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Pagina dattiloscritta di una sceneggiatura di Tom Stoppard. Harry Ransom Center — The University of Texas at Austin.

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Irene Ranzato

Tom Stoppard, contaminatore ossessivo

Il drammaturgo, lo sceneggiatore, il traduttore

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I edizione: gennaio 2010

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Indice

7 Ringraziamenti

9 Introduzione

17 Capitolo I“In God’s lottery, to be an Englishman is to draw first prize”:il drammaturgo

37 Capitolo II“Who is that? Nobody. The author.”: lo sceneggiatore

Tuttle e Buttle: lo scambio di identità in Brazil – Rosencrantz and Guilden-stern Are Dead: il film – Shakespeare in Love, la dama bruna e le altre vite di Shakespeare

97 Capitolo III“The importance of language is overrated”: il traduttore

On the Razzle – Čechov secondo Stoppard – Tradurre Stoppard: Rock’n’roll

127 Bibliografia

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Ringraziamenti

Mi piacerebbe ringraziare le molte persone che mi sono state di aiuto nel mio percorso di ricerca. Sono troppe e mi limito dunque a ringra-ziare quelle che hanno avuto un ruolo importante per il mio lavoro su Tom Stoppard. Quindi grazie a Isabella Imperiali per i suoi pazienti, affettuosi e utili commenti; grazie a Donatella Montini per i suoi consi-gli e le stimolanti riflessioni sulla teoria e le pratiche dell’adattamento. Ringrazio entrambe per avermi amorevolmente esortato a concludere. Vorrei ringraziare Alessandro Gebbia e Fiorella Gabizon per avere ospitato in La figura nel tappeto la mia traduzione di alcune pagine di Rock’n’roll. Grazie allo Harry Ransom Humanities Research Center dell’Università di Austin, Texas, per il permesso di utilizzare e citare dai manoscritti di Stoppard. Grazie a Lina Unali, perché le sue ardite associazioni tra poesia cinese e letteratura americana mi hanno fatto capire, come ha capito il nostro autore molto tempo fa, che non c’è e non deve esserci limite alle libere associazioni. Infine, ma soprattutto, ringrazio Daniela Guardamagna che lesse e commentò le mie prime riflessioni su Stoppard e il cinema e mi incoraggiò ad approfondire i significati e i modi dell’intertestualità.

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Introduzione

In termini di storia del teatro, e nonostante l’importanza da tutti ri-conosciuta, Tom Stoppard è considerato un personaggio “scomodo”, perché non si inserisce agevolmente in nessuna scuola drammaturgi-ca, non rappresenta alcun movimento teatrale.

All’interno della generazione di drammaturghi britannici cresciuti dopo la svolta di rinascita rappresentata da Look Back in Anger (1956), si è soliti fare una divisione generale tra gli autori considerati più so-cialmente impegnati e i cosiddetti “esteti apolitici”, sebbene natural-mente le due categorie abbiano dei contorni sfumati. In un elenco parziale dei primi si è soliti includere, tra gli altri, John Osborne, John Arden, Arnold Wesker, David Hare, Edward Bond, Howard Brenton, Caryl Churchill, Howard Barker, Peter Barnes, David Edgar, David Storey, Peter Nichols, Trevor Griffiths. Tra i secondi troviamo, oltre a Stoppard, anche Harold Pinter, Peter Shaffer, Joe Orton, Christopher Hampton, Alan Ayckbourn, Simon Gray, Alan Bennett, Brian Friel e Michael Frayn.

Molti di questi nomi sono più noti al pubblico italiano di quanto non lo sia quello di Tom Stoppard. In molti casi è il cinema ad avere dato visibilità internazionale a celebri opere teatrali: da Look Back in Anger di Osborne a Plenty di Hare, da The Ruling Class di Barnes a The Birthday Party, The Homecoming e The Betrayal di Pinter, da Equus e Amadeus di Shaffer a Dangerous Liaisons e Total Eclipse di Hampton, da Intimate Exchanges di Ayckbourn a Noises Off di Frayn. E se Stoppard vinse il Leone d’Oro al Festival di Venezia per la sua unica regia cinematografica dell’opera alla quale deve la sua celebrità,

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Rosencrantz and Guildenstern Are Dead, è vero anche che questo film è considerato da molti un freddo gioco metateatrale che non ha rag-giunto il cuore di un vasto pubblico, neanche di quello cinefilo.

Se cerchiamo di leggere l’opera di Tom Stoppard nel più ampio contesto della tradizione drammaturgica europea, è facile individuar-ne i collegamenti con le opere di autori quali George Bernard Shaw, Oscar Wilde e Samuel Beckett.

L’opera di Stoppard offre similitudini con quella di Shaw sul piano linguistico: entrambi sono noti per il loro virtuosismo verbale (che in alcuni casi diventa una riflessione sulla lingua) e per l’abilità di inserire profonde idee morali e concetti intellettuali tra le maglie delle loro commedie. Ma se è vero che entrambi i drammaturghi amano le batta-glie di idee, Stoppard è noto per il suo senso dello spettacolo teatrale e per le sue innovative strutture drammatiche che deviano dal realismo, mentre le trame lineari di Shaw sono costruite sulle solide basi del dramma borghese. Stoppard ha più senso dello spettacolo rispetto a Shaw, mentre Shaw, socialista e riformista impegnato, è più preoccu-pato delle implicazioni sociali delle idee contenute nelle sue opere.

Il tipo di ricerca stilistica di Stoppard ha invitato paragoni con Oscar Wilde, scrittore che Stoppard ammira molto. I due hanno, in effetti, le stesse preoccupazioni estetiche e credono che le opere teatrali debba-no essere giudicate soprattutto per come sono scritte e non per il loro “messaggio”. Ma una differenza centrale tra i due drammaturghi è che l’umorismo e i giochi di parole di Stoppard sono inseriti in commedie di idee, mentre l’umorismo e i brillanti dialoghi di Wilde hanno più che altro l’obiettivo di un raffinato gioco, appunto, estetico.

Il terzo nome al quale Stoppard è spesso rapportato è quello di Samuel Beckett e ciò si deve all’evidente influenza che Waiting for Go-dot ha esercitato sulla creazione di Rosencrantz and Guildenstern Are Dead. Tuttavia il minimalismo nei dialoghi, nella messa in scena e nella costruzione della trama di Beckett è profondamente diverso dall’uso elaborato e incontenibile che Stoppard fa di questi stessi elementi. Se gli studiosi hanno spesso trovato un’affinità tra le visioni della vita di Stoppard e di Beckett, non si può non notare che il teatro dell’assur-do di quest’ultimo è in fondo in profondo contrasto con la ricerca di risposte logiche di Stoppard e con la sua fede negli assoluti morali. Stoppard stesso ha ammesso l’influenza di Beckett, ma la individua soprattutto nei suoi romanzi e nella tecnica tipicamente beckettiana di

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fare esprimere a un personaggio un’opinione decisa per poi refutarla ed esporre l’argomentazione opposta.

Secondo Harold Bloom (Bloom 1986: 1–2), Tom Stoppard può definirsi un “contaminatore ossessivo”, dato che forse nessun altro drammaturgo si affida in modo così essenziale all’interlacing, l’intrec-cio di opere diverse di autori dagli stili e delle epoche le più diverse. Sempre secondo Bloom e secondo la prospettiva critica del lettore o dello spettatore, questa tecnica può essere considerata come una difesa del drammaturgo contro precursori (e rivali contemporanei) oppure come una gioiosa mancanza di considerazione, da parte del drammaturgo stesso, dell’influenza letteraria del passato. Più proba-bilmente Stoppard, grande artigiano teatrale, maschera sottilmente la sua ansia di influenza parodiando W.S.Gilbert, Shaw, Wilde, il teatro contemporaneo e (all’infinito) Shakespeare.

L’opera del drammaturgo ha conosciuto, comunque, negli anni, un’evoluzione nel senso di un naturalismo più deciso, e se oggi la de-finizione di “contaminatore ossessivo” è ancora calzante, è vero che il materiale utilizzato proviene meno dagli stili e dai generi della lettera-tura e del teatro e più dalla realtà contemporanea, dalla politica e dalla storia. Il metodo è lo stesso, il materiale è cambiato.

Il teatro di Tom Stoppard è stato oggetto di molti studi in lingua inglese. Le monografie e i saggi critici sul drammaturgo britannico di origine ceca hanno analizzato ogni aspetto della sua opera, da molti punti di vista: dai rapporti di Stoppard con il teatro contemporaneo ai complessi rimandi intertestuali che costellano i suoi lavori, dagli argo-menti filosofici e scientifici trattati in modo divulgativo ma profondo insieme, alle caratteristiche stilistiche di un teatro che, soprattutto agli inizi, trova nella tradizione elisabettiana, in Shakespeare e (anche se nei termini di cui si è detto) nel teatro dell’assurdo, i suoi più fertili motivi di ispirazione.

Il termine “stoppardiano” è utilizzato in genere per connotare uno spettacolo teatrale generoso e incontenibile, con una pletora di bat-tute e giochi di parole, accesi scambi dialettici, ricerca intellettuale, allusioni elaborate e umorismo cerebrale. È forse anche per queste caratteristiche del suo teatro che Tom Stoppard è stato poco tradot-to e poco studiato in Italia. Non esistono monografie a lui dedicate nella nostra lingua e poche sono le sue opere tradotte e pubblicate in italiano. Anche la bibliografia in lingua inglese sull’opera del dram-

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maturgo, che come abbiamo detto è ricca e variegata, è dedicata quasi esclusivamente alla sua opera teatrale originale. È per questo che qui si è cercato di leggere l’autore in una prospettiva più ampia, che tenes-se conto di altri aspetti della sua attività cercando di mantenere in evi-denza il filo conduttore della sua opera per i diversi media: l’abilità e la volontà di rielaborare e riadattare i lavori di altri autori, sentiti come un patrimonio comune da utilizzare come le note di infinite variazioni musicali, in un continuo e instancabile lavoro di ri–creazione.

Sin dagli inizi della sua carriera, Tom Stoppard si è dedicato, con costanza e continuità, oltre che alla scrittura dei suoi drammi teatrali, anche ad altri lavori che in certi casi hanno ispirato e influenzato la creazione delle sue opere originali: le sceneggiature per il cinema e gli adattamenti di opere di altri drammaturghi.

I drammaturghi britannici hanno sempre dimostrato, con rare ec-cezioni, un profondo interesse per il cinema e hanno spesso seguito carriere parallele nei due ambiti. Nel Regno Unito quindi, i rapporti tra il teatro e il cinema sono particolarmente stretti ed è possibile indi-viduare le influenze reciproche e gli intimi rapporti che li legano. Tom Stoppard non ha ancora scritto una sceneggiatura per un capolavoro cinematografico — come hanno fatto i suoi colleghi Pinter, Shaffer, Hampton, Hare, per esempio — ed è forse per questo che i suoi stu-diosi hanno trascurato questo aspetto della sua carriera.

Il lavoro per il cinema, che per i progetti che lo coinvolgono e le opere realizzate, può definirsi un “divertimento di lusso” nell’ambito dell’opera dello scrittore, è interessante per lo studioso di Stoppard perché il lavoro sulle sceneggiature cinematografiche, che passa spes-so per molte mani e si sviluppa lentamente attraverso diverse versioni di una stessa storia, getta un’altra luce sul metodo creativo dello scrit-tore. È interessante, insomma, vedere come prendano vita da un ricco humus intertestuale non solo le opere per il teatro, ma anche molte delle sceneggiature cinematografiche di Stoppard, anche le commedie più leggere come Shakespeare in Love.

I testi stoppardiani, da Rosencrantz and Guildenstern a Travesties, da Shakespeare in Love a Rock’n’roll sono tutti, per citare la celebre definizione di Genette, letteratura au second degré (Genette 1997). Come tali presuppongono, come condizione indispensabile per la loro comprensione, la conoscenza dell’ipotesto, che sia, come nei casi delle opere citate, Hamlet, The Importance of Being Earnest, Romeo

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and Juliet o le canzoni dei Pink Floyd. Le sue sceneggiature per il ci-nema non sono un’eccezione, ma qui i diversi strati intertestuali sono ancora più difficili da dirimere.

La domanda che si pone Linda Hutcheon –— “Who is the adap-ter?” — nel suo saggio di teoria dell’adattamento (Hutcheon 2006) è, nel caso di tutte le opere di Stoppard, particolarmente pregnante. Se pensiamo, per esempio, al film Shakespeare in Love anche come a una riscrittura di Romeo and Juliet — oltre che un ulteriore tassello della lunga tradizione di storie sulla vita di Shakespeare (come ho illustrato nel capitolo due) — è davvero difficile stabilire chi sia l’adattatore. La figura dell’adattatore, nel cinema in particolare, più ancora che nella letteratura e nel teatro, è infatti elusiva. Le sceneggiature cinemato-grafiche, come si è detto, sono sempre il risultato del lavoro di molte personalità diverse e in questo testo in particolare sarebbe difficile stabilire se l’adattatore è Stoppard, l’autore della sceneggiatura ori-ginale Marc Norman o, prima di loro, la drammaturga Clare Danes, gli scrittori Brahms e Simon o quanti altri hanno ricamato sul tema di Shakespeare in crisi di creatività che trova nell’innamoramento lo stimolo per scrivere uno dei suoi capolavori. Davvero difficile è capire chi ha adattato e anche che cosa abbia adattato, per rispondere all’al-tra domanda di Hutcheon che, non a caso, cita tra i suoi esempi la sceneggiatura di Empire of the Sun, film di Steven Spielberg tratto dal romanzo di James Ballard e adattato, tra gli altri, da Tom Stoppard.

L’altro aspetto dell’attività creativa del nostro autore è quello del traduttore e dell’adattatore di testi teatrali (e relativamente a questo aspetto la bibliografia internazionale su Stoppard è più generosa di quanto non lo sia con lo sceneggiatore). Questa parte della sua attività si intreccia e forse deriva dall’interesse che Stoppard nutre per la lin-gua, e di riflessioni metalinguistiche sono piene molte delle sue opere. In Dogg’s Hamlet/Cahoot’s Macbeth (1979), per esempio, la riflessio-ne e la sperimentazione linguistiche culminano in un vero e proprio parossismo inventivo, sembra che l’autore conceda ai suoi personag-gi quella libertà di trovare la combinazione linguistica che, meglio di altre, esprimerà un concetto e libererà il mistero. Se in autori come Ionesco o Beckett la stessa libertà di espressione del personaggio è connotata in senso negativo, come nei discorsi frammentati di Lucky in Waiting for Godot o nelle risibili assurdità di La cantatrice chauve, al contrario il linguaggio in Stoppard non è uno strumento imperfetto,

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qualcosa da disprezzare, ma una via di comunicazione positiva, per quanto misteriosa ai più e costellata di trappole e false piste.

Una delle ambizioni di Tom Stoppard è quella di scrivere un’opera teatrale sulla traduzione. Sarebbe interessante assistervi oggi che la sua esperienza in questo campo si è intensificata, con adattamenti impor-tanti, negli ultimi anni, da opere di Luigi Pirandello, Gérard Sibleyras, Anton Čechov. Eppure, il drammaturgo britannico, la cui prima lin-gua è stata il ceco, è da tempo affascinato dall’argomento della com-prensione/incomprensione tra parlanti ‘stranieri’, tanto da fare della traduzione — e della fatalità dell’esistenza di un residuo traduttivo, quando due universi linguistici entrano in comunicazione — uno degli argomenti più pregnanti di tante sue opere. Il dramma di molti dei personaggi di Stoppard è in fondo quello di non sapere o di non pote-re tradurre correttamente i propri pensieri in una lingua comprensibi-le agli altri personaggi del dramma o al pubblico stesso. Questa fatalità raggiunge l’apice in Artist Descending a Staircase (1973), dove la non corretta traduzione di un’immagine visiva — il quadro di una stac-cionata bianca nella notte, confuso con quello di una ringhiera nella neve — innescherà una catena di quiproquo che avranno conseguenze tragiche: l’amore sbagliato, l’infelicità di una vita, la morte. Ecco, per Stoppard la mancanza di comunicazione, i significati fatalmente “lost in translation”, sono qualcosa di cui ridere, ma fino a un certo punto, fin quando la commedia non si trasforma in tragedia.

Il drammaturgo, lo sceneggiatore, il traduttore: in tutti e tre i ruoli, Stoppard si è dimostrato un autore che sfuma i confini tra cultura “alta” e cultura “popolare”, rendendo adatte a un grande pubblico, grazie al suo senso dello spettacolo, opere profondamente intellettuali come Arcadia e infarcendo di dettagli colti e cerebrali film “leggeri” come Shakespeare in Love. Questo studio è un tentativo di illuminare aspetti finora trascurati di un’attività creativa di straordinaria ricchezza.

In uno studio in cui è la traduzione, intesa nelle sue diverse ac-cezioni interlinguistiche e intersemiotiche, il comune denominatore, è sembrato naturale fornire in nota una traduzione, appunto, delle citazioni in inglese, tratte nella maggior parte dei casi da interviste e comunicazioni informali di Stoppard. Tradurre le parole dette piutto-sto che le parole scritte da Stoppard aprirebbe un altro interessante campo di indagine, avendo l’autore assunto completamente l’identità britannica se non per un dettaglio che è la spia dello straniero che ha

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15Introduzione

assunto la nuova lingua e la nuova cultura come una seconda natura: la over–correctness, l’accento e la pronuncia “troppo” britannici per essere veramente tali. Un campo, quello della resa “troppo corretta”, quasi sempre ignorato dalla pratica e poco esplorato dalla ricerca tra-duttologica. Un altro fertile spunto di riflessione stimolato da Tom Stoppard.

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