ColophonMaryJanice Davidson

Non-morta e incompresaDedicaCitazionePrologo 1: SegretiPrologo 2: ProblemiCapitolo primoCapitolo secondoCapitolo terzoCapitolo quartoCapitolo quintoCapitolo sesto

Capitolo settimoCapitolo ottavoCapitolo nonoCapitolo decimoCapitolo undicesimoCapitolo dodicesimoCapitolo tredicesimoCapitolo quattordicesimoCapitolo quindicesimoCapitolo sedicesimoCapitolo diciassettesimoCapitolo diciottesimoCapitolo diciannovesimoCapitolo ventesimoCapitolo ventunesimoCapitolo ventiduesimoCapitolo ventitreesimoCapitolo ventiquattresimoCapitolo venticinquesimoCapitolo ventiseiesimoCapitolo ventisettesimoCapitolo ventottesimoCapitolo ventinovesimoCapitolo trentesimoCapitolo trentunesimoCapitolo trentaduesimo

Capitolo trentatreesimoCapitolo trentaquattresimoCapitolo trentacinquesimoNota dell’Autrice

Delos Books e il DRMIn questa collana

ISBN versione ePub: 9788865303726ISBN versione Kindle: 9788865303733© 2005 by MaryJanice Davidson Alongi

Titolo originale: Undead And UnappreciatedTraduzione: Sabrina Scalvinoni

Edizione ebook © 2012 by Delos BooksPiazza Bonomelli 6/6 20139 Milano

Versione: 1.0 ottobre 2012

Edizione stampata: ottobre 2012 Delos Books

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria

MaryJanice Davidson, americana nata nel 1969, èautrice di numerosi romanzi di successo. Nella suacarriera di scrittrice ha spaziato nel paranormal fantasy,nei romance d’amore, nei romanzi di letteratura youngadult, ma ha anche pubblicato saggi storici e romanzi distoria alternativa. Le sue opere di maggior successo,grazie alle quali è stata per molto tempo in testa alleclassifiche Usa dei bestseller, sono i romanzi del ciclo diBetsy la Regina dei vampiri con il quale ha vinto nel2004 il Romantic Times Reviewer’s Choice Award edè stata candidata per lo stesso premio l’annosuccessivo.

Attualmente la Davidson vive a Minneapolis con ilmarito e due figli.In questa collana sono già stati pubblicati Non-morta enubile e Non morta e disoccupata. Il ciclo di Betsy laregina dei vampiri a oggi consta di undici romanzi, tuttidi grande successo.

Per mio cognato Daniel,che non si lamenta mai.

Neanche quando cerco distrappargli

qualche bel pettegolezzo,dannazione.

La sorella della Regina sarà la predilettadell’Astro del Mattino, e conquisterà il Mondo.IL LIBRO DEI MORTI

Fare un inventario morale, profondoe senza paura di noi stessi.PASSO NUMERO QUATTRO DEGLI ALCOLISTI

ANONIMI

Avrai ancora bisogno di me,mi accontenterai ancora,quando avrò sessantaquattro anni?JOHN LENNON E PAUL MCCARTNEY

Tanto tempo fa, il diavolo, che si annoiava, siimpossessò del corpo di una donna incinta non moltograziosa, e continuò a usarlo per circa un anno.

Il diavolo beveva e fumava, ma con moderazione.Pur prendendo le capsule prenatali, si lamentavasempre dell’inevitabile stitichezza, ma alla fine diede allaluce una bambina.

Dopo un mese di pannolini, risvegli notturni, coliche,panni da lavare, latte in polvere (perché odiava allattareal seno), e vomitate, il diavolo decretò: – Adesso basta!– e se ne tornò all’Inferno, infinitamente più piacevoledella convivenza con una neonata.

La figlia del diavolo venne adottata e crebbe allaperiferia di Minneapolis, Minnesota. Si chiamava Laura,le piaceva il gelato alla fragola, e non saltava mai e poimai una messa. Era una ragazza molto carina… ma conun carattere davvero pessimo.

Motel ThunderbirdBloomington, Minnesota8:57, sera

– Okay, ragazzi, iniziamo… Charley, ti va bene qui?Hai luce?

Il cameraman alzò lo sguardo. – Da schifo, sarebbemeglio dentro.

– Spostiamoci, allora… andiamo in sala conferenze.Sicuri che sia una buona idea?

Il rappresentante, liscio e asciutto come un uovo econ un abito che sembrava non avere né fili né cuciture,

giunse le mani e lentamente annuì. – Le persone devonovedere che non si tratta di un gruppo di accanitifumatori sfigati che hanno paura di uscire. Sono dottori,sono avvocati, sono… – La fissò con i suoi occhiazzurro chiaro, occhi scrutatori, e disse: – …conduttrici.

Astuto, cretino. – Sì, sì, e noi trasmetteremo tuttoquesto. – Voltate le spalle al rappresentante degliAlcolisti Anonimi, lei brontolò: – Questi tempi moderni,fottutamente pallosi… ho proprio voglia di unaguerra… okay! Andiamo, Chuckles.

Charley, che sapeva il fatto suo, montò le nuoveattrezzature rapido e silenzioso, come se fosse unabazzecola. La sala conferenze aveva lo stesso odore dicaffè e l’aspetto austero di tante altre, ma la cosainteressante fu che nessuno dei presenti si giròdirettamente verso di loro: bevevano caffè,chiacchieravano a bassa voce, piluccavano il formaggioe i cracker, girando in tondo con delle occhiate ditraverso.

La giornalista pensò fra sé che l’uomo aveva avutoragione, descrivendole come persone rispettabili,tranquille, sobrie; lei si stupiva che avessero accettato di

farsi riprendere: la A non stava forse per Anonimi?– Va bene, gente – disse il rappresentante, in piedi

di fronte alla sala. – Sistemiamoci, così cominciamo.Ricordate che Channel 9 deve filmare… Vedendo chenon siamo tutti dei cattivi con un impermeabile, chiguarda la trasmissione potrebbe venire qui, un giorno.

– Inizio io per primo, poi stasera arriverà unanuova… – Qualcuno, con voce bassa e angosciata,iniziò a protestare; la giornalista non lo vide, ma ilrappresentante la ignorò e disse: – Mi chiamo James enon bevo da sei anni, otto mesi e nove giorni.

L’uomo scese un gradino, poi ci fu un fruscio equalcuno imprecò sottovoce: – Uff! Stupide scale! –Poi una donna, che non aveva ancora trent’anni,comparve dietro il piccolo podio. Dopo aver scrutato lafolla con gli occhi socchiusi, come se le luci fluorescentile facessero male, esordì con voce ipnotica: – Be’, ciaoa tutti! Io sono Betsy, ho bevuto l’ultima volta tre giornie quattro ore fa.

– Riprendila! – sibilò la giornalista.– Fatto – rispose Charley, abbagliato.La donna era alta; la sua testa arrivava quasi al

cartello VIETATO FUMARE ALL’INTERNO DEILOCALI, perciò doveva essere attorno al metro eottanta. Indossava un completo verde muschio, con unadi quelle giacche abbottonate fino al mento che nonnecessitavano della camicetta; quel colore accesosottolineava superbamente il delicato pallore della suapelle, e i suoi occhi verdi che sembravano grandi e scuricome foglie in mezzo a una foresta. I suoi capelli eranodi un biondo dorato, lunghi fino alle spalle e ondulati,con dei riflessi rossi e biondo chiaro, mentre gli zigomierano piatti e accentuati nel suo viso singolare.

I suoi denti bianchissimi risaltavano mentre parlava. –Okay, ehm, come vi ho detto, mi chiamo Betsy e hopensato di venire per… Cioè, su internet ho visto che…Comunque, ho pensato di imparare da voi qualchetrucco per smettere di bere.

Silenzio di tomba. La giornalista notò che il pubblico,come Charley, era ipnotizzato. Che presenza! Chescelta di vestiti! Che… Portava forse delle Bruno Magliai piedi? La giornalista si avvicinò. Sì, era così! Come siguadagnava da vivere? Lei ne aveva un paionell’armadio e le aveva pagate quasi trecento dollari.

– È che… ritorna sempre. Mi sveglio e penso solo abere. Vado a letto, e penso ancora a bere!

Tutti annuirono. Perfino Charley, che fece dondolarela cinepresa.

– È che… prende il sopravvento, invade tutta la tuavita. Ti guardi attorno e pensi solo a procurarti da bere.Per esempio, se faccio colazione qui con la mia amica,penso di essere in un vicolo laggiù mentre lei va neiquartieri alti… oppure, se esco a cena con un altroamico, riprogrammo tutto e penso a una soluzionediversa.

I presenti annuirono con più decisione, alcuni perfinocon le lacrime agli occhi! Charley per fortuna avevasmesso di muovere la testa, ma stava zoomando sulladonna il più possibile.

– Riprendile il vestito – sussurrò la giornalista.– Io non ci sono abituata – proseguì la donna. –

Cioè, sono abituata a volere le cose, ma non così. Ègrave!

Risatine sommesse.– Ho cercato di smettere, ma stavo solo male. Ne

ho parlato con i miei amici, ma loro mi consigliano di

darci dentro. Ha-ha! E i miei nuovi amici non lo vedonoassolutamente come un problema, secondo me mi…come si dice… spronano e basta. – Altre teste cheannuivano. – Perciò, eccomi qui. Ho un problema, egrosso, e… pensavo che parlarvene fosse una buonacosa. Tutto qui. – La donna decise d’interrompere ilsilenzio che calò con qualche altra parola: – È davverotutto qui.

Ci furono degli applausi spontanei e quasi forsennati.La giornalista ordinò a Charley d’inquadrare la reazionedel pubblico: forse il rappresentante non avrebbe volutotutte le loro facce al telegiornale delle dieci, ma leipreferiva riprendere per sicurezza.

E Charley doveva seguire la donna che usciva dallastanza, però quando lo fece se n’era già andata.

La giornalista e il cameraman la cercarono per diversiminuti, invano, e non riuscirono a capire come fossepotuta svanire di colpo da una sala conferenze.

Sparita.Merda!

Sorseggiando il mio tè pekoe all’arancia con seicucchiaini di zucchero, distesi la gamba sinistra: già, leBruno della vecchia stagione erano ancora una favola, elo sarebbero state anche se fossero state di dieci anniprima! La qualità costa… e dura, anche.

Uno dei miei coinquilini, Marc Spangler, si trascinò incucina con uno sbadiglio: ritrassi la gamba prima cheinciampasse, sfondandosi il cranio sul microonde. Dallabrutta cera, s’intuiva che il turno di lavoro al prontosoccorso era appena finito: da quando viveva con me,infatti, avevo scoperto che i medici tornano a casa piùtetri dei netturbini.

Lo salutai calorosamente: – Un altro duro pomeriggioa salvare vite e sedurre il custode?

– Un’altra dura notte a privare qualche poveracciodella sua preziosa linfa vitale?

– Già – rispondemmo all’unisono, poi Marc siriempì un bicchiere di latte e si sedette davanti a me. –Avresti bisogno di un toast – commentai.

– Scordatelo. Non mangio per il tuo piacere. “Ooh,ooh Marc, spalma bene il burro su tuuutta la fetta…Fammi sentire l’odore… Non ci vuoi sopra un po’ diquella marmellata dolce dolce?” Ho messo su tre chilida quando sono qui, maledetta.

– Abbi più rispetto per i morti – replicaisolennemente, poi scoppiammo a ridere.

– Dio, che giornata – mormorò. Dopo la rasaturadell’ultima estate, i capelli gli stavano ricrescendo, eadesso sembrava una spugna ruvida con due amichevoliocchi verdi. Li avrei tanto voluti come i suoi, chiaricome l’acqua di una laguna! Invece i miei erano verdescuro, come la muffa di un frigorifero.

– Morte? Spargimenti di sangue? Scontri fra banderivali? – chiesi. Cose improbabili in Minnesota, ma con

quell’aria distrutta…– No, quella fottuta amministrazione ha cambiato di

nuovo tutte le procedure – rispose, massaggiandosi lafronte. – Ogni volta ci impieghiamo sei mesi per capirechi deve compilare cosa e quando, dopodiché lecambiano ancora. In nome dell’efficienza, sai.

– Che schifo – commentai, solidale.– E tu, che hai fatto? Hai morso qualche possibile

stupratore, o era una di quelle notti in cui nont’importava di mangiare?

– La seconda. Oh, e sono stata a una riunione degliAlcolisti Anonimi.

Marc, che stava per prendersi un rifornimento dilatte, s’impietrì davanti al frigo come se avessi gridato:“Vedo un repubblicano!” – Tu cosa?

– Riunione degli Alcolisti Anonimi. Sapevi cheadesso fanno anche le riprese?

– Fanno cosa?– Ero nervosa, sai… non sapevo se dovevo provare

di essere ubriaca, se mi avrebbero creduto sulla parolao se mi serviva la dichiarazione di un medico o di unbarista. È stato strano, con le luci della telecamera e il

resto…Marc mi guardò in un modo che di solito associavo a

Sinclair. – Non funziona così.– Sì, lo so, l’ho scoperto. Sono delle persone

carine, un po’ agitate forse, ma molto socievoli. Però hodovuto fregare la giornalista.

– Giornalista… – ripeté lui, scuotendo la testa. – MaBetsy… perché ci sei andata?

– Non è ovvio? – chiesi con irritazione. Marc disolito era molto più sveglio. – Io bevo il sangue.

– E ci hai cavato qualcosa? – domandò con un’ansiaesagerata.

– No, accidenti, no. Sono andata via prima, perchéla giornalista e le luci mi spaventavano, ma forse miripresenterò. – Sorseggiai di nuovo il tè, poi ci misi altrozucchero e aggiunsi: – Sì, posso farlo. Forset’insegnano il trucco dopo qualche volta.

– Non è una società segreta, tesoro! – spiegò Marc,scoppiando a ridere, ma non perché avevo dettoqualcosa di divertente. – Puoi comunque tentare, pervedere come funziona.

– Tanto a te cosa cambia? Magari senti il bisogno di

un goccetto – scherzai.– Sono un alcolista in fase di guarigione.– Oh, non è vero.– Betsy, sì.– No-oo!– Sì-ìì.Respinsi il panico crescente: non conoscevo Marc da

tanto tempo, come per esempio Jessica, però… unacosa del genere, avrebbe dovuto dirla prima. Oppure(aah!) l’aveva fatto, e con le mie ossessioni degli ultimisei mesi non…

– Tranquilla – disse, interpretando correttamente lamia espressione terrorizzata. – Non te l’avevo maidetto.

– Be’… avrei dovuto accorgermene.Io facevo fuori una cassa di vino di frutta al mese, a

Jessica piacevano i daiquiri, e Sinclair faceva passare icaffè come se ci fosse pericolo di un embargo dellacrème de menthe da un momento all’altro (per essere ilre dei vampiri muscolosi, beveva come una ragazza),ma non mi ero mai accorta di quanto Marc si attaccasseal latte. O al succo. O all’acqua.

Perché ovviamente avevo altro per la testa, inparticolare negli ultimi tempi… tuttavia mi vergognai.Che razza di amica! Cieca alla dipendenza dall’alcol diqualcuno che abitava sotto il suo stesso tetto. – Dovevoaccorgermene, scusa.

– E io avrei dovuto dirtelo, ma non c’era mai unmomento giusto: prima la storia di Nostro, poi i vampiriassassinati, poi Sinclair in casa…

– Bleah, non parlarmene! Però… sei così giovane:come hai fatto a capire di essere alcolizzato e decideredi dover smettere?

– Non sono giovanissimo, Betsy. Hai appenaquattro anni più di me.

Ignorandolo, dissi, eccitata: – Per questo ti stavi perbuttare dal tetto dell’ospedale, la prima volta che ti hoincontrato? Volevi suicidarti per colpa dell’alcol?

– No, volevo suicidarmi per le scartoffie dell’ufficioe perché non scopavo mai. L’alcol m’intontiva e basta.Anzi, ecco qual era il problema: il sonno.

– Davvero?– Già. Vedi, studiare medicina non è male, non si

tratta di una cosa psicologicamente pesante o altro…

– Disse il genio della matematica.– No, sul serio – insistette lui. – Solo che bisogna

imparare a memoria un sacco di cose. Uno studentenon si ammazza di lavoro in ospedale, ma uno stagista oun medico interno sì, e quando lo sei non dormi maiabbastanza.

Annuii. Avevo guardato fedelmente ogni episodio diER, prima che tagliassero fuori Mark Green e la seriecominciasse a fare pietà.

– A volte si sta anche quaranta o cinquanta oresenza dormire.

– Sì, ma i pazienti non ne risentono in qualchemodo? Intendo, le persone stanche stressano, e questolo sa persino una che non ha studiato a Harvard.

Marc annuì. – Sicuramente. Lo sanno anchel’amministrazione e i capi reparto e le infermiere, ma sesbotta un baby-dottore (così vengono chiamati) lorimproverano, sebbene il motivo sia la mancanza disonno da due notti.

– Che brutto.– Non dirlo a me. In teoria dovrebbero ridurre il

numero di ore di lavoro, ma non essendo un obbligo,

sei costretto ad abituarti. Dopo un po’ non ricordi piùquand’è l’ultima volta che ti sei sentito riposato, fatichi aprendere sonno anche nei giorni liberi e, se pure se tiaddormenti, sai che un’infermiera ti verrà a svegliaredopo cinque minuti per un’emergenza a un paziente.Allora perché sforzarsi di dormire… alla fine staisveglio.

Dopo aver riempito il bicchiere di latte, Marc bevveun sorso e tornò a sedersi.

– Così ho cominciato a farmi qualche Dewar’s perdormire; poi, durante i turni di lavoro, pensavo a quantosarebbe stato fantastico quel goccio di Dewar’s unavolta tornato a casa. Dopo ancora, ho cominciato abere indipendentemente dal sonno, e alla fine miportavo dietro la bottiglia anche in ospedale.

– Bevevi… in ospedale? – E tu bevi sangue,rammentai, non puntare il dito.

– Sì. Eppure ricordo il giorno esatto in cui ho capitodi avere un problema. Non per le bottiglie vuote chebuttavo ogni settimana, non per i sonnellini sul posto dilavoro o per il fatto di presentarmi sbronzo al prontosoccorso tutti i giorni… Mi chiesero di fare un doppio

turno, a Boston, e a quell’ora tutti i bar e i negozi diliquori erano chiusi: a casa mi restava solo una bottigliadi Dewar’s, allora chiesi a degli amici di portarmene unpo’. Tutti si rifiutarono, logicamente: se un amico tichiama nel cuore della notte per un bicchierino, non loaiuti, giusto? Ma la cosa strana fu che, alle undici emezzo, nessuno di loro lo trovò strano. Quindi capii.

– E poi?– Niente di drammatico, non è mai morto nessuno.

Nessuno che non sarebbe morto comunque, insomma,neanche se fossi stato Marcus Welby completamentesobrio. Ho smesso e basta, sono andato a casa…

– A finire la bottiglia.– No, invece. L’ho tenuta come… portafortuna,

credo. Finché era lì, m’illudevo di poter averecomunque una scorta: era il mio trucco. “Oggi non bevoniente, domani invece mi regalerò un bel sorso.” Ilgiorno dopo mi ripetevo la stessa cosa, e il meseprossimo fanno due anni che non bevo più.

– È… – Cosa? Strano? Fico? Affascinante? – Unastoria davvero interessante.

– Sì, ti vedo le lacrime negli occhi. A quale sei

andata?– Eh?– A quale riunione sei andata?– Oh. Ehm… al Thunderbird Motel. Sulla 494.– Dovresti provare quella a Bloomington Libe:

offrono meglio da bere.– Grazie per il consiglio.Finito il latte, Marc mi sorrise con i baffi sporchi di

bianco e si trascinò in camera, mentre io bevevo unatazza di tè dopo l’altra pensando al Dewar’s.

Eric Sinclair, re dei vampiri, con mio dispiacere tornòdall’Europa la notte dopo. Nonostante il suo viaggio (oa causa di esso), erano state sei settimane relativamentetranquille. Non avevo fatto domande, per evitare che luiscambiasse l’interesse nelle sue attività per un interessenella sua persona; secondo me, aveva fatto una visita dicontrollo alle sue innumerevoli proprietà, ma in fondonon volevo saperlo.

– Bentornata – dissi a Tina, sua vecchia amica eaiutante. Molto vecchia… duecento e passa anni. – Tumuori – dissi a Sinclair.

– Già fatto – replicò, allontanando il giornale

ripiegato. – E non intendo ripeterlo neanche per te,cara.

– A dopo, Maestà – mormorò Tina con un inchino,prima di uscire dalla stanza.

– “Ti saluto” – dissi. – Perché non segui il suoesempio?

– Ti sono mancato?– Non particolarmente – risposi in una specie di

bugia: Eric Sinclair, alto più di un metro e ottanta, erauna presenza imponente. Non si trattava solo dellespalle ampie o delle gambe lunghe, o della sua bellezzamozzafiato (occhi neri, capelli marrone scuro, boccasucculenta, grandi mani). Era carismatico… quasi tiipnotizzava, solo a guardarlo ti chiedevi come sarebbestato sentire la sua bocca su di te al buio.

– Vieni a sederti – disse Jessica. – Stiamo cenandotardi, molto tardi.

– Jess – brontolai, sedendomi. – Quante volte devoripeterti che non devi spostare i tuoi pasti solo perchénoi tre dormiamo di giorno?

– Non è un gran problema – affermò, ma era unamenzogna: stava cenando tardi (o anticipando la

colazione) alle tre del mattino.– Dici sempre così. – Usai l’antico servizio da tè che

avevamo trovato in quella casa e che, come qualunquealtro oggetto, risaliva a un milione di anni prima ecostava almeno altrettanto. Mi stavo abituando, ormai,e almeno non mi si fermava il cuore se lasciavo caderequalcosa.

– Mi sei mancata – dichiarò Sinclair, come se stessiparlando con lui. – Anzi, in realtà non vedevo l’ora ditornare al tuo fianco.

– Non cominciare – lo avvertii.– No, comincia pure – s’intromise Jessica, tagliando

una fetta di roast beef. L’odore mi stava facendoimpazzire. Oooh, carne! Quasi non ho fatto in tempo aprovarti! – Qui è tutto così calmo, ultimamente.

– E noi dobbiamo risolvere il nostro attualeproblema.

– Sì?Si riferiva al nostro ruolo di re e regina, tecnicamente

di marito e moglie, anche se negli ultimi sei mesiavevamo fatto sesso solo due volte.

– Non puoi far tornare indietro le lancette, Elizabeth.

Perfino una come te deve seguire la logica.– Non rompere e passami la panna – replicai.– Sto solo sottolineando – insistette, ignorando la

mia richiesta (anzi, entrambe), – che non puoi rimanereincinta, né ridiventare vergine. Noi due ci siamo giàconosciuti intimamente, e siamo sposati secondo lalegge dei vampiri…

– Che sonno.– …quindi dovremmo dormire nella stessa camera e

nello stesso letto.– Scordatelo, amico! – Mi alzai per prendermi da

sola quella panna del cavolo. – Devo ricapitolare, ocosa?

– No – rispose Sinclair.– Ma lo farai – commentò Jessica senza alzare lo

sguardo dai suoi fagiolini verdi col burro.– Sono stata con te una volta, e sono diventata

regina per forza. Sono stata con te la seconda volta, eJessica ti ha chiesto di trasferirti da noi.

– E secondo questa logica, dovrei evitare unrapporto intimo con Jessica, non con te – disse Sinclair.

Jessica fece per ridere. – Ma che logica è? E

comunque puoi sognartelo, uomo bianco.– Zitti e andatevene a morire ammazzati, tutti voi!– Io cosa? – esclamò lei.– Sai perché. – Le lanciai un’occhiata in tralice, ma

conoscendomi bene Jessica non rimase colpita. Decisidi cambiare argomento, prima d’iniziare una litigata: glialtri sapevano come la pensavo, e dovevano essereormai stanchi di sentirmelo blaterare. – Dov’è Tina?

– Da amici.– Per questo siete stati in Europa.– È uno dei motivi – rispose Sinclair, prima di bere il

suo vino. – Marc lavora, presumo...– Presumi correttamente. Per una volta – aggiunsi,

così non si montava quella testa vanitosa.Ma lui m’ignorò, così come ignorava il novanta per

cento di quello che usciva dalla mia bocca. – Ti hoportato una cosa – disse, distraendomiimmediatamente, con mia estrema rabbia ma anchemolta curiosità… Un regalo! Dall’Europa! Gucci?Prada? Fendi?

– Oh, davvero? – chiesi in tono neutrale, ma perpoco non mi versai il tè addosso per il tremore alle

mani. Armani? Versace? – Che mi hai portato, unsapone? – chiesi, cercando di soffocare le mie speranzeincontrollate. – È un sapone, vero?

Sinclair prese dalla tasca una scatolina nera, delledimensioni di una saponetta, e me la passò. Non seppise rimanerci male o esultare di gioia: scatola piccola =niente scarpe. Ma forse era un gioiello, e adoravo igioielli tanto quanto le scarpe.

La aprii… e quasi mi misi a ridere. Una catenellad’argento (no, alt, Sinclair non faceva mai le cose ametà, perciò doveva trattarsi di platino) con unascarpetta di platino, nella quale erano incastonati unosmeraldo, un rubino e uno zaffiro. Era un regalo troppocarino, e probabilmente gli era costato una fortuna.

– Grazie, Sinclair, ma non posso – affermai,richiudendo la confezione. Qualche mese prima avevotracciato una linea di demarcazione, e restare nella miaparte a volte era veramente difficile.

Se gli avessi permesso di farmi dei regali, cosa sisarebbe aspettato dopo? Che dormissimo o regnassimoinsieme? Che gli dessi dei premi per il suo caratterespregevole? Che lasciassi la mia vecchia vita per fare la

regina dei vampiri nei successivi mille anni? Stupido. Eripeto: stupido.

– Tienilo – replicò con gentilezza, ma non era unlampo di delusione quello nei suoi occhi? Oppurel’avevo solo desiderato? Ma cosa c’entrava ladelusione con me? – Magari cambi idea.

– Semmai dovessi tornare in te – mormorò Jessica,guardando i fagioli.

Marc interruppe l’imbarazzante silenzioattraversando il salotto. – Fantastico, sto morendo difame! È rimasto un po’ di roast beef?

– A tonnellate – risposi. – Sei tornato presto.– In ospedale c’era il caos, perciò ho staccato

prima. Comunque hai visite.– Qui, adesso? – Posai la mano sulla confezione

della collanina… poi la ritrassi. Cosa potevo farci, senon avevo tasche? Tenerla in mano? Sinclair non lavoleva indietro. Lasciarla sul tavolo? No, sarebbe statoda stronze, giusto? Merda.

Ma perché me l’aveva comprata? Doveva pursapere che non l’avrei accettata, giusto? Merda. – Nonho sentito il campanello. – Infilarla nella tasca dei

pantaloni e portarla via di nascosto? Nasconderla nelreggiseno?

– Ho incrociato Andrea e Daniel sotto il portico:devono chiederti qualcosa.

Mi alzai, lieta di sfuggire alle Regole Durante UnaCena Imbarazzante. – Bene, vediamo cosa vogliono.

– Non dimenticare la collana – esclamò allegramenteJessica, e per poco non grugnii.

Andrea Mercer e Daniel Harris mi stavanoaspettando in uno dei salottini. Ero felice di vederli, nonsolo per la distrazione ma anche perché mi piacevanocome persone.

Andrea era una vampira giovane come me, uccisa seianni addietro nel suo ventunesimo compleanno, ecominciava a gestire la sete. Daniel era il suo fidanzato,un ragazzo normale ma anche molto farfallone, e conloro mi divertivo un mondo. Non si assomigliavanoaffatto, lei seria e lunatica, lui divertente e irriverente;però si amavano davvero, il che mi sembrava fantastico.

– Maestà – disse Andrea, alzandosi non appena mi

vide. Ma con un cenno della mano le ordinai di sedersi,prima di prendere posto io stessa.

Daniel sbadigliò e si abbandonò sul divano. Era alto,con gli occhi azzurri, i capelli biondi e le spalle di unquarterback… Se ci mettevi un elmo con le corna, eraidentico a un vichingo. Per fortuna non si alzò al miocospetto. – Betsy, tesoro, perché non vi riunite mai aorari decenti?

– Bla, bla, bla – replicai. – Che c’è, ragazzi?– Grazie per averci ricevuti – disse Andrea.– No, grazie a voi. – Altrimenti sarei stata ancora di

là, a sorridere imbarazzata davanti a Sinclair e pensarea dove cacciare la collana.

– Andremo dritti al punto, Maestà. Daniel mi hachiesto di sposarlo.

– Eh? Davvero? Congratulazioni!– Grazie. – Andrea guardò per terra con un sorriso,

poi sollevò la testa e continuò: – Vorremmo che lofacesse lei.

– Che cosa? – Sposarmi? Secondo qualcuno, lo erogià… ma non secondo me.

Fui così felice per Andrea, che all’improvviso divenni

invidiosa, al punto da voler sputare sulle sue scarpe abuon mercato. Perché, perché, perché Sinclair non miaveva chiesto di sposarlo? Perché mi aveva ingannato?Perché mi portava regali, invece di scusarsi e di fare lecose nel modo giusto? Se mi amava, allora lodimostrava veramente con i piedi; se non mi amava,perché incastrarmi per sempre per i successivi milleanni?

– Sposarci – stava dicendo Andrea. Oops, meglioprestarle attenzione. – Svolgere la cerimonia.

– Oh. – Non mi era ancora successo. Da regina deivampiri, potevo fare cose impossibili per gli altrivampiri, come tenere in mano le croci, bere l’acquasanta, usare certi accessori. Ma sposare dei vampiri? –Ehm… mi lusinghi, ma… posso farlo?

– Sì – rispose Sinclair, due passi dietro di me, equasi caddi dal divano. Quell’uomo non si sentiva maiquando si spostava, oh no! Un metro e ottantarumoroso come un batuffolo di cotone. – Sei lasovrana, puoi celebrare qualunque rito, compresi imatrimoni.

– Oh. Accidenti, ragazzi, non so che dire…

– Di sì – suggerì Daniel. – Non possiamo chiamareun prete, e poi Andy si è fissata con te, non chiedermiper quale motivo.

Andy annuì (nessuno di noi riusciva a chiamarla così).– È vero.

– Quale parte? – la stuzzicai.– Tutto. Ci vuole aiutare?– Ma… – Ma non sapevo come farlo, né che cosa

dire alla cerimonia, e sposare un’altra coppia miavrebbe reso triste, sapendo che io non potevosposarmi decentemente. Però sarebbe stato ridicolodare il compito a una segretaria, perciò mi rassegnai. –Quand’è il grande giorno?

Loro due si guardarono, poi Daniel rispose: –Pensavamo che l’avresti deciso tu. Sai, la regina hasempre l’agenda piena.

Tipico degli uomini.– Quando vorreste sposarvi? – domandai.Sicuramente, lei aveva pensato a una data non

appena le aveva fatto la proposta.Dopo una breve esitazione, Andrea guardò Daniel e

rispose: – Halloween.

– Oh, fico! – Sì, sarebbe stato fichissimo: unmatrimonio di Halloween… con i vampiri! E avevodavanti più di due settimane per capire esattamentecosa fare.

Daniel sembrò vagamente allarmato, anche questo:tipico degli uomini. – Ma non è troppo presto?

– No, va bene – dichiarai, cercando d’intercettarel’occhiata che Andrea stava lanciando al suo amato. –Sì, va bene, può funzionare. Volete sposarvi qui?

Di nuovo esitò, e di nuovo si voltò verso Daniel, ilquale alzò le spalle e si rilassò sul divano. – Se non ladisturba troppo, Sua Maestà.

– Nessun problema, di spazio ce n’è. E poi nonabbiamo ancora fatto una festa. – Cominciai a tirarmi sudi morale, immaginandomi con un serio abito nero e ledécolleté, magari viola scuro. O arancio scuro, per lafestività? No, viola.

– Grazie infinite – disse Andrea. Oops, stavano peruscire! Ecco, Andrea era efficiente, mentre Danielancora sbadigliava: non era semplice abituarsi agli oraridei non-morti. Una volta (anni prima di sapere cosafosse davvero il turno di notte) avevo fatto la cameriera

di notte in un punto di ristoro, e per quanto dormissidurante il giorno, alle quattro del mattino avevo sempreun colpo di sonno. – Ci sentiamo.

– Nessun problema – risposi, accompagnandoliverso una delle sei porte della casa. – A presto, e dinuovo congratulazioni.

Dopo i saluti, la porta si chiuse, e mi accorsi cheSinclair mi aveva seguito. – Le ha chiesto di sposarlo? –domandò, fissandoli con aria pensierosa.

– Già. Un giorno dovresti provarci anche tu –ribattei, quindi mi avviai impettita verso le scale, direttain camera mia.

Una decisione stupida, perché quella notte avevo dellavoro da fare: passare allo Scratch e controllare iMostri. Sollevata la finestra della camera, aprii lazanzariera, cacciai fuori una gamba sul davanzale esaltai.

Essere morta aveva diversi lati positivi, tra i qualil’impossibilità (più o meno) di morire un’altra volta;perciò, una caduta di tre piani non rappresentò unproblema, non mi fece male, non mi mozzò il respiro(quale respiro, poi?). Fu come scendere dal letto.

Rotolai sull’erba, mi alzai e, scrollandomi via le fogliemorte dai capelli, esaminai il mio ginocchio sinistro,

sporco di verde… A quel punto, mi resi conto di averdimenticato le chiavi e la borsa, e dovetti suonare ilcampanello.

Alla fine, salii in macchina e mi diressi verso il miolocale notturno, lo Scratch.

Non era proprio mio… D’accordo, lo era per lalegge dei vampiri, il cui funzionamento mi disorientava:se uccidi un vampiro, tutte le sue proprietà passanoautomaticamente in tuo possesso. I vampiri, di solito,non hanno figli o parenti a cui lasciarle, e in ogni caso lecopie del testamento si ottengono solo di giorno.Avendo ucciso questa schifosa vampira, Monique,avevo quindi ereditato le sue otto attività, delle qualil’unica che m’interessava era lo Scratch. Ilcommercialista di Jessica aveva messo in vendita tutte lealtre: la scuola, il ristorante francese, la SPA svizzera(che dolore abbandonare quest’ultima!). O almeno ciaveva provato: non potevo dimostrare di essernelegalmente la proprietaria e, testona com’ero, rifiutavol’aiuto di Sinclair. Se fossi riuscita a venderle, mi sareipreoccupata dopo dei soldi; nel frattempo dovevogestire lo Scratch, e non era semplice.

La scomparsa (be’… la morte) di Monique mirallegrava, non per l’eredità della sua macchina e delleattività. Non solo per questo. Monique era stata cattiva,perfino per un vampiro, cercando (più volte) diuccidermi; ma cosa ancora peggiore, aveva ammazzatoaltri vampiri per arrivare a me, e mi aveva rovinato lacamicia! Meritava di andarsene.

Prima di morire, avevo fatto la segretaria eamministrato un ufficio per anni, di conseguenza gestireun locale (e le scartoffie) non era un’ardua impresa perme. Probabilmente. Se gli altri vampiri mi avesseroconcesso una possibilità, ma purtroppo non mipotevano soffrire! Forse la lealtà dei dipendenti era unacosa grossa nel mondo dei vampiri. Non gli era andatagiù che avessi eliminato il capo.

Ma nessuno di loro l’aveva mai ammessoapertamente: evitavano di guardarmi e, se noninterpellati, non mi rivolgevano mai la parola. Dare degliordini era facile, però iniziare una conversazione…

Parcheggiata la macchina davanti al locale, un anticoedificio di arenaria con il fattorino che prendeva inconsegna le auto, entrai in quell’ambiente senza vita

(non è una battuta).– Okay, allora… – dissi a uno di loro. Facevo una

faticaccia a ricordare i loro nomi, probabilmente perchénon si presentavano mai, e i vampiri non indossavanoquelle magliette bianche e blu con la scritta CIAO MICHIAMO ---. – Bisogna attirare di nuovo i clienti, inquesto posto!

– Sua Maestà sa come farlo – replicò lui, fissandoun punto dietro di me; avevo sempre paura che unmostro fosse pronto a saltarmi addosso, e forse eravero. Quell’uomo era alto e biondo più o meno comeme, con gli occhi chiari, le dita lunghe e affusolate, e identi un po’ storti (davvero!).

– Non cominciare con queste stronzate – esclamai.– Intendo attirarli senza farne morire un gran numeroogni settimana.

Ai vampiri piaceva gestire le cose in un certo modo,cioè avendo quelli che odiosamente chiamavano“schiavi”: partner umani dai quali bere il sangue in pistada ballo. E se una persona normale li facevainnervosire, addio persona normale. Potevanoscordarselo! Era moralmente ingiusto e avrei avuto

l’ente per l’igiene e la sicurezza del lavoro alle calcagna.– Prima c’era un’altra gestione – gli dissi, – ma

adesso si cambia tutto. Senti, possiamo guadagnare daun locale per vampiri anche senza comportarci male conle persone normali.

– Sì? – chiese lui, guardandosi attorno nel localedeserto.

– Oh, chiudi il becco. Ascolta, attiva il cervello inquella testolina, perché faremo proprio così! Se tu fossiun morto, non vorresti andare in un locale dove nont’importunano?

– Sì, e dove posso bere e divertirmi.– No, . Voglio dire, sì, bere, farti un daiquiri o tre,

sballarti. Non… quello che sai tu – spiegai,tracciandomi una linea sulla gola.

Lui si strinse nelle spalle.– Lo faremo funzionare, Denti Storti – gli ricordai.

Era il mio mantra da tre mesi, ma lui si strinsenuovamente nelle spalle.

– Maestà! – gridò Alice, correndomi incontro per

salutarmi. Qualcuno almeno era felice di vedermi. Be’,no, dovevo riconoscerlo: Andrea e Daniel lo erano statialtrettanto, venendo da me apposta. Per chiedermi unfavore. Comunque era bello avere compagnia. –Benvenuta! Doveva avvisarmi del suo arrivo.

– Come va, Alice? – Ammirai come sempre la suacarnagione color panna: Alice era stata trasformata invampiro dopo la pubertà, ma prima che l’adolescenzamettesse le radici, perciò zero foruncoli. – Come stannoi Mostri?

– Benissimo – rispose con entusiasmo. – Uno èscappato, ma sono riuscita a prenderlo prima checommettesse un omicidio.

Mi vennero i brividi. – Brava. È sempre lo stesso,quello che tenta di scappare? – Sebbene la proprietà diNostro (un altro vampiro che ho ucciso, e non fatesupposizioni perché non sono quel tipo di regina) fossecircondata da un’alta cancellata, i Mostri, vampiri piùanimali che umani ai quali era stato proibito il nutrimento(sotto la precedente amministrazione), erano moltointelligenti.

Non me la sentivo di farli impalettare. La pazzia per

la mancanza di sangue non era colpa loro, in fondo, eresistevo alle insistenti richieste di Tina e Sinclair. Aliceera la loro guardiana: li puliva, dava loro da mangiare, liteneva d’occhio, impediva loro di banchettare con ibambini.

– È George – confermò lei. – Uno spirito libero.E anche un vampiro pazzo che dimenticava sempre

come si camminava dritto, ma non importava. – Haidato loro dei nomi, non posso crederci! Sinclair si èinfuriato quando gliel’hai detto. Me li ripeti?

– Happy, Skippy, Trippy, Sandy, Benny, Clara,Jane, e George.

– Bene, bene, bel lavoro – dissi ridendo, poi cercaidi riprendermi. Poveretti! Non era giusto deriderli. –Quindi hai inseguito George?

– Già, ma stavolta non è stato via molto. Se lo stacercando, Maestà, è proprio dietro di lei.

Mi girai di scatto. Detestavo quel modo dei vampiridi arrivarmi alle spalle di soppiatto, e i Mostri erano…be’, mostruosi. George era tale e quale agli altri, conlunghi capelli scompigliati, lunghi artigli sporchi (Alicefaceva del suo meglio ma, come tutti noi, aveva dei

limiti), trasandato e dall’aria affamata, abiti sudici.Ma grazie a lei non avevano gli occhi spiritati come al

solito; correvano di qua e di là come cani… e anche seAlice insegnava loro a camminare dritti, si ribaltavano dicontinuo prima di fuggire via. George amavavagabondare, mentre gli altri rimanevano lì per il cibo.

George mi si avvicinava lentamente, annusando l’aria,però grazie al cielo i Mostri mi erano assai devoti. Infattiavevano divorato Nostro per me, che cercavo didelegare il più possibile quando potevo.

– Piantala – gli ordinai, pur non sapendo comerivolgermi a loro. Non era giusto trattarli come animali,ma non erano neanche umani. – Smetti di scappare!Devi fare il bravo e ascoltare Alice.

– Non è che parlo letteralmente con loro – spiegòlei, – comunque grazie per il supporto, Maestà.

– Come va con la casa? Tutto a posto? – Mi riferivoall’enorme dimora di Nostro e ai terreni, che avevoereditato (l’ho già detto?) dopo avergli dato quellasanguinosa lezione la primavera precedente; non ci avreiabitato neanche dietro pagamento, per questo Alice sene prendeva cura. Perché lei, a differenza di certi

dipendenti senza nome di un certo locale notturno, miaiutava e mi rispettava. – Se ti dovesse servire unamano, me lo dirai, vero?

– Oh sì, Maestà – mentì. Orgogliosa della fiduciache riponevo in lei e dell’incarico come sorvegliante deiMostri, Alice non avrebbe mai cercato il mio aiuto. Sì,George ogni tanto scappava, ma senza di lei sarebberostati tutti in libertà. Mi dispiaceva per i due che Georgeaveva divorato, tuttavia erano stati scoperti a inseguiredelle donne sole nei vicoli, perciò tanto meglio. – Glielodirei di sicuro, ma adesso va tutto bene – continuò,abbassando lo sguardo su George che, mordicchiandosiil palmo, fissava la luna. – Stiamo bene.

Fissai l’invito alla festa, tutto rosa (ugh!), lucente, altoventi centimetri (dove cavolo aveva trovato delle bustecosì grandi?) e con la forma di una carrozza perbambini.

Festeggiate con noi la nascitadella bambina di Antonia!(Lista regali nei negozi Marshall

Field’s,612-892-3212,sono cortesemente vietati il verde e il

viola)7 ottobre ore 16:00

– Stronza – commentò Jessica, dietro la mia spalla.– Dà la festa di giorno, quando tu non puoi andarci.

– Tanto non l’avrei fatto volentieri – replicai, ma lafutura bambina in questione era la mia sorellastra,poverina.

– Cosa le regali?– Parli di Antonia? Che ne dici di un aneurisma

cerebrale?– Devi prenderle qualcosa – disse Jessica, aprendo

il frigorifero. – Alla bambina, intendo.– Che ne dici di una nuova madre?– L’ha già registrata.– Che mancanza di tatto, sottolinearlo nell’invito, e

con le preferenze di colore!– Sì, sì… Un lettino da campeggio potrebbe

andare?– Un che?– Un lettino pieghevole, da portare in giro.Indicandole di versare un bicchiere di latte anche a

me, chiesi: – Perché dovresti chiedermi di comprare unlettino da campeggio?

– Perché almeno, se viene la bambina, ha un posto

in cui dormire.– Pensi che se ne andrà fuori dalle scatole così

presto? – domandai, prima di rispondermi da sola. –Logico: probabilmente, quella poveraccia scapperà dalreparto maternità dell’ospedale.

– Riesci a parlare seriamente, per piacere?– No. Se ci rifletto davvero, mi esplode il cervello,

perché sta per aggiungersi un’altra cosa negativa nellamia vita: la prova concreta che mio padre fa ancorasesso con Ant.

– Sarà difficile da accettare, dopo il fatto di esseremorta e il resto.

– Non dirlo a me – mormorai, prima di bere unsorso di latte. Essere morta, il ruolo di consorte diSinclair, vivere in un mausoleo grande come un museo,gestire lo Scratch (da cui provenivano le mie unicheentrate), tenere (letteralmente) al guinzaglio i Mostri,comportarmi bene con Papà e Ant, e infine… – Sentiun po’ questa: Andrea e Daniel si sposano.

– E sarai tu a celebrare le nozze.– Chi te l’ha detto?– Sinclair.

– Ti avevo proibito di parlare con quell’uomo!– Ma io sono la proprietaria della casa – mi ricordò.

– Stavamo avendo una conversazione civile mentrecompilava l’assegno per l’affitto.

Storsi il naso: come se avesse bisogno di soldi!Jessica era ricca… non “come lo è qualunque cittadinoamericano in confronto al resto del mondo”: ricca ricca.Abbastanza da ricevere una richiesta di prestito daparte di Bill Gates per il lancio di un prodotto; leil’aveva gentilmente respinta per e-mail, perché cosìcercava di portare un po’ di eguaglianza nell’universo.

– Tutto questo è ridicolo, sai? È ridicolo vivere qui,è ridicolo che lui viva qui. È ridicolo che tu gli facciapagare l’affitto, e che lui lo paghi. Voi due avete tuttol’oro del mondo, ve lo state solo scambiando.

– Come le figurine.– Non è divertente, Jessica.– Un po’ sì, invece. E poi, cosa dovevo fare, scusa?

Nostro gli aveva incendiato la casa, passava i suoigiorni in albergo, e noi avevamo un sacco di spazio.

Non avendo niente da replicare, bevvi il mio latte emi abbandonai su una sedia della cucina. Grande come

quelle industriali, ma metà di essa era occupata da unenorme tavolo con le sedie; ce n’erano delle altre anchea un bancone lungo come un quarto della stanza. Miaggiravo spesso in cucina perché era la zona piùinvitante della casa, non mi sentivo a mio agio neisalottini o in biblioteca.

E poi, come se i Vogue dell’anno prima non fosserogià abbastanza, in biblioteca c’era anche il Libro deiMorti.

– Stanno per suonare alla porta – dissi, pulendomi lafaccia.

– Oh, no invece.– Jessica, ti dico di sì.– Non ci casco! Sai, tu sei come quegli stressanti

cagnolini che abbaiano sempre… Passa una macchinaper strada e ti agiti tutta, convinta che risalgano ilmarciapiede per suonare al…

Din-DONNNNN.– Ti odio – dichiarò, prima di alzarsi.Controllai l’orologio, che segnava quasi le sei del

mattino… Probabilmente non era un vampiro: ai vampirinon piaceva andarsene in giro poco prima dell’alba,

erano più infiammabili della benzina. O si dicevaignifughi? Non ricordavo mai il significato, e la D inchimica non serviva a molto.

Sinclair entrò nella stanza, caricando il suo orologio.– Dovresti metterci una batteria – gli suggerii.– Me l’ha dato mio padre. E a proposito di padri…– Non dirmelo – lo avvertii, coprendomi gli occhi.

Ma avrei dovuto tapparmi le orecchie, piuttosto. – Noncominciare neanche!

– Indovina chi è venuto a trovarci? – esultò Jessica,comparendo all’improvviso. Che velocità, aveva fattouna corsa.

Lasciai cadere le mani in tempo per vedere alle suespalle un uomo alto, di bell’aspetto e più vecchio, cheansava per starle al passo: i suoi capelli scuri avevanodelle vistose striature grigie, e lui indossava dei pantalonida golf stretti sotto la pancia da una cintura dicoccodrillo, rosa come la camicia della Izod.

– Papà – dissi con più entusiasmo possibile, e nonera tantissimo. Il fatto che si fosse fermato perché eradiretto ai campi da golf non mi commosse.

– Betsy, ehm… – Lui salutò Sinclair con un cenno

del capo, poi il suo sguardo schizzò da un’altra parte.Tipica reazione di un uomo che incontrava Sinclair.Anche le donne lo facevano… però poi si giravano dinuovo verso di lui, sempre.

– Stai bene – mormorai, indicandomi ai lati degliocchi con le dita. – Hai fatto qualcosa?

Le sue zampe di gallina erano radicalmentescomparse, e lui annuì; non lo vedevo così in forma daanni, ed ero felice che la mia morte non l’avessepesantemente abbattuto o cose del genere. – Sì, la tuamatrigna mi ha consigliato il dottor Ferrin. Ci è andatoanche il sindaco – aggiunse, incapace di trattenersi.

Come se a Sinclair o a Jessica importasse… o neavessero bisogno. Mi girai, ma come al solito Sinclairnon abboccò all’amo e si stava (oddio!) accomodandoal tavolo.

– Hai ricevuto la notizia – commentò papà,lanciando un’occhiata alla mia posta sparsa sulbancone. Un’altra delle mie supposizioni sbagliate: lamorte non cancellava la posta spazzatura.

– L’invito – intervenne Jessica, sedendosi a suavolta. – L’invito, non la notizia.

– Be’… però non puoi venire… perché è, sai…– Io avrei piacere di venire – affermò Sinclair. –

Anzi, la mia presenza sarebbe doverosa. Eh, sì –continuò sogghignando, uno spettacolo terribile maanche divertente. – Sono un membro della vostrafamiglia.

Provai pietà per mio padre, e per un istante misembrò sul punto di svenire, di sbattere la testa sulla miaposta. Sinclair, da vampiro antico, poteva andarsene ingiro durante il giorno se stava al coperto; per scenderedal taxi, magari, poteva prendere in prestito unacoperta.

L’immagine del grande e grosso Sinclair con uncompleto elegante, seduto composto su uno dei divaniimbottiti di Ant, con un pacchetto regalo rosa col fioccoin grembo… fu troppo per me! Quell’uomo miscocciava, ma mi piacque il modo in cui si rivolse a miopadre al posto mio. A proposito di un genero partoritodall’inferno.

– Ti senti bene? – chiesi a papà mentre tenevo unsorriso sotto controllo. Jessica, nel frattempo, avevarinunciato alla battaglia.

– Io… io… io…– Potresti mettere il vestito nero di Gucci – disse lei

a Sinclair. – L’ho preso ieri dalla lavanderia, è pronto afare la sua figura.

– Gentile da parte tua, tesoro, ma ti ho detto millevolte che non sei un fattorino ambulante.

– Io… io… io…– Dovevo comunque ritirare le mie cose, nessun

disturbo – replicò Jessica con un’alzata di spalle.– Io… io… io…– Sei troppo gentile, Jessica.– Io… io… io…– Va tutto bene, papà – dissi, dandogli un buffetto

forzato sulla spalla. – Se non lo vuoi alla festa, locostringo a non venire.

– Ma io adoro le feste per bambini! – protestòSinclair, che ebbe la faccia tosta di offendersi. – Sonodeliziosi.

– È che… – Mio padre inspirò profondamente,cercando di parlare con voce stabile; ritirai la manodalla sua spalla. – Volevo essere sicuro che tu avessiricevuto… la notizia. Ma volevo anche dirti che… la tua

matrigna è in un periodo delicato… stressata, sai, tra labambina… e la festa di primavera, la organizza lei… eio non penso che… che…

– Stressata – esclamò Jessica. – Sì, ecco ilproblema: cosa dice lo strizzacervelli?

– Il dottor Brennan è in gamba – affermò mio padree, senza potersi trattenere, aggiunse: – È qualificato eanche caro, ma ha trovato il posto in agenda perAntonia. Dice che deve evitare lo stress e… le cosespiacevoli.

– Allora forse dovrebbe smettere di guardarsi allospecchio – consigliò Jessica, e dovetti mordermi forteun labbro per non ridere. Mi stavo divertendo di più inquella riunione mattutina, che in tutto il resto del mese!Forse l’arrivo di Sinclair non era una cosa negativa.

Che diavolo pensavo?Mio padre voltò le spalle a Jess, ma senza una

parola: essendo una donna di colore, faceva fatica aprendere sul serio i suoi discorsi, tuttavia essendo anchela donna più ricca dello Stato non poteva arrabbiarsicon lei. Un equilibrio che di solito papà rompevamaldestramente. – Tu mi capisci, vero Betsy? –

implorò.– Certo. Mandaci un regalo, però non venire alla

festa.Papà, che dava le spalle a quella parte della cucina,

non vide Sinclair alzarsi in piedi. Che scarse capacità disopravvivenza (fuori dal consiglio di amministrazione),ma questo era mio padre. Jessica strattonò la giacca diSinclair, ma lui non le diede retta.

– Tutto a posto – dissi, chiedendogli con un cennodi tornare sulla sedia. Ma quel testone non si mosse. –Non avevo comunque intenzione di andare.

Papà si rilassò con un sorriso. – Be’, infatti è quelloche avevo pensato.

– Sicuramente. – Gli risposi con un sorriso gelido,che con mio piacere lo fece indietreggiare di un passo.– Grazie di essere venuto, con tutto l’affetto per Come-si-chiama.

– Betsy, non hai mai capito che Antonia…– L’ho capita benissimo.– No, una come te non potrebbe mai capire…– Signor Taylor! – Quell’urlo fece trasalire noi e

tremolare le stoviglie; mio padre per poco non svenne.

– Le chiedo di ritirare immediatamente quello che haappena detto, o dovrò… Che stai facendo?

Jessica era saltata sulla schiena di Sinclair perinterrompere il suo rimprovero (o per impedirgli dimutilare mio padre), simile a un maggiolino nero,spigoloso.

Sinclair scosse la testa, quasi scrollandosela didosso. – Davvero, Jessica. Puoi scendere, per favore?

– Se prometti di non finire la frase – gli sussurrò leiall’orecchio. – Stammi a sentire. Non porterebbe aniente di buono, ma peggiorerebbe le cose, e puòcavarsela da sola.

Qualunque altra persona avrebbe detto: “Pronto?Sono qui!”, mio padre, capacissimo d’ignorare ciò chegli capitava intorno, non aprì bocca. Si limitò a togliersiun filo dalla manica della camicia, a studiarsi le KennethCole lucidate di recente, mentre la mia migliore amicasaltava addosso al mio consorte come una scimmia conla sindrome premestruale.

– No. Lei è la mia consorte e la mia regina, e lui latratta come…

– Allora – lo interruppe mio padre, cosa che

nessuno osava fare a parte me, – porterò ad Antonia ituoi saluti.

– Perché? – chiesi con sincera curiosità.Dovete capire che papà non è una persona

particolarmente coraggiosa, ma il fatto di trovarsidavanti una miliardaria e il re dei vampiri non lo toccavaneanche un po’, capace com’era di respingerementalmente qualunque cosa spiacevole (ointeressante).

Mi ero abituata a quell’atteggiamento già quandoavevo tredici anni, capendo che aveva buttato via miamadre e che Ant sarebbe diventata la matrigna;accettavo perché di padre ne avevo solo uno, tuttaviaanche lui lasciava passare un sacco di cose.

– Non sarà come l’ultima volta – stava dicendo,quasi allegramente. – L’ultima volta era da sola, mastavolta ci sono io a darle il mio supporto. Vorrei soloche tu capissi cos’ha passato, quanto ha… – Lo fissaimentre la sua voce si perdeva, mentre lui si accorgevadi aver appena combinato un casino.

Quasi senza fiato, chiesi: – Era già rimasta incinta?Jessica boccheggiò sul serio. – Era andata fuori città!

– No… no, voglio dire, io non… lei non era…noi…

– C’è stato un figlio? – chiese Sinclair in tonopacato. Mio padre non poté resistere alla sua bravura elo guardò, girandosi rigido come una marionetta guidatada mani brusche. Probabilmente non era un’idea troppolontana dalla realtà.

– Sì.Sinclair mosse un passo in avanti, con Jessica sempre

sulla schiena che fissava mio padre a bocca aperta. –Ed era lei il padre?

– Sssssì.Sembrava drogato, ma d’altra parte tutti reagivano

così con Sinclair vicino: lui era il migliore, io riuscivo aipnotizzare solo gli uomini.

– Dov’è questo figlio?– Antonia non me l’ha detto… non… non eravamo

insieme e l’ha dato… lei non…– Ti conviene smetterla, o si brucerà il cervello.– Giusto – mormorò Sinclair, – e sarebbe una cosa

davvero tremenda.Dopo avergli lanciato un’occhiataccia, presi mio

padre per le spalle. – Papà! Papà, ascoltami! Seivenuto per vietarmi di venire alla festa.

– Sì, assolutamente: Antonia ha insistito tanto –ammise, rivolgendo subito lo sguardo verso di me.

Digrignai i denti. Che stronza! – Ma visto che avevogià deciso di non venire, è andato tutto bene.

– Sì, hai ragione, si è risolto tutto.– E io avevo un aspetto terribile.– Già, è vero: la morte non ti si addice, per niente,

proprio come aveva detto Antonia.– Adesso va’ a giocare a golf, e – aggiunsi con

malignità, – tirati la mazza sui piedi.– Ahia! – esclamò Jessica mentre mio padre se ne

andava.Cominciai a massaggiarmi le tempie. – Non posso

crederci, come se non avessi già abbastanza per latesta! E si è lasciato sfuggire quella frase.

– Tu susciti questo effetto sugli uomini – mormorògentilmente Sinclair. – Dicono sempre più di quello chevogliono.

Alzai le spalle, tuttavia provai un senso disoddisfazione. – Da quanto tempo si teneva dentro il

segreto? Perché se l’è lasciato scappare davanti a me ete? Jessica, vuoi scendere per piacere? Non vedo l’oradi sapere il resto! In questo stesso momento, potreiavere un fratello o una sorella in giro da qualche parte.

– Non farà bene ai tuoi nervi stressati – commentò,mollando la presa sul collo di Sinclair, e cadde con ipiedi a terra.

– Dobbiamo scoprire altro. Tuo padre ne sa solo lametà: bisogna andare direttamente alla fonte.

Io e Jessica pronunciammo il nome all’unisono. –Antonia!

La decappottabile di Sinclair era affollatissima: lui alvolante, io come scorta (finalmente uno sprizzo divivacità nella nostra relazione), e Marc, Jessica e Tinasul sedile posteriore.

Tina si era unita a noi perché… be’, accompagnavasempre Sinclair nelle faccende da vampiri. Il lororapporto risaliva a molto tempo prima: era stata lei acrearlo, e gli faceva contemporaneamente da miglioreamica/segretaria/sceriffo/confidente. A me andava bene,dato che non avevo la minima intenzione di svolgerequei ruoli.

Avevamo portato anche Marc perché, dovendo

estrapolare ad Ant tutti i dettagli macabri, un medicopoteva sempre tornarci utile.

Jessica, in ogni caso, aveva ricattato Sinclair per tuttoil tempo. Lui avrà anche avuto un carattere odioso (enon mi sarei mai stancata di ripeterlo), ma preferivatenere i miei amici fuori dalle questioni coi vampiri, enon lo biasimavo: in qualunque momento poteva esserciun bagno di sangue con qualche arto spezzato comesapone. Jessica, che non accettava queste scuse, avevapuntato i suoi piedi numero quarantatré, portando comeargomento decisivo gli abiti europei di Sinclair: sarebbestato un peccato se il lavaggio a secco li avesse sciupati.

Lui aveva commentato: – Ai vecchi tempi, gli aiutantidavano una mano – ma senza altre proteste. Sinclair erasempre vestito a puntino con abiti su misura, non soloperché era ricco e voleva sempre il meglio, ma perchécon quelle spalle larghe e i fianchi stretti non riusciva atrovarli normalmente nei negozi. Chissà quantocostavano. Se Jess avesse minacciato il suo piùbell’abito di Gucci, penso che le avrebbe permesso distare sul sedile passeggeri.

La sua auto era perciò affollata, ma mi piaceva. Non

fosse stato per la destinazione.– È una semplice parola – insisteva Marc. Oh, no,

ancora! Jessica detestava il termine “afro-americano”, eodiava altrettanto quello che iniziava per “N”. –Oggigiorno non ha più il significato del diciannovesimosecolo, o del ventesimo.

– Non dovremmo parlare di queste cose – disseTina, spostandosi per impedire al gomito di Marc difinirle in fronte. Era piccola, ma lì dietro stavano stretti.

Jessica replicò: – Non ho problemi.– Ovviamente, siamo gente civilizzata e… be’,

adulti! Tina, te lo giuro, sei la persona morta piùpoliticamente corretta che abbia mai conosciuto.

– Dico solo che non è un argomento adatto a… noi.– Essendo nata quando Lincoln liberò gli schiavi, Tinavedeva le cose da una prospettiva completamentediversa e non faceva quasi mai commenti personali.

– No, no – protestò Jessica. Conoscendo quel tonodi voce, mi aggrappai alla portiera per sicurezza. – Aigiorni nostri, ci sono diverse altre cose da considerare:è solo una parola, infatti, e ha perso completamente ilsuo significato. – Sinclair la stava guardando nello

specchietto retrovisore, mentre Tina si spostava di lato;solo Marc, che non captava le emozioni nell’aria,rimase dov’era. Con calma, Jessica disse: – Va’ pureavanti, tanto mi hai già chiamata così una volta.

Silenzio.Poi Marc mormorò: – Non intendevo dire che

dovremmo chiamare tutti con quella parola. Penso soloche… cioè, non penso che… Non tutti dovrebberochiamare te o chiunque altro…

– Vuoi chiudere la bocca, prima che ti diamo unpugno in testa? – gli intimai.

La risatina di Jessica pose fine alla discussione per lasettimana a venire.

Smontammo dalla macchina davanti alla casa di miopadre, più di mille metri quadrati per due persone. Ilbuio era ormai calato alle nove di sera; Ant era da sola,poiché mio padre era partito quel pomeriggio per unviaggio di lavoro. Un’informazione fornitami da miamadre, che appoggiava i miei scopi di vampira e miaiutava il più possibile.

A volte succede così: un genitore è anche troppomeraviglioso, l’altro una cacca. Infatti mettevo miamadre così tanto su un piedistallo, che probabilmente lemancava l’ossigeno lassù, poveretta.

Dopo aver bussato due volte, aprii la porta d’entrata,che naturalmente non era chiusa a chiave… Quello eraun bel quartiere, con un basso tasso di criminalità; miopadre non si preoccupava neanche di attivare l’antifurtodella BMW in cortile, e per quanto ne sapevo io nonavevano mai subito una rapina (ma poteva sempresuccedere, se prima o poi avessi finito i soldi).

– Prontoooo? – chiamai. – Antonia? Sono io, la tuafigliastra preferita.

– E “preferita” vuol dire che ti sta sulle scatole –aggiunse Marc, dietro di me nell’ingresso. Sembravareagire bene dopo l’umiliazione subita in macchina, mad’altra parte era un tipo esuberante. Bisognava solotralasciare il suo tentato suicidio (che però, a pensarcibene, era “tentato”…).

– Ma se non l’hai mai vista – replicò Jessica.– No, ma ne ho sentito parlare, e francamente sono

scettico: sarà all’altezza delle aspettative?

– Anch’io sono molto curiosa – confessò Tina.– Sa che sei un vampiro, ma la porta era aperta –

mormorò Sinclair, annusando l’aria. – O èincredibilmente arrogante, o incredibilmente stupida.

– Non puoi essere qui! – esclamò la mia matrignaper salutarmi, scendendo le scale come RossellaO’Hara con la parrucca bionda e le rughe in fronte. –Non ti ho invitata a entrare!

– Funziona solo con le persone di colore – disseJessica.

Tina sgranò gli occhi come sempre quando sisforzava di non ridere. – Temo che sia solo unasuperstizione, signora.

– Che piacere, Antonia, come sempre – affermaiironicamente. – Wow, ma quanti chili hai messo su!

Mi rivolse un’occhiata tagliente, con quei capelli dellostesso colore (e consistenza, sperai, ma non li avrei maitoccati) della polpa di un ananas. Si era messa piùombretto azzurro di una regina della disco degli anniSettanta, e un rossetto leggermente più acceso dellamatita per le labbra.

Nove di sera, sola in casa, il marito via per lavoro, e

lei era truccatissima, con una minigonna nera e unacamicetta bianca di seta senza reggiseno. Incredibile.

– Esci subito di qui e portati dietro i tuoi amici! –ordinò. Nata e cresciuta a Bemidji, Antonia si mangiavale consonanti come se avesse passato troppi anni in unascuola privata femminile della East Coast. – Come hodetto a tuo padre, non so proprio perché non se ne lavale mani di te. E un’altra cosa: non ti voglio vicino a miafiglia, non m’interessa se sei sua sorella maggiore;dovevi avere la decenza di rimanere morta comequalunque persona normale!

– Vivere da morta le riesce benissimo – esclamòMarc, guardandola con occhi spalancati.

Commentai: – Sono d’accordissimo con te. Tipresento Marc, è gay e abita con me. – Tra le altrecose affascinanti, Ant era pure omofoba. – Loro sonoSinclair e Tina. – Non dovevo spiegare la loro natura. –Dobbiamo farti qualche domanda.

– Be’, non ho nessuna intenzione di rispondere. Nonposso crederci, hai avuto la faccia tosta di venire quicome una persona normale, quando sei… sei…

– Una repubblicana? – chiesi, divertita.

– Si tratta di un paio di domande, poi ce neandremo fuori dalle scatole – la informò Jessica, chemoriva dalla voglia di aggiungere: – Domande sul figlioche avevi già avuto.

Ant, purtroppo, non fu colta minimamente allasprovvista, quindi mio padre l’aveva avvertita di essersilasciato sfuggire qualcosa. Che seccatura! E che strano:Ant lo comandava a bacchetta, e papà viveva colterrore di vedere stringersi le sue labbra gonfiate da unchirurgo estetico.

Con un sospiro, si accigliò, ma era difficile a dirsi contutto il Botox che le riempiva la faccia. – Tu fatti gliaffari tuoi e vattene. Non hai niente di cui preoccuparti,se sei venuta fin qui apposta solo per farmi questadomanda! È una vecchia storia.

– Fin qui? – chiese Marc. – Siamo a Edina, nonnell’Africa nera!

– E dobbiamo stare sulla porta tutta la notte? – silagnò Jessica.

– Mi stupisce che siamo arrivati a questo punto –commentai.

– No, non starete qui tutta la notte, dovete sloggiare

subito – replicò Ant, che tirò fuori dalla tasca una crocefabbricata con i bastoncini dei ghiaccioli. – Che il poteredi Cristo vi scacci! Che il potere di Cristo vi scacci!

Mentre Tina e Sinclair indietreggiavano di un buonpasso, distogliendo lo sguardo, io scoppiai a ridere.

– Te l’avevo detto – ripeté Jessica, – funziona solocon le persone di colore.

– Come ti saltano in mente queste battute? –protestò Marc, e pazientemente lei rispose: – Pensacisu un momento.

– Fuori da casa mia, morti schifosi!– Ha fatto così anche quando i Boy Scout volevano

venderci delle ghirlande natalizie – spiegai agli altri,prima di avvicinarmi ad Antonia e strapparle la croce dimano. – Dove te la sei inventata, è un lavoretto che haifatto a scuola? Troppo disturbo andare a comprarneuna in gioielleria? Strano, non hai scroccato a papà unassegno da quattro cifre per una croce di diamanti.

– Uscite da casa mia – insistette. – Non avrestedovuto neanche riuscire a entrare!

– Senti chi parla. Ti faremo delle domande sull’altrofiglio di mio papà, e non ce ne andremo finché non

avremo le risposte.– Non dirò proprio niente a dei morti schifosi! Fuori,

voglio andare a dormire.Sinclair si avvicinò solo quando nascosi la croce di

bastoncini nella borsa. – Oh, tra poco il sonno saràl’ultimo dei suoi pensieri, signora Taylor.

Dopo cinque, salutari minuti passati a gettare iprofumi di Ant nell’asciugatrice, schiacciai “Centrifuga”e tornai in salotto, dove lei sedeva in un angolo deldivano, piegata in avanti con gli occhi ipnotizzati daquelli di Sinclair. Con le mani in grembo e il palmorivolto verso il basso, si grattava ossessivamente lagonna, ma senza smettere di fissarlo.

Provai una sensazione strana. Perché facevamo tuttoquesto, esattamente? Non sapevo nemmeno cosapensare, eppure stavamo già frugando nel cervellosottosviluppato di Ant. E perché Sinclair sembrava cosìinteressato? Non aveva delle faccende da re a cui

pensare, la prova di un vestito da qualche parte, uncorso per stronzi da frequentare o in cui insegnare? No,invece era seduto sul poggiapiedi in denim, perestrapolare le informazioni da Ant mentre le teneva lemani. Dalla prima all’ultima.

– …poi ho cercato di farmi sposare, ma lui nonvoleva, aveva paura che Betsy si arrabbiasse se si fosseseparato dalla madre, allora ci siamo lasciati.

– Sì, ma il figlio? – domandò Sinclair.– Il figlio… il figlio…– È spaventatissima – mi sussurrò Marc, – guardala.La guardai. Scrrr, scrrr, facevano le sue unghie sulla

minigonna di pelle, mentre un angolo della bocca erapiegato all’ingiù come se le fosse venuto un colpo.Sentii l’odore della sua angoscia, come colla chebruciava.

– Non mi ricordo…– Antonia, sì che lo ricorda – le garantì Sinclair. –

Solo che non ci ha pensato per anni, apposta. Il figlio èsopravvissuto?

La bocca spalancata, lei mosse le labbra come perrispondergli, ma nessun suono uscì. Poi brancolò in

avanti e, quando trovò le mani di Sinclair, tutta lasporca verità… si riversò dalla sua gola, come vomito.

– Non ero io, non ero io! Farmi mettere incinta nonha funzionato, e poi di colpo la bambina era lì, ma nonero io! – Sbraitava letteralmente, con tutto il fiato cheaveva, affondando le unghie nelle mani di Sinclair comeper aggrapparsi alla vita. – Doveva funzionare, e inveceno, e non so cosa sia successo… perciò l’hoabbandonata… l’ho lasciata all’entrata dell’ospedale…non c’era nessuno, ma sapevo che l’avrebbero trovata,allora l’ho lasciata lì e non ho più… non…

– Gesù – esclamai, sbigottita.Jessica mi sussurrò: – L’ultima volta che l’ho vista

così sconvolta, eri tornata un giorno prima dal campoestivo.

– Va tutto bene, Antonia – la rassicurò Sinclair. –Ovvio che non era lei. Ma chi era?

– Non lo so, non lo so. – Ant chinò la testa e lesfuggì un singhiozzo. – Di colpo non ero più incinta, e labambina… la bambina…

– Antonia, quando aveva scoperto di essere incinta?– Ad Halloween, millenovecentottantacinque.

– E quando è tornata in sé, che data era? Labambina era già nata?

– Sei agosto millenovecentottantasei. Non… nonera una neonata, di sicuro, ma non so quanti mesiavesse – affermò Ant, e calò un silenzio di tomba. Marcsi avvicinò frettolosamente a Sinclair e gli chiesequalcosa all’orecchio.

– Antonia, abbiamo quasi finito…– Bene – replicò, gli occhi fissi per terra. – Non vi

dirò nient’altro.– Sì, d’accordo Antonia. Mi guardi… ecco, così.

Antonia, qualcuno nella sua famiglia ha mai sofferto dimalattie mentali?

– Noi non parliamo di queste cose.– Certo che no, solo le persone cattive lo fanno.Ant annuì così forte, da agitare i capelli. – Sì, giusto,

è proprio vero: solo le persone cattive… i frignoni e…e…

– Ma chi era malato nella sua famiglia?– Mia nonna. Ed entrambe le mie zie. Ma mia madre

no, la mia no.– No, ovviamente. E lei è diversa da loro.

– È solo colpa del mio carattere. Sono moltosuscettibile, e lei non capisce.

– Già, non è una donna molto comprensiva, vero?– Ehi – protestai.Ant proseguì con risentimento: – Chiunque altro

sarebbe rimasto morto. Lei non ha neanche avuto lostile di farlo! Doveva essere diversa dagli altri perforza… diversa… risvegliarsi come vampiro. Unvampiro! Ha spezzato il cuore di suo padre.

– Stile? – gridai. – Oh, la non-morte è mancanza distile, adesso? E poi non l’ho certo scelto io,decerebrata, idiota, superficiale, rifatta, codarda,smidollata…

– Convive con quella ricca negra – confidò Ant, – enon sono sposate: capisci cosa intendo?

Mi picchiai una mano in fronte. Negra! Chi usava piùuna parola del genere?

– Non sapevo di essere gay – commentò Jessica.Oh Signore, ti prego, fammi morire un’altra

volta.– Antonia, dove ha lasciato la bambina?– Non c’era nessuna bambina.

– No, infatti, non era più un suo problema. Ma dovel’ha lasciata?

– Non piangeva neanche – raccontò lei in tonofermo. – Era calda, avevo… una miriade di salviette,potevo usarne alcune. Ma prima le ho messenell’asciugatrice.

– Certo, non è mica un mostro.– È lei il mostro.– Sì, è una persona orribile. Dov’è la bambina?– Al Children’s.– Saint Paul – sussurrò Marc.– D’accordo, Antonia, ci è stata di grande aiuto.– Be’, quando vado al cinema cerco di donare

qualcosa al Jimmy Fund.– Oh, fantastico. Non ricorderà niente di questa

conversazione.– No di certo.– Adesso vada di sopra e si metta a letto. Dormirà

come una bambina.– Sì, come una bambina.– Come la bambina che ha abbandonato grazie alla

sua sensibilità – concluse lui, e improvvisamente lasciò

andare le sue mani.

– Che tristezza, quella donna – commentò Sinclairquando uscimmo di casa.

– Davvero – mormorò Tina, guardandomi in modoinquietante con la coda dell’occhio. – Non è unasituazione semplice.

– Io ho accesso al Children’s – disse Marc, che miaveva già irritato entrando in modalità Sherlock Holmesjunior. – Secondo me, riusciamo a rintracciare labambina. Probabilmente posso anche spiare tra i dati diAnt, o almeno ci proverò.

– Perché lo vorresti fare? – chiesi, mentregironzolavamo nel prato davanti alla casa.

– Perché nessuno sparisce per dieci mesi, a menoche qualcosa non stia andando storto. L’hai sentita:prima era incinta, dopo si è trovata con una bambina inlacrime. Allora… cos’è successo in quei dieci mesi?

– Io lo so – affermò Tina.– Tina – la riprese Sinclair.– Eric. – Lei non usava quasi mai il suo nome di

battesimo.Mi meravigliai. – Tina? – Non l’avevo vista così

nervosa, da quando Nostro ci aveva buttate nella fossacon i Mostri, ma allora era più giovane… per così dire.– Ehi, tutto bene? Hai dimenticato lo snack?

Con le dita intrecciate contro la bocca, disserapidamente senza neanche una pausa: – Mia Regina,lei mi è sempre piaciuta come persona, ma adesso laammiro davvero perché non è diventata una psicopaticacon quella donna in casa come matrigna.

– Oooh! – Mi sfuggì quasi un sogghigno. – Perquesto sono arrivata dove sono, Tina.

– Vero – intervenne Sinclair. – È un miracolo che tunon sia più vanitosa, superficiale e ignorante di così.

– Grazie. – Dopo qualche secondo, esclamai: –Cosa?

– Wow! – commentò Jessica, scuotendo la testa. –Non riesco ancora a crederci, anche se l’ho sentito conle mie orecchie. È un gesto meschino perfino per lei.

– E sgradevole – aggiunse Sinclair.– Be’… – esitò Marc, inzuppando un biscotto nel tè

finché la metà inferiore non cadde nella tazza con unplack. Bleah, non avevo mai capito perché preferissebere i biscotti, invece di mangiarli normalmente. – Nonsono un fan sfegatato del papà e della matrigna diBetsy, ma se Antonia ha avuto dei malati mentali infamiglia… chissà come si sarà sentita. Vedersi incinta eriaprire gli occhi dopo un anno intero. – Scuotendo la

testa, terminò: – Sarà stata molto spaventata.– Come chiunque al suo posto – mormorai, – ma lei

in particolare, vista la sua famiglia. – Tutti mi fissarono.– Che c’è? So mettermi nei suoi panni… nei suoivolgari e succinti panni! Non mi è mai piaciuta, e nondoveva abbandonare mia sorella in ospedale, ma mi fatristezza.

– Mpf. – Jessica se ne stava seduta al nostro tavolo,con le braccia incrociate, senza mangiare né bere nulla.– Senti, Tina, prima dicevi di sapere perché Ant è stataincapace d’intendere e di volere per tanto tempo?

Il silenzio che si protrasse divenne imbarazzante.– Ehm, Tina? Pronto?Sinclair sospirò, mentre Marc mormorava “oh-oh”

con gli occhi sul tè, poi disse: – Elizabeth, devo dirti unacosa.

Posai con cautela la tazza sul tavolo. Quella frase nonportava mai, mai a niente di buono, né a qualcosacome “Ti ho comprato sei dozzine di fiori, scusa se nonte l’ho detto”; di solito si trattava di “Comunque, seidiventata la regina dei vampiri”, oppure “Ehi, sai che mitrasferisco da te?”

– Spara. – Avrei fatto un bel respiro per prepararmi,ma mi sarebbero solo venute le vertigini.

– È… una cosa personale.– Bene – dichiarò Marc, alzandosi e trascinando

Jessica con sé. – Noi usciamo.Lei lo seguì subito. – Giusto. Saremo, ehm, di là, a

spolverare qualcosa. In qualche stanza. – Una voltafuori dalla cucina, la sentii sussurrare: – Tanto poi ce lodice!

– Meglio di no – commentò Tina.– Sono venuto a casa della tua matrigna anche per

un altro motivo – iniziò Sinclair.– Davvero? Davvero? Un altro motivo? Tu?

Com’è possibile?– Nel Libro dei Morti c’è un riferimento a tua

sorella.– E come lo sai? Pensavo che l’avessi letto così

tanto tempo fa, da dimenticarti tutto.– L’ho letto pezzo per pezzo negli ultimi decenni.Ci pensai su. – Oooookay. Perciò, il Libro sapeva

già di mia sorella sperduta da qualche parte nel mondo.– Se lo dicevo ad alta voce, era meno doloroso? – Tu

sapevi che avevo una sorella.– Sì. Ma pensavo che il Libro parlasse del figlio che

la tua matrigna sta aspettando adesso – spiegò, prima diaggiungere con calma: – Stavo pensando a comedirtelo.

– Eric! Non dire queste cose! – gridò Jessica dalcorridoio, poi si precipitò in cucina con Marc allecalcagna. – Ma cosa ti è preso? Faccio in modo che tuti trasferisca da noi, e tu ti lasci scappare queste frasiche la fanno arrabbiare, imbestialire!

– Infatti vi avviso, comincio già a sentirmi un po’imbestialita – dissi, le labbra intorpidite.

Tina s’intromise dicendo, per difendere Sinclair comeal solito: – È solo che aveva così tante cose per la testa.Governare, risolvere il problema degli omicidi l’estatescorsa, e… la casa, gli altri vampiri che non rispettano ilsuo rango. Per questo siamo andati in Eur… Nonimporta, lui ha… noi abbiamo pensato che dovesse giàpreoccuparsi di altre cose, senza sapere che sua sorellaè la figlia del diavolo e che deve conquistare il mondo.

La tazza, che tenevo con entrambe le mani, fuimprovvisamente schiacciata come un insetto. Jessica

storse la bocca, mentre Marc ci fissava. – Cosa?Tina si morse un labbro. – Oh cielo.– Grazie per l’aiuto – brontolò Sinclair.Dopo aver rovesciato i biscotti e i cracker sul

vassoio d’argento, Jessica gli si avvicinò e lo colpì intesta: un forte bonnnng!, e sul vassoio comparveun’ammaccatura. Sinclair rimase fermo, gli occhi scurifissi su di me.

– Più giù – suggerii.– Ti sei appena beccato lo sfratto – lo avvertì.

Dato che presto sarebbe sorto il sole, pensai dimettermi dei pantaloncini e una T-shirt. Non vedevol’ora di parlare con Jessica dell’accaduto, ma dopoaver aggredito Sinclair era sparita. C’era tempo perrintracciarla…

Optai per un paio di mocassini bianchi e neri cheavevo pagato 180 dollari con lo sconto, così sarei statala morta con l’outfit più bello di tutta la casa e prontaper l’azione al risveglio, la notte dopo. Di quale tipo diazione, mi sarei preoccupata in seguito. Infilai quindi deicalzini corti e neri, una gonna bianca e nera, la fintadolcevita di cashmere (regalo di Jessica… praticamente

indistruttibile con un adeguato lavaggio a secco), e ilmio blazer nero di lana. Guardandomi allo specchio,pensai: incantevole! Mi sentii subito meglio.

Forse peccavo di vanità, ma è più difficile sentirsidepressi quando ci si agghinda nel miglior modopossibile; per dirla in altri termini: anche se la mia vitafaceva schifo, con i capelli in piega, l’ombretto abbinatoai vestiti e i due pezzi dell’intimo dello stesso colore, eropronta ad affrontare qualunque ostacolo del mondo.

Uscita dalla camera, scesi le scale e attraversai circasei corridoi per arrivare alla cucina, dove Marcmangiava i Cheerio’s mentre Jessica frugava dall’altraparte della stanza. – No – sentenziò lui, senza alzare latesta dai cereali.

Mi trascinai di nuovo in camera, ma non così in frettada non sentire la voce di Jessica: – Cosa c’è? Dov’èandata? Volevo parlare con lei!

– È troppo alta per sembrare una scolaretta.– Per me, stava bene.– Sembrava una zebra con la chioma bionda. Senti,

sono suo amico, perciò devo dirle queste cose.– Tu devi pagare l’affitto, è mio compito dirle queste

cose. Sei uno stronzo pignolo – replicò Jessica.– Adesso chi sputa cliché? Mi dai del pignolo

perché sono gay?– No, perché sei gay e pignolo. Ha già avuto una

settimana difficile e siamo solo a martedì!– Esatto, quindi non ha bisogno di un litigio…La voce di Marc si perse (ero troppo lontana) e

chiusi la porta della mia stanza. Al diavolo! Be’, megliomettere i legging e i sandali, tenendo il resto.

Non che dovessi uscire di casa, ma non si era vestitisenza qualcosa ai piedi. Forse i mocassini erano troppoa buon mercato.

Non appena li rimisi nell’armadio, sentii bussare.– Vieni pure, Jess.– Be’, secondo me eri bella – esordì.– No, ha ragione: sono troppo alta. Staresti meglio

tu, se vuoi quei vestiti…– No, grazie. Voglio parlarti di quello che è

successo… – disse, guardando fuori dalla finestra. –Hai abbastanza tempo?

– Sì, almeno mezz’ora. – Il sole non mi causavadanni fisici, ed era uno dei vantaggi riservati alla regina

dei vampiri, tuttavia non lo vedevo mai. – Bah, è statauna cosa orribile.

– Per questo Sinclair si era aggregato – aggiunse,sedendosi sul letto vicino a me. – Ti ha nascosto unacosa importante, senza neppure avvertirti.

– Lo so! Vedi, eh? Vedi? Tutti che mi dicono: “Daia Sinclair una possibilità, non è così male”, quando luiha un lato cattivo, oscuro, disgustoso, poco normale.Sinclair è il sale della mia vita.

– Tesoro, adesso la penso come te. Si è comportatoin modo spregevole, per uno come lui. Stai bene? Deviessere sconvolta, magari gradisci un’altra tazza di tè?

– No. – Avrei voluto non essere morta, ma dato chenon sarebbe successo, era inutile lamentarsi(conoscendomi, ci avrei ripensato lo stesso più tardi). –Sto scoppiando, a forza di bere tè. Grazie per averlocolpito in testa.

– O usavo il vassoio o lo infilzavo con il suo coltelloper il burro.

– Sarebbe stato divertente! Comunque grazie peraverlo sfrattato.

– Non credo che funzionerà. – Jessica si accigliò. –

Non vuole andarsene.– Vampiri e scarafaggi, sempre difficili da levare di

mezzo.– E quindi? Cosa significa?– Non ne ho idea. Cominciavo ad abituarmi all’idea

di Ant incinta.– Bugia.– Va bene, hai ragione, ero ancora spaventata. Ma

adesso mi sto abituando all’idea di avere un’altrasorella, che sia o no la figlia del diavolo. Non di Ant, deldiavolo. Però… e fermami se l’hai già sentita… cosadovrei fare, adesso? – Jessica si strinse nelle spalle. –Dev’esserci dell’altro, sotto. Mi toccherà parlare conSinclair per sapere il resto della storia.

– ’Fanculo!– Amen. – Mi lasciai cadere sul letto e, con la faccia

contro il cuscino, bofonchiai: – Era tutto troppotranquillo, lo sapevo io. Doveva succedere qualcosa!Mi aspettavo di vedere degli zombie uscire dalle pareti.

– Bets, è arrivato il momento.– No.– Sì, invece. Devi farlo e sei pronta.

– È troppo presto.Accarezzandomi la schiena, mormorò: – Ti spaventa,

lo so, ma dopo ti sentirai meglio. Sai che è la cosagiusta da fare.

– Non sono pronta – protestai, terrorizzata.– Sì che lo sei. Avrai me al tuo fianco.Scossi la testa, ma non avrebbe mai cambiato idea.

La sera seguente…– Oh mio Diiiio – esclamò l’estetista. – Cos’hai fatto

ai piedi?– È stata morta per sei mesi – rispose Jessica sulla

sedia di fronte.– Non importa, non ci sono scuse. Diiiio, sembrano

zampe di animale! Devi curarli di più. E la crema alcetriolo che ti ho dato la primavera scorsa? Non simette da sola, sai.

– Ho avuto da fare – mi difesi, – varie cose,insomma. – Scovare assassini… gestire lo Scratch…non saltare addosso a Sinclair. Non che ne sentissiancora il bisogno: avevo letteralmente ridotto al silenzio

il mio desiderio per lui. Non volevo quelle grandi mani oquelle labbra decise su di me, o il suo grosso…

In ogni caso, ridotto al silenzio e con fermezza.– Tutti hanno delle cose da fare, ma tu devi

prenderti cura dei piedi.– Che così si prenderanno cura di te – recitammo

insieme io e Jessica.– Esatto! Vedete, ragazze, se mi ascoltate, lasciate

perdere le altre cose: la cura dei piedi viene prima ditutto.

– Ah-ah. – Magari l’avrei presa più seriamente, sefosse rimasta a scuola per più di venti minuti. – Lo terròpresente.

– Okay, allora.Jessica roteò gli occhi verso di me, e le sorrisi. – Per

essere ricca, hai dei piedi duri.– Non rompere le scatole, biondina: i tuoi non sono

ridotti molto meglio.– Sì, ma…– Non avevamo detto che non c’è niente, proprio

niente, più importante della cura dei piedi?– Lasciami respirare – mormorai.

Dopo aver immerso il mio piede tra i getti d’acqua,l’estetista scosse la boccetta di smalto per le unghie,dicendomi: – Ottima scelta.

– Mi piacciono i classici – spiegai. Il “Cherries inthe Snow” della Revlon, un rosso scuro fantastico. Icolori scuri non mi piacevano sulle unghie delle mani,ma li adoravo su quelle dei piedi.

– Ecco – commentò Jessica mentre la sua estetistastendeva lo smalto, – ne avevi bisogno, te l’avevodetto.

– E chi sta dicendo qualcosa? Per due minuti hodimenticato che mia sorella è la figlia di Satana!

– Come sono i suoi piedi?– Non belli come i tuoi – risposi alla ragazza, e

probabilmente era la verità.

Al risveglio, la sera successiva, mi ritrovai con i piedinudi, senza smalto e ruvidi, come se la pietra pomicenon fosse mai stata passata dall’estetista. Erano identicial giorno della mia morte.

Per cinque minuti piansi, non per quelle stupide

unghie ma per le implicazioni, poi scesi di sotto e mirinchiusi in biblioteca con il Libro dei Morti.

Incastrai sotto il pomello della porta la poltrona chesi trovava vicino al caminetto, con molta delicatezza:quella cosa doveva avere almeno dieci volte i miei anni.In teoria, non avrebbe dovuto cercarmi nessuno: Tina eSinclair mi evitavano, Marc e Jessica probabilmentedormivano, ma non volevo correre rischi. Ne avevopiene le scatole di sentire: “Oh, non ti ho detto cheanche questo stava scritto nel Libro dei Morti?”. Misarei messa lì con quel fottuto, orribile coso e l’avreiletto dall’inizio alla fine. Basta sorprese! Basta scoprireverità grazie a Sinclair!

E non avrei dovuto chiedergli di raccontarmi tutta la

storia.Disgustata in partenza, tolsi il Libro dal suo supporto.

Era rilegato con pelle umana, decisamenteraccapricciante, e al tocco era caldo; probabilmenteperché riposto a pochi passi dal caminetto.

Il Libro. Se la Bibbia era il Libro Buono, quel cosoera il Terribile Libro Cattivo, che riportava ogni generedi notiziola sui vampiri; Sinclair l’aveva salvatodall’incendio della sua villa e portato in casa mia. Noifacevamo finta che non esistesse, o almeno secondome, ma evidentemente Sinclair ne aveva letto dei pezzidi tanto in tanto in biblioteca… tenendo segrete le partiimportanti. Il traditore, la testa di rapa!

Mi sedetti e per un po’ guardai la copertina. TablaMorto. Il Libro Macabro. Era latino? Io nonconoscevo quella lingua. Sbirciai allora sul retro… Sipoteva cercare “sorella di Betsy” nell’indice, evitando dibuttare via un sacco di tempo? No, in fondo c’eranosolo delle fotografie molto inquietanti. Be’, ero lì perevitare delle scocciature, non per risparmiare tempo.

Capitolo uno, pagina uno, eccomi a voi.Un semplice libro non poteva spaventarmi: niente mi

faceva del male, se non si considerava quello stupido diSinclair. No, non era vero: ce l’avevo a morte con i suoisegreti, tutto lì. Il mio re non doveva tenermi nascoste lecose. Anzi, il re non doveva tenere nascosto niente,volevo dire.

Il re. Certo, e che razza di re! Mi dava proprio unamano. D’accordo, c’era stata la lotta per la mia coronae quell’incidente quasi mortale, ma lui voleva il potere,non me; pur sapendo delle cose sul mio conto, non cieravamo mai seduti da qualche parte a parlarne. Midiceva solo: “Non leggere il Libro tutto in una volta, odiventerai pazza”. Se non mi era successo in primasuperiore con biologia, non poteva succedermi adesso.

“E dopo migliaia di anni nel caos,senza leggi né guida, verranno un Re e una Reginaa regnare sui Vampiri che popolano la terra.”

Sì, sì, seguivo la storia. Parlava di Nostro e di tutti glialtri piccoli dittatori che si comportavano malissimo eavevano creato i Mostri.

Prima che arrivassimo io e Sinclair, non esistevanodei capi, e rifletterci era strano: gli umani erano semprestati guidati da qualcuno… re, regine, presidenti,dirigenti di banca… I vampiri invece, per caso ovolontariamente, li avevano sempre evitati.

Di solito un vampiro più minaccioso ne torturavadegli altri fino a prendere il potere, finché non nearrivava un altro più stronzo e ricominciava tutto. Forse,dopotutto, non erano molto diversi dagli umani.

“Nel caos arriverà un Pretendente,e quando egli diventerà polvere si leverà una Regina,più potente di tutti i vampiri, immune alla sete e alla

croce,adulata dalle bestie, che regnerà sul mondo dei morti.Il Pretendente cadrà e la Regina otterrà la vittoria.”

Mmm, che razza di frase: Io trionferòòòò…“E colui che per primo si unirà alla Reginacome un marito si unisce alla propria Sposa diventeràil suo Consorte, e governerà al suo fianco mille anni.

“E la Regina comanderà su tutte le creature morte,ed esse si mostreranno al suo cospettoe non le serberanno alcun segreto.”

Sì, sì, sapevo anche questo, me l’avevano detto Tinae Sinclair quando Nostro aveva mangiato la polvere.Ma avevo scoperto da sola la mia capacità di vedere ifantasmi, i quali, a differenza di quanto dice Haley JoelOsment, sapevano benissimo di essere morti.

In quanto ai segreti, il Libro delle Schifezze sisbagliava, perché i morti me ne avevano nascostieccome.

“La sorella della Regina sarà la predilettadell’Astro del Mattino, e conquisterà il Mondo.”

La prediletta dell’astro del mattino? Si riferiva forseal diavolo? Conquistare il mondo? E come, con unesercito? Ah, allora non avevo solo una sorella segretademoniaca, ma era destinata a conquistare il mondo

così come io a regnare sui vampiri con Sinclair?Dannazione. Che albero genealogico. Cos’avevano

di sbagliato i geni di papà?E perché non me l’avevano detto? Va bene, elencare

certe cose di punto in bianco non era bello: “Tu sei laregina; se fai sesso con me, io divento il tuo consorte;tua sorella è la figlia del diavolo e forse conquisterà ilmondo. Panna e zucchero?” ma in fondo, era cosìdifficile?

Mi stava venendo il mal di testa, una reazionenormale dato che leggevo da… quanto? Controllail’orologio: Gesù, ero rinchiusa lì dentro da tre ore! Eavevo letto forse dieci pagine. Con un romanzo diUmberto Eco non avevo avuto altrettanti problemi.

Colpa del testo, troppo arcaico per leggerlo, e a cuinon avevano mai fatto un controllo ortografico. Comepotevo concentrarmi, quando la testa mi pulsava comeun fottuto dente marcio?

Ma a te non viene più mal di testa.Trovare la concentrazione era un’impresa.Non l’hai più avuto da quando sei diventata un

vampiro.

Anche la luce faceva pena, in quella stanza… anzi,era fottutamente pessima.

Un vampiro.Regina di qua, Vampiro di là, sorelle segrete: che

spina nel fianco.La Regina dei Vampiri.Be’, meglio tornare alla lettura: quel bel libro tiepido

(almeno non avevo le mani fredde) non mi sarebbeentrato in testa da solo.

“…e l’Astro del Mattino appariràprima della nascita della bambina,la aiuterà a conquistare il Mondo,e si mostrerà al cospetto della Reginacon il vestimento delle tenebre.”Ma non ti devi preoccupare! Anzi, sta’ tranquilla:

il diavolo non sarà così cattivo come pensi, quellastoria del Re della Menzogna è una fregatura.

E tua sorella è un problema, ma riuscirai aconviverci. Piuttosto, devi imparare a gestire EricSinclair, una spina nel fianco che può tornarti molto

utile: tienitelo buono.E poi, perché perdi tempo con gli schiavi umani?

Santo cielo, questa è casa tua, e prima quel vermelo capisce, meglio è.

Mmm. Per essere un libro del male, scritto da unvampiro pazzo che prevedeva il futuro…

Come facevo a saperlo?…scritto col sangue, rilegato con pelle umana, diceva

delle cose sensate.Fa’ il tuo lavoro e basta… Comportati da

sovrana, dirigi la situazione a modo tuo e squarciala gola a chiunque si dimentichi chi è il capo.

In realtà, mi ero lasciata sfuggire le cose di mano. Eleggere il Libro del Buonsenso mi aveva perfinoimpensierito! Finalmente vidi le cose chiaramente: eraovvio! Innanzitutto, avrei detto al Denti Storti delloScratch che aveva ragione sul modo migliore per gestireun locale dove i vampiri si nutrivano. Poi…

– Besty! Sei lì? Che stai facendo? – Bam bam bam!– La porta ha qualcosa che non va!

…avrei ripulito casa. Tipico: non erano affari suoi,ma Jessica veniva a ficcare il naso e a bussare alle porte

per avere risposte. Ne avevo fin sopra i capelli disopportarla, perciò mi alzai dal divanetto, richiusi il libroe, dopo averlo riposto con tenerezza sul supporto, midiressi verso la porta.

– Bets! Che succede? Stai bene? Non stai facendoniente di strano e di vampirico, vero?

Afferrai la poltrona incastrata sotto il pomello e lascagliai così forte, che andò in frantumi contro la pareteopposta. Il pomello si era perfino piegato! Oh, be’, neera pieno il mondo.

Spalancai la porta di colpo.– Va tutto… – disse lei, poi sgranò gli occhi. – Ti

senti bene?– Benissimo. – La colpii così forte, che Jessica

sbatté la testa contro la porta e rimbalzò all’indietro.Barcollando, dovette reggersi alla mia spalla per noncadere, ma poi ci ripensò e si appoggiò alla porta, conuna mano sulla guancia e l’altra su un lato della testa.Sentii l’odore del sangue anche prima che le colasse trale dita.

– Betsy, p… perché… p…– Non permetterti più di disturbarmi mentre lavoro,

altrimenti te ne becchi un altro.– Ma… hm… hm…– E ti configlio di non interrompermi mai – le dissi

dolcemente. Aveva gli occhi così spalancati dalla paura,era bellissimo! E, ooooh, il sangue che le scorreva nellevene, totalmente sprecato. La colpii di nuovo,soddisfatta perché non riuscì a evitarmi; non videneanche la mia mano, finché non provò dolore all’altraguancia. – Avrei dovuto farlo fei anni fa.

– Betsy, ma che hai? – gridò, allora decisi di nonucciderla. Quanto mi faceva arrabbiare, eprobabilmente avrei preso i suoi soldi dopo averlestaccato la testa (Jessica non aveva una famiglia). Manonostante il terrore, si chiedeva che cos’avessi.

Che cos’hai?Mi conveniva tenere una schiava che si preoccupava

per me, anche se le facevo chissà cosa. E, ooooh, ilsangue! Ho già detto che in quelle vene era sprecato?

– Non ho niente – risposi, ridendo davanti al suoterrore. – Proprio niente. – Poi la presi per le spalle e laspinsi contro di me per piazzare un bel morso sul suocollo.

Jessica urlò, alzando le mani troppo tardi e con unalentezza che quasi mi tolse il divertimento. Non le sentiineanche contro di me, pensavo solo: Il sangue è piùbuono quando lo si prende con la forza. Era unastrana verità, non stabilivo io le regole.

Quando ebbi finito, la lasciai andare; nel colpire iltappeto, Jessica sollevò una nuvola di polvere, poistrisciò via da me, in lacrime, per rannicchiarsi sotto untavolo, mentre mi leccavo il sangue dalle zanne che poisi ritrassero… Un giorno o l’altro avrei imparato a farloda sola, per Dio: Sinclair le tirava fuori a comando.

Mmm… Sinclair.– Quindi, ricapitoliamo – le dissi, chinandomi per

guardarla in faccia. – Non interrompermi mentre lavoroo quando parlo… Sul serio, lasciami in pace, a menoche io non abbia bisogno di te; anzi, se non seiinterpellata, non devi neanche parlare. – Terminai ildiscorso allegramente: – Sono contenta di questachiacchierata. Ci vediamo dopo! Oh, mi servirà unassegno da tremila dollari: ci sono i saldi da MarshallField’s.

Me ne andai dopo aver chiuso con cautela la porta

della libreria. Oh, che bellezza, il pomello funzionavaanche piegato all’interno! Meritavo un premio per nonaverlo spaccato.

Un assegno da quattromila dollari.

Dovevo prendere le scarpe e le chiavi della macchinain camera mia, ma prima incrociai Marc, tuttotrasandato (sembrava aver bisogno di una pettinata,nonostante i capelli cortissimi) e con il camicestropicciato.

– Perché sei qui? – domandai.– Domani faccio un doppio turno, così il dottor

Abrams mi lascia uscire prima – rispose, poi mi scrutò.– Hai del sangue su…

– No, intendevo: perché sei qui, a fare la sanguisugain casa mia? Ti resta solo un padre ammalato, e invecedi occuparti degli affari tuoi, ti intrometti nei miei

pagando duecento dollari al mese per vivere in unpalazzo? Detesti il tuo lavoro, detesti la tua vita, nonesci con nessuno da quando ti conosco, per non parlaredi una relazione: ti sembra di valere qualcosa soloperché t’impicci delle cose da vampiri. Patetico, dottorSpangles, patetico.

Lui mi guardava a bocca aperta, una scena davverodivertente. Alla fine replicò: – Io non detesto il miolavoro.

Bella risposta… sbagliata!– Smamma, dottor Sanguisuga – gli ordinai, prima di

andarmene. Buon per lui che ero sazia, ma l’indomani,quando per tutta la giornata avrebbe rimuginato sullemie veritiere osservazioni, dovevo ricordarmi di buttarlofuori. Magari lui e Jessica potevano darsi conforto avicenda, sarebbe stato divertente.

Una volta in camera mia, diedi un calcio a quelleridicole Manolo: i tacchi alti! Si rischiava solo dicadere… e quando avrei mai messo un paio didécolleté color lavanda? Avevo pensato di portarle almatrimonio di Andrea e Daniel, ma non solo erano dellescarpe troppo stupide per il mio rango: di certo non

avrei permesso a un vampiro di sposare il proprioschiavo! Era solo cibo, non un partner. Perché diavolomi ero congratulata con loro? Congratulata?

Ma non dovevo prendermela con me stessa. Vabene, non avevo riflettuto, ma all’epoca stavoscappando dal mio destino; adesso, invece, lo dirigevocon le mie mani. Questa era la differenza tra unagiovane vampira e una regina.

Aperto l’armadio, feci passare le pile ordinate discarpe: sandali gialli di pelle, stupidi; stivali rossi fino alginocchio, pacchiani; décolleté da sera di Roger Viviercon delle perle turchesi. Turchesi! Io, che odiavo quelcolore, avevo speso quasi cento dollari per quelleridicole scarpe. Un paio di Fonteneau col tacco, colorgiallo pipì… da portare solo col nero; Manolo Blahniknere… Ne potevo comprare un paio al Wal-Mart perventi dollari!

Ciabatte di marabù, altre di Emma Hope, altre confaccine giapponesi sorridenti… Faccine sorridenti!Scarpette da golf, in pelle, bianche e marrone… e nongiocavo a golf. Stivali da cowboy… e non avevo uncavallo! Non mi piaceva neanche uscire in giardino.

Che diavolo avevo in testa? Buttare via migliaia didollari per delle cose che mettevo ai piedi. Se avessiscelto le infradito, i miei problemi economici sarebberofiniti da una vita.

Alla fine, scelsi un paio di vecchi stivali verdi digomma, con i quali mi sentivo a mio agio, e uscii conpasso pesante per cercare la mia borsa. In quella casadegna del mio rango ci s’impiegava un po’ per arrivarealla porta; forse potevo installare degli ascensori emettere quegli specchi concavi che si vendevano neinegozi di alimentari, così avrei visto chi arrivava dalcorridoio.

A proposito di sorprese, svoltato l’angolo m’imbatteiin Sua Maestà il Re Sinclair, che veniva verso di mevestito griffato e con colori sobri: pantaloni neri, cinturanera, camicia nera, soprabito nero di lana. Con quegliabiti scuri, anche i suoi occhi sembravano perfino nericome una notte invernale senza stelle; non riuscivo adistinguere l’iride dalla pupilla.

Le sue guance erano leggermente rosee. Non comeun uomo normale, per l’aria fredda all’esterno, maperché si era appena nutrito. Chissà chi aveva morso,

mi chiesi, quando di solito non ci pensavo; avendoabbandonato l’harem (per tirarmi disperatamente dallasua parte), era a corto di sangue.

Forse, come me, mordeva i rapinatori e glistupratori… ma dopo aver aperto gli occhi, adesso eropiù aperta mentalmente sulla qualità delle vittime. Perstrada se ne trovavano a iosa, e il morso non leuccideva (per il momento, almeno). Ma avevo altro acui pensare.

– Sei delizioso – dissi, passando una mano su unrisvolto del suo cappotto quando mi fu vicino. – Comesempre.

– Anche… tu – rispose lentamente, fermandosi dicolpo con un’occhiata scrutatrice. – Sai di sangue. Tisei macchiata la camicia.

– Che stupida!– E quelli sono davvero stivali di gomma?Chinandomi più avanti, dissi: – Non pensi che ci

siano cose più interessanti di cui parlare?Sinclair corrugò la sua bellissima fronte. – Ehm…

francamente sì, ma…Lo attirai contro di me per baciarlo su quelle

succulente labbra piene. Accidenti, come avevo fatto astare lontana da lui per mesi

La sua camera stava in fondo al corridoio, non adistanza di chilometri.

Sinclair mi esplorò immediatamente con le mani,sollevandomi la dolcevita per afferrarmi le spalle: bene,non voleva fare il difficile.

Gli strappai il cappotto e la camicia, e la stessa finefecero gli altri vestiti mentre sbattevamo da una parteall’altra del corridoio, le lingue in bocca. Andammoaddosso a una porta (senza aprirla; intendo dire che siridusse in frantumi e che rovesciammo una sedia… oqualcos’altro, non stavo certo facendo l’inventario: nonsapevo nemmeno che camera fosse!), poi ci rotolammosul tappeto polveroso.

Aveva il collo proprio sopra la mia bocca, e le maniall’altezza della mia pancia, impegnate ad aprirsi unvarco tra i miei vestiti. Incapace di resistere, lo morsi:Sinclair si irrigidì, e quasi gemetti quando il suo sanguedolce/salato mi scese in bocca. Le sue manidiventarono più frenetiche, lacerandomi i vestiti; poi luimi riempì fino in fondo e gli andai incontro, ritraendomi

dalla sua gola. Lo leccai, e Sinclair, prendendomi per icapelli, mi piegò la testa di lato e affondò le zanne nelmio collo, con una veemenza che mi portò all’orgasmo.Piegate le gambe, incitai ogni sua spinta, fino a provarneun altro, e mentre cercavo di arrivare al terzo Sinclairrabbrividì e abbandonò la testa sulla mia spalla.

Dopo un momento, dissi: – Avrai bisogno di unsoprabito nuovo.

– Tra le altre cose – rispose, ridendo.Allungai un braccio dietro di lui per guardare

l’orologio. – Be’, ci resta un’ora prima dell’alba.Pensavo di andare allo Scratch, ma penso cherimanderò a domani.

– È il momento di una noiosa chiacchierata?– No, del sesso orale.Sinclair balzò in piedi e mi trasportò in camera mia.

– Posso chiedere cos’ha provocato questocambiamento di spirito? – domandò Sinclair, che, dopoaver chiuso la porta con un tallone, mi fece cadere inmezzo al letto.

– Una cosa noiosa – risposi, liberandomi degli ultimibrandelli di vestiti. – E comunque, a caval donato non siguarda in bocca.

– Bisognerebbe proprio ricamare questo proverbioa punto croce – commentò, saltellando su un piede percercare forsennatamente di togliersi la scarpa. Una vistache mi strappò una risata.

Mi frullava una domanda in testa, e dopo qualche

istante l’afferrai: perché non ero riuscita a leggergli nelpensiero durante il sesso, mentre prima succedevasempre?

Be’, ai tempi avevo meno preoccupazioni, perciòc’era stato spazio anche per lui; adesso, invece, lospazio si era esaurito, ma non mi creava nessunproblema: da quel giorno in avanti, tutto sarebbe statomolto diverso.

Quando finalmente si liberò delle stupide scarpe, miraggiunse sul letto. – Sono felice che tu sia qui. Hoaspettato tanto tempo.

– L’attesa è terminata, tesoro: posso affermare diessere finalmente in grado di apprezzare tutte le tueottime qualità.

E a proposito di posizioni, ci mettemmo per un po’ asessantanove. Il bello di essere un vampiro? Nondoversi fermare per prendere fiato: Sinclair mi arrivavafino in fondo alla gola, e non mi dava per niente fastidio.Però bisognava chiamare qualcuno che aggiustasse latestiera del letto… spaccata proprio nel mezzo. Uno dinoi due l’aveva rotta… be’, a un certo punto cieravamo finiti contro entrambi.

Dopo un momento, mi sedetti sopra di lui (Heigh-hoSilver, awaaaay!) e, mentre cavalcavo felicementeverso un altro orgasmo, l’inconfondibile motore di unamacchina si avvicinò in cortile.

– Chi è? – domandai, guardando di nuovol’orologio. Mmm, quindici minuti all’alba: vampiro?

– Tina – gemette lui. – Cara, potresti concentrartisull’azione in corso?

Tina! La Signorina traditrice “Lei è la Regina, maSinclair è mio amico”; quella che fin dall’inizio ripeteva aprofusione “Sua Maestà”, per poi ostacolarmi, lasciarmiall’oscuro, fare di tutto in ogni dannato momento perl’ascesa di Sinclair.

Avevo bisogno di lui, ma di certo non m’importavaniente di lei. Era la vampira più antica che conoscessi, equindi pericolosa: dovevo sbarazzarmene.

Scesa dal letto, afferrai la vestaglia, appesa sullaporta del bagno privato. Non avevo tempo per vestirmidecentemente, intendevo risolvere la faccenda sedutastante.

– Elizabeth! – chiamò Sinclair, dispiaciuto esorpreso allo stesso tempo. – Ti sei dimenticata di

avere un appuntamento?– Esatto. – Una cosa che avrei dovuto fare sei

mesi fa. – Torno subito, non finire senza di me.– Ma…Non sentii il resto, stavo già correndo in corridoio. Il

sesso con lui era sempre favoloso e non vedevo l’ora diriprendere, ma dovevo sistemare una faccenda urgente:non mi serviva una vecchia e scaltra vampira in casa,che non metteva i miei interessi davanti a tutto. Da doveproveniva, ce n’erano molti altri più giovani, menopericolosi, e di sicuro meno fastidiosi, e il mio fidanzatoSinclair non sarebbe andato da nessuna parte: aveva unguinzaglio e un collare.

La incontrai nell’ingresso che si affacciava sulla partefrontale della casa, dopo aver sceso le scale con passiimpetuosi.

– Buongiorno M… – disse, prima di gridare. Forseperché le avevo gettato addosso la piccola crocedorata che tenevo nella vestaglia.

Me l’aveva regalata Sinclair qualche mese prima (eraappartenuta alla sua sorellina, morta da tempo), ma incasa non potevo metterla: Sinclair e Tina soffrivano

fisicamente nel guardarla, per non parlare degli altrivampiri. Però (e questa è la parte stupida) volevotenermela vicina, quindi la infilavo nella tasca dei jeans onella vestaglia.

– Tina, nel caso in cui non te ne sia accorta, mi hairotto le palle.

– Non… non… – farfugliò, ritirandosi in un angolodopo aver schivato la croce. – Non lo faccia!

– Non dirmi cosa non devo fare. – Mmm, quandoavevo pensato quella frase, mi era sembrata molto piùminacciosa… Oh be’, si sarebbe accorta molto presto:via il vecchio, avanti il nuovo! Con tutto il resto.

– Cos’è successo? – gridò.Le risposi con un pugno in faccia, ma Tina fu

velocissima, e subito dopo vidi la mia mano sepoltanella parete fino al polso.

– Dannazione! – imprecai, liberando la mano tra ipezzi d’intonaco che cadevano. Avrei chiamatoqualcuno non solo per aggiustare il letto, ma anche permettere la carta da parati e una porta nuova, tuttavia almomento dovevo risolvere il problema di Tina.

Cercai la croce con lo sguardo: gliel’avrei incollata in

fronte, e addio Tina; sarebbe morta urlando e la cosami soddisfaceva, bastava che crepasse.

Ah! Eccola lì, sul pavimento vicino al tavolino dovelasciavamo le chiavi. Ma non appena mi chinai, Tina mispinse all’indietro con una mano sulla spalla, con tantaforza che sbattei contro la parete opposta.

– Ehi! – a quel punto sì che volevo ammazzarla. –Tieni le mani a posto, fottuta cagna!

– Mi scusi, Maestà – mormorò, completamenteimmobile e a distanza dalla croce. Mi osservò,attentamente e con interesse, come un gattoguarderebbe la tana di un topo. – Ma non le permetteròdi uccidermi. Io voglio aiutarla, cos’è successo?

– Puoi aiutarmi restando ferma – replicai, prima discagliarmi su di lei. E per il disturbo guadagnai un calciosul petto, che mi scaraventò a terra; una sedia sisbriciolò. Merda! – Negli ultimi secoli, ti sei mantenutain forma.

– L’immortalità ha questi vantaggi – commentò intono pacato. Mi colpì la rapidità con cui la sua sorpresasi era tramutata in freddezza… come se mi servisseroaltri motivi per ucciderla. – C’è tempo per imparare a

combattere. Cos’è successo?– Niente di che, ho letto un po’ stanotte. Ma c’è una

buona notizia: adesso so tutto di mia sorella! Quellacattiva è che devi sparire, Tina, mi dispiace.

– È diventata matta, Tina: sta’ attenta!Mi voltai e vidi Jessica, sporca di sangue e con la

faccia cinerea, vicino a una porta, dove si premeva unamano contro la fronte per interrompere il deliziosoflusso di sangue. Perché le avevo permesso diavvicinarsi di nascosto? Figlia di puttana!

Quella casa era troppo affollata, e tranne una o duepersone, gli altri dovevano sloggiare.

Jessica vacillò e dovette sorreggersi allo stipite. –Completamente matta. Penso che… abbia letto il Libroper troppe ore.

– L’avevo intuito. Oh Maestà – mormorò Tina,scuotendo la testa. – Cosa dobbiamo fare con lei?

Mi stava scocciando, per dirla con parole gentili. –Tu, chiudi quella cazzo di bocca e smamma: sono coseda vampiri. E tu, sta’ ferma! – Attraversai la stanza conun movimento troppo rapido per lei… peccato che Tinami vide chiaramente e riuscì a evitarmi con facilità.

Nessun problema, almeno mi ero avvicinata alla croce.Mi chinai a raccoglierla. Dopo aver ucciso Tina,

avrei sistemato Jessica… la quale si sarebbe piùpreoccupata del polmone d’acciaio che le permettevadi respirare, che di spiare i miei movimenti.

Un nanosecondo prima dell’impatto, sentii un sibilo.Forse il sole era sorto in anticipo, perché non vidi altroche luce… Poi il sole precipitò, proprio come successeal mio corpo.

Riaprii gli occhi con un mugugno. Che mal di testa!Avevo letto un libro o tracannato un litro di vodka?

Battei le palpebre davanti alla luce, cercando di dareun senso alle decine di pensieri che mi correvano per latesta, e da quel casino emerse qualcosa di positivo:sapevo molte più cose sulla figlia del diavolo. Ma cen’erano delle altre che dovevo…

Aspettate un secondo… La luce?Mi accorsi di trovarmi in una stanza nell’ala ovest

della casa, senza mobili ma con una massiccia porta inlegno di quercia. La stanza in cui depositare le bottigliedi vino, finché Sinclair (il signor so-tutto-io) aveva detto

che non si potevano tenere in un posto così luminoso;allora le avevamo spostate nel seminterrato, lasciandovuoto quel locale…

La luce.Era il sole.Ancora con la vestaglia indosso, mi alzai in piedi per

avvicinarmi alla finestra. Il sole! Lo fissai molto a lungo.Quella grossa palla dorata arrivava quasi all’altezzadegli alberi: doveva essere il tardo pomeriggio. Non lovedevo dal mio trentesimo compleanno, avvenuto adaprile.

Il Libro dei Morti mi aveva trasformata in una stronzadi prima categoria: brutta storia, brutta brutta storia. Main cambio, adesso potevo svegliarmi quando di fuorisplendeva ancora il sole, e questo era bello. Bellissimo.

E dato che la sua luce non poteva bruciare la Regina,potevo anche uscire all’aperto, passeggiare, sentirne ilcalore sulla pelle.

Cercai invano di sollevare la finestra: con tutte lestanze di quella casa, e le poche persone che civivevano, probabilmente non veniva aperta da almenocinquant’anni. Troppo impaziente per usare una leva,

ansiosa di uscire, spaccai il vetro con un pugno estaccai le schegge più grosse, prima di passarciattraverso come Starsky… o Hutch: qual era il biondo?

Atterrata due piani più sotto, sputai la terra fuori dibocca e mi girai sulla schiena per essere baciata dalsole. Non mi curai dell’erba fredda (era un ottobre mitein Minnesota, ma pur sempre ottobre), né del sole chesarebbe rimasto per poco nel cielo; dovevo scusarmicon più di una persona, ma… be’, di questo miimportava e ci avrei pensato subito.

Entro qualche minuto.Grazie, Dio. Grazie! Non me lo meriterei, ma

grazie lo stesso.I ricordi della notte precedente continuavano a

invadermi la mente, rovinandomi il momento: purtroppo,il Libro non causava un’amnesia. Ripercorsi l’accaduto:avevo cercato di uccidere Tina, che mi aveva sconfittocon facilità (ed era imbarazzante, dato che era la metàdi me, ma per fortuna non avevo portato a termine imiei propositi); e che brutte parole avevo rivolto aMarc… avevo definito un buon amico “dottorSanguisuga”.

E Jessica… Oh, Jess. Ho combinato un casino! Midarei fuoco piuttosto che farti ancora del male. Seila migliore amica che una vampira possa avere . Sì,era una bella dichiarazione: bisognava ripeterla, eripeterla, e ripeterla. Dio… se mi starà ad ascoltare,non la smetterò di scusarmi per i prossimitrent’anni. Ti prego, fa’ che mi ascolti.

E Sinclair. Gemetti, coprendomi gli occhi con unbraccio. Sesso violento e rivoltante con Eric Sinclair!Un’idea tanto brutta quanto l’aver morso Jessica.

Me la presi con me stessa per averlo usato, e con luiper avermelo permesso.

E per non essersi accorto che ero diventata cattiva!Come mai questo piccolo dettaglio gli era sfuggito?Quello schifoso vedeva una mosca posarsi da qualcheparte a un isolato di distanza, e non capiva che mi erotrasformata in SuperStronza?

Nervosa e sbigottita, mi alzai a sedere, e in quelmomento udii l’inconfondibile rumore di una doppiettache veniva caricata.

Avevo praticato abbastanza la caccia all’anatra conmia mamma, da riconoscere quel rumore (nel mio

periodo pre-P.E.T.A., come adesso era il post-P.E.T.A., perché stavano diventando troppo estremistiper me).

Mi guardai attorno e vidi Marc, a una ventina di metridi distanza, con in mano la mia vecchia doppietta. Maperché esistevano le statistiche? Forse chi tenevaun’arma in casa era destinato a morire per colpa dellasua stessa arma, e non in altri modi violenti?

Ritrovandomi sotto tiro, decisi in futuro di prestarepiù attenzione alle statistiche.

– Ehm, non sono più pericolosa, adesso – esordii.– Mmm. – Non portava il camice, solo dei jeans e

una maglietta di Tori Amos: o non doveva andare allavoro, o aveva preso un giorno di ferie per affrontare lasua coinquilina psicotica non-morta. – Stai bene? Non tisei tagliata saltando fuori dalla finestra?

Voleva sapere se stavo bene! Per poco non midimenticai della doppietta puntata addosso. – No.Voglio dire, no non mi sono tagliata, non “no non stobene”. Sto benissimo… adesso, intendo.

– Eric ti ha sentito uscire.– Okay. Ehm, cosa vuoi fare con quell’arma?

– Be’ – rispose, avvicinandosi di un passo ma senzaspostare la canna del fucile. – Non ti ucciderà, peròalmeno ti rallenterà. Tu sai schivare i proiettili, tuttaviasecondo Tina non faresti in tempo con i pallettoni.

– E probabilmente ha ragione. Sta bene?– Certo – disse con un piccolo sorriso, – ha vinto il

combattimento, se non ti ricordi.– Me lo ricordo. – Con un sospiro, mi appoggiai la

testa sulle ginocchia. – Ricordo tutto, purtroppo, ed èarrivato il momento di umiliarmi. Scusa per quello che tiho detto, Marc – mormorai, guardandolo in faccia. –Non lo pensavo veramente: mi dispiacerebbe se tu te neandassi di casa.

– Ah-ah.– Davvero, Marc. Mi spiace, ho fatto un macello.– D’accordo – disse, ma la doppietta rimase

sollevata.– Gli… gli altri sono in casa?– Sì. Tina dorme ancora, ma io, Eric e Jess siamo in

piedi. Per cercare di capire… Oh, lascia stare.Capire cosa fare con me se, al tramonto, fossi stata

ancora cattiva.

Quasi mi sfuggì un sorriso: Sinclair non si aspettava divedermi alzata alle quattro del pomeriggio. Non mitrattenni dal sottolineare: – Non era granché comeprigione: aveva una finestra col vetro.

– Speravamo che gli effetti si esaurissero.– Be’, vi dà fastidio se entro, adesso?Il fucile si abbassò leggermente. – Per fare cosa?– Strisciare per mettere a posto le cose. Oh, e

sgridare Sinclair: non si è neanche accorto del miocambiamento, ti rendi conto?

– Sì… è un po’ arrabbiato anche lui.– Lui?– Già.In quel momento notai che Marc non aveva messo la

sicura: anche se gli sembravo tornata alla normalità, nonvoleva correre rischi, e questo mi rattristò. Prima si erasempre sentito al sicuro in mia presenza.

Chissà cos’altro era cambiato.

– Guardate chi si è ripreso! – esclamò Marc quandoentrai titubante in una delle stanze del tè.

– Ehm, ciao – dissi. – Che cosa ci fa, qui?Non mi riferivo a Sinclair, anche se dopo la notte

precedente non lo vedevo molto volentieri: stavoindicando il Libro dei Morti, posato inspiegabilmente sultavolo, vicino al porta-zollette.

– Ho voluto leggere qualcosa anch’io – mi risposeSinclair, che sembrava giocare alle belle statuine, sedutorigido come un bastone. – Ma naturalmente ho smessodopo un paio di pagine.

– Senti, avevi ragione, va bene? Non avrei dovuto

leggerlo, è stato un grosso, stupido errore.– Molto stupido – mi aiutò Marc.– Molto stupido – ripetei, sempre guardando

Sinclair. – E tu non avresti dovuto fare sesso con me.– Tu hai fatto sesso con me – precisò, ed ebbe il

coraggio di mostrarsi infastidito. – E hai smesso dipunto in bianco.

– Be’, sì, perché ero diventata cattiva! E non te n’erineanche accorto! – Mmm, ero partita con l’idea distrisciare, ma non stava andando esattamente comeprevisto. Eppure, ero arrabbiata anch’io. – Perché?

Sinclair si alzò. Seduto composto a bere il tè non sinotava, ma era davvero molto alto, e quando si alzavain piedi di scatto (troppo veloce per essere seguito conlo sguardo) torreggiava su tutti. Marc fremetteletteralmente, e come biasimarlo. Quasi fremevoanch’io.

Sinclair replicò in tono sommesso: – Vorresti dire diaver desiderato l’intimità con me… più volte… soloperché eri diventata pazza?

– Eh… – Dio, sembrava un comportamento propriomeschino! E lui aveva un’espressione… non annichilita,

ma pronta a subire l’umiliazione. – Per me sei unbellissimo uomo, Eric. Il problema tra noi non è maistata l’attrazione fisica.

Troppo preoccupata per Marc, Tina e Jess, nonavevo nemmeno considerato lo stato d’animo di Eric.Era un uomo… voglio dire, avevamo scopato… unpaio di volte! In teoria avrebbe dovuto essere più omeno soddisfatto, farmi una ramanzina, ma… nonsentirsi ferito. Per la miseria, non pensavo neanche dipoter ferire i suoi sentimenti: era il re dei vampiri, perl’amor del cielo.

– Comunque… – proseguii, cercando un modo perfinire la frase senza fregarmi da sola o ferirlo ancora dipiù.

Con eccessivo entusiasmo, Marc esclamò: – Ehi,guardate: un fucile! Non è mio, ma lo rimetto nel tuoarmadio, Betsy. No, magari nel mio armadio. –Dopodiché, uscì di fretta dalla stanza.

– Metti la sicura quando togli i proiettili! – gridai.– Lascia perdere – mormorò Eric, facendomi

voltare. Si era seduto e il momento giusto, qualunquefosse stato, era passato. – Volente o nolente, hai

risposto alla mia domanda.– Eric…– Elizabeth, mi sono accorto che sei sveglia.– Giusto, a te non sfugge niente – dissi, sedendomi

dall’altra parte del divano. – Marc mi ha sorpreso difuori, a prendere il sole. Devo porgere le mie scuse atutti, lo so: dov’è Tina?

– Dorme ancora. – Lanciandomi un’occhiatastranissima, aggiunse: – Finché sorge il sole. Hai dettodi fuori? Avevo sentito il vetro rompersi, ma nonpotevo credere che…

– Sì, è stato fantastico! Magari potessi venire conme, è così bello sentire il sole sulla pelle.

– Il sole mi ridurrebbe in cenere nel giro di mezzosecondo.

– Giusto. Scusami: non lo vedevo da sei mesi, erofelice di uscire all’aperto, credimi.

Sempre fissandomi come se fossi una nuova speciedi insetto, disse: – Tina non vede il sole da cent’anni.

– Be’, glielo racconterò, allora. Sai, dopo aversistemato le cose, ma non so come comportarmi con lei:mi ha pestata alla grande, dovevi vederla – scherzai

per stemperare l’atmosfera.– Me la son persa mentre aspettavo che tornassi a

letto – replicò freddamente, facendomi quasi morire divergogna.

– Tu… – Non trovando il modo di risolvere ilproblema, finii la frase in un modo che detestai, perchémi fece sembrare una bambina e non una donna adulta.– Davvero non te n’eri accorto?

– Mi avevi… distratto, ma ti giuro che nonsuccederà più.

La sua era un’espressione così di pietra, cosìdistaccata. Dovevo uscire di lì, subito, in quell’istante! –Dov’è Jessica?

– Si nasconde da te, ovviamente – rispose, quindi sialzò col Libro in mano. – Meglio rimetterlo a posto.Adesso che sei tornata normale, non servono altrericerche. Buona giornata.

E se ne andò.

– Jessica? – chiamai, bussando piano alla porta conle nocche. – Jess? Sono Bets, posso entrare?

Silenzio. Lei si muoveva nella sua stanza, ma senzaparlare. Ops. Riuscivo a sopportare di tutto… la morte,la tortura, le botte… ma non il silenzio come risposta.

– Jess? Ho combinato un pasticcio, tesoro, ungrosso pasticcio. Mi dispiace tanto. Scusami per glischiaffi, per il morso, e per quelle brutte parole che ti hodetto. – Ascoltare le mie stesse colpe acuì (se possibile)il mio senso di colpa. – Per favore, posso entrare?

Niente… E come darle torto? Anch’io non avreirisposto niente.

– Jess, fammi entrare, tesorino. Non è megliovedere di persona che mi umilio? E ho intenzione diimpegnarmi, quindi non puoi perdertelo.

Niente.– Be’ – insistetti con un colpo di tosse, – volevo dirti

che adesso non sono più cattiva, e che mi dispiaceper… lo sai, per tutto. Io… ehm… sono qui in giro sevuoi parlare. O se ti serve qualcosa, d’accordo?D’accordo. Bene, adesso vado.

Mi sarei aspettata di vederla spalancare teatralmentela porta, gridandomi: “Aspetta!” Nei film succedevasempre. Ma alla fine mi voltai per attraversare ilcorridoio: sarebbe stato molto, molto più difficile delprevisto dopo ciò che avevo fatto, e tutto perché avevodeciso di leggere il Libro dei Morti invece di prenderein mano Via col vento per l’ennesima volta. Mi sentiicome Rossella O’Hara dopo che i nordisti le avevanoinvaso la fattoria, ma meno attraente.

Marc e Tina stavano parlando in fondo alle scale:resistendo alla tentazione di origliare (nelle ultimequarantott’ore avevo già commesso abbastanza errori)scesi lentamente i gradini.

– Sta meglio, Maestà? – chiese Tina con un sorrisogenuino. Anche Marc sembrava okay e abbastanzarilassato, nonostante le spalle un po’ rigide.

– Ehm, sì. Senti…– Ne sono felice. Deve perdonarmi per essermi

presa delle libertà con la sua persona, io…Afferrai le sue piccole mani, abbassando lo sguardo

nei suoi grandi occhi viola scuro. – Oh, Tina, sono io adovermi scusare. Mi sono comportata di merda!

Lei cercò di liberarsi le mani con un guizzo a unangolo della bocca. – Maestà, lei non si comporta dimerda.

– Sì, invece. Sto malissimo per aver cercato diucciderti, ed è un sollievo che tu sia riuscita a battermi,anche se umiliante. Non sapevo che fossi così brava!

Con una risata, lei si spostò dagli occhi la frangettacolor paglia e disse: – Meglio per me. Devo ammetteredi aver passato un brutto momento quando mi halanciato addosso la croce.

– Be’, sono davvero desolata.– Anch’io. Ma sono felice di vederla in forma –

affermò con una sincerità toccante.

– Oh, il male non abita più in me.– E… si è alzata quando il sole non era ancora

tramontato.– Già. Diventa cattiva, e ti danno un potere in più –

scherzai. – È il compromesso peggiore del mondo.– Mmm – mormorò, lanciandomi la stessa occhiata

di Sinclair, e non era divertente nemmeno quando lofaceva lei.

Marc disse: – Dovevi vederla che si rotolavanell’erba come una cagnolina bionda! Una scenadivertentissima.

– Zitto, tu – intimai, ma mi sfuggì un sorriso chedopo gli ultimi eventi mi risollevò il morale.

– Be’, ho delle notizie veramente fantastiche! –gridai. – Ho scoperto come rintracciare mia sorella!

– Come mai ci riuniamo in corridoio? – chieseSinclair, alzando lo sguardo dai suoi appunti per laprima volta da tutta la sera.

– Per includere anche Jessica – risposi. –Comunque, avevo in mente di scovare mia sorella perpregarla di non conquistare il mondo! Okay? Dal casinodel momento è pur nato qualcosa di buono, no?!?

Sfregandosi un orecchio, Marc domandò: – E da cheparte cominceresti?

– Be’, io so che è nata proprio qui in città, il sei

giugno millenovecentottantasei.– Sei, sei, ottantasei? – esclamò Tina. –

Interessante.– No, è una cosa cretina, invece! Siamo nel film di

Omen?!? In ogni caso, se restringiamo la ricerca a tuttele figlie avute da Ant il sei del sei dell’ottantasei, quantece ne possono essere? Una sola, immagino!

– Non ti serve urlare – mi consigliò Marc. – La suaporta non è così spessa.

– Riusciresti ad avere i suoi dati registrati? A casa diAnt hai detto di voler provare!

Quella riunione cominciava a pesarmi. E perchéSinclair non mi degnava di uno sguardo? Forse eraancora arrabbiato per la notte prima; nessuna scusa pernon aver riconosciuto il mio cambiamento, ovviamente,ma dato che non avevo il diritto di fare la vittima, misi atacere l’irritazione. – Marc?!?

– Ti ho sentito, cazzo – brontolò, sempresfregandosi l’orecchio. – Sì, non dovrebbe esseredifficile.

– E la storia della privacy? – chiese Tina.– Che stai dicendo? – strillai. – Vuoi sapere come

faremo a eludere la privacy?Marc, con un’espressione tanto scocciata quanto

quella di Tina, le rispose: – Be’, mettiamola così: disolito non sbircio tra i dati che non mi riguardano, maper trovare la figlia di Satana e salvare il mondo, faròun’eccezione. E Tina, se tu ed Eric venite con me, sonosicuro di oltrepassare gli impiegati senza problemi.

– Va bene – disse lei.– Devo venire anch’io? – gridai.Tina allontanò la testa. – Non è necessario, ce ne

occuperemo noi per lei, Maestà. E poi – concluse,lanciando un’occhiata alla porta chiusa di Jessica, – hada fare cose più urgenti.

– Giusto! Be’, ora vi racconto cos’è successo, se velo stavate chiedendo!

– Io mi sto chiedendo quanto durerà la riunione –borbottò Sinclair.

– Il diavolo si rompeva le scatole all’Inferno, alloraha deciso di venire per un po’ sulla Terra, dove haposseduto il corpo di Ant mentre era incinta! E poi ètornato all’Inferno!

Sinclair alzò di nuovo lo sguardo. – E tu come fai a

sapere queste cose?– Me l’ha detto il Libro! Cioè, non me l’ha proprio

detto, l’ho letto di qua e di là e il resto è venuto da solo!– Quindi, la tua matrigna ha incarnato davvero il

diavolo per, quanto tempo, un anno?– Sì!– Incredibile – commentò Tina.– Insomma! L’incredibile è che Satana ha abitato in

lei per almeno un anno, e nessuno si è accorto di niente!Cos’era stato? Mi pareva di aver sentito una risata

attutita dall’altra parte della porta… ma anche quandomi concentrai, ci fu solo silenzio, accidenti.

– Ammetto che questa mi è nuova – intervenneMarc, – ma non sembri molto sorpresa.

– Sono cresciuta con quella donna. Il diavolo l’havista come un recipiente perfetto… l’hai definito cosìanche tu, Marc – dissi, usando un tono di voce normaleperché cominciavo a stancarmi. – Ha perso quasi unanno di vita, doveva essere spaventatissima quand’ètornata in sé; allora ha abbandonato la figlia per fartornare tutto come prima e ha convinto mio papà asposarla, ottenendo quello che aveva sempre voluto.

– Ma a quale prezzo? – chiese Sinclair, seduto agambe incrociate alla mia destra, e mi rivolseun’occhiata quasi bruciante. Poi il momento passò, e siconcentrò sugli appunti.

A disagio, osservai: – Hai ragione… Okay! Dunque,in seguito, Satana è tornato all’Inferno, Ant ha rovinatoil matrimonio dei miei, mia sorella è stata data inaffidamento, e adesso dobbiamo trovarla prima checonquisti il mondo!

– Un programma interessante – disse Tina,coprendosi il sorrisino con una mano.

Sinclair affermò: – Tua sorella è comunque destinataa governare il mondo. Come avrai notato durante lalettura del Libro, non ci sono parti di difficileinterpretazione, perciò dubito che qualunque nostrorimedio metta i bastoni fra le ruote alla figlia del diavolo.

– Be’, ci proveremo lo stesso! – sbraitai. – Nonpossiamo lasciar perdere!

Sinclair si strinse nelle spalle. – Come vuoi.Certo che si sarebbe fatto come volevo, dannazione.

Potendolo staccare da quei suoi preziosi appunti, lasituazione sarebbe anche tornata normale; e comunque,

cosa c’era di così avvincente da scrivere? Iltestamento? La lista della spesa?

Mi protesi per sbirciare, ma gli appunti erano in unalingua a me sconosciuta.

– Va bene, riunione sospesa! – gridai. – A menoche qualcuno non debba aggiungere qualcosa.

Mi girai verso la porta di Jessica, che però non siaprì: la seduta era veramente conclusa.

Il pomeriggio successivo andai nell’ufficio di miamamma all’università. Tina non si era ancora alzata,Jessica mi evitava come la peste, Marc era chissà dovee Sinclair mi trattava in modo così glaciale che prima opoi mi sarei surgelata.

In attesa di sapere se Tina e Marc avevano scopertoqualcosa, quindi, stavo letteralmente impazzendo, ecome ogni vampira sola, insicura e senza amici, volevola mia mamma.

Il suo era lo stesso monotono ufficio di vent’anniprima: evidentemente, esserne l’occupante di diritto noncomportava un budget per le decorazioni. Sul vetro

della porta era inciso DOTT. ELISE TAYLOR,DIPARTIMENTO DI STORIA. Si era specializzatanella Guerra Civile, e in particolare nella Battaglia diAntietam. Come se non mi avesse infarcito la testa conqueste cose prima del mio decimo compleanno.

La sentii parlare in corridoio ancor prima di vedere lasua sagoma contro la porta semiaperta; stavadiscutendo con un collega: – Non ho intenzione diandarci e non puoi costringermi, Bob, non puoi proprio.

Quando vide che la stavo aspettando, spalancò labocca e strabuzzò gli occhi verdi. I suoi capelli, bianchicome la neve, erano sfuggiti al solito chignon perfetto: illook-Guerra-Civile. Sbattuta la porta in faccia alpovero Bob, mi venne incontro di corsa.

– Betsy! Sei sveglia! – esclamò, guardando più volteme e la finestra. – Mio Dio, cosa ci fai in piedi?

– Sorpresa – risposi, tendendo le braccia tra le qualilei si gettò per stritolarmi (ero di una testa più alta di leida quando avevo dodici anni). – Ho pensato di fare unsalto all’università.

– E lo adoro, quando sei tu a farlo. Che è successo?C’entra col tuo rango di regina? Oh! – Si coprì la

bocca con una mano. – L’ho capito adesso… Potraiandare alla festa di Antonia.

Sogghignai. – Grazie, non ci avevo ancora pensato.Heh.

– Allora… che è successo?Le raccontai quasi tutto, dicendole di essere

impazzita dopo aver letto il Libro dei Morti, e di averaggredito Jessica, Marc e Tina. Tralasciai cos’avevofatto con Sinclair, mamma non doveva sentire gli ultimiaggiornamenti sulla mia misera vita sessuale; e poi,Sinclair le piaceva così tanto, che se la sarebbe presacon me. Tralasciai anche la figlia del diavolo: meglio chelei lo sapesse a piccole dosi, nonostante la sua aperturamentale.

– …e Jess non mi vuole vedere; adesso dorme dinotte e chiude a chiave la sua stanza, mentre primadormiva di giorno per rispettare i miei orari. Ho propriorovinato tutto, mamma, con licenza parlando; e il peggioè che l’ho fatto con le mie mani. Sinclair mi avevaavvertito di non leggere quel Libro, ma non l’hoascoltato, ed è stata Jess a pagare. E tutti gli altri.

– Anche tu, tesoro – disse, gli occhi pieni di

comprensione. Aaaah, l’amore di una mamma! Eracome entrare in una sauna… dove c’era caldo e sifaticava a respirare. – La stai ancora pagando. Certo,Jessica è arrabbiata, ma siete amiche dalle scuolemedie: una piccola aggressione fisica non cambierà lecose.

– Lo pensi davvero?– Sì – affermò, e cominciai a tirarmi su di morale. –

La vostra amicizia è durata oltre la morte, non verràdistrutta da questo. Tu continua a scusarti, ogni singologiorno. E comunque, un po’ di rimorso ti farà bene,tesoro.

– Grazie, mamma.– Tina e Marc ti hanno perdonato, allora?– Già, a quanto pare. Tina non si è mai offesa; Marc

è un po’ guardingo in mia presenza, ma è gentile. Restasolo Jessica. – E Sinclair, però non avrei sopportato diraccontarle anche quella verità.

– Tesoro, non è stata colpa tua, bensì del Libro.Rilegato in pelle umana e scritto col sangue, no? Saràantichissimo… forse il primo libro in assoluto. – I suoiocchi mi guardavano e non mi guardavano, e avevo già

visto quello sguardo. – Cosa darei per… Lo tenete inbiblioteca, hai detto?

– Mamma. Seriamente! Se ti avvicini a quel coso, lobutto nel camino. Anzi, potrei farlo comunque… NienteLibro per te. – Doveva capire che non scherzavoaffatto, perciò mi mostrai decisa. Eravamo entrambegrandi fan di Seinfeld. – Niente Libro per te!

– Betsy, non puoi – protestò in tono pacato. A leinon piaceva bruciare i libri. – Ha un valore inestimabile,pensa a cosa potremmo…

– È un’inestimabile spina nel mio didietro bianco!Non ti devi avvicinare, hai capito? Quel coso esiste dachissà quanto tempo, nemmeno Sinclair l’ha letto fino infondo… solo a pezzi, per torturare me. Davvero,mamma: promettimi di non provarci neanche.

– Solo se tu mi prometti di non bruciarlo.– D’accordo, lo prometto. E grazie per le

rassicurazioni, ma non posso dare la colpa al Libro perquello che ho fatto dopo: nessuno mi puntava unapistola alla testa per costringermi a leggerlo, l’ho volutofare. E adesso devo assolutamente riappacificarmi conJess.

– Be’, tu continua a scusarti con lei. Ormai hai piùtempo a disposizione – disse, guardando fuori dallafinestra.

Appoggiai la testa sulla sua spalla. – Sì, hai ragione,mi impegnerò.

Lei mi accarezzò la schiena, e insieme guardammo ilsole che tramontava.

– Ci è voluto un po’ – disse Marc, guardando ilbaby monitor, – ma alla fine ci siamo arrivati. Passo.

– Non è un walkie-talkie, e tu non sei un camionista– esclamai con esasperazione. – E poi, quanto ci èvoluto, scusa? Hai iniziato ieri notte.

– Ehi, la prossima volta vai tu dietro al figlio deldemonio. Che in ogni caso si chiama Laura.

Ci eravamo riuniti in cucina (tutti, tranne Jessica) peruno scoop sulla mia ritrovata sorella; avendo ricevutoun biasimo dagli altri tre per l’idea di urlare in corridoio,Marc aveva portato dei baby monitor, mettendone unoin camera di Jessica mentre lei non c’era e noi

dormivamo. Dato che non l’avevamo ritrovato a pezzinella pattumiera, era ovvio che non le fosse dispiaciuto.

Alt un attimo…Laura?– La figlia di Satana si chiama Laura?– Laura Goodman – rispose Tina, ridacchiando.– Che nome stupido.– Anche Betsy è ridicolo per una regina dei vampiri

– commentò Sinclair, tanto per dire una cattiveria, o perfare una battuta? Aveva già superato l’astio nei mieiconfronti? E poi, perché m’importava così tanto se, disolito, era lui sulla mia lista nera?

Questa inversione di ruoli non mi piaceva molto, mache potevo farci? Scusandomi per essere andata a lettocon lui, avrei solo peggiorato le cose (che non avevanoancora preso una bella piega). – Cos’altro avetescoperto?

Parecchie altre informazioni, in effetti: Laura, grazie alcielo, era stata adottata dai Goodman circa un secondodopo la fuga di Ant, ed era cresciuta a Farmington;ancor meglio, aveva studiato medicina e abitava in unappartamento di Dinkytown. Forse la mamma poteva

aiutarmi, in questo senso.– Non è stato molto difficile – spiegò Marc, prima di

chiedere a Tina: – Ho la valutazione domani, verresti allavoro con me?

Lei si mise a ridere, alzando gli occhi al soffitto. – OhMarc.

– Be’, l’avevo immaginato. – Provavo rispetto per isinistri poteri di Tina. Ehi, sotto questo punto di vista,l’aver cercato di ucciderla poteva essere visto come uncomplimento! Un triste e stupido complimento. – Nonho ancora conosciuto nessuno che non cada sotto lamagia di Tina.

– Non ne è poi servita così tanta. Erano tutti apertisu… tutto, insomma. L’adozione, il suo indirizzo, le sueabitudini. Abbiamo perfino il suo numero di telefono.

– Bene, perfetto. – O almeno, credevo fosseperfetto, no? Giusto! Adesso bisognava riprendere inmano le redini della riunione, sempre che le avessi maiavute. – Presumo che adesso… andremo da lei?Rincorreremo la fonte di ogni male, a Dinkytown?, perdirle che l’abbiamo trovata e che le conviene noncompiere il suo destino, altrimenti…?

– Una cosa alla volta – sentenziò Sinclair, e fui lietadi sentirlo, dato che ultimamente era di poche parole. –Prima bisogna trovarla.

– Insieme?Mi traforò con i suoi occhi scuri, un’esperienza tanto

inquietante quanto lo era la descrizione.– Non puoi andare da sola dalla figlia del diavolo.

Certo che verrò con te.– Certo – ripetei con un sorriso che lui non

ricambiò.– La riunione è chiusa – annunciò Marc al baby

monitor. – Passo.

– Fa la volontaria in chiesa – esclamai. – Oh mioDio, fa la volontaria in chiesa!

– Guarda che gridarlo non cambia la realtà dei fatti –mi ammonì Sinclair.

Stavamo spiando da due ore un gruppo di ragazziattorno ai diciannove anni, tra i quali mia sorella; nonsapevo quale fosse, c’erano tre bionde, due more, eperfino una dai capelli biondo-tiziano. Dall’università(dove mia madre mi aveva procurato gli orari dellelezioni di Laura, infrangendo almeno una ventina diregole) erano andati in un condominio di Dinkytown, eal momento si trovavano in una chiesa presbiteriana.

– Sembrano un gregge – osservò Sinclair.– È quello che fanno le ragazze di quell’età. –

Cavolo, di qualsiasi età! – Arrivano tutte in massa,come i peli!

– Affascinante.Eravamo seduti nella Passat di Sinclair. Lo so, lo

so… il re e la regina dei vampiri che se ne vanno in giroin una Passat blu? Per il momento teneva nascoste lemacchine veramente belle, come la decappottabile (unaMustang ironicamente con la capote), la Spider, e lealtre di cui non sapevo il nome. Oppure aveva tiratofuori quelle belle per colpirmi, ma, una volta finita la fasedell’accoppiamento, bastava usare la Passat.

Ridicolo!Vero?– Io entro – annunciai. Mi aspettavo dei consigli,

degli avvertimenti sullo stare attenta, che mi chiedesse diaffrontare la figlia del diavolo in un posto in cui potesseentrare anche lui.

Invece, disse: – Mi sembra una cosa saggia. Bisognaassolutamente scoprire di più sul conto di quellaragazza.

– Bene, allora vado. Aspettami qui, okay?– Mmm. – Stava osservando la chiesa con occhi

socchiusi. Se mi fossi spogliata, probabilmente non sisarebbe neanche distratto.

– Ehi, come mai la figlia del diavolo può entrare inchiesa e tu no?

– Chiediglielo – suggerì.– Cercherò di capirlo – replicai, poi scesi dalla

Passat e attraversai la strada.

Aperta la porta, entrai in chiesa sperando cheSinclair ammirasse le mie capacità. Evviva la regina!

Argh… di nuovo, perché alla regina dovrebbeimportare? La regina aveva a cuore un patetico sfigatoche le faceva un sacco di feste, e a cui lei pensava dicontinuo dal momento in cui lui non la considerava più?E perché la regina parlava di se stessa in terza persona?

Ma dovevo ammetterlo: continuamente nervosa conSinclair per i vari peccati che commetteva contro di me,mi ero abituata ad averlo intorno. Si preoccupava perme, c’era sempre per la squadra… quando non si

comportava in modo spregevole e non mi nascondevadei segreti.

Concentrati, idiota. Invece della parte principaledella chiesa, con le panche, mi ritrovai in una sala dapranzo con tavoli e sedie. Il gruppo di ragazzi e ragazzeera in fondo: chiacchieravano, ridevano, e una di loro(la femmina più alta, più bionda e più carina) m’indicò,dicendo qualcosa agli altri, poi mi si avvicinò.

All’ultimo momento mi accorsi di non avere unascusa pronta!

– Ciao – esordì con un sorriso. Portava una camiciabianca con i bottoni sul colletto, inamidata eimmacolata, dei pantaloni kaki e scarpe basse (logore,vecchie, rotte, orribili e senza calze). Aveva i capellilunghi e sottili, simili a seta grezza, tenuti lontani dal visocon una fascia bianca; gli occhi erano di un azzurropulito, come quello del cielo, e la pelle così perfetta,vellutata, rosea, e senza una lentiggine, da renderenervosi. Niente trucco, non ne aveva bisogno.

E poi, mi sorrideva in un modo talmente gentile, conquel suo abbigliamento casual, che lo capii all’istante:era una di quelle ragazze che non si rendevano conto

della propria bellezza. Dovetti chiamare a raccolta tutti imiei poteri di regina dei vampiri per non odiarla subito.

– Perché tu e il tuo amico ci state seguendo?– Ehm… – Perché siamo il re e la regina dei

vampiri, e dobbiamo impedire a te (o a una tua amica)di conquistare il mondo, perché si tratta della figlia deldiavolo (e di Ant: ancora peggio!). Benvenuta infamiglia! Adesso vai fuori dalle palle. – Stiamo…stiamo cercando Laura? Laura Goodman?

– Sono io – disse, tendendo una mano pallida esottile. Gliela strinsi, senza essere minimamentesorpresa. Era troppo alta (quasi quanto me!), troppocarina, troppo perfetta. E sapete cosa si dice di quandoil diavolo assume le sembianze di una bella ragazza. –Che posso fare per voi?

– Be’… il fatto è che…– Laura! – la chiamò uno dei suoi amici. – Arrivi?

La festa non si organizza da sola.– Arrivo! – rispose, prima di voltarsi verso di me. –

Dicevi?– È una faccenda privata. Hai tempo più tardi? O

domani? Potremmo magari parlare davanti a un caffè?

– Okay – affermò, senza emanare vibrazioninegative: un fattore positivo. Ispirava fiducia…altrimenti, era così potente, da non temere affatto unacome me. – Domani a pranzo da Kahn’s?

– Ooooh, adoro quel posto! – Ma mi era precluso.Se non potevo mangiare quella deliziosa pasta conl’aglio, la cipolla e la carne di agnello, non avreiguardato un’altra persona che lo faceva. – Però, ho deiproblemi all’ora di pranzo.

– Be’, domani ho lezione fino alle quattro e mezzo…– Che ne dici del Dunn Brothers, alle cinque, lì

all’angolo?– D’accordo – stabilì, stringendomi di nuovo la

mano. – Piacere di averti conosciuto…– Betsy.– Okay. Ci vediamo domani per un caffè.– Ciao – dissi, e guardai mia sorella che tornava dai

suoi amici.

– Dunque questa spregevole bestia malvagia,destinata a governare il mondo, è una bionda naturale.

E perfino troppo carina… capelli, viso, lunghe gambemagre, vestiti a posto, scarpe terribili. E dolce come ilmiele, almeno finora. Sarà un bello spettacolo quando sitrasformerà nel suo alter ego demoniaco…

«A parte l’altezza e il colore dei capelli, non honotato una grande somiglianza con Ant o papà. Mad’altro canto siamo in Minnesota, non in Giappone.Non lo so, domani beviamo un caffè insieme, ecercherò di far venire a galla la sua malvagità… Non hoaltro da raccontare, credo.

Dopo aver spento il baby monitor, mi ricordai di unacosa e lo riaccesi. – Dimenticavo: ho detto queste coseanche a Sinclair. Alle cinque, il sole non sarà ancoratramontato del tutto… devono essere stati i vampiri ainventare l’ora legale!... ma Sinclair non può venire.Sarà ancora arrabbiato con me, e non lo biasimo…Neanche te – aggiunsi subito. – A quanto pare, nonriesco a sistemare le cose con nessuno di voi ed èstrano; mi scoccia la sua freddezza e il modo in cui tienele distanze. Non posso né scusarmi, né fingere che nonsia successo niente. Penso che… mi concentrerò sualtro. Oh, dopodomani vado a cena da mia mamma: ha

invitato anche te, se vuoi venire.Silenzio.Spensi il monitor e me ne andai a letto.

La figlia del diavolo (Laura Goodman, studentessauniversitaria di Dinkytown) entrò con passo disinvoltonel Dunn Brothers alle cinque e due minuti. Dopoavermi salutato con la mano, parlò per qualche secondocon il tizio dietro il bancone (che sbavò come unanimale, notai), poi venne da me.

– Scusa per il ritardo – disse col respiro affannoso,stringendomi la mano per l’ennesima volta. – Scusadavvero, è tanto che aspetti? Scusami.

– Non importa, Laura. Secondo il mio orologio seipuntuale. – Sembrava così dispiaciuta e così sincera,che volli rassicurarla a tutti i costi. – Siediti.

– Grazie. Tra poco arriva la mia cioccolata.– Non ti piacciono i sapori decisi, eh? – chiesi,

indicando il mio espresso-con-doppio-cioccolato-e-panna.

– Oh, non bevo la caffeina dopo pranzo: la mattinadevo alzarmi presto per lavorare.

– Lavori anche?– Anche? Oh, giusto. – Mi rivolse un sorriso. Non

un sogghigno, non una smorfia beffarda, non alzò unsopracciglio da saputella: un sorriso gentile. – Ieri mi haiseguito per mezza sera.

– Ehm, già. Inutile negarlo, ormai.– Mio padre dice che i bugiardi dopo un po’

cominciano a credere alle loro bugie, quindi la tuasincerità è positiva.

– Sì, tuo padre… Ehm, senti, a proposito diquesto…

Lei si protese a prendermi una mano tra le sue, poi lalasciò andare di colpo. – Dio, è freddissima! Ticonviene bere qualcos’altro di caldo!

– Scusa, problemi di circolazione.– No, scusa tu. Spero di non averti offeso: non

dovevo dirtelo così bruscamente.– Non preoccuparti, Laura. – Non poteva essere

vera! Gentile-come-in-Minnesota era un conto, ma leiapparteneva a un gruppo a sé. – Ascolta…

Laura si chinò in avanti col suo bellissimo viso,illuminandosi. – Riguarda la mia famiglia, vero? La miavera famiglia. – Dopo una pausa, aggiunse: – Scusa se tiho interrotto.

Rimasi di sasso. – Come facevi a saperlo?– Be’. – Il barista le portò una tazza di caffè, bianca,

grande come la mia testa, piena fino all’orlo di pannamontata con sciroppo di cioccolato. Lei gli sorrise eprese tra le mani la cioccolata calda più abbondante delmondo. – Ieri sera, quando te ne sei andata, ti hopensato molto. Sei alta, come me… anzi, qualchecentimetro più alta di me… In tutta la mia vita, nonavevo mai conosciuto una donna più alta di me. E seibionda, abbiamo entrambe gli occhi chiari… ed eri cosìmisteriosa, ma anche gentile… Mi hai fatto pensare.

– Oh, allora sai… dell’adozione?– Sì, ovvio. Mamma e Papà me ne hanno parlato:

tra tutti i bambini nel mondo, hanno scelto proprio me –

spiegò con il sorriso per quel ricordo. – È stato Dio aportarmi da loro.

– Giusto. – Dio, ah-ah. – Be’, poco tempo fa…cioè, questa settimana… ho scoperto qualcosa su di te,e ho fatto delle ricerche. – Insieme a dei vampiri. Egrazie a un oscuro libro rilegato in pelle umana. No, nonc’entrava la chimica. – Ti ho rintracciata e… non lo so.– Davvero non sapevo dove andare a parare con queldiscorso. – Volevo solo conoscerti, poi credo che…

– Sei mia sorella, vero?– Per metà – precisai subito. Non avevo neanche

una goccia di sangue in comune con Ant, né con ildiavolo. Biologicamente, Laura era figlia di Ant, masenza lo zampino di Satana non sarebbe mai nata. –Abbiamo lo stesso padre. – E mi spiace veramentetanto, Laura.

– Be’, mi fa proprio piacere conoscerti! – esclamò,e impulsivamente mi mise le braccia al collo. Per poconon gliele spezzai, ma subito dopo capii che mi stavasolo abbracciando, non attaccando. – Sul serio –sottolineò, entusiasta.

Così da vicino, sentii profumo di… vaniglia?

Ovviamente l’avevo già captato, ma dato che eravamoin un caffè…

– Grazie – dissi, liberandomi garbatamente. – Anchea me. Ti hanno mai detto che sai di biscotti?

– Uso l’estratto di vaniglia al posto del profumo.Costa poco e non viene testato sugli animali.

– Hm. Una cosa intelligente.– Me lo dicono in tanti. – Sorseggiò la cioccolata e,

ignara dei baffi di panna, continuò: – Sono all’universitàcon una borsa di studio. Cos’altro posso dirti? Cosavuoi sapere?

– Come sono i tuoi?Laura si pulì il labbro con il dorso della mano,

asciugandola in seguito con il tovagliolo. – Favolosi.Papà fa il pastore nella chiesa presbiteriana di InverGrove…

– Tuo padre è un pastore? – esclamai, cercando poidi soffocare lo shock e lo sbigottimento. Pensavo che ildiavolo fosse nei dettagli. – È… fantastico.

– Già. Mamma fa la casalinga e si occupa di me. Maadesso anche lei viene a scuola! Dopo che sono andatavia di casa, ha pensato di riprendere il corso di

infermiera: studiamo insieme all’università! Oh, deviassolutamente venire, non vedranno l’ora di conoscerti!

– Sarebbe… – Stranissimo, incredibilmenteinquietante, terribilmente inopportuno. – …bello.

– E tu, Betsy? Cosa fai nella vita?Dio mi è testimone: non ne avevo la più pallida idea.

E non potevo raccontarle tutta la mia vita: era stata cosìdolce, le avrei solo rovinato la serata. La giornata, ilmese seguente. La vita intera. Decisi quindi di fare unpasso alla volta. – Io… gestisco un… locale notturno.Anzi, un bar. Si chiama Scratch, sono la titolare.

– La titolare?– Be’, l’ho ereditato. Da qualcuno… – Che ho

impalettato. – Comunque, sì, è mio. Voglio dire, èquello che faccio. – Non avevo sollevato dei sospetti,vero?

– Mi piacerebbe tanto vederlo.– Magari, un giorno, ti ci porterò. – Ah! La figlia del

diavolo che faceva un salto nel mio locale per non-morti. – Sembra… che la situazione non ti turbi affatto.

Dovevo ammetterlo, mi ero aspettata tutt’altro:insulti, minacce di morte da far accapponare la pelle.

Non una piacevole chiacchierata a Dinkytown.Il Libro mi aveva messo in guardia, ma senza

sottolineare la sua innocenza.– Mamma e papà non mi hanno mai nascosto le mie

origini – mi stava dicendo.Fino a un certo punto, tesoro. – Sì?– Adesso che abito da sola, volevo fare delle

ricerche per conto mio. Io voglio bene a mamma epapà… ovvio!... però ero curiosa, sai? Avevotantissime domande, ma non volevo mancare dirispetto.

– Ti capisco benissimo.Mi rivolse un largo sorriso, che dovetti ricambiare

perché lei era così gentile e riconoscente. – Mi haiappena risparmiato un sacco di lavoro.

– È proprio bello conoscerti.– Anche per me.– Ho sempre voluto avere una sorella.– In realtà, anch’io: i miei si sono separati quand’ero

piccola…– Mi spiace.– Grazie. Comunque, mi sentivo sola, e se non fosse

stato per la mia amica Jessica non so cosa… – Parlaredi Jessica mi chiuse la gola. Come potevo raccontare aLaura… tutta la verità? Su di me, sul mio recentecomportamento, sul fatto che anche lei presto sarebbecambiata? Come potevo chiederle di non conquistare ilmondo? – Adesso siamo nel mezzo di una battaglia –conclusi.

– Se posso chiedere… Betsy, spero di nonoffenderti…

– Va’ avanti, sono entrata io nella tua vita.– Quando… i tuoi si sono separati… è stato a causa

mia?– Oh, no no no – la rassicurai. – Be’, forse sì. Un

pochino. Ma non è colpa tua; cioè, eri appena un feto!Ma quando mia mamma ha capito che papà latradiva… le cose sono precipitate.

– Oh. – Abbassò lo sguardo. – Non so comereagire a questo. Mi fa star male sapere che mio padrebiologico era infedele, ma se non avesse…

– Non rimproverarti – le consigliai da vera sorellamaggiore. – Fidati: nella vita ti succederà abbastanza,senza addossarti colpe per cose in cui non c’entri

niente.Laura sollevò la testa e mi sorrise di nuovo. –

Davvero io… Oh, cielo, chi è quello?Mi girai. Era appena entrato Eric Sinclair… non per

prendere un caffè, ci scommettevo. Mentre io e Laurachiacchieravamo, il sole era tramontato.

– Lui è il mio… – Osservai la perfezione e labellezza di Laura, il modo in cui lo mangiava con gliocchi; ricordai (come se potessi dimenticarlo) ildisinteresse di Eric negli ultimi giorni, e lo dissi. – Il miofidanzato.

Non era letteralmente la verità: secondo il Libro, erail mio consorte, mio marito, e il mio re. Ma prima avevosempre rifiutato l’idea, convinta che non fosse nienteper me, tranne l’ennesimo vampiro in una città piena diquelle dannate creature.

– È il tuo fidanzato?– Già, il mio fidanzato fisso. – Mi stavo scavando la

fossa da sola! Ma nonostante tutta la gentilezza diLaura, non volevo che la figlia del diavolo pensasse cheil re dei vampiri era libero da impegni. E viceversa.

– Elizabeth. – Eric comparve di colpo davanti a noi,

vicino al nostro tavolo, facendomi sobbalzare e quasiversare il caffè sulla vetrina. Teneva in mano un grandebicchiere di polistirolo con una cannuccia che spuntavadal coperchio, un bicchiere che sapeva di fragola.Quell’uomo andava pazzo per i frullati.

– Ciao Sin… Eric. Ah, Eric, lei è mia sorella, Laura.Laura, ti presento…

Eric sollevò un sopracciglio.– …Eric – terminai dopo qualche secondo. Non era

stata una breve pausa terribilmente imbarazzante, vero?– Incantato.– Ciao – rispose lei, abbagliata, e rimase a bocca

aperta anche quando gli strinse la mano. – Santo cielo,avete tutti e due le mani congelate! Vi siete propriotrovati, come coppia.

– Esatto! – commentai. – Ecco perché siamoperfetti: abbiamo entrambi mani e piedi congelati. Io eLaura ci stavamo raccontando la nostra vita.

– State insieme da tanto?Alle parole “state insieme”, Sinclair sollevò l’altro

sopracciglio, e non potei biasimarlo: insieme avevamofatto poche cose, tra le quali non c’era mai stato un

vero appuntamento. – Sei mesi – rispose, e si sedette.Dopo una pausa, osservò: – Sai di biscotti e dizucchero.

– Usa l’estratto di vaniglia al posto del profumo –spiegai. – Per la felicità dei nostri amici animali.

– Oh, sì, i nostri amici animali. – Sentì a malapena lamia voce. – Oh, Laura Goodman: un bel nome per unabella ragazza.

Intervenni: – Eric è vecchio. Molto, molto vecchio.– Ehm… davvero? – chiese lei. – Eppure non

sembrate avere più di trant’anni!– Tonnellate di lifting facciali. È un fanatico della

chirurgia estetica, sto cercando di farglielo superare –mi difesi quando mi rivolsero strane occhiate.

– Stavo dicendo a Betsy che ai miei piacerebbeconoscerla, e devi assolutamente venire anche tu.

– Ne sarei onorato, Laura.– Già – mormorai, mentre loro due si fissavano. –

Fantastico.

– Scusi se la disturbo – ripeté Alice per la terzavolta, – ma volevo farglielo sapere.

– Va tutto bene, Alice. Non è colpa tua: sonopersone, non animali, perciò bisogna pensare cheabbiano un cervello umano. E avrei dovuto capirlomolto tempo fa.

– La colpa è solo mia, Maestà.– Bisogna catturarli e impalettarli – consigliò Sinclair,

annoiato.– Ne avevamo già discusso – replicai.– Sì, penso.Non ero d’accordo con la sua idea di uccidere i

Mostri, ma non mi divertiva neanche il suo tonoannoiato.

– Non c’entrano tutti – spiegò Alice, – soltanto uno.– Fammi indovinare: George?– Sì, signora.– Grandioso. – Un modo perfetto per finire la

nottata: la figlia del diavolo era dolce come il miele;Sinclair aveva dato la netta impressione di volerneassaggiare un po’; io ero nei casini; e George erascappato per l’ennesima volta. – Grandioso davvero.

– Lo troveremo, signora.– Okay, be’. Allora chiamami, se si fa vivo.– Lo farò immediatamente, Maestà.– Spalanchiamo bene gli occhi, va bene? Non

letteralmente. E nel frattempo, pensiamo a come tenerlobuono: gli altri non vogliono scappare, è solo George ilproblema, perciò scopriamone il motivo, in modo dadargli quello che vuole qui, in questo posto. Non sarà ilpiano più avvincente del mondo, ma cominciamo così.

– Sì, Maestà.– Grande – commentò Sinclair, poi mi rivolse un

lieve sorriso.

– Perché mi segui dappertutto? – brontolai. Dopoessere tornati a casa con le nostre auto, infatti, avevocominciato a sgridare Eric nel prato antistante. – Neavevo già abbastanza di affrontare la figlia di Satana,senza che tu te ne saltassi fuori all’improvviso!

– Ma io stavo seguendo lei, non te – precisòfreddamente.

Merda, era quello che temevo. – Perché?– La trovo una creatura affascinante. E non c’era

puzza d’inganno, vero?– N…– Tutto quel potenziale potere, la conquista del

mondo, racchiuso in un involucro così delizioso. Unaragazza dalle buone maniere che non ne ha la minimaidea. – Si stava praticamente sfregando le mani. –Sfruttare quel potere… se solo riuscissi…

– Se solo riuscissimo.– Sì, sì. Davvero, un dilemma interessante.– Super – commentai, mascherando l’acidità nella

mia voce. Più o meno. – Senti, una cosa alla volta.Adesso dobbiamo risolvere le cose con Jessica etrovare George.

– Come hai chiarito in passato – mi ricordò, – sonoproblemi tuoi, non miei.

Non dissi nulla per un secondo, fu come se unterrore freddo mi attraversasse il cuore. Avevo passatosei mesi a respingerlo, e quando ci ero riuscita, avreivoluto il contrario. Il che era da malati mentali.

E mi sentivo infelice, ma anche arrabbiata.D’accordo, era stata tutta colpa mia, ma lui era unvampiro di ottanta e passa anni: non aveva maicommesso un errore in vita sua?

Ritrovata la capacità di parlare, lo aggredii. Megliocosì, piuttosto che sentirsi la più sfigata sulla faccia dellaTerra. – Senti, stronzo. La pianti per un secondo di farelo scontroso, e mi dai una mano? Ti chiedo troppo,cazzo? Se non vuoi ammettere di avercela con me,allora ti conviene comportarti da cattivo e basta. Nonpuoi avere entrambe le cose.

Lui mi fissò, imperturbabile. – Ti… stupiresti… sesapessi cosa posso avere – replicò, prima di voltarsi.

Ma io cercai di riprenderlo, tirandolo per la manica.– Non andartene via così! Tu…

– Hai sentito qualcosa? – chiese, scrollandosi di

dosso la mia mano come se niente fosse. – C’è stato…Poi sparì, sbattuto di lato di qualche metro.– Eric! – esclamai, come qualunque eroina inutile

nella storia del cinema, quindi cercai di bloccare il suoaggressore. – Mollalo! – Ma ti ringrazio.

Afferrai per il collo qualunque cosa fosse… sempreche l’avesse, il collo… ma all’improvviso, esso sistaccò da Sinclair e si raddrizzò.

Di nuovo… sempre di più. Era alto, quasi incurvato,con lunghe ciocche di capelli incollati che gli coprivanola faccia, e degli abiti logori (jeans sporchi e una T-shirtdi un colore indefinibile). Piedi nudi. Dita sporche.

– George! – boccheggiai.– Che cosa fantastica – commentò Sinclair,

rimettendosi in piedi e spolverandosi i vestiti. Non gliavrei detto delle foglie tra i suoi capelli. – Ci ha seguito.O ha seguito te.

– Me?– Ti sono molto affezionati e devoti, se non l’hai

notato quando hanno ucciso Nostro – disse, come sepotessi dimenticarmelo.

– Oh, chiudi il becco. George, sei stato molto, molto

cattivo a scappare – lo rimproverai, muovendo un ditosotto il suo naso. Rimasi sconcertata dal modo in cui isuoi occhi vacui lo seguirono. – Molto cattivo! Però seistato bravo a fermare Sinclair che faceva lo stronzo,perciò siamo pari.

– Che? – Sinclair mi rivolse un’occhiataccia. –Come puoi dire…

– Zitto, idiota. Sai cosa facciamo, George?Chiamiamo Alice, così viene a prenderti. Bravo.

– No, no! – si oppose Sinclair, che almenomostrava di nuovo interesse. Ma non mi smosseminimamente.

– E mentre la aspettiamo, ti farai la doccia.– Elizabeth, mi oppongo.– Davvero?– Sì.– L’idea non ti piace proprio, eh?– No.– Bene. – Presa la mano fredda e sudicia di George,

mi allontanai e lui mi seguì.

Non lo feci entrare nella parte principale della casa,dove si aggiravano Jessica e Marc: non mi fidavo alasciare libero George come nel film Nata Libera.Perciò, aprii una delle porte del seminterrato, lo aiutai aspogliarsi e lo misi sotto la doccia.

A parte il buio nell’inquietante seminterrato, la docciasembrò piacergli: se all’inizio restò in piedi come unsalame coi capelli, dopo un momento si stiracchiò sottol’acqua calda. Lo lasciai da solo per qualche minuto, iltempo per correre a prendere dei vestiti di Marc (chenon mi sentì perché si stava facendo la barba, ma dopogli avrei spiegato).

Tornata nel seminterrato, vidi che George stavascrollando i capelli sotto il getto d’acqua, e gliela lasciaigodere per altri dieci minuti; quasi mi dispiaceva l’ideadi chiuderla: vederlo pulito e felice mi fece intravederecome fosse stato da uomo. E sotto lo strato di fangonon era neanche brutto: alto, magro, con lunghe bracciae lunghe gambe atletiche, ampia schiena, e un bel culostretto. Aveva un viso pallidissimo, un’espressioneinnocente e sincera, e labbra sottili. Sembrava unnuotatore, in realtà; aveva i piedi grandi, e anche altrecose grandi… ehm… ma cercai di rimanere distaccata.

– Allora, come mai mi hai seguito? – chiesi.Sorpresa: non mi rispose.– È strano, ma anche dolce. Pensavi che fossi in

pericolo. – Ridacchiai, ripensando a Sinclair che venivaquasi scaraventato fuori dalle sue scarpe, sul prato. –Be’, Alice sta arrivando, perciò presto tornerai a casa.

Chiusi l’acqua, che cominciava a raffreddarsi, e loavvolsi in un enorme telo da spiaggia. Fredda comeun’infermiera, lo asciugai in fretta e, dopo avergli messoaddosso uno dei camici di Marc, lo pettinai. Alla luce,vidi che i capelli, castani con dei riflessi biondi, gli

arrivavano sotto le spalle (strano: ai vampiri noncrescevano); era morto coi capelli lunghi, allora.Cos’aveva fatto, da umano? Il batterista rock? Il pilotadi moto da corsa?

– Ecco fatto! – esclamai, indietreggiando perammirarlo. – Stai benissimo. Se la smetti di rotolarti nelfango, puoi quasi passare per una normale creaturadella notte.

– Maestà? – mi chiamò Alice (forse non avevosentito la macchina per il rumore della doccia). – Il remi ha detto che era qui.

– Sì, vieni pure, Alice. – La udii scendere piano lescale, pronta a sentire una ramanzina: era difficilericordare agli altri che io non ero Nostro con le mêches.– Guarda chi ho trovato! Non è bellissimo?

Lei lo fissò. – George?– In carne e ossa. – Allungai (di molto) il braccio e

gli arruffai i capelli. – Mi ha pedinato fino a casa,oppure ha seguito il mio odore. Avresti dovuto vederlocon Sinclair! È stato grande. Irrispettoso – aggiunsi,rimproverandolo per finta, – ma grande.

– Maestà, mi sp…

– Alice, per la miseria, so che ti dai da fare.Piuttosto, dovrei affiancarti qualcuno. – A quale altrovampiro potevo affidare quel noioso e importantelavoro? Forse ne avrei trovato uno allo Scratch.

Alice nel frattempo gli girò intorno, e fu in gambapoiché dovette entrare nella doccia. – È… diverso daprima. Non solo perché si è lavato.

– Merito del camice, che lo rende più bello.– Nooo, con tutto il rispetto, ma non penso che sia il

camice. – Alice ci guardò e aspettai di sentire un’altrateoria. Con la gonna a quadri e la fascia per capelli,sembrava una pudica quindicenne quando aveva unacinquantina d’anni. E non era neanche stupida. – Ah,be’.

Tutta lì, la sua grande teoria?– Le abbiamo già rubato abbastanza tempo, stasera,

Maestà. Vieni, George – disse, afferrandoglil’avambraccio. Ma lui lo ritrasse così in fretta, che Aliceper poco non cadde nella doccia, poi le mostrò i denti,senza ringhiare.

– Oh-oh.Sorpresa, mormorai: – Forse vuole stare qui con me.

– Senza “forse”. Se mi aiuta a portarlo fino allamacchina…

– Sai una cosa? Lascialo pure qui.– Maestà, lei abita in città: non so se sia un’idea

saggia. Potrebbe…– Avrebbe già avuto l’occasione di aggredire

qualcuno. Non ha fatto niente nemmeno a Sinclair, aparte dargli uno spintone… Trovato! Gli farò bere ilmio sangue, così potrà stare nel seminterrato per unpaio di notti.

– Il suo sangue?Alice non mi offese con quella reazione: si sapeva

che non ero una vampira molto propensa a offrire il miosangue, e infatti, a eccezione di Sinclair, la cosa mifaceva ribrezzo.

Be’, Sinclair era un capitolo chiuso! Il passato!Dovevo guardare avanti. E dato che c’ero, che andasseal diavolo anche Jessica. Avevo due nuovi amici: la figliadel diavolo e George il Mostro.

Non mi soffermai su quell’idea ridicola, ma mi morsiun polso finché non sgorgò il sangue e lo tesi versoGeorge.

– Quefto dovrebbe andar bene – gli dissi. Non houna vita strana e orribile. Non ho una vita strana eorribile. Non ho…

Con i capelli quasi lucenti contro i tetri mattoni delseminterrato, Alice commentò: – Devo ammettere che,quando mi sono svegliata stasera, non avrei mai pensatoche sarebbe andata così.

– Ftai attento, piccolo. – George mi aveva afferratoil braccio: dopo aver leccato il sangue, succhiava comeun bimbo con un Chupa-Chups. – Una forprefa dopol’altra.

Quando Alice se ne fu andata con riluttanza, miriappropriai del braccio e presi delle salviette per fareuna cuccia per George in una stanza del seminterrato, diquelle senza finestre; quando salii a prendergli uncuscino, vidi che fuori dalla finestra l’oscurità totaleaveva assunto una tonalità grigia, poi gli misi addossouna coperta di lana, presa da un armadio. George eragià disteso sulle salviette e dormiva come un ghiro.

Una volta chiusa la porta (la compassione era unacosa, ma l’imprudenza un’altra) andai in camera mia.

Di certo avevo passato una nottata surreale, sia

positiva sia negativa, tuttavia la vidi come uno stimolo.

– …Ecco la cosa strana – dissi al baby monitor. –Non è questa cattivissima creatura che immaginavo, mauna gentilissima studentessa universitaria specializzata ineducazione, per l’amor del cielo! Quando sarà grande,vuole insegnare all’asilo. Probabile che, se si taglia, leesca sciroppo d’acero dalle vene.

«Da un lato sono sollevata, dall’altro non possolasciarla scorrazzare senza sapere di essere cattiva. Miconviene dirle tutto… uno di questi giorni. Ma come faia dire a qualcuno che sua mamma è il diavolo? Sarà giàdura sapere che Ant è sua mamma!

«E poi, non dimentichiamoci del Libro: ho letto che il

diavolo prima o poi deve manifestarsi… suppongo informa femminile… e lo farà con Laura, poveretta, e conme! “Con il vestimento delle tenebre”, non so checavolo significa. Non posso tenerglielo nascosto,giusto?

Silenzio. Jess mi stava almeno ascoltando? Boh. Lasua auto era in garage, ma chissà che fine aveva fattolei?

– Giusto. Bene, questo era il riassunto. Altra cosa:nel seminterrato al momento ci abita uno dei Mostri,quindi non scendere durante il giorno. Anzi, nonscendere mai e basta. Ascolta, se vuoi conoscereLaura, fammelo sapere: è dolcissima, presto m’inviteràa cena. Insieme a Sinclair, purtroppo, ma a questopenserò dopo. Ciao.

Spento il monitor, rimasi seduta a riflettere al tavolodella cucina. Tina entrò, facendomi un rispettoso cennodel capo: risposi con la mano, continuando a riflettere.Jessica era ancora furiosa… e cosa peggiore:spaventata. Infatti non si era mai nascosta per giorni (enotti) dopo i litigi passati, di solito mi gridava in facciache avevo sbagliato, e lo ripeteva in caso di necessità.

Mia sorella se ne andava in giro nel campusdell’Università del Minnesota, ignara del suo destino.Sinclair mi guardava ancora con occhi gelidi. Ant erasempre incinta. Solo Marc sembrava più o meno ugualea prima, ma a causa degli orari di lavoro ci eravamoincrociati poco.

Giselle, la mia gatta, entrò in cucina e, dopo averciignorate, si diresse verso la sua ciotola. Nonl’accarezzai, né coccolai. Io e Giselle avevamo unrapporto di lavoro: io le davo da mangiare, leim’ignorava. E in quell’enorme casa, potevano passaregiorni senza vederla, perciò la rifornivo di acqua e dicibo, e lei si faceva gli affaracci suoi.

Be’, qualcuno almeno conduceva la vita di sempre.– Che vita di merda – commentai, – di nuovo.– Mi spiace di sentirla parlare così, Maestà – disse

Tina, alzando lo sguardo dal giornale Outdoor Life.Andava pazza per le armi. – Di sicuro troverà il mododi risistemare tutto.

– Risistemare? Tina, quando mai è andato liscioqualcosa?

– Brutta scelta di parole – ammise, girando pagina.

Lessi al rovescio il titolo dell’articolo: “Cacciaall’antilope in Montana”.

– Tra l’altro, ho la sensazione di dimenticarmiqualcosa. – Ci pensai a lungo. – Che diavolo è? –Monique? Morta. Sorella? Amicizia. Lo Scratch?Ancora in rosso. Ma a quel punto mi venne in mente:Monique aveva assunto un manipolo di ammazza-vampiri brufolosi, l’estate precedente. Me n’erodimenticata, da quando non cercavano più di staccarmila testa. – Che fanno ultimamente i Blade Warriors?

– Jon è ancora alla fattoria dei suoi; Wild Bill è fuoricittà, al raduno della Fantascienza; gli altri, non ne hoidea, ma sinceramente, da quando non vogliono piùucciderci, ho perso interesse nelle loro attività.

Condividevo in pieno. – A parte Ani – commentaifurbescamente.

Tina sorrise. – Be’, abbiamo dovuto prendere stradediverse, ma era una ragazza molto affascinante.

– Sì, affascinante. Stiamo parlando di quella cheaveva più coltelli che minigonne, vero? Nonrispondermi. Okay, non mi stava sfuggendo questo…Ma cosa?

– Voleva comprare delle scarpe nuove per ilmatrimonio di Andrea e Daniel. Forse, tra gli ultimiavvenimenti, non…

– Il matrimonio di Andrea e Daniel! – esclamai, avoce quasi troppo alta, poi appoggiai la fronte sulfreddo bancone di marmo. – Oh, vaffanculo.

– Si è ricordata?– Quand’è? – chiesi con voce cupa.– Halloween. Una settimana da domani.– Fantastico. – Jessica, in teoria, avrebbe dovuto

aiutarmi con lo shopping: gliel’avrei ricordato con ilbaby monitor. No, lo sapeva: lei aveva una memoria dielefante, al contrario di me, solo che m’ignorava. Nonla biasimavo, ma quell’atteggiamento stava stancando.

– A-ha!– Non oso chiederle.– Chiederò a mia sorella di accompagnarmi per

negozi! Sai, è una delle poche persone sulla Terra a nonconsiderarmi un rifiuto.

– Maestà…– Tranquilla, Tina. Mi sto autocommiserando alla

grande.

Mi sorrise. – Si risolverà tutto, ne sono sicura. Chipuò resisterle troppo a lungo, mia regina?

– Grazie. È una strana affermazione, ma grazie.Di colpo, così veloce che a malapena la vidi, la sua

mano estrasse un coltellaccio da macellaio dal ceppo eme lo scagliò addosso. Mi preparai a schivarlo con unostrillo (o ci provai, almeno), ma non era per me.

George il Mostro ci guardò, sorpreso, sulla sogliadella porta, con il coltello conficcato nel petto.

– Merda – imprecò lei, alzandosi. – Indietro,Maestà…

– Smettila immediatamente di lanciargli armi nelcuore! – Mi precipitai verso George, che non sembravamolto turbato. – Sta bene. Tina, non vuole ucciderci!Accidenti, per fortuna non è un paletto di legno.

– Non l’ho neanche sentito, dannazione. – Nonl’avevo vista così turbata nemmeno quando mi tenevanascoste le cose su mia sorella, con la complicità diSinclair. – Stavo prendendo tempo, così lei potevaallontanarsi, e nel frattempo avrei trovato qualcosa dipiù adatto.

– Sono sollevata. – Okay, non era vero, ma cosa

dovevo dire? – Ottimo lavoro. Ma non lanciargli piùaddosso i coltelli.

Tina stava strabuzzando gli occhi scuri. – Mia regina,cosa ci fa nella nostra cucina?

– È uscito dal seminterrato; interrompimi se l’hai giàsentita, ma George è l’Houdini dei vampiri bestia!Dovrò mettergli una camicia di forza e una campana perle mucche. – Dopo averlo rassicurato con un buffetto,afferrai il coltello a denti stretti, e dopo mezzo secondolo estrassi dal suo sterno. Bleah!

George il Mostro canticchiò leggermente, ma per ilresto rimase immobile e non sanguinò.

– Oh cielo! – esclamò Tina. – Non se n’è neancheaccorto!

– Già, lo si può infilzare a piacere. Povero George!Ti fa male? Certo che no, altrimenti urleresti come unascolaretta. Ascoltami, tu devi stare nel seminterrato.

Tina si avvicinò per vedere la ferita. – Non sanguina.– Be’, è morto.– Eppure noi sanguiniamo. Non molto, in confronto

agli umani, ma sanguiniamo. – Si chinò in avanti…tuttavia quando George ringhiò, si ritrasse di scatto.

– Non ti conviene: gli piaccio solo io – le suggerii. –Anche Alice, ma d’altra parte gli dà da mangiare. –Anch’io l’avevo fatto, però: i Mostri avevano bevuto ilmio sangue la notte in cui era morto Nostro… eGeorge, la notte prima.

– È pericoloso – brontolò Tina.– Sì, sì, grazie per avermelo detto. Loro sono bestie

perché Nostro non le nutriva, vero?– Sì.– Be’, io li ho nutriti. Alice dà loro secchi di sangue,

presi dal macellaio, ma non è sangue vivo. Sono gli unicivampiri che sopravvivono con… come si puòdefinire?... il sangue morto? Non più fresco? Forse èper questo che restano animali. Ieri notte ho fatto bere ilmio sangue a George, e adesso se ne va in giro e…be’, ci spaventa, ma guardalo! Non striscia, cammina.E ieri notte è rimasto in piedi nella doccia.

– Ho capito dove vuole arrivare.– Bene, perché io non lo so proprio… Riflettevo a

voce alta. – Osservai di nuovo il suo petto. – Vedi, nonsanguina come me e te: bisogna forse… non so…incrementare la quantità? Magari posso anche curarlo!

– E magari pensarci su ancora un po’, prima… Oh,Maestà – mi sgridò, vedendo che mi mordevo il polso.– Come direbbe lei stessa: bisognerebbe rifletterci su,invece sta facendo l’esatto contrario.

– Dov’è finito il tuo spirito di avventura?– Si è esaurito durante la Seconda Guerra Mondiale

– rispose, sarcastica. Nel frattempo George misucchiava premurosamente il polso, canticchiando.

– Sembra… familiare.– I Beastie Boys! Brass Monkey!– È un buon segno?– Boh, è una canzone. Sa stare in posizione eretta e

cantare le canzoni rap. – Funzionava! Avrei curato nonsolo lui, ma anche tutti gli altri. E Laura non avrebbeinvaso la Terra. E Sinclair, dopo avermi perdonato,sarebbe venuto ancora a letto con me. E Jessicaavrebbe smesso di tenermi il muso e di temermi, esarebbe venuta a fare shopping. Tutto stava andandoalla grande!

– La festa della sua matrigna non è domani? – chieseTina, e di nuovo mi sentii depressa.

– …E poi ho dovuto tenere il discorso di commiatodavanti a tutti i bambini, perché avevo preso il voto piùalto. Poi, in attesa di iniziare l’università in autunno, holavorato da Goodwill come volontaria, oltre che daTarget e SuperAmerica.

Reprimendo uno sbadiglio, mi misi il telefono all’altroorecchio. Se mi avessero detto che la figlia del diavoloera anche noiosa, oltre che gentile… – Hm. E dopo?

– Ti ho raccontato tutto. Vado ancora a scuola, nonmi è maia successo niente di che.

Aspetta un po’ di tempo, tesoro.– E tu? Cos’hai fatto nella vita? Quanti anni hai,

venticinque?Mi misi a ridere. – In realtà ne ho compiuti trenta ad

aprile. E la mia è una carriera variegata: modella,segretaria, cameriera…

– E adesso gestisci un locale?– Sì. – La notte precedente avevo dato un’occhiata

al bilancio: eravamo decisamente in rosso (tra l’altro, miaveva scioccato il costo degli alcolici, per non parlaredelle bollette), ma ero sempre riuscita a pagare i debitivecchi con altri prestiti. Senza l’aiuto di Jessica non cel’avrei più fatta, però faticavo già a chiederle dei soldiquando non era scocciata e spaventata. – Vedremocome andrà.

– Raccontami dei miei veri genitori.L’ultima cosa che avrei voluto fare! Bevvi in fretta il

latte caldo, cercando di non far cadere il telefono.Laura mi aveva chiamato nel pomeriggio, quand’ero inpiedi da circa un minuto: tre e mezzo, evvai! Un nuovorecord! Magari un giorno mi sarei alzata a mezzogiorno.– Ehm, be’… ci sono talmente tante cose, da dovecomincio? Eh…

– Potrò conoscerli, un giorno? Non vorrei

scombussolare la loro vita, di sicuro mi hanno dato viaper il mio bene, ma preferisco non metterli a disagio.

– Tieni presente che papà non sapeva neanche dellatua esistenza, se non dopo l’adozione. – Perché l’avevosottolineato? Volevo che papà le piacesse, per caso?Oppure, ero terrorizzata dalla prospettiva di parlarle deldiavolo, che volevo prima offrirle un appiglio positivo.

– È vero, Betsy. E so anche che mia madre era dasola… Poverina, sarà stata preoccupata! Senzanessuno a cui rivolgersi… Magari ha chiesto consiglio alpastore.

Al pastore, all’allibratore, boh. – Sì… poverina. –Mi venne in mente un’idea stupenda (o terribile). – Ehi!Ti piacerebbe conoscerli entrambi? Oggi pomeriggio? –La festa iniziava alle…

Controllai l’ora: mancavano venti minuti. Be’,saremmo arrivate favolosamente in ritardo.

Mi rispose un felice squittio da parte di Laura.

– È rimasta incinta di nuovo? – domandò Laura,guardando la casa di Ant, troppo-grande-per-due-

persone. – Alla sua età?– Non è così vecchia – replicai, sistemandomi il

rossetto allo specchietto. Chissà perché me nepreoccupavo, accanto alla bellezza fresca e abbacinantedi Laura.

Era bellissima, con i capelli divisi in due trecce le cuiestremità arrivavano all’altezza dei seni, la frangettaperfettamente allineata con le sopracciglia. Portava unacamicia bianca (doveva averne un armadio pienozeppo) e una gonna svasata blu navy, senza collant, condelle scarpe basse e nere. Bene, Isaac Michener; male,collezione Target. Sembrava uscita da Il Tocco di unAngelo, io da un vecchio episodio di Nip/Tuck.

– Sono emozionata!– Oh, lo sarà anche lei – mentii. – Adesso andiamo.Bussammo con gentilezza, ma dato che era una festa,

aprimmo la grande porta principale da sole. Il cortileera pieno di macchine, e sulla destra udii un insieme divoci. Ant venne subito a salutarci, ma non appena mivide il suo sorriso svanì: dopo aver visto che fuori dallefinestre dietro di me c’era il sole, mi fissò di nuovo, poiguardò di nuovo fuori.

– Sorpresa! – esclamai.– Congratulazioni – disse Laura.Ant deglutì, quindi fece una smorfia che doveva

essere una specie di sorriso. – Grazie per esserevenute. Betsy, sai già dove mettere le giacche.

Laura mi consegnò il trench color senape, lungo finoal ginocchio. (Sarà una frase terribile, ma su di lei stavabene. Probabilmente le sarebbero state bene anche letende della cucina.) Lo appesi nell’armadiodell’ingresso.

– I regali… potete lasciarli in salotto. Sul tavolo.La informai con esultanza: – Non abbiamo portato

nessun regalo. Solo la nostra brutta persona.Ma Laura mi corresse. – Ce l’abbiamo, un regalo. –

E vidi la piccola confezione blu di Tiffany, con il classicofiocco bianco.

L’espressione di Ant espresse sollievo, e quasi sentiile parole nella sua testa: “Non tutto il male viene pernuocere!” Dopo averle letteralmente strappato di manoil regalo, sciolse il fiocco: all’interno c’era un cucchiainod’argento.

– Oh, ma è… bellissimo. Grazie, ehm…

– Laura Goodman, signora. Sono un’amica diBetsy.

– Be’, potete venire a mangiare la torta – disse Ant,in tono quasi bisbetico. Ma con cordialità disse a lei: –È bello che tu sia venuta.

Sorpresa: Laura la Grande aveva sconfitto laseconda peggior creatura dell’universo! E da dov’erasaltato fuori il regalo? Andava all’università con unaborsa di studio: di sicuro non teneva nell’armadio unamontagna di regali di Tiffany.

Un’eternità dopo, verso le sette di sera, gli ospiticominciarono a prendere le giacche; Laura e Antchiacchieravano come vecchie amiche: la prima si eragià fatta un’idea positiva della sua vera madre, daicapelli chiari, al maglione di lana color pastello, alledécolleté taroccate. Per il solo piacere di sentire le urla,io ero pronta a mordere chiunque tra quegli aspirantiscalatori sociali che si attribuivano tanta importanza:credetemi, un morso sul collo sarebbe stato un favore.Non essere riconosciuta da nessuno di loro (anche perfinta) fu una delle cose più belle dell’ultima settimana.

– Passa pure quando vuoi – propose Ant alla figlia

del diavolo. A me non rivolse la parola, ma il suosguardo la diceva lunga.

– È stato bellissimo! – blaterò Laura mentretornavamo alla macchina. – Wow, che casa stupenda!E lei è così gentile! E carina, secondo te è carina? Avreivoluto dirle la verità… le bugie mi fanno star male. Ed èincinta!

– Non le hai mentito – la rassicurai, chiedendomiperché non saltava mai fuori un branco di vampiriaffamati quando ce n’era bisogno. – Noi siamo amiche,solo che ci conosciamo da poco.

– Oh, Betsy – continuò, stringendomi con unbraccio, – sei la migliore. Grazie per avermi portato qui,oggi.

– Mpf... – bofonchiai, o qualcosa del genere. –Senti, posso chiederti una cosa?

– Certo, qualunque cosa.– Come mai avevi pronto un regalo per lei?– Oh, l’ho comprato molto tempo fa – rispose con

una serietà che incuteva timore (e quasi nauseante). –Perché sapevo che un giorno avrei conosciuto la miavera madre. Il cucchiaio avrebbe dovuto essere per

me… una cosa simpatica, sai. Ma preferisco che vadaal mio futuro fratello, o sorella. Pensa, sono semprestata figlia unica, e adesso ne ho due!

– Super. – Io, che speravo quasi in una spiegazionesoprannaturale, restai di nuovo delusa.

– Bene, adesso devo fare i compiti: posso chiedertidi riaccompagnarmi a casa?

– Perché? È ancora presto. – Non avevo niente dafare, né una casa dove tornare. Tina aveva dato aGeorge una dozzina di gomitoli (!!!), che quando erouscita lui continuava a disfare, mentre lei lo osservavadivertita. Marc, come al solito, lavorava. Jessica sen’era andata, o almeno la sua macchina. Sinclair inveceera da qualche parte, ma non intendevo cercarmi dasola una dose di fredda malevolenza.

– Dio, Betsy, non lo so…– Oh, dai. Non vivi più con il pastore, Laura,

rilassati un po’. Davvero! E quelle trecce fanno un po’2002, o 1802. Ecco! Andiamo alla Pour House, così cibeviamo un daiquiri, parliamo di ragazzi, ci sballiamo unpo’.

– Non posso, Betsy.

– Per favoooore? – supplicai.– Non posso davvero: non ho ancora ventuno anni,

mi è vietato bere alcolici.– Oh, quello. – Lasciai perdere la legge. – Ti faccio

entrare io, non preoccuparti. – Qualunque buttafuori,guardando i miei occhi color muffa, non mi avrebberesistito.

– No, Betsy – si oppose con una fermezza che nonavevo mai sentito. – È contro la legge.

– Va bene, va bene – mormorai con un sospiro,prima d’illuminarmi. – Trovato! Andiamo a fareshopping! Il centro commerciale è aperto ancora per unpaio d’ore, e io devo andare a un matrimonio:potremmo cercare un vestito, delle scarpe…

– Non posso – insistette, dispiaciuta. – Non ho soldie non sarebbe giusto…

– Non importa, tanto… – Anch’io ero senza soldi.Di solito mi accompagnava Jess, che si offriva di

pagare, oppure raggiungevamo un accordo: per unmaglione di cashmere o un paio di sandali, avreidedicato un po’ di tempo al Foot, la sua organizzazioneno profit. – Hm… hmmm…

– Magari lo faremo, una sera.– Sì, okay. – Non potevo prendermela con Laura

per la mia misera vita. E poi, nonostante la suagentilezza, non poteva sostituire la mia migliore amica…o Sinclair. Avevo sbagliato a usarla per distrarmi.

– Aspetta! – esclamai, rischiando di passare colrosso. – Ci sono! Andiamo allo Scratch.

– Il tuo locale? – domandò, dubbiosa.– Sì. Prometto di non venderti neanche una goccia

di alcol: facciamo un giro, poi ti porto a casa. – E miero appena rimproverata perché la usavo come unafigurina dei giocatori di baseball?

– Be’… – Cominciava a cedere! I casi erano due: oi miei malefici poteri di persuasione vampiricafunzionavano, o era curiosa di vedere il mio locale. –Magari, solo un’occhiata.

– Urrà! – esultai, prima di sterzare a sinistra.

– Wow – disse Laura con gli occhi sbarrati. – È quidentro? Che carino!

“Qui dentro” indicava un edificio di arenaria ben

tenuto, che poteva sembrare una casa qualsiasi; eccoperché ne avevano fatto un bar per vampiri: l’aspettopoco appariscente.

– Parcheggio davanti all’entrata – annunciai, primadi mettere il freno a mano. Nessuno mi avrebbe rubatola macchina, in quel quartiere.

Laura mi seguì all’interno e rimase un po’ delusa nelvedere il locale poco movimentato. Era presto, circa lesette e mezzo, ma non c’era nessuno a parte un paio dicameriere vampire, e Denti Storti al bancone.

– Come vanno le cose? – scherzai quando DentiStorti ci venne incontro.

– Come prima, sign…– Ti presento mia sorella, Laura – lo interruppi. –

Chiamala pure Laura. Laura, lui è… – Mi erodimenticata di nuovo il suo nome! – …quello chegestisce il locale in mia assenza.

– Klaus, signora. – Lui si chinò verso la sua piccolamano pallida, mostrando una parte eccessiva del bianconegli occhi quando li roteò all’insù. Sembrava diguardare la faccia di un cadavere. – Incantato.

Grazie a Dio, Laura non notò quello spettacolo

disgustoso e, anzi, non rispose al suo fascino. Certo,Klaus non era granché affascinante, però… – Ciao –disse, stringendogli la mano. – Piacere di conoscerti.

La staccai con uno spintone da Denti Storti, che laguardava come se si fossero avverati tutti i suoi desideriin una volta sola. Ma che idea mi era venuta?D’accordo, ero io il succhiasangue capo e lei noncorreva pericoli, ma portare la mia dolce sorellina in unbar per vampiri? Mostrarla a Klaus e ai miei astiosidipendenti… Ero fuori di testa.

– Ah, Laura.Di scatto, mi voltai verso Sinclair. Incombeva su di

noi, nero, come un uccello da preda, e accorgendosisolo allora di me, disse: – Elizabeth. – Almenoricordava ancora il mio nome.

– Ciao – esclamò Laura, colpita. Comprensibile:con quei capelli, quegli occhi, quelle spalle… mmm. Epensare che era stato mio, e l’avevo buttato via… ehm,dormendoci insieme (credo).

– Che ci fate, qui? – domandò con una sfumatura dirimprovero.

Con il plurale si riferiva a Laura, ovviamente, ma non

volendo spiegargli che la disperazione e la solitudine miavevano spinto a fare qualcosa di stupido, risposi comesempre: – Perché non ti fai i cavoli tuoi per una buonavolta? Sono cavoli miei, non tuoi, se voglio portare miasorella nel mio cavolo di locale! – Stavo usando troppola parola “cavolo”? ’Fanculo. – Perciò, fatti i cavolaccituoi.

– Betsy! – esclamò Laura.– Sta’ buona. – Non mi servivano lezioni dalla figlia

di Satana/Signorina Brava Ragazza dell’Anno 2005.– Non dovrebbe essere qui, lo sai. Cosa ti è saltato

in mente?– Che dovresti farti i cavoli tuoi? – E smetterla di

seguire mia sorella?Laura disse con pudore: – Preferirei andare a casa,

adesso.Aprii la bocca, ma Sinclair mi batté sul tempo e mi

offrì un braccio: – Permettimi di accompagnarti, Laura.– Oh. Be’… – Mi lanciò un’occhiata, cercando o il

mio permesso o il mio aiuto, ma io alzai le spalle. – Vabene, sei molto gentile.

– È un onore.

Se ne andarono insieme.Era stabilito, allora: la mia vita era ufficialmente

orribile. Anzi, peggio: ero tentata di buttarmi da unpromontorio, se solo non fossi sopravvissuta. – Dammiun po’ di Dewar’s – ordinai a Klaus.

Lui replicò in tono compiaciuto: – Non posso. Nonha pagato gli alcolici, e li abbiamo finiti.

Ovvio.Depressa più che mai, tornai a casa.

Il mio cellulare squillò prima che potessi schiantarmicontro una vetrina. Jessica? Lo presi dalla borsa. –Pronto? Jess? Pronto?

– Ciao, Betsy. Sono io, Nick. Berry – precisò,come se potessi dimenticarmi un poliziotto diMinneapolis.

– Oh, ciao. – Mi sforzai di nascondere la delusionecon una battuta: – Chi è morto, stavolta?

– Varie persone, ma non ti chiamo per questo.Senti, non ho mai visto la tua nuova casa e ho appenastaccato: pensavo di passare a trovarti.

– Oh. Sono felice di vederti, Nick, ma perché

proprio adesso?– Be’… – Ci fu uno strano rumore di sottofondo e

capii che stava masticando una barretta Milky Way:Nick detestava le ciambelle. – Ti sembrerà un po’strano, ma ultimamente continuo a pensarti; deviammettere che la primavera scorsa sei quasi morta, c’èstato un finto funerale e…

– Sì, è stato un vero casino.– E l’estate scorsa, con tutti quei cadaveri… penso

che il killer se ne sia andato, perché da tre mesi non cene sono più… ma tu eri in mezzo e… Non lo so,pensavo che sarebbe stato divertente raccontarciqualcosa.

– Sì, sicuro. – Vieni nel mio salotto, ragazzone. Nonvolevo proprio che un poliziotto, il quale mi conoscevada una vita, ficcasse il naso nella Centrale dei Vampiridopo la mia morte, ma rifiutando si sarebbeinsospettito. – Sto andando a casa. Non devo dartil’indirizzo, vero, visto il tuo lavoro?

– Ci vediamo tra venti minuti.

Cercai di arrivare il più velocemente possibile, ma gliaiutanti di Jessica (il cuoco, il giardiniere, il tizio deigarage, quello del seminterrato, la signora del pianosopra e quella delle piante) mi avevano preceduto: lacasa era splendente e ci avevano appena passatol’aspirapolvere. La macchina di Marc non c’era, madato che vidi quella di Jessica, bussai alla sua porta.

– Jess? Il detective Nick passerà a salutarci; non èun bellissimo momento, ed è anche un poliziotto tral’altro… ma quando sei un vampiro, non è mai ilmomento adatto – mi dissi. – Se vuoi scendere, citrovi… – Dove? C’era un’area senza vampiri? – …inuno dei salottini, credo.

Nel seminterrato vidi Tina, che prendeva appunti auna certa distanza da George, mentre lui creavaall’uncinetto un’infinita catena giallo acceso. Era lungauna decina di metri, e al mio urlo lui non alzò losguardo.

– Gli hai dato un uncinetto? – Ma quando sentiiun’auto parcheggiare davanti alla casa, scappai senzaaspettare la risposta di Tina: George almeno si tenevaoccupato.

Aprii la porta e, dimenticandomi per finta di far fare aNick il giro della casa, ci godemmo la brezza nelpiccolo salotto vicino all’ingresso principale.

– Questo posto è straordinario – commentò,ammirato, e di bell’aspetto come sempre. Alto comeme, era biondo, con le spalle ampie e abbronzato.Ooooh, abbronzatura! Era così bello vedere qualcunocon un colorito vero sulle guance! – Tu e Jessica statefacendo strada.

– Ah! È lei che sborsa.– Be’, sì – mormorò con un sorriso da ragazzino, –

l’avevo pensato. Hai trovato un lavoro? Non che tiserva… – aggiunse, indicando la stanza.

Non mi serviva per il mio ruolo di regina, ma nonglielo dissi, così come gli nascosi dello Scratch: nonpotevo provare a un umano che l’avevo ereditatolegalmente, e non ci volevo uno sbirro a ficcanasare.

Nick non era un poliziotto qualsiasi e tra l’altro, nonsolo mi conosceva da tanto, ma dopo la mia morte erarimasto soggiogato dai miei poteri di vampira. Anche seSinclair gli aveva cancellato buona parte dei ricordirelativi alla primavera precedente, a volte mi

preoccupavo: chissà se gli era rimasto in mentequalcosa, o se prima o poi la magia di Sinclair avrebbeesaurito gli effetti.

Cambiai discorso. – Ti trovo bene, sei cosìabbronzato! Dove sei stato?

– Sono appena tornato da Grand Cayman, ci siamomessi insieme io e dei colleghi. Non è così caro, se si vain gruppo. È anche per questo che sono qui.

– Non posso venire a Grand Cayman con te –scherzai. Non volevo di certo mettere alla prova la mianuova abilità di stare al sole.

– No, no. – Certo che no: perché mai un uomogagliardo e in salute doveva uscire con un cadavere conle unghie dei piedi malmesse? – Un mio collega cercavauna riunione degli Alcolisti Anonimi, e mio fratellosapeva che c’era un bel gruppo al Thunderbird… sulla494? Comunque…

– C’eri anche tu la notte in cui ci sono andata –dissi, con un presagio. Strano che Nick facesse questecomparse nella mia vita: quante possibilità c’erano?

– Be’… sì, e non sono affari miei…– Una delle “A” significa “Anonimi”.

– Sì, lo so. Due anni fa, mio fratello ha fatto tutti idodici passi. Mi sono… solo stupito di vederti – spiegòa tentoni.

Lui si stupiva? La mia fortuna sarebbe mai andatadalla parte giusta? – Non mi piace parlarne – dissi, edera più o meno la verità.

– Certo, certo, certo – si affrettò a replicare. – Loso. Volevo solo dirti… che a volte è difficile, perché glialtri non capiscono, giusto?

– Esatto.– Volevo dirti che, sai, se dovessi aver bisogno di

parlare con qualcuno…Interrompendosi, mi rivolse un sorriso che fece

apparire delle rughette amichevoli vicino ai suoi occhi,molto carine, e per poco non piansi. Era più che belloavere lì qualcuno che si comportava in maniera gentilecon me e che si preoccupava per i miei problemi.

Be’, che ingiustizia: Laura era gentile; e Jessica si erasempre preoccupata per me, prima che le facessi delmale. Non era colpa di Laura se Sinclair si mostravainteressato a lei: quale uomo non lo sarebbe stato? Enon era colpa di Sinclair se per troppo tempo avevo

emanato vibrazioni negative.Quello che contava era che il povero Nick si

preoccupava, pur non sapendo niente. – Sei moltotenero, lo apprezzo davvero. – Mi si avvicinòlentamente sul divanetto a S color pesca. Oppure gliprudeva da qualche parte? – E prometto diricordarmene. Ma adesso non mi va di parlare dei mieistupidi problemi.

I miei incredibilmente stupidi e sciocchi problemi.– Volevo… solo dirtelo – sussurrò, poi mi baciò.Oh, ehi! No, naah! Per qualche secondo non lo

fermai, godendomi la sua calda bocca sulla mia, fredda.Il suo battito cardiaco mi rimbombava nelle orecchie, elui sapeva di cioccolata e di cotone.

Fu un bel momento, davvero. Sapevo di piacergli, gliero sempre piaciuta, e dopo la mia morte mi trovavaancora più attraente, ma cercavo di non approfittarne.A parte quell’unica volta… che Nick non ricordava,probabilmente. Comunque… non potevo approfittaredi un poliziotto innocente.

Però sarebbe stato facile. Nick era così gentile, cosìbello, così sincero… e un poliziotto poteva tornarmi

utile… Potevo…Prenderlo.Saziare quella sete fastidiosa, ecco. Potevo…Cosa aspetti?…avere un po’ di calore, un po’ di felicità; essere

desiderata, essere toccata, essere voluta.Sarebbe così facile.Mi staccai all’improvviso, scaraventandolo a terra.

Sarebbe stato molto facile, dannatamente facile: eccoperché non dovevo. Per questo avevo letto il Libro…per diventare una vampira stronza? Fare del male aJessica mi aveva insegnato a prendere quello chevolevo, quando volevo? Che educazione mi avevaimpartito mia madre? Questo genere di regina volevanoi morti?

– Accidenti, scusami! – disse Nick, senzaconsiderare che l’avevo bruscamente respinto, e tuttorosso in viso. – Scusa davvero, Betsy.

– No, no, è colpa mia! – gridai per non sentire il suobattito, ma decisi di abbassare la voce per nonallarmarlo. – Perdonami, è colpa mia. – Nick, infatti, mitrovava così attraente senza sapere il perché, e Dio mi

era testimone: a volte neanch’io lo sapevo. –Perdonami. Adesso è meglio che tu vada. – Dopoaverlo rimesso in piedi, lo accompagnai alla portanonostante le sue proteste e la sua valanga di scuse. –Grazie della visita. È bello raccontarsi tutto! Ciao.

Chiusa la porta, mi ci appoggiai a occhi chiusi.Sentivo ancora il sangue pulsargli nelle vene, o forse erala mia immaginazione.

Mi ero spinta troppo in là.– Hai già finito con l’appuntamento?Riaprii gli occhi di scatto e vidi Sinclair nell’ingresso,

sulla sinistra; ovviamente era entrato dal retro.– Quello era…– Lo so.– Pensa che…– Lo so.– Ma adesso se ne va…– Sì – disse in tono distaccato, – te ne sei occupata,

brava.– Non abbiamo…– Capisco. L’ultima cosa di cui hai… abbiamo

bisogno, è un poliziotto in giro per casa. E il modo più

rapido per sbarazzarsene… – Sinclair si strinse nellespalle. – Be’, hai fatto quello che dovevi.

– Eric…– Ti lascio sola, così puoi andare in camera. Oh, io e

Laura beviamo un caffè insieme domani sera. Non unirtia noi.

Si voltò e si allontanò.

Aprii la porta della camera con un calcio così forte,che il mio piede la trapassò e saltellai per qualchesecondo in corridoio, cercando di liberarlo. Alla fine,entrai barcollante nella stanza, e gettai contro la paretele mie Beverly Feldman. Forse la pelle si sarebberovinata, ma non me ne fregava un cazzo.

Esatto. – Non me ne frega un cazzo! – gridai. –Non è giusto, non è giusto! Ho fatto la cosa giusta, horespinto Nick. Potevo anche saltargli addosso, ma hoscelto la strada giusta, e per cosa? Perché così quellostronzo poteva farmi stare peggio? Per sentirmi ancorapiù sola?

Gettavo via i vestiti come una pazza, cercando nelfrattempo il pigiama, e in generale zoppicando per lastanza come un’ubriaca. Raccolte le Feldman, le misi aposto nel loro ripostiglio, ma finii per crollare in fondo almio armadio, in lacrime. Stringendomi le scarpe al petto(nudo), mi rannicchiai (nuda), fregandomene di bagnarele Manolo.

– Betsy?Piansi ancora più forte. Non mi andava di sentire

altre brutte notizie. George aveva ricamato a uncinettouna scala, ed era scappato di nuovo? Ant aspettava duegemelli? La signora delle piante voleva avvisarmi cheerano morte quanto me?

– Tesoro. Perché piangi nuda nell’armadio?Aprii un occhio. Jessica stava sbirciando all’interno

con una faccia livida e preoccupata.– Vattene! Vattene, so che mi odi ancora!– Oh, finiscila. Non ti odio – replicò, entrando

nell’armadio, e dopo aver spinto da parte i vestiti e (concautela) le scarpe, si sedette vicino a me a gambeincrociate. – Su, cos’è successo?

– Tutto!

– Sì, ma di preciso?– Sinclair non mi ama più! Scommetto che non vuole

più essere re, e che gli dispiace di avermi fatto diventareregina con l’inganno! E si è preso una cotta per miasorella, mia sorella! Che è la figlia del diavolo, ma non èquesto il peggio!

– Qual è il peggio, tesoro?– Laura piace a chiunque, ecco!– Anche tu piaci a tutti. Emanavi un certo carisma

anche prima di morire.– Sì, ma Laura ne ha mille di più. Nessuno le resiste!– Di sicuro non…– Laura piace anche ad Ant!– Oh.– E lei e papà mi rovinano ancora la vita… è stata

una festa lunghissima! E nomineranno un curatorefallimentare per lo Scratch… E lei… Laura… non puòsostituirti affatto, anche se è gentile. E avrei potuto faresesso con Nick, perché gli piaccio veramente, ma l’homandato via perché amo Sinclair, e a Sinclair nonglien’è fregato un accidente e… oh mio Dio!

– Hm… – mormorò, cercando di capire qualcosa

nel mio balbettio.– Oh mio Dio! Amo Sinclair! Lo amo!

Quell’uomo! Quel… quell’arrogante, meschino,bellissimo, freddissimo…

– Be’, è naturale.– Vedi, potevo dirlo prima! – esclamai, prima di

piangere più forte.Jessica mi accarezzò la schiena. – Dai, Bets, dentro

di te hai sempre saputo di amarlo. Come se un uomopotesse entrare in casa tua contro la tua volontà; comese sopportassi questo comportamento da parte dichiunque, e come se dormissi con chiunque.

– Ma è uno stronzo!– Be’, tesoro, neanche con te si va sempre

d’accordissimo. – Con un sorriso, si toccò l’occhionero. – E non me lo sono guadagnato perché hai persola Stagione Quattro dei Simpson.

– Jess… mi spiace tanto… sto male… – gemetti,indicando il mio corpo nudo, l’armadio, le sferette dicedro.

– Lo so, Betsy – disse, baciandomi proprio su unatempia. – Dovevo essere di cattivo umore per un po’,

sai, far cicatrizzare gli ultimi due giorni. So che tidispiaceva.

– Sì, infatti! Mi sentivo di merda, ho passato unasettimana infernale!

– Sinceramente, ho deciso di perdonarti solo perchénon vedo l’ora di conoscere la figlia del diavolo.

– Oddio, è così noiosa. – Mi alzai a sedere,sfregandomi gli occhi asciutti (perché non piangevo piùcome una persona normale). – Cioè, davvero gentile;non fraintendermi, è un vero tesoro, ti piacerà. Però…

– Non è la regina dei vampiri.– Ultimamente, non ho fatto molto la regina.– Non è vero: hai letto il Libro per avere delle

informazioni sulla minaccia che incombeva sulla Terra…Tua sorella. Poi l’hai cercata, ma lei si è comportatagentilmente, e stai aiutando George.

– Hai ascoltato il baby monitor, allora!– Scherzi? Quel coso è stato acceso ventiquattr’ore

su ventiquattro! Avevo paura che, prendendo sonno, misarei persa qualcosa.

– È tutto incasinato.– Peggio del solito.

– Che faccio, adesso?– Be’, tesoro, mandare via Nick è stato un buon

inizio. Anzi, fondamentale, a pensarci bene.– Oh, lo so – ammisi sinceramente. Se mi avesse

consigliato di portarmi a letto la squadra dei Green BayPackers, l’avrei fatto, troppo felice di parlare ancoracon lei. – Ehm… per “fondamentale”…

Jessica roteò gli occhi, sebbene abituata a spiegarmile cose. – Hai respinto Nick per non fargli del male, oapprofittarti di lui. Ecco quella che sei, e che sei semprestata, anche se è cambiato il resto.

– Hai ragione.– Sì, e il cielo è giallo, Ant un’incompresa, e David

Evins un dilettante di talento.– Adesso sei cattiva.– Devo approfittare della situazione, finché posso. E

Sinclair non ama tua sorella.– Non ancora – replicai, cupa. – Dagli tempo.– Aspetta di vederlo, prima!– Come se le femmine non gli aprissero le gambe da

tutte le parti.– Che immagine orribile…

– Sto dicendo solo che quell’uomo può scoparequando vuole; e invece vuole te.

– No, lui…– Qualunque cosa tu abbia fatto con lui dopo aver

letto il Libro – insistette (probabilmente senzaaccorgersi di toccarsi l’occhio tumefatto), – provaancora dei sentimenti per te. Te lo ripeto, ha perso latesta per te fin dall’inizio! Adesso ti tratta male perché èferito, ma se non gl’importasse niente di te, non pensiche ti avrebbe solo portata a letto e basta?

– Sì… ma dopo il sesso era tutt’altro che felice.Non capivo il motivo del suo comportamento, e adessoè troppo tardi; dopo tutti i miei insulti, ha lasciatoperdere.

– “Tutti”? Sei una vampira da sei mesi, Bets, unlasso di tempo che per lui è niente, come la stagione delbaseball. Sì, sarà interessato a tua sorella, perché è lafiglia del diavolo! E lui il re dei vampiri. Logico che le siavvicini, ma secondo me (conoscendo Sinclair) è unacopertura.

– Un’accoppiata paradisiaca, davvero. Sinclair,l’amante più bravo in assoluto, e la donna che

conquisterà il mondo.Jessica riconobbe: – In effetti sarebbe una consorte

adatta.– E io quella meno adatta, di sicuro.– Dai… Finora, il Libro ci ha azzeccato…– Il Libro ha predetto il nostro matrimonio, non un

lieto fine! Tanti re e regine hanno governatodetestandosi a vicenda. – Come seconda materiaall’università, avevo scelto storia dell’Europa, estoricamente parlando, il fallimento del matrimonio traDiana e Carlo prima che lei morisse era niente. – Se tuavessi sentito le parole che mi ha rivolto… Non è statoproprio cattivo: di preciso, era come se non glienefregasse un cazzo.

– Ho sentito. Stavo scendendo per lasciare unassegno a Cathie…

– La signora del piano di sopra?– No, delle piante.– Jess, non devi pagare una persona che annaffi le

piante. Abitiamo qui in cinque, per l’amor del cielo! Disicuro possiamo…

– Comunque, ho più o meno origliato il tuo tête à

lame con Nick, e poi la conversazione con Sinclair. Èstato decisamente freddo – commentò con un’occhiatasolidale. – Secondo me, non hai perso tutto, ma dovrailavorarci su.

Cercai di non lasciarmi devastare da quella montagnadi buonsenso. – Senti, è compito mio, okay? Lo so.Non capivo come sistemare la faccenda con lui, epensavo sinceramente di avere problemi più grossi;perciò l’ho messo da parte, perdendo solo tempo. –Scossi la testa. – Sai, pensavo che gli andasse bene diessere sgridato da me, lo davo per scontato, enaturalmente mi sbagliavo. Nessuno lo sopporterebbeper sempre.

– Be’, ascolta, lascia perdere Sinclair per un attimo.Anzi, non farlo, dato che ci è immerso fino al collo.Betsy, tu puoi aggiustare tutto.

– Non sarà così facile come…– Infatti ho detto che puoi “aggiustare” tutto; e anche

in caso contrario, non dovresti stare nuda a lamentarti ea piangere nell’armadio! Suvvia. Piangere nell’armadio?Tesoro, sei la regina dei vampiri: alza quel culonebianco dal pavimento, vestiti, e dai calci nel sedere a

qualche non-morto! Neanche prima di morire ti avreivisto così. Alzati.

– Hai ragione! A parte quella cosa sul mio didietro.– Balzai in piedi, le mani strette a pugno, nuda. Grandesarà la mia collera! Jessica aveva ragione: con chicredevano di avere a che fare? – Hai ragionissima! Misono piegata, e per cosa? Be’, adesso basta!

– Esatto!– Sistemerò le cose, lo giuro!– Giusto! Ecco la ragazza che conosco.Guardai l’orologio, l’unica cosa che indossavo (a

parte l’eyeliner). – E adesso ti spiego cosa faremo.– Oltre a mettere le mutande?– Sì, oltre a questo.

– Vuoi farlo sul serio?– Ci puoi scommettere!– Non ti ha causato direttamente dei problemi!– No – concordai, – ma è comunque pericoloso!

Sta lì, in biblioteca, e chiunque può darci un’occhiata.– È insostituibile!– Così come il regime nazista. E poi, ho promesso

alla mamma di non bruciarlo! – Ci trovavamo su unodei grandi ponti che collegavano i sobborghi diMinneapolis, e parlavamo ad alta voce per il traffico;faceva un po’ freddo (cinque gradi) ma a malapena mene accorsi, esaltata com’ero. – Perciò, farà amicizia

con i pesci!Lo scagliai, e il Libro dei Morti precipitò… sempre

più giù (il ponte era alto)… cadendo infine nelle acquetorbide con un tonfo.

– Ah – commentò Jessica, dopo averlo osservatomentre andava a fondo senza neanche una bollicina, –pensavo che avrebbe galleggiato grazie alle forze delmale.

– È fatto di pelle, non di Gore-Tex – dissi,sfregandomi le mani gelide. – Uh, ho appena provatosollievo? Dovevo farlo già mesi fa!

Jessica tirò su la cerniera della sua giacca. – Già. Eadesso, che si fa?

– Non so. Qualcosa di… sai… tipico di un capo.– Oh, bene.– E tu non scendere nel seminterrato.– Non penso che George mi farebbe del male. Non

a stomaco pieno, almeno.– Non importa.– Tranquilla, mi basta un’aggressione a settimana.

In seguito, non ebbi molto tempo per dare inizio aqualche cambiamento nella mia vita: io e Jessicaavevamo parlato per ore, prima di distruggere unmanufatto dal valore inestimabile, e la notte era ormaiquasi finita. Tuttavia, dopo aver dormito il giornosuccessivo, mi alzai alle sei, pronta a sistemare qualchevampiro insubordinato. Innanzitutto: lo Scratch.

Prima di arrivare alla macchina, pensai di cercareEric, per fare qualcosa d’imbarazzante comeconfessargli il mio amore, ma poi mi tirai indietro.Inoltre, non ero sicura che cambiasse qualcosa, e nonvolevo essere di peso a nessuno. Se Eric non mi amava(o peggio: se i suoi sentimenti erano morti) non avreifatto come Rossella O’Hara (“Dove andrò? Cosa farò,adesso?”).

Ma almeno, me n’ero resa conto. Che sollievopoterci pensare liberamente, invece di seppellire quellaverità nel mio subconscio! Ma dichiarandomi non avreirisolto niente: la vita era sempre incasinata, perciòamarlo non avrebbe risolto i vecchi problemi,trasformando tutto in rose e fiori. Anzi, in qualchemodo, alcune cose potevano peggiorare: infatti,

prendendo qualunque affermazione sbagliata nella miavita (“sono arrabbiata con Eric perché è diventato recon l’inganno”, o “sono arrabbiata con Eric perché nonmi ha detto di mia sorella”) e aggiungendovi “amo EricSinclair”, diventava tutto più difficile.

L’amore per lui si aggiungeva a un già lungo elenco diproblemi: ironico! Ormai però dovevo entrare in azione,basta piangere nuda nell’armadio. Sarei stata l’artefice(o regina) del mio destino!

A partire dallo Scratch. Quel posto poteva fruttarmidei soldi, ma dato che i vampiri che ci lavoravano mitenevano il muso, era ora che temessero un po’ laregina. E volevo un Margarita Mondays.

Dopo aver girato per mezz’ora con la macchina allaricerca di un parcheggio libero, la misi nel posto perdisabili in fondo all’isolato, riuscendo a cancellare unapunta di senso di colpa: be’, la morte doveva esserevista come una sorta di handicap!

Dovevo ricordarmi però di creare un ParcheggioDirigenti davanti al locale.

Aperta la porta con impeto, restai in piedi davanti albar quasi deserto (urgh… il venerdì sera!). –

D’accordo, aprite le orecchie! – intimai, subitointerrotta da Klaus che ringhiò: – Oh, bene, ha deciso dipassare.

– Ehi, ehi. Avevo altro da fare.– Non comportarsi da regina di sicuro.– Be’, sì. Voglio dire, no! Ma era tutto così… –

risposi, lasciando in sospeso la frase. Perché stavodando spiegazioni a quel cretino? Non rientrava nellaPresa di Potere. – Senti, le cose d’ora in poicambieranno.

– Verissimo – esordì una vampira che nonconoscevo, seduta al bancone.

– Chi ti ha chiesto qualcosa?– I dipendenti dello Scratch sono ufficialmente in

sciopero – dichiarò Klaus, poi guardò l’orologio. –Dalle 18:59.

– Sono cosa?– In sciopero.Non riuscivo a capire. – Cosa?– Ci siamo uniti per esigere delle condizioni di lavoro

decenti.– Il che vorrebbe dire…? – chiesi, ma lo sapevo già.

– Vogliamo che agli umani sia permesso venire qui.Vogliamo bere il loro sangue mentre balliamo…

– E al bancone – aggiunse un altro vampiro, pallido,moro e con una giacca denim, seduto accanto alladonna di prima.

– Sì, e al bancone… – Denti Storti contava ledomande sulle sue dita di ragno (puah!). – E se unumano fa storie, o entra casualmente, vogliamodivertirci come ci pare.

– Ucciderli – precisai.– Esatto. E vogliamo l’assicurazione odontoiatrica.– Sul serio? – esclamai.Lui mostrò un sogghigno decisamente disgustoso. –

No, era uno scherzo.– Tutta questa storia è uno scherzo. Siete pazzi se

pensate davvero che io esaudisca le vostre richieste, ese non avete avuto la notizia, dopo la morte di Nostrosiamo diventati dei vampiri civili.

– Ci sta prendendo in giro.– No, e siete tenuti a comportarvi bene! – ordinai,

naso contro naso. – Ma che vi prende? Dovete fare ibastardi per forza perché siete morti?

– Non per forza – mi rispose la vampira, – ma cipiace. Non può cambiare secoli di evoluzione.

– Sì, invece! Quella cazzata del “lo facciamo perchépossiamo” non regge con me. Ora, voi non siete insciopero: siete licenziati. Posso prendere qualcun altroper gestire questo posto. Non vi piace? Alloraandatevene a morire ammazzati un’altra volta!

– È il nostro ultimo avvertimento – disse GiaccaDenim. Come se uno che veste Tommy Hilfiger mispaventasse.

– È il mio ultimo avvertimento – replicai.– Non ci lascia respirare – intervenne una nuova

voce. In un posto che sembrava deserto, si erano riunitiimprovvisamente diversi vampiri.

– Per fortuna non ci serve respirare – commentòKlaus.

Un vampiro entrò dal retro del locale, trascinando(oh-oh) Laura. Teneva i suoi capelli in una mano, vicinoal cranio; lei gli stringeva le sue mani con le proprie ecercava di non inciampare.

– Sorpresa – disse Laura, sforzandosi di sorridere.

– Traditori! – gridai.– Ci ha fatto molto piacere conoscere sua sorella.– Ci scommetto, imbroglione.– Quando Eric ha disdetto il nostro appuntamento –

spiegò Laura, – ho pensato di venire a trovarti… avevola serata libera.

– Be’, la prossima volta chiama.– Capito.– Era troppo bello per essere vero – affermò

Bastardo. – È rarissimo che un vampiro abbia ancoradei parenti in vita, e lei è venuta proprio sotto il nostronaso…

– Sì… Ma non vi sembra strano, forse? Guardatela,com’è giovane: è mia sorella minore, non la mia pro-pro-pronipote. Allora, non significa qualcosa? Che, peresempio, non dovreste rompermi le scatole?

Sempre stringendo le mani del vampiro, Laura disse:– D’accordo, volevano migliori condizioni di lavoro, maquesto mi sembra un po’ estremo!

– Magari tua madre potrebbe aiutarci – ipotizzai, poirimasi in attesa. Come gli altri. Laura rimase basita…oppure roteò gli occhi? – Sai, tua madre potrebbevenire qui e darci una mano.

Niente. Tipico. Il diavolo non arrivava mai quando neavevi bisogno.

– Ascolta, le conseguenze non ti piacerebbero –consigliai a Klaus, alla vacca seduta al bancone e aTommy.

– Ha ragione – intervenne Laura, sulle punte deipiedi ormai. – Prima dovreste provare con lo sciopero:lasciate gli ostaggi come piano B, o piano C. – Ilvampiro la strattonò, facendola gridare.

Dovevo ammetterlo, non avevo previsto tutto ciò,pensai massaggiandomi le palpebre. Che dovevo fare?

Mentire, dicendo che potevano avere gli umani, gliomicidi, il bonus uccidi-uno-prendi-il-secondo-gratis ilgiovedì sera, per liberare Laura, e poi ritirare tutto? Unaregina poteva tornare sui propri passi? Avrei perso ilrispetto degli altri vampiri… be’, ancora di più.

– Prima che le cose precipitino, voglio chiarire unpunto: secondo voi, che fine hanno fatto Nostro eMonique?

– L’ha aiutata anche il re.– Okay. E per la cronaca, vedete forse il re da

qualche parte?Klaus esitò. – No.– Allora lascerò vivo uno di voi. Mi sto stancando di

queste stronzate, “l’ha aiutata Sinclair”: parlate un po’ dime in giro, così mi date una mano.

– Ahi! Mi hai fatto malissimo, stavolta – si lamentòLaura quando il vampiro le strinse i capelli. – Mi molli,per favore?

– Zitta, umana.Lei mi chiese: – Ti sta particolarmente a cuore

quest’uomo?– Lo vedo per la prima volta.

– Oh, okay. Spero proprio che tu non abbiaun’impressione sbagliata.

– P… – feci per chiedere, ma poi una luce rosso-dorata si propagò dallo stomaco del vampiro, cheevaporò. O si vaporizzò. O qualcosa del genere: nonebbe nemmeno il tempo di urlare.

Fui io a urlare. Il che non era molto “da regina”, èvero, ma non potei impedirmelo. Nella vita reale, infatti,i vampiri non scomparivano quando venivano uccisi;non diventavano cenere, non prendevano fuoco (se nonesposti al sole); non morivano neanche quando li colpiviallo stomaco, ma bisognava piantare un paletto nelcuore e/o tagliare la testa. Così non si rialzavano più.

Be’, io mi ero rialzata, ma non ero una vampiraproprio comune.

Solo ammazzandoli con la luce solare il corposcompariva, in tutti gli altri casi no.

Laura si reggeva sulle proprie gambe, e si stavalisciando i capelli con la mano destra, mentre nell’altraimpugnava una… spada, probabilmente. La prova! Laprova che fosse la figlia dell’inferno… era mancina!

– Scusa – disse, – ma non sopportavo più le sue

mani addosso. Bleah.– E quella, cos’è? – boccheggiai.Laura osservò la spada del colore delle fiamme,

quasi difficile da guardare talmente era incandescente. –Oh, questa? – chiese, come se stessi parlando di unnuovo braccialetto. – Be’, io sono capace di forgiarearmi con il fuoco dell’inferno.

– E uccidi le persone?– Non le persone. Più tardi ti spiegherò tutto.– Non… ehm… non cambia proprio niente –

affermò Klaus, come se si sforzasse di non vomitare.Una sensazione che conoscevo. – Noi… vogliamo…ancora…

– Devi avvicinarti, se vuoi colpirci – disse TommyHilfiger. – Non puoi ammazzarci tutti in aaaargh!

Gridò “aaargh” perché in un istante la spada di Laurasi tramutò in una balestra, che trapassò Tommydall’altra parte della stanza: il vampiro scomparve in unanuvola di luce, proprio come l’altro.

Laura abbassò la balestra con un’espressione umile,che subito dopo scomparve. Era bellissima, come laprincipessa di una fiaba… e con un’arma di distruzione

di massa anti-vampiri.– Ah-ah! – esultai. – Che fai adesso, Klaus? Coda

tra le gambe? Eh? Eh? – Poi mi girai verso Laura. –Aspetta un secondo. Tu sai che siamo vampiri?

– Certo.– E quando avevi intenzione di dirmelo?– Aspettavo che me lo dicessi tu – replicò, ed ebbe

il coraggio di offendersi.– Ma come facevi a saperlo?– A volte… capisco le cose. Penso di aver preso da

mia madre – rispose, disgustata, come se fosse unospregevole difetto.

– Tua madre.Altro disgusto. – Il diavolo.– Sai… che tua madre… è il diavolo!– Sua madre è il diavolo? – sussurrò la vampira

seduta al bancone.– E hai lasciato che ti portassi alla festa di Ant, senza

dir niente? E le hai dato un regalo? E hai mangiato duefette di torta alle carote? E le hai rivolto la parola? –elencai, cercando di capire cosa m’infastidisse di più trala sua brillante mossa o il fatto che mi avesse nascosto

le cose.– Be’, tu non mi hai mai detto di essere la regina dei

vampiri – protestò, accalorata.– Ma è diverso! – gridai.– Volevo conoscere la donna che mi aveva portato

in grembo per nove mesi.– E abbandonato in ospedale.– Sì, ma molto meglio che essere Satana. Anzi, è

stato un gesto positivo.Su questo, ero d’accordo. – Laura, non capisci? Tua

mamma è Satana!– Capisco benissimo, ma non penso che l’indole di

una persona dipenda dai genitori.Feci per replicare, quando Klaus, scocciato,

m’interruppe: – Scusate, ma avete altri problemi darisolvere, in questo momento!

– Sicuramente meno interessanti, amico. Non è unanovità che i vampiri facciano i cattivoni della situazione.

La vampira al bancone disse: – È troppo pericolosa,bisogna ucciderla subito.

– Di quale sta parlando?– È importante? – domandò Laura.

Klaus pronunciò qualcosa in francese… o almeno,secondo me era in francese… e quando la porta sulretro e quella d’entrata si aprirono, si riversò nel localeogni genere di cameriera e barista e buttafuori possibile,tutti pallidi, nervosi e scocciati.

– Ho visto molto di peggio – commentò Laura. –Ma se provate ad attaccarci, morirete tutti.

– Avevi capito?– Oh, io sono brava con le lingue.– In quali? – chiesi, curiosa.– Tutte.Ovviamente. – Sentite, lei ha ragione: non possiamo

sederci a discuterne come non-morti civilizzati insiemealla figlia del diavolo?

– Non chiamarmi così, ti prego.– Scusa! Però non spararmi e non trapassarmi con

un’arma.Laura fece un’espressione ferita. – Non lo farei mai,

Betsy.– Scusa ancora.– Non potete… – iniziò Klaus, poi si lanciò su di

me. Aha! Il vecchio trucco del “fai una faccia

amichevole, parla normalmente, poi coglili di sorpresa”.Purtroppo funzionò, poiché andammo addosso a untavolo in fondo alla stanza, subito sommersi (con miodispiacere) da altri vampiri. – Niente… è piùimportante… di questo! – gridò Klaus, sbattendomi latesta sul pavimento a ogni parola. Non gli era difficile,con entrambe le mani sulla mia gola. Aveva forza,rapidità, e la morsa di un anaconda furioso.

– Au contraire – farfugliai, ma non riuscii a direaltro. Voleva soffocare una donna già morta? Nonsentivo dolore, solo che mi dava fastidio. È proprioarrabbiato, eh?

Non riuscii ad allentare la stretta neanche con le dita,ma solo a staccargli dei pezzi di pelle. Bleah! L’ombradella morte incombeva (di nuovo) e avevo la nausea. Lasettimana peggiore della mia vita, di nuovo.

– Non così! – gridò all’orecchio di Klaus unvampiro che non conoscevo. – Non possiamo attaccarela regina! Eravamo d’accordo!

Infatti, avrei urlato mentre cercavo di staccarmiquelle mani di dosso, ma riuscii a emettere soltanto unpigolio.

– Non è la regina – mormorò Klaus, poi colpì conun gomito la gola del Vampiro Sano Di Mente, checadde all’indietro senza un’apparente sofferenza. Lapresa di Klaus si era allentata! Infilate le braccia inmezzo, diedi calci e spinte a più non posso: lui non sitolse dai piedi, ma almeno staccò le mani.

– È in momenti come questo che mi piace dire lepreghiere – dissi, sempre menando a destra e a manca,come al ballo della rimpatriata a scuola. – Il Signore è ilmio Pastore, nulla mi mancherà. Dio è grande, Dio èbuono, rendiamogli grazie per il pane quotidiano. Gesùmi vuole bene, lo dice la Bibbia! – Finalmente, riusciicon un calcio ad allontanare Klaus, che gridavatappandosi le orecchie. Puntellandomi sui gomiti,terminai: – E che Dio benedica questo casino!

Anche se avevo finito i versi della Bibbia, il dannoera fatto: il Sano Di Mente aveva spalancato la porta efaceva segno agli altri di seguirlo. Alcuni (di cui mi sareioccupata in seguito) gli diedero retta, ma tanti altririmasero nel locale. Compreso Klaus, che si era ritiratoverso il bancone con una smorfia di odio e di paura.

Laura tossicchiava, agitando una mano davanti alviso: notai allora che la mezza dozzina di vampiri attornoa lei era sparita, vaporizzata. Ne mancava solo uno, mala balestra ridiventò spada, e Laura, dopo averbloccato un pugno della vampira “del bancone” con ilbraccio, le trapassò il petto. Ciao ciao, rompiscatole.

– Ha-ah! – esclamai. – Com’era questo, eh? Eh?

Non l’avevi capito, che era la figlia del demonio, eh? –Ero talmente ebbra di trionfo, che non mi preoccupaidel vampiro che mi tirò all’indietro per i capelli. – Vero?

– Betsy… – mormorò la mia super-forte-sorella,prima che un’arma comparisse di nuovo tra le sue mani.Se la cavava benissimo anche nel corpo a corpo, tral’altro: evidentemente, tra lo studio della Bibbia e ilvolontariato in chiesa per la raccolta fondi, era diventataanche cintura nera. Ora, se avessi potuto cambiare ilsuo modo di vestire…

– Non preoccuparti per me! – gridai, ignorando ilcranio che mi pulsava come un dente marcio. – Ho tuttosotto contr… aaaahi!

– Chiudi la bocca, puttana – ringhiò qualcuno.– Oh, chiudila tu! – rimbeccai. – Sai quante volte

sento questa frase? Che barba! – E che paura, masoprattutto che barba.

Grazie a Laura e alla codardia dei vampiri, nerestavano molto pochi, e due di essi vennero verso dime. La gamba di una sedia fu spezzata. Il vampiro allemie spalle mi bloccava con un braccio sulla gola, el’altra mano tra i capelli. Be’, sarebbe rimasto deluso,

perché i paletti nel petto non mi potevano uccidere!Facevano un male cane, sì, e mi avrebbero rovinato lacamicia… ma se ne poteva comprare un’altra:piuttosto, dovevo impedire loro di tagliarmi la testa in unsecondo momento.

Feci per lanciarmi in un’altra serie di versi religiosi,quando Laura trapassò il vampiro sulla destra: puf!Incredibile. Mille pagine non mi sarebbero bastate perdescriverlo, e lei sembrava un angelo vendicatore, con icapelli lucenti, la frangetta pudica, l’abbigliamentoinqualificabile e la spada abbagliante in mano.

Il vampiro sulla sinistra venne scaraventato controuna parete, dove produsse un crocchiare rivoltante.Una cortesia di… restai quasi senza fiato!... EricSinclair.

Era comparso all’improvviso, forse facendosi largotra la folla di vampiri che fuggivano, e me ne tolse unaltro di dosso. Il vampiro colpì la parete di cemento ecadde a terra con un’evidente spaccatura concava nellafaccia. Ma non era morto: si agitò sul pavimento comeun maggiolino angosciato che cercava di farsi ricrescereil naso.

– Oh, che ssschifo! – urlai.– Wow – esclamò Laura.– Toglile le mani di dosso – ordinò Sinclair al

vampiro dietro di me, – o ti farò cose di cui parlerannolibri interi.

Il vampiro obbedì così velocemente, che mi staccòuna manciata di capelli e lo spinsi via con uno strillo.

Poi, di punto in bianco, nello Scratch restammo solonoi tre. Due vampiri avevano appena trascinato fuori dicorsa quello con la faccia sfondata.

Oh, un attimo… eravamo in quattro! Klaus si eraritirato in un angolo, con i denti di fuori come un caneirritato pronto ad aggredire chiunque, dal postino aibambini. Sinclair si voltò verso di lui, ma alzai una manodicendo: – Buono, buono, mio salvatore. Faccio io.Volevate fare sciopero, eh? Unirvi nel mio locale, eh?

– Vergogna – aggiunse Laura.– Sta’ zitta, puttana del diavolo – la insultò Klaus.Rimasi scioccata. – Non chiamarla così! Non è

affatto una puttana: te la prendi con lei perché stai permorire.

Il ringhio di Klaus mi avrebbe spaventato di più,

senza Eric al mio fianco. – Non è ancora finita, Betsy.– Ottimo. Potevi anche dire: “Tornerò”, o “Te ne

pentirai”. – Raccolta la gamba rotta della sedia (un barper vampiri con le sedie di legno, non di metallo), e locolpii al petto. Addio, Denti Storti!

Non scomparve in modo teatrale, come con Laura,ma cadde a terra di peso e il paletto gli si conficcòancora più in profondità (ugh!): alla fine, restòaccasciato come un grosso insetto.

Adesso che era tutto finito, seguii uno dei miei variimpulsi e andai ad abbracciare Laura. – Sei statafantastica! Scusa se ti ho messa in questo casino, mauau! Che forza.

– Non hai cambiato idea su di me, vero? Di solitonon uso la violenza, ma dato che non volevano sentireragione, temevo che ti facessero del male.

– Del male a me? Sei incredibile, Laura! Come cisei riuscita? Perché la spada diventa una balestra? Sitrasforma anche in altre armi? Te le ha date tua madre?

Con una risata, Laura roteò la spada in un piccolocerchio, impugnandola al contrario, e la rinfoderò sulladestra; il fodero non c’era, e la spada scomparve, ma

ebbi la netta sensazione che fosse ancora lì.In attesa.– E tu! – mi rivolsi a Sinclair. – Sono felice di

vederti, ma…– Elizabeth!Quasi mi coprii la faccia, davanti a una rabbia che

non avevo mai visto: i suoi occhi erano fessure nere, eperfino i suoi capelli scombussolati sembravanoavercela con me. Soffocai l’istinto di sistemarli con ledita. Notai la camicia bianca aperta sul collo, e il fattoche fosse scalzo senza giacca: si era precipitato lì.

– Che diavolo pensavi di fare? Batterti con duedozzine di vampiri?

– Non sono stata io a cominciare! – esclamai,sgomenta. Le dita di Sinclair mi affondavano nellespalle. – Ho vietato loro di uccidere la gente, e si sonomessi a fare sciopero! Che non è così violento comesuona.

– Potevano ammazzarti – disse a denti stretti. – Nondevi più fare una cosa del genere, mai più.

– Ma non ho fatto nient...! – Sinclair zittì le mieproteste con un bacio improvviso, incollandomi a sé. Il

bacio (e la sua collera in generale) mi stupì così tanto,che per un momento rimasi immobile, prima di riuscire aritrarmi. O almeno le labbra. Tirai indietro la testa comeun serpente, il petto contro il suo. – Alt, alt, alt. Sonomolto felice di vederti, ma mi confondi le idee.

Lui mi rivolse un sorrisino. – Allora l’universo haritrovato il baricentro.

– Lascia perdere l’universo! – Cedendo all’impulso,liberai un braccio per sistemargli i capelli. – Pensavoche ci stessi provando con Laura.

– La stavo solo vedendo – replicò, confuso.– Sì, ma… dopo quello che è successo… dopo

averti costretto a venire a letto con me…– Due volte – sottolineò, trattenendo sicuramente

una risata. – Mi hai violentato due volte. Be’, una emezzo.

– Ehm, sì. Pensavo di non piacerti più.Esterrefatto, esclamò: – Di non piacermi?– E Laura è così bella, e ha un seno così sodo…– Grazie – disse lei dietro il bancone, dove si stava

versando uno Shirley Temple.– E sei stato così cattivo con me…

– Sì, un po’ freddo – confessò, stringendomi.Proprio non voleva mollarmi.

– Un po’?– Ero ferito perché l’avevi fatto con me per pura

follia.– Io non sento – avvisò Laura nell’aggiungere una

ciliegia nel bicchiere, – andate pure avanti, voi.– Scusa – dissi. – Ma non pensare che io voglia fare

sesso con te, solo quando divento pazza.– No, sono convinto che sotto sotto ci fossero altri

motivi, e a dir la verità, non potrei mai lasciarti. E mai,mentre il Libro ti rendeva vulnerabile. Era strano che lafiglia del diavolo saltasse fuori, così facilmente, dopoquel momento: a me non piacciono le coincidenze, perquesto ho cercato di scoprire il più possibile sul suoconto.

– Allora erano… incontri di lavoro? – Mi sentii piùcretina del solito. Sinclair sembrava sincero, e mistringeva ancora… forse perché non gliel’avevochiesto. – Non volevi uscire con lei come fidanzata?

– Non andrei mai con lui – esclamò Laura,abbastanza scioccata da posare il bicchiere sul bancone

con un tonfo e un rimescolamento del contenuto. – È unvampiro!

– E io – spiegò Sinclair, – non andrei mai con leiperché non sei tu. Oh, per tua informazione, cara –sottolineò gentilmente, guardandola, – una volta non-morti, non si torna indietro.

– Bah! E Betsy, non posso crederci: pensavi che tivolessi rubare il ragazzo!

– Consorte – la corresse lui.– Chiedo scusa. A entrambi – risposi,

abbracciandolo. – Sono saltata a conclusioni affrettate,ma sono felice di essermi sbagliata! E con le mieabitudini…

– Elizabeth. – Sinclair tirò indietro la testa perguardarmi negli occhi. – Anche se non ti adorassi, resticomunque la mia regina: noi due siamo destinati a stareinsieme, l’ho capito quando ti ho vista la prima volta,nella cripta.

– Che romantico! – sospirò Laura dando unasciacquata al bicchiere.

– Sinclair… Eric… – Perché i momenti piùimportanti della vita di una persona capitavano davanti a

testimoni? – Anch’io… ti adoro. Be’, non so se tiadoro, non è la parola giusta, ma io… – Riuscii astrapparmelo di bocca: Dio, quanto fu difficile! – Tiamo.

– Ovvio che mi ami – replicò in tono neutrale.– Che? Io confesso apertamente i miei più profondi

sentimenti, e tu lo dai per scontato così? Ecco, eccoperché mi fai impazzire! Perché è difficile parlare conte! Ritiro tutto.

– Non puoi ritrattare.– Sì, invece, ritratto! E non permetterti di baciarmi!

– gridai, quando lui si chinò. – Perché devi semprerompermi le scatole, ed essere così soddisfatto di testesso, continuamente?

– Perché posso fare qualsiasi cosa con te vicino.Nonostante la sua aria di superiorità, quella risposta

dolce (e che spaventava un po’ per le sue manie digrandezza) mi tranquillizzò in parte. – Be’… allora nonritratto. Non del tutto.

– Certo che no.Quasi ringhiai: – Penso di amarti sul serio.– E anch’io, cara Elizabeth, nutro questo sentimento

per te, che sei l’unica donna della mia vita.Okay, adesso mi stavo decisamente calmando. –

Bene, d’accordo.– Dove sono quei dannati tovaglioli? – si lamentò

Laura, al bancone, mentre Sinclair mi metteva unaciocca di capelli dietro un orecchio.

– Porti la mia collana.Sfiorai la scarpetta di platino che mi aveva regalato al

ritorno dall’Europa… qualche giorno prima? – Sì, lavolevo come… portafortuna.

Sorrise. – Davvero eri gelosa? Pensavi che ciprovassi con Laura?

– Un po’, forse. Non è un’espressione beffarda, latua, vero?

– No, no – rispose, reprimendo una risata. – Mispiace averti fatto dubitare di me.

– Oh, come se non ti fossi accorto della suabellezza.

– Non è come te – replicò semplicemente.Da parte sua era una frase lusinghiera e subdola allo

stesso tempo.– Eric… a proposito di dubbi… – Rimasi a corto di

parole: forse non avrei avuto un’altra occasione, enonostante i suoi poteri da re dei vampiri, non eratelepatico. – Vedrei noi due… come una coppia… seci sposassimo.

Stupito, disse: – Ma siamo sposati.– Non sposati secondo il Libro dei Morti, ma

sposati davvero con un prete… be’, un giudice… miamamma, la torta, gli inni… le canzoni… un anello, unballo.

– Oh – mormorò, pieno di orrore. – Be’… ah,capisco.

– Capisci solo adesso? E prima no? Ma se milamento di continuo!

– Ho risposto.Decisi di lasciargliela passare. – Senti, ripeterò

sempre le stesse cose, ma sono diventata tua consorteda un giorno all’altro; ti conosco poco, non abbiamoalle spalle una relazione stabile.

– A essere sincero, la colpa è anche sua – affermòLaura con un’oliva in bocca. Quando la guardammo,aggiunse: – Scusate, ma ho avuto questa impressione.

– Comunque. Un vero matrimonio sarebbe…

fantastico, per me.– Ma siamo già sposati. – Evidentemente, Sinclair

non riusciva a capire il nocciolo del mio problema.– Io non lo sento.– E dopo un… – Sinclair piegò la bocca all’ingiù,

come se stesse contemplando la cacca fresca di uncane, e non la mia idea. – …matrimonio vero… losentiresti?

– Esattamente.Afferrandomi le mani disse, gli occhi fissi nei miei: –

La tua immaturità mi toglie il fiato.– Oh, smettila! – esclamai, liberando le mani. – E

poi, non hai bisogno di respirare. Sì o no, amico?Con un sospiro, rispose: – Sì.– Davvero? – Rimasi scioccata. – Sì? Lo farai?– Certo. Dovevi solo chiederlo.– Io dovevo chiederlo? Ecco, questo è un altro

problema: tu…– Elizabeth, tesoro, stai zitta.Alla fine mi baciò di nuovo.

– Stai per sposarti?La mascella di Marc si spalancò. Eravamo seduti in

cucina, davanti alla cioccolata calda e ai toast: Jessicasedeva vicino a Marc, Tina e Sinclair alla mia destra.Mi sfuggì quasi un sospiro di piacere: le cose stavanotornando alla normalità.

– Un matrimonio? Tra vampiri?– Lo ripeti tante di quelle volte, che sembri un

pappagallo impazzito.– Ti conviene organizzarlo a mezzanotte – replicò.– Sì, penso di sì, ma va bene. Con il giardino di rose

di sottofondo, fiori rossi e bianchi dappertutto… –

Sinclair aveva appena avuto un brivido? Anche seleggeva le notizie finanziarie e non ci stava prestandoattenzione, di sicuro ascoltava ogni singola parola. Loscrutai, e quando feci per parlare, Tina mi interruppe: –Quando sarà?

– Non abbiamo ancora deciso. Io pensavo aPasqua, ma… ehm, be’, forse l’autunno prossimo.

– Meglio in autunno – commentò Jessica. – Così c’ètempo per organizzarsi. – Un vero e proprio brivido,inconfondibile! Ma Jessica proseguì: – Resterete qui,però, vero? C’è tantissimo spazio.

– Certo – rispose Sinclair, girando pagina. – Questoè il quartier generale, non c’è motivo di andarsene.Anche se… – aggiunse con un’occhiata astuta, – …come regalo potresti rinunciare a un mese di affitto.

– Scordatelo – disse lei, lanciando un’occhiata allamia collana con la scarpetta, poi sorrise. – Be’, magarisolo un mese.

– Potremmo tornare all’argomento della morte e deitradimenti? – intervenne Marc, così assorto cherovesciò il toast nel tè. Oh, aspetta… lui lo mangiavacosì! Brivido. – Quindi, i vampiri dello Scratch si sono

ribellati? E tu e la Santarellina li avete uccisi?– Non chiamarla così. Comunque sì, quasi tutti.

Alcuni sono scappati in anticipo.– Si comportano come ratti. – Notando l’occhiata di

Tina, Jessica si difese: – E dai. Le saltano addossoquando pensano di passarla liscia, e se le cose simettono male fuggono a gambe levate. Non è neanchela prima volta. Non la prenderai sul personale, spero.

– No – rispose Tina.– Si prenderanno provvedimenti – annunciò Sinclair

senza alzare la testa dal giornale. Un’abitudine irritante acui dovevo porre rimedio dopo il matrimonio.

– Giusto. Con tutto il rispetto, Maestà, dovevaavvisare prima di uscire, invece di andarci senza scorta.Correre rischi è compito mio.

– A chi stai parlando, dei due? – chiese Marc,strappandomi una risatina, ma diventai seria alla replicadi Eric: – Non c’è stato tempo.

– Come sapevi dov’ero, tra l’altro? Me lo chiedo daore.

– Forse mi è sfuggita una dritta – disse Jessica conun colpo di tosse.

Eric fece un’espressione sardonica. – Per dirla in unmodo. Ma non stavo venendo a salvarti… – Ci guardòtutti, pendevamo dalle sue labbra, ma sortiva semprequesto effetto sulle persone. – È una questionepersonale… tra me e Elizabeth. E non devo precisareche mi sono arrabbiato, vedendo che la regina correvaancora dei pericoli.

– Te lo ripeto: Non-è-stata-colpa-mia.– È-quello-che-dici-sempre.– Be’, forse dopo il matrimonio gli altri vampiri ti

rispetteranno di più – ipotizzò Marc, beccandosiocchiatacce gelide. – Be’, non potranno di certorispettarla di meno.

Non potei controbattere: lo stesso pensiero mi avevasfiorato un momento prima. – Ma la cosa piùincredibile…

– A parte scegliere un menù per invitati che nonmangiano – mormorò Sinclair.

– …è il modo in cui Laura ha gestito la situazione.Dovevate vederla, ragazzi! Uccideva vampiri da tutte leparti, fichissimo! – Sinclair e Tina si scambiaronoun’occhiata. – Vampiri cattivi. La penserei

diversamente se fossero stati gentili, carini e orfani.– Con una spada di luce? – chiese lei.– Ehm, fuoco dell’inferno, per essere precisa. E a

volte diventa una balestra, che appare e scomparequando vuole lei.

– Logico. – Non capii se il commento di Marc fosseuna battuta.

– Eppure è una ragazza gentile – mormorò Jessica.– Lo ripetete di continuo, tu ed Eric; io non l’ho ancoraconosciuta.

– Già, interessante, vero? – osservò Tina. –Secondo voi fa finta?

– No – rispondemmo io e Sinclair.– Mmm.Sinclair abbassò il giornale per scrivere qualcosa sul

margine in quella lingua strana (latino?). Almeno non eraniente di negativo, secondo me, ma prima non avevomai notato questa sua abitudine.

– Dovremo conoscerla meglio, non solo perché faparte della famiglia. – Mi guardò. – O ne farà parte.Dopo il matrimonio. Quel… fantastico, fantasticomatrimonio.

– Domani esco a cena con Laura – annunciai. – Ledevo almeno una cioccolata, e poi potrò farle delledomande, anche se mi sembra una persona riservata.

– Ci avrei scommesso – commentò Marc.

Mi fermai per un attimo fuori dalla stanza di Sinclair.Presto sarebbe sorto il sole, e ripensare a quella nottata(fisicamente spossante) mi stancava. E adesso? Gliavevo detto la verità… e anche a me stessa;provavamo entrambi lo stesso sentimento; eravamofidanzati e vivevamo insieme, apparentementeinnamorati. Dovevamo quindi condividere la camera oaspettare dopo la prima notte di nozze?

Messo da parte il mio blasfemo desiderio per il latodelizioso e cattivo di Sinclair, sentivo il bisogno dicondividere il letto con lui, di scusarmi per averlo usato;volevo sentire la sua voce profonda nel buio, e nella mia

testa.Da un lato, dopo quello che gli avevo fatto, dovevo

aspettarmi di far pace con un bacio? Al posto suo, gliavrei tenuto il muso per un anno! Forse avreri dovutodargli tempo. Ma dall’altro lato, era venuto allo Scratchper… che cosa? Malgrado tutto, mi aveva di nuovosalvato il culo. “Prenditi i tuoi spazi” era una frase dastupidi?

Oh cielo, stavo andando in panne! ’Fanculo, ci avreipensato la notte dopo.

Arrancai allora verso la mia stanza. Un (altro)problema da risolvere: io avevo la camera principale,che in una casa come quella significava parecchio;probabile che Sinclair volesse dormire lì, dopo le nozze.E lui era pignolo con i vestiti, come lo ero io con lescarpe. C’era spazio per Sinclair in camera mia, comec’era nel mio cuore?

Aperta la porta, rimasi basita. Sinclair era nel mioletto, a dorso nudo (finalmente!), le coperte fino allavita, intento a studiare vari libri impolverati. Alzò latesta. – Oh, eccoti qua. Pronta per venire a letto?

Strinsi il pomello della porta. Oh, un pomello! – Non

ti senti un po’ presuntuoso?– No.– E io, indecisa davanti alla tua porta, che pensavo

di lasciarti i tuoi spazi!– Che dolce. Per favore, adesso spogliati.Sbuffai, combattuta tra il nervosismo, l’eccitazione e

la pura felicità. Una caratteristica di Eric Sinclair: nonesitava mai. – Va bene – dissi, chiudendo la porta. –Ma non pensare che sarà così facile tutte le notti.

– Ci conto, in realtà. Tu sei l’unica donna al mondoche mi abbia rifiutato, lo sai?

– Ecco perché sei una spina nel fianco.– Lo pensa anche Tina, ma io no.Sfilata la T-shirt dalla testa, mi tolsi i jeans, e infine il

reggiseno e gli slip. Diedi poi un calcio ai libri puzzolentiche mi bloccavano il passaggio (con una smorfia diSinclair) e mi rannicchiai sotto le coperte.

– Calzini con i disegni del sushi? – chiese.– Cos’hai contro la cucina giapponese? Non ti

piacciono i miei pigiami, non ti piacciono le mie calze…Sogghignò. – Perché possono rovinare l’atmosfera.– Ehi, qui dentro fa freddo.

Attirandomi contro il petto, propose: – Se ti scaldo,poi li togli?

– Fatto, e fatto – dissi, aprendo la bocca per ilbacio. Sentii le sue mani sui fianchi, e poi più in alto:qualunque cosa fosse successa tra noi due, in quelmomento tutto era perfetto.

Abbassai la mano, sentendolo già eccitato, e per unsecondo mi chiesi: come facevano i vampiri a farloalzare? Ma me ne dimenticai non appena lui mi attirò asé, stringendomi il sedere, così vicino che non sarebbepassata neanche una pellicola tra i nostri corpi. Le suelabbra si staccarono per posarsi sul mio collo.

Oh Elizabeth, Elizabeth, finalmente, finalmente.Sentivo ancora i suoi pensieri!, esultai, quasi

sospirando di sollievo. Non ero più cattiva! In effetti,anche se prima non ci avevo pensato, quellaparticolarità mi era mancata.

– Ti amo – dissi.Elizabeth, oh mia Elizabeth. Le sue mani si

premettero nella mia pelle, e dopo un lungo momentomormorò contro il mio collo: – Anch’io ti amo. Ti hosempre amato. – Sempre. Sempre.

– Se vuoi mordimi p…I suoi denti mi bucarono, la lingua contro la gola

mentre venivamo scossi da un brivido. Solo quandoEric mi mordeva avevo la sensazione che il mondofosse meraviglioso; solo con Eric il fatto di essere mortanon m’importava; perché stando con lui ci si sentivaesattamente l’opposto.

– Oh m… oh, fantaftico. – Sinclair si ritrasse,ridendo, allora gli solleticai i testicoli. – Non cominciare!Altrimenti recito qualche verfetto.

– Tutto ma non i versetti, tesoro. Dovresti allenarticon l’odore del sangue.

– Mi piace farlo con te – risposi, poi lui mi morsesull’altro lato.

Anche a me piace. Sei dolce, sei come vino, sei…tutto.

– Mmm… – Dio, quanto lo desideravo!, pensai,rabbrividendo come per la febbre. – Vieni dentro dime, adesso. Ho aspettato troppo… e non sottolineareche è solo colpa mia.

Sinclair rise di nuovo e si fece spazio nel mio corpo,le mie gambe attorno alla vita. Oh, ed era davvero

dolce, sembrava vino, era tutto… Dopo avergli leccatoil collo, lo morsi, scoprendo che assomigliava proprio alvino.

– Elizabeth – gemette con un’energica spinta, poi miallargò le cosce, usò la forza, manovrò. Ed era bello,oh, era così bello. Elizabeth, ti amo, ci sei solo tu.Solo tu.

– Oh cielo – ansimai. Ecco, furono quelle parole!Pensavo che l’orgasmo fosse lontano, invece era dietrol’angolo e quando Eric pronunciò il mio nome,mentalmente, sentii il mio corpo aprirsi grazie alle suemani, al suo membro, alla sua bocca… avanti eindietro… Fu come tornare a casa.

– Ascolta – disse con una voce tremante che nonavevo mai sentito, e che mi scosse perfino durante ilpiacere. – Elizabeth, ascoltami. Non devi più rifarlo.Scappare così. Spaventarmi ancora. Lo prometti?

Be’, non ero proprio scappata, ma avevo cercato dicambiare le cose; di sicuro non per spaventarlo, ma…

– Lo prometti?– Sì, sì, lo prometto. Non volevo spaventarti.Sei l’unica in grado di farlo. – Bene – mormorò in

tono normale (grazie al cielo). Poi scese delicatamentecon la mano per darmi piacere, e stavolta rabbrividì conme.

Riuscii a muovermi solo dopo un bel po’, e lo fecidimenandomi sotto il suo corpo e sdraiandomi dall’altraparte come un pesce. Eric mugugnò quando gli intimaidi spostarsi con un pugno sulla spalla.

– Be’, è stato… – Orgasmico? Troppo banale.Sconvolgente? Cliché. Fantasticamente bellissimo?Eccessivo.

– Sublime – disse, baciandomi le nocche delle dita.– Ah! Luh mot just.Eric si mise a ridere. – Ci sei andata vicino.Esitando, pensai: ero sempre stata convinta che Eric

non sapesse che percepivo i suoi pensieri durante ilsesso (quando non ero cattiva), ma non avevo maitrovato le parole per confessarlo, per non spaventare ofar arrabbiare un uomo così calmo e controllato.Diamine, non lo ammettevo nemmeno con me stessa:mai ero stata capace di leggere nel pensiero, e capitava

solo con lui.Era il momento giusto, il più felice in assoluto: mi

sentivo amata, al sicuro. Gliel’avrei detto, ed Eric nonavrebbe reagito male, e il nostro rapporto sarebbeandato avanti tranquillo.

– Buonanotte, tesoro – mormorò. Sentii il solebrillare improvvisamente nel cielo, e sprofondai sempredi più nel sonno.

Il momento era passato.

– Allora – dissi, prima di schiarirmi la voce. – Chemi dici dei tuoi poteri demoniaci?

Laura ingollò l’ultimo boccone di muffin ai mirtilli, chemangiavamo (be’, mangiava lei) insieme al tè bianco alCaribou Coffee di Apple Valley. Ero stata tentata dirimandare per stare tutta la notte a letto con Eric, maquante sorellastre avevo sulla Terra? Una, per ilmomento.

– Betsy, ti frulla qualcosa per la testa?– No, no. Be’, forse.I suoi grandi occhi azzurri furono attraversati da un

lampo di rimprovero, tanto che mi sarei sentita peggio

se non fosse stato per le briciole sul suo labbroinferiore. – Tutti hanno dei segreti, Bets. Tu soprattutto.

Le passai un tovagliolo. – Ehi, io parlo liberamentedella mia disgustosa vita segreta da vampira.

Laura si mise a ridere, e aggiunsi: – Senti, ciconosciamo da pochi giorni, giusto? Anzi, ti ho scopertada pochi giorni! Sparando qualcosa come “sonomorta”, avresti reagito male. O pensato che sono pazza.

– Le mie reazioni ti sorprenderebbero.– Ehi, ero lì, okay? Non mi sarei stupita di certo,

non troppo almeno. Ascolta, facciamo un quid po ko.– Vuoi dire un quid pro quo – precisò con

gentilezza.– Sì, sì, quella roba. Io ti dico un segreto strano su

di me, poi tu fai lo stesso.– Ehm…– Oh, dai! Siamo sorelle: dobbiamo conoscerci.Giocherellando con il bicchiere, decise: – Va bene,

inizia tu.– Okay. Hm… ieri non è stata la prima volta che un

gruppo di vampiri ha cercato di uccidermi.Laura annuì. – Grazie per avermelo detto.

– Tocca a te.– Ah… a otto anni ho rubato un fischietto di plastica

a Target.– Laura!Lei si fece piccola piccola. – Lo so! Dopo mi sono

sentita così in colpa, che l’ho detto a mia mamma e alpastore. Che era mio papà.

– Per l’amor del cielo, e questa sarebbe unanotiziona? Dammi qualcosa di tremendo, dipeccaminoso, di maligno.

– Rubare è un peccato.Appoggiai la testa sul tavolo. – Mi riferivo a cose

grosse, non da bambini. Perché ho un segreto daconfessarti, e non posso farlo se c’è poca complicità tranoi.

– Perché? – chiese, gli occhi spalancati dallacuriosità.

Perché non ero capace di raccontare dei segreti sulconto degli altri. – Perché… devo e basta.

– E perché non ti butti? – suggerì, dandomi uncolpetto sulla testa. – Togliti questo peso! Dopo tisentirai meglio.

– Va bene. Allora, sai che tua mamma è il diavolo,eccetera…? – Continuai, anche se Laura strinse lelabbra. – E sai che… Aspetta un attimo! Come facevi asapere che era il diavolo?

– Me l’hanno detto i miei.– Tua mamma e il pastore? – esclamai, incapace di

non spalancare la bocca.– Sì.– E come lo sapevano?– Gliel’ha detto il diavolo, per divertimento,

pensando che si sarebbero sbarazzati di me. E lei… ildiavolo… mi è apparsa quando avevo tredici anni. –Non si riferì a lei come “mia madre”, e stringeva lelabbra così forte, che prima o poi sarebberoscomparse. – Mi ha raccontato tutto, dicendo di averposseduto una donna… senza offese… dal caratteresuperficiale…

– Nessunissima offesa.– …e che ero destinata a conquistare il mondo;

andava fiera di me perché ero diversa da tutti gli altri…Il bicchiere andò in frantumi nella sua mano, e il latte

rimasto sul fondo si rovesciò sul tavolo e sui miei vestiti.

Laura, nel frattempo, si stava accalorando.– Eppure non tocca a lei, sai? Per niente! È la mia

vita, e non me ne frega… un cazzo del destino! Ecomunque non significa niente: io non devo per forzaessere cattiva, non mi hanno cresciuta così. L’hannofatto mia madre e mio padre, non lei, perciò lei nondeve decidere come andrà la mia vita. Io vivo la miavita, è così, e sarà così!

Sarebbe stato uno sfogo normale per qualunqueadolescente, ma Laura aveva alzato la voce, tra i suoicapelli color miele brillarono dei riflessi rossi, e i suoigrandi occhi azzurri diventarono di un verde veleno. Miurlava in faccia, mentre io mi tiravo indietro il piùpossibile senza cadere per terra.

– Okay. – Avrei voluto calmarla con le mani, mamollando la presa sarei finita col didietro sul pavimentodel Caribou Coffee. – Okay, Laura, è tutto a posto.Nessuno ti obbliga a fare niente.

Lei si tranquillizzò un po’. – Scusa. È che… mi faandar via di testa, davvero.

– Va tutto bene.– Io non sono così.

– Okay.– E non sarò così.– Okay, Laura – dissi, osservando i suoi capelli

diventare sempre più biondi, e i suoi occhi verdi earrabbiati tornare azzurri e sereni.

– Sono convinta di quel mio pensiero: non sono igenitori a dirti che persona sei.

– No, decisamente. – Cercai di guardarmi intornonel caffè senza che lei lo notasse: come mai gli altri nonavevano visto la sua trasformazione? – Non volevo fartiarrabbiare.

– Non è colpa tua – replicò, raccogliendonervosamente frammenti di vetro per metterli in untovagliolo. – Sono… un po’ sensibile su questoargomento.

Be’, non lo tirerò fuori mai più, Rossa, nonpreoccuparti. – Allora, ehm, ti ringrazio ancora peravermi aiutato ieri sera – dissi, stendendo una cioccadei suoi capelli (biondi?). – Senza di te, non ce l’avreifatta.

Laura non sorrise. – Sì, lo so.

– Devo assolutamente conoscere questa donna! –esclamò Jessica.

– È stato da non credere, assolutamente da noncredere. Avevo paura a staccarle gli occhi di dosso!Poi si è ripresa ed è tornata tutta gentile e carina.

– È successo qualcosa di magico e di spaventoso?– Niente, a parte il colore dei capelli e degli occhi.

Oh, dopo ha divorato altri quattro muffin.– Questo è un male.– Lo so! È magra come un chiodo.Eravamo nel seminterrato, dove Jessica (che passò a

George una matassa) aveva decorato una stanza con

delle tende, fissate alle pareti grazie al nastro isolante,un materasso, coperte su coperte, e una sessantina dicuscini. Un angolo della stanza era pieno di catenelavorate all’uncinetto, perché George conosceva soloquel punto, ma era confortante che usasse l’uncinetto enon un paletto.

Jessica a quanto pare non lo infastidiva, ma perprecauzione non stava mai da sola con lui; nonannusava neanche l’aria verso di lei, finché lo nutrivoregolarmente, e Jessica gli leggeva qualcosa, gli portavale matasse, lo tentava con i frullati (che non glipiacevano), e lo trovava generalmente affascinante.George si lavava perfino da solo, e ci teneva: gli avevodato in prestito dei vestiti di Marc e di Eric, peròrifiutava i calzini e l’intimo.

Prese la matassa e cominciò a farne una palla.Mi passai una salviettina sul viso: nonostante l’eterna

giovinezza, i vampiri si sporcano come le personenormali, e le salviettine sono una vera benedizione. Inborsa ne avevo una tonnellata. – Dovremo tenerlad’occhio.

– Pensavi già di farlo dopo aver visto le misteriose

armi infernali, no?– Sì, ma adesso voglio proprio controllarla. Cioè,

per fortuna ha voltato le spalle al suo destino…– Ma si può? – domandò a bassa voce.– Appunto. Guarda me ed Eric: avevo giurato che

non saremmo stati insieme, eppure…– La puttana che c’è in te ha preso il sopravvento.– Non volevo affatto dire questo.– Certo.– Puoi ricominciare a non parlarmi più, sai?– Ti piacerebbe!

Due ore dopo, mentre guardavo la scena in cui Rhettportava Rossella su per le scale tra le sue proteste, iltelefono vicino al mio braccio squillò. Oooh, ClarkGable! Di solito i peli in faccia non mi piacevano, ma luiera l’eccezione alla regola. Che labbra, che occhi! E iltelefono squillava. Cavolo, dovevo fare tutto io?

Lo presi, ancora incollata allo schermo. – Pronto?– Buonasera Sua Maestà. Spero che non le dia

fastidio se le telefono invece di venire di persona, ma

purtroppo ho poco tempo.– Chi diavolo sei?– Andrea – rispose, preoccupata.– Oh, giusto. Era un test, Andrea, e l’hai passato.– Grazie, Maestà. Volevo solo sapere se aveva tutto

per domani sera.– Domani sera?– Per il mio matrimonio – suggerì Andrea.– Oh. Oh! Giusto, il tuo matrimonio! Non me n’ero

affatto dimenticata. Wow, domani è già Halloween eh?– No, domani ci sono le prove.– Sì, sì. Bene, allora ci vediamo domani.– Mio padre non ce la fa, e mia madre è fuori dal

Paese… – disse, interrompendosi. Tina, che mi fornivadettagli di gossip molto accurati e con molto tatto, miaveva detto infatti che i genitori di Andrea la credevanoancora morta. Be’, non erano fatti miei.

– Ehi – dissi all’improvviso. – Ti fa niente se vieneanche mia sorella? – Laura si sarebbe divertita unmondo, per non parlare dell’operazione Controllare laFiglia del Diavolo, e del fatto che, in caso di bisogno,poteva tornare utile. – Decidi tu: è il tuo matrimonio,

ma…– Sua… No, certo che no, ne sarei onorata.

Qualunque suo parente è il benvenuto.– Gentile da parte tua, ma non inviterò mia madre.– Non si preoccupi, signora.– Sì, invece. Lei lo vedrebbe dalla prospettiva della

cultura, e muore dalla voglia di fare il terzo grado a Tinasulla Vita Ai Suoi Tempi.

– Davvero, Sua Maestà, a me andrebbe bene –ripeté, un po’ più allegra. – Almeno ci sarebbe la madredi qualcuno.

– Oh. – Messa su questo piano… – Be’, okay,glielo dirò. Sarà emozionatissima, davvero.

– Fantastico.Già, sentirla così allegra mi rincuorò: mio papà mi

ignorava, pur sapendo che ero morta, perciò come sisentiva Andrea?

Anzi, come ci si sentiva quando tutti i parenti se neandavano, uno dopo l’altro? Non che fosse ancora unsuo problema, ma prima o poi sì, com’era successo aTina e a Sinclair; a me sarebbe successo un giorno, conmamma, papà, Ant, Jessica, Marc… Tutti morti. Anche

Laura? Non lo sapevo: tra i poteri infernali e ilcolesterolo basso, poteva sopravvivere fino acinquecento anni.

Dimenticai quei pensieri. – Ci vediamo domani,allora. Saluta Daniel da parte mia.

– Sì. Buonanotte Maestà.Dopo aver riattaccato, interruppi il lettore DVD. Iiih,

il matrimonio! Dovevo fare shopping prima didimenticarmelo di nuovo!

Satana mi apparve mentre bevevo un Orange Juliusmedio, sfogliando la rivista Real Simple del mese.Vicino al chiosco dell’Orange Julius (che tecnicamenteera proprietà del Cinnabon) c’era una piccola zona incui sedersi, dove stavo pensando alla prossima tappa:Nordstrom o GapBaby. Cercavo un accessorio per unvestito nero di cashmere e un paio di décolleté viola;bisognava poi considerare il feto, per contrastare fin dasubito i gusti volgari di Ant.

Comparve all’improvviso, dall’altra parte del tavolo.Il diavolo. Satana. Il re delle menzogne. Non mimeravigliai, me l’aspettavo già, e conobbi la sua identità:

certe cose le sai e basta, come si sa di non mettere unmascara nerissimo per non far sembrare gli occhitroppo piccoli e strabici.

Il diavolo, se volete saperlo, è una donna verso lacinquantina. Quel giorno indossava un completo grigioscuro con i bottoni sul davanti, quasi militare, collantneri, e scarpe col tacco nere. Aveva i capelli di unintenso marrone cioccolato, con riflessi argentei sulletempie, raccolti in un elegante chignon, e gli occhinerissimi; non portava orecchini e… anzi, non portavanessun tipo di gioiello.

Per un po’ mi osservò, e alla fine esordì: – Tu sei laregina dei vampiri.

Non me lo stava chiedendo, come in un sondaggio,pensai nel pulirmi la bocca. – Eh… sì.

– Elizabeth Taylor.– Sì. – Solo per abitudine, le guardai le scarpe… e

le riguardai per la seconda volta. Le décolleté nereerano in realtà delle francesine col tacco di RogerVivier, il quale creava calzature per i VIP; la ReginaElisabetta per esempio ne aveva indossate un paioall’incoronazione. Quelle erano scarpe lavorate a mano,

con i brillantini.1962 circa. Ne esistevano solo sedici paia. Erano

come il sacro graal.– D…dove le hai prese?Il diavolo mi rivolse un sorriso gelido. – Ti

piacerebbe averle?Sì! No. Avrei venduto l’anima per delle scarpe?

Certo che no. Era un’idea assurda. E quei brillantini nonmi attiravano come una calamita, e la mia piccola animanon era in vendita a nessun… no!

– E sei la sorellastra di mia figlia, la Predilettadell’Astro del Mattino?

– Cosa? Oh, vuoi dire Laura? Sì, il Libro lachiamava così, forse perché “figlia del diavolo” nonsuonava bene.

La faccia del diavolo era imperturbabile. – Il Libro.Non dovevi cercare di distruggerlo.

Cercare? Una cosa alla volta. – Sì, non stavagranché bene in biblioteca.

– Sarebbe considerata blasfemia. Pensa comereagirebbero i cattolici se il Papa buttasse la primaedizione della Bibbia nel Mississippi. Ora pensa a quale

messaggio hai dato ai tuoi servitori.– Non sono i miei servitori.– Aspetta.– Senti, non cambiamo discorso. Mi chiedevi di

Laura, no? Grazie per averci aiutato allo Scratch.– Io osservo, di solito non entro in azione – ammise

Satana. – E sapevo già che avreste vinto voi. In effetti,insieme siete virtualmente inarrestabili. Virtualmente.

– Sì, sì.Era il diavolo… Il diavolo! La peggior creatura

dell’universo intero, la ragione per cui le personeuccidevano i mariti, investivano i bambini per strada, siubriacavano, si drogavano, stupravano, uccidevano,mentivano, tradivano e rubavano. Di conseguenza,preferii essere prudente, anche se assomigliavastranamente a Lena Olin.

– Ti ama ancora, sai.– Sì che lo so.– Volevo che non ne dubitassi. Hai passato due

settimane impegnative, per questo te lo confermo: Lui tiamerà per sempre.

– Sì, lo so.

(Jessica mi avrebbe chiesto: “Di chi stavaparlando?”, e io le avrei risposto: “Di Dio. Parlava diDio”. La notizia avrebbe inquietato i vampiri, ma a Jesssarebbe piaciuta; e io avevo sempre saputo la verità,senza dubitarne neanche dopo le ultime due tostesettimane.)

– Che peccato – disse in tono derisorio. – Mia figliaha lo stesso problema. Avreste potuto essereformidabili… Per lei c’è ancora speranza.

– Non ci scommetterei.– Io adoro scommettere. – Mi scrutò con i suoi

occhi azzurri… Ehm, ma non erano scuri? – Un veropeccato. Potevi essere una valida contendente, ma seiancora in tempo, se tralasci alcune delle tue stupideidee.

– Oh, non mi interessa – le garantii. – Non ho maiavuto queste aspirazioni.

Il diavolo socchiuse gli occhi color nocciola. – La tuamatrigna è stata un contenitore perfetto.

– Ne ero sicura.– E tuo padre è uno stupido.Okay, cominciai a innervosirmi: che accidenti potevo

fare per il diavolo? Tranne non diventare cattiva dallamattina alla sera, o vendere l’anima per le scarpe? Suquest’ultimo punto non ero ancora convinta. – Parliamodi qualcosa che non so? Perché speravo in unaconversazione interessante; insomma, hai una certareputazione.

Il diavolo sogghignò. – Figlia sciagurata.– Senti, chiacchierare in questo posto comincia a

infastidirmi.– Sono stata qui tante volte.– Oooh, Wow, un commento sulla nostra avidità…

il centro commerciale è la radice di ogni male! Nonstuzzichi la mia attenzione: ho sentito cose più sagaci.

Il diavolo mi lanciò un’occhiata in tralice. – Era soloun’osservazione.

– Be’, fanne un’altra.– Stai per assumere un atteggiamento molto stupido.– Qualunque cosa tu dica, mi rimbalza addosso e ti

ritorna indietro – dissi a Satana.Lei mi perforò con i suoi occhi verdi, come se

potesse aggredirmi da un secondo all’altro. Dopo unmomento disse: – Prenditi cura della mia Laura, per

favore.– Sicuramente.– Ho grandi progetti per lei.– Okay, neanche questo mi fa venire i brividi.Lei accavallò le gambe, puntando il piede verso l’alto

e mostrandomi così l’immacolata suola della sua scarpa.Oddio, erano perfette!

– Ultima possibilità – mi avvertì.– Non infastidirmi, Lena Olin.Il diavolo scomparve, lasciandosi dietro una nuvola

di fumo che sapeva di uova marce. Davvero,scomparve, e io continuai a leggere Real Simple perdistrarmi dalle mie isterie sul cibo: mi era rimasto un po’di orgoglio.

Esausta, dopo lo shopping e l’Orange Julius conSatana, arrancai fino in camera mia e vidi la grandeconfezione in fondo al letto, di cartone marrone. Non mivenne in mente niente, ma dato che poteva starci unpaio di stivali, magari Jess me li aveva presi perl’inverno.

Tolsi il coperchio… e per poco non ci caddi dentro!Nella carta bianca e crespa c’erano gli stivali Mondriandi Kate Spade, cinquecento dollari fuori dalla miaportata: un sogno di pelle bianca e rossa, con un taccodi cinque centimetri. Eleganti e fichissimi solo aguardarli. Li sentii perfino incitarmi: “Vroom! Vroom!”

– Oooh, ooooh – gongolai, incapace di mettereinsieme le parole. Li adoro! Mi strinsi al petto la carta,la confezione e gli stivali. – Ooooh!

Ringiovanita, mi voltai come una scheggia permostrarli a… be’, chiunque… e sulla porta trovaiSinclair. Mi sorrideva, e gli occhi scuri gli brillaronoquando disse: – Tu hai sedotto me: mi sembrava giustosedurti a mia volta.

– Oh, piccolo! – gridai, danzando nella stanza perdargli un bacio.

– Bene, allora, per concludere… – Riabbassai losguardo sui miei appunti. Non era poi così difficile comeavevo creduto, dato che il pubblico non era numeroso(un aspetto positivo e negativo), e francamente ero unoschianto. Anche la sposa, con un abito aderente colorcrema, un set di perle grigie, senza velo, e con un truccoimpeccabile. Daniel portava un completo scuro diqualche genere, ma chi se ne frega? Ai matrimoni losposo non contava niente.

Per ovvie (e tristi) ragioni, Daniel non aveva dettoniente a suo padre, preferendo usare la scusa di una“fuga” in un secondo momento, perché la sposa

aborriva la luce solare. La famiglia di Andrea non c’era,mentre erano presenti mia mamma, mia sorella, Marc,Jessica, Sinclair e Tina. George, affascinato dal suonuovo uncinetto numero sei, non voleva più uscire dalseminterrato.

Quindi non ero particolarmente nervosa, ma volevoessere gentile. – Ho fatto delle ricerche sui matrimonilaici… e in internet ho trovato questo. Okay, dice così:“Che le promesse che vi siete scambiati oggi perdurinocon gioia fino alla fine dei vostri giorni”.

Feci una pausa. Mentre Daniel e Andrea siguardavano con occhi grandi, mamma tirava su col nasocome sempre ai matrimoni: era il mio diabolico piano. –Ho pensato che fosse un buon consiglio per tutti,indipendentemente dalle… circostanze. Allora: adessoci sono le promesse matrimoniali, poi beviamo il punch.Vuoi tu, Daniel, prendere Andrea come tua legittimasposa? Pronunciare le parole che la legheranno a te peril resto della tua vita?

– Lo voglio.– Vuoi tu, Andrea, prendere Daniel come tuo

legittimo sposo? Pronunciare le parole che lo

legheranno a te per il resto della tua vita?Feci un’altra pausa. Grande quesito: Andrea aveva

davanti a sé una lunga, lunghissima vita, e Daniel nonera uno schiavo. Come poteva funzionare? L’avrebbetrasformato in vampiro? Daniel sarebbe statoconsenziente?

Non erano cavoli miei. Meglio concentrarmi su quelmomento e rimandare le preoccupazioni.

– Lo voglio.– Per i poteri conferitimi, da me stessa, vi dichiaro

marito e moglie. Azzannatevi pure.Invece di ascoltarmi, si scambiarono il bacio, ma

andava bene così.– Un’ultima cosa – dissi. – Shakespeare. Non fate

quelle facce stupite, il mio motore di ricerca funziona!Comunque, non appena l’ho letto ho pensato a voi due,e pensavo di leggervelo.

Non spiegai che era tratto da Romeo e Giulietta,augurandomi che la loro storia andasse meglio.

“Con le ali dell’amore volai su questi muri:

per amore non c’è ostacolo di pietra,e ciò che l’amore può fare, amore tenta”

Alla fine, alzai lo sguardo dagli appunti e vidi che, infondo alla sala, Sinclair mi sorrideva.

FINE

Ovviamente, la figlia del diavolo non abita allaperiferia di Minneapolis, ma di Saint Paul, tsè.

Inoltre, cercando informazioni sui matrimoni laici,Betsy si è largamente basata sul sitohttp://www.maggiedot.com/7Destiny/. Molte grazie alreverendo Marcia Ann George.

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Betsy Regina dei vampiri

MaryJanice Davidson, Non-morta enubile

«La chick lit incontra il romanzo vampiresco inquesto libro creativo, sofisticato, sexy emeravigliosamente spiritoso.» ISBN:9788865303689

MaryJanice Davidson, Non-morta edisoccupata

Il secondo romanzo delle avventure horror-tragicomiche di Betsy, la Regina dei vampiri

ISBN: 9788865303702

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Dopo gli esilaranti Non morta e nubile e Nonmorta e disoccupata continuano le vicende diBetsy la regina dei vampiri ISBN:9788865303726

Blood Books

Tanya Huff, Il prezzo del sangueLa Huff si diverte a giocare con gli elementi checompongono la leggenda dei vampiri,inserendo nella vicenda quell'insieme disensualità e di pericolosità che fa dei vampiricreature tanto affascinanti. IL LIBRO DALQUALE È TRATTA LA SERIE TV "BLOOD TIES"ISBN: 9788865300732

Tanya Huff, Tracce di sangueIl secondo romanzo del ciclo di Vicki Nelsonprotagonista della serie TV Blood Ties ISBN:9788865300749

Tanya Huff, Linee di sangueContinuano le avventure di Vicki Nelson,protagonista della serie televisiva Blood TiesISBN: 9788865302064

Tanya Huff, Patto di sangueIl quarto libro della serie da cui è stata tratta laserie televisiva Blood Ties ISBN:9788865302088

Tanya Huff, Debito di sangueIl quinto e conclusivo romanzo di Vicki Nelson,protagonista della serie televisiva Blood TiesISBN: 9788865302101

Tanya Huff, La banca del sangueNove racconti del ciclo Blood Ties con ipersonaggi Vicki Nelson, il vampiro HenryFitzroy e il detective Mike Celluci. ISBN:9788865302125

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Charlaine Harris, Tomba a sorpresa"Una storia che vi farà mordere le dita per lasuspense, piena di personaggi vividi e bencaratterizzati" Publishers Weekly ISBN:9788865302330

Charlaine Harris, Una tomba freddaghiacciata

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Charlaine Harris fatto diventare il personaggioHarper Connelly famoso quanto la SookieStackhouse della sua celebre serie dei vampiriTrue Blood ISBN: 9788865302378

Ciclo di Sookie Stackhouse

Charlaine Harris, Finché non cala ilbuio

Charlaine Harris, con le sue storie di vampirioffre quel genere di emozione che ha resotanto popolari i romanzi di Anita Blake scritti daLaurell K. Hamilton (Locus) ISBN:9788865300695

Charlaine Harris, Morti viventi a DallasDall'autrice del bestseller "Finché non cada ilbuio" la seconda avventura di SookieStackhouse ISBN: 9788865300701

Charlaine Harris, Il club dei mortiIl terzo libro del ciclo di Sookie Stackhouse.«Davvero divertente, una spensierata varianteambientata in una piccola città, del genere dilibri di vampiri che hanno reso tanto popolare iromanzi di “Anita Blake” di Laurell K. Hamilton»Locus ISBN: 9788865300718

Charlaine Harris, Morto per il mondoIl quarto libro del ciclo di Sookie Stackhousedal quale è stata tratta la serie tv TRUE BLOOD

ISBN: 9788865300725

Charlaine Harris, Morto stecchitoIl quinto romanzo di Sookie Stackhouse che siaggiunge al ciclo True Blood dal quale è trattal'omonina serie televisiva di grande successo.ISBN: 9788865301388

Charlaine Harris, Decisamente mortoL'attesissimo sesto romanzo del ciclo TrueBlood della serie di Sookie Stackhouse ISBN:9788865301401

Charlaine Harris, Morti tutti insiemeIl settimo libro del ciclo di Sookie Stackhouse,primo nelle classifiche dei libri più venduti, dalquale è tratta la serie TV TRUE BLOOD ISBN:9788865302118

Charlaine Harris, Di morto in peggioL'ottavo libro del ciclo di Sookie Stackhouse:continua il travolgente successo internazionaledi Charlaine Harris e della sua saga TrueBlood ISBN: 9788865302132

Charlaine Harris, Morto e spacciato

Continua il travolgente successo di CharlaineHarris e della saga True Blood dalla quale ètratta l’omonima serie televisiva trasmessaanche in Italia ISBN: 9788865302156

Charlaine Harris, Morto in famigliaContinua con questo decimo romanzo la seriedi Sookie Stackhouse, bestseller numero 1 delNew York Times e base per i telefilm di TrueBlood! ISBN: 9788865302279

Charlaine Harris, Resa dei contimortale

Attesissimo in tutto il mondo, escel'undicesimo libro del ciclo True Blood diCharlaine Harris, tradotto in quattordici lingue ebestseller da anni nelle classifiche dei libri piùvenduti. ISBN: 9788865302293

Charlaine Harris, A un punto mortoL’attesissimo dodicesimo episodio di uno deipiù sfolgoranti casi editoriali dell’ultimodecennio. ISBN: 9788865303542

I vampiri di Chicago

Chloe Neill, Alcune ragazze mordono"I vampiri di Chicago mi hanno uccisa. Mihanno guarita. Mi hanno cambiata" ISBN:9788865303139

Chloe Neill, Le ragazze mordono ilvenerdì notte

Il secondo libro dei Vampiri di Chicago.Qualcuno non vuole che umani e vampiri vivanoin pace. «Questo è uno dei migliori romanziurban fantasy che io abbia mai letto» EclecticBook Lover ISBN: 9788865303153

Chloe Neill, Il secondo morsoDopo i successi di Alcune ragazze mordono eLe ragazze mordono il venerdì notte continua lasaga dei «Vampiri di Chicago» «Un'eroinavampiro meravigliosamente irresistibile.»ISBN: 9788865303177

Chloe Neill, Il gioco si fa duroUn nuovo romanzo della saga dei Vampiri diChicago. «Un'eroina risoluta e sveglia chepiacerà alle fan di Sookie Stackhouse della

serie True Blood di Charlaine Harris e di AnitaBlake di Laurell K. Hamilton.» Library JournalISBN: 9788865303191

Chloe Neill, Minaccia dal profondo«Spiritoso, sexy e delizioso... una letturaobbligata per chi ama la Urban Fantasy!»Romantic Times - I Vampiri di Chicago 5 ISBN:9788865303504

La saga della famiglia Gale

Tanya Huff, L'emporio degli incantiNell'Emporio degli Incanti, ciò che può esseremerce da rigattiere per una persona puòdiventare un tesoro magico per un'altra. ISBN:9788865302392

Tanya Huff, Potere selvaggioIl secondo romanzo del ciclo della magicafamiglia Gale, iniziato con L'emporio degliincanti pubblicato in questa collana. ISBN:9788865302620

La saga di Liz Phenix

Lori Handeland, Contro l'apocalisse"Un romanzo intrigante... suspenseall'ennesima potenza." Publishers WeeklyISBN: 9788865302996

Lori Handeland, La fine può attendereIl seguito di "Contro l'Apocalisse" - «Una seriesorprendente con un taglio decisamente sexy.In questa complessa mitologia vista attraversogli occhi di Liz Phoenix, ex poliziotta salvatricedell'umanità.» Romantic Times Book ReviewsISBN: 9788865303016

Lori Handeland, La fine verràIl terzo romanzo del ciclo delle «Cronache dellafenice» "Sexy, pericoloso e incredibilmentepiccante." ISBN: 9788865303030

La serie di Corinne Solomon

Ann Aguirre, Blue DiabloIl primo romanzo di Corinne Salomon, unahandler che con un semplice tocco riesce apercepire la storia presente, passata e futuradelle cose. ISBN: 9788865303740

Le avventure di Nicki Styx

Terri Garey, Le ragazze morte sonofacili

Mi chiamo Nicki Styx, e pensavo di aver capitotutto della vita. Poi, ho ripreso conoscenza.ISBN: 9788865302958

Terri Garey, Attrazione infernaleUna nuova storia di Nicki Styx, la ragazzasensitiva dai poteri eccezionali che lepermettono di comunicare con le anime deimorti rimaste bloccate su questa Terra perchéhanno ancora delle storie "in sospeso". ISBN:9788865302972

Terri Garey, Sei la sola che voglioDopo il successo di Le ragazze morte sonofacili una nuova storia di Nicki Styx, la sensitivacapace di comunicare con le anime dei mortiISBN: 9788865303528

Love At Stake

Kerrelyn Sparks, Come sposare unvampiro milionario

Per la prima volta in Italia arrivano le storiehumour-vampiresche che sono bestseller negliUsa e hanno divertito migliaia di lettori. ISBN:9788865303054

Kerrelyn Sparks, Vampiri & The CitySecondo volume del ciclo Love At Stake. Puòun vampiro trovare il vero amore in un realityTV? ISBN: 9788865303078

Kerrelyn Sparks, Il vampiro delleHighland

“L’unico vampiro buono è un vampiro morto”.Questo era il motto di Emma Wallace ISBN:9788865303092

Kerrelyn Sparks, Il vampiro della portaaccanto

La tranquilla vita di Heather Westfield cambiaradicalmente dopo l’incontro con l’affascinantee misterioso sconosciuto che è venuto ad

abitare nella sua cittadina. ISBN:9788865303115

Saga degli Argeneau

Lynsay Sands, Bianco, celibe evampiro

“Una storia irriverente e strampalata… leamanti dei vampiri si ritroveranno a rideredall’inizio alla fine.” Publisher Weekly ISBN:9788865303603

Lynsay Sands, Al primo morso«Un assaggio non è mai abbastanza…Prendete un morso di una rinfrescante,divertente commedia vampiresca» CarlyPhillips, autore bestseller del New York TimesISBN: 9788865303627

Lynsay Sands, Mordimi ancoraUn nuovo divertentissimo romanzo della sagadegli Argeneau ISBN: 9788865303641

Lynsay Sands, Alto, moro e affamatoUn nuovo capitolo della saga degli Argeneaudefinita dal Publisher Weekly “una storia pazzae irriverente” per “lettrici stanche dei vampiritormentati, tristi e troppo seri”. ISBN:9788865303665