Non è la solita guida

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“Napoli, si nun c’ stesse L’ avessena inventà” Non è la solita guida -I monumenti -Le isole -Le chiese e le guglie 2 Stefania Landieri Ludovica Trasi Linda Visconti P.O.R. CAMPANIA FSE 2007/2013 _ D.G.R. n. 1205 del 3/07/2009_ D.D. n.25 del 5/02/2012 _ Comune di Napoli _ Progetto "Una Rete per le Donne" CUP B69E10005680009 _ CIG 380033794B Asse II Occupabilità Obiettivo Specifico f Obiettivo Operativo f2 Corso di formazione “Addetto Agenzie turistiche” Progetto grafico: Elena Carrucola Redazione a cura di

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“Napo l i , s i nun c ’ s t e s se L ’ aves sena invent à”

Non è l a so l i ta gu ida

- I monument i - Le i so le - Le ch ie se e l e gug l i e

2

Stefania Landieri Ludovica Trasi Linda Visconti

P.O.R. CAMPANIA FSE 2007/2013 _ D.G.R. n. 1205 del 3/07/2009_ D.D. n.25 del 5/02/2012 _ Comune di Napoli _ Progetto "Una Rete per le Donne" CUP B69E10005680009 _ CIG 380033794B Asse II Occupabilità Obiettivo Specifico f Obiettivo Operativo f2 Corso di formazione “Addetto Agenzie turistiche”

Progetto grafico: Elena Carrucola

Redazione a cura di

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Il centro antico di ogni città custodisce preziose memorie storiche sulle origini, l’arte, le tradizioni di un popolo. Ciò vale in maniera particolare per Napoli, che può vantare un patrimonio culturale e morale di straordinaria entità; un patrimonio che si snoda spesso attraverso itinerari legati alla fede, come ben sa chiunque abbia ammirato, almeno una volta le chiese, i campanili, le cappelle che adornano le più

caratteristiche strade del cuore della città.

Partendo dalle meravigliose isole che insistono nel golfo di Napoli e che sono dei veri e propri simboli della bellezza , del carattere e dello stile partenopeo , è possibile intraprendere un viaggio meraviglioso nell’ immenso patrimonio artistico e culturale che il centro storico di Napoli

ha da offrire .

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Le isole pag.32

I monumenti pag.10

Ischia p.32 Capri p.56 Procida p.70

Le chiese e le guglie pag.78

Chiesa di S.Caterina a Formiello p. 78 Basilica santuario del Carmine Maggiore p.79 Duomo di Napoli p. 83 Chiesa di S.Lorenzo Maggiore p.85 Chiesa di S.Gregorio Armeno p.86 Basilica di S.Paolo Maggiore p. 89 Chiesa di S.Pietro a Majella p. 92 Cappella S.Severo p. 94 Chiesa di S.Domenico Maggiore p. 95 Chiesa del Gesù nuovo p. 96 Basilica di S.Chiara p. 99 Chiesa di S.Anna dei Lombardi p. 102 Basilica reale pontificia di S.Francesco di Paola p.104 Chiesa di S.Antonio a Posillipo p. 106 Certosa di S.Martino p. 107 Basilica dell’ incoronata madre del buon consiglio p.109 Chiesa di S.Maria donnaregina p. 111 Basilica di S.Maria della sanità p.113

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Siete pronti ad esplorare le piazze, i

vicoli, le Chiese, le trattorie e la cuci-

na tipica della “Bella Napoli”?

All'ombra del Vesuvio, la città parteno-

pea è da sempre fonte di ispirazione

per i comici, ma anche per gli scrittori,

i poeti e gli artisti, che nella pazzia e

nella straordinarietà del capoluogo

della Campania hanno trovato un moti-

vo per esprimere la propria genialità, e

tutta la cultura di questa fantastica

città.

La città di Napoli, ricca di storia e

di tradizione, domina l'omonimo golfo,

ed è circondata da luoghi meravigliosi

quali il sopracitato Vesuvio, la penisola

Sorrentina, le isole di Capri, Ischia e

Procida e i Campi Flegrei. Posta al cen-

tro del Mediterraneo, ha sempre svolto

un ruolo fondamentale di collegamento

tra culture diverse, ed ha visto nei se-

coli il succedersi di fasi storiche diverse

e che hanno lasciato il segno sia nella

architettura della città che nelle tradi-

zioni e nell'indole del popolo napoleta-

no. Capoluogo della Regione Campania

e "capitale" del Mezzogiorno d'Italia,

Napoli oggi copre una superficie di 117

Km quadrati, con una popolazione,

nella sola città, di oltre un milione di

abitanti.

Le antichissime origini di Napoli affon-

dano nella leggenda, o meglio, in una

serie di leggende. Al centro di tutte,

c'è la sirena Partenope, che, affranta

per l'astuzia di Ulisse sfuggito al potere

del canto delle sirene, si sareb-

be suicidata, e il suo corpo sarebbe

andato alla deriva fino ad incagliarsi

sugli scogli dell'isoletta di Megaride,

dove oggi sorge il famosissimo Castel

dell'Ovo. Secondo una versione meno

leggendaria, Partenope sarebbe stata

invece una bellissima fanciulla, figlia

del condottiero greco Eumelo Falevo

partito alla volta della costa campana,

per fondarvi una colonia; ma una tem-

I monumenti

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pesta colpì la nave, provocando la mor-

te di Partenope, in tributo alla quale fu

dato il nome alla nascente città.

Incamminiamoci insieme alla scoperta

della “città di Totò”, ed iniziamo il

nostro percorso partendo dal centro

storico, , attraversando una parte dei

Decumani in cui si concentrano alcuni

dei monumenti più importanti di Napo-

li. Partendo dalla Cattedrale di Napoli,

il Duomo di Santa Maria Assunta, si

giunge alla Chiesa di San Paolo Maggio-

re, situata in corrispondenza dell'agorà

greca, in piazza San Gaetano, costruita

sui resti del Tempio dei Dioscuri. Si

prosegue poi con la visita ai suggestivi

sotterranei del complesso di San Loren-

zo Maggiore, il più importante sito ar-

cheologico della città, dove è possibile

visitare alcuni edifici pubblici della

Neapolis greco-romana. In alternativa è

possibile visitare il sito di Napoli sotter-

ranea, percorrendo a 40 metri di pro-

fondità antiche cisterne, acquedotti

per concludere la visita con il teatro

romano.

Percorrendo un tratto di Via dei Tribu-

nali, ricca di testimonianze storiche e

artistiche, si raggiunge la Cappella San-

severo, esempio mirabile del barocco

napoletano e famosissima per i nume-

rosi riferimenti alla simbologia masso-

nica. All’importanza artistica delle

opere presenti, come il celebre Cristo

velato, si affianca il fascino della leg-

genda del Principe Raimondo Di Sangro

e dei significati allegorici che egli volle

rappresentare attraverso le sculture e

le decorazioni della Chiesa, in cui può

leggersi un percorso iniziatico e spiri-

tuale.

Prendiamoci una pausa e assaporiamo

la pietanza più famosa della cucina

napoletana: la pizza.

La pizza ha una storia lunga, complessa

ed incerta. Secondo la tradizione nel

giugno 1889, per onorare la Regina

d'Italia Margherita di Savoia, il cuoco

Raffaele Esposito creò la "Pizza Mar-

gherita", una pizza condita con pomo-

dori, mozzarella e basilico, per rappre-

sentare i colori della bandiera italiana.

Possiamo scegliere tra le tante pizzerie

antiche e rinomate del centro storico,

tra cui Gino Sorbillo, La Figlia del Presi-

dente, di Matteo, Michele, Trianon,

Starita…e successivamente proseguia-

mo con un’immancabile passeggiata

nella via dei presepi, San Gregorio Ar-

meno, celebre in tutto il mondo per le

innumerevoli botteghe artigiane dedi-

cate all’arte presepiale.

Il culto del presepe a Napoli è uno di

quelli più antico e soprattutto celeber-

rimi. Il presepe napoletano ha due tra-

dizioni: quella colta del presepe artisti-

12

co del Settecento e quella popolare

degli artigiani e dei figurinai. A Napoli

si ha notizia del presepe già dal 1025,

come dimostra un documento che parla

della chiesa di Santa Maria del Presepe

ma il massimo sviluppo del presepe si

ebbe alla fine del XVII secolo, per ope-

ra di re Carlo III, che per il presepe era

grande appassionato. Il presepe, che

veniva edificato in alcuni saloni di Pa-

lazzo Reale di Napoli, erano di dimen-

s i o n i e n o r m i .

Tra i personaggi che seppero apprezza-

re e diffondere il culto del presepe

napoletano notiamo il frate domenica-

no, padre Rocco, il quale diffuse l'arte

del presepe al popolo, quello più pove-

ro ed umile. Lo produsse quindi nelle

strade, nelle piazze e nelle case ne

costruì anche uno nella grota verso

Capodimonte, dove il re Carlo III amava

r e c a r s i .

Il Settecento e l'Ottocento è il periodo

più ricco per quanto riguarda la nascita

di presepi a Napoli e tra questi va an-

noverato il Presepe di Antonio Cin-

que, commerciante, il quale costruva il

suo presepe nella sua abitazione in Via

Marinella. Ricordiamo anche il bellissi-

mo presepe del Cucinello alla certosa

di San Martino, e conservato in quel

Museo con dei pastori di grandissima

fattura artistica, con abiti di seta ed in

v e l l u t o r i c a m a t i i n o r o .

Il presepe artistico napoletano presen-

ta una ricchezza di scenari e di perso-

naggi ad iniziare dalla Grotta posto al

centro e collocato nel luogo più basso

del presepe. Altri scenari quali il fiu-

me, il pozzo, la fontana, il ponte, vi è

inoltre l'Osteria, posta generalmente

accanto alla grotta, sempre piena di

cibarie, salsicce, prosciutti, carni ma-

cellate, fiaschi di vino, piatti colmi di

maccheroni, pani e con tanti tavoli

i m b a n d i t e .

Accanto all'osteria si trova il forno e il

mulino, su cui si notano sacchi di farina

e cesti colmi di pane. Il pane è simbolo

di Gesù, appunto definito nelle scrittu-

re il pane della vita.

Altri personaggi rincorrenti sono la don-

na con il bambino, la zingara, la lavan-

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L’antica Baiae, famosa per la presenza

di acque termali e per la bellezza dei

luoghi, fu luogo di villeggiatura e di

riposo dell’aristocrazia romana. Il suo

parco archeologico, esteso su di una

superficie di 40.000 mq e diviso con-

venzionalmente in cinque settori (Villa

dell’Ambulatio, Settore di Mercurio,

Settore della Sosandra, Settore di Ve-

nere), racchiude i resti di residenze

patrizie e di impianti termali. La Villa

dell’Ambulatio si estende su due ter-

razze: quella superiore ospita il quar-

tiere domestico e quella inferiore un

grande porticato coperto che dà nome

alla struttura. Il Settore di Mercurio è

costituito da due nuclei distinti con

funzione prevalentemente termale. Il

Settore della Sosandra, in cui sono sta-

te individuate quattro fasi edilizie, si

sviluppa su quattro livelli: i primi due

con funzione abitativa, mentre i due

livelli inferiori ospitano un complesso

architettonico scenografico interpreta-

to come un teatro-ninfeo. Il Settore di

Venere, chiamato così dagli studiosi del

‘700 che definivano “stanze di Venere”

alcuni ambienti del livello inferiore, si

articola su tre livelli sovrapposti con

ambienti di servizio o con funzione

termale.

Da qui si passa poi alla visita del Museo

Archeologico dei Campi Flegrei, situato

presso i Castello Aragonese di Baia,

giungendo anche alla visita della gran-

de cisterna romana detta Piscina Mira-

bilis.

La piscina mirabilis è un monumento

archeologico romano sito nel comune di

Bacoli, in provincia di Napoli. Costruita

daia, gli ambulanti, gli offerenti, il

p a s t o r e l l o d o r m i e n t e .

I Re Magi, Gaspare, re d'Arabia, Mel-

quon, poi Melchiorre, re della Persia e

Baldassarre, re dell'India, partiti da

Oriente, lì dove nasce il Sole, ricordan-

do la nascita del Sole Bambino, caval-

cando i loro cavalli, bianco per l'auro-

re, rosso baio per il mezzogiorno e nero

per la notte, figure queste rappresen-

tati come astrologi o come re. Poi la

figura del bue de l'asinello che, la leg-

genda vuole, che alla nascita di Gesù,

con il loro fiato riscaldassero il Bambi-

nello infreddolito.

Con il culto del presepe termina così la

prima parte dedicata alla bellezza di

Napoli.

Parco Archeologico delle Terme Di

Baia

Passando dal centro storico di Napoli

ad una delle sue periferie più ricche di

culture, quale Baia a Bacoli, dove si

possiamo imbattere nel Parco Archeo-

logico delle Terme Di Baia.

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in età augustea a Miseno, sul lato nord-

ovest del Golfo di Napoli, originaria-

mente era una cisterna di acqua pota-

bile. Il nome attuale le fu attribuito nel

tardo Seicento.[1] Si tratta della più

grande cisterna nota mai costruita da-

gli antichi romani, ed aveva la funzione

di approvvigionare di acqua le numero-

se navi della Classis Misenensis, poi

divenuta Classis Praetoria Misenensis

Pia Vindex, che trovava ormeggio e

ricovero nel porto di Miseno. La cister-

na venne interamente scavata

nel tufo della collina prospiciente il

porto, ad 8 metri sul livello del mare. A

pianta rettangolare, è alta 15 metri,

lunga 72 e larga 25, con una capacità di

12.600 metri cubi. È sormontata da un

soffitto con volte a botte, sorretto da

48 pilastri a sezione cruciforme, dispo-

sti su quattro file da 12.

L'acqua veniva prelevata attraverso i

pozzetti realizzati sulla terrazza che

sovrasta le volte con macchine idrauli-

che, e da qui canalizzata verso il porto.

La struttura muraria è realizzata

in opus reticulatum e, così come i pila-

stri, è rivestita di materiale impermea-

bilizzante. Una serie di finestre lungo

le pareti laterali e gli stessi pozzetti

superiori provvedevano all'illuminazio-

ne e all'aerazione dell'ambiente. Sul

fondo, nella navata centrale, si trova

una piscina limaria di 20 metri per 5,

profonda 1,10 metri, che veniva utiliz-

zata come vasca di decantazione e di

scarico per la pulizia e lo svuotamento

periodico della cisterna. La piscina

mirabilis costituiva il serbatoio termi-

nale di uno dei principali acquedotti

romani, l'acquedotto augusteo, che

portava l'acqua dalle sorgenti del fiu-

me Serino, a 100 chilometri di distan-

za, fino a Napoli e ai Campi Fle-

grei. Parte dell'antica cisterna è aperta

ai visitatori.

Il ragù

Prendiamoci una seconda pausa, assa-

porando un’altra prelibatezza della

Campania, pietanza famosa perché è la

più comune cucinata nel giorno festivo

della Domenica: il ragù.

Il ragù napoletano ('O rraù in napoleta-

no) è probabilmente il condimento più

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conosciuto della cucina napoletana

nonostante la sua poca diffusione

nell'uso quotidiano, ciò dovuto all'ele-

vata complessità di preparazione a

causa anche dei tempi di preparazione

eccessivamente lunghi.

Per questi ed altri motivi, il ragù napo-

letano risulta essere un piatto tipica-

mente festivo consistendo nella unione

(senza tritatura) di diversi tipi di carne,

bovina e suina, cotti in una salsa di

pomodoro a fuoco molto lento.

ll ragù napoletano è decantato anche

da Eduardo De Filippo in una sua poesia

dal titolo, appunto: 'O rrau. La storia

del ragù ha origine antica:

A Napoli alla fine del Trecento esiste-

va la Compagnia dei Bianchi di giustizia

che percorreva la città a piedi invocan-

do "misericordia e pace". La compagnia

giunse presso il "Palazzo dell'Imperato-

re" tuttora esistente in via Tribunali,

che fu dimora di Carlo, imperatore di

Costantinopoli e di Maria di Valois figlia

di re Carlo d'Angiò. All'epoca il palazzo

era abitato da un signore nemico di

tutti, tanto scortese quanto crudele, e

che tutti cercavano di evitare. La pre-

dicazione della compagnia convinse la

popolazione a rappacificarsi con i pro-

pri nemici, ma solo il nobile che risie-

deva nel "Palazzo dell'Imperatore" deci-

se di non accettare l'invito dei bianchi

nutrendo da sempre antichi e tenaci

rancori. Non cedette neanche quando il

figliolo di tre mesi, in braccio alla balia

sfilò le manine dalle fasce ed incro-

ciandole gridò tre volte: "Misericordia e

pace". Il nobile era accecato dall'ira,

serbava rancore e vendetta, ed un gior-

no la sua donna, per intenerirlo gli pre-

parò un piatto di maccheroni. La prov-

videnza riempì il piatto di una salsa

piena di sangue. Finalmente, commosso

dal prodigio, l'ostinato signore, si rap-

pacificò con i suoi nemici e vestì il

bianco saio della Compagnia. Sua mo-

glie in seguito all'inaspettata decisione,

preparò di nuovo i maccheroni, che

anche quella volta, come per magia,

divennero rossi. Ma quel misterioso

intingolo aveva uno strano ed invitante

profumo, molto buono ed il Signore

nell'assaggiarla trovò che era veramen-

te buona e saporita. La chiamo' così

"raù" lo stesso nome del suo bambino.

In realtà il termine Ragù deriva dal

francese Ragout, che indica un tipo di

cottura di carne e verdure, simile allo

spezzatino. Originariamente costituiva

il piatto unico della domenica, in quan-

to il sugo veniva utilizzato per condire

la pasta, e la carne consumata come

seconda portata. I tipi di carne impie-

gati nella preparazione del ragù sono

numerosi, e possono variare anche da

quartiere a quartiere, ed inoltre, que-

sta non è macinata ma è cotta a pezzi

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grossi, da 500 g fino a un kg, tagliati a

mo' di grossa bistecca, farcita con in-

gredienti vari (uvett, pinoli, formaggio,

salame o lardo, noce moscata, prezze-

molo) e legata con uno spago. General-

mente viene utilizzato un misto di car-

ne di manzo (tagli anteriori e poco pre-

giati, che necessitano di lunga cottura)

e di maiale. Troviamo il muscolo di

manzo (gamboncello o piccione), le

spuntature di maiale (tracchie), l'invol-

tino di cotenna (cotica), la polpetta e

la braciola, termine che viene usato

però per indicare un involtino di carne

di manzo ripieno con aglio, prezzemo-

lo, pinoli, uva passa e dadini di formag-

gio. Tradizionalmente, la preparazione

del ragù inizia di buon mattino, se non

il sabato sera, in quanto la salsa deve

addensarsi molto, cuocendo a fuoco

lento, fino a diventare di una consi-

stenza molto cremosa, prima di poter

condire degnamente una buona pasta-

sciutta. In molte varianti del ragù na-

poletano viene impiegato anche un

cucchiaio di concentrato di pomodoro.

Pozzuoli

Dopo questo pranzo all’insegna della

buona cucina, ci spostiamo in un’altra

area della periferia di Napoli, la bella

Pozzuoli.

Situata sull'omonimo golfo, Pozzuoli si

trova in un'area vulcanica, i Campi Fle-

grei (cioè campi ardenti), che com-

prende un vulcano ancora in attività, la

Solfatara. Fenomeno geosismico tipico

di questa città e dell'intera area dei

Campi Flegrei è il bradisismo, ossia il

sollevamento e l'abbassamento della

crosta terrestre a seguito dell'aumento

della pressione sotterranea. Il rapido

innalzamento del livello del mare coin-

volse negli anni ottanta il porto, che fu

riposizionato circa 50 metri più avanti

rispetto alla collocazione precedente.

Pozzuoli, anticamente Puteoli (o Puteo-

los), cioè pozzo, secondo altri che

manda cattivo odore, a causa delle

numerose sorgenti di acque termo-

minerali e sulfuree, era in origine solo

uno scalo commerciale della colonia

ellenica di Cuma, o almeno così narra

Strabone, mentre la città venne fonda-

ta nel 528 a.c. da un gruppo di esuli

sami fuggiti dalla tirannide di Policrte,

con il nome di Dicearchia, o

"Dikaiarchia", vale a dire "giusto gover-

no". La storia di Pozzuoli però è più

antica, perchè ci sono prove della sua

frequentazione fin dal VII sec. a.c. Inol-

tre nel 421 a.c. passò in mano ai Sanni-

ti. Miseno era stata distrutta nel 214

a.c. da Annibale per rappresaglia con-

tro Cuma, che aveva funzionato da

roccaforte della legione di Sempronio

Gracco, bloccando l'attacco dei Carta-

ginesi, ingannati poi dalla Prima Legio-

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ne di Fabio Massimo, che conquistò

l'altura dominante, cioè il Rione Terra,

della futura Puteoli, fortificandola e

rendendola inespugnabile. Divenuta

colonia romana nel 194 a.c., fu un im-

portante centro portuale per il com-

mercio del grano destinato all'Urbe.

Alla caduta dell'Impero, a causa della

mancanza di valide fortificazioni e dei

fenomeni di bradisismo lungo la costa,

la città si restrinse sul promontorio del

rione Terra, che divenne una rocca

fortificata. Dopo la conquista romana

della Campania nel 228 a.c., divenne

luogo di villeggiatura per i patrizi ro-

mani e il suo porto divenne fondamen-

tale per gli scambi commerciali di Ro-

m a .

I Romani infatti le crearono un ottimo

collegamento stradale con l'Urbe e le

città della Campania, con centri com-

merciali che vi stabilirono le città ma-

rittime d'Oriente ed Occidente. In que-

st'epoca fiorirono splendidi monumenti

come l'Anfiteatro Flavio, il Tempio di

Serapide, lo Stadio di Antonino Pio,

l'Anfiteatro Minore e il Tempio di Augu-

s t o .

Il declino della città iniziò nel 70 d.c.

circa, con l'apertura del porto di Ostia,

voluto da Claudio e terminato da Nero-

ne. Inoltre il graduale sprofondamento

del litorale spopolò, verso la fine del V

sec., la parte bassa della città che an-

dò a vivere nel Rione Terra, fortifican-

dola e facendone il castro puteolano.

Agli inizi del XVI sec, Pozzuoli subì pe-

santi fenomeni tellurici e di bradisismo,

per cui i cittadini si stabilirono fuori

delle mura, fondando presso il mare un

piccolo borgo di pescatori. La storia

recente di Pozzuoli è segnata profon-

damente dalle due crisi del bradisismo,

1970 e 1983, che hanno costretto la

città ad un ulteriore esodo forzato. Da

ormai molti anni è in fase di restauro,

per cui sono ora visitabili possibile visi-

tare gran parte dei sotterranei e una

parte in superficie.

I più importanti monumenti sono: il

Tempio di Serapide (Macellum), il

Tempio di Augusto, l'Anfiteatro Flavio,

l'Anfieatro Minore, il Circo Massimo, le

Terme di Nettuno e il Rione Terra, uno

dei centri storici meglio conservati

della Campania, sviluppato sull'area

della primitiva colonia romana. Risa-

lente all'epoca romana (I - II secolo

d.c.), Il Macellum, impropriamente

chiamato "Tempio di Serapide" (per il

rinvenimento di una statua del dio egi-

zio) era il mercato pubblico della città

romana.

Il centro della colonia romana del 194

a.c. sorse sul promontorio dell'insedia-

mento samio, o sannita secondo altri,

del quale però non si hanno ancora

tracce, a meno che non si considerino

alcuni resti di grossi blocchi di tufo

reimpiegati sul fianco nord della colli-

n a .

Probabilmente l'acropoli scendeva a

18

valle tramite una scalinata a gradoni e

il suo decumanus maximus, che iniziava

presso la porta della colonia repubbli-

cana, corrisponde al tracciato dell'o-

dierna via del Duomo, sotto cui, a circa

m. 3 sotto è stata rinvenuta parte del

basolato antico. Questo tratto del de-

cumano, oggi ancora percorribile, era

fiancheggiato da una serie di tabernae;

presso l'incrocio col cardo maximus

(attualmente murato), si trova una

fontana marmorea ornata da due ma-

schere di sileno. Il cardo maximus è

invece individuato nel tracciato di via

d e l V e s c o v a d o .

In piazza San Liborio è ancora parzial-

mente visibile il basolato di un altro

cardine che probabilmente si collegava

con la via che correva tra l'acropoli e la

città bassa, nell'area dell'Emporium, la

parte riferita alle strutture marittime

di Puteoli.

Vediamo da più vicino i vari monumenti

di questa città, incominciando dal

T e m p i o A u g u s t e o .

Tutti sapevano che la cattedrale di

Pozzuoli sorgesse sull’area del Tempio

di Augusto, quel che si ignorava era che

il tempio esistesse ancora, inglobato

nelle spesse mura seicentesche, anche

se alcuni capitelli di ordine corinzio al

di sopra della porta secondaria dell’e-

dificio ed altri frammenti marmorei

dell’architrave opposto potevano farlo

sospettare.

Fu un incendio che nel 1964 che, di-

strutta la navata centrale, costrinse a

dei saggi che scoprirono sotto la mura-

tura moderna le colonne, l’architrave,

le pareti della cella dell’antico tempio.

Già nel 1634, per volere del vescovo

Martino de Léon alcune colonne furono

assottigliate o tolte per permettere la

costruzione di cappelle laterali, mentre

la parete posteriore della cella fu ab-

battuta per permettere il passaggio tra

la navata e l’abside della basilica. For-

se parte delle colonne servirono alla

chiesa sovrastante, visto che appaiono

diverse tra loro e di epoca molto anti-

ca.

Il tempio di Augusto, sorto sull’area di

un tempio più antico di età greca o

sannitica, ed eretto in seguito all'istitu-

zione della colonia, fu ricostruito dal

ricco mercante Calpurnio in onore

dell’imperatore Augusto, come riferi-

sce un’ iscriz ione con dedica:

L. Calpurnius L.f. templum Augusto

cumornamentis d.s.f. (Lucio Calpurnio,

figlio di Lucio, dedicò a sue spese que-

sto tempio ed il suo arredo ad Augu-

sto).

Un’altra iscrizione, più piccola, su una

tavola di marmo a destra dell’ingresso

secondario, fornisce il nome dell’archi-

tetto: Lucio Cocceio Aucvto, liberto di

Caio Postumio, che si crede lo stesso

architetto della Crypta Neapolitana e

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della galleria tra il lago d'Averno e Cu-

m a .

Il tempio di Augusto fu costruito intera-

mente in marmo bianco, con blocchi a

secco, cioè perfettamente connessi tra

loro senza malta, con scala laterale e

con le pareti in finta opera quadrata.

Presentava nove colonne corinzie sui

lati lunghi e sei sulle fronti, di cui circa

la metà incassate nella cella di forma

quadrata. Ne fanno testimonianza i

disegni che l’architetto Giuliano da

Sangallo eseguìti prima che il tempio

fosse restaurato nel 1538 per i danni di

un terremoto e dell’eruzione del Monte

N u o v o .

L’edificio pagano fu quindi trasformato

in tempio cristiano e dedicato al marti-

re S. Procolo quando i cittadini di Pu-

teoli si asserragliarono sulla rocca per

difendersi dai barbari; col decadimento

dell'impero, i romani anzichè combat-

tere si raccomandavano a Dio.

Attualmente il Tempio di Augusto è in

fase di scavo e di restauro e si attende

la pubblicazione dell’eccezionale mo-

n u m e n t o .

Secondo alcuni però l'attribuzione al

culto di Augusto sarebbe un’errata in-

terpretazione dell’iscrizione, esistente

fino al XVI sec. sulla fronte dell’edifi-

cio. La parola Aug. sarebbe riferita a

Lucio Calpurnio, il magistrato della

colonia finanziatore dell’opera, col

significato di Augustale e non di Augu-

sto, e l’edificio potrebbe essere il Capi-

tolium anzichè il tempio. Ora l'augusta-

le era l'addetto al culto dell'imperatore

Augusto, come venerazione dei lares

Augusti e del genius dell'imperatore.

Nulla di strano dunque che un augusta-

le faccia costruire un tempio ad Augu-

sto, che faccia costruire il Capitolium

sembra meno inerente, ma secondo

altri ancora il tempio avrebbe riguar-

dato Apollo. Stazio riferisce che Apollo

fosse il nume tutelare della città e

alcuni frammenti marmorei potrebbero

essere riferibili a una sua statua.

Da qui passiamo alla città sotterranea,

che, a dieci /quindici metri al di sotto

delle strutture seicentesche, stupisce e

affascina con nuove scoperte. Gli am-

bienti scavati pongono in evidenza le

varie e successive trasformazioni, nelle

varie epoche sia in età imperiale e sia

in età neroniana.

Lungo il percorso di un secondo decu-

mano, dietro il tempio di Augusto, so-

no infatti venuti alla luce numerosi

edifici, fra cui diversi horrea (depositi

di grano) e tabernae (magazzini), per-

corsi da un imponente porticato con

pilastri in opera laterizia, su dadi con

base in piperno, realizzato in epoca

neroniana su di una precedente e ana-

loga struttura in opera reticolata di età

a u g u s t e a .

20

Notevole il pistrinum (panificio), con

più ambienti destinati alla lavorazione

del grano e alla produzione del pane;

qui sono state rinvenute cinque macine

in pietra lavica, perfetta, per resisten-

za e porosità, a macinare il grano.

Ad un livello più basso si aprono gli

"ergastula", gli alloggi per gli schiavi,

una serie di celle distribuite lungo un

corridoio a quattro bracci, arieggiati

solo da un canale di terracotta e carat-

terizzati dalla presenza di banconi in

muratura utilizzati come giaciglio.

Negli scavi è emersa una cucina di età

tardo repubblicana dotata di camino e

di due banconi, statue di finissima fat-

tura ellenistica, materiale ceramico ed

l'arredo completo di una taberna, com-

posto da lucerne, anfore, statuette di

terracotta e vasellame vario. Il com-

plesso dei cinque criptoportici: a pian-

ta rettangolare coperti con volte a bot-

te, venne restaurato in età agustea e

raccordato al decumanus maximus; in

età imperiale tutti gli ambienti o cam-

biano destinazione o vengono sottopo-

sti a trasformazione. Tutto il complesso

dei criptoportici è stato liberato, nel

corso degli scavi, dal materiale di risul-

ta che copriva letteralmente l'area,

frutto principalmente dei lavori esegui-

ti, nel XVII secolo, per la costruzione

del Vescovado e di altri edifici dell'epo-

ca. Di grande importanza è anche an-

che l’Anfiteatro Flavio, essendo una

delle maggiori attrazioni turistiche di

tutti i Campi Flegrei e fu edificato pro-

prio a Pozzuoli, sotto Tito Flavio Vespa-

siano, sostituire l’anfiteatro costruito

in precedenza, per riconoscenza agli

abitanti di Pozzuoli che nella guerra

civile si erano schierati a favore

dell’imperatore- insieme agli uomini

della base navale di Miseno, dove sta-

zionava la potente “classis Misenensis”.

Vespasiano non riuscì probabilmente a

vederne la conclusione, in quanto pare

sia stato inaugurato dal figlio Tito.Il

luogo su cui venne edificato fu strategi-

co, all’incrocio delle strade provenienti

da Napoli, Capua e Cuma. Attraverso le

numerose iscrizioni ritrovate nelle sue

gallerie sotto l’ambulacro esterno, si sa

che l’Anfiteatro ospitava anche molte

tabernae con commercianti ed artigia-

n i , nonchè luogh i d i cu l to .

Page 11: Non è la solita guida

21

Secondo la leggenda, qui si compirono i

primi martirii dei cristiani e si decise il

supplizio, poi inflitto alla Solfatara, di

San Gennaro e dei suoi compagni nel

305 d.c.Successivamente l'anfitea-

tro fu abbandonato e semisepolto dal

terreno alluvionale e dall’eruzione del-

la Solfatara. Nel Medioevo, quando ogni

luogo pagano era divenuto indegno di

rispetto, nè si aveva più il concetto di

ciò che fosse arte, il monumento fu

spogliato, privato di tutte le decorazio-

ni marmoree e dei blocchi delle gradi-

nate, utilizzandolo per giunta come

magazzino agricolo. Questa semisepol-

tura ha però salvato dalla totale distru-

zione e dal saccheggio i sotterranei

dell’edificio, che sono arrivati intatti

non solo nell’architettura ma nella

foggia e nel funzionamento dei mecca-

nismi degli spettacoli, soprattutto per

ciò che riguarda il sollevamento al pia-

no dell’arena delle gabbie delle fiere

d a c o m b a t t i m e n t o .

Della sua struttura, colpisce anzitutto

l'eleganza e la leggerezza del susseguir-

si incessante di arcate, che ingentilen-

done l'aspetto massiccio ne snellivano

soprattutto il peso della pietra. Scavan-

do sono emersi anche snelle colonne

scanalate, capitelli corinzi e alcuni

fregi in marmo, scampati grazie ai ca-

taclismi. Gli spettacoli che vi si svolge-

vano erano principalmente lotte di

gladiatori, per i quali, nei sotterranei

della struttura, sono tuttora visibili gli

ingranaggi per sollevare le gabbie con

l e b e l v e s u l l ’ a r e n a .

Non mancavano però le parate militari,

gli eventi politici, militari e celebrativi.

Due delle strutture più antiche e affa-

scinanti di Pozzuoli sono il Tempio si

Serapide e le terme di Nettuno.

Per ciò che riguarda il primo possiamo

dire che è uno dei più noti monumenti

di tutto il mondo antico, impropria-

mente ritenuto tempio di Serapide,

essendo in realtà un macellum, cioè un

m e r c a t o .

Invaso e sommerso dalle acque termo-

minerali che scaturiscono dal sottosuo-

lo presso il litorale, poi utilizzate in

epoca medievale a fini terapeutici, e

chiamate Balneum Cantarellus', ha

costituto per alcuni secoli l'indice me-

trico più preciso che si aveva a disposi-

zione per misurare il fenomeno del

b r a d i s i s m o .

Tre delle quattro grandi colonne di

marmo cipollino che ancora fronteggia-

no, ancora erette sulle loro basi, la

sala absidata al centro della parete di

fondo, servivano come strumento di

misurazione a causa di un particolare

fenomeno. Sul loro fusto, i fori dei

litodomi, piccoli molluschi che vivono a

22

pelo d'acqua, detti volgarmente

"datteri di mare", segnano il livello più

alto a cui è giunta in passato l'acqua

del mare. Grazie al fenomeno si sa che

la sua massima sommersione marina

avvenne in epoca medievale, quando,

nel X sec., il monumento era superior-

mente sommerso dalle acque solo par-

zialmente. Dalla seconda crisi bradisi-

smica e dell'intensa attività sismica del

1983, attualmente esso risulta ad una

quota superiore rispetto al livello del

mare, per cui non è più sommerso e

non più utilizzabile per misurare il bra-

disismo. Ovviamente oggi vi sono meto-

di più innovativi per questo.

L' edificio è stato ritenuto impropria-

mente un "TeAl centro del cortile vi

sono i resti di una costruzione circolare

sopraelevata, completamente circon-

data all'epoca da colonne, e sicuramen-

te coperta da una cupola o da un tetto

conico. Le colonne rimaste in piedi

testimoniano che l'edificio doveva ave-

re una notevole altezza. S podio si po-

teva salire con quattro scalinate dispo-

ste a croce. Al centro del podio sono

stati rinvenuti resti di condutture per

una fontana, e si ipotizza che fosse

destinato al mercato del pesce. L'edifi-

cio è simile ad altri mercati di epoca

romana che ancora si conservano in

tutta l'area mediterranea (Pompei,

Morgantina, ecc.), ma quello di Pozzuo-

li è il più ricco e monumentale.

Tutto l'edificio ricorda nella pianta altri

mercati di città antiche, come quelli di

Roma, Timgrad, Djemila, Perge e

Cremna, ma il Macellum di Pozzuoli

resta uno dei più grandiosi ed integri,

grazie appunto alla sommersione bradi-

sismica che nei secoli passati lo ha pre-

servato dal saccheggio. La presenza

della statua di Serapide al suo interno,

fa pensare che il Macellum gli fosse

stato dedicato, magari anche ad Iside,

con cui il dio era solitamente connesso.

Per ciò che concerne invece le Terme

di Nettuno possiamo dire che erano

conosciute erroneamente come

"Tempio di Nettuno". In realtà i magni-

fici resti riguardano un grandioso com-

plesso termale, il più grande e monu-

mentale dell'antica Puteoli. Disposte su

più livelli lungo il pendìo piuttosto ripi-

do della collina, le terme hanno il fron-

te rivolto al porto, in modo che il viag-

giatore che veniva dal mare veniva

quasi accecato da questa smagliante e

abbagliante snodarsi di marmi lungo la

collina. L'impianto, eretto nella prima

metà del II sec. d.c., come dimostrano

i bolli adrianei rinvenuti in loco, in

epoche successivevenne ripetutamente

restaurato fino al IV sec. d.c., il che ne

dimostra l'uso continuato. La pianta

delle terme era la consueta, con la

successione calidarium-tepidarium-

Page 12: Non è la solita guida

23

frigidarium-natatio. Attualmente sono

per la maggior parte interrate; i resti,

in proprietà Lubrano, riguardano i li-

velli superiori e la parte posteriore

dell'edificio, relativa all'area del frigi-

darium. Le due massicce cortine mura-

rie, lunghe m. 60 e alte m. 16 ca., ap-

partengono alla parete di fondo di que-

s t o .

La sala era chiusa al centro da una

grande abside, con ai lati numerose

nicchie, che sicuramente accoglievano

statue e vasi, oltre a fregi e archi di

passaggio. Entrati nell'area del frigida-

rium, si scorgono i resti di una serie di

ambienti disposti sui due lati dell'absi-

de, con volte alternate a botte e a cro-

ciera e con preziose decorazioni musi-

ve. Dall'attuale livello di calpestio,

lungo i muri, sporgono le sommità di

arcate e volte degli ambienti sottostan-

ti. Le strutture a valle, relative agli

ambienti caldi, non sono visitabili in

quanto coperte da strutture moderne o

d a n n e g g i a t e d a c r o l l i .

L'ignoranza e spesso l'ingordigia distrug-

gono molto più dei millenni. All'interno

del civico 102 di via Pergolesi si posso-

no ancora osservare, in discreto stato

di conservazione, ma difficili da visita-

re, i praefurnia. Il forte dislivello tra

questi resti e quelli di via Terracciano

fa comprendere l'estensione delle ter-

me e dei salti di quota esistenti fra le

terrazze su cui si snodavano. La pianta

e i percorsi interni si ispirano al model-

lo romano dele terme di Tito e anche

alle Terme di Traiano, rispettandone i

canoni dell'architettura termale di II-III

secolo, ma pure l'impatto scenografico.

Come sopra citato, Pozzuoli sorge su

un'area vulcanica, i Campi Flegrei (cioè

campi ardenti), che comprende un

vulcano ancora in attività, la Solfatara.

Essa era molto conosciuta durante l'e-

poca imperiale romana, come misterio-

sa porta degli inferi, è descritta da

Strabone, come la dimora del Dio Vul-

cano, appunto ingresso per gli Inferi, o

Forum Vulcani. Ne parla anche Plinio il

Vecchio come Fontes Leucogei per le

acque alluminose e biancastre che

s g o r g a n o a n c o r a t u t t ' o g g i .

All'epoca era utilizzata per l'estrazione

del prezioso bianchetto, utilizzato co-

me stucco, che poteva essere estratto

dietro un pagamento di 20.000 sester-

zi. Recenti scavi hanno riportato alla

luce una strada basolata romana a val-

le della Solfatara, la via Puteolis-

Neapolim, che hanno messo in luce una

necropoli del I sec. Con la visita della

grotta all’interno della Solfatara, con il

percorso che si svolge all’interno del

cratere illuminato dalle fiaccole, viene

illustrata l’attività vulcanica attraverso

spiegazioni ed esperimenti. Con ciò

ultimiamo così questo excursus sulla

ricca città di Pozzuoli, e ci spostiamo

24

verso un’altra città in provincia di Na-

poli ricca di storia, grazie agli scavi

ritrovati in seguito all’eruzione del

Vesuvio del 79 D.C., e stiamo parlando

di Ercolano.

Ercolano

(fino al 1969 Resina - leggasi Resìna -)

è famosa nel mondo per gli scavi ar-

cheologici della città romana fondata,

secondo la leggenda, da Ercole e di-

strutta dall'eruzione del Vesuvio del 79

d.C.; insieme a quelli di Pompei e

Oplontis, fanno parte del Patrimoni

dell'umanità dell'UNESCO. Il tratto del

Corso Resina che dagli Scavi archeologi-

ci arriva fino a Torre del Greco è chia-

mato Miglio d'Oro per le splendide ville

del XVIII secolo allineate ai suoi lati. Da

Ercolano parte la strada che conduce al

Gran Cono del Vesuvio per la visita al

cratere. La leggenda narra che Ercole,

tornato dall'uccisione del mostro Gerio-

ne (la decima delle sue dodici fatiche),

si fosse fermato a Roma, dove chiese

alla dea Fauna di dissetarlo, ma questa

rifiutò, poiché la sua acqua sacra era

riservata alle sole donne. In preda alla

rabbia, Ercole costruì un tempio in ono-

re di se stesso, e vietò alle donne di

partecipare alle sue cerimonie. Intan-

to, un figlio di Vulcano, il demone Ca-

co, rubò una parte della mandria di

buoi che Ercole aveva a sua volta preso

al mostro Gerione, e che erano destina-

ti alla città di Argo. L'eroe si adirò mol-

to e si mise alla ricerca dei buoi, che

però si rivelò molto ardua perché il

demone Caco aveva portato le bestie

nella sua grotta sul Vesuvio, trascinan-

dole per la coda, in modo che le orme

rovesciate indicassero la direzione op-

posta. Proprio quando stava per rinun-

ciare, uno dei bovini rispose al richia-

mo di Ercole, che così scoprì dove si

fosse nascosto il ladro: una volta rag-

giunto, scoprì che i suoni provenivano

da una caverna sul Vesuvio, che era

stata però chiusa dall'interno con un

enorme masso. Ercole allora prese una

rupe appuntita e riuscì ad aprirsi un

varco all'interno della spelonca. Caco

cercò di difendersi vomitando dalle

fauci un'immensa nuvola di fumo che

avvolse la grotta, ma Ercole balzò at-

traverso il fumo, afferrò Caco e lo

strinse tanto da fargli uscire gli occhi

dalle orbite, uccidendolo. Poi, recupe-

rato il bestiame, decise di tornare ad

Argo, e continuare le ultime due fati-

Page 13: Non è la solita guida

25

che rimaste, ma prima volle edificare

una città nel luogo dove aveva costrui-

to il tempio; fondò così una cittadina e

le diede il suo nome: Herculaneum.

Già gravemente danneggiata dal terre-

moto del 62, la città venne poi distrut-

ta dall'eruzione del Vesuvio nel 79: a

causa di una colata piroclastica un'in-

gente massa di fango coprì Ercolano,

penetrando in ogni apertura, e si solidi-

ficò in uno strato compatto e duro di

15-20 metri. L'eruzione del Vesuvio a

Ercolano si articolò in due fasi: la pri-

ma fu della durata complessiva di 11

ore, con caduta di pomici soprattutto

grigie; la seconda, della durata di sette

ore, costituita dall'alternarsi di nubi

ardenti e di colate piroclastiche; come

citato prima, fu quest'ultima che colpì

principalmente Ercolano, seppellendola

sotto una coltre di oltre 18 metri di

materiali. A seguito di analisi termo-

gravimetriche si è sostenuto che la

temperatura fosse di circa 300-320 °C.

Questo avrebbe permesso la conserva-

zione dei papiri, ritrovati nella villa

conosciuta per l'appunto come Villa dei

Papiri, a seguito di un processo di car-

bonizzazione e combustione. In alcuni

edifici però, ad esempio nelle Terme

suburbane, il legno si è conservato nel

colore naturale (una porta gira ancora

sui cardini originali). Si può supporre

che un'elevata temperatura abbia coin-

volto solo alcune zone della città.

Dopo la terribile eruzione del 79 d.C. la

vita riprese lentamente sull'area colpi-

ta e già nel 121 d.C. si ha notizia della

riattivazione dell’antica via litoranea

che da Napoli conduceva a Nocera.

Nella basilica di Santa Maria a Pugliano

sono custoditi due sarcofagi paleocri-

stiani risalenti al II e al IV-V secolo

d.C., a testimonianza dell’esistenza di

comunità abitate sul sito dell’antica

Ercolano. Purtroppo non si hanno noti-

zie certe del periodo tra la caduta

dell’Impero Romano d’Occidente e

l’anno Mille. Sicuramente l’area vesu-

viana fu esposta alle numerose guerre

tra i popoli che invasero l’impero a

cominciare dalla guerra greco-gotica e

a quella tra il Ducato di Napoli, formal-

mente dipendente da Bisanzio e il Du-

cato di Capua, istituito dai Longobardi.

Addirittura è certa una presenza sara-

cena sul finire del IX secolo. Nel X se-

colo si hanno i primi riferimenti a un

casale di Resina o Risina (… de alio

latere est ribum de Risina… ; … de alio

capite parte meridiana est resina …,

ecc.).

L’origine del nome è alquanto contro-

versa: alcuni studiosi la attribuiscono

alla corruzione del nome Rectina, pa-

trizia romana che possedeva una villa

ad Ercolano e che chiese soccorso a

Plinio il Vecchio; altri fanno discendere

26

il nome da “retincula”, ossia le reti

utilizzate dai pescatori di Ercolano, o

dalla resina degli alberi dei boschi cre-

sciuti sulle antiche lave, o dal nome del

fiume che scorreva ai margini di Ercola-

no. Infine c’è che vede in Resìna l’ana-

gramma di sirena visto che una sirena è

stato il simbolo del casale e del Comu-

ne fino al 1969.

Nell’XI secolo è attestata la presenza di

un oratorio dedicato alla Vergine sulla

collina denominata Pugliano il cui nome

deriva probabilmente da praedium pol-

lianum, un podere suburbano di Ercola-

no appartenuto ad un tale Pollio.

Nel 1709 Emanuele Maurizio di Lorena

Principe D’Elbeuf, mentre stava co-

struendo il suo palazzo presso il litorale

di Portici venne a sapere che un tale

Nocerino, detto Enzechetta, nello sca-

vare un pozzo in un podere alle spalle

del convento degli agostiniani di Resina

si imbatté in marmi e colonne antiche.

Decise di comprare il fondo e nel 1711

avviò degli scavi attraverso pozzi e

cunicoli che raggiunsero l'antico Teatro

di Ercolano da cui estrasse statue, mar-

mi e colonne che tenne per sé o inviò

in dono presso amici, parenti e regnan-

ti europei. Grazie a lui il re Carlo III di

Borbone decise di acquistare il fondo e

avviare scavi sistematici mentre in Eu-

ropa si diffuse a macchia d’olio la fama

dell’antica Ercolano che influenzò

enormemente la cultura dell’epoca

dando impulso al movimento culturale

che fu chiamato Neoclassicismo e alla

moda dell’aristocrazia inglese di svol-

gere il Grand Tour attraverso l'Europa,

fino all'Italia e alla Grecia.

Il successo dei ritrovamenti spinse il re

a costruire nel 1740 un palazzo reale

nelle vicinanze degli scavi di Resina

entro i confini del casale di Portici che

da quel momento assunse il titolo di

Real villa di Portici. Nella nuova reggia

estiva raccolse i ritrovamenti ercolane-

si realizzando in un'ala del palazzo

l’Herculanense Museum che apriva per

lo stupore e la meraviglia dei suoi ospi-

ti.

Le collezioni si arricchirono ancora di

più a partire dal 1750 quando cominciò

l'esplorazione della grandiosa villa su-

burbana appartenuta alla famiglia dei

Pisoni, nella quale fu rinvenuta una

gran quantità di bellissime statue in

bronzo e in marmo, come i due Lotta-

tori (o Corridori) e il Mercurio Dormien-

te. Ma ancora più straordinario fu il

ritrovamento, nel 1752, dei papiri car-

bonizzati della biblioteca della villa

che da quel momento divenne nota in

tutto il mondo come Villa dei Papiri.

Essi furono meticolosamente srotolati

grazie ad una macchina appositamente

inventata in quegli anni da Padre Anto-

nio Piaggio e rivelarono opere del filo-

sofo epicureo Filodemo da Gadara.

Page 14: Non è la solita guida

27

Con l’arrivo dei reali a Portici tutta

l’aristocrazia della capitale scelse di

realizzare sontuose dimore estive lungo

la Via Regia delle Calabrie e nelle cam-

pagne circostanti, tra Barra, oggi quar-

tiere orientale di Napoli, e Torre del

Greco. Ma soprattutto tra Villa de Biso-

gno a Resina e Palazzo Vallelonga a

Torre del Greco la quantità e la qualità

degli edifici era tale che quel tratto di

strada fu denominato il Miglio d’Oro.

Tra le più prestigiose si annoverano

Villa Campolieto, progettata da Luigi

Vanvitelli, Villa Riario Sforza, nota an-

che come Villa Aprile, e Villa Favorita,

di Ferdinando Fuga, chiamata così per-

ché preferita dalla regina Maria Caroli-

na d’Asburgo al punto che Ferdinando

IV la acquistò nel 1792 conferendole la

denominazione di Real villa della Favo-

rita.

Nel 1788 il sacerdote Benedetto Cozzo-

lino fondò in via Trentola, presso la sua

abitazione, la prima scuola per sordo-

muti del Regno di Napoli, seconda in

Italia solo a quella di Roma. Nel 1709

Emanuele Maurizio di Lorena Principe

D’Elbeuf, mentre stava costruendo il

suo palazzo presso il litorale di Portici

venne a sapere che un tale Nocerino,

detto Enzechetta, nello scavare un

pozzo in un podere alle spalle del con-

vento degli agostiniani di Resina si im-

batté in marmi e colonne antiche. De-

cise di comprare il fondo e nel 1711

avviò degli scavi attraverso pozzi e

cunicoli che raggiunsero l'antico Teatro

di Ercolano da cui estrasse statue,

marmi e colonne che tenne per sé o

inviò in dono presso amici, parenti e

regnanti europei.

Grazie a lui il re Carlo III di Borbone

decise di acquistare il fondo e avviare

scavi sistematici mentre in Europa si

diffuse a macchia d’olio la fama

dell’antica Ercolano che influenzò

enormemente la cultura dell’epoca

dando impulso al movimento culturale

che fu chiamato Neoclassicismo e alla

moda dell’aristocrazia inglese di svol-

gere il Grand Tour attraverso l'Europa,

fino all'Italia e alla Grecia.

Il successo dei ritrovamenti spinse il re

a costruire nel 1740 un palazzo reale

nelle vicinanze degli scavi di Resina

entro i confini del casale di Portici che

28

da quel momento assunse il titolo di

Real villa di Portici. Nella nuova reggia

estiva raccolse i ritrovamenti ercolane-

si realizzando in un'ala del palazzo

l’Herculanense Museum che apriva per

lo stupore e la meraviglia dei suoi ospi-

ti. Le collezioni si arricchirono ancora

di più a partire dal 1750 quando comin-

ciò l'esplorazione della grandiosa villa

suburbana appartenuta alla famiglia

dei Pisoni, nella quale fu rinvenuta una

gran quantità di bellissime statue in

bronzo e in marmo, come i due Lotta-

tori (o Corridori) e il Mercurio Dormien-

te. Ma ancora più straordinario fu il

ritrovamento, nel 1752, dei papiri car-

bonizzati della biblioteca della villa

che da quel momento divenne nota in

tutto il mondo come Villa dei Papiri.

Essi furono meticolosamente srotolati

grazie ad una macchina appositamente

inventata in quegli anni da Padre Anto-

nio Piaggio e rivelarono opere del filo-

sofo epicureo Filodemo da Gadara. Con

l’arrivo dei reali a Portici tutta l’aristo-

crazia della capitale scelse di realizza-

re sontuose dimore estive lungo la Via

Regia delle Calabrie e nelle campagne

circostanti, tra Barra, oggi quartiere

orientale di Napoli, e Torre del Greco.

Ma soprattutto tra Villa de Bisogno a

Resina e Palazzo Vallelonga a Torre del

Greco la quantità e la qualità degli

edifici era tale che quel tratto di stra-

da fu denominato il Miglio d’Oro. Tra le

più prestigiose si annoverano Villa Cam-

polieto, progettata da Luigi Vanvitelli,

Villa Riario Sforza, nota anche come

Villa Aprile, e Villa Favorita, di Ferdi-

nando Fuga, chiamata così perché pre-

ferita dalla regina Maria Carolina d’A-

sburgo al punto che Ferdinando IV la

acquistò nel 1792 conferendole la de-

nominazione di Real villa della Favori-

ta. Nel 1788 il sacerdote Benedetto

Cozzolino fondò in via Trentola, presso

la sua abitazione, la prima scuola per

sordomuti del Regno di Napoli, seconda

in Italia solo a quella di Roma.

Di grandissima importanza sono gli Sca-

vi Archeologici di Ercolano, dal momen-

to che sono meta fissa di circa 300.000

di turisti l'anno: nel 2012 hanno regi-

strato 288.536 presenze risultando il

16° monumento più visitato d'Italia. Da

pochi anni è stato realizzato il nuovo

Page 15: Non è la solita guida

29

accesso agli scavi, con un'ampia area

adiacente che comprende un parcheg-

gio a raso e interrato, un'area a verde

attrezzato e punti di ristoro e vendita

di souvenirs. Oltre all'area archeologi-

ca, in alcune occasioni opportunamen-

te pubblicizzate sul sito della Soprin-

tendenza Archeologica di Pompei è

visitabile il padiglione della barca di

Ercolano, ritrovata sull'antico litorale

della città.

Corso Resina, il corso principale della

città che collega Ercolano a Napoli,

possiede un tratto denominato Miglio

d'Oro, per la presenza di alcune tra le

più belle e sfarzose ville vesuviane del

XVIII secolo, costruite o abbellite da

famosi scultori o architetti come Luigi

Vanvitelli o Ferdinando Fuga. Tra le più

fastose vi sono Villa Aprile (oggi sede

del lussuoso Miglio d'Oro Park Hotel),

Villa Favorita, Villa Campolieto, Villa

Ruggiero sedi di eventi culturali, spet-

tacoli e concerti. Villa Campolieto,

Villa Ruggiero e il Parco sul mare della

Villa Favorita, di proprietà della Fonda-

zione Ente per le Ville Vesuviane, sono

aperte al pubblico. Nel 1997 l'area del

Miglio d'Oro, insieme al complesso Som-

ma-Vesuvio, è stata inserita nella rete

mondiale di riserve della biosfera

nell'ambito del programma Unesco MAB

(Man and Biosphere). Negli ultimi anni

la definizione precisa di Miglio d'Oro è

sfumata, in quanto per finalità di pro-

mozione turistica e di sviluppo territo-

riale dei paesi vicini, il concetto di

Miglio d'Oro, che originariamente indi-

cava il tratto ercolanese della via Regia

delle Calabrie e il primo tratto nel co-

mune di Torre del Greco, è stato este-

so anche ai comuni di Portici e di San

Giorgio a Cremano. Sul territorio dei

quattro Comuni cosiddetti "del Miglio

d'Oro", oltre che su quello dei quartieri

napoletani di Barra e San Giovanni a

Teduccio, insistono le 121 ville vesu-

viane del XVIII secolo censite dall'Ente

Ville Vesuviane.

Riprendendo una nota canzone di Pino

D a n i e l e ,

” N a p u l e è m i l l e c u l u r e

Napule è mille paure Napule

è a v o c e d e ' c r i a t u r e

che sag l ie ch i anu ch ianu e

tu sai ca nun si sulo. [ . . . ]

[ . . . ] Napule è nu sole amaro

Napule è addore 'e mare [ . . . ]

[ . . . ] Napule è tutto 'nu suonno

e 'a sape tutti o' munno ma

nun sanno a verità. [ . . . ]“

Questo itinerario nasce nella speranza

di riuscire a raccontare almeno una

parte di tutte le sfaccettature di cui

si colora la mia città, “città del Sole”,

della speranza, della benevolenza,

dell’accoglienza, della risata, delle

30

bellezze mozzafiato, della storia e del-

la cultura.

Page 16: Non è la solita guida

31

32

Ischia

Le prime testimonianze del nome at-

tuale dell'isola risalgono all'anno 812, in

una lettera di Papa Leone III nella qua-

le informa l'imperatore Carlo Magno di

devastazioni occorse nell'area, chia-

mando l'isola Iscla maior . Nella quale il

pontefice denunciava le condizioni di

saccheggio e di abbandono in cui versa-

va l’isola a seguito di un violento attac-

co, protrattosi per tre giorni, dei Sara-

ceni, senza che nessuno dalla vicina

Napoli fosse occorso in aiuto dei locali.

Interessante come la denominazione

Insula - Iscla Maior, serva a distinguere

l’abitato del Castello (Castrum Gironis)

dal resto dei villaggi presenti sull’isola,

evidenziando come il primo avesse vita

e rappresentanza altre dai restanti

casali dell’isola.Da qui si sarebbe poi

approdati, per successiva contrazione

del topos Insula (Insula - Iscla) all’o-

dierno Ischia Alcuni studiosi ricollega-

no il termine alla parola di origine se-

mitica I-schra, "isola nera" che in sé

potrebbe anche essere accettabile se

non fosse che dal punto di vista geolo-

gico l'isola per i suoi prodotti vulcanici

appare soprattutto bianca. L’espressio-

ne “insula visca”, fornisce una probabi-

le origine del moderno “Isola d’Ischia”.

Isola nell’antichità

L'isola d'Ischia era abitata fin dal Neoli-

tico, sulle alture di punta Chiarito, a

Panza. La Baia di Sorgeto, offre un ri-

paro ideale per le navi, soprattutto dai

venti di scirocco, un requisito impor-

tante per i Greci, nella scelta di un

approdo. A vent'anni circa dall'origina-

rio sbarco, colonizzata buona parte

dell'isola, viene fondata la colonia di

Pithecusa, il cui centro principale sarà,

nella zona nord dell’isola,in modo da

Le isole

Page 17: Non è la solita guida

33

avere un più rapido scambio con la

terraferma. Con il suo porto la colonia

fece fortuna grazie al commercio del

ferro con il resto dell'Italia.

Epoca Romana

Dopo le guerre sannitiche, l'isola passò

con Napoli sotto il dominio romano, e

divenne centro di attività commerciali

e manifatturiere. E’stato infatti indivi-

duato un insediamento industriale com-

prendente una fonderia di piombo e

stagno (da cui il nome di Aenaria) e una

fabbrica di vasellame e taluni sono

attualmente esposti nel Museo archeo-

logico di Pithecusae a Lacco Ameno.

Nell'immaginario latino l'isola era asso-

ciata anche alla figura di Enea, che qui

avrebbe fatto scalo. Virgilio la identifi-

cò con Arime, isola citata nell'Iliade.

Qui trovò rifugio Gaio Mario inseguito

da Silla. Per punire i napoletani di ciò,

Silla sottrasse l'isola al loro dominio

assoggettandola direttamente al Senato

di Roma. Qualche decennio dopo, tut-

tavia, Augusto la restituì alla città di

Napoli, tenendo per sé la prediletta

Capri. Con la decadenza dell'impero,

Ischia venne minacciata dai saccheggi

barbarici da parte di Visigoti e Vandali.

Nel 476, con la caduta dell'Impero d'Oc-

cidente, Ischia entrò a far parte del

dominio di Odoacre, successivamente

entrò a far parte, con l'intera penisola,

del regno ostrogoto di Teodorico il

Grande. Fu conquistata dagli eserciti

bizantini capitanati da Belisario. In

seguito alla riorganizzazione dell'Italia

bizantina conseguente all'invasione

longobarda, Ischia entrò a far parte del

ducato di Napoli, ducato bizantino di-

pendente dall'Esarcato d'Italia. Tra il IX

e il X secolo l'isola è esposta alle scor-

rerie del saraceni, per nulla interessati

a conquiste permanenti: le loro scorre-

rie erano infatti finalizzate al saccheg-

gio e non all'occupazione. Così gli ischi-

tani svilupparono varie tecniche di resi-

stenza: all'avvistamento delle imbarca-

zioni saracene gli abitanti dei casali di

campagna venivano avvisati dal suono

della "tofa", usata a mo' di corno, che si

diffondeva da un casale all'altro, e si

mettevano in salvo come potevano,

rifugiandosi nel castello, se abbastanza

vicini, in grotte scavate nel tufo o di-

sperdendosi per le campagne.

I Normanni

Ischia segue le sorti di Napoli sotto i

duchi, finché Ruggero il Normanno sac-

cheggia l'isola nel 1135 occupando il

Castello Aragonese.

I Svevi

La dinastia sveva prende il governo

dell'isola nel 1214.

Gli Angioini

Prima che Carlo I, duca d'Angiò, fosse

incoronato re di Napoli, Ischia, tenuta

dai conti di Ventimiglia dopo la caduta

di Manfredi, è invasa dalla galee pisane

con lo scopo di provocare una sommos-

sa contro Carlo I d'Angiò a favore di

Corradino. Non riuscendo nell'intento, i

pisani si abbandonano a massacri e

ruberie. Re Carlo I, vittorioso ordina

un'inchiesta per confermare la fedeltà

al nuovo re. Alla morte di Carlo I d'An-

34

giò, l'isola passa sotto il governo di

Carlo

D’ Angiò detto "lo Zoppo". Nel gennaio

del 1301 una terribile eruzione squassa

l'isola che, abbandonata da molti isola-

ni, si ripopola solo nel 1305. Succede a

Carlo II, Roberto D’Angiò detto Il Sag-

gio.

Gli Aragonesi

Alfonso V di Aragona approda a Ischia

nel 1423 occupando il Castello Arago-

nese, lo ristruttura e vi si stabilisce in

attesa di poter conquistare anche Na-

poli, assedia la città di Napoli. Per ri-

compensare gli isolani dell'appoggio

fornito, il sovrano concede ampi favori

all'isola. Re Ferrante o Ferdinando,

desideroso di difendere i privilegi degli

aragonesi, ordina ad Alessandro Sforza

di occupare l'isola e di cacciare il Tori-

glia. Alessandro Sforza entra trionfando

nel Castello Aragonese. Infine Alfonso

d'Aragona si impadronì definitivamente

dell'isola e si insediò nel castello che

sorgeva su di un isolotto fortificato che

da lui prese il nome di "Castello Arago-

nese" e che per secoli segnò il rifugio di

tutta la popolazione del borgo per sfug-

gire agli assalti dei nemici Barbari e

Saraceni.

Un po’ di geografia

L'isola d'Ischia è la più grande delle

isole dell’Italia appartenente all’arci-

pelago delle Isole Flegree del Golfo di

Napoli. Ischia è di origine vulcanica.

Grazie alle numerose sorgenti termali è

da sempre una delle mete più ambite

del mediterraneo.Il rilievo più elevato

è rappresentato dal monte Epomeo,

alto 788 metri e situato nel centro

dell'isola. Quest'ultimo è un vulcano

sottomarino sprofondato negli ultimi

100.000 anni. Infatti, l'intera isola, altri

non è che il picco del Monte Epomeo,

ultimo punto del vulcano ancora in

s u p e r f i c i e .

L'attività vulcanica ad Ischia è stata

generalmente caratterizzata da eruzio-

ni non molto consistenti e a grande

distanza di tempo. Dopo le eruzioni in

epoca greca e romana, l'ultima è avve-

nuta nel 1301 nel settore orientale

dell'isola con una breve colata giunta

fino al mare.

Il Clima

La particolare formazione a cono

dell'isola d'Ischia con il Monte Epomeo

al centro e la posizione geografica

dell'isola nel Mar Tirreno centrale favo-

riscono un clima mite anche nei periodi

invernali con frequenti cambi climatici,

a volte anche nella stessa giornata. I

venti predominanti variano in base alla

stagione: in inverno sono il libeccio, il

ponente-libeccio e lo scirocco. I venti

Page 18: Non è la solita guida

35

predominanti in estate e primavera

sono la tramontana ed il grecale.

Come i venti anche l'umidità varia in

base alla stagione: in inverno, in pre-

senza di libeccio e scirocco e quindi

con piogge frequenti l'umidità media è

del 63%, tuttavia nelle giornate con

venti dei quadranti settentrionali l'umi-

dità si riduce sensibilmente come an-

che in primavera.

Divisioni Amministrative

L'isola d'Ischia con i suoi 46 km² di su-

perficie e i circa 61 000 abitanti è la

terza isola più popolosa d'Italia.

Dal punto di vista amministrativo si

divide in sei comuni: Barano d'Ischia,

Casamicciola Terme, Forio, Ischia, Lac-

co Ameno, Serrara Fontana, anche se è

stata presentata una proposta di legge

regionale di iniziativa popolare per

poter giungere ad un Comune Unico

dell'Isola d'Ischia, da realizzarsi attra-

verso un referendum popolare. Attual-

mente si è in attesa della sua indizione

da parte della Regione Campania.

Trasporti

Per giungere all'isola d'Ischia si arriva in

auto, treno o aereo nella città di Napo-

li e da qui ci si imbarca su nave tra-

ghetto o aliscafo da uno dei tre porti

(Napoli, Mergellina, Pozzuoli). I colle-

gamenti marittimi tra Ischia ed il conti-

nente avvengono tra i tre porti dell'iso-

la (porto d'Ischia, porto di Casamicciola

e porto di Forio) Mediamente il tratto

di mare da coprire è di 14 miglia con la

punta massima di 18 miglia per la trat-

ta Ischia-Napoli; il tempo medio di na-

vigazione è di 90 minuti con nave tra-

ghetto e di 70 minuti con aliscafo o

nave veloce. Per disciplinare il traffico

dei veicoli durante i mesi estivi è in

vigore una specifica ordinanza del Pre-

fetto che vieta lo sbarco sull'isola di

moto ed autoveicoli ai residenti in

Campania. Il porto d'Ischia è uno dei

più protetti, grazie alla sua insenatura

di lago vulcanico, ed opera principal-

mente come porto commerciale.

Il Porto di Ischia

Il porto di Ischia è costituito da un ba-

cino naturale circondato di colline,

formato dall'antico cratere di un vulca-

no. Nell'antichità era utilizzato per

l'allevamento di pesci, ma fu con i Bor-

bone, che divenne un porto: Ferdinan-

do II, innamoratosi del lago che poteva

ammirare dall'alto della sua villa co-

struita sul pendio, fece scavare un

canale fra due colline e creò un molo

curvilineo protetto, senza banchi-

36

Merito di Augusto e Tiberio fu la costru-

zione di numerose ville imperiali. Le

tre più importanti furono villa Jovis,

Damecuta e Palazzo a Mare. Quest'ulti-

ma,fu residenza ufficiale di Augusto,

preferita al nucleo residenziale di Tor-

re per la sua vicinanza all'approdo e la

sua collocazione all'ombra e in luogo

poco ventilato. Le notevoli dimensioni

delle nuove ville e l'aumento della po-

polazione comportarono la realizzazio-

ne di cisterne per l'approvvigionamento

idrico mediante la raccolta di acqua

piovana. Diverse soluzioni interessaro-

no le ville capresi, come quella di villa

Jovis, dove più cisterne vennero riunite

nel corpo centrale della villa.

Il Medioevo

Con la fine dell'epoca imperiale, Capri

ritornò a far parte dello Stato napole-

tano e iniziò a diventare il centro di

scorrerie e di saccheggi da parte di

pirati, ben motivati dalla posizione

dell'isola sulla rotta fra Agropoli ed il

Garigliano.Successivamente passa sotto

il dominio di Amalfi, per decisione

dell'imperatore Ludovico II, che deside-

rava premiare gli amalfitani per i servi-

gi offertigli nella lotta contro i saraceni

nella liberazione del vescovo di Napoli

Attanasio, imprigionato da Sergio duca

di Napoli nell'isola di Megaride, attuale

Castel dell'Ovo. La dipendenza di Capri

ad Amalfi, che aveva rapporti frequenti

con l'Oriente, è particolarmente evi-

dente nell'arte e nell'architettura, nelle

quali furono introdotti, sui saldi stilemi

classici, moduli bizantini ed islamica.

Dominio Spagnolo

Federico I di Napoli stabilì la parità tra

Capri ed Anacapri, riconoscendo a que-

sta le stesse franchigie ed immunità

dell'altra, separandone le amministra-

zioni e le rendite, atto confermato poi

dal Generale Consalvo di Cordova,,

primo viceré della dinastia spagnola di

Ferdinando il Cattolico. Come tutta la

penisola Sorrentino-amalfitana, l'isola

di Capri farà parte dell'antico e presti-

gioso Principato di Salerno. Solo la con-

quista da parte della Francia degli stati

barbareschi pose fine alla pirateria.

francesi qui rimasero fino alla fine del-

la potenza napoleonica e alla restaura-

zione borbonica, quando Ferdinando IV

di Napoli rientrò a Napoli e con il nome

di Ferdinando I, secondo le disposizioni

del congresso di Vienna, divenne sovra-

no del Regno delle Due Sicilie. Meta di

poeti, pittori e scrittori, Capri cominciò

a conoscere un nuovo sviluppo econo-

mico, che poté ovviare al decadimento

dell'agricoltura, frutto anche della cac-

ciata dei monaci dall'isola. Parallela-

mente, diminuì la produzione del vino

e quella della seta, poi scomparsa com-

pletamente insieme alla produzione del

corallo.

Page 19: Non è la solita guida

37

Un po’ di geografia

L'isola è, a differenza delle vicine

Ischia e Procida, di origine carsica.

Inizialmente era unita alla Penisola

Sorrentina, salvo essere successivamen-

te sommersa in parte dal mare e sepa-

rata quindi dalla terraferma, dove oggi

si trova lo stretto di Bocca Piccola.

Capri presenta una struttura morfologi-

ca complessa, con cime di media altez-

za (Monte Solaro 589 m e Monte Tiberio

334 m) e vasti altopiani interni, tra cui

il principale è quello detto di

"Anacapri".La costa è frastagliata con

numerose grotte e cale che si alternano

a ripide scogliere.

Le grotte, nascoste sotto le scogliere,

furono utilizzate in epoca romana come

ninfei delle sontuose ville che vennero

costruite qui durante l'Impero. La più

famosa è senza dubbio la Grotta Azzur-

ra, in cui magici effetti luminosi furono

descritti da moltissimi scrittori e poeti.

Caratteristici di Capri sono i celebri

Faraglioni, tre piccoli isolotti rocciosi a

poca distanza dalla riva che creano un

effetto scenografico e paesaggistico;

ad essi sono stati attribuiti anche dei

nomi per distinguerli: Stella per quello

attaccato alla terraferma, Faraglione di

Mezzo per quello frapposto agli altri

due e Faraglione di Fuori (o Scopolo)

per quello più lontano dall'isola[1].A

Capri non sono più presenti sorgenti

d'acqua potabile ed il rifornimento

idrico è garantito da condotte sottoma-

rine provenienti dalla penisola sorren-

tina. L'energia elettrica viene fornita

da una società privata in loco.

Il Clima

Il periodo in cui c'è il maggior afflusso

di turisti sull'Isola di Capri è in estate,

da giugno ad agosto. Ad agosto si regi-

stra il maggior numero di sbarchi gior-

nalieri: in media 20mila persone al

giorno. Un afflusso enorme per un'isola

piccola che a volte rende complicato

anche il solo passeggiare per le strette

stradine. La sera, quando i turisti gior-

nalieri ripartono, la situazione però

ritorna decisamente più tranquilla.

I mesi di aprile maggio, settembre e

ottobre sono sicuramente la scelta

migliore: il clima è più fresco, ci si può

comunque fare il bagno in mare e i

p r e z z i d e g l i h o t e l c a l a n o .

Durante i mesi invernali l'isola ritorna

ad essere un tranquillo paese di mare:

i turisti sono pochissimi e ci si può go-

dere un'isola quasi deserta, dal fascino

austero e selvaggio. A parte il freddo

(mai comunque eccessivo) e la proba-

bilità di trovare pioggia, l'inconvenien-

te è che la maggior parte degli hotel e

dei ristoranti sono chiusi. È possibile

comunque sempre trovare ospitalità

nei molti b&b dell'isola. Un ridotto

numero di ristoranti e bar, sia a Capri

che ad Anacapri, è in ogni caso sempre

38

na.Qui costruirono la chiesa di Santa

Maria di Portosalvo e ristrutturarono la

villa e il palazzo delle terme, ora sede

del municipio. Oggi è il primo approdo

con una breve banchina che offre una

vista sulle due lingue di terra che cin-

gono il mare rendendolo un lago dallo

splendido paesaggio ed un approdo

sicuro.

Turismo

Le isole dell'Arcipelago Campano sono

meta di migliaia di turisti all'anno. Spe-

cificatamente, l'Isola di Ischia, insieme

a quella di Capri, sono molto gettonate

da turisti non solo italiani, ma anche da

stranieri provenienti da ogni parte del

globo. L'isola è famosa per il suo mare

cristallino, per le note località balneari

e per i famosi negozi sul lungomare nel

comune di Ischia.

I Visitatori e ospiti sono sempre venuti

sull’Isola d'Ischia per godere i benefici

della sua ricchezza di acque termali.

Piacevole è anche la bellezza della

natura di quest'isola sempre verde e

l ’ o s p i t a l i t à d e g l i a b i t a n t i .

Nel corso degli anni l’Isola d’Ischia si è

adattata in maniera eccellente ai suoi

ospiti ed è turisticamente molto aper-

ta. Sull'Isola c'è un’ampia offerta di

possibilità di pernottamento in uno dei

numerosi hotel, in un residence, o in

un appartamento, con offerte vacanza

molto interessanti esono diverse sono

le proposte per il rilasso sia del corpo

(passeggiate, impianti sportivi, sport

acquatici, ecc.) che dello spirito (gite

culturali, gite geologiche, musei, con-

certi, nonché una molteplice offerta di

ristoranti, bar, cantine che viziano il

vostro palato. Inoltre c'è una ben este-

sa rete di trasporti pubblici che rende

possibile raggiungere tutti i punti dell'I-

sola anche senza auto,ma per chi è

disposto,vi è la possibilità di visitare le

isole vicine grazie ai frequenti collega-

m e n t i m a r i t t i m i .

L’antico mestiere della Pesca

L’isola è giustamente descritta come

un’ “isola di terra”, dove l’agricoltura,

molto più della pesca, ha rappresenta-

to per secoli la prima fonte di sostenta-

mento dei locali. Merito della fertilità

del suolo vulcanico che ha permesso a

tanti ischitani di sottrarsi alle insidie

ricorrenti dell’andar per mare. Que-

st’appunto però non autorizza a dire

che Ischia è priva di una propria tradi-

zione marinara. Anzi, le tracce del rap-

porto tra l’uomo e il mare, risalgono

qui addirittura al neolitico superiore,

quindi a circa 3500 anni fa. I pescatori

di Ischia sono ancora tanti. Molti quelli

della nuova generazione, giovanissimi o

adulti, energici ma anche confortati dai

nuovi ritrovati meccanici e tecnologici

per pescare con minore difficoltà. Poi

ci sono i vecchi - i grandi vecchi come

verrebbe la tentazione di dire – loro

Page 20: Non è la solita guida

39

sono quelli che hanno lavorato per de-

cenni in maniera eroica senza comodi-

tà, né stregonerie moderne. Ora non

escono più in mare, il mare lo conser-

vano negli occhi sempre pieni di luce e

nelle mani disastrate. Rimangono in

spiaggia o sui moli a riparare le reti, o

a creare arnesi per la pesca nelle loro

piccole botteghe di Ischia ponte, la

Mandra, Forio. La formazione del pe-

scatore è dunque un processo molto

lento che avviene con l’esperienza e la

guida di chi già possiede l’arte del me-

stiere. Un’attività, quella del pescato-

re, ricca di contenuti antropologici in

cui si fondono l’uomo, la sua storia ed

il suo rapporto con l’ambiente. L’ap-

prendimento del lavoro peschereccio è

dunque molto complesso, proprio per la

diversità in cui si esprime da luogo a

luogo; bisogna conoscere i fondali, le

specie, la loro biologia, l’oceanografia,

la meteorologia. È un lavoro che si

svolge nelle ore notturne, spesso all’a-

perto, esposti alle intemperie o al sole

cocente; insomma condizioni avverse,

che comportano uno sforzo fisico molto

elevato. È un mestiere usurante e ciò

appare evidente dallo stesso aspetto

fisico di chi esercita tale mestiere. La

formazione professionale di tali figure

è altresì legata alla conoscenza del

mare in cui operano gli equipaggi: nel-

la pesca non s’improvvisa nulla. Tutto

va costruito lentamente, con pazienza,

perché questa professione è anche un

"arte", e come tale è legata alla genia-

lità e all’intuizione di chi la esercita.

Le Spiagge

L’Isola d’Ischia è caratterizzata da

paesaggi di straordinaria bellezza e

nasconde un patrimonio naturalistico

immenso: 29 bacini, centinaia di sor-

genti di acqua termale e fumarole,

valli e colline, boschi e montagne, sco-

gliere e spiagge in sabbia fine e facile

da raggiungere alle calette in ciottoli

raggiungibili grazie a sentieri a picco

sul mare, quelle per la famiglia e quel-

le più giovanili.

La Spiaggia di Citara

Posizionata sul versante ovest dell’iso-

la, nel comune di Forio. Protetta a

sinistra dal grande promontorio di Pun-

ta Imperatore, è caratterizzata da una

bellissima flora mediterranea, da pian-

te balsamiche e da vegetazione tropi-

cale e sub-tropicale. La sabbia chiara e

morbida viene bagnata da un mare

cristallino di color turchese, ideale per

le famiglie e i bambini. Sono presenti

alcuni stabilimenti balneari oltre al

famosiss imo Giard ino termale

“Poseidon”, incastonato nella baia

dove sgorgano sorgenti di acqua terma-

le. Citara fu posta dai romani sotto la

protezione di Venere Citarea, di cui fu

40

trovata una statua di marmo bianco

(poi distrutta). Un panorama unico sul-

le isole pontine, soprattutto con Vento-

tene, e al tramonto i colori fanno della

baia un luogo paradisiaco.

La Spiaggia dei Maroniti

La baia dei Maronti è l’arenile più gran-

de dell’isola, lunga 3 km, riparata da

imponenti colline e dal promontorio di

Capo Grosso. È raggiungibile via mare

dal borgo di Sant’Angelo con dei carat-

teristici taxi boat o, volendo, dal ver-

sante opposto. Da Barano si percorre la

serie di tornanti disegnati a picco sul

mare fino ad arrivare sul livello del

mare dove ci sono parcheggi, ristoranti

e bar. La spiaggia si sabbia fine presen-

ta vari tratti, alcuni con stabilimenti

privati, altri liberi. Particolarità della

Baia dei Maronti sono queste aperture

nel costone roccioso dove si può risalire

fino alle cave. Queste insenature pre-

sentano sorgenti di acqua termale e

fumarole. La sorgente di Cava Scura è

stata ricavata dal tufo grazie al lavoro

dei romani, che venivano fin qui per

beneficiare delle cure termali. Verso il

borgo di Sant’Angelo troviamo la zona

chiamata delle “Fumarole”, dove ci si

diverte a cuocere pietanze sotto la

sabbia, oltre che beneficiare del culto

del benessere naturale con aerosol

termali.

La Spiaggia di Sant’Angelo

Antico borgo di pescatori ed oggi meta

charme del turismo ischitano. Un vero

gioiello con i suoi vicoli, la sua piazzet-

ta, le case arroccate e addossate le

une alle altre i loro balconi affacciati

sul porticciolo e su quella striscia di

terra che lega il borgo al particolare

isolotto, punta estrema di due baie:

quella dei Maronti e quella di Cava Gra-

do. Nei suoi dintorni e nel cuore del

borgo sono racchiuse abbondanti fonti

termali, che fanno della località uno

dei poli del termalismo ischitano. Posto

incantevole per una giornata al mare

sulla piccola spiaggia o sugli scogli

dell’isolotto.

La Baia di Sorgeto

Nel comune di Forio troviamo una baia

selvaggia ricca di benessere, unica al

mondo nel suo genere, dove è possibile

fare il bagno tutto l’anno: è Sorgeto,

dove madre natura ha donato un vero e

proprio parco termale all’aperto. Gra-

zie alle sorgenti di acqua termale che

sgorgano in mare tra le rocce e gli sco-

gli è possibile immergersi in una delle

conchette disegnate con i ciottoli, la-

sciandosi accarezzare dalla brezza ma-

rina e dal profumo della vegetazione.

La baia presenta un clima mite ed offre

uno spettacolo magico al tramonto. Tra

Page 21: Non è la solita guida

41

le varie esperienze gratuite che offe la

baia, vi consigliamo di provare il carat-

teristico bagno di notte: lasciatevi coc-

colare dal calore delle acque, dal ri-

flesso della luna sul mare e le stelle

che fanno di Sorgeto un luogo selvaggio

ma allo stesso tempo romantico.

La Spiaggia di San Montano

La spiaggia di San Montano è posiziona-

ta nell’omonima baia tra il comune di

Forio e quello di Lacco Ameno. Ha un

fascino tropicale, circondata dalla ve-

getazione di Monte Vico e Zaro, con la

sua forma a mezzaluna e i fondali bas-

si. Bisogna allontanarsi oltre i 40 metri

dalla riva per non toccare il fondale

con i piedi, a differenza delle altre

spiagge dove basta allontanarsi giusto

10 metri. Incastonato in questa baia

c’è il Parco Termale Negombo, con

varie piscine d’acqua termale, ristoran-

ti, bar e aree relax. Una vera e propria

oasi di benessere. La baia veniva utiliz-

zata, in passato, come porto naturale.

In questa zona i Greci, primi colonizza-

tori, vi costruirono la loro necropoli,

dove fu trovata in seguito la famosa

Coppa di Nestore.

La Spiaggia di Cava Dell’Isola

A pochi passi dalla Baia di Citara tro-

viamo la Spiaggia più amata dai giovani

ischitani e dai vacanzieri dallo spirito

libero. Baciata anche’essa dal sole

della costa occidentale dell’isola, si

raggiunge grazie ad una scalinata. E’

l’unico arenile libero, senza stabili-

menti, dell’intera isola. Un ambiente

informale e anche un po’ selvaggio,

forse per questo meta preferita dai

giovani. C’è uno spazio per il beach

volley, ma a riva si è praticamente

liberi di giocare a racchettoni e palla-

volo. Assolutamente poco adatta alle

famiglie con bambini proprio perché

molto affollata e caotica. Ci sono due

ristoranti-bar per qualche dolce sosta o

una bella mangiata in compagnia. Una

ripida discesa e qualche scalino per

accedervi, ma ne vale la pena. Anche

qui al tramonto, verso sera, potete

godere di uno spettacolo indescrivibile.

La Baia di Cartaromana

L’acqua termale che risale in superfi-

cie, piscine naturali dove rilassarsi

42

nell’acqua calda e un panorama unico

al mondo con vista sul Castello Arago-

nese. Cartaromana è la baia che vide

nascere Aenaria, cittadina romana, di

cui rimangono solo poche mura anti-

che. A circa 7-8 metri sul fondale del

mare furono ritrovate tracce di

quell’antica cittadina sommersa dal

mare. La Baia si trova ad est dell’isola,

nel comune di Ischia, borgo di Ischia

Ponte. Il sole la mattina sorge proprio

qui, facendo luce sul Castello e sugli

scogli di Sant’Anna dalle forme bizzar-

re. C’è qualche stabilimento e noi la

consigliamo alle coppie in cerca di un

luogo magico che riesca a rendere indi-

menticabile il loro viaggio.

La Scarrupata

La Scarrupata è la fascia costiera com-

presa da Punta San Pancrazio e Capo

Grosso, sul versante sud-est dell’isola.

La costa qui è molto alta e troviamo

questa lingua di spiaggia in ciottoli,

isolata e riservata. Un panorama indi-

menticabile, raggiungibile via mare o

tramite un sentiero per i più avventu-

rieri. Qui il tempo sembra si sia ferma-

to. Lasciate da parte i ritmi frenetici

della vita moderna e calatevi nel relax

unico che solo Ischia, con calette simile

alla Scarrupata, può regalarvi. Una

magia di colori dove la vegetazione e il

mare cristallino si fondono e creano un

angolo magico che difficilmente dimen-

ticherete.

La Spiaggia dei Pescatori

La Spiaggia dei Pescatori si trova stret-

ta tra Ischia Porto e il borgo di Ischia

Ponte. Si trova incastonata in un pae-

saggio d’altri tempi, con le case dei

pescatori a ridosso della spiaggia e il

Castello Aragonese con Procida e Viva-

ra alle spalle. Dalla parte opposta tro-

viamo una vecchia abitazione patrizia.

In alcuni periodi dell’anno ci si trova a

passeggiare tra le colorate barche dei

pescatori, con la brezza marina e il

profumo del pesce cucinato dai risto-

ranti. Una piccola spiaggia caratteristi-

ca che si distingue dalle altre anche

grazie alla sua posizione privilegiata.

La Spiaggia di San Francesco

La spiaggia di San Francesco si trova a

pochi chilometri dal porto di Forio;

facilmente raggiungibile sia in auto sia

con mezzi pubblici.Sul lato destro è

sormontata dallo spettacolare promon-

Macellum, San Lorenzo Maggiore

Page 22: Non è la solita guida

43

torio di Punta Caruso, meta per chi

ama gli scogli e un po’ di tranquilli-

tà.Questa spiaggia è adatta per chi

ama gli sport acquatici, gli impianti

turistici a mare e magari cenare in un

tipico ristorante isolano, illuminati solo

dalla luce del tramonto prima e dalla

luna dopo.

Le bellezze culturali

La Cattedrale dell’Assunta

Sotto la cattedrale dell'Assunta, sul

Castello Aragonese di Ischia, si sviluppa

una piccola cripta ipogea dedicata a

San Pietro. Essa è interessata da due

momenti di intervento: il primo coinci-

de con la sua fondazione, un ambiente

con una navata con due campate; il

secondo con la costruzione della nuova

Cattedrale sovrastante, la quale inglo-

bò un piccolo edificio duecentesco,

come si nota dallo sgretolamento di un

pilastro che mostra al suo interno una

colonna. Probabilmente, quando si

edificò la nuova Cattedrale, la chiesa

sottostante, divenutane succorpo, non

era in grado di sostenere parte di que-

sto nuovo edificio e per questo si rese-

ro necessari degli interventi di consoli-

damento. La cripta presenta al suo

interno due elementi che mostrano

come le sue strutture architettoniche

siano state piegate alle necessità

dell'edificio superiore: mi riferisco in

particolare all'introduzione di un pila-

stro sul lato sinistro, che crea una spor-

genza spezzando l'andamento simmetri-

co dell'ambiente, inserito poichè si

trova proprio in corrispondenza del

pilastro superiore; ed il riempimento

della volta della cappella di fondo, che

ne ha abbassato l'altezza (da una crepa

che si è aperta sul fronte di questo

riempimento rileviamo che l'andamen-

to originario dell'arco scende all'indie-

tro, quasi si trattasse di un catino absi-

dale).

Le Campane di Santa Restituta- Museo

e Scavi

Un particolare fascino ha sempre susci-

tato la vicenda delle campane di S.

Restituta, su cui molto ha lavorato la

fantasia popolare. dalla torre di Monte

Vico di Lacco partiva l'allarme e le

campane di S. Restituta fuse in quel

tempo suonavano a distesa".Allora in-

fatti questo era il più grande flagello

per gli isolani; molto probabilmente gli

assalti erano effettuati a partire dalla

primavera: di ciò abbiamo conservato

il ricordo in alcuni stornelli popolari

che vogliono indicare la fine delle inva-

sioni. Dopo aver assistito allo scempio

dei rapinatori e al trasporto delle cam-

pane sulle navi, i coloni dispersi sulle

colline vedono i pirati apprestarsi a

partire col prezioso carico. Il capitano

della galea dà ordine di salpare le an-

core; ma ecco che comincia a soffiare

un vento impetuoso, il mare si increspa

44

sempre di più, le onde diventano sem-

pre più alte e spumeggianti, la nave

ora si inabissa nei gorghi, ora è sospinta

in elevazione sull'acqua. Le campane

sono gettate in mare per alleggerire il

carico. Un solo pensiero in quanti erano

sulle colline, le andremo a ripescare. E

quando tornò il sereno, i lacchesi anda-

rono per ripescare le campane. Durante

la notte quelle campane in fondo al

mare dondolano a festa; e le anime

belle che si recano sulla riva e restano

in ascolto dicono che quei concerti

sono paradisiaci: sono le armonie della

verginità e del martirio.

Il complesso "Scavi e Museo Santa Resti-

tuta" in Lacco Ameno rappresenta il

tipico esempio di aree di scavo o di

zone archeologiche trasformate in enti-

tà museali autonome. Un museo, quin-

di, sotterraneo - zona archeologica

rinvenuta sotto la chiesa di S. Restituta

- dove il processo di musealizzazione è

avvenuto nel luogo stesso di rinveni-

mento. L'insieme, come si presenta

oggi, comprende due sezioni: una se-

zione Scavi e una sezione Museo. Gli

Scavi permettono al visitatore di ammi-

rare le tracce lasciate sul terreno

dall'uomo nell'intrecciato e stratificato

succedersi delle culture del passato. Il

Museo, essendo un museo archeologico

e, come tale, composto per lo più di

cocci, non di opere capaci di stupire a

prima vista, offre un panorama efficace

delle diverse culture e stabilisce un

rapporto stimolante con l'area scavi.

Torre di Guevara

La Torre di Michelangelo, conosciuta

anche con il nome di "Torre di Sant'An-

na" (per la presenza della chiesetta

dedicata alla santa), è una casa turrita

edificata nella Baia di Cartaromana. La

struttura è posta di fronte al Castello

Aragonese, a poca distanza dagli scogli

di Sant'Anna, importante sito archeolo-

gico che ricollega la storia della baia

all'antica colonia (oggi sommersa) di

Aenaria, florido insediamento romano

risalente ad un'epoca compresa tra il I

secolo a.C. e il IV secolo d.C., caratte-

rizzato, come provano i numerosi rinve-

nimenti, dalla presenza di fabbriche di

terrecotte e botteghe per la lavorazio-

ne dei metalli. Una leggenda racconta

che nel 1500 vi abbia soggiornato a più

riprese l'artista Michelangelo Buonarro-

ti, legato da una segreta relazione

amorosa alla castellana Vittoria Colon-

na, moglie di Francesco Ferrante d'Ava-

los. Tali informazioni, così come quelle

che attribuiscono all'artista alcune del-

le pitture presenti all'interno dell'edifi-

cio, non sono però suffragate da alcun

documento storico.

Page 23: Non è la solita guida

45

Il Castello Aragonese

Il Castello Aragonese è una fortificazio-

ne che sorge su un'isola tidale di roccia

trachitica posto sul versante orientale

dell'isola d'Ischia, collegato per mezzo

di un ponte in muratura lungo 220 m

all'antico Borgo di Celsa, oggi conosciu-

to come Ischia Ponte. L'isolotto su cui è

stato edificato il castello deriva da

un'eruzione sinattica avvenuta oltre

300.000 anni fa. Raggiunge un'altezza

di 113 metri sul livello del mare e rico-

pre una superficie di circa 56 000 m².

Geologicamente è una bolla di magma

che si è andata consolidando nel corso

di fenomeni eruttivi e viene definita

"cupola di ristagno".Al castello si acce-

de attraverso un traforo, scavato nella

roccia e voluto verso la metà del Quat-

trocento da Alfonso V d'Aragona. Prima

di allora l'accesso era possibile solo via

mare attraverso una scala situata sul

lato nord dell'isolotto. Il traforo è lungo

400 metri e il percorso è illuminato da

alti lucernari che al tempo fungevano

anche da "piombatoi" attraverso i quali

si lasciava cadere olio bollente, pietre

e altri materiali sugli eventuali nemici.

Il tratto successivo è una mulattiera

che si snoda in salita all'aperto e con-

duce fino alla sommità dell'isola. Da

questa strada si diramano sentieri mi-

nori che portano ai vari edifici e giardi-

ni. Dagli anni settanta del novecento è

anche in funzione un ascensore, il cui

percorso è ricavato nella roccia e che

raggiunge i 60 metri sul livello del ma-

re.

La Chiesa dell'Immacolata

La sua cupola domina l'intero castello e

offre una magnifica vista del borgo di

Ischia Ponte, anticamente chiamato

borgo di Celsa per la presenza di una

piantagione di gelsi nei terreni dei frati

Agostiniani. Essi avevano importato

sull'isola l'allevamento intensivo del

baco da seta (il cui nutrimento, il gel-

so, è appunto chiamato morus celsa).

L'attività s'interruppe di colpo nel

1809, quando Gioacchino Murat emanò

un decreto di soppressione degli ordini

religiosi per impossessarsi delle enormi

ricchezze che i religiosi avevano accu-

mulato nei secoli nel regno di Napoli.

La chiesa fu costruita al posto di una

precedente cappella dedicata a san

Francesco, per volere della badessa

46

Lanfreschi del convento delle Clarisse.

L'enorme impegno economico impedì

alle suore di portare a termine la co-

struzione e, nonostante fosse stata

venduta persino l'argenteria del con-

vento per far fronte alle spese, la fac-

ciata e gli interni della chiesa non sono

rifiniti e le pareti sono completamente

bianche. La pianta della chiesa è a cro-

ce greca con l'aggiunta di un presbite-

rio e di un pronao d'ingresso. Su un

tamburo circolare con 8 finestroni,

insiste l'imponente cupola che domina

l'intero complesso di edifici. Dopo il

restauro eseguito, la chiesa viene uti-

lizzata per mostre temporanee di pittu-

ra e scultura.

Il Convento delle Clarissa

Fu fondato nel 1575 da Beatrice Qua-

dra, vedova D'Avalos, che si insediò con

quaranta suore provenienti dal conven-

to di San Nicola che si trovava sul mon-

te Epomeo. Le suore provenivano da

famiglie nobili che le destinavano in

genere alla vita claustrale già dall'in-

fanzia per evitare la frammentazione

delle eredità. Il convento fu chiuso nel

1810 in seguito alla già citata legge di

secolarizzazione emanata da Murat.

Un'ala del convento oggi ospita un al-

bergo, le cui stanze sono le celle di un

tempo.

La Chiesa del Soccorso

La chiesa del Soccorso fu costruita nel

1791, rifatta nel 1864, ma il primo edi-

ficio risalirebbe al 1350, come riporta-

to in una relazione presentata dal prio-

re, datata 2 aprile 1650, conservata

nell'Archivio generale degli Agostiniani

Eremitani a Roma , dove si legge che il

convento fu eretto circa 300 anni pri-

ma. Infatti, la chiesa era un tempo un

convento di frati Eremitani, successiva-

mente abolito in virtù della bolla d'In-

nocenzo X. L'architettura è molto sem-

plice ma nello stesso tempo elegante.

La facciata è di colore bianco. Sul lato

sinistro si erge il piccolo campanile con

cuspide piramidale in stile gotico. Nella

chiesa sono visibili:

-Un antico crocifisso probabilmente del

1500 trovato in mare oggetto di parti-

colare devozione. Una leggenda popo-

lare (cfr. Vuoso, 2002, p. 107) racconta

che il Crocifisso ligneo fu portato nella

chiesa del Soccorso da marinai costretti

da una forte tempesta ad ancorare

nella baia sottostante la loro nave di-

retta in Sardegna. Quando il mare si

calmò, i marinai tornarono a riprendere

la scultura, ma non riuscirono ad uscire

dalla chiesa perché la porta scompari-

va. Dopo tre tentativi si arresero e la

lasciarono lì.

-Il Crocifisso del Soccorso si rivelò mi-

r a c o l o s o ;

Page 24: Non è la solita guida

47

- Un dipinto del 600 "S. Agostino con S.

Monica e S. Nicola da Tolentino" del

p i t t o r e C e s a r e C a l i s e ;

- A l c u n i d i p i n t i d e l 1 7 0 0 ;

- Un'acquasantiera in marmo con iscri-

zioni latine, greche e arabe;

- Pavimento decorato con fiori e stelle

d e l 1 7 0 0 ;

- Mattonelle maiolicate con motivi flo-

reali e soggetti religiosi del 1700 che

rivestono il parapetto del pianerottolo

e i muretti laterali della gradinata di

a c c e s s o a l l a c h i e s a ;

- Modellini di barche da pesca e velieri

di legno sistemati sull’architrave e sui

cornicioni della chiesa.

Il Palazzo Reale

L'edificio fu eretto nel 1735 per volere

del primo proprietario, il protomedico

Onofrio Buonocore, e diventò presto la

meta preferita di villeggiatura dei nobi-

li.Dopo la rivoluzione del 1799 il palaz-

zo venne acquistato dalla famiglia rea-

le Borbone. In particolare, Ferdinando

IV re di Napoli e delle Due Sicilie lo

utilizzò principalmente come base per

cacciare e pescare nell’antico Lago del

bagno. Sempre per volere di Ferdinan-

do II, il botanico di corte Giovanni Gus-

sone fece ricoprire la distesa di lava

lasciata dall’eruzione del cratere

dell’Arso con una bellissima e rigogliosa

pineta. Nell’ambito di questa operazio-

ne, Gussone incrementò inoltre il giar-

dino della casina reale, piantando

esemplari di platani, querce, lauri,

eucalipti, provenienti dall’Orto botani-

co di Napoli. L’architettura del giardi-

no, infine fu completata ed abbellita

da false grotte rivestite con schiuma

vulcanica e da un sapiente uso decora-

tivo degli agrumi. Con la caduta dei

Borbone la casina attraversò una fase

di declino, quando si pensò di trasfor-

marla in stabilimento termale riservato

al personale militare. Per un breve

periodo, dopo il terremoto che colpì

duramente il comune di Casamicciola

Terme sul versante nord dell’isola,

ospitò l’Osservatorio meteorologico e

geodinamico. Oggi è sede dello stabili-

mento balneotermale militare.

Il Fungo

Nella piccola e graziosa baia, antistan-

te il viale principale di Lacco Ameno,

uno dei più caratteristici Comuni dell'i-

sola d'Ischia, non si può fare a meno di

notare uno scoglio, cui l'acqua ed il

vento hanno conferito nel tempo la

forma di fungo. Staccatosi dal monte

Epomeo, questo enorme masso di tufo

verde, alto circa 10 metri, è ormai

divenuto uno dei simboli più conosciuti

dell' Isola. Secondo tradizione la roccia

indicherebbe il luogo dell'anneganemto

di due infelici innamorati, costretti

alla fuga da parenti e genitori contrari

al loro amore, oppure sarebbe un ma-

cigno scagliato in acqua da Mercurio

48

subito dopo che Giove aveva precipita-

to il titano Tifeo sotto il peso dell'Isola.

Tuttavia negli ultimi anni le condizioni

di questo monumento a cielo aperto

destano non poche preoccupazioni: la

continua erosione degli agenti atmosfe-

rici e i movimenti sismici hanno deter-

minato nel blocco una profonda frattu-

ra che favorisce la penetrazione

dell'acqua per assorbimento. Il masso

rischia quindi di frantumarsi e sparire

sul fondo, lasciando di sé solo le innu-

merevoli foto o riproduzioni di vario

genere che lo hanno ormai consegnato

all'eternità.

Il Museo del Mare

Il Museo del Mare dell'isola d'Ischia,

inaugurato alla fine del 1996, rappre-

senta il forte legame dell’isola con

l’ambiente marino. Esso è allestito

nell'antico palazzo dell'Orologio e con-

serva una raccolta di fotografie e car-

toline, tra le quali l’immagine della

prima automobile sbarcata sull’isola. Vi

sono conservate attrezzature nautiche

e antichi utensili da pesca: un in clino-

metro, un solcometro , un fanale di

via, cesti, retini, nasse di canna co-

struite dai pescatori negli anni '30 e

una tuta da palombaro del 1935. A que-

sti oggetti si aggiungono dei modellini

di nave, ex voto dei marinai ed urne

antiche. Caratteristica è la collezione

di francobolli provenienti da tutto il

mondo e raffiguranti elementi e mate-

riali legati al mare, come conchiglie,

pesci, coralli, dei modellini di nave, ex

voto dei marinai ed urne antiche.

5. Flora & Fauna

Una panoramica completa dei luoghi

più belli da visitare sull'isola d'Ischia, i

Parchi Termali come i giardini Poseidon

o il Negombo dove è possibile passare

dei momenti di tranquillità e relax. I

Giardini Botanici come La Mortella o I

Giardini Ravino che con la loro miriade

di piante e con gli eventi a tema rap-

presentano una tappa davvero imperdi-

bile.

I Giardini Poseidon

Il Parco Termale Giardini Poseidon sor-

ge nella baia di Citara, ed è composto

da 22 piscine termali curative già nota

Page 25: Non è la solita guida

49

ai Romani per le sue straordinarie ac-

que curative con temperatura costante

da 20° a 40°. Queste acque sono parti-

colarmente indicate per la cura di ma-

lattie ostioarticolari (come artriti, ar-

trosi, sciatalgie, sindrome cervicale,

ecc.), malattie reumatiche croniche,

postumi di traumi, paresi e malattie

dell'apparato respiratorio. Oltre ai ba-

gni termali all'interno del parco vi sono

una sauna naturale scavata nel tufo ed

il bagno giapponese, un percorso alter-

nato caldo (40°) - freddo (15°) dissemi-

nato di ciottoli sui quali camminare per

riattivare la circolazione degli arti infe-

riori e per donare al corpo un senso di

benessere generale. I Giardini termali

Poiseidon sono situati nel comune di

Forio, in località Citara, facilmente

raggiungibili sia in autobus che in auto-

mobile. Un'oasi di pace in un ambiente

con 60.000 mq di giardini ecologica-

mente intatto attende gli ospiti per una

ideale combinazione di cure e vacanze

di sogno al mare.

Il Parco Termale Negombo

In questo splendido scenario che copre

una superficie di circa 9 ettari di terre-

no, si snoda un percorso di 12 piscine

termali, a differenti temperature, par-

ticolarmente indicate nella cura delle

affezioni osteo-articolari.

Il Negombo si trova a Lacco Ameno,

nella baia più suggestiva dell'isola, la

b a i a d i S a n M o n t a n o .

Questa insenatura che è simile ad un'o-

strica, ha una sabbia finissima ed in

fondali molto bassi. Il parco, ideato dal

duca Camerini alla fine degli anni '40 si

caratterizza per la enorme varietà di

piante tropicali presenti che fanno da

contorno alle piscine ed alle attrezza-

t u r e t e r m a l i .

Oltre alle piante tropicali...ammirando

le rocce del promontorio si nota una

ricca vegetazione formata da lentischi,

ulivi, agavi e aloe, ginestre, tantissime

palme con un fusto altissimo, ficus...

davvero uno spettacolo favoloso.

All'interno è possibile ammirare uno

splendido monumento di Arnaldo Po-

modoro che rappresenta un'arco verde

nel cielo. Il Negombo, offre piscine

termali a diverse temperature, alcune

con idromassaggio, una sauna, una

vasca per massaggio plantare, una

spiaggia privata, un centro estetico ed

un centro benessere dove poter fare

tutta una serie di cure termali come

massaggi, fanghi, inalazioni, e tanto

altro ancora per il vostro benessere.

Completano la gamma dei servizi, un

ampio parcheggio esterno, un ristoran-

te, un self service, e dei bar sparsi in

tutto il parco.

Parco Termale Aphrodite Apollon

Incastonato nella deliziosa cittadina di

Sant'Angelo, un tempo pittoresco borgo

50

di pescatori ed oggi celebre per la sua

piazzetta e le sue stradine, il Parco

Termale Aphrodite Apollon è uno dei

gioielli più preziosi dell'isola d'Ischia.

Con le sue 12 piscine termali (con tem-

perature tra i 20° e i 40°), di cui una

coperta con idromassaggio, e due di

acqua di mare, a differenti temperatu-

re e continuamente alimentate per

preservarne gli effetti terpeutici, la

struttura offre agli ospiti un'oasi di

tranquillità e riposo, circondata da una

meravigliosa cornice di piante e fiori.

Un importante reparto termale acco-

glie un'originale sauna in una grotta

naturale, oltre che uno splendido Beau-

ty-center, in cui è possibile beneficiare

dei più innovativi trattamenti estetici.

Anche ai bambini è riservato un posto

speciale: sono a loro disposizione una

piscina eclusiva ed un angolo-giochi

completamente attrezzato per il loro

divertimento. In questo contesto così

speciale, non potevano di certo manca-

re un punto Snack e soprattutto un Bar-

Ristorante, dotato di una splendida

terrazza sul mare, in cui continuare a

rilassarsi, gustando squisite specialità e

sorseggiando bicchieri di ottimo vino.

Infine una spiaggetta privata, attrezza-

ta con angolo fitness e beach-volley,

completa questo angolo di paradiso. Vi

si può giungere a piedi, con una piace-

vole passeggiata di circa 10 minuti,

oppure con il servizio Taxi-Boat dal

delizioso porticciolo di Sant'Angelo, in

soli 5 minuti.

I Giardini La Mortella

Il Museo-giardino fu creato da Lady

Walton, comunemente conosciuto co-

me La Mortella. Il termine “mortella”

indica, nel dialetto napoletano, il

"mirto divino, una pianta che spunta

con grande abbondanza tra le rocce

della collina su cui si sviluppa il giardi-

no e che rivestiva notevole importanza

nella mitologia greco-romana, a volte

rappresentando la bellezza o la vergini-

tà, altre volte l'amore o la fortuna pa-

gana. La Mortella è composta da due

parti profondamente diverse: La Valle

caratterizzata da un clima subtropica-

le, umida e protetta dal vento, e la

Collina o giardino superiore, intera-

mente ideato e sviluppato da Lady Wal-

ton, con zone assolate e battute dal

vento e caratterizzate da vegetazione

proveniente dalle aree mediterranee.

Nel giardino superiore sono presenti la

sala Thai, circondata da fiori di loto,

bambù e aceri giapponesi, il tempio del

Sole, arricchito da bassorilievi di; la

cascata del Coccodrillo; il Ninfeo; il

Teatro greco e la roccia di William, un

masso trachitico posto su di un promon-

torio a circa 120 metri dal livello del

mare, dove sono custodite le ceneri

Page 26: Non è la solita guida

51

dell'artista. Il giardino si sviluppa su

un'area di circa 2 ettari e raccoglie più

di 3000 specie di piante esotiche e ra-

re. È inoltre arricchito da ruscelli e

laghetti, fontane, piscine, corsi d'acqua

che permettono la coltivazione di pian-

te acquatiche come papiro, fior di loto

e ninfee tropicali, mentre dai terrazza-

menti delineati sui muri a secco medi-

terranei è possibile godere di una delle

più suggestive viste della baia di Forio.

Sulla collina, poco distante dalla Serra

delle orchidee, è situato il museo, che

raccoglie i cimeli e i ricordi di Walton.

Sia il giardino che la casa-museo dove il

maestro componeva le sue opere sono

aperti al pubblico.

I Giardini Ravino

I “Giardini Ravino” sono sorti nel 2005

dal sogno di Giuseppe D'Ambra, maritti-

mo di lungo corso e grande appassiona-

to di piante succulente e palme, il qua-

le ritornava a Forio dai suoi lunghi viag-

gi intorno al mondo con borse piene di

talee e semi di piante rare. Il clima

mite e la fertilità del suolo dell'isola

d'Ischia, nonché l'esposizione sul ver-

sante occidentale della residenza del

capitano D’Ambra hanno favorito l’at-

tecchimento, lo sviluppo e la riprodu-

zione di questa flora esotica, che, ne-

gli anni, ha costituito una collezione

unica per numero, varietà e dimensio-

ne degli esemplari botanici. Un patri-

monio enorme che, con grande dedi-

zione e sacrificio, la famiglia D'Ambra

ha voluto rendere fruibile a tutti. I

fratelli Christoph e Luca D’Ambra, in-

fatti, forti di una passione ereditaria,

sotto la supervisione del loro padre, e

dopo attente valutazioni di sostenibili-

tà economica e ambientale, hanno

creato un parco botanico tropical-

mediterraneo. Estesa su di una superfi-

cie di 6000m2. L'offerta è costituita

dalla possibilità di passeggiare lungo un

percorso di 500 metri – fruibile anche

dai diversamente abili - che si snoda in

uno spazio costellato da piante esoti-

che. La collezione di succulente e cac-

tacee unica in Europa , frutto della

passione e di 40 anni di attenzioni di

Giuseppe D'Ambra, preserva rarità bo-

taniche d'eccezione ed è arricchita da

originali esposizioni di bonsai, d'arte e

di artigianato. Una realtà speciale per

appassionati ed intenditori, perfetta

52

per famiglie – pavoni, pony, caprette

passeggiano indisturbati - ed ideale per

chi sia alla ricerca di un luogo a dimen-

sione d'uomo che soddisfi curiosità in-

tellettuali ed esigenza di relax e svago.

Il Regno di Nettuno

"Pochi metri sotto la superficie del ma-

re sorge una foresta bianco-rosata.

Rami e tronchi, immobili come marmo-

ree merlature gotiche, si intersecano,

si confondono nel mobile silenzio tur-

chese. Grandi fiori bianchi palpitano al

passaggio di sciami lucciacanti di pesci

iridescenti, di pallide meduse, che sci-

volano come sogni nell'arboreo arabe-

sco di ombre e riflessi": così un anoni-

mo enciclopedista del secolo passato

celebrava con accenti inconsueti di

poeta l'affascinante spettacolo della

vita nei più segreti recessi del mare. il

già ricco mosaico sottomarino sulle

pareti delle grotte (a Punta Caru-

so,Punta S.Angelo e Punta S. Pancrazio)

e -nel caso dei coralli- oltre i 40 metri

di profondità, senza dimenticare lei,

stelle di mare dai processi riproduttivi

prodigiosi e spettacolari.

I Giardini Eden

La magica atmosfera beach club del

Giardino Eden nasce dall’armoniosa

fusione dei rinomati punti cardine ca-

ratteristici dell’Isola d’Ischia: natura,

storia e mare. Ai piedi della Torre di

Guevara (oggi museo e struttura poliva-

lente) ed al centro dell’antica baia

colonia di Aenaria (oggi sommersa),

florido insediamento romano del qua-

le si stima maggiore attività tra il I

secolo a.C. ed il IV secolo d.C. Il parco

è circondato da una lussureggiante

vegetazione tipicamente mediterranea,

dispone di quattro piscine (26°, 28°,

32° 35°) due di acque oligominerali e

due di acqua salata. Dotato di tutti i

comfort: spogliatoi e toilettes, lettini

prendisole, sdraio, ombrelloni e un

efficiente pool bar al servizio degli

ospiti. Oasi di benessere naturale, dai

profumi delicati e ammalianti, un vero

e proprio angolo di paradiso dove gode-

re della vera essenza del relax. Il lato

fronte mare del Giardino Eden gode

della vista panoramica più suggestiva di

Ischia: l’isolotto su cui si staglia il Ca-

stello Aragonese ed il suo ponte di

collegamento con l’antico borgo di

Page 27: Non è la solita guida

53

Ischia Ponte, gli scogli di Sant’Anna

(importante sito archeologico) e l’isola

di Capri. Caratteristica unica ed irripe-

tibile è il grande scoglio battente ban-

diera Eden attorno al quale sorge il

solarium sospeso sul mare, meta parti-

colarmente ambita per gli amanti della

tintarella e dotato di comode e sicure

discese in acqua per gli amanti dello

snorkeling.

Degustazioni tipiche dell’Isola

I Vini

L'isola d'Ischia è la patria di numerosi

vini D.O.C. ed è molto conosciuta da

appassionati e professionisti del settore

vinicolo.La produzione locale compren-

de sia vino bianco che rosso. Tra i bian-

chi evidenziamo la Forastera, il Bianco-

lella e l' Ischia Bianco doc, da abbinare

ai piatti a base di pesce.

I Liquori

Il Limoncello è uno speciale prodotto

ottenuto da limoni particolari appena

raccolti. Estratto dalla scorza di questi

limoni freschi ne conserva le qualità

organolettiche con un gusto agrodolce

e un armonia di aromi che lo rendono

un liquore dal sapore unico. Potrete

scegliere ffa vari gusti sia di liquori che

di creme, particolarmenti ricercarti

sono il famoso Rucolino, e alla Liquiri-

zia, da non trascurare il nuovo gusto al

cioccolata davvero unico nel suo gene-

re. Inoltre avrete una vasta scelta di

liquori e vini dei migliori produttori del

posto.

Gli Spaghetti con le Vongole

E' questo un altro dei piatti classici di

Napoli. La ricetta classica napoletana

non prevede l'uso del pomodoro (le

cosiddette "vongole in bianco") e di-

venta molto più gustosa utilizzando le

"vongole veraci", riconoscibili dalle

maggiori dimensioni e dalle caratteri-

stiche "corna". Sono in ogni caso ottimi

anche con le vongole comuni e perfino

con le "telline", le vongole piccolissi-

me. Al posto delle vongole si possono

usare le cozze.

Pasta e fagioli con le cozze

Anche la pasta e fagioli è uno dei piatti

tipici della cucina napoletana. Questa

variante ischitana prevede l'aggiunta

delle cozze, che danno un sapore par-

ticolare alla ricetta. Fondamentale (e

chiaramente derivato dalla cucina po-

polare di un tempo, che tendeva ad

evitare sprechi) e' l'uso della "pasta

54

mischiata", cioè di vari tipi di pasta che

potrà essere acquistata già pronta,

oppure utilizzando piccole quantità di

paste diverse (penne, rigatoni, bucati-

ni, fusilli ecc.) La ricetta classica napo-

letana prevede che la pasta cuocia

nell'acqua che si aggiungerà diretta-

mente nella pentola del sugo, in quan-

tità tale da poter essere completamen-

te assorbita al termine della cottura (la

minestra va mangiata asciutta e non

liquida).

G l i Gn oc ch i a l l a S o r re n t i na

Gli gnocchi possono essere conditi an-

che con del sugo di ragù (fatto con la

carne macinata), ma la ricetta classica

è questa. Si chiamano alla Sorrentina

perché l'ideale sarebbe utilizzare la

mozzarella di Sorrento (il "fiordilatte"),

fatta a treccia, che e' considerata la

migliore.

La Zingara

Il panino veloce tipico dell’isola di

Ischia è la zingara ischitana. Si tratta di

un panino che può essere consumato

specialmente d’estate, visto che non

richiede molto tempo per la sua prepa-

razione. Il segreto consiste nello sce-

gliere prodotti tipici del luogo: mozza-

rella campana, pomodori, prosciutto

crudo. A questi ingredienti ne possono

essere aggiunti altri, come la lattuga o

la maionese. La zingara ischitana è

ideale da consumare anche in spiaggia.

La Pizza

La pizza napoletana, dalla pasta morbi-

da e sottile ma dai bordi alti (detti

"cornicione"), è la versione partenopea

della pizza tonda ed inoltre, su scala

mondiale, è anche intesa come la pizza

italiana per antonomasia. Secondo la

tradizione nel giugno 1889, per onorare

la Regina d'Italia Margherita di Savoia,

il cuoco Raffaele Esposito creò la "Pizza

Margherita", una pizza condita con po-

modori, mozzarella e basilico, per rap-

presentare i colori della bandiera ita-

liana.

Babà

Il dolce celebre è il babà, un dolce di

pan di Spagna leggerissimo a forma di

fungo bagnato nel rhum e decorato

secondo i vostri gusti.

Divertimento Svago e Tempo Libero

L a F e s t a d i S a n t ’ A n n a

La festa di S.Anna è sicuramente l'e-

vento da non perdere se siete sull'isola

per le vostre vacanze. La Festa si svol-

ge di sera nella baia antistante il Ca-

stello Aragonese ad Ischia Ponte e con-

siste in una sfilata in mare di barche

allegoriche, in competizione tra di lo-

ro. Oltre alla sfilata tanta musica, i

fuochi pirotecnici e sopratutto, a mez-

zanotte l'incendio del Castello Aragone-

se.

Page 28: Non è la solita guida

55

La Festa di San Vito

La Festa di san Vito dura una settimana

e si celebra a Forioe e vengono cele-

brate Cerimonie religiose, luminarie e

fuochi d'artificio, che attirano gli abi-

tanti dell’isola e i turisti in vacanza

sull’isola. il Santo è portato in proces-

sione via mare con la commemorazione

dei caduti

Ischia Film Festival

Ischia Film Festival è un importante

evento cinematografico di livello inter-

nazionale che premia un film, cortome-

traggi, documentari, che hanno mag-

giormente valorizzato location italiane

ed internazionali. All'evento ogni anno

partecipano illustri personaggi del mon-

do del cinema e dello spettacolo, ita-

liani ed internazionali.

L’isola infine offre tante opportunità

per chi ama divertirsi. Il centro della

movida ischitana è sicuramente Ischia

Porto, mentre nelle altre zone potete

trascorrere serate più tranquille. Tanto

per cominciare per chi vuole stare in

mezzo a tanta gente, bisogna frequen-

tare la Zona della Riva Destra del Porto

di ischia. Qui ci sono tantissimi risto-

ranti, pub e bar e piccoli locali dove

poter ballare e bere qualcosa. Spostan-

doci dalla Riva Destra, potete percorre

Corso Vittoria Colonna, la zona dello

shopping dell’ isola, dove potete trova-

re anche alcuni pub e bar. Per gli

amanti della discoteca, da non perdere

una serata al Valentino, una delle di-

scoteche più alla moda dell’isola. Per

chi invece vuole fare una passeggiata

più tranquilla potete fare una passeg-

giata nella zona di Ischia Ponte ed arri-

vare al Castello Aragonese. Ioltre, per

concludere in bellezza la serata da non

perdere il famoso cornetto del Bar

Calise a Piazza degli Eroi, uno dei bar

più famosi e frequentati dell’isola per I

suoi gustosi cornetti.

56

Capri

Il nome deriverebbe dal greco kàpros

ossia “cinghiale” collegato al latino

capreae, “capre” (in antichità l'isola

era nota come Caprae.

Lo storico e geografo greco Strabone,

nella sua Geografia, riteneva che Capri

fosse stata un tempo unita alla terra-

ferma. Questa sua ipotesi è stata poi

confermata, recentemente, sia dall'a-

nalogia geologica che lega l'isola alla

penisola sorrentina sia da alcune sco-

perte archeologiche. Coesistono sull'i-

sola due realtà urbane, diverse tanto

per la naturale separazione geografica

quanto per tradizioni e origine etnica:

Capri e Anacapri.

Tale differenziazione si spiega con la

naturale vicinanza di Capri al mare: la

presenza del porto ha infatti agevolato

gli scambi commerciali e culturali con

il Regno di Napoli e determinato, di

conseguenza, un suo maggiore benesse-

re economico.Le due comunità erano in

eterno conflitto, impegnate a difende-

re ognuna i propri diritti, esasperate

dalla mancanza di vera autonomia che

le costrinse ad accettare, nel corso dei

secoli, le pressanti pretese degli ammi-

nistratori inviati dal continente come

controllori dell'economia locale.

Cenni storici

Epoca Preistorica

Le prime scoperte di epoca preistorica

si ebbero più di duemila anni fa, quan-

do, in epoca romana, dagli scavi per la

costruzione delle prime fabbriche im-

periali vennero alla luce resti di anima-

li scomparsi decine di migliaia di anni

prima e tracce di vita di uomini primiti-

vi dell'età della pietra. La vicenda è

documentata dallo storico Svetonio che

descrive l'interesse mostrato dall'impe-

ratore Augusto nel custodire resti di

vita primordiale ritrovati a Capri nella

sua casa, adibita quasi a primo museo

della storia di paleontologia e paletno-

logia. I racconti di Svetonio vennero

confermati dai lavori di scavo quando,

per un ampliamento dell'Hotel Quisisa-

na, all'inizio della Valle di Tragara,

sotto uno strato di materiale eruttivo e

un banco di argilla rossa del Quaterna-

rio, affondate in limo essiccato, deriva-

to da un antico bacino lacustre, venne-

ro alla luce ossa gigantesche di mammi-

feri estinti come i mammut. Fu il medi-

co e naturalista Ignazio Cerio a ricono-

Page 29: Non è la solita guida

57

scere e a conservare questi fossili insie-

me ad armi in pietra, quali quarzite

scheggiate e appuntite, triangolari o

amigdaloidi (a forma, cioè, di mandor-

la). Altre importanti scoperte sono sta-

te fatte nella grotta delle Felci, situata

sopra Marina Piccola, in località Le

Parate, a Petrara, in via Tiberio e via

Krupp, a Campitello e alla Grotta del

Pisco, tutti ritrovamenti che hanno

sottolineato la presenza di vita dalla

fine dell'età neolitica all’età del bron-

zo.

Epoca Greca

La colonizzazione greca di Capri e

dell'intera Campania affonda le sue

origini nella leggenda. Non fu un pro-

cesso omogeneo, come ben testimonia-

to dalla differenziazione dei culti e dei

racconti leggendari delle varie colonie:

Capri, Sorrento e, in generale, il ver-

sante orientale del Golfo di Napoli,

erano legati al culto delle sirene, men-

tre il versante occidentale, con Ischia,

dipendeva storicamente e religiosa-

mente da Cuma ed era fedele al culto

di Apollo oracolo. È Ulisse, l'eroe leg-

gendario dell'Odissea, l'emblema dei

coraggiosi marinai che, attraverso ri-

schiosi e lunghi viaggi, giunsero in Sici-

lia e nell’Italia meridionale, creando

così le prime comunità greche. L'opera

omerica non sembra pura invenzione

poetica, dal momento che pare essere

confermata anche dalla toponomasti-

ca.I Greci cominciarono a percorrere

tutto il Golfo di Napoli esi insediarono

inizialmente sull'isola di Ischia e, sulla

terraferma, a Cuma; solo più tardi

giunsero a Capri.

Epoca Romana

Il ruolo rivestito da Capri in epoca ro-

mana fu notevole. La svolta che segnò

la storia dell'isola fu nel 29 a.C., quan-

do Cesare Ottaviano, tornando dall'O-

riente, sbarcò a Capri dove, secondo il

racconto di Svetonio, una quercia vec-

chissima cominciò a dar segni di vita. Il

futuro Augusto, interpretando questo

come un segno favorevole, tolse Capri

dalla dipendenza di Napoli, dando in

cambio la più grande e fertile isola di

Ischia e facendola diventare dominio di

Roma. Fu così che la comunità greca

presente a Capri venne a contatto con

quella romana e l'isola iniziò la sua vita

imperiale, diventando il soggiorno pre-

diletto di Augusto e dimora di Tiberio

per dieci anni, centro quindi della vita

mediterranea di Roma. Oltre all'inte-

resse per la raccolta di fossili ed armi

preistoriche, ad Augusto si devono la

nuova cos t i tuz ione g iur id ico -

amministrativa dell'isola.

58

aperto. Il clima a Capri è mite ed è

temperato dal mare. I mesi più caldi

sono giugno, luglio e agosto (22 °-26 °

C) e coincidono con l'estate, mentre i

mesi invernali più freddi sono dicem-

bre, gennaio e febbraio (9 °-13 ° C).

Spesso in estate possono esserci veloci

temporali soprattutto in agosto.

Divisioni Amministrative

Il territorio dell'isola di Capri è suddivi-

so in due comuni: Capri abitata da 6684

abitanti e Anacapri abitata da 7052

abitanti.

Trasporti

A Napoli ci sono due moli da cui parto-

no i collegamenti per Capri: Molo Beve-

rello, da dove partono gli aliscafi e

Calata di Massa da dove partono i tra-

ghetti e le navi veloci che trasportono

anche i mezzi a motore. Aliscafi e tra-

ghetti per Capri partono anche dal por-

to di Sorrento, durante tutto l'anno.

D'estate sono attivi dei collegamenti da

e per Positano e Ischia. La traversata

da Napoli per Capri è di circa un'ora.

Come muoversi sull’isola:

-Funicolare: collega il centro di Capri

con il porto di Marina Grande. Le corse

partono ogni 15 minuti

-Autobus: Capri – Anacapri ;Capri - Ma-

rina Piccola;Capri - San Costanzo

(Marina Grande); Anacapri - Grotta

Azzurra; Anacapri - Faro

Il Porto di Capri

Il porto è il principale scalo marittimo

dell'isola di Capri ed è situato nella

frazione di Marina Grande, appartenen-

te al comune di Capri. Il porto è stato

costruito all'interno di un'insenatura

naturale, nella parte dell'isola che si

affaccia all'interno del golfo di Napoli,

riparata dai venti e dalle grosse onde.

Inoltre due banchine artificiali proteg-

gono l'interno del porto, che si divide in

due parti: da un lato la zona riservata

ad imbarcazioni turistiche e ai pesche-

recci, dall'altra invece quella dedicata

allo scalo passeggeri ed alla zona com-

merciale. Il porto si trova nella zona

nord dell'isola, a una certa distanza sia

dal centro di Capri che da quello di

Anacapri: vi è un'ottima rete di collega-

menti tramite autobus e taxi, anche se

la maggior parte dei turisti utilizza la

storica funicolare. Essendo Capri un'iso-

la, tutte le principali attività di colle-

gamento si svolgono grazie al porto e

per questo risulta essere uno dei più

attivi sia dal lato commerciale, soprat-

tutto per l'importazione di viveri, sia

dal lato passeggeri con un'utenza for-

mata da numerosi pendolari e turisti:

Capri è collegata con numerose località

della Campania come Napoli, Sorrento,

Castellammare di Stabia, Positano,

Amalfi, Salerno ed Ischia.

Page 30: Non è la solita guida

59

La vocazione turistica dell'isola azzurra

porta numerose navi da crociera a fare

scalo a Capri, ma solitamente, essendo

il porto di dimensioni ridotte, queste

attraccano al largo e viene fatto un

servizio di navette con la terraferma

tramite scialuppe.

Turismo

La fama turistica di Capri iniziò alla

metà dell'800, con la riscoperta dell'af-

fascinante Grotta Azzurra; divenne così

una meta immancabile nel Grand Tour

di scrittori ed artisti di fama interna-

zionale che descrissero gli effetti lumi-

nosi ed i giochi di luce cangianti all'in-

terno della grotta. La grotta marina più

famosa, legata all’Isola Azzurra da un

inscindibile binomio blu. Vi sono com-

plessi giochi di rifrazione della luce

velano di un riflesso azzurro irreale le

pareti e la volta; il fondale di sabbia

bianca riveste d’argento i corpi immer-

si per un’opalescenza dell’acqua. Forse

era luogo sacro nell’antichità, sicura-

mente ninfeo romano: ha restituito due

statue conservate oggi al Museo Nazio-

nale di Napoli. I pescatori la temevano

come Grotta Gradola infestata di spiri-

ti. La riscoperta nel 1826 con il nuovo

nome grazie agli artisti A. Kopisch ed

E. Fries e al pescatore “o Riccio” ha

iniziato l’era turistica. La Grotta Az-

zurra una è una piccola cavità natura-

le accessibile solo via mare, attraverso

delle piccole barche a remi, dove l’ac-

qua è di un azzurro così unico da sem-

brare irreale. La luce esterna penetra

all’interno della grotta creando dei

particolari giochi di colore che variano

a seconda delle diverse ore del giorno

e delle condizioni atmosferiche.

L’Antico Mestiere della Pesca del

Corallo

La pesca del corallo a Capri fu pratica-

ta fin dall'antichità anche se le crona-

che ne segnalano la sua intensità

estrattiva agli inizi del 1800.

Esistevano molti giacimenti intorno

all'isola. Il più importante si trovava

nelle “Bocche”, cioè in quel tratto di

mare compreso tra la punta di Tiberio

e quella della Campanella, a Vitareta a

poco più di 200 metri dalla costa, a

Gradola vicino la Grotta Azzurra, tra

Matermania e Punta del Secco, a 400

metri dai Faraglioni, a Punta Carena

vicino al Faro e alle Grotte a varie pro-

fondità. La regina Giovanna I d'Angiò

manifestò sempre grande simpatia per

i corallini, perché indossò gioie di co-

rallo per tutta la vita e fin da bambina

le sue piccole vesti erano decorate con

il prezioso elemento. Con la costruzio-

ne della Certosa di S.Giacomo voluta

dal conte Giacomo Arcucci, la regina

Giovanna II d'Angiò dotò il monastero

di molte rendite ed oltre all'esazione

60

della decima sul pesce pescato nel ma-

re pertinente la Certosa, concesse an-

che la decima sul corallo suscitando,

nel tempo, una sequela di rancori e

controversie tra il Clero, il Vescovado e

l'Università per il fatto che in alcune

annate i corallini versavano ai monaci,

sui diritti della pesca del corallo, mi-

g l i a i a d i d u c a t i .

I “banchi” presso la Maddalena in Sar-

degna e quelli nelle Bocche di Bonifa-

cio, furono un'altra grande risorsa per i

pescatori capresi alcuni dei quali, col

tempo, si stabilirono definitivamente

su quell'isola.

L’antico Mestiere della Ceramica

La grande tradizione delle ceramiche

artigianali. Un grande assortimento di

ceramiche artistiche tutte fatte a ma-

no. I colori e la varietà delle nostre

creazioni artigianali cattureranno il

vostro sguardo, piccoli oggetti che rac-

contano una grande storia.

Le Spiagge

La Spiaggia di Marina Piccola

Una delle spiagge di Capri più conosciu-

te è quella di Marina Piccola, raggiungi-

bile dalla Piazzetta di Capri in taxi, con

gli autobus e a piedi, attraverso la pa-

noramica Via Krupp. Dal centro storico

di Capri si possono raggiungere anche

le località balneari dei Faraglioni, gra-

zie a una piacevole passeggiata che

parte dal belvedere di Tragara e si sno-

da lungo il sentiero del Pizzolungo.La

baia di Marina Piccola è il posto giusto

dove dirigersi se cercate una spiaggia

con vista sui Faraglioni. Marina Piccola

si trova sul versante sud dell'isola, pro-

tetta alle spalle da una ripida parete di

roccia: per questo è un posto sempre

caldo e poco ventilato. E' un luogo dove

anche nelle giornate d'inverno più fred-

de è sempre piacevole stendersi a

prendere il sole, tant'è che molti ca-

presi hanno l'abitudine di fare il bagno

a Marina Piccola tutto l'anno.

La Spiaggia di Marina Grande

La Spiaggia Marina Grande è la spiaggia

più estesa dell'isola di Capri, arenile

pubblico della pittoresca Marina Gran-

de e d'estate anche punto d'imbarco

per il motoscafo che porta alla zona di

Palazzo a Mare. Si tratta di una bellissi-

ma spiaggia di sabbia chiara con della

ghiaia in piccoli tratti, caratterizzata

da un magnifico litorale ampio e lungo

centinaia di metri, circondato da alti

promontori rocciosi ricoperti di verdi

boschi. Il mare è bellissimo, di un tur-

chese brillante, cristallino e straordina-

riamente trasparente, ideale per nuo-

tare e fare il bagno. La spiaggia è ben

attrezzata con lettini, ombrelloni, pe-

dalò; nelle vicinanze ed alle spalle si

trovano bar, ristorantini e qualsivoglia

servizio.

Page 31: Non è la solita guida

61

La Spiaggia di Gradola

La Spiaggia di Gradola si trova nel co-

mune di Anacapri e deve il suo nome

alla vicina località omonima, sede di

fabbriche edilizie. E' situata non lonta-

no dal faro, incastonata in una delle

punte più estreme a nord ovest di Ca-

pri. Nelle sue vicinanze sono ancora

visibili le vestigia di punti di attracco

risalenti all'Impero Romano. La spiaggia

è divenuta famosa soprattutto perchè

si trova proprio a fianco della magnifi-

ca Grotta Azzurra. Si tratta di una

spiaggetta dalle dimensioni ridotte che

altri non è che una piccola piattaforma

circondata da rocce ed alte scogliere

rocciose. Lo spazio per sdraiarsi e pren-

dere il sole è molto ridotto, soprattutto

in alta stagione. Il mare è bellissimo, di

un blu intenso, cristallino e trasparen-

te, con fondali tra i più profondi della

costa. La spiaggia offre un caratteristi-

co baretto affacciato sul mare. E'rag-

giungibile facilmente da Anacapri in

autobus.

Lido Il Faro

Il Faro di Punta Carena troneggia all'e-

stremità sud-occidentale dell'isola di

Capri, sulla penisola del Limmo, nome

che deriva dal latino limen e significa

confine. Oltre c'è solo mare e mare

fino alla Sicilia. Alle sue spalle si alza il

dirupo della Migliera percorso dai muri

di difesa costruiti dagli inglesi all'inizio

dell'800 a protezione di Capri. Il faro,

costruito nel 1866, è tra i più impor-

tanti del Mar Tirreno e il secondo in

Italia per portata luminosa dopo quello

di Genova. A Punta Carena il fondale

declina molto rapidamente: a soli 500

metri dalla costa ne segna circa 600 di

profondità. Acqua sempre pulita e sole

per tutta la giornata: per questo il Faro

è una delle località balneari più getto-

nate dell'isola. Ci sono diverse struttu-

re balneari, disposte su comode terraz-

ze, con scalette in ferro per scendere

in acqua. È una località alla moda,

ideale per godersi una giornata al mare

e gustare una sfiziosa caponata sulle

terrazze degli snack bar, ma anche per

cenare a lume di candela sul mare,

perché alcuni locali restano aperti an-

che nelle serate estive.

Le bellezze culturali

Villa Iovis

Villa Iovis (dal latino Villa di Giove), è

situata sulla vetta del monte Tiberio,

62

che si trova nella parte orientale dell'i-

sola di Capri. Dalla sua villa, Tiberio

Claudio Nerone governò l'Impero per

oltre undici anni. Alcuni frammenti

storici riferiti alla personalità di Tiberio

citano questi come una persona molto

introversa e di poche parole. Pare che

trascorresse intere giornate nella più

profonda solitudine, rinunciando addi-

rittura alla presenza della scorta impe-

riale e abbandonandosi a passeggiate

solitarie lungo il belvedere della sua

villa che affaccia sui due golfi di Napoli

e Salerno. In base ad alcune informa-

zioni non ancora confermate, pare che

Tiberio, anche a causa dell'età avanza-

ta, soffrisse di crisi esistenziali e che

avesse un carattere isterico che lo spin-

geva a comportarsi in modo del tutto

anomalo. Altri storici riportano che

soffrisse di tubercolosi, ragione forse

del suo esilio a Capri. Per altri, l'esilio

a Capri aveva ragioni politiche, come

riporta Svetonio. Durante la sua perma-

nenza sull'isola di Capri, nonostante il

suo precario stato di salute, Tiberio

ordinò la costruzione di altri undici

palazzi intorno ad essa. Nella stagione

estiva si trasferiva sulla costa, tra le

costruzioni oggi note come "bagni di

Tiberio" o "palazzo a mare". In questo

suo quartiere marittimo, l'imperatore

amava fare il bagno. Gli architetti che

progettarono la sua villa per rendere il

soggiorno dell'imperatore confortevole,

si trovarono di fronte ad un grosso pro-

blema, ossia l'approvvigionamento idri-

co. L'acqua, se abbondava nei bassi

rilievi dell'isola, scarseggiava nei livelli

superiori. Pochi anni prima che l'impe-

ratore lasciasse la capitale dell'impero,

con un progetto del tutto ardito, fece-

ro costruire due o più cisterne di enor-

me portata disposte nelle fondamenta

della Villa stessa. Con la raccolta di

acqua piovana nelle cisterne della villa,

fu resa possibile l'erogazione di acqua

pura e potabile anche nei secoli succes-

sivi fino all'attuale centro storico.

Villa San Michele

Villa San Michele è un'abitazione sita

nel comune di Anacapri, nell'isola di

Capri. La villa prende il nome da una

piccola cappella che sorgeva in epoca

medioevale alla fine della Scala Fenicia

nel territorio appunto di Anacapri. Nel

1895 il medico svedese Axel Munthe si

innamorò delle rovine di un'antica cap-

pella, costituite da una volta sfondata

ed alcuni muri diroccati, e volle acqui-

Page 32: Non è la solita guida

63

starla a tutti i costi. Mentre eseguiva i

lavori di restauro rinvenne nel vigneto

adiacente il rudere la presenza dei

resti di un'antica villa romana; da que-

sti attinse per adornare la nuova villa

con numerosi reperti archeologici che

tuttora si possono osservare nella co-

struzione originale di Munte. Il medico

svedese tuttavia non abitò per molto

tempo Villa San Michele, poiché una

malattia agli occhi lo costrinse a ritirar-

si nella meno luminosa Torre Materita,

che pure fece restaurare. La villa quin-

di venne affittata alla marchesa Luisa

Casati Stampa che vi condusse per mol-

ti anni una vita stravagante e a volte

eccessiva. Alla sua morte, avvenuta a

Stoccolma, Munthe lasciò la villa in

eredità allo stato svedese. Oggi essa è

di proprietà di una fondazione svedese

che l'ha trasformata in museo dove tra

l'altro si svolgono, nel periodo estivo,

suggestivi concerti di musica classica

da camera.

La Certosa di San Giacomo

La certosa di San Giacomo è il mona-

stero più antico di Capri. Edificato nel

1371 per volere del conte Giacomo

Arcucci su un terreno donato dalla Re-

gina Giovanna I D'Angiò, la certosa ospi-

ta il museo dedicato al pittore tedesco

Karl Diefenbach. La struttura della Cer-

tosa fu edificata nel terzo quarto del

Trecento grazie agli auspici del conte

Giacomo Arcucci. L'impianto iniziale,

poi soggetto nei secoli a profondi cam-

biamenti, presentava la classica parti-

zione funzionale alla vita cenobitica:

un'area destinata alla clausura e l'altra

ai servizi, nel caratteristico stile tardo

romanico che accomuna gli edifici iso-

lani del periodo. i beni della certosa

furono confiscati, e di essa venne fatta

una caserma, poi un ospizio e poi un

soggiorno punitivo per militari e anar-

chici. Nella prima metà del Novecento

la certosa attraversò brevi momenti di

attività (ad esempio i canonici latera-

nensi vi avevano istituito un ginnasio)

per declinare durante la seconda guer-

ra mondiale verso un deplorevole disfa-

cimento con il conseguente allontana-

mento dei canonici. Diventò sede del

museo dedicato al pittore tedesco Karl

Wilhelm Diefenbach. Infine nel 2000

iniziarono le opere di restauro all'inte-

ra struttura a cura della Soprintenden-

za napoletana.

La Scala Fenicia

La scala Fenicia di Capri è una lunga e

ripida scalinata in pietra che unisce il

centro abitato di Capri con quello di

Anacapri. Fu probabilmente realizzata

dai coloni greci, mentre gli studiosi

ritengono ormai inverosimile l'ipotesi

fenicia.La strada ha rappresentato per

molti secoli, fino all'inaugurazione del-

la carrozzabile nel 1877, l'unica via di

accesso ad Anacapri, che si trova a

circa 300 metri sul livello del mare ed

64

è tuttora servita solo da un paio di ap-

prodi, entrambi assai disagevoli. La

scala consentiva di raggiungere Anaca-

pri a coloro che sbarcavano sull'isola in

prossimità del porto caprese della Mari-

na Grande. Essa veniva utilizzata anche

per il trasporto dei materiali edili uti-

lizzati per la costruzione delle abitazio-

ni anacapresi. La scala Fenicia ha potu-

to godere in tempi recenti di un eccel-

lente restauro ed è oggi inserita in tutti

gli itinerari paesaggistici dell'isola, an-

che perché termina in prossimità della

villa San Michele di Axel Munthe ad

Anacapri, anch'essa una tappa obbliga-

ta di tutti i tour organizzati sull'isola

azzurra. È composta attualmente da

921 scalini, per una lunghezza totale di

1,7 km.

La Chiesa della Croce

Chi percorre la strada per raggiungere

gli scavi archeologici di Villa Jovis non

può fare a meno di ammirare il profilo

della piccola Chiesa di San Michele alla

Croce (conosciuta come Chiesa della

Croce) circondata da un alto muro di

cinta e dalla flora mediterranea del suo

giardinetto. La chiesa si trova a pochi

passi dall'incrocio tra Via Tiberio e Via

Matermania, la strada che si percorre

per raggiungere l'Arco Naturale, e rima-

ne aperta solo in occasione delle fun-

zioni religiose. La Chiesa della Croce,

adibita anche a deposito di polvere da

sparo durante l'occupazione inglese

dell'Ottocento, risalente agli inizi del

XII secolo e presenta un portale decora-

to con lunetta tardo-gotica sormontato

da un campanile a vela. L'edificio non

può essere ricondotto ad un unico stile

architettonico a causa dei numerosi

interventi di restauro e ampliamento

che si sono susseguiti nel corso dei se-

coli.

La Chiesa di Sant’ Andrea

Uno delle costruzioni sacre più belle e

suggestive dell'isola di Capri può essere

ammirata vicino alla spiaggia di Marina

Piccola dove si trova la Chiesa di

Sant'Andrea, proprio dove un tempo

sorgeva un'antica torre di guardia. La

chiesa, realizzata su disegni del pittore

parmese Riccardo Fainardi, è stata

costruita nel 1900 per volere del ban-

chiere tedesco Hugo Andreas (già finan-

ziatore della Chiesa Evangelica) e di

sua moglie Emma che desideravano

donare ai marinai di Marina Piccola un

Page 33: Non è la solita guida

65

luogo di culto per il loro santo protet-

tore.Il pronao della Chiesa di Sant'An-

drea è sorretto da due colonne e la sala

è di forma rettangolare; l'absinte cen-

trale nasce proprio nel luogo in cui un

tempo si trovava la vecchia torre di

guardia contro le numerose incursuoni

saracene che terrorizzavano la popola-

zione locale. L'altare centrale è arric-

chito da un trittico di Riccardo Fainardi

che rappresenta il martirio sulla croce

di Sant'Andrea. In una delle due absinti

laterali, invece, si trova un altare dedi-

cato alla Madonna di Pompei e una

scala a chiocciola conduce nello spazio

dedicato all'organo.

La Chiesa di Santo Stefano

L’edificio, situato nelle immediate vici-

nanze della famosa piazzetta, fu pro-

gettato dall’architetto F.A. Picchiatti e

fu realizzata tra il 1688 e il 1697 dall’a-

malfitano Marziale Desiderio, esperto

costruttore di cupole e volte. La chiesa

fu poi consacrata soltanto nel 1723,

sotto il vescovo Michele Vandenejnde.

Essa si sovrappose alla chiesa vescovile,

edificata su una precedente struttura

religiosa nel 1596, quando il vescovado

era stato trasferito lì dalla sede di

S.Costanzo, a causa del pericolo costi-

tuito dalle frequenti incursioni dei tur-

chi. In quell’occasione furono portate

alla chiesa anche le reliquie di

S.Costanzo, patrono dell’isola. Già

dalla piazza, grazie alla buona angola-

zione prospettica della chiesa, è possi-

bile cogliere il riuscito collegamento

strutturale e architettonico tra la fac-

ciata seicentesca, la cupola centrale e

la scansione delle volte estradossate

delle cappelle laterali. La facciata è

barocca e i pinnacoli, le volute e gli

spicchi non si discostano dalla tradizio-

ne seicentesca, mentre le coperture

rappresentano un esemplare unico,

distaccandosi dalla ripetizione degli

schemi coevi. La pianta della chiesa è

a croce latina e all’interno l’edificio si

articola in 3 navate, con una cupola

all’incrocio della navata centrale col

transetto. Le due navate laterali pre-

sentano quattro cappelle quadrangolari

per lato. L’ingresso principale è carat-

terizzato da un portale ligneo risalente

al diciottesimo secolo. La vetrata sopra

il portale, riproducente Cristo Risor-

to ,e le vetrate sopra la navata centra-

le, che raffigurano i simboli dei sette

sacramenti, sono moderne e più preci-

samente risalgono al 1973. L’altare in

marmi policromi, al centro del presbi-

terio, fu eseguito nel diciassettesimo

secolo. La pavimentazione di esso e del

coro fu realizzata con marmi romani,

mettendo in opera tarsie di marmo

africano, giallo antico e saravezza,

66

recuperate durante gli scavi dei borbo-

ni. I gradini dell’altare, invece, sono

rivestiti da lastre di marmo, ricavate

dal fusto di antiche colonne romane. Vi

è poi un grande organo dorato, risalen-

te agli inizi del diciannovesimo secolo,

in alto dietro l’altare, mentre ai piedi

di esso vi sono tre pietre tombali, con

decorazioni in marmi policromi, dedi-

cate una al vescovo di Capri Francesco

Antonio Boccus, una a monsignor Sera-

fino Cimmino, un’altra al parroco di

Capri Giuseppe De Nardis. Su entrambi

i lati del presbiterio vi sono i corridoi

che conducono alla sagrestia. In quello

di sinistra, dove si trova la statua di

S.Costanzo, realizzata in argento e

ornata di zaffiri, granati e berilli, c’è

una scaletta a chiocciola che porta sui

tetti. L’altare al centro del transetto

sinistro, inoltre, contiene le reliquie

del patrono, raffigurato sulla tela so-

prastante di G. Farelli nell’atto di cac-

ciare i corsari. Infine, fra gli arredi

della chiesa, vi sono due antiche con-

solle dorate su cui è appoggiata una

rappresentazione del presepe e una

crocifissione entro teche in vetro.

I Faraglioni

I faraglioni di Capri, sono tre picchi

rocciosi posizionati a sud-est dell’isola

omonima, famosi in tutto il mondo gra-

zie alla suggestiva e storica panoramica

offerta dai giardini di Augusto. I fara-

glioni sono:

-Faraglione di Terra (o Saetta), che è

l’unico ancora unito alla terraferma, è

il più elevato con i suoi 109 metri.

-Faraglione di Mezzo (o Stella), è quello

in cui è presente la cavità al centro,

una galleria naturale lunga 60 metri

che lo attraversa per intero, raggiunge

un’altezza di 81 metri.

-Faraglione di Fuori (o Scopolo), cioè

promontorio sul mare, che raggiunge

un’altezza di 104 metri.

In realtà esiste anche un quarto fara-

glione, chiamato scoglio del Monacone

in quanto fino al secolo scorso nelle

acque antistanti si poteva ammirare la

foca monaca. Sui faraglioni possiamo

trovare la lucertola azzurra (Podarcis

siculus coeruleus), presente solo sul

faraglione di Mezzo e sul faraglione di

Fuori. Ha le squame del dorso di colore

blu, anziché verde, mentre il ventre è

di colore azzurro. I faraglioni furono

citati anche da Virgilio nell'Eneide nar-

rando il mito delle Sirene. Il nome deri-

va dal greco pharos, che vuol dire fa-

ro. Infatti, anticamente sui monti e

sulle rocce vicino alle coste, venivano

accesi dei grandi fuochi durante le ore

notturne, in modo da segnalare ai navi-

gatori sia la rotta che eventuali ostaco-

li pericolosi per la navigazione stessa.

Molto probabilmente i faraglioni ebbero

Page 34: Non è la solita guida

67

la stessa funzione. La galleria naturale,

che si apre nel faraglione di Mezzo, è

quella che identifica in modo inconfon-

dibile i faraglioni capresi, anche grazie

alle numerose pellicole cinematografi-

che qui realizzate.

5. Flora & Fauna

L'isola conserva numerose specie ani-

mali e vegetali, alcune endemiche e

rarissime, come la lucertola azzurra,

che vive su uno dei tre Faraglioni. La

vegetazione è tipicamente mediterra-

nea, con prevalenza di agavi, fichi d'In-

dia e ginestre.

I Giardini di Augusto

I giardini di Augusto, inizialmente noti

col nome di giardini di Krupp, furono

iniziati da Friedrich Alfred Krupp, l'in-

dustriale tedesco dell'acciaio che agli

inizi del XX secolo acquistò alcune pro-

prietà sull'isola, con l'intenzione , che

poi non si realizzò ,di costruirvi una

villa. Noti come giardini di Krupp, dopo

la prima guerra mondiale,furono rino-

minati giardini d'Augusto dall'ammini-

strazione comunale, in onore del primo

imperatore romano.Costituiscono un

vero giardino botanico che ospita vari

esemplari della flora dell'isola, con

piante ornamentali e non. Alle bellezze

botaniche, si associa un panorama mol-

to ampio sulle principali bellezze pae-

saggistiche dell'isola; da essi, infatti, to

si può ottenere una panoramica a 180

gradi dell'isola di Capri: infatti dagli

stessi è possibile vedere il monte Sola-

ro, la baia di Marina Piccola, via Krupp

ed i celebri faraglioni. Nei giardini è

inoltre presente un monumento in ono-

re di Lenin, vissuto a Capri. Il monu-

mento si compone di diversi blocchi di

marmo sovrapposti, che raggiungono

un'altezza di 5 metri; sul maggiore di

essi è scolpito il volto di Lenin. Il mo-

numento è stato realizzato dallo scul-

tore Giacomo Manzù, cui l'opera fu

commissionata dall'ambasciata sovieti-

ca a Roma dopo essere stata approvata

dal consiglio comunale.

La Grotta Verde

La grotta Verde, conosciuta antica-

mente come grotta dei Turchi, è una

cavità ubicata nel versante meridiona-

le dell'isola di Capri, in Campania, nota

soprattutto per il colore dell'acqua nel

suo interno che, a causa di particolari

giochi di luce, assume il colore verde.

La grotta Verde è conosciuta sin dal

XVI secolo, durante il quale l'isola fu

ripetutamente sottoposta ad attacchi

nemici; sono tristemente noti per aver

68

attaccato l'isola, per esempio, il pirata

Barbarossa, che distrusse l'omonimo

castello. Nel Cinquecento, molto pro-

babilmente, all'interno della cavità si

appostavano i corsari nemici con i loro

bastimenti per saccheggiare di sorpresa

le imbarcazioni che passavano. A causa

di questi eventi che ebbero luogo in

loco la cavità assunse inizialmente il

toponimo di grotta dei Turchi, poi so-

stituito da quello odierno. La grotta

divenne famosa soprattutto a partire

dal XIX secolo, durante il quale si diffu-

se l'abitudine di fare il giro in barca

dell'isola. La grotta Verde, insieme alla

grotta Azzurra e ai celebri Faraglioni,

diventò quindi un'attrazione dell'isola.

Degustazioni tipiche dell’Isola

Insalata Caprese

La caprese è un'insalata usata come

antipasto che talvolta può essere servi-

ta anche come secondo piatto. Tradi-

zionalmente rientra nei piatti della

cucina napoletana ed il nome di questo

fresco piatto deriva dall'isola di Capri.

È costituita da pomodoro, della varietà

detta fiascone originaria della penisola

sorrentina e treccia di fiordilatte, ta-

gliate a fette oppure, molto più rara-

mente, in una sorta di insalata a cubet-

ti, inoltre condita con olio, sale e basi-

lico. E’ un piatto tipico della tradizione

mediterranea, apprezzato e molto gu-

stoso è particolarmente adatto durante

la stagione estiva in quanto alimento

leggero e fresco.

I Ravioli

I ravioli, ripieni di caciotta e parmigia-

no e aromatizzati con la maggiorana,

sono il piatto tipico caprese per eccel-

lenza. Preparati in tutte le case seguo-

no antiche ricette tramandate da gene-

razioni. Ghiotto primo piatto per adulti

e bambini, i ravioli si possono condire

con sugo di pomodoro fresco o con bur-

ro fuso e salvia, o friggerli e servirli

come antipasto.

Totani e Patate

Il totano è un mollusco simile al cala-

maro ma con un gusto più forte, molto

Page 35: Non è la solita guida

69

comune nelle cucine capresi. Viene

pescato la notte nel mare di Capri, nei

mesi estivi infatti non si può fare a

meno di notare in lontananza le lampa-

re dei pescatori di totani

La Torta Caprese

La torta caprese uno dei simboli della

cucina isolana. Il nome infatti ne ri-

chiama inevitabilmente le radici una

torta di cioccolata e mandorle, croc-

cante fuori e morbida dentro, bassa e

molto carica di cioccolato fondente.

Divertimento Svago e Tempo Libero

Capri è un'isola da vivere anche di not-

te, quando il mare viene illuminato

dalla luce argentea della luna e le stra-

de si animano di colori, luci, musica e

danze. Anche di notte il centro della

vita mondana è la Piazzetta di Capri, il

salotto buono del mondo, dove tutti

vogliono sedersi tra i tavolini dei raffi-

nati bar per gustare un aperitivo con gli

amici. Antico e moderno si incontrano

e le note della classiche canzoni napo-

letane si mescolano con il ritmo degli

esclusivi night club e delle discoteche

più trendy come la rinomata “Anema e

Core”. Inoltre per gli amanti dello

shopping, vi è una vasta scelta di nego-

zi di alta moda, Via Camerelle, cono-

sciuta per essere la via locale degli

acquisti. Cari Turisti avete bisogno di

assoluto relax, la scelta migliore è al-

loggiare nel famosissimo Hotel Quisisa-

na, comfort e eleganza sono la via giu-

sta per trascorrere una fantastica va-

canza in quest’isola da sogno.

70

Procida

Isola nell’Antichità

Durante la dominazione romana, Proci-

da divenne sede di ville e di insedia-

menti sparsi sul territorio; sembra co-

munque che in questa epoca non esi-

stesse un vero e proprio centro abitato:

l'isola fu più probabilmente luogo di

villeggiatura dei patrizi romani e di

coltura della vite.

Medioevo

Dopo la caduta dell'Impero romano

d'Occidente, l'isola subì le devastazioni

dei Vandali e dei Goti; non cadde inve-

ce mai in mano longobarda, rimanendo

sempre sotto la giurisdizione del duca

bizantino di Napoli, nel territorio della

Contea di Misero. In quest'epoca l'isola

cominciava intanto a mutare radical-

mente la sua composizione demografi-

ca, divenendo luogo di rifugio per le

popolazioni in fuga dalle devastazioni

dovute all'invasione longobarda prima

e, in seguito, alle scorrerie dei pirati

saraceni. Con la conquista normanna

del meridione d'Italia, Procida speri-

mentò anche il dominio feudale; l'isola,

con annessa una parte di terraferma (il

Monte di Miseno, poi detto Monte di

Procida), venne assoggettata alla fami-

glia di origine salernitana dei Da Proci-

da.

Epoca Moderna

Con l’avvento dei Borbone nel Regno di

Napoli, si aveva intanto un ulteriore

miglioramento delle condizioni socio-

economiche dell'isola, dovuto anche

all'estinzione della feudalità per opera

di Carlo III, che inserì Procida tra i beni

allodiali della corona, facendone una

sua riserva di caccia. In questo periodo

la marineria procidana si avvia verso il

suo periodo di massimo splendore, ac-

costando a questa anche una fiorente

attività cantieristica.

Un po’ di geografia

L'isola di Procida ha una superficie di

Page 36: Non è la solita guida

71

3,7 km², è un comune italiano di

10.614 abitanti. Il perimetro, estrema-

mente frastagliato, misura circa

16 km ,isola del golfo di Napoli appar-

tenente al gruppo delle isole Flegree. L'

isola è completamente di origine vulca-

nica, nata dalle eruzioni di almeno

quattro diversi vulcani.

Il Clima

Il clima è mite; la temperatura media

invernale si mantiene sui 10°, quella

estiva intorno ai 25°. L’umidità relativa

è piuttosto alta durante tutto l'anno. In

generale si può affermare che il clima

dell’isola di Procida rispecchia nei suoi

aspetti quello di tipo mediterraneo,

caratterizzato da aridità estiva, piogge

concentrate in autunno-inverno e in

pochi temporali con precipitazioni tor-

renziali, mitezza delle temperature

invernali.

Turismo

L'isola si trova attualmente in un perio-

do di forti trasformazioni nella sua

struttura economica. La marineria,

sebbene in forte calo, rimane ancora

uno dei maggiori settori di occupazio-

ne, con persone di tutte le fasce di età

impiegate come ufficiali di coperta o di

macchine su navi mercantili delle mag-

giori compagnie marittime di tutto il

mondo, continuatori di una tradizione

secolare. Tuttavia negli ultimi anni, la

sempre maggiore automazione presen-

te in ambito meccanico, unita ad un

sempre maggiore utilizzo di lavoratori

di paesi emergenti nell'ambito del tra-

sporto marittimo, ha fatto sì che que-

sta fonte di reddito perdesse importan-

za relativa nell'isola. Accanto alla ma-

rineria, negli ultimi anni si è cercato di

favorire lo sviluppo dell'industria turi-

stica, sebbene in questo settore i risul-

tati, pure incoraggianti, siano stati

inferiori alle attese, soprattutto se

guardati sullo sfondo di vicine mete

turistiche quali Ischia, Capri o Sorren-

to. Ciò sicuramente non per la man-

canza di attrattive (in particolare stori-

che o naturalistiche), ma più probabil-

mente per l'assenza di una solida tradi-

zione imprenditoriale in tal senso, non-

ché per la forte carenza di strutture

ricettive.

Il Porto

Sotto la maestosa cittadella della Ter-

ra Murata si estende il porto principale

di Procida – la Marina Grande detto

anche la Marina di Sancio Cattolico

(Sent’Co in dialetto) - mostra a prima

vista, quando ci si è ancora sul traghet-

to, i gioielli dell’architettura procidana

che il visitatore potrà ammirare poi in

numerose variazioni nelle altre Marine

e nel centro storico: le case in pastello

che si fiancheggiano, il vefio (la tipica

72

loggia), le scale esterne, i terrazzi. La

Marina Grande è il centro sociale ed

economico di Procida - qui si trovano la

maggior parte dei negozietti, sedi di

associazioni, ristoranti e bar,ma non ha

perso il suo carattere di villaggio da

pescatori. Infatti, le imbarcazioni da

pesca, piccole e di commercio, fanno

da cornice coloratissima per la vivace

Via Roma, è qui anche dove si vende

ogni pomeriggio il pesce fresco diretta-

mente dalle barche.

Le Spiaggie

La Spiaggia di Chiaia

La Spiaggia della Chiaia, che in dialetto

napoletano significa "spiaggia", è situa-

ta sulla costa orientale dell'isola di

Procida, dopo la Marina della Corricel-

la. Si tratta di una suggestiva spiaggia

di sabbia dorata, circondata e sovrasta-

ta da pareti di tufo a picco sul mare e

dominata dal famoso castello di Proci-

da. Prospicente all'arenile si trova,

arrampicato sulle rocce, il borgo mari-

naro di Corricelle, da cui si scende alla

spiaggia grazie ad una lunga scalinata

in pietra. Il mare è molto bello, di un

azzurro brillante, cristallino e traspa-

rente, con fondali sabbiosi e digradan-

ti, ideale per fare il bagno. Sulla spiag-

gia affacciano anche le terrazze pano-

ramiche e i giardini dei palazzi signorili

lungo la Strada Maestra, che univa la

Terra Murata con la Chiaiolella, che

oggi fanno da impareggiabile sfondo a

questo incontaminato arenile.

La Spiaggia di Corricella

La Spiaggia di Corricella è situata sulla

costa nord orientale dell'isola di Proci-

da, accanto al pittoresco borgo marina-

ro omonimo, prima marina dell'isola. Si

tratta di una suggestiva spiaggetta di

sabbia dorata cui si accede tramite una

bella rampa di scale scavata nel tufo.

Alcune scogliere proteggono il litorale

sabbioso, permettendo il preservarsi di

questo incantevole angolo da cui si

gode di un grande scorcio sul promon-

torio di Terra Murata. Il mare è molto

bello, azzurro, cristallino e trasparen-

te, ideale per fare il bagno e nuotare.

Alle spalle della Corricella è possibile

individuare un alto costone circolare in

tufo, in origine il cratere di un vulcano

spentosi in epoca preistorica.

La Spiaggia della Chiaiolella

La Spiaggia di Chiaiolella è situata sulla

costa occidentale dell'isola di Procida,

a ridosso dell'antico borgo marinaro

Page 37: Non è la solita guida

73

omonimo, oggi terza marina dell'isola

nonchè principale centro turistico

dell'isola, attrezzato con stabilimenti

balneari, hotel, ristoranti ed un incan-

tevole porticciolo turistico. Si tratta di

una bellissima spiaggia di sabbia dorata

quasi rossiccia, dal grande fascino in-

contaminato e selvaggio, caratterizzata

da un lungo litorale orlato da aspre

scogliere rocciose verticali. Di fronte

alla riva si innalzano alcuni faraglioni

dalle forme acuminate, a rendere il

paesaggio ancor più primitivo ed unico.

Il mare è molto limpido, cristallino,

trasparente e con fondali sabbiosi,

ideale per fare il bagno. Parallelo alla

spiaggia corre il lungomare Cristoforo

Colombo, che offre qualsivoglia strut-

tura turistica e comodità.

La Spiaggia del Pozzo Vecchio

Piccola ed accogliente, la spiaggia del

“Pozzo Vecchio”, una baietta a forma

di ferro di cavallo, palcoscenico per le

famose scene del film “Il posti-

no” (infatti viene chiamata anche la

“spiaggia del postino”). Su tutte le

spiagge si alternano tratti liberi con

zone completamente attrezzate. Du-

rante la bella stagione si organizzano –

sempre nei ritmi lenti dell’isola, chi si

aspetta la freneticità di uno stabili-

mento mondano o animazione non -

stop sarà deluso – feste e tornei sporti-

vi per i grandi e dei laboratori e corsi

nuoto per bambini.

Le bellezze culturali

L’Abbazia di San Michele Arcangelo

L’Abbazia di San Michele, a picco sul

mare, domina il promontorio di Terra

Murata. Fu fondata dai benedettini è il

frutto di una stratificazione architetto-

nica che ne ha determinato l’asimme-

trica struttura attuale. Un portale, tre

cappelle e un soffitto a cassettoni in

legno e oro zecchino. Al centro del

soffitto una tela di Luigi Garzi, San

Michele Arcangelo scaccia Lucifero.

Nell’Abside una tela raffigurante San

Michele che protegge l’isola dai Sarace-

ni. Di grande pregio l’antico battistero

in marmo testimonianza di antichi cul-

ti, forse pagani. Interessanti le segrete

dove ha sede il complesso museale e la

biblioteca, le aree di sepoltura e il

luogo di riunione delle confraternite

dell’isola.

Il Palazzo D’Avalos Il castello, voluto da Innico D'Avalos, ha

il doppio carattere di palazzo signorile

e di fortezza: infatti la facciata rivolta

verso il mare conserva la natura princi-

pale di fortificazione, mentre il lato a

sud, aperto sulla nuova piazza d'armi,

risponde ad esigenze di rappresentanza

e rivela un aspetto armonioso e compo-

sto. Egli fece inoltre costruire intorno

alla cittadella mura bastionate per

74

Terra Murata

Il centro storico di Procida, è rappre-

sentato da Terra Murata, antica citta-

della medievale arroccata su un ripido

costone tufaceo all'altezza di circa 90

m e t r i s u l m a r e .

Terra Murata è raggiungibile solo attra-

verso un'irta salita, percorrendo la qua-

le, è possibile ammirare il suggestivo

borgo marinaro di Marina Corricella.

Per accedere alla cittadella medievale

di Terra Murata - terra cinta di mura -

vi sono degli antichi portali, rappresen-

tanti gli antichi punti d'ingresso: la

porta di Ferro e, salendo e oltrepassan-

do piazza delle Armi, la Porta di

M e z z ' O m o .

Strade, viottoli caratteristici, abitazio-

ni denotano la vita che un tempo ivi si

svolgeva: Terra Murata, infatti, fu il

primo nucleo abitativo dell'isola.

Degustazioni tipiche dell’Isola

I prodotti locali a base di limone

Il limone è un agrume originario dell'In-

dia settentrionale e, probabilmente, fu

introdotto in Italia durante l'epoca del-

le invasioni arabe (secolo IX-XI).

E' un frutto ricco di vitamine e sali mi-

nerali ed ha proprietà depurative e

b a t t e r i c i d e .

Il limone di Procida è molto particolare

rispetto agli altri: si presenta molto più

g r a n d e e d o l c e .

Questo fattore è sicuramente dovuto

all'ottimo clima dell'isola ed alla sa-

p i e n t e c u r a d e i c o n t a d i n i .

Le caratteristiche del limone procidano

rendono possibile la preparazione di

diverse pietanze che utilizzano le di-

difenderla dalle incursioni dei pirati

saraceni. Così la Terra Casata divenne

Terra murata. Nel 1744 il palazzo di-

venne bene allodiale della Corona e fu

trasformato da Castello in Palazzo Rea-

le da Carlo III di Borbone. Dopo il Pa-

lazzo Reale divenne Collegio Militare e

fu adibito a Bagno Penale da Ferdinan-

do II. Fu poi modificato per soddisfare

esigenze di miglioramento della vita

dei carcerati, costruendovi anche un

opificio. Nel dopoguerra fu adeguato a

carcere di massima sicurezza. E’ stato

chiuso definitivamente nel1988.

Il Casale Vascello

Il borgo Casale Vascello prende il nome

dalla tipica costruzione abitativa se-

centesca. E’ uno degli insediamenti

rurali fortificati meglio conservati

dell'isola, vi si accede soltanto attra-

verso stretti passaggi ed è contraddi-

stinto da un agglomerato di case addos-

sate le une alle altre per meglio difen-

dersi dalle incursioni saracene. Le cel-

lule abitative erano aperte verso la

corte interna, di solito a tre livelli con

coperture a volta dei vani, mentre

all'esterno vi erano poche aperture,

piccole e poste il alto.

Page 38: Non è la solita guida

75

verse parti del limone.

Il limone procidano si presta molto

bene alla produzione di deliziose e di-

vertenti idee culinarie

Il limoncello, liquore ai limoni di Proci-

da, preparato con le scorse dei limoni

infuse nell'alcool, nell'acqua e nello

zucchero;

La Crema al limone

liquore al limone pretarato con latte,

alcol e zucchero;

Le Granite

semplici e fresche bevande, sono pre-

parate con il succo dei limoni di Proci-

da e sono ideali per dissetarsi;

Insalata di Limoni

specialità dei ristoranti procidani abbi-

nata al pesce fresco: viene preparata

con l'albedo e la polpa dei grossi limoni

di Procida, conditi con olio, aglio, pe-

peroncino e foglioline di menta. La “Lingua di Suocera”

Perché il tipico dolce procidano è chia-

m a t o L i n g u a d i S u o c e r a ?

Si racconta che questo nome venne

dato da un procidano quando vide que-

s t o " l u n g h i s s i m o " d o l c e :

"È lungo come la lingua di mia suocera!"

Tutti gli astanti risero divertiti e da

allora il nome venne così assegnato:

lingue di suocera. Molti pasticcieri si

divertono a produrne di diversa lun-

ghezza,a seconda delle richeste dei

clienti.

La Lingua procidana La lingua di bue è

un dolce tipico dell'isola di Procida,

nell'arcipelago Campano, situata tra

Ischia e i Campi Flegrei. il dolce fu

recuperato negli anni 60 dal giornalista

Domenico Ambrosino, quando Procida

era frequentata da Elsa Morante e Al-

berto Moravia, che erano soliti assag-

giare questa delizia nei bar della Mari-

na Sent'Cò.

Divertimento Svago e Tempo Libero

Procida è un’isola di pescatori, un luo-

go tranquillo lontano dal frastuono del

turismo di massa, l’ideale per una va-

canza all’insegna del benessere. Occor-

re trascorrere qualche giorno in loco

per apprezzare le bellezze di questa

terra, per ammirare le meravigliose

case policrome, la ricca vegetazione,

l’architettura mediterranea spontanea

76

e le rocce costiere. La natura dei luo-

ghi ha fatto di lei una location ideale

per il film capolavoro di Massimo Troisi

“Il Postino“, con Philippe Noiret nei

panni del poeta Pablo Neruda. Ma Pro-

cida è ricordata anche in ambito lette-

rario per avere dato i natali ad Arturo

Gerace, protagonista de L’isola di Artu-

ro, romanzo con cui di Elsa Morante

vinse il Premio Strega nel 1957. Procida

è collegata alla vicina isola di Vivara,

un isolotto disabitato il cui territorio è

ricoperta completamente da macchia

mediterranea, grazie ad un sottile pon-

te.

Page 39: Non è la solita guida

77

78

Napoli è la città più ricca al mondo di

chiese, conventi ed edifici di culto.

Stiamo parlando di un patrimonio im-

menso accumulato nel corso di 17 seco-

li, un patrimonio che nel XVIII secolo

valse al capoluogo campano l’appellati-

vo di “città dalle 500 cupole”. Visitare

tutte le chiese della città vi sarà prati-

camente impossibile, ma sappiate che

ve ne sono alcune che non potete asso-

lutamente lasciarvi sfuggire. Eccone un

elenco di alcune delle più belle struttu-

re religiose presenti nel capoluogo par-

tenopeo , recensite e catalogate secon-

do la loro posizione geografica:

Chiesa di Santa Caterina a

Formiello

Il nome deriva dalla vicinanza degli

antichi "formali d'acqua"; l'acquedotto

attraverso il quale passava l'acqua pro-

veniente dalla sorgente della Bolla.

La chiesa fu fondata dalle famiglie Zur-

lo e Aprano. Nel 1451 la struttura ospi-

tò i frati dell'ordine dei Celestini

(fondato da Celestino V). L'edificio di

culto è una delle più importanti chiese

napoletane del rinascimento. I lavori,

iniziati nel 1505 su progetto dell'archi-

tetto Romolo Balsimelli, di Settignano,

presentano influenze stilistiche toscane

legate alle esperienze di Brunelleschi e

d i G i u l i a n o d a S a n g a l l o .

Il portale del secolo XVII è opera di

Francesco Antonio Picchiatti. Dal 1514

è il grande chiostro realizzato da Fio-

rentino Della Cava. Ulteriori interventi

furono realizzati in seguito secondo il

gusto barocco classicheggiante.

La volta, a botte, presenta tre riquadri

in cui sono raffigurati episodi della vita

di Santa Caterina, di mano di Luigi Gar-

zi che realizzò anche i peducci della

cupola terminata poi da Paolo De Mat-

t e i s n e l 1 7 1 2 .

La volta e le lunette del transetto furo-

no affrescate dal fiammingo Guglielmo

Borremans tra il 1708 ed il 1709 e raffi-

gurano San Domenico e la Vergine che

placano l'ira del Redentore. Ai lati figu-

rano la Madonna che appare a San Gio-

Le chiese e le guglie

Page 40: Non è la solita guida

79

vanni Evangelista e San Domenico che

a l l o n t a n a g l i i n f e d e l i .

Il sottostante Cappellone a destra

dell'altare è dedicato alla Vergine del

Rosario alla quale si attribuì la vittoria

della battaglia navale di Lepanto del

1571. L'altro Cappellone è dedicato a

San Domenico. La volta dell'abside pre-

senta il trionfo di Giuditta del Borre-

mans. Sull'acquasantiera, il tondo in

altorilievo, raffigurante la Vergine con

il Bambino è attribuita ad un allievo di

Annibale Caccavello (1540 circa).

Le Cappelle furono decorate, nel Sette-

cento, dal marmoraro Francesco Anto-

n i o G a n d o l f i .

Alle pareti si ammirano tele di Paolo De

Matteis, Santolo Cirillo, Paolo Tenaglia,

Giacomo Del Po e Luigi Garzi. Lo spazio

della crociera e del presbiterio è carat-

terizzato da lapidi e sepolcri della fa-

miglia Spinelli, eseguiti, nell'ultimo

quarto del Cinquecento, dagli scultori

napoletani Giovan Domenico e Girola-

mo D'Auria, Annibale e Salvatore Cac-

cavello e dal lombardo Silla Longo. Gli

stalli lignei del coro, intagliati con ric-

chi ornamenti manieristici, sono del

bresciano Benvenuto Tortelli (1566).

Sotto l'altare della quinta Cappella a

sinistra sono conservate le reliquie dei

beati martiri d'Otranto massacrati dai

turchi nel 1489.

Basilica santuario di Santa Maria del

Carmine maggiore

La basilica santuario del Carmine Mag-

giore è una delle più grandi basiliche

di Napoli. Risalente al XIII secolo, è

oggi un esempio unico del Barocco na-

poletano; si erge in piazza Carmine a

Napoli, in quella che un tempo formava

un tutt'uno con la piazza del Mercato,

teatro dei più importanti avvenimenti

della storia napoletana. Il popolo napo-

letano ha l'abitudine di usare l'esclama-

zione "Mamma d'o Carmene", proprio

per indicare lo stretto legame con la

Madonna Bruna.

La tradizione racconta che alcuni mo-

naci, fuggendo la persecuzione

dei saraceni in Palestina, venendo in

Napoli, portarono un'immagine del-

la Madonna da essi venerata sul monte

Carmelo, culla del loro ordine. Vi era in

Napoli, presso la marina fuori la città,

una piccola cappella dedicata a san

Nicola che fu concessa ai monaci, che

da allora vi si insediarono e collocarono

l'immagine della Madonna in un luogo

detto "la grotticella".

80

Ma il primo documento storico della

presenza dei carmelitani a Napoli si ha

nel 1268, quando i cronisti del tempo

descrivono il luogo del supplizio diCor-

radino di Svevia nella piazza antistante

la chiesa di Santa Maria del Carmine.

In realtà, l'Icona della Vergine Bru-

na (per il colore della pelle) sembra

opera di scuola toscana del XIII secolo.

È una tavola rettangolare, alta un me-

tro e larga 80 centimetri. L'immagine è

del tipo detto "della tenerezza", in cui i

volti della Madre e del Figlio sono acco-

stati in espressione di dolce intimità

(modello bizantino della Madonna Gly-

kophilousa). Come in ogni icona ne

possiamo leggere un messaggio:

Il miracolo del crocifisso è legato alla

lotta, nel secolo XV, tra gli Angioini e

gli Aragonesi, per il dominio di Napoli.

Già dominava in Napoli Renato d'Angiò,

il quale aveva collocato le sue artiglie-

rie sul campanile del Carmine, trasfor-

mandolo in vera fortezza, quan-

do Alfonso V d'Aragona assediò la città,

ponendo l'accampamento sulle rive del

Sebeto, nelle vicinanze dell'attuale

borgo Loreto.

Secondo la tradizione il 17 otto-

bre 1439, l'infante Pietro di Casti-

glia fece dar fuoco a una gros-

sa Bombarda detta la Messinese, la cui

grossissima palla, (ancora conservata

nella cripta della chiesa), sfondò l'absi-

de della chiesa e andò in direzione del

capo del crocifisso che, per evitare il

colpo, abbassò la testa sulla spalla de-

stra, senza subire alcuna frattura. Il

giorno seguente, mentre l'infante Pie-

tro dava di nuovo ordine di azionare la

Messinese, un colpo partito dal campa-

nile, dalla bombarda chiamata la Paz-

za, gli troncò il capo.

Re Alfonso tolse allora l'assedio, ma

quando, ritornato all'assalto nel 1442, il

2 giugno entrò trionfalmente in città, il

suo primo pensiero fu di recarsi al Car-

mine per venerare il crocifisso e, per

riparare l'atto insano del defunto fra-

tello, fece costruire un sontuoso taber-

nacolo. Questo però, compiuto dopo la

morte del re, accolse la miracolosa

immagine il 26 dicembre del 1459. Da

allora, l'immagine viene svelata il 26

dicembre di ogni anno e resta visibile

al gran concorso di fedeli per otto gior-

ni, fino al 2 gennaio. La stessa cerimo-

nia si ripete nel primo sabato di quare-

sima per ricordare l'avvenimento

del 1676, in cui Napoli fu risparmiata

da una terribile tempesta, sedata se-

condo la leggenda popolare dall'inter-

cessione del crocifisso svelato in via

eccezionale per l'occasione nefasta.

Page 41: Non è la solita guida

81

Nel 1766 fu alquanto modificato e in-

nalzato così come ancora oggi lo si am-

mira.

Nel 1500 in occasione dell'Anno San-

to la confraternita dei Cuoiai portò

a Roma in processione il crocifisso (che

si trova ancora nel transetto laterale) e

la Madonna Bruna. Numerosi miracoli si

verificarono nel corso del pellegrinag-

gio; l'immagine rimase per tre giorni

nella basilica di San Pietro in Vaticano,

durante i quali, sparsasi la fama dei

suoi prodigi in Roma, tutti i fedeli furo-

no attirati ad essa, tanto che il papa

Alessandro VI, temendo che il fervore

dei fedeli si attenuasse nella visita del-

le basiliche, ne ordinò il rientro a Na-

poli. L'icona della Madonna che prima

del pellegrinaggio era in un luogo detto

"la grotticella" fu spostata sull'altare

maggiore e successivamente posta in

una cona di marmo, con figure di pro-

feti, opera attribuita ai fratelli Malvito

che operarono a Napoli tra il 1498 ed

il 1524.

Dopo eventi così sorprendenti, Federico

d'Aragona, il quale reggeva la città di

Napoli, ordinò che per il 24 giugno,

giorno di mercoledì, tutti i malati del

regno si portassero al Carmine per im-

plorare dal cielo, la sospirata salute.

Infatti, nel giorno stabilito, alla presen-

za dei sovrani e del popolo, durante la

consacrazione, un raggio di vivissima

luce si posava contemporaneamente

sull'Icona della Bruna e sopra gli infer-

mi, i quali in un istante furono guariti o

videro alleviati i loro mali.

Da allora si scelse il mercoledì come

giorno da dedicare tutto alla Madonna

Bruna, e ancora oggi, dopo 500 anni,

numerosi fedeli vengono in pellegrinag-

gio da ogni parte della città e della

provincia, per deporre ai piedi del-

la Mamma d'o Carmene un fiore, una

preghiera, un ringraziamento.

Filippo IV di Spagna, mandò come vice-

ré a Napoli il Duca d'Arcos, il quale

volendo trarre sempre più somme di

denaro per la Spagna, imponeva alla

città tra le altre gabelle, quella sulla

frutta. Il 7 luglio 1647, mentre si pre-

paravano i festeggiamenti per la Ma-

donna del Carmine, il popolo napoleta-

no, capeggiato da Masaniello (che a sua

volta era politicamente manovrato

da Don Giulio Genoino), insorse contro

il viceré chiedendo l'abolizione delle

gabelle, incendiando case, facendo

vittime e distruggendo ogni cosa che

appartenesse ai nobili, nemici del po-

polo. Gl i storici del l 'Ottocen-

82

to dipingono questa rivoluzione come

antispagnola e antimonarchica, ma

studi recenti ne dimostrano l'incon-

gruenza, a partire dal grido con cui fu

sollevato il popolo: «Viva il re di Spa-

gna, mora il malgoverno». Intanto la

chiesa e il convento divennero luogo di

comizi popolari, per cui si stipulavano

negoziati tra popolo e viceré.

Giovedì 11 luglio, Masaniello cavalcò

con il Cardinale Filomarino ed il nuo-

vo eletto del popolo Francesco Antonio

Arpaia, tra le acclamazioni ed i festeg-

giamenti dei popolani fino a Palazzo

Reale, per incontrare il viceré. Alla

presenza del duca d'Arcos, a causa di

un improvviso malore, perse i sensi e

svenne iniziando a manifestare i primi

sintomi di quell'instabilità mentale che

gli procurò poi l'accusa di pazzia. Du-

rante l'incontro, dopo un infruttuoso

tentativo di corruzione, il pescatore fu

nominato "capitano generale del fede-

lissimo popolo napoletano".

Il 16 luglio, giorno della festa del-

la Madonna del Carmine, dalla finestra

di casa sua, cercò inutilmente di difen-

dersi dalle accuse di pazzia e tradimen-

to che provenivano dalla strada. Sen-

tendosi braccato cercò rifugio nella

chiesa del Carmine, e qui, interrom-

pendo la celebrazione della messa, si

spogliò nudo e iniziò il suo ultimo di-

scorso al popolo napoletano. I frati lo

invitarono a porre fine a quel gesto

poco edificante, ed egli obbedì, met-

tendosi a passeggiare nel corridoio

principale del convento. Là lo raggiun-

sero alcune persone armate, che prima

gli tirarono quattro colpi di archibugio,

togliendogli la vita, e poi lo decapitaro-

no. La testa mostrata al viceré fu por-

tata in giro per la città mentre il corpo

fu buttato in un fosso fuori la porta del

Carmine. Non erano passate ventiquat-

tr'ore che subito si videro i frutti

dell'uccisione di Masaniello: il peso del

pane diminuito e le gabelle rimesse in

vigore. Il popolo si rese subito conto

dell'errore e così ne raccolse il cadave-

re lavandolo nelle acque del Sebeto, la

testa fu ricongiunta al corpo e subito

portato in processione, il corpo fu se-

polto all'interno della chiesa del Carmi-

ne. Alle tre del mattino, finita la pro-

cessione, fu data sepoltura al feretro

nella chiesa del Carmine, dove i resti di

Masaniello rimasero fino al 1799. In

quell'anno, dopo aver represso la con-

giura giacobina per la Repubblica Napo-

letana, Ferdinando IV di Borbone ne

ordinò la rimozione al fine di evitarne

l'idolatria popolare.

Fino agli anni sessanta del secolo scor-

Page 42: Non è la solita guida

83

so, nemmeno una parola ricordava i

luoghi che videro l'uccisione e la sepol-

tura di Masaniello: fu così che i carme-

litani decisero di tramandare ai posteri

il ricordo di quegli eventi con due lapi-

di, una nel convento dei frati, l'altra in

chiesa nel luogo della sepoltura.

Duomo di Napoli

La Cattedrale di Napoli (o Duomo di

Napoli), dedicata a Santa Maria Assun-

ta, è la sede dell'arcidiocesi di Napoli,

nonché una delle più importanti e gran-

di chiese della città.

Il Duomo sorge lungo il lato est del-

la via omonima, in una piazzetta con-

tornata da portici. Essa ospita il batti-

s t e ro p i ù an t i co d ' O cc iden -

te (il battistero di San Giovanni in Fon-

te[1]) e tre volte l'anno accoglie il rito

dello scioglimento del sangue di san

Gennaro.

Secondo la Cronaca di Partenope, risa-

lente al XIV secolo, qui sorse l'oratorio

di Santa Maria del Principio, do-

ve Aspreno, il primo vescovo della cit-

tà, decise di insediare l'episcopato di

Napoli. A partire dal IV secolo nacquero

diversi edifici di culto nell'insula epi-

scopale e tra queste si ricordano

la basilica di Santa Restituta,

il battistero di San Giovanni in Fonte e

diverse cappelle annesse come quelle

di San Lorenzo, Sant'Andrea e Santo

Stefano.

Nel XIII secolo fu iniziata la costruzione

dell'edificio sacro inglobando le prece-

denti strutture paleocristiane del batti-

stero e della primitiva basilica. La co-

struzione della cattedrale comportò

anche la demolizione di altre strutture,

come la basilica Stefania, voluta

dall'arcivescovo Stefano I (fine del V

secolo - inizi del VI) e rimaneggiata

dopo un incendio dall'arcivescovo Ste-

fano II (seconda metà dell'VIII secolo),

il cui quadriportico è visibile

nel Palazzo arcivescovile. La struttura

era stata decorata con mosaici e panni

dipinti, collocati negli intercolumini

delle navate dall'arcivescovo Attanasio

I (849-872).

Per la progettazione e la costruzione

della nuova chiesa, per volontà del

re Carlo II di Napoli e d'intesa con l'ar-

civescovo Giacomo da Viterbo, che

aveva sollecitato al sovrano tale opera,

vennero chiamati architetti di estrazio-

ne francese. La seconda parte del can-

tiere fu eseguita da maestranze locali o

italiane: le fonti indicano Masuccio

I, Giovanni Pisano e Nicola Pisano. La

cattedrale fu completata nel 1313 e

nel 1314 fu solennemente dedicata

all’Assunta, ad opera dell’allora arcive-

scovo Umberto d’Ormonte. Durante il

terremoto del 1349 crollarono

84

il campanilee la facciata, che venne

ricostruita agli inizi del XV secolo in

stile gotico. A metà del secolo, un altro

terremoto danneggiò gravemente la

cattedrale, facendo crollare alcune

parti della navata, che in seguito fu

però ricostruita.

Tra il 1497 e il 1508 fu realizzata co-

me cripta la cappella del Succorpo, con

decorazioni di Tommaso Malvito. In

seguito al voto fatto dai partenopei al

s an t o du ran te l a pes t i l en z a

del 1526, Francesco Grimaldi innalzò,

di fronte alla basilica di Santa Restitu-

ta, la Reale cappella del tesoro di San

Genna ro. Ne l 1621 i l t e t t o

a capriate venne coperto da

un cassettonato in legno. Il 28 aprile

1644 la dedica all'Assunta fu conferma-

ta nella consacrazione della chiesa

avvenuta ad opera del Cardina-

le Ascanio Filomarino, arcivescovo

dell'epoca.

Nel 1688 e nel 1732 furono ricostruite

le parti più danneggiate dai terremoti e

nella seconda metà delSeicento, si eb-

bero gli interventi barocchi nelle cap-

pelle, arricchite da decorazioni marmo-

ree e in stucco. Nel 1732 vennero rico-

struiti l'abside e i transetti.

Nel 1788, un ulteriore restauro apportò

modifiche alla navata, trasformata

secondo un revival gotico con influssi

settecenteschi. Per esigenze estetiche

fu quindi bandito un concorso per la

facciata, che fu innalzata nell'Ottocen-

to in stile neogotico da Errico Alvino.

Durante la seconda guerra mondiale i

bombardamenti alleati danneggiarono

le strutture e pertanto, tra il 1969 e

il 1972, vennero effettuati restauri e

consolidamenti strutturali all'intero

edificio. Durante i lavori vennero por-

tati alla luce resti archeologici romani,

greci e alto-medievali oggi opportuna-

mente fruibili e con reperti raccolti e

organizzati. Uno dei più recenti restau-

ri è stato apportato alla cappella del

Succorpo e ha permesso il recupero del

c a s s e t t o n a t o m a r m o r e o

del Cinquecento.

La facciata della cattedrale fu rico-

struita più volte nel corso dei secoli:

quella attuale fu rifatta in stile neogo-

tico da Errico Alvino alla fine dell'Otto-

cento ed inaugurata solo nel 1905. Il

progetto dell'Alvino è peraltro incom-

pleto in quanto mancano le torri cam-

panarie ai lati del corpo centrale della

struttura, i cui lavori furono interrotti

all'altezza del basamento.

Al decoro della facciata, che aveva il

compito di raccordare le preesistenti

strutture gotiche dei portali, furono

chiamati importanti scultori del pano-

rama artistico di fine XIX seco-

lo: Salvatore Cepparulo, Domenico Jol-

lo, Alberto Ferrer, Giuseppe Lettie-

ri, Raffaele Belliazzi, Salvatore Ir-

di,Michele Busciolano, Stanislao Li-

Page 43: Non è la solita guida

85

sta e Tommaso Solari. Ai lati del fine-

strone centrale ci sono sculture

di Francesco Jerace e Domenico Pelle-

grino.

Nel progetto di Alvino fu previsto l'inse-

rimento delle opere di Tino di Camai-

no per ornare il portale principale so-

stenuto da leoni stilofori consumati dal

tempo. I portali laterali, risalenti al

principio del XV secolo, in stile gotico

internazionale erano stati eseguiti dallo

scultore Antonio Baboccio da Piperno.

La facciata fu danneggiata durante

la seconda guerra mondiale e restaura-

ta nel 1951, ma un restauro integrale

fu eseguito nel 1999; nell'occasione

l'architetto Atanasio Pizzi ha realizzato

il rilievo della facciata principale, del

cassettonato ligneo, della navata cen-

trale e del transetto in scala 1/1.

Presenta una struttura a salienti, con ai

due lati i basamenti delle due torri

campanarie, mai realizzate. In corri-

spondenza di ognuna delle tre navate si

trovano i tre portali gotici e le tre cu-

spidi, ornate da sculture in marmo; in

quella centrale, entro un rosone cieco,

si trova lastatua del Cristo Benedicen-

te. Nella facciata si aprono cinque fine-

stre, anch'esse in stile gotico:

due bifore nei due basamenti dei cam-

panili, due trifore, una per ognuna del-

l e d u e n a v a t e l a t e r a l i , e

la quadrifora della navata centrale.

Dei tre portali, per tradizione, quello

di destra viene aperto solo in occasioni

particolari, come durante le festività

per san Gennaro oppure un matrimonio

di un membro della famiglia Capece

Minutolo.

L'interno, con pianta a croce latina, è

costituito da un'aula suddivisa in

tre navate con cappelle laterali; le tre

navate sono separate da una sequenza

di otto pilastri per lato, in cui sono

i n c o r p o r a t i f u s t i d i a n t i -

che colonne romane, sulle quali poggia-

no gli archi ogivali, decorati a stucco e

marmo.

Chiesa di San Lorenzo Maggiore

Il complesso monumentale di San Lo-

renzo Maggiore, il cui accesso principa-

le è in pieno centro storico (piazza San

Gaetano), rappresenta un incredibile

esempio di stratificazione di testimo-

nianze architettoniche di epoche diver-

se: greca, romana e medievale. Nell'a-

rea del foro, che rappresentava il cuore

dell'antica città greco-romana, tra il

Decumano maggiore e il Decumano

inferiore, fu edificata dapprima una

chiesa paleocristiana (VI secolo d.C.),

86

abbattuta nel XII secolo, e successiva-

mente l'attuale basilica, realizzata per

volontà di Carlo I d'Angiò a partire dal

1270. La chiesa, caratterizzata da una

struttura a navata unica e croce latina,

fu eretta ad opera dei Francescani,

inizialmente con l'utilizzo di architetti

e maestranze francesi, poi sostituiti da

maestranze locali; tra il XVII e il XVIII

secolo, fu poi interessata da un radica-

le rinnovamento in stile barocco. Il

restauro effettuato tra la fine dell'Ot-

tocento e la prima metà del Novecento

ha cancellato la forte connotazione

barocca, eccezion fatta per la facciata

se t t e cen te sca de l S an f e l i ce .

Nella chiesa, Boccaccio incontrò la sua

F i ammett a, ment re ne l l ' a t t i -

guo convento -che ospitava nel '300 le

riunioni del parlamento del regno- sog-

giornò anche Petrarca.

Al disotto della Chiesa, del convento e

del chiostro, sono oggi visitabili in ipo-

geo gli ambienti riscoperti grazie al

lavoro degli archeologi: accedendo

all'area, ci si immette in un cardine

romano (cioè una strada ortogonale ai

decumani), largo tre metri e lungo cir-

ca sessanta, su cui si affacciano nume-

rose botteghe: un forno, una lavande-

ria, osterie, negozi e l'Aerarium, dove

erano conservate le finanze cittadine

provenienti dalle tasse.

Al termine della strada, si incontra

invece uno dei quattro lati di un cripto-

portico, costituito da ambienti interco-

municanti, con volta a botte e lucerna-

ri per l'ingresso dell'aria e della luce

solare. Gli ambienti erano botteghe del

mercato romano (macellum), sui cui

banchi di pietra erano commercializza-

te cibarie e merce di vario genere.

Al termine del criptoportico, è inoltre

conservata una vasca di età greca, te-

stimonianza dell'ulteriore livello di

stratificazione presente, e dell'incredi-

bile numero di storie che questo luogo

p u ò r a c c o n t a r e .

Alla fine del V secolo d.C., l'area fu

invasa e ricoperta da una colata di fan-

go di origine alluvionale, per cui fu

abbandonata, e costituì la base per la

costruzione della basilica paleocristia-

na.

Risalendo ai livelli superiori, nei locali

del convento si trova il Museo dell'Ope-

ra di San Lorenzo Maggiore, che ospita i

reperti archeologici del sito, una rac-

colta di oggetti, abiti, e arredi dell'epo-

ca angioina ed una collezione di pastori

settecenteschi della tradizione prese-

piale napoletana.

Chiesa di San Gregorio Armeno

La chiesa di San Gregorio Armeno o San

Biagio Maggiore, con il relativo com-

Page 44: Non è la solita guida

87

plesso conventuale, è ubicata nell'omo-

nima strada del centro stori-

co di Napoli (si veda la foto a lato),

resa caratteristica dalle famose botte-

ghe di pastori e artigianato sacro.

È anche conosciuta volgarmente con il

nome di chiesa di santa Patrizia.

Sorge sull'omonima via, l'antica Strada

Nostriana che prende il nome dal ve-

scovo Nostriano che nel V secolo fondò

il primo ospedale per i poveri ammala-

ti.

La chiesa sarebbe stata edificata sulle

rovine del tempio di Cerere attorno

al 930, nel luogo che secondo la leg-

genda avrebbe ospitato il monastero

fondato da Sant'Elena Imperatrice, ma-

dre dell'imperatore Costantino.

Altra leggenda vuole la presenza nel

luogo di un monastero di monache basi-

liane, seguaci di santa Patrizia che vi si

sarebbero stabilite dopo la morte della

santa, conservando le reliquie di san

Gregorio Armeno (che fu patriarca

di Armenia dal 257 al 331).

Nel 1009, in epoca normanna, il mona-

stero fu unificato a a quello dedicato

a San Pantaleone, assumendo la regola

benedettina.

Dopo il Concilio di Trento, a partire

dal 1572, il complesso subì un profondo

rifacimento ad opera di Giovanni Vin-

cenzo Della Monica e Giovan Battista

Cavagna, con la chiesa collocata al

centro del convento.

Ulteriori rifacimenti ad opera

di Dionisio Lazzari furono del 1682.

Il miracolo di Santa Patrizia

Dal 1864 le spoglie della Santa furono

traslate nella chiesa, a suggello della

devozione dei napoletani per la vergi-

ne, discendente dell ' imperato-

re Costantino che nel IV secolo naufra-

gò sulle coste della città, prendendo

alloggio nell'antico convento basiliano,

dove sarebbe morta il 13 agosto

del 365.

Nella quinta cappella a destra della

navata, vi sono le reliquie della Santa,

contenute in un pregevole reliquiario in

oro e argento.

Le doti miracolose di Santa Patrizia, già

note nel secolo XII, per il trasudamento

della manna che sarebbe avvenuto dal-

le pareti sepolcrali che custodivano il

corpo della Santa, ed in seguito per la

liquefazione del sangue, hanno trovato

a Napoli nei secoli ed ancora oggi, eco

minore rispetto a quelle del più celebre

patrono della città San Gennaro.

Tuttavia, capitando di imbattersi per

caso nella chiesa, un martedì mattina,

si può assistere, in un'atmosfera di ra-

refatto misticismo, al prodigio che av-

verrebbe in seguito alle impetrazioni

delle monache.

Il prodigio, a differenza di quello di San

88

Gennaro, avrebbe avuto luogo negli

anni in modi e tempi diversi, ma secon-

do la tradizione, i martedì e il giorno

della festa di Santa Patrizia, il 25 ago-

sto.

Nella chiesa avverrebbero o sarebbero

avvenute anche altre liquefazioni di

santi celebri: San Giovanni Battista (il

29 agosto e talvolta il 24 giugno) e San

Pantaleone (l'ultimo sarebbe avvenuto

il 27 giugno del 1950).

La facciata, seppur leggermente spro-

p o r z i o n a t a , p r e s e n t a q u a t -

tro lesene toscane che le conferiscono

armonia di forma e struttura, con tre

finestroni in arcate in un primo tempo

sormontate da un timpano e successi-

vamente da un terzo ordine architetto-

nico.

L'atrio, severo e scuro, regge il piano

del coro con quattro pilastri e le relati-

ve piccole volte ad essi collegati.

Il portale principale presenta dei bellis-

simi battenti disegnati con originali

linee di ispirazione classica ed eseguiti

nel 1792. In ciascuno degli scomparti

dei tre battenti figurano rispettivamen-

te, intagliati a rilievo, San Loren-

zo, Santo Stefano e gli Evangelisti.

Superando l'atrio, si notano ai lati della

porta le iscrizioni che ricordano l'anno

di consacrazione della chiesa

nel 1579 e la dedicazione al santo ar-

meno. In una terza lapide è menzionata

la visita di Pio IX del 1849.

L'interno presenta una navata unica,

con quattro cappelle laterali e cinque

arcate per ciascun lato, che termina

con un'abside a pianta rettangolare,

s o r m o n t a t a d a

una semicupola decorata con La gloria

di San Gregorio di Luca Giordano.

Di straordinaria fattura è il soffitto

a cassettoni, realizzato nel 1580 dal

pittore fiammingo Teodoro d'Errico su

commissione della badessa del conven-

to Beatrice Carafa, i cui scomparti con

intagli dorati allocano tavole con la

raffigurazione della vita dei santi le cui

reliquie sono custodite nel complesso

conventuale.

Nelle quattro cappelle laterali destre vi

s o n o , t r a l ' a l -

tro, L'Annunciazione di Pacecco De

Rosa, laVergine del Rosario di Nicola

M a l i n c o n i c o e n o t e v o -

li affreschi di Francesco Di Maria. Sul

lato sinistro si può ammirare invece un

superbo San Benedetto attribuito al-

lo Spagnoletto.

L'altare maggiore, appoggiato alla pa-

rete fondale dell'abside, è opera

di Dionisio Lazzari; l'ancona, ospitante

l'Ascensione di Giovan Bernardo Lama,

è sormontata da una grata che costitui-

sce l'affaccio del Cappellone, o Coro

dell'abside, sulla chiesa.

Page 45: Non è la solita guida

89

Sulla s inistra del presbiterio,

il comunichino del 1610: da qui la ba-

dessa del convento soleva ascoltare la

messa e consentiva alle monache di

ricevere la comunione.

L'ambiente interno conserva ancora

oggi la Scala santa che, fino al secolo

scorso le monache erano obbligate a

salire in ginocchio tutti i venerdì del

mese di marzo come forma di peniten-

za.

Uscendo dalla chiesa, dal lato dell'omo-

nima via resa caratteristica per le bot-

teghe di pastori e sormontata dal ca-

valcavia di connessione tra i due con-

venti poi trasformato incampanile, si

accede al chiostro ed al convento, ope-

ra dell'architetto Giovanni Vincenzo

Della Monica.

Il complesso, importante anche per la

presenza di un ricco archivio, presenta

un chiostro, tra i più belli e suggestivi

della città, nel quale si affacciano gli

alloggi a terrazza delle monache (le

Suore Crocifisse o di Santa Patrizia, che

ivi attendono alla confezione delle

ostie ed alla preparazione del vino

bianco per la messa).

Al centro, una grande fontana marmo-

rea barocca, affiancata da due statue

settecentesche che raffigurano Cristo e

la Samaritana (opera di Matteo Botti-

glieri).

Basilica di San Paolo Maggiore

La basilica fu costruita sui resti

del tempio dei Dioscuri di cui restano

due colonne di ordine corinzio con i

relativi architravi che caratterizzano la

facciata principale.

Il tempio dei Dioscuri (I secolo d.C.) è

l'area sulla quale insiste la chiesa. Il

suo f ronte, con se i colonne

e timpano triangolare completo di scul-

ture, rimase in piedi sino al 1688,

quando crollò a causa di un terremoto.

La prima chiesa dedicata a san Paolo in

quell'area venne eretta tra l'VIII e il IX

secolo per celebrare la vittoria riporta-

ta dai napoletani sui Saraceni, alle

spalle del pronao del tempio pagano.

Nel 1538 vi si insediarono i chierici re-

golari teatini, che solo molti anni, nei

primi anni ottanta del Cinquecento,

avviarono una vasta campagna di rico-

struzione, affidata al progetti-

sta Francesco Grimaldi.

Intorno alla prima metà del Cinquecen-

to, la chiesa incontrò Andrea Avellino il

quale entrò in San Paolo come postu-

lante. Nel 1567, padre don Andrea

Avellino venne nominato preposito di

San Paolo Maggiore e ricoprì questo

ruolo nei successivi dieci anni. Nel

maggio del 1585, dopo i tumulti scop-

piati a Napoli a seguito dell'uccisione

del capo popolo G.B. Starace da parte

90

della folla inferocita, il santo si operò

come mediatore e mise a disposizione

dei bisognosi le risorse del suo ordine.

Oggi, le spoglie del santo sono presenti

all'interno della basilica.

Nel corso del Seicento vi furono impor-

tanti lavori di decorazione e abbelli-

mento. Nel 1642 Massimo Stanzio-

ne affrescò il soffitto della navata cen-

trale. Nel 1671 Dionisio Lazzari, in oc-

casione delle celebrazioni per la cano-

nizzazione di Gaetano Thiene, realizzò

una volta in muratura che collegava

la facciata della chiesa e le colonne del

vecchio tempio pagano. Fu probabil-

mente a causa dell'intervento operato

da Lazzari che la struttura antica, no-

tevolmente appesantita, non resistette

al terremoto del 1688.

Nel Settecento i lavori di abbellimento

proseguirono, soprattutto a opera

d i Domen ico Ant on io Vacca-

ro e Francesco Solimena, che riutilizza-

rono i marmi antichi crollati col terre-

moto, rilavorandoli e mettendoli in

opera all'interno, per rivestire il pavi-

mento e le paraste della navata centra-

le. Ulteriori lavori vennero intrapresi

da Giuseppe Astarita verso gli anni set-

tanta del Settecento, in occasione del-

la proclamazione a beato di Paolo Bu-

rali d'Arezzo

La prima parte ad essere edificata fu il

grande transetto con la profondaabsi-

de poligonale. Dopo una interruzione, i

lavori ripresero sotto la guida di Giovan

Battista Cavagna, responsabile della

costruzione della navatacentrale. A

partire dal 1625 vennero costruite le

navate laterali, ad opera di Giovan

Giacomo di Conforto

La basilica presenta una facciata pro-

gettata da Arcangelo Guglielmelli, che

riuscì ad inglobare nel nuovo progetto

le uniche due colonne corinzie, risalen-

ti all'antico tempio dei Dioscuri, rima-

ste in piedi a seguito del terremoto

del 1688. Le stesse vengono così lascia-

te ai lati dell'ingresso principale. Anco-

ra più ai margini della facciata princi-

pale, vi sono collocate due nicchie con

statue raffiguranti i santi Pietro e Pao-

lo.

Nel 1943 nel corso di un bombardamen-

to aereo degli alleati, la chiesa venne

gravemente danneggiata. Nel 1962,

durante i lavori di ristrutturazione,

furono rinvenuti resti del primitivo

tempio e anche un cimitero, oggi visi-

tabili tramite l'accesso da una porta

posta sotto le scalinate principali della

basilica.

La basilica incorpora inoltre altri due

edifici religiosi di modeste dimensioni.

Uno, il santuario di San Gaetano Thie-

ne, vede l'ingresso posto sulla base

Page 46: Non è la solita guida

91

destra della scalinata principale, acces-

sibile direttamente da piazza San Gae-

tano. L'altro, la chiesa del Santissimo

Crocifisso detta la Sciabica, vede l'in-

gresso posto direttamente sotto la base

dell'antico tempio romano.

Sul lato destro destro del complesso

(rispetto a chi guarda frontalmente la

facciata), vi è un accesso laterale tra-

mite una scalinata collegata ad una

porta che conduce subito dopo la se-

conda cappella della navata di destra

della chiesa.

La pianta è a croce latina, a

tre navate: la navata centrale e il tran-

setto hanno una copertura ribassata a

padiglione, mentre le navate minori

sono voltate con una successione di

cupolette ellittiche. Il soffitto della

navata centrale, gravemente danneg-

giato dai bombardamenti dellaseconda

guerra mondiale, conserva resti degli

affreschi di Massimo Stanzio-

ne raffiguranti le Storie dei san-

ti Pietro e Paolo, di San Gaetano e

La Vittoria dei napoletani sui Saraceni,

tutti eseguiti tra il1643-44.

Nella navata centrale è esposta la sta-

tua dell 'Angelo custode, opera

di Domenico Antonio Vaccaro, scolpita

nel 1724 per la cappella omonima (la

terza della navata sinistra), ricostruita

in quegli anni su progetto di Francesco

Solimena, e sostituita nel XIX seco-

lo con una statua di Cristo.

Il soffitto del transetto e dell'absi-

de sono andati interamente perduti

(esclusi alcuni stucchi dell'abside). La

storiografia ufficiale racconta che essi

erano caratterizzati da affreschi sul-

la Vita ePassione di Cristo, sui Santi

Apostoli, sui Santi protettori della cit-

tà e sui Dottori della chiesa greca e

della chiesa latina, ciclo interamente

eseguito da Belisario Corenzio.

Le navate laterali sono costituite da

sette cappelle l'una, alle quali si alter-

nano altre piccole cappelle contenenti

cicli di affreschi, stucchi, sculture,

storici presepi o lapidi marmorei. Delle

sette cappelle, tre sono poste

nel transetto, e di queste tre, due sono

poste ai lati dell'abside. Su progetto

di Francesco Solimena, dopo la seconda

cappella della navata di destra, si ac-

cede al succorpo, dedicato a San Gae-

tano. Merita citazione il pregevole pa-

v i m e n t o m a i o l i c a t o , o p e r a

del1724 di Donato Massa.

L'altare maggiore, infine, è stato rea-

lizzato nel 1775-6 dal marmora-

ro Antonio di Lucca su disegno

di Ferdinando Fuga, mentre sulla con-

trofacciata vi è un affresco di Giovanni

Battista Natali.

92

Chiesa di San Pietro a Majella

La chiesa di San Pietro a Majella è

una chiesa gotica di Napoli, situata

nel centro antico della città, adiacente

all'omonimo conservatorio musicale.

La chiesa fu costruita alla fine

del Duecento sul luogo dove sorgevano

due monasteri femminili, intitolati

a sant'Eufemia e asant'Agata, ad opera

dell'architetto Pipino da Barletta, per

volere del re Carlo II d'Angiò.

Fu dedicata, sotto la tutela dell'ordine

dei Celestini, al santo pontefi-

ce Celestino V, al secolo Pietro Angele-

ri da Morrone, e fu comunemente detta

di "San Pietro a Majella", in ricordo

del romitaggio del santo sulla Maiella.

Nel corso del XIV secolo interventi sulla

chiesa vennero decisi dal re Roberto

d'Angiò e da Andrea di Ungheria. Un

radicale restauro, voluto dal re Alfonso

I e terminato nel 1508, spostò in avanti

la facciata, originariamente allineata

col campanile. Nel XVI secolol'interno

ricevette una decorazione barocca in

stucco e marmo, il presbiterio venne

rialzato e si sostituì il vecchio soffitto a

capriate.

L'ordine dei Celestini fu cacciato nel

corso della Repubblica di Napo-

li del 1799. I restauri novecenteschi,

terminati nel 1933 rimossero le decora-

zioni barocche per restituire alla chiesa

l'originario aspetto gotico. Alla riaper-

tura il culto venne affidato all'ordine

dei Servi di Maria.

L'interno si presenta a tre navate, se-

parate da pilastri sorreggenti archi

gotici, con nove cappelle laterali, più

quattro ai lati del presbiterio, e dal

transetto.

Sulla controfacciata è visibile un note-

vole Crocifisso ligneo seicentesco, di

autore ignoto.

La tomba di Pipino da Barletta, archi-

tetto della chiesa, è posta sulla parete

di fondo ed è databile attorno alla pri-

ma metà del XIV secolo, opera

di Giovanni Barrile, mentre i monumen-

ti sepolcrali di alcuni membri della

Page 47: Non è la solita guida

93

famiglia Petra sono opera dello sculto-

re napoletanoLorenzo Vaccaro.

Nell'abside è collocato il seicentesco

altare maggiore, realizzato da Cosimo

Fanzago e Pietro e Bartolomeo Ghetti,

è decorato con candelieri e grandi vasi

i n a r gen t o e p rec e du to da

un balaustra rivestita di marmi colora-

ti. Si innalza su di esso un quattrocen-

tesco crocefisso ligneo, mentre alle

spalle vi sono affreschi del Seicento ed

opere scultoree del Cinquecento.

I soffitti della navata mediana, con

cassettoni, e del transetto presentano

dipinti di Mattia Preti come Episodi

della vita di san Pietro Celestino e

di Santa Caterina d'Alessandria, esegui-

te tra il 1657 ed il 1659, durante il sog-

giorno napoletano dell'artista.

Il campanile si trova sul fianco sinistro

della chiesa ed è suddiviso in tre parti

con relativa cuspide, secondo uno sche-

ma tipico nell'architettura campana

dell'epoca.

Di attribuzione incerta (forse eseguito

dall'architetto Giovanni Pipino), fu edi-

ficato all ' inizio del XIV seco-

lo all'interno della prima arcata della

navata sinistra, con uno schema molto

simile a quello seguito nella cattedrale

di Lucera, in stile gotico provenzale.

È alto 42 metri ed è in tufo con angoli

in piperno, con quattro piani, l'ultimo

esagonale e sormontato da una cuspi-

de, sopra il basamento nel quale si

apre una porta. Tra il secondo e il ter-

zo piano furono collocati tavole mar-

moree con gli stemmi del papa Celesti-

no V.

Il convento dei Celestini annesso alla

chiesa, cessò di funzionare nel 1799 e

dal 1826 vi ha sede il conservatorio di

San Pietro a Majella, nato dalla fusione

di altri quattro conservatori storici del-

la città (Santa Maria di Loreto, Pietà

dei Turchini, Sant'Onofrio a Capuana e

Poveri di Gesù Cristo).

I chiostri del complesso sono due: il

primo risale al 1660 circa e da esso,

tramite un corridoio sulla destra, si

giunge al secondo minore, che dà ac-

cesso alla biblioteca ed al museo del

conservatorio di San Pietro a Majella,

che conserva una sezione dedicata agli

strumenti storici, dei manoscritti rari e

ritratti e busti di musicisti celebri.

La cappella Sansevero (detta an-

94

che chiesa di Santa Maria della Pie-

tà o Pietatella) è tra i più importanti

musei di Napoli. Situata nelle vicinanze

della piazza San Domenico Maggiore,

questa chiesa, oggi sconsacrata, è atti-

gua al palazzo di famiglia dei principi

di Sansevero, da questo separata da un

vicolo una volta sormontato da un pon-

te sospeso che consentiva ai membri

della famiglia di accedere privatamen-

te al luogo di culto

velo marmoreo che quasi si adagia sul

Cr isto morto, la Pudic iz ia e

il Disinganno, ed è nel suo insieme un

complesso singolare e carico di signifi-

cati. Essa ospita anche numerose altre

opere di pregiata fattura o inusua-

li, come le macchine anatomiche, due

corpi totalmente scarnificati dove è

possibile osservare, in modo molto det-

tagliato, l'intero sistema circolatorio.

Oltre ad essere stato concepito come

luogo di culto, il mausoleo è soprattut-

to un tempio massonico carico di sim-

bologie, che riflette il genio e il cari-

sma di Raimondo di Sangro, settimo

principe di Sansevero, committente e

allo stesso tempo ideatore dell'appara-

to artistico settecentesco della cappel-

la.

La Cappella Sansevero è un concentra-

to di opere scultoree e pittoriche, e la

prima che si nota appena entrati nell'e-

dificio è l'affresco che ne orna il soffit-

to, noto come Gloria del Paradiso o

il Paradiso dei Sangro, opera del poco

conosciuto pittoreFrancesco Maria Rus-

so che, come riportato nell'affresco

stesso, lo realizzò nel 1749. Di esso

colpisce, a distanza di due secoli e

mezzo dalla realizzazione, la brillan-

tezza dei colori, anche in questo caso

dovuti all'inventiva di Raimondo di San-

gro ed alla sua pittura definita

«oloidrica»

L'affresco del soffitto termina, in corri-

spondenza delle finestre, con sei meda-

glioni monocromi, in verde, con i Santi

protettori del Casato: San Berardo di

Teramo, San Berardo cardinale dei Mar-

si, Santa Filippa Mareri, San Oderisio,

San Randisio eSanta Rosalia.[45]

Al di sotto di questi, in corrispondenza

degli archi delle sei cappelle più vicine

all'altare, sono presenti sei medaglioni

marmorei, opera di Francesco Queirolo,

con le effigi di sei cardinali originari

della famiglia di Sangro.[46]

Per l'impianto statuario, il Principe

chiamò l'ottantaquattrenne Antonio

Corradini, veneto e massone, che riuscì

però ad ultimare solo le statue del-

la Pudicizia (dedicata alla madre pre-

maturamente scomparsa del principe

Raimondo),[22] delDecoro e il monu-

mento dedicato a Paolo di Sangro sesto

principe di Sansevero, oltre a lasciare

alcuni bozzetti per altre opere. Tra

queste figura il Cristo velato, la cui

realizzazione passò poi a Giuseppe San

Page 48: Non è la solita guida

95

Martino.

Chiesa San Domenico Maggiore

La chiesa di San Domenico Maggiore si

trova in Piazza San Domenico Maggiore.

Fu costruita per volere di Re Carlo

d’Angiò, a partire dal 1283, anno in cui

fu posta la prima pietra, mentre i lavo-

ri proseguirono fino al 1324 sotto la

direzione degli architetti Francesi Pier-

re de Chaul e Pierre d’Angicourt. La

consacrazione a San Domenico era già

avvenuta nel 1255 per volere di Papa

Alessandro IV, visto che sin dal 1231 i

Domenicani, non disponendo di una

sede in città, si stabilirono nel mona-

stero della preesistente struttura dedi-

cata a San Michele Arcangelo a Morfisa.

Lo stile con cui fu eretta la chiesa ri-

specchia i canoni gotici (tre navate,

cappelle laterali, abside poligonale e

ampio transetto), con la particolarità

di essere rivolta in senso opposto alla

piazza. Infatti, da essa si può vedere il

retro dell’abside, nel quale, in periodo

aragonese, fu aperta un’entrata secon-

d a r i a .

Nei secoli successivi la struttura origi-

naria è stata alterata anche a causa di

restauri resisi necessari a seguito di

terremoti o incendi. Nel periodo rina-

scimentale (XVI secolo) furono avviati i

primi lavori, ma fu nel Seicento che si

ebbero le trasformazioni più significati-

ve: in questo periodo, infatti, venne

sostituito il pavimento con quello pro-

gettato da Domenico Antonio Vaccaro, i

cui lavori proseguirono fino al XVIII

s e c o l o .

All’inizio del XIX secolo, tra il 1806 e il

1815, Gioacchino Murat decise di ri-

muovere i Domenicani dalla tutela del

complesso monumentale per farne

un’opera pubblica. Questo provocò

danni alla biblioteca e al patrimonio

artistico, accentuati ancor di più

dall’ennesimo restauro affidato a Fede-

rico Travaglini. La struttura subì altri

danni pochi anni dopo quando, con la

soppressione degli ordini religiosi (1865

-1885), i frati dovettero abbandonare

di nuovo la città e gli edifici religiosi

restaurati per adattarsi ad alcuni cano-

n i i m p o s t i a l l ’ e p o c a .

Infine, in epoca moderna, i restauri del

1953 furono eseguiti per eliminare i

segni del bombardamento avvenuto

dieci anni prima. In questa occasione

vennero ricostruiti il soffitto a casset-

toni, i tetti, le parti di alcune cappelle,

il pavimento, l’organo settecentesco e

vennero riportati alla luce anche alcuni

affreschi di Pietro Cavallini. In seguito,

nel 1991, venne restaurata la scala che

conduce all’abside e la porta marmo-

r e a .

Oltre alle opere in essa conservata, la

chiesa custodiva anche la Flagellazione

del Caravaggio e l’Annunciazione di

96

Tiziano (Traslate al museo di Capodi-

monte), la Madonna del Pesce di Raf-

faello (portata in spagna dal vicerè

duca di Medina ed esposta al Museo del

Prado di Madrid), due Santi di Guido

Reni (scomparsi) e la Madonna col Bam-

bino e San Tommaso D’Aquino di Luca

Giordano (rubata).

Chiesa del Gesù nuovo

La chiesa del Gesù Nuovo o Trinità Mag-

giore è una delle più importanti chie-

se basilicali di Napoli; si erge in piazza

del Gesù Nuovo ed è situata ad ovest

dell'antico decumano inferiore.

La chiesa venne così chiamata per di-

stinguerla dalla vecchia chiesa del Ge-

sù. All'interno vi è inoltre custodito il

corpo di san Giuseppe Moscati e le sue

stanze private dentro le quali soggior-

nava.

Successivamente, suo figlio Roberto

ottenne il perdono dal re di Spagna e la

famiglia poté tornare nel palazzo dove

tenne in seguito le celebri “accademie”

che ne furono vanto. Ospite del palazzo

fu l'Aretino, che vi incontrò i letterati

napoletani Scipione Capece ed Antonio

Mariconda.

Ai tempi di Ferrante Sanseveri-

no ed Isabella il palazzo era celebre

per la bellezza dei suoi interni, le sale

affrescate, lo splendido giardino. Era

inoltre un punto di riferimento per la

c u l t u r a n a p o l e t a -

na rinascimentale e barocca nella per-

sona di Bernardo Tasso, segretario di

don Ferrante. Quando nel 1536 Carlo

V venne a Napoli, reduce dalle sue im-

prese d'Africa (conquista di Tunisi),

Ferrante lo accolse nel suo palazzo,

organizzando in suo onore una festa

sfarzosissima rimasta celebre nelle

cronache dell'epoca.

Sotto il viceregno di don Pedro di Tole-

do, nel 1547 fu tentato di introdurre a

Napoli l'inquisizione spagnola; il popolo

si ribellò e Ferrante Sanseverino so-

stenne l'opposizione popolare[1]. Pur

riuscendo ad impedire questa grave

iattura per Napoli, tuttavia egli non

poté evitare la vendetta degli spagnoli

che gli confiscarono tutti i suoi beni e

lo obbligarono nel 1552 ad andare in

esilio.

Passati i beni dei Sanseverino al fisco e

messi in vendita per volontà di Filippo

II, nel 1584 il palazzo con i suoi giardini

fu venduto ai gesuiti.

Entrati in possesso del palazzo, i Gesui-

ti incaricarono della ristrutturazione di

tutto il complesso i loro confratel-

li Giuseppe Valeriano e Pietro Provedi.

Essi sventrarono completamente il son-

tuoso palazzo, non risparmiando né le

splendide sale né i giardini; le uniche

parti che si salvarono furono

la facciata a bugne[2] (riadattata alla

chiesa) ed il portale marmoreo rinasci-

Page 49: Non è la solita guida

97

mentale. La consacrazione avvenne il 7

ottobre 1601.

Tra il 1693 e il 1695 si procedette ai

lavori di ricostruzione e completamen-

to della chiesa: la cupola fu ricostruita

da Arcangelo Guglielmellie l'originale

portale marmoreo rinascimentale fu

arricchito con due colonne, due angeli

e lo stemma dei Gesuiti "IHS".

Nel 1717 tutto il complesso fu rinforza-

to, su progetto di Ferdinando Fuga, con

l'erezione di contropilastri e sottar-

chi. Paolo De Matteis inoltre dipinse

nella cupola ricostruita una Gloria della

Vergine, affresco che tuttavia fece

rimpiangere il perduto Paradiso del

Lanfranco. Nel 1725 il cantiere del Ge-

sù Nuovo si può dire concluso.

Nel 1767, dopo che i Gesuiti furono

banditi dal regno di Napoli, la chiesa

passò ai francescani riformati, che però

rimasero poco per l'incerta statica

dell'edificio. Nel 1774 a causa di un

secondo parziale crollo della cupola,

questa venne totalmente abbattuta,

mentre la chiesa rimase chiusa per

c i r c a t r e n t ' a n n i .

Nel 1786 l'ingegnere Ignazio di Nardo si

dedicò alla copertura della chiesa: la

cupola venne sostituita con una falsa

cupola a calotta schiacciata ("scodella")

che oggi si presenta dipinta con un

cassettonato prospettico; la copertura

della chiesa invece venne provvista con

un tetto a capriate.

Nel 1804 i Gesuiti furono riammessi nel

regno, ma nuovamente espulsi durante

il periodo francese dal 1806 al 1814.

Rientrati i Borboni, nel 1821 la chiesa

tornò in possesso della Compagnia di

Gesù. Tuttavia, nel 1848 e 1860 i Ge-

suiti furono nuovamente allontanati.

L'8 dicembre del 1857, l'altare maggio-

re ideato dal gesuita Giuseppe Grossi fu

ultimato e la chiesa dedicata all'Imma-

colata Concezione. Nel1900 l'ordine dei

Gesuiti poté rientrare definitivamente.

La chiesa subì gravi danni durante

la seconda guerra mondiale a causa di

alcuni attacchi aerei. Durante uno di

questi bombardamenti, una bomba che

cadde proprio sul soffitto della navata

centrale rimase miracolosamente ine-

splosa. Oggi la bomba è esposta all'in-

terno della chiesa.

Nel 1975 la chiesa è stata nuovamente

restaurata sotto la direzione di Paolo

Martuscelli; i lavori furono seguiti an-

che dal padre gesuita Antonio Voli-

no che ha provveduto tra l'altro all'en-

nesima riparazione della pseudocupola.

Dal 1976 al 1984, infine, il complesso

fu utilizzato per rappresentare il rove-

scio della 10.000 lire, in cui figurava

appunto parte della facciata a bugne

della chiesa e la parte inferiore della

98

barocca guglia dell'Immacolata che

caratterizza l'omonima piazza.

La facciata di palazzo Sanseverino di-

venne la facciata della chiesa. Essa è

caratterizzata da particolari bugne,

una sorta di piccole piramidi aggettanti

verso l'esterno, normalmente usate

dal Rinascimento veneto e del tutto

sconosciute nel Meridione. Queste pre-

sentano degli strani segni incisi dai

“taglia pietra” napoletani che avevano

sagomato la dur iss ima pietra

di piperno, segni che tradizionalmente

erano interpretati come caratterizzanti

le diverse squadre di lavoro in cui essi

erano suddivisi.

Anche il portale marmoreo è di Palazzo

Sanseverino e risale agli inizi del XIV

s e c o l o . P e r ò

nel 1685 i Gesuiti apportarono alcune

modifiche ai fini bassorilievi alle men-

sole su cui poggia il fregio superiore e

al cornicione: aggiunsero lateralmente

due colonne prolungando la cornice ed

il frontone fu spezzato per inserirvi uno

scudo ovale che ricorda la generosità

della principessa di Bisignano, Isabella

Feltria della Rovere. Alla sommità late-

rale furono apposti gli stemmi dei San-

severino e dei della Rovere e sull'archi-

trave un altro fregio con cinque testine

che sorreggono dei festoni di frutta.

I finestroni e le porte minori furono

disegnati da un altro architetto gesui-

ta, il Proveda. Il Valeriani, del palazzo

patrizio, riuscì a preservare solo la fac-

ciata a bugne, sacrificando il cortile

porticato, le ricche sale affrescate e i

giardini. In effetti, anche se il bugnato

della chiesa è bellissimo, non armoniz-

za con il portale classico e i due ele-

menti insieme danno un risultato archi-

tettonicamente privo di omogeneità.

I portali minori sono cinquecenteschi:

la decorazione dei battenti con lamina

metallica fu eseguita a cavallo tra

il XVII e il XVIII secolo.

L'interno barocco, a croce greca con

braccio longitudinale lievemente allun-

gato, presenta una ricca decorazione

marmorea realizzata dal Fanza-

go nel 1630. Sulle controfacciate sono

presenti affreschi di Francesco Solime-

na (navata centrale) e della sua scuola

(laterali), mentre le volte a botte sono

dipinte da Belisario Corenzio e da Paolo

De Matteis.

La tribuna è affrescata da Massimo

Page 50: Non è la solita guida

99

Stanzione; nel transetto si osservano

affreschi di Sant'Ignazio di Loyola e San

Francesco Saverio, opera di Belisario

Corenzio e ridipinti da Paolo De Mat-

teis.

La cupola, ricostruita da Ignazio di Nar-

do e consolidata da una struttura

in calcestruzzo armato, presenta una

calotta sferica scandita dalle finestre

lunettate; le decorazioni in stucco ri-

prendono il motivo del cassettonato e

nei pennacchi della falsa cupola ci sono

resti affrescati nel primo Seicento

da Giovanni Lanfranco.

La basilica di Santa Chiara, con l'adia-

cente complesso monastico, entrambi

conosciuti anche come monastero di

Santa Chiara, è un edificio di culto

di Napoli.

Edificato tra il 1310 e il 1340 su un

complesso termale romano del I seco-

lo d.C., per volere di Roberto d'Angiò e

della regina Sancha d'Aragona, nei

pressi dell'allora cinta muraria occiden-

tale, oggi piazza del Gesù Nuovo, al

convento faceva parte anche

il complesso delle Clarisse, oggi luogo

di culto a sé.[2]

Si tratta della più grande basili-

ca gotica della città.

Voluta da Roberto d'Angiò e sua mo-

glie Sancia di Maiorca, fu chiamato

all'edificazione della chiesa l'architet-

to Gagliardo Primario che avviò i lavori

nel 1310 e li terminò nel 1328, per

aprire al culto definitivamente

nel 1330. La chiesa, costruita in forme

gotiche provenzali, assurse ben presto

a una delle più importanti di Napoli.[2]

Nella basilica di Santa Chiara, il 14

agosto 1571, vennero solennemente

consegnate a don Giovanni d'Austria, il

vessillo pontificio di Papa Pio V ed il

bastone del comando della coalizione

cristiana prima della partenza della

flotta della Lega Santa per la battaglia

di Lepantocontro i Turchi Ottomani.

Lepanto, una delle più grandi battaglie

navali della storia, fu un momento fon-

damentale per la salvezza della Cristia-

nità e del mondo occidentale.

Nel 1590 fu a lungo custode del regio

monastero di S. Chiara, Antonino da

Patti, autore di varie grazie e miracoli

sui malati, diverrà Venerabile.

Tra il 1742 e il 1796 venne ampiamente

r i s t r u t t u r a t a i n f o r -

me barocche da Domenico Antonio Vac-

caro e Gaetano Buonocore. Gli interni

furono abbelliti con opere di Francesco

de Mura,Sebastiano Conca e Giuseppe

Bonito; mentre Ferdinando Fuga eseguì

il pavimento decorato.[3]

Durante la seconda guerra mondiale un

bombardamento degli Alleati del 4 ago-

sto 1943 provocò un incendio durato

quasi due giorni che distrusse l'interno

della chiesa quasi interamente, per-

dendo così tutti gli affreschi eseguiti

100

n e l X V I I I s e c o l o .

[2] Nell’ottobre 1944 Padre Gaudenzio

Dell'Aja fu nominato "rappresentante

dell'Ordine dei Frati Minori per i lavori

di ricostruzione della basilica", alla cui

ricostruzione partecipò in prima perso-

na. In seguito, i massicci e discussi la-

vori di ristrutturazione riportarono la

basilica all'aspetto originario trecente-

sco omettendo in questo modo il ripri-

stino delle aggiunte settecentesche. I

lavori terminarono definitivamente

nel 1953 e la chiesa fu riaperta al pub-

blico.

La basilica di Santa Chiara sorge sul

lato nord-orientale di piazza del Gesù

Nuovo, di fronte alla chiesa omonima,

ed ha il suo ingresso suvia Benedetto

Croce. Questo è costituito da un grande

portale gotico del XIV secolo, con arco

ribassato e lunetta priva di decorazio-

ni, sormontata da un'unghia aggettante

d i l a s t r e d i p i p e r n o .

Il sagrato antistante la chiesa è recin-

tato da un alto muro.

La facciata presenta una struttura a

capanna ed è preceduta da un pronao a

tre arcate ogivali, di cui quella centra-

le inquadra il portale di marmi rossi e

gialli con lo stemma di Sancha. In alto,

al centro, si apre il rosone, il quale è

stato in gran parte reintegrato durante

la ricostruzione.

Alla sinistra della chiesa, si eleva

la torre campanaria trecentesco, in

seguito restaurata in stile barocco. Il

campanile è a pianta quadrata e si arti-

cola su tre ordini separati da cornicioni

marmorei. Mentre l'ordine inferiore ha

un paramento in blocchi di pietra, i due

super io r i sono in mattonc in i

con lesene marmoree, tuscaniche in

quello inferiore e ioniche in quello su-

periore.

Tra il 1742 e il 1762 l'aspetto gotico fu

c e l a t o d a d e c o r a z i o -

ni barocche progettate da Domenico

Antonio Vaccaro, Gaetano Buonocore e

da Giovanni del Gaizo. La volta fu de-

c o r a t a d a s t u c c h i

e affreschi di Francesco De Mu-

ra, Giuseppe Bonito, Sebastiano Con-

ca e Paolo de Maio. Il bombardamen-

to alleato del 1943 distrusse il tetto e

la decorazione barocca, mentre le

opere scultoree furono totalmente o

parzialmente danneggiate; quelle so-

pravvissute, dopo la ricostruzione, fu-

rono spostate in un altro luogo, tranne

il pavimento disegnato da Ferdinando

Fuga.

L'interno risulta attualmente formato

da un'unica navata rettangolare, disa-

dorna e senza transetti, con dieci cap-

pelle per lato. Nella zona presbiteriale

Page 51: Non è la solita guida

101

sono posti sulla parete di fondo

il sepolcro di Roberto d'Angiò, opera

dei fiorentini Giovanni e Pacio Bertini.

Ai lati del sepolcro del re ci sono quelli

di Maria di Durazzo (a sinistra) e del

primogenito Carlo, Duca di Calabria (a

destra), databili 1311-1341 con il primo

attribuito ad ignoto maestro durazze-

sco, mentre il secondo a Tino di Camai-

n o . S u l l a p a r e t e s i n i s t r a

del presbiterio invece vi è il Sepolcro di

Maria di Valois, databile 1331 ed an-

ch'esso del Camaino. Di fronte ai monu-

menti funebri invece vi è il trecentesco

altare maggiore di autore ignoto, con

un crocifisso ligneo del XIV secolo, di

ignoto autore probabilmente senese. A

destra del presbiterio vi è l'accesso alla

barocca sagrestia con affreschi e arredi

mobiliari risalenti al 1692; in una sala

adiacente si può ammirare un panno

ricamato del XVII secolo. Altri due am-

bienti di passaggio, il primo decorato

da maioliche del XVIII secolo e il secon-

do con affreschi di un pittore fiammin-

go del XVI secolo, si passa di fronte ad

una scalinata chiusa al pubblico che

sale al convento e quindi, per un porta-

le gotico, si accede al "Coro delle mo-

nache".

Sulla controfacciata si trova al lato

sinistro il Sepolcro di Agnese e Clemen-

za di Durazzo, opera di Antonio Baboc-

cio da Piperno, sulla destra invece resti

di un affresco vicino a Giotto.

Nelle venti cappelle ci sono principal-

mente sepolcri monumentali realizzati

tra il XIV e il XVII secolo, appartenenti

ai personaggi di nobili famiglie napole-

tane.

A sinistra, nella prima cappella c'è la

tomba di Salvo D'Acquisto. Nella quinta

cappella, di san Francesco d'Assisi, si

trovano alle pareti laterali due sarcofa-

gi della famiglia Del Balzo, con a sini-

stra Raimondo ed a destra la moglie

Isabella. Sulla parete frontale invece vi

è una scultura raffigurante San France-

sco d'Assisi, opera seicentesca attribui-

ta ad un seguace di Annibale Caccavel-

lo circondata da medaglioni marmorei

raffiguranti altri componenti della fa-

miglia Del Balzo. La volta presenta de-

102

corazioni barocche tipiche del XVII se-

colo. La sesta cappella, dedicata a San-

ta Maria degli Angeli, presenta sepolcri

della famiglia De Vivo Piscicelli e due

bassorilievi trecenteschi con il Martirio

della moglie di Massenzio.

La prima cappella a destra ospita sulle

pareti laterali monumenti funebri tre-

centeschi del Cavaliere del No-

do e Antonio Penna, quest'ultima opera

di Antonio Baboccio da Piperno. Sulla

parete frontale invece tracce di affre-

schi di scuola giottesca. La seconda

cappella ospita un affresco di ignoto

pittore locale post giottesco e monu-

menti sepolcrali della famiglia Del Bal-

zo. La terza e la quarta cappella sono

congiunte ed ospitano, la prima, un

dipinto settecentesco di San Pietro

d'Alcantara (a cui è dedicata la cappel-

la) ed un sepolcro monumentale di

ignota nobildonna di pregevole fattura

attribuito al Maestro durazzesco, la

seconda, dedicata invece a Sant'Anto-

nio da Padova, un dipinto sul santo di

ignoto autore seguace di Luca Giorda-

no, decorazioni marmoree sepolcrali

sulla famiglia Carbonelli di Letino. La

settima cappella ospitava sulla parete

di sinistra, fino ai rifacimenti barocchi,

il sepolcro di Ludovico di Durazzo, fi-

glio di Carlo di Calabria e Maria di Du-

razzo, morto in tenera età. Dai lavori

settecenteschi, del monumento trecen-

tesco di Pacio Bertini rimane superstite

solo l'altorilievo raffigurante un bambi-

no in fasce portato in cielo da angeli.

Sulla parete frontale invece vi è una

pala d'altare, da cui prende il nome la

c appe l l a , d i Ma r co da S i e -

na raffigurante l'Adorazione di Gesù

Bambino. Fa storia a sé la nona cappel-

la a destra che ha conservato la strut-

tura barocca ed è attualmente

il sepolcreto ufficiale dei Borbone, do-

ve riposano i Sovrani delle Due Sicilie,

da Ferdinando I a Francesco II.

Chiesa di Sant’ Anna dei Lombardi

La chiesa di Sant'Anna dei Lombar-

di (detta anche Santa Maria di Monteo-

liveto) si trova a Napoli, in piazza Mon-

teoliveto.

La chiesa venne fondata nel 1411 da

Gurello Aurilia, Protonotario del

re Ladislao di Durazzo, che patrocinò la

costruzione di una piccola chiesa detta

di Santa Maria di Monteoliveto, affidata

ai padri Olivetani. La fabbrica fu sotto-

posta a radicali lavori di ampliamento

da parte di Alfonso I di Napoli e ben

presto divenne tra le favorite della

corte Aragonese. Nel XVII secolo la

chiesa fu trasformata in st i-

le barocco da Gaetano Sacco.

Nel 1798 Ferdinando I delle Due Sici-

lie dispose l'allontanamento degli olive-

tani.

Il 26 luglio 1805 la chiesa di Sant'Anna

Page 52: Non è la solita guida

103

d e i L o m b a r d i , p r o g e t t a t a

nel 1582 dal lombardo Domenico Fonta-

na, situata nell'omonima via tra

il palazzo Ventapane e il palazzo Cara-

fa di Maddaloni, già ferita dalla caduta

del tetto nel 1798, crollò in gran parte

a causa di un terremoto ed in quest'oc-

casione andarono dispersi tre dipinti

del Caravaggio, che erano stati eseguiti

appositamente per Alfonso Fenaroli

(nobile bresciano) per ornare la sua

cappella: il San Francesco in meditazio-

ne, il San Francesco che riceve le stim-

mate ed una Resurrezione;[1] di que-

st'ultima, il pittore fiammingo Louis

Finson (o Finsonius) realizzò una copia

oggi ad Aix-en-Provence.[1]

L'arciconfraternita dei Lombardi si spo-

stò allora nella chiesa di Monteoliveto

che in questa occasione fu ridenomina-

ta in Sant'Anna dei Lombardi.

La chiesa è ricordata in genere perché

t e s t i m o n i a l ' i n t e r e s s e c h e

in Napoli suscitarono fermenti artistici

sviluppatisi nel rinascimento fiorentino,

soprattutto dal punto di vista architet-

tonico. Le grandi cappelle a pianta

centrale rimandano chiaramente alle

analoghe costruzioni fiorentine e l'in-

tervento di Benedetto da Maiano è da

mettere in relazione alle cappel-

le Piccolomini e Correale.

La navata verso la controfacciata

Il resto dell'edificio si presenta invece

nella veste che le fu data nel XVII seco-

lo, sacrificando l'originaria in sti-

le gotico, di cui rimangono alcune fine-

stre tamponate visibili all'esterno, sui

lati, e l'atrio, in piperno caratterizzato

dall'arco a sesto ribassato tipico

del tardogotico napoletano, ricostruito,

comunque, dopo i bombardamenti nel

1943.

D a r i c o r d a r e i n o l t r e c h e

il presbiterio fu aggiunto nel XVI seco-

lo e che all'interno vi è una vera e pro-

pr ia antolog ia de l la scu ltura

del Quattrocento e del Cinquecento.

Sono infatti presenti opere di Guido

Mazzoni, Antonio Rossellino, Benedetto

da Maiano, Giovanni da Nola, Pedro

Rubiales e molti altri. Nell'atrio gotico

è invece conservata l'edicola sepolcrale

di Domenico Fontana, costruita

nel 1627 dai figli Sebastiano e Giulio

Cesare Fontana e proveniente dalla

distrutta chiesa di Sant'Anna, mentre

l'altare maggiore fu eseguito su disegno

d i G i o v a n D o m e n i c o V i n a c -

cia da Bartolomeo e Pietro Ghetti.

La controfacciata ospita nella parte

superiore l'organo "F.lli Lingiardi di

Pavia" (1904) e nella parte inferiore gli

altari Ligorio e Del Pezzo.

La facciata della chiesa è composta da

un arco in piperno; l'interno è

a navata centrale con copertura

a botte e cupola e cinque cappelle a

104

lato, più altre due laterali all'abside.

Appena entrati nell'edificio, si ammira-

no ai lati l'altare gentilizio della fami-

glia de Liguoro (1532) e l'altare della

famiglia del Pezzo (1524).

Tra le cappelle, tutte rinascimentali,

spiccano la cappella Correale (con ar-

chitettura ispirata alla maniera

di Giuliano da Maiano in cui trovano

alloggio sculture di Benedetto da Maia-

no), la cappella Tolosa (di Giuliano da

Maiano con sculture dei Della Robbia e

affreschi diCristoforo Scacco di Verona)

e la cappella Piccolomini; nelle altre

invece ci sono tombe della nobiltà na-

poletana del XV secolo e tutte sono

decorate da affreschi di Giuseppe Si-

monelli, di Baldassarre Aloisi, Nicola

Malinconico, Annibale Caccavel-

lo, Francesco Solimena e altri.

Basilica Reale pontificia di San France-

sco di Paola

La basilica reale pontificia di San Fran-

cesco d i Paola è una ch ie-

sa basilicale tra le più caratteristiche e

celebri di Napoli.

L'edificio è situato al centro del lato

curvo di piazza del Plebiscito, davanti

al palazzo Reale. Si tratta della più

importante chiesa italiana del perio-

do neoclassico.

Nel 1809 Gioacchino Murat ordinò la

demolizione degli antichi conventi del

"Largo di Palazzo", attuale piazza del

Plebiscito, e bandì un pubblico concor-

so per la realizzazione di una nuova

piazza. In un primo tempo fu affidata

all'architetto Leopoldo Laperuta, ma

questi non andò oltre alla costruzione

delle fondamenta.

Nel 1815 il re Ferdinando I delle Due

Sicilie decise l'edificazione della basili-

ca come ringraziamento a san France-

sco di Paola per la riconquista del re-

gno. Nel 1817 l'incarico fu affidato

all'Accademia di San Luca nella persona

dell'architetto svizzero Pietro Bian-

chi di Lugano, il quale mostrò nella

realizzazione della nuova chiesa grandi

qualità ingegneristiche, attestate dalla

solidità dell'opera e dall'intelligenza

delle soluzioni tecniche[2]. Al Bianchi

si deve anche la costruzione dell'ampio

portico a emiciclo sorretto da 38 colon-

ne giganti di ordine dorico[3], che fron-

teggiano Palazzo Reale e si rifanno alla

tradizione antica delle piazze portica-

te, luogo delle attività politiche, eco-

nomiche, sociali e culturali della città.

Page 53: Non è la solita guida

105

I lavori furono ultimati nel 1824, ma

solo nel 1836 la chiesa venne inaugura-

ta da papa Gregorio XVI, che le conferì

il titolo di basilica, la rese indipenden-

te dalla curia arcivescovile di Napoli e

concesse il privilegio ai suoi ministri di

officiare con l'altare rivolto verso i fe-

deli.

La chiesa, per la sua forma circolare,

ricorda il Pantheon di Roma. La faccia-

ta è preceduta da un pronao formato

da sei colonne e due pilastri di ordine

ionico, che reggono un architrave sul

quale è scolpita la dedica:

I l p r on a o è s o rm o n t a t o d a

un timpano classicheggiante ai cui ver-

tici sono collocate le statue raffiguranti

la Religione, tra San Francesco di Pao-

la a sinistra, titolare della chiesa, e San

Ferdinando, a destra, in onore del re

Ferdinando. Il pronao è accessibile sia

dal porticato, che dalla scalinata che

sale dalla piazza. Nel porticato si tro-

vano le statue delle quattro virtù cardi-

nali e delle tre virtù teologali, mentre

ai lati della scalinata avrebbero dovuto

essere collocate due statue raffiguranti

la Pietà e la Costanza, che simboleggia-

vano le virtù manifestate dal re e

da Ferrante d'Aragona: al loro posto si

decise invece di collocare le due statue

equestri nella piazza, raffiguranti il re

Ferdinando (opera di Antonio Canova) e

il padre, Carlo III di Spagna (opera

di Antonio Calì).

La chiesa è sormontata da tre cupole:

quella centrale, alta 53 metri, è stata

costruita su un alto ed ampio tamburo.

Si entra in un atrio, fiancheggiato da

due cappelle; in quella a destra vi è

un'opera giovanile di Luca Giordano,

con Sant'Onofrio Orante.

Al centro la rotonda, dal diametro di 34

m, è coperta dalla cupola sorretta da

34 colonne di ordine corinzio alte 11 m

e con fusti in marmo di Mondragone,

alternate ad altrettanti pilastri.

Lungo le pareti, da destra, vi sono otto

statue: San Giovanni Crisostomo opera

di Gennaro Calì, Sant'Ambrogio di Tito

Angelini, San Lucadi Antonio Calì, San

Matteo, di Carlo Finelli, San Giovanni

Evangelista, di Pietro Tenerani, San

M a r c o d i G i u s e p p e d e F a -

bris,Sant'Agostino di Tommaso Ar-

naud e Sant'Attanasio di Angelo Solani.

Sopra il colonnato invece vi sono poste

le tribune di corte.

Agli altari delle cappelle si trovano, da

destra, i seguenti dipinti: San Nicola da

Tolentino e San Francesco di Paola che

riceve da un angelo lo stemma della

carità, di Nicola Carta, l'Ultima comu-

nione di San Ferdinando di Casti-

glia di Pietro Benvenuti, il Transito di

San Giuseppe diCamillo Guerra, l'Imma-

colata e morte di Sant'Andrea Avelli-

no di Tommaso de Vivo.

L'altare maggiore, ricco di lapislazzuli e

106

di pietre preziose, opera di Anselmo

Cangiano del 1641, fu qui trasferito

nel 1835 dalla chiesa dei Santi Apostoli.

Ai lati due Angeli Teofori in cartapesta

dorata.

Nell'abside San Francesco di Paola resu-

scita un morto, tela di Vincenzo Ca-

muccini. Nella sagrestia, l'Immacola-

ta di Gaspare Landi e laCirconcisio-

ne di Antonio Campi.

L'ipogeo della basilica riproduce in ma-

niera più ridotta le caratteristiche del-

la basilica di superficie. La basilica

sotterranea, dalla quale sono partiti i

lavori di restauro dell'intero complesso

monumentale da parte del Provvedito-

riato alle Opere pubbliche (2013), co-

stituisce una precoce soluzione volta a

reggere l'impostazione della struttura

in oggetto.

Chiesa di Sant’ Antonio a Posillipo

La chiesa di Sant'Antonio a Posillipo è

una chiesa santuario di Napoli; ubicata

nel quartiere omonimo, è raggiungibile

sia dalle rampe di Sant'Antonio (dette

anche Tredici discese di Sant'Antonio),

sia dalla via Minucio Felice. Si può rag-

giungere la chiesa anche con la funico-

lare da Mergellina, scendendo alla pri-

ma fermata Sant'Antonio.

La fondazione della chiesa risale

al 1642 ed avvenne in un sito all'epoca

scarsamente urbanizzato della città,

costituito da quattro villaggi rurali col-

legati con la zona di Mergellina da

un'antica strada greco-romana.

I frati conventuali del terz'ordine vi

fondarono una chiesetta ed un piccolo

convento che ebbe nei primi anni la

funzione di sanatorio. Sulla lapide di

fondazione di leggeva:

Le mura dell'antica cappella sono oggi

individuabili in corrispondenza dell'at-

tuale sacrestia, così come i locali del

convento originario sono riscontrabili

nei locali denominati dell ' "ex -

monastero".

Nel 1603 fu iniziato l'ampliamento della

strada che portava al convento, mante-

nendo lungo il suo percorso parte delle

a n t i c h e v e s t i g i a r o m a n e

(pavimentazione romana) [1] e venen-

do così a costituire un mezzo più age-

vole per i pellegrini che dalla città in-

tendevano raggiungere l'edificio; la

strada, già salita di Santa Maria delle

Grazie, venne così indicata come ram-

pe di Sant'Antonio a Posillipo.

Page 54: Non è la solita guida

107

La chiesa nel frattempo assurse al tito-

lo di santuario antoniano, prendendo

negli anni una forma a navata unica

con tre cappelle laterali per ciascun

lato ed il convento fu allargato.

La fabbrica della sacrestia fu avviata

nel 1750, mentre quattro anni dopo fu

l a v o l t a d e l l ' e d i f i c a z i o n e

del campanile a pianta rettangolare

con cella campanaria ottagonale e bel-

la cuspide in stile barocco; il chiostro

del convento fu ultimato nel 1775.

La successiva soppressione degli ordini

religiosi, in epoca napoleonica, fece sì

che la chiesa passasse al demanio e

fosse destinata ad usi civili, sebbene

affidata ad un rettore, ex-domenicano

scampato ai fatti del 1799.

Nel 1824 il complesso fu affidato

ai domenicani di San Domenico Maggio-

re, anche grazie all'intervento di

re Ferdinando II di Borbone che era in

ottimi rapporti con l'ordine religioso.

Nel 1883 vi furono dei lavori di restauro

che interessarono le cisterne dell'acqua

e l'impianto originario che collegava il

complesso all'antico acquedotto greco,

oltre alla risistemazione delle celle dei

frati.

Nel 1944 l'arcivescovo Alessio Ascale-

si stabilisce nella chiesa, posta al di

fuori delle mura conventuali, la costi-

tuzione di una parrocchia che andrà

assumendo sempre maggior importanza

negli anni anche grazie al nuovo asset-

to urbanistico della zona (la costruzio-

ne del piazzale antistante la chiesa da

cui si gode uno spettacolare panorama

sul golfo di Napoli è degli anni sessan-

ta).

Nel 1975-76 vennero eseguiti importan-

ti lavori di restauro e consolidamento e

nel 2000 venne ripresa, in occasione

del periodo giubilare, l'antica tradizio-

ne della processione di sant'Antonio di

Padova, a cui la chiesa è dedicata.

Nella prima cappella a destra è colloca-

to un crocifisso ligneo del XVII secolo;

nella seconda si trova una raffigurazio-

ne di san Nicola di Bari di autore ignoto

della metà del XVII secolo, mentre l'ul-

tima cappella a destra è ornata con

la Vergine della Purità, derivazione

dell'originale conservato in San Paolo

Maggiore di Luis de Morales.

Nell'abside vi è l'altare maggiore poli-

cromo con la statua del santo.

Tra le decorazioni a stucco sono con-

servate due tele del pittore napoleta-

n o G i a c i n t o D i a -

no rappresentanti L'estasi di sant'Anto-

nio, san Raffaele e san Tobiolo.

Certosa San Martino

La certosa di San Martino è tra i mag-

giori complessi monumentali di Napoli;

108

costituisce, in assoluto, uno dei più

riusciti esempi di architettura e arte

barocca insieme alla Reale cappella del

tesoro di San Gennaro. Essa è situata

sulla collina del Vomero, accanto a

castel Sant'Elmo. Nel dicembre 2010 il

decreto n. 851 del Ministero per i Beni

Culturali emesso su proposta della So-

printendenza ai Beni architettonici e

paesaggistici di Napoli e provincia, ha

dichiarato la collina su cui sorge la cer-

tosa “monumento nazionale”[1].

Dal 1866 la certosa ospita il Museo na-

zionale di San Martino.

Nel 1325, sulla sommità del colle, Carlo

duca di Calabria, primogenito

di Roberto d'Angiò, fece erigere il mo-

nastero. Della primitiva soluzione ar-

chitettonica della fabbrica, voluta ac-

canto al castello di Belforte (1325),

rimangono pochissimi elementi: sono

riconoscibili alcune aperture con ar-

chetti in stile catalano che si trovano

nell’ex refettorio, usate probabilmente

come passavivande, venute alla luce in

un recente restauro.

Gli architetti che iniziarono la costru-

zione della Certosa furono i medesimi

che lavoravano negli stessi anni al ca-

stello: Tino di Camaino e Francesco di

Vivo, cui successero nel tempo

ad Attanasio Primario e Giovanni de

Bozza. La certosa fu inaugurata

nel 1368, sotto il regno della regina

Giovanna I, ma i certosini avevano pre-

so possesso del monastero già dal 1337.

Il complesso fu dedicato a Martino di

Tours, probabilmente per la presenza

nel luogo di un'antica cappella preesi-

stente a lui dedicata verso la seconda

metà del secolo XVI, sotto la spinta

della Controriforma la Certosa fu modi-

ficata secondo criteri più moderni e

grandiosi.

I certosini entrarono nel monastero

nel 1337 e la chiesa, nel 1368, fu con-

sacrata sotto il regno di Giovanna d'An-

giò. Alla fine del XVI secolo la certosa

subì rimaneggiamenti e ampliamenti in

stile tardo manierista e barocco. I lavo-

r i v e n n e r o a f f i d a t i

dal 1589 al 1609 al Dosio che fu di fatto

il primo artefice di gran parte delle

trasformazioni ricevute dal complesso.

Dal 1618 al 1625 la direzione del can-

tiere passò a Giovan Giacomo di Con-

forto, mentre dal 1623 al 1656 lasciò la

sua impronta artistica Cosimo Fanzago.

Nella prima metà del XVIII secolo i la-

vori passarono al Tagliacozzi Canale e

a Domenico Antonio Vaccaro.

Nel 1799 i certosini vennero cacciati

per g iacobin ismo, r i tornarono

nel 1804 e dopo un po' (nel 1807) ven-

nero di nuovo espulsi; nel 1836vennero

di nuovo riammessi e infine espulsi

definitivamente nel 1866, quando la

certosa divenne bene monumentale

Page 55: Non è la solita guida

109

proprietà dello Stato.

Sul piazzale c'è la chiesa delle don-

ne opera del Dosio, e ornata da stucchi

nel XVII secolo. A destra è l'ingresso,

nell'androne è situato uno stemma an-

gioino. Dall'ingresso si accede al cortile

d'onore realizzato sempre dal Dosio.

Sulla sinistra prospetta la chiesa tre-

centesca rimaneggiata dal Dosio (che

riadattò il pronao da cinque arcate a

tre arcate ricavandone due cappelle) e

da Cosimo Fanzago (che costrui

una ser l iana per mascherare

la facciata precedente); la parte supe-

riore e le pareti sono del Tagliacozzi

Canale.

Nello spazio tra la serliana e la facciata

ci sono gli affreschi di Micco Spada-

ro, Giovanni Baglione e Belisario Coren-

zio.

La chiesa, a navata unica con sei cap-

pelle (due di esse sono comunicanti con

le prime di destra e di sinistra), presen-

ta un alto livello di decorazione a ca-

vallo tra il XVI secolo e il XVIII secolo.

Cosimo Fanzago è l'autore delle tran-

senne delle cappelle e della decorazio-

ne delle cappelle di San Bruno e

del Battista; sempre del Fanzago sono i

festoni di frutta sui pilastri e quattro

putti marmorei sulle arcate delle cap-

pelle.

Il pavimento marmoreo della navata è

di frà Bonaventura Presti che riutilizzò

alcuni marmi intarsiati dal Fanzago.

Ai lati del portale d'ingresso ci sono due

statue del medesimo Fanzago, che tut-

tavia furono terminate da Alessandro

Rondone; sempre nei pressi del portale

sono collocate due tele di Jusepe de

R i b e r a e s o p r a i l p o r t a l e

una Deposizione di Massimo Stanzione.

La volta è arricchita da un ciclo pittori-

co di Giovanni Lanfranco che maschera

le strutture a crociera della copertura.

Basilica dell’Incoronata Madre del Buon

Consiglio

La basilica dell'Incoronata Madre del

Buon Consiglio e Regina della Cattolica

C h i e s a è l a p i ù r e c e n -

te basilica di Napoli. È stata infatti

voluta e costruita nel XX secolo.

Accanto alla basilica è presente l'in-

gresso alle catacombe di San Gennaro,

antiche aree cimiteriali sotterranee

110

risalenti al II secolo le quali rappresen-

tano il più importante monumento

del cristianesimo a Napoli.

È stata realizzata ad imitazione del-

la basilica di San Pietro a Roma sia ne-

gli esterni (compresa la cupola) che

negli interni, tanto da essere anche

chiamata "La piccola San Pietro".

La chiesa fu fortemente voluta da Ma-

ria di Gesù Landi.

Nata a Napoli il 21 gennaio 1861, già da

bambina dimostrava fervide vocazioni

spirituali. Ella si distinse per la sua

grande devozione alla Madonna del

Buon Consiglio di cui, nel 1884, si fece

dipingere un quadro. Fu molto amata

dal popolo napoletano a seguito di due

miracoli:

secondo la leggenda nel 1884 mostrò al

popolo l'immagine della Madonna del

Buon Consiglio e l'epidemia di colera

che attanagliava Napoli in quel perio-

do, cessò immediatamente;

nel 1906, a seguito di un'eruzione

del Vesuvio, la città era sotto una den-

sa coltre di cenere e numerosi tetti e

solai crollarono; di conseguenza Maria

espose il quadro fuori al balcone di

casa e un raggio di sole lo illuminò.

Qualche giorno dopo l'eruzione cessò e

suNapoli la cenere cominciò a scemare.

Più tardi, ottenne il riconoscimento del

culto, l'incoronazione del quadro e l'ag-

giunta del titolo Regina della Cattolica

Chiesa. Nel frattempo, i pellegrinaggi si

susseguirono numerosi e, ben presto,

sopra le catacombe, venne eretto que-

sto tempio; fatto erigere esattamente

dove le aveva chiesto la Vergine Ma-

ria durante le sue contemplazioni.

La costruzione della basilica è durata

quarant'anni (1920-1960); fu edificata

su progetto dell'architetto Vincenzo

Veccia.

Maria di Gesù Landi morì il 26 mar-

zo 1931, ma la costruzione della basili-

ca proseguì.

Il tempio ha custodito momentanea-

mente dipinti provenienti da altre chie-

se della città dopo il terremoto dell'Ir-

pinia del 1980. Inoltre possiede opere

provenienti da chiese in passato demo-

lite o pericolanti. Il più chiaro esempio

è dato dalle otto statue raffiguranti gli

Apostoli poste sul settecentesco altare

maggiore, sei delle quali sono opera

di Michelangelo Naccherino, mentre le

rimanenti due sono opere diPietro Ber-

Page 56: Non è la solita guida

111

nini e Francesco Cassano. Sono tutte

provenienti dalla demolita chiesa di

San Giovanni dei Fiorentini al rione

Carità.

Sulla controfacciata sono presenti l'In-

coronazione della Vergine di Giovanni

Battista Beinaschi, proveniente dal-

la chiesa di Santa Maria delle Grazie a

Caponapoli, al centro, a sinistra

la Natività di Giovanni Balducci, a de-

stra la Deposizione di Marco Pino. Nelle

cappelle e nelle navate laterali sono

vis ibi l i importanti quadri co-

me Sant'Antonio di Carlo Sellitto, pro-

veniente dalla demolita chiesa di San

Nicola alla Dogana, Santa Maria Madda-

lena della scuola di Andrea Vaccaro,

l'Estasi di san Nicola di Giuseppe Simo-

nelli, proveniente dalla chiesa di San

Nicola dei Caserti, una Vergine attor-

niata da apostoli della scuola

di Fabrizio Santafede. Anche molti ele-

menti architettonici quali altari e pa-

liotti sono provenienti da altre chiese.

La cultura popolare vuole che durante

il sisma del 1980 il busto marmoreo

raffigurante la Madonna posto sulla

sommità della facciata si staccò, ca-

dendo in piedi e senza subire danni. In

realtà la statua, a figura intera, si divi-

se in due parti e la parte superiore, il

busto, cadde dal frontone della chiesa

sulla scalinata senza ferire nessun pas-

sante e si spezzò a sua volta in due

parti, il torso (con il Bambino in brac-

cio) e la testa. Una lastra di pietra po-

sta all'ingresso della basilica ricorda

l'evento e le vicende successive:

Intorno al complesso vi sono

le catacombe di San Gennaro e il parco

di Capodimonte con l'omonima reggia.

Nel piazzale della basilica vi è una nuo-

va ent rata monumenta le a l -

le catacombe di San Gennaro, rappre-

sentata da un grande busto del santo

alto più di 4 metri, per quindici quintali

di peso; l'opera, la più grande del suo

genere presente in città, è stata realiz-

zata da Lello Esposito.

Chiesa di Santa Maria Donnaregina

di Napoli costruita agli inizi del XIV

s e c o l o i n s t i l e g o t i c o p e r

il convento omonimo di monache claris-

se.

Si trova nel centro storico della città,

nei pressi del Palazzo arcivescovile e

112

del duomo di Napoli. È anche chiama-

ta Donnaregina Vecchia per distinguerla

dalla omonima chiesa del XVII secolo,

denominata, infatti, Donnaregina Nuo-

va.

Il complesso originario occupava un'in-

sula doppia della città greco-romana ed

è attestato a partire dal 780 come

"convento di San Pietro del Monte di

Donna Regina"[1], appartenente alle

monache basiliane. Il convento era

dotato di una porta difesa da una torre.

Nel IX secolopassò alle monache bene-

dettine, che lo intitolarono a Santa

Maria. Nel corso del XIII secolopassò

alla regola delle clarisse.

Sotto Carlo I d'Angiò, il monastero fu

adibito a prigione per i nobili avversari

della casa regnante. Il convento fu dan-

neggiato da un terremoto del 1293, e

venne ricostruito dalle fondazioni gra-

zie alle donazioni della regina di Napo-

li Maria d'Ungheria. La nuova chiesa,

aperta al culto nel 1316 venne consa-

crata nel 1320 e la regina vi venne se-

polta in una tomba monumentale, ope-

ra di Tino di Camaino completata

nel 1326.

Nel 1390 il tetto della chiesa fu dan-

neggiato da un violento incendio e i

lavori di restauro furono commissionati

dalla regina Giovanna II d'Angiò, come

gli ulteriori restauri dovuti ai terremoti

che si susseguirono nel XV secolo.

Nel XVI secolo fu aggiunto al complesso

un nuovo chiostro e nel XVII seco-

lo venne costruita una seconda chiesa,

(Donnaregina Nuova), in origine diret-

tamente accessibile da quella più anti-

ca, che fu riservata alle monache.

L'ampliamento di via Duomo decretato

nel 1860 richiese l'abbattimento di una

parte del complesso conventuale. Il

convento venne soppresso nel febbraio

del 1861 e la chiesa vecchia passò al

comune di Napoli. Suddivisa in vari

ambienti, divenne sede di uffici delle

guardie municipali (1864), di una scuo-

la froebeliana (1865), di abitazioni

provvisorie per i poveri (1866-1872).

Ospitò in seguito la Corte d'assise e

dal 1878 la commissione municipale per

la conservazione dei monumenti. In

seguito a una decisione del consiglio

municipale vi fu aperto tra il 1892 e

il 1902 il "Museo della città" e

dal 1899 ospitò la sede dell'Accademia

Pontaniana.

Le due chiese, originariamente collega-

te, furono separate nel 1928-1934, in

occasione dei lavori di Gino Chieri-

ci che eliminarono le suddivisioni inter-

ne della chiesa vecchia per rendere

visibili le strutture gotiche dell'abside

della chiesa più antica, che si poté

ricostruire grazie all'accorciamento e la

parziale demolizione del coro di quella

più recente. Il sepolcro di Maria d'Un-

gheria, che era stato spostato nella

Page 57: Non è la solita guida

113

nuova chiesa in una posizione scenogra-

fica nel 1727, fu di nuovo trasferito

nella chiesa vecchia, in corrispondenza

della navata sinistra.

Attualmente il convento è sede della

"Scuola di perfezionamento di restauro"

dell'università di Napoli.

La chiesa ha un'unica navata di cin-

que campate e termina con un'absi-

de poligonale (composta dai cinque lati

di un ottagono), preceduta da uno spa-

zio rettangolare. Il coro delle monache

è costituito da una struttura sopraele-

vata su sei pilastri ottagonali che sor-

reggono volte a crociera, posto presso

l'ingresso; mentre, la sua altezza e

quella del pronao, si conclude in uno

slancio unico con l'altezza dell'abside

stesso, avviando una particolarità ar-

chitettonica che sarà in seguito osser-

vata anche in alcune chiese tedesche.

Dall'esterno lo spazio sottostante il

coro, una sorta di sala a tre navate, è

illuminato da piccole finestre, mentre

la parte a tutta altezza prima dell'absi-

de presenta grandi finestremonofore.

La zona absidale conserva resti della

pavimentazione, in cotto maiolicato,

esempio di arte ceramica napoletana in

età angioina, databili tra la fine

del XIV e l'inizio del XV secolo. Sia l'ab-

side che lo spazio antistante sono co-

perti da volte a crociera, mentre il

tetto della navata è invece a capriate,

nascoste da un soffitto cassettonato,

decorato al centro da un rilievo

con Incoronazione della Vergine, ope-

ra cinquecentesca di Pietro Belverte.

Sulla parete di sinistra della navata

della chiesa, invece, è collocato

il monumento sepolcrale di Maria d'Un-

gheria, opera trecentesca di Tino di

Camaino. La facciata della chiesa si

apriva su una corte interna e presenta-

va due monofore con un oculo sopra-

stante ed è decorata dallo stemma

della regina. Tra le altre opere va an-

noverato un Martirio di Sant'Orsola e

d e l l e s u e c o m p a -

gne del 1520 probabilmente eseguito

da Francesco da Tolentino.

L'accesso attuale alla chiesa è situato

su vico Donnaregina, attraversato un

cancello, ci si trova in prossimità

dell'abside.

Basilica della Santa Maria della Sanità

La basilica di Santa Maria della Sani-

tà (o popolarmente San Vincenzo alla

S a n i t à ) è u n a c h i e -

sa basilicale di Napoli.

Sorge nel popolare rione Sanità ed è

nota ai suoi abitanti con il nome di San

Vincenzo detto 'o Munacone, in quanto

in essa è custodita la statua del san-

to domenicano Vincenzo Ferreri, il cui

culto è molto radicato e sentito nel

rione[1]; fu eretta su disegno del do-

114

menicano fra' Giuseppe Nuvolo nel 1602

-1613, sul sito delle catacombe di San

Gaudioso.

Il complesso di Santa Maria della Sanità

fu costruito da Fra’ Giuseppe Nuvo-

lo tra il 1602 e il1610, mentre

n e l 1 6 1 3 f u t e r m i n a t a

la cupola maggiore.

La facciata, con decorazioni in stucco

degli inizi del Settecento, è affiancata

da un alto campanile costruito

tra 1612 e 1614 (l’orologio in maiolica

è settecentesco). Esternamente colpi-

sce la bella cupola rivestita di maioli-

che gialle e verdi, particolare anche

per il suo disegno e tipica dell'artista

che la progettò.

La pianta circolare della chiesa rappre-

senta una delle prime affermazioni

monumentali dell'architettura controri-

formata; essa è costituita da una croce

greca e presbiterio rialzato, espediente

questo ideato dal frate architetto per

inglobare la preesitente basilica paleo-

cr ist iana, permettendo quind i

l‘ingresso diretto alla catacomba. L'in-

terno è vasto e semplice nelle modana-

ture e nell'assenza di decorazioni poli-

crome, ma complesso nell'articolazione

dei volumi: la croce greca infatti è in-

scritta in un quadrato. Numerose poi

sono le opere d'arte, anche del periodo

contemporaneo, presenti lungo

la navata e nelle cappelle laterali.

Ai lati dell’ingresso ci sono due acqua-

santiere a muro, in marmi policromi,

databili alla metà del Seicento, con lo

stemma dell'Ordine domenicano.

La prima cappella a destra è dedicata

a san Nicola, raffigurato nella pala

d’altare in gloria tra il beato Ceslao

di Cracovia e san Luigi Bertrando. Sulla

parete destra della cappella è stato

collocato, l’affresco con la Madonna

della Sanità, proveniente dalla cripta.

Il dipinto, datato tra il Ve il VI secolo,

è la più antica immagine mariana cono-

sciuta a Napoli. La seconda cappella,

intitolata a San Pietro martire, conser-

va una tavola databile intorno al 1610,

raffigurante il Martirio di san Pietro da

Verona, martire domenicano, opera del

fiorentino Giovanni Balducci. La terza a

destra, è dedicata a san Vincenzo Fer-

reri, sacerdote domenicano spagnolo,

rappresentato nel dipinto diLuca Gior-

dano mentre predica alla folla. Negli

ovali laterali, di Vincenzo Siola, il santo

è raffigurato nell'atto di compiere mi-

racoli.

Nella quarta cappella a destra, dedica-

ta alla Madonna del Rosario, troviamo

la grande pala di Giovanni Bernardino

Azzolino (1612), racchiusa in una cona

di legno intagliato e dorato della prima

metà del XVII secolo: il dipinto, nella

parte centrale, raffigura la Madonna

del Rosario e santi. Nella predella è

rappresentato l’Episodio della condan-

Page 58: Non è la solita guida

115

na degli Albigesi ed in alto, nel-

la cimasa, l’Eterno Padre. Nella quinta

a destra, consacrata a Santa Caterina

d 'A le s sandr ia, i l d ip in to con

lo Sposalizio mistico di santa Caterina è

opera di Andrea Vaccaro. Ancora del

Vaccaro nella cappella successiva è

la Santa Caterina da Siena che riceve le

stimmate, realizzata nel 1659 come la

precedente tela. La settima cappella a

destra è dedicata alla Madonna del

Buonconsiglio, raffigurata in un dipin-

to ottocentesco. Da poco vi è stata

ricollocata la tela di Luca Giordano con

i Santi Pio V e Alberto Magno, databile

al 1672.

Una bella scala a tenaglia, conduce alla

parte presbiteriale dominata dall’alta-

re maggiore, in marmi policromi, della

seconda metà del Settecento. Sull’alta-

re fu collocato il ciborio opera di orefi-

ceria del converso domenicano frate

Azaria, datato 1628. Nell'abside, all'in-

terno di una decorazione in stucco e

cartapesta, è posta la Madonna della

Sanità del fiorentino Michelangelo Nac-

cherino, del primo decennio del Seicen-

to. Nel presbiterio, il bel coro ligneo fu

r e a l i z z a t o t r a i l 1 6 1 8 e

i l 1 6 2 0 d a L e o n a r d o B o z -

zaotra e Michelangelo Cecere. Il catino

absidale fu decorato con l’Eterno Padre

in gloria di Crescenzio Gamba alla metà

del XVIII secolo. Sulla sinistra troviamo

lo scenograficopulpito in commesso

marmoreo d i D ion i s io Lazza-

ri (1678 circa).

Al di sotto del presbiterio si apre l’in-

gresso alla basilica paleocristiana. La

decorazione in stucco è opera

di Arcangelo Guglielmelli eCristoforo

Schor (1708). Gli affreschi sui dieci

altari laterali con storie di martiri sono

del pittore solimenesco Bernardino

Fera. Sul pavimento e lungo le pareti

sono disposte varie lastre tombali ed

epigrafi con datazioni che vanno dal V

al XIX secolo.

La cappella successiva, dedicata al SS.

Crocifisso, ha sull’altare di sinistra il

dipinto di Luca Giordano con L’estasi

della Maddalena (1671-72) e ai la-

ti Santa Marta e San Lazzaro. Nella

cappella vicina, intitolata a San Tom-

maso d'Aquino, c'è il dipinto raffiguran-

te San Tommaso che riceve il cingono

della castità datato 1652, di Pacecco

De Rosa. Qui si conserva anche un'anti-

ca cattedra episcopale databile tra VI

eIX secolo.

Da qui si passa all’antisacrestia, deco-

rata a “graffiti” da Giovan Battista Di

Pino (1625 circa) con la raffigurazione

della Discesa dello Spirito Santo sui

f r a t i p r e d i c a t o r i

e grotteschenella volta. Nell’antisacre-

stia sono conservati gli ex voto di San

Vincenzo Ferreri, affettuosamente

116

chiamato dagli abitanti del quartiere

“il Monacone”, e delle interessanti foto

d’epoca della sua festa. In sacrestia,

l’altare in marmi policromi risale

al 1728. Attualmente sull’altare è col-

locata una tela di Giovanni Pisa-

ni raffigurante la Madonna della Sanità

(2003).

Dalla sacrestia si passa nel vici-

no chiostro ellittico, nelle cui lunette il

Di Pino rappresentò scene della storia

dell'Ordine domenicano. Di nuovo in

chiesa, nel cappellone della Circonci-

sione, troviamo l'enorme tela con

la Circoncisione realizzata intorno

al 1612 da Giovan Vincenzo D'Onofrio

da Forli del Sannio. Sull’altare di sini-

st ra la Santa Lucia, f irmata

da Girolamo De Magistro. Il dipinto su

tavola, temporaneamente sistemato

sulla destra dell’altare, proviene dalla

sacrestia: raffigura San Domenico che

dispensa il Rosario ed è opera

di Giovanni Balducci (1623).

La terza cappella a sinistra, è consacra-

ta all’Annunciazione, raffigurata nel

dipinto di Giovan Bernardo Azzolino

del 1629. Alle pareti laterali vi sono

due tele ovali del XVIII secolo con Santa

Margherita da Città di Castello sulla

destra e Santa Margherita d’Unghe-

ria sulla sinistra. Nella quarta cappella

a sinistra, dedicata a San Giacinto, si

trova la tela di Luca Giordano con Lo

Sposalizio mistico di Santa Rosa da Li-

ma, databile intorno 1671. Nella quinta

cappella a sinistra troviamo il dipinto

di Agostino Beltrano (1654 circa) raffi-

gurante San Biagio tra i Santi Antonino

e Raimondo.

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NOTE

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