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NOBILTÀ E CHIESE NEL MEDIOEVO e altri saggi Scritti in onore di GERD G. TELLENBACH a cura di C. VIOLANTE ]OUVENCE

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NOBILTÀ E CHIESENEL MEDIOEVO

e altri saggi

Scritti in onore di

GERD G. TELLENBACH

a cura diC. VIOLANTE

]OUVENCE

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MARIO NOBILI

FORMARSI E DEFINIRSI DEI NOMI DI FAMIGLIANELLE STIRPI MARCHIONALI DELL'ITALIA

CENTRO-SETTENTRIONALE: IL CASO DEGLI OBERTENGHI

Il collettivo Obertenghi viene comunemente usato nella letteratura storio-grafica italiana per designare i dicendenti di Oberto I - marchese della marcacosiddetta della «Liguria orientale» e conte del Sacro Palazzo con Berengario IIed Ottone I, attestato come vivente fra il 945 ed il 972 -, considerato comecapostipite, fino alla VII generazione (primo quarto del secolo XII) l.

È opportuno subito notare che sfogliare i documenti del periodo alla ricercadel termine è fatica vana. Il termine infatti è una creazione erudita dei genealogi-sti del secolo XIX 2. Probabilmente esso fu esemplato - in conformità e adimitazione di collettivi designanti stirpi regie e nobiliari notissime (ad esempio,Merovingi, Carolingi ecc.) - sull'aggettivo obertingus: aggettivo ilcui uso è atte-stato nella documentazione del secolo XI per indicare luoghi o beni o complessidi beni della famiglia ubicati in Toscana (contee di Pisa, Lucca, Volterra e Arez-zo), o anche, nella espressione Terra abertinga, l'intero complesso dei beni posse-duti dalla famiglia nella regione 3.

Non fu dunque in uso - o almeno la documentazione giunta fino a noinon ne ha lasciato traccia - un termine, trasmissibile di generazione in genera-zione, che valesse per tutti gli appartenenti alla fascia genealogica che siamo soli-ti definire come Obertenghi: vale a dire un cognome.

1 Cfr. la tavola genealogica. In essa compaiono tutti gli obertenghi maschi che al-lo stato attuale delle ricerche sono stati identificati.

2 U terrnine non si trova, ad esempio, in L.A. MURATORI,che nel primo volumedelle sue Antichità estensi (Modena 1717), ha offerto la trattazione più sistematica edesauriente dei discendenti di Oberto I.U termine Obertenghi è entrato nella letteraturastoriografica nel corso dell'Ottocento; ed è stato imposto ed ufficializzato, per cosi dire,soprattutto dall'opera di C. Desimoni (Sulle marche d'Italia e sulla loro diramazione inmarchesati, in «Alti della Società figure di Storia Patria», 28, 1891, pp. 1-338). Nella storio-grafia tedesca che, a partire da G.G. Leibniz, ha coltivato parallelamente a qùella italia-na lo studio sulla grande famiglia, il termine utilizzato per designare la discendenza diOberto I, almeno fino alla V o VI generazione, è quello di Otbertiner. (Cfr., ad esempio,H. BRESSLAU,Das haus der Otbertiner oder Estenser, in Jahrbücher das Deutschen Reichsunter Konrad II, Berlin 1879, pp. 414-430).

J Cfr. M. NOBILI,La tetra «ubertenga» aretina, in Arezzo ed il suo territorio nell'Al- .lo Medioevo, Calosci-Cortona 1986, pp. 118-119, nota 30.

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Solo a partire dalla settima generazione si afferma e si diffonde l'uso -di cui già nella generazione precedente si erano manifestati sparsi e timidi accen-ni - del soprannome: soprannome che si affianca al nome di ogni singola perso-ne e che ben presto, talvolta nel giro di una generazione, si fissa in cognome;giacché esso viene trasmesso, quasi per cosl dire in eredità, dal padre a tutti isuoi figli.

Tale fenomeno si verificò a livello delle generazioni che vissero nella primametà del secolo XII. Fu allora che i vari rami usciti dal gran ceppo obertengo,identificatisi del tutto gli uni di fronte agli altri, si organizzarono come casatiautonomi (domus); ciascuno dotato di un proprio sistema di signorie, dislocatein zone di loro prevalente influenza, e ciascuno tendente a strutturarsi dinastica-mente: donde anche la fissazione del nome di famiglia o cognome: Malaspina,Estensi, Pelavicino, Marchesi di Gavi, Marchesi di Massa-Corsica, Marchesi diParodi 4.

2. Già queste elementari constatazioni e rilevamenti possono introdurretutta una serie di domande nella cui stessa formulazione e nelle strategie di ricer-ca cui possono dar luogo quasi si distilla il travaglio di sperimentazione più origi-nale di buona parte della medioevistica europea di questi ultimi decenni 5.

Se infatti ci proviamo, ad esempio, a ricercare e descrivere i presupposti ele ragioni dei fenomeni che sopra abbiamo registrato: e cioè della assenza finoad un certo momento di un nome di famiglia e da un certo momento in poi delsuo fissarsi, e delle modalità del suo formarsi, ecco che noi non possiamo farea meno di imbatterci nelle questioni della struttura della fàmiglia e della parente--la, della coscienza che singoli e gruppi familiari e parentali hanno di loro stessie del proprio passato, e della evoluzione e modificazione che tale coscienza e me-moria e strutture hanno subito nel periodo considerato: periodo da questo puntodi vista estremamente significativo nella storia della aristocrazia europea, comeda tempo hanno mostrato gli studi di Geni Tellenbach, Karl Schmid, Karl Ferdì-nand Werner, Georges Duby, l.eopold Genicot, Cinzio Violante, tanto per citare

. gli storici più eminenti 6.

4 Su ciò vedi da ultimo M. NOBIU, L'evoluzione delle dominazioni marcbionali inrelazione alla dissoluzione delle circoscrizioni marchionali e comitali ed allo sviluppo dellapolitica territoriale dei comuni cittadini nell'Italia centro-settentrionale (secoli XI e XIl), inLa Cristianità dei secoli XI e XII in Occidente: coscienza e strutture di una società, (Attidella ottava Settimana internazionale di studio Mendola, 30 giugno-5 luglio 1980),Mi-lano 1983, pp. 235-258.

, Per un sintetico quadro d'insieme problematico e bibliografico si vedano, adesempio, la rassegna di A. GUEIlREAU-JALABERr, Sur /es structures de parenti dans l'Euro-pe médiévale, in Anna/es E.S.C., (1981),2, pp. 1028-1049; ed iIlibro di J. GOODY, Fami-glia e matrimonio in Europa. (Origine e sviluppo dei modelli familiari dell'Occidente), Mi-lano 1984.

6 Numerosi sono ormai i contributi che i singoli autori sopracitati hanno dedicatoall'argomento. Per una messa punto sintetica, metodologica e storiografica, si considerii1libro Familie et parenti dans J'Occident médiéval. (ktes,du colloques de Paris - 6, 7,8 Juin 1974 - organisé,par l'Ecole Pratique des Hautes Etudes en collaboration auec leCollège de France et l'Ecole Française de Rome), Rome 1977.

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Übcrtengbi

Ora è a proposito di tali questioni - la terminologia stessa ci avverte _ehe, forse più che in altri settori, l'attuale medioevistica si pone a confronto coni metodi di altre scienze umane, come l'antropologia e la linguistica.

Non è infatti azzardato dire che, per certi versi, i medievisti impegnati intal genere di ricerche a quelle discipline si sono rivolti, se non proprio per mutua-re, certo per trarre ispirazione nel forgiare gli strumenti necessari a descriverela realtà familiari e parentali della aristocrazia del periodo, a capirne la disloca-zione all'interno della società nel suo complesso e infine a coglierne il modo diessere e le trasformazioni all'interno della società stessa e nel nesso con le strut-ture economiche, sociali e politiche e culturali 7.

All'interno di tali preoccupazioni metodologiche e storiografiche si muove- almeno nelle intenzioni - questa ricerca. La struttura della famiglia e dellaparentela, lo strutturarsi dinastico, la coscienza parentale e familiare di una dellemaggiori stirpi marchionali della italia centro-settentrionale - quale è quella de-gli Obertenghi - sono infatti alcuni dei temi che cercherò di affrontare, magarisoltanto sfiorandoli, nel trattare l'argomento che fornisce il titolo a questo ar-ticolo.

3. Come oggetto di base dell'indagine può essere assunto il testo costituitodalla genealogia degli Obertenghi: vale a dire l'insieme dei nomi, doppi nomi,nomi più soprannomi portatidai dicendenti di Oberto Inel corso delle sette ge-nerazioni considerate. Si tratterà di individuare e .descrivere i criteri o le. regolein base Il cui nomi, doppi nomi, soprannomi si distribuiscono fra i membri dellevarie generazioni, e in base a cui variano o meno da una generazione all'altra,e poi di cercare di cogliere ilsignificato di tale sistema di distribuzione, delle in-varianze, varianze ed innovazioni: di spiegare cioè il significato del testo rappor-tandone la superficie alle cosidette strutture profonde che presiedono alla suaco-stituzione 8.

Ho parlato di testo: non a caso; ma forse, a prima vista, non propriamente.Si tratta infatti di un testo molto speciale, sulle cui peculiarità è opportuno spen-dere qualche parola. .

Georges Duby ha, da tempo, distinto opportunamente due tipi di genealo-gie: quelle ricostruite dagli eruditi e dagli storici, e quelle stilate dai contempora-nei, che sono il prodotto diretto dell'ambiente che noi vogliamo studiare 9. $010a proposito delle genealogie di quest'ultimo tipo, che éi offrono l'immagine cheall'interno dei gruppi aristocratici in un certo momento si aveva della parentela

1 Interessanti osservazioni metodoligiche ed anche spunti di 'ricerca appropriati al. periodo è all'argomentcrdi cui ci occupiamo inC. UVI-STRAUSS, Histoire et Ethnologie,in «Annales E.S.c.» 38 (1983), pp. 1217-1231.

8 L'eventuale lettore non particolarmente versato in semiotica non si infastidiscaper l'uso di questa terminologia tecnicizzata. In effetti mi avvalgo, seppur inmodo rudi-mentale, della nozione di «testo» quale è formulata dalla moderna semiotica, in partico-lare quella sovietica. (Cfr., ad esempio, V. IVANov,J.M. LorMAN,A.M. PJATIGORSKIJ, Topo.ROV, B.A. USPENSKIJ, Tesi sullo studio semiotico della cultura, Parma 1980).

9 G. DUBY, Structures de parenté et noblesse dans la France du Nord au Xltet XIItsiècles, in Hommes et structures du Moyen Age, Paris-Le Haye 1973, pp. 267-285.

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e della ascendenza, è possibile parlare di testo genealogico: testo che è prodottoindividuale o collettivo di un dato ambiente culturale, che ha proprie regole ecriteri di costruzione, che ha scopi e funzioni, è destinato ad un certo pubblicoed ha una sua committenza. Nd primo caso invece tutt'al più si potra parlaredi testo genealogico come prodotto storiografico, frutto dell'opera di ricostruzio-ne, che a volte dà risultati divergenti, degli eruditi e degli storici. Anche le genea-logie di questo tipo tuttavia - quelle ricostruite dagli storici - possono in real-tà, con opportuni accorgimenti, essere considerate come testi nel senso sopra in-dicato: come prodotto di un determinato ambiente culturale e sociale ed essereassimilate agli schemi genealogici composti in quell'ambiente.

Nulla infatti ci vieta di considerare come un testo le trame ed il reticolo deinomi, doppi nomi, nomi e soprannomi e poi nomi e cognomi che ciascuna gene-razione ha dato a se stessa, o ha ereditato dalla precedente ed eventualmente tra-smesso alla seguente. Un testo dunque - è necessario aggiungere - che si pre-senta come prodotto collettivo di ~iù generazioni di una medesima discendenza.Peculiarità questa da sottolineare. E per essa, infatti, che il testo genealogico cosicostituito viene a caratterizzarsi rispetto alle genealogie che sono espressione di-retta della coscienza della dinastia e della parentela di membri di una certa gene-razione in un certo periodo; ed è in virtù di questa peculiarità che questi testici offrono le loro più specifiche informazioni. ~ analisi del distribuirsi delle deno-minazioni lungo le linee verticali della discendenza e lungo quelle orizzontali deivari livelli di generazioni, con le loro combinazioni, varianze, invarianze, innova-zioni ci può fornire indizi significativi, e darci anche un'idea generale, circa lacoscienza che i singoli hanno del gruppo parentale, della loro ascendenza, e inol-tre il senso di identità collettiva che esiste all'interno dei vari livelli di generazio-ne, e infine e soprattutto quasi ci permette di cogliere il grado di permanenzae di trasformazione di questa coscienza ed identità nel succedersi delle genera-zioni. Nel sistema dei nomi si può considerare infatti incorporata la memoria de-gli avi e ad un tempo il grado di solidarietà parentale, e le sue moficazioni posso-no registrare il venir meno o l'allentarsi di tale memoria e identità e solidarietàe viceversa.

N aturalmente le informazioni andranno estratte dal corpo del testo. E que-sto è quanto finalmente ci accingiamo a fare analizzando il testo costituito dallagenealogia degli Obertenghi.

4. La genealogia obertenga è oggetto di ricerche erudite da almeno tre se-coli. Se ne occuparono agli inizi del XVIII secolo Goffredo Guglielmo Leibnize Ludovico Antonio Muratori; nel secolo scorso, fra gli altri, Pompeo Litta e Cor-nelio Desimoni; e poi, nei primi decenni di questo secolo, Harry Bresslau, Bene-detto Baudi di Vesme, Ferdinando Gahotto, Uhaldo Formentini, Antonio Mana-resi io, In una ipotetica storia della storiografia genealogica si può dire che le ri-cerche su questa genealogia abbiano un valore paradigmatico. Allo stato attuale

lO Cfr. F. GABanD, Gli Obertenghifino alla pace di Luni, in «Giornale storico dellaLunigiana», IX (1918), pp. 3-46; M. NOBn.J, Gli Obertenghi: genealogia e vicende(945-1124),tesi di laurea, discussa nella Facoltà di Lettere della Università di Pisa, relato-re prof. C. Violante, anno accademico 1967-68.

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Obertenghi

delle ricerche, delle diverse ricostruzioni della genealogia quella di FerdinandoGabotto è da ritenere la più valida. E questa dunque che assumiamo come testosu cui condurre l'analisi; analisi i cui risultati - come vedremo - offrirannoconferme alla validità della ricostruzione genealogica del Gabotto.

Vi sono alcune peculiarità che ad una prima ricognizione del nostro testogenealogico balzano subito all'occhio.

Innanzitutto i nomi di Adalberto e di Oberto, Essi si ripetono con fre-quenza di generazione in generazione; sia fra i discendenti di Adalberto I (i .membri della cosiddetta linea adalhertina) sia fra quelli di Oberto II (i membridella cosiddetta linea obertina). In un certo senso essi possono essere consideraticome i «nomi guida» della discendenza; (anehe se non in senso strettamentetecnico) u

A livello della terza generazione nella linea obertina possiamo notare una al-tra singolare peculiarità: il cosiddetto «doppio nome»: Adalberto-Azzo, Oberto-Obizzo iz il fenomeno si ripete anehe in una persona della generazione succes-siva (Adalberto-Azzo II); poi scompare. Si forma invece una tradizione il secondonome (Azzo, Obizzo) del doppio nome. A partire dalla V generazione, infatti,nella linea obertina gli Azzi e gli Obizzi, - nomi che saranno diffusi fra gliEstensi ed i Malaspina -, si ripetono con frequenza.

A livello della VI .generazione nella linea adalhertina compare per la primavolta, con Al~rto IV «Rufo», il soprannome 13. il fenomeno si generalizza con

11 Vedi in proposito K.F. WERNER, Liens de parenté et noms de petsonne. Un problè-me bistorique et métbodologique, in Familie et parenté dans I'Occident médiéval, cit., pp.13-18 e 25-34; K. SCHl-IID, Remarque sur la coscience de soi des Staufen, in Familie et pa-renté, cit., pp. 49·56.

12 Nella documentazione la denominazione di questi due membri della famiglia sipresenta, rispettivamente, in queste forme: «Al.bertus qui AI:.zo vocatur» e «Opertus quiet Opizo (tho)»; o anche, (più spesso), con il secondo ,nome del doppio nome: cioè ri-spettivamente: «Azo», «Azoni»: «Opizo»; «Opitioni», E da notare che l'altro ohertengoattestato con il doppio nome, e cioè il figlio di Adalberto Azzo I, quell'Adalberto AzzoII(<<Albertus qui AI:.zo vocatur», «Azo, Atho - onis - marchio») che fu ilprogenitoredegli Estensi e visse più di cent'anni (mori nel 1097), fu quasi coetaneo dello zio OhertoObizzo.

U «Ego Albertus marchio qui dicor Rufus»: cosi si sottoscrive in un documentodel 29 febbraio del 1080 il suddetto marchese Alberto IV (Cfr. G. PISTARINO, Le cartedel monastero di San Veneno del TIno relative a/la Corsica (1080·1500), in«Biblioteca dellaSocietà Storica Subalpina», CLXX, Torino 1944, nr. I).Ma la prassi della espressione do-cumentaria del soprannome è appena agli inizi e niente affatto consolidata. Nello stessodocumento del 29 febbraio 1080 il soprannome «Rufus» compare accanto al nome nellasottoscrizione, mentre nel testo del documento ilmarchese è detto semplicemente «Al-bertus marchio filius quondam Alberti». E se in un documento del giugno 1085 (ed.M.LuPO GENTILE, 1/ regesto del Codice Pelaoicino, in «Atti de/la Società Ligure di StoriaPatria», XLIV (1912), nr. 223, p. 200) di nuovo ilnostro Alberto marchese viene menzio-nato con il soprannome «Rufus», in un altro del giugno 1094 (ed. G. FALCO, Le cartedel monastero di San Veneno al Tino, in «Biblioteca de/la Societ4 Storica Subalpina» Tori-no 1920·1933, nr. XXXIII, p. 40) ilmarchese compare senza il soprannome, dichiaran-dosi la moglie «Iolìcta» «relicta quodam Alberti Marchioniss. Su tutto ciò vedi M. No-BILI, Sviluppo e caratteri de/la dominazione obertenga in Corsica fra XI e XII secolo inAnnuario de/la Biblioteca civica di Massa, (1978.1979), pp. 1·35, a p. 22, nota 55. '

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la generazione successiva, sia nella linea adalbenina sia in quella obertina. (Nelcaso dei Malaspina e dei Pelavicino sarà quel soprannome a fissarsi in nome difamiglial+'.

Fatte queste rilevazioni cerchiamo di ragionarci sopra.A ben considerare una lettura del nostro testo centrata sulla evidenza dei

fenomeni sopra elencati (ripetizione dei nomi di Adalberto e di Oberto, doppionome, soprannome) ci induce a constatare in esso la presenza combinata di duetensioni: una tendenza a mantenere ed una spinta a modificare l'equilibrio delsistema onomastico e denominativo. Espressione della prima tendenza può esse-re considerato il ripetersi dei «nomi guida» Adalberto ed Oberto. Il fenomenoè un indizio di un atteggiamento comune a tutti gli Obertenghi nei confrontidella loro tradizione onomastica; atteggiamento che tende alla salvaguardia dellastessa e che potremmo definire di «conformismo temporale», cioè di fedeltà allatradizione. Questo atteggiamento appare dominante all'interno del sistema ono-mastico del gruppo parentale almeno fino alla generazione dei soprannomi. Cal-tra tendenza, che è imposta - come vedremo - dalle cose, e che combinandosicon la prima porta all'innovazione del doppio nome, agisce, per così dire, in for-ma subalterna: almeno all'inizio.

Consideriamo infatti attentamente il fenomeno del doppio nome.Esso si verifica nella linea del secondogenito (Oberto II) a livello della terza

generazione, che corrisponde alla quarta generazione della linea del primogenito(Adalberto I). Dei tre figli maschi attestati di Oberto II due portano il doppionome: Adalberto - Azzo (I) (<<Adalbertusqui et Azo») e Oberto (III) - Obizzo(<<Obertus qui Opitho vocatur»), mentre il terzo si chiama semplicementeUgo 15. Contemporaneamente nella linea adalbertina è attestato un Adalberto e

14 Gli Obertenghi appartenenti alla VII generazione nel ramo adalbertino e allaVI nel ramo obertino portano tutti, ad esclusione di quelli del ramo estense, e di un Gui-do (III) dei marchesi che poi saranno detti «de Gavi» (di Gavi), (il quale è tuttavia atte-stato una sola volta e come defunto, e del quale è incerta l'identità), il soprannome conti-nuativamente (cfr. Tavola genealogica). Di questi soprannomi solo quelli di Oberto (VI)«Pelavisinus» e di Alberto «qui dicitur Malaspina», si fisseranno in cognome con la ge-nerazione successiva. E appunto a livello di questa generazione (VIII del ramo adalberti-no e VII di quello obertino) che si fissano stabilmente inomi di famiglia, in corrispon-denza dello strutturarsi delle domus marchionali uscite dal ceppo obertengo, Solo nelcaso dei «Malaspina» e dei «Pelavicino.. il nome di famiglia, o delle domus, o della dina-stia marchionale, è derivato dal soprannome portato dai due marchesi (Alberto e ObertoVI) che fungono da nuovi capostipiti. Negli altri casi sarà il centro principale delle ri-spettive dominazioni signorili (i cosiddetti «marchesati..), il «Domede terre .., a fornirela denominazione alle domus, o nuove schiarte marchionali: donde appunto i«marchio-nes de Massa», i «marchiones de Parodi», i «marchiones de Gavi», i «marchiones deEste». La fissazione di queste ultime denominazioni avviene dagli anni 50 agli anni 80del secolo XII.

" Sarebbe interessante poter stabilire in che modo questo nome sia entrato a farparte dello stock onomastico obertengo. Esso si ritrova, nelle successive generazioni, sianel ramo obertino sia in quello adalbertino (cfr. Tavola g_enea/ogica).Degli altri nomi checompaiono nell'albero genealogico e cioè Guido, Guglielmo, Amedeo, Guelfo, e Folco,solo i primi due hanno un certo successo. Ma Guido entra nel sistema denominativo(nella linea adalbertina) solo a livello della V generazione, mentre Guglielmo addirittura

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Obertenghi

si ipotizza ~'esistenza di un Oherto (ipotetico progenitore dei Pelavicino), figliambedue di un Oberto premorto al padre Adalberto II. Ci troviamo dunque difronte ad una linea orizzontale cosiffatta: Oberto, Adalberto, Adalberto-Azza,Oberto-Obizzo, Ugo. Se proviamo a semplificare togliendo il secondo nome deldoppio nome, tale linea risulta così: Oherto, Adalberto, Adalberto, Oherto, Ugo,

Non sembra arduo, a questo punto, tenuto conto del fatto che i rispettivigenitori sono omonini (Oberto è il nome sia del padre dei primi due' sia del padredegli altri tre), spiegare il doppio nome: esso assolve una funzione che potremmodefinire «disambiguante» all'interno del gruppo parentale; funge da elemento di-stintivo fra l'uno e l'altro Adalberto, fra l'uno e l'altro Oherto. Si intende cosìperché ad Ugo non venga aggiunto un secondo nome.

Se cosi è allora l'analisi ci ha rivelato che ci troviamo di fronte, a livello dellagenerazione presa in esame 16, ad un g:uppo parentale coeso, cosciente dellapropria comune ascendenza, che anche su questa coscienza fonda la sua identitàparentale, e che ha un forte senso della propria identità rispetto all'esterno: il cheanche vuoI dire, data la posizione dei nostri, autonomia rispetto al potere regioe rispetto a famiglie di eguale rango e posizione con le quali eventualmente siario ..entrati in rapporto matrimoniale 17. I nostri obertenghi insomma imporranno

solo alla VII. (Ma lo troveremo poi anche fra i Malaspina). Amedeo compare solo unavolta, nella linea obertina a livello della V generazione, Guelfo e Folco sono dovuti allapolitica matrimoniale di Adalberto Azzo (11). Gran cacciatore di mogli e procacciatoredi doti per sé e per i figli, costui si sposò tre volte. Dapprima con Cunizza, figlia diGuelfo IIconte di Altdorf, possessore di vasti beni in Svevia e in Baviera, dalla qualeebbe Guelfo (IV), cui andò tutta la vasta eredità dei Guelfi. Contrasse poi un secondomatrimonio con Gersenda figlia del conte del Maine, Erberto Svegliacane, vassallo delconte di Angiò Goffredo il Martello: da questo matrimonio nacquero Folco ed Ugo. Diun terzo matrimonio con una certa Matilde, vedova del marchese obertengo Guido, edella quale lo stesso Adalberto Azzo (II) era parente in quarto grado, ci informa una let-tera del papa Gregorio VII, con la quale si contestava al marchese la validità del matri-monio (<<testibus et sacramentis in presentia nostra probatum est te habuisse virum con-sanguineum Azzonis, te etiam et Azzonem Marchionem in quarta propinquitatis lineaconsanguineso esse. .. ) (MGH. Begistrum Gregoni Vll, lib. Il, ep. 35, p. 171). 1.0 stessomarchese riuscl, nel 1078, a ottenere in moglie per il figlio Ugo una figlia di Robertoil Guiscardo; e fra i figli di Ugo è testimoniato un Tancredi. Come si vede, in questicasi gli apporti onomastici dovuti ai rapporti matrimoniali sono chiaramente illustrati.

16 E la fatidica «terza generazione», oltrepassata la quale è necessario che inter-vengano gli opporuni accorgimenti atti a mantenere l'identità del gruppo di discenden-za, a modellizzarlo come lignaggio.

17 L'affermazione va un poco corretta sulla base di quanto è stato osservato allanota 15 relativamente ai matrimoni di Adalberto Azze II e agli apporti onomastici chene conseguirono nella sua discendenza. lo studio dei rapporti matrimoniali degli Ober-tenghi - estremamente problematico data l'estrema penuria documentaria - andrebbecondotto a fondo. Fra l'altro una tale ricerca ci permetterebbe di individuare un'altradelle strutture che presiedono alla costituzione del nostro «testo genealogico». Ma so-prattutto ci. permetterebbe di inc!i~du~ e de~inire la .rete di alleanze ch~ e~si. stabiliro-no di volta ID volta con altre famiglie aristocratiche e di comprenderne megho l compor-tamenti politici a livello regionale, di Regnum e d'Impero nelle diverse circostanze. Sul-l'importanza dei rapporti matrimoniali delle famiglie della aristocrazia toscana cfr. C.VIOLANTE, Le strutture familiari, parentali e consortili delle aristocrazie in Toscana durantei secoli X-XII, in Iceti dirigenti in Toscana nell'et4 precomunale, Pisa 1981, pp. I-51, allepp. 39-51.

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eventualmente la loro tradizione onomastica, offriranno più che ricevere nomi.Fedeltà alla tradizione onomastica forse significa anche coscienza di discendereda un conte del Sacro Palazzo, quell'eillustris marchio Otberrus», come lo defini-sce lo storico Liutprando 18, che esercitò la carica in un momento particolar-mente fondante per la aristocrazia del regno italico, quello di Ottone I, e chedello stesso imperatore fu il principale fautore 19.

Al tempo stesso l'analisi ci ha rivelato la necessità obbiettiva, cogente dellainnovazione per permettere la definizione della identità personale all'interno delgruppo parentale. È a questa necessità che risponde l'uso del doppio nome.

A questo punto per chiarire ulteriormente il fenomeno è opportuno sincro-nizzarlo con un altro fenomeno, cui sono interessati i membri di quella stessagenerazione'; la suddivisione, o meglio, due successive divisioni del patrimonio.(In tal modo - fra l'altro - noi attingiamo una delle strutture del testo genea-logico).

Da un famoso documento del 18 ottobre 1124, cosiddetto della «pace diLucca» 20, noi sappiamo che, proprio a livello della generazione che finora ab- 'biamo considerato, il patrimonio obertengo subì due successive divisioni. La t0-talità di esso fu dapprima suddivisa in due metà. Una prima toccò («receperuntcomuniter» secondo che si esprime ildocumento) al proavo del Pelavicino ed alproavo di Guglielmo Francigena, (vale a dire Oberto III e Adalberto IIdella li-nea adalbertina); l'altra metà andò al proavo del Malaspina ed all'avo di Azzo mar-chese, (cioè, Oberto III Opizzo I e Adalberto Azzo I1). In un secondo momentoquesti ultimi due divisero ulteriormente la parte loro toccata (<<inter se diviseruntsuam partern» 21.

La prima divisione non poté avvenire dopo il 1034, anno della morte diAdalberto II 22, né prima del 1014, allorquando i «filii et nepotes Oberti mar-

18 LIUTPRANDl, Histona Ottonis, ed. E. BECKER, MGH (Scriptores in usum schola-rum), II, 38-39, pp, 54-55,

19 Su ciò vedi M. NOBIU, La cultura politice al"" corte di Matilde di Canossa, in Lesedi del"" cultura in Emilia Romagna, [;Alto Medioevo, Milano 1983, pp. 217-236, ap.232.

20 M. Lupo GENTILE, Il regesto del Codice Pelaoicino, cit., nr. 50, pp. 72-78. Sitratta della composizione di una controversia insorta tra ilvescovo di Luni e due marche-si Obertenghi (Alberto Malaspina e Guglielmo Francigena) per ilpossesso di un poggiodel monte Caprione (Diocesi di Luci). La lite fu discussa di fronte ai consoli di Lucca.

21 «...mons ille namque, et coloni in eo et circa eum residentes, in quo predictuspogius est, ita divisi fuerunt. Medietatem namque, per certa et divisa Ioca receperuntad se comuniter proavus Pelavicini et proavus Wilielmi Francisci; aliam vero medieta-tem, similiter per certa et divisa Iaea, receperunt ad se comuniter proavus Malaspineatque avus Athonis marchionis, in quam partem sine dubio predictus pogius totus venitet fuit. Postea vero supradictus avus Malaspine et avus Athonis marchionis inter se divi-serunt suam partem, et predictus pogius in partem tantum proavi Malaspine venit atquefuit».

22 Il necrologio del monastero di San Savino di Piacenza registra come data dimorte di Adalberto II il5-1-1034(cfr. F. NEISKE, Das altere Neerclog des Klosters S, Savi-no in Piacenza - Edition und untersuchung der An""ge -, München 1979, p. 120 e pp.255-256). E la stessa data che si legge nella epigrafe funeraria dedicata al marchese esi-

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Obertenghi

chienis» furono condannati in blocco dai messi dell'imperatore Enrico IIinunplacito Aretino del marzo 1014, in seguito alla sommossa, cui gli Obertenghi eb-bero parte, contro l'imperatore tedesco avvenuta a Roma nel febbraio di quell'an-no; condanna che fu ripetuta qualche mese dopo con un diploma dello stessoimperatore diretto appunto contro «Otbertum marchionem et filios eius et Al-bertum nepotem illius» 23. A quel tempo, come i passi citati chiaramente atte-stano, il gruppo obertengo era ancora del tutto unito setto la guida del vecchioOberto II24. Ma con le due divisioni le maglie cominciano ad allentarsi. So-prattutto con la seconda, che nel caso del proavo del Malaspina e di quello diAzzo marchese avvenne fra zio e nipote (anche se il nipote - che era AdalbertoAzzo II- non doveva essere molto più giovane dello zio, dacché era nato nel996 e morirà ultracentenario). Ora è possibile - almeno relativamente a certipossessi - che tali divisioni siano avvenute «per certa et divisa loca» 25; cioè

stente nel monastero di Castione dei Marchesi, su cui vedi U. FORMENTINI,Marca Ja-nuensis. Nuove ricerche intorno alla marca della Liguria orientale, Pontremoli 1926, p. 5;e M. NOBILI,Sviluppo e caratteri della dominazione obertenga in Corsica fra XI e XII se-colo, cit., p. 8.

23 Cfr. I placiti del «R.egnum ltaliae», a cura di C. MANARESI,Roma 1955-1956,II/2, nr. 281, pp. 525-527; MGH, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, HeinrietII diplomata, nr. 321, p. 403. Ma su queste vicende vedi M. NOBILI,La tetra «uberten-ga» aretina, cit., pp. 112-115.

24 überto II è attestato come vivente, per l'ultima volta in un documento del lOluglio 1014, (Ed. L. BEl.GRANO,Il registro della curia arcivescovile di Genova, in «Archi-vio della società ligure di Storia patria», II, 1873, I, nr. 62, p. 93). Probabilmente übertoII non sopravvisse di molto a tale data. Nel documento si afferma che il marchese, acausa della sua infermità, non poté apporre di suo pugno la sottoscrizione.

2' È l'espressione usata, nel lodo del 1124, dall'avvocato dei marchesi AlbertoMalaspina e Guglielmo Francigena, Guglielmo «de Apulia», per definire ilmetodo chegli Obertenghi avrebbero applicato nelle divisioni patrimoniali. In particolare, secondol'avvocato dei marchesi, tale metodo sarebbe stato usato nella divisione del monte Ca-prione, Il poggio in questione sarebbe stato in tal modo attribuito, con la prima divisio-ne, al proavo del Malaspina e all'avo del marchese Azzo; in seguito poi alla seconda divi-sione, avvenuta fra ilproavo del Malaspina e l'avo del marchese Azzo, ilpoggio sarebbetoccato al proavo del Malaspina. La tesi sostenuta dall'avvocato dei marchesi mirava adinficiare i diritti che il vescovo affermava di avere sul poggio. L'avvocato del vescovo,Maginardo di Pontremoli, sosteneva infatti che la maggior parte del poggio era di pro-prietà della Chiesa di Luni, dacché ilvescovo Filippo aveva comprato la parte del mar-chese Folco (<<emitpartem quarn marchio Fulco habebat in eo»): e aveva avuto in dona-zione la parte del marchese Obizzo Malnipote, fratello del Malaspina, (<<ethabet partemde Malenevothe, quarn iudicavit cum aliis pluribus suis rebus ecclesiae et episcopatuisanctae Mariae»), e quella del marchese Pelavicino (<<etpartem marchionis Pelavicini perdonationern, qui hic adest»). Fra le prove documentali e testimoniali di parte vescovile,l'avvocato del vescovo presentò anche un'atto di vendita del marchese Alberto Rufo, pa-dre di Guglielmo Francigena, da cui sarebbe risultato che quel marchese insieme conil padre avrebbe venduto alla chiesa di Santa Maria la parte loro spettante del poggioin questione (<<partemque eis in predicto loco competebat»), (ma ilmarchese GuglielmoFrancigena affermò di non saperne niente - «numquam ego hoe amplius audivi vel sci-vi»): e produsse infine la testimonianza del marchese Pelavicino, che presenziava al pro-cesso. Quest'ultimo affermò che la quarta parte del poggio cosi come era stata del suoavo e di suo padre (esicut fuit avi et patris sui»), egli l'aveva concessa, pro communi,

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con l'attribuzione ai singoli di ben precisi lotti di proprietà. Data la consistenzadi quell'immenso patrimonio e la sua diffusione (era sparso per ben venti conteedel «regnum»), la distribuzione fra i singoli sarà avvenuta in modo tale che i sin-goli stessi avessero i beni concentrati in certe regioni o zone o territori ad esclu-sione degli altri; ma in certi casi, sia per la natura dei beni sia per altri motivi,avvenne che, non solo all'interno di uno stesso territorio, ma addirittura di unostesso luogo, tutti o alcuni dei membri della parentela avessero ciascuno la pro-pria parte dei beni: donde anche la necessità di precise confinazioni sul terre-no 26. Ma di qui veniva anche l'esigenza nella pratica notarile di distinguere fraloro i vari Adalberti ed Oberti. Ed ecco, per tornare al nostro testo, individuatouno dei possibili motivi della aggiunta nei documenti del secondo nome al pri-mo. A questo proposito è necessario sottolineare l'estrema importanza delle prati-che notarili nella fissazione delle denominazioni individuali e collettive. Non è,d'altronde, proprio dagli atti privati di compravendita e donazione, oltre che daiplaciti, che noi veniamo a conosc_ere i nomi dei nostri p<:rson~i nella loro for-ma più compiuta: «Adalbertus qui et !v:::zo»; «Obertus qui Opitho vocatur» e ca-si via? 27.

al suddetto vescovo (eilla se dedisse, pro communi, predicto episcopo"); e che nessunadivisione era stata fatta del poggio (<<etnulla divisionem factam esse de predicto Pogio.),e che era pronto a difendere in giudizio la validità di quanto sosteneva (<<etita paratuserat deffendere»). La deposizione del Pelavicino ci offre una versione diversa da quelladell'avvocato dei marchesi Malaspina e Guglielmo Francesco circa ilmetodo applicatoin quella lontana divisione nella assegnazione dei beni esistenti nel monte Caprione:non per «certa et divisa loca», ma per quote ideali. In tal modo sui beni esistenti in quelmonte ed in particolare sul poggio in questione tutti gli interessati alle successive divi •.sioni avevano mantenuto la loro quota-parte di diritti, non materializzate sul terreno,e la gestione rimaneva in comune. Ogni eventuale donazione o alienazione aveva peroggetto queste quote-parti- o ulteriori quote-parti; entrando in possesso delle quali, glieventuali destinatari, entravano a far parre della gestione di quei beni «pro communìs,La tesi sostenuta dal Pelavicino - e sostenuta con particolare vigore, dal momento cheaffermava di essere pronto a difenderla in giudizio - ridurrebbe le argomentazioni dd.l'avvocato dei marchesi Malaspina e Guglielmo Francesco circa ilmetodo di spartizione«per certa et divisa loca» che sarebbe stato adoperato nelle divisioni obertenghe, almenorelativamente ai beni esistenti nel monte Caprione (ma ovviamente anche per gli altribeni), a espedienti escogitati, in sede processuale, per attribuire la proprietà dell'interopoggio in questione al Malaspina, escludendo ogni possibilità agli altri interessati divantare dei diritti di cui avrebbero disposto a favore del vescovo di Luni. Nella sentenzai giudici lucchesi accettarono come valida proprio la tesi del marchese Pelavidno. Essistabilirono infatti che ilpoggio in questione fosse per metà del vescovo, (riconoscevanodunque valide la donazione del marchese Folco e del Marchese Pelavidno) e per metàdei marchesi Malaspina e Guglielmo Francesco, (non riconoscevano valida quindi la do-nazione di Obizzo Malnipote e pertinenze la vendita di Alberto Rufo); ma anche stabili.rono che contro la volontà del vescovo (<<invitopredictae ecclesiae episcopo») i marchesinon avessero la facoltà ed ildiritto ad incastellare il suddetto poggio (<<in predicto po-gio ... castellum facere aut aliquid aedifìcare»), giacché (<<quia.) ilsuddetto poggio «com.munis est».

26 Laddove eventualmente si addivenne ad una spartizione per «certa et divisa lo-ca», Ma anche dove la divisione era per quote ideali era necessario distinguere fra diloro i vari marchesi omonimi.

27 Cfr. supra alla nota nr. 12.

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Obertenghi

Per tornare, in conclusione, alle due tensioni la cui presenza combinata ab-biamo visto operante nella risultanza del doppio nome; e cioè, da un lato la ten-denza alla fedeltà alla tradizione onomastica in ambedue le linee di discendenza ,e dall'altro la necessità della definizione della identità personale all'interno delgruppo parentale, dovremo dire che l'adozione del sistema dei doppi nomi indicailprevalere della tensione che spinge alla coesione, al mantenimento di una iden-tità collettiva, rispetto alla tendenza alla dissociazione Interna. E ciò nonostantela pratica delle suddivisioni patrimoniali, anche eventualmente secondo il crite-rio della assegnazione dei beni «per certa et divisa loca».

Uno dei fattori del prevalere di tale esigenza può essere costituito dalle mo-dalità dell'esercizio del potere marchionale.

Almeno fino alla metà del secolo XI si può dire, pur con tutte le riservee le cautele del caso, che il potere marchionale, in quanto tale, sia. ancora funzio-nante. Imarchesi tengono placito nelle circoscrizioni comitali che costituisconola cosiddetta marca della «Liguria orientale», proteggono i beni ecclesiastici, ten-gono a bada i gruppi signorili emergenti nelle città e nei contadi, sono ricono-sciuti come rappresentanti legittimi del potere regio 28. Ora nell'esercizio diquesta funzione i membri della famiglia, fino alla metà del secolo XI, appaionospesso uniti. Ancora nel 1044 troviamo a presiedere placito in Rapallo, «propelitus maris», insieme un membro della linea adalbertina, Alberto III figlio diAdalberto II, ed un membro della linea obertina, ilcapostipite estense AdalbertoAzza II, (<<donnorum - dice ildocumento - Alberti et item Alberti qui et Azamarchionibus») 29. Insomma nel caso degli Obertenghi l'ufficio pubblico fun-zionò, almeno fino alla metà del secolo XI, da coagulante. La titolarità di taleufficio spettò a tutti i membri della discendenza di Oberto I, e tutti indistinta-mente esercitarono le funzioni inerenti all'ufficio nelle contee costituenti la co-siddetta marca della Liguria orientale 30. Non si individuò dunque una linea di-nastica unica connessa con la trasmissione e l'esercizio dell'ufficio marchionale.

Ed ecco individuata, a questo proposito, un'altra delle «strutture» che sog-giaciono al nostro testo genealogico.

5. Trattando del patrimonio e delle regole di devoluzione e di suddivisionedello stesso, e poi dell'ufficio marchionale e dei modi del suo esercizio e della

28 Cfr. M. NOBILI, L'evoluzione delle dominazioni marchionali in relazione alla dis-soluzione Jelle circoscrizioni marchionali e comitali ed allo sviluppo Jella politica territoria-le dei comuni cittadini nell'Italia cento-settentrionale (secoli XI-XII), cito

29 Ed., in I piaciti del Regnum ltaliae, a cura di C. MANARESI, III, I, nr. 361, p. 83.JO Tenuto fermo che tutti i singoli marchesi esercitarono le funzioni inerenti l'uf-

ficio marchionale e comitale, (almeno tutti i membri delle prime tre generazioni sonotestimoniati nell'esercizio di presidenti di pIaciti; ma è probabile - anche se di ciò nonabbiamo diretta testimonianza - che anche a livello della generazione successiva siaavvenuto lo stesso), rimane da appurare il modo in cui eventualmente si distribuironoil potere nelle varie contee costituenti la marca. (Il problema si pone dopo la morte diOberto II, avvenuta nel 1015). Rimane anche da stabilire quale tipo di potere esercitas-sero, nel corso del secolo XI, nei territori posti fuori dalle contee costituenti la marcae dove molto cospicui erano i loro interessi patrimoniali. '

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sua trasmissione all'interno della discendenza, e infine delle consuetudini ono-mastiche e delle forme in cui, attraverso esse, si esprime la memoria degli avied al tempo ste~so si manifesta la coscienza che i singoli hanno della propria pa-rentela e della propria ascendenza, noi non stiamo facendo altro che prendere inconsiderazione, ad uno ad uno, gli elementi che permettono di defmire la strutturadella parentela ed il senso o la coscienza della ascendenza nella aristocrazia deIperiodo.

A quale tipo di struttura ci troviamo di fronte nel caso degli Obertenghi?Sulla base delle considerazioni che sin qui abbiamo fatto è più facile ed anchepiù opportuno mettere in evidenza a quale tipo di struttura gli Obertenghi nonsono assimilabili. Occorre allora rilevare innanzitutto come fra gli Obertenghinon si riscontri la pratica della primogenitura. Tutti i figli maschi hanno gli stessidiritti sia per quanto riguarda il patrimonio sia relativamente al titolo marchiona-le e alle cariche comitali. Col progressivo allargarsi della discendenza ciò compor-tava, sul piano patrimoniale, la tendenza al proliferare dei rami ed al loroindividuarsi, una volta che, oltrepassata la soglia della terza generazione, ilventagliodella discendenza si allarga così da distanziare eccessivamente le estremità paren-tali 31. Ma se il patrimonio poteva essere diviso, anche materialmente e non soloper quote ideali, la carica era di per sé indivisibile. Eppure non solo tutti gliObertenghi portano il titolo di «marchio», ma tutti imembri delle tre generazio-ni che abbiamo considerato sono testimoniati nell'esercizio della pubblica fun-zione - (presiedono placiti) -, o da soli, o più spesso in coppia - (ciò avvienedi regola con i due figli del capostipite) 32. In questo atteggiamento degli Ober-tenghi nei confronti della carica pubblica vi è qualcosa di singolare. Per esso sidifferenziano, a quanto pare, dalle famiglie marchionali dello stesso rango e dellastessa importanza del «regnum Italiae», come i Canossiani e gli Arduinici mar-chesi di Torino: sia negli uni che negli altri la carica viene esercitata da una solapersona, e viene trasmessa dal padre ad uno solo dei figli, naturalmente privile-

31 Gli Obertenghi professavano la legge longobarda, e praticavano di conseguenzal'individualismo successorio. (Tutti i figli maschi avevano uguali diritti di successione).Ciò portava al proliferare dei rami e al frantumarsi di un patrimonio originario; ma pote-va anche costituire un incentivo alla iniziativa dei singoli a riacquistare illivello patri-moniale dei genitori, attraverso l'attività di acquisto e di conquista. Soprattutto, peròè da rilevare come proprio all'individualismo successorio sia strettamente connessa ~congruente la mentalità consortile. La suddivisione per quote ideali, che era la formadi ripartizione corrispondente a questa mentalità, se dava a rutti la possibilità del godi-mento dei proventi di una certa azienda (<<curtis»,ad esempio) o di un certo complessosignorile (<<castra»ad esempio, o chiese), comportava anche ilmantenimento dell'unitàdi gestione di questi complessi aziendali e signorili; e faceva sl anche che nessuno fosseescluso dalla partecipazione ai diritti su certi complessi di beni particolarmente legatial prestigio o al potere del lignaggio, e nei quali quasi si materializzava l'«honof» dellostesso.

32 Adalberto I e Oberto II agiscono insieme anche in campo patrimoniale. n 15ottobre del 975 ad esempio ricevono dal vescovo di Pisa AIberico in livello beni situatinella zona di Vico-Pisano (Cfr. M. NOBlU, Le terre obertenghe nelle contee di Pisa, Luc-ca e Volterra, in Studi di Storia medioevale e moderna su Vicopisano ed il suo territorio,Pisa 1985, pp. 35-47).

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Obertenghi

giando il primogenito, dimodoché si afferma una spiccata mentalità dinastica 33 •

Nel caso degli Obertenghi invece si rivela una sorta di accentuata mentalità con-sortile.

Occorrerebbe una lunga disgressione per mettere in evidenza la rilevanzae le implicazioni di questo fatto. Anticipiamo solo alcune considerazioni provvi-sorie. In questa attitudine all'esercizio consortile dell'ufficio pubblico si manife-sta, anche a livellodella più alta aristocrazia del «regnum», uno degli aspetti piùtipici della strutturazione signorile del potere nell'Italia centro-settentrionale;che consiste appunto nella possibilità, molto spesso attuata, di una sua gestioneconsortile. Fu fra XI e XII secolo che l'ordinamento signorile della società e delpotere si precisò nei suoi contorni, assumendo i tratti di una struttura stabile ca-pace di riprodursi. In quei decenni si diffonde sempre più nella documentazionel'uso di una espressione e di un termine, che in modo particolare esprimono lanuova realtà a due diversi livelli. Si tratta della espressione «castrum et curia»e del termine «domus». Lespressione indica l'organismo cellulare che sta alla basedel nuovo assetto territoriale ed istituzionale del contado: il distretto o circoscri-zione signorile che ha il suo centro in un castello (castellanìa); castello che nonsolo è strumento di dominio, concreto e simbolico, ma anche è soggetto di dirittipubblici. Quei diritti che trovavano applicazione (tranne che per gli enti immu-nitari) sullo spazio della intera circoscrizione comitale, si concentrano ora nellesingole castellanie in cui si è frammentata la contea: si tratta del cosiddetto pro-cesso di dissoluzione signorile delle circoscrizioni pubbliche di origine carolingia(marche e contee) 34. Contemporaneamente e parallelamente i gruppi parentaliche hanno promosso l'incastellamento e che si trovano a gestire il potere signorileconnesso ai distretti di castellanìa si organizzano in funzione di tale gestione: as-sumono veste e dignità di «domus», di casato, che incorpora in sé le prerogativesignorili, il diritto di comandare e di punire, È un vero e proprio modello di orga-nizzazione della società e del potere che si diffonde capillarmente, in stretta con-nessione con il movimento delle istituzioni ecclesiastiche, che diquelle «domus»garantiscono prestigio e fondano la memoria, e al tempo stesso cercano di rego-larne la turbolenta e rapinosa attività proponendo anche modelli di comporta-mento etico (gli ideali cavallereschi) 35. Non è certo un caso che a partire dal se-condo quarto del secolo XI si moltiplichino le fondazioni ecclesiastiche (mona-steri, priorati, chiese) opera di questi gruppi parentali signorili che costruisconoe che gestiscono a livello capillare il potere signorile 36.

JJ Per iCanossiani cfr. M.G. BERroUNI, Note di Genealogia e di storia canossiana,in I ceti dirigenti in Toscana in età precomunale, cit., pp. 111·143; circa gli Arduinici diTorino vedi G. SERGI, Una grande circoscrizione del regno italico: la marca arduinica diTorino, in «Studi Medievali», 3s., XII (1971), pp. 637-712.

)4 Cfr. P. VACaRI, La territorialità come base del/'ordinamento giuridico del contadonell'Italia medioevale, 2a ediz. riveduta ed accresciuta, Milano 1963 (Archivio della Fon-dazione Italiana per la Storia Amministrativa).

" Vedi da ultimo J. FWRY,Eessor de la Chavalerie; Xlt·XI!' siècles, Genève 1986.J6 Una funzione particolare in tal senso esercitarono le fondazioni cluniacensi ed

in generale del monachesimo riformato. cfr. C. VIOLANTE, Clutty in Lombardia II Ce.sena 1981; e H.M. SCHWARZMAlER, Riforma monastica e movimenti religiosi a ~cc~ allafine del secolo XI, in Lucca, Il Volto santo e la civiltà medioevale, Lucca 1984, pp. 71-89.

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.\fario .\!obili

Georges Duby ha mostrato come nella regione di Mäcon il processo distrutturazione delle «domus», che si precisa alla fine del secolo XI nel contestodello sviluppo signorile, si attui principalmente attraverso l'applicazione semprepiù rigorosa della pratica della primogenirura-". Sia il patrimonio, sia i poteridi banno passano ad uno solo dei discendenti: il primogenito. Di qui l'afferma-zione, comune a tutta l'aristocrazia, di una «mentalità dinastica», che comportaanche unitarietà di comando e di gestione dei complessi signorili-feudali; e cheanche è conforme con l'accento e l'enfasi posti sui legami personali nel rapportofeudo-vassallatico nelle regioni dell'Europa settentrionale.

Nell'Italia centro-settentrionale invece- sembra prevalere quella che abbiamodefinito come «mentalità consortile», che si esprime soprattutto nella trasmissio-ne e gestione dei poteri signorili e delle strutture materiali con quei poteri piùstrettamente connessi (castelli e torri). Ilfenomeno sembra riscontrarsi soprattut-to a livello della piccola e media aristocrazia. 1.0 strato superiore, quello detentoredegli «honores» marchionali e comitali, almeno in un primo tempo - fino allametà del secolo XI 38 - sembra che pratichi la primogenitura relativamente allatrasmissione dell'ufficio. Fra il pugno di famiglie di vocazione principesca il casodegli Obertenghi, che - come abbiamo notato - esercitano consortilmente lacarica, appare singolare. Ma se singolari all'interno di quel gruppo, gli Oberten-ghi sono profondamente affini alle consorterie parentali protagoniste a livello lo-cale dello sviluppo signorile. In particolare a quei gruppi professanti legge longo-barda - si pensi ai «Lambardi» toscani - che proprio nei decenni intorno allametà del secolo XI dichiarano con speciale insistenza la legge di appartenenzain relazione ad atti di disposizione patrimoniale e di pratiche successorie. È pro-pria di costoro la mentalità consortile, che si applica alla gestione dei beni comu-ni, si esprime nell'esercizio dei poteri signorili, carat~rizza la strutturazione del-le «domus» che quei poteri signorili incorporano 39. E la stessa mentalità che infondo è presupposta dallo stesso sviluppo del fenomeno comunale.

Nel chiudere la disgressione mi accorgo di aver proposto dei nessi, che nonsolo andrebbero maggiormente articolati per valutarne la funzionalità, ma chesoprattutto dovrebbero essere verificati nel concreto della ricerca storica. Ma,pur nella loro provvisoria genericità, le considerazioni che abbiamo fatto posso-

vt G. DuBY, Lignaggio, nobiltà e CllVa/feria nel secolo XII nella regione di Mäcon.Una reoisione, in G. DuBY, Le societ4 medioevali, Torino 1985 pp. 133-165.

)8 Per la Toscana cfr. C. VIOLANTE,Le strutture famiÜ4ri, parentali e consortili tklkaristocrazie in Toscana durante i secoli X-XII, cit., p. 13-14.

)9 Sullo sviluppo del fenomeno consortile fra XI e XII secolo e sulla caratterizza_zione delle stesse consorterie nel corso del secolo XII in Toscana di nuovo vedi C. VIO-LANTE, Le strutture famiÜ4ri, parentali e consortili ... , cit., pp. 28-35; e G. TABACCOÙrapport de parenti camme instrument de domination consortÌ4le: quelque: exnnpks 'piI-montais, in Familie et parenté. .. , cit., pp. 153-158. Circa ilnesso fra strutturazione in «do-mus» e strutture sociali e politiche nel momento del primo affermarsi della organizzazio-ne politica del comune in Pisa dr. G. Rosszrn, Histoire familiale et structures sociakset politique à Pisa aux XI et XII siècle«, in Familie et parenti, cit., pp. 159-179.

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Oberlenghi

no fungere da essenziale contesto, anche problematico, all'ulteriore svolgimentodella nostra indagine.

6. Torniamo all'analisi del testo genealogico. Consideriamo la sesta genera-zione: quella dei cruciali primi decenni del secolo XII. Ci troviamo di fronte aduna radicale e generalizzata innovazione: la comparsa del soprannome. Eccettodue membri tutti gli altri lo portano: Oberto «Pelavicinus»; Guglielmo «Franci-gena»; Oberto «Brotoporrada»; Ugo «marchio Corsice»; Alberto «marchio deGavi», Alberto «Malaspina»; Oberto «Malenevothe».

Alcuni di questi soprannomi sono destinati a fissarsi in nome di famiglia:così è per i marchesi di Gavi; così per i Pelavicino ed i Malaspina 40.

Questa innovazione è davvero radicale; essa ci dice che a livello di questagenerazione all'interno della vasta discendenza obertenga le forme di interazionedei singoli nel gruppo parentale sono mutate; che forse il gruppo parentale dotatodi identità collettiva in quanto tale non esiste più: che non si può più, insomma,parlare di Obertenghi: nuove realtà diverse e distinte si stanno formando o sisono già formate.

Di queste modificazioni è quasi possibile render conto semplicemente conil descrivere il possibile meccanismo di formazione dei soprannomi.

Vediamo dunque di ricostruire il possibile processo di invenzione, attribu-zione, diffusione, accettazione e fissazione del soprannome.

Si può cominciare col dire che il soprannome è il risultato di un atto indivi-duale di invenzione linguistica. Una persona percepisce ed isola in un atteggia-mento ricorrente di un'altra, in un suo gesto peculiare e tipico, in una sua qualitàfisica o morale o psicologica, o in chissà che altro, qualcosa che è proprio diquel-l'individuo; e, immediatamente, lo definisce con un termine 41. Ciò avviene perforza alla presenza di altri appartenenti allo stesso ambiente, i quali possono ac-cettare la attribuzione del soprannome, riconoscendola, per così dire, «calzante»,oppure esitare ad accettarla, o anche scartarla.

Il verificarsi del fenomeno presuppone un ambiente molto coeso, integrato,dove la gente si intende, parla lo stesso linguaggio; cosa che comporta - per usa-re una nozione di Roman Jakobson - capacità di «percezione ellittica»: la capa--cità cioè da parte di colui che ascolta di colmare le lacune, di cogliere sfumature,sottintesi, ammiccamenti, etc. Nel caso del soprannome sarà capacità di percepì-re la sintesi significante che si è operata tra la peculiarità dell'individuo ed il so-prannome (significato ed anche sostanza fonica).

Bisogna dire che la attribuzione del soprannome è un fatto necessario inogni comunità che abbia una spiccata identità culturale; 'presuppone quel biso-gno di precisione nella individuazione, quel sovrappiù di qualificazione caratte-rizzante che il nome imposto dai parenti non riesce a soddisfare. In quanto taleil fenomeno presenta aspetti di universalità.

40 Cfr. supra alla nota nr. 14.41 In realtà la gamma dei soprannomi è talmente ampia, e così variegato è il modo

in cui la f~~i~, popola:e e non, ~isbiz~isce nella.lo~ inve.nzioneche ogni definizio-ne dei cnren di formazione degli stessi soprannomi risulta madeguata.

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Ma una cosa è l'invenzione; una cosa la diffusione del soprannome nell'am-biente in cui si forma e che lo impone all'interessato che, indifeso, è costrettoad accettarlo; un'altra cosa ancora è la sua ufficializzazione, cioè il rìconoscimen-to dell'interessato e quindi la diffusione del soprannome anche aldifuori dell'am-biente in cui è sorto: vale a dire la sua fissazione come elemento di identificazio-ne permanente di un individuo. E, per finire, è ancora un'altra cosa il suo tra-. smettersi ai discendenti di quell'individuo come nome di famiglia.

Nel contesto socio-culturale dei decenni intorno al1100 sono gli ultimi duefenomeni ad essere storicamente rilevanti; anche nel caso degli Obertenghi.

La fissazione del soprannome come elemento di identificazione permanentee la sua accettazione da parte dell'interessato ci dice innanzitutto che ai singolimembri del gruppo parentale viene imposta dall'ambiente esterno la parte signifi-cante e veramente connotativa della loro denominazione. Ciò è tanto più eviden-te se si considera la qualità dei soprannomi: nella maggior parte dei casi si trattadi soprannomi peggiorativi (<<Pelavicinus, Malnevhote, Malaspina»). Sarannoproprio questi ad imporsi subito come nomi di famiglia (Pelavicino, Malaspina).Solo nella seconda metà del secolo XII, con la generazione successiva, compaio-no e poi si fissano i nomi derivati dalluogo di residenza e centro principale delpotere (eda Este», «de Gavi», «de Massa», «de Parodi»), Nel processo di forma-zione e fissazione del soprannome-nome di famiglia non vi è dunque nulla diprogrammato, di ideologicamente voluto da parte gli interessati; si tratta di unfenomeno che si impone da sé, quasi naturalmente, e dunque è espressione ditrasformazioni e sommovimenti di più vasta portata, nei quali va contestualizzatoper l'eventuale esplicazione. In effetti il fenomeno è da correlare alla configura-zione che assume fra XI e XII secolo il potere signorile e all'affermarsi dellastrutturazione per «domus» negli strati superiori e medi della aristocrazia. Inogni caso ilverificarsi del fenomeno nei modi che abbiamo cercato di illustrareviene a costituire una rottura nel testo genealogico degli Obertenghi; anzi si puòaffermare che a partire dalla generazione in cui il fenomeno si manifesta non sipuò più parlare di «testo» genealogico degli Obertenghi. Non si può più parlareinsomma di «sistema denominativo» obertengo, e considerare di conseguenzal'insieme dei nomi (o doppi-nomi, o nome più soprannome) come campo sernan-tico strutturato, che si è formato in base a ben precise regole. In conclusione sipuò affermare che ormai non esistono più gli -Obertenghi» come gruppo paren-tale formato dalla discendenza del marchese e conte del Sacro Palazzo ObertoI, dotato di una sua speciale identità, che si esprimeva anche attraverso un rego-lato sistema denominativo.

Un documento del 1166 indica, molto sinteticamente, le nuove realtà chesi sono individuate ed hanno assunto una ben precisa identità all'interno dellavasta discendenza obertenga. Nel rinnovare in quell'anno ilgiuramento di fedeltànei confronti del Comune di Genova, un gruppo di domini della Riviera di Le-vante - (i conti di Lavagna) - fanno salvi gli obblighi di fidelitas che avevanonei confronti delli\rcivescovo di Genova, del Vescovo di Bobbio, e infine delledomus dei marchesi Malaspina, dei marchesi di Gavi, dei marchesi Cavalcabò

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Obertenghi

e dei marchesi Pelavicini, ed del marchese Azzo di Verona (estense) 42. Aggiun-giamo a questa lista i marchesi di Massa e Parodi e abbiamo qui elencate tuttele domus marchionali - con il termine domus espresso - uscite dal gran ceppoobertengo.

7. n fenomeno della definizione e fissazione dei nomi di famiglia o comun-que di denominazioni cognominali nei diversi strati della aristocrazia dominanteè molto diffuso nell'Europa del secolo XII. La critica storiografica, laddove sene è occupata, oltre ad accertare e descrivere i modi di formazione e diffusione,ha cercato di coglierne il significato correlandolo ad altri fenomeni di più vastaportata, di cui sarebbe espressione e insieme a cui concorrerebbe a definire unnuovo modo di essere di quella aristocrazia. La storiografia tedesca 43 ha consi-derato il fenomeno, specialmente in relazione al suo manifestarsi in dinastie im-periali o principesche, come fatto di autocoscienza, come espressione di una nuo-va coscienza di sé che si affermerebbe nel nesso con ilprocesso di territorializza-zione - (donde il diffondersi del nome del castello di residenza o centro di pote-re come nome di famiglia) - e nel contesto delle lotte per il potere regio ed im-periale - (donde un diverso rapportarsi con il passato della stirpe). Georges Du-by, a proposito della aristocrazia regionale del mäconnaise, ha notato come i co-gnomina, - il cui uso per designare i gruppi familiari si generalizza alla fine delsecolo XI 44 e che, nella maggioranza dei casi, sono «nomi di terra» (nome deterre) -, si affermino nel periodo in cui si sono formati «casati» coerenti e solida-li, signori di castellanìe indipendenti, investiti del diritto di comandare e punire,di «honores» di origine pubblica, condensati attorno ad una linea di maschi edin cui si manifesta una mentalità dinastica.

In effetti, se il definirsi ed il diffondersi dell'uso del nome di famiglia è daconsiderare come un segno di una nuova identità dei gruppi famigliari e parenta-li, esso va strettamente connesso con lo strutturarsi delle casate o domus signorili-feudali, che a sua volta si precisa nel diffuso processo di signorilizzazione cheinveste l'Europa ex-carolingia fra XI e XII secolo. È lo sviluppo di questo proces-so che, nel dissolversi dell'ordinamento pubblico di origine carolingia con l'aderi-re degli attributi della potenza pubblica alle più elementari cellule della società

42 n 23 novembre del 1166 diversi comites di Lavagna giurano fedeltà al Comunedi Genova (<<fidelitatemCommuni Janue et fidam observantiam subiectorum»), Fannosalva la fedeltà dovuta «domini Frederìci Romani imperatoris». «Et per hoe» - aggiun-gana - ~non te~eantur facer:egue~ Archiepiscopo)anuensi .v~I.Bobiénsi~pi.scopo

. au domul Makzspme vel domu: de GaVI, aut Cavalcabovls et Pelaoicini et marcbionis Aciiveronensis nisi in defensione Communis Janue ad ea que habet ve! habebit de ceteris»,(Codice diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di C. IMPERlALEDI SANTÌ'\NGEW,Roma 1938, II nr. 18, pp. 54-55).

43 Alludo in particolare ai lavori di K.F. Werner e di K. Schmid ed in generale al-la scuola di G. TeIlenbach.

44 G. DuBY, Lignaggio, nobilJà e cavalleria nel XII secolo nella regione di Maconcito p. 135. Al fenomeno della fissazione dei cognomina corrisponde il rinnovarsi dell'o:nomastica individuale, (nomi tratti dall'epica e dal Nuovo Testamento), prima costrettanell'uso ripetitivo dei nomi più prestigiosi dell'ascendenza.

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e dd territorio, provoca anche l'enfatizzazione dei rapporti di perentela t e lospeciale condensarsi di attributi di potere signorile, prestigio e memoria nelle do-mus. Ma infine che cosa si deve intendere per domus, indipendentemente - marelativamente s'intende! - dal significato che il termine può essumere nei diversicontesti documentari alla fine dd secolo XI e lungo il corso dd secolo xn 46?Claude Lévi-Strauss ha proposto di utilizzare il termine di «maison» - (che po-tremmo tradurre in italiano con -casato», cui potremmo far corrispondere il ter-mine «domus» di certi documenti dd XII secolo) - per designare un tipo di«formazione sociale», (che nell'Occidente europeo si individua a partire dal sec0-lo XII), distinta dalla famiglia in senso stretto, che può anche non coincidere conla linea agnatica, ma che consiste piuttosto «en un héritage material et spiritualcomprenant la dignité, les origines, la parenté, les noms, et les symboles, la posi-tion, la puissance et la richesses. La «maison» è dunque una persona morale, de-tentrice di un patrimonio composto di beni materiali e spirituali; e che infinesi perpetua «en trasmettant son nom, sa fortune et ses titre en ligne directe Oll

fictive, tenue pour légitime a la seule condition que cette continuité puìsse s'ex-prirner dans le language de la parenté ou de l'alliance et, le plus souvent, desdeux ensemble» 47.

Così definita la «maison» appare, a partire dal secolo XII, come ilmodellodi organizzazione della aristocrazia dominante in Europa, e come una delle strut-ture portanti della società europea nel suo complesso. La definizione, infine, rac-chiude una delle caratteristiche che meglio valgono a individuare l'identità delledomus: il fatto di essere organizzatrici e produttrici della propria memoria e dicultura storiografica in generale, Non è certo un caso la diffusione in tutti glistrati della aristocrazia, proprio nel corso dd secolo XII, della letteratura genea-logica; fenomeno nel cui vario manifestarsi si esprime, meglio che in ogni altro,l'autocoscienza delle singole domus signorili-feudali 48.

4' Sia C. Violante (Le strutture fami1i4ri, parenllJ/i ~ consortili ... , cit., p. 30) sia G.Tabacco (Le rapport de parenté comme instrummt de domination consoniale ... cit., p. 155)hanno notato come si assista al fenomeno di chiamare formalmente «parentela» delle as-sociazioni di famiglie che non avevano origini comuni. (E anche il caso delle «consone-rie per carta»). Si tratterebbe di una applicazione cosciente e dichiarata della esperienzadella parentela alle esigenza della dominazione di gruppo.

46 G. Rossetti (5torilz familiare e struttura sociale ~ politica a Pisa nei secoli XI eXII, in Famig/ia e parentela ne//'IIIJ1i4 medioevale, a cura di G. DUBY e J. LE GOFF, Bolo-gna 1981, p. 106) cosl definisce le domus pisane: «Domus è il gruppo parentale: dei con-sanguinei formato dalle famiglie dei discendenti maschi del ceppo originario». Esse«hanno uno o più cognomi propri, ma sono unite nella attività pubblica che ese:rcitanocollettivamente, nella gestione comune del patrimonio familiare, nell'esercizio di un pa-tronato su di un ente ecclesiastico di cui sono i principali benefattori, nel giulamentodifide/illJs vescovile per il godimento di un bene awto in livello, nella residenza comune:in un complesso di edifici (domus) localizzati stabilmente in una parte della cittä»,

47 C. LÉVl-STRAUSS, Histoire et ethnologie, cit., p. 1124. Lapplicazione più compiu-ta di questo modello inJ.E. RUIZ-DoMtNEC, L'Estructura f~/, Barcellona 1985. Dellostesso autore cfr. Estrategias matrimoniales y sistema de allianzas mire Casti/la y CaIlJIllNien el siglo XII, in «Hispania. XL (1980), pp. 277-284. Vedi anche per il fissarsi deì co-gnomi B. GARl, E linai~ des los Caste/~//, Belleterre 1983.

48 Cfr. L. GENlcar, Les Généalogies, (Typologie des sources du Moyen A~ Occùkn-tal 15), Brepols-Turnhaut 1975.

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Obertenghi

Per concludere ancora una osservazione circa i soprannomi poi fissatisi in•nomi di famiglia in alcuni rami obertenghi. il carattere di soprannomi come«Malaspina» e «Pelavicino», e ilmodo con cui si sono affermati e fissati in co-gnome indica che non si tratta di un fenomeno di «autocoscienza» e di produzio-ne ideologica voluta dagli interessati. Si tratta, come abbiamo visto, di un feno-meno che viene imposto agli interessati dall'ambiente esterno, e da essi accettatoin quanto risponde ad esigenze e bisogni più generali; si tratta insomma di unfenomeno della cultura generale del tempo. Solo in un secondo periodo, nel corsodel secolo XIII, quei cognomi saranno sottoposti ad un processo di ingentilirnen-to, contemporaneamente alla loro riproduzione figurata in stemmi ed insegnearaldiche, e al sorgere di leggende eziologiche che investono l'etimo stesso del no-me di famiglia.

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II 1\PROAVO OBERTO III OBIZZO IDEl PELA VICINO ADALBERTO II ADALBERTO AZlO I UGOI IIII OBERTOIlI? v.IOII-I026 v, 1014-1060 v. 1012-1037I. W02-IOll

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