dell'aria eper favorire la tutela del paesaggio edella biodiversità sono ancora molti.Anche per quel che concerne la rac-colta differenziata dei rifiuti, gli ele-menti di ritardo sono innumerevoli:oggetti e materiali di scarto vengonoaccumulati tutti insieme e succedespesso che vengano bruciati, inveceche raccolti negli appositi spazi.

Il problema non è l'assenza di leggi,ma che queste non hanno una ten-denza comune, e differiscono a se-conda del cantone o dell'entità di ap-partenenza. Lo stesso dicasi per la ge-stione dei rifiuti: esistono legislazionie pratiche differenti tra Repubblicaserba e Federazione croata-musulma-na. In particolare, nonostante il turi-smo e i consumi pro capite stiano au-mentando negli ultimi anni, non sinotano passi avanti in materia di rici-clo dei rifiuti: esistono piccole realtàprivate che raccolgono carta, allumi-nio o vetro, pagando quote simboli-che per ritirare il materiale accumula-to, ma questa prassi non è diffusa, nèpubblicizzata come un bene essenzia-le e decisivo per le sorti di un'econo-mia e una società sostenibili.

Lo sforzo di “Inside!”Eppure la Bosnia Erzegovina è, inquanto potenziale candidato all'entra-ta nell'Ue, destinatario di consistentifondi europei, erogati per permettereal paese di raggiungere standard ade-guati nei settori cruciali, e potere cosìcompletare il processo di adesione.

In questo sforzo si è inserisce “Insi-de!”, progetto biennale iniziato nel-l'ottobre 2016 e finanziato propriodall'Unione europea nell'ambito delprogramma Erasmus Plus. Attraversouna partnership tra Caritas Italiana(tramite le Caritas diocesane di Vero-na e Vittorio Veneto), l'organizzazionegiovanile Ambasciatori di pace (consede a Baqel, Albania) e il centro pa-storale “Giovanni Paolo II” (Sarajevo),

CAFO

D

testi e foto di Andrea Bimbi

I ragazzil’ambiente

possibile parlare di tuteladell’ambiente, in territori econ popolazioni che stenta-no a riprendersi da guerreancora vive nella memoria

dei luoghi e delle persone? E che dun-que devono fare i conti con problemidi ricostruzione (materiale, morale,politica e istituzionale) giganteschi?

L’interrogativo si propone con cal-zante attualità a proposito della Bo-snia Erzegovina, paese martoriatodalla guerra civile dal 1992 al 1995, eprigioniero oggi di un dopoguerrastagnante e snervante. Frammenta-zione politica ed etnica, disoccupa-zione (in particolare quella giovani-le), mancanza di speranza e fuga al-l’estero sono i concetti chiavedell’attuale contesto bosniaco-erze-govese, determinato dalla guerra sca-turita dalla dissoluzione della Jugo-slavia. In base agli accordi di pace diDayton, firmati nel 1995, lo stato fudiviso in due entità: la RepubblicaSrpska, a maggioranza serba, e la Fe-derazione di Bosnia Erzegovina, divi-

La BosniaErzegovinacontinua a soffrire la stagnazione favoritadalla frantumazionedel paese che ha fattoseguito alla guerra. In questo contesto,porre la questioneambientale sembra un lusso. Ci prova un progetto rivolto ai giovani

È

internazionale balcani

sa in dieci cantoni autonomi. L’asset-to avrebbe dovuto essere a breve ter-mine, al fine di favorire la riconcilia-zione tra le etnie e le appartenenzereligiose che popolano il paese. Inve-ce, lo ha spezzettato ancora di più.

Ne è conseguita un'instabilità pe-renne, che si è riflessa in particolaresulle nuove generazioni: la disoccu-pazione giovanile è estremamentealta (nel 2008 si attestava attorno al50%, oggi supera ampiamente il 60%,dati World Bank) e tra i giovani lasperanza riguardo alle sorti del paeseè praticamente azzerata. «Mi sem-brano stufi. Stufi di tutto – confermamonsignor Pero Sudar, vescovo ausi-liare di Sarajevo, attivo nei settoridella riconciliazione e dell'animazio-ne giovanile –. In molti scelgono diandare all’estero e non si può dareloro torto. Io a volte provo a parlarecon loro, a dire questo Paese ha biso-gno di loro per crescere. Di solito ri-spondono che hanno una sola vita. Eche di quelli che sono partiti, nem-meno uno è tornato indietro. One-

un paese da sbloccare

e

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contrappuntodi Giulio Albanese

UNA RISORSA DA GESTIRE,CE LO INSEGNA LA STORIA...

Assimilazione vantaggiosaE dire che i goti vivevano in simbiosicon Roma da parecchio tempo. Moltidi loro erano ben integrati e avevanoacquisito la cittadinanza romana.Addirittura alcuni erano diventati le-gionari e venivano mandati in giroper l’impero a difenderne i sacri con-fini, soprattutto dalla minaccia per-siana. I barbari (forza lavoro a bassocosto, contribuenti zelanti e soldatiaffidabili) erano insomma una risor-sa, alla quale i romani non volevanoe non potevano rinunciare. Improv-visamente, però, la disastrosa gestio-ne dell’ingresso dei goti (noi direm-mo oggi, dei “nuovi immigrati”) pro-venienti da oriente segnò l’iniziodella fine. Dopo essere entrati in grannumero nell’impero e aver subitoabusi eccessivi da parte delle autori-tà, i goti si ribellarono. La conseguen-za fu la sanguinosa battaglia di Adria-nopoli (378 d.C.), nella quale sconfis-sero l’imperatore Valente.

Il pensiero corre quasi istintiva-mente alle terribili inefficienze delnostro sistema, all’interno del qualesi è permesso a losche cooperative di

intascare grosse somme, troncando sul nascere qualsiasiseria politica di integrazione. Mafia capitale docet ! Per chivolesse saperne di più, raccomando un saggio del profes-sor Alessandro Barbero, storico e divulgatore di fama, au-tore di Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’Imperoromano (Laterza). «L’immigrazione – secondo Barbero –è una risorsa indispensabile quando è gestita bene, conregole chiare e diritti e doveri chiaramente stabiliti; men-tre una società può collassare sotto il suo peso se mancauna salda direzione politica. È anche molto importanteche la piena assimilazione sia percepita dagli immigraticome possibile e concretamente molto vantaggiosa: ibarbari sono stati una risorsa per Roma finché non han-no desiderato altro che diventare romani, il disastro è co-minciato quando i goti hanno sentito che era più vantag-gioso rimanere goti anziché diventare romani». Saggiaconclusione, perché nessuna civiltà è eterna.

aiutare l’opinione pubblica a riflette-re sulla mobilità umana, facendo ri-corso alla storia, magistra vitae. Po-trebbe mostrarsi utile, per esempio,leggere il resoconto di AmmianoMarcellino, riguardante l’arrivo deibarbari (dal greco βάρβαρος, passatoin latino come barbarus, espressioneonomatopeica con cui gli antichi gre-ci indicavano gli stranieri: letteral-mente i “balbuzienti”, cioè coloro chenon parlavano greco, e quindi nonerano di cultura greca). Storico tar-doimperiale di origine ellenica, Am-miano, nel suo Rerum Gestarum Li-bri, ci racconta di un passato che però, confrontato conil presente, rivela interessanti analogie.

Verso la fine del IV secolo d.C. l’mpero romano fu co-stretto a misurarsi con una crisi umanitaria senza prece-denti, quella dei profughi goti: era l’anno 376. In condi-zioni di estrema emergenza, questo popolo, in fuga dagliUnni, venne fatto entrare nell’impero. Purtroppo una se-rie di eventi mandò in blocco il sistema di accoglienza.L’operazione umanitaria venne gestita in modo corrottodai generali romani, che intravidero la possibilità di in-tascare grossi profitti in nero, costringendo i goti a pagarele razioni che avrebbero dovuto essere distribuite gratui-tamente e per cui il governo di Roma aveva peraltro stan-ziato fondi. A ciò si aggiunse un mix di incompetenza emancata percezione dell’inizio di un nuovo fenomenomigratorio di massa e ciò avviò, inesorabilmente, la civil-tà romana al suo tramonto.

L’informazione spessodeforma analisi

e discussioni relativealle migrazioni. Che nonsono senza precedenti,

anche antichi. Bastarileggere la vicenda

dei rapporti tra romanie goti: da un’operazione

umanitaria fallita, un conflitto che cambiò la storia

l fenomeno migratorio è spesso alla ribalta sulle prime paginedei giornali ed è oggetto di accesi dibattiti. La dice lunga la re-cente querelle sui sospetti di una possibile connivenza di alcune

ong con i trafficanti di esseri umani della sponda africana. Un certotipo d’informazione è deleteria; ammesso pure che, un giorno, a se-guito di indagini della magistratura, venissero fuori riscontri accu-satori, occorrerà in ogni caso evitare di gettare il bambino con l’acquasporca, nella consapevolezza che gli operatori umanitari rappresen-tano un valore aggiunto della società civile.

Piuttosto, chi opera nel mondo della comunicazione dovrebbe

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si intende promuovere la cittadinanzaattiva tra i giovani, migliorare le lorocompetenze professionali e accresce-re il senso di responsabilità nei con-fronti dell'ambiente tramite differentiattività di sensibilizzazione: dal riusodegli spazi abbandonati alla riduzionedei consumi al riciclaggio dei rifiuti.

Le attività promosse dal progetto sirivolgono ai giovani e sono speculariin tutti i territori coinvolti, dati i nume-rosi problemi comuni che riguardanoi tre paesi (scarsa partecipazione deigiovani a iniziative di cittadinanza at-tiva, forte disoccupazione giovanile ecarenze di opportunità lavorative) enonostante le differenze di sensibilitàe attenzione sul tema da parte dellasocietà civile nei tre contesti. In BosniaErzegovina e Albania, infatti, è moltopiù complicato affrontare un tema co-sì distante dai pensieri dei giovani.

Il progetto intende incrementare lasensibilità dei giovani nei confrontidell'ambiente mettendo in campo dif-ferenti azioni: sensibilizzazione nellescuole, visite studio e scambio di buo-ne pratiche, campagne di comunica-zione, meeting aperti a giovani delletre nazionalità dai 18 ai 27 anni. Nel

primo anno del programma, si appro-fondirà in particolare il tema delle 3R(riuso, riciclo, riduzione dei consumi),nel secondo il tema della protezioneambientale e dell'eco-turismo.

Prove di convivenzaLavorando su vari aspetti riguardantila protezione ambientale – con pro-poste che riguardano il riciclo dei ma-teriali e la promozione di una cultura

del riuso, contro quella del consumoesasperato – le organizzazioni coin-volte cercano di mettere a fuoco an-che aspetti tipici dei singoli contestinazionali: a Sarajevo, per esempio, ilcentro Giovanni Paolo II, capofila diInside!, ha organizzato le attività inmodo tale da affrontare con i giovanipartecipanti ulteriori problematiche,quali la separazione tra le diverse et-nie e religioni. Il centro giovanile haper esempio proposto ai partecipanti(circa 15 giovani, cattolici e ortodossi)di pulire, sistemare e piantare nuovialberi e fiori in un giardino mal curatodi una parrocchia ortodossa di Luka-vica, ovvero la cosidetta Sarajevo est,vicino al confine tra Federazione e Re-pubblica. Questa attività è stata l'oc-casione anche per promuovere la coe-sistenza tra ragazzi appartenenti a di-versi gruppi etnici e confessionali.

D'altronde, scrive papa Francesconell'enciclica Laudato si', «insieme alpatrimonio naturale, vi è un patrimo-nio storico, culturale, artistico che è ne-cessario per costruire una città abitabi-le: l'ecologia richiede anche la cura del-le ricchezze culturali dell'umanità nelloro significato più ampio». Pensare allaprotezione dell’ambiente, cercando diampliare l’orizzonte alla convivenza ealla valorizzazione delle culture, signi-fica affermare «che gli esseri umani so-no al centro delle preoccupazioni rela-tive allo sviluppo sostenibile», come stascritto nel primo principio della Di-chiarazione di Rio sull’ambiente e losviluppo del 14 giugno 1992. Riferi-menti alti e lontani, che provano a met-tere radici tra i giovani dei Balcani.

internazionale balcani

In Albania la situazione ambientale non è delle migliori. Nei contesti rurali, in particolare, diversi villaggi si ritrovano sommersi dai rifiuti. La pressoché totale assenza dei cassonetti induce i cittadini a bruciareo interrare la spazzatura. Ulteriore problema riguarda gli edifici dismes-si: nello splendido contesto delle montagne albanesi, si ergono numero-si stabili fatiscenti, veri mostri architettonici e ricordo della presenza capillare dei militari durante la dittatura comunista.Inside! cerca di lavorare attraverso lo scambio di buone pratiche, sensi-bilizzando la popolazione locale e i giovani nella zona della Zadrima(nord dell’Albania). Attraverso varie attività nelle scuole, si cerca di sti-molare la consapevolezza, nei giovani, circa l'anormalità delle condizio-ni in cui si trovano, invitandoli a documentare tramite fotografie e videoi luoghi degradati. Spesso la reazione immediata dei giovani è di fortedemoralizzazione, ma alcune iniziative (per esempio le azioni di puliziacollettiva nei villaggi) servono a dimostrare che si può agire anche dalbasso. I giovani partecipanti sono coinvolti anche nell’opera di restaurodi un’area di gioco a Baqel (dove ha sede Ambasciatori di Pace), che da area anonima si sta trasformando in un simbolo di collaborazioneper il bene di tutti: la dimostrazione che, agendo insieme, le cose pos-sono cambiare. [ha collaborato Elisabetta Pasquini]

C’è un’Albania che non intendecedere alla demoralizzazione

DEGRADO CITTADINOUn parco pubblico non curatonel centro della capitale Sarajevo

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INVISIBILI

di Francesco Maria Carloni

PERCHÉ ‘‘AMBIENTALI’’

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l’Alto Com-missariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) concordano nel-lo stimare che, entro il 2050, saranno più di 200 milioni le persone co-

strette ad abbandonare il proprio luogo di origine, a causa di disastri o rischiambientali.

Nonostante che la classificazione di “rifugiato ambientale” sia utilizzatadall’Oim dalla fine degli anni Settanta e che il Parlamento europeo abbia, dal2011, proposto la definizione “sfollati o migranti per ragioni ambientali”, a li-vello internazionale non esiste ancora una definizione univoca; né di conse-guenza, un riconoscimento giuridico che equipari un rifugiato ambientale,quanto a diritti, a chi fugge da guerre o persecuzioni.

Chi abbandona la propria residenza, temporaneamente o permanentemen-te a causa di terremoti, inondazioni, alluvioni, desertificazioni, land grabbing,accaparramento di acqua potabile (per citare le cause più frequenti), ha dun-que il pieno diritto di essere considerato profugo.

Anche l’enciclica Laudato Si’, pubblicata due anni fa da papa Francesco,evidenzia il nesso fra cambiamenti climatici e migrazioni, sottolineando cheoggi chi fugge per cause ambientali non ha diritto ad alcuna tutela giuridicae a una protezione umanitaria.

Eppure le migrazioni, ormai, non sono un fenomenolimitato ad alcune aree del pianeta; interessano, diret-tamente, tutti i continenti. È necessario quindi rendersiconto che il fenomeno, già da molto tempo, rappresen-ta una drammatica questione mondiale. Mettere alcentro la persona e i suoi bisogni, in questo contesto,vuol dire anche battersi contro categorizzazioni che ge-nerano diseguaglianza: purtroppo oggi chi abbandonala propria terra per cause ambientali o economiche ri-schia di diventare un “rifugiato invisibile”.

Molti disastri sono originati da cause umane. Eppure la codificazionedi “rifugiato”, per chi fugge da crisi ambientali, ancora non poggiasu solide basi di diritto. Intanto, alcuni organismi temono che,entro metà secolo, saranno più di 200 milioni

MAREAMONTANTEOrganizzazioneinternazionale per le migrazioni e Alto CommissariatoOnu per i rifugiatistimano che, entroil 2050, sarannopiù di 200 milionile persone costrettead abbandonareil proprio luogodi origine, a causadi disastri o rischiambientali

panoramamondo

archivium di Francesco Maria Carloni

Con la pubblicazione del sussidio Pastorale della Carità, Caritas italiana a fine anniSettanta realizza il primo sussidio interamente dedicato alla formazione degli operato-ri delle Caritas diocesane, ottemperando così a una delle sue principali finalità statu-tarie. La Caritas, infatti, per volere di Papa Paolo VI era nata nel 1971 come organi-smo pastorale chiamato a svolgere un ruolo di stimolo e di rinnovamento, per il qualela presenza di persone convinte e competenti – operatori e animatori – costituiva unacondizione imprescindibile. Dopo i primi anni di vita, durante i quali i corsi di formazio-ne erano stati realizzati solo a livello nazionale, a fine anni Settanta si stavano invecefelicemente sviluppando iniziative di formazione anche a livello diocesano e parroc-chiale. Da qui l’esigenza di offrire alle realtà diocesane un sussidio che raccogliessein modo organico contributi di metodo e di merito.

In un semplice raccoglitore di cartoncino, sono stati raccolti 13 fascicoletti, ciascu-no articolato in due parti, al fine di renderne più agile la fruizione e l’integrazione coneventuali nuovi contributi. Nella prima parte, relativa ai contenuti della formazione Caritas, venivano proposte relazioni e riflessioni recepite in oc-casione di diversi incontri, convegni e dibattiti. Nella secondaparte, concernente i metodi della formazione, venivano date indicazioni sul modo di trasmettere i contenuti e di trasformarel’esperienza formativa in una ricerca continua.

Il volume terminava con la presentazione di un questionarioper la rilevazione dei bisogni, delle risorse e dei gruppi di volon-tariato presenti nei territori. Perché sviluppare la promozionedella pastorale della carità, a livello diocesano e parrocchiale,da quel momento non avrebbe più dovuto essere frutto dell’im-provvisazione.

Formare operatori e animatori,mai più frutto di improvvisazione

Caritas India moltiplica il suo impegno per contrastare la piagadel lavoro minorile. I bambini la-voratori nel paese asiatico sonopiù di 4 milioni, in forte riduzionerispetto all’inizio del secolo, mapur sempre moltissimi. In più, la loro età è sempre più giovane:un rapporto Unicef 2017 affermache la percentuale di bambini tra5 e 9 anni, tra i minori che lavo-rano, è salita dal 15% al 25%. In India, il fenomeno interessa set-tori di lavoro non strutturati, siain aree rurali che urbane. CaritasIndia sostiene un programma nel distretto di Darjeeling (statodel Bengala occidentale), per rag-giungere l’obiettivo Child LaborFree, che per la prima volta vede

l’impegno congiunto di governo e società civile: il progetto potreb-be salvare 45 bambini lavoratori,anche grazie alla collaborazionecon gruppi e associazioni locali.La Chiesa cattolica in India, nelle sue articolazioni, profondeun grande impegno per affronta-re il problema del lavoro minorile.

Produzione di cotone nei cam-pi e settore tessile sono gli am-biti in cui i minori vengono più facilmente impiegati, ma è in au-mento la tendenza a usare i bam-bini come domestici nelle areeurbane. L’ingresso di societàmultinazionali nel settore indu-striale ha accresciuto l’area del lavoro minorile. E le leggi che hanno lo scopo di protegge-

TROPPOPRESTOIl settore tessile,insiemealla produzionedi cotone neicampi, è unodei due settoriproduttiviin cui si ricorredi più al lavorodei bambini

INDIAImpegno Caritas contro la piagadei minori schiavi al lavoro

re i bambini sono inefficaci o non sono correttamente appli-cate. I bambini lavoratori appar-tengono in buona parte alle ca-ste più basse e a famiglie povere.

PAKISTANCarenza d’acquanel Sindh:in tre anni oltremille bimbi morti

Emergenza umanitaria. Lo so-stiene Caritas Pakistan, in riferi-mento alla situazione del distret-to di Tharparkar, provincia del Sindh, dove in tre anni sonomorti 1.340 bambini per malnu-trizione. La Caritas chiede che il governo dichiari in via ufficialelo stato di crisi, uscendo da reti-cenze e ambiguità. Il territorio di Tharparkar è una distesa de-sertica di 22 mila chilometri qua-drati, con 23 mila villaggi: vi abi-tano circa 1,5 milioni di persone, di cui la metà di religione indù.Da oltre dieci anni in questa re-gione si registra un’emergenzaidrica e mancano le infrastruttureper l’irrigazione. Nel 2014 Cari-tas ha lanciato un programmaper la sicurezza alimentare: le attività comprendono la co-struzione di 1.850 cisterne perla raccolta di acqua piovana de-stinata al raccolto; l’installazionedi 40 pompe manuali; la creazione di 20 stagni naturali; la costru-zione di 10 nuove fonti e la ripa-razione di 30 esistenti. Prevedeanche la formazione dei contadi-ni in tema di igiene e coltivazio-ne. Ma è decisivo che le autoritàpubbliche facciano la loro parte.

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panoramamondo

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LASTORIAIl padre ogni volta che

tornava a casa, ubriaco,picchiava con forza lamoglie e più volte ha

cercato di violentare lefiglie. Spesso la

famiglia di Noa è stata costretta a

dormire fuori casa

MOZAMBICONuova vita per Noa:«Niente più botte,a scuola possocostruirmi il futuro»

Noa Gimo è il più grande

di cinque fratelli. Originario di CaboDelgado, nel nord del Mozambico,vive ora a Boquisso. La sua è unastoria difficile. Il padre, alcolizzato,ha sempre avuto un comportamen-to aggressivo; ogni volta che torna-va a casa, ubriaco, picchiava conforza sua moglie e più volte ha cer-cato di violentare le figlie, in assen-za della madre. Spesso la famigliadi Noa è stata costretta a dormirefuori casa, cercando riparo pressogli amici e la parrocchia.

Grazie al contributo di Caritas Italiana, Noa, ragazzo molto respon-sabile e con voglia di andare avantinella vita, ha ricevuto una borsa di studio che gli ha permesso di frequentare un collegio il quale gli garantisce pasti caldi ogni giorno,la possibilità di studiare serenoe l’assistenza sanitaria. Una vita nor-male che prima, purtroppo, era soloun miraggio. Ora Noa si trova nel-l’Istituto medio di Sao Francisco deAssis, e frequenta il corso per elettri-cista. I suoi voti sono sopra la me-dia ed è molto apprezzato da inse-gnanti e amici. «Finalmente la miavita ha preso una buona piega! –esclama Noas –. Sono felice, possostudiare lontano dalle botte che miopadre non smetteva mai di darmi.Ora lui si trova in carcere e la mia famiglia, mia madre, le mie sorelle e fratelli sono al sicuro. Grazie a Caritas Italiana, ogni mese incontro anche un’assistente sociale e una psicologa che mi seguono in questocammino di recupero… Non possoche estendere il mio grazie a tutte le persone che hanno scelto di soste-nermi e di sostenere questo micro-progetto. Grazie ancora, di cuore».

> Microprogetto 329/16 MozambicoSussidi per ragazzi di scuola pri-maria e secondaria

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MICROPROGETTO

FILIPPINEMigliorare l’istruzioneè migliorare il futuro

Le sorelle della Fraternità Cavanis “Gesù Buon Pa-store” si sono proposte di migliorare la qualità edu-

cativa della “Anthony and Mark Cavanis Elementary Scho-ol”, frequentata da 450 bambini, provenienti da famigliedisagiate e a rischio di abbandono scolastico. Il micropro-getto, attraverso l’acquisto di attrezzature didattiche (libri,materiale per laboratori, proiettore) e corsi d’aggiornamen-to per docenti, mi-ra a innalzare la qualità del servizio, in continuità con la missione educativa e di promozionesociale che la scuola porta avanti da 11 anni.

> Costo 5 mila euro> Causale MP 113/17 FILIPPINE

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MICROPROGETTO

INDIAL’acqua pulita fa benealla salute e… all’istruzione

Nello stato del West Bengala l’acqua è contaminatada arsenico e altre sostanze nocive, a causa

dei tanti pesticidi usati in agricoltura. La maggior parte dei pozzi sono di bassa profondità, con acque non potabilie ricche di batteri e virus, fonti di malattie anche mortali(tifo, colera, epatite). Il microprogetto prevede lo scavo di un pozzo profondo almeno 150 metri, per consentire a chi frequenta il centro Don Bosco di approvvigionarsisenza ammalarsi. E senza cadere nel circolo vizioso dell’ignoranza: molti bambini, spesso malati, sono infatticostretti ad abbandonare la scuola.

> Costo 4.900 euro> Causale MP 114/17 INDIA

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MICROPROGETTO

MICROPROGETTO MICROPROGETTO

TANZANIAProdurre mattoni,per costruire inclusione

Produrre mattoni, per costruire inclusioneLa regione di Mbeya è caratterizzata da un’enorme

diseguaglianza, terreno fertile per il fenomeno dei bambinidi strada. Altro grave problema è la condizione dei disabili,che in base a una triste e diffusa credenza sono considera-ti frutto di una maledizione. Fra povertà e disabilità c'è unastretta connessione. Il progetto, presentato dal centro perbambini disabili Cbr-Simana, prevede l’acquisto di una mac-china per realizzare i mattoni. Con il ricavato di questa atti-vità si potranno garantire medicine, strumenti e servizi di riabilitazione agli ospiti del centro.

> Costo 2.500 euro> Causale MP 107/17 TANZANIA

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Il carcere di Kondegui, prigione centrale di Yaoundé,creata per accogliere 800 detenuti, ne ospita più

di 4 mila, privi di spazio vitale. Circa la metà non ha un let-to, né un luogo in cui custodire gli effetti personali. Isola-mento, miseria estrema, insufficienza alimentare, l’abban-dono delle famiglie rendono un inferno la vita dei carcerati.Il microprogetto prevede l’ascolto approfondito dei detenuti,sostegno legale, acquisto di alimenti, di materiale igienico e didattico per sviluppare attività di animazione basate sulla non violenza e l’ascolto reciproco.

> Costo 4.500 euro> Causale MP 90/17 CAMERUN

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CAMERUNAscolto e sostegnoper i detenuti di Kondegui

NON STANCATEVI DI SOSTENERE I MICROPROGETTI! INFO: [email protected]

ETIOPIAMicrocredito, per creare impresacon potenziali migranti

L'Etiopia è un importante paese di partenza di migran-ti: uomini, donne e bambini sono merce umana per

trafficanti senza scrupoli. La principale ragione delle migra-zioni risiede nella povertà cronica e nel sogno di un buon lavoro in un paese ricco. Il microprogetto proposto dal vicaria-to apostolico di Soddo prevede la costituzione di un fondo di microcredito, per permettere a 20 donne di avviare piccoleattività generatrici di reddito. Nel progetto, anche corsi di for-mazione su business e imprenditoria e la diffusione di unamaggiore consapevolezza sui rischi per chi sceglie di partire.

> Costo 4.900 euro> Causale MP 93/17 ETIOPIA

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villaggioglobale

LIBRIGuida ai diritti:norme e pratiche cheregolano il carcerespiegate ai detenuti

I detenuti piemontesi hannouna guida, che spiega loro qualidiritti hanno e come esercitarli.Il libretto è stato realizzato da-gli studenti di Giurisprudenzadell’Università di Torino (insie-me a una rappresentanza deireclusi) e stampato in quattrolingue. Guida ai diritti. Orien-tarsi tra norme e pratiche pe-nitenziarie, oltre a elencare di-ritti e modalità per esercitarli,chiarisce ruolo e competenzedelle figure che lavorano in car-cere e di coloro che tutelano i detenuti, a cominciare da vo-lontari e avvocati. La guida è utilissima, perché solitamen-te nessuno in carcere spiega ai detenuti quali siano i loro diritti. Lo strumento è stato rea-lizzato in collaborazione con il

cazione del e sul mondo carce-rario. La giornalista è entratanelle sezioni di alta sicurezzadelle carceri dove stanno i ma-fiosi. Quelli che, si dice, devonoessere trattati duramente, per-ché non c’è possibilità di recu-perarli. Chi pensa il contrarioviene ritenuto, nella miglioredelle ipotesi, un ingenuo, un“buonista” e, nella peggiore,uno che non ha il senso dellostato. Ma se non fosse così?Ornella Favero ha parlato con i detenuti, il personale, i fami-liari. Il libro propone una sintesidel viaggio, con una conclusio-ne netta e univoca: l’imposta-zione sottostante ai circuiti dialta sicurezza è spesso crude-le. Sarebbe tempo di cambiarestrada – secondo la giornalista–, perché, come sostiene Agne-se Moro, figlia dello statista uc-ciso dalle Brigate Rosse, «nonbisogna buttare via nessuno».E l’orizzonte della rieducazioneè praticabile per tutti.

provveditorato dell’amministra-zione penitenziaria delle regioniPiemonte e Valle d'Aosta e con la Fondazione Crt. Dopotre anni di lavoro, la guida è nel-le celle dei detenuti e nelle ma-ni degli operatori carcerari. Vi si trovano indicazioni sul rap-porto con l’avvocato, sulle san-zioni previste per chi non rispet-ta le regole, dettagli sullemisure attuabili nella struttura,come l’isolamento. Diversi gli approfondimenti sulle misurealternative, come l’affidamentoai servizi sociali, gli arresti domi-ciliari o le misure di semilibertà.

DOCUFILM“Io sono qui”,i migranti ragazzinie una speranza cheresiste agli inferni

Come viene gestito il fenomenodell’immigrazione minorile? Lo racconta Io sono qui, docu-film del regista palermitano Ga-

zoom

Padre Alejandro Solalinde, religioso messicano, candida-to al Premio Nobel per la pace 2017 per le sue battagliecontro i trafficanti di droga e di uomini, ha scritto un librodal titolo eloquente: I narcos mi vogliono morto. PadreAlejandro dirige il rifugio Hermanos en el camino di Ixoe-tec, ed è nel mirino del crimine organizzato per le sue de-nunce contro gli abusi sui migranti. Scritto con la giornali-sta di Avvenire Lucia Capuzzi per l’editrice Emi, il libroillustra la realtà di un paese, il Messico, in cui ogni annotransitano mezzo milione di migranti, che dal Centroame-rica tentano di raggiungere gli Stati Uniti, in cerca di unfuturo migliore. Sulla loro strada trovano la ferocia deinarcos che – oltre a far soldi con la droga – si arricchi-

scono sulla pelle dei migran-ti, grazie a rapimenti, trafficidi organi, schiavismo e pro-stituzione. Alejandro Solalin-de dopo una vita da pretenormale, ha iniziato ad apri-re le porte del cuore e di ca-sa agli stranieri che cercava-

no un rifugio, un pezzo di pane, unaparola di conforto. Non ha taciuto, pa-dre Alejandro: ha denunciato i soprusidei trafficanti, le connivenze della poli-tica, la corruzione della polizia. I nar-cos gliel’hanno giurata: sulla sua testa pende una taglia di 1 milione di dollari. Di qui le minacce, i tentati omicidi, la scorta.

La vicenda di padre Alejandro si intreccia con quelladei 20 mila migranti rapiti ogni anno in Messico: uomini,donne e bambini che spariscono nel nulla. E con quelladelle 20 mila persone senza documenti accolte da que-sto prete tenace. «I sequestri. Cominciarono senza chece ne accorgessimo. Gruppi di migranti sparivano – rac-conta padre Alejandro nel libro –. Mi misi ad indagare.Era evidente che molti si perdevano per strada. Dove finivano? Con molta pazienza riuscimmo a ricostruirela macchina dei sequestri. Ero un prete: mi occupavo di teologia e psicologia. Capii che mi stavo per infilarein un enorme guaio. Eppure non potevo né volevo evitar-lo. (…) Sapevo che dovevo fare qualcosa».

I narcos lo vogliono morto, ma padre Alejandronon cessa la sua battaglia per la vita dei migranti

COSADEVE FAREIL CARCERE?Eterno dilemma:“contenere”o provarea “riablitare”?

RICORDAUNA NAVESalotto o eserciziocommerciale?“Bar Mario” è entrambe le cose. E anche un documentario...

gista Stefano Lisci, realizzatocon il contributo della provinciaautonoma di Bolzano, in copro-duzione con una cooperativa e finanziato grazie a una campa-gna di crowdfunding. L’opera staottenendo importanti riconosci-menti, in festival indipendenti. In molti apprezzano il raccontocorale e tragicomico, divertentee poetico, che illustra un luogodi incontro vitalissimo, dove le persone ritrovano la propria dimensione, sentendosi come a casa (e non è un modo di dire).

La singolaritàdel locale sta an-che nell’arredo:1.500 banconote,per esempio, tap-pezzano le paretidel locale. E poi ci sono 11.244bottoni, 6.243 articoli di giornale e una montagna di volantini... Insom-ma, una commedia

zoom

CINEMASalotto, navee locale pubblico:“Bar Mario”, la vitaè poesia dell’assurdo

Da oltre 70 anni a Bolzano il Bar Mario rappresenta unpunto d’approdo per un gruppodi affezionati clienti, che nel lo-cale ha trovato una seconda fa-miglia. Lo gestisce Marina, chepassa l’intera giornata a segui-re il figlio Paolo, che ha un defi-cit psicomotorio per un’opera-zione male riuscita. Marina è la “capitana” di questo loca-le, dove tutto ricorda una nave.Il locale è anche il salotto dellacasa: una sola porta separa il bar dal resto dell’abitazione.Dunque entrare nel Bar Mario è come entrare in casa di amici.

Ora il singolare bar, situatonel quartiere Rencio e vissutoda personaggi pittoreschi, è divenuto oggetto dell’omonimofilm-documentario, girato dal re-

Sono stai premiati a fine maggio gli studenti che hannopartecipato a due importanti concorsi, che hanno in Caritas Italiana il soggetto co-promotore o un partnerormai consolidato.

A Roma, nella sede del ministero dell’istruzione università e ricerca, il 29 maggio sono stati assegnati i premi ai migliori lavori realizzati da studenti di scuoledi ogni ordine e grado d’Italia, nell’ambito del concorsonazionale Miur – Caritas Italiana, dedicato quest’annoal tema “La mia vita non è un gioco”. Un’ottantina i par-tecipanti alle tre sezioni del concorso (fotografia, brevescritto, disegno), che mirava a far capire ai ragazzi (e al-le loro famiglie) che il gioco, quello sano, è parte fonda-mentale della vita, e che dunque un progetto di vita nonpuò basarsi sull’azzardo, ma va costruito giorno pergiorno con responsabilità, sapendo discernere tra scel-te di spesa sicure e il tentare la sorte. Nella foto, unodei lavori premiati.

Salerno ha invece ospitato, il 27 maggio, la premia-zione di Spot School Award, il Festival della creativitàdel Mediterraneo, organizzato dall’associazione Creativi-

sinascE e giuntoalla 16ª edizione.Caritas Italiana,come da tradizio-ne, ha “dettato” il primo dei trebrief, sottopostiagli studenti dellescuole e delle fa-coltà universitariedi comunicazionedi tutta Italia. Il tema, quest’anno, riguardava la realtàdell’Aids, la cui diffusione – anche nelle società avanza-te, e così in Italia – continua a essere favorita da com-portamenti individuali superficiali e scorretti, nonostan-te sul versante delle cure si siano ormai consolidatirilevanti successi. Se di Aids, insomma, ormai non si muore più, però ci si continua ad ammalare: il briefproponeva l’esigenza di intensificare il lavoro di informa-zione e sensibilizzazione, per puntare a circoscrivere la diffusione del virus Hiv.

dell’assurdo. Ma in cui tutto è reale. Perché magari margina-li, ma realissimi, sono i protago-nisti del film, interpreti del ruoloche la vita ha assegnato loro.

LIBRICattivi per sempre?Viaggio in prigioniad alta sicurezza:«Sistema crudele»

Un viaggio nei circuiti delle car-ceri di massima sicurezza, percapire quanto è davvero utileuna pena punitiva, che priva il detenuto di ogni libertà e pos-sibilità di vita, che riduce all’os-so le opportunità d’incontrocon la famiglia, che umilia e non redime. Lo compie Catti-vi per sempre? E se così nonfosse? (Edizioni Gruppo Abele),scritto da Ornella Favero, gior-nalista e direttrice della rivistaRistretti Orizzonti, punto di riferi-mento nel panorama italianoper l’informazione e la comuni-

Scuole di tutta Italia mobilitate contro l’azzardo,giovani comunicatori impegnati a prevenire l’Aids

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villaggioglobale

di Daniela Palumboatupertu / Alex Corlazzoli

Una scuola che non riesce, se non in pochi esempi ancora isolati, a stare al passo con la complessità delmondo. Alex Corlazzoli (Tutti in classe, Einaudi) inqua-dra così l’istituzione alla quale affidiamo le giovani ge-nerazioni. Sono cambiati famiglie, orari di lavoro, condi-zioni sociali, mezzi della tecnologia. Ma la scuola no.

Corlazzoli, come si fa a mettersi in ascolto dei bambini?

È necessario chinarsi alla loro altezza,spostare la cattedra e stare seduti ac-canto a loro. Non è un caso che nella“Casa del bambino” di Maria Montes-sori gli arredamenti fossero a misuradegli scolari. E che nelle aule del mae-stro Mario Lodi la cattedra non esistes-se. Partiamo da lì, eliminiamo le barrie-re fisiche e psicologiche tra noi e loro.

Chi è un buon maestro oggi?Serve essere educatori di strada, averealle spalle un’esperienza che permettadi non spaventarsi quando i ragazzi di-cono: «Maestro oggi Riccardo sul com-puter ha cercato la parola tette», oppure quando arrivaCamilla con un “pizzino” di carta di un compagno che la ricatta. Abbiamo bisogno di un esercito di educatori,non solo di maestri e professori! Ciò che più mi ha aiu-tato a diventare “maestro” è stato l’aver svolto sei mesidi volontariato tra i ragazzi di strada di Palermo e diecianni dietro le sbarre delle carceri di Cremona e Lodi,

“Tutti in classe”, la scuola va cambiata:«Partiamo dall’ascolto. E dalla Costituzione»

Bisogna spostare lacattedra, all’altezzadei ragazzi. E serve

essere educatori di strada.Abbiamo bisogno di unaschiera di educatori,non solo di maestrie professori!

a insegnare ai detenuti. Lì ho imparato a educare.

Nelle tue classi eleggete un sindaco.La Costituzione non è un libro per vecchi. Ogni volta cheaccade una discussione, la usiamo, la leggiamo, andiamoa vedere cosa dice “Il Grande Libro”. Ogni anno chiedo

ai miei ragazzi: chi di voi a casa ha la Costi-tuzione? Poche famiglie ce l’hanno nellaloro libreria. Ripartiamo da qui: deve tor-nare nelle famiglie, nelle scuole. Così come la democrazia va vissuta. Spessoin classe facciamo vere e proprie elezio-ni, con tanto di campagna elettorale, candidati sindaci, comizi, seggi. Ma nonbasta. Andiamo a fare consiglieri e as-sessori in una vera aula consiliare: sia-mo stati a Lodi, a Milano.

Educare all’affettività in classe:si può?

Parlerei di educazione all’affettività e al-la sessualità. Raccolgo sempre i “pizzi-ni” dei miei ragazzi, che trovo sotto i banchi o che mi lasciano dopo una lezio-

ne. Sono il mio “materiale pedagogico”. Uno dei più sim-patici diceva: «Maestro ma tutti i genitori l’hanno fatto? È difficile la procedura?». A queste domande la scuola ha il dovere di dare una risposta. Ora, non domani. Pur-troppo l’Italia ancora non ha una legge in tema di educa-zione sessuale, tutto è lasciato alla conoscenza o alla disinformazione dell’insegnante di scienze o religione…

una donna che non si è mai vo-luta arrendere all’aggressionedel tumore.

Francesca è morta nel dicembre 2016. Il marito,Alessandro Milan, giornalista del Sole 24 Ore e Radio 24, ha deciso di mantenere la me-moria di questa donna che ama-va la vita, con il Premio Wondy,un concorso letterario che inten-de promuovere storie che rac-contano il coraggio. Lo stessoche apparteneva a Wondy, il so-

prannome con cui molti cono-scevano Francesca, da quandopubblicò il libro autobiograficointitolato, appunto, Wondy.

Come racconta il marito nelsito dell’associazione promotri-ce del premio, quando France-sca decise di scrivere la suastoria, dal momento della sco-perta del tumore, scelse di ri-spolverare il vecchio sopranno-me con cui la chiamavano gli amici all’università: Wondy,da Wonder Woman. Perché per

affrontare le operazioni, la che-mioterapia, le recidive serveessere forti, ottimisti, solari. In una parola: resilienti.

Wondy Sono Io, associazioneper la resilienza, indica che tut-ti, di fronte a piccole o grandiavversità, possono trasformarsiin supereroi. Francesca adora-va la letteratura. Per lei scrivereera un’urgenza. E ora, nel suonome, grazie a un premio, sa-ranno in molti a proporre storiedi coraggio.

Don Lorenzo, a 50 anni dalla morte:prime esperienze, lezione e letteredi un innovatore dell’educazione

di Francesco Dragonetti

Joan Chittister Un tempo per ognicosa… ogni cosa a suo tempo (Paoli-

ne, pagine 224). Attraver-so i noti versetti del Qoè-let, l’autrice riflette sutemi senza tempo, comescopo e valore della vitaumana, equilibrio tra gio-ia e dolore, lavoro e ripo-so, amore e lutto.

LIBRIALTRILIBRI

Luigi Ginami, Joseph Alessan-dro Joe (Marna Velar, pagine 128).

Racconto dell’incontro in Kenya con il vescovo Joe Alessandro, vittima diun attentato a opera di bri-ganti Shifta. Poi la visita alcampo profughi di Dadaab,il più grande del mondo,con 360 mila persone.

Paolo Bill Valente Fedeltà e coraggio(Alpha Beta, pagine96). L’autore – di-

rettore della Caritas di Bol-zano-Bressanone – rileggela vita del bolzanino JosefMayr-Nusser, semplice pa-dre di famiglia, martire del-la follia nazista «perché te-stimone di Cristo», beatodallo scorso marzo.

paginealtrepagine

La figura di don Lorenzo Milani, a distanza di 50 anni dalla morte prematura, esercitaancora oggi grande fascino. L’essenza della sua opera si concretizza nel tentativo digarantire anche agli ultimi della società il diritto di apprendere, comunicare e parteci-pare. A partire dalla constatazione che non è sufficiente parlare, in questo senso, didiritti genericamente accessibili: «Non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far partiuguali fra disuguali» (da Lettera a una professoressa, Libreria editrice Fiorentina).

Su don Milani è stato scritto molto. La sua figura ha scosso in profondità le co-scienze e diviso gli animi. Ma chi è stato davvero? A tale interrogativo, e per megliocomprendere il cammino percorso prima di giungere (dicembre 1954) a Barbiana,piccola parrocchia toscana di montagna, risponde Domenico Simeone Verso la scuo-la di Barbiana. L’esperienza pastorale ed educativa di don Lorenzo Milani a S. Do-nato di Calenzano (Gabrielli Editore, pagine 234). L’esperienza fatta dal giovane pre-te appena ordinato viene descritta con estrema attenzione: l’autore coglie e segnala,con acuti e minuziosi approfondimenti, le tappe dell’insegnamento di don Milani, incui confluiscono meditazione e indagine sociale, amore del prossimo e attitudine au-stera e combattiva.

Dopo la sua morte, spesso ci si è accostati a don Milani sulla base di vi-sioni ideologizzate. Ciò che è certo, oggi, è che si è trattato di un grande edu-catore, che ha avuto una forte influenza nella storia della cultura italiana. Unposto importante gli va riconosciuto anche nella riflessione su natura e com-piti dell’istruzione. La scuola di Barbiana, dove don Lorenzo ha profuso lamaggior parte dei suoi talenti, non si è limitata all’opera educativa attraversoil metodo deduttivo, ma è stata una scuola di vita: ne parla Mario Lancisi Lascuola di don Lorenzo Milani. Una lezione per i genitori, gli insegnanti e glistudenti (Polistampa, pagine 264), dimostrando che, anche se frainteso, cri-ticato, a lungo ostacolato sia dalle autorità scolastiche che da quelle religio-se, don Milani giunse a rivoluzionare il ruolo dell’educatore.

Nelle Lettere di don Lorenzo Milani, Priore di Barbiana (a cura di MicheleGesualdi – San Paolo Edizioni, pagine 370) rintracciamo infine le speranze ela tenace volontà del sacerdote-educatore, coraggioso innovatore: oltre a es-sere uno straordinario documento di accesso alla figura “privata” di don Lo-renzo Milani, le lettere delineano un disegno educativo che ha lasciato unatraccia indiscutibile nella didattica e nella pedagogia moderne.

briele Gravagna, prodotto da On The Road Again Pictures.Il documentario illustra il funzio-namento di un centro di primaaccoglienza per minori stranierinon accompagnati e il difficileprocesso di integrazione di que-sti ragazzi nella nostra società.«Io sono qui – ha spiegatoil regista – è la dichiarazioned’intenti di tutti i migranti che riescono ad arrivare, soli,nel nostro paese e vogliono ricominciare a vivere, a sperare, a credere nel proprio futuro. È anche il motto degli operatoridei centri di prima accoglienza,che diventano un punto di riferi-mento per tanti ragazzi: ci sonoper assisterli legalmente e psi-cologicamente, per prepararli a una professione e agevolareil più possibile la loro integra-zione nel nostro tessuto socia-le». Nel documentario, diversiragazzi africani raccontano il lungo viaggio, le violenze, la fuga dall’inferno libico, l’istinto di sopravvivenza che li ha portati, nonostantetutto, ad arrivare in Italia, ma soprattutto a credere anco-ra negli uomini. E a guardare al futuro come una possibilità.

CONCORSIStorie di coraggio,percorsi di resilienza:un premio letterarioper ricordare Wondy

Francesca Del Rosso era unagiornalista. Ma soprattutto era

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Brief CaritasHIV/AIDS: OLTRE LE PAURE E I PREGIUDIZI

Primi classificati (sezione Manifesto annuncio stampa)Gianluca Gianelli, Iridiana Luppi, Simone Maltagliati, Fabio Capobianco e Martina WidmannFondazione Accademia di comunicazione – Milano

Sedicesima edizione Premiazione a Salerno 27 maggio 2017

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