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VOLUME 115 ANNO 2005 A CURA DI PAOLO CIUCCI, CORRADO TEOFILI, LUIGI BOITANI BIOLOGIA E CONSERVAZIONE DELLA FAUNA ISTITUTO NAZIONALE PER LA FAUNA SELVATICA “ALESSANDRO GHIGI” Grandi Carnivori e Zootecnia tra conflitto e coesistenza

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VOLUME 115ANNO 2005

A CURA DI

PAOLO CIUCCI, CORRADO TEOFILI, LUIGI BOITANI

BIOLOGIA E CONSERVAZIONE DELLA FAUNA

ISTITUTO NAZIONALE PER LA FAUNA SELVATICA“ALESSANDRO GHIGI”

Grandi Carnivori e Zootecniatra conflitto e coesistenza

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BIOLOGIA E CONSERVAZIONE DELLA FAUNAgià Ricerche di Biologia della Selvaggina

pubblicazione dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Alessandro Ghigi”

Via Ca’ Fornacetta, 9 - Ozzano dell’Emilia (Bologna)

Direttore responsabile: Silvano Toso

Redazione: Nicola BaccettiStefano FocardiVittorio GubertiEttore RandiFernando SpinaSilvano Toso

Comitato Scientifico:

Giovanni Amori Sergio Frugis Giuseppe Nascetti Natale E. Baldaccini Marino Gatto Luca RossiTeresio Balbo Sandro Lovari Luciano Santini Silvano Benvenuti Danilo Mainardi Francesco TolariLuigi Boitani Harry Manelli Augusto Vigna-Taglianti Urs Breitenmoser Bruno Massa Enrico ZaffaroniMauro Fasola Toni Mingozzi

L’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS), fondato nel 1933 come Laboratorio di Zoologia applicata alla Cacciae denominato Istituto Nazionale di Biologia della Selvaggina “Alessandro Ghigi” nel periodo 1977-1992, è organoscientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le Regioni e le Province sui problemi di conservazione della faunaomeoterma.

L’Istituto Zoologico della Regia Università di Bologna iniziò a pubblicare nel 1930 la rivista “Ricerche di Zoologiaapplicata alla Caccia”, che a partire dal XX volume divenne la rivista ufficiale del Laboratorio di Zoologia applicata allaCaccia. Nel 1939 venne avviata la collana “Supplemento alle Ricerche di Zoologia applicata alla Caccia”. Nel 1971 letestate cambiarono la denominazione rispettivamente in “Ricerche di Biologia della Selvaggina” e “Supplemento alleRicerche di Biologia della Selvaggina”. Nel 1997 le due riviste sono state accorpate nell’unica collana “Biologia eConservazione della Fauna”, alla quale è stato dato un nuovo formato ed una nuova impostazione grafica, proseguendo lanumerazione della precedente collana “Ricerche di Biologia della Selvaggina”.

The Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) is the national research and advisory agency for wildlifeconservation in Italy. Founded in 1933, it was formerly named Laboratorio di Zoologia applicata alla Caccia (1933-1977) and Istituto Nazionale di Biologia della Selvaggina ‘Alessandro Ghigi’ (1977-1992).

In 1930 the Institute of Zoology of Bologna University started to publish the series ‘Ricerche di Zoologia applicataalla Caccia’ which, from the 20th volume on, became the official journal of the Laboratorio di Zoologia applicata allaCaccia. The series ‘Supplemento alle Ricerche di Zoologia applicata alla Caccia’ started in 1939. Both journals in 1971changed their titles into ‘Ricerche di Biologia della Selvaggina’ and ‘Supplemento alle Ricerche di Biologia dellaSelvaggina’, respectively. In 1997 they were merged in a single series of publications, namely ‘Biologia e Conservazionedella Fauna’, whose issues are numbered contiguously with the earlier ‘Ricerche di Biologia della Selvaggina’ (firstissue: no. 101).

Foto di copertina: Archivio WWF e Marco Caporioni ©Illustrazioni: C. Flore, F. Gemma, S. Maugeri, A. Troisi - Impaginazione: Pandion snc

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BIOLOGIA E CONSERVAZIONE DELLA FAUNA

Volume 115 Anno 2005

A CURA DI

PAOLO CIUCCI, CORRADO TEOFILI, LUIGI BOITANI

Grandi Carnivori e Zootecniatra conflitto e coesistenza

ATTI DEL CONVEGNOPESCASSEROLI, 28 MAGGIO 2004,

CENTRO NATURA PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE

ISTITUTO NAZIONALE PER LA FAUNA SELVATICA“ALESSANDRO GHIGI”

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La redazione raccomanda per la citazione bibliografica di questo volume la seguente dizione:

The editors recommend that for references to this work the following citation should be used:

Ciucci P., Teofili C., Boitani L. (a cura di), 2005 - Grandi Carnivori e Zootecnia tra conflitto e coesistenza.Biol. Cons. Fauna 115: 1-192

Il contenuto anche parziale della presente pubblicazione può essere riprodotto solo citando il nome degli autori, il titolo dellavoro e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Alessandro Ghigi”.

ATTI DEL CONVEGNOPESCASSEROLI, 28 MAGGIO 2004, CENTRO NATURA PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE

IL PROGETTO LIFE COOP NASCE DALLA COLLABORAZIONE DI:WWF ITALIA, LEGAMBIENTE, CORPO FORESTALE DELLO STATO,PARCO NAZIONALE DEL POLLINO, PARCO DEL GIGANTE.

IL CONVEGNO È STATO ORGANIZZATO IN COLLABORAZIONE CON IL

PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE.

A CURA DI

PAOLO CIUCCI, CORRADO TEOFILI, LUIGI BOITANI

Grandi Carnivori e Zootecnia tra conflitto e coesistenza

PROGETTO LIFE COOP “CARNIVORI E ZOOTECNIA:STRUMENTI PER LA PREVENZIONE DEL DANNO”(LIFE 2002NAT/CP/IT/000046)

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INDICE

PRESENTAZIONE

Silvano Toso .................................................................................................................................... PAG. 8

Aldo Di Benedetto ........................................................................................................................... PAG. 10

PREMESSA

Giuseppe Rossi ................................................................................................................................ PAG. 12

AUTORI .............................................................................................................................................. PAG. 14

REFEREE ............................................................................................................................................ PAG. 15

INTRODUZIONE ..................................................................................................................................... PAG. 16

MITIGAZIONE DEL CONFLITTO E POLITICHE DI CONSERVAZIONE DEI GRANDI CARNIVORI IN ITALIA Mitigation of conflicts and Italian policies for large carnivores conservationP. Genovesi ...................................................................................................................................... PAG. 21

CONFLITTO TRA LUPO E ZOOTECNIA IN ITALIA: STATO DELLE CONOSCENZE, RICERCA E CONSERVAZIONEWolf-livestock conflict in Italy: knowledge, research and conservationP. Ciucci e L. Boitani ....................................................................................................................... PAG. 26

ACCERTAMENTO DEI CASI DI PREDAZIONE SUL BESTIAME DOMESTICO: METODI, VALIDAZIONE DEI RISULTATI E IMPLICAZIONI GESTIONALI. LUPO O CANE: CHI È STATO?Livestock predation Assessment: Methods, validation and management outcome Wolf or dog predation: who did it?R. Fico, S. Angelucci, I. Patumi ........................................................................................................ PAG. 52

IL RUOLO DEI FINANZIAMENTI AGLI ALLEVATORI NEI CONFLITTI TRA BESTIAME DOMESTICO E CARNIVORI SELVATICIRole of financial support to the livestock sector in the conflicts with wild carnivoresF. Antonelli, B. Giannuzzi Savelli, L. Boitani .................................................................................... PAG. 64

CONFLITTI TRA CARNIVORI E ZOOTECNIA, INDAGINE SULL’UTILIZZODEI SISTEMI DI PREVENZIONE DEI DANNI NEI PROGETTI LIFELarge Carnivore - Livestock conflicts: assessing the use of prevention methods adoptedby some Italian LIFE Nature projectsM. Caporioni e C. Teofili .................................................................................................................. PAG. 74

ORSO BRUNO E ATTIVITA’ ANTROPICHE IN TRENTINO: STRUMENTI E AZIONI VOLTE A MITIGARE I CONFLITTI. CRITICITA’Brown Bear and human activities in Trentino: tools of management and actions to reduce conflicts Critical factorsE. Cetto, C. Fraquelli, P. Zanghellini ................................................................................................ PAG. 88

LA GESTIONE DEL LUPO IN TOSCANAThe management of Wolf in Tuscany - ItalyP. Banti, L. Bartolozzi e P. Cavallini ................................................................................................. PAG. 98

L’IMPATTO DEI PREDATORI SUL BESTIAME DOMESTICOIN PROVINCIA DI CUNEO The impact of predators on livestock in the province of Cuneo A. Tropini ........................................................................................................................................ PAG. 102

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Indice

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CONFLITTO TRA LUPO (Canis lupus L. 1758) E ZOOTECNIA NELL’APPENNINOTOSCO-EMILIANO. MONITORAGGIO, PREVENZIONE E MITIGAZIONEConflict between wolf (Canis Lupus, L. 1758) and farming activity in the Tosco-Emiliano Apennine:monitoring, prevention and assuagementW. Reggioni, M. Andreani, M. Carletti, F. Moretti, F. Rigotto ........................................................... PAG. 116

L’IMPATTO DELL’ORSO (Ursus arctos) SULL’ALLEVAMENTO E L’AGRICOLTURA NELLA PROVINCIA DE L’AQUILABrown Bear (Ursus arctos) impact on Livestock and agricolture in the southern L’Aquila Province, ItalyG. Potena, L. Sammarone, M. Posillico, A. Petrella e R. Latini ......................................................... PAG. 126

PREDAZIONI SUL BESTIAME MONTICANTE NEL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA.ANALISI DEL FENOMENO ED ASPETTI GESTIONALIWildlife predation on grazing livestock in the Majella National Park: analysis of phenomenon and implications on managementS. Angelucci, T. Andrisano, G. Marcantonio, A. Antonucci, R. Fico ................................................. PAG. 141

CONFLITTO TRA GRANDI CARNIVORI E ATTIVITÀ ANTROPICHE NEL PARCO NAZIONALED’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE: ENTITÀ, ESPERIENZE E PROSPETTIVE DI GESTIONEThe conflict between humans and large carnivores at the Abruzzo, Lazio and MoliseNational Park (central Italy): assessment, experiences and management perspectivesR. Latini, C. Sulli, L. Gentile, A. Di Benedetto ................................................................................. PAG. 151

MONITORAGGIO DEL CONFLITTO TRA LUPO E ZOOTECNIA NEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO: QUANTIFICAZIONE DEL FENOMENO ED INDAGINE CONOSCITIVASULLE TIPOLOGIE DI ALLEVAMENTO E SULL’ATTEGGIAMENTO DEGLI ALLEVATORIMonitoring conflict between wolf and farming activity in the Pollino National ParkI. Gatto, F. Rotondaro, P. Serroni ................................................................................................... PAG. 160

VERSO IL MIGLIORAMENTO DELLA COESISTENZA TRA SPECIE SELVATICHE E ATTIVITÀ AGRICOLE IN EUROPA MEDITERRANEA: BREVE RASSEGNA E PROPOSTE PER IL FUTUROImproving coexistence between wildlife and agriculture in Mediterranean Europe: overview of current situation and proposal for future activitesA. Mertens, V. Salvatori, J. C. Blanco, D. Huber, C. Godes, L. Pinto de Andrade ............................. PAG. 169

LE RECINZIONI ELETTRIFICATE PER LA DIFESA DEGLI OVICAPRINI DAI GRANDI PREDATORI: UNA PROPOSTA SUL CAMPOPower fences prevention for damage caused by large carnivore: a utilization proposalM. Pellegrini e R. Zuccarini ............................................................................................................. PAG. 176

MONITORAGGIO DELL’EFFICIENZA DEI CANI DA GUARDIANIA: APPLICAZIONE PRELIMINARE SUI CANI DATI IN AFFIDAMENTO NELL’ARCO ALPINOMonitoring the efficiency of live-stock guarding dogs:a preliminary application with dogs assigned to sheperds in the AlpsE. Tedesco e P. Ciucci ..................................................................................................................... PAG. 181

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R ecentemente ho accompagnato unamico americano, appassionato os-servatore della natura e della fauna,

a visitare un tratto del basso Appennino bo-lognese. Nel corso dell’escursione gli dissi che inquell’area si era insediata da alcuni anniuna famiglia di lupi e che nel territorio dellaprovincia vivevano almeno quattro branchidi questa specie. La sua reazione fu digrande stupore e quasi d’incredulità; nonriusciva convincersi che un ambiente cosìsegnato dalla presenza millenaria dell’uo-mo, ancora in buona misura coltivato, coninsediamenti abitativi diffusi, una fitta retestradale e distante pochi chilometri da unacittà di oltre quattrocentomila abitanti po-tesse ospitare un grande predatore che, nelsuo immaginario e nella sua esperienzapersonale, associava a vastissimi spazi na-turali assai poco o per nulla alterati, in unaparola al concetto di “wilderness”. Avendo amente i problemi d’impatto con gli allevato-ri sorti in occasione della reintroduzione dellupo in Montana, il mio amico mi chiesecome in Italia tentassimo di affrontare la“dimensione umana” della presenza dellupo: una domanda impegnativa a cui cer-cai di rispondere in maniera articolata, pro-vando tuttavia un certo imbarazzo. Di fatto la riconquista del nostro Paese daparte della grande fauna (in particolare Un-gulati e Carnivori) avvenuta negli scorsi de-cenni è sostanzialmente la conseguenza in-diretta di mutamenti socioeconomici chehanno interessato il mondo rurale, piutto-sto che il frutto di una consapevole ed or-ganica strategia di ripristino delle zooceno-si. Certo la protezione legale accordata adOrso, Lupo e Lince ormai da parecchi anni,la creazione delle aree protette, gli inden-nizzi agli allevatori danneggiati accordati daalcune amministrazioni locali e l’opera disensibilizzazione dell’opinione pubblicasvolta da diversi soggetti, in primis le asso-ciazioni di tutela della natura, hanno aiuta-to questo processo di ricolonizzazione. Tut-tavia, in maniera per certi versi sorpren-

dente, esso si è realizzato e continua a rea-lizzarsi in mancanza di una politica com-plessiva di interventi organici e coordinatida parte delle Amministrazioni pubbliche enonostante l’abbattimento illegale di moltedecine di soggetti ogni anno. Riferendosiallo stato di conservazione del Lupo qual-cuno ha definito questo stato di cose “la viamediterranea alla conservazione dellafauna”: ad una sostanziale inefficienza de-cisionale ed organizzativa da parte delle au-torità si affianca un’altrettanto inefficientecontrollo illegale che riesce solo in parte acontrastare il potenziale biotico della spe-cie. Il bilancio è sinora positivo, almeno perciò che concerne la progressiva diffusionegeografica del Lupo, ma dobbiamo chieder-ci se potrà continuare ad esserlo nei pros-simi anni di fronte alle nuove sfide che sipresentano. Mi riferisco in particolare allagià iniziata ricolonizzazione dell’arco alpinoda parte della specie, in un contesto am-bientale e sociale per molti versi differenterispetto a quello dell’Italia peninsulare. Ilfragile equilibrio che si è creato potrà anco-ra reggere di fronte alle spinte contrappostedi un’opinione pubblica “cittadina” tenden-zialmente ed acriticamente animalista equella degli epigoni di un mondo rurale chevede i propri interessi materiali minacciatida una fauna di cui spesso ha perso la me-moria storica? Penso sia giunto il momentodi pensare veramente ad una politica inte-grata di conservazione del Lupo che, se-guendo le linee guida del piano d’azione na-zionale promosso dal Ministero dell’Am-biente e della Tutela del Territorio ed elabo-rato dall’Istituto Nazionale per la FaunaSelvatica, si doti degli strumenti necessari efaccia in modo che possano essere real-mente utilizzati. Anche il caso dell’Orso è per molti aspettiemblematico: da una parte la conservazio-ne della popolazione dell’Appennino centra-le è seriamente messa a rischio proprio dal-l’incapacità di instaurare un processo deci-sionale condiviso ed univoco da parte deglienti gestori dei territori che ne ospitano l’a-

Presentazione

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PRESENTAZIONE

Silvano TosoDirettore dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica

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reale, dall’altra la recente operazione direintroduzione in Trentino è unanimemen-te considerata, anche a livello europeo, unsuccesso dovuto non solo ad un approcciorigoroso nelle fasi di progettazione e di at-tuazione, ma, soprattutto, perché ha sapu-to coinvolgere diversi soggetti istituzionaliin un disegno unitario. Naturalmente in una efficace strategia diconservazione dei grandi carnivori i provve-dimenti normativi, le tecniche operative el’approccio culturale volti a prevenire e mi-nimizzare i danni al patrimonio zootecnicorivestono un ruolo primario; proprio sullabase di questa considerazione è stato orga-nizzato il convegno “Grandi Carnivori eZootecnia tra conflitto e coesistenza” che ha

rappresentato un importante occasione dianalisi del fenomeno, discussione di casiconcreti e proposte operative. Gli atti delconvegno, raccolti nella presente pubblica-zione, potranno dunque fornire un materia-le assai utile per coloro che intendono lavo-rare in questo settore e, sperabilmente, po-tranno contribuire alla costruzione di unprogetto integrato di conservazione in gradodi rendere sostenibile nel tempo la presen-za diffusa dei grandi carnivori in un Paeserelativamente piccolo, sovraffollato, pienodi strade e di case ma nel quale si sta rea-lizzando la meravigliosa esperienza di unaconvivenza possibile tra i simboli della na-tura selvaggia ed una società umana proiet-tata nel terzo millennio.

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D opo circa trent’anni il Parco Nazio-nale d’Abruzzo, Lazio e Molise ha ri-preso la ricerca scientifica sul

Lupo. I primi dati si presentano più che in-coraggianti per un Ente che è stato all’a-vanguardia nelle operazioni di salvaguardiadi una specie ridotta a pochissimi individuiall’inizio degli anni 70. La nuova ricerca incorso ci consente di localizzare ad oggi al-meno sei differenti unità riproduttive, nelsolo territorio del Parco, esclusa la ZPE.Questo importante risultato dimostra nonsolo la piena vitalità della specie, ma anchel’elevata idoneità ambientale e ricchezza dirisorse trofiche del Parco, che permettonoalla specie di vivere con densità tra le piùelevate ad oggi rilevate nelle aree protettedel territorio italiano. Parliamo di un parconazionale che consta di una superficie pro-tetta di 50.000 ettari, con una fascia di pro-tezione esterna (ZPE) di circa 80.000 ettari.Un altro dato molto interessante, che colli-ma con il monitoraggio della popolazione,riguarda la dieta del Lupo che oggi è carat-terizzata per circa l’80% da prede selvatichetra cui cinghiali, caprioli, cervi, mentrecirca trenta anni fa era ridotta ad alimen-tarsi di avanzi nelle discariche. Durantequesto periodo, in effetti, c’è stato un forteincremento delle popolazioni di ungulati,con una crescita esponenziale di cervi e ca-prioli, un sensibile incremento del Camo-scio d’Abruzzo, notevoli presenze di cin-ghiali che frequentemente emigrano all’in-terno dell’area protetta dall’area contigua,per sfuggire ai cacciatori. Bisogna ricordare che fino al 1971, in Italiail lupo è stato perseguitato dall’uomo per-ché ritenuto nocivo ed incompatibile con leattività zootecniche; la caccia era consenti-ta anche all’interno delle aree protette e ve-nivano pagate delle taglie a coloro che liavrebbero uccisi. Ma da quel periodo in poici fu una vera e propria inversione di ten-denza, per le incisive ed efficaci azioni ge-stite dall’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo,Lazio e Molise in collaborazione con il WWFItalia. Le linee strategiche di rivalutazione

della specie e di ripresa della popolazionefurono caratterizzate da una puntuale ri-cerca scientifica, dalla ricostituzione dellecatene alimentari, la concessione dei primiindennizzi per i danni provocati al bestiamedomestico, la chiusura delle discariche, lasensibilizzazione delle istituzioni nazionalie regionali, la vasta campagna d’informa-zione e di sensibilizzazione al pubblico -anche attraverso la creazione di musei earee faunistiche dedicate al Lupo appenni-nico - l’avvio di attività di educazione am-bientale. Tuttavia, a fronte di questi datidobbiamo rimarcare, ancora oggi, il preoc-cupante fenomeno delle uccisioni illegali edel bracconaggio, che non ha mai allentatola sua morsa, in particolare nella ZPE e chenegli ultimi 15 anni ha causato la morte di15 lupi di cui 10 per avvelenamento e 5 perarma da fuoco.Dopo un lungo periodo di stasi, l’EnteParco, in collaborazione con il Dipartimen-to di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Uni-versità “La Sapienza” di Roma, ha ripresonell’ultimo anno anche la ricerca sull’Orsobruno marsicano, una specie unica almondo, con una popolazione residuale, inpericolo di estinzione, che ha il suo nucleovitale nel cuore dell’area protetta, con unnumero di individui stimato tra le 40 e le 60unità. In Italia, oltre all’Orso bruno marsi-cano, vive un’altra piccola popolazione diOrsi bruni, stimata in 15 e 20 unità, rein-trodotta nel 2001 dalla Slovenia, tra i montie le valli del Trentino, nell’area del ParcoNaturale Adamello-Brenta. Ma l’Orso bruno marsicano è legato allastoria del Parco e alle sue stesse sorti, inquanto il Parco fu istituito nel 1921 proprioper salvaguardare dall’estinzione la pregia-ta specie così come il Camoscio d’Abruzzo.altrimenti destinati allo sterminio. La ricer-ca scientifica in corso, dunque, ha l’obietti-vo di monitorare la popolazione di orsi e lasua distribuzione nell’area protetta e nellezone limitrofe, rivelare i fattori di criticità, lerisorse trofiche, i pericoli e le minacce per lasopravvivenza della specie.

Presentazione

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PRESENTAZIONE

Aldo Di BenedettoDirettore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

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Uno degli elementi su cui ormai c’è la mas-sima condivisione riguarda la superficieadeguata tale da garantire l’habitat ad unapopolazione numericamente vitale e ripro-duttiva, in relazione agli areali di distribu-zione di ogni individuo che, in base ai piùrecenti dati, in via di acquisizione proprionel territorio del PNALM, può arrivare adestendersi per oltre 15.000 ettari per unmaschio adulto. Tuttavia, per quanto criti-co ed essenziale, l’attuale superficie delParco non sarebbe di ampiezza sufficiente asostenere una popolazione numericamenteriproduttiva e vitale che, per sopravvivere,avrebbe bisogno di estensioni ben maggioridi aree ed habitat idoneo. A ciò si aggiun-gano le minacce ed i rischi, sempre incom-benti, tra cui in primis le uccisioni illegali eil bracconaggio al cinghiale, che coinvolgespesso l’orso. Per di più negli ultimi annisono emersi ulteriori fenomeni criminosi,tra cui la dispersione di bocconi avvelenatiche hanno causato la morte di quattro orsinella ZPE. L’area protetta è stata abitata dall’uomo finda tempi remoti dove egli ha sviluppato at-tività economiche attraverso l’utilizzazionedel patrimonio boschivo e dei pascoli; percui il Lupo, l’Orso e la Lince sono semprestati considerati nemici delle attività pro-duttive, in aperto conflitto con le economielocali tra cui la zootecnia. Malgrado negliultimi decenni ci sia stato un cambiamentodella coscienza civile e della sensibilità col-lettiva - a cui devono essere associate nor-mative e direttive internazionali, nazionali eregionali che hanno cambiato l’atteggia-mento e la cultura dei cittadini d’Europanel loro rapporto con le specie selvatiche -il conflitto con i grandi predatori è semprevivo, per questo si rendono necessarie stra-tegie ed interventi di prevenzione e di miti-gazione del conflitto con gli allevatori e conle popolazioni locali. Tra le azioni e le meto-dologie applicative, suggerite dagli addettiai lavori, ricordiamo: un efficace monitorag-gio delle popolazioni selvatiche e dei dannida esse provocate, interventi sistematici diprevenzione e tempestivi indennizzi com-pensativi, il coinvolgimento delle diverse ca-tegorie sociali (allevatori, agricoltori, asso-ciazioni di categoria), la condivisione tra idiversi stakeholders dei programmi di ge-

stione dei grandi carnivori, infine una par-ticolare cura alla comunicazione, informa-zione e sensibilizzazione del pubblico.In questo contesto è fondamentale una ri-cerca scientifica che sia strettamente colle-gata alla gestione della fauna selvatica, cheutilizzi protocolli d’indagine analitici, chesappia individuare le relazioni funzionalitra i diversi fattori in causa, che si appropridi una metodologia e di disegni sperimenta-li propri del metodo scientifico. Purtroppo, il Parco è ancora un’ “isola”, nelcontesto di un più ampio territorio, gestitasotto il profilo amministrativo con leggi“speciali” - la prima risalente alla sua isti-tuzione, il R.D.L. 11.01.1923, l’altra più re-cente, la legge 394/91 - che affidano all’En-te funzioni di prevalente tutela delle specieselvatiche, tra cui il Lupo, l’Orso e la Lince,ma con forti limitazioni nei poteri, per la ca-renza di adeguati finanziamenti e per la dif-ficoltosa e controversa armonizzazione conaltre competenze amministrative affidateagli Enti locali -tra cui Comuni, Regioni eProvince - sia all’interno dall’area protettache nelle zone limitrofe. Ciò determina ungrave condizionamento alle strategie e aiprogrammi di conservazione dei grandi car-nivori, tra cui, in particolare l’Orso brunomarsicano. Resta, quindi, da chiarire se loStato e gli amministratori pubblici abbianoacquisito la sensibilità e la disponibilità adaffrontare con maggiore chiarezza, determi-nazione e collaborazione, nonché con piùadeguate risorse, il delicato tema della co-esistenza tra grandi carnivori e attività an-tropiche. La pubblicazione degli atti del simposio“Grandi Carnivori e Zootecnia: tra conflittoe coesistenza”, tenutosi a Pescasseroli 28maggio 2004, si rivela allora un utile stru-mento di consultazione e di studio di unaproblematica che non suscita ancora suffi-ciente attenzione tra gli addetti ai lavori, gliamministratori pubblici e le forze politicheche, a loro volta, possono trarre utili sugge-rimenti ed indicazioni per poter offrire, ungrande contributo alla protezione di specieselvatiche pregiate ed uniche e, nel contem-po, garantire la sopravvivenza di antiche elodevoli attività economiche nel contestodella società moderna.

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Premessa

PREMESSA

Giuseppe RossiDirettore Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali

N el momento in cui i grandi carnivo-ri, ma specialmente il Lupo, stannoriconquistando larghi territori e la

loro popolazione sembra godere discreta sa-lute, appare molto importante e significati-vo avviare, proprio da qui, dal Parco Nazio-nale d’Abruzzo, una attenta riflessione sulpersistente conflitto tra questi predatori e leattività umane tradizionali delle zone daessi frequentati.Negli ultimi decenni molti sono stati glistudi di carattere scientifico sulla ecologia el’etologia di queste specie, ma raramente èstata affrontata la questione della loro con-vivenza con l’uomo, come elemento impor-tante, se non determinante, per la loro sal-vaguardia. Nel 1970, ad esempio, del Lupoappenninico erano rimasti pochissimiesemplari, e si temeva per la sua sopravvi-venza. Era da poco terminata una vera epropria campagna di sterminio condotta adogni livello, anche dall’Ente Parco, per eli-minare gli animali “nocivi”.Nuove sensibilità, l’impegno delle associa-zioni e la ripresa delle attività del Parco – mipiace ricordare questo perché ne sono statoanche protagonista – riuscirono a promuo-vere e fare approvare un apposito provvedi-mento di legge per la tutela del Lupo sututto il territorio nazionale, portando così ilnostro Paese all’avanguardia per le politi-che di conservazione delle specie a rischio.Certamente, non bastava un provvedimen-to legislativo a risolvere il problema, gravis-simo. Erano rimaste poche decine di lupi eoccorreva attivare iniziative di controllo evigilanza tali da impedire ancora uccisioni.Ma era soprattutto necessario avviare unapolitica di gestione della specie, certamentenon semplice da realizzare, nella condizionedata di conflitto evidente con le attivitàumane e la mancanza di sensibilità e dis-ponibilità politico-amministrativa, in parti-colare a livello locale.Non era affatto semplice, soltanto con le di-chiarazioni, far comprendere l’utilità e l’im-portanza del ruolo dei predatori e del Luponell’equilibrio naturale, e per lo sviluppo

delle stesse attività economiche tradiziona-li, concernenti l’agricoltura e l’allevamento. E non solo, era forse importante far com-prendere, soprattutto in un Parco Naziona-le, quanto la tutela del Lupo, predatore pereccellenza, potesse rappresentare un ele-mento di straordinario valore produttivopersino per le nuove economie emergenti le-gate al turismo.Non c’è alcun dubbio che l’esperienza delParco Nazionale d’Abruzzo negli anni set-tanta sia stata determinante per avvicinarel’opinione pubblica e gli abitanti locali alletematiche di conservazione, creando unospirito di maggiore disponibilità verso que-sti animali “cattivi”.Uno degli aspetti più delicati, evidentemen-te, riguarda il conflitto tra Lupo-Orso e al-levatori-agricoltori, penalizzati dai danniprovocati costantemente alle greggi e allecolture. Nei programmi di gestione, seppu-re parziali, come non potevano che essereall’epoca, era di fondamentale rilievo tenereconto di questo aspetto e non limitarsi sol-tanto a considerazioni di ordine tecnico-scientifico e conservazionistico.Bisognava essere più pragmatici e pratici eprevedere perciò misure concrete di salva-guardia anche degli interessi di allevatori econtadini.Le prime iniziative di indennizzo dei dannida parte del Parco furono molto apprezzatee contribuirono a mitigare l’atteggiamentonegativo verso lupo e orso, avviando un di-battito rivelatosi estremamente proficuo,anche per lo sviluppo che ne è seguito.Nonostante questo, però, continuavano leuccisioni e le azioni ostili, che in qualchecaso assumevano le caratteristiche di vere eproprie campagne di sterminio, nonostantele nuove leggi e nonostante le numerose ini-ziative di sensibilizzazione e di educazioneintraprese a livello nazionale dalle associa-zioni culturali e dal mondo scientifico.Era probabilmente necessario predisporredei veri e propri piani di gestione faunisticache tenessero conto non soltanto delle esi-genze dei predatori, ma anche di quelle

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degli uomini, integrando la loro presenza ela loro attività.Ricordare, ad esempio, l’importante mo-mento della realizzazione di un’area fauni-stica del Lupo a Civitella Alfedena e di unMuseo dedicato espressamente alla storia ealle vicende del Lupo, può servire a sottoli-neare come lo sviluppo locale, oggi definito“sostenibile”, può essere molto utile allacausa. Il coinvolgimento degli abitanti loca-li, anche se essenzialmente per gli aspettieconomici, può rivelarsi misura prima inte-ressante, e poi molto positiva e coerente,per sensibilizzare, educare e creare unanuova cultura territoriale, destinata ad as-sicurare al meglio la convivenza e riducen-do le occasioni di conflitto, che ancora oggicaratterizzano il panorama nazionale,quando si parla di questi animali e dellaloro salvaguardia.Al di là della “concorrenza” che essi possonoesercitare con l’uomo “predatore” che diffi-cilmente si dimostrerà loro amico, l’opinionepubblica del nostro Paese mostra ormai diessere molto sensibile e disponibile nei ri-guardi dei grandi predatori e di conoscernee apprezzarne il ruolo nella natura. Anche icontadini e gli allevatori, dove sono stati co-involti e resi protagonisti delle campagne diprotezione attraverso la considerazione deiloro interessi, mostrano maggiore disponibi-lità e spirito di collaborazione.Si tratta di risultati indiscutibili, altrimentinon potremmo assistere all’aumento co-stante delle popolazioni di lupo o alla accet-tazione di campagne di reintroduzione del-l’orso, o alla diminuzione di uccisioni dilinci. Che negli ultimi anni la popolazionesia diventata, anche localmente, più apertae colta, è un dato di fatto.Ma le uccisioni continuano. Anche questo èun dato di fatto.E ciò può voler dire che occorre ancora la-vorare, e lavorare molto. Che non tutto èstato fatto e che non tutto è stato fatto

bene. O forse, che il conflitto non è del tuttosanabile e che ci si deve abituare a convive-re. Ciò è possibile, ma le azioni di conser-vazione dei carnivori non possono fermarsi,devono procedere individuando tecniche emodalità tali da garantire la loro miglioretutela.Alle misure di indennizzo dei danni, di fi-nanziamento per la realizzazione di recinti ericoveri, di educazione e sensibilizzazionedella opinione pubblica, è indispensabile farseguire una maggiore attenzione di caratte-re sociale e culturale verso le popolazionirurali, che sono poi quelle che, in definitiva,devono quotidianamente fare i conti con lapresenza di questi animali, in genere perce-piti dalla opinione pubblica soltanto comevalori essenzialmente culturali.Gli agricoltori e gli allevatori sono inveceabituati a considerare i predatori come es-sere concreti, spesso in aperta concorrenzacon le attività antropiche e quindi dannosi.Per migliorare la convivenza è ancora ne-cessario conoscere a fondo tutte le proble-matiche di conservazione, capire quanto èstato fatto e come è stato fatto, rifletteresugli errori – ce ne sono stati – di studiosi ericercatori, di amministratori e operatori.Il nascente Sistema di aree naturali protet-te può svolgere in questo senso un ruolodeterminante. I programmi, i progetti, le at-tività, le azioni che ogni parco sta portandoavanti per proprio conto, sono importantima restano parziali. E’ necessario ricondurre il tutto a Sistema.E’ necessario un maggiore coordinamento.Sono necessari piani di monitoraggio, di ge-stione e di ricerca coordinati, condivisi epartecipati, nei quali coinvolgere studiosi,istituzioni, associazioni, amministratori eoperatori del territorio, ma in primo luogoallevatori e agricoltori, dando così il dovutorisalto a tutti gli aspetti culturali sociali edeconomici, e impegnando ognuno alle pro-prie responsabilità.

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Mario AndreaniParco Regionale dell’Alta Val Parmae Cedra P.zza Ferrari 5Langhirano (PR)[email protected]

Teodoro AndrisanoEnte Parco Nazionale della MajellaPiazza A. Duval67030 Campo di Giove (AQ)[email protected]

Simone AngelucciEnte Parco Nazionale della MajellaPiazza A. Duval67030 Campo di Giove (AQ)[email protected]

Francesca AntonelliWWF Mediterranean ProgrammeVia Po, 25C 00198 [email protected]

Antonio AntonucciEnte Parco Nazionale della MajellaPiazza A. Duval67030 Campo di Giove (AQ)[email protected]

Paolo BantiRegione ToscanaDirezione Generale Settore TutelaFauna e Gestione FaunisticaVia Novoli, 2650127 [email protected]

Luigi BartolozziCorpo Forestale dello StatoComando Regionale ToscanaVia Giuseppe Galliano, 7850144 [email protected]

Juan Carlos BlancoFundación Oso PardoC/ Isabel la Católica, 1339007 Santander, [email protected]

Luigi BoitaniDipartimento di Biologia Animalee dell’UomoUniversità di Roma “La Sapienza”Viale dell’Università, 3200185 [email protected]

Marco CaporioniVia Casoria, 47 00182 [email protected]

Mario CarlettiParco Regionale dell’Alto AppenninoModenese Via Tamburù, 8Pievepelago (MO) [email protected]

Paolo CavalliniFaunaliaPiazza Garibaldi, 556025 Pontedera (PI)[email protected]

Ermanno CettoProvincia Autonoma di TrentoServizio Foreste e FaunaVia Trener, 338100 [email protected]

Paolo CiucciDipartimento di Biologia Animalee dell’UomoUniversità di Roma “La Sapienza”Viale dell’Università, 3200185 [email protected]

Rosario FicoIstituto Zooprofilattico Sperimentaledell’Abruzzo e del Molise “G.Caporale”Via Campo Boario 64100 [email protected]

Cristina FraquelliProvincia Autonoma di TrentoServizio Foreste e FaunaVia Trener, 338100 [email protected]

Isabella GattoVia Mattia Preti, 587075 Trebisacce (CS)[email protected]

Piero GenovesiIsituto Nazionale per la Fauna SelvaticaVia Cà Fornacetta, 944064 Ozzano Emilia (BO)[email protected]

Leonardo GentileEnte Parco Nazionale d’Abruzzo,Lazio e MoliseServizio ScientificoVia Santa Lucia67032 Pescasseroli (AQ)[email protected]

Barbara Giannuzzi SavelliAgriconsulting SpAVia Vitorchiano, 12300189 [email protected]

Costantinos GodesARCTUROS3 Victor Hugo st.54625 Thessaloniki, [email protected]

Djuro HuberDipartimento di BiologiaFacoltà di VeterinariaUniversità di ZagrebHeinzelova, 5510000 Zagreb, [email protected].

Roberta LatiniEnte Parco Nazionale d’Abruzzo,Lazio e MoliseServizio ScientificoVia Santa Lucia67032 Pescasseroli (AQ)[email protected]

Giuseppe MarcantonioEnte Parco Nazionale della MajellaPiazza A. Duval67030 Campo di Giove (AQ)[email protected]

Annette MertensIstituto di Ecologia ApplicataVia Cremona, 7100185 [email protected]

Francesca MorettiParco Regionale dell’Alto AppenninoReggianoVia Nazionale Sud 3/142035 Busana (RE)[email protected]

Ilenia PatumiUniversità degli Studi di PadovaFacoltà di Medicina VeterinariaDipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie Agripolis-35020 Legnaro (PD)[email protected]

Massimo PellegriniRegione Abruzzo Direzione Agricoltura, Foreste, Alimentazione,Caccia e Pescae Sviluppo RuraleVia Catullo, 1765127 [email protected]

Annino PetrellaCorpo Forestale dello StatoUfficio Amministrazione Foreste DemanialiVia Sangro, 4567031 Castel di Sangro (AQ)[email protected]

Luis Pinto de AndradeEscola Superior Agraria de CasteloBrancoQuinta de Sra. De Mercules6001-909 Castelo Branco, [email protected]

Autori e Referee

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AUTORI

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Mario PosillicoCorpo Forestale dello StatoUfficio AmministrazioneForeste DemanialiVia Sangro, 4567031 Castel di Sangro (AQ)[email protected]

Giorgio PotenaCorpo Forestale dello StatoUfficio AmministrazioneForeste DemanialiVia Sangro, 4567031 Castel di Sangro (AQ)[email protected]

Willy ReggioniParco Regionale dell’Alto AppenninoReggiano Via Nazionale Sud 3/142035 Busana (RE)[email protected]

Fabrizio RigottoParco Regionale dell’Alto AppenninoModenese Via Tamburù, 8Pievepelago (MO) [email protected]

Francesco RotondaroEnte Parco Nazionale del PollinoSettore Conservazione, Promozionee DivulgazioneVia delle Frecce Tricolori, 685048 Rotonda (PZ) [email protected]

Valeria SalvatoriIstituto di Ecologia ApplicataVia Cremona, 7100185 [email protected]

Luciano SammaroneCorpo Forestale dello StatoUfficio AmministrazioneForeste DemanialiVia Sangro, 4567031 Castel di Sangro (AQ)[email protected]

Pietro SerroniEnte Parco Nazionale del PollinoSettore Conservazione, Promozione e DivulgazioneVia delle Frecce Tricolori, 685048 Rotonda (PZ) [email protected]

Cinzia SulliEnte Parco Nazionale d’Abruzzo,Lazio e Molise - Servizio ScientificoVia Santa Lucia67032 Pescasseroli (AQ)[email protected]

Edoardo TedescoDepartment of ZoologyAberdeen UniversityTillydrone Av.Aberdeen, AB24 [email protected]

Corrado TeofiliWWF Italiavia Po, 25/c00198 [email protected]

Alessandra TropiniParco Naturale delle Alpi MarittimeCorso Dante Livio Bianco, 512010 Valdieri (CN)[email protected]

Paolo ZanghelliniProvincia Autonoma di TrentoServizio Foreste e FaunaVia Trener, 338100 [email protected]

Roberto ZuccariniServizio Veterinario Sanità AnimaleASL 102 Via Nicola Nicolini66100 Chieti

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REFEREE

Luigi BoitaniDipartimento di Biologia Animale dell’UomoUniversità di Roma “La Sapienza”Viale dell’Università, 3200185 Roma

Gianluca CatulloIstituto di Ecologia ApplicataVia Cremona, 7100161 Roma

Paolo CavalliniFaunaliaPiazza Garibaldi, 556025 Pontedera, Pisa

Paolo CiucciDipartimento di Biologia Animalee dell’UomoUniversità di Roma “La Sapienza”Viale dell’Università, 3200185 Roma

Eugenio DuprèMinistero dell’AmbienteDirezione Protezione della NaturaVia Capitan Bavastro, 17400154 Roma

Rosario FicoIstituto Zooprofilattico Sperimentaledell’Abruzzo e del Molise “G.Caporale”Via Campo Boario 64100 Teramo

Piero GenovesiIsituto Nazionale per la FaunaSelvaticaVia Cà Fornacetta, 944064 Ozzano Emilia, Bologna

Alessia OrtolaniDipartimento di Biologia Animalee dell’UomoViale dell’Università, 3200185 Roma

Sandro LovariSezione di Ecologia Comportamentale,Etologia e Gestione della FaunaDipartimento di Scienze AmbientaliUniversità di SienaVia P.A. Mattioli, 453100 Siena

Annette MertensIstituto di Ecologia ApplicataVia Cremona, 7100161 Roma

Luca PedrottiConsorzio Parco Nazionaledello Stelvio - Comitato di Gestionedella Provincia Autonoma di TrentoVia Silvestri, 1738027 Malè (TN)

Gianfranco PlantamuraSezione di Ecologia Comportamentale,Etologia e Gestione della FaunaDipartimento di Scienze AmbientaliUniversità di SienaVia P.A. Mattioli, 453100 Siena

Corrado TeofiliWWF Italiavia Po, 25/c00198 Roma

Silvano TosoIsituto Nazionale per la FaunaSelvaticaVia Cà Fornacetta, 944064 Ozzano Emilia, Bologna

Valeria SalvatoriIstituto di Ecologia ApplicataVia Cremona, 7100161 Roma

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Introduzione

LA CONSERVAZIONE DEI GRANDI CARNIVORI,IL CONFLITTO E LA RICERCA SCIENTIFICAIl conflitto tra carnivori e attività antropiche, gene-ralmente inteso come il verificarsi di danni di na-tura essenzialmente economica ad opera dei pre-datori selvatici, ha rappresentato il movente prin-cipale delle intense campagne di persecuzionecondotte nei confronti di specie quali il Lupo, l’Or-so, la Lince, nonché di un diffuso atteggiamentonegativo nei loro confronti. Di conseguenza, fino alsecolo scorso i persistenti intenti di eradicazionehanno ampiamente compromesso gli areali origi-nari dei grandi carnivori selvatici, sebbene con in-tensità ed esito modulati dalle caratteristiche cul-turali ed ecologiche delle diverse popolazioniumane (Boitani 1995, 2003).Più recentemente, in seguito al mutamento econo-mico, sociale e culturale della società moderna, eal conseguente cambiamento di valori nei confron-ti dell’ambiente e delle risorse naturali, un nuovoimpegno di conservazione ha interessato tutte lespecie di grandi carnivori; queste, sebbene solo inparte e con importanti eccezioni, stanno oggi gra-dualmente recuperando parti dell’areale pregresso(Mech 1995, Breitenmoser 1998). Tuttavia, se oggiil conflitto con i grandi carnivori non rappresentapiù un pretesto di eradicazione su larga scala,esso non può nemmeno essere ignorato all’internodelle strategie e delle politiche di conservazione (adesempio, Sillero-Zubiri & Mcdonald 1997, Boitani2000, Svenson et al. 2000). Se vogliamo tutelare lepopolazioni selvatiche di Lupo ed Orso in Italia,così come del Grizzly in Alaska o del Giaguaro inArgentina, non possiamo trascurare il fatto chequeste specie esercitano, o eserciteranno semprepiù, un impatto sulle economie locali a volte rile-vante: il conflitto, per quanto remoto e localizzatoci possa sembrare, può rendere alquanto proble-matico e controverso qualsiasi intento di conser-vazione se non viene efficacemente prevenuto, li-mitato, gestito. Né il conflitto, fenomeno per suanatura complesso, dinamico e funzione di molte-plici fattori causali che agiscono su scala locale,può essere risolto semplicisticamente con unalegge nazionale o una serie di norme dettate dalbuon senso. Non è ragionevole, del resto, porsi come obiettivol’eliminazione totale del conflitto. Quando l’obietti-vo di conservazione sono popolazioni altamenteminacciate, come è il caso dell’Orso in Abruzzo, oin fase di espansione, come il Lupo sul territorionazionale è indispensabile piuttosto mirare al con-tenimento del danno e del conflitto attraverso pro-grammi di gestione oculati e chiare strategie di ri-soluzione. È in questa ottica che la conoscenza(oggettiva, affidabile e possibilmente a lungo ter-mine) del fenomeno diviene il fattore critico per la

promozione di soluzioni innovative, efficaci e so-cialmente accettabili di coesistenza tra uomo epredatori; essa è un elemento irrinunciabile permediare tra la scala e l’intensità delle attività an-tropiche e le esigenze di conservazione dei grandicarnivori selvatici.Del resto, nonostante orsi e lupi in Italia conviva-no da sempre con l’uomo, ed il conflitto con le at-tività antropiche sia quindi un problema atavico(già Plinio il Vecchio codificava le qualità necessa-rie ad un buon cane da guardiania), il livello di co-noscenza del fenomeno è ancora assai inadeguato(Ciucci & Boitani 1998). Alcune indagini ed espe-rienze gestionali positive sono state realizzate negliultimi anni, ma sono tutte caratterizzate da unaforte discontinuità geografica e temporale e da unainsufficiente integrazione tra progetti di ricerca einterventi o politiche di gestione. Inoltre, sia suscala locale sia a livello nazionale, si constata unageneralizzata mancanza di monitoraggio del con-flitto (Genovesi 2002), nonostante ciò sia previstodalla normativa vigente e rappresenti l’unico stru-mento per valutare, nel medio-lungo periodo, l’ef-ficacia delle strategie di risoluzione. La quasi totale assenza di informazioni scientifica-mente attendibili relative alla natura, entità e di-namica del conflitto tra carnivori e attività antro-piche, nonché alle reali possibilità di mitigazione erisoluzione, ha diverse implicazioni negative per laconservazione. Innanzitutto, la carenza di cono-scenze oggettive si traduce nella mancata possibi-lità di educare e sensibilizzare adeguatamente l’o-pinione pubblica, lasciando quindi spazio alla dis-informazione o alla puntuale strumentalizzazionepropagandistica di alcuni media (si veda, ad esem-pio, Cetto et al. questo volume). Inoltre, la perce-zione errata e confusa del fenomeno che ne conse-gue, ed i riflessi sociali e politici che ne derivano,non riescono ad essere efficacemente contrastati,complicando ulteriormente i presupposti e il con-testo gestionale in cui la conservazione si trova adoperare. Con questi presupposti, situazioni di con-flitto particolarmente critiche sono in grado di in-nescare risposte sociali che vedono sempre piùlontana la possibilità di affrontare e gestire il pro-blema in maniera razionale ed informata (“… i va-lori collassano, l’emotività prende il sopravvento, ela disinformazione impera”; Fritts et al. 2003). In-fine, ma non certo in ordine di importanza, la ca-renza di informazioni scientifiche si traduce nel-l’impossibilità di offrire soluzioni tecniche affidabi-li, economicamente convenienti e funzionali nellungo periodo e, conseguentemente, nell’incapaci-tà di sviluppare strategie di prevenzione e mitiga-zione del conflitto più efficaci. Questo, a sua volta,contribuisce all’insufficiente attenzione istituzio-nale che attualmente viene dedicata al problema e

INTRODUZIONE

PAOLO CIUCCI, CORRADO TEOFILI, LUIGI BOITANI

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allo scarso interesse affinché questo venga risoltocon la determinazione e gli strumenti adeguati. L’alternativa è sotto gli occhi di tutti noi, ormai dadiversi anni. Nonostante l’Italia sia il paese euro-peo con i più elevati costi d’indennizzo (Boitani2000), le uccisioni ed il controllo illegale continua-no ad essere tra le principali cause di mortalità dilupi ed orsi, anche in risposta all’assenza di unapresenza istituzionale credibile. Questa ‘strategia’non sembra comunque riuscire a contenere il con-flitto nel medio-lungo periodo, né su scala localené nazionale. Tralasciando, in questa sede, le dis-cutibili implicazioni etiche e civili di questo ap-proccio, è chiaro come tutto ciò non possa essereconsiderato funzionale alla corretta conservazionedei grandi carnivori, soprattutto in riferimento alleattuali tendenze di specie come Orso, Lupo eLince. Né la risoluzione e la mitigazione efficace delconflitto possono essere considerate prerogativaesclusiva delle aree protette: i predatori che oggiproteggiamo all’interno dei parchi nazionali (giàcon molte difficoltà e incertezze) sono destinati acadere vittime del sistema di controllo illegalequando, in fase di dispersione, andranno in cercadi un territorio proprio.E’ nel contesto fin qui delineato che la comunitàtecnico-scientifica ha una importante responsabi-lità per la conservazione dei grandi carnivori. Fa-vorendo l’avvio di ricerche mirate, applicate allagestione e alla risoluzione del conflitto, la comuni-tà scientifica può contribuire sostanzialmente allasperimentazione di soluzioni tecnicamente funzio-nali e socialmente accettabili ed alla formulazionedi proposte gestionali valide. Del resto, in un climanazionale in cui la ricerca applicata alla gestionefaunistica già soffre di diversi problemi, l’analisidel conflitto non sembra al momento stimolaresufficientemente l’entusiasmo e l’interesse dei ri-cercatori. Ad esempio, in un recente convegno na-zionale sul Lupo (Boscagli et al. 2002), solo 4 con-tributi su 35 hanno avuto come oggetto principalel’analisi del conflitto con la zootecnia e, di questi,solo 2 contenevano dati di ricerche originali riferi-te al contesto italiano. Rimandando ad altra sedel’analisi delle motivazioni di questo stato di cose, ènostra convinzione che la mancanza di attenzionescientifica sul conflitto tra carnivori e attività zoo-tecniche sia allo stesso tempo causa e conseguen-za, in una certa misura, della carenza di interesseistituzionale nei confronti del fenomeno e dei ri-flessi che questo può avere in termini di conserva-zione. D’altra parte, con il recupero del Lupo suscala nazionale e – con un futuro assai più incer-to – in base alle prospettive di conservazione deglialtri grandi carnivori (Boitani et al. 2003), la ge-stione del conflitto rappresenterà un argomentosempre più critico per la gestione e conservazionedella fauna. E’ quindi auspicabile che la comunitàtecnico-scientifica contribuisca in misura crescen-te, in base alle proprie competenze, a rafforzareuna conoscenza solida ed affidabile del fenomenoed a stimolare un approccio logico e razionale allarisoluzione dei problemi.

IL PROGETTO LIFE CO-OP ED IL SIMPOSIO“GRANDI CARNIVORI E ZOOTECNIA: TRA CON-FLITTO E COESISTENZA”Il progetto Life Co-op “Carnivori e Zootecnia: stru-menti per la prevenzione del danno” (LIFE2002NAT/CP/IT/000046), di cui è stata beneficiarial’Associazione Italiana per il WWF, ha visto nelcorso del 2003 la collaborazione tra vari partnerche, a livello nazionale, erano stati precedente-mente impegnati in progetti Life Natura per la con-servazione di Orso e Lupo (Legambiente, WWF,Parco del Gigante, Corpo Forestale dello Stato,Parco Nazionale del Pollino). Con lo scopo ultimo di valutare a posteriori il li-vello di funzionalità delle varie misure di preven-zione date in adozione agli allevatori nei preceden-ti progetti LIFE (1998 – 2002; vedi Caporioni &Teofili, questo volume), il progetto ha previsto, trale azioni conclusive, un simposio tecnico per af-frontare le problematiche inerenti il conflitto tragrandi carnivori e zootecnia. L’incontro, tenutosi aPescasseroli il 28 maggio 2004, è stato gratificatoda una importante affluenza di pubblico ed havisto tra i relatori alcuni tecnici e ricercatori che,direttamente o indirettamente, avevano recente-mente operato nel settore e maturato esperienzespecifiche. Ad oggi, se si escludono piccoli e rari spazi ricava-ti all’interno di convegni scientifici di portata ge-nerale, sono state poche le occasioni per dedicareal problema del conflitto tra carnivori e zootecniaun incontro di carattere prettamente tecnico; con-seguentemente, i risultati e le esperienze matura-te nelle poche indagini e applicazioni ad oggi con-dotte in Italia hanno raramente avuto la possibili-tà di essere fatti circolare e condivisi tra i direttiinteressati. Allo stesso tempo, del resto, sono statirecentemente realizzati in Italia diversi progetti diconservazione e gestione mirati alla risoluzione delconflitto; esperienze che hanno contemplato, dalleAlpi all’Appennino meridionale, interventi attivi dimitigazione, dall’affidamento di reti e cani daguardiania agli allevatori (cfr. Caporioni & Teofiliquesto volume) allo sviluppo di protocolli di gestio-ne attiva del conflitto (ad esempio, Cetto et al. eTropini questo volume). I risultati di queste esperienze, congiuntamente algraduale accumularsi di informazioni scaturite daaltri programmi di ricerca, monitoraggio e gestionenel panorama nazionale, meritavano, secondo gliorganizzatori del Simposio, di essere illustrate, va-lutate e discusse all’interno di un convegno tema-tico. Seppure limitato e circoscritto, l’incontro èstato quindi utile per avviare un confronto co-struttivo fra tecnici, ricercatori ed amministratori,al fine di aumentare la portata qualitativa dei pro-grammi di ricerca e gestione in atto e per stimola-re un rinnovato interesse e partecipazione nei con-fronti di questo tema. Finalità, queste, più che le-gittime in un’ottica di conservazione dei grandicarnivori, vista la circolazione di informazioni par-ziali e aneddotiche sui metodi e sulle strumenta-zioni di prevenzione ed il serio il rischio di genera-lizzazioni fuorvianti o applicazioni inconcludenti.

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Introduzione

Nel richiamare l’attenzione di tecnici, amministra-tori, ambientalisti e del pubblico si è cercato dicreare le basi per affrontare il problema in unprossimo futuro con maggiore coerenza, compe-tenza e razionalità rispetto a quanto avvenuto finoad oggi.

IL VOLUME DEGLI ATTIL’intento del presente volume, analogamente aquello del Simposio dal quale è scaturito, è quellodi facilitare la revisione e la valutazione dello statodelle conoscenze e delle esperienze applicative piùsignificative condotte ad oggi in Italia nel campodel conflitto tra grandi carnivori e attività antropi-che. A tal fine, il volume raccoglie tutti i contribu-ti presentati al Simposio, ciascuno dei quali èstato sottoposto ad un processo di revisione criti-ca da parte di almeno 2 referee indipendenti perarticolo. La scelta dei contributi è stata effettuata sullabase delle collaborazioni avviate nell’ambito delprogetto LIFE Co-op, della originalità dei lavori,della loro rilevanza a livello nazionale o della espe-rienza specifica da parte dell’autore; essa non èovviamente esaustiva di tutti gli studi effettuati, oin corso di realizzazione, su scala nazionale, nétantomeno rappresentativa di tutti gli autori chehanno o stanno portando avanti studi simili. All’interno del volume i vari contributi sono statiorganizzati in sezioni generali. La prima parte ri-guarda contributi di carattere generale, in cui ilconflitto, dapprima inquadrato nei termini norma-tivi essenziali ed in riferimento al contesto gestio-nale Europeo (Genovesi); segue una sua caratte-rizzazione in base ad una revisione delle cono-scenze attuali, ed una discussione sulla natura deidati, dei metodi e sulle finalità di ricerca e monito-raggio (Ciucci & Boitani); coerenza ed efficaciadelle normative d’indennizzo e delle politiche diconservazione vengono quindi discusse alla lucedelle implicazioni delle procedure di verifica e delletecniche autoptiche (Fico et al.), e infine l’entità deidanni conseguenti l’attività dei grandi carnivoriviene inquadrata nella più ampia prospettiva dellepolitiche comunitarie di assistenza agli agricoltori(Antonelli et al.). La seconda sezione del volumeraccoglie un insieme di casi di studio di recenterealizzazione nel panorama nazionale: dopo unavalutazione relativa alle modalità di utilizzazionedegli strumenti di prevenzione affidati agli alleva-tori nei precedenti progetti LIFE Natura (Caporio-ni & Teofili), viene dettagliato l’impianto normati-vo, procedurale ed organizzativo che la ProvinciaAutonoma di Trento ha recentemente affinato perfare fronte alle necessità gestionali conseguentialla reintroduzione dell’Orso in Trentino (Cetto etal.). Il conflitto viene poi illustrato in una prospet-tiva gestionale su scala Regionale (Banti et al.).Seguono quindi tre esperienze particolarmente va-lide di analisi, monitoraggio e gestione su scala lo-cale del conflitto tra Lupo e zootecnia, e precisa-mente in provincia di Cuneo (Tropini), nell’Appen-nino settentrionale (Reggioni et al.) e nel Parco Na-zionale della Majella (Angelucci et al.); vengono poi

riportate informazioni dettagliate, e relative impli-cazioni gestionali, del conflitto (Lupo e Orso) inprovincia de L’Aquila (Potena et al.), e nel ParcoNazionale d’Abruzzo Lazio e Molise in particolare(Latini et al.), per finire con la descrizione del con-flitto tra Lupo e zootecnia nell’Appennino calabre-se (Parco Nazionale del Pollino; Gatto et al.). L’ultima parte del volume consiste di contributitecnici su aspetti specifici: un’esperienza prelimi-nare di monitoraggio comportamentale dei cani daguardiania dati in affidamento ad alcuni allevato-ri sull’arco alpino (Tedesco & Ciucci); la propostadi un modello di recinzione composita (elettrica emetallica) per la difesa del gregge ed attualmentein fase di sperimentazione in Abruzzo (Pellegrini &Zuccarini), i risultati di un progetto Life Starter re-lativi alla quantificazione del conflitto a livello Eu-ropeo propedeutico alla formulazione di un pro-gramma LIFE Natura articolato su scala pan Eu-ropea (Mertens et al.). Laddove la struttura dei manoscritti non seguival’ordine codificato dei lavoro scientifici è stato ag-giunto all’inizio dell’articolo un sommario per faci-litarne la lettura.In fase di revisione editoriale, sebbene si sia pre-stata attenzione ad uniformare struttura di espo-sizione, terminologia e stile delle presentazioni, al-cune differenze e ripetizioni di argomenti sarannocomunque evidenti al lettore; queste sono state la-sciate ad indicazione della diversità di vedute cheancora caratterizza l’approccio teorico e tecnico alconflitto; sebbene si sia cercato in sede di simpo-sio e di produzione degli atti di promuovere un ap-proccio coerente per quanto concerne la metodolo-gia adottata e l’interpretazione dei risultati, glistudi sono ancora pochi e la condivisione delleesperienze ancora modesta per arrivare ad un ap-proccio ragionato, unitario e condiviso, come spes-so accade per le discipline giovani e con una limi-tata tradizione. Rimane quindi di responsabilitàdei singoli autori la corretta interpretazione dei ri-sultati riportati e la correttezza delle procedure dianalisi utilizzate.

PROSPETTIVE DI GESTIONEE MONITORAGGIOL’insieme dei lavori pubblicati in questo volumerappresenta un primo ed importante momento disintesi e di confronto tra indagini ed esperienze dicaratterizzazione e gestione del conflitto con igrandi carnivori in Italia. Gli autori, sulla base diqueste esperienze, forniscono chiare indicazioni esuggerimenti per ulteriori affinamenti della ricer-ca, del monitoraggio e della gestione del conflitto.Sono riportati inoltre esempi incoraggianti di pro-grammi di monitoraggio funzionali nonché di espe-rienze di gestione proattiva particolarmente con-fortanti su scala locale e provinciale che possonoessere prese a modello e stimolo per iniziativesimili. Rimane del resto ancora molto da fare, e il carat-tere essenzialmente descrittivo degli studi qui pre-sentati lo dimostra ampiamente. Due aspetti inparticolare, relativi all’interfaccia tra ricerca e con-

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servazione, meritano a nostro avviso una conside-razione più approfondita in questa presentazione:

(a) Nella quantificazione e descrizione del conflit-to, si tende ancora a prestare scarsa attenzionealle implicazioni metodologiche, aspetto tuttaviaparticolarmente rilevante nel contesto specifico.Sottolineando che uno studio descrittivo del con-flitto non sarà mai in grado di mettere in evidenzarelazioni causali tra le variabili considerate, moltistudi di carattere descrittivo utilizzano dati cheprovengono da fonti diverse e la cui risoluzionespaziale ed amministrativa non è confrontabile.Questi sono spesso desunti da documentazioni uf-ficiali o raccolti da personale senza una specificapreparazione professionale; non corrispondono aprotocolli di indagine standardizzati; sono suscet-tibili all’effetto di molte variabili, poco o affattonote, e a molteplici fonti di errore. Tutto ciò puòavere un peso sostanziale nell’interpretazione deirisultati e, se non adeguatamente preso in consi-derazione, può riflettersi in conclusioni erronee edindicazioni gestionali fuorvianti.

(b) Un limite che attualmente caratterizza moltiprogrammi atti a mitigare il conflitto con i grandicarnivori è il generale scollamento che si riscontratra gli interventi e le strategie di mitigazione e i ri-sultati degli studi o del monitoraggio del conflitto.Nei programmi LIFE Natura recentemente appro-vati in Italia, ad esempio, è stata prassi frequentedare in adozione agli allevatori diversi strumentiper la difesa degli armenti; ma raramente, seppurcon qualche importante eccezione (ad esempio,Gatto et al., Reggioni et al., Tropini, in questo vo-lume), la selezione degli allevatori è stata fattasulla base di una conoscenza dettagliata dell’enti-tà e della distribuzione del conflitto. In questomodo, nonostante venga comunque assicurato ilvalore simbolico e preventivo di tali interventi, dif-ficilmente ci si potrà attendere una significativa ri-duzione del conflitto o una conferma dell’efficaciadelle diverse strutture di prevenzione. Alternativa-mente, logica vorrebbe che la selezione degli alle-vatori sui quali investire prioritariamente in termi-ni di prevenzione venisse fatta in base all’indivi-duazione delle zone di conflitto cronico e, all’inter-no di queste, delle aziende che soffrono di livelli ri-correnti di predazione, conoscenza peraltro di faci-le acquisizione in molti programmi di monitoraggio(ad esempio, Ciucci & Boitani, Latini et al., Potenaet al., Reggioni et al., Angelucci et al. in questo vo-lume). Parimenti, il monitoraggio (a vali livelli: im-plementazione e manutenzione degli strumenti diprevenzione, funzionalità ed efficacia nel lungo pe-riodo) di tali interventi deve essere consideratoparte integrante della strategia di conservazione:ciò permette di valutare l’efficacia degli interventistessi, mettere in luce in tempo utile eventualiproblemi tecnici, e analizzare la dinamica spazio-temporale del conflitto in risposta all’adozione ditecniche preventive. Il risultato di questo apparen-te scollamento tra attività di ricerca e monitorag-gio e programmi di conservazione è anche quello dirischiare di considerare i due aspetti alternativipiuttosto che complementari, dando erroneamen-

te per scontata l’idoneità e la funzionalità, a livellolocale, di determinate misure o strumenti di pre-venzione; questo atteggiamento non solo può com-portare un inutile spreco di risorse, ma contribui-re negativamente alla causa della conservazionedei grandi carnivori (ad esempio, cani da guardia-nia: Tedesco & Ciucci questo volume).

In sintesi, le linee secondo cui, nel prossimo futu-ro, l’approccio tecnico-scientifico all’analisi e almonitoraggio del conflitto tra grandi carnivori ezootecnia potrebbe aumentare, avvalendosi delleesperienze qui presentate, la propria portata intermini di conservazione, si articolano in:

(1) realizzazione di studi che non siano semplice-mente descrittivi ma che contemplino le relazionifunzionali tra i principali fattori implicati; tramiteun adeguato approccio sperimentale si dovrebbemirare allo sviluppo di modelli predittivi per l’indi-viduazione di zone e condizioni di potenziale con-flitto in modo da aumentare le nostre capacità diprevenzione;

(2) affinamento e applicazione di metodologie diindagine più rigorose e che producano dati di piùalta risoluzione, rispettando maggiormente i crite-ri di campionamento ed un disegno sperimentaleproprio del metodo scientifico; le indagini ad oggieffettuate rappresentano in larga parte studi de-scrittivi basati su dati indiretti e su metodologienon ancora valutate sperimentalmente e condivi-se;

(3) affinamento, sempre su base sperimentale,dei protocolli d’indagine e analitici; molti di essisono ancora difformi, empirici e oggetto di contro-versia; un esempio tra tutti, la possibilità di rico-noscere gli attacchi effettuati da cane o da Lupoche, a nostro avviso, nonostante sia motivata dapresupposti gestionali chiaramente condivisibili,soffre ad oggi dell’assenza di una verifica speri-mentale oggettiva, completa e convincente (cfr. An-gelucci et al., Ciucci & Boitani, Tropini, Fico et al.).

Vogliamo infine ribadire uno dei motivi principaliper cui questo volume non può che essere consi-derato un primo passo verso una più efficace im-pegno alla gestione del conflitto: in sede di simpo-sio, come documenta il presente volume, erano in-fatti assenti le categorie degli agricoltori e allevato-ri. Sono, questi, gli attori fondamentali della scenae coloro che, più di altri, si trovano a vivere le con-seguenze della presenza dei predatori sul territo-rio. Del resto, se il loro punto di vista e le loroesperienze, nonché la loro partecipazione ai pro-cessi decisionali, sono di fondamentale importan-za, è altresì indispensabile che esista un terrenocomune di incontro, confronto e concorso di azio-ni con chi si occupa di conservazione e gestionedella fauna. A tal fine, una condizione necessariaè quella del confronto, tecnicamente ispirato, traesponenti autorevoli ed appositamente delegati inrappresentanza delle categorie. Ad oggi, purtrop-po, queste condizioni a nostro avviso non sussi-stono ancora, forse come risultato di una politicadi conservazione poco incline ed attenta, negli

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anni passati, ai processi partecipativi e al coinvol-gimento attivo delle parti interessate; oppure, ilmotivo è da ricercare in una generale carenza dellerappresentanze zootecniche ed agricole, poco incli-ni, sino ad oggi, a considerare nella giusta misurafenomeni non abituali e di rilevanza geografica-mente circoscritta. Ci auguriamo che queste ten-denze possano invertirsi nell’immediato futuro eche sempre più attenzione venga posta, da parte ditutti, al coinvolgimento attivo di tutte le parti inte-ressate alla gestione del conflitto tra grandi preda-tori e attività umane. Più volte viene detto in questo volume che il con-flitto tra grandi carnivori e zootecnia necessita diessere ampiamente considerato nei programmi diconservazione. Esso deve costituire un aspetto cri-tico di qualsiasi piano di gestione in favore deigrandi carnivori e, allo stesso modo, deve essereelemento essenziale dei piani di sviluppo e soste-gno agricolo in tutte le aree critiche. In questa pro-spettiva, i lavori qui presentati dimostrano come leinformazioni desunte dagli studi specifici possanoessere utili per la pianificazione, valutazione e mo-nitoraggio dei programmi volti alla riduzione e mi-tigazione del conflitto. Del resto, rimane ancora davedere se, al fine di facilitare la coesistenza tracarnivori e attività antropiche, gli amministratorisaranno in grado di recepire i risultati della ricer-ca e tradurli in un impegno costante ed a lungotermine di gestione. Questo volume resta a testi-monianza della possibilità e della volontà delmondo tecnico-scientifico di un approccio raziona-le al problema, e speriamo vivamente che la suacircolazione tra gli amministratori sia foriera di unrinnovato impegno in questa direzione. L’auspicioè quindi che il simposio, e questo libro di atti chene è scaturito, rappresentino l’avvio di un proces-so di scambio, confronto e maturazione che pro-gredisca nel tempo promuovendo il consolidamen-to di un supporto tecnico di elevata qualità a dis-posizione delle amministrazioni competenti in ma-teria di gestione del conflitto.

RingraziamentiI curatori del volume desiderano ringraziare gliautori e, soprattutto, i referee per l’impegno, lacompetenza e la disponibilità mostrata nel prepa-rare, valutare ed integrare gli scritti pubblicati nel presente volume.

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Introduzione

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Sommario:- Riassunto/Summary- Introduzione- Politiche di conservazione in Europa- Politiche di conservazione in Italia- Procedure di verifica- Limiti e prospettive della politica italiana

di conservazione dei grandi carnivori- Conclusioni- Bibliografia

RiassuntoLa politica Italiana in materia di conservazione deigrandi predatori è caratterizzata da: rigida tutela,priorità alla conservazione delle popolazioni piut-tosto che ai singoli individui, prevenzione e com-pensazione dei danni, obbligo di monitoraggio.Questa impostazione evidenzia gravi limiti applica-tivi, determinati tra l’altro dalla frammentazioneamministrativa, da politiche di prevenzione e com-pensazione spesso inefficaci e disarmoniche, dal-l’assenza di programmi organici di monitoraggio.Appare quindi importante il ruolo delle esperienzematurate nell’ambito dei progetti LIFE ed Interreg,che in alcuni casi hanno portato a sperimentareed applicare efficaci programmi integrati di pre-venzione e compensazione dei danni, informazioneed educazione, coinvolgimento delle componentisociali ed efficace monitoraggio. Un’applicazione apiù larga scala di queste esperienze richiede unarigorosa valutazione dei risultati conseguiti ed unpassaggio di consegne dagli organismi promotoridei progetti alle amministrazioni pubbliche com-petenti della gestione faunistica.

SummaryThe Italian policy for large carnivores conservationis characterised by strict protection, conservation atthe population level, damage prevention and com-pensation, obligation for the public administrationto monitor the populations. This framework showsseveral limits, due to the fragmentation of roles andpowers of the Italian administrations, inadequateand non harmonised policies on damage preventionand compensation, lack of monitoring programs. Itis thus evident the important role of LIFE and Inter-reg projects that, in some cases, have experimentedand implemented integrated programmes of dama-ge prevention and compensation, information andeducation, involvement of the different societal sec-tors, adequate monitoring of large predators popu-

lations. The application of these principles at a lar-ger scale requires a rigorous evaluation of the re-sults obtained, and a transfer of technical compe-tences to the public administrations that are re-sponsible of wildlife management.

INTRODUZIONEOrso (Ursus arctos), Lupo (Canis lupus) e Lince(Lynx lynx) presentano in Italia status di conser-vazione molto diversi. Il Lupo è caratterizzato daun areale ampio e diffuso che attraversa l’interoarco Appenninico ed una crescente porzione delleAlpi centro occidentali; pur non essendo disponi-bili stime aggiornate ed affidabili sulla consistenzacomplessiva di questa specie in Italia, lo status diconservazione è molto più favorevole rispetto apochi decenni fa (Boitani 2003). La lince, al con-trario, è presente con pochissimi individui (<20)distribuiti sulle Alpi orientali e centro occidentali,(Molinari et al. 2001), che non formano nessunnucleo in grado di autosostenersi. L’Orso bruno(Ursus arctos), infine, è presente in Italia con duenuclei disgiunti: quello abruzzese, completamenteisolato e composto da poche decine di individui, equello alpino, frutto quasi esclusivamente dellareintroduzione in corso in Trentino, che conta oggi12-15 individui (vedi anche Cetto et al. questo vo-lume). Entrambi i nuclei presentano una consi-stenza numerica talmente limitata da determinareuno status di conservazione estremamente preca-rio (Servheen et al. in prep.). Nonostante le marcate differenze di status di con-servazione dei tre grandi predatori presenti in Ita-lia, la storia recente di queste specie presentamolte analogie. Infatti, non solo l’Italia ma tuttal’Europa occidentale, sono state caratterizzate,principalmente nel corso dei secoli XVIII e XIX,dalla quasi totale eradicazione di tutti i grandi pre-datori principalmente a causa dell’attiva persecu-zione da parte dell’uomo. Il sistematico sterminiodi queste specie è stato attivamente promossodagli stati nazionali; basti pensare che solo nel1939, con la protezione degli ultimi orsi, è statasospesa la politica di corresponsione di taglie perl’uccisione di questi plantigradi, e solo nel 1971 èstata proibita la caccia al lupo, fino ad allora inve-ce attivamente promossa dalle amministrazionipubbliche nazionali e locali. La persecuzione dei grandi predatori è stata prin-cipalmente dovuta alla predazione sul patrimoniozootecnico, che ancora oggi rappresenta la fonte

RIDUZIONE DEI CONFLITTI E POLITICHE DI CONSERVAZIONEDEI GRANDI CARNIVORI IN ITALIA

Reduction of conflicts and policies for largecarnivores conservation in Italy

PIERO GENOVESIIstituto Nazionale per la Fauna Selvatica

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 21-25, 2005

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P. Genovesi

principale di conflitti tra predatori e uomo. Solo larisoluzione di questo millenario conflitto potrà as-sicurare la sopravvivenza dei grandi predatori inEuropa; d’altro canto, da più parti si è evidenziatala necessità di tutelare, oltre alle specie in perico-lo di estinzione, anche il patrimonio culturale cheper secoli ha caratterizzato le aree rurali e foresta-li dell’Italia e dell’Europa. Per questi motivi la con-servazione dei grandi carnivori richiede priorita-riamente forme di gestione dei conflitti, basate suefficaci politiche integrate di prevenzione, compen-sazione dei danni, incentivi, informazione e coin-volgimento delle diverse categorie sociali nei pro-cessi decisionali.

POLITICHE DI CONSERVAZIONE IN EUROPA I principi generali dell’attuale politica di conserva-zione delle specie selvatiche in Europa sono statidefiniti 25 anni fa. Nel 1979, infatti, furono appro-vate la “Convenzione relativa alla conservazionedella vita selvatica e dell’ambiente naturale in Eu-ropa” (Convenzione di Berna, 19 settembre 1979),la “direttiva Europea concernente la conservazionedegli uccelli selvatici” 79/409/CEE (2 aprile 1979)e la “Convenzione sulla conservazione delle speciemigratorie appartenenti alla fauna selvatica” (Con-venzione di Bonn, 23 giugno 1979). La Convenzio-ne di Berna e la Direttiva Habitat (Direttiva92/43/CEE del 21 maggio 1992), che rappresental’applicazione della Convenzione di Berna nell’U-nione Europea, hanno inserito tutti i grandi pre-datori tra le specie rigorosamente protette, per lequali è stato introdotto un principio di prioritariatutela, che prevede la proibizione di ogni forma diprelievo e di realizzare azioni di disturbo. Entram-bi questi strumenti normativi prevedono la possi-bilità di effettuare abbattimenti al fine di preveni-re danni rilevanti alle attività dell’uomo, purchéqueste azioni non confliggano con l’obbligo dimantenere le popolazioni in uno stato di conserva-zione favorevole. La Convenzione di Berna ha adottato Piani di Azio-ne prodotti dai maggiori esperti Europei in mate-ria di grandi carnivori (Boitani 2000, Breitenmoseret al. 2000, Swenson et al. 2000), che si basano sualcuni principi chiave comuni: 1. la conservazione va applicata a livello di popo-

lazione, che spesso rende necessaria una co-operazione sopranazionale;

2. la gestione dei grandi carnivori può essere rea-lizzata attraverso un sistema di zonazione; chepreveda aree chiave, aree non prioritarie ecorridoi;

3. quando ci si pone l’obiettivo di promuovere laricolonizzazione dei grandi carnivori, va datapriorità all’espansione naturale, poi all’incre-mento di popolazioni non vitali, quindi al rila-scio in aree di connessione tra popolazioni nonvitali e solo infine ad eventuali immissioni inaltre aree;

4. ogni Paese dovrebbe assegnare ad uno specifi-co ente i compiti in materia di gestione e con-servazione dei grandi carnivori, compresa lastesura di specifici Piani d’Azione;

5. eventuali politiche di compensazione andrebbe-ro subordinate all’applicazione di misure diprevenzione;

6. per quanto riguarda gli individui problematici,responsabili di danni rilevanti, andrebbe datapriorità al mantenimento delle popolazioni, in-vece che concentrarsi sugli individui;

7. andrebbero studiati l’opinione del pubblico e lepossibili misure di risoluzione dei conflitti.

La raccomandazione n. 72 adottata dal Comitatopermanente della Convenzione di Berna in data 2dicembre 1999, sottolineando che i grandi carni-vori rappresentano un gruppo ecologico unico e diparticolare interesse, che essi sono scomparsi davaste aree dell’Europa, che i piani di azione rap-presentano uno strumento potenzialmente utileper fronteggiare tale situazione, raccomanda aiPaesi membri di produrre ed applicare i Piani d’A-zione sui grandi carnivori, anche sulla base deiPiani d’Azione Europei.In sintesi, a livello europeo si afferma un generaleobbligo di tutela di queste specie, applicato peròcon flessibilità, dando priorità alla conservazionedelle popolazioni piuttosto che ai singoli individui,e promovendo una programmazione che si pongal’obiettivo di promuovere una pacifica coesistenzatra i predatori e l’uomo.

POLITICHE DI CONSERVAZIONE IN ITALIAL’Italia ha recepito i principi di tutela dei grandicarnivori approvati in sede europea, attraverso di-verse norme. La legge 11 febbraio1992 n. 157 in-serisce Lupo, Orso e Lince tra le specie particolar-mente protette (art. 2, c. 1) ed il DPR 8 settembre1997 n. 357 (successivamente modificato ed inte-grato dal DPR 120/03), di recepimento della diret-tiva Habitat, inserisce queste specie negli allegatiB (specie d’interesse comunitario la cui conserva-zione richiede la designazione di zone speciali diconservazione) e D (specie di interesse comunita-rio che richiedono una protezione rigorosa). In sin-tesi, l’attuale quadro normativo nazionale: a) vieta la cattura e l’uccisione, il disturbo, il pos-

sesso, il trasporto, lo scambio e la commercia-lizzazione dei grandi predatori (DPR 357/97,art. 8, cc.1 e 2);

b) richiede una specifica autorizzazione per l’im-portazione di esemplari vivi o morti di questespecie o di parti di esse (L.N. 874/75, art. 4);

c) richiede, per ogni attività di cattura a fini scien-tifici, sia un’autorizzazione regionale(L.N.157/92, art. 4), sia un’autorizzazione delMinistero dell’Ambiente e della Tutela del Terri-torio (DPR 357/97, art. 11). Entrambe tali au-torizzazioni devono essere espresse sulla basedi un parere dell’Istituto Nazionale per laFauna Selvatica (INFS);

d) prevede, al fine di prevenire danni gravi all’alle-vamento, la possibilità di deroga ai divieti dicattura o abbattimento dietro autorizzazionedel Ministero dell’Ambiente e della Tutela delTerritorio, sentito l’INFS, a condizione che nonesistano altre soluzioni praticabili e che la de-roga non pregiudichi il mantenimento, in uno

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stato di conservazione soddisfacente, delle po-polazioni delle specie oggetto di tutela (L.N.157/92, art. 19 c. 2; DPR 357/97, art. 11, c. 1);

e) prevede la creazione di un fondo regionale perla prevenzione ed il risarcimento dei danni (L.N.157/92, art. 26);

f) prescrive che all’interno delle aree protette sial’Ente parco a risarcire i danni causati daigrandi carnivori (L.N. 394/91);

g) prevede il monitoraggio delle popolazioni dellespecie da parte delle regioni sulla base di lineeguida prodotte dal Ministero dell’Ambiente edella Tutela del Territorio in contatto con l’INFSe il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali(DPR 357/97, art. 7, c. 2).

Il quadro normativo italiano, coerentemente con lelinee guida internazionali, dà quindi priorità aduna conservazione a livello di popolazione rispettoa quella rivolta alla tutela dei singoli individui.Esso demanda alle regioni ed alle province unalarga parte delle competenze in materia di monito-raggio, gestione e riqualificazione faunistica, di re-pressione degli illeciti, di realizzazione di eventua-li piani di controllo, di risarcimento dei danni (adesempio, Ciucci et al. 1997, Ciucci & Boitani1998). La caratteristica più peculiare della politica italia-na in materia di conservazione dei grandi carnivo-ri è però che essa esclude sempre il ricorso all’ab-battimento per contenere i conflitti con le attivitàdell’uomo. Questa forma di intervento non è for-malmente esclusa, considerato che sia la legge157/92 sia il DPR 357/97 prevedono l’applicazio-ne di deroghe al divieto di abbattimento seppureimponendo un complesso iter autorizzativi; matale possibilità non è mai stata applicata e siesclude il ricorso ad abbattimenti nell’immediatofuturo. Se si considera ad esempio il caso delLupo, mentre altri paesi Europei si sono dotati dipiani di gestione della specie basati su un princi-pio di zonazione (ad esempio, la Norvegia), o hannoescluso porzioni del loro territorio dalla tutela delLupo (Spagna: popolazione a nord del fiumeDuero; Grecia: a nord del 39°; Lapponia Finlande-se), o prevedono comunque la possibilità di attiva-re interventi limitati di prelievo selettivo (ad esem-pio, la Svezia), per quanto riguarda l’Italia solo inun caso è pervenuta all’INFS una richiesta di pa-rere circa l’attivazione di un intervento di abbatti-mento di un individuo, alla quale non è stato datoparere favorevole. Tale impostazione di tutela delLupo è stata anche riaffermata dal Piano d’AzioneNazionale per la specie (Genovesi 2002), adottatodal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Ter-ritorio nel 2002, ufficialmente presentato allaConvenzione di Berna nel 2002 (23° riunione delComitato Permanente) ed alla Commissione Euro-pea nel 2003. Il documento esclude la possibilitàdi attivare interventi di controllo del Lupo per iltermine di validità del piano (5 anni), e prescriveforme di gestione dei conflitti basate essenzial-mente su un sistema integrato di prevenzione ecompensazione dei danni, di promozione di un ap-proccio partecipativo in materia, di ottimizzazione

delle risorse attraverso una programmazione degliinterventi basati su un sistema di zonazione.Tra i paesi Europei, solo la Germania (dove sonopresenti pochi individui provenienti dalla Polonia)ed il Portogallo hanno una politica di totale prote-zione del Lupo, mentre la Croazia, che nel 1995aveva introdotto un’analoga forma di tutela, sta ri-vedendo le proprie politiche in materia reintrodu-cendo la possibilità di autorizzare limitati abbatti-menti di lupi (Huber 2003).

LIMITI E PROSPETTIVE DELLA POLITICAITALIANA DI CONSERVAZIONE DEI GRANDI CARNIVORILa politica italiana di rigida tutela dei grandi pre-datori richiederebbe, più che in altri Paesi, misuredi prevenzione e compensazione dei danni partico-larmente efficaci ed un’attiva opera di prevenzionee repressione del bracconaggio. Purtroppo l’abbat-timento illegale di lupi, linci ed orsi rimane diffusoin buona parte del Paese (Ciucci & Boitani 1998,Servheen et al. in prep.), senza che alcuna azionedi repressione sia mai stata attivata (a fronte del-l’elevato numero di lupi uccisi illegalmente ognianno, nessun bracconiere è mai stato identificato,denunciato o condannato in Italia; Boitani 2003).Il bracconaggio è considerato la prima causa dimortalità del Lupo (Genovesi 2002), e negli ultimimesi sono stati uccisi diversi individui della popo-lazione abruzzese di Orso bruno - in stato di con-servazione critico - ed anche l’espansione dellaLince sulle Alpi appare limitata essenzialmente dalbracconaggio (Molinari et al., 2001). Il bracconaggio come reazione ai conflitti con igrandi predatori è stato a lungo considerato unacaratteristica italiana, ma in realtà, analizzando icontesti di recente colonizzazione da parte delLupo (ad esempio, Kora 2004 per la Svizzera), que-sta pratica appare molto più diffusa in altri Paesidi quanto si pensasse in passato. Negli ultimi 25anni nessun responsabile di uccisioni illegali diLupo è stato condannato in Europa (Boitani 2003),a conferma che la repressione di questa pratica,oltre che spesso oggetto di scarsa attenzione daparte degli organi preposti, è anche tecnicamentemolto difficile.Appare quindi evidente il ruolo chiave che rivesto-no le misure di prevenzione e compensazione nellaconservazione dei grandi predatori. Nell’ultimo de-cennio i programmi LIFE della Unione Europeahanno rappresentato indubbiamente un efficacestimolo a sperimentare ed applicare tecniche diprevenzione e compensazione dei danni, fornendoagli amministratori un’utile base di conoscenzaper le politiche locali di gestione dei conflitti. D’al-tro canto questi programmi hanno anche eviden-ziato alcuni limiti, legati ad esempio al limitato ter-mine temporale (che spesso non ha permesso disviluppare adeguatamente gli strumenti di preven-zione), all’assenza in alcuni casi di un coinvolgi-mento degli enti responsabili della gestione (am-ministrazioni regionali e provinciali) che non hapermesso il necessario passaggio delle esperienzedalla fase sperimentale a quella ordinaria. Infine,

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P. Genovesi

solo in pochi casi i programmi ad oggi conclusihanno previsto una rigorosa valutazione tecnico-scientifica dell’efficacia dei metodi applicati, condi-zione questa essenziale per permettere un concre-to miglioramento delle pratiche gestionali delPaese. Esempi particolarmente incoraggianti di progetticofinanziati con strumenti europei (LIFE ed IN-TERREG) sono il progetto LIFE “Ursus” per la rein-troduzione dell’Orso bruno sulle Alpi centrali, l’In-terreg della Regione Piemonte sul Lupo (Il lupo inPiemonte: azioni per la conoscenza e la conserva-zione della specie, per la prevenzione dei danni albestiame domestico e per l’attuazione di un regimedi coesistenza stabile tra lupo e attività economi-che: regione.piemonte.it/parchi/lupo/progetto/homeprog.htm) ed il progetto LIFE-Lupo Emilia-Ro-magna (www.lifenatura.it/emilia-romagna/Life-LUPO), che ha previsto azioni di monitoraggio alarga scala e di gestione dei conflitti. Questi pro-grammi sono stati caratterizzati da un efficace mo-nitoraggio sia delle popolazioni selvatiche che deidanni, da interventi organici di prevenzione e com-pensazione, dal coinvolgimento delle diverse cate-gorie sociali (allevatori, agricoltori, associazioni,ecc) e da un’attenzione agli sforzi di comunicazio-ne ed informazione. I risultati appaiono molto in-coraggianti; in queste realtà si è raggiunta una ap-profondita conoscenza delle popolazioni di Lupo edOrso ed i conflitti sociali appaiono per ora sottocontrollo. A titolo di esempio, un confronto dei ri-sultati di due sondaggi d’opinione realizzati inTrentino prima e dopo l’intervento di reintroduzio-ne hanno evidenziato un larghissimo sostegno del-l’opinione pubblica a questo programma ed un ele-vato livello di conoscenza sia del progetto, sia dellabiologia della specie (Genovesi et al. 2004).

CONCLUSIONILa conservazione dei grandi carnivori in Italia è ca-ratterizzata da: stretto regime formale di protezio-ne (che non prevede in alcun caso interventi di ab-battimento), priorità ad interventi di prevenzione ecompensazione dei danni, obbligo di realizzareprogrammi di monitoraggio. L’applicazione concre-ta di questi princìpi mostra però molti limiti: il fra-zionamento amministrativo tra organi centrali(formalmente responsabili della conservazionedelle specie di interesse comunitario) e ammini-strazioni locali (competenti per la prevenzione e lacompensazione dei danni e per gli interventi diret-ti sugli individui) determina significative differenzetra le forme di gestione applicate in ambito locale,che in molti casi risultano molto poco efficienti; ilmonitoraggio è quasi ovunque inadeguato (ma concrescenti aree interessate da efficaci programmi);l’approccio partecipativo, considerato universal-mente come una chiave per ridurre i conflitti so-ciali, è poco applicato; a fronte della presenza dipopolazioni transfrontaliere di grandi predatorisulle Alpi, le politiche dei Paesi alpini sono oggifortemente dissimili e spesso contraddittorie. Questi limiti nelle politiche di conservazione deigrandi carnivori (ed in particolare nella gestione

dei conflitti) sono considerati da molti esperti comela prima causa del diffuso bracconaggio, che ap-pare totalmente incontrastato in molte aree delPaese (Genovesi 2002, Boitani 2003). Per questimotivi è necessario promuovere strumenti di ar-monizzazione delle misure di conservazione attua-te spesso a scala locale, come i Piani d’Azione, iquali però non hanno ancora oggi un chiaro pote-re legale. Inoltre, vanno maggiormente valorizzatele esperienze locali in materia di prevenzione ecompensazione dei danni (spesso promosse grazieai programmi comunitari LIFE ed Interreg) chenegli ultimi anni hanno dato risultati molto positi-vi ed incoraggianti (ad esempio, AA.VV 2001). Poi-ché questi programmi sono stati spesso coordina-ti da organismi (Associazioni, aree protette, ecc.)che non possono garantire l’applicazione di politi-che organiche, continuative ed a larga scala, ap-pare critico assicurare un “passaggio di consegne”da parte degli organismi responsabili dei progettialle amministrazioni regionali e provinciali respon-sabili della gestione delle specie selvatiche. E perquesto obiettivo occorre da un lato che i program-mi prevedano sempre una rigorosa valutazionetecnico-scientifica dei risultati conseguiti, in mododa permettere alle amministrazioni competentiuna più efficace applicazione delle diverse tecni-che nei diversi contesti territoriali, dall’altro cheincludano, tra le attività previste, una fase di pas-saggio delle competenze tecniche alle stesse am-ministrazioni (ad esempio, attraverso la realizza-zione di corsi di formazione, l’affiancamento dipersonale delle amministrazioni nelle attività dicampo, etc.).

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Sommario:- Riassunto/Summary- Introduzione- Il conflitto tra Lupo e zootecnia tra percezione,

ricerca e conservazione- Studio del conflitto: finalità, metodi e scala

d’indagineCompilazione delle statistiche ufficialiQuestionari e intervisteApplicazioni intensive di campoAnalisi della dieta e quantificazione del conflittoNatura multivariata del conflitto e strategied’indagine

- Caratteristiche del conflitto tra Lupo e zootecnia in Italia

Costi d’indennizzoNatura ed entità del conflittoCaratteristiche degli eventi di predazioneStagionalitàDispersione del conflittoRicorrenza degli attacchi predatori per aziendaContesto ambientale e gestionaleContesto ecologico e comportamentale

- Procedure di verifica- Strumenti e tecniche di prevenzione- Monitoraggio del conflitto- Bibliografia

RiassuntoIn questo lavoro si delinea un quadro di analisi e in-terpretazione del conflitto tra Lupo e zootecnia inchiave gestionale e di conservazione, procedendocon un inquadramento critico dei diversi approcci distudio ed una revisione dei principali lavori ad oggipubblicati in Italia sull’argomento. Il conflitto viene descritto in base alla sue caratteri-stiche fondamentali (costi d’indennizzo, categoriecolpite, entità e caratteristiche dei danni, ricorrenzae dinamiche stagionali, dispersione spaziale e zonecritiche, correlati ambientali, gestionali, ecologici ecomportamentali), per ciascuna delle quali si fa ilpunto sullo stato delle conoscenze e sulle prospetti-ve di ricerca. In base ad esperienze e studi recenti,condotti sia in Italia che all’estero, vengono altresìdiscussi alcuni elementi critici delle procedure di in-dennizzo e accertamento dei danni (capi dispersi,tempi di verifica e di indennizzo, distinzione tra pre-dazioni da Lupo e da cane), dell’efficacia degli stru-menti e delle tecniche di prevenzione, e viene moti-

vata la necessità di un monitoraggio a lungo termi-ne del conflitto su scala locale e nazionale.

SummaryWe hereby discuss nature and implications of wolf-livestock conflict (WLC) for wolf conservation inItaly. By reviewing the published studies and tech-nical reports on WLC in Italy we describe the stateof the art of current knowledge, illustrate researchneeds, and provide a general methodological dis-cussion to stimulate further studies. Current kno-wledge on WLC in Italy is detailed according tobasic parameters (compensation costs; nature andextent of depredations; distribution and trends ofWLC at local and national scales; seasonal, ecolo-gical, husbandry and behavioral correlates ofWLC). Based on accumulated experience and recentstudies both in Italy and abroad, we also discussissues dealing with compensation and verificationprocedures (missing livestock, temporal efficiency ofcompensation procedures, distinction among preda-tors), as well as with prevention methods and hu-sbandry techniques. Finally, we emphasize theneed for a comprehensive monitoring program ofWLS and correlated variables if more effective andproactive management solutions are to be adopted.

INTRODUZIONEL’efficace gestione del conflitto tra Lupo (o altrigrandi carnivori) e zootecnia costituisce, in Italiacome altrove, uno degli elementi principali di unastrategia funzionale di conservazione della specie(Boitani 2000). Qualsiasi soluzione di questo anti-co problema non può prescindere da un’analisiapprofondita che miri alla descrizione, caratteriz-zazione e quantificazione del conflitto tra Lupo ezootecnia. Studiare ed analizzare il problema im-plica la possibilità di affrontarlo con maggiore ri-gore e di poter valutare opzioni di gestione impon-derabili allo stato attuale delle conoscenze. Le am-ministrazioni e la comunità tecnica e scientifica sidevono quindi impegnare per stimolare studi spe-cifici atti alla quantificazione, descrizione e moni-toraggio del conflitto e all’individuazione di solu-zioni di gestione innovative e funzionali. In questa prospettiva, si è voluto qui procedere aduna revisione degli studi condotti sull’argomentoin Italia ed all’estero, offrendo una discussione cri-tica dei metodi di studio e della loro interpretabili-

P. Ciucci e L. Boitani

CONFLITTO TRA LUPO E ZOOTECNIA IN ITALIA: METODI DI STUDIO, STATO DELLE CONOSCENZE, PROSPETTIVE

DI RICERCA E CONSERVAZIONE

Wolf-livestock conflict in Italy:methods, state of the art, research and conservation

PAOLO CIUCCI ° E LUIGI BOITANI

Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 26-51, 2005

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tà, anche al fine di stimolare ulteriori indagini e unapproccio di analisi più solido. In fase di revisioneabbiamo considerato tutti i lavori pubblicati inextenso su riviste del settore e le relazioni tecnichepresentate alle amministrazioni di competenza,ma abbiamo tralasciato alcuni rapporti interni didifficile reperimento e i lavori in cui la metodologiautilizzata non veniva adeguatamente illustrata. Lericerche specifiche del settore sono purtropposcarse a livello nazionale, e una conseguenza di-retta è la mancanza di un confronto tecnico-scien-tifico sull’argomento nonché di riferimenti metodo-logici ragionati, solidi e condivisi. Tra gli obiettividi questa revisione c’è quindi anche quello di in-quadrare i metodi di studio secondo un approcciodi indagine unitario e coerente e in cui si conside-rino, dipendentemente dalla scala e dalla risolu-zione richiesti, pro e contro di metodi differenti. Ai fini di questa presentazione, e per chiarire il si-gnificato dei termini cardine su cui si articola latrattazione del conflitto, è utile distinguere tra pre-venzione, ovvero l’adozione di metodi o di tecnicheatte a ridurre l’entità attesa dell’impatto dei pre-datori; la mitigazione, ovvero l’adozione di stru-menti e politiche economiche e sociali atte a ridur-re i danni economici e l’animosità conseguenti ilverificarsi dei danni da predazione, ed il controllo,ovvero l’adozione, successivamente al verificarsi dieventi di predazione, di metodi e tecniche atte a ri-durne l’ulteriore insorgenza. Nella letteraturanordamericana il controllo viene spesso associatoalla rimozione letale o alla cattura e successivatraslocazione dei lupi residenti in seguito al verifi-carsi di eventi di predazione (Fritts 1982, Bjorge &Gunson 1985, Fritts et al. 1992, Bangs et al.1995, Mech 1995, Bradley 2004). Nonostante in questo lavoro si discuta essenzial-mente del conflitto tra Lupo e zootecnia, molteconsiderazioni di carattere generale si ritengonovalide anche per gli altri grandi carnivori presentisul territorio nazionale.

IL CONFLITTO TRA LUPO E ZOOTECNIA TRAPERCEZIONE, RICERCA E CONSERVAZIONERispetto a pochi decenni fa, la società ha oggi di-mostrato di voler riconoscere i valori positivi deigrandi carnivori come il Lupo, l’Orso, la Lince(Breitenmoser, 1998, Boitani 2000). Anche se a li-vello essenzialmente teorico, queste specie godonooggi di protezione legale a livello regionale, nazio-nale, comunitario ed internazionale. Il Lupo, inparticolare, è protetto in Italia fin dai primi anni’70 quando la specie, in parte assistita da inter-venti di conservazione, ha mostrato notevoli capa-cità di recupero (Ciucci & Boitani 1998a). Delresto, in seguito a questo incremento si è fatto an-cora più gravoso il problema del conflitto con lazootecnia; problema ad oggi trascurato e che con-tinua a non essere affrontato in maniera coerentecon le più recenti aspettative di conservazione. Ilconflitto con il Lupo, al pari di altri grossi preda-tori, può determinare in particolare con il settorezootecnico perdite economiche e attriti a livello so-ciale. Per il singolo allevatore, oltre alle perdite di

carattere economico, la predazione da parte delLupo può spesso comportare riflessi sul carico dilavoro e sulla qualità stessa della vita (Fritts et al.2003). In seguito al recente recupero della specie su largascala, il conflitto tra Lupo e zootecnia in Italia si èriproposto con maggiore intensità e diffusione ri-spetto agli anni ’70 – ‘80 (Boitani 1982, Guacci1985). Oggi più di ieri le implicazioni sociali edeconomiche del conflitto sono più articolate e ren-dono particolarmente complessa l’elaborazione diuna strategia gestionale. Se gran parte della socie-tà moderna oggi vuole la protezione del Lupo, perun allevatore questocomporta il non poter ricorre-re al controllo dei predatori come strumento di di-fesa. Sebbene ciò sia in linea con le finalità di con-servazione e, dal punto di vista etico e sociale, siaindubbiamente più accettabile rispetto alle tra-scorse politiche di eradicazione, è importante rea-lizzare che non necessariamente la mera protezio-ne legale affronta le questioni alla radice del pro-blema. Al di là dei problemi che pone questo im-pianto teorico, ci si chiede in quale misura sia difatto rispettato e per quanto tempo possa risulta-re sostenibile. In un contesto di tutela ed espan-sione delle popolazioni di grandi carnivori, è in-dubbio che elemento centrale di qualsiasi strategiagestionale dovrà essere il recupero da parte delsettore zootecnico di accorgimenti mirati ad au-mentare la difesa degli armenti. Il processo tutta-via non è facile né immediato, trattandosi di mu-tamenti difficili, economicamente svantaggiosi,che comportano un carico di lavoro addizionale eche non sono sempre applicabili o funzionali.Mentre nelle zone di presenza storica della speciegli allevatori sembravano essere tecnicamente eculturalmente preparati ad interagire con il Lupo,oggi ciò non è più vero in molte aree di recente ri-colonizzazione (Ciucci & Boitani 1998a). Laddovein tempi storici recenti la rarefazione delle predeselvatiche è stata tra le cause principali della pre-dazione sui domestici (Cagnolaro et al. 1974, Boi-tani 1982, Ragni et al. 1985), oggi sono le tecnichedi allevamento a influenzare i livelli di conflitto os-servati nonostante la presenza di comunità diver-sificate di prede selvatiche (Fico et al. 1993, Cozzaet al. 1996, Ciucci & Boitani 1998b). Inoltre, seb-bene il Lupo che mangia la pecora sia un proble-ma antico per l’allevatore, il problema viene oggivissuto in un contesto sociale, culturale e norma-tivo diverso e che sottintende un contrasto tra va-lori e culture differenti. Dal punto di vista dell’al-levatore, il Lupo rischia di diventare simbolo diun’epoca in cui le proprie tradizioni, diritti e inte-ressi vengono subordinati ai valori di una culturadi matrice essenzialmente urbana (Fritts et al.2003). In questi termini, la predazione al bestiamenon è solo causa di perdite economiche ma ali-menta una tensione sociale preesistente; questa,troppo spesso strumentalizzata dai media locali, sitraduce in un movente condiviso su scala localeper interventi illeciti di controllo. Tutto ciò in-fluenza ovviamente anche la sfera politica e socia-le: se ad oggi, almeno in Italia, le situazioni più cri-

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tiche si sono risolte con articoli di propaganda inprima pagina o la formazione di ‘comitati antilupo’locali della durata di una stagione, ci sono staterecentemente richieste da parte di amministrazio-ni pubbliche di deroghe all’attuale status di prote-zione del Lupo (cfr. Genovesi questo volume). La convivenza tra grandi carnivori e attività antro-piche implica una gestione del conflitto efficace esocialmente accettabile, rappresentando una tra lesfide più impegnative nel campo della conservazio-ne (Breitenmoser 1998, Treves & Karanth 2003).Attualmente, la gestione del conflitto tra Lupo ezootecnia è resa particolarmente complessa in Ita-lia da due ordini di problemi: la mancanza di in-formazioni attendibili e aggiornate sulla reale enti-tà del fenomeno, tra l’altro in rapida e costanteevoluzione, e il recente sviluppo del settore zootec-nico verso forme di produzione che non contem-plano la presenza sul territorio di un predatoreselvatico (Ciucci & Boitani 1998a). La mancanza distudi oggettivi e sistematici sulla predazione al be-stiame domestico non facilita la situazione, la-sciando spazio ad un’erronea percezione del feno-meno sulla quale ne viene soppesata gravità e rile-vanza economica. Tra l’altro, la percezione delconflitto risente di preconcetti e atteggiamenti cul-turali ampiamente influenzati dalle tensioni socia-li e dalla loro strumentalizzazione a fini propagan-distici. Una ‘conoscenza’ del fenomeno basata supercezioni o luoghi comuni non ha fondamenti at-tendibili, semplifica in maniera riduttiva relazionicomplesse e ignora natura e ruolo di molte com-ponenti critiche da un punto di vista gestionale;prendiamo ad esempio la possibilità di coinvolgi-mento di predatori diversi, il ruolo di cause dimorte diverse dalla predazione, l’attendibilità delleprocedure di verifica, l’influenza delle normatived’indennizzo, la responsabilità dell’allevatore, etc.In mancanza di queste basi conoscitive, e in as-senza di una volontà politica di avviare programmidi monitoraggio, è oltremodo difficile affrontare egestire il problema in maniera programmatica, ra-zionale e coerente. A fronte di questa complessità, si fa sempre piùevidente l‘inadeguatezza di una strategia di risolu-zione del conflitto basata essenzialmente sui pro-grammi d’indennizzo (Cozza et al. 1996, Ciucci &Boitani 1998a). Nonostante in Italia le politiched’indennizzo non siano state mai valutate formal-mente in termini di portata ed efficacia, questastrategia è sembrata assolvere al suo scopo neglianni ’70, quando una popolazione di lupi ridotta aiminimi termini generava un conflitto localizzato ein contesti sociali e culturali tradizionalmente pre-parati (Boitani 1982). Oggi la situazione è radical-mente diversa, e né la protezione legale (teorica) néi programmi d’indennizzo sembrano essere ingrado di mitigare il conflitto o di garantire situa-zioni stabili di coesistenza tra uomo e Lupo (Geno-vesi 2002). Nonostante la politica dell’indennizzoin Italia costi molto più che altrove (vedi sotto), unelevato numero di lupi viene ucciso ogni anno ille-galmente (Francisci & Guberti 1993, Duprè 1996)senza peraltro tradursi in un’attenuazione del

conflitto nel medio – lungo periodo. Oltre ad esse-re eticamente discutibile, ed a minare continua-mente la base per una corretta conservazione dellaspecie su larga scala, quest’approccio gestionalenon necessariamente potrà continuare ad esseresostenibile nel futuro.

STUDIO DEL CONFLITTO: FINALITÀ, METODI E SCALA D’INDAGINELa mitigazione dei problemi causati dalle specieselvatiche alle attività antropiche rappresenta unabranca specifica della gestione della fauna (Cono-ver 2002). Elemento fondamentale per la gestionedel conflitto è la descrizione, la caratterizzazione ela quantificazione dei suoi parametri di base. Laconoscenza del problema è infatti fondamentalenon solo per trovare soluzioni tecniche adeguatema anche per valutare il livello di accettabilità, osopportazione sociale ed economica, del conflitto.Lo studio del fenomeno dovrebbe quindi prevedereuna fase di acquisizione delle conoscenze di base(cosa, dove, quando), seguita da un impianto di ri-cerca finalizzato ad evidenziarne cause e meccani-smi funzionali (come, perché). Diversi approccipossono essere impiegati a tal fine, ma una distin-zione netta va fatta tra monitoraggio del conflitto ericerca: mentre il primo, attraverso indici affidabi-li e significativi, quantifica l’andamento del feno-meno nel tempo e nello spazio in relazione ad altrevariabili critiche (ad esempio dinamica dei preda-tori e della produzione zootecnica), la ricerca mettein evidenza, a un livello di risoluzione maggiore, lecause di quanto osservato e permette inferenzepredittive. A tutti i livelli, particolare attenzione vaposta alle fonti di errore (campionamento, misura-zione, interpretazione dei dati) ed al tipo di analisieffettuata, in quanto entrambi possono influenza-re fortemente le conclusioni e la percezione stessadel fenomeno (Sterner & Shumake 1978, Knowl-ton et al. 1999).I metodi ad oggi utilizzati per descrivere e quanti-ficare i vari aspetti del conflitto tra Lupo (o altrigrandi carnivori) e zootecnia si possono ricondur-re a quattro approcci di base. Oltre che per unacrescente complessità, questi approcci si distin-guono per costi, finalità, risoluzione dei dati, escale di applicazione: (1) la compilazione delle sta-tistiche ufficiali, che sono disponibili in variaforma e dettaglio presso le amministrazioni com-petenti (Boggess et al. 1978; Sterner & Shumake1978, Schaefer et al. 1981, Blanco et al. 1992,Fritts et al. 1992, Fico et al. 1993, Ciucci & Boita-ni 1998a, 1998b, Mech 1998, Treves et al. 2002,Stahl et al. 2001, Musiani et al. 2003, Bradley2004). Si tratta di una metodologia applicabile lad-dove le normative d’indennizzo prevedono la de-nuncia puntuale da parte degli allevatori deglieventi di predazione e la successiva verifica daparte del personale preposto; (2) la compilazione diquestionari o la realizzazione di interviste. Diretteagli allevatori o ad altri addetti del settore le inter-viste interessano una serie di aspetti concernentifrequenza ed entità degli eventi di predazione, ca-ratteristiche della produzione, tecniche di alleva-

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mento e prevenzione, tipologie ambientali dellearee di pascolo, etc. (Sterner & Shumake 1978,Robel et al. 1981, Ciucci & Boitani 1998b, Wagner1988, Tully 1991, Mech et al. 2000, Bradley 2004);(3) verifiche di campo, condotte in aree e aziendecampione, atte al conteggio totale – o alla stima –degli animali predati e alla verifica puntuale delleloro cause di morte (Sacks et al. 1999, Blejwas etal. 2002); (4) ricerche di campo. Ad integrazionedell’approccio precedente, la ricerca prevede lamarcatura e il monitoraggio, spesso radio-teleme-trico, sia del bestiame domestico, per la quantifi-cazione esatta dei tassi e delle cause di morte (in-clusi i capi che solitamente non vengono ritrovati),che dei predatori, per certificare il coinvolgimentodiretto di alcuni individui o stimare il grado di so-vrapposizione territoriale con le aree di pascolo(Neale et al. 1998, Blejwas et al. 2002, Oakleaf etal. 2003, Bradley 2004). Vari problemi metodologici e interpretativi caratte-rizzano ciascun approccio, ma i diversi metodipossono comunque essere utilizzati simultanea-mente in una scala crescente di complessità al finedi produrre dati complementari, confrontare risul-tati differenti e stimare fattori di correzione (Ster-ner & Shumake 1978, Shaefer et al. 1981, Stahl etal. 2001, Blejwas et al. 2002). Le applicazioni dicampo, in virtù dei costi elevati e del complessoimpianto logistico, non sono realizzabili su largascala e nel lungo periodo; ne conseguono problemilegati alla rappresentatività delle aree di studio ealla conseguente estrapolazione dei risultati. Seb-bene le applicazioni di campo offrano le maggiorigaranzie di affidabilità dei risultati, in una fase de-scrittiva e di monitoraggio del conflitto può esserepiù conveniente perseguire approcci meno costosie facilmente applicabili in contesti geografici edamministrativi più ampi. Di seguono si illustranoin dettaglio i quattro approcci sopra delineati.

Compilazione delle statistiche ufficialiL’approccio più immediato per la sintesi di infor-mazioni su larga scala è rappresentato dalla com-pilazione delle statistiche desunte dai verbali diaccertamento – o dalle relative delibere di liquida-zione. Utilizzando dati disponibili per ampi conte-sti geografici ed amministrativi (province, regioni),si possono ottenere indicazioni sulle tendenze an-nuali e geografiche del fenomeno (ad esempio,Boggess et al. 1978, Fritts et al. 1992, Mech 1998,Treves et al. 2002, Musiani et al. 2003, Bradley2004), sui costi delle attuali politiche di indenniz-zo (Mech 1998, Treves et al. 2002) e, dipendente-mente dal dettaglio delle informazioni disponibili,su alcune caratteristiche degli eventi di predazio-ne (ad esempio, capi predati/attacco, ricorrenza diattacco/azienda, stagionalità, etc.) (Boggess et al.1978, Schaefer et al. 1981, Fritts et al. 1992, Ficoet al. 1993, Ciucci & Boitani 1998b, Stahl et al.2001, Bradley 2004). È importante sottolineareche i risultati così ottenuti non necessariamenteprocurano una quantificazione del conflitto reale(Ciucci et al. 1997): si tratta più spesso di unastima del conflitto, le cui quantificazioni sono me-

diate dalla normativa d’indennizzo vigente e dallamodalità (attendibilità) con cui le varie fasi vengo-no applicate; ad esempio, la percentuale d’inden-nizzo ed i predatori riconosciuti, e la fasi di verifi-ca, quantificazione e liquidazione degli eventi se-gnalati. Nonostante gli ovvi problemi interpretati-vi, questo metodo viene frequentemente utilizzatoper la caratterizzazione (Boggess et al. 1978, Brad-ley 2004) e per il monitoraggio a lungo termine(Boggess et al. 1978, Treves et al. 2002) del con-flitto. Al pari di altri indici, le statistiche ottenutesono da intendersi in funzione di due importantiassunti di base: (i) l’esistenza di una relazione li-neare tra stime e conflitto reale, e (ii) l’effetto co-stante, nel tempo e nello spazio, di eventuali dis-crepanze e fonti di errore. Le statistiche compilate a partire dalle documen-tazioni ufficiali erano state messe in discussionegià dalle prime applicazioni del metodo a causadella marcata tendenza a sottostimare l’entitàreale del conflitto (Boggess et al. 1978, Shaefer etal. 1981). Tuttavia, è da un confronto con gli altrimetodi disponibili per applicazioni su larga scala(questionari, interviste) che emergono alcuni in-dubbi vantaggi (Boggess et al. 1978, Knowlton etal. 1999), tra cui: il maggior numero di allevatoriche, incentivati da una politica di indennizzo, se-gnalano i casi di predazione; la garanzia di un ri-scontro da parte del personale addetto dei casi se-gnalati; una verifica sul campo (numero e caratte-ristiche dei capi predati, predatore coinvolto, etc.)più oggettiva rispetto all’opinione dell’allevatore di-rettamente coinvolto. Comunque, il metodo rima-ne suscettibile a fonti di errore importanti le quali,in alcune situazioni, ne inficiano l’applicazione.Innanzitutto, i programmi di indennizzo possonoessere un incentivo per denunce fraudolente o re-lative a decessi dovuti ad altre cause di mortalitào predatori (cani); tali casi possono essere inclusiinconsapevolmente nel computo finale (Boggess etal. 1978, Knowlton et al. 1999, Treves et al. 2002).Inoltre, un numero indefinito di allevatori possonoastenersi dal presentare la denuncia in caso dipredazione, o perché poco informati sulla prassida seguire o sull’esistenza stessa dei programmid’indennizzo (ad esempio, Boitani et al. 1998), operché poco motivati se non addirittura contrariad essi (ad esempio, Gatto et al., questo volume).Altra importante fonte di errore difficilmente valu-tabile risiede ancora oggi nella mancata applica-zione di rigorose procedure di verifica e nell’assen-za di prassi standardizzate per l’accertamentodelle cause di morte dei capi segnalati (cfr. Fico etal., questo volume). Eventuali differenze nei tassidi predazione così stimati possono risentire del-l’accuratezza e dell’impegno con cui i tecnici pre-posti verificano le cause di mortalità o la specie dipredatore coinvolta (Knowlton et al. 1999); adesempio, l’attendibilità della fase di verifica ri-sponde ad un esame autoptico adeguato condottoentro un tempo massimo dal verificarsi dell’eventopredatorio (24 – 48 ore) al fine di prevenire l’ecces-siva decomposizione della carcassa o il consumoda parte di necrofagi.

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P. Ciucci e L. Boitani

Infine, non sempre i documenti ufficiali dei casisegnalati di predazione si prestano a questo tipo dianalisi: schede e verbali di accertamento le cuivoci sono troppo vaghe o generali (Cozza et al.1996, Berzi 1997), o l’aggregazione di più eventi dipredazione in un’unica delibera di liquidazione(Boitani & Ciucci 1996, Ciucci et al. 1997), posso-no inficiare qualità e risoluzione delle analisi. E’comunque importante sottolineare che le analisibasate sulla compilazione delle statistiche ufficia-li, se opportunamente interpretate, possono anchefornire informazioni complementari di particolareimportanza in un’ottica di conservazione; adesempio, l’efficienza funzionale e temporale delleprocedure d’indennizzo, ovvero il tempo media-mente atteso tra segnalazione e verifica dell’eventopredatorio (ad esempio, Fritts et al. 1992), e tra de-nuncia e liquidazione dell’indennizzo (ad esempio,Treves et al. 2002).

Questionari e intervisteLe indagini tramite questionari o interviste rivolteagli allevatori, o al personale preposto alla verificadegli eventi predatori segnalati, si usano general-mente ad integrazione della compilazione dellestatistiche ufficiali e permettono di raccogliere in-formazioni altrimenti spesso tralasciate in fase diaccertamento. Laddove non esistono i programmidi indennizzo o questi non risultano funzionali, iquestionari sono l’unico strumento per ottenereinformazioni su larga scala e a basso costo sul-l’entità del conflitto (Robel et al. 1981, Schaefer etal. 1981, Tully 1991). Le informazioni richiestepossono anche contemplare le caratteristiche del-l’azienda in questione (ad esempio, Mech et al.2000, Bradley 2004), sia in termini di gestione(tipo e tecniche di allevamento, modalità di condu-zione al pascolo, uso di tecniche di prevenzione,etc.) che di contesto ambientale delle aziende (am-bienti pascolativi, presenza di cani vaganti e altripredatori, etc.). E’ da sottolineare che la struttura-zione del questionario (formulazione e successionedelle domande) oppure, nel caso delle interviste, lapresentazione ed il comportamento dell’intervista-tore, sono variabili critiche nell’influenzare i risul-tati di questo tipo di indagini, che devono quindiessere pianificate attentamente e con il supportodi specialisti del settore. Inoltre, laddove le rispo-ste fornite dagli allevatori possono essere influen-zate da interessi personali, per quanto concerne ilpersonale tecnico preposto all’accertamento valgo-no gli stessi problemi già discussi per la compila-zione delle statistiche ufficiali (tecniche autoptichee professionalità nella fase di verifica, tempi di ac-certamento, etc.). Il questionario rimane comunque uno strumentoinsostituibile per l’analisi del punto di vista degliallevatori in un’ottica gestionale e compartecipati-vi. Diverse indagini condotte in Italia tramite in-terviste o questionari, ad esempio, sono state fun-zionali per chiarire il punto di vista degli allevato-ri su questioni inerenti la gestione del conflitto e lepolitiche d’indennizzo (cfr. Boitani et al. 1998,Gatto et al. questo volume) o l’efficienza di alcune

tecniche di prevenzione (Caporioni & Teofili questovolume, Tedesco & Ciucci questo volume). Rispettoalla compilazione delle statistiche ufficiali l’indagi-ne tramite questionari o interviste è articolata ov-viamente su un minor numero di allevatori e sibasa su un campione di aziende: in questo senso,come in tutti gli altri metodi trattati di seguito,vanno rispettate modalità statisticamente affidabi-li di campionamento. Stime basate sulla selezionedelle unità campionarie vanno considerate affida-bili solo se sottintendono formali strategie di cam-pionamento, e non possono comunque prescinde-re da una misura statistica della loro precisione.

Applicazioni intensive di campoA differenza dei due metodi precedenti, le applica-zioni di campo prevedono la presenza più o menocontinua degli operatori a livello delle aziende col-pite dagli eventi di predazione. Le indagini dicampo possono variare per la complessità dei me-todi e per l’intensità dello sforzo di ricerca. Da ap-plicazioni in cui gli operatori collaborano con l’al-levatore e/o al tecnico preposto all’accertamentoper la ricerca dei capi segnalati (ad esempio, An-gelucci et al. questo volume, Tropini questo volu-me), si passa ad applicazioni più propriamentesperimentali in cui si mira al recupero di tutti icapi deceduti, morti sia per predazione che peraltre cause (ad esempio, Sterner & Shumake1978, Conner et al. 1998, Sacks et al. 1999). A talfine, i protocolli di ricerca più recenti prevedono lamarcatura e il monitoraggio radio-telemetrico delbestiame e/o dei predatori (Neale et al. 1998, Blej-was et al. 2002, Oakleaf et al. 2003, Bradley2004). Questi approcci, caratterizzati da una pre-senza sul campo intensa e continuativa propriadei progetti di ricerca, offrono informazioni dimaggiore affidabilità e completezza sui tassi dimortalità causa-specifici, predazione inclusa. A talfine, oltre ad efficaci metodi di monitoraggio delbestiame al pascolo, vengono utilizzate tecnicheautoptiche appropriate e in tempi utili (<24 ore)per un riscontro oggettivo delle cause di morte.L’elemento critico di queste applicazioni è che lapredazione sul bestiame domestico viene espressain un più significativo contesto produttivo e ge-stionale. In Idaho, ad esempio, con tecniche radio-telemetriche si è constatato che la mortalità dapredazione dei vitelli (1,6%) è mediamente inferio-re rispetto ad altre cause di mortalità (2,3%) e che,dipendentemente dall’habitat, in media solo il 12 –50% dei capi predati vengono effettivamente ritro-vati ai fini della procedura d’indennizzo (Oakleaf etal. 2003). Le applicazioni radiotelemetriche per-mettono inoltre di analizzare i fattori che più sem-brano predisporre alla predazione: la localizzazio-ne dei terreni di pascolo e le tecniche di alleva-mento adottate (Neale et al. 1998, Sacks et al.1999, Blejwas et al. 2002) in relazione alla dina-mica territoriale e sociale dei branchi locali diLupo (Treves et al. 2002, 2004, Oakleaf et al.2003, Bradley 2004). Gli approcci di campo pro-ducono dati di elevata qualità e contemplano fat-tori altrimenti impossibili da valutare (capi disper-

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si, presenza e localizzazione dei predatori). D’altraparte, i costi elevati impediscono una loro applica-zione su larga scala o nell’ambito di programmi dimonitoraggio a lungo termine. Tuttavia è solo at-traverso questo tipo di indagini che, a livello di al-cune aree campione, si possono calibrare gli ap-procci di carattere più generale per la quantifica-zione del conflitto (vedi sopra) oppure articolare ri-cerche di carattere applicativo (affinamento delleprocedure di verifica, sperimentazione delle tecni-che di prevenzione, etc.). Le applicazioni intensivedi campo prevedono la selezione di aree e/o azien-de campione, così come la selezione di un campio-ne di animali domestici e/o di predatori: anche inquesto caso il rispetto dei requisiti statistici dicampionamento (aree, aziende, individui) è allabase della rappresentatività dei risultati e della le-gittimità della loro estrapolazione ad un universocampionario più esteso.

Analisi della dieta e quantificazione del conflittoCon particolare riferimento al contesto italianodeve essere menzionato il fatto che gli studi sulladieta in base all’analisi degli escrementi non sem-brano offrire una valida indicazione della natura edell’entità del conflitto tra Lupo e patrimonio zoo-tecnico. Sebbene questi studi siano stati fonda-mentali per evidenziare l’importanza del bestiamed’allevamento come fonte trofica per il Lupo e lesue variazioni nel lungo periodo, non sono da soliin grado di descrivere caratteristiche ed entità delconflitto. Diversi autori hanno evidenziato che laquantificazione dell’uso di prede domestiche nelladieta dei lupi non è risultata correlata su scala lo-cale ai livelli di predazione riportati. Nelle Alpi Ma-rittime si è rilevata una forte discordanza tra ana-lisi degli escrementi e segnalazioni di predazionesulle capre e sulle pecore (Marucco 2001) e, in di-verse aree appenniniche, l’incidenza delle pecorenella dieta è risultata minore rispetto ai casi ac-certati di predazione (Mugello: Berzi 1997; Grafa-gnana: Ciucci 1994; provincia di Siena: Boitani &Ciucci 1996). Tali differenze sono riconducibili adifferenti regimi gestionali delle specie domestiche(ad esempio, nelle Alpi Marittime le capre sonomantenute allo stato brado e le pecore sono piùcontrollate) e quindi all’effettiva disponibilità dellecarcasse una volta predate (ad esempio, abbando-nate, interrate oppure rimosse), entrambi fattoriche influenzano il tasso di consumo da parte dilupi. Le carcasse delle prede domestiche tendonoinoltre ad essere consumate dai lupi solo parzial-mente (Ciucci & Boitani 1998a) e il loro consumoè selettivo per le parti altamente digeribili e poveredi quegli elementi indigesti (peli, ossa) utilizzatiper l’identificazione e quantificazione nell’analisidegli escrementi. Quindi, mentre l’analisi degliescrementi ai fini della quantificazione della dietapuò comportare una sottostima del livello di con-flitto, altri fattori possono causare errori in dire-zione opposta. Se operata in un ambito spaziale ri-stretto, la raccolta degli escrementi può risentiredell’accessibilità localizzata di una determinatapreda domestica, risultando in una sua sovrasti-

ma all’interno della dieta. Inoltre, come nel casodelle prede selvatiche, l’analisi degli escrementinon permette di distinguere i casi di predazionedal consumo di carcasse, con il rischio di sovrasti-marne la predazione come causa di mortalità. Seb-bene offrano informazioni importanti e comple-mentari, gli studi sulla dieta non dovrebbero esse-re quindi considerati centrali nella quantificazionee caratterizzazione del conflitto tra Lupo e zootec-nia.

Natura multivariata del conflitto e strategied’indagineOltre alla diversità dei metodi che possono essereutilizzati per l’analisi del conflitto, e alla loro su-scettibilità a diverse fonti di errore, la corretta in-terpretazione dei risultati, il confronto tra studidifferenti e i tentativi di generalizzazione sono ul-teriormente indeboliti dalla moltitudine di variabi-li coinvolte nei casi di predazione. L’effetto di fat-tori di natura gestionale, meteorologica, ecologicaed ambientale e le loro interazioni rendono oltre-modo complesso il controllo del contesto di studio.Il rischio è confondere tra loro unità spazio-tem-porali distinte o interpretare in termini di causa-effetto variabili tra loro semplicemente correlate edin realtà interessate da interazioni più complesse.Ciò pone seri problemi soprattutto ai fini della va-lutazione dell’efficacia delle tecniche di prevenzio-ne (cfr. Caprioni & Teofili questo volume), o nell’in-terpretazione di programmi di monitoraggio: laprofessionalità e l’attitudine degli allevatori, ladensità e l’accessibilità relativa delle prede selvati-che e domestiche, la densità e l’arrangiamento ter-ritoriale della popolazione locale di lupi e il lorocomportamento individuale, le condizioni meteoro-logiche e orografiche prevalenti, sono tutte varia-bili critiche che, se non vengono prese in conside-razione, potrebbero comportare interpretazioniparziali se non erronee dei risultati acquisiti.Alla luce di queste difficoltà è importante indivi-duare una strategia di indagine che utilizzi al me-glio i metodi ad oggi disponibili e, in base alle di-verse scale spaziali di applicazione, riesca a ricon-durre interpretazione e portata dei risultati allareale risoluzione dei dati e alle potenziali fonti dierrore. L’andamento spazio-temporale del conflittoe la sua dimensione economica su larga scala (re-gionale, nazionale) possono essere monitorati conle dovute cautele attraverso le statistiche ufficiali,ottenibili a costi relativamente ridotti. D’altraparte, solo applicazioni metodologicamente più ri-gorose dovrebbero essere alla base di una caratte-rizzazione accurata e funzionale del fenomeno odella valutazione sperimentale delle tecniche diprevenzione. Sebbene i protocolli intensivi dicampo risultino più costosi e logisticamente com-plessi, sono gli unici in grado di assicurare un im-pianto sperimentale adeguato. Essi possono inol-tre fornire: (1) validi elementi di riscontro (adesempio, stima accurata dei tassi di mortalità) asupporto di indagini più generali; (2) informazioniaffidabili (ad esempio, quantificazione di danni in-dotti, % di capi dispersi effettivamente predati) per

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l’affinamento delle procedure e delle politiche d’in-dennizzo; e (3) contesti sperimentali in cui valuta-re funzionalità ed efficacia delle diverse opzioni ge-stionali di mitigazione e risoluzione del conflitto.

CARATTERISTICHE DEL CONFLITTO TRALUPO E ZOOTECNIA IN ITALIAIl conflitto tra Lupo e zootecnia può essere descrit-to in base a diverse variabili e quantificato in basea diverse unità di misura (capi predati, eventi pre-datori, costi dei danni o dell’indennizzo, etc.), tipidi quantificazione (numeri assoluti, proporzioni,tassi) e contesti applicativi (gestionale, economico,sperimentale). Alcuni indici frequentemente utiliz-zati nei programmi di monitoraggio sono espressiin forma di tassi o proporzioni (eventi predazio-ne/anno, aziende colpite/anno; Fritts 1982, Fittset al. 1992, Treves et al. 2002). Le modalità con

cui viene quantificato il conflitto influenzano resae significato delle variabili considerate in funzionedel contesto applicativo. Il tipo di quantificazioneadottata può influenzare la percezione del fenome-no da parte dei media e del pubblico (Sterner &Schumake 1978), e l’uso improprio delle statisti-che descrittive può riflettersi in una visione distor-ta di alcuni parametri critici (ad esempio, numeromedio di capi predati/evento di predazione). Re-centemente, la dimensione economica del fenome-no è stata oggetto di un numero crescente di studiin cui i costi del conflitto sono stati quantificati inriferimento ad una data popolazione di lupi (Mech1998, Treves et al. 2002, 2004, Musiani et al.2003). Inoltre, diverse variabili ambientali e ge-stionali (vegetazione d terreni di pascolo, densitàdelle prede domestiche e selvatiche, dimensionidell’azienda, tecniche di guardiania, etc.) vengono

P. Ciucci e L. Boitani

Figura 1. – Localizzazione dei 15 studi condotti in Italia (1981 – 2001) sul conflitto tra Lupo e zootecnia e con-siderati nel presente lavoro: (1) Marucco 2001; (2) Tropini 2001; (3) Brangi 1995; (4) Meriggi et al. 1998; (5) Boi-tani & Ciucci 1996; (6) Berzi 1997; (7, 8) Boitani & Ciucci 1996; (9, 10, 11) Ciucci 1999; (12) Fico et al. 1983;(13) Cozza et al. 1996; (14) Verucci 2002; (15) Boitani et al. 1998.

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utilizzate per descrivere il contesto multivariatodella predazione (Mech et al. 2000), o integrate inmodelli predittivi (Treves et al. 2004). Alcune inda-gini condotte in Italia hanno contemplato, paralle-lamente alla quantificazione del conflitto, l’analisidel contesto zootecnico (Cozza et al. 1996, Boitaniet al. 1998, Fortina 2001): numero e tipo di azien-de, il carico pascolativo e il tipo di conduzione, lostato residenziale degli allevatori e il loro regimeprofessionale, la stagionalità di pascolo, l’atteggia-mento degli allevatori, etc.: sono queste un esem-pio di come sia necessario procedere con una baseinterpretativa più ampia per meglio interpretarenatura e prospettive gestionali del conflitto tra car-nivori e zootecnia.Di seguito viene presentata una sintesi sia dellemodalità con cui è stato caratterizzato ad oggi ilconflitto in Italia, sia dello stato attuale delle co-noscenze. L’insieme dei lavori considerati, sebbenesia esaustivo, include studi effettuati lungo ungradiente latitudinale, ecologico, zootecnico e ge-stionale esteso dalle Alpi Marittime al Parco Nazio-nale del Cilento (Fig. 1). Nella trattazione chesegue non vengono avanzate generalizzazioni con-clusive: questo sia per l’esiguo numero di studi,tra l’altro realizzati con metodi indiretti, che per lacomplessità di un fenomeno che risente di diffe-renze rilevanti a livello dei singoli esercizi zootec-nici.

Costi d’indennizzoNonostante la rilevanza, sono pochi gli studi chehanno interessato la dimensione economica dellapredazione sul bestiame domestico e i costi deiprogrammi di indennizzo (Fritts et al. 1992, Mech1998, Treves et al. 2002). In assenza di questo tipodi informazioni diventa difficile interpretare la so-stenibilità delle strategie di mitigazione (politiched’indennizzo incluse), sia per l’assenza di terminidi confronto, sia per l’impossibilità di valutarnel’efficacia in termini di costi/benefici.I costi relativi al conflitto, generalmente rilevatidalla compilazione dei documenti ufficiali, nonsono necessariamente una misura diretta dell’im-patto reale della predazione; essi infatti rispec-chiano fattori di natura procedurale e amministra-tiva che vanno dalla verifica dei casi segnalati, aiprezzari di riferimento, alla percentuale di inden-nizzo riconosciuta, ai bilanci delle amministrazio-ni al momento della liquidazione (Ciucci & Boitani1998a). Le cifre ottenute dalle documentazioni uf-ficiali (verbali di accertamento e delibere di liqui-dazione) devono quindi essere più correttamenteinterpretate come il costo delle attuali politiche digestione del conflitto (Mech 1998). In Italia i costi d’indennizzo sono stati stimati, a li-vello nazionale, relativamente al periodo 1991-95(Ciucci et al. 1997, Ciucci e Boitani 1998a), e ana-lisi a livello regionale sono state condotte in Abruz-zo (Cozza et al. 1996) e Toscana (Boitani & Ciucci1996, Banti et al. questo volume). Indagini riferitein particolare alle aree protette hanno interessatoi nuovi parchi nazionali del centro Italia (Ciucci1999), del Lazio (Verucci 2002) e il Parco Naziona-

le del Cilento (Boitani et al. 1998); più recente-mente, la quantificazione dei costi d’indennizzo hainteressato un numero maggiore di aree protette(ad esempio, Gatto et al. questo volume, Latini etal. questo volume, Reggioni et al. questo volume). Comprendendo le regioni in cui il Lupo era presente stabilmente negli anni dello studio, laspesa media annuale (± DS) di indennizzo su scalanazionale tra il 1991 ed il 1995 è stata di € 1.885.530 (±175.350), ed ha rappresentato me-diamente l’86% del costo di mercato dei danni se-gnalati (Ciucci et al. 1997). I costi d’indennizzosono risultati variare significativamente su baseannuale, probabilmente sia in funzione di varia-zioni delle norme d’indennizzo, sia di fluttuazionidel conflitto stesso. I costi non sono distribuitiomogeneamente sul territorio nazionale, con diffe-renze regionali che non appaiono correlate conalcun indicatore della presenza del Lupo o del ca-rico zootecnico (L. Boitani & P. Ciucci, dati nonpubbl.). Le differenze regionali rispecchiano essen-zialmente discrepanze tra le normative d’indenniz-zo, la loro applicazione e l’efficienza degli aspettiprocedurali, dalle fasi di verifica agli aspetti ine-renti la liquidazione. La regione Lazio, ad esempio,con una spesa media annuale di € 750.930 (±167.213) corrisponde da sola al 46,4% dei costiannuali su scala nazionale tra il 1991 e il 1995,dato paradossale se confrontato con la limitata di-mensione della popolazione di lupi stimata a livel-lo regionale: i motivi di tali cifre sono da ricercareessenzialmente nei dettagli della legge di indenniz-zo a quel tempo in vigore (LR 33/96) che, oltre aprevedere un risarcimento pari al 100% del costodi mercato dei capi predati – incluse le presuntepredazioni da cane – prevedeva un tempo massimoper l’accertamento di 30 giorni dal momento dellasegnalazione; condizione questa assolutamente in-compatibile con qualsiasi criterio attendibile di ve-rifica, e che ha determinato con ogni probabilitàun dilagare incontrollato di denuncie fraudolente(Ciucci & Boitani 1998a). E’ utile esprimere i costi d’indennizzo in riferimen-to alla dimensione della popolazione di lupi pre-sente nell’ambito geografico di riferimento ammi-nistrativo, in quanto questo indice di conflitto(costi/Lupo) permette di comparare contesti e si-tuazioni differenti nel tempo e nello spazio (Mech1998). Nonostante i limiti intrinseci delle stime diLupo su larga scala, e quindi gli ampi margini dierrore che queste comportano, i costi della politicad’indennizzo così espressi dimostrano che l’Italia èil paese in cui i programmi d’indennizzo sono piùcostosi, sia a livello comunitario che, soprattutto,internazionale (Tab. 1). Analogamente, si eviden-ziano su scala nazionale importanti differenze trazone e ambiti amministrativi che richiedono un’at-tenta valutazione in chiave gestionale. Conside-rando, ad esempio, le aree protette, i costi d’in-dennizzo nel Parco Nazionale del Cilento (€ 11.000Lupo/anno, di cui l’84% relativo ai danni accerta-ti a carico di bovini) sono di oltre 7 volte superioriall’importo erogato nel Parco Nazionale della Ma-jella, ovvero il doppio rispetto alla media di quan-

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P. Ciucci e L. Boitani

Paese Costi lupo/anno (Euro) n. Lupi Anni Fonte__________________________________________________________________________________________________

Italia 5.320 a 350-450 b 1991-1995 Ciucci et al. 1997

Francia 5.000 30-40 1996 LCIE 1997

Svezia 1.800 40-50 1996 LCIE 1997

Finlandia 900 150 1996 LCIE 1997

Portogallo 850 300-400 1996 LCIE 1997

Slovenia 700 30-50 1996 LCIE 1997

Croazia 600 50-100 1996 LCIE 1997

Spagna 250 2000 1996 LCIE 1997

Minnesota (U.S.A.) 91 cd 2044 1990-1998 Mech 1998

Wysconsin (U.S.A.) 79 d 252 e 1991-2000 Treves et al.2002

a: media annuale ± 775 (D.S.)b: popolazione su base annuale stimata in base ad un tasso di accrescimento annuale del 6% (Ciucci & Boitani 1991) c: media annuale, include l'80% di costi relativi alle operazioni di rimozione (controllo)d: conversione dollari a 0,826 Euroe: stima riferita all'inverno 1999-2000

Tabella 1. – Confronto tra i costi d’indennizzo, riferiti al numero di lupi presenti (costi/Lupo/anno), in alcunipaesi europei e del Nord America.

Costi indennizzo (Euro) Impatto della predazione___________________ _______________________________________________________________

% capi numero capi (% costi indennizzo)

Periodo costi totali costi/lupo a attacchi predati ovini caprini bovini equini Fonte_____________________________________________________________ _______________________________ ___________

P.N. Majella 1997 23.165 1.570 a 48 144 65% 18% 15% 3% Ciucci 1999(46%) (10%) (34%) (10%)

P.N. GranSasso-Laga 1997-98 b 125.330 4.180 a 227 493 72% 2% 14% 12%

(32%) (1%) (38%) (29%) Ciucci 1999

P.N. Sibillini 1997-98 b 109.400 7.815 a 187 853 91% 0.4% 5% 4%(62%) (0.4%) (24%) (14%) Ciucci 1999

P.N. Cilento 1997 109.890 11.000 c 225 294 20% 8% 68% 4%(3%) (2%) (84%) (10%) Boitani et al.

1998

AA.PP. Lazio d 2000-01 b 21.655 1.916 a n.r. 329 e 64% - f 19% 17% Verucci 2002

a: numero di lupi presenti stimato in base all'estensione del parco e a valori di densità media di 2 lupi/100 km2b: valori riga riferiti alla media annualec: numero di lupi presenti stimato in base stime invernali su neved: comprende i parchi regionali dei Monti Simbruini, Monti Lucretili, Marturanum, e le riserve naturali di Monte Navegna e

Monte Cervia e delle Montagne della Duchessa; esclude il parco regionale degli Aurunci per mancanza di indicazioni certe dipresenza di nuclei stabili di lupo; il 91.8% dei costi d’indennizzo è relativo al solo parco dei Simbruini (53% dell’area considerata)

e: dati riferiti al periodo 1997-2001 per i soli Monti Simbruini e Lucretilif: inclusi nelle pecore

Tabella 2. – Costi annuali d’indennizzo ripartiti per tipologia dei capi predati, in alcuni parchi nazionali (P.N.) earee protette (AA.PP) dell’Appennino centro-meridionale. Dati ottenuti dalla compilazione dei documenti ufficia-li (verbali di accertamento, delibere di liquidazione) presso gli Enti gestori.

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to erogato negli altri parchi nazionali del centroItalia (Tab. 2); differenze solo in parte giustificateda fattori ecologici (densità dei lupi, disponibilitàprede selvatiche) e dalla categoria di bestiame co-involto. Al contrario, questo confronto lascia in-tendere incongruenze delle procedure d’indennizzoe altri fattori gestionali critici sui quali è doverosointervenire per aumentare l’efficienza dei program-mi stessi (ad esempio, particolare accessibilitàdelle specie maggiormente predate, denuncie frau-dolente, prassi di verifica) (Fico 1996, Boitani et al.1998, Ciucci 1999).In un contesto economico di più larga portata, èimportante riconoscere che le spese d’indennizzoriferite al Lupo sono solitamente molto inferiori ri-spetto alle spese sostenute per indennizzare idanni effettuati da altre specie selvatiche (adesempio, il cinghiale; cfr. Ciucci et al. 1997, Gattoet al. questo volume, Mertens et al. questo volume).Cozza et al. (1996) hanno inoltre sottolineato comegli indennizzi elargiti dalla Regione Abruzzo agli al-levatori per i danni da Lupo nel 1994 hanno rap-presentato il 2,8% degli incentivi comunitari agliallevatori e lo 0,14% degli incentivi all’agricoltura.Infatti, l’impatto economico del conflitto con i pre-datori assume, in termini di sostenibilità, dimen-sioni diverse se riferito alla produttività del singo-lo allevatore in rapporto ai sussidi comunitari(Giannuzzi-Savelli et al. 1998, Antonelli et al. que-sto volume).

Natura ed entità del conflittoDiverse variabili caratterizzano il conflitto: la cate-goria di bestiame d’allevamento predato, l’età (e icosti) dei capi predati, le perdite da predazione ri-spetto alla produttività dell’azienda, l’entità dellapredazione rispetto ad altre cause di mortalità.Anche il tipo e la frequenza dei danni indotti (capiferiti, dispersi, aborti, perdita di produzione lattea,etc.) sono informazioni critiche in chiave gestionale.

- Specie predateIn Europa le pecore sono la specie domestica piùpredata dal Lupo, probabilmente in funzione dellaloro abbondanza e vulnerabilità, mentre in Nord-america la specie più colpita è rappresentata dai

bovini, più abbondanti nelle aree con presenza delLupo (Fritts et al. 2003). In linea di massima lastessa differenza è valida anche per la situazioneriportata in Italia, nonostante si rilevino importan-ti variazioni a livello locale; la predazione sui canie altri animali d’affezione, fenomeno rilevante nontanto dal punto di vista economico quanto affetti-vo, non è stata ad oggi riportata in Italia ai livelliriscontrati in altri paesi (Fritts & Paul 1989, Frittset al. 1992, Mech 1998, Kojola & Kuittinen 2002). In base agli studi esaminati in Italia (Tabb. 2 e 3),le pecore sono la specie più frequentemente pre-data, con proporzioni che variano dal 64% al 97%di tutti i capi predati su scala locale; seguonocapre e bovini in proporzioni simili (1-19%), equindi gli equini (0,5-17%). Alcune differenze pos-sono risentire di situazioni locali di disponibilità dideterminate categorie (ad esempio, le capre in pro-vincia di Cuneo e nel Parco Nazionale della Majel-la), oppure risultare particolarmente rilevanti dalpunto di vista finanziario, come nel caso dei bovi-ni nel Parco Nazionale del Cilento (68% dei capipredati, Tab. 2), o degli equini nella RegioneAbruzzo (39% dei capi predati, Tab. 3). Nel Cilen-to la predazione sui bovini, che sono mantenuti incondizioni di pascolo brado tutto l’anno senzaalcun controllo e in scarso stato nutrizionale, ec-cede la proporzione di disponibilità sul territorioed è probabilmente funzione della loro elevata ac-cessibilità (Boitani et al. 1998).

- Impatto della predazionePer quanto concerne l’impatto della predazionesulla produzione zootecnica, è importante sottoli-neare che i pochi dati disponibili tendono a dimo-strare un effetto del tutto trascurabile a livellodegli stock regionali. In linea con quanto rilevatoin altri paesi (Fritts et al. 2003), la proporzione dipecore predate sembra oscillare in Italia tra lo0,1% e lo 0,8% degli stock regionali o provinciali(Berzi 1997, Boitani et al. 1998, Ciucci & Boitani1998b, Tropini 2001). Tuttavia, i dati sulla produ-zione zootecnica si basano su stime condotte a li-vello nazionale (censimenti nazionali dell’agricol-tura o delle ASL) e non provengono da applicazio-ni di campo intensive; la loro risoluzione spaziale

Capi predati_____________________________________

SegnalazioniArea Periodo pecore capre bovini equini n. capi accertate Fonte____________________________________________________________________________________________________________

Provincia di Cuneo 1999-2001 78,7% 19.5% 1.5% - 522 156 Tropini 2001Mugello 1990-1996 84,0% 9% 5% 1% 1.151 334 Berzi 1997Regione Toscana 1991-1995 95,6% 2.7% 1.1% 0.5% 13.332 n.r. Boitani & Ciucci 1996Alto Appennino Reggiano 1993-1998 96,6% n.r. n.r. n.r. 410 91 Meriggi et al. 1998Regione Abruzzo 1980-1988 44,8% b 16.3% 38.8% 4.620 4.600 Fico et al.1993

a: 1994 escluso dall'analisi;b: include anche le capre;c:stimato in base ai dati presentati;

Tabella 3. – Predazione sul bestiame domestico in diverse zone del territorio nazionale in base alla specie d’al-levamento. Dati desunti dalle documentazioni ufficiali (verbali di accertamento, delibere di liquidazione). Per iterritori di alcune aree protette vedi Tabella 2.

a

c

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è quindi bassa (comune, provincia) e non contem-pla il numero di capi (e aziende) realmente acces-sibili ai predatori su scala locale. Esiste quindi ilrischio di sottostimare l’impatto della predazionese riferito alle singole aziende. In provincia diCuneo, per esempio, Tropini (2001) ha evidenziatoche un impatto di predazione sulle pecore dello0,8% a livello provinciale corrisponde in realtàall’1,4% qualora la densità di capi sul territoriovenga riferita esclusivamente alle valli con presen-za stabile del Lupo. Inoltre, è a livello locale che unnumero ristretto di allevatori può risentire signifi-cativamente della predazione, i cui effetti si fannorilevanti sia in termini economici che di produzio-ne (Fritts et al. 1992, Cozza et al. 1996, Berzi1997, Ciucci & Boitani 1998b, Stahl et al. 2001).Nei casi maggiormente critici, del resto, sono spes-so le condizioni di allevamento e guardiania chedeterminano gli elevati livelli di conflitto riportati,aumentando l’accessibilità del bestiame e le occa-sioni di contatto con i predatori (Cozza et al. 1996,Ciucci & Boitani 1998b). Mediamente, solo una ri-stretta proporzione degli esercizi zootecnici di unazona soffre di situazioni di conflitto (vedi sotto) adindicazione che, anche laddove il predatore è dif-fuso sul territorio, le predazioni sono comunquecircoscritte a particolari condizioni gestionali e si-tuazioni locali. In Francia, nella catena delloGiura, le predazioni della Lince sui domestici inte-ressano mediamente il 15% delle aziende sul terri-torio (Stahl et al. 2001). Tali informazioni vannocomunque meglio esplicitate nel contesto italiano,e possibilmente riferite al numero di aziende effet-tivamente attive sul territorio e il cui bestiame è la-sciato libero nei pascoli per almeno una stagionel’anno.

- Incidenza della mortalità da predazionePer un’analisi funzionale del conflitto, è fonda-mentale quantificare la mortalità da predazione ri-spetto ad altre cause di mortalità, comunque fre-quenti negli animali d’allevamento. Quest’informa-zione si può rilevare essenzialmente da indaginiintensive che prevedono metodi diretti per laquantificazione dei tassi e delle cause di mortalità(Blejwas et al. 2002, Oakleaf et al. 2003). Daipochi studi ad oggi condotti, la predazione sembrarappresentare un fattore secondario rispetto adaltre cause di mortalità. In Idaho, ad esempio, iltasso di predazione sui bovini (vitelli predati nel-l’anno/vitelli in vita all’inizio dell’anno) è inferioreal 2% e comunque minore rispetto ad altre causedi mortalità (Oakleaf et al. 2003). In Minnesota, daun totale di 121 casi verificati di mortalità di bovi-ni, la predazione da Lupo corrisponde al 12% e lealtre cause di mortalità (polmonite e intossicazio-ne alimentare) al 56% (Fritts 1982). Più in genera-le, tra tutte le casistiche di mortalità naturale va-lutate a livello del bestiame d’allevamento, la pre-dazione rappresenta mediamente il 12-41%, men-tre sono altri i fattori (ad esempio, polmonite, in-tossicazione alimentare, parti, vecchiaia) chehanno il sopravvento (Pecore: Robel et al. 1981;Bovini: Fritts 1982, Bjorge & Gunson 1985,

Oakleaf et al. 2003). È in quest’ottica che, in fasedi accertamento delle segnalazioni di predazione, èimportante verificare, oltre alle cause di morte, lecondizioni e lo stato di salute dell’animale predato:è lecito infatti ipotizzare che, al pari delle predeselvatiche, un certo numero di capi domesticipossa essere predato perché predisposto da altrifattori (malattie e parassitosi, denutrizione, etc.).In questo caso, anche se di predazione sempre sitratta, essa è di natura essenzialmente compensa-toria ed assume una valenza economica ovvia-mente diversa.

- Età e sesso dei capi predatiIn termini di impatto sulla produttività dell’azien-da è importante considerare il sesso e l’età dei capipredati. Mentre per il sesso non si notano sostan-ziali differenze di vulnerabilità alla predazione(Boitani & Ciucci 1986, Boitani et al. 1998, Tropi-ni 2001), l’età è correlata al rischio di predazioneper bovini ed equini (Gunson 1983, Boggess et al.1978, Fritts et al. 1992). Dagli studi condotti inItalia, mentre le pecore tendono ad essere predateessenzialmente da adulte, vitelli e puledri rappre-sentano rispettivamente il 71-96% (22 ≤ n ≤ 755)ed il 67-100% (22 ≤ n ≤ 755) dei bovini e degli equi-ni predati (Fico et al. 1983, Brangi 1995, Cozza etal. 1996, Boitani et al. 1998, Ciucci & Boitani1998b). Ciò suggerisce che, nel caso di bovini edequini, un aumento delle misure di prevenzioneessenzialmente a carico di queste categorie d’etàpotrebbe tradursi in una notevole riduzione del-l’impatto della predazione (Fritts et al. 1992, Cozzaet al. 1996).

- Danni indotti, capi feriti e dispersiI danni indotti, ovvero le perdite indirette a segui-to degli eventi predatori, possono rappresentareuna componente rilevante dell’impatto della pre-dazione. Mentre le perdite di produzione lattea, gliaborti, le ferite e le successive spese mediche sonodi difficile quantificazione e raramente vengonotrattate nella letteratura specifica, alcuni studihanno quantificato il numero di capi feriti e dis-persi in seguito agli attacchi dei predatori. I capidispersi, e che in quanto tali potrebbero esserestati predati, non sono riconosciuti dalle normati-ve d’indennizzo vigenti in Italia (Ciucci & Boitani1998b). Nello stato del Minnesota (USA), solo il52% delle segnalazioni di predazione a carico dellepecore si risolvono con il ritrovamento dei capipredati, proporzione ancora miniore nel caso deibovini (31%; Fritts et al. 2002). Per far fronte all’e-levato numero di capi dispersi in seguito agli at-tacchi da predatori, in Alberta (Canada) gli anima-li smarriti vengono indennizzati in misuradell’80% (Bjorge & Gunson 1985). Da studi radio-telemetrici recentemente condotti su bovini allostato brado in Idaho (Stati Uniti), è emerso comesolo una proporzione esigua (12,5%) dei capi effet-tivamente predati dal Lupo venga poi ritrovata al-l’atto dell’accertamento (Oakleaf et al. 2003). Le maggiori difficoltà riscontrate nel ritrovare icapi predati risiedono nel rapido deterioramento o

P. Ciucci e L. Boitani

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consumo delle carcasse, nella folta vegetazione enell’inaccessibilità dei terreni di pascolo (Bjorge &Gunson 1985, Fritts et al. 1992, Oakleaf et al.2003). In Toscana, da un’indagine condotta trami-te questionari ai veterinari ASL preposti all’accer-tamento dei casi segnalati, gli eventi di predazionea carico di pecore (n=483) hanno comportatoanche il ferimento e/o lo smarrimento dei capi, ri-spettivamente nel 35% e 33% dei casi (Ciucci &Boitani 1998b). In provincia di Cuneo, il reale im-patto della predazione potrebbe essere stato sotto-stimato fino al 27% a causa dei capi dati per dis-persi (24,5% dei segnalati) e quindi non conteggia-ti ai fini dell’indennizzo (Tropini 2001). A causa diqueste potenziali sottostime, alcuni autori sugge-riscono di correggere la percentuale d’indennizzoelargita per i capi accertati (Oakleaf et al. 2003).Molti tra i capi dispersi possono comunque esseremorti per altre cause, specialmente se in mandrie ogreggi tenute al pascolo brado: malattie, denutrizio-ne, aborti, etc. (Fritts 1982, Fritts et al. 1992).

Caratteristiche degli eventi di predazioneGli eventi di predazione vengono spesso descrittiin base al numero di capi uccisi, e a volte secondole modalità di attacco e consumo delle carcasse.Se rilevate secondo procedure affidabili, queste va-riabili possono offrire indicazioni comportamenta-li e gestionali utili, e sono utilizzate per confronta-re contesti e situazioni differenti.

- Numero di capi predati per evento predatorioLa frequenza degli eventi di predazione in base alnumero di capi predati spesso non rispetta un dis-tribuzione gaussiana, ma segue piuttosto distribu-zioni di tipo Poisson o binomiali negative con unanetta preponderanza dei casi in cui il numero dicapi coinvolto è esiguo. Da alcune indagini con-dotte a livello nazionale, si evince che il numero dicapi uccisi per attacco è limitato per tutte le spe-cie considerate (Fico et al. 1993, Berzi 1997, Boi-tani et al. 1998, Ciucci & Boitani 1998b, Meriggi etal. 1998, Tropini 2001). Nel caso delle pecore, i va-lori medi (mediani) sono tra 1 e 4 capi uccisi perattacco, con il 54-92% degli attacchi che si risolvecon al massimo 4 capi predati. Nel caso dei bovinie degli equini, l’uccisione di >1 capo rappresentauna rara eccezione. Anche il numero di pecore fe-rite o disperse per singolo attacco è generalmentelimitato (2-3 capi/attacco), sebbene tenda ad au-mentare negli attacchi notturni ed a carico digreggi allo stato brado (Ciucci & Boitani 1998b).Per le pecore sono stati riportati casi di surplus kil-ling, ovvero di uccisioni multiple (cfr. Ciucci & Boi-tani 1998a per una discussione dei due termini),con eventi che hanno comportato la predazionefino a 32-113 capi per singolo evento (Berzi 1997,Boitani et al. 1998, Ciucci & Boitani 1998b, Me-riggi et al. 1998, Tropini 2001). Le predazioni mul-tiple, sebbene possano coinvolgere una proporzio-ne sensibile del totale dei capi predati per singolaazienda, sono comunque piuttosto rare e sembra-no essere associate alle grosse dimensioni degli ar-menti e a condizioni gestionali particolarmente

disinvolte (Berzi 1997, Ciucci & Boitani 1998b). InToscana, ad esempio, si è stimato che le uccisionimultiple hanno coinvolto il 18,6% delle pecore pre-date su scala regionale dal 1991 al 1995, pur rap-presentando il 2,3% dei 483 eventi di predazionesegnalati; tutti i casi si sono verificati di notte onelle ore crepuscolari ed a carico di greggi in as-senza di forme di controllo diretto (Ciucci & Boita-ni 1998b).La quantificazione del numero medio di animaliuccisi per attacco, sebbene piuttosto semplice dalpunto di vista computazionale, può risentire di di-versi problemi con il rischio conclusioni fuorvian-ti. Innanzitutto, poiché la distribuzione di frequen-za dei capi uccisi per attacco non è gaussiana,l’uso della media aritmetica è inadeguato. I casi disurplus killing, inoltre, influenzano fortemente lamedia aritmetica e, dipendentemente dalla lorofrequenza, dovrebbero essere trattati piuttostocome outliers della distribuzione ed esclusi dalcomputo di centralità. In tal caso, rimangono tut-tavia arbitrari i criteri di definizione degli eventua-li outliers, e non tutti gli autori concordano nell’e-scluderli dalle stime di centralità (cfr. Fico et al.1993, Ciucci & Boitani 1998b, Tropini 2001). Inalternativa, si ricorre all’uso di misure di centrali-tà (mediana, moda) più indicate per distribuzioninon parametriche (cfr. Berzi 1997, Ciucci & Boita-ni 1998b). Tuttavia, nella fase di accertamento ri-siedono altri problemi: il mancato ritrovamento dialcuni capi predati, solitamente inclusi tra quellidispersi, può infatti determinare una sottostimadel numero medio di capi uccisi per attacco. Op-pure, errori in senso opposto (sovrastima) possonoessere causati da alcuni vizi di campionamentoqualora le informazioni vengano raccolte tramite lacompilazione di documenti ufficiali (verbali o deli-bere di liquidazione); ad esempio, la tendenza degliallevatori a non segnalare eventi di predazione dilieve entità (1-2 capi al massimo), e il possibile ac-corpamento due o più eventi distinti di predazionenelle delibere di liquidazione.

- Modalità di attacco e consumo della predaLe modalità di attacco e consumo della preda pos-sono essere esaminate direttamente sul campo daun operatore specializzato (ad esempio, Tropini2001, questo volume, Angelucci et al. questo volu-me), e analizzate su larga scala tramite questiona-ri compilati dai veterinari o altro personale addet-to all’accertamento (ad esempio, Boitani et al.1998). Nel primo caso è chiaramente assicuratauna procedura di verifica più accurata e standar-dizzata, ma entrambi gli approcci soffrono del fattoche le carcasse vengono raramente esaminateentro 24 ore dall’evento di predazione (Boitani &Ciucci 1996, Cozza et al. 1996, Berzi 1997, Boita-ni et al. 1998, Tropini, 2001). Il potenziale consu-mo da parte degli stessi o altri predatori e, spe-cialmente nei mesi estivi, la decomposizione stes-sa della carcassa, rendono difficili valutazioni aposteriori. Rimane inoltre il dubbio spesso irrisol-to di attribuzione della predazione al Lupo o alcane, con il rischio, in assenza di riprove speri-

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mentali affidabili, di una circolarità di indagine segli elementi diagnostici sono basati essenzialmen-te sui segni lasciati sulla preda (vedi sotto). Dalle analisi ad oggi effettuate si rilevano comun-que livelli di consumo medio-bassi delle prede do-mestiche ed una elevata selettività per determina-ti organi e parti della preda (Brangi 1995, Berzi1997, Boitani et al. 1998, Tropini 2001). Ciò puòessere dovuto ai rischi associati ad una ulteriorefrequentazione del sito di predazione, alla rimozio-ne della carcassa dopo la fase di accertamento, op-pure all’accessibilità immediata di altre prede do-mestiche. Livelli di consumo differenziali di pecoree capre nelle Alpi occidentali sono stati messi inrelazione a differenti regimi di guardiania: lecapre, le cui carcasse vengono consumate mag-giormente, sono tenute allo stato brado e in as-senza di guardiania costante (Marucco 2001). Nelcaso della Lince, il consumo delle pecore predate èinversamente correlato alla ricorrenza degli attac-chi nella zona e al numero di capi uccisi per at-tacco (Stahl et al. 2001). D’altra parte, informazio-ni di carattere radio-telemetrico in via d’acquisi-zione nel Parco Nazionale del Pollino indicanocome nel caso di grosse prede (bovini, equini) i lupiritornino sulle stesse carcasse anche a distanza disettimane nel caso queste rimangano disponibili(P. Ciucci dati non pubbl.). Sebbene nel caso delleprede selvatiche il consumo delle carcasse sembriessere maggiore rispetto alle prede domestiche(Ciucci 1994, Boitani & Ciucci 1996, Marucco2001), nessuno studio ha ad oggi comparato i ri-spettivi livelli di consumo in contesti ecologici e ge-stionali differenti.

StagionalitàLa predazione sul bestiame domestico si intensifi-ca nei mesi in cui gli animali, o le classi d’età piùvulnerabili, sono presenti nelle aree di pascolo; mafattori di varia natura possono contribuire allamarcata stagionalità di predazione osservata (Bog-gess et al. 1978, Shaefer et al. 1981, Mech et al.1988, Fritts et al. 1992, Cozza et al. 1996, Ciucci& Boitani 1998b). Differenze nette si rilevano nelladinamica stagionale della predazione a carico dellevarie categorie di bestiame d’allevamento. I dannialle pecore avvengono prevalentemente nei mesiestivi, con punte stagionali particolarmente pro-nunciate in tarda estate. Dipendentemente dallazona e dall’altitudine, il picco estivo nelle preda-zioni a carico delle pecore si rileva generalmentetra i mesi di agosto e ottobre (Brangi 1995, Boita-ni et al. 1998, Meriggi et al. 1998, Ciucci & Boita-ni 1998b, Tropini 2001, questo volume, Angelucciet al. questo volume, Reggioni et al. questo volume).Rispondendo ovviamente alla presenza degli ar-menti al pascolo, è stato anche ipotizzato che lastagionalità osservata sia da mettere in relazionead un accresciuto fabbisogno energetico dei bran-chi di Lupo nei mesi estivi per la produzione e lacrescita dei cuccioli; allo sviluppo delle capacitàmotorie e dei moduli predatori dei cuccioli di 16-18 settimane di età; alla eventuale sovrapposizio-ne spaziale tra le aree di allevamento dei cuccioli

(rendez-vous) e le zone di pascolo (Ciucci 1994,Ciucci & Boitani 1998b, Tropini 2001). Anche altrifattori possono concorrere ad aumentare i rischi dipredazione con il progredire dei mesi estivi: adesempio, la ridotta accessibilità dei piccoli delleprede selvatiche, la riduzione della lunghezza dellegiornate; il progressivo peggioramento delle condi-zioni meteorologiche. La dinamica stagionale deglieventi predatori sulle pecore è stata confrontata inToscana su scala provinciale tra zone di pianura,dove le greggi sono mantenute sui pascoli tuttol’anno, e zone di montagna, dove si osserva unaspiccata stagionalità nella monticazione (Ciucci &Boitani 1998b): sebbene nelle aziende di pianuragli eventi di predazione si osservino durante tuttol’anno, i mesi in cui il rischio di predazione è piùelevato coincidono con quanto riportato nelle zonedi montagna, confermando il probabile ruolo deifattori sopra elencati. Nella stessa indagine, il nu-mero medio di capi uccisi per attacco non mostravariazioni significative tra i mesi dell’anno, impu-tando quindi l’aumento del conflitto nel periodoestivo essenzialmente ad un’accresciuta frequenzadegli attacchi (Boitani & Ciucci 1996).Per i bovini e gli equini il rischio di predazione èmassimo nei mesi di maggio–giugno, ma cala rapi-damente nei mesi successivi (Fritts et al. 1992,Cozza et al. 1996). A differenza delle pecore, neibovini e negli equini la predazione è rivolta essen-zialmente, ma non esclusivamente, ai giovani nelleprime settimane di vita (Fritts et al. 1992, 2003).Per questo motivo il conflitto si intensifica tra imesi di aprile e giugno, quando vitelli e puledri dipoche settimane sono facilmente accessibili ai pre-datori sui terreni di pascolo (Fico et al. 1993,Brangi 1995, Cozza et al. 1996, Boitani et al.1998). Laddove i bovini sono mantenuti allo statobrado tutto l’anno, e i parti si protraggono benoltre i mesi estivi, i casi di predazione sui bovinipossono perdurare anche per tutta la stagione in-vernale (Cozza et al. 1996, Boitani et al. 1998, Ve-rucci 2002, Gatto et al. questo volume). Oltre a risentire di fattori gestionali, le fluttuazio-ni stagionali del conflitto possono essere determi-nate da variazioni ecologiche (Mech et al. 1998,vedi sotto) o da effetti climatici; ad esempio, unoscioglimento delle nevi anticipato, o un autunnoparticolarmente mite, facilitando stagioni di pa-scolo più estese, corrispondono ad una maggioreesposizione ai predatori delle classi d’età più vul-nerabili.

Dispersione del conflittoA diverse scale d’indagine (nazionale, regionale,comunale), il conflitto tra Lupo e zootecnia non siosserva sull’intero territorio in maniera omogeneama ricorre in alcune zone particolarmente critiche(focolai a conflitto cronico o hot spots). La distri-buzione dei branchi sul territorio e la localizzazio-ne di quelle aziende zootecniche che, in base allacaratteristiche ambientali e gestionali, appaionoparticolarmente vulnerabili alla predazione sono ledue variabili che più influenzano la dispersione deidanni sul territorio. Zone critiche, ad esempio,

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sono i territori recentemente interessati dalla rico-lonizzazione del Lupo e dove le tecniche modernedi allevamento non garantiscono una efficace dife-sa del bestiame (Boitani & Ciucci 1996); le zonecon scarsa disponibilità di prede selvatiche maelevata accessibilità al bestiame domestico (Boita-ni et al. 1998, Gatto et al. questo volume); o le areemarginali della distribuzione del Lupo, dove laspecie tende ad espandersi in contesti prevalente-mente agricoli e antropizzati (Ciucci et al. 2001). Specialmente nel caso di popolazioni di Lupo infase di espansione, il monitoraggio della distribu-zione del conflitto sul territorio fornisce importan-ti informazioni. In Minnesota, ad esempio, l’incre-mento nel numero di lupi di oltre il 37% tra il 1979ed il 1990 ha comportato un’espansione geografi-ca del conflitto del 52% su scala statale e un avan-zamento del centro geometrico dei singoli eventipredatori di circa 40 km all’interno di zone più an-tropizzate (Fritts et al. 1992). Particolare impor-tanza assume il monitoraggio della effettiva so-vrapposizione tra areale del Lupo e zone a vocazio-ne zootecnica, ovvero la proporzione dell’area disovrapposizione in cui effettivamente si verificanoi casi di predazione. Nel Giura francese, ad esem-pio, il 33 – 69% delle predazioni della Lince sullepecore interessa annualmente lo 0,3 – 4,5% dell’a-rea dedicata alla produzione di pecore in cui laLince è stabile (Stahl et al. 2001), informazioneche mette in luce fattori che localmente predi-spongono al conflitto e la loro localizzazione sulterritorio. Questo tipo di dati è carente nel conte-sto italiano, rendendo difficile una valutazione del-l’andamento temporale e geografico del fenomenosu larga scala. Del resto, anche laddove il Lupo èpresente stabilmente e con nuclei riproduttivi, ilconflitto con la zootecnia può comunque essere dinatura rara e occasionale (Ciucci 1994, Berzi1997). Informazioni di natura radiotelemetricahanno evidenziato che, nonostante l’elevato gradodi sovrapposizione spaziale tra territori dei lupi earee di pascolo, le interazioni tra Lupo e bestiamed’allevamento sono infrequenti (Fritts 1982, Fritts

et al. 1992, Oakleaf et al. 2003). Il rischio di pre-dazione può essere stimato su larga scala in basea modelli spaziali; questi considerano variabiliquali: la localizzazione delle popolazioni di Luposorgente; la probabilità di dispersione del Lupo sulterritorio; l’idoneità ambientale per la specie; ladistribuzione e la conformazione delle aree a de-stinazione zootecnica; la dimensione, tipo di alle-vamento e altre caratteristiche delle aziende zoo-tecniche (Boitani & Ciucci 1996, Dupré 1996, Tre-ves et al. 2004). In Italia, la dispersione eterogenea del conflitto sulterritorio è stata confermata a livello nazionale(Ciucci et al. 1997), regionale (Fico et al. 1993,Boitani & Ciucci 1996) e comunale (Boitani &Ciucci 1996, Berzi 1997, Meriggi et al. 1998, Tro-pini 2001, Verucci 2002), nonché all’interno di al-cune aree protette (Boitani et al. 1998, Ciucci1999, Verucci 2002, Gatto et al. questo volume). InAbruzzo, ad esempio, la provincia dell’Aquila ha ri-portato oltre l’82% delle predazioni regionali se-gnalate tra il 1980 e il 1988 (Fico et al. 1993). InToscana, le province di Siena e Grosseto hannoassorbito il 54% dei fondi d’indennizzo regionalielargiti tra il 1991 e il 1995 (Boitani & Ciucci1996), rispecchiando gli effetti della recente ricolo-nizzazione del Lupo in zone dove la zootecnia nonutilizzava tecniche preventive efficaci (Ciucci &Boitani 1998a). Anche su scala comunale livelliconsistenti di conflitto si rilevano limitatamente adalcuni zone. In Toscana, ad esempio, il 27% dei co-muni regionali hanno segnalato 1 – 42 repliche diattacco tra il 1992 ed il 1995, ma l’8% dei comuniinteressati ha subito fino a 20 repliche, corrispon-dendo al 32% degli eventi di predazione accertatisu scala regionale (Boitani & Ciucci 1996). Unadispersione del conflitto simile è stata riscontratain altre zone dell’Appennino settentrionale (Berzi1997, Meriggi et al. 1998), centrale (Ciucci 1999) emeridionale (Boitani et al. 1998, Gatto et al. que-sto volume), dove mediamente in meno del 40% deicomuni colpiti si registra almeno il 75% degli even-ti di predazione e il 76% dei costi d’indennizzo

Parco ComuniConflitto elevato a

____________________________________________________________

Nazionale Anno colpiti r b n. comuni % comuni % eventi % capi % indennizzi_____________________________________________________________________________________________________________

Maiella 1997 10 0,82 4 40% 83% 57% 76%

Gran Sasso-Laga 1997 15 0,99 3 20% 78% 78% 78%1998 22 0,94 6 27% 81% 82% 83%

Sibillini 1997 17 n.s. 6 35% 75% 63% 81%1998 18 0,7 6 33% 88% 91% 90%

a: definito arbitrariamente corrispondere a >75% dei costi d'indennizzo per tutto il parcob: correlazione tra il numero degli eventi predatori e il numero totale dei capi predati per singolo territorio comunale

Tabella 4. – Distribuzione a livello comunale degli eventi predatori a carico del bestiame domestico, e deicorrispondenti capi predati e costi d’indennizzo, in tre parchi nazionali dell’Italia centrale. Dati desunti dalledocumentazioni ufficiali (verbali di accertamento, delibere di liquidazione) presso gli Enti Parco (modificata daCiucci 1999)

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(Tab. 4). La conflittualità cronica rilevata in alcuniterritori comunali sembra rispondere alla frequen-za con cui si verificano gli attacchi al bestiame(Tab. 4). Nel Parco Nazionale del Cilento, una ri-dotta proporzione (5%) dei comuni colpiti corri-sponde ad una quota elevata (60%) dei costi d’in-dennizzo elargiti dall’Ente Parco; qui, l’elevata con-flittualità sembra dipendere dagli estesi alpeggiestivi caratterizzati da bassa densità antropica,scarso controllo del bestiame e presenza stabiledel Lupo (Boitani et al. 1998). Alcune indagini mettono in luce una debole corre-lazione a livello comunale tra il conflitto (costi,eventi, capi predati) e la densità sul territorio delleaziende zootecniche e/o dei capi (Boitani & Ciucci1996, Boitani et al. 1998); altri fattori potenzial-mente critici entrano qui in gioco (tecniche di ge-stione e guardiania degli armenti, presenza e den-sità dei cani vaganti, tipo di bestiame domestico,

caratteristiche ambientali, risoluzione spaziale deidati, etc.). Solo una risoluzione di scala maggiorepuò evidenziare i fattori che realmente determina-no frequenza e distribuzione degli eventi predato-ri. Nelle Alpi Marittime, ad esempio, gli eventi dipredazione sembrano essere limitati alle valli conpresenza stabile del predatore e, all’interno di que-ste, alle aziende localizzate in prossimità di siti diallevamento dei cuccioli (Marucco 2001, Tropini2001). Attraverso il monitoraggio delle popolazionidi Lupo e di cani vaganti, inoltre, è possibile evi-denziare distretti in cui sono più frequenti le pre-dazioni dovute ai cani (Tropini questo volume).

Ricorrenza degli attacchi predatori per aziendaLa dispersione eterogenea del conflitto si rilevaanche, se non soprattutto, a livello delle singoleaziende (Fico et al. 1993, Boitani & Ciucci 1996,Cozza et al. 1996, Berzi 1997, Boitani et al. 1998)

Figura 2. – Distribuzione, in base alla ricorrenza di attacco, delle 130 aziende zootecniche nel Parco Nazionaledel Cilento interessate dagli eventi di predazione a carico del bestiame domestico. Le aziende con un solo even-to di predazione rappresentano il 53,1% delle aziende colpite e corrispondono al 26% degli eventi di predazione;le aziende croniche (≥ 5 eventi di predazione) corrispondono all’8% delle aziende colpite ed al 25% degli eventidi predazione. (Dati desunti da 269 verbali di accertamento, Ente Parco Nazionale Cilento-Vallo di Diano, 1995-98; modificata da Boitani et al. 1998).

Figura 3. – Distribuzione, in base alla ricorrenza di attacco, delle 94 aziende zootecniche Parco Nazionale del Ci-lento interessate dagli eventi di predazione a carico dei bovini, e distribuzione dei corrispondenti capi predati(n=236). Il numero di bovini predati nella aziende croniche (≥5 attacchi/azienda) è proporzionalmente maggiorerispetto alle altre (G-test, p<0.001) e corrisponde al 25% degli eventi di predazione (Parco Nazionale del Cilento– Vallo di Diano, come da 196 verbali di accertamento, 1995-98; modificata da Boitani et al. 1998).

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dove, anche in questo caso, la frequenza deglieventi predatori per singola azienda non è di tipogaussiano. Un numero piuttosto limitato di azien-de soffre di predazione ricorrente, ma la maggiorparte di esse riporta attacchi rari e occasionali(Figg. 2 e 3) (Boggess et al. 1978, Sterner & Shu-make 1978, Bjorge & Gunson 1985, Fritts et al.1992). Nelle aziende colpite da predazione ricor-rente il conflitto viene solitamente definito ‘croni-co’ (Fritts 1982, Fritts et al. 1992, Fico et al. 1993,Ciucci & Boitani 1998b) ed è spesso associato afattori condizionanti di natura gestionale, ecologi-ca o ambientale. La conoscenza di questi fattori è critica in un’otti-ca di risoluzione del fenomeno (Fritts et al. 1992,Mech et al. 1998, Stahl et al. 2001, Treves et al.2002). In diversi Stati del Nordamerica, nelle areecon livelli cronici di conflitto si procede alla rimo-zione dei lupi residenti (ad esempio, Bjorge & Gun-son 1985). Del resto, anche dopo gli interventi dirimozione la predazione al bestiame si riproponenell’arco di pochi mesi, sottolineando l’esistenza difattori di natura ambientale e gestionale che de-terminano condizioni locali di particolare vulnera-bilità (Bjorge & Gunson 1985, Fritts et al. 1992,Bradley 2004).Anche in Italia è stata rilevata cronicità del con-flitto a livello di poche aziende su scala locale (Ficoet al. 1993, Cozza et al. 1996, Boitani et al. 1998,Ciucci & Boitani 1998b). È tuttavia difficile pro-durre una sintesi di valenza generale poiché i cri-teri utilizzati per definire la cronicità del conflittosono diversi nei vari studi (ad esempio, da 2 a >8attacchi per azienda per anno o per periodo di stu-dio; Cozza et al. 1996, Boitani & Ciucci 1996,Berzi 1997, Boitani et al. 1998, Ciucci 1999); inquanto desunte dalle documentazioni ufficiali(verbali di accertamento, delibere di liquidazione),queste informazioni devono essere inoltre inter-pretate alla luce di possibili vizi di campionamen-

to. In Toscana, il 6% di 263 aziende colpite tra il1992 e il 1995 ha segnalato livelli cronici di con-flitto (5 – 28 ricorrenze di attacco) che corrispon-dono al 25% delle pecore predate su scala regio-nale (Ciucci & Boitani 1998b). Nel Mugello, leaziende con livelli elevati di conflitto (>5 segnala-zioni di attacco l’anno) sono state meno del 2% ditutte le aziende colpite (Berzi 1997). In provinciadell’Aquila tra il 1986 ed il 1992, livelli cronici diconflitto (>2 segnalazioni di predazione l’anno)hanno coinvolto il 4% degli allevatori e il 26% dellerichieste d’indennizzo (Cozza et al. 1996). NelParco Nazionale del Cilento, su 130 aziende chehanno segnalato casi di predazione tra il 1995 edil 1998, l’8% ha riportato livelli cronici di conflitto(≥5 attacchi nel periodo di analisi), corrisponden-do al 25% degli eventi di predazione segnalati perl’intero parco (Boitani et al. 1998). Infine, in treparchi nazionali del centro Italia (1997–98), il 2 –12% di tutte le aziende colpite ha riportato livellicronici di conflitto totalizzando fino al 46% deglieventi predatori, al 35% dei capi predati ed al 38%dei costi d’indennizzo (Tab. 5). Da un punto di vista gestionale, l’interpretazioneimmediata di questi dati risiede in una riduzioneattesa del 25 – 50% del conflitto qualora si inter-venisse preventivamente nelle poche aziende conlivelli cronici di perdite (Fico et al. 1993, Cozza etal. 1996, Ciucci & Boitani 1998b). D’altra parte, intutte le altre aziende in cui il conflitto si manifestacon frequenza sporadica e irregolare, la messa inopera su larga scala di sistemi di prevenzione ap-pare poco realizzabile; in queste condizioni, un’ef-ficace politica d’indennizzo sembra continuare arappresentare lo strumento gestionale più indica-to (Cozza et al. 1996, Ciucci & Boitani 1998b). Nelperiodo 1986-92, l’88% delle aziende colpite inprovincia de l’Aquila hanno segnalato al massimoun attacco l’anno (Cozza et al. 1996), e in tre par-chi nazionali dell’Italia centrale il 57 – 70% delle

5 attacchi/aziendab 1 attacco/aziendab__________________________ ___________________________

Anno aziende attacchi/ % % % % % % % %

colpite azienda r a aziende eventi capi indennizzi aziende eventi capi indennizzi____________________________________________________________________________________________________________

Maiella 1997 20 2-14 0,74 10% 46% 35% 36% 65% 27% 51% 41%

Gran Sasso-Laga 1997 97 2-17 0,69 12% 40% 32% 38% 57% 23% 33% 26%

1998 116 2-13 0,64 6% 26% 24% 25% 70% 38% 35% 35%

Sibillinic 1997 51 2-8 n.s. 2% 8% 9% 8% 57% 31% 22% 23%

1998 56 2-7 0,66 5% 18% 22% 12% 57% 30% 25% 28%

a: correlazione tra il numero degli eventi predatori e il numero totale di capi predati per singola aziendab: in colonna, percentuale delle aziende colpite, degli eventi predatori e dei capi predati segnalati ed accertati e dei costi d’indennizzo

liquidati per l’intero territorio del Parcoc: dati riferiti esclusivamente al versante umbro del parco

Tabella 5. – Ricorrenza degli eventi di predazione al bestiame domestico nelle aziende zootecniche in tre parchinazionali dell’Appennino centrale. Dati desunti dalle documentazioni ufficiali (verbali di accertamento, deliberedi liquidazione) presso gli Enti Parco nell’ambito del progetto LIFE97 NAT/IT/004141 (Ciucci 1999).

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aziende ha segnalato annualmente un solo caso dipredazione (Tab. 5).Anche a livello delle singole aziende, la cronicitàdel conflitto sembra essere determinata dall’eleva-ta ricorrenza di attacco (Boitani & Ciucci 1996).Dalle poche indagini condotte in tal senso, leaziende con conflitto cronico hanno segnalato finoa 17 attacchi/azienda/anno (Ciucci 1999), contempi medi di latenza tra attacchi successivi dai16 (Boitani & Ciucci 1996) ai 71 (Boitani et al.1998) giorni. Sebbene la scarsa guadiania del be-stiame domestico sia stata più volte messa in lucecome variabile critica nel facilitare elevati livelli diconflitto (Fico et al. 1993, Cozza et al. 1996, Berzi1997, Boitani & Ciucci 1998b, Tropini 2001), nes-suna indagine in Italia ha analizzato l’insieme difattori che rendono alcune aziende particolarmen-te vulnerabili (cfr. Mech et al. 1988, Stahl et al.2001, Treves et al. 2002).

Contesto ambientale e gestionaleAlcuni fattori ambientali e gestionali predispongo-no, a livello delle singole aziende, la predazione acarico del bestiame d’allevamento. Informazioniaffidabili in tal senso sono tuttavia scarse perchéle poche indagini specifiche si limitano a rilevareassociazioni (correlazioni) tra variabili e non consi-derano i rapporti causali tra esse. Dipendente-mente dal tipo di prede domestiche, le variabili piùspesso associate a livelli elevati di predazione in-cludono l’assenza di guardiania degli armenti alpascolo, l’elevata copertura boscosa ed arbustivadelle zone di pascolo, l’abbandono delle carcassesui terreni di pascolo, e parti asincroni, con unastagione prolungata e che avvengono in assenza dicontrollo e protezione (Fritts 1982, Fritts et al.1992, Oakleaf et al. 2003). Per le pecore, in parti-colare, le tecniche di allevamento (guardiania estabulazione, dimensioni del gregge, periodo e mo-dalità dei parti, trattamento delle carcasse, pre-senza di cani da conduzione e/o guardiania) e lecaratteristiche delle zone di pascolo (ampiezza,tipo e struttura della copertura vegetazionale, to-pografia, prossimità a corsi d’acqua, distanza dacentri antropici) sembrano essere correlati in variamisura con la frequenza di predazione (Robel et al.1981, Knowlton et al. 1999). Inoltre, alcune condi-zioni di pascolo (radure caratterizzate da fitta ve-getazione arborea ed arbustiva), oltre alle chiaredifficoltà di controllo e gestione del gregge, corri-spondono ad una elevata difficoltà di ritrovamentodi eventuali capi predati (Stahl et al. 2001). In Italia è stata evidenziata l’associazione tra pre-dazione sul bestiame domestico e l’ora del giorno,la copertura vegetazionale o le condizioni meteoro-logiche prevalenti (Cozza et al. 1996, Boitani et al.1998, Ciucci & Boitani 1998b, Tropini 2001),senza peraltro mettere in luce eventuali processiselettivi operati dal Lupo (cfr. Ciucci & Boitani1998a). Ad esempio, il pascolo brado è risultatoinequivocabilmente associato ad elevati livelli dipredazione (Bovini: Fico et al. 1993, Cozza et al.1996, Boitani et al. 1998; equini: Fico et al. 1993,Cozza et al. 1996; pecore: Boitani & Ciucci 1998b,

Tropini 2001). Il tipo di guardiania influenzaanche il numero medio di pecore predate e disper-se per attacco (Boitani & Ciucci 1996). Inoltre,mandrie e greggi di grandi dimensioni sembranoessere generalmente associate a rischi di predazio-ne più elevati (Cozza et al. 1996). D’altra parte, si-tuazioni locali di conflitto relativamente contenutesono state rilevate in presenza di una comunità diungulati selvatici diversificata e, soprattutto lad-dove vengono utilizzate tecniche di conduzione eguardiania adeguate (Berzi 1997). Nonostante l’inadeguatezza delle tecniche di alle-vamento in molte zone interessate dal conflitto conil Lupo, si è rilevata in questi anni un’inerzia nel-l’adozione di strategie preventive più funzionali, atestimonianza della complessità logistica, sociale,economica e culturale implicita in questo cambia-mento. Nei comuni della Toscana che soffrono dilivelli cronici di conflitto, oltre il 55% delle aziendezootecniche colpite non adottava sistemi di difesadai predatori (Boitani & Ciucci 1996). Nel ParcoNazionale del Cilento, oltre il 90% delle aziende aconduzione di bovini non prevede l’impiego di si-stemi di prevenzione nonostante i ripetuti dannida predazione (Boitani et al. 1998).

Contesto ecologico e comportamentaleAspetti di natura biologica ed ecologica possonoinfluenzare il conflitto tra Lupo e zootecnia: l’atti-tudine individuale dei lupi ad predare animali do-mestici; la fase del ciclo vitale e biologico del pre-datore; la struttura e la dinamica dei branchi suscala locale; la quantità e l’accessibilità di predealternative; la localizzazione dei territori dei bran-chi in relazione alle zone a vocazione zootecnica,etc. L’acquisizione di queste informazioni non puòprescindere da studi intensivi di campo, i qualisono però carenti, non solo nel contesto nazionale.Dalle poche applicazioni radiotelemetriche condot-te in Nordamerica, laddove sono presenti predeselvatiche il bestiame domestico sembra rappre-sentare una preda di secondaria importanza, uti-lizzata opportunisticamente in base alla frequenzad’incontro ed alla sua accessibilità (Oakleaf et al.2003). Anche laddove esiste un’elevata sovrapposi-zione tra i territori dei lupi e terreni di allevamen-to solo un numero limitato dei possibili contatticulmina in veri e propri attacchi (Fritts et al. 1992,Oakleaf et al. 2003, Bradley 2004). Dalle poche informazioni disponibili, la predispo-sizione dei lupi a predare il bestiame domesticonon sembra essere correlata al loro stato nutrizio-nale, e i lupi implicati risultano generalmente ineccellenti condizioni fisiche (Fritts et al. 1992);tanto meno tale predisposizione può essere messain relazione a situazioni di isolamento sociale, inquanto oltre il 90% degli eventi predatori in diver-se regioni del Nordamerica sono imputabili a lupiche vivono in branco e non ad individui solitari(Tompa 1983, Fritts et al. 1992, Bradley 2004).Inoltre, la tendenza degli individui adulti a preda-re animali domestici non sembra essere influenza-ta dal loro stato riproduttivo o sociale (Fritts et al.1992, Bradley 2004). Anche i cuccioli di Lupo,

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quando ne hanno l’opportunità, sono in grado dipredare le pecore già dai primi mesi autunnali, edè stato ipotizzato che cuccioli allevati in prossimi-tà di aziende o terreni di pascolo possono svilup-pare un’attitudine in tal senso e risultare partico-larmente inclini alla predazione dei domestici unavolta adulti (Fritts et al. 1992). Reazioni comporta-mentali ed ecologiche si hanno anche in seguito adinterventi gestionali. In Nordamerica, ad esempio,si è rilevato che a seguito degli interventi di rimo-zione, i lupi che sopravvivono possono emigrare,morire per denutrizione o mostrare un’accresciutadipendenza dal bestiame domestico (Bjorge &Gunson 1985, Bradley 2004). Nel caso di scom-parsa dei branchi locali, i vuoti territoriali che sipossono verificare come conseguenza delle opera-zioni di rimozione vengono spesso in breve ricolo-nizzati dai lupi delle zone adiacenti, specialmentein popolazioni ad elevata densità (Bjorge & Gun-son 1985, Fritts et al. 1992, Bradley 2004). Il contesto ecologico influenza natura ed entitàdelle interazioni con il bestiame domestico, dovel’abbondanza (accessibilità) delle prede selvatichesembra essere la variabile di maggior rilievo (Mechet al. 1998, Fritts et al. 1992, Meriggi & Lovari1996, Fritts et al. 2003, Peterson & Ciucci 2003).In Minnesota, la predazione del Lupo sugli anima-li domestici è risultata inversamente correlata allavulnerabilità primaverile dei piccoli di Cervo codabianca (Odoicoleus virginianus), a sua volta funzio-ne della severità climatica dei precedenti mesi in-vernali (Mech et al. 1998). La stessa tendenza èstata riscontrata nella predazione del Coyote(Canis latrans) sulle pecore (Knowlton et al. 1999).L’interpretazione gestionale vedrebbe quindi nellefluttuazioni di accessibilità e abbondanza delleprincipali prede selvatiche un utile elemento dipredizione del conflitto con la zootecnia (Mech etal. 1998). Tuttavia, è importante realizzare che talistudi analizzano brevi intervalli stagionali, o co-munque periodi di studio con durata tale da nonpoter contemplare eventuali risposte numerichedella popolazione di predatori a cambiamenti alungo termine nell’abbondanza delle prede selvati-che. Laddove un’accresciuta densità e/o accessi-bilità di prede selvatiche può essere associata nel-l’immediato ad un ridotto livello di conflitto, essacomporta nel medio e lungo periodo una rispostanumerica nella popolazione di predatori che a suavolta può determinare un incremento e un’espan-sione spaziale del conflitto. Uno studio di 6 annicondotto in Idaho sull’interazione tra Coyote e pe-core ha messo in relazione un aumento della pre-dazione sulle pecore con l’aumento della popola-zione di Coyote, a sua volta determinato da un in-cremento numerico della principale preda selvati-ca (Knowlton et al. 1999).

PROCEDURE DI VERIFICAIl sopralluogo finalizzato alla verifica e all’accerta-mento dei casi di predazione rappresenta un ele-mento critico per la quantificazione e caratterizza-zione del conflitto tra Lupo e zootecnia e, cometale, influenza profondamente la funzionalità delle

politiche d’indennizzo. Senza volere entrare in me-rito alle tecniche autoptiche, già trattate altrove(Roy & Dorrance 1976, Roberts 1986, Fico 1996,Angelucci et al. questo volume, Fico & Patumi, que-sto volume, Tropini questo volume), verranno dis-cussi in questa sezione alcuni aspetti le cui impli-cazioni sono particolarmente rilevanti: a) il ritrovamento delle prede uccise ai fini dell’in-dennizzo; b) il tempo trascorso tra evento predatorio e so-pralluogo di accertamento e tra verifica e liquida-zione dei casi accertati;c) la possibilità di distinzione tra attacchi di Lupoe di cane, problema particolarmente sentito nelcontesto italiano. Nonostante la prassi di verifica occupi un ruolopredominante ai fini della funzionalità delle politi-che d’indennizzo, si rileva a livello nazionale un’e-levata eterogeneità dei criteri e delle normativeadottate e la mancanza di un monitoraggio dellaloro applicazione (Ciucci & Boitani 1998a); conqualche recente eccezione (cfr. Angelucci et al.questo volume, Banti et al. questo volume, Gatto etal. questo volume, Tropini questo volume), ciò èvero anche a livello delle aree protette, parchi na-zionali inclusi (Genovesi 2002). In alcune aree pro-tette del Lazio, è stata recentemente segnalatal’assenza di specifiche procedure per la verifica el’accertamento dei danni (Verucci 2002). Altri au-tori hanno da tempo sottolineato come le verifichedei casi di predazione siano effettuate da persona-le delle più diverse estrazioni professionali ed affe-renti a varie Amministrazioni (Fico 1996, 2002).Da un’indagine condotta in provincia dell’Aquila,meno del 4% delle segnalazioni di predazione sonostate di fatto verificate da personale veterinario(Cozza et al. 1996). Mentre si auspica fortementeuna rinnovata volontà politica ed operativa per unapproccio più rigoroso e professionale al proble-ma, bisogna sottolineare che lo stato attuale inde-bolisce al tempo stesso portata e funzionalità dellepolitiche di mitigazione del conflitto e il tentativo dicaratterizzare il fenomeno su larga scala.

- Ritrovamento dei capi predatiVari autori hanno da tempo sottolineato comespesso sia difficile ritrovare sul campo tutti i capicoinvolti negli attacchi di predazione (Fritts 1982,Fritts et al. 1992, Oakleaf et al. 2003); difficoltàche aumentano sia con la complessità e l’inacces-sibilità orografica e vegetazionale delle aree di pa-scolo, sia con il progressivo consumo e deteriora-mento della carcassa, essenzialmente funzione deltempo intercorso tra predazione ed accertamento.In base ad uno studio sperimentale condotto subovini allo stato brado in Idaho, una sola carcas-sa viene ritrovata in media ogni 8 vitelli predati(Oakleaf et al. 2003), sebbene, in situazioni di pa-scolo più strettamente controllate (zone di pianu-ra, pascoli recintati), il tasso di ritrovamento siacomunque superiore (Bradley 2004). Studi con-dotti in Italia confermano questo problema essen-zialmente a carico delle pecore, e sottolineanocome ciò possa comportare una potenziale sotto-

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stima del reale impatto della predazione (Ciucci &Boitani 1998b, Tropini 2001). Una soluzione re-centemente adottata contempla quote d’indenniz-zo che prevedono un fattore di maggiorazione chetiene conto dei capi predati ma non ritrovati (Tre-ves et al. 2002, Oakleaf et al. 2003). Una seria dif-ficoltà in tal senso è rappresentata dalle mandriemantenute allo stato brado (ad esempio, Boitani etal. 1998, Gatto et al. questo volume), condizione incui è assolutamente arbitrario ascrivere i capimancanti unicamente alla predazione (Fritts 1982,Fritts et al. 1992).

- Tempi di verifica e di liquidazioneIl tempo intercorso tra predazione e accertamentodei casi segnalati rappresenta una variabile di im-portanza critica per la funzionalità delle procedu-re d’indennizzo. Tempi ridotti aumentano la pro-babilità di riconoscere il predatore coinvolto, tro-vare tutti i capi predati e distinguere tra mortalitàdovuta a predazione o altre cause (Fritts et al.1992, Treves et al. 2002, Oakleaf et al. 2003). Ilconsumo progressivo della carcassa, la sua utiliz-zazione da parte di animali necrofagi e il suo il de-terioramento, così come il successivo calpestiodella zona da parte del bestiame domestico impe-discono la raccolta di segni ed indicazioni utili alriscontro ed alla verifica definitiva. Il tempo di ac-certamento è quindi un utile descrittore della fun-zionalità della procedura di verifica, e un protocol-lo efficiente prevede che il sopralluogo di verificavenga solitamente effettuato entro 24 ore dallapredazione (Fritts et al. 1992). In provincia di Ge-nova, oltre il 60% dei casi segnalati di predazionesui bovini sono stati accertati solo alcuni giornidopo la visita di altri animali necrofagi tra cui cin-ghiali, volpi, cornacchie, rendendo difficoltosa lacertificazione delle cause di morte (Brangi 1995) eproblemi simili sono stati riscontrati in diversezone appenniniche (Ciucci 1994, Berzi 1997, Boi-tani et al. 1998). Nel Parco Nazionale del Cilento,dove il regolamento prevede che la segnalazionedelle predazioni sia fatta dall’allevatore entro 24ore dal riscontro, in base ad un campione di 188eventi di predazione il tempo medio (±D.S.) inter-corso tra un evento predatorio e la successiva ve-rifica è stato stimato essere di 6 ± 6 giorni (media-na: 3,5 giorni), variando da 24 ore a 32 giorni, conil 77% degli accertamenti effettuati dopo 48 ore(Boitani et al. 1998). D’altra parte, in provinciadell’Aquila, Cozza et al. (1996) riportano che il 92%delle segnalazioni sono state accertate entro 48ore, con proporzioni inferiori nel caso delle preda-zioni a carico di bovini e soprattutto di equini. Nel-l’ambito del programma di monitoraggio in provin-cia di Cuneo (Tropini 2001), il 16% delle segnala-zioni viene verificato entro 24 ore dalla data pre-sunta dell’attacco, e il 50% dal terzo giorno in poi,con un tempo medio di circa 5 giorni tra attacco everifica; questo include mediamente 2 giorni per lasegnalazione e <48 ore per l’accertamento, e partedelle difficoltà risiedono nella complessità di ritro-vare carcasse in territori particolarmente impervidal punto di vista topografico (Tropini 2001). L’at-

tivazione di un servizio apposito di verifica, e l’im-piego di un operatore esperto dedicato a tempopieno alla verifica dei casi segnalati, può esseredeterminante nel ridurre significativamente itempi di accertamento (cfr. Angelucci et al. questovolume, Tropini questo volume). Le normative d’in-dennizzo dovrebbero imporre tempi limitati per lasegnalazione e la verifica dei casi di predazione,onde evitare situazioni paradossali in cui la prassidi accertamento perde qualsiasi significato gestio-nale e di controllo (cfr. L.R. 33/96 del Lazio; Ciuc-ci & Boitani 1998a). Altra importante misura di efficacia della politicadi mitigazione è il tempo mediamente impiegatodalle Autorità competenti per liquidare il dannosubito (Treves et al. 2002, Fritts et al. 2003, Nyhuset al. 2003, Naughton-Treves et al. 2003). Se l’at-tesa da parte dell’allevatore è eccessiva, non solo iprogrammi d’indennizzo perdono la loro funzioneoriginaria, ma si rischia un accumulo dei costi taleda scoraggiarne l’ulteriore finanziamento (Ciucci &Boitani 1998a). Situazioni simili si sono verificateper la Regione Basilicata e, più recentemente, peril Lazio (Verucci 2002) e la Calabria (P. Serroni,com. pers.). Nell’ambito di un programma di com-pensazione di recente applicazione in Winsconsin,l’indennizzo avviene mediamente in 80 giorni dallasegnalazione (Treves et al. 2002). Poche sono delresto le informazioni al riguardo disponibili per l’I-talia. Nel Mugello (1990-1996), data la complessi-tà della procedura di compensazione e la lentezzacon cui vengono liquidate le pratiche, molti alleva-tori non richiedono rimborsi nel caso sia coinvoltoun numero limitato di animali (Berzi 1997). Sem-pre in Toscana, da un’indagine realizzata compi-lando le delibere di liquidazione dal 1991 al 1995,i giorni trascorsi tra segnalazione del danno e datadella delibera di liquidazione sono variati da unminimo 6 (provincia di Arezzo, 1995) ad un massi-mo di 127 (provincia di Siena, 1991), con un’ele-vata variabilità anche all’interno delle singole Pro-vince; l’introduzione di una normativa (L.R.72/94) che ha imposto limiti temporali nelle pro-cedure di liquidazione ha determinato tempi inmedia ridotti rispetto alla normativa precedente(Boitani & Ciucci 1996, Banti et al. questo volume).

- Distinzione tra predazione da Lupo e da caneConsiderando le modifiche sostanziali che, trami-te selezione artificiale, hanno alterato nel cane do-mestico il grado di maturazione ontogenetica e l’e-spressione dei moduli comportamentali originaridel Lupo (Coppinger & Coppinger 2001), è più chelecito attendersi che modalità di attacco, uccisionee consumo della preda siano differenti nei due ca-nidi (cfr. Angelucci et al. questo volume, Fico & Pa-tumi questo volume). In base a questo modello, sa-rebbe quindi possibile risalire al predatore respon-sabile dell’attacco interpretando, secondo proce-dure necroscopiche standardizzate ed affidabili, leferite inferte sulla preda qualora queste siano rile-vabili al momento della verifica (Fico 1996, Fico &Patumi questo volume, Angelucci et al. questo vo-lume, Tropini questo volume). Tuttavia, l’applica-

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zione di questo modello generale in un contestooperativo di gestione è piuttosto controversa, ri-spondendo a problemi di carattere teorico, speri-mentale ed operativo. Innanzitutto, considerandol’enorme variabilità delle razze canine, esistono traesse profonde differenze non solo morfologichema, specificamente, nell’attitudine e nel grado dimanifestazione dei patterns motori della predazio-ne (inseguimento, attacco, uccisione) (Scott & Ful-ler 1965, Coppinger & Schneider 1995; Willis1995); differenze che si traducono in propensione,motivazioni e tecniche di attacco molto variabilitra le razze. Inoltre, al pari di altri predatori, nelLupo le tecniche di predazione vengono rafforzateed affinate tramite simulazione, e si perfezionanoa livello individuale con l’esperienza (Packard2003). Poiché ciò avviene anche nel cane domesti-co (Thorne 1995), è lecito attendersi che, oltre cheper la predisposizione genetica di una determina-ta razza, l’espressione dei pattern motori tipicidella predazione (incluse le tecniche di presa e uc-cisione della preda) possa variare nel cane anchesu base individuale e che, dipendentemente dalcontesto ecologico in cui il cane si trova, possa af-finarsi nel corso dello sviluppo ontogenetico. Lad-dove esistono condizioni ecologiche e gestionaliparticolari, il cane può tornare infatti a predare ef-ficacemente, e non occasionalmente o per gioco,una varietà di prede selvatiche e domestiche(Scott & Causey 1973, Olson 1974, Nesbitt 1975,Gipson & Sealander 1977, Lowry & MacArthur1978, Causey & Cude 1980, Barnett & Rudd1983). Questo problema può essere rilevante specialmen-te laddove diverse forme di cane vagante sono per-sistenti sul territorio ed hanno accesso a predeselvatiche e/o domestiche: in queste condizioni,cani particolarmente avvezzi alla predazione permotivi genetici e/o ontogenetici possono affinaretecniche di attacco particolarmente funzionali erendere quindi difficile una distinzione a posterio-ri basata sull’esame delle ferite inferte alla preda.A complicare ulteriormente il quadro, gli eventipredatori a cui partecipano i cuccioli di Lupo neiprimi mesi autunnali sono caratterizzati da feriteinferte alla preda variabili in dimensione, tipo e lo-calizzazione (Marucco 2001, Angelucci et al. que-sto volume, Tropini questo volume). Un problema analogo si è posto storicamente inNordamerica per la verifica delle predazioni di re-sponsabilità del Coyote rispetto a quelle dei cani(ad esempio, Roy & Dorrance 1976, Boggess et al.1978, Schaefer et al. 1981, Bjorge & Gunson1985) e, più recentemente, nella distinzione trapredazioni di Lupo, cane e ibridi tra i due (Treveset al. 2002). La distinzione tra cane e Coyote vienefatta in Nordamerica sulla base di indicazioniquali le ferite da morso sulla preda, i corrispon-denti focolai emorragici sottocutanei, le modalità ela quantità di consumo, l’eventuale trascinamentodella carcassa e, a supporto di queste indicazioni,eventuali altri segni di presenza del predatore (im-pronte, escrementi, peli) (Roy & Dorrance 1976,Bjorge & Gunson 1985, Roberts 1986, Treves et al.

2002). Gli stessi criteri sono ripresi, secondo variemodalità, da alcuni autori anche in Italia per di-stinguere tra attacchi di Lupo e di cane (ad esem-pio, Fico 1996, Molinari et al. 2000, Tropini, 2001,questo volume, Angelucci et al. questo volume, Fico& Patumi, questo volume). Del resto, è stato rico-nosciuto come questi criteri possano risultare nonsempre affidabili (Shaefer et al. 1981, Fritts et al.1992, Treves et al. 2002) e, in alcuni studi a lungotermine, è emersa la tendenza ad imputare erro-neamente al Coyote predazioni in realtà ad operadi cani (Denney 1974, Boggess et al. 1978, Schae-fer et al. 1981). Alcuni di questi studi, inoltre, fa-cendo riferimento al lavoro originale di Roy & Dor-rance (1976), ‘assumono’ che i criteri adottati nelladistinzione dei predatori e delle cause di mortesiano affidabili (ad esempio, Schaefer et al. 1981).Le difficoltà di distinzione possono aumentare altrascorrere del tempo che intercorre tra predazio-ne e sopralluogo di verifica (Fritts et al. 1992) e neicasi in cui sono coinvolti cani domestici (Boggesset al. 1978, Shaefer et al. 1981, Bjorge & Gunson1985) o ibridi cane x Lupo (Treves et al. 2002). Vainoltre sottolineato che i segni di presenza sulluogo della predazione, anche se diagnosticati cor-rettamente (ad esempio, tramite l’impiego di tecni-che di genetica molecolare), non implicano neces-sariamente la responsabilità dell’attacco da partedel predatore, il quale potrebbe aver frequentato lazona successivamente perché attirato dalla car-cassa (Fritts et al. 1992, Fico & Patumi questo vo-lume). Alla luce di queste difficoltà, alcune statisti-che sul conflitto includono proporzioni ignote dieventi predatori in realtà imputabili a cani dome-stici o ibridi (Boggess et al. 1978, Fritts et al. 1992,Fico et al. 1993, Treves et al. 2002). In Italia, oltre alla scarsa applicazione di protocol-li di verifica standardizzati (Fico 1996), la situazio-ne è resa ancora più complessa dalle condizioni dicompresenza del Lupo con alte densità di cani va-ganti nel contesto rurale (Boitani & Fabbri 1983,Ciucci & Boitani 1998a). In queste condizioni, l’a-dozione dei criteri adottati in Nordamerica (Roy &Dorrance 1976) appare ulteriormente indebolitadalla maggiore densità di cani vaganti sul territo-rio, dal diverso contesto ecologico e gestionale,dalle diverse categorie di animali domestici inte-ressati dal fenomeno. La grande variabilità di casi-stiche, la carenza di riprove sperimentali robusteed esportabili su larga scala e problemi legati allaprocedura di verifica (tempi necessari per il so-pralluogo, tecniche di verifica, esperienza e profes-sionalità dell’operatore, etc.) rendono a nostro av-viso i criteri suddetti poco affidabili (Boitani &Ciucci 1996, Ciucci & Boitani 1998a). L’impiego ditali criteri, e ancor di più quindi una normativad’indennizzo che prevede iter differenziali per lepredazioni di responsabilità di cane o di Lupo, do-vrebbero quindi potersi basare su riprove speri-mentali solide, ripetute ed esportabili alla varietàdi contesti ecologici e gestionali tipici dell’arealedel Lupo in Italia; studi di questo tipo sono delresto estremamente limitati in Italia e circoscritti asituazioni particolari (cfr. Fico & Patumi questo vo-

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lume) e, sebbene rappresentino una valida linead’indagine, necessitano ancora di repliche e ripro-ve sperimentali. Esiste inoltre il rischio di una cir-colarità di indagine se tali riprove non vengono ef-fettuate in un contesto sperimentale controllato:in natura, durante i regolari sopralluoghi di verifi-ca degli eventi predatori, gli elementi che si assu-me abbiano valore diagnostico al momento delladistinzione iniziale (profondità, tipo e localizzazio-ne delle ferite, etc.; ad esempio, Angelucci et al.questo volume, Tropini questo volume) non posso-no poi essere utilizzati come diagnostici o descrit-tori di pattern differenziali di attacco e presa dellapreda tra Lupo e cane. Affinché questi criteri sianoverificati in maniera convincente, è necessario uncontesto sperimentale in cui predazioni di respon-sabilità nota (Lupo o cane) siano fatte esaminareda un osservatore indipendente, analogamente adun test di valutazione ‘cieco’ (blind test), o da dueo più osservatori indipendenti, nell’ottica di unaprova di concordanza. Inoltre, le condizioni in cuitali prove vengono realizzate devono tenere contodella variabilità genetica e individuale del cane edessere rappresentative del contesto ambientale incui il Lupo vive (razza e attitudine dei cani vagan-ti, categorie di bestiame domestico, fonti trofichealternative, etc.). Dal momento che ciò risultapiuttosto complesso, ed alla luce delle altre diffi-coltà che si incontrano in fase di accertamento(vedi sopra), alcuni autori, al fine di rendere piùfunzionale l’applicazione della normativa d’inden-nizzo, optano per un’attribuzione probabilisticadel predatore (Lupo o cane) secondo classi di affi-dabilità che sono definite in base a numero, tipo equalità delle indicazioni riscontrate in fase di veri-fica (Stahl et al. 2001, Tropini 2001, Treves et al.2002); nei programmi d’indennizzo corrispondenti,solo gli eventi accertati e classificati secondo ran-ghi di affidabilità superiori sono riconosciuti ai finidell’indennizzo (Stahl et al. 2001, Treves et al.2002). D’altronde, in Italia diverse leggi regionali per l’in-dennizzo dei danni da predatori prevedono la di-stinzione tra predazione da cane e da Lupo (Ciuc-ci & Boitani 1998a). Sebbene tale distinzione siadal punto di vista gestionale e di conservazioneteoricamente più che appropriata, alla luce delledifficoltà operative sopra menzionate essa nonsembra al momento possibile (Boitani & Ciucci1996, Berzi 1997, Ciucci & Boitani 1998a), o co-munque rilevabile oltre le 24 ore dal decesso (Fico1996). A dimostrazione delle difficoltà intrinseche,su 577 casi di predazione sulle pecore accertati inToscana dai veterinari delle A.S.L., in menodell’8% era stata fatta distinzione tra Lupo e cane,e nel 24% non era stato specificato il predatore co-involto (Boitani & Ciucci 1996). In provincia diSiena, il cane era stato riconosciuto come preda-tore responsabile nel 64% delle segnalazioni fattea partire dal 1992 (n=47); in seguito alla cattura didue lupi effettuata nel 1993 a scopo di studio ra-diotelemetrico, e che ha comprovato ufficialmentela presenza della specie nella zona, la proporzionedelle predazioni da cane è calata al 2,5% mentre

quella accreditata al Lupo è salita al 74% (Boitani& Ciucci 1996). Non è possibile concludere se que-sti dati indicano effettivamente l’impossibilità didistinguere predazioni da cane o da Lupo in baseai criteri vigenti, oppure se rispecchiano essenzial-mente la mancata applicazione di protocolli di ac-certamento validi e affidabili, o entrambi questifattori. Mentre è fondamentale un’adeguata prepa-razione professionale di chi effettua gli accerta-menti, è altresì necessario stimolare ricerche spe-rimentali che supportino l’impiego di criteri dia-gnostici oggettivi e la loro funzionalità in una ete-rogeneità di contesti ambientali e gestionali. Un’alternativa potrebbe essere quella esemplifica-ta dalla L.R. 72/94 della Regione Toscana in cuinon viene richiesta, ai fini dell’indennizzo, la di-stinzione tra Lupo e cane all’atto della verifica. So-luzione questa, che rispondendo alle difficoltà tec-niche di attribuzione, riconosce inoltre che i canivaganti, di fatto anch’essi protetti (cfr. L.N.281/91), rappresentano comunque una minacciaper gli allevatori. In questa prospettiva, è del restoovvio che la funzionalità di una tale politica d’in-dennizzo è strettamente dipendente da un conti-nuo ed efficace controllo del randagismo canino intutte le sue forme, e dall’applicazione puntuale diprotocolli di verifica standardizzati in grado di di-scernere tra predazione dei capi e altre cause dimortalità (Fico 1996).

STRUMENTI E TECNICHE DI PREVENZIONEUna strategia di riduzione del conflitto si dovrebbearticolare su tre livelli essenziali: la prevenzione, lamitigazione ed il controllo (vedi Introduzione). Inquesta sezione si riassumono e discutono alcuniaspetti limitatamente alla prevenzione, che sonovalidi anche nel caso di controllo con mezzi non le-tali (per la mitigazione vedi § Costi d’indennizzo).Diversi sono gli strumenti, i metodi e le tecnicheche possono essere adottate per prevenire le pre-dazioni a carico del bestiame d’allevamento, ma levarie esperienze condotte a livello nazionale nonsono state ad oggi valorizzate in una prospettiva diconservazione; manca, allo stesso tempo, un loroinquadramento in un contesto formale di ricerca emonitoraggio atto a valutare la loro reale efficacia(ad esempio, Linhart et al. 1984, Fritts et al. 1992,Bomford & O’Brien 1990, Knowlton et al. 1999,Smith et al. 2000, Shivik et al. 2003). In mancan-za di motivazioni specifiche, anche esperienze va-lide a livello locale riescono raramente a contribui-re ad una maggiore comprensione della funziona-lità dei metodi di prevenzione e delle condizioni ot-timali d’impiego. In base al principio di funzionamento, gli stru-menti di prevenzione si possono distinguere in duecategorie: strutture che interpongono una barrierafisica tra il bestiame e predatori (reti metalliche oelettriche, fladry), e accorgimenti che interferisco-no con la sequenzialità dei pattern predatori (sire-ne, luci intermittenti e stroboscopiche, cani o altrianimali da guardiania). Altri sistemi includono ilcondizionamento negativo organolettico e l’altera-zione delle potenzialità riproduttive dei predatori.

P. Ciucci e L. Boitani

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Raramente gli strumenti preventivi sono stati va-lutati in termini di funzionalità e rapportocosti/benefici e, sebbene alcuni possano risultarefunzionali in determinati contesti, non sempreproducono gli stessi in tutte le condizioni applica-tive (Fritts et al. 1992, Knowlton et al. 1999). Tut-tavia, l’adozione degli strumenti preventivi risultacomunque positiva in un contesto sociale, inquanto facilita la collaborazione tra allevatori e ilpersonale delle amministrazioni addette (A.S.L.,Province, Enti Parco, etc.; ad esempio, Angelucciet al. questo volume, Gatto et al. questo volume,Tropini questo volume). Un problema comunemen-te riscontrato è rappresentato dal fatto che alleva-tori e pubblico in generale hanno aspettative gene-ralmente superiori sulla reale funzionalità di que-sti strumenti, e sottovalutano impegno e costi dimessa in opera, utilizzo e manutenzione che sononecessari per il loro corretto funzionamento. Inol-tre, molti sistemi sono adatti a piccole aziende marisultano poco adeguati ad esercizi zootecnici dimaggiori dimensioni (Knowlton et al. 1999). Inaziende in cui il conflitto assume entità cronica,l’uso combinato degli strumenti ritenuti localmen-te più idonei può dare risultati soddisfacenti, manelle aziende in cui l’impatto è limitato ed infre-quente (vedi § Ricorrenze di attacco per azienda)l’adozione di strumenti di prevenzione non sembraessere una alternativa realistica e conveniente intermini di costi/benefici.Congiuntamente all’adozione di strumenti di pre-venzione, o laddove questi risultano di difficile im-piego, alcuni accorgimenti delle tecniche di condu-zione e di guardiania del bestiame possono faremolto nel ridurre i danni da predazione (Bjorge &Gunson 1985, Fritts et al. 1992, Oakleaf et al.2003, Bradley 2004). Tra quelle più frequente-mente contemplate, più in base al buon senso edindicazioni aneddotiche che a riprove sperimenta-li (Knowlton et al. 1999), si elencano: la presenzacontinua del pastore per la conduzione del gregge;la stabulazione del bestiame nei periodi di maggiorvulnerabilità (ore notturne, periodo dei parti); lasincronizzazione dei parti per minimizzare il perio-do di massima vulnerabilità; la rimozione dellecarcasse dai terreni di pascolo; la selezione di areedi pascolo aperte e lontane dai margini del bosco.Laddove non è possibile evitare condizioni di alle-vamento brado, sarebbe utile un sistema di zona-zione che escluda questo tipo di conduzione perlo-meno dove esiste sovrapposizione con le zone dipiù elevata frequentazione da parte dei predatori.Le aree di pascolo dovrebbero essere relegate e re-gimentate nelle zone caratterizzate da maggiorepresenza antropica e, presumibilmente, dove i ri-schi di predazione sono minori (Oakleaf et al.2003, Bradley 2004). Del resto, come nel casodegli strumenti di prevenzione, tecniche di condu-zione innovative non risultano sempre idonee alsingolo allevatore se non sono di facile adozione eeconomicamente convenienti (Fritts et al. 1992).Anche in questo caso la loro funzionalità nelmedio–lungo periodo si deve basare su un’attentavalutazione economica di costi/benefici e su in-

centivi non solo di carattere monetario. In definiti-va, la grande variabilità di situazioni, condizionigestionali, ecologiche ed ambientali in cui il con-flitto si verifica preclude la possibilità che un me-todo o una tecnica di prevenzione in particolarepossano risultare le più efficaci per risolvere ilproblema. Piuttosto, una varietà di applicazioni edi strategie devono essere valutate su scala locale,dipendentemente dal contesto e dalle esigenze delsingolo allevatore. Dal punto di vista della ricerca, il contesto gestio-nale in cui si opera non aiuta la raccolta di dati ela realizzazione di esperimenti controllati, cosìcome l’animosità che solitamente caratterizza il fe-nomeno non facilita la collaborazione degli alleva-tori alla ricerca, specialmente nelle zone di conflit-to cronico dove più risulterebbe utile (P. Ciucci etal. dati non pubblicati). In una prospettiva di mo-nitoraggio, l’approccio finora più utilizzato per va-lutare l’efficacia dei metodi di prevenzione è coin-ciso con la quantificazione di uno o più indici diconflitto a livello di singole aziende, sia prima chedopo la messa in opera degli interventi preventivi;oppure avendo come riferimento le aziende limi-trofe in cui non vengono apportate modifiche ge-stionali (Fritts 1982, Fritts et al. 1992, Knowlton etal. 1999). Questo approccio presenta tuttavia al-cune difficoltà interpretative, dagli impedimenti lo-gistici nell’individuare aziende di controllo rappre-sentative, all’impossibilità di valutare tutte le va-riabili potenzialmente implicate, alla natura spo-radica e casuale degli eventi di predazione che nonfacilita la raccolta di campioni statisticamente va-lidi. Gli studi mirati alla sperimentazione delle tec-niche di prevenzione possono essere supportati daindagini condotte con lupi in cattività e in cui simisura direttamente il comportamento dei preda-tori (Bomford & O’Brien 1990, Musiani et al. 2003,Shivik et al. 2003), sebbene le conclusioni nonsiano facilmente esportabili nel reale contesto na-turale e gestionale (Shivik et al. 2003). Alternati-vamente, da una prospettiva differente, è possibi-le intervistare gli allevatori che utilizzano metodi estrumenti di prevenzione e ricavarne una valuta-zione soggettiva dell’efficacia (ad esempio, Capo-rioni & Teofili, questo volume), sebbene si tratti disondaggi d’opinione piuttosto che di valutazionioggettive.

MONITORAGGIO DEL CONFLITTOCome già anticipato, il monitoraggio a lungo ter-mine del conflitto è un passo irrinunciabile inun’ottica di gestione e risoluzione, nonostante sinoti a livello nazionale un generalizzato disinteres-se da parte delle autorità preposte (Ciucci & Boi-tani 1998a). In assenza di monitoraggio è impossi-bile rilevare tendenze temporali, compiere con-fronti su scala nazionale o analizzare il fenomenoin relazione all’andamento delle popolazioni di pre-datori, dell’economia del settore zootecnico o dellevarie misure di tutela e gestione. Con alcune im-portanti eccezioni (Regione Piemonte 2003, Bantiet al. questo volume, Reggioni et al. questo volume),in Italia programmi di monitoraggio sul conflitto

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tra Lupo e zootecnia non sono mai stati avviati; ipochi studi di carattere analogo ad oggi pubblica-ti hanno contemplato – per iniziativa di singoli ri-cercatori – analisi di serie storiche di dati a livellolocale, regionale o nazionale (Abruzzo: Fico et al.1993, Cozza et al. 1996; Toscana: Boitani & Ciuc-ci 1996, Berzi 1997; Scala nazionale: Ciucci et al.1997; Parco del Gigante: Meriggi et al. 1998). Seb-bene questi studi abbiano prodotto importanti in-formazioni, si differenziano dal monitoraggio per-ché si tratta di analisi retrospettive in cui nontutte le variabili d’interesse sono disponibili e, so-prattutto, perché non sono integrate all’interno diun ciclo adattativo di gestione del fenomeno (El-zinga et al. 2001). Va sottolineato che il monito-raggio del conflitto comporterebbe un impianto lo-gistico piuttosto semplice e articolato su strutture,personale e amministrazioni già esistenti; senzaprevedere l’accertamento di relazioni causali tra levariabili, risulterebbe molto più economico di altricontesti di ricerca. Un monitoraggio continuativo è fondamentale peruna comprensione adeguata della dinamica delconflitto (Treves et al. 2002, Fritts et al. 2003) epermette di prendere, in tempo utile, decisioni cir-costanziate sulle strategie di risoluzione e sulle po-litiche d’indennizzo. Ad esempio, l’aumento ripor-tato in alcuni indici del conflitto negli ultimi annipotrebbe interessare in maniera generalizzatatutto l’areale del Lupo, oppure prevalentemente lezone ad elevata vocazione zootecnica interessatedalla recente espansione dell’areale. In assenza diun monitoraggio geografico e temporale del feno-meno è oggi difficile inquadrare questo problema,sebbene le differenze e le implicazioni gestionalidei due scenari siano sostanziali. È lecito, non-ostante il recente recupero di comunità ricche ediversificate di ungulati selvatici, attendersi un in-cremento della conflittualità con la zootecnia sularga scala (cfr. Meriggi & Lovari 1996). Rispondo-no, le differenze nella conflittualità, alle variazionidel contesto ambientale ed ecologico o alle variabi-li gestionali? Come si confronta questa eterogenei-tà con la mobilità e la dinamica della popolazionedi Lupi? E ancora, quali sono le possibilità e mo-dalità di risoluzione del problema, o i suoi possibi-li sviluppi (geografici, di intensità, economici, diconservazione) qualora non si intervenisse neitempi e nei modi adeguati? Su scala locale, il monitoraggio permette di indivi-duare le aziende con livelli cronici di conflitto sullequali operare prioritariamente, pena un uso im-proprio dei fondi d’indennizzo e l’incoraggiamentodi uno stato di conflitto perenne (Cozza et al. 1996,Ciucci & Boitani 1998b, Fritts et al. 2003). Allostesso tempo, il monitoraggio del conflitto su scalalocale (ambiti comunali e provinciali, aree protette)non è facilmente interpretabile se non tiene contodell’andamento del fenomeno su più larga scala,motivo per cui necessiterebbe di un coordinamen-to centralizzato a livello nazionale; ciò tra l’altro fa-ciliterebbe lo sviluppo e la validazione nel tempo dimodelli predittivi della distribuzione e dinamicadel conflitto. Su scala nazionale, il monitoraggio

del conflitto assume tuttavia un significato limita-to se non accompagnato dal monitoraggio della po-polazione dei predatori ad una scala di risoluzioneadeguata (ad esempio, Treves et al. 2002), e dallacaratterizzazione del contesto zootecnico e gestio-nale. Va infine sottolineato che il monitoraggio delconflitto dovrebbe prevedere, in chiave gestionale,anche il monitoraggio dell’effettiva applicazione, edel grado di efficienza, delle strategie di risoluzio-ne a diverse scale: dai programmi d’indennizzo suscala regionale e nazionale, ai metodi di preven-zione a livello dei singoli allevatori.

RingraziamentiSi ringraziano Paolo Cavallini e Piero Genovesiche, con i loro commenti e suggerimenti, hannocontribuito a migliorare stile e contenuto di unaprecedente versione del manoscritto.

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Sommario:- Riassunto/Summary- Introduzione- Il corretto approccio metodologico in un

sopralluogo per l’accertamento di un casodi predazione

- Le basi biologiche e comportamentalidel differenziamento tra attacco da parte di cani e di lupi

- Parte sperimentale: differenziamento dei casi di predazione causati da cane o da Lupo

IntroduzioneMateriali e MetodiRisultatiDiscussione

- Conclusioni- Bibliografia

RiassuntoL’analisi dei sistemi di accertamento dei danni albestiame da predatori attualmente in vigore in Ita-lia evidenzia come l’accertamento dei casi di pre-dazione venga effettuato in maniera empirica esenza una specifica preparazione delle figure pro-fessionali incaricate. Il fenomeno delle predazioni sul bestiame domesti-co sembra, pertanto, notevolmente sovrastimato acausa della scarsa qualità dei metodi di accerta-mento. Inoltre, anche le leggi di indennizzo attual-mente in vigore sembrano rispondere più ad esi-genze di carattere politico-sociale che gestionale.Si suggerisce pertanto l’adozione di procedureoperative standard di accertamento dei casi di pre-dazione, al fine di consentire la raccolta di datiomogenei sul fenomeno e individuare, pertanto, lescelte gestionali più efficaci per l’attenuazione delconflitto predatori – zootecnia. Il problema della differenziazione fra attacchi albestiame da cani e da lupi viene discusso sullabase delle caratteristiche biologiche e comporta-mentali dei due predatori. I risultati di una ricercaeffettuata in parallelo nell’Isola d’Elba, dove gliunici predatori sono i cani, e in Abruzzo, dove

sono presenti lupi e cani, confermano la possibili-tà di discriminare, con elevata probabilità di suc-cesso, l’attacco al bestiame da cani o da lupi.

SummaryThe analysis of verification procedures of livestockdepredations currently employed in Italy underlinesthat they are carried out in an empirical mannerand that personnel charged with verification are ge-nerally not trained to perform an accurate asses-sment. Therefore, the extent of livestock depreda-tion in Italy caused by species of conservationvalue, such as wolf, and by free-roaming dogs maybe highly overestimated. Also, damage compensa-tion laws actually applied in many Italian Regionsseem to account mostly for social demands of clai-mants than for management requirements. A prac-tically-based approach should seek to achieve there-organisation of predation assessment methodsby revision of the claim validation procedure, tac-kling the practical aspect of predation managementon the basis of reliable data.The differentiation between dog and wolf attackson livestock is also discussed on the basis of theirbiological and behavioural characteristics. The re-sults of a research project carried out on the Islandof Elba (Tuscany), where the only livestock preda-tors are free-roaming dogs, and in the Abruzzo Re-gion, where both wolves and dogs are present, con-firm that is possible to discriminate, with a good de-gree of accuracy, between dog and wolf aggressionon livestock.

INTRODUZIONE La predazione sul bestiame allevato allo statobrado ha costituito e costituisce ancora oggi unodei principali problemi di conservazione dei grandipredatori quali il Lupo (Canis lupus) e l’Orso(Ursus arctos), sia in Italia che in Europa. Il qua-dro attuale sullo stato della conservazione delLupo in Italia è sintetizzato nel Piano d’Azione Na-zionale per la Conservazione del Lupo (Canislupus) (Genovesi 2002), edito dal Ministero del-

R. Fico, S. Angelucci, I. Patumi

ACCERTAMENTO DEI CASI DI PREDAZIONE SUL BESTIAMEDOMESTICO: METODI, VALIDAZIONE DEI RISULTATI E

IMPLICAZIONI GESTIONALI. LUPO O CANE: CHI È STATO?

Livestock predation assessment: methods, validation and managementoutcome. Wolf or dog predation: who did it?

ROSARIO FICO*°, SIMONE ANGELUCCI**, ILENIA PATUMI****Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G.Caporale”

**Ente Parco Nazionale della Majella***Università degli Studi di Padova. Facoltà di Medicina Veterinaria

Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 52-63, 2005

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l’Ambiente, che rappresenta la sintesi delle più ag-giornate informazioni disponibili relative alla bio-logia, distribuzione, abbondanza e problemi diconservazione di questa specie. Nel Piano d’Azio-ne, redatto con il contributo dei maggiori espertidel Lupo in Italia, vi sono elencati, tra i principalifattori di minaccia per questa specie, i conflitti conla zootecnia.In Italia, a partire dagli anni settanta, grazie aduna maggiore sensibilità dell’opinione pubblicaalle problematiche ambientali, alla tutela legaledelle specie selvatiche ed all’istituzione di areeprotette, la gestione delle predazioni sul bestiamedomestico attraverso la persecuzione diretta deipredatori è diventata illegale. Nonostante ciò, l’uc-cisione di Lupi per mezzo di bocconi avvelenati,lacci ed armi da fuoco avviene tutt’oggi e ha origi-ne nell’insufficiente gestione dei conflitti economi-ci e sociali generati dalla coesistenza, sullo stessoterritorio di popolazioni di predatori e bestiame al-levato allo stato brado. Da quando il Lupo e gli altri predatori non sonostati più oggetto di abbattimenti legali , la princi-pale misura messa in atto per attenuare il proble-ma delle perdite di bestiame da predazione è con-sistita, e consiste tutt’oggi, nel risarcimento deidanni arrecati da questa specie (Lupo) e da altrespecie protette (ad esempio Orso, Aquila Reale), otutelate comunque dallo Stato (i cani). Tutte le re-gioni italiane interessate dal fenomeno hannoprovveduto con una propria normativa, che puòprevedere, oltre che all’istituzione di fondi per il ri-sarcimento dei danni, anche l’erogazione di contri-buti per l’adozione di misure di prevenzione degliattacchi (recinti, utilizzo di cani da guardia) (adesempio, Regione Toscana; cfr. Banti et al. questovolume).Negli ultimi decenni si è aggiunto, a quelli selvati-ci, un nuovo predatore: il cane vagante.L’incremento della presenza dei cani vaganti, perlo più con padrone (Fico 1995), ha determinato unforte inasprimento del conflitto tra allevatori e ilLupo, soprattutto per il fatto che il personale ac-certatore non è tecnicamente preparato ad effet-tuare la perizia. Inoltre, al fine di attenuare il con-flitto con gli allevatori attraverso l’erogazione difondi altrimenti non disponibili, vengono attribuitial Lupo gran parte delle perdite di bestiame brado,anche nei casi in cui o non esiste tale evidenza ole condizioni della carcassa non permettono addi-rittura di risalire alla causa di morte (Alotto 2003).Il quadro viene ulteriormente complicato da altrifattori: in alcuni casi le leggi concedono l’indenniz-zo con modalità diverse e in diversa percentuale aseconda che il danno sia stato attribuito a cane oa Lupo (Regione Abruzzo, Aree Protette) o, in altricasi, l’ente competente per il territorio in cui è av-venuto il danno non è autorizzato a liquidare idanni da cani ma solo quelli da fauna selvatica(Parchi Nazionali), costringendo l’allevatore dan-neggiato far intervenire in successione più figureprofessionali a seconda del predatore ipotizzatocome causa del danno (Guardie Forestali nel casosi sospetti che l’aggressione sia stata effettuata da

un animale selvatico, o veterinario A.S.L. nel casosi ipotizzi che siano stati i cani). Alcune leggi, perovviare a questi problemi, non richiedono il diffe-renziamento fra cani e Lupo per erogare l’inden-nizzo (ad esempio, Regione Toscana; Banti et al.questo volume), ma anche questo approccio non èprivo di conseguenze negative. Infatti, sia a causadella costante espansione del Lupo, che sta ricolo-nizzando aree da cui era scomparso da secoli, cheper il permanere del fenomeno del vagabondaggiocanino, soprattutto nelle regioni Centro Meridio-nali, i casi di predazione sul bestiame domesticosono in costante aumento e pertanto l’entità degliindennizzi sta divenendo, per molte amministra-zioni, economicamente insostenibile. In Italia, a tutt’oggi, non esiste un quadro giuridi-co omogeneo relativo al problema predazione. Ogniregione ha legiferato in maniera diversa sull’argo-mento, in alcuni casi con un approccio palese-mente volto ad elargire contributi a pioggia agli al-levatori sottoforma di indennizzi per danni al be-stiame da aggressioni da Lupo. Ad esempio, la Re-gione Lazio (L.R. 48/82, poi modificata dalla L.R.17/95) rende possibile l’indennizzo del danno inbase ai risultati di un sopralluogo effettuato entro45 giorni dal ritrovamento del bestiame morto, e laRegione Basilicata (L.R. 23/2000) eroga automati-camente all’allevatore l’indennizzo per danni daLupo, se il veterinario incaricato non effettua l’ac-certamento entro 48 ore dalla denuncia del danno. A questi singolari approcci “gestionali” del proble-ma predazione va aggiunto che, le figure profes-sionali individuate dalle singole leggi regionalicome responsabili dell’accertamento, sono le piùsvariate. La Regione Campania (L.R. 8/96) indivi-dua come responsabili dell’accertamento carabi-nieri, vigili urbani, veterinari e varie altre profes-sionalità; comunque, per nessuna di queste, è pre-vista una specifica formazione. La conseguenza fa-cilmente intuibile di questa situazione è che al mo-mento, in Italia, è impossibile non solo quantifica-re la reale entità dei danni al bestiame da preda-tori, ma anche utilizzare i dati sinora disponibiliper poter individuare scelte gestionali basate sullareale conoscenza del fenomeno.L’accertamento di un caso di predazione sul be-stiame domestico è, di fatto, una perizia medico-legale. Oltre a rispondere, per le finalità stesse del-l’accertamento, ai requisiti di legge previsti per leperizie medico legali (Frittoli 1997) esistono co-munque dei rischi sanitari (possibilità di contrar-re infezioni zoonosiche: brucellosi, carbonchioematico, tubercolosi e svariate altre) connessi al-l’esame della carcassa (scuoiamento, manipolazio-ne di organi o visceri) che solo un veterinario puòprevenire o ridurre. Per tale motivo la figura pro-fessionale più indicata ad effettuare l’accertamen-to dei casi di predazione è un medico veterinariopreparato, attraverso appositi incontri formativi, ariconoscere il quadro anatomo-patologico caratte-ristico di un episodio di predazione. Infatti, sebbe-ne i predatori possano essere responsabili di ucci-sioni e ferimenti di animali domestici e selvatici,anche malattie, parassitosi, traumi, avvelenamen-

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ti e cause accidentali (folgorazione) possono deter-minare la morte o il ferimento degli animali per iquali si è chiamati in prima istanza a certificareun caso di predazione. Questa premessa implicache la richiesta da parte dell’allevatore di identifi-care il predatore causa di una uccisione di bestia-me domestico al fine di ottenere un indennizzo sitraduca di fatto in un accertamento della causa dimorte, attività di peculiare carattere sanitario;basti riflettere sul fatto che il rapporto finale sulsupposto caso di predazione è, in effetti, la certifi-cazione della causa di morte di un animale. Cometale può essere eseguita e certificata solo da unmedico veterinario abilitato all’esercizio della pro-fessione. Anche la definizione giuridica di perizia medico-le-gale si adatta perfettamente all’attività di accerta-mento di un caso di predazione sul bestiame do-mestico. In Medicina Legale la perizia (Frittoli1997) è “…l’esame da parte di un esperto debita-mente qualificato diretto al conseguimento ed allaconvalida di una valutazione e di una constatazio-ne specifica”. Con il termine di perizia medico-le-gale s’intende, quindi, una risposta logica, motiva-ta ed obiettiva a specifici quesiti tecnico – scientifi-ci, riguardanti le discipline mediche o veterinarieche presentano aspetti giuridici o legislativi. E taleè, di fatto, l’accertamento di un caso di predazionesul bestiame domestico. Le qualità inerenti il peri-to devono essere: l’idoneità tecnica (e quindi la do-cumentata formazione ad effettuare l’attività ri-chiesta), la capacità giuridica di testimoniare e lacapacità morale che garantisce l’attendibilità dellerisposte (imparzialità). La certificazione finale o pe-rizia o relazione peritale, deve quindi essere carat-terizzata da: - ricapitolazione dei fatti e delle risultanze del so-

pralluogo;- coordinamento dei risultati ottenuti;- considerazioni diagnostiche-differenziali;- considerazioni conclusive in relazione al quesi-

to richiesto;- conclusioni sintetiche.Di fondamentale importanza è che la relazioneconclusiva sia dettagliata, documentata, ma, so-prattutto, eviti dubbi interpretativi (Frittoli 1997).Pertanto, al fine di soddisfare la condizione dell’i-doneità tecnica, il veterinario deve essere, in ognicaso preparato a: 1. Distinguere, in caso di presenza di ferite riferi-

bili a morsi o a graffi, se le lesioni riscontratesulla carcassa sono state inferte sulla predaquando questa era in vita o dopo la morte (pre-dazione versus necrofagia).

2. Stabilire le condizioni generali di salute dell’a-nimale predato (predazione versus pseudopre-dazione, ossia uccisione di capi già in difficoltàper cause sanitarie, ad esempio clostridiosi ).

3. Esclusa la predazione, individuare o sospettarealtre possibili cause di morte (clostridiosi, me-teorismo acuto, eventi traumatici non correla-bili alla predazione, avvelenamento, intossica-zione alimentare, folgorazioni, frodi), compreseeventuali patologie trasmissibili all’uomo o agli

animali (Brucellosi, Carbonchio ematico, ecc.)per le quali richiedere eventualmente ulterioriesami di laboratorio.

Purtroppo tutte le leggi regionali sull’argomentonon prevedono una formazione professionale adhoc del personale addetto ad effettuare i sopral-luoghi in caso di sospetta predazione. Le conse-guenze di questa insufficiente preparazione tecni-ca esitano spesso in errate attribuzioni di morte dibestiame domestico per predazione, oppure nel-l’attribuzione del danno al predatore sbagliato. E’stato dimostrato che le conclusioni a cui arriva unveterinario preparato ad effettuare l’accertamento,e quindi dotato della competenza tecnica richiestadalla perizia medico legale, rispetto a quelle delpersonale genericamente incaricato dalla legge adeffettuare il sopralluogo risultano estremamentediverse. Per esempio, di 57 animali la cui morteera stata attribuita ad attacco da Lupo dal perso-nale forestale incaricato dell’accertamento, solo 6sono stati confermati come tali da un veterinariodebitamente formato (Alotto 2003). Si comprendecome risultati così discordanti sugli stessi casiesaminati e fortemente condizionati dalla figuraprofessionale incaricata dell’accertamento possa-no avere forti ripercussioni sia sulla quantità di in-dennizzi erogati (spesso non dovuti), sia sulle scel-te gestionali individuabili in base ai dati disponibi-li sui casi di predazione. La corretta classificazio-ne delle cause di morte del bestiame, nonché l’i-dentificazione attendibile del predatore coinvoltonell’attacco, è l’unica possibilità per individuare lescelte gestionali più adeguate all’attenuazione delconflitto predatori-zootecnia.

IL CORRETTO APPROCCIO METODOLOGICOIN UN SOPRALLUOGO PER L’ACCERTAMENTODI UN CASO DI PREDAZIONELa premessa fondamentale per effettuare un cor-retto accertamento di un caso di predazione è iltempestivo sopralluogo dopo l’attacco, da effet-tuarsi al massimo entro 24-36 ore dall’accaduto.In questo modo si può operare senza che il consu-mo della carcassa da parte di animali necrofagipresenti nell’area (Volpi, Cani, Lupi, ma ancheCinghiali etc.) determini l’asportazione delle partiinteressate dai segni dell’aggressione o confonda isegni lasciati dal predatore durante l’attacco.E’ buona norma, quindi, che gli allevatori che ab-biano subito un danno da predazione mettano inatto tutte le misure necessarie a conservare i restidell’animale morto fino all’intervento degli accerta-tori. Il semplice ritrovamento di resti di scheletro odi parte della pelle dell’animale ritenuto predatonon consente quasi mai di stabilire la vera causadi morte dell’animale. Una volta giunti sul luogodel ritrovamento della carcassa, è necessario pro-cedere a:1. Localizzare il sito di attacco e di uccisione della

preda. Per questo motivo sarebbe bene che l’al-levatore evitasse di spostare le carcasse dalluogo in cui sono state trovate.

2. Prendere nota della posizione della carcassa.Va considerato che i fenomeni di ipostasi ca-

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daverica possono simulare versamenti emorra-gici di natura traumatica nel sottocute.

3. Osservare se esistono segni di lotta. Per esem-pio sangue sul terreno, vegetazione schiaccia-ta, ciuffi di pelo sparsi attorno: tutti i segni cheindicano una lotta tra il predatore e la preda, oche dimostrano tentativi di opporre resistenzaall’aggressione da parte della preda stessa epossono indicare un episodio di predazione.

4. Osservare se esistono segni di presenza delpredatore, quali orme, escrementi, peli. Nelcaso in cui si individuino questi segni, bisognaessere cauti nel trarre conclusioni affrettate.Infatti, i segni di presenza indicano solamenteche il predatore è stato lì, ma non si può dire,a priori, che esso sia anche il responsabiledella predazione. Frequentemente la modalitàdi consumo della carcassa viene consideratacome una prova che il predatore che se è nu-trito sia stato anche quello che ne ha causatol’uccisione. Questo approccio può generaregrossolani errori di valutazione. Infatti ciò puòessere vero solo per la lince e non nel 100% deicasi (P. Molinari com. pers. ). Per tutti gli altri(Cane, Lupo,Volpe, Orso, etc.) può dare indica-zioni solo su chi si è nutrito della carcassa. Gliunici segni di cui si deve tener conto sonoquelli delle ferite mortali o non, subite dallapreda durante l’inseguimento, la lotta e l’ucci-sione da parte del predatore.

5. Esaminare la carcassa alla ricerca di ferite.Dato che ciascun predatore ha una modalità diuccisione diversa della preda, spesso la loca-lizzazione e la tipologia delle lesioni sulla car-cassa possono essere caratteristiche ed aiuta-re ad identificare univocamente il predatoreprotagonista dell’’attacco. Inoltre, dove possi-bile, bisogna rilevare la distanza tra i canini(che consente di distinguere facilmente tramorsi di volpe, mustelidi o altri carnivori dimaggiore mole).

6. Scuoiare la carcassa, testa inclusa (per eviden-ziare la presenza di versamenti emorragici sot-tocutanei dovuti ai traumi o alle ferite subitidurante l’aggressione).

7. Aprire il torace e l’addome alla ricerca di pato-logie in atto che potrebbero aver favorito il suc-cesso dell’attacco o essere la reale causa dimorte del bestiame.

8. Prendere nota dell’età e del sesso dell’animale.Fattore importante da considerare in quantospesso i giovani, in particolari condizioni, sonopiù facilmente predabili che non gli adulti op-pure più facilmente soggetti a patologie (pol-moniti, onfaliti, miodistrofie carenziali) chepossono favorire la predazione; ciò è partico-larmente vero per i puledri ed i vitelli.

9. Controllare la carcassa per una valutazionedello stato di salute generale dell’animale. Èimportante per differenziare una predazioneda una causa di morte per malattia.

10. Osservare le condizioni del pascolo. Va ricorda-to che possono verificarsi casi di mortalità delbestiame legati dovuti all’ingestione di piante

tossiche, soprattutto quando vi sono condizio-ni di sovrapascolamento.

11. Verificare se vi sono anormalità nel resto dellamandria al fine di scoprire eventuali sintomi dipatologie infettive in atto.

12. Verificare se vi sono potenziali fonti di intossi-cazione, per esempio: confezioni di insetticidiaperti, batterie abbandonate, contenitori di olidi macchinari agricoli, ecc..

13. Determinare o ipotizzare la causa della morte: - Predazione: il predatore ha ucciso un capo di

bestiame sano.- Pseudopredazione: il predatore ha ucciso un

capo di bestiame il cui precario stato di saluteha facilitato il successo dell’attacco o che sa-rebbe morto comunque come conseguenzadelle patologie in atto.

- Altre cause di morte: traumi accidentali, eventimeteorici: folgorazioni; malattie

14. In caso di predazione, determinare il predatorecausa dell’attacco.

La sequenza di azioni descritta può essere codifica-ta in una procedura standard di accertamento (Fico2004) che consente di raccogliere le evidenze ogget-tive del caso di predazione in esame in modo da evi-tare conclusioni influenzate da fattori soggettivi le-gati all’accertatore: pregiudizi o condizionamentiesterni di natura ambientale o psicologica.In merito ai condizionamenti che il personale re-sponsabile dell’accertamento può subire si puòsinteticamente dire che chi effettua un accerta-mento può essere influenzato, nel trarre le conclu-sioni, da vari fattori che sono riconducibili alla si-tuazione di “stress decisionale” in cui viene a tro-varsi e la cui gestione è fondamentale per eseguireun accertamento realmente oggettivo. Ad esempio,condizioni climatiche avverse durante il sopralluo-go o la percezione di uno stato di palese difficoltàdell’allevatore in seguito a continue perdite di be-stiame dovute a cause diverse dalla predazionepossano indurre l’accertatore a decidere a favoredell’allevatore pur di attenuare o eliminare la si-tuazione di stress in cui si trova. La gestione ditale problematica richiede una specifica trattazio-ne in altra sede.Pertanto solo con un appropriato approccio meto-dologico si potrà identificare con elevata probabili-tà il predatore responsabile dell’uccisione. La dia-gnosi di predazione deve essere sempre inserita al-l’interno del contesto ambientale in cui ci si trova.Pertanto è di fondamentale importanza essere aconoscenza sia dei predatori presenti in zona, chedelle tecniche di gestione dell’azienda colpita.L’errata attribuzione a predatori di perdite di be-stiame dovute in realtà ad altre cause, o l’errataattribuzione del danno ad un predatore piuttostoche ad un altro, non comporta solo lo spreco di ri-sorse finanziarie pubbliche, ma anche conseguen-ze negative legate all’individuazione di scelte ge-stionali sbagliate: proposte di abbattimento deipredatori ritenuti causa dei danni, oppure attiva-zione di misure di prevenzione laddove invece lacausa di mortalità è legata ad una cattiva gestionesanitaria dell’azienda.

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Uno dei problemi più sentiti nell’accertamento deicasi di predazione sul bestiame è il differenzia-mento tra attacchi da lupi e attacchi da cani.Come già illustrato (vedi Introduzione), il quadrolegislativo nazionale in materia configura varie si-tuazioni in merito a questo problema, con alcuneregioni che non richiedono la differenziazionecane-Lupo per indennizzare il danno da predazio-ne (ad esempio Toscana, Marche, ecc.), ed altreche indennizzano con fondi distinti i danni dacane o da Lupo, identificando addirittura figureprofessionali diverse a seconda del predatore ipo-tizzato come causa dell’aggressione (RegioneAbruzzo). Tuttavia questo approccio poco selettivoe a volte farraginoso, non favorisce, nella fase disopralluogo, la raccolta di dati che potrebbero es-sere utilizzati per gestire il problema a lungo ter-mine. I casi di predazione in aree precedentemente pocoo affatto interessate dal fenomeno, amplificati dalsensazionalismo giornalistico e convalidati pococorrettamente dal personale incaricato , possonoindurre o rafforzare un atteggiamento ostile dell’o-pinione pubblica nei confronti della presenza deipredatori, anche se protetti, e spingere ammini-stratori e politici a promuovere iniziative gestiona-li non basate sulla reale entità del fenomeno. Un fattore che acuisce notevolmente il conflitto trala zootecnia ed il Lupo è la presenza di cani va-ganti sul territorio. In assenza di criteri differen-ziali codificati di valutazione delle modalità di at-tacco tra cane e Lupo, è possibile che predazioni albestiame domestico da parte di cani siano erro-neamente attribuite al Lupo alimentando il brac-conaggio su questa specie.

LE BASI BIOLOGICHE E COMPORTAMENTALIDEL DIFFERENZIAMENTO TRA ATTACCO DAPARTE DI CANI E DI LUPI Il “comportamento predatorio” viene definito come“un’interazione interspecifica che include una se-quenza di azioni per mezzo delle quali una predaviene uccisa e mangiata” (Krames et al. 1973 ).Il Cane Domestico (Canis familiaris) è un carnivo-ro filogeneticamente molto vicino al Lupo, specieda cui è derivato recentemente (Wayne et al. 1989,citato in Evans 1993; Wayne et al. 1992). Si puòsenza dubbio asserire che il cane sia la specie cheda più tempo si è coevoluta a stretto contatto conl’uomo. Una volta avvenuto l’addomesticamento,l’uomo ha tentato di selezionare il cane affinché ri-sultasse utile ai suoi diversi scopi: la caccia, laguardia, ecc.. Così, da centinaia di anni si sono ve-nute a creare varie razze di cani, con morfologia,attitudine e carattere dissimili tra loro, ciascunadelle quali esaltante maggiormente una o più ca-ratteristiche volute dall’uomo. Si è giunti quindialla situazione attuale, che conta la presenza dioltre 400 diverse razze canine, che non sono altroche il risultato di una scelta artificiale operata ar-bitrariamente dall’uomo (Clutton-Brock 1992).A differenza di quanto accade in un branco di lupi,dove i cuccioli perfezionano le tecniche di cacciaosservando la madre e gli altri membri del branco

durante le fasi di inseguimento, attacco e uccisio-ne della preda, nel cane questa componente vienea mancare. Infatti, i cani, spesso vengono allonta-nati da cuccioli dalla madre e adottati dall’uomomolto precocemente. Ciò comporta la privazione,durante l’ontogenesi, di quel periodo che il cuccio-lo dovrebbe trascorrere con la madre ed i fratelli,fondamentale per lo sviluppo di un comportamen-to predatorio efficace. Al cane vengono quindi amancare le esperienze necessarie per l’apprendi-mento delle tecniche di caccia, del comportamen-to predatorio e della capacità di riconoscere unapreda cacciabile da una non cacciabile (Zimen1971). Questo è il motivo che spiega come, per ilcane, la caccia e la predazione assumano sola-mente un ruolo occasionale e secondario per la so-pravvivenza (Anonimo 1980; Barman & Dumbar1983; Daniels 1983). Esistono diversi studi che confermano che i cani,nel caso in cui non vengano nutriti direttamentedall’uomo, tendano a cibarsi esclusivamente di ri-fiuti o di cibo comunque originati dall’uomo (Ano-nimo 1980; Barman & Dumbar 1983; Daniels1983; Beck 1974, Fico 1995). Dato che la caccianon è indispensabile per sopperire al suo fabbiso-gno nutritivo, si suppone che non sia la necessitàdi soddisfare la propria fame che spinge il cane apredare. E’ questo il motivo per cui, in questa spe-cie, viene a mancare la selezione naturale che fa-vorisce quegli individui in grado di compiere effi-cacemente una predazione. In uno studio condotto in Gran Bretagna si è os-servato che gli inseguimenti di cani su cervi,anche se non si concludono con l’uccisione direttadegli inseguiti, possono provocarne notevoli spo-stamenti, alterazioni comportamentali, rischio diferimenti e alterazioni fisiopatologiche che portanogli animali inseguiti a morte per stress (Bateson &Bradshaw 1997, citato in Genovesi & Duprè2000).O’Farrel (1991) ritiene che nell’atto predatorio deicani, in particolare nell’inseguimento della predache fugge, vi sia una notevole componente auto-gratificante; quindi il comportamento si manifestaindipendentemente dalla fame o dalla possibilitàdi consumare la preda.Si ritiene che lo stimolo chiave che innesca il com-portamento predatorio nel cane sia dato dalla vi-sione della preda (oggetto, animale o persona) infuga o in movimento. Capita spesso che il cane co-minci istintivamente ad inseguire una “preda”senza che abbia la finalità di abbatterla (automo-bili, ungulati selvatici, domestici, il postino in bici-cletta), in quanto esso non è in grado di distingue-re una preda cacciabile o meno e, soprattutto, nonla insegue con la finalità di ucciderla e nutrirsene.Probabilmente questa è una delle ragioni per cui lecacce dei cani domestici sugli ungulati selvatici sirivelano spesso infruttuose (Causey & Cude 1980;Beck 1974; Anonimo 1980). L’inseguimento delleprede può prolungarsi anche delle ore, causandoun notevole stress anche in quegli individui nondirettamente inseguiti . Questi animali si presen-teranno esausti, spaventati, all’erta, traumatizzati

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fisicamente, con scolo schiumoso dalle narici odalla bocca (sintomo di edema polmonare). Un importante fattore che condiziona l’effettiva ri-uscita del tentativo di predazione (e cioè l’abbatti-mento della preda) è l’esperienza del predatoreche, come spiegato prima, spesso manca ai cani(Trumler 1974).I cani quindi, privi di esperienza e di insegnamen-ti materni, generalmente hanno grosse difficoltàad atterrare ed uccidere efficacemente la preda.Per questo motivo i cani tentano di bloccare lapreda mordendola a caso in più parti del corpo(soprattutto quelle che offrono facili “appigli”:coda, orecchie, mammella, piega della grassella),balzando addosso in modo non coordinato (Klin-gler & Breitenmoser 1983) e lasciando sul mantel-lo evidenti segni di unghiate (dato che le unghiedel cane sono ottuse non provocano sanguina-mento esterno) (Molinari et al 2000). Per questomotivo il più delle volte la preda non viene uccisa,ma viene ferita più o meno superficialmente in di-verse parti del corpo nelle zone che il cane ha ten-tato di afferrare per abbatterla. Le lesioni, spessomai gravi e comunque difficilmente in grado diprovocare di per sè la morte della preda, sono lo-calizzate soprattutto a livello di:

- coda, orecchie, mammella (capezzoli): in questezone si possono riscontrare lacerazioni, lesionida strappamento, mutilazioni;

- faccia: a questo livello si possono riscontrareanche lesioni da graffio, soprattutto in prede digrosse dimensioni;

- groppa;- torace;- fianchi;- porzione ventrale e laterale della parete

addominale;- gola;- inguine;- arti posteriori ed anteriori.

A differenza del Lupo, che morde la preda in areevitali, in particolare una, come si vedrà in seguito,con la forza e con l’intento di ucciderla, il cane ma-nifesta oltre ad una casualità di morsi, una “gra-dualità del morso” (inibizione del morso), che de-termina sulla preda numerose ferite spesso nonmortali. Inoltre mentre il Lupo quando morde è ingrado di sviluppare sulle cuspidi dei denti unapressione di oltre 106,2 kg/cm2, tale da troncaredi netto il femore di un bovino, (Lopez 1978), ilcane infligge morsi molto più lievi (circa 53kg/cm2, in un pastore tedesco; cfr. Flauto E.R., in:www.wolfcountry.org), superficiali, non in grado,generalmente, di provocare danni gravi anche selocalizzati in aree vitali del corpo della preda.Data la ridotta potenza iI morsi del cane non sonoin grado, generalmente, di offrire una buona presasul corpo della preda; quando questa si divincola,il cane, per tentare di afferrarla meglio, la mordepiù volte, provocando le lesioni multiple. Spesso,nel caso in cui il cane stia predando delle pecore,nel tentativo di morderle, afferra il vello, che si

strappa, disseminando così brandelli di pelo lungotutto il percorso dell’inseguimento. Il vello diffusosul luogo dell’attacco manca, generalmente, negliattacchi da Lupo (R. Fico dati non pubbl.). Inoltre,i morsi dei cani possono essere così inefficaci, danon riuscire nemmeno a lacerare la superficie cu-tanea della preda, provocando contusioni eviden-ziabili solo con lo scuoiamento sottoforma di pandimenti emorragici e soffusioni a livello sotto-cutaneo. Le prede aggredite dai cani potranno venire a mortein seguito, o per lo shock, o per l’infezione delle le-sioni riportate (Schaefer et al. 1981), ma solo rara-mente morirà a causa diretta delle lesioni.Bisogna comunque tener presente che esistonoanche dei cani che possono essere particolarmen-te portati ad effettuare un attacco efficace, ad unesempio quelli appartenenti a razze di tipo nordi-co-primitivo (Siberian Husky, Alaskan Malamute,Samoiedo), i quali, geneticamente molto vicini alLupo, possono presentare un comportamento pre-datorio simile a quello del predatore ancestrale.Ci sono diversi studi che documentano la possibi-lità che, in presenza di più prede, i cani possanoarrivare a ferire, senza uccidere, molti animali(Owens 1984; Klingler & Breitenmoser 1983). In America, dove spesso la diagnosi differenzialenei casi di predazione riguarda cane e coyote,molti Autori (Bowns 1976; Roy & Dorrance 1976;Schaefer et al. 1981; Umberger et al. 1996; Tap-scott 1997; AA.VV., 1998 a,b,c) attribuiscono lapredazione ai cani quando sono presenti questecaratteristiche:

- presenza di un numero elevato di pecore ferite;- mutilazioni indiscriminate, ma non fatali a livel-

lo della testa, collo, fianchi, costato, spalle, quar-ti posteriori ed anteriori, mammella, orecchie ecapezzoli strappati;

- le prede uccise non vengono consumate e rara-mente il predatore torna a cibarsi sulla carcassadella preda uccisa;

- l’attacco può avvenire in qualsiasi momento delgiorno (in quanto il cane non teme l’uomo);

- dato che il cane è un cacciatore inesperto l’at-tacco dura per un periodo prolungato, si attuasu di un terreno molto esteso (le eventuali car-casse o gli animali feriti sono sparsi su di un’a-rea diffusa; sono presenti brandelli di vello spar-pagliati attorno al sito dell’attacco), gli animalisono attaccati indipendentemente dalla loro età(il cane non è un cacciatore selettivo);

- perdite indirette del bestiame in seguito agli at-tacchi: ferite infette, stress, aborto, calo di incre-mento ponderale, calo della produzione di latte,esaurimento, soffocamento.

Questi Autori concordano nel sostenere che il caneè un predatore inefficiente e che le caratteristichedella predazione sono tipiche. Una carcassa di unanimale predato da un cane presenterà quindi:- lesioni riferibili a morsi e a graffi disposte disor-

dinatamente su tutto il corpo (orecchie, faccia,gola, spalle, torace, fianchi, mammelle, arti an-teriori e posteriori);

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R. Fico, S. Angelucci, I. Patumi

- morsi di diversa profondità e gravità;- nel caso in cui la predazione sia effettuata con-

temporaneamente da cani di taglia diversa1,sul corpo dell’animale si trovano morsi di variagrandezza;

- il rinvenimento di sierosità schiumosa emorragi-ca nella trachea può essere indicativo di unlungo inseguimento con conseguente edema pol-monare causato da insufficienza cardio-respira-toria.

Il Lupo, al contrario, è un predatore specializzato.Gli animali domestici, anche se sani, sono delleprede relativamente “facili” per il Lupo (Boitani &Soccodato 1979). Ciò accade sia perché il bestia-me, “grazie” al processo di addomesticamento, haperso gran parte del comportamento antipredato-rio, sia perché le tecniche di allevamento, rendonogli animali facilmente soggetti alle predazioni;come ad esempio i cavalli impastoiati lasciati dinotte al pascolo. Queste pratiche di allevamentopossono facilitare la predazione. Gli animali dome-stici vengono attaccati di notte o al crepuscolo nelcaso di bovini ed equini lasciati incustoditi, men-tre le pecore sono attaccate anche di giorno (Cozzaet al. 1996a ), soprattutto in condizioni meteorolo-giche avverse. Il Lupo sceglie accuratamente la sua preda e la at-tacca in modo silenzioso e mirato. Se la preda pre-scelta è di piccola mole, come una pecora, l’attac-co viene portato nella parte anteriore del corpo(muso, collo, gola) ed, al massimo, questa vienetrattenuta per i quarti posteriori prima che vengainferto il morso letale alla gola (Ewer 1973; Mech1975). In particolare, alcuni autori ritengono che il morsoalla gola sia l’unica lesione letale evidenziabile inanimali predati di taglia medio-piccola (Fico et al.,1998; Molinari et al., 2000). A questo proposito siricordi come il ritorno del Lupo nella Murgia (Pu-glia) sia stato rivelato da una predazione su alcu-ne pecore che presentavano, come unica lesioneletale, l’impronta di un unico morso inferto nellaregione laringo-tracheale (R. Fico com. pers.), nelterzo anteriore del collo. Anche Ragni (1990) riferi-sce di un episodio di predazione su 3 pecore tutteuccise nello stesso modo: un unico morso alla gola(Carucci & Zacchia 1999).Raramente il Lupo attacca le prede di tagliamedio-piccola (ovini, caprini) ai quarti posteriori;questo sito di attacco è tipico delle predazioni dianimali di maggiore mole, quali bovini e cavalli, vi-telli e puledri. Durante l’inseguimento questi ven-gono azzannati più volte ai fianchi o alle cosce, conemorragie sottocutanee molto abbondanti. In que-sto caso le lesioni inferte sono molto gravi e consi-stono nell’asportazione completa di gruppi musco-

lari, soprattutto a carico degli arti posteriori (Ficoet al., 1998; Molinari et al., 2000). Una volta bloc-cata, la preda viene spesso soffocata da morsi almuso. Può accadere che la preda sfugga all’attac-co e resti in vita, ma comunque l’animale è desti-nato a morire, in quanto fortemente mutilato (Ficoet al., 1998). Questo comportamento predatorio èperfettamente noto agli allevatori delle aree in cuiil Lupo non è mai scomparso ed essi sono perfet-tamente in grado di distinguere l’attacco da partedi cani o di lupi ma chiaramente, per la differenterapidità od entità dei rimborsi, a seconda dellalegge in vigore, tendono a “forzare” la decisione delpersonale accertatore verso la conclusione che sisia trattato di lupi.

PARTE SPERIMENTALE:DIFFERENZIAMENTO DEI CASI DI PREDAZIONE CAUSATI DA CANI O DA LUPO

Introduzione Sinora in Italia non era mai stato effettuato unostudio caso-controllo sul problema del differenzia-mento tra attacchi da parte di cani o di lupi. Per-tanto, al fine di stabilirne i parametri differenziali,si sono analizzate le caratteristiche degli attacchial bestiame sicuramente causati da cani e da lupiin due diverse aree di studio. Come area di riferimento o area di controllo negati-vo è stata scelta l’Isola d’Elba, territorio in cui, nonessendo presenti lupi, gli unici predatori poten-zialmente in grado di uccidere il bestiame sono icani. La regione Abruzzo è stata scelta come areadi studio, in quanto sono presenti sia cani vagan-ti che lupi, entrambi responsabili di attacchi al be-stiame.

Materiali e metodi È stata condotta un’indagine retrospettiva riguar-dante i casi di predazione sul bestiame domesticoda parte di cani, verificatisi nell’Isola d’Elba neglianni compresi tra il 1999 ed il 2002. I dati sonostati ottenuti esaminando i verbali di accertamen-to dei danni al bestiame provocati da cani conser-vati nell’archivio dell’ASL Portoferraio, LocalitàSan Rocco, Isola d’Elba (LI). Non è stato possibileanalizzare i dati relativi agli anni precedenti al1999 in quanto andati distrutti durante un’allu-vione.Il numero di cani presenti nell’isola, iscritti all’a-nagrafe canina, è di circa 1.760 individui. Molticani di proprietà hanno la possibilità di vagare in-controllati per l’isola. La popolazione totale di ovinie caprini è pari a circa 1.000 capi, distribuiti in 42allevamenti. La maggior parte di questi è a gestio-ne “familiare” (con 3-4 capi ciascuno), mentresono presenti solo due allevamenti di dimensioni

(1) A questo proposito è opportuno ricordare che, soprattutto in ambiente rurale, più cani possono riunirsi temporaneamen-te a formare un gruppo attorno ad una femmina in estro, oppure perché hanno fonti di cibo comuni. Questi gruppi non rag-giungono mai la stessa organizzazione sociale di un branco di lupi, anche se è possibile che un cane un pò più esperto nellacaccia svolga il ruolo di “Lupo adulto” ed insegni qualche strategia agli altri cani. Ad ogni modo, gli animali, in gruppo, pos-sono arrivare ad attaccare prede che, da soli, non avrebbero predato (Borchelt et al.,1983).

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maggiori, con circa 130 capi ciascuno (Dr. Arus,com. pers).Dato che gli unici predatori presenti nell’Isola d’El-ba sono i cani, non rendendosi necessaria unadiagnosi differenziale con il Lupo ai fini del risar-cimento, i verbali non presentano descrizioni par-ticolareggiate delle condizioni ambientali in cui èavvenuto l’attacco, né delle caratteristiche anato-mo-patologiche delle lesioni riscontrate sul corpodegli animali aggrediti, ma solo la causa di mortee la localizzazione delle ferite da morso.I dati raccolti nell’ambito della Regione Abruzzosono invece consistiti nell’analisi di alcuni casi dipredazione di cui sono stati responsabili cani olupi per l’osservazione diretta dei predatori mentreeffettuavano l’attacco o mentre si allontanavanodopo l’attacco.I dati relativi alla distribuzione delle lesioni sulleprede per ciascuna area di studio sono state clas-sificati secondo una stessa griglia di selezione econfrontati statisticamente allo scopo di verificarese vi fosse una differenza significativa fra le duearee. Il numero dei casi esaminati è limitato, ma èchiaro, per chi ha esperienza sull’argomento, chele possibilità di assistere ad un atto di predazionesono veramente rare e quindi i casi esaminati, inun arco di 4 anni, riteniamo che rappresentino co-munque un campione significativo. Per verificarestatisticamente la differenza fra le aree di studio,relativamente alla frequenza di localizzazione dellelesioni da morso sugli animali predati, sono stateconfrontate (Chi-quadrato di Pearson, χ2; Siegel1985) le distribuzioni dei morsi sulle carcassedelle pecore uccise nell’Isola d’Elba con quelle rile-vate sulla stessa categoria di bestiame (ovini e ca-prini) nel territorio della regione Abruzzo su casi dipredazione causati da Lupo o cani.

RisultatiNella tabella 1 vengono riportate, l’area di studio,la sintesi delle lesioni riscontrate e il predatore

causa del danno così come descritto dai certificatidei veterinari dell’A.S.L. di Portoferraio, Isola d’El-ba (LI), o dal veterinario che ha effettuato l’accer-tamento negli altri casi. Su tutte le 14 predazioniavvenute nel corso di 4 anni all’Isola d’Elba, il re-ferto del veterinario A.S.L. attribuiva la causa dimorte degli animali a collasso cardiocircolatorioconseguente a lesioni da ferite multiple da morsidi cane. La dizione utilizzata nel referto necrosco-pico traduce sinteticamente un quadro anatomopatologico caratterizzato da lesioni da morso invarie parti del corpo dell’animale predato e lamorte per stress dello stesso (Dr. Arus, com.pers.). In Abruzzo sono stati 15 i casi in cui il pre-datore è stato avvistato durante o appena dopol’attacco e per cui l’individuazione del predatore ècerta. In questi casi è stato possibile individuarecon precisione le lesioni inferte intra vitam dal pre-datore sui corpi delle prede.Confrontando con il Chi-quadrato la diversa dis-tribuzione delle lesioni rilevate sugli animali pre-dati nelle due aree di studio, si evince che vi èmeno di una probabilità su mille (χ2=10,311;g.l.=1; P<0,001) che la differenza riscontrata siadovuta al caso. In altri termini, vi è una differenzastatisticamente significativa nella distribuzionedelle lesioni rilevate sugli animali predati nell’Iso-la d’Elba rispetto a quelle rilevate negli animalipredati nell’area di studio Abruzzo . La differenzaconsiste nel fatto che laddove sono presenti solo icani (Isola d’Elba) nella totalità dei casi i morsisono distribuiti a caso su tutto il corpo dellapreda, mentre in Abruzzo, in relazione alla pre-senza sia di lupi che di cani, le lesioni da morso sidistribuiscono in due gruppi, quelle causate dal-l’attacco di uno o più lupi, caratterizzate da ununico morso letale nel terzo anteriore del collo equelle causate dall’attacco da cani, distribuite suvarie regioni del corpo della preda, sovrapponibilia quelle riscontrate a carico delle pecore e capreuccise da cani all’Isola d’Elba.

Tipologia delle lesioni sugli animali predati___________________________________________________________

Lesioni riferibili a un morso Lesioni riferibili a un morso letale localizzato esclusivamente localizzate in varie parti del

Area nella regione retro-mandibolare (Lupo) corpo (cani)di studio [n. casi] [n. casi] Totale__________________________________________________________________________________________________

Isola d’Elba 0 14 14

Abruzzo 8 7 15__________________________________________________________________________________________________

Totale 8 21 29

Tabella 1: Tabella riassuntiva relativa alle diverse tipologie di lesioni riscontrate sugli animali predati nelle areedi studio considerate. L’Area di studio dell’Abruzzo comprende la somma dei casi relativi ai sopralluoghi nelParco Nazionale della Majella, alle necroscopie effettuate all’Istituto Zooprofilattico dell’Abruzzo e del Molise edai sopralluoghi effettuati per conto dello stesso Istituto.

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R. Fico, S. Angelucci, I. Patumi

DiscussioneNell’Isola d’Elba l’unico predatore responsabile diattacchi al bestiame è il cane e, i dati disponibilisui casi di predazione provocati da cane (n=14)hanno messo in evidenza come, in tutti i casi, lelesioni riscontrate sugli animali attaccati fosserocostituite da ferite riferibili a morso in varie partidel corpo. Le lesioni da morso inferte dai cani nonsono state considerate dagli accertatori comecausa diretta della morte degli animali attaccati,ma questa è stata invece attribuita genericamentea collasso cardiocircolatorio. Pertanto la morte èstata causata da politraumatismo associato allostress conseguente all’attacco disordinato dei canicosì come descritto da altri autori (Bowns 1976;Roy & Dorrance 1976; Schaefer et al. 1981; Um-berger et al. 1996; Tapscott 1997; AA.VV., 1998a,b,c, Bateson & Bradshaw, 1997). In Abruzzo, ove coesistono popolazioni di cani va-ganti e lupi, causa ambedue di aggressioni al be-stiame, l’analisi dei casi di predazione (n=15), incui il predatore è stato univocamente identificatoin cane (n=7) o Lupo (n=8), ha messo in evidenzadue nette e diverse distribuzioni e tipologie di le-sioni da morso sul corpo delle prede a seconda delpredatore interessato. Negli attacchi da cani le le-sioni sul corpo delle prede corrispondono a quelle

riscontrate nell’Isola d’Elba. Infatti, anche in que-sto caso le lesioni da morso sono diffuse in varieparti del corpo e associate a politraumatismi (esco-riazioni, ferite lacere, graffi, contusioni). Negli attacchi da Lupo la tipologia delle lesioni èstata invece caratterizzata da ferite da morso (una,al massimo due o tre) localizzate unicamente nellaregione retromandibolare del corpo della vittima(terzo superiore del collo, cfr. Fig. 1). In questocaso la morte degli animali predati è sopravvenu-ta esclusivamente per l’effetto del morso inferto inquest’area anatomica. Il fatto che il Lupo possa uccidere una preda delledimensioni di una pecora, con un unico ed effica-ce morso nella regione retromandibolare fa ipotiz-zare che la conseguente lesione vada ad interessa-re particolari strutture anatomiche. Quando ilLupo morde la preda nella regione retromandibo-lare esercita una violenta compressione, con lace-razione dei tessuti profondi, in un’area interessatadalla presenza di importanti strutture neurovasco-lari: la carotide interna (Fig. 1) e le strutture neu-rovegetative ad essa connesse, il nervo vago e i ba-rocettori presenti nella parete del vaso arterioso ci-tato.In molti casi anche la trachea è sede di lesioni cau-sate dal violento morso (frattura degli anelli tra-

Figura 1: Immagini relative alla localizzazione delle lesioni da morso nella regione retromandibolare in caso dipredazione da lupo. La figura al centro rappresenta uno schema delle arterie della testa di pecora, veduta late-rale sinistra (modificata da Barone, 1993).

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cheali sottostanti l’area del morso). Nei mammiferi, uomo compreso (Ganong 1991),all’interno di quest’arteria, in corrispondenza delseno carotideo, una piccola dilatazione dell’arteriacarotide interna, situata subito dopo il punto incui l’arteria carotide comune si divide in carotideesterna ed interna, sono presenti dei barocettori, orecettori di pressione, che vengono stimolati dalladistensione della parete dell’arteria. In particolare,a seconda delle variazioni della pressione sangui-gna all’interno del lume arterioso, i relativi neuro-mediatori (adrenalina o noradrenalina) possonopresentare un aumento o una diminuzione dellafrequenza di scarica. L’effetto è una stimolazionedell’attività del centro vasomotore e cardioregola-tore. Nel caso di un brusco aumento di pressionenel lume vasale, come avviene in seguito ad unmorso violento con compressione del vaso, si haun aumento della secrezione dei neuromediatori iquali, da un lato inibiscono l’attività tonica delcentro vasocostrittore, dall’altro eccitano il centronervoso cardioinibitore. Dai barocettori carotideioriginano impulsi che risalgono lungo il piccolonervo di Hering o nervo del seno, ramo distinto delglossofaringeo (IX) e gli impulsi quindi raggiungo-no il nucleo del tratto solitario del midollo allun-gato. Ne risulta una vasodilatazione generalizzatacon conseguente ipotensione, bradicardia e dimi-nuzione della gittata cardiaca (Aggugini 1998). Lacontemporanea stimolazione compressiva delnervo vago, che decorre nella doccia giugulare enella stessa area anatomica, accentua la bradicar-dia, che, determinando una diminuzione della git-tata cardiaca, determina l’arresto cardiaco. L’asso-ciazione di queste due violente stimolazioni provo-ca nell’animale attaccato un collasso cardiocirco-latorio pochi secondi dopo il morso. Il morso allagola comporta anche una notevole compressionedella trachea contro le strutture osteoarticolari emuscolari del collo ed infatti, nella carcassa, sipossono evidenziare spesso gli anelli tracheali frat-turati). La rapidità della morte, spiega anche l’as-senza dell’edema polmonare, presente invece neglianimali che muoiono per stress dopo un prolun-gato inseguimento.Risulta quindi evidente come, anche con un unicomorso nella regione retromandibolare, il Lupovada a danneggiare contemporaneamente piùstrutture vitali della preda provocandone la morteo il collasso in pochi secondi. Questa modalità diaggressione risponde all’esigenza del Lupo di ela-borare una tecnica di caccia che gli consenta diuccidere la preda con il minimo dispendio energe-tico, ricavandone il massimo beneficio. Questa tec-nica di caccia (il Lupo affianca la pecora, la mordealla gola e la tiene stretta fino a quando riesce adatterrarla) viene appresa dai piccoli osservando lamadre o gli altri componenti del branco mentrecacciano e attaccano (Mech 1970). La tecnicaviene poi “raffinata” con l’esperienza.

ConclusioniL’utilizzo di una procedura operativa standard dautilizzare nel corso di sopralluoghi in casi di pre-

dazione consente di esaminare con criteri comunidati raccolti in aree e tempi diversi. Da un puntodi vista dello studio del fenomeno predazione, unaraccolta omogenea dei dati risulta di estrema im-portanza, in quanto permette da un lato di indivi-duare i fattori facilitanti e/o predisponenti i casi dipredazione, dall’altro di intervenire con sistemipreventivi adeguati ad ogni singola situazione. Adesempio, in un’area in cui le predazioni siano le-gate principalmente ad attacchi al bestiame daparte di cani vaganti sul territorio, sarà opportunoprendere dei provvedimenti al fine di controllare ilrandagismo/vagabondaggio canino. Al contrario,se il maggior responsabile delle aggressioni risultaessere il Lupo, sarà opportuno adottare delle mi-sure preventive per il controllo dei danni (peresempio incrementando il numero di cani da pa-store a guardia del gregge e fornendo recinzioniadeguate per la protezione del bestiame). Il passaggio dalla attuale gestione del problemapredazione basata sull’indennizzo economico deidanni, spesso aspecifico, all’adozione di misureadeguate per attenuare l’impatto dei predatorisulla zootecnia rappresenta il futuro della soprav-vivenza del Lupo in Italia. Per questo motivo, soloalla luce di una raccolta dettagliata di dati oggetti-vi relativi al fenomeno sarà possibile rivisitare lalegislazione vigente e adeguarla maggiormente alleesigenze di conservazione e di produttività degli al-levamenti. Indiscutibilmente, però, il personale in-caricato dell’accertamento dovrà essere formato aseguire una corretta metodologia d’indagine. L’a-nalisi dell’attuale quadro legislativo relativo all’ac-certamento dei danni al bestiame da cani vagantie lupi evidenzia come 17 regioni su 20 prevedanol’indennizzo dei danni sulla base dell’identificazio-ne del predatore, ma, in nessun caso, è effettuatala formazione professionale del personale incarica-to dell’accertamento. Gli aspetti anatomo-patologici e sanitari legati aduna diagnosi di morte per predazione si sono di-mostrati determinanti sia per la individuazionedella causa di morte che per l’identificazione delpredatore causa del danno. Pertanto si ritiene chela figura professionale più indicata per lo svolgi-mento di un corretto accertamento sia il medicoveterinario. I risultati ottenuti dimostrano che è generalmentepossibile distinguere le predazioni sul bestiamedomestico (nello specifico pecore e capre) da partedi cani o da parte di lupi. In accordo con la lette-ratura internazionale (Bowns 1976; Roy & Dor-rance 1976; Schaefer et al. 1981; Umberger etal.1996; Tapscott 1997; AA.VV., 1998a,b,c; Bauer2003), questo studio ha dimostrato che la caratte-ristica dell’attacco da parte di cani è la localizza-zione diffusa dei morsi in diverse parti del corpodella preda. La morte dell’animale attaccato non siverifica per il fatto che i morsi danneggiano strut-ture vitali ma per lo stress conseguente al poli-traumatismo, allo spavento e spesso al lungo inse-guimento. Nel caso di predazione da Lupo, invece,la lesione mortale è costituita da uno o al massi-mo due morsi (ma generalmente è unico) localizza-

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R. Fico, S. Angelucci, I. Patumi

ti esclusivamente nella regione retromandibolaredella vittima, concordemente con quanto asseritoprecedentemente da alcuni autori (Coccia 1984;Fico et al. 1998; Molinari et al. 2000). Siamo con-vinti che i parametri diagnostico-differenziali indi-viduati potranno essere utilizzati in futuro per dis-criminare con maggiore precisione gli attacchi dacane da quelli da Lupo e consentire così la gestio-ne del conflitto predatori-zootecnia sulla base didati oggettivi. Nessuna gestione efficace è possibile in assenza diuna conoscenza approfondita e scientifica del fe-nomeno.

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F. Antonelli, B. Giannuzzi Savelli, L. Boitani

Sommario:- Riassunto/Summary- Introduzione- La Politica Agricola Comune (PAC)- Politiche agricole e Conservazione

Che impatto hanno i sussidi sulle entrate degli allevatori?Che impatto hanno i sussidi sul tipo diallevamento?Che impatto hanno i sussidi sull’ambiente?Che impatto hanno i sussidi sui grandicarnivori?

Effetti sull’habitat dei grandi carnivoriEffetti sull’habitat delle specie predaDensità di bestiame e “surplus killing”Effetti sul tipo di allevamento

Conseguenze della politica di sviluppo rurale- Elementi di proposta per una riforma della PAC

per minimizzare i conflitti con i grandi carnivori- Raccomandazioni- Ringraziamenti- Bibliografia

RiassuntoLo scopo di questo articolo è di stimolare l’atten-zione sull’influenza che la Politica Agricola Comu-ne (PAC) può avere sui conflitti tra grandi carnivo-ri ed allevamenti di bestiame domestico. La PACnasce con la Comunità Economica Europea nel1957 con lo scopo di incentivare il settore agricoloin difficoltà, e nuove norme sono state approvatenel giugno 2003. Si stima che nel 2002 le entrateagli allevatori siano state in gran parte dipendentidai sussidi provenienti dalla PAC (il 79% delle en-trate relative all’allevamento di manzi e vitelli deri-va da sussidi, mentre il 48% nel caso del latte). Lapolitica di sostegno dei prezzi del mercato e i premidiretti agli allevatori, oltre che l’adattamento delleaziende a sistemi di produzione più moderni ed ef-ficienti, hanno portato ad una sovrapproduzionedi prodotti zootecnici per i quali non c’è mercato, ea cambiamenti drastici del sistema di produzione(incentivando pratiche di allevamento intensivo).Tutto questo ha avuto notevoli ripercussioni sul-l’ambiente e sulle abitudini di alcune specie difauna selvatica. La pratica dell’allevamento inten-sivo inoltre, associata allo sfruttamento eccessivo

delle prede naturali (caccia) o semplicemente allaloro cattiva gestione, ha aggravato la predazionedei grandi carnivori nei confronti degli animali do-mestici piuttosto che nei confronti delle loro predenaturali. Le nuove norme della PAC recentementeapprovate vanno in parte in una direzione positivaper la conservazione introducendo il “pagamentounico per azienda” (a beneficio dell’allevamentoestensivo) e dedicando maggiori risorse ai pro-grammi nazionali di sviluppo rurale. Bisogna peròricordare che viene lasciata agli Stati Membri lapossibilità di continuare ad erogare premi direttilegati alla produzione. Nonostante il budget dedi-cato a questi aiuti sia ridotto, rimane il rischioconcreto di trarre da questa riforma un beneficioper l’ambiente (e per i grandi carnivori nello speci-fico) molto inferiore alle aspettative. Quando sicerca di lenire i conflitti tra la zootecnia ed i gran-di carnivori è dunque necessario porre attenzioneal ruolo che gli incentivi alla produzione del setto-re zootecnico possono avere sulle pratiche di alle-vamento del bestiame. A tal fine è necessario avereun approccio multidisciplinare che coinvolga agro-nomi, biologi, economisti, sociologi oltre che le am-ministrazioni responsabili e gli allevatori.

Summary This paper aims at drawing attention on the linkbetween the common agricultural policy (CAP) andthe conflict between the livestock sector and thelarge carnivores. The CAP was first established wi-thin the European Community in 1957 with the aimof supporting the agricultural sector in difficulty,and new regulations have been approved in June2003. It is estimated that in 2002 the income of li-vestock breeders was mainly due to CAP subsidies(79% of the income of veal and beef breeders hasbeen subsidized, and 48% in the case of milk). The market price support policy and the direct sub-sidies to livestock breeders, besides the adaptationto modern and efficient production systems, lead toan overproduction of livestock products for whichthere is no market. Furthermore, the support policyled to drastic changes in the production systems(i.e., promoting intensive livestock breeding), whichresulted in a negative impact on the environmentand influenced the wild habits of wildlife species.The intensive farming system, associated with the

IL RUOLO DEI FINANZIAMENTI AGLI ALLEVATORI NEI CONFLITTITRA BESTIAME DOMESTICO E CARNIVORI SELVATICI

Role of financial support to the livestock sector in the conflicts with wild carnivores

FRANCESCA ANTONELLI*°, BARBARA GIANNUZZI SAVELLI**, LUIGI BOITANI****WWF Mediterranean Programme

**Agriconsulting SpA***Università di Roma La Sapienza, Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 64-73, 2005

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overexploitation (hunting) or improper managementof natural prey, has exacerbated depredations bylarge carnivores. New, recently approved regulations tend toward apositive direction introducing “the single farm pay-ment”, and budgeting a greater support to nationalrural development programmes. Nevertheless, themember states are given free choice to allocate pre-miums linked to the production, with the concreterisk that this reform will not be as beneficial to theenvironment (and to large carnivores in particular)as it was expected. Thus, when an effort is made tominimize large carnivores-livestock conflicts, it iswise to take into account the effects of incentives tolivestock products on livestock breeding practices.For this purpose it is necessary to approach the pro-blem with a multidisciplinary strategy involvingagronomists, biologists, economists, sociologistsand breeders as well as the responsible admini-strations.

INTRODUZIONELa Politica Agricola Comune (PAC) è lo strumentopolitico che guida gli interventi in campo agricolodegli stati membri dell’Unione Europea e, quindi,anche dell’Italia. Il suo obiettivo iniziale di rilanciodella produzione ha portato e continua a portare,oltre ad alcuni benefici per il settore agricolo,anche notevoli squilibri economici e ambientali.Attualmente, se da un lato la conservazione del-l’ambiente è considerata una priorità e deve esse-re alla base di tutte le politiche Comunitarie, allostesso tempo le strategie adottate e i mezzi messia disposizione non riflettono questa priorità.Molti studi (Beaufoy 1996, Goss et al. 1997, WWF1997) hanno dimostrato come una politica dellazootecnia basata sul supporto del prezzo alla pro-duzione e sui premi attribuiti in base al numero dicapi, spingono ad un aumento della produzione efavoriscono un surplus per il quale non c’è merca-to. Negli ultimi anni è stato evidenziato un drasti-co cambiamento delle modalità di produzione.L’allevamento estensivo sta scomparendo lascian-do il campo libero a forme più intensive (spessoanche a discapito della qualità del prodotto con in-cidenze sulla salute pubblica). L’abbandono diaree sfavorite (Less Favoured Areas o LFA) e laconcentrazione di animali domestici in alcunezone, hanno conseguenze sul mantenimento delpaesaggio rurale e sulla conservazione della biodi-versità (Goss et al. 1997). Questa evoluzione nelle modalità di produzione (equindi l’intensificazione dell’allevamento degli ani-mali domestici) ha, con forte probabilità, contri-buito ad aggravare i danni provocati al bestiamedai grandi carnivori. Pur essendo molteplici le ini-ziative e gli studi volti ad evidenziare gli effetti ne-gativi dei sussidi agli allevatori sull’ambiente, labiodiversità ed il benessere degli animali da alle-vamento (CEAS & ENFCP 2000, ENHFE & AbL2002, IEEP 2002, OECD 2002, Beaufoy et al.2003, OCSE 2003, OECD 2003a), sembrerebbeesserci inconsapevolezza sull’effetto che tali incen-tivi possono avere sui conflitti tra allevamenti e

grandi carnivori.D’altra parte, la conservazione dei grandi carnivo-ri selvatici, come il lupo, l’orso e la lince è resa dif-ficile proprio dalla predazione di queste speciesugli animali domestici (Linnell et al. 1996, Gian-nuzzi Savelli et al. 1998); nonostante i metodi tra-dizionali di prevenzione del conflitto (controllo, re-cinzioni, cani da guardiania) trovino ancora oggiuna vasta applicazione, non riescono ad eliminaredel tutto i conflitti, con la conseguenza di una rea-zione negativa nei confronti delle politiche di con-servazione dei selvatici. Questo articolo riprende i risultati di un preceden-te studio realizzato per l’iniziativa del “Large Car-nivore Initiative for Europe” sugli effetti che i sus-sidi economici all’agricoltura hanno sulla conser-vazione dei grandi carnivori selvatici (GiannuzziSavelli et al. 1998). Il suo scopo è quello di attira-re l’attenzione su un aspetto spesso trascuratoquando si affronta il tema dei conflitti tra grandicarnivori ed allevamenti, il ruolo cioè che i sussidiagli allevatori hanno su tali conflitti. Ci proponia-mo quindi di sottolineare la necessità di tenere ingiusta considerazione la multidisciplinarietà diquesta tematica e il bisogno di studi più approfon-diti che coinvolgano agronomi, biologi, economisti,sociologi oltre che le amministrazioni responsabilie gli allevatori.

LA POLITICA AGRICOLA COMUNE (PAC) Il trattato di Roma del 1957 ha sancito la creazio-ne della Comunità Economica Europea (CEE), ac-compagnando l’inizio di un nuovo mercato comu-ne con la definizione di una Politica Agricola Co-mune (PAC). L’obiettivo di questa politica era diaumentare la produttività, stabilizzare il mercato,assicurare la disponibilità dei prodotti, permettereun buono standard di vita agli agricoltori e far siche i prodotti arrivassero sulle tavole dei consu-matori a prezzi accettabili. Nel 1992 il Consiglio dei Ministri dell’Unione Eu-ropea (UE) approvò una riforma che cambiò radi-calmente la PAC (legalizzata sotto forma di vari re-golamenti CE). In effetti, gli obiettivi iniziali eranostati raggiunti ed il contesto economico era nelfrattempo mutato. Questa riforma mise fine ad unperiodo di incertezza durante il quale c’erano stativari tentativi per limitare la sovrapproduzione e icosti finanziari, tenendo in considerazione altrenecessità come l’ambiente, le entrate per gli agri-coltori e l’economia rurale. Nonostante la riformaintroducesse un cambiamento radicale del regola-mento comunitario, i meccanismi fondamentali fu-rono mantenuti ma il loro ruolo modificato. La ri-forma era basata su tre principi fondamentali:- taglio dei prezzi dei prodotti in maniera da as-

sicurare la loro competitività sul mercato inter-no ed esterno;

- l’introduzione di un compenso (premio) per li-mitare gli effetti negativi dei tagli sui prezzi;

- il controllo della produzione con l’applicazionedi misure limitative come le quote.

In più si decise di rinforzare tutte le misure legatealla protezione dell’ambiente e incoraggiare le atti-

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F. Antonelli, B. Giannuzzi Savelli, L. Boitani

vità agricole svolte con questo obbiettivo (agricol-tura estensiva e sviluppo strutturale). Si cercòinoltre di interrompere alcune attività di alleva-mento per favorire la riforestazione e le attività ri-creative.Per il dettaglio dei meccanismi finanziari che rego-lano il mercato agricolo comune introdotti dallaprima PAC, poi modificati con la riforma del 1992,si rimanda al lavoro di Giannuzzi Savelli et al.(1998). In sintesi, tali meccanismi possono essereclassificati in (a) misure classiche di supporto dimercato, (b) aiuti diretti, e (c) misure di accompa-gnamento (introdotte nel 1992). Le misure di supporto al mercato sono in atto findalla creazione della PAC e sono rappresentateprincipalmente da: prezzo d’intervento e prezzo dibase, misure all’importazione e all’esportazione,stoccaggio pubblico e privato. Gli aiuti diretti sonoinvece rappresentati dai premi agli agricoltori (pre-mio alla macellazione dei vitelli e dei bovini adulti,premio alla vacca nutrice, premio speciale, premioper pecora e premio per capra), introdotti a parti-re dal 1992 per compensare l’abbassamento delprezzo d’intervento, imposto dal rispetto di nuovedirettive commerciali decise nel quadro dell’OMC(Organizzazione Mondiale per il Commercio). Inol-tre le misure di accompagnamento permettono dicompensare l’agricoltore per il mancato guadagnolegato allo svolgimento di attività più compatibilicon l’ambiente e introducono le misure agro-am-bientali (riduzione di pesticidi e fertilizzanti, pro-duzioni più estensive di animali e piante, azioniper la promozione della conservazione dell’am-biente e delle risorse naturali, gestione di terreniabbandonati), la riforestazione di aree coltivate ela cessazione delle attività agricole.Il 15 luglio 1997 la Commissione Europea (CE)pubblicò un documento conosciuto come Agenda2000 o Agenda Santer (Doc/97/6) (CommissionEuropéenne 1997) che metteva in evidenza i biso-gni dell’Unione in termini di organizzazione e mo-dernizzazione delle sue strutture soprattutto inprevisione dell’allargamento ad Est. Un’ulterioreriforma delle PAC era necessaria per vari motivi:- rischio di nuovi squilibri di mercato (surplus di

carne bovina e prodotti non esportabili); - l’avvicinarsi di un nuovo ciclo di negoziati com-

merciali (OMC) dove l’Europa sarebbe statachiamata a rispondere del non rispetto di alcu-ni accordi presi nel 1995 e miranti ad una ri-duzione degli aiuti agli agricoltori;

- necessità di avere un’agricoltura ed un indu-stria rispettose dell’ambiente e garanti dellaqualità dei prodotti;

- l’allargamento dell’Unione Europea ai paesi del-l’Europa dell’Est.

In pratica queste nuove proposte di riforma mira-vano a continuare lo sforzo già intrapreso nel 1992di riduzione delle misure di sostegno ai prezzi,compensandole con aiuti diretti e sviluppando allostesso tempo una più forte politica di sviluppo ru-rale. L’Agenda 2000 dava quindi maggiore importanzaalle misure di accompagnamento e, rispetto alla

politica agro-ambientale, proponeva di autorizzaregli Stati Membri a pagare aiuti diretti in funzionedel rispetto da parte degli agricoltori delle varie di-rettive della Commissione Europea in campo am-bientale. Le zone svantaggiate, che spesso coincidono con lezone di più alto valore naturalistico, dovevano es-sere l’oggetto di uno studio che permettesse la de-finizione di strumenti specifici adattati alle esigen-ze locali per permettere il mantenimento e inco-raggiare l’utilizzo di metodi tradizionali che spessogiocano un ruolo importante nel mantenimentodei paesaggi e della biodiversità.Venivano infine incoraggiate, attraverso aiuti piùimportanti, specifiche attività agro-ambientalicome l’agricoltura biologica, la conservazione dihabitat semi-naturali, la conservazione dei pasco-li alpini.Il 26 giugno del 2003 è stata approvata dal Consi-glio dei Ministri una nuova riforma della PAC (re-golamento CE 1782/2003 o riforma Fischler) checambierà in maniera drastica il settore agricolo. Lapiù grande innovazione è l’introduzione di un “pa-gamento unico per azienda” indipendente dallaproduzione (così detto “disaccoppiamento”) che so-stituirà, in parte, i premi finora dati agli agricolto-ri. Questa forma di aiuto diretto dovrà servire acompensare l’ulteriore diminuzione del prezzod’intervento ma sarà progressivamente ridotta trail 2005 e il 2012 fino ad una riduzione massimadel 37%. I fondi che si libereranno grazie a questariduzione resteranno in parte nelle casse di ogniStato Membro e serviranno a finanziare ulterior-mente i programmi di sviluppo rurale nazionale.Il pagamento unico per azienda sarà vincolato alrispetto delle norme in materia di salvaguardiaambientale, sicurezza alimentare, sanità animale evegetale e protezione degli animali (cfr. allegato IIIregolamento CE 1782/2003). Inoltre viene intro-dotto l’obbligo di mantenere la terra in buone con-dizioni agronomiche ed ecologiche (regolamentoCE 1782/2003). Cercheremo di valutare in segui-to le conseguenze di questa nuova riforma sul-l’ambiente, per il momento basti dire che con il“disaccoppiamento” tra produzione e aiuti diretti,si lasceranno gli agricoltori liberi di rispondere alleesigenze di mercato e si chiederà loro di rispettarealcune “condizionalità”. La messa in opera di queste nuove norme da partedegli Stati Membri sarà in parte flessibile e il cam-biamento potrà inizialmente essere solo parzialecon un periodo transitorio che durerà fino al 2006.Terminato il periodo transitorio, gli Stati Membripotranno scegliere di escludere dal regime di pa-gamento unico alcune categorie di pagamenti di-retti (disaccoppiamento parziale ad esempio per lecarni bovine e ovi-caprine) per evitare l’abbandonodella produzione. In ogni caso dovranno essere ri-spettate le soglie annuali stabilite (per l’Italia2.882 MEUR dal 2007 e anni successivi). Inoltreviene lasciata la possibilità di adattare alcune re-gole a livello regionale. Gli Stati Membri possonodecidere, all’interno di regioni individuate secondocriteri oggettivi, di distribuire agli agricoltori il

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massimale definito per regione. Il pagamento inquesto caso non sarebbe in funzione dei diritti sto-rici (triennio di riferimento 2000-2002), ma in baseagli ettari disponibili con l’esclusione delle coltiva-zioni arboree (Regione Toscana et al. 2003).

POLITICHE AGRICOLE E CONSERVAZIONEChe impatto hanno i sussidi sulle entratedegli allevatori?Nell’ambito di una discussione sulla prevenzione emitigazione dei conflitti tra allevamenti e grandicarnivori riteniamo pertinente una riflessione sul-l’impatto che i sussidi hanno sulle entrate degli al-levatori. La misura più frequentemente usata perquantificare l’influenza delle misure di sostegnosulle entrate degli agricoltori è il PSE (ProducerSubsidy Equivalent). Il PSE misura la percentualedelle entrate dei produttori dovuta alla politica disostegno dell’agricoltura, laddove la restante parterappresenta le entrate “genuine” (senza supporto).Questo tipo di misurazione può essere applicata intutti gli stati e per ogni tipo di supporto e com-prende ogni tipo di misura di sostegno (supportoal mercato, i pagamenti diretti, la riduzione ol’aumento dei costi di produzione, il supportoindiretto).In Tab. 1 riportiamo una stima del PSE nei diver-si settori dell’allevamento fatta dall’OCSE (Orga-

nizzazione per la Cooperazione allo Sviluppo Eco-nomico), la principale organizzazione internazio-nale indipendente attiva nel settore economico,per l’Unione Europea, la Svizzera e la Norvegiaprima della riforma del 2003 (dati relativi al 2002).Risulta evidente come le entrate degli allevatorieuropei dipendano in gran parte dai sussidi pro-venienti dalla PAC (arrivando al 79% per l’alleva-mento di manzi e vitelli, e al 49% per il latte). Nelcaso della Svizzera e della Norvegia le percentualiraggiungono addirittura l’80% (Svizzera) e il 77%(Norvegia) per il latte, e valori simili per gli altriprodotti.In un lavoro forse ormai datato ma estremamenteemblematico, Goss et al. (1997) hanno propostoun calcolo più dettagliato del PSE nell’Unione Eu-ropea, cercando di far risaltare l’incidenza dellemisure di supporto diretto e di quelle di sostegnodel mercato rispetto alle entrate “genuine” delmercato mondiale (Tab. 2).La politica di supporto aumenta sostanzialmente iprezzi dei prodotti zootecnici, portando quelli dellacarne di manzo e della carne di pecora a un livel-lo di circa il 50% superiore a quello mondiale ed illatte ad addirittura due volte il prezzo mondiale.Studi economici hanno dimostrato che se il prezzodi un prodotto aumenta, l’agricoltore tende a pro-durne di più (Goss et al. 1997). Contemporanea-

PSE % (2003)__________________________________________________________________________

Prodotto Unione Europea Svizzera Norvegia__________________________________________________________________________________________________

Latte 48% 79% 39%

Manzo e vitello 26% 38% 6%

Carne ovina 80% 77% 81%

Carne di maiale 67% 83% 81%

Pollame 77% 84% 82%

Uova 57% 63% 11%

Tabella 1 - PSE (Producer Subsidy Equivalent) per l’Unione Europea, la Svizzera e la Norvegia relativo ai diver-si settori zootecnici (Dati OECD, 2003).

Prodotto Supporto diretto Supporto al mercato Entrate genuine del marcato (non finanziate)

__________________________________________________________________________________________________

Latte 0% 40% 41% Manzo e vitello 0% 0% 25-63%Carne ovina 20% 18% 10% Carne di maiale 23% 37-75% 40% Pollame 41% 90% 77%

Tabella 2 - PSE (Producer Subsidy Equivalent) per l’Unione Europea relativo ai diversi settori zootecnici e det-tagliato per categorie di supporto (Dati Goss et al. 1997).

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mente, la carne bovina od ovina che viene vendu-ta sul mercato ad un prezzo sostenuto, riceve unulteriore surplus di “prezzo” comparabile al prezzodel mercato mondiale (vedi prima e terza colonnadi Tab. 2) sotto forma di pagamento a capo di be-stiame. Questo fa sì che alcuni allevatori produca-no carne per la quale praticamente non c’è merca-to, grazie all’esistenza dei premi a capo. Un esempio eclatante viene dalla Spagna. Quandoquesto paese entrò a far parte della Comunità Eu-ropea, l’esistenza di un premio per pecora portò adun rapido aumento della produzione (Beaufoy1996). Allo stesso modo per i paesi dell’est Euro-pa, ci fu una notevole diminuzione della produzio-ne quando furono eliminati gli aiuti statali.

Che impatto hanno i sussidi sul tipo di alleva-mento?In Italia (ma in generale in tutta Europa, sia nel-l’Unione che nei paesi esterni all’UE), l’approcciogenerale è quello di sostenere l’allevamento attra-verso misure di supporto più o meno incisive sulleentrate dei produttori, a seconda del Paese o delsettore zootecnico. In conseguenza di tali aiuti, iproduttori adattano i loro metodi di produzione inmodo da permettere un’ottimizzazione del guada-gno. In sostanza nell’Unione, la PAC ha di fattoportato alla produzione di un surplus di prodottiagricoli con conseguente aumento delle spese perla Comunità Europea. Questo senza però risolverecon efficacia i problemi di guadagno della maggiorparte degli agricoltori; infatti, gran parte dei fondi(80%) spesi nell’ambito della PAC va a finire nelletasche di un ristretto numero (20%) di grandiaziende; questa iniquità viene sottolineata anchedal continuo esodo dalle campagne (WWF 1997).Anche se molti sistemi di produzione tradizionalisono cambiati grazie all’avvento di nuove tecnolo-gie più vantaggiose dal punto di vista economico(meccanizzazione, recinzioni metalliche, selezionegenetica di foraggi più produttivi, fertilizzanti allaportata di tutti, etc.), va evidenziato che la PAC hasenz’altro facilitato il passaggio da una produzioneestensiva ad una intensiva, come anche dimostra-to da uno studio dell’Institute for European Envi-ronmental Policy (Baldock et al. 2002). In genera-le, come evidenziato da Goss et al. (1997), la pos-sibilità di guadagnare di più producendo di più(grazie a prezzi di vendita alti ed ai premi) spingel’allevatore a:1. migliorare le capacità produttive dei pascoli per

poter aumentare la densità di animali in questezone (seminando, aumentando l’uso dei fertiliz-zanti, fornendo foraggio supplementare al be-stiame, etc.);

2. aumentare la superficie totale di area adibita apascolo (annessione di aziende meno produtti-ve, lavoro di terre prima non coltivate, conver-sione di coltivi in pascolo, etc.).

3. adottare un tipo di gestione più intensiva peraumentare le produttività del singolo animale(utilizzo di razze più performanti, utilizzo mag-giore di medicinali).

Gli effetti della PAC sull’allevamento delle vacche

da latte differiscono in modo sostanziale da quellisull’allevamento delle pecore e dei bovini da carne.Mentre il sistema dei premi per capo di bestiamepuò spingere l’allevatore a superare il numero ot-timale di animali per ettaro pur di avere il maggiornumero possibile di premi, con il sistema dellequote latte l’allevatore deve mirare ad una ottimiz-zazione della produzione di latte per avere i mi-gliori vantaggi; non esiste infatti un premio a capoper le vacche da latte, dunque il guadagno dell’al-levatore dipende dalla quantità di latte prodotto dauna vacca e non dal numero di vacche.Semplificando, si potrebbe affermare che mentre ilprimo sistema può portare più facilmente a situa-zioni di pascolo eccessivo, il secondo spinge all’u-tilizzo di grandi quantitativi di sostanze azotate epesticidi per migliorare la produttività dei pascolie quindi la qualità e quantità di latte. Questo tipodi politica, inoltre, anche se non rappresenti l’uni-ca causa diretta, ha contribuito al passaggio da unallevamento di tipo misto (vacche, pecore, cavalli)ad uno monospecifico. In Scozia, ad esempio, negliultimi anni si è passati da un allevamento mistoad uno specializzato (relativamente intensivo) disole pecore, con un rapporto di 53,5 pecore pervacca nel 1992 rispetto alle 10,5 pecore per vaccadel 1945, con un cambiamento sostanziale che ri-sale al 1980 quando è stato introdotto dalla PAC ilsussidio diretto per pecore e capre (Bignal 1996).Pur essendo difficile provare una relazione causa-le diretta tra il premio alle pecore ed il loro incre-mento a discapito delle vacche, è rilevante notarecome ciò sia avvenuto proprio negli anni ‘80.Con la politica di supporto attuale, viene anche fa-vorito l’allevamento di specie particolari dipenden-temente dal tipo di area considerata (ad esempio:pecore nelle zone collinari della Gran Bretagna evacche nelle “dehesas” spagnole); questo avvieneperché gli allevatori tendono ad adattare local-mente il tipo di gestione basandosi sul modo piùsemplice per aumentare il numero di animali equindi ottenendo il maggior profitto dai pagamen-ti per capo (Goss et al. 1997).Per comprendere i meccanismi dei supporti agli al-levatori sul tipo di allevamento è interessante ri-cordare l’effetto che ha avuto la fine del sostegnoal consumo di carne e la mancanza di uno sboccocommerciale verso la Russia nei paesi dell’est Eu-ropa. Con il crollo degli aiuti finanziari è anchecrollata la produzione di carne e, nella maggiorparte di questi paesi, la politica attuale dei sussi-di (ridotti rispetto al passato) mira principalmentead ottenere un prodotto di qualità (razze selezio-nate).Infine il caso della Svizzera e della Norvegia. En-trambi questi paesi godono di una sostanziale po-litica di supporto agli allevatori. In Svizzera, nel1996 il sussidio diretto per pecora è arrivato a 560CHF e, secondo i dati dell’OECD (Organization forEconomic Co-operation and Development), la cifraspesa da questo paese nello stesso anno per tuttoil settore dell’allevamento è stata pari a 2,4 miliar-di di CHF (circa 1,6 miliardi di dollari) su un tota-le di 4 miliardi di CHF (2,7 miliardi di dollari) per

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tutto il settore dell’agricoltura; vale a dire che il60% delle spese dedicate all’agricoltura sono daattribuire al supporto agli allevamenti. In Norve-gia, allo stesso modo, le spese per il settore sonoingenti. Nel 1996 i pagamenti diretti agli allevatorihanno comportato una spesa di 2,7 miliardi diNOK (circa 372 milioni di dollari; dati OECD). Iltasso di sostegno per una pecora rappresentaquasi i due terzi del suo valore sul mercato (Kac-zensky 1996). In entrambi i paesi la gestione delpatrimonio ovino non rappresenta, in gran partedei casi, una occupazione a tempo pieno ma bensìun impiego o attività secondaria. Gli ingenti finan-ziamenti portano ad uno scarso interesse da partedell’allevatore a rendere il suo allevamento piùproduttivo e più competitivo (Kaczensky 1996), ela produttività di questo tipo di allevamenti risen-te notevolmente dell’assoluta mancanza di cure(scarsa sorveglianza, poche cure veterinarie, scar-sa gestione dei pascoli, etc.; Marty 1996). D’altraparte, sia la Svizzera sia la Norvegia giustificanoquesti alti sussidi all’allevamento come un contri-buto al mantenimento di presenza e attivitàumana nei comparti montani altrimenti destinatiall’abbandono. Inoltre, il mantenimento del pae-saggio montano tradizionale (risorsa particolar-mente apprezzata in Svizzera) è possibile solo sesono mantenute anche le attività tradizionali diutilizzo delle risorse.

Che impatto hanno i sussidi sull’ambiente?Al di là delle relazioni conflittuali tra grandi carni-vori ed un certo tipo di allevamento, esistono altritipi di interferenze (positive e negative) tra l’alleva-mento e le risorse ambientali (od il paesaggio in ge-nerale). Per una esaustiva recensione della lettera-tura in proposito rimandiamo a Goss et al. (1997).Gli indicatori ambientali più spesso usati per mi-surare lo stato di salute delle praterie sono la florae l’avifauna, in particolare la diversità delle specie(numero delle specie e/o abbondanza relativa). Iprincipali fattori legati ai sistemi d’allevamento,che influiscono sull’ambiente naturale sono: laquantità e periodicità dell’uso di fertilizzanti, il nu-mero di animali per unità di superficie e il periododi permanenza sul pascolo, il periodo di taglio delfieno ed altri tipi di foraggio (insilati). Spesso “l’in-terferenza” si risolve in un impatto negativo del-l’allevamento sull’ambiente (basti citare l’uso di er-bicidi tossici alla flora ma anche alla fauna, l’ero-sione del suolo dovuta al numero eccessivo di capiper superficie, etc.); in altri casi, del resto, gli ani-mali al pascolo possono avere effetti benefici: im-pedendo la colonizzazione da parte di alberi ed ar-busti di alcune zone di prateria (mantenendoquindi invariato il paesaggio e la diversità di am-bienti necessaria per molte specie di piante ed ani-mali), controllando la crescita dell’erba (che è unfattore critico per gli uccelli nidificanti al suolo epiante da fiore). Si può infine aggiungere che,quando gli allevamenti sono gestiti con scarso in-teresse da parte del proprietario, come nel casodella Svizzera (Marty 1996), spesso vengono amancare le conoscenze di base per una corretta

gestione (che fa la differenza tra interferenza ne-gativa o positiva). Questo può portare a conse-guenze dannose per l’ambiente: gli animali lascia-ti liberi di pascolare in zone ristrette tendono adesaurire tutte le risorse disponibili. Le praticheabituali di alternanza dei pascoli attuate per per-mettere la rigenerazione delle zone già sfruttatevengono dunque a mancare, causando un conti-nuo e spesso irreversibile impoverimento di taliaree.

Che impatto hanno i sussidi sui grandicarnivori?Come abbiamo visto la politica di sostegno dei prez-zi del mercato e i premi diretti agli allevatori, oltreche l’adattamento delle aziende a sistemi di produ-zione più moderni ed efficienti, hanno portato acambiamenti drastici del sistema di produzione.Tutto questo ha avuto notevoli ripercussioni sul-l’ambiente e sulle abitudini di alcune specie difauna selvatica. La pratica dell’allevamento intensi-vo, associata allo sfruttamento eccessivo delle predenaturali (caccia) o semplicemente alla loro cattivagestione, ha incrementando la predazione dei gran-di carnivori nei confronti degli animali domesticipiuttosto che nei confronti delle loro prede natura-li. Di seguito riportiamo alcune delle conseguenzeindirette che questi metodi di produzione hannoavuto o potrebbero avere sui grandi carnivori.

- Effetti sull’habitat dei grandi carnivoriIl cambiamento dei metodi di allevamento versouna sempre maggiore concentrazione e intensifi-cazione delle attività ha portato spesso all’abban-dono di vaste aree marginali. L’abbandono dei pic-coli centri rurali con connessa interruzione dell’at-tività pastorale in molte zone di montagna e isola-te, se da un punto di vista socio-economico puòessere interpretato negativamente, d’altro cantoha portato negli ultimi anni ad una lenta ricolo-nizzazione di queste aree da parte dei grandi car-nivori. Si tratta di zone che proprio grazie a questoabbandono hanno potuto riconquistare la loro“selvaticità” permettendo la ricostituzione di habi-tat consoni alla sopravvivenza dei grandi carnivo-ri. In effetti si tratta di specie generalmente schive,il cui habitat è largamente composto da aree a co-pertura arborea e arbustiva, soprattutto nei postiscelti per le tane e le zone di rifugio. Questa ricolonizzazione è stata resa possibileanche grazie alla esistenza o ricostituzione di areedi connessione con poca o scarsa presenza antro-pica che hanno permesso e permettono l’espansio-ne delle popolazioni verso nuove aree idonee(Blanco 1995 in Beaufoy 1996, Ciucci e Boitani1998). Zone un tempo abitate dall’uomo e dove si svolge-vano attività agricole e di allevamento, hanno la-sciato il posto a campi e pascoli abbandonati dovearbusti ed alberi hanno preso o stanno riprenden-do il sopravvento a tutto vantaggio della fauna sel-vatica. Ma l’abbandono delle aree marginali haanche conseguenze negative per i grandi carnivo-ri. A prescindere dal conflitto che storicamente esi-

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ste tra allevatori e grandi carnivori, la presenza dibestiame domestico, in aree di interesse per laconservazione dei grandi carnivori, se mantenutaa livelli bassi (allevamento estensivo) può esserevista positivamente; in effetti per questi animali sitratta di una fonte di sostentamento aggiuntiva(Ciucci e Boitani 1998). D’altra parte, se si rag-giungono densità elevate di bestiame per unità disuperficie gli effetti saranno invece negativi, sia acausa del deterioramento fisico dell’ambiente (im-poverimento del suolo, disboscamento, erosione,etc.), sia per il disturbo indiretto legato ad una au-menta presenza antropica che ne deriverebbe.

- Effetti sull’habitat delle specie predaIndirettamente, l’assenza totale di bestiame, puòportare degli svantaggi per alcune delle speciepreda naturali dei grandi carnivori. Piccoli e gran-di ungulati necessitano spesso di un certo livellodi eterogeneità ambientale, tale da facilitare diver-se tipologie strutturali ed ecologiche (ad esempio,zone di prateria dove nutrirsi e zone arbustivedove rifugiarsi). Questo livello di mosaicatura delpaesaggio è stato spesso il risultato di pratichetradizionali dell’agricoltura e dell’allevamento delbestiame; pratiche come la transumanza, adesempio, hanno dato la possibilità a molte speciedi fauna di vivere in ambienti altrimenti inospitali(Beaufoy 1996).

- Densità di bestiame e “surplus killing”Il “surplus killing” è stato definito come “l’uccisio-ne di una preda da parte di un predatore senzache lo stesso predatore (o la sua prole o i membridella stessa unità sociale) consumi la preda, non-ostante ci sia libero accesso alla carcassa e, gene-ralmente, la specie preda in questione sia mangia-ta da quel predatore. Questo fenomeno osservatoin varie specie di predatori, è raro in natura ed èstato suggerito che sia la conseguenza di un com-promesso comportamentale tra il predatore e lapreda che vanno incontro a necessità ambientalidiverse” (Kruuk 1972). Sebbene l’applicazione delconcetto di surplus killing ad un contesto domesti-co sia discutibile (cfr. Ciucci & Boitani 1998), lecondizioni artificiali di alta densità nelle quali sitrova il bestiame d’allevamento, unite alla facilitàdi predazione, possono innescare questo compor-tamento predatorio, con la conseguenza di notevo-li danni (Kaczensky 1996) ed aumento dei conflit-ti (vedi anche Ciucci & Boitani, questo volume).

- Effetti sul tipo di allevamentoLa Politica di sostegno all’allevamento ha portatoad un annullamento della diversificazione degli al-levamenti (in termini di specie allevate). L’impattodella predazione su allevamenti misti (vacche, pe-core e capre) è molto inferiore di quello che si hasu allevamenti di sole pecore o capre (Kaczensky1996). Inoltre in molti Paesi, come per esempio inSvizzera, gli allevamenti bovini sono stati sostitui-ti da quelli ovini che sono risultati essere moltopiù vulnerabili alla predazione (Marty 1996). Lerazze locali di bestiame sono state sostituite da

razze più produttive, com’è avvenuto nella ForestaNera in Germania (Luick 1996), con conseguenteperdita dell’istinto anti-predatorio (Kaczensky1996) e quindi creando un aumento della vulnera-bilità del bestiame. Uno dei pochi studi che haanalizzato in Europa le variabili che rendono unallevamento vulnerabile è stato effettuato in Nor-vegia (Kaczensky 1999). Esso dimostra come l’uni-ca variabile ad essere correlata positivamente allagravità del danno sia il tipo di allevamento, piutto-sto che la consistenza della popolazione del preda-tore o il numero di prede disponibili: il livello dipredazione è massimo negli allevamenti estensividi pecore non custoditi (Kaczensky 1999).

Conseguenze della politica di sviluppo ruraleCome illustrato in precedenza, alcuni sussidi rap-presentano le cosiddette misure di accompagna-mento. Tali misure mirano a stimolare attività al-ternative all’agricoltura e all’allevamento, adesempio incoraggiando lo sviluppo di attività ri-creative come l’agriturismo. Se, da un lato, tali at-tività possono portare benefici socio-economici inaree svantaggiate ed a rischio di abbandono, dal-l’altro possono avere conseguenze negative sullaviabilità delle popolazioni di grandi carnivori. Inalcune aree particolarmente interessanti dalpunto di vista ambientale e dove sono presentigrandi carnivori, e soprattutto dove le loro conser-vazione è considerata una priorità, lo sviluppo ditali attività dovrebbe essere favorito solo in segui-to a studi d’impatto ambientale. Come il ritorno aduna condizione di maggiore naturalità di alcunearee ha permesso la recente ricolonizzazione divarie specie, un recupero della pressione antropi-ca in queste zone potrebbe avere effetti negativi.

ELEMENTI DI PROPOSTA PER UNA RIFORMADELLA PAC PER MINIMIZZARE I CONFLITTICON I GRANDI CARNIVORIEsistono vari metodi per ridurre i conflitti tra be-stiame domestico e grandi carnivori. Le strategie ele tecniche che maggiormente sono state speri-mentate e ritenute più o meno efficaci sono: lascelta della specie da allevare e più in particolaredelle razze con un istinto più gregario; recinti, canida guardiania e controllo diretto del pastore; so-stanze repellenti e collari protettivi; incrementodelle popolazioni di prede naturali; rimozione degliindividui particolarmente problematici; esclusionedel bestiame dalle zone più a rischio; pagamentodi indennizzi per i danni subiti (Linnell et al. 1996;Ciucci & Boitani, questo volume). La scelta dei me-todi da utilizzare per ridurre i conflitti deve in ognicaso essere adattata alle condizioni locali e, prefe-ribilmente, articolata su una combinazione di piùmetodi.Anche se la PAC è stata appena revisionata e ag-giornata (2003) è a nostro avviso evidente che èancora molto lontana dalle esigenze di conserva-zione dei grandi carnivori e dal favorire una coesi-stenza stabile tra carnivori e attività zootecniche.Non è prevedibile una revisione ulteriore della PACin tempi brevi, ma riteniamo comunque utile

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indicare le aree di possibile miglioramento. Di se-guito riportiamo sinteticamente i punti più salien-ti dando particolare enfasi ai benefici attesi per laconservazione dei grandi carnivori. Alla luce del-l’impatto che la politica di supporto ha sull’am-biente, è stato proposto da diversi autori (Goss etal. 1997, WWF 1997) un tipo di approccio diffe-rente da quello attuale. I punti principali sono: (a)la suddivisione dell’Unione Europea in aree agro-ambientali, (b) l’introduzione di un sostegno eco-nomico agli allevatori che sia indipendente dallaproduzione (che sostituisca gli “headage pay-ments”, o pagamenti a capo, e gradatamenteanche il supporto al prezzo di mercato), e (c) unadattamento di questo sostegno sulla base dellaqualità dei pascoli.Le nuove norme approvate nel giugno 2003 (rego-lamento CE 1782/2003) vanno in parte in questadirezione introducendo il “pagamento unico perazienda” e permettono una maggiore flessibilità alivello locale consacrando un budget maggiore peri programmi nazionali di sviluppo rurale. Nellamaggior parte dei casi questo nuovo pagamentodovrebbe portare ad una riduzione nel numero dianimali a beneficio del recupero di alcuni ambien-ti a favore della fauna. Rimangono però moltidubbi sulla pertinenza di alcune scelte dell’attua-le riforma. Se da un lato la nuova politica tenderàa non incentivare la produzione, dall’altro la man-canza di un legame tra l’elargizione dei “premi” e iltipo di utilizzo del suolo rischia di causare ancorapiù danni per l’ambiente (p. es., Beaufoy et al.2003). Idealmente, andrebbe studiata anche lapossibilità di una zonazione definendo delle cate-gorie per zone geografiche d’interesse ambientale enecessità socio-economiche diverse, nelle quali lapolitica per l’allevamento possa essere adattataalle esigenze locali (diversi tipi di sostegno econo-mico, diversa densità di bestiame a seconda dellaproduttività dei pascoli, etc.; Goss et al. 1997,Giannuzzi Savelli et al. 1998).Nella definizione delle aree agro-ambientali a livel-lo europeo andrebbero presi in considerazioneanche criteri tali da permettere la messa in operadi sistemi di tutela per i grandi carnivori. Nellezone di alto interesse per la conservazione di que-ste specie gli allevatori dovrebbero essere soggettiad un numero di restrizioni adattate al contestolocale (p. es., limitazione del numero di animali osulla scelta della specie), tenendo sempre presen-te che, in queste zone, la necessità è quella di sco-raggiare il contatto tra bestiame e grandi carnivo-ri (adozione di tecniche anti-predazione). Questearee rappresenterebbero una percentuale limitatadell’area di distribuzione di ogni specie di grandecarnivoro e includerebbero solo gli spazi assoluta-mente strategici (come le aree di riproduzione) perla conservazione della specie. Per l’adozione di talimisure da parte degli allevatori, potrebbe essereprevisto il pagamento di un premio supplementa-re (un sussidio per cessazione dell’attività potreb-be anche essere previsto). Il pagamento di un pre-mio annuale di questo tipo, andrebbe a sostituiregli indennizzi attualmente percepiti dagli allevato-

ri per compensare i danni subiti e, essendo decisoa livello comunitario, rappresenterebbe una sem-plificazione delle procedure e dei controlli ammini-strativi a livello locale. Restrizioni meno forti potrebbero essere applicatein aree meno fondamentali per la sopravvivenzadella specie, ma comunque importanti per per-mettere di avere popolazioni vitali. Con queste mi-sure verrebbe ufficializzato a livello comunitario ilproblema dei conflitti tra bestiame domestico egrandi carnivori, dando quindi una maggiore visi-bilità politica e rilevanza alla conservazione di que-ste specie.

RACCOMANDAZIONIQuello che gli autori intendono evidenziare in que-sto lavoro è la necessità di considerare l’influenzadei supporti comunitari al settore zootecnico comeun elemento chiave nella gestione dei conflitti traallevatori e grandi carnivori. Molto resta da fare inquesto campo e, in questa prospettiva, si fornisco-no di seguito alcuni ulteriori spunti di riflessione: - Il pagamento degli indennizzi per le perdite cau-

sate dalla predazione raggiunge livelli a voltemolto alti in gran parte dei paesi dell’Unione(Giannuzzi Savelli et al. 1998). È fondamentalesensibilizzare gli allevatori sull’utilizzo di meto-di di gestione adattati ad una coesistenza con igrandi carnivori e coinvolgerli direttamentenelle discussioni sulla conservazione di questespecie. Spesso l’intolleranza è causata da igno-ranza sia della biologia di queste specie sia delletecniche e dei mezzi utilizzabili per ridurre iconflitti. E’ importante che l’allevatore si rendaconto che i suoi problemi vengono presi in con-siderazione concretamente sia dall’amministra-zione (p. es., Tropini, questo volume; Angelucciet al., questo volume) che dai diversi gruppi am-bientalisti, e allo stesso tempo gli devono essereforniti i mezzi per poter avere una visione obiet-tiva di tutti i fattori implicati (economici, socia-li, biologici, etc.).

- La ricerca dell’opzione più consona alla risolu-zione del problema su scala locale (pagamentolegato all’utilizzo di tecniche anti-predatorie,sussidio annuale o assicurazione) deve esserequindi fatta con un approccio il più possibil-mente partecipativo, coinvolgendo le associazio-ni locali di categoria (allevatori) e gli esperti delsettore (biologi, agronomi e agro-economisti),mettendo in luce l’impatto a breve e lungo ter-mine dell’opzione scelta (danni al bestiame,danni all’habitat, rischio di uccisione dei carni-vori da parte degli allevatori).

- Nel caso dell’Italia la gestione dei premi direttiavviene attraverso una struttura nazionale(AGEA - Agenzia per l’Erogazione in Agricoltu-ra), mentre le Regioni sono responsabili della re-dazione dei Programmi di Sviluppo Rurale Plu-riennali. Alla luce del nuovo regolamento CE1782/2003 sarebbe importante realizzare unostudio che integrasse gli aspetti agricoli, ecolo-gici, economici e sociologici per vedere come a li-vello di ogni Regione possano essere presi in

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considerazione gli strumenti più idonei per la ri-duzione dei conflitti. Solo dopo una valutazioneattenta di tutti gli elementi che concorrono acreare il problema si potranno avanzare propo-ste concrete e durevoli e forse anche più facil-mente accettabili da tutte le parti.

- La nuova riforma entrerà in atto nel 2005 ed iprimi risultati dovrebbero cominciare a vedersiabbastanza rapidamente. Dal momento cheprobabilmente alcuni paesi sceglieranno dimantenere almeno in parte il vecchio regime dipremi, bisognerà monitorare da vicino l’anda-mento del settore e fare in modo che le valuta-zioni intermedie, previste dal regolamento, ven-gano effettivamente realizzate e costituiscanouna opportunità per apportare i cambiamentinecessari. Alcuni Stati potrebbero scegliere l’op-zione di usare il “disaccoppiamento” il menopossibile, argomentando questa scelta con il ri-schio di veder ridotta al minimo la produzionein alcune zone (soprattutto le più svantaggiate)(Häring et al. 2004).

- L’impatto che la PAC può avere sull’ambiente insenso lato (e, quindi, grandi carnivori inclusi)non può essere negletto. Alla luce di un recentesondaggio dell’Unione Europea condotto dal-l’European Opinion Research Group su uncampione di 16,041 cittadini europei, la PACdeve essere uno strumento di salvaguardia deipiccoli agricoltori, dei prodotti agricoli sicuri esalubri, nonché dell’ambiente (EORG 2002).

- Poiché i governi dei paesi dell’OCSE hanno con-cordato la progressiva rimozione o riforma entroil 2010 (OECD 2001) delle politiche agricole edelle sovvenzioni che hanno effetti pregiudizie-voli sull’ambiente, riteniamo che tale operazionedebba essere fatta anche alla luce dell’influenzache i sussidi agli allevatori hanno sulla conser-vazione dei grandi carnivori.

- Va infine ricordato che mentre i fondi per finan-ziare i pagamenti diretti e il sostegno ai mercatidella PAC (Pilastro 1) provengono dal budget Eu-ropeo, gli aiuti previsti per le misure agro-am-bientali, l’agricoltura biologica e le zone sfavorite(Pilastro 2) provengono in parte direttamentedagli Stati Membri. Ma è un rischio voler finan-ziare il Pilastro 2 solo attraverso i budget nazio-nali, in quanto i risultati dipenderebbero dall’ef-ficienza delle amministrazioni nazionali e dallaloro disponibilità finanziaria, con il rischio di unadisparità all’interno dell’Unione. E’ altresì impor-tante che le misure di supporto adottate nel qua-dro del Pilastro 1 non scompaiano totalmente mache prendano in maggior considerazione le con-seguenze ambientali (Beaufoy et al 2003).

RingraziamentiQueste riflessioni sono state possibili grazie all’op-portunità offerta agli autori nel 1997 dal LargeCarnivore Initiative for Europe del WWF Interna-zionale e dall’Istituto di Ecologia Applicata. Un rin-graziamento al dott. Paolo Ciucci per lo spunto of-fertoci nel presentare questa sintesi dello studiooriginale.

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RiassuntoL’Unione Europea ha favorito e finanziato neglianni scorsi numerosi progetti per la conservazionedei grandi carnivori. Il progetto Life Co-op “Carni-vori e Zootecnia: strumenti per la prevenzione deldanno”, (LIFE2002 NAT/CP/IT/000046), di cui èbeneficiario il WWF Italia, è stato finanziato nel2002 ed ha avuto, come obiettivo principale, l’ana-lisi dell’utilizzo dei sistemi di prevenzione e mitiga-zione dei danni causati dai grandi carnivori selva-tici adottati in alcuni progetti LIFE Natura finan-ziati in Italia. Sono stati quindi coinvolti nel pre-sente LIFE Co-op vari progetti LIFE realizzati tra il1998 ed il 2002 in diverse zone su scala naziona-le e di cui sono stati beneficiari vari enti ed istitu-zioni (Enti Parco, Regioni, Corpo Forestale delloStato, Associazioni ONG ambientaliste). Lo scopodel progetto è stato quello di valutare se i vari pro-getti LIFE Natura, grazie alle azioni intraprese, ab-biano, tra gli altri risultati, facilitato una modifica-zione dell’atteggiamento degli allevatori nei con-fronti dei grandi carnivori. Non ha costituito obiet-tivo del LIFE Co-op un’analisi critica e di piùampia portata sull’efficacia dei diversi progettiLIFE Natura in merito alla mitigazione dei conflit-ti fra grandi carnivori e zootecnia. Complessivamente, nei progetti LIFE Natura con-siderati in quest’indagine sono stati coinvolti 142allevatori tra Alpi (Piemonte e Friuli Venezia Giu-lia), Appennino settentrionale (Parco Regionale delGigante, Emilia Romagna) e centro-meridionale(Parchi Nazionale della Majella, Gran Sasso, Sibil-lini, Pollino). Agli allevatori sono state affidate retimobili elettrificate, recinzioni fisse e sono stati as-segnati cani da guardiania mastini abruzzesi (siacuccioli, sia adulti). Ai fini della presente indagine, due schede di rac-colta dati (una per i cani, una per le recinzioni)sono state compilate nel corso di interviste con-dotte su un campione di 48 allevatori, il 33.8% ditutti quelli interessati dai precedenti progetti LIFE.Degli allevatori intervistati, il 50% erano stati do-tati di cani mastini abruzzesi, il 77% di recinzionielettrificate, e il 12,5% di recinzioni metallichefisse (nell’ambito dei precedenti progetti LIFE al-cuni allevatori avevano ricevuto in dotazione sia

recinzioni elettrificate, sia mastini abruzzesi). Lamaggior parte (68,2 %) degli intervistati si è rite-nuta soddisfatta dell’utilizzo dei cani da guardia-nia, con le maggiori perplessità in merito alla diffi-coltà di gestione dei cani. Il livello di soddisfazionesull’uso delle recinzioni è inferiore rispetto a quel-lo relativo ai cani e, in entrambi i casi, si sono ri-levate differenze geografiche. Le reti mobili elettri-ficate sono state ritenute soddisfacenti dagli alle-vatori delle Alpi (69,2 % di soddisfatti), in virtùdella loro facilità di montaggio e spostamento,mentre nell’Appennino centrale tali sistemi sonostati giudicati meno positivamente (27,7 % di alle-vatori soddisfatti). Tra i maggiori svantaggi di que-ste reti sono state indicate la scarsa robustezza e iproblemi legati al loro funzionamento dal punto divista elettrico. Le recinzione metalliche fisse, uti-lizzate solo nel Parco del Gigante, sono sembrate lepiù soddisfacenti per gli allevatori, sebbene tale si-stema sia però relativamente costoso ed è applica-bile solo in alcuni contesti. I risultati ottenuti ven-gono illustrati e discussi ai fine di mettere in lucealcune conclusioni sulla funzionalità e tipologiadelle tecniche di prevenzione utilizzate e suggeri-menti per applicazioni future. In particolare, si ri-conosce la necessità di una migliore e più conti-nuativa assistenza tecnica agli allevatori che adot-tano le strumentazioni di prevenzione e l’impor-tanza di un monitoraggio per valutarne l’efficacianel lungo periodo.

SummaryThe European Union promoted and funded severalLIFE Projects on large carnivore conservation. As apart of the LIFE Coop Project NAT/CP/IT /000046funded to WWF Italy by the European Union, a sur-vey has been carried in summer 2003 on damageprevention methods adopted within some LIFE Na-ture Projects in Italy. We therefore evaluated pre-vention measures provided in several LIFE projectscarried out in the years 1998-2002 at the nationalscale and funded to various Institutions (Park andRegional Administrtions, Forestry Service, Environ-mental NGOs). The main goal of the project hasbeen the assessment of the extent to which LIFENature projects, among other achievements, facili-

M. Caporioni e C. Teofili

CONFLITTI TRA CARNIVORI E ZOOTECNIA, INDAGINE SULL’UTILIZZO DEI SISTEMI DI PREVENZIONE

DEI DANNI NEI PROGETTI LIFE

Large Carnivore - Livestock conflicts: assessing the use of prevention methods adopted by some Italian

LIFE Nature projects

MARCO CAPORIONI*° E CORRADO TEOFILI***via Casoria 47, Roma

* WWF Italia

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 74-87, 2005

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tated an improved attitude of farmers toward largecarnivores. We did not attempt a comprehensiveevaluation of the effectiveness of LIFE Nature pro-jects in their main goal of mitigating large carnivo-res – human conflicts.During the LIFE Nature projects included in thisanalysis, a total of 142 farmers, living from the Alpsto the Northern and Central-southern Apennines,received damage prevention systems (electric andpermanent anti-predator fences, and Maremmaguarding dogs). During the survey, one of the authors visited and in-terviewed a sample of 48 livestock producers (33.8% of total). To 50% of these previous LIFE projectshad donated livestock-guarding dogs, to 77% elec-tric fences , and to 12.5% permanent fences (somefarmers received more than one prevention system).Most of livestock producers (68.2%), were satisfiedwith the use of guarding dogs, and the main reasonof complaint concerned interaction and manage-ment of the dogs. A lower proportion of farmerswere satisfied with electric fences than with dogsand, in both cases, we detected relevant geographicdifferences. The mobile electric fences were considered very ef-fective by farmers in the Alps (69.2% of the produ-cers) for their ease of transportation, but less so byfarmers in the central Apennines (27.7 % of the pro-ducers). Among the reported problems, fragility ofmaterials and problems in adjusting electric compo-nents were the most frequently quoted. The perma-nent fences (Gigante Regional Park) were regardedby farmers as very effective, but possibly too ex-pensive for large scale applications. Based on theseresults, we offer some comments and ideas concer-ning kind and functionality of different preventionsystems adopted in previous LIFE Nature projects,and suggest ways to improve their use in similarconservation initiatives in the future. In particular,we stress the necessity for a better technical assi-stance to livestock producers and the importance oflong-term monitoring to evaluate the effectivenessof prevention interventions.

INTRODUZIONELa presente indagine si inserisce tra le azioni prin-cipali previste dal Progetto LIFE Co-op1 “Carnivorie zootecnia: strumenti per la prevenzione deldanno”, (LIFE 2002NAT/CP/IT/000046), promos-so dal WWF Italia in collaborazione con altri bene-ficiari di progetti LIFE sul tema dei grandi carni-vori e finanziato dall’Unione Europea.Il presupposto cui i vari progetti hanno fatto riferi-mento è che tra gli elementi portanti di una effica-ce strategia di conservazione dei grandi carnivori(Lupo, Orso, Lince) deve esserci l’attenuazione deiconflitti con le attività antropiche. La mortalità il-legale ad opera dell’uomo è, infatti, ancora oggi trai principali fattori di rischio per queste specie (Boi-tani 2000, Swenson et al. 2000, Genovesi 2002).

L’unica valida alternativa in grado di ridurre l’ab-battimento illegale di carnivori, favorendo la coesi-stenza fra grandi carnivori ed attività umane, èrappresentata dall’adozione di misure di preven-zione in grado di riportare a livelli accettabili il loroimpatto sulle attività zootecniche. I sistemi di controllo “non letali” hanno la funzio-ne di limitare e prevenire i danni a carico di ani-mali domestici, garantendo, al contempo, la so-pravvivenza dei predatori. Tali sistemi includonouna varietà di tecniche, tra le quali cani da difesa,recinzioni antipredatore, e deterrenti di vario ge-nere (Andelt 1996, Linnell et al. 1996, Ciucci &Boitani 1998a, Rigg 2001). Qualsiasi misura diprevenzione dei danni deve essere inserita all’in-terno di una strategia complessiva di gestione deiconflitti che includa le componenti biologiche, so-ciali, ed economiche del problema (Boitani 1995,Mech 1995, Kellert et al. 1996, Treves & Karanth2003). Questo è ancora più evidente in contestigeografici densamente popolati come l’Italia, dovegrandi carnivori ed attività umane entrano facil-mente in conflitto tra loro (Boitani 1982, Boitani &Ciucci 1993). Programmi di indennizzo, coinvolgi-mento ed informazione delle popolazioni locali, mi-glioramento delle tecniche di allevamento, e speri-mentazione di tecniche di prevenzione efficaci,sono considerate tra le azioni necessarie da intra-prendere al fine di ridurre i conflitti (Boitani 2000).La soluzione dei conflitti non si raggiunge unica-mente con l’affidamento dei mezzi di prevenzioneall’allevatore, ma affinché tali interventi sianorealmente efficaci, è necessaria una verifica co-stante della loro funzionalità nel tempo. La varia-bilità delle condizioni ambientali, la distribuzionee densità di predatori, la frequenza dei danni albestiame, la disponibilità di prede alternative, l’at-teggiamento e le abitudini dei singoli allevatori,sono tra i fattori che condizionano, in vario modo,la funzionalità dei sistemi adottati (Ciucci & Boita-ni 1998a, Bangs & Shivik 2001, Tropini questo vo-lume). Tale molteplicità di fattori nega l’esistenzadi soluzioni applicabili e funzionali in qualsiasicontesto. In Italia i conflitti tra grandi carnivori ezootecnia, legati soprattutto all’incidenza delLupo, sono affrontati in modo eterogeneo sullabase delle diverse condizioni locali, della frequen-za dei danni, delle strutture amministrative e le-gislative presenti, degli atteggiamenti delle catego-rie coinvolte; in molti casi prevale un approcciopassivo nella gestione del conflitto e spesso si faricorso esclusivamente all’indennizzo dei dannieconomici subiti dall’allevatore. Oltre ai limiti edalle controversie sull’applicazione di sistemi di ri-sarcimento dei danni (Montag 2003), è evidenteuna carenza nella quantificazione e monitoraggiodell’entità dei danni causati da predatori, e nellaconseguente predisposizione di misure di preven-zione adeguate, e strategie organiche per la solu-zione del problema.

1 Lo strumento LIFE Co-op rappresenta una linea di finanziamento comunitario finalizzata, principalmente, al-l’analisi ed al confronto di esperienze analoghe condotte in paesi membri, attraverso il coinvolgimento diretto deibeneficiari dei vari progetti LIFE.

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In alcune aree di recente ricolonizzazione da partedei predatori (è il caso del Lupo), sono state ormaiabbandonate quelle tecniche di allevamento piùconsone alla presenza dei predatori sul territorio(ad esempio, il controllo del gregge e l’uso di canida guardiania), rendendo oggi i conflitti ancora piùintensi a livello locale.Per fare fronte a questo stato di cose, in anni re-centi sono stati finanziati in Italia alcuni ProgettiLIFE Natura finalizzati alla conservazione di gran-di carnivori. Essi hanno attuato delle azioni voltealla riduzione dei conflitti con l’uomo attraversol’applicazione di tecniche di prevenzione dei danni. Il presente lavoro, ed il Progetto LIFE Co-op che neè alla base, hanno l’obiettivo di valutare, a poste-riori, l’efficacia degli strumenti e delle tecniche im-piegate nei diversi progetti LIFE considerati, nonsolo come misura oggettiva della mitigazione deidanni, quanto piuttosto attraverso l’analisi dell’at-teggiamento degli allevatori nei confronti del loroutilizzo. La presente indagine ha inoltre lo scopo diconfrontare e diffondere le esperienze maturatenell’ambito dei Progetti LIFE sui grandi carnivoriin diversi contesti italiani. Ciò rappresenta un ele-mento piuttosto originale giacché, sino ad oggi, inItalia non è mai stata effettuata una verifica siste-matica a posteriori dell’efficacia delle misure diprevenzione adottate. Nel Progetto LIFE Co-op di cui al presente lavoro,sono stati coinvolti i seguenti Progetti LIFE Natu-ra, di cui i rispettivi beneficiari sono partners delProgetto:- “Azioni urgenti di conservazione di grandi carni-

vori nell’arco alpino” (LIFE97 NAT/IT/004097);Ente beneficiario: WWF Italia ONLUS

- “Progetto per la salvaguardia del Lupo nel ParcoNazionale del Pollino” (LIFE99 NAT/IT/ 006209);Ente beneficiario: Parco Nazionale del Pollino

- “Azioni di conservazione del Lupo in sei siti S.I.C.del Parco Regionale dell’Alto Appennino Reggia-no” (LIFE96 NAT/IT/003115); Ente beneficiario:Parco del Gigante

- “Azioni di conservazione del Lupo (Canis lupus) in10 siti SIC di tre Parchi della Regione Emilia-Ro-magna” (LIFE00 NAT/IT/007214); Ente benefi-ciario: Amministrazione Reg. Emilia Romagna

- “Conservazione dell’Orso Bruno (Ursus arctos)nell’Appennino Centrale” (LIFE99 NAT/IT/006244); Ente beneficiario: Corpo Forestale delloStato

- “Conservazione di Lupo e Orso nei nuovi parchiCentro-Appenninici” (LIFE97 NAT/IT/004141);Ente beneficiario: Legambiente ONLUS

È necessario precisare che il progetto LIFE Naturadi cui è stato beneficiario il Corpo Forestale delloStato (LIFE99 NAT/IT/006244) (cfr. Potena et al.questo volume), pur essendo coinvolto nelle altreazioni del progetto LIFE Co-op, è stato considera-to solo marginalmente in quanto esso prevedevaazioni specifiche di mitigazione del conflitto fragrandi carnivori e zootecnia.Nei vari progetti LIFE Natura qui considerati sonostati impiegati cani mastini abruzzesi adulti(LIFE97 NAT/IT/004097 e LIFE99 NAT/IT/

006209) oppure cuccioli (LIFE97 NAT/IT/004141), recinzioni elettrificate (LIFE97 NAT/IT/004097 e LIFE99NAT/IT/006209) o recinzioni me-talliche fisse (LIFE00 NAT/IT/007214 e LIFE00NAT/IT/007214).

INQUADRAMENTO GENERALE DEI PROGETTILIFE NATURA; DESCRIZIONE DELLE AZIONIPREVISTE PER LA MITIGAZIONE DEL DANNO

Progetto LIFE Natura: “Azioni urgenti di conserva-zione di grandi carnivori nell’arco alpino” (LIFE97NAT/IT/004097).Gli allevatori delle Alpi in tempi recenti hanno do-vuto modificare le proprie abitudini in seguito allaricomparsa del Lupo (e di altri grandi carnivoricome l’Orso e la Lince) e, in conseguenza degli epi-sodi di predazione su animali domestici oggi legreggi vengono costantemente controllate negli al-peggi estivi (AA. VV. 2001). Tradizionalmente i pa-stori sono coadiuvati nel lavoro da cani ‘toccatori’,che non hanno alcuna tendenza alla difesa delgregge, ma servono esclusivamente a radunare espostare i capi, mentre non esiste alcuna praticaconsolidata che preveda l’uso di cani da difesa.Partendo da tali presupposti, nel corso del proget-to LIFE, nel periodo 1999-2000, furono fornite retielettrificate mobili (n=60) ad allevatori (n =29) ope-ranti nella Provincia di Cuneo e Torino (Tab.1). Sitratta di reti di 1,20 m di altezza costituite da ottofili conduttori e maglie di 15 cm, collegate ad ungeneratore, di facile trasporto e montaggio. Quat-tro allevatori ricevettero altrettante coppie di caniadulti di razza mastino abruzzese (Tab. 1), prove-nienti da un centro di allevamento in Abruzzo (N.Marcelli di Anversa degli Abruzzi, AQ). Altri inter-venti localizzati di prevenzione (cani e recinzionielettrificate) furono compiuti in Friuli Venezia Giu-lia e Slovenia, al fine di limitare i danni causatidall’Orso e dalla Lince. Poiché tali predatorihanno, allo stato attuale, un impatto limitato sullazootecnia rispetto al Lupo, la presente indagine hariguardato prevalentemente gli allevatori del Pie-monte.

Progetti LIFE Natura “Azioni di conservazione delLupo in sei siti S.I.C. del Parco Regionale dell’AltoAppennino Reggiano” (LIFE96 NAT/IT/003115), e“Azioni di conservazione del Lupo (Canis lupus) in10 siti SIC di tre Parchi della Regione Emilia-Roma-gna” (LIFE00 NAT/IT/007214); Nell’area del Progetto, che include il Parco del Gi-gante o Parco dell’Alto Appennino Reggiano, la pa-storizia (soprattutto pecore) è andata scomparen-do nel corso degli ultimi decenni ed oggi tale atti-vità ha oggi un carattere molto limitato rispetto adaltri contesti appenninici. Conseguentemente,anche l’entità dei danni al bestiame si è notevol-mente ridotta nel corso degli anni ‘90 (AA. VV.1999, Reggioni com. pers.). Come azione prevista dai due progetti LIFE Natu-ra, il Parco del Gigante dotò gli allevatori (n=8) direcinzioni metalliche fisse per il confinamentodelle greggi localizzate in zone di pascolo interes-

M. Caporioni e C. Teofili

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sate da danni frequenti (Tab. 1) (cfr. Reggioni et al.questo volume). Le recinzioni, costruite in rete me-tallica zincata, hanno un perimetro di circa 75 m,sono alte 3 m, e presentano una parte interrata, epali di sostegno metallici sostenuti da plinti in cal-cestruzzo. Tali caratteristiche rendono pratica-mente impossibile l’ingresso di predatori quali ilLupo.

Progetto LIFE Natura: “Conservazione di Lupo eOrso nei nuovi parchi Centro-Appenninici” (LIFE97NAT/IT/004141).L’Associazione Legambiente ONLUS, tra il 1999 eil 2001, nell’ambito di un ampio Progetto finalizza-to alla conservazione dei grandi carnivori, promos-se in alcuni tra i principali Parchi Nazionali del-l’Appennino centrale una serie di interventi per laprevenzione dei danni. Tali azioni hanno riguarda-to l’affidamento di cuccioli di cani mastini abruz-zesi (n=36) e di recinzioni elettrificate (n=60) a 62allevatori presenti nei territori dei parchi (Tab.1).La scelta di affidare dei cuccioli fu motivata prin-cipalmente dal fatto che lungo tutta la dorsale ap-penninica è ancora radicata la tradizione di utiliz-zare i cani principalmente come difesa del gregge,e l’esigenza fu quindi quella di aumentare il nu-mero di cani potenzialmente efficaci.

Progetto LIFE Natura: “Progetto per la salvaguar-dia del Lupo nel Parco Nazionale del Pollino”(LIFE99 NAT/IT/006209).L’allevamento allo stato semi-brado di bovini e pe-core o capre è tradizionalmente diffuso nel territo-rio del Parco Nazionale del Pollino e ciò rende par-ticolarmente difficile la risoluzione dei conflitti, so-prattutto in aree critiche di presenza del Lupo. NelParco Nazionale del Pollino, tra il 2001 ed il 2002,furono fornite dall’Ente Parco, beneficiario del pro-getto LIFE, sia cuccioli di mastino abruzzese(n=26), sia recinzioni antipredatore elettrificate(n=14) ad alcuni allevatori interessati dai danni albestiame. Le recinzioni elettrificate furono sia ditipo mobile per le pecore, di tipologia simile a quel-le già utilizzate nelle Alpi, sia recinzioni fisse ad

otto fili per bovini (Ente Parco Nazionale del Polli-no, 2003) (Tab.1). Nel corso dell’indagine sonostati intervistati alcuni allevatori interessati dallemisure di prevenzione dei danni, distribuiti in seiComuni del Parco Nazionale del Pollino. Pressoun’azienda di Morano Calabro, tra le prime a rice-vere cuccioli di mastino abruzzese nel corso delProgetto LIFE, è stato creato un centro per l’alle-vamento dei cani da guardiania. Dal nucleo di fon-datori presenti in tale centro sono stati quindi pre-levati i cuccioli affidati agli allevatori presenti nel-l’area del Parco.

METODILe aree indagate sono quelle interessate dai variprogetti LIFE Natura, in particolare: Alpi Occiden-tali (Province di Cuneo e Torino) e Orientali; ilParco del Gigante (Provincia di Reggio Emilia); iParchi Nazionali dell’Appennino centrale (MontiSibillini, Gran Sasso Laga, Majella); il Parco Nazio-nale del Pollino (Province di Potenza, Matera e Co-senza). L’indagine ha riguardato principalmente isistemi di prevenzione per i danni causati dalLupo, specie localmente presente e che comportale maggiori implicazioni gestionali nel territorioitaliano. Per ottenere le informazioni necessarie siè deciso di selezionare un campione di allevatori(n=48) che corrisponde al 33,8% di tutti quelli in-teressati dai precedenti progetti LIFE Natura(n=142; Tab.1) e si è quindi proceduto con dei so-pralluoghi presso tutti gli allevatori o le aziendeprescelte. Nella selezione degli allevatori sono state privile-giate le aree con il maggior numero di mezzi atti-vati e si è trattato quindi di un criterio di campio-namento in una certa misura opportunistico, co-munque in grado di garantire la copertura di areeestese ed eterogenee in tempi limitati. Al fine di ot-tenere dati omogenei e fra loro confrontabili, sonostate compilate durante i sopralluoghi due schede-questionario rivolte agli allevatori: una riguardan-te l’uso dei cani da guardiania, e l’altra specificaper l’uso delle recinzioni antipredatore (Figg. 1 e2). Entrambe le schede sono state suddivise in due

Allevatori con mezzi di prevenzione Allevatori intervistati______________________________ _________________________________________

Progetto Life n con recinzioni con cani n % con recinzioni con cani__________________________________________________________________________________________________

Alpi Piemonte 29 29 4 14 48,3 13 3

Alpi Friuli VG 6 5 3 2 33,3 0 2

Parchi Appennino 62 55 21 13 21,0 11 10

Parco Gigante 8 8 0 6 75,0 6 0

Parco Pollino 37 14 26 13 35,1 7 9__________________________________________________________________________________________________

Totale 142 111 54 48 33,8 37 24

Tabella 1. Numero di allevatori dotati di mezzi di prevenzione nei Progetti Life, e numero di intervistati, suddi-visi per area e tipologia di mezzi. N.B.: alcuni allevatori possiedono entrambi i mezzi.

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M. Caporioni e C. Teofili

LIFE CO-OP CARNIVORI E ZOOTECNIA: STRUMENTI PER LA PREVENZIONE DEL DANNO

Questionario sui sistemi di prevenzione dei danni da _ LUPO _ ORSO

CANI DA GUARDIANIA

Progetto Life _____________________________________Ente beneficiario________________________________ Data compilazione__________Rilevatore

Nome allevatore /Azienda____________________________ Telefono ____________Comune_________________________ ( __ ) Località / UTM_______________________

Tipo di allevamento OVINI CAPRINI BOVINI EQUINI ALTRONumero di capi ______ ______ ______ ______ ______

TECNICHE DI ALLEVAMENTOTipo di pascolo : _ recintato _ apertoAmbiente dei pascoli : _ prato _ bosco con radure _ alternanza di prati e boscoAggregazione del gregge: _ gregge compatto _ separato in piccoli gruppi _ sparso sul territorio

Nelle ore diurne il bestiame pascola:_ allo stato brado_ con controllo costante del pastore e dei cani da difesa e lavoro_ con controllo soltanto dei cani da difesa e lavoro_ con controllo occasionale del pastore

Nelle ore notturne il bestiame viene lasciato:_ nei terreni di pascolo_ all’interno di recinzioni. Se sì, di che tipo? _____________________________________ rinchiuso all’interno della stallaStagione di pascolo da _________________a________________

Data di consegni dei cani ___________ Età dei cani alla consegna _________________Provenienza___________________________________________________Numero di cani affidati_______ N. maschi______ N. femmine______Presenza in azienda di altri cani da guardia o lavoro SI _ NO _ Se sì, quanti_______N. cani persi _______ Motivo_____________________________________________Periodo di utilizzo da _____________ a _______________________________________

Perdite di capi di bestiame a causa di predatori Presenza stabile del predatore in zona SI _ NO _ Presenza di cani vaganti SI _ NO _

Numero di capi persi prima dell’uso dei cani ___________ n.capi/anno _______________________________________ periodo ________________________________________

Numero di capi persi dopo l’adozione dei cani__________ .capi/anno_________________periodo ___________________ Presenza di fonti indennizzo SI _ NO _

GIUDIZIO SULL'EFFICACIA DEI CANI DA GUARDIANIACome giudica l’efficacia dei cani nel prevenire i danni sul bestiamedomestico da parte dei predatori?_ Insoddisfacente _ Soddisfacente _ ottima

Se insoddisfacente, perché?_ I cani si allontanano dal bestiame al pascolo_ I cani mostrano scarsa attenzione verso il bestiame_ I cani sono scarsamente addestrati_ I cani causano danni, ferite, mortalità tra i capi allevati

Se soddisfacente/ottima, perché?_ I cani consentono di ridurre effettivamente i danni al bestiame con scarsi investimenti economici

_ I cani comportano benefici in termini di tempo nella gestione dell’allevamento

Altri vantaggi e svantaggi dell’utilizzo dei cani da guardiania_ I cani causano danni alla fauna selvatica_ I cani sono aggressivi nei confronti delle persone_ Altro (specificare) ________________________________________________________

ALTRE MISURE DI PREVENZIONE DEI DANNIOltre ai cani da guardiania, utilizza attualmente altri sistemi di prevenzione? SI _ NO _Se sì, quali?______________________________________________________________Esistono, secondo Lei, altri sistemi efficaci per la prevenzione dei danni al bestiame domestico da parte dei predatori? SI _ NO _Se sì, quali?______________________________________________________________

NOTE__________________________________________________________________

Figura 1 - Questionario relativoai cani da guardiania sottopo-sto, nel corso dei sopralluoghidi campo, a tutti gli allevatoriintervistati coinvolti nei variProgetti LIFE Natura.

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LIFE CO-OP CARNIVORI E ZOOTECNIA: STRUMENTI PER LA PREVENZIONE DEL DANNO

Questionario sui sistemi di prevenzione dei danni da _ LUPO _ ORSO

RECINZIONI PER GRANDI CARNIVORI

Progetto Life _____________________________________Ente beneficiario________________________________ Data compilazione__________Rilevatore

Nome allevatore /Azienda____________________________ Telefono ____________Comune_________________________ ( __ ) Località / UTM_______________________

Tipo di allevamento OVINI CAPRINI BOVINI EQUINI ALTRONumero di capi ______ ______ ______ ______ ______

TECNICHE DI ALLEVAMENTOTipo di pascolo : _ recintato _ apertoAmbiente dei pascoli : _ prato _ bosco con radure _ alternanza di prati e boscoAggregazione del gregge: _ gregge compatto _ separato in piccoli gruppi _ sparso sul territorio

Nelle ore diurne il bestiame pascola:_ allo stato brado_ con controllo costante del pastore e dei cani da difesa e lavoro_ con controllo soltanto dei cani da difesa e lavoro_ con controllo occasionale del pastoreNelle ore notturne il bestiame viene lasciato:_ nei terreni di pascolo_ all’interno di recinzioni. Se sì, di che tipo? _____________________________________ rinchiuso all’interno della stallaStagione di pascolo da _________________a________________

Data di attivazione recinzioni ___________ Numero di recinzioni ________________Utilizza attualmente le recinzioni? SI _ NO _ Motivo del cessato utilizzo__________________________________________________Periodo di utilizzo da _____________ a ______________________________________

Perdite di capi di bestiame a causa di predatori Presenza stabile del predatore in zona SI _ NO _ Presenza di cani vaganti SI _ NO _

Numero di capi persi prima dell’uso delle recinzioni______________________________n.capi/anno______________________________ periodo __________________________

Numero di capi persi dopo l’uso delle recinzioni _________________________________n. capi/anno___________________________ periodo ____________________________Dati provenienti da: _________________________ Forme di indennizzo SI _ NO _

Tipo di recinzione : _ Mobile _ Fissa Dimensioni della/e recinzioni : ________________ Metallica _ Rete elettrificata _ Elettrificata con fili _ Recinzione elettrificata all’esterno di struttura esistente _ Altro (specificare) ________________________________________________________

GIUDIZIO SULL'EFFICACIA DELLE RECINZIONICome giudica l’efficacia delle recinzioni nel prevenire i danni sul bestiame domesticoda parte dei predatori?_ Insoddisfacente _ Soddisfacente _ OttimaSe insoddisfacente, perché?_ La riduzione dei danni è irrisoria rispetto all’impegno economico_ Si verificano ugualmente danni all’interno delle recinzioni_ Le recinzioni richiedono troppa manutenzione_ Le recinzioni vanno incontro a problemi tecnici_ Le recinzioni causano danni al bestiame domesticoSe soddisfacente/ottima, perché?_ Le recinzioni consentono di avere dei buoni risultati con costi contenuti _ Le recinzioni comportano benefici in termini di tempo nella gestione dell’allevamentoAltri vantaggi e svantaggi dell’utilizzo delle recinzioni_________________________________________________________________________

ALTRE MISURE DI PREVENZIONE DEI DANNIOltre alle recinzioni, utilizza attualmente altri sistemi di prevenzione? SI _ NO _Se sì, quali?_______________________________________________________________Esistono, secondo Lei, altri sistemi efficaci per la prevenzione dei danni al bestiamedomestico da parte dei predatori? SI _ NO _Se sì, quali?_______________________________________________________________

NOTE ___________________________________________________________________

Figura 2 - Questionario relativoalle recinzioni sottoposto , nelcorso dei sopralluoghi dicampo, a tutti allevatori intervi-stati coinvolti nei vari ProgettiLIFE Natura.

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parti: la prima riguardante alcune variabili ogget-tive quali tipologia di allevamento, caratteristichedei mezzi di prevenzione, incidenza dei danni sub-iti a causa di predatori (numero e tipo di capi co-involti); l’altra riservata al giudizio dell’allevatoresulla efficacia degli strumenti di prevenzione,anche in termini di vantaggi e svantaggi relativi alsistema utilizzato. Il giudizio degli allevatori sul-l’efficacia dei mezzi è stato misurato attraverso lapreliminare suddivisione in blocchi logici omoge-nei a risposta multipla definiti sulla base della let-teratura riguardante l’utilizzo di tali sistemi (Greenet al. 1984, Green & Woodruff 1988, Green 1989,Andelt 1999). In modo analogo, vantaggi e svan-taggi di ogni sistema sono stati suddivisi in cate-gorie sulla base delle problematiche più frequentiriscontrate nel loro utilizzo (si veda, più oltre, laTab. 4). I dati relativi all’entità dei danni (numeroe tipo di capi predati, costi di indennizzo) subitidalle singole aziende negli anni precedenti e suc-cessivi alla adozione delle misure di prevenzione,sono stati ottenuti sia nel corso delle interviste, siaattraverso la consultazione di archivi e schede diaccertamento dei danni (tali archivi sono disponi-bili presso Enti Parco, Province, ASL, Corpo Fore-stale dello Stato, Veterinari). Tali dati, per i motivi

discussi in seguito, sono purtroppo risultati in-completi o eterogenei per molte delle aree interes-sate dai Progetti LIFE Natura. Pertanto i risultatiriportati nel presenti lavoro si basano sulle sole in-formazioni ottenute in modo standardizzato attra-verso le schede-questionario, riguardanti il giudi-zio degli allevatori sulla funzionalità dei mezzi.Per quanto riguarda l’utilizzo dei cani da guardia-nia, l’analisi è limitata al solo giudizio sulla fun-zionalità del cane espresso dagli allevatori (Cop-pinger et al. 1983), ma non è stato possibile arric-chire tale valutazione attraverso l’osservazione di-retta del comportamento dei cani al lavoro (cfr.Coppinger et al.1983, Ciucci 2000, Tedesco &Ciucci questo volume). I sopralluoghi, e le relativeinterviste, sono state tutte condotte da uno degliautori (M.C.) nell’estate del 2003 nei mesi da luglioa settembre. L’insieme dei dati risultanti è statoquindi analizzato utilizzando le tecniche idonee distatistica descrittiva.

RISULTATI I risultati ottenuti vengono di seguito riportati inbase all’area di Progetto LIFE e alla tipologia del si-stema di prevenzione. Tutti i dati sono riportatinelle Tabb. 2, 3 e 4.

M. Caporioni e C. Teofili

Alpi Parchi Parco Nazionale TotaleAppennini Pollinoa %

(LIFE97NAT/IT/004097) (LIFE97NAT/IT/004141) (LIFE99NAT/IT/006209)__________________________________________________________________________________________________

Soddisfatto 80,0 60,0 71,4 68,2

Parzialmente Soddisfatto 20,0 20,0 14,3 18,2

Insoddisfatto 0,0 20,0 0,0 9,1

Non sa, non risponde 0,0 0,0 14,3 4,5

a: due allevatori del P.N. del Pollino non hanno potuto esprimere giudizi poiché i cani affidati loro sono morti subito dopo l’affidamento

Tabella 2. – Giudizi sintetici complessivi sull’impiego dei cani da guardiania espresso dagli allevatori intervista-ti (n=22), suddivisi per progetto LIFE Natura.

Alpia Parchi Parco Nazionale Parco Nazionale TotaleAppennino Pollino Gigante %

LIFE97NAT/IT/004097 LIFE97NAT/IT/004141 LIFE99NAT/IT/006209 LIFE96NAT/IT/003115

LIFE00NAT/IT/007214__________________________________________________________________________________________________

Soddisfatto 69,2 27,3 57,1 100,0 59,5Parzialmente Soddisfatto 15,4 27,3 - - 13,5Insoddisfatto 7,7 45,5 42,9 - 24,3Non sa, non risponde 7,7 - - - 2,7

a: solo Piemonte

Tabella 3. – Giudizi sintetici complessivi sull’impiego delle recinzioni espresso dagli allevatori intervistati (n=37),suddivisi per progetto LIFE Natura. (Tipo di recinzione: elettrica mobile: Alpi e Parchi appenninici; elettrica fissae mobile: Parco del Pollino; fissa metallica: Parco del Gigante).

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LIFE 97 NAT/IT/004097“Misure urgenti di conservazione di grandicarnivori nell’arco alpino”

Nel corso dell’indagine sono stati contattati 14 al-levatori distribuiti principalmente nelle valli pie-montesi di maggiore presenza del Lupo: ValleStura, Val Vermenagna e Valle Gesso (CN), ColleFinestre (TO); tutti erano forniti di reti elettrifica-te, ed alcuni di essi (n=4) anche di cani mastiniabruzzesi (Tab. 1). Nella maggior parte dei casisono stati condotti sopralluoghi negli alpeggi, os-servando direttamente le condizioni di lavoro. InFriuli Venezia Giulia sono stati intervistati telefo-nicamente due allevatori in possesso di cani daguardiania e reti elettrificate.

- Cani da guardianiaIn Piemonte, soltanto due delle quattro coppie dicani affidate nel corso del Progetto LIFE, vengonotuttora utilizzate con il gregge: nel caso di Colle Fi-nestre (TO) uno dei due cani lavora con le pecore,mentre l’altro è abituato a stare a casa. A Demon-te (CN) i cani affidati sono morti in circostanze nondel tutto chiare, sebbene il pastore sia ancora con-vinto della loro utilità. In Val Maira (CN) uno deicani affidati è stato recentemente rimosso (vienetenuto in casa) mentre l’altro individuo sin dall’i-nizio non ha mostrato un sufficiente attitudine astare con le pecore. L’allevatore di Limone Pie-

monte (CN) utilizza tuttora (2003) con soddisfazio-ne i due cani ricevuti dal Progetto LIFE. In Friuli i cani da guardiania vengono ancora uti-lizzati al lavoro, ma uno degli allevatori ha dichia-rato che il proprio cane viene tenuto anche a casa.Va segnalato come tale situazione fosse stata de-scritta in una precedente indagine condotta imme-diatamente al termine dello stesso Progetto LIFEattraverso l’osservazione diretta dei cani al lavoro(Tedesco & Ciucci, questo volume).

- Recinzioni antipredatoreLa maggior parte degli intervistati (n=14) utilizzaancora le reti mobili elettrificate, fornite nel corsodel Progetto LIFE e ne è soddisfatto (69,2%). Gli al-levatori del Piemonte riconoscono nella capacità diridurre i danni e nella mobilità i maggiori vantag-gi delle reti elettrificate, mentre lo svantaggio prin-cipale sembra essere coincidente con la loro scar-sa resistenza e con la possibilità per i capi di pic-cola taglia di rimanere impigliati (Tab.4). A partiredal 2001, in modo autonomo rispetto al suddettoProgetto, la Comunità Montana Valle Stura ha in-stallato a proprie spese delle recinzioni semi-fisseelettrificate (a 11 fili) negli alpeggi della Valle Sturainteressati dai danni. In alcuni casi gli allevatoriintervistati hanno continuato ad utilizzare le retimobili all’interno di recinzioni fisse più estese perspostare periodicamente il gregge, ponendo in attoun sistema di difesa assai efficiente.

Alpia Parchi Parco Nazionale Totale(Piemonte) Appennino Pollino %

LIFE97NAT/IT/004097 LIFE97NAT/IT/004141 LIFE99NAT/IT/006209

(n)b (n)b (n)b, c (n)__________________________________________________________________________________________________

Vantaggi nell'uso del cane- Riduzione dei danni 4 2 2 8

Svantaggi nell'uso del cane- Aggressività con le persone 2 1 1 4- Differenze individuali 2 2 4- Problemi con altri cani 2 1 3- Inefficacia a ridurre i danni 2 2- Sistemazione di cuccioli 1 1 2

Vantaggi nell'uso della recinzione elettrificata- Riduzione dei danni 7 7- Mobilità 3 1 4- Facilità di montaggio 1 1

Svantaggi nell'uso della recinzione elettrificata- Scarsa resistenza, rottura 5 3 3 11- Problemi tecnici (batterie e altro) 2 1 4 7- Inefficacia nel ridurre i danni 1 4 1 6- Danni da fauna selvatica 2 1 1 5- Animali domestici impigliati 3 3

a: solo Piemonteb: numero di risposte per ciascuna categoriac: nel Parco Nazionale del Pollino presenti anche recinzioni. elettrificate con fili

Tabella 4. – Giudizi relativi ai vantaggi ed agli svantaggi collegati all’uso di cani da guardiania e recinzionielettrificate espressi dagli allevatori intervistati (n=37), suddivisi per progetto LIFE Natura.

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LIFE9 6 NAT/IT/003115“Azioni di conservazione del lupo in sei sitiS.I.C. del Parco Regionale dell’Alto AppenninoReggiano” e LIFE 00 NAT/IT/007214“Azioni di conservazione del lupo(Canis lupus) in 10 siti SIC di tre Parchi dellaRegione Emilia-Romagna”

- Recinzioni antipredatoreI sopralluoghi hanno interessato alcuni allevatori(n=6), localizzati in due Comuni della Provincia diReggio Emilia, i quali ottennero le recinzioni me-talliche tra il 1999 e il 2001. Tale tipo di recinzio-ne è stata fornita per ridurre l’incidenza dei dannida Lupo, ed è considerata efficace da tutti gli in-tervistati. Essi non hanno più subito danni in annirecenti, ed in alcuni casi utilizzano anche dei canimastini abruzzesi, ottenuti da altri allevatori pre-senti in zona. Nel caso specifico del Parco del Gi-gante, pochi interventi mirati alle aziende mag-giormente interessate dai danni hanno permessodi ridurre in modo sostanziale i conflitti tra il Lupoe la zootecnia (cfr. Reggioni et al. questo volume).

LIFE 97 NAT/IT/004141“Conservazione di Lupo e Orso nei nuovi par-chi Centro-Appenninici”

Sono stati intervistati 13 allevatori, localizzati inotto Comuni dei Parchi Nazionali appenninici:Maiella, Gran Sasso Laga, e Monti Sibillini inAbruzzo, Marche ed Umbria. Di questi, 11 furonodotati di reti elettrificate e 10 di cani mastiniabruzzesi (Tab. 1).

- Cani da guardianiaTra gli allevatori intervistati (n =10), 8 utilizzanotuttora i cani forniti nel corso del Progetto LIFEconsiderandoli efficaci nella difesa delle greggi,mentre due di essi si dichiarano insoddisfatti inquanto non ritengono il cane in grado di ridurrel’incidenza dei danni. Un allevatore del Parco Na-zionale della Majella ha perso due dei cani affida-ti, uno per malattia e l’altro per ferite inferte da uncinghiale. In un altro caso, nel Parco Nazionale deiMonti Sibillini, gli animali sono morti (a causa dibocconi avvelenati) e l’allevatore li ha sostituiti conaltri cani, mastini abruzzesi, tuttora utilizzati consoddisfazione. Nella stessa area un allevatore, purin presenza dei cani da guardiania, ha subito unevento di predazione particolarmente grave nel2001 (oltre 170 pecore predate). Gli allevatorihanno anche sottolineato la diversa efficacia degliindividui nella difesa. Osservazioni dirette, condot-te nel corso dei sopralluoghi, hanno evidenziato latendenza di alcuni cani ad allontanarsi dal gregge,e diversi allevatori hanno affermato che i cani in-seguono occasionalmente la fauna selvatica (cin-ghiali e altro).

- Recinzioni antipredatoreTra gli allevatori intervistati nell’Appennino dotatidi reti elettrificate (n=11), soltanto il 27,3 % risul-

ta soddisfatto del loro utilizzo, mentre il 45,5 %esprime un giudizio negativo sulla loro funzionali-tà. Tra gli svantaggi di tali mezzi dichiarati dagliintervistati vi sono l’inefficacia nel prevenire idanni, oltre alla scarsa resistenza dei materiali im-piegati. Il giudizio sull’utilizzo delle recinzioni mo-bili risulta, nel complesso insoddisfacente per gliallevatori delle aree appenniniche oggetto di inda-gine.

LIFE 99 NAT/IT/006209“Progetto per la salvaguardia del Lupo nelParco Nazionale del Pollino”.- Cani da guardiania)

I cani da guardiania sono considerati efficaci dallamaggioranza degli allevatori intervistati (71,4 %degli intervistati), sebbene in due casi gli animalisiano deceduti poco dopo l’affidamento da partedell’Ente Parco. Un cane, osservato nel corso deisopralluoghi, si mostrava molto confidente con gliestranei, manifestando tendenze poco adeguate adun efficace attaccamento al gregge. Un altro alle-vatore ha dichiarato che il proprio cane ha avutospesso problemi di salute e si mostrava, in molteoccasioni, assai timoroso. Complessivamente, gliallevatori non hanno espresso valutazioni su svan-taggi o vantaggi relativi all’utilizzo del cane. Nelcorso delle interviste, nonostante gli allevatori fos-sero stati oggetto del progetto LIFE, continuavanoa mostrare una generale animosità verso l’Ente digestione.

- Recinzioni antipredatorePer quanto riguarda l’utilizzo delle recinzioninel Parco del Pollino (n=7) i risultati sono discor-danti: 4 allevatori ancora utilizzavano le recinzionial momento dell’intervista ritenendole un sistemaabbastanza efficace, mentre gli altri 3 erano co-munque insoddisfatti. Di questi, un allevatore haaffermato di non avere mai utilizzato la recinzioneelettrificata consegnatagli nel corso del ProgettoLIFE, perché a suo avviso del tutto inefficace; egliriteneva che le recinzioni fisse metalliche con basein cemento fossero l’unico sistema funzionale con-tro i predatori. Un altro allevatore ha incontratonotevoli difficoltà nell’uso del generatore e dellebatterie. Tra i principali svantaggi delle recinzionielettrificate vengono indicate la scarsa resistenza,e problemi tecnici di vario tipo (batterie o altro).

DISCUSSIONELa presente indagine non è esaustiva delle proble-matiche relative ai sistemi di prevenzione deidanni, ed il suo limite è rappresentato dall’assen-za di una misura oggettiva delle variazione nell’en-tità dei danni, in relazione alle tecniche adottate.Una valutazione della funzionalità delle tecnichedi prevenzione basata sul giudizio soggettivo degliintervistati può avere soltanto un valore relativo,anche in relazione alle numerose variabili presen-ti ed ai diversi contesti locali considerati. Tuttavia,attraverso l’analisi dell’atteggiamento e di alcuneproblematiche rilevate nell’utilizzo dei sistemi di

M. Caporioni e C. Teofili

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prevenzione da parte degli allevatori, è possibilecomunque sviluppare alcune riflessioni utili ai finidel miglioramento delle stesse e alle tecniche daadottare in futuri Progetti di conservazione.Come emerge dalla presente indagine, nessunamisura di prevenzione sembra da sola essere ingrado di risolvere completamente il problema deidanni; un sistema può risultare efficace e conve-niente in alcuni contesti, ma deve essere integratonelle condizioni di allevamento locali. Diversi au-tori considerano l’adozione contemporanea di tec-niche diverse una garanzia per ottenere i miglioririsultati nella difesa (ad esempio, controllo del pa-store, presenza di cani, confinamento notturno;Linnell et al. 1996).

Il cane da guardianiaNumerose esperienze condotte all’estero dimostra-no la validità dell’uso del cane da guardiania,come misura di prevenzione dei danni da carnivo-ri. Studi condotti in merito indicano che oltre il60% degli allevatori che li hanno utilizzati li riten-gono efficaci, e riconoscono in essi dei vantaggi intermini di riduzione delle perdite di capi, beneficieconomici, o miglioramento nella gestione com-plessiva dell’allevamento (Green et al 1984, Cop-pinger et al 1988, Green & Woodruff 1988, Green1989, Andelt 1999). Il cane instaura un legame sociale ed un forte at-taccamento verso gli animali domestici, e, se benallevato, rappresenta un deterrente nei confrontidei predatori. Le diverse razze impiegate tradizio-nalmente in Europa, come il pastore maremmano-abruzzese (o mastino abruzzese), il cane dei Pire-nei, il Kuvasz, il Komondor, e lo Sharplaninetz,hanno caratteristiche morfologiche e comporta-mentali simili: grande mole, permanenza di carat-teri infantili, indipendenza, scarso istinto predato-rio, attaccamento al gregge e tendenza alla difesa(Coppinger & Coppinger 1993). I cani da guardia-nia si differenziano quindi notevolmente dai canicosiddetti ‘conduttori’ o ‘toccatori’, selezionatiesclusivamente per radunare e condurre il gregge,seguendo i comandi dell’allevatore (Coppinger &Coppinger 1993).Anche in Paesi (ad esempio, gli Stati Uniti e il Ca-nada), dove l’uso del cane da guardiania era prati-camente sconosciuto, il sistema è stato introdottodall’Europa e si è ampiamente diffuso negli ultimidecenni. Ciò è avvenuto grazie alla presenza dispecifici programmi di ricerca sull’allevamento, laselezione, l’addestramento ed il monitoraggio delcomportamento dei cani presso le aziende (Cop-pinger et al. 1988, Green & Woodruff 1993).La presente indagine ha confermato la generalesoddisfazione nell’uso del cane da guardiania tragli allevatori interessati dai precedenti progettiLIFE. Tuttavia, ha anche evidenziato delle proble-matiche nella gestione dei cani che meritano at-tenzione, specialmente al fine di simili interventi diconservazione. Tra i principali problemi legati al-l’uso del cane da guardiania sono stati segnalati ilpotenziale pericolo per le persone, la litigiosità oaltri problemi comportamentali nell’interazione

con altri cani, e differenze di resa individuali (Tab.4). Alcuni aspetti problematici del cane da guar-diania possono essere prevenuti o corretti attra-verso un’attenta selezione degli individui e la cor-rezione tempestiva di comportamenti indesiderati(Lorenz & Coppinger 1986). L’aggressività verso le persone estranee è tollerabi-le se rientra nella naturale tendenza alla difesa delgregge, ma non deve costituire un problema in-controllabile per l’allevatore o le persone che fre-quentano le aree di presenza del gregge. L’inseri-mento del cane nel gregge richiede impegno ed at-tenzione da parte dell’allevatore, ed il rispetto dialcune regole fondamentali. Ad esempio, è neces-sario allevare il cucciolo, a partire dall’età di 8 set-timane, a stretto contatto con gli animali domesti-ci (riducendo al minimo i contatti con l’uomo), af-finché da adulto rivolga al bestiame i comporta-menti intraspecifici. Dalla familiarità e dall’attac-camento al gregge deriva la tendenza del cane allasua difesa (Lorenz & Coppinger 1986, Green &Woodruff 1993). Gli errori commessi nelle fasi ini-ziali, o la mancata correzione delle cattive abitudi-ni, danno origine a cani scarsamente efficaci nellavoro o addirittura dannosi per l’allevamentostesso (cani vaganti, o che causano danni). D’altronde non si può negare l’esistenza di diffe-renze comportamentali individuali su basi geneti-che: non tutti i cani sono ugualmente affidabili, edalcuni individui mostrano comunque difetti in-compatibili con il lavoro presso il gregge. Le espe-rienze di affidamento di cani sulle Alpi, prese inesame nel nostro lavoro, pur rappresentando uncampione limitato, mostrano un successo piutto-sto limitato. Alcuni cani sono risultati inefficaci sin dall’inizio esoprattutto perché non rimanevano associati algregge, come anche evidenziato dal monitoraggiocondotto a conclusione del Progetto LIFE (Ciucci2000, Tedesco 2001, Tedesco & Ciucci questo vo-lume). In certi casi gli individui sono stati allevatiin modo non idoneo e sono diventati eccessiva-mente confidenti con le persone. Del resto, alcunitra gli allevatori intervistati che ancora utilizzano icani li ritengono uno strumento efficace, sebbeneil loro impiego non abbia eliminato completamen-te l’incidenza dei danni. Ne sono un esempio alcu-ne aziende della Provincia di Cuneo, dove i dannicausati dal Lupo sono ricorrenti anche successi-vamente all’adozione dei cani ed altre misure pre-ventive (Tropini, questo volume).Al fine di ottimizzare questo sistema di prevenzio-ne risulta evidente da questa indagine e dalleesperienze passate che è necessaria una maggioreassistenza tecnica agli allevatori che ricevono icani, soprattutto dove il loro utilizzo è poco diffu-so o affatto tradizionale. Obiettivo prioritario deiprogrammi di affidamento deve essere quindi quel-lo di implementare programmi di monitoraggio alungo termine della funzionalità dei cani, secondoprotocolli standardizzati (ad esempio, Coppinger etal. 1983). Il monitoraggio dei cani forniti nel corsodei Progetti LIFE è stato invece condotto in mododel tutto sporadico ed indiretto.

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Nelle aree appenniniche, dove i cani mastini-abruzzesi si sono “evoluti” attraverso secoli di co-esistenza con il Lupo, sembra più facile un recu-pero di tale utilizzo nella difesa degli armenti. Tut-tavia, a causa della trasformazione delle pratichepastorali e della progressiva perdita della tradizio-ne di allevamento e selezione di cani da guardia-nia, si rende necessaria una attenta pianificazionedelle fasi di selezione e affidamento dei cani. Para-dossalmente, proprio tra gli allevatori presentinelle aree di origine dei mastini abruzzesi si sonoregistrati dei giudizi negativi sull’efficacia dei caninella difesa (Tab. 4).Un aspetto emerso nel corso delle interviste è ladifficoltà nella gestione delle eventuali cucciolate:in certi casi andrebbe quindi considerata l’ipotesidi sterilizzare le femmine. È necessario, in ognicaso, seguire con attenzione l’affidamento dei cuc-cioli ad altri allevatori, onde evitare che i canisiano utilizzati in modo scorretto e diventino inge-stibili o addirittura dannosi per le aziende. Altrodato significativo, ricavato dalle interviste agli alle-vatori in Piemonte, è la diffusa mancanza di infor-mazioni sulle effettive potenzialità del cane masti-no abruzzese per la difesa del bestiame. È quindinecessario incrementare le attività di informazionee coinvolgimento degli allevatori, attraverso il con-fronto con esperienze analoghe condotte in Italiaed all’estero. Una componente fondamentale deiprogrammi di affidamento di cani deve essere in-fatti costituita dal continuo tutoraggio degli alleva-tori coinvolti nei Progetti, al fine di apportare con-tinui miglioramenti al sistema (Coppinger et al.1988). Questo elemento è risultato invece piutto-sto carente nei Progetti LIFE presi in esame.L’indagine sui cani forniti dai Progetti LIFE Natu-ra condotti nelle aree centro-meridionali ha con-sentito di confermare l’atteggiamento prevalente-mente positivo da parte degli allevatori, anche se ilverificarsi di danni ricorrenti presso alcune azien-de in Abruzzo ha localmente determinato una sfi-ducia nell’utilizzo di cani o di altri sistemi di pre-venzione; a ciò consegue una aperta ostilità versogli Enti Parco, responsabili delle misure di accer-tamento e indennizzo dei danni. Questo elementodimostra ulteriormente la necessità di un maggio-re dialogo tra gli Enti coinvolti nelle gestione deidanni e gli allevatori stessi.I problemi riscontrati (eccessiva confidenza o ti-more) in alcuni dei cani affidati nel Parco Nazio-nale del Pollino sono probabilmente da attribuire,oltre che ad errori nell’allevamento, alla loro giova-ne età, e quindi scarsa esperienza al lavoro. Al mo-mento della presente indagine era infatti trascor-so, per la maggior parte degli intervistati, poco piùdi un anno dall’inserimento dei cuccioli di masti-no abruzzese nel gregge. Diversi autori ritengonoinvece che il cane da guardiania raggiunga lapiena funzionalità al lavoro nell’età adulta, a circadue anni (Lorenz & Coppinger 1986). I risultaticonseguiti quindi per quest’area potrebbero varia-re con l’età dei soggetti dai i affidamento, ed èquindi importante proseguire nelle attività di mo-nitoraggio dei cani.

Prendendo esempio dall’esperienza del Pollino, e inun’ottica gestionale, appare quanto mai urgente lacreazione di centri di allevamento dei cani decen-trati sul territorio, professionalmente affidabili ecoordinati nel produrre e mantenere le linee di se-lezione più efficienti. A tale scopo sarebbe neces-sario un efficiente registro su scala regionale e na-zionale relativo ai cani impiegati nei diversi pro-getti di conservazione.

Le recinzioni antipredatoreLe recinzioni rappresentano uno dei sistemi tradi-zionalmente usati per difendere gli animali dome-stici dai predatori, ed oggi sono disponibili in unavarietà di modelli che si differenziano per i mate-riali impiegati ed i relativi costi di installazione emanutenzione. Le recinzioni elettrificate associanoalla semplice barriera fisica un’ulteriore esperien-za negativa per il predatore (data dalla corrente discarica fastidiosa ma non nociva per gli animali).Tali sistemi forniscono una scarica elettrica inter-mittente ad elevato voltaggio e sono utilizzate perlimitare i danni causati da diverse specie di carni-vori, in contesti ambientali diversi (Dorrance &Bourne 1980, Linhart et al. 1982, Nass & Theade1988, Mertens et al. 2002). In Italia, la sperimen-tazione di recinzioni elettrificate è ancora piuttostolimitata (cfr. Cetto et al. questo volume, Pellegrini& Zuccarini questo volume). Tra le caratteristiche fondamentali di una recin-zione elettrificata vi sono il numero, la disposizio-ne dei fili, le strutture di sostegno, il tipo di gene-ratore di corrente, ed il sistema di terra. Tali ele-menti variano in relazione al tipo di predatore daescludere e determinano l’efficacia complessiva delsistema. Sono disponibili modelli di recinzioni elet-trificate fisse costituite da 5 –10 fili metallici oriz-zontali, disposti ad altezza variabile dal terreno (inrelazione alle dimensioni dei carnivori presenti), ereti mobili di 1,20 m di altezza costituite da otto filiconduttori e maglie di 15 cm (impiegate in granparte dei progetti LIFE considerati). La presenzacostante delle corrente elettrica è un requisito in-dispensabile per la funzionalità delle reti, altri-menti facilmente superabili dai predatori; per ‘in-segnare’ questo ai predatori è fondamentale losmontaggio delle strutture nel caso di assenza dicorrente e inutilizzo.Reti elettrificate vengono utilizzate anche per il

semplice ricovero del bestiame domestico con l’o-biettivo di non farlo disperdere. Purtroppo tali re-cinzioni vengono spesso utilizzate come deterrentenei confronti dei grandi carnivori, ma con risulta-ti ovviamente piuttosto modesti (cfr. Pellegrini &Zuccarini questo volume). Questo avviene quandole caratteristiche meccaniche ed elettriche, in par-ticolar modo l’energia di scarica, non sono ade-guate rispetto alle caratteristiche dei predatori. Tutti i modelli di recinzioni elettrificate, per esse-

re efficaci, necessitano di una adeguata manuten-zione, in quanto occorre garantire il passaggio dicorrente sull’intero perimetro ed impedire cadutedi tensione causate dal contatto con la vegetazio-ne circostante (Levin 2002, Vidrih 2002).

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Le recinzioni fisse sono generalmente frutto diopere murarie o costituite da una robusta rete me-tallica (di almeno 1,80 m di altezza e con base in-terrata, ed estremità superiore ripiegata verso l’e-sterno). Esse rappresentano un sistema efficace eduraturo di esclusione dei predatori, anche se ri-sultano piuttosto costose. Infatti, al successo ditale sistema di prevenzione adottato nel Parco delGigante, dove tutti gli allevatori intervistati risul-tano soddisfatti, contribuisce il particolare conte-sto locale con un piccolo numero di aziende inte-ressate da danni ricorrenti e greggi di dimensionilimitate. Oltre ai costi elevati, il limite principaledelle recinzioni fisse metalliche risiede, a causadella loro struttura permanente, nella ovvia im-possibilità di poterne disporre in ogni ambiente dipascolo, e nella scarsa mobilità delle greggi al lorointerno. Esse sono utilizzate principalmente nellearee di ricovero invernale laddove il bestiame tra-scorre lunghi periodi e viene regolarmente forag-giato. I risultati della presente indagine mostrano unavariabilità notevole nell’utilizzo delle recinzionielettrificate in aree diverse. Mentre tale sistema èconsiderato utile da molti allevatori presenti sulleAlpi, per la sua facilità di montaggio e spostamen-to, esso è ritenuto insoddisfacente o parzialmentesoddisfacente da gran parte degli intervistati neiParchi Nazionali dell’Appennino. Nel Parco Nazio-nale del Pollino gli allevatori che utilizzano le re-cinzioni elettrificate con soddisfazione sono lamaggioranza, sebbene in alcuni casi siano stati la-mentati problemi tecnici evidenti. Tali differenzelocali riflettono probabilmente le abitudini localinell’allevamento, ed una scarsa capacità nel risol-vere i problemi tecnici da parte degli allevatori. InPiemonte, le reti (anche elettrificate) vengonousate abitualmente per contenere le greggi, men-tre nei sopralluoghi in Abruzzo si sono osservatialtri sistemi di confinamento del gregge, qualimuri in pietra, recinti in legno e recinzioni metal-liche fisse o mobili di vario genere; è probabilmen-te per questi motivi che gli allevatori mostrano uncerta diffidenza nei confronti di strumenti ai qualinon sono abituati. Inoltre, fra gli svantaggi più fre-quenti delle reti elettrificate vengono spesso indi-cati la scarsa robustezza (si rompono con facilità),la possibilità degli animali di restare impigliatinelle maglie, ed i problemi legati alla corretta ge-stione tecnica (soprattutto dal punto di vista elet-trico). Nel corso dei sopralluoghi effettuati sulle Alpi,sono state notate alcune carenze evidenti nellamanutenzione, (ad esempio, presenza di vegetazio-ne alta lungo il bordo esterno delle recinzioni conconseguente scarso isolamento del circuito); pari-menti, nel Parco Nazionale del Pollino alcuni alle-vatori hanno sostenuto la totale inefficacia dellerecinzioni elettrificate. Tali risultati testimonianoprobabilmente anche una insufficiente assistenzada parte dei tecnici che hanno fornito i sistemi diprevenzione.Rispetto all’uso del Cane da guardiania, e non-ostante l’impegno notevole richiesto nella sua ge-

stione, le recinzioni elettrificate non sembrano su-scitare la stessa soddisfazione presso gli allevatoridi alcune aree. Questo è probabilmente imputabi-le ad alcune difficoltà oggettive nel loro utilizzo,dovute alla necessaria manutenzione ed al funzio-namento del sistema (conduttori, batterie, genera-tori etc.), ed all’atteggiamento di diffidenza degliallevatori nei confronti di un sistema relativamen-te nuovo nel contesto locale. Al fine di incentivarecorrettamente l’utilizzo delle recinzioni elettrifica-te, è quindi opportuno verificare ulteriormente laloro funzionalità, individuandone i principali in-convenienti tecnici e sperimentando soluzioni al-ternative, in termini di facilità di uso e manuten-zione, ed integrazione nel contesto locale. A talescopo è fondamentale un’adeguata assistenza tec-nica nelle fasi di affidamento all’allevatore ed ilmonitoraggio continuo del loro corretto utilizzo.Come nel caso dei cani da guardiania, l’affidamen-to di recinzioni non deve rappresentare un’azioneestemporanea condotta nella convinzione (o nellasperanza) che sia di per sé sufficiente ad elimina-re i danni da predatori. Gli strumenti di preven-zioni sono efficaci solo se rientrano in ben piùampie azioni gestionali finalizzate alla conservazio-ne dei grandi carnivori ed alla salvaguardia delleattività zootecniche. Viceversa i mezzi di preven-zione, se gestiti scorrettamente, rappresentanoparadossalmente metodi controproducenti che acausa della loro inefficacia finiscono con l’esacer-bare i conflitti esistenti piuttosto che mitigarli.

Implicazioni gestionali: valutazione dell’effica-cia degli strumenti di prevenzioneLa valutazione dell’efficacia di qualsiasi interventodi prevenzione non può prescindere da una quan-tificazione dell’incidenza dei danni e dei relativicosti di indennizzo. La domanda che bisogna porsiè se i sistemi riducono effettivamente i danni, ri-sultando economicamente convenienti per l’alleva-tore che li utilizza. Una valutazione indiretta sullareale efficacia dei mezzi adottati potrebbe, adesempio, essere condotta attraverso il confrontofra i danni subiti (intesi come numero di capi e/orisarcimenti concessi dalle Amministrazioni pub-bliche) in anni diversi, o tra aziende diverse, con-siderando come variabile principale la presenza omeno di mezzi di prevenzione. In funzione del contesto amministrativo locale, idati relativi ai danni al bestiame, così come le pro-cedure di risarcimento, sono di competenza diEnti diversi e seguono protocolli disomogenei checompetono ai diversi organi di controllo (cfr. Fico &Patumi questo volume), rendendo impossibile lacreazione di banche dati complete e facilmente ac-cessibili sull’entità del fenomeno. La stessa etero-geneità si riscontra nelle fonti dei dati storici,anche recenti, relative alle richieste di indennizzoed ai relativi risarcimenti. Presso molte Ammini-strazioni locali ed Enti non viene infatti conserva-to un archivio informatizzato degli indennizzi ri-chiesti o liquidati, altrove i dati non sono scorpo-rabili rispetto a tipologie simili di sostegno econo-mico, oppure manca il dettaglio dei risarcimenti

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concessi ai singoli allevatori.La stessa prassi dell’indennizzo assume, spesso, ilsignificato di una mera risposta alle emergenze(attraverso l’applicazione di provvedimenti altret-tanto estemporanei), piuttosto che essere un prov-vedimento inserito in un più ampio ed articolatoprogramma di gestione del conflitto. Di conse-guenza, ciò comporta l’impossibilità di valutarel’efficacia dei diversi metodi di prevenzione in rela-zione al danno subito, in aree o periodi diversi, econduce ad una valutazione molto approssimativadell’entità dei danni. Va sottolineato, del resto, che una tale stima ri-sulta comunque assai ardua anche per le difficol-tà intrinseche nell’ottenere stime realistiche deidanni causati da predatori (Ciucci & Boitani1998a, questo volume). Nella presente indagine,una valutazione oggettiva dell’entità dei danni peri singoli allevatori non è stata possibile soprattut-to a causa della incompletezza dei dati disponibilie della disomogeneità riscontrata nelle diversearee considerate. Necessariamente, si è quindi sta-bilito di limitare l’analisi alle sole informazioni ot-tenute direttamente tramite i questionari rivoltiagli allevatori senza fare riferimento a considera-zioni di più ampia portata.Quello che si auspica è la creazione di banche datiomogenee, realizzate e gestite seguendo protocolliconcordati. In particolare andrebbero stabiliti cri-teri comuni per l’attribuzione delle cause di preda-zione, prevedendo modalità, tempi di verifica e dirisarcimento adeguati (cfr. Fico & Patumi questovolume). Anche i dati relativi alle aziende che ri-chiedono ed ottengono risarcimenti dei danni do-vrebbero essere consultabili da tutti i soggetti co-involti nella gestione dei conflitti. Ugualmente im-portante è la programmazione coordinata, ed ade-guata in funzione della scala locale, degli interven-ti di sostegno economico sia in favore degli alleva-tori, sia in favore della conservazione di specie mi-nacciate a livello europeo e locale (si veda al pro-posito l’analisi di Antonelli et al. in questo volume).

ConclusioniIl fenomeno dei danni al bestiame, pur limitato suscala nazionale, può avere localmente un impattoelevato, causando risentimento delle popolazionied interventi di controllo illegale sui predatori. Laconservazione del Lupo, e in misura diversa del-l’Orso, è in Italia strettamente legata alla gestionerazionale dei conflitti con la zootecnia. Qualsiasiintervento deve avvenire sulla base di una ade-guata pianificazione e successiva verifica dell’effi-cacia dei sistemi attivati. Alla luce dei risultatidella presente indagine, e di altre esperienze dis-ponibili sull’utilizzo dei mezzi di prevenzione deidanni, si riportano, in estrema sintesi i principalifattori critici sui quali è necessario far convergeregli sforzi e le azioni finalizzate alla risoluzione delconflitto fra grandi carnivori e zootecnia: - Assistenza tecnica continua per gli allevatori

dotati di mezzi di prevenzione- Monitoraggio a lungo termine della funzionalità

dei sistemi di prevenzione

- Perfezionamento delle tecniche utilizzate e spe-rimentazione di sistemi diversi in relazione allenecessità locali

- Monitoraggio dei danni alla zootecnia secondoprocedure standard

- Ottimizzazione delle procedure di indennizzo- Promozione di programmi coordinati di soste-

gno economico per gli allevatori- Coordinamento e scambio di informazioni tra

Enti pubblici, Aree Protette, Associazioni, Uni-versità, e Tecnici, coinvolti nella gestione delconflitto

RingraziamentiIl presente lavoro è stato possibile grazie alla col-laborazione di numerose persone ed Enti, in primoluogo, l’Unione Europea ed i partner del WWF Ita-lia nel Progetto Life Co-op: il Parco del Gigante, gliEnti Parco Nazionali dei Sibillini, del Gran SassoLaga, e della Majella, la Legambiente ONLUS, ilCTA del Corpo Forestale del Parco Nazionale deiSibillini, l’Ente Parco Nazionale del Pollino, ilCorpo Forestale dello Stato, Ufficio Amministrazio-ne Foreste Demaniali di Castel di Sangro. Deside-riamo ringraziare per la loro collaborazione: San-dro Allemand, Silvia Dalmasso, Ilaria Filippone,Sandro Luchetti, Giuseppe Marcantonio, Fernan-do Mercuri, Antonino Morabito, Luca Picco, WillyReggioni, Simone Ricci, Alessandro Rossetti, Fran-cesco Rotondaro, Luciano Sammarone, Pietro Ser-roni, Alessandra Tropini. Un ringraziamento parti-colare va tributato a Paolo Ciucci per gli utiliscambi di opinioni e gli insostituibili consigli for-niti nel corso dell’indagine. Gli autori vogliono, in-fine, ringraziare i referee del manoscritto per laprecisione e la competenza con le quali hanno sa-puto correggere la prima stesura.

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Riassunto Alla fine degli anni ’90 sopravviveva in Trentinol’ultimo nucleo d’Orso bruno autoctono delle Alpied i pochi animali presenti non erano più in gradodi riprodursi. A partire dal 1999 è stato attivato unprogetto di reintroduzione, con partecipazione fi-nanziaria dell’Unione Europea, coordinato dalParco Naturale Adamello Brenta. Nel periodo1999-2002 sono stati immessi in Trentino 10 sog-getti d’Orso bruno, traslocati dalla Slovenia. Essihanno iniziato a riprodursi: nell’autunno 2003erano presenti in provincia almeno tre orsi giova-ni. Dal 1999 la parte orientale della provincia èinoltre interessata occasionalmente dalla presenzadell’Orso bruno, a seguito del processo d’espansio-ne spontanea della popolazione sloveno-austriaca.La nuova situazione numerica e distributiva dellaspecie, ha comportato la necessità per la ProvinciaAutonoma di Trento d’aggiornare l’impianto nor-mativo, procedurale e organizzativo, nell’obiettivodi affrontare al meglio le nuove esigenze gestiona-li. Nel 2002 la Giunta della Provincia Autonoma diTrento ha definito gli indirizzi operativi per la ge-stione della presenza dell’Orso bruno sul territorioprovinciale, adottato degli specifici “Programmid’azione” e individuata nel Servizio Foreste eFauna la struttura provinciale di riferimento. Al riassetto già realizzato seguiranno ulteriori affi-namenti, secondo un processo condizionato e gui-dato dalle future casistiche, esigenze ed esperien-ze. In questa relazione sono sinteticamente de-scritte e quantificate le iniziative più importanti at-tivate negli ultimi anni volte ad attenuare i conflit-ti fra presenza dell’Orso bruno e attività antropi-che, e vengono inoltre evidenziati alcuni elementidi criticità.

SummaryAt the end of the 1990s a last group of native alpi-ne brown bears survived in Trentino. The few re-maining bears were unable to reproduce. In 1999 aproject to reintroduce the brown bear was initiated,co-ordinated by the Adamello-Brenta Nature Park,with the financial support of the European Commu-nity. During the period 1999-2002, 10 brown bearsfrom the Slovenia population were released in Tren-

tino. These have since started to reproduce. In au-tumn 2003 there were at least three young bearspresent in the province. Since 1999 the brown bearhas also been sighted occasionally in the easternpart of the province, following natural range expan-sion from the Slovenian-Austrian bear population.The increased number of bears and the broader dis-tribution of the species has made it necessary forthe Autonomous Province of Trento to update regu-latory, procedural and organisational measureswith the aim of best responding to new needs interms of management. In 2002, the Government ofthe Autonomous Province of Trento established ope-rational policy for the management of brown bearswithin the province, adopted specific “Action Plans”and identified the Forest and Wildlife Departmentas the provincial body of reference. The reorganisa-tion, which has already taken place, may be follo-wed by further improvements or modifications, ac-cording to a process conditioned and guided by fu-ture case studies, requirements and experience.This report quantifies and gives a concise descrip-tion of the most important initiatives implemented inthe last few years with the aim of alleviating con-flict resulting from the presence of brown bears andhuman activities. It also highlights some criticalareas.

INTRODUZIONEConsistenza e distribuzione della specie In provincia di Trento, alla fine degli anni ‘90, so-pravviveva un piccolo nucleo di Orso bruno, ridot-to a poche unità (Duprè et al. 2000). La popolazio-ne relitta era considerata “ecologicamente estinta”in quanto dal 1989 non si riscontrava alcun indi-ce di natalità. Nel 1999 è stato attivato un proget-to di reintroduzione, volto ad evitare la scomparsadella specie dalle aree di presenza storica e, più ingenerale, ad assicurare la persistenza di una po-polazione di Orso bruno nelle Alpi centrali e orien-tali. Il Parco Naturale Adamello Brenta (P.N.A.B.),nell’ambito del Progetto Life-Ursus coofinanziatodall’Unione Europea ed autorizzato dal Ministerodell’Ambiente, con il supporto della Provincia Au-tonoma di Trento (P.A.T.) e la supervisione scienti-fica dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica

E. Cetto, C. Fraquelli, P. Zanghellini

ORSO BRUNO E ATTIVITÀ ANTROPICHE IN TRENTINO: STRUMENTI E AZIONI VOLTE A MITIGARE I CONFLITTI.

CRITICITÀ

Brown Bears and human activities in Trentino: means and actions adopted for reducing conflict. Critical areas.

ERMANNO CETTO°, CRISTINA FRAQUELLI, PAOLO ZANGHELLINIServizio Foreste e Fauna della Provincia Autonoma di Trento

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 88-97, 2005

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(I.N.F.S.), ha coordinato il progetto d’immissioneattraverso il quale, nel periodo 1999-2002, sonostati rilasciati dieci esemplari di Orso bruno pro-venienti dalla Slovenia. Il progetto ha avuto ancheil supporto dell’Associazione cacciatori della pro-vincia di Trento e del W.W.F.Uno degli animali liberati è deceduto, travolto dauna valanga, nel corso dell’inverno 2000/2001.Nella primavera 2002 una delle femmine immesseha partorito due cuccioli e nel 2003 una secondafemmina ha partorito due cuccioli, uno dei quali,un maschio, è stato predato. Nel Trentino orienta-le, al confine con la provincia di Belluno, si è inol-tre registrata dal 1999 la presenza di un esempla-re d’Orso bruno. Tale soggetto ha probabilmenterappresentato la punta più avanzata del fenomenod’espansione spontanea delle popolazioni di plan-tigradi slovene/austriache; tuttavia, in tale areaprovinciale, nel 2003 non sono stati riscontrati in-dici certi di presenza del plantigrado.La stima numerica degli orsi presenti in provinciadi Trento al dicembre 2003 è quindi di 9-11 esem-plari adulti ai quali si aggiungono 3 giovani natinel 2002-2003. Mentre il nucleo di Orso bruno au-toctono presente alla fine degli anni ’90 gravitavasu un’area di poche centinaia di Km2, nel gruppomontuoso del Brenta, gli animali introdotti hannomodificato sostanzialmente l’area interessata dallaspecie. Il monitoraggio radiotelemetrico, condotto nell’am-bito del progetto di reintroduzione, ha permesso dievidenziare, a conferma delle conoscenze già dis-ponibili, l’elevata mobilità di alcuni soggetti. Lapresenza dell’Orso bruno coinvolge ormai quasitutto il territorio provinciale situato in destraAdige e, in sinistra Adige, seppur occasionalmen-te, alcune porzioni della catena del Lagorai. Du-rante il periodo di monitoraggio radiotelemetrico(aprile 1999 – agosto 2003) alcuni degli orsi rila-sciati all’interno del P.N.A.B. hanno inoltre fre-quentato territori nelle province di Brescia, Bellu-no, Bolzano nonché l’Austria (Gruppo di Ricerca eConservazione dell’Orso bruno del Parco NaturaleAdamello Brenta 2002).

Attività zootecnica, agricola e apisticaNonostante la crisi del settore zootecnico e l’ab-bandono di numerose malghe verificatosi negli ul-timi 40 anni, l’alpeggio viene ampiamente pratica-to, anche da parte di allevatori extra-provinciali.Attualmente le malghe utilizzate in provincia diTrento sono 440; il totale dei capi alpeggiati nel2003 ammonta a 26.652 bovini, 29.084 ovini,2.820 caprini, 618 suini e 651 equini. L’allevamento ovicaprino, tradizionalmente prati-cato allo scopo di utilizzare le zone di pascolo piùimpervie e meno adatte ai bovini, in tempi recentiè stato indirizzato alla produzione lattiero casea-ria. E’ in fase di ripresa l’allevamento caprino conrazze specializzate per la produzione di latte, qualila Camosciata e la Saanen. L’orientamento pro-duttivo principale dell’allevamento ovino rimanequello della produzione di carne; le razze allevatesono generalmente appartenenti alla tipologia al-

pino gigante (Bergamasca, Biellese, Tiroler berg-schaf; Pirola, 2002).L’attività agricola si concentra sui fondovalle; lasuperficie agricola utilizzata, con un’estensione dicirca 147.000 ha, è pari al 24% dell’intero territo-rio provinciale. Delle circa 35.000 aziende agricolepresenti in Trentino solo il 7,6% ha una superficieche supera i 5 ha (Piano Faunistico Provinciale,2003). Esiste peraltro il problema, tipico del regi-me di proprietà fondiaria nelle zone montane, del-l’estrema frammentazione fondiaria. Le aziendeprevalenti sono quelle familiari diretto coltivatrici,operanti a tempo pieno o part-time. I principali settori produttivi sono rappresentatidalla frutticoltura (spicca in particolare la produ-zione delle mele, con quantitativi che superano le476.000 t annue, coltivate fino ad una altitudinedi 700-800 m s.l.m.) e dalla vitienologia (realizzatain alcune aree di fondovalle e in zone collinari finoa 600 m s.l.m., con una produzione di uva pari acirca 114.000 t) (Piano Faunistico Provinciale,2003). A livello locale vi sono specializzazioni nellacoltivazione di susine, piccoli frutti, ortaggi e gra-minacee, in particolare mais.Negli ultimi decenni si è assistito ad un notevoleincremento del patrimonio apistico. Nel dicembre2003 in Trentino erano presenti ben 1.606 apicol-tori, per un numero complessivo di 22.070 arnie,con una media di 13,7 arnie/apicoltore. Molti api-coltori esercitano il nomadismo, seguendo le fiori-ture in quota durante il periodo estivo.

Le principali cause del conflittoSi ritiene che i punti principali di possibile conflit-to fra attività antropiche e presenza del plantigra-do in Trentino oggi, siano principalmente tre:a) l’impatto con le risorse zootecniche, agricole,apistiche (problema del danno). Si segnala chenelle categorie professionali interessate al dannosi sviluppa talora l’opinione che lo sforzo conser-vazionistico dell’Ente pubblico, nei suoi risvoltianche finanziari, sia rivolto al sostegno di interes-si ambientali, turistici, d’immagine detenuti daaltri contesti sociali, estranei al mondo rurale.b) il timore provocato nei residenti e nei turisti(problema di sicurezza nonché di economia turisti-ca). La problematica della sicurezza e incolumitàpubblica rappresenta il motivo di fondo di ogni si-tuazione critica, o percepita come tale, dalla popo-lazione. Alcune Comunità che abitano nelle aree dinuova frequentazione del plantigrado temono lapresenza della specie, tanto da modificare i com-portamenti collettivi connessi alla fruizione dellerisorse ambientali. L’indirizzo della società attua-le, fortemente direzionato a inserire la nostra vitaquotidiana in contesti di sicurezza, non contribui-sce a sostenere le iniziative volte a conservare ediffondere questa specie, che è potenzialmente pe-ricolosa.c) il timore che la presenza della specie porti a li-mitazioni all’ordinario utilizzo delle risorse am-bientali e alle prospettive di sviluppo (problema deivincoli). Si segnala la posizione dei rappresentantiistituzionali i quali sostengono che l’Orso bruno

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può, e deve, sapersi adattare alle situazioni am-bientali e antropiche. Si ritiene che tale posizioneabbia costituito presupposto indispensabile all’at-tuazione del progetto di reintroduzione, basato pe-raltro su uno studio di fattibilità che attesta la pre-senza, nell’arco Alpino centrale, di un territorioidoneo a supportare una minima popolazione vita-le di Orso bruno (Duprè et al. 2000). Oggi l’unicolegame normativo che condiziona in Trentino, inmodo esclusivo, lo svolgimento delle attività antro-piche (caccia, selvicoltura, costruzione nuove stra-de, etc.) alla presenza dell’Orso bruno, è rappre-sentato dalle “Norme d’attuazione del Piano delP.N.A.B.”, adottate nel 1998, riferite ad un territo-rio limitato, ubicato all’interno del Parco. Questedisposizioni sono rivolte a salvaguardare le zone disvernamento e di riproduzione del residuo nucleod’Orso bruno autoctono. Lo strumento normativodispone peraltro la cessazione della vincolisticanel momento in cui sia stata data esecuzione al“Piano di recupero dell’Orso bruno”, inteso comeprogetto di reintroduzione. La Valutazione d’im-patto ambientale (V.I.A.) e lo studio d’incidenzaprevisto per i S.I.C., con i relativi limiti connessialle soglie di V.I.A. e al riferimento geografico bendefinito, possono costituire strumenti generali dicontrollo delle nuove iniziative progettuali in gradodi influire, fra l’altro, anche sulla presenza delplantigrado.

La normativa provincialeGià dal 1978 la P.A.T. è dotata di una legge voltaad indennizzare i danni provocati dall’Orso brunoe finanziare le opere di prevenzione (L.P. 31/78“Protezione dell’Orso bruno nel territorio provin-ciale e risarcimento dei danni provocati dallo stes-so”). Nel 1998 le disposizioni della L.P. 31/78sopra citata sono state ricondotte all’art. 33 dellaL.P. 24/91 “Norme per la protezione della faunaselvatica e per l’esercizio della caccia”. Con D.G.P.671 del 28 marzo 2002 la Giunta provinciale hamodificato in modo sostanziale le procedure cheriguardano il risarcimento dei danni provocati dal-l’Orso bruno e il finanziamento delle opere e misu-re di prevenzione (l’atto amministrativo è consul-tabile al sito: www.provincia.tn.it/foreste/orso).La struttura provinciale responsabile dei procedi-menti è ora il Servizio Foreste e fauna; gli inter-venti finanziari sono a carico del bilancio provin-ciale. E’ previsto l’indennizzo totale del danno ar-recato dall’Orso bruno ad animali appartenentialle specie domestiche e selvatiche d’interesse perl’uomo, del danno arrecato agli alveari e alle loropertinenze nonché di quello arrecato alle coltureagricole. La soglia minima del danno indennizza-bile è fissata in 100 €. E’ altresì prevista la possibilità che la Provinciaconcorra alla spesa sostenuta per la realizzazionedi opere o misure di prevenzione dei possibilidanni provocati dal plantigrado. L’importo minimodegli interventi ammessi a contributo non può es-sere inferiore a 100 € e il contributo può essereconcesso nella misura massima del 90% dellaspesa sostenuta.

I tempi dei procedimenti sono ridotti: le praticheriguardanti l’indennizzo dei danni e al finanzia-mento delle opere di prevenzione debbono essereconcluse entro 60 giorni dalla presentazione dell’i-stanza da parte dell’utente. Al fine di semplificaregli adempimenti burocratici a carico del cittadino,tale istanza viene configurata come autocertifica-zione, e contiene tutte le dichiarazioni ordinaria-mente necessarie per consentire all’Ente, in casodi accoglimento della richiesta, d’indennizzare ildanno o assegnare il contributo. In seguito all’at-tivazione del progetto di reintroduzione, da partedell’Ente promotore P.N.A.B. è stata sperimentatala possibilità di coprire i danni provocati dai plan-tigradi immessi attraverso una polizza assicurati-va. L’esperienza è stata sviluppata negli anni1999-2001, ma si è interrotta anche a seguito didifficoltà incontrate con le Compagnie assicuratri-ci in occasione del rinnovo dei contratti.Dal 2002 tutti i danni provocati dagli orsi in Tren-tino, sia radiocollarati che non, gravano quindi sulbilancio della Provincia. Si ricorda peraltro che dalsettembre 2003 in Trentino non vi è più alcun ani-male localizzato con radiotelemetria, a seguitodella perdita dei radiocollari o della loro autono-mia energetica: il danno provocato dagli orsi “au-toctoni”, “immessi” e “nuovi nati”, non è quindi,ora, più differenziabile.

La programmazione gestionaleNel giugno 2002 con deliberazione n. 1428 laGiunta della P.A.T. ha fornito alcuni indirizzi perdare avvio alla fase di gestione ordinaria dell’Orsobruno. La Giunta ha individuato alcune attivitàprioritarie che devono essere pianificate e realizza-te, in tempi brevi, su tutto il territorio della pro-vincia, al fine di assicurare un graduale ed armo-nico passaggio dalla fase progettuale straordinarianella quale si è sviluppato il progetto di reintrodu-zione a quella di gestione ordinaria dell’Orsobruno. L’obiettivo generale della Provincia è quello di svi-luppare un’organica e globale strategia d’azioneche “sappia coniugare le esigenze di salvaguardiadel patrimonio collettivo rappresentato dall’Orsobruno con le esigenze d’informazione e supportoalle popolazioni locali, con particolare riferimentoalle questioni relative alla sicurezza ed ai danni”. Per lo sviluppo dell’obiettivo prefissato, il ServizioForeste e fauna, al quale compete la tutela e con-servazione della fauna selvatica, è stato individua-to quale Struttura provinciale di riferimento. DettoServizio, in stretta collaborazione con l’I.N.F.S., ilP.N.A.B. e altre Strutture provinciali, ha predispo-sto i seguenti “Programmi d’azione”:- Programma I:

Monitoraggio.- Programma II:

Informazione alla popolazione e gestione dellacomunicazione.

- Programma III: Formazione degli operatori.

- Programma IV: Prevenzione e indennizzo danni.

E. Cetto, C. Fraquelli, P. Zanghellini

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- Programma V:Situazioni critiche e d’emergenza.

- Programma VI:Raccordo interregionale e internazionale eforme di finanziamento.

I Programmi d’azione sono stati adottati dallaGiunta provinciale di Trento con deliberazione n.1988 di data 9 agosto 2002 e costituiscono oggi ri-ferimento nello svolgimento delle attività rivoltealla gestione della specie provinciale (l’atto ammi-nistrativo è consultabile al sito: www.provincia.tn.it/foreste/orso).

METODIProcedure e organizzazione relazionate allaproblematica dei danni Per l’accertamento dei danni, la Provincia si avva-le di personale specializzato del Servizio Foreste efauna. La tematica è coordinata dalla sede centra-le che si avvale di dodici operatori distribuiti negliUffici decentrati maggiormente interessati dallapresenza del plantigrado. La dislocazione deglioperatori in tali Uffici garantisce tempestività nel-l’accertamento, contiene i costi di spostamento delpersonale, assicura la conoscenza di dettagliodelle situazioni locali.Il personale sopra citato effettua tempestivamente

i sopralluoghi richiesti, compila il verbale d’accer-tamento del danno, supportato da una modulisti-ca preimpostata, notifica tale verbale all’utente. Incaso di danno al patrimonio zootecnico, al sopral-luogo viene anche invitato un veterinario dell’A-zienda provinciale per i servizi sanitari e, quandoè coinvolta un’Area Protetta, una rappresentanzadella stessa.In caso di verbale positivo, la quantificazione eco-nomica del danno è effettuata sulla base del valo-re di mercato dei beni danneggiati facendo riferi-mento, quando possibile, alle statistiche fornitedalla Camera di Commercio, Industria e Artigiana-to della provincia di Trento o dall’Istituto di Servi-zio per il Mercato Agricolo Alimentare.

Procedure e organizzazione relazionate allaprevenzione La prevenzione dei danni da Orso bruno in pro-vincia è tradizionalmente basata sulla realizzazio-ne di recinzioni elettriche, frequentemente adotta-te per preservare gli apiari (Osti 1991). Nel 2002 ilServizio Foreste e fauna della P.A.T. ha ridefinito latipologia base dei recinti elettrici, che sono orarealizzati secondo uno schema standardizzato(Fig. 1). Il Servizio Urbanistica e tutela del paesag-gio della P.A.T. si è espresso riconoscendo talistrutture, in via generale, temporanee e precarie, e

Fig. 1: Tipologia delle recinzioni elettriche finanziate dalla P.A.T.

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quindi ritenendole estranee ai provvedimenti auto-rizzativi di tipo urbanistico e paesaggistico: ciòsemplifica la messa in opera delle recinzioni, avantaggio anche della tempestività della loro rea-lizzazione. Per limitare i danni arrecati dall’Orsobruno al bestiame, vengono anche finanziate retielettrificate, che sono più facili da spostare e sem-plici da mettere in opera, rispetto ai suddetti re-cinti. Nelle zone frequentate dall’Orso bruno, la Provin-cia interviene contribuendo con un 90% alla spesadi realizzazione delle opere di prevenzione, liqui-dando la somma concessa a contributo a seguitodi presentazione, da parte dell’utente, delle fatturedi spesa. In alternativa alla concessione del con-tributo finanziario sopra descritto, il Servizio Fore-ste e fauna della P.A.T., a partire dal 2002, ha at-tivato una seconda forma di sostegno alla realizza-zione delle recinzioni elettriche. A richiesta dell’u-tente, può venir fornito dalla Provincia tutto il ma-teriale necessario alla realizzazione della recinzio-ne elettrificata attraverso la stipula con l’utente diun contratto di “comodato gratuito”. Con la ratifi-ca di tale contratto l’utente s’impegna a installareprontamente il materiale ricevuto in consegna,prelevato dal magazzino del Servizio Foreste efauna, e a garantirne la manutenzione ordinariaper otto anni.Il contenimento del possibile aggravamento deldanno, imputabile al fatto che spesso l’orso tendea tornare sulla fonte alimentare già utilizzata, èinoltre perseguito attraverso l’uso di reti elettrifi-cate di proprietà pubblica date in dotazione agliUffici decentrati del Servizio Foreste e fauna non-ché, per il territorio di competenza, messe a dispo-sizione dal P.N.A.B. L’utilizzo di tali recinti elettri-ci, immediatamente disponibili e nella maggiorparte dei casi istallati dallo stesso personale ac-certatore del danno, consente all’utente di preser-vare il proprio bene dal possibile ulteriore dannoed eventualmente procedere, in regime di sicurez-za, a dotare la propria unità produttiva, anche conil citato supporto finanziario della Provincia, diuna recinzione elettrica.

Il progetto di comunicazione e le verifiche diefficaciaIl progetto di reintroduzione attivato a partire dal1999 è stato preceduto e accompagnato da unacampagna informativa coordinata dal P.N.A.B. Leiniziative di comunicazione, fino al 2002, hannointeressato principalmente le popolazioni residen-ti ed i turisti dell’area a Parco e territori limitrofi.La distribuzione degli animali, come già detto, inaree anche molto distanti dal Parco, e il coinvolgi-mento di realtà prive d’esperienza di convivenzacon il plantigrado, hanno comportato l’esigenza diattivare, nel 2003, una nuova campagna informa-tiva, sviluppata su scala provinciale. Tale campa-gna d’informazione è stata coordinata dal ServizioForeste e fauna della P.A.T., che si è avvalso anchedelle collaborazioni di una ditta privata specializ-zata e, per quanto attiene gli interventi nelle scuo-le, di quella del Museo Tridentino di Scienze Natu-

rali. La nuova campagna informativa ha esclusol’utilizzo dei mass media, in quanto si è ritenutoche il progetto d’immissione dell’Orso bruno svi-luppato negli ultimi anni, e le conseguenti situa-zioni provocate dai plantigradi immessi, abbianoportato ad una “sovraesposizione” mediatica dellatematica. Specifici interventi d’informazione sonostati rivolti alle categorie “sensibili”, individuate inparticolare negli allevatori, apicoltori, cacciatori.L’esigenza di attivare una campagna d’informazio-ne allargata, è risultata evidente nel luglio del2002, quando si verificarono in Provincia di Tren-to alcune situazioni critiche, o ritenute tali dallapopolazione, che assunsero elevata risonanza me-diatica. Queste determinarono l’insorgere di unsentimento d’apprensione da parte di alcune Co-munità locali, a cui seguì contestazione del pro-getto di reintroduzione, sostenuta anche da alcu-ne forze politiche.La situazione trovò risonanza nel Consiglio dellaP.A.T. che nel luglio 2002 approvò un ordine delgiorno con il quale impegnava la Giunta provin-ciale “ad effettuare, entro l’anno 2003, una con-sultazione tra la popolazione trentina sul gradi-mento e sulle preoccupazioni legate alla presenzadell’orso in Trentino, a conclusione di una campa-gna di informazione e di sensibilizzazione estesa atutto il territorio provinciale”. La consultazione si èsviluppata nel novembre 2003 attraverso un’inda-gine Doxa, realizzata con il metodo delle intervistetelefoniche rivolte ad un campione di 2.000 citta-dini. La rilevazione è stata effettuata con il sistemaCATI utilizzando un questionario basato su unatrentina di domande. Alcuni quesiti posti agli in-tervistati sono stati finalizzati a verificare la perce-zione di dannosità e pericolosità del plantigrado daparte della popolazione residente.

Procedure e organizzazione degli interventi neiconfronti degli orsi problematici e nelle situa-zioni criticheIn tutte le zone nelle quali orso e uomo convivono,tra questi si verificano anche conflitti, più fre-quenti quando dei soggetti si dimostrano “proble-matici”, provocando danni ripetuti o situazioni dipericolo. La presenza dell’orso nel territorio, puòinoltre determinare situazioni critiche, indipen-dentemente dal fatto che l’orso coinvolto possa es-sere considerato “problematico”: ciò può ad esem-pio verificarsi quando il soggetto, straordinaria-mente e/o casualmente, viene a trovarsi in situa-zioni fortemente antropizzate.La definizione di procedure snelle e la messa apunto di un’adeguata organizzazione di pronto in-tervento, costituiscono presupposto per limitare irischi per l’uomo legati alla presenza della specie,nonché le probabilità che gli orsi “problematici” oche si trovano in situazioni critiche vengano ab-battuti. Un orso “problematico” può essere sottoposto adazione di controllo, in accordo con quanto previstodalle normative nazionali, regionali e provinciali. IlServizio Foreste e fauna della P.A.T., con la colla-borazione dell’Istituto Nazionale per la Fauna Sel-

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vatica, nella primavera 2003 ha predisposto un“Protocollo d’azione nei confronti degli orsi proble-matici e d’intervento in situazioni critiche “. Il Mi-nistero dell’Ambiente e della Tutela del Territorionel luglio 2003 ha rilasciato alla P.A.T., ai sensi delD.P.R. 357/97 e s.m., l’autorizzazione agli inter-venti previsti nel citato documento. Tali azionisono relazionate e proporzionate alla “problemati-cità” manifestata dai soggetti e si sviluppano daun livello blando (presidio, dissuasione) fino ad in-terventi più energici quali le catture per radiomar-caggio, la cattura per rimozione e, da ultimo, l’ab-battimento dei soggetti. Nel citato protocollo sonostati definiti anche gli aspetti organizzativi funzio-nali a poter intervenire con tempestività ed effi-cienza sugli orsi problematici e, più in generale,nelle situazioni critiche provocate dai plantigradi.L’organizzazione operativa fa riferimento al CorpoForestale Provinciale, del quale il Servizio Forestee fauna fa parte, ed è basata sull’intervento della“squadra d’emergenza orso” costituita da persona-le specializzato e attrezzato.

RISULTATII danni In Fig. 2 è rappresentato l’andamento numerico ela quantificazione finanziaria dei danni arrecatidall’Orso bruno in provincia di Trento, nel periodo1990 - 2003. Dalla lettura della Fig. 2 emerge l’incremento deidanni verificatosi negli ultimi anni, a seguito del-l’immissione dei 10 animali traslocati dalla Slove-nia. Si evidenzia peraltro che lo “Studio di fattibi-lità per la reintroduzione dell’Orso bruno (Ursusarctos) sulle Alpi centrali” predisposto dall’I.N.F.S.nel 1999 prospettava, per la fase progettuale di-rettamente legata all’immissione degli animali, ilverificarsi di possibili danni compresi fra 27.269 €(caso di danni lievi) e 613.293 € (caso di danni ele-vati), con una stima del possibile danno mediopari a € 44.519 (Duprè et al. 2000). I danni accertati nel periodo 1999-2003 ammon-tano a 52.833 €, risultando quindi in linea conl’ammontare del danno medio previsto dallo studiodi fattibilità sopra citato.

Fig. 2: Numero e importi dei danni arrecati dall’Orso bruno in provincia di Trento – periodo 1990-2003.

Fig. 3: Numero dei danni provocati dall’Orso bruno in provincia di Trento, distinti per tipologia – periodo1990-2003.

Somme risarciteNumero danni

5.000

15.000

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25.000

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

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Nel periodo in cui gli animali immessi venivano se-guiti con radiotelemetria era possibile attribuire ildanno al singolo soggetto d’Orso bruno; è emersoche negli anni dal 2000 al 2002, la maggior partedei danni è stata causata da un numero limitatod’animali radiomarcati. Spiccano in particolare idanni provocati dall’orso denominato “Daniza” chenel 2000 ha provocato nove danni (56% della casi-stica dell’anno) e nel 2001 diciotto danni (38%della casistica dell’anno). Sempre nel 2001 l’orsodenominato “Friz” ha provocato, nel Trentinoorientale, tredici danni (28% della casistica del-l’anno). Si evidenziano inoltre i diciannove danniarrecati nel 2002 dall’orso denominato “Jurka”(43% della casistica dell’anno).In Fig. 3 è rappresentata la tipologia dei danni daOrso bruno accertati in provincia di Trento nel pe-riodo 1990 - 2003. In qualche caso è stato possi-bile riprendere l’orso sul luogo del danno, comequando due orsi sono stati fotografati mentre sialimentavano di susine (Fig. 4).

Le opere di prevenzione In Fig. 5 è rappresentato l’andamento numerico eil contributo concesso per la realizzazione delleopere di prevenzione dei danni da Orso bruno fi-nanziati dalla Provincia nel periodo 1990 - 2003.Si evidenzia che a partire dal 2002 la maggiorparte delle recinzioni elettriche sono state realizza-te con materiale fornito direttamente dalla Provin-cia agli utenti, previa stipulazione di un contrattodi comodato gratuito. In questi casi la quantifica-zione finanziaria del contributo concesso corri-sponde alla spesa sostenuta dalla P.A.T. per l’ac-quisto del materiale. La cessione del materiale ne-cessario alla realizzazione dei recinti elettrici at-traverso il “comodato gratuito” porta a significativivantaggi rispetto alla concessione del contributosull’acquisto: la procedura è considerevolmentesemplificata e snella, il materiale è prontamentedisponibile e standard, i costi a carico dell’Entepubblico risultano leggermente inferiori, in quan-to viene installato materiale acquistato dalla Pro-vincia all’ingrosso, previo confronto concorrenzia-le fra ditte.

Le iniziative di comunicazione e l’accettazionesocialeFra le iniziative sviluppate con la nuova campagnainformativa provinciale sviluppata nel 2003, si ci-tano:- interventi sulle riviste pubblicate in provincia e

dedicate agli allevatori, apicoltori, cacciatori;- comunicazioni “personalizzate” alle aziende zoo-

tecniche e apicole ubicate nelle aree frequentatedal plantigrado;

- depliants generici e depliant specifico rivolto aicacciatori;

- predisposizione e divulgazione di una pubblica-zione riguardante la pericolosità dell’Orso bruno;

- serate tematiche e visite guidate didattiche;- predisposizione e attivazione di un pacchetto for-

mativo rivolto alle scuole.La consultazione affidata alla Doxa e svolta nel no-vembre del 2003 su un campione rappresentativodella popolazione trentina, ha testato l’efficaciadelle iniziative di comunicazione attivate e indaga-to alcune opinioni dei residenti a riguardo dell’Or-so bruno. Una parte del questionario è stata im-postata per verificare qual’è la conoscenza dellabiologia e la percezione di “dannosità” della specie,nonché il timore provocato dal plantigrado. Si ri-portano di seguito alcuni risultati delle elaborazio-ni del questionario, riferite agli argomenti mag-giormente attinenti il tema trattato nel presentelavoro.Dal sondaggio è emerso che il 65,2% degli intervi-stati è a conoscenza che l’Orso bruno è “sia erbi-voro che carnivoro”. Il 68,2% degli intervistati sache il plantigrado provoca danni alle coltivazioni, il74,7% del campione sa che l’Orso bruno arrecadanni agli animali domestici, il 66,7% che il plan-tigrado arreca danni agli alveari. L’82,4% di coloroche pensano che l’Orso bruno arrechi danni aglianimali domestici sanno che le specie più fre-quentemente danneggiate sono capre e pecore. Il49.6% degli intervistati è a conoscenza che l’Orsobruno non arreca “nessuno o quasi” danno allafauna selvatica. Alla domanda “Lei sa se viene datoun indennizzo per i danni che possono essere fattidagli orsi che vivono in provincia di Trento”, il

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Figura 4. - Orsi che si alimentano sususine, ripresi con trappola fotografi-ca ad autoscatto posizionata nell’au-tunno 2003 dagli operatori del Servi-zio Foreste e fauna nel Comune diVezzano (TN).

Figura 5. - Numero delle recinzioni elettriche finanziate dalla Provinciadi Trento e ammontare del contributo finanziario (1990 – 2003).

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31,3% degli intervistati risponde “sì, sono sicuro”,il 29,1% risponde “credo di sì”, l’11% “credo di no”,il 2,1% risponde “no, è escluso”, il 26,2% “non so”. Relativamente al livello di percezione della “perico-losità” dell’Orso bruno, l’87,2% degli intervistatinon ricorda che, negli ultimi anni, qualcuno siastato attaccato dagli orsi bruni nel Trentino o inaltre zone. Il 46,7% del campione afferma, inoltre,che continuerebbe ad effettuare lo stesso numerodi passeggiate nei boschi anche se questi fosserofrequentati da un orso. Alla domanda “Quanto le ègradita la presenza dell’orso in Trentino?”, il23,5% degli intervistati risponde “molto”, il 45,7%“abbastanza”, il 17% “poco”, il 9,3% “per nulla”, il4,7 % “non so”. Il 78,3% degli intervistati si di-chiara favorevole al fatto che l’Amministrazionepubblica sostenga i costi necessari per la conser-vazione degli orsi in Trentino. Ad una delle do-mande chiave “Se lei dovesse votare in un referen-dum per decidere se gli orsi possono restare inTrentino, Lei pensa che voterebbe a favore o con-tro la permanenza degli orsi in Trentino?”, il73,2% degli intervistati si è espresso a favore dellapermanenza degli orsi, il 20,6% contro la perma-nenza degli orsi, il 6,2% degli intervistati si è aste-nuto.

L’intervento nei confronti degli orsi problema-tici e nelle situazioni criticheFra i 10 orsi immessi con il progetto di reintrodu-zione, le femmine denominate “Daniza” e “Jurka”hanno manifestato, particolarmente in determina-ti periodi, comportamenti di confidenza con l’uomoe propensione all’effettuazione di danni, la primanei confronti degli apiari, la seconda delle greggi.Su tali animali si è intervenuti con azioni di dis-suasione, utilizzando anche proiettili in gomma.Fino a quando gli animali immessi erano seguiticon radiotelemetria, l’intervento degli operatoridella squadra d’emergenza orso è stato frequente,in quanto la conoscenza precisa della posizione deisoggetti comportava, al loro avvicinarsi a zone an-tropizzate, interventi di “presidio”, finalizzatianche a tranquillizzare i residenti.Si sono verificate negli ultimi anni alcune situa-zioni critiche rilevanti, tutte fortunatamente con-cluse positivamente, ampiamente riprese daimezzi d’informazione. Si ricorda, fra queste, indata 30 settembre 2000 la penetrazione dell’orsodenominato “Daniza” nell’abitato di Riva delGarda; in data 30 agosto 2001 l’investimento stra-dale dell’orso denominato “Vida” sull’autostradaModena-Brennero; in data 16 maggio 2002, l’in-gresso dell’orso denominato “Gasper” nel DossTrento, un parco urbano posto a ridosso della cittàdi Trento. Le sopraccitate situazioni sono state af-frontate con tempestivo impiego di personale spe-cializzato del Corpo Forestale Provinciale, al qualetalora si sono affiancati anche gli Organi di pub-blica sicurezza statali.Fra le situazioni ad elevata criticità, va inoltre se-gnalata quella verificatasi in data 2 novembre2003 in Comune di Vezzano. In quel caso un cac-ciatore che, subito dopo lo sparo stava recuperan-

do un capo di Camoscio, si è ritrovato a 10 m circadi distanza da una femmina di Orso bruno accom-pagnata dal piccolo; la femmina si stava nutrendodell’ungulato abbattuto. Oltre che nei casi criticirilevanti sopraccitati, gli operatori specializzatidella squadra d’emergenza orso sono stati impie-gati in operazioni più semplici, quali le liberazionedegli orsi traslocati, il recupero dei radiocollari an-cora funzionanti, le azioni di dissuasione su orsiconfidenti, gli interventi di presidio ad abitati omasi. Durante il 2002, la squadra d’emergenzaorso è stata attivata 21 volte, mentre nel 2003, 15volte. Rispetto al 2002, il 2003 è stato un annomeno impegnativo per quanto attiene gli interven-ti connessi alle situazioni critiche provocate in ter-ritorio provinciale dagli orsi, anche per quantoconcerne la rilevanza delle singole casistiche.

DISCUSSIONE E CONCLUSIONIEfficacia degli strumenti e azioni volte a miti-gare i conflittiL’evoluzione delle situazioni di consistenza e dis-tributive della popolazione d’Orso bruno nel terri-torio della provincia di Trento, configura oggi unarealtà ben diversa da quella che si presentava allafine degli anni ‘90. La nuova situazione ha com-portato la necessità per la P.A.T. di aggiornarel’impianto normativo, procedurale e organizzativo,nell’obiettivo di affrontare al meglio le nuove esi-genze e attenuare i possibili conflitti fra la presen-za dell’Orso bruno e le attività antropiche.Il sistema d’accertamento e rifusione dei danninonché quello di finanziamento delle opere/misu-re di prevenzione, sembrano già sufficientementecollaudati e funzionanti, in grado di garantire se-rietà, tempestività e, per quanto possibile, sempli-cità ai procedimenti.Nelle aree di nuova frequentazione, dove le Comu-nità non hanno alcuna esperienza di convivenzacon il plantigrado, i danni assumono significato epeso rilevante e talora sproporzionato. Peraltro, intali aree le attività antropiche sensibili al dannoprovocato dall’Orso bruno non sono svolte contecniche e accorgimenti indirizzati a contenere lapossibilità che l’orso bruno vada a contatto con lafonte alimentare.Vi sono margini di miglioramento per quanto at-tiene la programmazione degli investimenti pub-blici volti al finanziamento delle opere e misure diprevenzione dei danni. Si ritiene opportuno infattidefinire un sistema dinamico di zonizzazione dellearee di frequentazione dei plantigradi, al fine dipoter decidere in quali territori all’Ente pubblicoconvenga incentivare l’adozione di sistemi di pre-venzione dei danni, piuttosto che non limitarsi al-l’indennizzo dei danni accertati.Nell’assumere queste decisioni dovrà essere tenu-to conto della reazione degli imprenditori al dannosubito in quanto, non di rado, l’indennizzo secon-do il valore di mercato del bene danneggiato nonpare compensare in modo adeguato il disagio su-bito dell’utente colpito. L’esperienza degli ultimianni sviluppata in provincia, evidenzia che l’in-

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dennizzo dei danni secondo il valore di mercato delbene, nella maggior parte delle situazioni soddisfail conduttore “professionista”, mentre lascia talorainsoddisfatto l’operatore “dilettante” o quello “part-time”. Va inoltre tenuto conto che il danno, so-prattutto se pubblicizzato dagli strumenti mediati-ci, può provocare allarmismo nella Comunità.Sembra inoltre importante proseguire negli sforzidi “comunicazione”, in particolare rivolti alle cate-gorie sociali direttamente coinvolte dalla presenzadella specie, prestando particolare attenzione allearee di nuova colonizzazione da parte del planti-grado; in queste ultime la sensibilità alla presenzadell’Orso bruno è maggiore e l’apprensione ampli-ficata. L’intervento tempestivo ed efficace nei con-fronti degli orsi problematici e nelle situazioni cri-tiche, costituisce un ulteriore tassello rilevante persupportare l’accettazione della specie da partedelle popolazioni locali. Più decisa, veloce e orga-nizzata è la reazione specialistica alle situazionicritiche provocate dall’Orso bruno, più si abbassa-no i rischi di danni patrimoniali e quelli relativialla sicurezza e incolumità pubblica. L’interventodi specialisti nella situazione di crisi, consenteinoltre di supportare le decisioni degli Organi dipubblica sicurezza, evitando l’adozione di misured’intervento nei confronti del plantigrado che pos-sono risultare sproporzionatamente energiche.

CriticitàNell’obiettivo di rendere compatibile oggi la pre-senza dell’Orso bruno in Trentino con le attivitàantropiche in essere, va posta massima attenzioneall’evoluzione delle casistiche e delle problemati-che, nonché alle reazioni dell’opinione pubblica,che dimostra di mantenere un’elevata sensibilitàalla tematica. L’attivazione del progetto di reintro-duzione dell’Orso bruno ha infatti accesso i riflet-tori sulla specie la cui presenza, nella coscienza econoscenza collettiva, oltre che mantenersi colle-gata a concetti di naturalità, è ora connessa adun’operazione “artificiale” promossa dall’Entepubblico, con motivazioni certamente valide manon da tutti comprese e/o condivise.Negli ultimi anni i mass-media locali riprendono eamplificano prontamente ogni questione riferitaall’Orso bruno, fornendo informazioni capillari econtribuendo a generare opinione, in contestid’accettazione che, perlomeno a livello locale, sem-brano altalenanti.In questa prospettiva, si riportano sinteticamentedi seguito alcuni punti di possibile criticità.

- Differenza fra le reazioni delle popolazioni alla pre-senza dell’Orso bruno in aree di frequentazionestorica del plantigrado e di nuova colonizzazione.

La presenza del plantigrado nelle aree provincialiove la specie, seppur con i contingenti esigui delsuperstite nucleo autoctono, non è mai venutameno, è normalmente ben accettata dalle popola-zioni residenti. Diverso è, talora, l’effetto provoca-to dalla comparsa dell’Orso bruno in territori dinuova colonizzazione. In tali ambiti la popolazione si allarma facilmente, ed eventi anche minimali,

quali il verificarsi di un danno o l’avvicinamentodell’Orso bruno al paese, fanno scattare manife-stazioni di preoccupazione, talora raccolte e fatteproprie anche dai rappresentanti istituzionali.Il danno arrecato dall’Orso bruno il 4 giugno 2002ad un allevamento familiare di maiali alla periferiadel paese di Ronzo Chienis, in Val di Gresta, inun’area di nuova colonizzazione del plantigrado,ha provocato la reazione d’allarme diffuso nellaComunità locale più energica e sproporzionata fraquelle verificatesi negli ultimi anni (Fig. 6). Secon-do le segnalazioni di alcuni Sindaci si sono già ve-rificate in Provincia situazioni nelle quali alcuniterritori montani sono stati evitati dalla popolazio-ne residente, in conseguenza dei timori provocatida ripetuti avvistamenti, a distanza ravvicinata, diplantigradi.

- Modalità di gestione dell’alpeggio e aspettative dirisarcimento

In provincia di Trento la gran parte degli allevato-ri e pastori che alpeggiano il bestiame domesticonon sono più organizzati, né psicologicamente pre-parati, per affrontare i rischi e i danni connessialla presenza di animali selvatici predatori dellemandrie e delle greggi. Talora l’alpeggio di pecoree capre è praticato con ridotta sorveglianza, o conil supporto di maestranze a scarsa professionalità,reclutate nei Paesi dell’Est europeo. Il ricovero not-turno del bestiame in stazzi non rappresenta unapratica d’allevamento diffusa.In determinati pascoli trentini inseriti in area fre-quentata dall’orso, il bestiame monticato, se blan-damente sorvegliato e gestito, rappresenta perl’Orso bruno una risorsa alimentare a facile acces-sibilità, sulla quale il singolo soggetto si può spe-cializzare. In questi contesti i danni sul singologregge possono ripetersi, con l’aggravante che lasegnalazione risulta talvolta tardiva e di conse-guenza l’accertamento difficoltoso, in quanto lecarcasse sono ritrovate in stato avanzato di de-composizione.Risulta difficile attenuare il conflitto soprattutto seil pastore si rifiuta di adottare le opere di preven-zione proposte dall’Ente pubblico, sostenendo che

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Figura 6. - Danno da Orso bruno su maiali, RonzoChienis, 4 giugno 2002.

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ciò comporterebbe una variazione inapplicabile delsistema gestionale in atto, e si limita a criticare ne-gativamente il progetto di reintroduzione dell’Orsobruno. Nelle zone frequentate dall’Orso bruno tal-volta s’innestano, inoltre, aspettative di risarci-mento di danni al bestiame, anche quando non viè alcun collegamento fra il danno e l’azione, maga-ri solo indiretta, del plantigrado (fig.7).

- Modalità di gestione degli apiariIn linea di massima, gli apiari stanziali in zona dipresenza storica dell’Orso bruno sono già forniti direcinzione elettrica, realizzata perlopiù con il con-tributo finanziario della Provincia. Anche gli api-coltori locali che effettuano nomadismo estivo inquota e che portano le arnie in territori frequenta-ti dall’Orso, hanno la possibilità di preservare l’a-piario dai danni, attraverso l’installazione di recin-zioni elettriche.Diversa è invece la situazione riguardante le arniedislocate sul territorio in primavera al fine dell’im-pollinazione dei frutteti, spesso “affittate” dalle Co-operative, talvolta anche attraverso contratti sti-pulati con apicoltori professionisti provenienti dafuori Provincia. Il fenomeno interessa in particola-re la Val di Non, un’area da sempre frequentatadall’Orso bruno. Queste arnie vengono distribuitesul territorio in piccoli gruppi, e spostate ripetuta-mente partendo dalle quote basse verso quelle ele-vate, nell’obiettivo di seguire la fioritura degli albe-ri da frutto. In tale situazione risulta difficile, senon improponibile, proteggere puntualmente gliapiari dislocati sul territorio.

- L’imprevedibilità di alcune situazioni critiche pro-vocate dall’Orso bruno

Come già detto, la Provincia si sta organizzandoper garantire un tempestivo ed efficace interventospecialistico nel caso in cui si manifestino situa-zioni critiche provocate dai plantigradi, attraversoil coinvolgimento del Corpo Forestale Provincialeraccordato con la Protezione civile. Un eventualeOrso bruno “problematico” comporta l’attivazionedi contromisure basate su interventi programmati

e strutturati. Si possono però verificare situazionicritiche che si sviluppano in modo inaspettato eimmediato, comunque con tempi tali da non per-mettere l’intervento degli operatori specializzati.Per limitare i rischi connessi ad azioni o compor-tamenti errati durante tali eventi, va promossaun’informazione capillare, allargata ed equilibrata,finalizzata a fornire messaggi chiari, che non creiinutile allarmismo.

- La frammentazione delle azioni gestionali attivatedagli Enti pubblici

La tutela e la corretta gestione di una popolazionedell’Orso bruno e delle problematiche ad essa con-nesse, risente negativamente della disomogeneitànormativa, procedurale e operativa degli Enti pub-blici. Sembra opportuno che le realtà amministra-tive, a partire da quelle posizionate a pari livello(Regioni e Province Autonome), individuino ap-procci omogenei alle complesse problematicheconnesse alla gestione di questa specie fra le qualiil monitoraggio, le misure di prevenzione e com-pensazione dei danni, l’organizzazione e gli inter-venti nelle situazioni critiche e d’emergenza, laformazione del personale, l’informazione e la co-municazione.Per dare prospettive di successo alle iniziative disostegno della popolazione d’Orso bruno attivatein provincia di Trento, pare quindi importante eurgente che, nell’Arco Alpino, gli Enti pubbliciconcertino le iniziative attivate nei rispettivi ambi-ti territoriali. Ciò potrebbe avvenire attraverso ladefinizione di un “Piano d’azione interregionale perla conservazione dell’Orso bruno nelle Alpi”, redat-to con la partecipazione diretta delle Regioni e Pro-vince autonome delle Alpi centro orientali, coordi-nato dallo Stato.

RingraziamentiSi ringraziano i colleghi del Servizio Foreste efauna che collaborano nelle iniziative gestionali ri-ferite alla popolazione d’Orso bruno e in particola-re il personale incaricato dell’accertamento deidanni da predatori selvatici e quello inserito nellesquadre d’emergenza orso.

BibliografiaDUPRÉ E., GENOVESI P., & PEDROTTI L., 2000 - Studio di

fattibilità per la reintroduzione dell’Orso bruno (Ursusarctos) sulle Alpi centrali. Biologia e Conservazionedella Fauna, 105: 1-89.

GRUPPO DI RICERCA E CONSERVAZIONE DELL’ORSO BRUNO DEL

PARCO NATURALE ADAMELLO BRENTA, 2002 – La reintro-duzione dell’Orso bruno nel Parco Naturale AdamelloBrenta. Documenti del Parco, Strembo.

OSTI F., 1991 – L’orso bruno nel Trentino. Arca editrice,Trento.

PIANO FAUNISTICO PROVINCIALE, 2003 – Provincia Autonomadi Trento, Assessorato all’Agricoltura e alla Montagna,Trento.

PIROLA M., 2002 – L’allevamento ovi-caprino in provinciadi Trento: realtà e prospettive. In: Atti convegno “L’al-levamento ovi-caprino nelle Alpi: tradizioni, razze, pro-dotti in sintonia con l’ambiente” (Cavalese, 20 settem-bre 2002): 9-12.

Figura 7. - Mortalità in un gregge a Malga Campa,Campodenno, 26/7/03; 40 carcasse di pecore rinve-nute ai piedi di una parete rocciosa; non è stato ri-scontrato alcun segno di aggressione da parte del-l’Orso bruno.

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RiassuntoIl Lupo è presente nella maggior parte del territo-rio toscano. La Regione Toscana ha intrapreso unavia strettamente razionale e scientifica nella ge-stione del Lupo, ponendosi come obiettivo la con-servazione della specie. Numerosi progetti sonostati iniziati e sono attualmente in fase di realizza-zione. Tutti i danni causati dai predatori vengonorimborsati agli allevatori e, contemporaneamente,vengono finanziati gli interventi di prevenzione deldanno. Dall’analisi dei dati risulta una tendenzanon regolare all’aumento delle spese per il risarci-mento; questo andamento non si registra inveceper le spese di prevenzione. I due fattori (preven-zione e risarcimento) non risultano correlati, suscala provinciale. Numerosi interventi sono propo-sti per migliorare la situazione.

SummaryThe wolf is present throughout most of Tuscany.The Regional administration aims at a rational andscientific management of the wolf, finalized to theconservation of the species. Several projects havebeen realized, and are now under way. All dama-ges from predators are refunded to farmers, andprevention measures are also funded. A very irre-gular positive trend is apparent in compensationcosts, but not in costs for prevention measures.Also, no correlation is apparent between the two, atthe Provincial scale. Several measures are proposedto improve the situation.

INTRODUZIONEIl Lupo (Canis lupus) è oggi presente in forma piùo meno stabile in tutte le province toscane, daGrosseto a Massa-Carrara. Il suo ritorno in areedalle quali era scomparso da molti decenni è statofavorito dall’abbandono delle aree montane, dal-l’aumento di ungulati selvatici (in particolare Cin-ghiale e Capriolo), ed anche dal regime di prote-zione accordato al Lupo dalla legge nazionale157/92 e dai regolamenti comunitari. Nonostantequesta espansione di areale ed incremento nume-rico, la specie è presente nella regione con una po-polazione piccola, tuttora vulnerabile, e che ponerilevanti problemi gestionali.La Toscana costituisce una porzione fondamenta-le dell’intero areale di distribuzione del Lupo, siaper la sua posizione strategica al centro dell’Ap-pennino, sia per la quantità e qualità degli am-

bienti adatti alla sopravvivenza della specie. Pertale motivo è di estremo interesse qualsiasi prov-vedimento di gestione della specie che venga adot-tato, sia sul piano direttamente operativo, che suquello politico, anche al fine di un possibile coor-dinamento con le altre regioni appenniniche.

LA POLITICA DELLA REGIONE TOSCANALa Regione Toscana ha da tempo intrapreso unavia della conservazione strettamente razionale escientifica del Lupo, ponendosi come obiettivo laconservazione della specie nel contesto nazionale eidentificando le azioni di sua competenza per favo-rire il compromesso di coabitazione del predatorecon le attività economiche degli allevatori.Per conseguire questo obiettivo, sono state finoradedicate notevoli energie alla ricerca scientificasulla biologia del Lupo e adottato alcuni provvedi-menti legislativi di rilevante portata per la conser-vazione della specie: la Regione ha adottato unPiano programmatico per la gestione della speciead ha approvato una legge per interventi economi-ci a favore degli allevatori che subiscono un dannocausato dal Lupo (L.R. 72/94 “Danni causati dalpatrimonio zootecnico da animali predatori o daeventi meteorici. Delega di funzioni e finanziamen-ti regionali”). La legge di indennizzo dei danni pro-vocati dal Lupo è impostata con criteri profonda-mente diversi dal passato, offrendo agli allevatorinon solo un indennizzo dei danni ma anche speci-fici contributi finalizzati a migliorare i mezzi di di-fesa del bestiame: tutto ciò viene gestito con il sup-porto di una base conoscitiva strettamente scien-tifica della presenza e delle dinamiche delle popo-lazioni di Lupo nella regione (Carta del Lupo).In estrema sintesi gli aspetti salienti della legge re-gionale sono:- tutti i danni del patrimonio zootecnico causati

da animali predatori sono riconosciuti al 100%;- nei danni sono considerati anche quelli indotti;- sono previsti inoltre incentivi economici da ero-

gare agli allevatori per sostenere le maggiorispese dovute alla realizzazione di infrastrutture(recinzioni, ricoveri, supplementi di guardiania,etc.);

- pagamento dei risarcimenti in tempi brevi;- creazione della carta della distribuzione del

Lupo su scala regionale.In ottemperanza dell’art. 4 della suddetta legge èstato poi approvato un prezziario regionale per

P. Banti, L. Bartolozzi, P. Cavallini

LA GESTIONE DEL LUPO IN TOSCANA

The management of Wolf in Tuscany - Italy

PAOLO BANTI*, LUIGI BARTOLOZZI**, PAOLO CAVALLINI***°*Regione Toscana via di Novoli, Firenze**Corpo Forestale dello Stato, Firenze

***Paolo Cavallini, Faunalia, Pontedera (PI)

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 98-101, 2005

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consentire agli Enti delegati (Comuni e Comunitàmontane) di quantificare i danni e permettere al-l’amministrazione regionale di liquidare i relativiimporti. Sempre in applicazione degli artt. 3 e 4della L.R. 72/94, sono state approvate direttivetecniche al fine della quantificazione dei “danni in-dotti”: ferite gravi, aborti e perdita lattea.Sono state poi predisposte indicazioni tecnicheutili agli Enti delegati per l’istruttoria della prati-che inerenti gli interventi di prevenzione previstidall’art. 5 della L.R. 72/94. La tipologia degli in-terventi previsti è riconducibile in 3 categorie: di-fesa, guardiania e ricovero. Per migliorare l’effica-cia dei vari tipi d’intervento la Giunta regionaledella Toscana ha invitato gli Enti delegati a segui-re il seguente ordine prioritario:1. Realizzazione di interventi di guardiania me-

diante acquisto di cani da guardiania con le se-guenti caratteristiche: il cane deve essere dirazza pastore maremmano-abruzzese certifica-ta; il cane deve essere addestrato allo scopo edestinato esclusivamente alla custodia delgregge; nel caso di allevamento ovino, un sin-golo cane pastore non deve custodire più di 150pecore.

2. Realizzazione di interventi di difesa tramite re-cinzione metallica. Per questo tipo di interven-to la Regione ha fissato determinati parametriper quanto riguarda le modalità di costruzionedella recinzione che deve essere realizzata confilo metallico non inferiore ai 2,6 mm di diame-tro e con maglie di luce non superiore ai 36cm2. La rete, sostenuta da appositi tutori inmetallo o legno, deve avere un’altezza minimadi 2 m dal piano di campagna più una parte

che aggetta verso l’esterno del recinto per al-meno 35 cm. In basso la rete deve essere inter-rata per almeno 15 cm ed interrata verso l’e-sterno del recinto per almeno 50 cm.

3. Realizzazione di strutture di ricovero.Infine, è stata adottata con apposita delibera-zione di giunta regionale la Carta del Lupo: unamappa regionale nella quale sono evidenziati iterritori comunali dove è stata accertata la pre-senza del Lupo.

LA SITUAZIONE ATTUALENonostante l’ampio areale occupato, la conserva-zione del Lupo soffre ancora di gravi minacce, co-stituite essenzialmente da abbattimenti che si ri-petono, con particolare concentrazione in alcunearee critiche. L’ostilità degli allevatori, soprattuttodi pecore, alla presenza del Lupo, è spesso mani-festa.D’altra parte, l’applicazione della L.R. 72/94, dal1995 ad oggi, ha richiesto alla Regione Toscana unimpegno, anche finanziario, non irrilevante (oltre7.400.000 €), prevalentemente causato dai rim-borsi diretti (Fig. 1). Le province più colpite ap-paiono quelle di più meridionali (in primo luogoGrosseto e Siena) e, secondariamente, quelle ap-penniniche (Arezzo, Firenze, Lucca e Massa Carra-ra). Nessuna provincia, comunque, è immune dalfenomeno. In Toscana la predazione a carico delbestiame domestico da parte di canidi predatori èinfatti molto diffusa. Le prede domestiche più col-pite sono pecore e capre, seguite da bovini ed equi-ni. Le pecore, più diffuse e di più facile accessibi-lità, risultano i più danneggiati; le minori preda-zioni a carico delle altre specie si manifestano sia

Figura 1. - Importi totali per provincia relativi ai danni causati dal Lupo, ripartiti fra le spese relativeagli interventi di prevenzione e quelle per il risarcimento (Regione Toscana, 1995-2003).

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nel numero di capi danneggiati, sia nel numero dianimali predati per attacco.Gli interventi di prevenzione assorbono, anch’essi,risorse considerevoli (Fig. 1), anche se molto infe-riori, e non correlate all’ammontare dei risarci-menti (r=0,14, P>0,5). In proporzione all’ammon-tare dei rimborsi per danni, alcune province (inparticolare Siena e Massa Carrara, e secondaria-mente Lucca) hanno investito più di altre nellaprevenzione (Fig. 2).Complessivamente, l’ammontare del risarcimentonon ha un andamento chiaro, per cause non im-mediatamente identificabili (Fig. 3): dopo unalenta crescita dal 1995 al 2000, si è verificato unforte incremento nel 2001, seguito da una bruscariduzione. Le somme liquidate non hanno portato,come contropartita, ad un apprezzamento degli in-

terventi gestionali da parte della maggior partedegli allevatori; ciò è probabilmente riconducibilead una parziale applicazione della legge, che non èstata sufficientemente pubblicizzata in tutte le sueparti ed è stata intesa quasi esclusivamente comestrumento per l’indennizzo del danno. Questa af-fermazione è supportata dalle poche richieste di fi-nanziamento per gli interventi rivolti alla preven-zione nelle Province più a rischio (Grosseto, Siena,Arezzo, Firenze). Spesso, quindi, l’allevatore vedenel sistema d’indennizzo una forma d’assistenzasu cui contare, senza operare attivamente con in-terventi sicuri di tutela. Si vengono così a crearesituazioni di conflitto cronico e di spese ingentidella Regione. La situazione tende a peggiorare, in quanto gli in-vestimenti in interventi preventivi tendono a dimi-

P. Banti, L. Bartolozzi, P. Cavallini

Figura 2. - Correlazione (r=0,14; P>0,5) fra importi totali (1995-2003) liquidati per il risarcimento e quelli per la prevenzione dei danni nelle varie province (Regione Toscana).

Figura 3. - Andamento temporale degli importi spesi per il risarcimento e per la prevenzione dei danneggia-menti causati dal Lupo (Regione Toscana, 1995-2003).

€€

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nuire, mentre l’ammontare dei danni tende all’au-mento (con l’eccezione del 2002-2003; Fig. 3).Continuando nel suo approccio finalizzato ad unagestione razionale, di questa come di altre specie,negli ultimi anni la Regione Toscana e le Ammini-strazioni locali hanno promosso e finanziato, diret-tamente o indirettamente, vari progetti di ricerca:- un ampio studio sull’ecologia del Lupo in pro-

vincia di Arezzo, focalizzato sull’ecologia ali-mentare e sull’impatto che la specie ha sugliungulati, sia selvatici che domestici;

- un lavoro pluriennale sulla presenza del Lupoin Provincia di Firenze;

- un’indagine sulla presenza del Lupo nell’areadell’Amiata grossetano, e sulla sua relazionecon la presenza delle pecore;

- un più recente studio, incentrato sull’area del-l’Orecchiella, in provincia di Lucca, sui fattoriepidemiologici e sanitari che possono interagirenegativamente con le popolazioni di Lupo.

A questo punto, risulta prioritario per l’Ammini-strazione regionale coordinare questo importantelavoro svolto, in modo da conferirgli maggiore or-ganicità e disporre di un quadro conoscitivo piùaggiornato e completo su cui basare le scelte pro-grammatiche della Regione, con la finalità priori-taria di diminuire i conflitti fra la popolazione diLupo e gli allevatori, e di conseguenza assicurarela persistenza a lungo termine di questa specienella nostra regione.

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RiassuntoL’area a cui si riferisce il presente lavoro corri-sponde alla provincia di Cuneo, sita nella partepiù a Sud-Ovest del Piemonte. Tramite sopralluo-ghi, è stato monitorato per cinque anni (1999-2003) il fenomeno dei danni da canidi su bestiamein alpeggio: sono stati accertati 282 attacchi. Que-sti hanno coinvolto 1.017 capi (886 morti e 131 fe-riti). Per il 79,1% si tratta di pecore, per il 17,6%di capre, per il 2,7% di bovini e per lo 0,1% di equi-ni. In termini probabilistici gli attacchi sono statiattribuiti al Lupo per il 72,4% e al cane per il13,8%. Gli attacchi attribuiti al cane si sono veri-ficati nelle valli più a Nord; in particolare in ValleStura emerge una situazione di randagismo cani-no più preoccupante. Gli attacchi attribuiti alLupo sono concentrati in due zone: il versantedella Valle Stura confinante con la Francia e l’areatra la Valle Vermenagna e la Val Tanaro, in cui inparticolare si è verificata ricorrenza di attacco sualcune aziende. Essendo un’area di recente ricolo-nizzazione, dove in passato il conflitto è stato ri-solto con l’eradicazione del Lupo, la graduale con-versione alla conduzione sorvegliata del bestiame(associata alla stabulazione notturna) in atto, ri-sulta essere un processo piuttosto gravoso per gliallevatori. La presenza di un operatore deputatounicamente ad occuparsi della problematica hacreato un canale preferenziale di comunicazione ealleviato le tensioni degli allevatori. Non essendopresente in Piemonte un’apposita Legge Regionale,i rimborsi vengono erogati, indipendentementedalla distinzione tra danni causati da Lupo o dacane, utilizzando un “Fondo di solidarietà” sup-portato dall’Amministrazione Provinciale di Cuneoe da altri enti, tra cui i Parchi Naturali e le Comu-nità Montane.

SummaryThis study refers to the Province of Cuneo, in south-west Piedmont. We have monitored carnivore de-predation on livestock for five years (1999-2003)through on the spot investigation: we have verified282 depredations, involving 1,017 animals (886died and 131 injured); they involved sheep (79.1%),goats (17.6%), cattle (2.7%) and horses (0.1%). Most(72.4%) depredations were attributed to the Wolf,13.8% to dogs in and in the remaining cases it wasnot possible to judge. Dog depredations occurredmostly in northern valleys and the Stura valley inparticular had higher numbers of stray dogs. Wolf

depredations were concentrated in two areas: theStura valley side bordering with France and thearea between Vermenagna valley and Tanaro val-ley, where some pastures in particular had recur-rent depredations. Being an area of recent recoloni-zation, where wolf-livestock conflict was histori-cally solved through wolf eradication, the gradualconversion to a more active livestock guarding ma-nagement (associated with night corraling), repre-sents a very difficult process for livestock breeders.The presence of someone whose job is to addressthis problem has facilitated a preferential channelof communication and mitigated shepherds grie-vances. Currently, there is no governmental com-pensation program in Piedmont. However, a “Soli-darity Fund” financed by Cuneo provincial Admini-stration and other bodies (i.e., Nature Parks) com-pensate farmers for depredation losses due to bothwolves and dogs since 1996.

INTRODUZIONEQuando a metà degli anni novanta si cominciò adapprezzare una possibile presenza di lupi nel ter-ritorio della provincia di Cuneo, una serie di Entiprivati e pubblici discussero e convennero dell’op-portunità di tutelare gli interessi degli allevatori.Primo provvedimento, incalzato dal pervenire dinuove notizie di attacchi al bestiame domestico inalpeggio, fu istituire un “Fondo di Solidarietà per ilrisarcimento di danni da canidi” (da qui in poi, ilFondo), di cui si resero garanti l’AmministrazioneProvinciale di Cuneo, l’Associazione Provinciale Al-levatori di Cuneo, il WWF e il Parco Naturale delleAlpi Marittime.Quando poi nel 1999 è diventato operativo il pro-gramma Interreg “Progetto Lupo in Piemonte” conl’obiettivo di studiare gli aspetti riguardanti la dis-tribuzione, la biologia e l’ecologia del Lupo (Canislupus) in Piemonte, il Fondo si è perfettamente in-tegrato con questo progetto; si è venuto così acompletare il quadro di interventi che stanno allabase di una corretto approccio alla gestione di ungrande carnivoro come il Lupo: conoscenza dellaspecie, informazione delle popolazioni locali ed im-patto sulle attività zootecniche territoriali. E’ stataindividuato il ruolo di un ricercatore che si occupispecificatamente del monitoraggio e della valuta-zione dei danni al patrimonio zootecnico, un vete-rinario con il compito di intervenire direttamenteed autonomamente presso gli allevatori, al fine in-nanzitutto di accertare i danni segnalati e di assi-

A. Tropini

L’IMPATTO DEI PREDATORI SUL BESTIAME DOMESTICOIN PROVINCIA DI CUNEO

The impact of predators on livestock in the province of Cuneo

ALESSANDRA TROPINIParco Naturale delle Alpi Marittime

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 102-115, 2005

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stere il bestiame dal punto di vista sanitario, maanche di offrire supporto nella ricerca e nell’indivi-duazione di tecniche di allevamento più adatte allapresenza dei predatori e di intervenire ogni qualvolta è richiesta la sua assistenza.Il presente lavoro si propone quindi di quantifica-re il fenomeno delle predazioni da canidi a caricodel bestiame domestico sugli alpeggi tra il 1999 eil 2003 e di valutarne alcune caratteristiche. Se daun lato dimensionare il fenomeno consente di va-lutarne la sostenibilità, dall’altro determinare i fat-tori che possono favorire gli attacchi permette diindividuare dove e come attuare le tecniche di ge-stione di alpeggio e i mezzi preventivi più efficaci(Ciucci & Boitani questo volume).

AREA DI STUDIOL’area a cui si riferisce il presente lavoro corri-sponde alla provincia di Cuneo (Fig. 1), sita nellaparte più a Sud-Ovest del Piemonte e confinantecon la Francia. Presenta un’ampia superficie(6.900 Km2), di cui il 23% corrisponde alla pianu-ra, il 27% è collinare (300 m s.l.m. – 600 m s.l.m.),il 50% è montana (600 m s.l.m. - 3.841 m s.l.m.).Quest’ultima si identifica con la fascia alpina e siestende dalle Alpi Liguri, attraverso le Alpi Marit-time, alle Alpi Cozie. Il clima è contraddistinto dainverni mediamente freddi, estati temperate e mo-derati sbalzi termici.; fortemente condizionatodalla vicinanza delle montagne al mare, è caratte-rizzato da precipitazioni abbondanti nelle porzionipiù a Sud, sempre meno copiose verso Nord. A differenza di quella di pianura, le cui tecniche e

strutture sono state caratterizzate da un notevoleprocesso di meccanizzazione, l’attività agricolamontana mantiene le caratteristiche tipiche dellezone marginali. In inverno il bestiame viene rico-verato costantemente in stalla (a parte qualchebreve periodo di pascolo diurno in condizioni favo-revoli); durante la stagione estiva (maggio-ottobre)alcuni allevatori di pianura (soprattutto di bovini)e la maggior parte di quelli “montanari” (la mag-gioranza dei proprietari di pecore) praticano l’al-peggio, ossia la dislocazione del bestiame sui pa-scoli alpini (Tab. 1). In particolare, la gestione delbestiame praticata dalle aziende della zona è rias-sumibile in tre metodi: nel pascolo brado gli ani-mali vengono lasciati liberi in alpeggio giorno enotte ed il pastore vi compie visite saltuarie confrequenza variabile; nel pascolo semi-brado glianimali vengono lasciati liberi in alpeggio di gior-no, ma solitamente raggruppati la sera presso lostazzo, e la sorveglianza del pastore è discontinua;nel pascolo sorvegliato gli animali vengono lascia-ti al pascolo durante il giorno, chiusi in recinti lasera ed il pastore li sorveglia con continuità siadurante le attività diurne che durante la notte.Il Lupo, che risultava ancora presente nelle zonemontane del territorio provinciale agli inizi del1900, ha subito negli anni un calo numerico percause antropiche che lo ha portato alla completascomparsa. Successivamente, il primo avvista-mento confermato sulle Alpi risale al 1987 nell’a-rea del Colle di Tenda, sul versante francese. Leprime segnalazioni della specie in provincia diCuneo riguardano la Valle Pesio e la Valle Stura e

Figura 1 – Distribuzione spaziale degli attacchi da canidi al bestiame domestico in alpeggio verificatisi nella Pro-vincia di Cuneo tra il 1999 e il 2003. Sono differenziati gli attacchi attribuiti al Lupo, al cane o a canidi nonidentificati. Sono evidenziati i singoli alpeggi in base alla ricorrenza di attacco.

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risalgono ai primi anni ’90 (Boitani 2003).Ad oggi il Lupo è presente in una stima numericadi circa 30 individui, suddivisi in più branchi sta-biliti nella fascia montana della provincia; alcunidi essi possiedono territori transfrontalieri con laFrancia (Duchamp et al. 2002, Marucco 2003,Ricci 2003). Non essendo presente in Piemonte una legge che sioccupi del rimborso per i danni da canidi, esso ètuttora a carico del Fondo. Secondo il regolamen-to hanno diritto al risarcimento dei danni tutti gliallevatori che esercitano l’allevamento o la monti-cazione di capi bovini, equini, pecore e capre nelterritorio della provincia di Cuneo e che siano inregola con le norme di polizia veterinaria e di ran-dagismo canino. L’allevatore che ha subito ildanno deve segnalare l’evento alla segreteria delFondo entro 24 ore dalla scoperta dell’attacco. Ilpiù presto possibile l’allevatore viene ricontattato ericeve la visita degli operatori incaricati di accerta-re i danni e le modalità di predazione. Nel caso incui vi siano animali che hanno riportato ferite otraumi non letali è prevista un’assistenza veteri-naria volta ad apportare soprattutto un primo soc-corso, che comprende pulizia e disinfezione locale,terapia antibiotica e, nei casi più gravi, suture.Dopo alcuni giorni dall’accertamento l’allevatore,se possibile, viene nuovamente contattato per unaggiornamento sulle condizioni degli eventualianimali feriti; in caso di necessità si torna in locoper rinnovare le terapie.Ai fini dell’indennizzo, hanno diritto al rimborso icapi di cui è stato possibile in sede di accertamen-to verificare la morte o il ferimento per opera dicanidi, ovvero che rientrano nelle categorie ‘re-sponsabilità canide certa’ o ‘responsabilità canideprobabile’ (vedi sezione Metodi). I capi dispersi nonvengono rimborsati. La distinzione tra Lupo e canenon influisce sulle modalità e sull’ammontare deirisarcimenti. L’ammontare dei risarcimenti in casieccezionali possono essere oggetto di specifichevalutazioni da parte di un apposito Comitato Tec-nico. Il regolamento del Fondo prevede che, nelmomento in cui abbia subito un attacco, un alle-vatore inoltri denuncia all’Associazione Provincia-le Allevatori di Cuneo. Sia per l’instaurarsi di un

rapporto di conoscenza sempre più diretto con ipastori, sia per avviare un iter più funzionale, checonsenta procedure di accertamento più tempesti-ve, gli allevatori dalla stagione del 2000, hannofatto essenzialmente riferimento all’autore in qua-lità di veterinario incaricato.

METODIVerifica e accertamentoI sopralluoghi, effettuati in collaborazione con i ri-cercatori del progetto “Il Lupo in Piemonte” e iguardaparco dei Parchi coinvolti, sono atti ad ot-tenere un quadro dell’evento il più completo possi-bile. In fase di sopralluogo si procede innanzituttoad identificare l’allevatore, l’alpe colpita, la consi-stenza numerica e le specie degli animali monti-canti. L’allevatore viene interrogato sul tipo di al-levamento condotto (brado, semi-brado, etc.) e sueventuali sistemi di protezione adottati (sorve-glianza del bestiame, uso di recinti elettrificati,presenza di cani da difesa); si cerca di ricostruirela dinamica dell’attacco, di risalire all’ora presun-ta e alle condizioni meteorologiche presenti.Raggiunto il luogo in cui presumibilmente è avve-nuto l’atto di predazione, e dove si trovano le car-casse (viene richiesto all’allevatore di non spostar-le), si avvia l’esame obbiettivo generale, volto a ri-levare informazioni dell’animale, quali il sesso,l’età, il numero della marca auricolare e le condi-zioni generali di salute (valutazione del mantello,del grasso sottocutaneo, eventuale disidratazione).Segue l’esame obbiettivo particolare, finalizzato adappurare innanzitutto che la morte sia da ascrive-re a predazione e che non sia invece sopraggiuntaper altri motivi, tra cui cause naturali (malattia,vecchiaia, intossicazione, sindrome carenziale,sindrome neonatale, etc.) o cause varie, quali adesempio ferite da arma da fuoco, folgorazione,morso di vipera (Fico 1996, Kaczensky et al. 1998,Molinari et al. 2000). La valutazione dello stato sa-nitario dell’animale, inoltre, permette di valutarese condizioni debilitanti possano aver favorito l’ag-gressione da parte del predatore.Tramite un’attenta ispezione dell’intera superficiecorporea dell’animale, vengono ritrovate eventualiferite che vengono quindi interpretate al fine di

A. Tropini

Anni di riferimento_________________________________________________________

1979 1998 2000 2001__________________________________________________________________________________________________

n. Alpeggi 372 242 327 285n. Bovini 32.209 24.581 29.604 35.201n. Ovini 27.873 22.372 26.154 26.643n. Caprini 1.031 1.673 2.252 2.555n. Equini 182 194 235 291n. Cani 0 161 447 526__________________________________________________________________________________________________Totale animali 61.295 48.981 58.692 65.216

Tabella 1. - Dati riguardanti gli alpeggi in provincia di Cuneo e gli animali monticanti riferiti aglianni 1979, 1998, 2000 e 2001 (fonte: Associazione Provinciale Allevatori di Cuneo).

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identificare il predatore responsabile. In particola-re risulta fondamentale distinguere segni dovuti asemplice alimentazione effettuata da un carnivorosu un animale già morto dai segni lasciati da uneffettivo atto predatorio: da ricercare è principal-mente la presenza di focolai emorragici in corri-spondenza delle ferite da morso, in quanto il san-guinamento avviene solo in un animale vivo e perpochi minuti; inoltre le ferite inferte su animalevivo presentano bordi arrossati ed edematosi, chetestimoniano l’avvenuta reazione dell’organismoalla forza lesiva (Fico 1996, Molinari et al. 2000).Verificato che si è dunque di fronte a ferite damorso propriamente dette, si procede allo scuoia-mento della carcassa. Infatti, solo con tale mano-vra si possono apprezzare con precisione il tipo, ladistribuzione e la profondità delle lesioni e qualidistretti anatomici sono stati interessati (dermico,muscolare, viscerale, osseo) (Roy & Dorrance1976, Kaczensky et al. 1998, Molinari et al. 2000). Altro aspetto da valutare è il tipo di approccio delpredatore, ovvero con quale modalità di attacco euccisione ha agito e se si è cibato con preferenzadi alcuni specifici distretti corporei (ad esempio ivisceri, le zampe, la testa etc.) oppure se ne hascartati altri (Molinari et al. 2000). Può capitareanche di rilevare la dislocazione di alcune parti delcorpo. Per quantificare il grado di consumo dellacarcassa e per ridurre la soggettività di valutazio-ne, si è standardizzato il rilevamento tramite 5classi percentuali: 0%, 0-25 %, 25-50 %, 50-75 %,75-100%. E’ chiaro che la tempestività dell’esami-ne della carcassa facilita significativamente l’indi-viduazione dei segni, perché riduce presumibil-mente la presenza di quelli dovuti ai necrofagi e,soprattutto d’estate, limita gli inconvenienti dovu-ti al deterioramento e alla putrefazione (Fico1996). Variabili come approccio, alimentazione egrado di consumo vengono dunque prese in consi-derazione solo nei casi in cui possono essere valu-tate nella loro interezza e quindi quando non in-fluenzate da necrofagia o deterioramento. In sede di necroscopia si procede a completareinoltre la valutazione dello stato sanitario dell’ani-male, attraverso l’analisi degli organi interni,quando ancora presenti; si ricercano non solosegni di processi patologici (ad esempio presenzadi parassiti), ma viene valutata anche la presenzae l’aspetto del grasso periviscerale, importante in-dicatore di eventuali situazioni patologiche o ca-renziali.Una ulteriore manovra, fondamentale per comple-tare l’accertamento, è l’accurata ispezione delluogo di ritrovamento delle carcasse, dove è im-portante andare in cerca di indizi indiretti: è pos-sibile identificare zone di calpestio che possano te-stimoniare l’avvenuto combattimento, e nel detta-glio impronte, peli, escrementi attribuibili al pre-datore (Roy & Dorrance 1976, Fico 1996, Kac-zensky et al. 1998, Molinari et al. 2000). Un so-pralluogo nell’area circostante è finalizzato al ri-trovamento di fatte in modo da individuare possi-bili punti di marcatura, importanti per documen-tare il passaggio del predatore. In ogni caso l’inte-

ro lavoro di accertamento viene integrato in uncontinuo monitoraggio del territorio alla ricerca diindici di presenza di Lupo e di cane. Tutte le ma-novre dell’accertamento, soprattutto quelle riferiteagli animali colpiti, e le ambientazioni in cui si ve-rificano gli attacchi, vengono documentate attra-verso apposite schede e materiale fotografico. Allo scopo di valutare l’effetto del grado di sorve-glianza a cui erano soggetti gli animali al momen-to dell’attacco abbiamo individuato 3 categorie: li-beri in alpeggio, quando gli animali vengono attac-cati durante il pascolo o durante le ore notturne senon sono stati protetti in un recinto; allo stazzo,quando la predazione colpisce animali vicino al ca-solare, il che presuppone la vicina presenza delconduttore e dei cani, in grado di intervenire tem-pestivamente; in recinto, durante la stabulazionenotturna.

Identificazione delle cause di morte e/o delpredatoreTerminate tutte le operazioni previste in fase di ac-certamento, si procede con la valutazione della re-sponsabilità dei canidi (Lupo e cane), fondamenta-le ai fini del rimborso; a questo proposito si consi-derano cinque categorie di giudizio:- Responsabilità canide certa: quando gli indizi

raccolti indicano con certezza che l’uccisionesia stata opera di canidi (presenza sulla car-cassa di segni di morsi inferti sull’animalevivo).

- Responsabilità canide probabile: quando gli in-dizi raccolti (presenza di caratteristiche sullacarcassa e/o sul territorio, ad es. ingenti versa-menti ematici), fanno supporre che si tratti dicanidi, ma con un margine di dubbio.

- Responsabilità canide dubbia: quando gli indi-zi raccolti non sono coerenti e non permettonodi escludere altre cause di morte.

- Responsabilità canide esclusa: quando gli indi-zi raccolti permettono di imputare con certezzala causa di morte a fattori estranei alla preda-zione.

- Responsabilità canide inverificabile: quandonon è possibile riscontrare elementi che ricon-ducano con chiarezza alla causa di morte.

Per i casi in cui viene riconosciuta la responsabili-tà certa o probabile di canide, si utilizzano le stes-se categorie per valutare la responsabilità delLupo. Del resto, non essendo stati testimoni del-l’atto di predazione, l’attribuzione certa al Luponon è mai possibile (Roy & Dorrance 1976, Fritts1992, Cozza et al. 1996, Kaczensky et al. 1998,Molinari et al. 2000) e quindi avviene in terminiprobabilistici (‘responsabilità Lupo probabile’) se-condo elementi diagnostici differenziali. Ovvero,l’attacco viene classificato nella categoria di ‘re-sponsabilità Lupo probabile’ nei casi in cui sullacarcassa siano visibili segni quali: morsicaturenella regione laringo tracheale con interessamentodi tessuti profondi, a cui possono essere associatialto consumo della carcassa, alimentazione prefe-renziale di alcuni distretti corporei, rumine dislo-cato, pelliccia pulita e rovesciata. Complementare

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ai fini del giudizio è un’accurata conoscenza delterritorio, l’eventuale ritrovamento di indizi indi-retti (fatte e peli) e la collaborazione con le attivitàdi monitoraggio (tracce, vicinanza ad un rendez-vous site). Anche il precedente verificarsi di attac-chi assegnati al Lupo sullo stesso alpeggio può es-sere un utile elemento di valutazione. Quando gli elementi riscontrati sulla carcassa esul territorio non riconducono i maniera coerentee convincente all’azione del Lupo, allora la catego-ria scelta è quella di ‘responsabilità del Lupo dub-bia’. D’altra parte la categoria ‘responsabilità delLupo esclusa’ viene considerata se si riscontranoelementi chiaramente riconducibili al cane (segnidi morsi sparsi sul corpo, frequenti agli arti e al-l’addome, superficiali, basso grado di consumodella carcassa). Infine la categoria ‘responsabilità del Lupo inveri-ficabile’ si considera qualora gli indizi raccolti nonsono sufficienti ad indicare l’attribuzione ad undeterminato predatore.

Raccolta e analisi dei datiTutti i dati raccolti attraverso la verifica su camposono stati informatizzati. Per la quantificazione eper le analisi statistiche sono stati considerati icasi in cui il giudizio finale rientra nelle categorieresponsabilità canide certa e probabile (le catego-rie dubbia, inverificabile e esclusa non sono stateconsiderate in fase di analisi). Di questi, sono poistati attribuiti al Lupo i casi giudicati nella catego-ria Lupo probabile e al cane quelli appartenentialla categoria Lupo esclusa. Ci si è fermati ad ungiudizio di canide indeterminato nei casi ricadentinelle categorie Lupo dubbia e Lupo inverificabile.Per le analisi statistiche sono stati utilizzate le ta-belle di contingenza per i confronti tra gli anni etra gli attacchi attribuiti al Lupo e al cane, e il t-test per valutare la differenza tra le medie delle vit-time/attacco tra Lupo e cane.

RISULTATILe segnalazioni pervenute nei cinque anni inesame sono state 304 e il giudizio che è derivato inseguito alle relative procedure di verifica, è stato

sintetizzato in tabella 2. In media (±DS) i sopral-luoghi sono stati effettuati dopo 0,9 ± 1 giorni dalricevimento della denuncia (si è stati quindi ingrado di intervenire entro le ventiquattro orenell’85,4% dei casi), ovvero 3,2 ± 2,9 giorni dalladata dell’attacco.

Responsabilità dei canidiNel 92,8% dei casi l’accertamento su campo ha in-dicato il verificarsi di una predazione da canide(categorie ‘responsabilità canide certa’ e ‘responsa-bilità canide probabile’; Tab. 2).Questi casi hannointeressato pecore, capre e bovini per un totale di1.017 animali, di cui 886 morti e 131 feriti. Oltrea questi sono stati denunciati 222 capi dispersi:166 pecore e 56 capre. Tra gli animali predati e fe-riti, le perdite sono di gran lunga maggiori per lepecore (705 animali morti e 105 feriti), seguitedalle capre (160 animali morti e 19 feriti). Gli at-tacchi ai bovini risultano meno numerosi (20 ani-mali morti e 7 feriti), mentre un solo equino (asino)è stato colpito.Sono state più colpite la fascia d’età adulta (> 6mesi; 75,3%, variando dal 44,4% per i bovini al78,3% per le pecore), ed il sesso femminile (82,4%,variando dal 55,6% per i bovini all’83,4% per lecapre). Considerando i dati su base annuale si nota che ilnumero degli animali accertati ha registrato unprogressivo aumento nei primi tre anni, giungen-do ad un picco nel 2001, mentre si è nuovamenteridotto negli ultimi due (Fig. 2).Gli attacchi si sono verificati per il 87,9% dei casisu bestiame libero in alpeggio, per il 6,8% su ani-mali allo stazzo e per il 5,3% su animali ricoveratiin recinto. Sulla totalità dei dati raccolti tra il 1999 e il 2003 in36 casi non è stato possibile risalire all’ora presun-ta in cui l’attacco si è verificato; nei restanti casi(n=246) per il 63,1% l’attacco è avvenuto nelle orenotturne, mentre per il 36,9% durante il giorno.Mentre nel 1999 (n=29) e nel 2000 (n=45) gli at-tacchi diurni non arrivavano al 30% (il 27,2% e il16,3% rispettivamente), nel 2001 (n=51) si regi-strava un’inversione di tendenza (52,9% di giorno

A. Tropini

Responsabilità canide_____________________________________________________________

Anno Segnalazioni certa probabile dubbia esclusa inverificabile__________________________________________________________________________________________________

1999 42 22 11 0 1 42000 46 37 18 1 0 22001 65 46 12 2 1 22002 80 75 8 1 1 22003 71 51 2 3 1 6__________________________________________________________________________________________________Totale 304 282 51 7 4 16

Tabella 2. - Responsabilità dei canidi negli attacchi al bestiame domestico secondo le categorie di giudizio pre-viste dal regolamento del Fondo e riferita agli accertamenti svolti dal 1999 al 2003 in provincia di Cuneo.

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e 47,1% di notte), nel 2002 (n=74) e nel 2003(n=46) si è confermato l’aumento delle predazioninelle ore diurne (con il 39,2% e il 45,7%) rispettoai primi anni (χ2=17,03, g.l.=4, P<0,01).Per quanto concerne la distinzione degli aventi dipredazione in base alle condizioni meteorologiche,nei casi in cui è stato possibile rilevare questo tipodi informazione (n=244), la condizione più fre-quente è stata quella di cielo sereno (57,4%) men-tre condizioni di pioggia (21,7%) o la nebbia(20,9%) hanno interessato il 42,6% dei casi. Il2002 (n=75) si è distinto per avere una preponde-ranza di casi verificatisi in condizioni meteorologi-che avverse (62,7%; χ2=19,72, g.l.=4, P<0,01).

Responsabilità del Lupo e del caneRelativamente agli accertamenti svolti nei cinqueanni in esame (n=282), il Lupo è stato riconosciu-to come il predatore responsabile nel 72,4%(n=204) dei casi (categoria ‘responsabilità Lupoprobabile’) e il cane nel 13,8% (n=39) (categoria‘responsabilità Lupo esclusa’); nel 13,8% (n=39)non si è riusciti ad andare oltre al giudizio di ca-nide indeterminato (categorie ‘responsabilità Lupodubbia’ e ‘responsabilità Lupo inverificabile’) (Tab.3). Prendendo in esame separatamente gli attacchiattribuibili a Lupo e quelli attribuibili a cane sipuò ottenere una stima dell’entità degli animalicolpiti in ogni attacco da ciascun predatore: emer-ge che in questo quinquennio il Lupo (n=204) haprovocato in media 2,4 ± 3 vittime/attacco, il cane(n=39) 9,9 ± 11,7 vittime/attacco (t=3,97, P <0,01).Altro aspetto interessante che abbiamo riscontra-to è che negli attacchi attribuiti a cane si trovanopiù frequentemente animali rimasti feriti (in media1,5 ± 2,4 /attacco, contro 0,2 ± 0,6 /attacco negliattacchi attribuiti a Lupo) (t=3,38, P<0,01).

Escludendo i casi di necrofagia, gli attacchi attri-buiti a Lupo (n=53), coinvolgono in totale 88 ani-mali (82 morti e 6 feriti). Gli attacchi in cui il gradodi consumo delle prede si presenta alto (50-100%)sono il 55,6%; le parti del corpo consumate nellamaggioranza dei casi sono i visceri, sia addomina-li che toracici, e le parti muscolari (spalle, musco-li addominali, dorsali). Altro elemento ricorrente èla dislocazione del rumine, che viene scartato.Per quanto riguarda gli attacchi che sono stati at-tribuiti a cane, i casi in cui è stato possibile esclu-dere necrofagia sono 17 e coinvolgono 163 vittime(139 morti e 24 feriti). Nel 98,6% delle carcasse ilgrado di consumo è stato minore del 50%. Gli attacchi attribuiti al Lupo hanno coinvolto peril 68% pecore (312 morti e 25 feriti), per il 28%capre (126 morti e 13 feriti) e per il 3,1% bovini (14morti e 1 ferito). Di questi l’83,1% appartiene alsesso femminile; il 74,1% alla fascia d’età adulta(>6 mesi). Gli attacchi attribuiti al cane hanno interessatoper il 95,3% pecore (310 morti e 58 feriti), per il3,6% capre (14 morti e nessun ferito) e per l’1,1%bovini (2 morti e 2 feriti). Di questi il 79,3% ap-partiene al sesso femminile; l’84,2% appartienealla fascia d’età adulta. La differenziazione predeper specie risulta differente tra Lupo e cane(χ2=98,69, g.d.l=2, P<0,01), ma non le proporzionidi animali adulti o giovani e femmine o maschi.Per quanto riguarda le fasce orarie, gli attacchi at-tribuiti al Lupo (n=181) sono avvenuti nel 58,6%dei casi durante le ore notturne e nel 41,4% digiorno. Al momento dell’attacco nel 90,2% dei casigli animali erano liberi, nel 2,5% erano allo stazzo,nel 7,3% in recinto. Gli attacchi attribuiti al cane(n=31) sono avvenuti nella maggioranza dei casi dinotte (80,6%), nel 19,4% di giorno; gli attacchi su

Figura 2. – Andamento annuale degli attacchi da canidi al bestiame domestico suddiviso per specie negli alpeggi della Provincia di Cuneo tra il 1999 e il 2003.

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animali liberi rivestono il 69,2% del totale, nel10,3% erano allo stazzo e per il 20,55% in recinto.Le distribuzioni degli attacchi di cani e lupi sonodifferenti sia in base alla fascia oraria (χ2=4,49,g.l.=1, P<0,05), sia al regime di sorveglianza delbestiame al momento dell’attacco (χ2=13,03,g.l.=2, P<0,01).

Gestione del bestiame in alpeggioAll’inizio del progetto in 22 alpeggi veniva pratica-to il pascolo brado, in 14 quello semi-brado e in 26quello sorvegliato. Tra il 1999 e il 2003, il 18,5%delle aziende ha preferito abbandonare l’attività dialpeggio o passare dall’allevamento ovi-caprino aquello bovino per diminuire il rischio di attacco;due aziende sono invece passate al pascolo semi-brado e 11 al pascolo sorvegliato.

Distribuzione degli attacchiI mesi in cui si è verificata la maggioranza (84,4%)delle predazioni sono quelli estivi (da giugno a set-tembre); gli attacchi avvenuti a marzo e ad aprileriguardano la zona della Valle Tanaro, dove ilclima molto mite permette una stagione di pasco-lo anticipata rispetto ad altre valli. Emerge un andamento temporale più discontinuoe irregolare delle predazioni dovute al cane, men-tre gli attacchi arrecati dal Lupo presentano ungraduale aumento col procedere della stagioneestiva, con picchi nei mesi più tardivi (agosto-set-tembre) (Fig. 3).Le segnalazioni pervenute, essendo pertinenti al-l’attività di alpeggio, riguardano quasi esclusiva-mente attacchi avvenuti nelle zone montane dellaprovincia e spaziano dalla Valle Po alla Val Tanaro(Fig. 1). Le valli più a nord (Po-Stura) sono quellein cui si sono verificati in questi cinque anni gli at-tacchi attribuiti al cane: la Valle Po, la Val Varaita,la Valle Maira e la Valle Grana sono finora state in-teressate unicamente da attacchi sporadici; inparticolare in Valle Stura, si è verificato un certonumero (38,1%) di attacchi dovuti a cani vaganti,concentrati sostanzialmente sul versante sinistroorografico. Quest’area presenta grossi problemi di

controllo del randagismo, che hanno portato agravi conseguenze soprattutto nel 2001 (anno incui il numero delle vittime coinvolte è stato note-vole). Gli attacchi attribuiti al Lupo hanno interes-sato sostanzialmente due aree: a) il versante dellaValle Stura al confine con la Francia e la vicinaarea della Valle Gesso; b) la zona compresa tra ilversante destro orografico della Valle Vermenagnafino alla Valle Tanaro, con particolare incidenzanella Valle Pesio.

Cronicità degli attacchiSul totale degli attacchi da canidi (n=282) il 48,9%sono gravati su 7 aziende (> 6 attacchi/azienda;9,2% delle aziende colpite), il 38,7% su 34 aziende(2-6 attacchi/azienda; il 44,7% delle aziende colpi-te) e il 12,4% sulle restanti 35 aziende (un attac-co/azienda; 46% delle aziende colpite). La ricorrenza degli attacchi si evidenzia ulterior-mente a seconda del predatore responsabile: quel-li attribuiti al Lupo sono avvenuti ricorrentementeper l’ 89,7% (di cui il 52,9% su 7 aziende con > 6attacchi ognuna) e il 10,3% ha colpito le restantiaziende con un unico attacco; le predazioni attri-buite al cane invece hanno colpito in maniera ri-corrente per il 66,7% (9 aziende che hanno subito2-6 attacchi).

Randagismo caninoEsaminando i dati raccolti dalle Aziende Sanitariedella Regione Piemonte riferiti agli anni dal 1994al 2002 (Tab. 4), emerge che la situazione del ran-dagismo sul territorio piemontese è sicuramentemeno grave rispetto a quanto stimato negli anni’80 in altre realtà italiane (Boitani & Fabbri 1983).Del resto, i dati riguardanti gli animali catturatinella provincia di Cuneo sono piuttosto elevati,con oltre 600 cani vaganti catturati in media al-l’anno (Tab. 4). Inoltre in media solo il 30% deicani catturati risultavano regolarmente tatuati se-condo le norme regolanti l’anagrafe canina.

A. Tropini

Responsabilità Lupo______________________________________________________________________________

Anno certa probabile dubbia esclusa inverificabile__________________________________________________________________________________________________ 1999 0 26 2 5 02000 0 45 4 5 12001 0 41 5 11 12002 0 53 20 10 02003 0 39 6 8 0__________________________________________________________________________________________________

Totale 0 204 37 39 2

Tabella 3. – Responsabilità del Lupo negli attacchi al bestiame domestico secondo le categorie di giudizio previ-ste dal regolamento del Fondo e riferite agli accertamenti svolti dal 1999 al 2003 in provincia di Cuneo. I casiqui considerati sottintendono una precedente valutazione di responsabilità canide certa o probabile (Tab. 2).

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DISCUSSIONE Procedura di verifica, accertamento e inden-nizzoIl trend degli anni 1999-2003 ha registrato un pro-gressivo aumento delle segnalazioni, segno, oltreche di un aumento degli attacchi, anche di un ef-ficace sistema di divulgazione e promozione, pres-so tutte le categorie interessate, dell’esistenza edella funzionalità del Fondo Provinciale di Solida-rietà. A ciò si aggiunga la crescente fiducia e sod-disfazione da parte degli allevatori, che sempre piùritengono di affidarsi a questo strumento di in-dennizzo e assistenza.L’esistenza di un operatore dedicato esclusiva-mente ad occuparsi del problema, oltre che facili-

tare notevolmente il dialogo e il contatto con i pa-stori, ha permesso inoltre di ridurre il più possibi-le il valore della tempestività di sopralluogo e quin-di di migliorare notevolmente le condizioni di ac-certamento, e conseguentemente l’attendibilità deidati raccolti. Il fattore che ancora emerge come li-mitante a questo proposito, e che risulta però didifficile riduzione, è legato alle oggettive difficoltàdi ritrovamento delle carcasse in ambiente monta-no, che comportano necessariamente tempi di se-gnalazione non brevissimi.Parallelamente all’aumento del numero di segna-lazioni ricevute è stato riscontrato un aumento delnumero degli eventi predatori accertati, che hannoregistrato una netta recrudescenza nell’anno2002. Se si può pensare che l’aumento delle se-gnalazioni nei primi due anni, e conseguentemen-te degli attacchi accertati, possa essere dovuto inparte ad una crescente conoscenza del Fondo diSolidarietà è lecito ritenere che, con il sistema invigore dal 2000, siano state registrate segnalazio-ni riguardo a tutti gli attacchi avvenuti nella pro-vincia.

Riconoscimento del predatore in fase di accer-tamentoL’esperienza acquisita in questi anni, associata aquanto riportata dalla letteratura (Roy & Dorrance1976, Kaczensky et al. 1998, Molinari et al. 2000),ci porta a delineare dei quadri in cui è possibile ri-conoscere, sebbene solo in termini di probabilità,la responsabilità di uno o dell’altro predatore. Unnumero esiguo di animali colpiti, e pochi o nessunferito, la presenza di ferite e lesioni caratteristiche(segni di morso al collo e di soffocamento) un alto

Figura 3. - Distribuzione mensile degli attacchi da canidi al bestiame domestico accertati in provincia di Cuneodal 1999 al 2003, specificati in base al predatore identificato.

_______________________________________________

Cani censiti Cani vagantiAnno presenti catturati_______________________________________________

1994 119.423 2851995 119.807 3241996 124.132 5161997 129.462 5121998 135.920 5961999 143.802 5242000 149.904 6922001 209.913 9522002 220.197 1.110_______________________________________________

Tabella 4. - Dati riguardanti la presenza di cani e il fe-nomeno del randagismo in Provincia di Cuneo (Regio-ne Piemonte 2003).

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grado di consumo delle carcasse, la tendenza a ci-barsi con priorità delle viscere e delle componentimuscolari, la dislocazione del rumine, sono tuttifattori che rimandano ad un attacco da Lupo. Alcontrario, caratteristiche che fanno sospettare laresponsabilità di cani sono l’alto numero di vittimee di feriti per attacco, un basso o nullo consumodelle carcasse, ferite localizzate su varie parti delcorpo. Con il lavoro sul campo ci si scontra del resto conil fatto che in caso di predazione su domestici pos-sono intervenire molti altri fattori che non posso-no essere assolutamente trascurati. Innazitutto, ilnumero degli animali colpiti corrisponde in realtàal numero degli animali ritrovati, e già si è avutomodo di sottolineare quante siano le difficoltà diritrovamento delle carcasse in un ambiente comele Alpi. Dunque, in molti attacchi il numero dellevittime potrebbe essere maggiore, visto che vienedenunciata la presenza di animali dispersi, in que-sto modo può essere sottostimato il grado di con-sumo medio (cfr. Ciucci & Boitani questo volume).D’altro canto la presenza umana e di cani costi-tuisce un fattore di disturbo non indifferente e taleda influenzare le dinamiche di attacco: in alcunicasi ad esempio le carcasse non vengono consu-mate o lo sono solo in minima parte, perché il pre-datore viene distolto o disturbato. Ma la variabileforse più importante di cui occorre tenere conto èintrinseca alla natura dei protagonisti (variabilitàcomportamentale e individuale; Linnell et al.1999, Treves et al. 2002): né il Lupo né il cane agi-scono seguendo schemi predeterminati e fissi. Inalcuni casi i cani possono essere estremamenteabili nel cacciare, tanto da arrivare a simulare ilupi con successo (Green & Gibson 1994). Anche ilupi, da parte loro, possono manifestare compor-tamenti atipici. Ad esempio, nell’agosto 2000 èstato accertato un attacco attribuito a Lupo che hacausato la morte di 32 tra pecore e capre con unconsumo medio di ciascuna carcassa piuttostobasso; questo caso è assimilabile al fenomeno del“surplus killing” o meglio di uccisioni multiple (ilLupo, stimolato da anomali comportamenti assun-ti dalle prede, in un solo evento predatorio ne uc-cide un numero superiore rispetto a quante nepossano essere consumate; Kruuk 1972). Daquanto sopra si evince come sia molto difficile di-stinguere una predazione di cane da una di Lupoesclusivamente dall’esame dalle carcasse:oltre araccogliere tutte le informazioni possibili duranteil sopralluogo (ad esempio cercando indice di pre-senza del predatore) è indispensabile integrarlecon una profonda conoscenza del territorio, ovve-ro della presenza di lupi in quella zona e di fre-quentazione da parte di cani vaganti. Per questimotivi riveste notevole importanza la integrazionee collaborazione tra l’attività di monitoraggio delLupo e quella di accertamento dei danni esistente.Ricordando, inoltre, che l’occupazione di un’areada parte di lupi non esclude la possibilità che canivaganti la frequentino e possano compiervi degliattacchi al bestiame.

Randagismo caninoPer facilitare una più completa interpretazione deirisultati è utile inquadrare la problematica deicani vaganti nella provincia di Cuneo. I cani va-ganti sono distinguibili in tre tipologie (Boitani &Fabbri 1983): cani padronali vaganti, ossia cani diproprietà ma liberi di vagare; cani randagi, cioècani senza padrone, la cui sopravvivenza è stretta-mente legata all’uomo; cani inselvatichiti, che vi-vono in ambiente selvatico, evitando ogni contattocon l’uomo. Per quanto riguarda la provincia diCuneo, non è stato riscontrato alcun elemento chepossa far sospettare la presenza di cani inselvati-chiti (durante le operazioni di monitoraggio sulterritorio atte a verificare la presenza di lupi, innessun caso sono state ritrovate tracce o escre-menti che potessero essere ricondotti a cani indi-pendenti dall’attività umana). Le categorie responsabili degli attacchi su bestia-me domestico accertati sono rapportabili quindi aicani randagi e a quelli padronali vaganti, con sen-sibile preponderanza di quest’ultimi, la cui pre-senza sul territorio purtroppo è di difficile rileva-zione in quanto essi agiscono spesso solo durantele ore notturne, per poi ritornare a casa durante ilgiorno (spesso “abitano” nei paesi montani nontroppo lontani dagli alpeggi). Dai dati relativi al randagismo (Tab. 4) emergononon solo lacune nell’impiego del tatuaggio e nel ri-corso all’anagrafe canina (che confermano la gros-sa evasione nelle registrazioni e nelle denunce dimorte degli animali già registrati), ma anche, equesti sono i fattori che maggiormente incidono, lascarsa efficacia dell’attività di vigilanza sul territo-rio e lo scarso impegno da parte delle amministra-zioni comunali, rispetto a quanto previsto dallenormative vigenti (L.N. 281/91, L.R. Piemonte34/93).

Caratteristiche degli attacchiPer quanto concerne la caratterizzazione degli at-tacchi le condizioni meteorologiche non parrebbe-ro avere una grossa influenza in quanto la mag-gioranza degli attacchi si è verificata a cielo serenoche, del resto, è anche la condizione meteorologicapiù frequenta nella stagione estiva. Nonostanteciò, è indubbio che le cattive condizioni climaticheinfluenzano la gestione del bestiame, aumentandola difficoltà di custodia e diminuendo la tendenzaall’aggregazione; quindi, almeno indirettamente,potrebbero favorire gli episodi di predazione. Infat-ti il 2002, anno con il maggiore numero di attac-chi, corrisponde all’anno con le precipitazioni piùabbondanti. La notte sembra essere il periododella giornata più a rischio (Boitani & Ciucci 1996,Ciucci & Boitani 1998a, Kaczensky 1999) proba-bilmente per due motivi: il Lupo, animale preva-lentemente notturno, esercita la sua attività dicaccia soprattutto di notte; la sorveglianza sul be-stiame si attenua ed il fattore disturbo legato allapresenza umana in pratica si annulla (e ciò facili-ta anche l’azione dei cani). Non bisogna però di-menticare che il 36,9% degli attacchi si sono veri-ficati di giorno, e ciò dimostra quanto sia impor-

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tante mantenere alto il grado di sorveglianzaanche nelle ore diurne. Ciò è sottolineato da untrend in aumento rilevato per le predazioni diurne,forse motivato anche da un uso sempre più diffu-so e sapiente della stabulazione notturna. Quasitutti gli attacchi sono avvenuti su bestiame liberoin alpeggio: quindi su animali allo stato brado(Ciucci & Boitani 1998a, Kaczensky 1999) oppurenei casi di pascolo sorvegliato, durante le ore dipascolo, in momenti in cui si allenta la sorveglian-za (ad esempio ad ora di pranzo), o durante lanotte. Purtroppo è capitato con una certa frequen-za che alcuni capi rimanessero isolati fuori dal re-cinto perché il pastore non era riuscito a raduna-re completamente il gregge.Gli animali più a rischio sono risultati essere lepecore adulte, fatto che merita alcune precisazio-ni. Occorre intanto sottolineare che il numero dicapi predati si riferisce agli animali di cui è statopossibile ritrovare le carcasse, e contempla quindila possibilità che altri animali siano stati predatima non siano stati segnalati, così come non tieneconto di eventuali animali dispersi. In termini diprocessi selettivi di predazione è importante fareriferimento all’abbondanza relativa dei capi sulterritorio (Ciucci & Boitani 1998b, Kaczensky1999). Per valutare la disposizione degli animalisui pascoli in provincia di Cuneo, possiamo fare ri-ferimento ai dati pervenuti dall’Associazione Pro-vinciale Allevatori di Cuneo (Tab. 1): essendo quel-la dei bovi la categoria che conta più capi sui pa-scoli, si potrebbe quindi supporre una selezioneverso pecore e capre (o addirittura in particolareverso le capre). Essendo tuttavia questa un’analisiche necessita di dati più accurati, viene rimanda-ta a quando saranno disponibili dati completi sulbestiame monticante. E’ comunque interessantesottolineare le differenti proporzioni con cui le di-verse specie di domestici vengono colpite dal Lupoo dal cane (χ2=98,69, g.l.=2, P<0,01): infatti nellepredazioni attribuite ai cani le pecore sono netta-mente preponderanti, mentre le capre sono colpi-te in percentuale decisamente bassa e i bovinicompaiono in maniera trascurabile. Nelle preda-zioni attribuite al Lupo invece, le pecore sono pre-date in maggiore misura, ma soprattutto capre e,secondariamente, bovini sono presenti in propor-zioni decisamente più significative. Dunque, densità relativa a parte, gioca un ruolofondamentale anche la diversa accessibilità dei ru-minanti (Ciucci & Boitani 1998b): le capre sononotoriamente più agili delle pecore e in grado difrequentare territori più inaccessibili dove metter-si al riparo, sebbene la loro gestione e sorveglian-za in alpeggio risulti più difficoltosa. I bovini sonoda considerarsi prede difficili per la loro mole e perla scarsa vulnerabilità quando sono riuniti inmandria (quelli colpiti erano animali neonati o gio-vani e/o debilitati, isolati dal resto della mandria).Considerando il fatto che i cani responsabili degliattacchi sulle Alpi Marittime sono sostanzialmen-te padronali vaganti, ne deriva che essi tendereb-bero ad attuare una predazione spinti soprattuttoda istinto di gioco più che da reali esigenze ali-

mentari e ciò potrebbe spiegare in parte la presen-za di un numero elevato di predazioni a fronte diun generale basso grado di consumo delle carcas-se. Analogamente, per valutare con correttezza laselezione del predatore nei confronti di animali disesso maschile o femminile, e verso giovani o adul-ti, bisognerebbe conoscere a fondo la composizio-ne delle greggi e delle mandrie monticanti, dati dicui per ora non siamo in possesso; è interessantesottolineare però che i bovini rappresentano l’uni-ca categoria domestica di cui le prede appartengo-no in maggior parte alla fascia d’età giovane, inlinea con altre realtà (Gunson 1983, Fritts et al.1992, Treves et al. 2002).In linea con quanto riportato in letteratura la pre-dazione sul bestiame domestico assume un anda-mento stagionale (Cozza et al. 1996, Ciucci & Boi-tani 1998a, questo volume), che potrebbero essereinterpretati in base ad alcuni fattori: gli animalidomestici tendono ad essere più pesanti per gli ap-porti nutritivi dati dall’alimentazione pascoliva enelle femmine per il procedere della gestazione;durante il pascolo, il bestiame si disperde mag-giormente in cerca della, ormai scarsa, erba piùappetitosa. Tra i predatori, viceversa, le esigenzenutritive aumentano con la nascita e crescita deicuccioli (Boitani & Ciucci 1996, Ciucci & Boitani1998a); inoltre col procedere della stagione estivae con la progressiva riduzione delle ore di luce au-mentano i rischi di predazione e diminuisce l’effi-cacia del controllo degli armenti.Per quanto concerne la distribuzione geograficadegli attacchi accertati da Lupo (Fig. 1), le areeprincipalmente interessate coincidono sostanzial-mente con i territori in cui si sono insediati stabil-mente i lupi presenti (Marucco 2003, Ricci 2003),molti dei quali possiedono territori transfrontalie-ri. Infatti vengono registrati attacchi su domesticianche nelle zone francesi confinanti (Dahier & Le-quette, 1997, Duchamp et al. 2002). Tra la ValleVermenagna e la Valle Corsaglia in particolaresono presenti gli alpeggi che presentano una note-vole ricorrenza di attacco. La concentrazione degli attacchi in una zona piut-tosto che in un’altra può essere riconducibile avari fattori: alcuni intrinseci agli alpeggi, quali adesempio la geomorfologia del luogo (presenza dicopertura vegetazionale e/o di strette vallette late-rali, che possono favorire lo spostamento dei pre-datori e rendere più ardua la sorveglianza del be-stiame; Ciucci & Boitani 1998a, Fritts et al. 1992)e la loro vicinanza ai centri abitati (da un lato fat-tore di disturbo per i lupi, dall’altro predisponenteper i cani; Robel et al. 1981, Mech et al. 2000);altri più legati alla biologia del predatore (dimen-sione del branco e grado di associazione, predi-sposizioni individuali (Robel et al. 1981, Linnell etal. 1999) e al suo sfruttamento dello spazio (adesempio la vicinanza ad un rendez-vous) (Fritts etal. 1992, Boitani & Ciucci 1996).Sicuramente ciò che può fare la differenza riguar-da la tipologia di conduzione adottata (Robel et al.1981, Ciucci & Boitani 1998a, Linnell et al.1999)e le misure preventive utilizzate. La ricolonizzazio-

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ne da parte del Lupo di aree in cui per molti anniè rimasto assente, determina l’insorgenza di undrammatico scontro con il patrimonio zootecnico:infatti le attività pastorali sono gestite secondoschemi che non prevedono la difesa del bestiamenei confronti di un predatore, e l’impatto dovuto alsuo ritorno si manifesta inevitabilmente in modopiuttosto violento (Dahier & Lequette 1997, Ciucci& Boitani 1998b, questo volume, Linnell et al.1999, Waeber 2003). In particolare sulle Alpi que-sto aspetto assume caratteri particolarmente im-portanti in quanto in passato le problematiche re-lative alla presenza del predatore furono risoltescegliendo la via dell’eradicazione. Risulta cosìfondamentale introdurre metodiche antipredatorieed incoraggiare tecniche di allevamento più effica-ci come deterrenti agli attacchi. La tecnica di prevenzione più sperimentata è rap-presentata dall’uso di recinzioni, dove rinchiuderegli animali durante le ore notturne: tutte le azien-de che praticano il pascolo sorvegliato e alcune diquelle che adottano quello semibrado usano lastabulazione notturna. Nella maggioranza dei casisi tratta delle semplici reti elettrificate che gli alle-vatori già utilizzavano per regolamentare le aree dipascolo; in Valle Stura dall’anno 2000 la Comuni-tà Montana ha gradualmente dotato gli alpeggi direcinti fissi appositamente studiati e costruiti. Idati raccolti in questi cinque anni in ogni caso te-stimoniano l’efficacia della stabulazione notturna(5,3% degli attacchi hanno colpito animali in re-cinto); quello che emerge è che non sempre sonostati utilizzati efficacemente: è cioè necessario uti-lizzarle con continuità e con l’accortezza di con-trollare che, ogni notte, tutti i capi siano stati re-cuperati, in modo da non lasciarne nessuno isola-to per i pascoli.Sulle Alpi la pastorizia non si è mai avvalsa tradi-zionalmente dell’uso dei cani da guardiania (Rigg2001); sebbene recentemente siano stati incorag-giati da vari progetti, tra cui il Progetto Life Natu-ra del WWF Italia “Azioni urgenti di conservazionedi grandi carnivori nell’arco alpino”, i cani daguardiania rappresentano il metodo di prevenzio-ne tuttora meno sperimentato sui nostri alpeggi(vedi Tedesco & Ciucci questo volume). Nonostan-te questi cani possiedano già naturalmente alcunecaratteristiche comportamentali che li predispon-gono verso il lavoro di difesa, quali un forte attac-camento al bestiame, spiccato senso di protezionee coraggio e assenza di istinti predatori verso i do-mestici (Coppinger et al. 1983), è necessario cheessi vengano sottoposti da parte dell’allevatore adun processo di selezione e condizionamento ingrado di far emergere come prioritarie queste lorocaratteristiche (Lorenz & Coppinger 1988, Landry1998, Wick 1998, Andelt 1999, Rigg 2001). Perquesto motivo l’allevatore deve essere preparato adun impegno di allevamento e formazione prolun-gato e corretto per poter ottenere i primi risultati,che si hanno solo alla completa maturazione fisicae comportamentale del cane (1-2 anni) (Green etal. 1984). Attualmente solo una percentuale minima di pa-

stori si serve della cosiddetta “arma bianca” ed,essendo ancora un processo in fase iniziale, moltierrori vengono commessi nella gestione degliesemplari (soprattutto durante la permanenza in-vernale in azienda) e dei rapporti che li legano alpadrone, al bestiame e ai cani da conduzione (Te-desco & Ciucci questo volume). Tutto ciò si tradu-ce in una minor efficacia lavorativa e in un ina-sprimento delle problematiche gestionali (aggressi-vità difficilmente contenibile, eccessivo attacca-mento al padrone, etc.) (Coppinger et al. 1983);inoltre lo scarso numero di esemplari presentirendono molto difficoltosa una selezione di quellimaggiormente funzionali, al fine di rafforzare lineegenetiche più idonee.Paradossalmente molte delle aziende che hannoadottato nei vari anni le misure preventive, qualila sorveglianza del conduttore continuativa sull’al-peggio, la stabulazione notturna con recinzionielettrificate e, in alcuni casi, l’uso di cani da guar-diania, subiscono attacchi in maniera ricorrente.Si evince dunque che ancora vengono commessimolti errori: l’abbandono seppur momentaneodegli animali, ad esempio durante la pausa per ilpranzo o al crepuscolo, prima che vengano chiusiin recinto per la notte; o i parti in alpeggio chesono altro importante fattore predisponente gli at-tacchi, in quanto rendono molto più problematicauna gestione omogenea degli animali. Probabil-mente anche l’elevata pendenza dei pascoli, la pre-senza di numerose vallette laterali e l’abbondanzadi zone con fitte coperture vegetazionali, tipicidegli alpeggi alpini non sono caratteristiche chefacilitano il lavoro né dei conduttori né di eventua-li cani da guardiania (Ciucci e Boitani 1998a equesto volume, Fritts et al. 1992). Se a ciò si ag-giunge una possibile vicinanza ad un sito di ren-dez-vous o a un’area che i lupi utilizzano preferi-bilmente nei loro movimenti (Fritts et al. 1992), ilrischio di attacco aumenta considerevolmente.I rimborsi ricevuti dal Fondo di Solidarietà (Tab. 5)coprono tutti i danni da canidi, ovvero sia quellidovuti a lupi sia quelli dovuti a cani vaganti. Que-sto è un aspetto molto importante, giustificato in-nanzitutto dall’impossibilità, come si è visto, di di-stinguere con certezza il predatore responsabile eche, tra l’altro, permette una raccolta di dati piùcompleta anche in quelle zone dove il Lupo po-trebbe essere in espansione, o dove i pastori po-trebbero incolpare i cani in caso di predazione.Dalle nostre analisi, si conferma che è di fonda-mentale importanza che i risarcimenti coprano ef-fettivamente il valore dei capi abbattuti e che ven-gano liquidati in tempi brevi (Fico 1996, Ciucci &Boitani 1998b, Fourli 1999), per evitare che pos-sano venire intesi esclusivamente, ed in modo deltutto riduttivo, come un semplice tentativo di “cal-mare le acque”.

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CONCLUSIONI

Arginare il conflitto tra il Lupo e il mondo zootec-nico è uno dei punti focali per garantire la soprav-vivenza della specie. Il suo ritorno sull’arco alpinoha immediatamente suscitato polemiche tra glioperatori del settore dell’allevamento, anche semai a livelli preoccupanti. Del resto, una perditamedia di circa 200 animali all’anno a fronte dicirca 30.000 tra capre e pecore monticanti nellaprovincia di Cuneo, corrisponde allo 0,6% circa.Prendendo atto che non si tratta di una perditadistribuita in modo omogeneo sul territorio, e rap-portandola ai circa 15.800 capi che monticanosulle valli maggiormente interessate dagli attacchi,l’incidenza della predazione raggiunge l’1,3% dellostock su scala provinciale; valore che descrivequindi di un fenomeno più che sostenibile su largascala. Del resto, se si rapporta questa stessa pro-blematica a livello delle singole aziende, special-mente se colpite da ricorrenza cronica di attacco,la sostenibilità non appare necessariamente di en-tità così limitata. Oltre alla perdita degli animali,ciò che in realtà crea più disorientamento è la ne-cessità di modificare abitudini lavorative profon-damente radicate (Albera et al. 1985, Jalla 1989,Comba et al. 1996, Lebaudy & Albera, 2001,Cugno 2002, Waeber 2003). Ciò risulta tanto piùgravoso quanto i pastori non rappresentano unagenerazione recente, e quindi non sono in grado diassumere i cambiamenti in tempi brevi (Cugno2002). Altro fattore che concorre ampliamente adinasprire la problematica del conflitto con il Lupoè l’inasprimento ulteriore di una condizione giàmolto difficile dell’allevamento (Cozza et al. 1996,Ciucci & Boitani 1998b). Ciò è vero in particolareper le zone montane, dove l’attività zootecnica ècaratterizzata da una bassa resa produttiva dovu-ta sia a regole di mercato sia ad una sostanzialedifficoltà nel mettere in pratica gestioni che possa-no ottimizzare il guadagno, nonché dalla sua scar-

sa competitività commerciale, cui consegue unascarsa volontà di potenziamento del settore e mi-glioramento delle strutture (Cugno 2002).L’istituzione di una figura professionale dedicataunicamente alla problematica in questione, da unlato assicura la raccolta di dati attendibili su cuipoter basare eventuali decisioni gestionali, dall’al-tro testimonia la ricerca di un dialogo diretto conle categorie interessate. In questo modo si crea unrapporto di duplice scambio con gli allevatori: nonsolo si crea un canale preferenziale d’informazio-ne, che dimensiona giustamente il fenomeno, evi-tando allarmismi, e solleva l’attenzione su proble-matiche parallele (ad esempio il randagismo cani-no); al contempo si ottengono preziose informazio-ni sulle problematiche relative alla pastorizia, al-trimenti di difficile reperimento e valutazione, senon provenienti da chi le vive quotidianamente. Ilpasso successivo, ad oggi ancora mancante, sem-bra essere la tanto invocata Legge Regionale sugliindennizzi, che assicurerebbe i fondi necessari perindennizzare adeguatamente. A nostro parere, delresto, tale legge avrebbe davvero senso solo qualo-ra risultasse snella ed efficace e fosse realmentemirata alla mitigazione del conflitto. Non va di-menticato che le attività zootecniche hanno unruolo determinante per ancorare l’uomo al territo-rio, per indurlo indirettamente ad esercitare un’at-tività di manutenzione del territorio stesso e pergarantire la continuità di mestieri e tradizioni chefanno parte del patrimonio culturale della monta-gna.

RingraziamentiGrazie per l’aiuto nell’attività su campo a MarcoPace, per la collaborazione alla dott.sa FrancescaMarucco e al dott. Simone Ricci e a tutti coloro chehanno lavorato e lavorano nel progetto “Il Lupo inPiemonte”; ai guardiaparco del Parco Naturaledelle Alpi Marittime e del Parco Naturale dellaValle Pesio e Tanaro che mi hanno assistita. Un

Anni di riferimento_______________________________________________________________ 1999 2000 2001 2002 2003

__________________________________________________________________________________________________

Indennizziprevisti: Pecora/capra morta 62 88 88 88 80-100

Pecora/capra ferita 26 26 26 26 26Bovino morto - 465 1.030 465 550Bovino ferito - 26 26 26 80Aborto - 26 - - -

__________________________________________________________________________________________________

Fondi erogati: Totale 6.200 11.900 28.400 19.050 16.840

Tabella 5. – Costo (in Euro) degli indennizzi unitari previsti e costi complessivi erogati in provincia di Cuneo neglianni 1999-2003, in virtù del “Fondo di solidarietà per il rimborso dei danni da canidi”, cui partecipano in quotevariabili l’Amministrazione Provinciale di Cuneo, il Parco Naturale delle Alpi Marittime, il Parco Naturale dellaValle Pesio e Tanaro, la Comunità Montana Valli Gesso-Pesio-Vermenagna, la Comunità Montana Valle Stura, ilComprensorio alpino CN5, il WWF, l’Associazione Provinciale Allevatori.

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ringraziamento anche ai colleghi della Aziende Sa-nitarie, all’Associazione Provinciale Allevatori e alleComunità Montane.Infine ancora un grazie particolare ai pastori chemi dimostrano sempre il loro affetto.

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A. Tropini

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RiassuntoIl conflitto tra attività economiche, come la zootec-nia, e il Lupo rappresenta ancora oggi nell’Appen-nino Tosco-Emiliano una delle principali minacceper la sopravvivenza di questa specie; la ricercadella convivenza possibile tra uomo e Lupo attra-verso il monitoraggio degli eventi di predazione, laprevenzione e la mitigazione dei conflitti ha rap-presentato quindi uno degli obiettivi delle azioni diconservazione intraprese da tre parchi regionalidel crinale appenninico tosco-emiliano. Nonostante i danni economici causati da predazio-ni del Lupo su bestiame domestico risultino, in as-soluto, notevolmente inferiori rispetto a quelli de-terminati da altre specie selvatiche, essi tendono aconcentrarsi localmente e possono determinareperdite anche ingenti a carico dei singoli allevato-ri; inoltre tendono ad essere amplificati dall’opi-nione pubblica locale e possono rappresentare unbuon pretesto per innescare azioni di ritorsione di-retta nei confronti del Lupo. Abbiamo raccolto dati di predazione dal 1993 al2003 anche allo scopo di monitorare gli effettidegli interventi di prevenzione adottati (recintifissi). I dati sugli eventi di predazione e i relativicosti di risarcimento sono stati ottenuti dall’anali-si dei verbali di accertamento dei danni e dallepratiche di richiesta di indennizzo. Dall’analisi dioltre 200 eventi di predazione (1993-2003) è statopossibile evidenziare che oltre il 94% delle preda-zioni sono avvenute a carico di pecore e capre, uc-cise in numero di 4,1 (±1,2) capi/evento e chel’11,8% delle aziende zootecniche presenti sul ter-ritorio (n=48) ha riportato un solo episodio di pre-dazione, il 24% è stata colpita da un massimo didieci attacchi e solamente tre aziende (6,2%)hanno complessivamente registrato più di diecieventi di predazione. I risultati di questa analisipreliminare vengono discussi anche nell’ottica diun possibile affinamento delle strategie di mitiga-zione del conflitto, indispensabili per una più effi-cace conservazione della specie.

SummaryThe conflict between wolf and sheep farming is stillamong the main causes of wolf persecution in thenorthern Apennine (Italy). Monitoring damages to li-vestock, prevention of damage and mitigation offarmers’ discontent, even by informing and raisingawareness among them, represent the target of awolf conservation project of three parks of the Emi-lia Romagna Region. Even though damages to livestock are significantlylower than damages caused from other wild spe-cies, wolf depredations tend to be concentrated infew localities, where their impact can be significant. These depredations tend to be overly amplified bythe media, thus leading to self-defence initiativesand to hostility towards conservation plans for thewolf. Because of the limited number of grazing pastureswith recurrent damages, it is possible to implementeffective protective strategies, such as metallic fen-ces built to prevent wolf attacks. We collected data both on depredation activity bythe wolf and the consequent economic losses inorder to assess efficacy of metallic fences to preventwolf attacks to livestock. Our analysis was based on farmers’ claims and thefollowing official certification. The analysis of more than 200 of such reports from1993 to 2003 revealed that more then 94% of de-predations involved sheep and goats. Based on these reports, wolves killed on average4,1 (±1,2) animals per attack; approximately 12% oflocal farms (n=48) registered only one predationevent, 24% suffered 2 – 10 attacks, and only threefarms (6%) suffered more than 10 attacks. We discuss the estimated depredation figures alsowith the aim to improve existing conflict-mitigationstrategies for a sustainable and long-term conser-vation of the wolf.

W. Reggioni, M. Andreani, M. Carletti, F. Moretti, F. Rigotto

CONFLITTO TRA LUPO (Canis lupus)E ZOOTECNIA NELL’APPENNINO TOSCO-EMILIANO.

MONITORAGGIO, PREVENZIONE E MITIGAZIONE

Conflict between wolf (Canis lupus) and farming activity in theTosco-Emiliano Apennine: monitoring, prevention and assuagement

W. REGGIONI*°, M. ANDREANI**, M. CARLETTI***, F. MORETTI*, F. RIGOTTO**** Parco regionale dell’Alto Appennino Reggiano (Parco del Gigante)

** Parco regionale dell’Alta Val Parma e Cedra (Parco dei Cento Laghi)

*** Parco regionale dell’Alto Appennino Modenese (Parco del Frignano)

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 116-125, 2005

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INTRODUZIONE

La conservazione del Lupo (Canis lupus) attraver-so la gestione integrata dei principali fattori di mi-naccia, costruita su dati adeguati ed affidabili escelte partecipate e condivise da più parti perchéaperte a diverse istituzioni e settori della società,rappresenta l’approccio teoricamente più correttoper garantire la sopravvivenza della specie inun’ottica di convivenza possibile tra uomo e Lupo.L’attuazione di una tale strategia di conservazionecomporta la necessità di proporre soluzioni nonsolo alle problematiche legate al monitoraggio delLupo, in gran parte dovute all’ecologia di questaspecie (elusività, bassa densità, ecc.), ma anche adaltre numerose difficoltà legate alla condivisionedegli obiettivi di conservazione, alla dimensioneterritoriale, alla percezione locale del fenomenodelle predazioni e quindi ai conflitti, presunti ereali, con l’attività zootecnica.In una prospettiva di larga scala territoriale edistituzionale, in una vasta area dell’Appennino set-tentrionale che comprende il territorio di tre Par-chi della Regione Emilia-Romagna (Gigante, Fri-gnano e Cento Laghi), è stato messo a punto, nel-l’ambito di un progetto UE-Life Natura(LIFE00NAT/IT/7214 “Azioni di conservazione dellupo in 10 siti S.I.C. di tre Parchi della RegioneEmilia-Romagna”), un monitoraggio intensivo plu-riennale dei branchi locali di Lupo attraverso il ri-corso a tecniche indirette (tracciatura su neve,wolf bowling, genetica non invasiva), ricercando,nel contempo, soluzioni coordinate per la preven-zione, il monitoraggio e la mitigazione dei conflitticon la pastorizia.Gli scontri tra gli interessi degli allevatori locali ela presenza del Lupo restano infatti una delle prin-cipali minacce per la sopravvivenza di questa spe-cie anche in questa porzione del suo areale di dis-tribuzione, e la soluzione (o quanto meno l’atte-nuazione) di questi conflitti rappresenta una “con-dizione essenziale per aumentare le probabilità disopravvivenza dei branchi locali di Lupo” (Boitani2000).Gli strumenti abitualmente utilizzati per attenua-re tali conflitti sono rappresentati dalla prevenzio-ne degli attacchi al bestiame, dall’indennizzo deidanni subiti dagli allevatori e dall’informazione esensibilizzazione espressamente rivolta alla princi-pali categorie di stake-holder (pastori locali, cac-ciatori, ecc.) e più in generale all’opinione pubbli-ca (Boitani 1982, Boitani & Ciucci 1996a). La Regione Emilia-Romagna, per quanto concernel’erogazione degli indennizzi, disciplina la materiacon propria Legge 27/2000 recante “Nuove normeper la tutela e il controllo della popolazione caninae felina”. In realtà, la Legge nazionale di riferimen-to per la protezione del Lupo e l’indennizzo deidanni da esso provocati è la L.N. 157/92 (Normeper la protezione della fauna selvatica omeotermae per il prelievo venatorio), che infatti include ilLupo tra le specie particolarmente protette (Art. 2comma 1). La legge nazionale delega, tuttavia, alleRegioni l’adozione e la gestione di un apposito

fondo destinato al risarcimento dei danni “non al-trimenti risarcibili” arrecati alle produzioni agrico-le da parte della fauna selvatica, in particolare daquella protetta. La Regione Emilia-Romagna, conpropria Legge Regionale 6/2000 recante “Disposi-zioni per la protezione della fauna selvatica omeo-terma e per l’esercizio dell’attività venatoria”, inapplicazione alla L.N. 157/92, ha attribuito alleProvince le competenze per il risarcimento deidanni provocati dalla fauna selvatica protetta enell’ambito delle aree sottratte all’esercizio venato-rio (art. 17). A tale scopo, la stessa Legge Regiona-le ha istituito un fondo per il risarcimento deidanni (art. 18), stabilendo una ripartizione delle ri-sorse tra le Province proporzionale alla superficiedelle aree protette e introducendo inoltre il concet-to che gli indennizzi siano concessi entro i limiti didisponibilità delle risorse finanziarie stabiliti an-nualmente. La Regione Emilia-Romagna, con atto del Consi-glio Regionale del 19 dicembre 2000, ha stabilito lemodalità di applicazione dell’art. 18 della L.R.6/2000, limitando l’ambito di competenza dellalegge alle sole “produzioni agricole vegetali e ani-mali derivanti da allevamenti ittici”. In questomodo, escludendo arbitrariamente le produzionizootecniche dalla definizione di “produzione agri-cola”, sono stati preclusi i danni provocati dalLupo e dagli altri predatori selvatici dalla possibi-lità di erogazione di indennizzo offerta dalla L.N.157/92. Tuttavia, le normative nazionali hannoindividuato il modo di risarcire altrimenti i danniprovocati al patrimonio zootecnico da parte di pre-datori selvatici, attraverso quanto sancito nellaL.N. 281/91 “Legge quadro in materia di animalid’affezione e prevenzione del randagismo”, recepi-ta dalla Regione Emilia-Romagna con la propriaL.R. 27/2000 “Nuove norme per la tutela ed il con-trollo della popolazione canina e felina”. In que-st’ottica, la Regione Emilia-Romagna ha di fattoanticipato il parlamento, avendo approvato già nel1988 la L.R. 5/88 “Norme per il controllo della po-polazione canina” che, assoggettando i cani ad unregime di tutela totale, si assumeva la responsabi-lità di indennizzare i danni da essi provocati al pa-trimonio zootecnico. Il Lupo, al momento della ricolonizzazione dell’Ap-pennino emiliano, in assenza di una normativaspecifica, ha beneficiato proprio della tutela indi-retta offerta da questa norma regionale, anche inconsiderazione della oggettiva difficoltà di poterdiscriminare con certezza tra gli atti di predazionerealizzati dal Lupo e quelli messi in atto da canivaganti o inselvatichiti (Fico 1996, Ciucci & Boita-ni questo volume).Il Consiglio Regionale, con propria deliberazione n.416/2002, ha provveduto a fissare le modalità perla determinazione della misura del contributo eco-nomico e per la sua materiale erogazione in favoredegli allevatori danneggiati. Secondo quantoespressamente disposto da questa delibera consi-gliare, in caso di uccisione di animali domestici daparte di cani inselvatichiti o di altri predatori, l’ac-certamento dei fatti deve essere eseguito da un ve-

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terinario dell’A.U.S.L. territorialmente competente,accompagnato da personale tecnico dipendentedalla medesima A.U.S.L. o dal Comune o dallaProvincia competenti per territorio. In sede di ac-certamento dei fatti deve essere inoltre redatto unverbale contenente tutte le indicazioni atte a clas-sificare tutti gli animali rinvenuti uccisi.Ai proprietari degli animali uccisi (limitatamente abovini, bufali, equini, suini, pecore e capre) è con-cesso un contributo, a titolo di risarcimento, cor-rispondente al 90% del valore medio di mercatoimmediatamente prima dell’accertamento dei fatti,desunto dal Bollettino dei Prezzi pubblicato dallaCamera di Commercio, Industria, Agricoltura e Ar-tigianato, e riferito ad animali della stessa specie,razza e categoria, eventualmente maggioratodell’80% per i soli capi muniti di certificato d’iscri-zione ai Libri Genealogici. In caso di eventi di predazione, all’erogazione deicontributi provvedono le Amministrazioni provin-ciali competenti per territorio, alle quali i proprie-tari devono inoltrare la domanda di risarcimentocorredata di: 1. dichiarazione sostitutiva di atto notorio da cui

risulti l’effettiva proprietà degli animali e chel’uccisione degli stessi sia da attribuirsi, real-mente o verosimilmente, all’azione di cani in-selvatichiti o di altri predatori;

2. copia del verbale rilasciata dal VeterinarioA.U.S.L. da cui risulti chiaramente il numero dicapi uccisi, la specie, la razza, la categoria edaltre informazioni ritenute utili ai fini dellaquantificazione in denaro del danno subito;

3. copia del Bollettino dei prezzi della Camera diCommercio, Industria, Agricoltura e Artigiana-to cui si è fatto ricorso per la determinazionedel valore medio di mercato degli animaliuccisi.

Le stesse amministrazioni provinciali devono prov-vedere, entro 60 giorni dalla effettiva disponibilitàfinanziaria, a deliberare la liquidazione e al relati-vo pagamento del contributo.Nonostante i danni economici causati dall’attivitàpredatoria del Lupo risultino, in assoluto, notevol-mente inferiori a quelli causati da altre specie sel-vatiche (ad esempio, dal cinghiale), questi fenome-ni vengono percepiti dall’opinione pubblica locale,e in particolare dai diretti portatori di interesse,come inammissibili e rappresentano un buon pre-testo per innescare azioni di ritorsione diretta neiconfronti del Lupo: questo perchè gli eventi di pre-dazione tendono a concentrarsi localmente e adaumentare, nel caso non vengano implementateefficaci misure di prevenzione, determinando in al-cuni casi perdite anche consistenti da parte deisingoli allevatori. Nella prospettiva di sviluppare un efficiente siste-ma di raccolta ed archiviazione delle informazionirelative agli eventi di predazione accertati e alloscopo di studiare caratteristiche e tendenze del fe-nomeno a livello locale, i Parchi dell’area di attua-zione del progetto Life Natura hanno raccolto datie messo a punto un piano di monitoraggio degli ef-fetti degli interventi di prevenzione adottati. Obiet-

tivo principale del presente lavoro è pertanto la de-scrizione del fenomeno delle predazioni a livello lo-cale in termini di numero di eventi di predazione,numero di capi rinvenuti uccisi, ricorrenza degliepisodi nelle diverse aziende e danno economicoindotto, anche alla luce degli interventi di preven-zioni messi in atto nell’area di progetto. Altroobiettivo è evidenziare come le predazioni da Lupoa carico del bestiame ed i relativi costi di risarci-mento e prevenzione rappresentino informazionimolto utili per mettere a punto strategie efficaci diattenuazione dei conflitti tra il Lupo e gli allevato-ri, contribuendo allo stesso tempo a monitorarel’andamento del fenomeno.

METODISono stati analizzati gli eventi di predazione su be-stiame registrati nei comuni dei tre Parchi del Gi-gante, del Frignano e dei Cento Laghi, nonché inquelli prossimi ai loro confini amministrativi. Dal-l’esame dei verbali di accertamento delle A.U.S.L.,reperiti presso i Servizi Veterinari competenti dizona e/o attraverso sopralluoghi congiunti con ilpersonale A.U.S.L, sono stati ottenuti i dati relati-vi al numero di casi di predazione, alla ricorrenzaannuale degli episodi per azienda, al numero dicapi di bestiame rinvenuti uccisi, specie, razza, ca-tegoria di appartenenza, al numero di capi uccisiper evento di predazione, alla natura delle lesioniriscontrate sulla carcassa degli animali decedutinonché la data, il comune e la località di ognievento di predazione. Per mezzo di un appositoquestionario, compilato in fase di accertamentodei fatti dal personale del progetto Life Natura af-ferente ai Parchi regionali o dallo stesso personaleA.U.S.L. al quale è stata presentata e resa dispo-nibile una apposita scheda, sono stati raccolti i se-guenti dati:A) Informazioni integrative relative ad ogni episo-

dio di predazione e, in particolare: periodo dellagiornata relativo all’attacco, condizioni atmo-sferiche, copertura vegetale, stato di custodiadel bestiame e modalità di pascolo al momentodella predazione (presenza del pastore, cani, re-cinzione, stato brado, ecc), eventuali indizisulla natura del predatore;

B) Informazioni relative alla condizione degli ani-mali predati: tipo di ferite rilevate, grado di con-sumo di ogni carcassa;

C) Informazioni relative alla gestione del bestiamedomestico nell’azienda: metodi di prevenzioneadottati, numero di capi presenti al momentodell’attacco, numero di femmine gravide, moda-lità di gestione dei parti.

L’entità degli indennizzi erogati e i tempi intercor-si tra l’accertamento dei fatti e la liquidazione deicontributi economici sono stati quantificati attra-verso l’esame degli Atti amministrativi relativi alleistruttorie di erogazione degli indennizzi reperitipresso le Amministrazioni provinciali di ReggioEmilia, Modena e Parma.La consistenza del bestiame nei diversi Comuni èstata calcolata ricorrendo ai dati relativi al 5° Cen-simento generale dell’agricoltura riferito al 2000

W. Reggioni, M. Andreani, M. Carletti, F. Moretti, F. Rigotto

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(Istat 2002), supportati da informazioni ottenutecon interviste dirette ai pastori e, limitatamente alterritorio del Parco del Gigante, attraverso il con-teggio diretto degli animali nelle località di pasco-lo realizzato per la prima volta su tutto il territoriodel parco all’inizio della stagione di pascolo del1997.Allo scopo di contribuire a mitigare il conflitto tragli interessi economici dei pastori locali e l’attivitàpredatoria del Lupo, sono state realizzate specifi-che campagne di sensibilizzazione ed informazio-ne. In particolare, per informare i pastori localisulla possibilità di beneficiare di un contributoeconomico a titolo di indennizzo in caso di perditedi capi di bestiame dovute a predazione, sono statirealizzati specifici incontri con i pastori anchesulle località di pascolo. Inoltre, al fine di promuo-vere un efficiente sistema di raccolta ed archivia-zione delle informazioni relative agli eventi di pre-dazione, è stato predisposto un tavolo di lavoro cuihanno preso parte i tecnici del Progetto Life Natu-ra, i Servizi Veterinari delle A.U.S.L. di competen-za nell’area di progetto, i corpi di Polizia Provincia-le delle Amministrazioni competenti per territorio el’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lombar-dia ed Emilia-Romagna. In questa sede è stato de-finito dalle parti coinvolte uno specifico protocollocomune di intervento, da adottare in caso di epi-sodi di predazione, che prevede il reciproco coin-volgimento degli organismi competenti nell’effet-tuazione dei sopralluoghi per la verifica dei danni,definisce le modalità di intervento e coordinamen-to, sancisce lo scambio reciproco di informazionirelative agli eventi di predazione stessi (accesso abanche dati ed informazioni pregresse) e proponel’utilizzo di uno specifico ed univoco dossier di ac-certamento e quantificazione del danno. Infine,agevolare l’iter burocratico relativo alla denunciadei danni agli organi competenti e diventare quin-di i referenti istituzionali sul territorio per la ge-

stione dei problemi connessi alla presenza di pre-datori, si è provveduto a fornire agli allevatori dan-neggiati la documentazione necessaria per la ri-chiesta di risarcimento e, una volta in possessodella documentazione completa, ad inoltrarla agliorgani provinciali, cui compete l’istruttoria relativaall’approvazione della liquidazione dei danni.Al fine di prevenire fenomeni di predazione a cari-co del bestiame ed evitare possibili ritorsioni neiconfronti dei lupi (o più in generale l’insorgere diostilità nei confronti di azioni finalizzate alla con-servazione di questa specie), si è fatto ricorsoanche a sistemi di protezione diretta delle greggi alpascolo, tramite la realizzazione di recinti fissi aprova di lupo in aree ad elevato rischio di preda-zione per la stabulazione notturna delle greggi. Perla selezione delle località di pascolo in cui realizza-re i recinti (e conseguentemente del pastore a cuiassegnare il recinto) sono stati rilevati i seguentidati: numero di capi allevati, numero di eventi dipredazione subiti negli anni precedenti, modalitàdi pascolo, attività prevalente, età dell’allevatore,impegno dell’allevatore nella manutenzione del re-cinto, terreno idoneo.

RISULTATII capi di bestiame rinvenuti uccisi in un arco tem-porale corrispondente ad otto stagioni consecutivedi pascolo (anni 1996-2003) sono stati 530 (Tab.1), corrispondenti ad una media annuale di 66capi (± 29). Il minor numero di animali predati(n=6) è stato registrato nella stagione di pascolodell’anno 2003, mentre il numero massimo di uc-cisioni (n=139) è stato riscontrato nella stagione dipascolo 1998. Oltre il 94% delle predazioni è avve-nuto a carico di pecore e capre, mentre il numerodi bovini ed equini rinvenuti uccisi è risultatocomplessivamente di 18 unità. Limitatamente aiComuni territorialmente interessati dai Parchi delGigante e dei Cento Laghi, e per le sole pecore, è

n. capi predati____________________________________________________________

Anno pecore capre bovini equini Totale__________________________________________________________________________________________________

1996 78 0 3 0 811997 85 4 2 0 911998 131 0 4 4 1391999 51 9 1 1 622000 77 1 2 0 802001 47 0 1 0 482002 22 1 0 0 232003 6 0 0 0 6__________________________________________________________________________________________________

Totale 497 15 13 5 530

Tabella 1. – Distribuzione annuale dei capi di bestiame rinvenuti morti in seguito a eventi di predazione “da ca-nidi” (regolarmente denunciati alle autorità competenti) nelle aree di pascolo dei Parchi regionali del Gigante,Frignano e Cento Laghi e in quelle immediatamente prossime ai loro confini amministrativi, ma ricadenti nel-l’ambito del territorio comunale. Dati ottenuti dall’esame dei verbali (A.U.S.L.) di accertamento dei danni e degliatti amministrativi del Parco del Gigante e delle Province di Modena e Reggio Emilia, relativi alle istruttorie diaccertamento e liquidazione dei danni (1996-2003).

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stato possibile risalire al numero di animali an-nualmente uccisi in eventi di predazione a partiredall’anno 1993 (Tab. 2). Oltre 900 sono i capi rin-venuti uccisi in seguito a predazioni, con il mag-gior numero di pecore uccise (n=177) nell’anno1995. Dalla stagione di pascolo dell’anno 1993 aquella dell’anno 2003 sono stati denunciati com-plessivamente circa 200 eventi di predazione a ca-rico di pecore, a cui corrispondono in media 18episodi per anno e 4,1 (±1,2) capi ucciso/evento. Ilnumero massimo di pecore rinvenute uccise nelcorso dello stesso evento di predazione è stato re-gistrato nell’anno 1993, nel Comune di Ramiseto(Parco del Gigante), con 37 pecore predate. A que-

sto episodio sono seguiti, per numero di capi ucci-si, una predazione su 31 pecore registrata nelcorso dello stesso anno nel Comune di Ligonchio(Parco del Gigante) e altri due eventi con 23 ani-mali predati, nell’anno 1997 nel Comune di Rami-seto (Parco del Gigante) e nel 1998 nel Comune diMonchio delle Corti (Parco dei Cento Laghi). In 36(20,5%) episodi di predazione è stata rinvenuta uc-cisa una singola pecora, mentre in 70 (38,8%)sono stati ritrovati uccisi fino ad un massimo didue capi. Il 60% degli eventi di predazione si sonorisolti con l’uccisione di un numero massimo di trecapi, mentre nel 75% dei casi gli ovini rinvenutiuccisi sono stati al massimo cinque (Fig.1).

W. Reggioni, M. Andreani, M. Carletti, F. Moretti, F. Rigotto

Anno Parco del Parco dei Parco delGigante Cento Laghi Frignano Totale

___________________ ___________________ ___________________ ___________________n. pecore n. eventi n. capi n. pecore n. eventi n. capi n. pecore n. eventi n. capi n. pecore n. eventi n. capipredate di uccisi/ predate di uccisi/ predate di uccisi/ predate di uccisi/

predazione evento predazione evento predazione evento predazione evento__________________________________________________________________________________________________

1993 114 16 7,1 28 3 9,3 - a - a - 142 19 7,51994 65 23 2,8 28 3 9,3 “ “ - 93 26 3,61995 120 23 5,2 57 11 5,2 “ “ - 177 34 5,21996 17 16 1,1 61 4 15,3 “ “ - 78 20 3,91997 75 16 4,7 10 3 3,3 “ “ - 85 19 4,51998 74 15 4,9 57 6 9,5 “ “ - 131 21 6,21999 18 11 1,6 18 3 6,0 15 2 7,5 51 16 3,22000 17 3 5,7 0 0 0 62 10 6,2 79 13 6,12001 23 9 2,6 7 1 7,0 20 6 3,3 50 16 3,12002 20 12 1,7 0 0 0 2 1 2,0 22 13 1,72003 1 1 1,0 0 0 0 0 1 0,0 1 2 0,5__________________________________________________________________________________________________

Totale 544 145 3,8 266 34 7,8 99 20 5,0 909 199 4,6

a dato non disponibile

Tabella 2. – Distribuzione annuale del numero di pecore predate, del numero di eventi di predazione e del nu-mero di capi uccisi per ogni attacco nelle aree di pascolo dei Parchi regionali del Gigante, Frignano e Cento Laghie in quelle immediatamente prossime ai loro confini amministrativi. Dati ottenuti dall’esame dei verbali(A.U.S.L.) di accertamento dei danni e degli atti amministrativi del Parco del Gigante e delle Province di Mode-na e Reggio Emilia, relativi alle istruttorie di accertamento e liquidazione dei danni (1993-2003).

Figura 1. – Distribuzione del numero di pecore uccise per ogni attacco “da canidi” nelle aree di pascolo dei Par-chi regionali del Gigante, Frignano e Cento Laghi e in quelle immediatamente prossime ai loro confini ammini-strativi (1993-2003).

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In termini assoluti, il maggior numero di uccisioniè stato osservato nel territorio del Parco del Gi-gante (n=544), mentre complessivamente il piùalto numero medio annuale di pecore predate persingolo evento di predazione (15,3 capi/evento) èstato osservato nel territorio del Parco dei CentoLaghi nell’anno 1996 (nel corso del quale sonostate uccise 61 pecore in quattro eventi di preda-zione, avvenuti tra la fine del mese di giugno eagosto). Gli episodi di predazione hanno interessato il ter-ritorio di 11 comuni dei 13 considerati (Fig. 2); ladistribuzione degli attacchi ha evidenziato inoltrecome nel Comune di Villa Minozzo (Parco del Gi-

gante) si siano verificati oltre la metà degli episodidi predazione complessivamente denunciati(51,5%), corrispondenti al 44% delle perdite totalidi pecore. Nel Comune di Monchio delle Corti(Parco dei Cento Laghi) le perdite di pecore com-plessivamente registrate sono state il 15% del to-tale, a fronte di una ricorrenza di eventi di preda-zione pari al 24%. Nei Comuni di Ramiseto (Parcodel Gigante) e Riolunato (Parco del Frignano) leperdite complessivamente registrate si sono man-tenute nell’ordine del 10%; nei restanti comuni glieventi di predazione osservati e il numero di capiuccisi sono risultati sempre inferiori al 5% del to-tale (Tab. 3).

Comune Pecore predate n. eventi di predazione n capi/evento__________________________________________________________________________________________________

Frassinoro 0 0 -Pievepelago 0 0 -Sestola 1 1 1,0Busana 1 1 1,0Fiumalbo 7 2 3,5Collagna 14 10 1,4Ligonchio 21 8 2,6Fanano 27 8 3,4Corniglio 43 5 8,6Riolunato 92 15 6,1Ramiseto 98 17 5,8Monchio delle Corti 223 29 7,7Villa Minozzo 413 102 4,0

Tabella 3. – Distribuzione degli attacchi e delle pecore rinvenute morte in seguito a eventi di predazione “da ca-nidi” (regolarmente denunciati alle autorità competenti) nelle aree di pascolo dei tredici comuni dei Parchi re-gionali del Gigante, Frignano e Cento Laghi. Dati ottenuti dall’esame dei verbali (A.U.S.L.) di accertamento deidanni e degli atti amministrativi del Parco del Gigante e delle Province di Modena e Reggio Emilia relativi alleistruttorie di accertamento e liquidazione dei danni (1993-2003).

Figura 2. – Distribuzione delle aree di pascolo (con relativo carico medio annuale di pecore) e del numero di pe-core uccise in seguito ad eventi di predazione “da canidi” nei Comuni dei Parchi regionali del Gigante, Frignanoe Cento Laghi (dati cumulati, 1993-2003).

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Nel territorio del Parco del Gigante, rispetto al ca-rico di pecore mediamente presente sui pascoli nelcorso delle ultime sette stagioni di pascolo, l’oc-correnza dell’attività predatoria del Lupo sul nu-mero totale di pecore presenti è risultata comples-sivamente del 2,5%. L’occorrenza annuale dellepredazioni sul carico di pecore al pascolo nei di-versi comuni del Parco del Gigante è risultata parial 5% nel Comune di Villa Minozzo, del 3% nel Co-mune di Ramiseto e sempre inferiore all’1% nei re-stanti comuni. Il 59% degli episodi di predazione acarico delle greggi al pascolo nel territorio del Co-mune di Villa Minozzo (Parco del Gigante) sono ri-sultati ricorrenti nella stessa località di pascolo,nella quale hanno operato tre aziende zootecniche. L’11,8% delle aziende usualmente presenti sull’in-tero territorio dei tre Parchi (n=48) ha riportato,negli anni compresi tra il 1993 e il 2003, solo unepisodio di predazione; il 24,5% delle aziende èstato colpito da un numero massimo di 10 attac-chi e solamente tre aziende hanno riportato com-plessivamente più di 10 diversi episodi di preda-zione. Gli episodi di predazione riscontrati nel ter-

ritorio del Parco del Frignano dal 1996 al 2003(n=20) hanno mostrato una evidente cronicità diattacchi nei confronti della stessa azienda agrico-la che utilizza i pascoli del Comune di Riolunato(75% delle ricorrenze di attacco osservate nelParco). Nell’area dei tre parchi regionali, il 65%degli attacchi alle greggi denunciati dagli allevato-ri si sono verificati nel corso della stagione estiva(giugno-luglio), il 26% nel corso dei mesi autunna-li (settembre-novembre), il 6% in primavera(marzo-maggio) e solo il 4% in inverno (dicembre-febbraio) (Fig. 3). Gli episodi di predazione avve-nuti nei mesi invernali sono stati riscontrati esclu-sivamente nel territorio del Parco dei Cento Laghi(29% degli eventi di predazione nel Parco). Su base mensile, la percentuale più alta di attac-chi è stata registrata in agosto (29,4%), seguito daluglio (19,6%) e settembre (18%). Diversamentedagli altri parchi, nel Parco dei Cento Laghi è statopossibile evidenziare che il 21% delle predazioni èavvenuto nel corso di dicembre, mentre nel Parcodel Frignano il 22% degli episodi si è verificato inottobre (Fig. 4).

W. Reggioni, M. Andreani, M. Carletti, F. Moretti, F. Rigotto

Figura 3. – Distribuzione stagionale degli episodi di predazione da “canidi” a carico delle greggi presenti nellearee di pascolo dei Comuni dei Parchi regionali del Gigante, Frignano e Cento Laghi (1993-2003).

Figura 4. – Distribuzione mensile degli episodi di predazione da “canidi” a carico delle greggi presenti nelle areedi pascolo dei Comuni dei Parchi regionali del Gigante, Frignano e Cento Laghi (1993-2003).

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L’esame degli atti amministrativi relativi all’eroga-zione dei contributi a titolo di risarcimento deidanni subiti è stato possibile per i soli episodi dipredazione avvenuti nel territorio dei cinque co-muni del Parco del Gigante (n=145). Tra tutte le ri-chieste di indennizzo regolarmente trasmesse, nelperiodo compreso tra il 1996 e il 2003, all’Ammi-nistrazione provinciale di Reggio Emilia risultanoessere state evase il 100% delle richieste di risar-cimento per danni relative ad equini, caprini e bo-vini. Relativamente alle pecore, solo negli anni1996, 1997 e 2000 risultano essere stati compen-sati tutti gli animali rinvenuti uccisi in seguito adeventi di predazione “da canidi” regolarmente ac-certati da personale A.U.S.L. Il rimborso ha inte-ressato il 96% degli animali predati nell’anno2001, il 60% degli animali rinvenuti morti nel1998 e il 79% di quelli accertati nel 1999. Le somme complessivamente erogate dalle tre Am-ministrazioni provinciali per compensare le perdi-te di bestiame avvenute sull’intera area nel perio-do compreso tra il 1999 e il 2003 sono riportate inTab. 4. Complessivamente è stata liquidata unasomma pari a € 40.053,00 ed in particolare i rim-borsi per le pecore e le capre predate hanno inte-ressato l’81% della somma erogata. Il 91% dellasomma liquidata per compensare danni su bovinied equini ha interessato le predazioni avvenute nelterritorio del Parco dei Cento Laghi.L’intervallo temporale mediamente intercorso perliquidare i danni subiti dai pastori nel territorio delParco del Frignano (n=18) è risultato di 120 (±15)giorni dall’accertamento dei fatti, mentre per la li-quidazione dei danni denunciati nel territorio delParco del Gigante da parte dell’Amministrazioneprovinciale (n=23) sono mediamente trascorsi dueanni (732 ± 88 giorni) L’esame degli atti ammini-strativi di erogazione degli indennizzi ai pastorirealizzati direttamente dal Parco del Gigante(n=12) ha evidenziato tempi di liquidazione medi di69 (±25) giorni con intervallo minimo di attesa di14 giorni e massimo di 154.In particolare, nel Parco del Gigante, nel quin-

quennio 1999-2003, è stata liquidata una somma(€ 4.756,00) che risulta molto inferiore a quellaerogata per compensare i danni nei restanti Parchiregionali (€ 35.298,00); tuttavia nel triennio pre-cedente (1996-1998) nel solo Parco del Giganteerano stati liquidati danni da predazione per com-plessivi € 14.730,00.Proprio allo scopo di prevenire le perdite di bestia-me (soprattutto pecore) nel territorio del Parco delGigante, nella primavera precedente la stagione dipascolo del 1999 sono stati realizzati i primi cin-que recinti fissi anti-lupo, in altrettante localitàdei Comuni di Villa Minozzo e Collagna. A talescopo tutti i proprietari di pecore presenti entro iconfini amministrativi dell’area protetta o nellesue immediate vicinanze (n=27) sono stati dappri-ma adeguatamente informati attraverso sopralluo-ghi (n=29) sulle località di pascolo (operati dal per-sonale afferente al parco) e, successivamente, ri-correndo ad appositi incontri realizzati in diverselocalità dell’area protetta. Negli anni successivi,nel territorio del Parco del Gigante sono stati rea-lizzati altri cinque recinti fissi (quattro nel Comu-ne di Villa Minozzo e uno nel Comune di Ligon-chio). Infine, altri due recinti fissi anti-lupo sonostati realizzati nel territorio del Parco del Frignano(maggio 2003) e in quello del Parco dei Cento Laghi(aprile 2004). Per la realizzazione dei recinti anti-lupo (n=13) èstata utilizzata una somma complessiva di €

100.400,00, corrispondente al 310% della sommatotale liquidata per i danni da predazione a caricodi pecore negli ultimi cinque anni (€ 32.298,00).Dall’esame delle istanze di risarcimento, fino allastagione di pascolo del 2004, è emerso tuttavia chei tredici pastori ai quali è stato realizzato il recintonon hanno più subito attacchi.

DISCUSSIONENei tre Parchi regionali dell’Appennino Tosco-emi-liano, come in tutto l’areale di distribuzione italia-no del Lupo, si sono registrati danni al patrimoniozootecnico. Le specie domestiche localmente più

Parco del Gigante Parco dei Cento Laghi Parco del Frignano_______________________ _______________________ ______________________

Anno Bovini-equini ovi-caprini Bovini-equini ovi-caprini Bovini-equini ovi-caprini Totale__________________________________________________________________________________________________

1999 0 114,34 1.991,72 568,62 0 6.045,13 8.719,81 2000 151,10 964,48 4.997,90 9.165,51 0 3.333,56 18.612,55 2001 613,55 1.693,95 0 3.995,39 0 3.334,00 9.636,89 2002 0 1.217,43 0 1.016,01 0 260,00 2.493,44 2003 0 a 0 a 0 a 0 a 0 a 590,00a 590,00a

__________________________________________________________________________________________________

Totale € 764,65 € 3.990,20 € 6.989,62 € 14.745,53 - € 3.562,69 € 40.052,69

a: dato parziale

Tabella 4. – Costi d’indennizzo (Euro) dei danni relativi ai capi di bestiame rinvenuti in seguito a eventi di preda-zione “da canidi” (regolarmente denunciati alle autorità competenti) nelle aree di pascolo dei Parchi regionali delGigante, Frignano e Cento Laghi. Dati ottenuti dall’esame degli atti amministrativi relativi alle istruttorie di liqui-dazione dei danni (Amministrazioni provinciali di Reggio Emilia, Modena, Parma e Parco del Gigante, 1999-2003).

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vulnerabili al Lupo sono risultate essere pecore ecapre, sebbene nel territorio di due parchi (CentoLaghi e Gigante) non siano mancati episodi di pre-dazione anche di bovini ed equini al pascolo. Inrealtà, la presenza al pascolo brado di vitelli e pu-ledri risulta nell’area pressoché assente, in quan-to i primi sono allevati in stabulazione fissa, men-tre i secondi vengono custoditi in prossimità deicentri di allevamento.La distribuzione stagionale degli attacchi e il nu-mero medio di pecore uccise per evento di preda-zione sono confrontabili con quanto evidenziato inaltre aree dell’Appennino (Fico et al. 1983, Cozzaet al. 1996, Ciucci & Boitani 1998, questo volume)a sottolineare che il numero di animali uccisi nelcorso degli eventi è normalmente modesto; eventidi uccisioni multiple (>20 unità/attacco) risultanoanche in quest’area piuttosto rari (1,5%) e proba-bilmente legati a situazioni del tutto particolari(Boitani & Ciucci 1996b). Tuttavia, l’impossibilitàdi ottenere dettagli sulle modalità di pascolo delgregge al momento degli attacchi in cui si sono ve-rificate le uccisioni di massa (pascolo brado, re-cinto, presenza di cani da guardiania, etc.) per 3dei 4 episodi registrati nel periodo 1993-1998 im-pedisce ogni possibilità di contribuire con dati lo-cali all’interpretazione del fenomeno. Il numero di capi uccisi, e conseguentemente deidanni accertati, ha subito fluttuazioni spazio-tem-porali (su base annuale, comunale e sovra-comu-nale) difficilmente interpretabili anche alla lucedegli interventi di prevenzione messi in atto. Le di-namiche sembrano comunque riconducibili aschemi già riportati in letteratura e interpretaticome conseguenza di eradicazioni locali del Luposuccessive alle fasi di colonizzazione e consolida-mento demografico (Boitani & Ciucci 1993). Inparticolare, nei comuni del Parco del Gigante siosserva un evidente decremento del numero dicapi rinvenuti uccisi a partire dalla stagione di pa-scolo del 1999, in coincidenza con il primo anno diutilizzo dei recinti anti-lupo. Lo stesso andamentoè tuttavia osservabile anche nel territorio del limi-trofo Parco dei Cento Laghi, nel quale gli interven-ti di prevenzione sono stati realizzati solo nellastagione di pascolo dell’anno 2003. Gli episodi di predazione su pecore e capre rego-larmente accertati hanno invece evidenziato,anche in questa porzione dell’Appennino setten-trionale, un andamento stagionale del fenomeno,che conferma una maggiore frequenza degli attac-chi, e conseguentemente degli animali uccisi, nelperiodo tardo estivo (fine agosto-settembre), in co-incidenza cioè con il maggior numero di domesticisui pascoli e le maggiori necessità alimentari deibranchi di Lupo, conseguenti alla presenza e cre-scita dei cuccioli (Fico et al. 1983, Cozza et. al.1996, Boitani & Ciucci 1996b), così come verifica-to con continuità nell’area del Parco del Gigantedal 1997 e nel Parco del Frignano dal 2002.Poche località di pascolo, e conseguentementepoche aziende, hanno sofferto di una certa croni-cità (alte ricorrenze) degli episodi di predazione etra queste solo tre hanno riportato livelli di conflit-

to giudicabili come “economicamente insostenibili”(>5 attacchi). Questi dati hanno certamente con-tribuito alle scelte gestionali finalizzate alla pre-venzione dei danni come l’istallazione dei 13 re-cinti fissi anti-lupo: questi sono stati realizzatiprevalentemente nelle aree di pascolo risultate piùsensibili e critiche rispetto alle ricorrenze degli epi-sodi di predazione. Se indubbio è il risultato in ter-mini di consenso, gratificazione e soddisfazionepersonale da parte dei pastori ai quali è stato rea-lizzato il recinto, una valutazione in termini direale efficacia dei sistemi di prevenzione adottati(realizzata attraverso la quantificazione della realeriduzione dei danni conseguente alla istallazionedei recinti fissi anti-lupo) non potrà che essere ef-fettuata in una prospettiva di medio-lungo periodoattraverso un costante ed affidabile monitoraggiodei casi di predazione.Sebbene le aziende zootecniche che attualmenteutilizzano i recinti fissi anti-lupo non abbiano piùdenunciato danni da predazione già dalla primastagione di pascolo in cui i recinti sono stati residisponibili (5 recinti dalla stagione di pascolo del1999, nel Parco del Gigante), si è assistito dal2000 ad una riduzione delle denunce di eventi dipredazione sull’intera area di studio che difficil-mente può essere ricondotta alla sola realizzazionedei recinti anti-lupo. Infatti, dopo una prima fasein cui molte aziende zootecniche locali si sono mo-strate impreparate a fronteggiare gli effetti del ri-torno del Lupo dopo alcuni decenni di assenza delpredatore, si è assistito ad una progressiva evolu-zione dei sistemi di prevenzione in seguito ad unaprima campagna di informazione e sensibilizzazio-ne espressamente rivolta ai pastori dal Parco delGigante nel 1998. Questi ultimi, con sempre mag-gior frequenza, hanno fatto ricorso ad uno o piùcani da guardiania (pastore maremmano-abruzze-se) e soprattutto alla stabulazione notturna in ri-coveri sicuri oltre ad assicurare la costante pre-senza del pastore sul pascolo. Inoltre, l’obbligo dismaltimento delle carcasse presso centri autoriz-zati, come da misure di prevenzione delle encefa-lopatie spongiformi trasmissibili (BSE e SCRAPIE)in vigore dal 2000 e a totale carico dell’allevatore,potrebbe aver indotto molti allevatori ad ometterela denuncia della perdita di animali in seguito apredazione. Motivi di conflitto restano anche alcuni aspetti deiprogrammi di indennizzo adottati dalla RegioneEmilia-Romagna; ad esempio il prezzo medio dimercato a cui si fa riferimento per quantificare ildanno subito, giudicato normalmente inferiore alvalore che l’allevatore attribuisce ad un animale invita. Altri motivi di conflitto possono essere lamancata compensazione delle perdite accessorieconseguenti a ogni evento di predazione, come iltempo necessario al recupero delle carcasse, leperdite di produzione (in termini di agnelli e dilatte), le spese veterinarie per la cura degli anima-li eventualmente feriti, la perdita dei contributi nelcaso di soggetti iscritti al Libro genealogico, in ag-giunta ai tempi di erogazione del denaro, giudicaticome eccessivamente lunghi. Tutti questi aspetti,

W. Reggioni, M. Andreani, M. Carletti, F. Moretti, F. Rigotto

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se non opportunamente contemplati anche inun’ottica di messa a punto di programmi di moni-toraggio, potrebbero ancora oggi pregiudicare il si-gnificato originario dei programmi di indennizzointesi come strumenti a sostegno della protezionelegale concessa alla specie (cfr. Ciucci & Boitani1998b), pur non trascurando le attività e gli inte-ressi dei pastori.In tal senso, l’esperienza di gestione diretta dellaquantificazione e liquidazione degli indennizzi rea-lizzata dal Parco del Gigante nel biennio 1997-1998, nell’ambito di un primo progetto Life Natu-ra 1996, appare interessante e meritevole di ap-profondimento: non solo ha reso possibile una im-portante riduzione dei tempi di liquidazione degliindennizzi, ma si è dimostrata fondamentale perinvestire il Parco di un ruolo di ente referente, lo-calmente e attivamente presente sul territorio, acui riferirsi in caso di eventi di predazione (ancheperché impegnato in una più ampia strategia diconservazione del lupo e di riduzione dei conflitti).Proprio il riconoscimento di una identità di ruolo,nel senso di soggetto istituzionalmente credibile edefficiente nelle risposte, è stato con ogni probabili-tà il risultato più importante tra quelli acquisiti inuna prospettiva di ricerca del consenso locale fi-nalizzata all’attenuazione dei conflitti.Tuttavia, nell’impossibilità di provvedere diretta-mente al risarcimento dei danni anche negli annisuccessivi, sembra essere stata molto utile l’espe-rienza di assicurare ai pastori locali l’assistenzanella predisposizione della documentazione relati-va alla richiesta di risarcimento dei danni in tuttii casi in cui si sono verificati attacchi alle greggi. Atale scopo, la definizione di specifici accordi con iServizi Veterinari delle A.U.S.L. per individuarestrategie unitarie per la verifica dei danni da pre-dazione e, soprattutto, per definire un coordina-mento istituzionale, tecnico ed amministrativo trai soggetti coinvolti, è risultato fondamentale perdimostrare la possibilità di superare inadeguaticonfini amministrativi e conflitti burocratici dicompetenza quando esistano obiettivi comuni econdivisi. Anche in quest’ottica, le informazioni ot-tenibili dal monitoraggio dei danni da predazionesul bestiame sono risultate e risulteranno di estre-ma utilità per studiare il fenomeno a livello localee prevenirne ogni interpretazione demagogica o al-larmistica. Inoltre, in una prospettiva di attenua-zione del conflitto, la conoscenza del fenomenonelle sue dimensioni reali risulta condizione fon-damentale per ricondurre la discussione in termi-

ni accettabili soprattutto per i pastori, evitando disfociare in azioni illegali di persecuzione direttanei confronti del Lupo. In questa prospettiva, i ri-sultati del presente lavoro offrono una prima di-mensione reale del fenomeno a scala locale.

RingraziamentiGli autori intendono ringraziare per la disponibili-tà, la collaborazione e l’interesse dimostrato i Par-chi regionali del Gigante, del Frignano e dei CentoLaghi nonché le Amministrazioni provinciali e iServizi Veterinari di zona.

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G. Potena, L. Sammarone, M. Posillico, A. Petrella e R. Latini

RiassuntoI conflitti con l’uomo dovuti alla predazione su be-stiame e ai danni alle colture e competizione perl’habitat hanno causato il declino numerico e l’e-stinzione dei grandi carnivori in gran parte del-l’Europa occidentale. L’Orso bruno è presente inEuropa occidentale con popolazioni isolate e spes-so di ridotte dimensioni che richiedono interventidi conservazione urgenti anche relativamente allamitigazione dei conflitti con l’uomo. La predazionesul bestiame e i danni alle colture sono ricorrentinell’area di distribuzione dell’Orso bruno nell’Ap-pennino. Per quantificare questo fenomeno abbia-mo analizzato le istanze di predazione (n=2,434)presentate in 58 comuni della parte meridionaledella provincia de L’Aquila dal 1998 al 2003, conspeciale riferimento ai danni causati dall’Orsobruno. Il 27% (n=668) dei danni sono stati attri-buiti all’Orso e il 71% (n=1.718) dei danni a Lupoe/o cane. I danni da Orso si sono verificati in 27comuni (47%) mentre nel 93% di questi sono statiregistrati danni da Lupo e/o cane. Capre e/o pe-core ricorrono nel 29% delle istanze per danni daOrso, seguono polli e conigli (23%), apiari (22%),colture (13%), bovini (7%) e equini (4%); tuttavia,l’82% dei capi predati è rappresentato da polli econigli. La predazione su questa categoria ha mo-strato una crescita significativa dal 2000, e più del95% dei danni sono concentrati in sette paesi fre-quentati da tre orsi problematici. La predazionedell’Orso varia mensilmente in modo significativocon distinti picchi di predazione per categoriadanneggiata; la maggior parte dei danni sono con-centrati dalla fine di maggio agli inizi di ottobre. Ilnumero di istanze e di capi predati è maggiore perLupo e/o cane rispetto all’Orso, tranne in alcunicomuni, la maggior parte dei quali è soggetta apredazione di polli e conigli da parte di tre indivi-dui di Orso bruno. Il numero di capi predati e diistanze di risarcimento per danni da Orso non è ri-sultato correlato all’abbondanza stimata del be-stiame, tranne che per i bovini, ma la percentualerelativa di capi predati (capre e pecore, bovini,equini), o di istanze di danno, corrisponde all’ab-bondanza relativa di questi tipi di bestiame nell’a-rea di studio. I danni da Orso non sono diffusi nel-

l’area di studio, e nel 37% dei comuni in cui si ve-rificano danni in misura superiore alla media èconcentrato l’84% dei danni da Orso. Di conse-guenza suggeriamo di concentrare gli interventi diprevenzione e le ricerche future proprio in questearee e presso gli allevamenti cronicamente affettidalla predazione.

SummaryConflict with humans due to depredation of livestockand crops, as well as habitat subtraction, have beenresponsible of the extinction or reduction of carnivo-re populations in western Europe. Brown bears stillinhabits remote areas of south-western Europe,where small and isolated nuclei require careful con-servation measures and strategies to mitigate con-flicts with humans. Predation on livestock and cropsfrom wolves, dogs and brown bears is a commoncomplaint in bear range in the central Apennines.We therefore investigated 2.434 filed depredationclaims (1998-2003) in the southern L’Aquila provin-ce (58 municipalities), in order to assess quantitati-vely the impact of predators and especially bears onlivestock and agriculture. Bears have been conside-red responsible of 27% (n=668) of verified claims,whereas wolves or dogs have been the most recur-rent responsible of depredations (71%, n=1.718).Bear damages have been claimed in 27 municipali-ties (47%), whilst 93% of the affected municipalitiesreported wolf and dog depredation. Bears preyedmost frequently upon sheep and goats (29% of veri-fied claims), poultry and rabbits (23%), beehives(22%), crops and fruit trees (13%), cattle (7%) andhorses (4%). However, poultry and rabbits accoun-ted for 82% of preyed individuals. Depredation onthis last category has been increasing since year2000, and >95% of such damages are concentratedin seven villages frequented by three problematicbears. Bear depredation showed a different trendfor each prey species on a monthly base, and mostof the claims were concentrated from late May toearly October. The number of attacks, and indivi-duals preyed, per municipality was higher for wol-ves and dogs than for bears, with the exception ofsome municipalities which mostly suffered poultrydepredation by three individual bears. With the ex-

L’IMPATTO DELL’ORSO (Ursus arctos) SULL’ALLEVAMENTOE L’AGRICOLTURA NELLA PROVINCIA DE L’AQUILA

Brown Bear (Ursus arctos) impact on Livestock and agricolture in the southern L’Aquila Province, Italy

G. POTENA*, L. SAMMARONE*, M. POSILLICO* ** °, A. PETRELLA* E R. LATINI***

* Corpo Forestale dello Stato, Ufficio Amministrazione Foreste Demaniali ** Università di Siena, Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”,Sezione di Etologia, Comportamentale, Etologia e Gestione della Fauna

*** Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, Servizio Scientifico

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 126-140, 2005

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ception of cattle, the number of verified claims or de-predated heads of livestock were not correlated withestimated livestock abundance. However, the relati-ve percentage of sheep and goats, cattle and horseskilled by predators (claims and heads of livestock)closely resemble their relative abundance in thestudy area. Bear depredations are not evenly distri-buted within the study area, with 37% of the affec-ted municipalities with higher than average levels ofbear depredation accounting for 84% of bear claims.Accordingly, we suggest to focus prevention inter-ventions and future research efforts particularly insuch hot spots as well as in the farms chronically af-fected by predator attacks.

INTRODUZIONEStoricamente, uno dei più importanti motivi diconflitto tra uomo e grandi predatori è stato deter-minato dalla predazione sul bestiame, che haspesso causato l’eliminazione dei carnivori in granparte del loro areale in Eurasia e Nordamerica (So-rensen 1990, Boitani 1995). Gli abbattimenti im-putabili al conflitto con la pastorizia sembrano es-sere stati il principale fattore responsabile della di-minuzione del Lupo (Canis lupus) sull’intero arcoappenninico agli inizi degli anni ’70 (Boitani 1995).Le conseguenze di questo conflitto sull’Orso (Ursusarctos) sono invece meno chiare. L’impatto dell’Or-so sulle attività agro-pastorali montane è più mo-desto e l’area di distribuzione è decisamente ri-stretta rispetto a quella del Lupo (Ciucci & Boitani1998, Meriggi et al. 2001, Carpaneto & Boitani2003). Tuttavia, l’utilizzo di bocconi avvelenati,lacci e armi da fuoco ha causato danni rilevantianche a questa specie, costituendo circa un terzodelle cause di mortalità accertata (Posillico et al.2002; R. Fico & L. Gentile, com. pers.). Il poten-ziale riproduttivo dell’Orso è inferiore a quello delLupo, quindi gli abbattimenti, comparativamente,hanno un impatto più forte sulla crescita poten-ziale e sulla persistenza della popolazione. Mentrela consistenza del Lupo sembra aggirarsi in Italiaintorno ai 500 esemplari, Randi et al. (2004)hanno stimato nel 2003 che, nelle aree centralidella distribuzione della popolazione appenninicadi Orso bruno, la consistenza sia pari a circa 26orsi. Per minimizzare le conseguenze del conflittotra allevatori e predatori, sono state emanatenorme per risarcire i danni provocati al bestiameda Lupo ed Orso e da altre specie protette sin dal1974 (L.R. 3/74). Successivamente, è stato rico-nosciuto il ruolo spesso non trascurabile nellapredazione sul bestiame domestico dovuto ai canivaganti, con un adeguamento normativo in talsenso (L.R. 105/94). Tra le attività economiche deicomuni che rientrano nell’area di studio l’alleva-mento di ovini, bovini ed equini svolge un ruolospesso non secondario (ISTAT/SSN 2002) soprat-tutto relativamente all’economia delle singoleaziende agricole. All’interno dell’area del Parco Na-zionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) il Servi-zio di Sorveglianza dell’Ente Parco è preposto allaverifica del danno congiuntamente ai Servizi Sani-tari dell’AUSL n. 1 Avezzano-Sulmona, e il rimbor-

so è erogato dall’Ente Parco. All’esterno del PNALMè il Corpo Forestale dello Stato, tramite i ComandiStazione, ad effettuare, congiuntamente ai ServiziSanitari dell’AUSL, i sopralluoghi in caso di de-nuncia di danno. La Regione Abruzzo è poi re-sponsabile del risarcimento dei danni riconosciutieleggibili dal personale che si occupa della verifica.Nella Zona di Protezione Esterna del PNALM (ZPE),l’allevatore può scegliere se interpellare il persona-le del PNALM o, in alternativa, il Corpo Forestaledello Stato. Questo lavoro si propone di sintetizza-re alcune informazioni sulla predazione al bestia-me e sui danni alle colture e agli apiari ad operadell’Orso, e di realizzare una analisi comparativadei danni dovuti a Lupo e cani vaganti nella partemeridionale della provincia de L’Aquila (Fig. 1). Atal fine, si utilizzano congiuntamente per la primavolta i dati disponibili presso il Parco Nazionaled’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM), e il Coordina-mento Provinciale de L’Aquila del Corpo Forestaledello Stato (CFS). Sono inoltre discussi i limiti deidati disponibili e l’organizzazione di un sistema diraccolta e condivisione delle informazioni per per-mettere una migliore comprensione e valutazionedel fenomeno dei danni al patrimonio agro-pasto-rale ai fini della conservazione dell’Orso.

METODI E AREA DI STUDIOL’area di studio (coordinate del centroide: 41°,55’N; 13°,36’ E) è ubicata nella porzione meridionaledella provincia de L’Aquila (Fig. 1) e comprendetutta la parte abruzzese del PNALM, con un’esten-sione di 385 km2, e una più vasta porzione ester-na (2.396 km2), per un’estensione totale di circa2.782 km2. Nell’area di studio sono compresi 58comuni con estensione variabile tra 16 e 134 km2.La superficie dei boschi di latifoglie è pari al 36%dell’area, mentre pascoli e praterie naturali copro-no il 16% della superficie. Gli insediamenti umani(2% del territorio) hanno una popolazione residen-te pari a 152.308 abitanti, con una media di 2.626abitanti per comune, variabile da 189 a 38.337abitanti per comune, corrispondente ad una den-sità abitativa media di 50 abitanti per km2 (min-max: 4,2 – 369 abitanti per km2). Le colture siestendono sul 25% della superficie totale e i ce-spugliati sul 15%. In relazione al periodo 1998 – 2003, ed a partiredalle pratiche relative alle istanze di risarcimentoper danni al bestiame, agli apiari ed alle colture,sono state compilate le seguenti informazioni:- Specie che ha causato il danno- Data del danno- Comune e località in cui è avvenuto il danno- Importo risarcito- Ammontare del danno in termini di: superfici

danneggiate e tipo di coltura, numero, specieed età dei capi uccisi e feriti, numero di arnie,cassette o sciami danneggiati, numero e tipo dipiante danneggiate

- Identificativo o codice fiscale del proprietariodei beni danneggiati

Altre informazioni disponibili non sono state ana-lizzate in questo lavoro.

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I dati analizzati sono stati forniti dal Servizio diSorveglianza del PNALM e dal Coordinamento Pro-vinciale de L’Aquila del CFS. Per quanto riguardail numero di danni per proprietario, i due gruppi didati sono stati analizzati separatamente poiché idati non erano confrontabili. L’identità del pro-prietario era univocamente definita dal codice fi-scale (dati CFS), mentre è stata ricostruita per idati forniti dal PNALM sulla base del nome, co-gnome, luogo e data di nascita e indirizzo di resi-denza. In quest’ultimo caso, un codice identificati-vo univoco è stato attribuito a ogni singolo pro-prietario, tralasciando i dati dubbi o riportati inmaniera incompleta.Le analisi geografiche sono state effettuate utiliz-zando la cartografia del Sistema Informativo dellaMontagna (SIM) e l’Uso del Suolo in scala 1:25.000pubblicata nel 2000 dall’Ufficio Cartografico dellaRegione Abruzzo. Le elaborazioni sono state effet-tuate con il software ArcviewTM (versione 3.2a;ESRI, Redlands, USA) e l’estensione SpatialAnalystTM 2.0a. Poiché distinguere i danni causati dal Lupo, ri-spetto a quelli causati dai cani, è molto difficile esoggettivo (Boitani 1982, Fico et al. 1993, Ciucci &Boitani questo volume, Tropini questo volume), leistanze di risarcimento riferite a questi predatorisono state accorpate in un’unica categoria (Lupo ecane). Considerando la netta preponderanza (98%ca.) del numero di istanze da grossi predatori(Lupo e cane, e Orso) rispetto al totale dei danni,le analisi sono state effettuate solo per i danni at-tribuiti a queste due categorie di predatori.Dal punto di vista temporale i dati sono statiquantificati sia su base cumulativa (intero periodo

di studio), che annuale e mensile; sono stati inol-tre ripartiti per tipo di predatore e per categoriadanneggiata (colture, api, pollame e conigli, capree pecore, bovini, equini). Utilizzando le stesse sud-divisioni, è stato quantificato l’importo risarcito eil numero di capi predati. Per quanto riguarda gliapiari e le colture, non essendo queste categorie ri-conducibili ad un’unità di misura comparabile allealtre categorie (numero di capi), sono stati quanti-ficati esclusivamente il numero delle istanze, lafrequenza percentuale di comparsa delle istanze, el’importo del danno. La frequenza percentuale dicomparsa delle istanze per categoria di predatoree per categoria di danno è stata calcolata comeF%=(numero istanze totali categoria i)/(numerototale di istanze) x 100.Per evidenziare i comuni in cui l’impatto della pre-dazione è particolarmente elevato, il numero diistanze di risarcimento è stato diviso per la super-ficie comunale (densità dei danni). Per evidenziarele variazioni temporali nell’andamento degli attac-chi è stato inoltre calcolato il numero dei danni edi capi predati per anno e mese.Dal punto di vista economico è stato analizzatol’importo risarcito per comune, per categoria dan-neggiata e per tipo di predatore. Le relazioni tra variabili sono state analizzate conla correlazione per ranghi di Spearman (rs), i testdi Mann-Whitney (U), Wilcoxon (Z) e Kolmogorov-Smirnov (Z) (Siegel & Castellan 1992). Il livello disignificatività è stato calcolato utilizzando il meto-do Monte-Carlo (Mehta & Patel 1996). Le differen-ze nel numero di istanze di danno e di capi abbat-tuti tra i mesi sono state analizzate con l’analisidella varianza a una via (ANOVA, Duncan post hoc

Figura 1. Area di studio.

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test). Le elaborazioni statistiche sono state effet-tuate con i programmi STATISTICA‚ (v. 5.5) eSPSS‚ (v. 9.0).

RISULTATIIstanze di danno e capi predatiIn totale, sono state analizzate 2.434 istanze di ri-sarcimento relative agli anni 1998 - 2003. Di que-ste, nel 27% dei casi (n=668) l’Orso è stato ritenu-to la specie responsabile del danno, e nel 71% deicasi (n=1.718) il danno è stato attribuito a Lupo ecane. Il restante 2% delle istanze (n=48) è stato at-tribuito ad altri carnivori, ungulati selvatici, o a unpredatore indeterminato. La frequenza di compar-sa della categoria capre-pecore nelle istanze didanneggiamento è risultata la maggiore (48,7%),seguita dalla categoria equini (20,6%) e bovini(17,5%) (Fig. 2a). Le categorie api, polli e conigli ecolture hanno una frequenza di comparsa com-presa tra il 7% e il 5%, e le restanti categorie com-paiono con una frequenza ≥0,5%. Analizzando ilnumero di istanze di danno per ciascuna categoriain funzione del predatore, risulta che una percen-tuale modesta (6-17%) dei danni a capre e pecore,bovini e equini è dovuta all’Orso, mentre l’82-93%delle istanze per queste categorie sono state attri-buite a Lupo e cane (Fig. 2a). I danni dovuti al-l’Orso sono invece preponderanti (73-100%) per lecolture, i polli e conigli, e le api (Fig. 2a). Per idanni alle colture, l’incidenza di altre specie con-flittuali (soprattutto ungulati selvatici) è risultatadel 28% rispetto al totale delle istanze per questacategoria (Fig. 2a).In termini di capi predati, e considerando unica-mente i casi di predazione attribuiti a Lupo e canee all’Orso (n=6.216), il numero maggiore di capipredati è rappresentato da capre e pecore(n=2.892), seguito da polli e conigli (n=2.332), cherappresentano più del doppio dei capi di bovini eequini abbattuti (Tab. 1). Il 45% dei capi totali

sono stati predati dall’Orso, ma una cospicuaparte di questi (36%) è rappresentata dalla catego-ria polli e conigli. Escludendo quest’ultima catego-ria, la percentuale di capi abbattuti dall’Orso ri-sponde al 13% dei capi totali (n=3.884). Sempreescludendo la categoria polli e conigli, il 74% dei3.884 capi abbattuti è rappresentato da capre epecore, mentre percentuali minori ma simili si re-gistrano per bovini (12%) e equini (14%); all’inter-no di queste categorie, la percentuale di animaliabbattuti da Lupo e cane è molto maggiore rispet-to a quelli abbattuti dall’Orso (Tab. 1). L’analisidella percentuale di individui predati (n=3.884) pertipo di predatore evidenzia una preponderanza dicapre e pecore tra i capi abbattuti dall’Orso (83%);questo pattern è simile a quanto riscontrato perLupo e cane (73%), sebbene per questi ultimi lapercentuale di predazioni a carico di bovini e equi-ni sembra essere lievemente maggiore (rispettiva-mente, 12% e 15%; Tab. 1).La predazione da parte dell’Orso corrisponde al98,6% del totale di polli e conigli abbattuti dai pre-datori (n=2.332), ed ha mostrato un incremento si-gnificativo negli anni nel numero di capi predati(rs=0,77; P=0,036; n=6; Fig. 3). Altra tendenza ri-scontrata è quella relativa alla diminuzione degliequini abbattuti da Lupo e cane (rs=-0.77;P=0.036; n=6). Il numero di capi abbattuti da Lupoe cane e da Orso (riferito a tutte le categoria dan-neggiate) non è risultato significativamente corre-lato su base annuale.Escludendo la categoria polli e conigli, il numeromedio di capi predati da Lupo e cane per istanzadi predazione (1,8 capi/istanza) è paragonabile aquello calcolato per l’Orso (1,8 capi/istanza); que-st’ultimo, del resto, aumenta in maniera sensibile(6,6 capi/istanza) quando vengono inclusi glieventi di predazione relativi alla categoria polli econigli. Il confronto tra il numero medio di capi ab-battuti per istanza di predazione dall’Orso rispettoa quelli predati da Lupo e cane non ha evidenzia-

A B

Figura 2. Frequenza percentuale di comparsa delle categorie danneggiate (A) e importo percentuale delle istan-ze di danno (B). (Settore meridionale della Provincia dell’Aquila, 1998-2003).

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Orso Lupo-Cane__________________________________ _______________________________

n. capi totali % Media/anno n. capi totali % Media/anno Totale capi__________________________________________________________________________________________________

Bovini 52 1,86 (10) 8.67 409 13,55 68.17 461Capre e pecore 414 14,80 (83) 69 2.478 72,08 413 2.892Equini 31 1,11 (7) 5.17 500 14,62 83.33 531Polli e conigli 2.300 82.23 383.33 32 1,06 5.33 2.332__________________________________________________________________________________________________ Totale 2.797 (497) 3.419 6.216 (3.884)__________________________________________________________________________________________________

n. istanze totali % Media/anno n. istanze totali % Media/anno Totale istanze__________________________________________________________________________________________________ Bovini 47 7,2 (9,4) 7.8 367 21,3 61.2 414Capre e pecore 192 29,4 (38,3) 32 908 52,7 151.3 1.100Equini 28 4,3 (5,6) 4.7 444 25,8 74 472Polli e conigli 153 23,4 25.5 4 0,2 0.7 157Apiari 148 22,6 (29,5) 24.7 - - - 148Colture 86 13,2 (17,2) 14.3 - - - 86__________________________________________________________________________________________________

Totale 654 (501) 1.723 2.377 (2220)

Tabella 1. Numero di capi abbattuti e numero di istanze di danno per predatore e categoria danneggiata nel set-tore meridionale della Provincia dell’Aquila (1998-2003). Sono riportati il totale dei capi predati, il totale delleistanze e la media annua. Tra parentesi, per l’Orso, i dati calcolati escludendo dal computo i capi e le istanzedella categoria polli e conigli.

Figura 3. Andamento annuale delle istanze di danno per categoria danneggiata e predatore nella porzione me-ridionale della Provincia dell’Aquila (1998-2003).

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to differenze (Mann-Whitney U, 0,935>P>0,413).Il numero medio di bovini abbattuti per istanza dipredazione dall’Orso (1,33 bovini/istanza;D.S.=0,38; min-max: 1 - 3; n=39) è comparabile alnumero medio di equini predati per istanza (1,35bovini/istanza; D.S.=0,21; min-max: 1 - 2; n=23),mentre il numero medio di capre e pecore predateper istanza (2,14 capre e pecore/istanza;D.S.=2,29; min-max: 1 - 26; n=181) è circa il dop-pio rispetto alla categoria bovini e equini. Il nume-ro medio di capi predati per istanza di predazioneda Orso per la categoria polli e conigli è pari a 15,1(D.S.=12,3; min-max:1 - 72; n=152). Nel caso del-l’Orso, il numero medio di capi predati per istanzaè significativamente diverso per tutti i confronti tracategorie danneggiate (P<0.001), tranne che per ilconfronto tra bovini e equini (U=415; P=0,36).Anche per Lupo e cane, il numero di bovini edequini predati per istanza non è risultato signifi-cativamente diverso (U=45877; P=0,11). La catego-ria polli e conigli compare 3 volte tra le istanze dipredazione attribuite a Lupo e cane e quindi non èstato effettuato alcun confronto statistico per con-frontare questa variabile con il numero di capi pre-dati delle altre categorie.

Distribuzione dei danni per allevatoreIl numero di istanze di danno per allevatore è statoanalizzato per 1.409 istanze e 418 allevatori (datirilevati dal Sevizio di Sorveglianza del PNALM) eper 815 istanze e 308 allevatori (dati rilevati dalpersonale del Corpo Forestale dello Stato). La mag-gior parte delle istanze analizzate è stata attribui-ta a Lupo e cane e a Orso che, cumulativamente,hanno rappresentato 1.369 istanze per il PNALM e810 istanze per il CFS. Il 73% e il 72% degli alle-vatori ha subito ≥2 danni (dati PNALM e CFS, ri-spettivamente), e il 21% e il 24% degli allevatori hasubito tra 3 e 10 danni (PNALM e CFS, rispettiva-mente). Il numero medio di danni per allevatore è

stato pari a 3,4 (dati PNALM: D.S.=7,5; min-max:1 - 106) e a 2,7 (dati CFS: D.S.=3,4; min-max: 1 -43). La differenza tra il numero mediano di danniper allevatore tra i dati PNALM e CFS non è risul-tata significativa (Kolmogorov-Smirnov, Z=0,46,P=0,08). Danni da Orso sono stati denunciati da58 allevatori (19%) sul totale dei 306 che hannosubito danni da Orso e da Lupo e cane (dati CFS)e da 231 (58%) sui 398 che hanno subito danni daOrso e da Lupo e cane (dati PNALM). Il numeromedio di istanze per danni da Orso per allevatoreè paragonabile: 2,4 (dati PNALM; D.S.=4,4) e 1,8(dati CFS; D.S.=1,3) (Kolmogorov-Smirnov,Z=0.38, P=0,67), mentre esiste una differenza nelnumero di istanze per allevatore per danni daLupo e cane tra PNALM (x =3,49) e CFS (x =2,69):(Kolmogorov-Smirnov, Z=3.94, P< 0,001). Dannida Lupo e cane sono stati denunciati da 262 alle-vatori (86%) su 306 (dati CFS), e da 231 (58%) su398 (dati PNALM). Il 16% (n=66) e il 9,5% (n=29)degli allevatori (dati PNALM e CFS, rispettivamen-te) ha subito danni da entrambe le categorie dipredatori. In questo caso il numero medio di dannisubiti da ogni allevatore è pari a 4,4 (dati CFS) e10,5 (dati PNALM), ed è maggiore rispetto al nu-mero medio di danni subiti dagli allevatori sogget-ti alla predazione da parte di una sola categoria dipredatore (dati CFS: =2,5; n=277;dati PNALM:=2,0; n=322) (Wilcoxon, Z=-7,33, P<0,001). Il nu-mero di danni da Orso per allevatore non è risul-tato diverso rispetto al numero danni per allevato-re attribuiti al Lupo e cane (dati PNALM; Kolmogo-rov-Smirnov, Z=0,79, P<0,2), mentre tale differen-za è stata riscontrata nel resto dell’area di studio(dati CFS: Kolmogorov-Smirnov, Z=3,19, P<0,001).

Variazione temporale dei danniIl numero medio mensile di istanze di predazioneè risultato sempre maggiore per Lupo e cane=142,6) rispetto all’Orso (x =55,6) (Wilcoxon, Z=-

Orso Lupo-Cane________________________________________ ______________________________________________

Mesi Totale Media DS Minimo Massimo Totale Media DS Minimo Massimo__________________________________________________________________________________________________

Gen 2 0,33 0,52 0 1 86 14,33 4,55 9 22Feb 4 0,67 0,82 0 2 80 13,33 5,01 7 18Mar 1 0,17 0,41 0 1 82 13,67 4,03 9 20Apr 4 0,67 0,82 0 2 152 25,33 9,56 12 39Mag 22 3,67 1,97 1 6 200 33,33 6,71 25 39Giu 76 12,67 7,34 3 21 166 27,67 11,78 16 48Lug 130 21,67 7,00 12 29 196 32,67 6,95 24 43Ago 108 18,00 12,36 3 38 168 28,00 8,29 18 37Set 142 23,67 13,92 6 42 224 37,33 11,78 25 53Ott 127 21,17 12,24 8 41 147 24,50 6,32 17 34Nov 41 6,83 2,40 3 10 115 19,17 6,97 13 32Dic 10 1,67 0,52 1 2 95 15,83 4,26 10 20

Tabella 2. - Numero mensile di istanze di danno per Orso e Lupo e cane (settore meridionale della Provincia del-l’Aquila, 1998-2003).

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3,06; P=0,002), e l’andamento mensile del numerodi istanze è correlato tra le due categorie di preda-tori (rs=0,76; P=0,004; n=12) (Tab. 2). Il numeromedio di istanze per mese attribuiti a Lupo e canenon è uniformemente distribuito nel corso dell’an-no (ANOVA: F=7,3; P<0,001), e tende ad assumerevalori maggiori da aprile ad ottobre (24,5 - 37,3istanze medie per mese) rispetto alla media an-nuale (23,6 istanze per mese) (Tab. 2). Tale diffe-renza è però significativa solo nel confronto tra imesi da maggio a settembre (27,7 – 37,3 istanzemedie per mese) e i mesi tra novembre e marzo(13,3 – 19,2 istanze per mese). Anche per l’Orso ilnumero di istanze varia tra i mesi (ANOVA:F=10,7; P<0,001), ma il maggior numero di dannirispetto alla media mensile (x =9,3) è concentratoda giugno a ottobre (12,7 -23,7 istanze medie permese), con uno sfasamento di due mesi rispetto aquanto verificato per Lupo e cane (Tab. 2). Ancheper l’Orso non si rileva una differenza per tutti iconfronti tra mesi, anche se il numero medio diistanze per i mesi che immediatamente precedonoe seguono il letargo (dicembre – marzo: 0,2 – 3,7istanze medie per mese), è minore rispetto al pe-riodo giugno - ottobre (12,7 – 23,7 istanze medieper mese).Il numero medio mensile di istanze di risarcimen-to per danni agli apiari e alle colture da parte del-l’Orso è pari, rispettivamente, a 2,1 (D.S.=3,7;min-max: 0-14) e 1,2 (D.S.= 2,3; min-max: 0-11);la variazione mensile nel corso dell’anno del nu-mero di istanze per queste due categorie è signifi-cativa (ANOVA; Apiari: F=5,9; P<0,001; Colture:F=5,5; P<0,001) (Fig. 4a). Il maggior numero didanni agli apiari si verifica tra giugno e luglio (24-31%), mentre per le colture la massima frequenzadei danni si rileva a luglio, settembre e ottobre,quando va dal 24 al 29% dei danni totali alle col-ture causati dall’Orso (Fig. 4a). Il numero totalemensile di danni agli apiari non è correlato a quel-lo dei danni alle colture (rs=0,5; P=0,105; n=12). Alcontrario, sempre nel caso dell’Orso, il numero dicapi abbattuti è correlato su base mensile tra lecategorie capre e pecore, bovini, equini, e polli econigli (0,63≥rs≥0,93; 0,001≥P≥ 0,027; n=12). L’an-

damento mensile del numero di capi predati è re-lativamente diverso per ogni categoria, ad eccezio-ne del numero minimo di capi abbattuti che èsempre concentrato tra dicembre e aprile (Fig. 4b).Per i bovini si osserva un graduale incremento deicasi di predazione da maggio a ottobre, seguito poida un flesso sia nel numero di istanze che nel nu-mero di capi abbattuti. Il picco nella predazione acarico degli equini si registra a giugno, con unastabilizzazione del numero di animali predati daluglio a novembre (Fig. 4b). Il numero di capre epecore predate aumenta gradualmente da aprilefino a luglio, poi mostra un andamento altalenan-te fino a ottobre, per diminuire decisamente da no-vembre (Fig. 4b). Da agosto a ottobre si registra ilmassimo numero di polli e conigli predati e, anchein questo caso, è evidente a novembre e dicembreil calo del numero istanze dei casi di predazione edei relativi capi abbattuti (Fig. 4b).

Distribuzione spaziale dei danniIl maggior numero di istanze di risarcimento perdanni da Orso è localizzato nell’area del PNALM enelle sue adiacenze (Fig. 5). Una distribuzionemolto simile è stata riscontrata per i danni daLupo e cane, ma in questo caso un numero medio-alto di istanze per comune è stato rilevato anchenell’area compresa nel settore meridionale delParco Regionale del Sirente-Velino e a nord e nord-ovest di Avezzano (Fig. 5). All’interno della porzio-ne del PNALM compresa nell’area di studio (385km2) sono stati accertati 327 episodi di danno daOrso e 466 da Lupo e cane, rispetto a 306 dannida Orso e 947 danni da Lupo e cane accertati nellaporzione dell’area di studio esterna al PNALM(2396 km2).Sono stati accertati danni da Orso in 27 (46.5%)dei 58 comuni nell’area di studio, mentre 4 comu-ni (6.9%) non hanno sofferto danni da Lupo ecane. Se si considerano i 27 comuni nei quali sisono verificati danni da Orso (superficie comples-siva 1466 km2, pari al 53% dell’area totale), il nu-mero medio di istanze di risarcimento per dannida Orso è pari a 24,6 per comune (min-max: 1 –104 istanze per comune); tale valore si abbassa a

Figura 4. Variazione mensile del numero medio di istanze per danni da Orso ad apiari e colture (A) e del nume-ro medio di capi predati dall’Orso (bovini, capre-pecore, equini, polli-conigli) (B). (settore meridionale della Pro-vincia dell’Aquila (1998-2003).

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11,4 istanze per comune per l’intera area di stu-dio. Nel caso dei danni causati da Lupo e cane, ilnumero medio di istanze per comune è 31,7 (min-max: 2 – 238 istanze per comune; n=54 comunicolpiti); del resto, considerando solo i comuni incui si sono verificati anche danni da Orso il nu-mero medio di istanze per danni da Lupo e caneper comune sale a 42 (min-max: 2-238 istanze percomune).In quasi tutti i comuni, il numero di istanze perdanni da Orso è risultato minore rispetto alleistanze riferite a Lupo e cane, ad eccezione di Bi-segna, Civita d’Antino, Civitella Alfedena, Ortonadei Marsi, Ortucchio, Scanno, Villalago e VillettaBarrea (14.8% dei comuni). Mediamente, si rilevauna differenza su base comunale tra il numero didanni verificati da Orso e quelli verificati da Lupoe cane (Wilcoxon Z=2,01; P=0,045).Su base comunale il numero di istanze di risarci-mento è risultato significativamente correlato alnumero di capi abbattuti sia per i danni da Lupoe cane (rs=0,86; P< 0,001; n=54) sia per quelli daOrso (rs=0,92; P<0,001; n=27). Il numero di istan-ze di risarcimento per comune attribuite a Lupo ecane è risultato significativamente correlato al nu-mero di istanze di risarcimento da Orso relativa-mente ai danni a bovini, capre-pecore, equini epolli-conigli (rs=0,56; P<0,002; n=27). Analoga-

mente, il numero totale di istanze di risarcimentoper danni agli apiari e alle colture è risultato si-gnificativamente correlato al numero di istanze dirisarcimento per danni da Orso a bovini, equini,capre-pecore e polli e conigli (rs=0,70; P<0,001;n=27).

Consistenza stimata del bestiame, variabili am-bientali, fattori economici e danniSu base comunale (n=27), il numero di istanze perdanni da Orso non è correlato con le variabili am-bientali considerate, a eccezione di una relazionediretta tra il numero di istanze per danni agli apia-ri ed estensione degli insediamenti, e tra il nume-ro di istanze per danni ai bovini, o il numero di bo-vini predati, e la superficie del bosco di latifoglie,degli insediamenti, e delle colture (0,39≥rs≥ 0,45;0,02 ≥P≥ 0,047; n=27). Il numero di istanze perdanni a polli e conigli, e il numero di polli e coni-gli predati, è risultato inversamente correlato, sep-pure debolmente, con l’estensione degli insedia-menti e delle colture (-0,40≥rs≥-0,44; 0,02 ≥P≥0,037; n=27).Sempre su base comunale, il numero di istanzeper danni ai bovini, e il numero di capi bovini pre-dati, sono risultati correlati al numero totale di al-levamenti e al numero totale di capi bovini(rs=0,48; P=0,011; n=27). D’altra parte, il numerodi istanze per danni da Orso a capre e pecore,equini, e per il totale dei capi predati non sono ri-sultati correlati con il numero totale di allevamen-ti, con il numero di capi per singola categoria e conil totale dei capi censiti per categoria. Lo stessopattern è stato rilevato per il numero di capre e pe-core, di equini e per il totale di capi predati dal-l’Orso. Tuttavia, il le proporzioni relative dei capipredati dall’Orso nelle varie categorie sono compa-rabili per l’intera area di studio alla proporzionedelle stesse come stimate dai dati ISTAT (Fig. 7).Su base comunale, il numero di istanze per dannia polli e conigli è inversamente correlato con il nu-mero di capi avicoli presenti (rs=-0,38; P=0,03;n=27), mentre non si rileva alcuna relazione traquesto ed il numero di polli-conigli predati.

Incidenza economica dei danniL’importo totale risarcito per l’intero periodo a cuifa riferimento il presente studio, come dalle 2.107istanze di risarcimento considerate, ammonta a1.008.119,89 €, con un importo medio per istan-za di 479,92 € (D.S.=676,36 €; min-max: 10,00 -17.465,00 €). Complessivamente, per i danni at-tribuiti ad Orso sono stati indennizzati circa275.000 €, per quelli dovuti a Lupo e cane circa689.000 €, e per quelli attribuiti ad altri predatoricirca 44.000 € (Tab. 3). L’importo medio per istan-za che è stato risarcito per i danni da Orso (n=636)è di 430 €, mentre il costo medio delle istanze ri-ferite ai danni imputabili a Lupo e cane (n=1420) èdi 484 €. Su base annuale, l’importo medio deicosti di risarcimento è stato pari a circa 188.000 €(D.S.=53.000 €; min-max: 133.000 - 267.000 €).L’ammontare dei risarcimenti in relazione alle ca-tegorie danneggiate ha un andamento molto simi-

Figura 5. Distribuzione su base comunale del nume-ro di danni da Orso (in alto) e da Lupo e cane (inbasso) nell’area di studio (porzione meridionale dellaProvincia dell’Aquila (1998-2003).

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le a quanto rilevato per la frequenza percentuale dicomparsa delle categorie danneggiate nelle istanzedi risarcimento (Figg. 2a-b). Tuttavia, non è possi-bile rilevare una differenza altrettanto netta tra gliimporti risarciti per danni a capre e pecore rispet-to ai rimborsi erogati per equini ed bovini (Figg.2a-b; Tab. 3. Sebbene la frequenza di comparsadei danni a bovini ed equini sia pari complessiva-mente al 35%, l’importo degli indennizzi per idanni a queste categorie ammonta al 48%. Diversamente da quanto riscontrato per la fre-quenza delle istanze di risarcimento, l’entità eco-nomica dei danni agli apiari (13%) e alle colture(6,5%) è nettamente maggiore rispetto a quella im-putabile alla predazione su polli e conigli (2%)(Figg. 2a-b; Tabb. 1-2). Inoltre, rispetto al totaledegli indennizzi per le colture, una percentualeelevata è imputabile a danni causati da ungulatiselvatici (68%). Infine, seppur non rilevanti, sonostate riscontrate differenze evidenti comparando lafrequenza e l’entità economica del danno per le ca-tegorie struzzi, strutture, suini (Figg. 2a-b; Tabb.1-2).

DISCUSSIONEI danni da fauna selvatica al patrimonio agro-pa-storale possono avere un impatto rilevante a livel-lo locale e regionale, non solo dal punto di vistaeconomico, ma anche sociale, e spesso anche ri-percussioni negative sulla sopravvivenza delle po-polazioni di carnivori (Linnell et al. 1996), come èaccaduto in passato per il Lupo. Questo problemaè ancora più evidente nel caso di ricolonizzazionidi aree non abitate da tempo da parte dei predato-ri, quando spesso è stata persa l’abitudine alla

convivenza o in concomitanza di trasformazionisociali (Boitani 1992; Kaczensky 1996). L’impor-tanza della componente antropica nelle cause dimortalità accertata dell’Orso bruno marsicano nonè trascurabile (Boscagli 1987, Posillico et al.2002), di conseguenza è utile investigare sulle pos-sibili fonti di conflitto tra attività antropiche e con-servazione della natura per derivarne strategie ge-stionali adeguate a garantire la conservazione del-l’Orso bruno (Kaczensky 1999).Le istanze di indennizzo per i danni al patrimonioagro-pastorale rappresentano, al momento, l’unicafonte di dati su questo problema che si riferisca adun’area di dimensioni ampie e a periodo di tempoprolungato (Kaczensky 1999). Tuttavia, diversi fat-tori (Fico et al. 1993, Cozza et al. 1996, Ciucci &Boitani 1998; Garshelis et al. 1999) ne limitano inmodo non sempre quantificabile l’affidabilità e l’at-tendibilità (Ciucci & Boitani questo volume). I fat-tori che dipendono dall’interpretazione personaledegli eventi (Clark et al. 1991) da parte degli agen-ti che istruiscono la pratica di indennizzo possonoessere teoricamente minimizzati tramite interventidi formazione professionale ed elaborando criteridi valutazione meno dipendenti da impressionisoggettive e che seguano il più possibile una pras-si prestabilita. Per quanto il rilievo dei danni possaessere programmato nella maniera più adatta allostudio del problema, dalle istanze di indennizzonon emergono i danni che, per diversi motivi nonvengono denunciati (ad esempio, Garshelis et al.1999, Gatto et al. questo volume), oppure che insede di verifica non ricevono parere positivo daparte degli agenti accertatori. Il problema associa-to ai danni sommersi è costituito dal loro peso sul

Categorie Orso Lupo-cane Altro Totale__________________________________________________________________________________________________

Capre-pecore 45.132,95 235.403,62 3.739,15 284.275,72Equini 15.429,39 236.418,05 1.187,.85 253.035,29Bovini 30.544,62 197.411,13 516,46 228.472,21Api 131.523,29 0 0 131.523,29Colture 26.856,27 0 38.180,62 65.036,88Pollame 23.712,51 397,67 222,20 24.332,38Cervidi in allevamento 0 10.509,90 0 10.509,90Struzzi 413,17 6.972,17 0 7.385,33Strutture 713,50 0 0 713,50Suini 353,29 0 0 353,29Altro* 0 1.965,63 0 1.965,63__________________________________________________________________________________________________

Totale 274.678,98 689.078,18 43.846,27 1.007.603,44

Per un’istanza di risarcimento (importo: € 516,492) non è stato riportato il tipo di predatore, quindi il totale della tabella è minore del totale menzionato nel testo.

Tabella 3. Entità degli importi totali (in euro) indennizzati per predatore e categoria danneggiata nella porzionemeridionale della Provincia dell’Aquila (1998-2003).

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totale delle istanze e degli eventi di predazione equindi dalla conseguente incertezza che derivadalle quantificazioni dei dati associati alle istanzestesse (Garshelis et al. 1999). Al fine del presentelavoro, assumiamo che grazie al sistema degli in-dennizzi il numero di istanze non denunciate siacomunque generalmente trascurabile. Non è pos-sibile però escludere con altrettanta sicurezza che,in situazioni particolari probabilmente legate asingoli allevatori (ad esempio, entità modesta deldanno rispetto al costo imputabile al tempo impie-gato per i sopralluoghi e per l’espletamento dellapratica di risarcimento e alla certezza del ricono-scimento dell’istanza; abbattimento illegale delpredatore in caso di danni reiterati il cui rimborsonon soddisfa il danneggiato), la quantità di istan-ze non denunciate non sia rilevante. Tuttavia, lemotivazioni che spingono gli allevatori a non de-nunciare il danno hanno implicazioni molto im-portanti dal punto di vista della conservazioneanche in funzione della serenità dei rapporti tra al-levatori ed Enti di gestione. Verosimilmente, infat-ti, la conflittualità con gli enti di gestione è uno deiprincipali problemi nell’amministrazione delle areeprotette o nella gestione della fauna selvatica e lapredazione sul bestiame in sé è, talvolta, uno degliaspetti connessi o può divenire un semplice prete-sto. Inoltre, in casi particolari, l’omissione delladenuncia può derivare dalla volontà di risolvere ilproblema illegalmente. Nel caso dell’Orso questoproblema è esemplificato dall’uccisione nel 2002di una femmina adulta considerata problematicala cui attività era spesso localizzata negli abitati diBarrea, Civitella Alfedena e Villetta Barrea (Eusepi& Latini 2003). Un rapporto complesso o conflit-tuale con l’operato delle autorità preposte, i danniricorrenti ad opera di un singolo individuo, l’am-plificazione del problema da parte dei mass mediacon una serie di risvolti psicologici, la difficoltà adarginare e contenere il fenomeno hanno, probabil-mente, determinato la risoluzione definitiva diquesto evento acuto di conflittualità, purtroppo inmaniera del tutto insoddisfacente per la conserva-zione dell’Orso. La presenza di altri due orsi consi-derati problematici nei comuni di Scanno, Villala-go e Bisegna evidenzia ancora una volta la neces-sità di operare in maniera razionale e pragmatica,risolvendo non solo il problema contingente, maindividuando anche le possibili misure di preven-zione e indagando sulle cause di comportamentiapparentemente inusuali (Posillico et al. 2002).

Istanze di danno e capi predatiCome già evidenziato in letteratura, la predazioneimputata all’Orso è una parte minore (27%) deidanni totali. Tuttavia, in questo studio la porzionedei danni dovuti all’Orso è maggiore rispetto aquanto riportato da Fico et al. (1993) (periodo1980-1988: 7,8% dei danni da predazione) e daCozza et al. (1996) (periodo 1980-1988: 4,8% deidanni da predazione) e da Posillico e De Luca(2002): (periodo 1989-1999/2000: 16% dei dannida predazione). L’inclusione nell’area del presentestudio di parte del territorio del PNALM ha influito

su questo incremento: tranne che per Fico et al.(1993), i lavori menzionati si riferiscono solo adaree esterne al PNALM. Nel Parco d’Abruzzo e inparte della zona di protezione esterna la presenzadell’Orso è costante (per una disamina, Meriggi etal. 2001), e il numero di individui è maggiore ri-spetto al resto del territorio provinciale esaminato(Randi et al. 2004). La differenza tra il 7,8% ripor-tato da Fico et al. (1993) e il 27% rilevato in que-sto lavoro può essere interpretata anche in funzio-ne del tipo di categorie danneggiate. Infatti, la ca-tegoria polli e conigli non era stata mai rilevata perl’Appennino da altri autori (a eccezione dello 0,2%riportato da Fico et al. 1993 ma per il Lupo), men-tre la sua frequenza di comparsa tra le istanze to-tali del presente studio (Lupo e cane, e Orso) è parial 7%, e l’Orso è stato ritenuto nel 94% dei casi ilpredatore responsabile dei danni (Fig. 2). Tale ca-tegoria, inoltre, è l’unica ad avere mostrato un in-cremento significativo nel numero di capi predatinegli anni e costituisce l’82% del totale dei capipredati il 23% delle istanze di risarcimento perdanni da Orso (Tab. 1, Fig. 3). Il 100% dei danni apolli e conigli è localizzato nelle aree periurbane onei centri abitati dei 7 comuni frequentati dai 3orsi problematici noti e la femmina di Orso abbat-tuta nel 2002 è stata responsabile della predazio-ne del 53% dei capi di polli e conigli. Dopo l’ab-battimento di questo esemplare è stata evidenzia-ta una diminuzione del 55% dei danni a polli e co-nigli (Fig. 3). Una correlazione diretta tra numerodi danni e densità di popolazione dei predatori incasi simili a questo non è quindi sempre assumi-bile. Questo risultato è comparabile a quanto rile-vato da Anderson et al. (2002), i quali hanno evi-denziato che il 90% della predazione accertata subovini in alcune aree del Wyoming era opera di treorsi bruni radiocollarati su 16. Dopo la rimozionedi questi individui il tasso di predazione sui bovinisi è drasticamente abbassato (Anderson et al.2002). La presenza o la preponderanza della cate-goria polli e conigli (sia come numero di capi checome numero di istanze) non trova inoltre riscon-tro altrove, neanche in aree ecologicamente com-parabili (Grecia: Mertzanis 1990; Spagna: Cleven-ger et al. 1994; García-Gaona 1997).Escludendo la categoria polli e conigli, il maggiornumero di capi predati dall’Orso è rappresentatoda capre e pecore (82%) (Tab. 1), similmente aquanto riscontrato anche per il Lupo (72%). Lepercentuali di capi di bovini ed equini predatesono tuttavia più elevate rispetto al numero diistanze analizzate da Cozza et al. (1996), che nonhanno osservato predazione sui bovini, ma com-parabili con i risultati di Fico et al. (1993). In que-st’ultimo caso, del resto, il numero di istanze perdanni ai bovini attribuiti all’Orso è quasi il doppio(18%) rispetto a quanto rilevato in questo studio(10%) (Tab. 1). Un maggior numero di danni ai bo-vini ed agli equini rispetto alla nostra area di in-dagine è stato osservato da Clevenger et al. (1994)per i Monti Cantabrici (34% e 21%, rispettivamen-te). La frequenza (cumulata) dei danni a capre epecore rappresenta in quest’area il 45% delle

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istanze totali. In un’area ampiamente sovrapposta,García-Gaona (1997) dal 1973 al 1990 ha eviden-ziato come gli equini rappresentino il 29% delleistanze di indennizzo per danni da Orso, e come lafrequenza di comparsa nelle istanze di danno dibovini e capre-pecore fosse praticamente uguale(18%).In letteratura non è stato rinvenuto alcun riferi-mento al numero di capi abbattuti per evento dipredazione tranne che in Fico et al. (1993) perl’Orso e Lupo, in Ciucci & Boitani (1998) per Lupoe cane, e in Gunson (1983) per il Lupo (vedi ancheCiucci & Boitani questo volume, Tropini questo vo-lume). Il numero medio di capi predati per eventodi predazione dall’Orso, e l’intervallo di variabilitàdel campione, sono simili a quanto riportato daFico et al. (1993) per ogni tipo di categoria dan-neggiata. Per la categoria capre e pecore (da 1 a 26capi predati per istanza) questi dati indicano chel’Orso uccide nel 50% dei casi un solo individuo ein meno del 2% dei casi vengono uccisi 10 o piùcapi.

Distribuzione dei danni per allevatoreCome è stato più volte evidenziato, il numeromedio di danni subiti da ogni allevatore per attac-chi da Lupo, cane o Orso è generalmente ridotto(Cozza et al. 1996, Ciucci & Boitani, 1998), e al-l’interno dell’area di distribuzione dell’Orso nonesiste una differenza significativa tra il numeromedio di attacchi per allevatore tra Orso, e Lupo ecane. Non è possibile confrontare per tutta l’areadi studio il rapporto tra numero di allevamentipresenti e numero di allevamenti danneggiati, poi-ché non è presente all’interno dei due gruppi didati (PNALM e CFS) un identificativo unico con-frontabile per caratterizzare i diversi proprietari dibestiame. Per un’area molto simile, Cozza et al.

(1996) hanno stimato che i danni abbiano interes-sato il 28% degli allevamenti presenti censiti dal-l’Istituto Nazionale di Statistica Anche Zunino(1976), per l’area del Parco d’Abruzzo, aveva evi-denziato come solo una parte delle greggi presentinel parco (48%) abbia subito danni da Orso nel1970.È importante sottolineare che nei 46 e 33 alleva-menti (PNALM e CFS, rispettivamente) in cui si èverificato mediamente più di un attacco l’anno, sisono verificati in totale rispettivamente 617 e 331danni (Fig. 6). Quindi, l’11% e il 10% (PNALM eCFS, rispettivamente) degli allevamenti ha riporta-to livelli cronici di danni pari al 44-41% delleistanze di danno. Le caratteristiche di questi alle-vamenti e allevatori costituiscono una priorità diindagine (Cozza et al. 1996) e rappresentano sitiprioritari di intervento anche in termini di appli-cazione di misure di prevenzione dei danni per evi-tare di diluire gli sforzi economici associati allacompensazione dei danni e alla prevenzione deglistessi in aree e allevamenti con una intensità dipredazione accettabile (Fritts et al. 1992, Cozza etal. 1996, Ciucci & Boitani, 1998).

Variazione temporale dei danniVariazioni mensili del numero di istanze di danno,o del numero di capi predati dall’Ors,o sono staterilevate ovunque (Fico et al. 1993, Clevenger et al.1994, García-Gaona 1997, Garshelis et al. 1999,Anderson et al. 2002) e in genere hanno lo stessoandamento rilevato nella presente area di studio(Fico et al. 1993, Clevenger et al. 1994, García-Gaona 1997). Si suppone che queste variazionisiano in relazione con: a) la fisiologia nutrizionaledell’Orso in relazione al ciclo biologico (uscita dalletargo e periodo tardo-estivo e autunnale di iper-fagia); b) la variazione nell’abbondanza e disponi-

Figura 6. Numero di allevamenti e di istanze di danno rispetto al livello di predazione (settore meridionale dellaProvincia dell’Aquila, 1998-2003).

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bilità di alimenti naturali e, in particolare, la dis-ponibilità delle prede domestiche in termini di pre-senza/assenza (pecore e capre monticanti da finegiugno a inizi ottobre), la presenza di classi di etàpiù facilmente predabili (nascita dei puledri e deivitelli da aprile a maggio e da maggio a giugno, ri-spettivamente), la maturazione di alcuni tipi diraccolto (alberi da frutta, mais). Solo considerandol’interazione tra tutti questi fattori, è possibilespiegare il diverso andamento generale della pre-dazione e la diversa cronologia dei picchi di utiliz-zo di determinate categorie (Tab. 2, Fig. 4). Inoltre,è opportuno considerare anche l’effetto del com-portamento individuale: l’utilizzo di alcune catego-rie (polli e conigli, apiari, colture) – generalmenteabbondanti in prossimità o entro i centri abitati –è spesso correlato e talvolta attribuibile a singoliindividui.

Distribuzione spaziale dei danniConsiderando la distribuzione su base comunaledei danni da Orso è evidente che questa rispecchia(quantomeno per i dati di presenza accertata) ladistribuzione della specie nell’area di studio (Me-riggi et al. 2001). Confrontando la distribuzionedei danni da Orso all’interno della porzione aqui-lana del PNALM e della ZPE con l’abbondanza re-lativa dell’Orso nella stessa area (Russo 1990, Po-sillico 1996, Posillico & Sammarone 1997), sem-bra rilevabile una associazione diretta tra numerodi danni e abbondanza relativa. Non essendo peròsempre disponibili dati sulla densità relativa rife-ribili ad una unità di tempo o di spazio, o raccoltiin maniera standardizzata, non è però possibile unconfronto quantitativo tra questi pattern. Pur nondisponendo al momento di dati omogenei per con-frontare l’abbondanza relativa dell’Orso tra le duearee (esterna e interna al PNALM), è opportunosottolineare che sebbene il numero delle istanzetra le due aree sia comparabile (327 nel PNALM e306 fuori) il numero dei danni in relazione alle ri-spettive superfici è pari a 0,85/km2 nel PNALM(385 km2)e a 0,28/km2 all’esterno del parco (1.100km2).Mentre il numero medio di istanze di danno percomune attribuite a Lupo e cane è maggiore diquelle attribuite all’Orso, il numero medio di capipredati dall’Orso è maggiore rispetto a quelli pre-dati da Lupo e cane. Del resto, escludendo la ca-tegoria polli e conigli, il numero medio di capi pre-dati da Lupo e cane è maggiore rispetto al numerodi capi predati dall’Orso, sottolineando, ancorauna volta, come il comportamento di pochi indivi-dui possa influire in maniera piuttosto evidentesui pattern generali del fenomeno dei danni al pa-trimonio agro-pastorale.Come rilevato da Ciucci & Boitani (1998) per Lupoe cane in Toscana, una gran parte degli eventi dipredazione, in termini di numero di istanze e dinumero di capi abbattuti, si verifica in relativa-mente poche aree. Nel caso dell’Orso è stato rile-vato come in 10 comuni (37%) il numero medio diistanze sia maggiore rispetto alla media dell’interaarea di studio, rappresentando complessivamente

l’84% delle istanze di predazione; inoltre, in 9 co-muni (33%) è concentrato il 93% dei capi abbattu-ti dall’Orso.

Consistenza stimata del bestiame, variabili am-bientali, fattori economici e danniAll’interno dei comuni nei quali si sono verificatieventi di predazione da parte dell’Orso, non è stataevidenziata una relazione tra predazione (istanze enumero capi) e fattori ambientali (tipo di vegeta-zione, entità degli allevamenti di bestiame, esten-sione delle colture). Unica eccezione è rappresen-tata dalla correlazione tra numero di istanze, enumero di capi bovini predati, e numero totale diallevamenti. Analogamente, solo le istanze perdanni ai bovini, e il numero di bovini predati, sonorisultati correlati positivamente con l’estensionedei boschi di latifoglie e delle colture. Il numero dicapi predati e di istanze di danno per la categoriacapre e pecore non è risultato correlato né al nu-mero di capi presenti né alle caratteristiche vege-tazionali. Viceversa, considerando il ruolo secon-dario che rivestono tra gli eventi di predazione at-tribuiti all’Orso, non è sorprendente notare che idanni agli equini non siano correlati con la consi-stenza stimata e le variabili vegetazionali. Altri au-tori hanno rilevato che il numero maggiore di pre-dazioni da Orso sugli ungulati domestici (equini,bovini, capre e pecore) avviene tra giugno e ottobre(Camarra 1986, Clevenger & Purroy 1988, Cleven-ger et al. 1994). In questo periodo la maggior partedel bestiame è disponibile per i predatori nei pa-scoli montani (Camarra 1986, Clevenger & Purroy1988). Questa abbondanza concentrata nel tempopotrebbe spiegare l’assenza di una correlazione ge-nerale su base comunale tra numero di istanze odi capi predati con la consistenza del bestiame sti-mata dall’ISTAT (ISTAT/SSN 2002). Inoltre, lamancanza di dati ufficiali rapidamente accessibiliper aree molto vaste sulla consistenza del bestia-me incluso quello monticante, spesso provenienteda aree esterne all’area di studio (aree collinari ocostiere delle Province di Teramo, Roma, Pescara,Foggia) comporta necessariamente una sottostimanon quantificabile, né omogeneamente distribuita,dell’effettiva consistenza estiva del bestiame dome-stico. Poiché l’Orso bruno è un opportunista ciaspettiamo però che il numero di capi predati perogni categoria rispecchi invece l’abbondanza rela-tiva delle specie predate, cosa che – con i limiti deidati a disposizione - è stata rilevata ed è compara-bile con quanto riportato da altri autori (Clevengere Purroy 1988, Purroy et al. 1988) (Fig. 7).

Incidenza economica e densità dei danniL’importo medio annuo risarcito (188.000 €) rap-presenta una percentuale trascurabile (1%) rispet-to al valore stimato relativo al numero di capi dibestiame censiti nell’area del progetto (ISTAT/SSN2002), pari a circa 17 milioni di euro. La modestaincidenza economica della predazione sul bestia-me a livello regionale rappresenta un pattern piut-tosto diffuso (Fourli 1999); tuttavia, come eviden-ziato in precedenza, alcune aziende non subiscono

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G. Potena, L. Sammarone, M. Posillico, A. Petrella e R. Latini

mai predazione o subiscono solo un limitato nu-mero di attacchi l’anno (<1). Questo tipo di distri-buzione del danno implica che vengano fatte scel-te di gestione del fenomeno della predazione evi-tando interventi generici e diffusi sul territorio, mapiuttosto con azioni mirate a risolvere i pochi casiche incidono in maniera consistente sull’economiadi alcune aziende.

Implicazioni gestionaliUna serie non trascurabile di dati e di informazio-ni è disponibile – anche se non sempre esaustiva –a livello locale per una migliore trattazione del fe-nomeno della predazione sul bestiame e dei dannialle colture. È però opportuno sottolineare che ri-modulando la prassi di ispezione e verifica deldanno in base a criteri univoci e omogenei saràpossibile ottenere informazioni più circostanziatee approfondite. Queste permetteranno una miglio-re comprensione del fenomeno, soprattutto in re-lazione ad alcuni aspetti che non è possibile ana-lizzare, al momento, dalle pratiche di indennizzo.Queste, pur fornendo un volume enorme di dati,sono il risultato di metodo di raccolta di dati nonprivo di distorsioni (cfr. Ciucci & Boitani questo vo-lume). Ricerche mirate, inoltre, consentiranno divalutare alcuni aspetti come le differenze dovuteall’habitat e al tipo di gestione dell’allevamento cheprobabilmente giocano un ruolo importante (Stahlet al. 2002) ma ancora, in parte, ignoto a livellolocale.Fico et al. (1993) hanno osservato che l’allevamen-to praticato in modo inadeguato (ad esempio,brado e/o senza una adeguata sorveglianza sani-taria) è molto comune in alcune aree, specialmen-te in relazione ad alcune specie la cui gestione è ri-tenuta poco impegnativa, come gli equini. In talicontesti i problemi dovuti allo stato sanitario pos-sono essere responsabili di una cospicua mortali-tà (talvolta superiore alla media), anche per lamaggiore vulnerabilità degli animali malati agli at-

tacchi dei predatori. Poiché comunque ogni alleva-tore ha una bassa probabilità di subire eventi dipredazione - anche in aree ad alto rischio - sia in-vestendo in mezzi di prevenzione/protezione, siamodificando i metodi tradizionali di allevamento sirischia di avere poco successo nel mitigare il pro-blema della predazione (Cozza et al. 1996).Il sistema di compensazione dovrebbe agire solocome una misura per mitigare reazioni negative eimmediate nei confronti della fauna protetta: nonrappresenta la soluzione al problema della preda-zione. Come evidenziato da Cozza et al. (1996), ènecessario un approccio di più ampio respiro perraggiungere alcuni obiettivi come:1. riorganizzare la raccolta dei dati sugli eventi di

predazione in funzione di obiettivi rilevanti especifici, rivedere le procedure di valutazione econvalida del danno e, al contempo, organizza-re una banca dati collettiva in cui far confluirei dati raccolti con lo stesso approccio o secondoschemi omogenei;

2. rendere più agile e soddisfacente l’indennizzodei danni valutando anche i danni derivantidalle perdite additive (lana, latte, agnelli etc.);

3. eseguire analisi approfondite sulle cause dimortalità del bestiame e sullo stato sanitario,

4. riconsiderare i sistemi di protezione e difesa delbestiame;

5. analizzare il ruolo delle variabili ecologiche;6. rimodulare il sistema di compensazione che al

momento non consente, spesso, neanche di mi-tigare i conflitti immediati,

La gestione dei conflitti tra uomo e fauna selvaticaprotetta ha una dimensione geografica che pre-scinde dai confini amministrativi, ma il problemadei danni al patrimonio argo-zootecnico è affronta-to in maniera non coordinata. I primi indispensa-bili requisiti per una gestione corretta della pro-blematica dei danni al bestiame e alle colturesono: a) l’omogeneità di approccio da parte dei ri-levatori incaricati dei sopralluoghi acquisibile tra-mite una continua e progressiva formazione pro-fessionale teorica e pratica unica o omogenea neimetodi e negli approcci, b) la confrontabilità e l’og-gettività delle metodologie di esecuzione del so-pralluogo e di analisi degli eventi rilevati, c) la con-frontabilità dei dati rilevati, d) la coerenza dei datirilevati rispetto agli scopi gestionali, tecnici escientifici, e) la condivisione dei dati raccolti me-diante una banca dati comune. Inoltre, l’elimina-zione di ulteriori costi amministrativi a carico degliallevatori danneggiati (ad esempio, marche dabollo), modifiche alla normativa in vigore (adesempio, la possibilità di riscontrare positivamen-te l’evento di danno in mancanza della carcassadell’animale predato ma in presenza di altre ogget-tive prove di predazione) potrebbero contribuire aminimizzare la presenza di casi in cui il danno nonviene denunciato.È opportuno ricordare che le diverse normative re-gionali in vigore sono spesso eterogenee fra loro etalvolta discordanti. Inoltre, il percorso tecnico eamministrativo che seguono le denuncie di dannoal bestiame è diverso dall’iter delle istanze per

Figura 7. Confronto (%) tra numero di capi presentinell’area di studio (dati ISTAT) e numero di capi pre-dati dall’Orso in base alla categoria di prede (porzionemeridionale della Provincia dell’Aquila, 1998-2003).

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Biol. Cons. Fauna 115

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danni alle colture (uffici preposti all’accertamento,specie per le quali è riconosciuto, etc.). Se per ani-mali come il Lupo o il Cinghiale questo potrebbenon rappresentare un problema di grossa rilevan-za, per le problematiche di conservazione dell’Orsosarebbe invece auspicabile una univocità d’ap-proccio.Nell’analisi geografica dei dati la dimensione spa-ziale minima considerata è stata quella comunale.Tale scala (variabile in quanto a risoluzione), la piùdettagliata possibile al momento, non è pienamen-te adeguata alla analisi dei dati relativi ai danniche, come evidenziato, tendono ad avere una dis-tribuzione aggregata. Ciò è anche sottolineatodalla interpretazione problematica di alcune corre-lazioni riscontrate, che evidenziano la necessità diuna definizione più accurata dal punto di vistageografico degli eventi di predazione. Anche se leinformazioni registrate all’atto del sopralluogo di-pendono da una serie di obiettivi specifici, ritenia-mo comunque imprescindibile rilevare le coordina-te dell’area del sopralluogo.In aggiunta al semplice indennizzo, dal punto divista socio-economico è verosimilmente importan-te: a) favorire le attività agro-pastorali in monta-gna con misure strutturali che comportino un in-cremento reale di investimento e produttività daparte delle aziende locali; b) controllare la popola-zione di cani vaganti con interventi attivi di rimo-zione; c) fornire supporto tecnico per evitare e ri-durre i danni quando assolutamente indesiderabi-li o immediatamente lesivi sia delle persone sia disingoli Orsi.Ad una scala diversa, la reintroduzione di specie diungulati selvatici un tempo presenti o in fase dilento recupero può essere un metodo per alleviarel’impatto della predazione sul bestiame domestico.In alcune aree, infatti, la predazione sul bestiamepuò essere elevata a causa della mancanza di po-polazioni consistenti di ungulati selvatici (Meriggi& Lovari 1996). Tuttavia, è importante notare chepopolazioni consistenti di ungulati selvatici (Cin-ghiale e Cervo) possono avere un impatto local-mente non trascurabile sulle colture erbacee e ar-boree, fenomeno rilevato anche in una parte del-l’area di studio (M. Pellegrini, com. pers.). Unaconseguenza indesiderabile sarebbe un aumentodella conflittualità tra agricoltori e ungulati selva-tici, che nell’area di studio sono responsabili dellametà dei costi associati all’indennizzo di danni allecolture.Una quantità elevata di danni indipendentementedai rimborsi erogati non può sempre consentire diridurre il conflitto tra popolazioni locali e singoliindividui problematici. In questo caso è necessarioche gli enti di gestione operino tempestivamentecon mezzi di dissuasione, ed eventualmente con larimozione permanente degli esemplari problemati-ci che a lungo andare causano un atteggiamentoapertamente ostile che non porta nessun beneficioper la conservazione dell’Orso.La compensazione dei danni dovrebbe sempre piùevolversi in strategie di prevenzione dei danni.Tuttavia, per i costi associati, e per il tipo di dis-

tribuzione del danno, la prevenzione non può es-sere un’azione diffusa ma deve essere un metodomirato e localizzato per alleviare problemi contin-genti. Ulteriori e utili approfondimenti conoscitividella problematica dei danni al patrimonio agro-zootecnico saranno possibili solo eseguendo ricer-che ad hoc su alcuni aspetti tra i quali il contestoecologico in cui si verificano i danni e l’efficacia deisistemi di dissuasione e prevenzione.

RingraziamentiRingraziamo il Dott. Tascione e l’Ing. Sista (CorpoForestale dello Stato, Coordinamento Provincialede L’Aquila), il Dott. Di Benedetto e la Dott.ssaSulli (Ente Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Mo-lise) per aver fornito i dati relativi ai danni daOrso, Lupo e cane e per aver creduto in questa edin altre azioni congiunte di collaborazione per laconservazione dell’Orso. Ringraziamo L. Pedrotti eun referee anonimo per i suggerimenti e i miglio-ramenti apportati a questo lavoro. Questo lavoro èstato svolto grazie al co-finanziamento LIFE 99NAT/IT/006244 della Commissione Europea.

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G. Potena, L. Sammarone, M. Posillico, A. Petrella e R. Latini

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RiassuntoIl Parco Nazionale della Majella ha affrontato ilproblema delle predazioni sul bestiame montican-te attraverso l’adozione di un disciplinare per gliindennizzi dei danni recati al bestiame da parte dipredatori. A partire da maggio 2002, l’accertamen-to del caso di predazione viene condotto attraver-so l’utilizzo di una procedura di accertamentostandardizzata, codificata in un apposito modulo.In questo studio sono descritti i risultati delle ana-lisi di 61 accertamenti eseguiti da giugno 2002 anovembre 2003, condotte attraverso il suddettomodulo: tale rilevamento ha permesso di ottenere,informazioni relative alle lesioni riportate sui capipredati, oltre che numerose informazioni utili dalpunto di vista gestionale quali le località maggior-mente interessate, i periodi e i contesti di massimaaccessibilità per il predatore alle greggi/mandrie.Tali informazioni possono essere messe in relazio-ne alle caratteristiche biologiche ed etologiche delpredatore. Sono stati valutati, inoltre, alcuniaspetti gestionali e socio-economici delle localirealtà zootecniche e ciò è risultato essere fonda-mentale per individuare le misure di prevenzionedel danno, ed implementare un programma di as-sistenza e valorizzazione della zootecnia estensivapromosso dall’Ente Parco Nazionale della Majella,che potrà facilitare il consolidamento di un am-biente socio-culturale favorevole alla conservazio-ne di Lupo e Orso

Summary The Majella National Park has faced the problem oflivestock depredation through a specific regulationfor compensation of damages. Since May 2002, theassessment of damage has been done using a stan-dard procedure. In this paper, 61 procedures, madebetween June 2002 and November 2003 are exa-mined. This evaluation system enables to collectdata in such a way to help the comprehension ofthe depredation dynamics through the analysis ofthe observed pathologic lesions. It focuses on thecategories of domestic animals more affected, ena-bles to geographically locate the critical areas, todefine the periods and the contexts of highest live-stock vulnerability. The knowledge of socio-econo-

mic aspects and husbandry correlates of livestockdepredation is also very important, because it al-lows the identification of necessary preventivemeasures, and enhances the promotion of an ex-tensive livestock husbandry raising programme bythe Majella National Park, to foster a more sociallyand culturally suitable context for wolf and bearconservation.

INTRODUZIONELe predazioni sul bestiame monticante sono tra iproblemi di gestione più rilevanti che gli EntiParco sono chiamati ad affrontare, sia per ridurreil conflitto tra allevatori e grandi carnivori, sia perottimizzare le risorse economiche destinate agli in-dennizzi, perseguendo una gestione del fenomenoin grado di assicurare un buon livello di conviven-za tra necessità di conservazione ed esigenze dellepopolazioni locali.Sulla Majella i predatori selvatici e la pastorizianon sono mai scomparsi: l’opinione pubblica èspesso portata a pensare che questo di per sé as-sicuri, per motivi soprattutto culturali, un buon li-vello di coesistenza tra le esigenze di conservazio-ne della fauna e quelle di sussistenza del settorezootecnico. In realtà, la tolleranza del danno non èomogenea, perché non è omogeneo il substratoculturale e socio-economico su cui si fonda la real-tà zootecnica attuale. L’esigenza di studiare il fe-nomeno delle predazioni nel Parco, e con esso diacquisire una conoscenza dettagliata dei problemie delle prospettive della categoria danneggiata, èpertanto alla base della definizione di strategie diconservazione dei grandi carnivori e dello sviluppodi una visione gestionale pragmatica e plasmatasulla realtà del territorio. I dati presentati in que-sto studio sono stati raccolti da giugno 2002 a no-vembre 2003, per un totale di diciotto mesi.

AREA DI STUDIOIl Parco Nazionale della Majella comprende un ter-ritorio di circa 75.000 ha, esteso in 39 territori co-munali e 3 province. Sulle montagne della Majella,caratterizzate da tempi antichissimi da una fortepresenza della pastorizia, oggi pascolano circa20.000 capi ovini e caprini, 3.000 capi bovini e

PREDAZIONI SUL BESTIAME MONTICANTE NEL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA.

ANALISI DEL FENOMENO ED ASPETTI GESTIONALI

Wildlife predation on grazing livestock in the Majella National Park:analysis of phenomenon and implications on management.

ANGELUCCI S.*°, ANDRISANO T.*, MARCANTONIO G.*, ANTONUCCI A.*, FICO R.**Ente Parco Nazionale della Majella

**Istituto Zooprofilattico dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 141-150, 2005

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S. Angelucci, T. Andrisano, G. Marcantonio, A. Antonucci, R. Fico

1.000 equini. La realtà zootecnica locale è alquan-to eterogenea e spesso poco indirizzata, pur com-prendendo attività imprenditoriali di buon livello,come quelle di allevamenti di pecore e capre di 600- 1.300 capi che commercializzano il prodotto(carne e derivati del latte) in canali di vendita chene valorizzano la provenienza e la qualità; ad essesi affiancano tuttavia attività di resa economicapiù modesta, come quelle gestite non in forma diattività principale, in alcuni casi da allevatori an-ziani che conducono al pascolo pochi capi in zonepoco accessibili, affrontando intemperie e sistema-zioni scomode in grotte naturali o rifugi di monta-gna poco attrezzati.I pascoli sono generalmente frequentati da maggioo inizio giugno, fino alla fine di novembre (a se-conda dell’altitudine); da dicembre ad aprile lamaggior parte delle greggi/mandrie viene tenuta installe o capannoni situati a fondo valle, spesso aldi fuori del Parco ma all’interno della stessa pro-vincia; la transumanza vera e propria, intesa cometrasferimento dei capi su pascoli extra regionali, èormai un fenomeno molto ridotto per pecore ecapre, mentre l’arrivo stagionale di capi bovini edequini da regioni vicine è un fenomeno ancora re-gistrato nella zona più meridionale del Parco. Lacustodia delle pecore al pascolo è solitamente as-sicurata dalla presenza di un operaio per circa300-400 capi e un cane da guardia per ogni 50 –100 capi; i cani da guardia, solitamente molto ef-ficienti, sono della razza Pastore Abruzzese o me-ticci di questa; ad essi sono affiancati cani con-duttori, per lo più meticci di taglia medio-piccola,selezionati dall’allevatore.

MATERIALI E METODIProcedure di accertamentoLa denuncia del danno viene effettuata dall’inte-ressato esclusivamente alla stazione del Coordina-mento Territoriale per l’Ambiente del Corpo Fore-stale dello Stato competente territorialmente,entro 24 ore successive alla scoperta dello stesso.Da maggio 2002, al verbale di accertamento deidanni provocati alla zootecnia dai predatori, vieneallegata la scheda di “Procedura standard di ac-certamento danni al bestiame da predatori”, predi-sposta dall’Ente Parco al fine di permettere un ri-levamento dei dati, relativi al caso, obiettivo e si-stematico, sia per la piena giustificazione dell’in-dennizzo da erogare, sia per lo studio del fenome-no predazione dal punto di vista biologico, ecologi-co e socio-economico.La scheda è suddivisa in quattro parti Nella primavengono indicati i dati identificativi del sopralluo-go, il comune, la ASL di competenza ed il Coman-do Stazione Forestale che interviene nel sopralluo-go. La seconda parte è di segnalazione del presun-to evento predatorio, e reca pertanto gli estremidella denuncia, il codice di azienda dell’allevamen-to, specie, numero ed identificazione anagraficadei capi predati e la loro età (nel verbale redattodal C.F.S. sono indicati anche i pesi dei soggettiuccisi e feriti). Questa parte contiene anche la data

e l’ora di aggressione dichiarata e le condizioni me-teorologiche al momento dell’evento denunciato etra questo ed il sopralluogo. La terza parte è quel-la di analisi del caso propriamente detta; contieneanzitutto il rilevamento dello stato di conservazio-ne della carcassa, la cui valutazione è effettuatadal veterinario secondo rilievi anatomo patologicicodificati , quali:- la presenza , l’estensione e la eventuale risolu-

zione del rigor mortis;- il grado di opacamento corneale post mortale;- i segni di ipostasi cadaverica;- l’inverdimento post mortale e la sua diffusione

ecc.- il rilevamento di eventuali larve di ditteri o co-

leotteri.A questo punto viene espresso il giudizio sull’ido-neità della carcassa all’effettuazione dei rilievi ne-croscopici tesi a risalire alla causa di morte ed al-l’eventuale evento predatorio. Segue la parte rela-tiva all’analisi del contesto ambientale, ovvero ladescrizione della tipologia del sito di attacco, del-l’eventuale spostamento della carcassa e del rile-vamento di segni di lotta sul terreno.Nella parte che segue, il modulo contiene dueschemi anatomici per il rilevamento degli eventua-li segni di predazione o di altre lesioni sulla car-cassa, uno in visione laterale, uno in visione ven-trale, che permettono una rapida annotazione deisiti in cui si evidenziano le lesioni, e consentono alpersonale accertante di poter riportare le stessecategorizzandole in segni di morso, ematomi, graf-fi e parti asportate. La segnalazione delle tipologiedi suddette lesioni è prestabilita e va espressa se-condo quanto indicato da un’apposita legendacompresa nella scheda. La presenza del veterina-rio del Parco, come previsto dal disciplinare, assi-cura un maggior dettaglio descrittivo attraverso ilreferto anatomo-patologico. In calce al referto,viene annotata anche la distanza tra i fori lasciatidai canini del predatore, se rilevabile. Sono ancheriportati eventuali esami di laboratorio richiesti,sia, se del caso, ai fini dell’individuazione dellacausa di morte, sia per le indagini periodicamentesvolte nell’ambito della Sorveglianza Epidemiologi-ca del Parco. Seguono altre annotazioni riguar-danti la custodia del gregge, come la presenza deipastori al momento dell’attacco, la presenza, il nu-mero e i dettagli anagrafici dei cani da pastore, l’e-ventuale avvistamento dichiarato del predatore, ouna sua eventuale, precedente segnalazione nellastessa zona.L’ultima parte della scheda prevede un’analisidegli aspetti socio-economici e delle misure utiliper la prevenzione del danno, e riporta, oltre al-l’indicazione delle azioni più idonee alla difesa delbestiame, così come individuate dal personale ac-certante, anche le necessità espresse dall’allevato-re, ovvero le sue aspettative nei confronti della ge-stione del fenomeno da parte dell’Ente Parco, chesono annotate secondo capi specifici.L’Ente Parco Nazionale della Majella ha inoltrepredisposto ed attuato un progetto di assistenza evalorizzazione della zootecnia estensiva nel Parco,

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denominato “Progetto Qualità”, che ha permesso,attraverso il dialogo con gli allevatori interessatidal fenomeno e le diverse visite in allevamento perl’attività di consulenza svolta, di rilevare, oltre chele esigenze di gestione del fenomeno dei danni allazootecnia, già analizzate dalla scheda di accerta-mento, alcuni aspetti fondamentali di caratteresocio-economico. Tutte le informazioni sono statearchiviate in un database delle predazioni costrui-to in Microsoft Excel e georeferenziate con il pro-gramma Arc View 3.2.

Metodologia diagnostica.L’accertamento del caso è eseguito sulla base delrilevamento di lesioni intra vitam; infatti, solo l’a-nalisi delle lesioni inferte o dei processi patologiciverificatisi prima della morte dell’animale consen-te di stabilire se esso sia stato predato o sia venu-to a morte per altri motivi. Il rilevamento delle le-sioni anatomo-patologiche intra vitam fornisce labase per la ricostruzione degli eventi patogeneticiche hanno portato a morte l’animale e, indiretta-mente, della dinamica dell’atto di predazione.La metodologia che abbiamo adottato per l’indivi-duazione del predatore si basa sulla diversità delcomportamento predatorio tra Lupo e cane (sebbe-ne sia questo un argomento sul quale non esisteancora oggi consenso assoluto; p. es., Ciucci &Boitani 1998, questo volume, Gatto et al. questovolume, Potena et al. questo volume, Tropini questovolume). Generalizzando, il Lupo è un predatoreestremamente efficiente e caccia secondo dinami-che culturalmente consolidate, limitando il dis-pendio energetico attraverso una rapida immobi-lizzazione delle prede, soprattutto se di dimensio-ni medie (pecore, capre) (Kaczensky et al. 1998,Molinari et al. 2000, Fico et al. questo volume).Tendenzialmente, quindi, le lesioni inferte dalLupo sono precise quanto gravi e consentonoun’immobilizzazione pressoché immediata dellapreda. Si riscontrano soluzioni di continuità dicute, sottocute e fasce muscolari sottostanti ilmorso, riferibili all’azione dei denti canini, conematomi ben evidenti e spandimenti emorragiciintra vitam nei tessuti viciniori, possibile rotturadegli anelli tracheali o delle cartilagini laringee, avolte discontinuazione dei grossi vasi arteriosi evenosi (carotide e giugulare) (S. Angelucci, datinon pubbl.). I morsi (o spesso l’unico morso) rile-vati a livello retromandibolare e/o giugulare alto,determinano lesioni di gravità tale da condurre ra-pidamente, per l’insieme delle reazioni fisiopatolo-giche (cardiocircolatorie, vasomotorie e neurogene)scatenatesi, a morte l’animale, o ad una rapida edefficace immobilizzazione.Il riconoscimento delle prede del Lupo è avvenutoquindi non tanto sulla base della localizzazionedelle lesioni (nella maggior parte dei casi a livelloretromandibolare), quanto sul rilevamento di segnianatomopatologici indicativi delle reazioni patoge-netiche indotte dall’azione dei morsi retromandi-bolari, sufficienti, da sole, a determinare la mortedell’animale. Del resto, sono state attribuite alLupo in alcuni casi anche carcasse che, pur non

presentando morsi di questo genere ma rinvenuteinsieme a carcasse recanti le lesioni suddette, mo-stravano comunque altri segni di aggressione rife-ribili allo stesso evento predatorio. L’altro predatore in questione, il cane, si presumepresenti nella maggioranza dei casi un comporta-mento predatorio completamente diverso: pocospecializzato, può cacciare non esclusivamenteper necessità (O’Farrel 1991; Molinari et al, 2000).Rispetto ad altri canidi selvatici (coyote), il canegeneralmente tende a infliggere ferite casuali e su-perficiali (Roy & Dorrance 1976, Shaefer et al.1981), provocando lesioni che non interessanoparticolari e vitali strutture anatomiche e, general-mente non sono così gravi da portare a morte l’a-nimale, che, il più delle volte, soccombe a causadello stress o per altre dinamiche patogeneticheindotte dall’inseguimento e dalle lesioni diffuse ri-portate (Fico et al. questo volume).In questo lavoro le prede attribuite ad attacco daparte di cani sono state quindi individuate inquanto venute a morte mediante un processo pa-togenetico sostanzialmente diverso da quello chesi riscontra sulle prede del Lupo: ad esempio,anche nell’attacco da parte di cani è possibile rile-vare morsi localizzati nella regione retromandibo-lare, ma essi non sono mai identificabili da soliquale causa diretta della morte dell’animale. In es-senza, quindi, la nostra metodologia diagnosticapredice una differenza tra Lupo e cane nel nume-ro e nella gravità delle ferite inferte alla preda e,principalmente, nella loro potenzialità patogeneti-ca; assume, inoltre, che l’imprecisione introdottadalla variabilità individuale dei predatori e daeventuali errori nella ricostruzione degli eventi pa-togenetici sia trascurabile ai fini dell’analisi.Riepilogando, il processo diagnostico differenzialesui capi denunciati si è fondato sui seguenti criteri:1. Prede attribuite al Lupo: morte dell’animale ri-

conducibile all’attivazione delle reazioni fisiopa-tologiche provocate da morso netto (uno o più)alla regione giugulare retro-mandibolare, pro-fondo e recante lesioni gravi ad importantistrutture anatomiche e funzionali.

2. Prede attribuite al cane: morte dell’animale ri-conducibile a sindrome politraumatica, stressacuto, sfiancamento.

3. Prede attribuite all’Orso: morte dell’animale ri-conducibile a vaste soluzioni di continuo di piùstrutture anatomiche, perdite di sostanza intravitam, gravi traumi conseguenti all’azione tipi-ca del predatore.

4. Animali venuti a morte per altre cause: ricono-scimento di segni anatomopatologici relativi aparticolari stati patologici, lesioni riconducibiliad attacchi da parte di altri predatori (volpe), le-sioni traumatiche non riconducibili a predazioni.

Localizzazione delle lesioni.Sulle prede di Lupo e di cane, distinte con i criteridiagnostici sopra descritta, si è quantificata la fre-quenza di rilevamento delle diverse tipologie di le-sioni intra vitam e delle relative localizzazioni.Sono state escluse da queste valutazioni le carcas-

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se non analizzate attraverso la procedura standar-dizzata riportata nella scheda, oppure consumate atal punto da non consentire più il rilevamento digran parte delle lesioni inferte dal predatore. Le dif-ferenze nella frequenza di ritrovamento delle diver-se tipologie e localizzazioni delle lesioni tra Lupo ecane sono state valutate con il test del χ2.

RISULTATIEntità del fenomeno e specie interessateNel periodo giugno 2002 – novembre 2003, 300capi di bestiame sono stati oggetto di denuncia dipredazione, di questi 209 sono stati uccisi, 18 fe-riti, 73 dispersi. Su un totale di 92 richieste di indennizzo, l’esitodegli accertamenti, effettuati nei tempi massimiindicati dal disciplinare (entro 24 ore dal ritrova-mento della carcassa), ha determinato l’attribuzio-ne del danno per il 60,8% a predazione da Lupo,nel 6,5% a predazione da Orso, nel 7,6% da cane,nell’1,1% a predazione da Volpe. Per ciò che ri-guarda le cause di morte diverse da predazionesono state accertate, nel 3,3% dei casi, uccisioniavvenute per mano dell’uomo (allevatore, operaio oestranei alla gestione aziendale), e per un altro3,3% a morte per varie cause (patologie, incidentiecc.), mentre nel 17,4% degli accertamenti non èstato possibile risalire alla causa di morte perchéle condizioni dei resti non erano tali da consentireun’esaustiva indagine necroscopica ed il necessa-rio riconoscimento della causa di morte (casidubbi).Al Lupo sono state attribuite 204 prede, di cui 153uccise, 12 ferite e 39 disperse: tra gli animali do-mestici sono stati uccisi da questo carnivoro per il79,1% pecore, per il 5,7% capre, per il 4,6% bovi-ni e per lo 0,6% equini. Il cane è risultato respon-sabile dell’uccisione di 23 capi (solo pecore ecapre), del ferimento di 4, e della scomparsa di 6capi, in 7 eventi predatori registrati. Per quanto riguarda l’Orso, in un anno e mezzo dagiugno 2002 a novembre 2003, si è verificata una

predazione su una cavalla adulta e quattro preda-zioni su pecore, per un numero complessivo di 7capi adulti uccisi.Le procedure standard di accertamento danni albestiame da predatori sono state compilate in 61sopralluoghi (66,3% degli accertamenti effettuati).

Periodi e condizioni climatiche riscontrati neicasi di predazioneI mesi nei quali si sono verificati il maggior nume-ro di eventi predatori attribuiti al Lupo sono: ago-sto 2002 (8 casi di predazione, 46 animali preda-ti), ottobre 2002 (6 casi di predazione, 16 animalipredati) e ottobre 2003 (5 casi di predazione, 38animali predati) (Fig. 1). Suddividendo l’anno indue semestri, uno identificabile con la stagione dipascolo, da giugno a novembre, l’altro con la sta-gione di allevamento in stalla o in pianura, da di-cembre a maggio, si rileva una media mensile dipredazioni di 4,25 per il primo (media di 5 preda-zioni/mese per il 2002 e 3,5 predazioni/mese peril 2003) e di 0,83 per il secondo semestre. Il 75%dei capi, (n=204), è stato attaccato dal Lupo neltrimestre agosto – ottobre.Sui 56 casi di predazione attribuiti al Lupo, il 5,3%è avvenuto nel corso della mattinata (dall’alba alleore 14:00), il 42,8% nel pomeriggio (dalle ore 14:00al crepuscolo), il 26,8% si sono verificate al crepu-scolo, il 25% durante la notte. L’identificazione delperiodo “crepuscolo” è stata definita non sullabase di una precisa fascia di orario, ma su unacondizione particolare della “giornata lavorativa”dell’allevamento: rientrano infatti in questa cate-goria tutti i casi riconducibili ad attacchi avvenutinella fase di rientro del gregge dal pascolo allostazzo.Le predazioni da Lupo con cielo sereno (n=16), sisono verificate per il 12,6% nel pomeriggio, per il43,7% al crepuscolo e per il 43,7% durante lanotte; gli attacchi in condizioni meteorologiche va-riabili (n=13) si sono verificati per il 15,4% al mat-tino, per il 38,4% nel pomeriggio, 23,1% al crepu-

Figura 1. - Distribuzione mensile degli eventi predatori attribuiti al Lupo (n=56; Parco Nazionale della Majella,giugno 2002 - novembre 2003).

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scolo e 23,1% nella notte; in caso di precipitazionenevosa (n=4) si sono avuti un caso di predazione alcrepuscolo (25%) e tre durante la notte (75%),mentre in caso di pioggia o nebbia (n=23) si sonoregistrati il 4,3% di casi di predazione da Lupo almattino, il 73,9% nel pomeriggio, il 17,4% al cre-puscolo ed il 4,3 durante la notte. È stata rilevata una differenza tra la presenza dipioggia/nebbia nelle predazioni da Lupo verificate-si nel pomeriggio (70,8% n=24), rispetto a quelleavvenute al crepuscolo e durante notte (rispettiva-mente, 26,7% n=15; 7,1% n=14; χ2=7,2; P<0,01 eχ2=14,4; P<0,001). Tale risultato è confermatodallo stesso tipo di confronto effettuato non suglieventi predatori, ma sui capi predati dal Lupo (Fig.2). Su 33 capi predati al mattino, l’87,8% è statopredato in presenza di nebbia; su 94 capi predatinel pomeriggio, il 63,8% è stato predato in presen-za di nebbia. Il numero di capi predati dal Lupo inpresenza di nebbia o pioggia si riduce considere-volmente se gli attacchi avvengono in condizioni discarsa luminosità; al crepuscolo, infatti, sono statipredati in condizioni di nebbia o pioggia 14 capi su48 (29,2%), durante la notte, 2 capi su 29 (6,9%).

Aree critiche e siti di predazioneSul totale di 204 capi, il 96,1% sono stati predatidal Lupo durante il pascolo (fuori dai recinti); neirimanenti casi la predazione è avvenuta all’internodi recinzioni, con un caso all’interno di rete elet-trificata e 7 casi (3,4%) all’interno di rete metalli-ca, sebbene siano sempre coincisi con recinzioniinadeguate (di corda o metalliche a maglie moltolarghe/lasse) o recinti elettrici non attivati. Al momento dell’attacco, gli animali predati dalLupo si trovavano nell’84,8% dei casi (n=204) inpascoli cespugliati, nell’8,3% in pascoli aperti; nel

2,4% invece le predazioni di Lupo si sono verifica-te all’interno di aree boscate, di collegamento fradiverse aree di pascolo.

Localizzazione delle lesioni.Le seguenti valutazioni sono state effettuate su 68carcasse di pecore e capre attribuite a predazionedi Lupo e 12 attribuite a predazione di cane. Le prede attribuite al Lupo, il cui decesso è statofatto risalire esclusivamente al processo patogene-tico mortale derivante da morsi gravi in aree vita-li, hanno presentato, in tutti i casi, morsi localiz-zati alla regione retromandibolare e giugulare alta;in alcuni casi (5.9%), prede che non presentavanomorsi a questo livello sono state comunque attri-buite al Lupo, perché aggredite in recinto o in luo-ghi angusti, in cui il predatore aveva potuto soloattaccare e bloccare la preda in parti diverse dallazona retromandibolare (decedute quindi per sin-drome politraumatica e stress acuto); contestual-mente, del resto, sono state sempre rinvenute, inqueste occasioni, più carcasse la cui causa dimorte è stata comunque ricondotta ai criteri dia-gnostici sopra descritti per il Lupo.Sui capi la cui morte è stata attribuita ad aggres-sione da cani, i morsi a localizzazione retromandi-bolare non sono mai stati riconosciuti come causadi morte (ferite superficiali, imprecise o non tra-passanti, o comunque non in grado di interessarele strutture anatomiche e funzionali vitali presen-ti nella regione retromandibolare o giugulare alta),e sono stati rilevati nel 16.7% dei casi (n=12).).Oltre alla diversa gravità ed efficacia delle ferite damorso inferte dal Lupo e dal cane in questi di-stretti, anche la frequenza del rilevamento di que-ste localizzazioni per i due predatori è significati-vamente differente (P<0,001). Altre lesioni inferte

Figura 2. - Percentuali dei capi (predati, feriti, dispersi; n=204) che hanno subito l’attacco del Lupo in diversecondizioni atmosferiche, ripartite per le fasi della giornata (Parco Nazionale della Majella, giugno 2002 - novem-bre 2003).

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dai predatori, come i morsi a livello dei quarti po-steriori, sono state rilevate per il 2.9% (n=68) nelleprede di Lupo e nel 83.3% (n=12) in quelle attri-buite al Cane (P<0,001). E’ opportuno rilevarecome tale risultato debba essere interpretato concautela, in quanto questa informazione non è rile-vabile in quelle carcasse che, seppur consideratenell’analisi per la presenza di segni intra vitam ri-conducibili all’azione del predatore, sono mancan-ti dei quarti posteriori o dei relativi gruppi musco-lari per l’azione di consumo esercitata dal preda-tore, talvolta poco tempo dopo l’aggressione.Anche per quanto riguarda altre localizzazioni dilesioni provocate da morso è evidente una distin-zione netta tra i due predatori a cui sono state as-segnate le prede uccise: a livello addominale, peresempio, solo in quattro casi di predazione (5.9%,n=68) attribuita al Lupo sono state rilevate feritelacero-contuse da morso, mentre le stesse feritesono state rilevate nel 58.3% (n=12) delle carcasseattribuite al Cane (χ2=23,40; P<0,001).Si sono inoltre riscontrate escoriazioni, ferite su-perficiali o ematomi su diverse parti del tronco edegli arti, riferibili ad unghiate; questi segni sonostati rilevati nel 50% (n=12) dei capi uccisi da cani,e nel 7.4% (n=68) di quelli la cui morte è stata ri-ferita ad aggressione da lupi; anche in questo casola differenza è altamente significativa (χ2=15.63;P<0.001). Altra tipologia di lesioni intra vitam os-servata è rappresentata da ematomi o contusioni(esclusi quelli rilevati al di sotto delle sedi di graf-fi o di morso) che l’animale può provocarsi nell’in-seguimento, in cadute o altri eventi traumatici; talisegni sono stati rilevati nel 11.8% (n=68) delle

prede attribuite al Lupo e nel 91.7% (n=12) diquelle attribuite al Cane: le differenze riscontratesono altamente significative (P<0,001). Sono statepoi rilevate altre soluzioni di continuo in sedi delcorpo diverse dalla testa e dal collo, come ferite la-cero-contuse da strappamento, avvenute quandola preda era ancora in vita, presenti nel 11.8%(n=68) delle prede attribuite al Lupo, e nel 75%(n=12) di quelle attribuite al Cane; anche in que-sto caso la differenza è altamente significativa(χ2=22.53; P<0.001) (Figg. 3 e 4).Delle 68 carcasse di pecore e capre accertate comepredate dal Lupo, in 24 capi predati si è verificatol’avvistamento dei lupi a distanza ravvicinata, daparte dei custodi, nel corso della predazione.Le modalità di consumo della carcassa non sonorisultate differenti tra le due specie di predatori;sono state osservate perdite di sostanza post mor-tali della parete addominale e il consumo dei vi-sceri, nel 57,4% (n=68) delle carcasse predate dalLupo e nel 66,7% (n=12) di quelle attribuite alcane (χ2=0,36; P>0,05), ed il consumo delle massemuscolari dei quarti posteriori, rispettivamente ri-levate nel 45,6% (n=68) e 75% (n=12) (χ2=3,52;P>0,05); solo le differenze nell’asportazione di artidalla carcassa, rilevata nel 39,7% (n=68) delleprede del Lupo e nel 75% (n=12) delle prede delcane risultano essere significative (χ2=5,13;P<0,05); occorre sottolineare, tuttavia, che il limi-te di questi ultimi dati, riferiti al consumo dellacarcassa, è rappresentato certamente dalla possi-bilità di intervento secondario di necrofagi, non-ostante i tempi di sopralluogo, per le carcasse in-cluse in questa analisi, siano stati sempre inferio-

Figura 3.- Frequenza delle diverse tipologie di lesione intra vitam e post mortem rilevate su prede attribuite alLupo e al cane (Parco Nazionale della Majella, giugno 2002 - novembre 2003).

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ri alle 24 ore dal ritrovamento della carcassa.I dati delle localizzazioni delle lesioni conseguentiad aggressione da parte del Lupo e del cane nonincludono quelli relativi ai capi bovini ed equini; diquesti due gruppi di animali domestici, sono statiattribuiti al Lupo 8 capi predati, sulla base di va-lutazioni di carattere anche anamnestico ed am-bientale: anche la localizzazione delle lesioni intravitam è sostanzialmente vicina a quella osservatiper le prede di cane (Fig. 3); tali riscontri sono evi-dentemente giustificabili dalla necessità da partedel predatore di attuare una diversa tecnica di im-mobilizzazione e di predazione per animali di gros-sa mole (Mech 1970, Kaczensky et al. 1998; Moli-nari et al. 2000).

Rilievi di carattere socio-economicoIl 100% degli allevatori (n=35) che hanno subitopredazioni identificano l’Ente Parco come respon-sabile del mantenimento in natura dei lupi e degliorsi, quindi si aspettano misure di assistenza dal-l’Ente “in cambio” della possibilità di convivenzacon la fauna selvatica; degli allevatori che hannosubito, nel periodo di studio, attacchi da parte delLupo e dell’Orso, il 63% manifesta la necessità distrutture anti-predatore, fornite dal Parco, facilida utilizzare e con una minima necessità di ma-nutenzione., Alla data di stesura della presente relazione (apri-le 2004), gli allevatori aderenti al progetto di assi-stenza del Parco sono 27; di questi, il 51,9% gesti-sce l’allevamento con una conduzione di tipo fami-liare (senza l’ausilio di personale esterno al nucleofamiliare), il 48,1% attraverso l’impiego di perso-nale assunto. Vi lavorano 17 operai, l’82% deiquali di nazionalità straniera. Secondo le dichiara-zioni di questi ultimi allevatori, che praticano unagestione di tipo imprenditoriale, uno dei problemiprincipali per la conduzione degli allevamenti alpascolo è la carenza di manodopera reperibile emotivata, che segua con attenzione il gregge intutti i momenti della giornata. In nessuno dei 27allevamenti attualmente aderenti al progetto e mo-nitorati, la perdita di capi per predazione risultaessere il problema economico di maggiore entità.Altro dato rilevato è quello relativo alla persecuzio-ne diretta dei predatori: dall’istituzione del serviziodi Sorveglianza Epidemiologica del Parco (maggio2002) non si sono mai registrati morti di Lupo eOrso per avvelenamenti o per uccisioni diretta-mente o indirettamente correlate a danni alla zoo-tecnia.

DISCUSSIONELe principali attività di ricerca, di gestione e di pre-venzione del fenomeno dei danni al bestiame cau-sati da predatori nel Parco Nazionale della Majellasono rivolte al Lupo, maggiore responsabile dellepredazioni sul bestiame nell’area di studio. L’Orso,carnivoro di grande interesse conservazionistico,con una gestione complessa e difficile, è implicatomarginalmente nel conflitto con le attività zootec-niche, se non in aree ben localizzabili ed in perio-di molto definiti.

Il dato inerente alle predazioni da parte di canisembra essere quantitativamente poco consisten-te, ed è, in effetti, probabilmente sottostimato, per-ché gli indennizzi per questi danni sono richiestialla Regione Abruzzo (L.R. 15/96 e L.R. 86/99;Deliberazione della Giunta Regionale d’Abruzzo n.874/1993). Gli allevatori a volte evitano di denun-ciare il danno da cani perché consapevoli dellacomplessità della pratica da istruire e dei tempilunghi solitamente necessari: tutto ciò può porta-re l’allevatore a indurre il personale responsabiledel sopralluogo a forzare il risultato dell’accerta-mento verso il danno da Lupo. Una tale difformitàprocedurale e sostanziale, se avvallata, può com-portare una crescente sfiducia nei confronti del-l’intero sistema di gestione, perché il più dellevolte il danneggiato non è in grado, o non è dispo-sto a riconoscere in maniera obiettiva e definita re-sponsabilità ad enti diversi che insistono sullostesso territorio; in altri termini, un sistema di in-dennizzo non soddisfacente per danni subiti dacani può far aumentare l’ostilità, da parte del dan-neggiato, nei confronti del Lupo. Considerazionidel tutto simili sono scaturite da analisi del feno-meno condotte anche in contesti ambientali esocio-economici molto diversi (Montag 2003). In riferimento alla valutazione dei periodi più criti-ci per il verificarsi di predazioni sul bestiame, i no-stri dati rivelano che, nei mesi in cui gli animali ri-mangono al pascolo, il periodo in cui avviene ilmaggior numero di eventi predatori attribuiti alLupo risulta essere il trimestre agosto-ottobre.Non è da escludere che sull’aumento delle incur-sioni da parte dei predatori, in particolare delLupo, giochino un ruolo fondamentale sia le ne-cessità alimentari, sia le condizioni etologiche delbranco; infatti, in questo periodo, la presenza deipiccoli già svezzati determinerebbe un aumentodel fabbisogno proteico (in una fase di forte incre-mento ponderale dei giovani) del gruppo: questopotrebbe indurre ad una maggiore probabilità diricorrere a fonti trofiche diverse dagli animali sel-vatici, in quanto questi ultimi più difficili da pre-dare rispetto al bestiame domestico. Sono proba-bilmente da tenere in considerazione anche le ne-cessità comportamentali del branco, che deveprovvedere alla “formazione predatoria” dei giova-ni lupi. A riguardo si riferisce che, in tre casi, neimesi di settembre e ottobre, durante gli attacchisono stati avvistati dei lupi di corporatura più esilee di portamento più incerto, definiti dagli avvista-tori “cuccioloni”. Questi avvistamenti, in due casidi predazione, sono stati poi confermati dal rilievodi misurazioni di distanze tra canini in lesioni damorso intra vitam, inferiori (compatibili con le etàpresunte dei giovani, 5-6 mesi in autunno) rispet-to a quelle, pur presenti, dei lupi adulti. Riguardo alle condizioni in cui il gregge risulta es-sere più accessibile da parte dei predatori, è ne-cessario considerare diversi aspetti, sia ambienta-li, sia meteorologici, sia gestionali.La condizione meteorologica ritenuta “tradizional-mente” più idonea all’agguato, ovvero la pioggia ela nebbia, sia per la diminuzione della visibilità,

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sia per la copertura (in caso di precipitazioni in-tense) dei rumori eventualmente provocati dal pre-datore, sarebbe in realtà non coincidente e proba-bilmente non “necessaria” quando l’attacco avven-ga al crepuscolo o durante la notte, cioè in condi-zioni di visibilità già ridotta; sembrerebbe inveceparticolarmente importante, se la predazione av-viene durante il giorno (fig. 2), tanto che ricorre in16 eventi predatori su 24 (66,7%) avvenuti nel po-meriggio (attribuiti al Lupo).Vanno inoltre considerati altri aspetti che puresembrano favorire l’accessibilità del gregge daparte del Lupo. Il periodo del crepuscolo, cosìcome da noi individuato, sembra essere un mo-mento in cui il gregge è particolarmente vulnera-bile, poiché, di fatto, diminuisce notevolmente il li-vello di custodia dello stesso, principalmente perdue motivi: gli operai addetti alla custodia, spessoesausti a fine di giornata, certi del fatto che il greg-ge è in grado di raggiungere lo stazzo autonoma-mente e senza disgregarsi, spesso si allontanano ocomunque mantengono un livello di attenzione piùbasso del solito; inoltre i cani, spesso alimentati disera, desiderosi di rientrare in stalla, abitualmen-te anticipano il gregge sulla strada del ritorno. Ilrisultato è che il gregge si ritrova spesso quasi in-custodito sulla via del rientro allo stazzo, che difrequente è, tra l’altro, nei pressi di fasce di boscoo ecotonali, che favoriscono lo svolgimento dell’ag-guato e dell’attacco, soprattutto su capi affetti daparticolari patologie podali o sistemiche, o in pro-cinto di partorire e pertanto costretti a rimaneredietro nella “corsa al rientro”. Spesso accade chequesti animali, in particolare, non siano in gradoaffatto di raggiungere lo stazzo e, rimanendo prividi ogni protezione, vengano predati di notte.Le condizioni favorevoli al verificarsi di attacchialle greggi sono quelle che permettono al Lupo diavvicinarsi alle prede senza essere visto. Per que-sto, difficilmente si hanno predazioni su pascoliaperti, in giornate con cielo sereno o variabile; di-versamente, le situazioni che favoriscono l’aggua-to, come la presenza di cespugli e macchie arbu-stive nei pascoli, la presenza di nebbia o pioggia,la scarsa visibilità al crepuscolo o nella notte, oancora la lontananza o l’assenza dei cani da pa-store o degli operatori nelle condizioni che sonostate descritte, costituiscono lo scenario che più difrequente si osserva negli attacchi più efficaci.E’ chiaro che tali condizioni possono verificarsianche nel caso di un’ottimale gestione zootecnicaed anche in allevamenti in cui è alto il livello di at-tenzione per il fenomeno e dove si mettono in attoazioni di prevenzioni, come quelle relative al raf-forzamento della custodia notturna e delle recin-zioni: non si può dunque pensare di eliminare deltutto il rischio di predazioni sul bestiame nei con-testi ambientali e gestionali della zootecnia esten-siva di montagna.La compilazione della scheda di accertamento è ri-sultata di grande importanza anche ai fini dellaconoscenza dei pattern anatomo-patologici riscon-trabili su animali predati con diverse tecniche dipredazione da parte del cane e del Lupo. I nostri

dati dovranno essere ovviamente confortati da piùanni di accertamenti, ma in letteratura è reperibi-le un riscontro effettivo della diversificazione deiquadri anatomo-patologici conseguenti alle tecni-che predatorie riferibili all’una e all’altra specie,ottenuto dall’osservazione di prede rinvenute inun’area (Isola d’Elba) di esclusiva presenza delcane (Fico et al. questo volume).L’applicazione di una procedura di accertamentopredefinita ed uguale per tutti gli accertatori cheoperano all’interno della stessa unità di gestione èrisultata condizione indispensabile per ottenereinformazioni uniformi e costanti, necessarie nonsolo alla concessione dell’indennizzo, ma anchealla conoscenza dell’entità del fenomeno e deglielementi utili alla predisposizione delle azioni pre-ventive.Permangono, tuttavia, problemi relativi allo svolgi-mento degli accertamenti ed alla valutazione deldanno; dal punto di vista logistico, un grosso limi-te è costituito dalle modalità e dalla rapidità deitempi di raggiungimento dei siti di predazione (re-peribilità del veterinario, turni di lavoro del perso-nale del Corpo Forestale dello Stato, reperibilitàdel veterinario ufficiale, disponibilità dell’allevato-re, raggiungibilità dei siti, condizioni atmosfericheecc.); dal punto di vista medico-legale, le predazio-ni su capi bovini ed equini da parte del Lupo pre-sentano difficoltà oggettive in diagnosi differenzia-le con il cane perché nelle prede di taglia grandenon è costante il riscontro dei morsi mortali allaregione retromandibolare scatenanti il processopatogenetico rilevato sui capi di taglia media; inol-tre, anche il quadro delle localizzazioni delle feritenon risulta essere sostanzialmente distinguibileda quello delle prede del cane. Altra difficoltà ri-guardo la gestione del danno a carico di equini ebovini concerne la modalità di conduzione al pa-scolo, caratterizzata da vigilanza irregolare o addi-rittura sporadica, che comporta il ritrovamento dicarcasse spesso non idonee alla valutazione, per-ché già consumate dai predatori o da necrofagi diintervento secondario. Un problema simile è datodai capi dispersi contestualmente ad episodi dipredazione, che rappresentano una percentualenon trascurabile (24%) delle perdite dichiaratenelle richieste di indennizzo, ma che per ovvi mo-tivi medico-legali non sono indennizzabili.L’Orso non è causa di perdite economiche ingenti,ma a motivo degli effetti psicologici e delle rispostesocio-culturali che la sua presenza induce sianegli allevatori che nella popolazione in generale, ènecessario che nelle aree di interesse e di poten-ziale interazione con gli animali domestici sianopreventivamente attuate non solo le misure di pre-venzione del danno, ma anche tutti i provvedi-menti di assistenza alla zootecnia che possonocontribuire allo sviluppo e al consolidamento di unrapporto collaborativo tra l’Ente gestore ed i po-tenziali danneggiati.Gli allevatori tendono a enfatizzare il danno subi-to in seguito a predazione; essi esigono dimostra-zioni di impegno concreto da parte dell’Ente chegestisce la fauna. L’attuazione del Progetto Quali-

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tà nel Parco Nazionale della Majella, con le relati-ve misure di assistenza, ha offerto la possibilità ditrovare soluzioni specifiche sia per la prevenzionedel danno al bestiame, attraverso la cessione di re-cinzioni elettriche o di recinzioni modulari per lostazzo, ma soprattutto ha permesso di sviluppareinterventi per il miglioramento della gestione logi-stica e sanitaria dell’allevamento, attraverso l’atti-vità di consulenza svolta e i contributi erogati peri trattamenti sanitari: un approccio di attenzione edi interesse per l’allevamento, piuttosto che solo fi-nalizzato alla prevenzione dei danni causati dapredatori, è stato espressamente condiviso dagliallevatori, e fa sì che i danni da predazione venga-no posti in secondo ordine nelle interazioni conl’ente gestore, rispetto a problemi di maggior inte-resse pratico ed economico per l’allevatore.

CONCLUSIONIGli Enti Parco italiani sono depositari del ruolo digestori delle più importanti popolazioni di carnivo-ri selvatici in Italia. La conservazione di questespecie oggi si gioca prevalentemente sulla disponi-bilità di ambienti idonei alla conservazione di po-polazioni vitali, ed è pertanto fortemente condizio-nata dalla convivenza con le realtà antropiche econ le esigenze delle popolazioni delle aree interne.L’equilibrio e la concertazione di queste esigenzedevono anzitutto essere basati sulla conoscenzadel fenomeno, perché le azioni da intraprenderesiano adeguate alla situazione locale e le misure diprevenzione dei conflitti continuamente aggiorna-te e rimodellate, sia sulle condizioni ecologiche delpredatore, sia sulle esigenze socio-economiche deldanneggiato.Il monitoraggio costante e protratto nel tempo delfenomeno delle predazioni è fase indispensabile diquesto processo, e deve essere caratterizzato da:1. La presenza di un medico veterinario opportu-

namente formato all’atto del rilievo, poiché l’ac-certamento del danno è basato su una periziamedico – legale, imperniata sul riconoscimentodegli eventi patogenetici che hanno portato amorte l’animale.

2. L’utilizzo di una procedura di accertamentostandardizzata, che permetta l’uniformità e l’o-mologazione della raccolta dati. E’ auspicabileche la stessa procedura venga diffusa a tutti gliorgani competenti per l’accertamento, su tuttol’areale delle specie d’interesse, a prescinderedalla diversità degli iter amministrativi per l’in-dennizzo.

3. Conservazione idonea della carcassa, reperibili-tà del personale accertante e rapidità dei tempidi accertamento.

4. Possibilità di eseguire i rilievi necroscopici el’allestimento della documentazione necessariain situazioni di tranquillità e assenza di pregiu-dizio (presenza di personale di polizia insiemeal veterinario).

5. La conoscenza dettagliata del contesto ecologi-co, in particolare dello stato delle popolazionidei predatori presenti nella zona, per cui saràindispensabile:

- un rapporto di continua collaborazione escambio di informazioni tra veterinari e zoologi;- necessità che l’accertatore operi sul territoriocon continuità e non solo sporadicamente o perperiodi limitati e che abbia un contatto costan-te nel corso dell’intero anno con gli allevatoripresenti in area Parco, soprattutto quelli inte-ressati dal problema predazione;

6. La raccolta di un’accurata anamnesi ambienta-le, che possa rilevare, sempre in modo standar-dizzato, le caratteristiche del contesto della pre-dazione.

Un sistema di accertamento del danno strutturatoin questo modo e tenuto a regime costantementesarà in grado di contribuire ad un buon grado diconoscenza del fenomeno, anche dal punto di vistadella realistica distinzione dei danni provocati dalLupo o da cani, poiché l’iter investigativo, in casicome quelli che riguardano cavalli e bovini, puònon basarsi esclusivamente su rilievi sulla carcas-sa. Dovranno allora necessariamente essere valu-tate ulteriori informazioni di tipo biologico e am-bientale che, insieme ai rilievi necroscopici, contri-buiranno ad una valutazione globale e a un ap-proccio investigativo olistico.L’accertamento del danno diventa, tra l’altro,un’occasione imperdibile di monitoraggio sul terri-torio ed una fonte di analisi dell’interfaccia sanita-ria tra animali selvatici e domestici, contribuendo,di fatto, alla sorveglianza epidemiologica ed allaprevisione del rischio sanitario per le diverse specie.Il sopralluogo sul danno da predazione, si prefigu-ra soprattutto come momento di contatto con ilterritorio e di capillarizzazione della gestione; è ilpunto critico dove avviene il confronto tra necessi-tà di conservazione e tutela delle attività antropi-che, e come tale da un efficiente sistema di gestio-ne deve essere trasformato da situazione proble-matica ad opportunità di monitoraggio e di svilup-po gestionale.La potenzialità di questo confronto si realizza,oltre che nella conoscenza dettagliata del fenome-no, nella possibilità di comprendere gli aspetti so-ciologici in cui si trovano le radici del conflitto.Come già rilevato da diversi autori anche per altripaesi (Fourli 1999, Montag 2003), la reale entitàdelle perdite non è quasi mai così ingente quantopuò essere grave la sensazione del danno ricevutoo profonda l’avversità che ne può conseguire.Le misure di attenuazione del conflitto e di gestio-ne della convivenza tra carnivori ed attività antro-piche sono pertanto da individuare e costruiresulla base di un approccio, oltre che tecnico,umano e culturale, più difficilmente definibile ecodificato, ma tuttavia indispensabile nell’intentodi intraprendere azioni gestionali che siano real-mente efficaci nello sviluppo di una stabile convi-venza tra predatori selvatici e realtà zootecniche.Questo approccio risulta essere anche affidato, inparte, alla sensibilità e all’attenzione da parte del-l’accertatore/gestore e si realizza nell’empatia,cioè, in questo caso, nella capacità di comprende-re e condividere il punto di vista del danneggiato.

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Il personale accertatore/ente gestore deve dunquepossedere un’esauriente conoscenza delle tecnichedi allevamento, della normativa vigente in materia,della struttura dell’economia aziendale, così chepossa rendersi conto del problema provocato daldanno e del danno reale in termini di perdita delpotenziale produttivo del capo da indennizzare,non solo del suo valore commerciale.Si intuisce come il futuro della gestione dei con-flitti tra predatori e zootecnia vada costruito nonsolo su provvedimenti tecnici, ma soprattutto suldialogo e sul rapporto diretto e costante con la ca-tegoria danneggiata, uscendo dalle logiche di con-trapposizione carnivori/bestiame, lupo/pecora,conservazione/agricoltura, ambientalisti/allevato-ri; l’allevatore non deve avere la percezione che latutela degli animali selvatici è prioritaria rispettoal mantenimento del patrimonio zootecnico, nétanto meno che gli animali monticanti sono benaccetti dagli ambientalisti perché “servono” ad ali-mentare il Lupo. Compito prioritario degli enti pre-posti alla conservazione dei grandi carnivori saràproprio quello di lavorare perché, anche attraver-so i mezzi di comunicazione, la visione antiteticatra quelli che sono stati considerati da tempo duemondi diversi, possa evolvere in una sola visioneglobale di gestione del territorio.

RingraziamentiGli autori ringraziano Colomba Macino ed ElenaLiberatoscioli che hanno fattivamente contribuitoall’elaborazione dei dati in ambiente GIS.

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Riassunto Al fine di valutare la natura e l’impatto dei conflit-ti esistenti tra grandi carnivori e attività antropi-che nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molisee nella sua Zona di Protezione Esterna sono stateanalizzate 1996 schede di rilevamento dannifauna relative al periodo 1998-2003. Il 61% dellerichieste di indennizzo sono state considerate e li-quidate come danno da Lupo, il 39% da Orso. Perentrambi i predatori è emerso che pecore e capreadulte rappresentano la categoria zootecnica incui si registra il maggior numero di decessi e chetali eventi seguono un andamento stagionale conun picco nei mesi estivi. L’incidenza della predazione sul bestiame domesti-co è relativamente bassa (1.6%) così come conte-nuti sono risultati sia le uccisioni di massa del be-stiame (>20 capi per attacco), che gli eventi croni-ci di predazione (>6 eventi/ azienda/anno). Relati-vamente all’Orso, si registrano inoltre danni agliapiari, ai pollai (nella maggior parte dei casi pro-vocati dagli individui problematici) e alle coltureagrarie. L’utilizzo di undici recinzioni elettrificate aprotezione degli apiari è corrisposto ad una ridu-zione dei danni del 40% e alla mitigazione dei con-flitti con gli apicoltori. Dall’analisi dei risultati pre-sentati e dall’esperienza acquisita è comunque evi-dente che i programmi di indennizzo perdono di ef-ficacia se non sono sostenuti da programmi di in-formazione, sensibilizzazione e prevenzione.

SummaryThis study was aimed to assess the impact of largecarnivores on human activity in the Abruzzo, Lazioand Molise National Park (central Italy) and its buf-fer zone. We analised 1996 claims of damage cau-sed by large carnivores in 1998-2003 : 61% of theseclaims concerned attacks by wolves, 39% by brownbears. Both predators mostly preyed upon adultsheep and goats; depredations followed a seasonalpattern peaking in summer.Overall impact on livestock was quite low (1.6%),and both surplus killing events (>20 animals kil-led/attack) and chronic events (>6events/farm/year) were rare. Bears often attackedhen houses and beehives (in most cases damagewas caused by problem bears) and crops. Eleven

electric fences used to protect beehives led to a 40%damage decrease and mitigated conflict with far-mers. The results hereby presented, and our perso-nal experience as well, suggest that reimbursementprogrammes are ineffective unless adequate dama-ge prevention and public information activities arealso carried out.

INTRODUZIONELa presenza dei grandi carnivori nel territorio delParco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM)se, da un lato, ha da sempre costituito quel valoreaggiunto che ha calamitato verso il territorio pro-tetto milioni di visitatori, dall’altro ha spinto, nelcorso del tempo, il Parco stesso a cercare semprenuove soluzioni per mitigare l’impatto che questicarnivori avevano ed hanno sulle attività umane.Le soluzioni messe in campo nel corso del temposono state diverse e con diverso impatto (C. Sulli,com. pers.) e come dal Parco sono partite le inizia-tive che hanno portato alla protezione dell’Orso(Ursus arctos marsicanus) prima e del Lupo (Canislupus) poi su tutto il territorio nazionale, così ilPNALM è stato il primo ad attivarsi, in collabora-zione con il WWF Italia, affinché i danni prodottidalla fauna selvatica fossero risarciti (C. Sulli,com. pers.). L’indennizzo dei danni fauna è poipassato alle regioni grazie ad una serie di leggi re-gionali promulgate via via da ciascuna regione ita-liana per poi tornare di competenza dei Parchi gra-zie alla Legge quadro sulle aree protette (L.N.394/91, art. 15 commi 3-4).L’indennizzo non è stato l’unica forma di mitiga-zione dell’impatto adottata nel PNALM: negli anniottanta, per esempio, venne lanciata una campa-gna per l’erogazione di incentivi agli agricoltori peril mantenimento delle tradizionali forme di agricol-tura nel territorio del Parco ed in alcuni settoridella Zona di Protezione Esterna tradizionalmentevocati all’agricoltura. Le forme per l’erogazione ditali incentivi venivano pubblicizzate attraverso ap-positi bandi quinquennali affissi nei comuni ed intutti gli uffici del Parco: le colture interessateerano esclusivamente grano, mais, carote e pianteda frutta (meli e peri). Gli incentivi venivano datiaffinché una parte del prodotto potesse essere di-rettamente consumato dalla fauna selvatica ed in

CONFLITTO TRA GRANDI CARNIVORI E ATTIVITÀ ANTROPICHENEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE: ENTITÀ, ESPERIENZE E PROSPETTIVE DI GESTIONE

The conflict between humans and large carnivores at the Abruzzo, Lazio and Molise National Park (central Italy): assessment,

experiences and management perspectives.

ROBERTA LATINI, CINZIA SULLI °, LEONARDO GENTILE, ALDO DI BENEDETTOServizio Scientifico - Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 151-159, 2005

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R. Latini, C. Sulli, L. Gentile, A. Di Benedetto

particolare all’Orso, facendo così passare l’impor-tante messaggio che, anche il lasciare a disposi-zione della fauna una parte del raccolto, potevaper l’agricoltore essere un vantaggio anziché undanno. Per un breve periodo, sempre negli anni ot-tanta, il Parco ha condotto anche un’analoga cam-pagna in favore degli allevatori di pecore dandoloro un premio in denaro per la buona conduzionedelle greggi: animali in regola con le norme sanita-rie accompagnati da cani, a loro volta sottoposti atrattamenti antiparassitari, conferivano a quell’al-levatore il titolo di possessore di un gregge model-lo e quindi la possibilità di avere un premio perogni singolo animale posseduto. Problemi finan-ziari hanno poi costretto ad interrompere entram-be queste campagne anche se in tempi diversi.Oggi nel Parco l’unico strumento per la mitigazio-ne dell’impatto dei grandi carnivori sulle attivitàumane è rimasto l’indennizzo. Il primo regolamen-to in materia è stato promulgato dal Parco solo nel1997 e prevedeva esclusivamente il risarcimentodei danni provocati da Lupo, Orso e Lince (Lynxlynx) escludendo qualsiasi forma di indennizzo peri danni provocati dagli ungulati, estendendo peròtale risarcimento anche a tutta la zona di prote-zione esterna (ZPE). Tale scelta è frutto di un com-promesso tra le risorse economiche disponibili el’esigenza di estendere tali interventi al di là deimeri confini amministrativi ben conoscendo l’im-portanza che questi risarcimenti hanno nel conte-nere le reazioni di chi si vede danneggiato e benconoscendo anche l’estrema lentezza con cui le re-gioni riuscivano ad erogare i rimborsi.Contestualmente, però, anche nell’ottica di ridur-re nel tempo i costi, il Parco si è attivato in altrimodi dotando, per esempio, gli apicoltori di recin-zioni elettrificate a difesa degli apiari. Il consensoe la partecipazione degli apicoltori è stata massi-ma, e per la prima volta, probabilmente il Parco èstato percepito come un prezioso aiuto per il man-tenimento di attività che altrimenti sarebberostate fortemente penalizzate proprio dalla presen-za delle specie protette.Il presente lavoro esamina incidenza ed entità delconflitto tra Lupo e Orso e attività antropiche nelterritorio del Parco e ZPE negli anni 1998 – 2003.

AREA DI STUDIO E ATTIVITA’ ZOOTECNICHEL’area di studio comprende oltre alla zona delparco, anche la sua Zona di Protezione Esterna esi estende per una superficie complessiva di circa110.000 ha. Si tratta di una zona prevalentemen-te montuosa compresa tra i 300 ed i 2250 m s.l.m.L’area è rappresentata principalmente da boschidi faggio (Fagus sylvatica) alle quote più elevate eda boschi di roverella (Quercus pubescens) e cerro(Quercus cerris) alle quote inferiori. Nelle zone difondovalle la copertura boschiva si interrompe la-sciando spazio ad aree aperte, una volta destinateall’agricoltura oggi in parte in corso di ricolonizza-zione da parte della foresta, in parte occupate dacespuglieti alternati a zone prative utilizzate avolte per il pascolo brado. La fauna del Parco, oltreai grandi carnivori che ne costituiscono l’elemento

caratterizzante (Orso, Lupo e Lince) presentaanche numerose altre specie di piccoli mammiferi,ungulati, uccelli, anfibi e rettili (A.A.V.V. 1971,Pratesi & Tassi 1998). Specificatamente per i car-nivori, sia il Lupo che l’Orso sono sempre stati pre-senti nell’area di studio, nella quale risultanoomogeneamente distribuiti con consistenze ancoranon ben definite ma probabilmente comprese tra i40 – 50 orsi (Zunino 1976, Boscagli 1988, Roth etal. 1990, Fico et al. 1993) e circa 40 lupi (L. Gen-tile & R. Latini dati non pubblicati). Diversa è la si-tuazione per la Lince la cui presenza è testimonia-ta da osservazioni casuali effettuate dal personaledell’Ente Parco e non ancora supportate da datiscientifici. Per questo motivo, numerosi sono an-cora gli interrogativi sull’origine, sulla distribuzio-ne e sulla consistenza di questa specie. L’economia rurale di quest’area, è caratterizzatada piccole aziende zootecniche (n=413) per lo piùstanziali, il 58% delle quali localizzate all’internodel territorio del Parco. Nel 1998 il Parco ha effet-tuato un censimento del bestiame attraverso delleapposite schede presso tutti i Comuni del PNALMe della ZPE; per ogni Azienda sono stati registratinumero e tipo di capi presenti, modalità, tempi etipi di gestione del pascolo. Sulla base dei dati relativi a questa indagine, nel-l’area di studio sono presenti 27.216 capi di be-stiame domestico di cui l’82% è rappresentato dapecore e capre. Le aziende zootecniche di bovini edequini sono le più numerose sul territorio (64%),ma si tratta di aziende piccole e a conduzione fa-miliare: solo il 31% di queste è infatti costituito daoltre 10 capi. Anche le aziende di pecore e di caprecomunque, sono generalmente molto piccole: soloil 13% delle greggi è costituito da un numero su-periore ai trecento capi e il 45% da un numero in-feriore ai cinquanta. Il periodo della monticazione dura circa centoven-ti giorni l’anno e va da giugno a ottobre. Le greggidi pecore e capre sono, nella maggior parte deicasi, sorvegliate da un pastore e da numerosi canida guardiania il cui numero non è ben quantifica-to in quanto la maggior parte di essi non è denun-ciato all’anagrafe canina. Durante il periodo dimonticazione gli animali sono ricoverati, a volte,durante la notte, in recinti provvisori, generalmen-te di dimensioni variabili, costituiti da rete metal-lica, corda o filo spinato. Per gli equini ed i bovinila situazione è diversa: gli animali vengono lascia-ti al pascolo brado prevalentemente in estate,senza alcun tipo di sorveglianza sia diurna sia not-turna. Per quanto riguarda la procedura di indennizzo,questa prevede che l’allevatore che rileva undanno richieda il sopralluogo da parte del perso-nale dell’Ente contattando il Servizio di Sorve-glianza del Parco. Il sopralluogo viene effettuatodalle Guardie del Parco entro le 24 - 48 ore suc-cessive alla richiesta. Una volta accertato il danno,tutte le pratiche con parere favorevole alla liquida-zione, corredate dalla richiesta di indennizzo delproprietario, vengono inviate al Servizio Scientificoche, sulla base dei tariffari della camera di Com-

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mercio delle tre province (Isernia, Frosinone, L’A-quila) provvede alla quantificazione economica deldanno (100% del valore economico dell’animale).Ogni due mesi circa, il Servizio Scientifico invia glielenchi dei danneggiati al Servizio Contabilità cheprovvede alla liquidazione. A causa dei continuiproblemi economici dell’Ente, la liquidazione degliindennizzi avviene molto lentamente e non sempresono rispettati i tempi previsti dalla Legge quadro394/91 (90 giorni dall’accertamento). I tempi dell’indennizzo nel periodo 1998-2003sono variati da un minimo di tre mesi ad un mas-simo di due anni (anno 2001) a partire dalla ri-chiesta del proprietario.

MATERIALI E METODIPer quantificare l’incidenza del conflitto tra Lupoed Orso ed attività antropiche nel territorio delParco, sono state esaminate le schede di indenniz-zo danni fauna accertate ed indennizzate dal Parcotra il 1998 ed il 2003. Considerata la difficoltà, in sede di accertamento,a distinguere il predatore (in particolare Lupo ecane) in base ai segni riscontrabili sulle carcassedegli animali (Fico 1994, Ciucci & Boitani 1998a),è necessario interpretare questi risultati con estre-ma cautela (cfr. Ciucci & Boitani questo volume). IlRegolamento del Parco del 1997 prevedeva, infat-ti, che l’indennizzo fosse corrisposto esclusiva-mente per i danni causati da Lupo, Lince e Orso,escludendo eventuali danni prodotti da cani. E’probabile, che nei casi dubbi, l’accertatore abbiapreferito attribuire al Lupo un evento di predazio-ne causato da un cane, in modo da consentire l’in-dennizzo ed evitare possibili contenziosi e rivendi-cazioni da parte dell’allevatore (avvelenamentodella carcassa, atti di bracconaggio, ecc.). L’inesperienza tecnica degli accertatori ed i pochiresti che si rinvengono nella maggior parte deicasi, hanno inoltre comportato l’inclusione didanni che in realtà erano dovuti ad eventi di mor-talità diversi dalla predazione (morte naturale oaccidentale) (Cozza et al. 1996, Fico & Patumi que-sto volume). Infine, in assenza di elementi chiari, ilrinvenimento, nei dintorni della carcassa di escre-menti dei selvatici ha probabilmente condizionatol’accertatore nell’attribuzione del danno, confon-dendo un evento di predazione (uccisione di unanimale) con il consumo (alimentazione di un ani-male già morto). Nell’impossibilità di distinguere,sulla base dei verbali di accertamento:(a) i danni da Lupo da quelli provocati dal cane,(b) la mortalità da predazione o altre cause, e(c) i casi reali da quelli simulati, è stato deciso co-munque di analizzare le schede così come sonostate prodotte dagli accertatori con la consapevo-lezza che, pur includendo una maggior parte dicasi riferibili a predazione (non quantificabili), i ri-sultati non necessariamente riflettono la reale en-tità della predazione, specialmente nel caso delLupo. Nonostante queste perplessità verranno di seguitoutilizzati termini come predazione, eventi di pre-dazione e numero di capi uccisi per attacco, nel-

l’assunto che la proporzione dei casi che non cor-rispondono a predazione sia trascurabile e non al-teri significativamente le indicazioni generali cheemergono da questa analisi. Le informazioni esaminate a partire da ciascunarichiesta di indennizzo sono state: data dell’even-to, regione e comune dell’allevamento, indennizzoliquidato, perdite subite (specie, capi ed età). Leanalisi sono state condotte considerando tre cate-gorie zootecniche (pecore e capre, bovini ed equini)suddivise in due classi di età: adulti e giovani finoa cinque mesi. Il limite di cinque mesi è stato scel-to a fini di confronto con la predazione sui giovanidegli ungulati selvatici (Scott & Shackleton 1980,Kennedy & Carbyn 1981, Jedrzejewski et al. 1992,Ciucci et al. 1996, Gade-Jørgensen & Stagegaard2000). Per riscontrare eventuali variazioni tempo-rali della mortalità dei capi domestici, i dati sonostati analizzati anche su base stagionale (inverno:21 dicembre - 20 marzo; primavera: 21 marzo - 20luglio; estate: 21 luglio - 20 settembre; autunno:21 settembre - 20 dicembre).Per quanto riguarda l’Orso, sono stati presi in con-siderazione anche i danni provocati alle coltureagrarie ed ai frutteti, ai pollai ed agli apiari. Per stimare l’effetto tra categoria zootecnica, clas-se di età e stagione è stata utilizzata l’analisi dellavarianza a più vie (General Linear Model) con com-parazione di Tukey e successivamente un’ANOVAad una via con il post-hoc di Tukey. Per l’applica-zione dell’ANOVA i dati sono stati normalizzati at-traverso trasformazione logaritmica e quadratica.E’ stato inoltre applicato il test di Bonferroni (Neuet al. 1974) al fine di evidenziare quale categoria èrisultata maggiormente utilizzata rispetto al be-stiame disponibile. Per l’applicazione del test sonostati utilizzati il numero di capi uccisi (conside-rando separatamente pecore e capre) ed il numerodegli animali domestici presenti nell’area di studiosulla base del censimento al bestiame del 1998 as-sumendo che il carico dei domestici non abbia su-bito, in questi ultimi anni, sostanziali variazioni eche tutti i capi siano stati effettivamente pasco-lanti e potenzialmente soggetti a predazione. Peruna più facile discussione dei risultati, nonostan-te siano stati analizzati i dati di tutti i sei anni d’in-dagine, in questo articolo, non essendoci sostan-ziali differenze tra gli anni, saranno riportati solo irisultati più recenti e relativi all’anno 2003. Per evidenziare la cronicità degli attacchi per ognisingola azienda sono state classificate le aziendesulla base del numero delle richieste d’indennizzopervenute ogni anno: 1, 2, 3-5, 6-15, 16-25, >25richieste. È stato considerato come cronico un nu-mero superiore alle sei richieste/azienda/anno.Infine, per misurare l’entità delle perdite per ognievento di predazione, è stata utilizzata la seguenteclassificazione sulla base del numero di capi dece-duti ritrovati in fase di accertamento per ogni ri-chiesta di indennizzo: 1, 2, 3-5, 6-10, 11-20, 21-50, >50 capi. Sono state considerate uccisioni dimassa quelle superiori a 20 capi deceduti/evento.

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RISULTATIComplessivamente sono state accertate e liquidate1996 pratiche di indennizzo. Il 61% di esse è stataattribuita al Lupo ed il 39% all’Orso. L’esborsoeconomico erogato dal Parco nel periodo 1998-2003 ammonta a 824.174,57 Euro così suddivisi:€ 471.321,10 nel territorio del Parco e ZPE rica-dente nella Regione Abruzzo, € 304.701,14 rica-dente nella Regione Lazio e € 48.152,33 nella Re-gione Molise. Queste proporzioni di indennizzonon rispettano le proporzioni di capi presenti nellerispettive tre aree (pecore: χ2=22,236, g.l.=2,P<0,01; bovini: χ2=7,840, g.l.=2, P<0,01; equini:χ2=46,886, g.l.=2, P<0,01). Il 42% dei danni è av-venuto nel territorio del Parco mentre il 58% nellaZPE. Anche in questo caso la proporzione deidanni denunciati non è risultata proporzionalealla disponibilità di capi presenti nelle due aree(χ2=2116, g.l.=1, P<0,01). L’andamento del conflitto, inteso come numero dirichieste accertate ha subito dal 1998 al 2003delle fluttuazioni numeriche con una media (±DS)di 73 ±33 eventi di mortalità/anno per l’Orso e di202 ±45 per il Lupo, con un picco nel 2000 per en-trambe le specie (Fig. 1). La variazione numerica

riscontrata nei sei anni di indagine fa presupporreche, alla base di questo fenomeno, non ci sianoesclusivamente elementi di natura ecologica. Siaper il Lupo sia per l’Orso l’incremento maggiore nelnumero di capi deceduti si registra tra il 1998 edil 1999 (115% per il Lupo e 106% per l’Orso). Nelcaso dei danni attribuiti al Lupo, inoltre, il nume-ro di capi deceduti rimane pressoché costante conuna media di 362 capi/anno (valore medio dei datidal 1998 al 2003 escluso il 2001), eccetto l’incre-mento del 57% nel 2001 rispetto alla media. L’andamento annuale dei capi deceduti rispecchiaquello delle richieste accertate (r=0,95, P<0,05),suggerendo che l’entità del conflitto dipende dallasola frequenza di predazione. Inoltre, un’analisi diregressione lineare condotta per l’intero periodo distudio (n. capi predati vs. anno, n. eventi vs. anno)non ha rilevato tendenze temporali negli indici diconflitto. L’incidenza media annuale della mortalità sul to-tale del bestiame domestico censito è statadell’1,7% e più specificatamente 1,3% per le peco-re, 2,9% per le capre, 1,9% per gli equini e 3,9%per i bovini. Per entrambi i predatori l’analisi haevidenziato un picco estivo nel numero di richieste

Figura 1. Distribuzione annuale del numero medio dei capi predati e degli eventi di predazione di Lupo e Orsonell’area di studio nel periodo compreso tra il 1998 ed il 2003.

Figura 2. Distribuzione mensile del numero medio di capi predati da Lupo e Orso nell'area di studio dal 1998.al 2003.

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accertate (Fig. 2; Lupo: χ2=86, g.l.=11, P<0,01;Orso: χ2=67, g.l.=11, P<0,01. H0: le frequenzemensili sono distribuite secondo una distruzioneuniforme teorica).

LupoIn riferimento a questo predatore sono stati ana-lizzati 1.216 verbali di accertamento per un totaledi 2.166 capi deceduti (Tab. 1) ed una spesa com-plessiva di € 413.266,00.Il numero di capi deceduti per evento è general-mente molto basso: nel 72% delle richieste di in-dennizzo, si registra la perdita di un solo capo dibestiame; le uccisioni di massa, ossia superiori aiventi capi sono molto rare e legate a situazioniparticolari. Queste ultime infatti, rappresentano lo0,24% del totale degli eventi e riguardano esclusi-vamente pecore e capre. Nei sei anni indagati, inoltre solo il 6% delle azien-de colpite ha mostrato cronicità di attacco (supe-riore alle sei richieste/anno) di cui il 52% nellaZPE; nel 45% dei casi, le aziende hanno subito unsolo attacco di cui il 61% localizzate nella ZPE. IlComune che ha registrato il numero più elevato diperdite è Lecce nei Marsi (AQ) con il 29% di capipredati, seguito da Pescasseroli con il 13% (AQ). Il61% dei capi uccisi è rappresentato dalle pecoreche risulta quindi la categoria zootecnica piùcolpita. Dall’analisi dei i limiti fiduciali di Bonferroni i lupihanno effettuato delle scelte tra le diverse catego-rie zootecniche disponibili nell’area di studio(χ2=70, g.l.=3, P<0,01) e la categoria più colpita è

quella delle capre in accordo con quanto già ri-scontrato nell’ambito di un lavoro di ricerca con-dotto sull’alimentazione del Lupo (A. Asprea, com.pers.), insieme agli equini ed i bovini; rispetto allealtre categorie zootecniche, le pecore vengono ingenere utilizzati in proporzione inferiore alla lorodisponibilità. Attraverso l’analisi della varianza a più vie, è stataindagata l’esistenza di eventuali interazioni tra ca-tegorie, classe di età e stagione (Fig. 3). E’ statoevidenziato un effetto significativo delle tre varia-bili ed un’unica interazione significativa tra classedi età e categoria (Tab. 2). Dalla comparazione diTukey è emerso che si ha una minore predazionesulle classi giovanili; che la categoria zootecnicamaggiormente predata è rappresentata da pecoree capre e che la primavera e l’estate sono le sta-gioni in cui il fenomeno della predazione si accen-tua, (probabilmente per la maggiore disponibilitàdi animali sui pascoli, Tab.2). L’interazione traclasse di età e categoria zootecnica ha mostratoche gli adulti delle pecore e delle capre sono la ca-tegoria zootecnica maggiormente predata dai lupi(Tab.2). L’ANOVA ad una via, con post hoc diTukey, applicata per ogni singola categoria zootec-nica ha evidenziato che solo la predazione sui bo-vini ha un andamento stagionale con il numerominore di eventi in inverno rispetto alla primaverae all’estate (Tab. 2). Per quanto riguarda la classedi età, le uniche differenze significative, all’internodi ogni categoria zootecnica, riguardano pecore ecapre con un maggior numero di eventi di preda-zione sulla classe adulta (Tab. 2).

Ovi-caprini Pecore Capre Equini Bovini Totale__________________________________________________________________________________________________Consistenza per tipo di bestiame (anno 1998) 22.259 20.383 1.876 3.135 1.822 27.216

Valore % 75% 7% 11% 7%__________________________________________________________________________________________________

Numero medio di capi deceduti /anno (dati dal 1998 al 2003)__________________________________________________________________________________________________Adultia (media ±DS) 255±127 16±4 17±6Giovanib (media ±DS) 11±7 36±12 22±10__________________________________________________________________________________________________

Numero medio di capi adulti deceduti/anno su base stagionale (dati dal 1998 al 2003)__________________________________________________________________________________________________Inverno (media ±DS) 45±29 4±2 2±1Primavera (media ±DS) 45±26 6±3 4.5±3Estate (media ±DS) 117±89 5±3 6±4Autunno (media ±DS) 255±127 4±4 4±2__________________________________________________________________________________________________

Numero medio di capi giovani deceduti/anno su base stagionale (dati dal 1998 al 2003)__________________________________________________________________________________________________Inverno (media ±DS) 1±1 1±1 2±1Primavera (media ±DS) 3±3 22±8 7±3Estate (media ±DS) 5±4 10± 9±6Autunno (media ±DS) 3±1 3±3 3±4

a : > 5 mesi di etàb : < 5 mesi di età

Tabella 1. – Consistenza del bestiame domestico nell’area di studio (censimento bestiame 1998) e numero mediodei capi il cui decesso è stato attribuito al Lupo, distinti per classe di età e stagione (dati dal 1998 al 2003). (DS= deviazione standard).

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Orso Sono stati effettuati 780 sopralluoghi con parerefavorevole all’indennizzo. I danni provocati dall’Or-so alle attività antropiche non hanno riguardatoesclusivamente le categorie zootecniche considera-te per il Lupo, ma anche danni all’agricoltura, al-l’apicoltura ed agli animali da cortile. In particola-re il 51% degli eventi ha interessato il bestiame do-mestico, il 15% le coltivazioni o i frutteti, il 16% gliapiari ed il 18% i pollai, intesi come piccoli alleva-menti per utilizzazione familiare.

Danni al bestiame domesticoDal 1998 al 2003 sono deceduti, per cause attri-

buite all’orso, 705 capi di bestiame domestico dicui il 50% costituito da pecore e capre (Tab. 1). Laspesa liquidata dal Parco come indennizzo è statadi € 172.079,00. Così come riscontrato per ilLupo, le uccisioni di massa (>20 capi/evento dipredazione) sono eventi molto rari: nel 78% deicasi si ha la perdita di un solo capo di bestiame enel 13% di due capi. Per quanto riguarda la croni-cità degli attacchi, il 49% delle aziende ha subitoun solo evento di predazione/anno di cui il 51%nella ZPE ed il 12% un numero superiore a seiequamente distribuiti (50%) tra PNALM e ZPE.I risultati relativi all’anno 2003 degli intervalli diBonferroni, dal confronto del numero di capi dece-

Test Categoria F P__________________________________________________________________________________________________

ANOVA a più vie tra: stagione x categoria x classe di età stagione F3.6 = 13,05 0,005

classe di etàa F1.6 = 31,5 0,001__________________________________________________________________________________________________

categoria F2.6 = 12,04 0,008Interazioni categoria x classe di età F2.6 = 48,65 0,001

categoria x stagione F6.6 = 1,26 0,39classe di età stagione F3.6 = 3,61 0,08

__________________________________________________________________________________________________

Comparazione di Tukey sull'ANOVA a più vie adulti x giovani 0,001pecore x bovini 0,008pecore x equini 0,02inverno x primavera 0,017inverno x estate 0,006ovi-caprini adulti x bovini adulti 0,001ovi-caprini adulti x equini adulti 0,001ovi-caprini adulti x bovini giovani 0,001ovi-caprini adulti x equini giovani 0,002ovi-caprini adulti x ovi-caprini giovani <0,001

__________________________________________________________________________________________________

ANOVA ad una via stagione x bovini F3.4 = 12,36 0,017classe di età-ovi-caprini F1.6 = 63,96 0,001

a : > 5 mesi di età

Tabella 2. - Risultati dell’ANOVA ad una e a più vie, e relativa comparazione di Tukey, applicata ai capi il cui de-cesso è stato attribuito al Lupo (Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, 1998-2003). Sono state consideratele seguenti variabili: categoria zootecnica, stagione e classe di età.

Figura 3. - Distribuzione stagionale del numero medio di pecore e capre, bovini ed equini il cui decesso è stato at-tribuito a predazione di Lupo (Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e Zona di Protezione Esterna, 1998 – 2003).

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duti con il numero di capi del bestiame pascolan-te indicano, per l’Orso, un maggiore utilizzo deibovini, un sotto utilizzo delle pecore ed un usocommisurato alle disponibilità per capre ed equini(χ2=255, g.d.l.=3, P<0,01). Attraverso l’analisi della Varianza, con post hoc diTukey sono state confrontate le relazioni esistentitra categorie zootecniche, classe di età e stagioni ele loro relative interazioni (Fig. 4). L’unica signifi-catività riguarda la variabile stagione (stagione:F3.4=7,38 P=0,042). La comparazione di Tukey hamesso in evidenza che le predazioni estive sono si-gnificativamente superiori al periodo invernale (in-verno-estate: P=0,034). Le interazioni tra le tre variabili non sono risulta-te significative ad indicare che queste ultime nonsono correlate (categoria x classe di età: P=0,598;categoria x stagione: P=0,598; classe di età x sta-gione: P=0,773).

Danni all’apicolturaI danni all’apicoltura sono concentrati esclusiva-mente nel periodo primaverile ed estivo, quando learnie sono in produzione. Nei sei anni di indaginesono state verificate 135 incursioni dell’Orso alleaziende apistiche per un totale di 564 arnie di-strutte ed una spesa complessiva di € 140.714,00.Circa il 70% (n=96) delle incursioni dell’Orso allearnie è stato provocato negli ultimi quattro annidai due orsi problematici (Latini, dati non pubbli-cati). Un apicoltore ha subito in una sola stagioneventi incursioni per un totale di 134 arnie distrut-te. Il 24% degli apicoltori ha subito una sola in-cursione per stagione di cui il 68% nel territoriodel Parco, mentre il 41% ne ha ricevuto un nume-ro superiore a quattro di cui il 58% nel PNALM.Nel 24% dei casi il danno si è limitato ad una solaarnia (il 67% nel PNALM), mentre nel 44% le arniedistrutte sono state superiori a quattro (il 56% nelPNALM).

Danni agli animali da cortileComplessivamente sono stati effettuati 122 so-pralluoghi ed indennizzati € 18.165,00 per i 1.776capi uccisi tra pollame e conigli. Tutti i danni aipollai sono stati provocati esclusivamente dai due

orsi problematici (R. Latini dati non pubblicati). Iprimi eventi (n=17) si sono registrati nell’anno2000 nell’alta Valle del Sangro; negli anni succes-sivi, i danni a questi piccoli allevamenti si sono tri-plicati. Le strutture che ospitano galline e coniglisono nella maggior parte in lamiera o in legno ed èstato impossibile, anche a causa del loro elevatonumero, intraprendere azioni di protezione.

Danni alle colture agrarieI danni alle colture agrarie avvengono prevalente-mente nella ZPE della Regione Abruzzo dove l’agri-coltura si svolge ancora in maniera intensiva. Idanni alle colture agrarie ed ai frutteti sono co-munque molto limitati: dal 1998 al 2003 sono statieffettuati solo 103 sopralluoghi per un importocomplessivo di € 25.576,00. Le colture maggior-mente colpite sono state radicchio, carote, mais,patate, ortaggi e colture frutticole.

DISCUSSIONE E CONSIDERAZIONIGESTIONALILe analisi fin qui condotte, pur definendo un qua-dro sovrastimato e parziale del conflitto esistentetra predatori e attività antropiche, forniscono co-munque delle utili indicazioni sul monitoraggio esulle modalità di gestione del fenomeno. Il maggior numero di richieste di indennizzo siconcentrano, in accordo con quanto osservato inaltre situazioni italiane ed europee, prevalente-mente nel periodo estivo (Ciucci & Boitani 1998a,1998b, Llaneza et al., 2000) in concomitanza conil periodo di monticazione. In particolare è emersoche il maggior numero di decessi ascrivibili alLupo si registra in settembre, quando aumenta ilfabbisogno energetico dei branchi locali e contem-poraneamente diminuisce la reperibilità di predecome ad esempio i piccoli di cervo (Ciucci & Boita-ni 1998b). Sempre nel caso del Lupo, così comeemerso per altre realtà italiane (Cozza et al.1996,Ciucci & Boitani 1998b) gli adulti di pecore e capresono la categoria zootecnica più colpita, sia acausa della loro maggiore disponibilità numericasul territorio sia per il fatto che i piccoli (agnellinie capretti) vengono tenuti in stalla nei primi mesi

Figura 4. - Distribuzione stagionale del numero medio di capi di pecore e capre, bovini ed equini il cui decessoè stato attribuito a predazione dell’Orso (Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e Zona di Protezione Esterna,1998 – 2003).

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R. Latini, C. Sulli, L. Gentile, A. Di Benedetto

di vita. Inoltre è risultato che solo per i bovini lapredazione ha un andamento stagionale con unpicco nei mesi primaverili ed estivi. Per quanto ri-guarda l’Orso, la stagione è l’unica variabile chesembra giocare un ruolo chiave nella predazione:le predazioni estive sono significativamente supe-riori a quelle del periodo invernale. Nei sei anni diindagine inoltre, è risultato che soprattutto nelprimo periodo (1998-1999) il numero di capi de-nunciati è raddoppiato. Negli anni successivi il nu-mero degli eventi ed il relativo numero degli ani-mali deceduti è rimasto pressoché invariato conun picco nel 2000. Per quanto riguarda il Lupo, ilpicco registrato nel 2001 nel numero di capi è do-vuto al fatto che 96 carcasse di pecore sono statedenunciate e rimborsate in quattro distinti eventidi predazione. Nel caso dell’Orso il picco registratonel 2000 è difficilmente spiegabile. L’assenza didati sulla consistenza, distribuzione e fluttuazionedei predatori nell’area di studio non permette dicorrelare queste variazioni con l’andamento an-nuale dei danni contribuendo a rendere ancorapiù difficoltosa l’interpretazione dei risultati. Nell’area di studio è stato, inoltre, verificato che leuccisioni di massa di bestiame sono eventi estre-mamente rari, difatti nel 78% dei casi per l’Orso enel 72% per il Lupo si ha la perdita di un solo ani-male. I rari casi osservati di surplus killing si sonoverificati in seguito a penetrazione del predatorenel ricovero e all’impossibilità per il bestiame ditrovare vie di fuga, rimanendo così schiacciati emorendo per soffocamento. Anche le aziende conlivelli cronici di mortalità sono poco numerose: il12% nel caso dell’Orso ed il 6% per il Lupo. Globalmente l’incidenza della predazione sul be-stiame domestico è decisamente bassa ed in lineacon quanto osservato in altre aree e per altri pre-datori (Ciucci & Boitani 1998b, Vicente et al.2000). Se si considera, inoltre, che gli eventi dipredazione, in particolare quelli attribuiti al Lupo,sono sovrastimati a causa della difficoltà di distin-guerli da quelli determinati dai cani, l’incidenza siriduce ulteriormente suggerendo che la predazio-ne non rappresenta in realtà una grave minacciaper le attività zootecniche. Inoltre è emerso che all’interno di ogni categoriazootecnica la proporzione dell’esborso economicoerogato dal Parco nelle tre Regioni non è propor-zionale al numero di capi presenti nelle tre aree adindicare che la diversa pressione dei predatori a li-vello regionale è indipendente dalla disponibilitàdel bestiame domestico del territorio. Anche dalconfronto tra l’area del Parco e la Zona di Prote-zione Esterna è emerso che il numero di danni de-nunciati non è proporzionale al numero di capipresenti nelle due aree: nella ZPE vi è un numeromaggiore di richieste rispetto al numero di capi dibestiame disponibili. Nel corso di questi anni si è avuta la sensazioneche spesso i problemi connessi alla tematica deidanni da predatore siano prevalentemente di ca-rattere socio-politico e che la predazione sul be-stiame, vera o presunta, venga strumentalizzataper altri scopi. Ad esempio, i danni provocati dagli

orsi problematici ai pollai hanno generato nume-rose polemiche, tensioni e strumentalizzazioni po-litiche (raccolte firme, petizioni, denunce alla Pro-cura della Repubblica, minacce), nonostante ildanno economico fosse del tutto irrilevante e chela somma erogata come rimborso per i danni cau-sati dagli orsi problematici fosse nettamente supe-riore al valore di mercato. Ad esempio, per il 2003,il valore di mercato di una gallina ovaiola era di €5,30, mentre l’indennizzo erogato per predazioneda Orso è stato di € 9,00.Per limitare i danni agli apiari il Parco ha fornitoin comodato d’uso, come sistema di protezione agliapicoltori più colpiti, delle recinzioni elettriche co-stituite da tre fasce antiurto di colore bianco dellalarghezza di 40mm, poste alla distanza di 40, 80 e140 cm da terra e l’apparato elettrificatore cheemana impulsi elettrici funzionante con una bat-teria a scarica lenta 12 volt e 75 ampere. Tali re-cinzioni hanno consentito di ridurre a zero le in-cursioni da Orso alle aziende apistiche dotate delsistema di protezione. Solo in un caso si sono con-tinuati a verificare danni da attribuire verosimil-mente ad una cattiva gestione dell’impianto. Ilcosto complessivo delle undici recinzioni è stato dicirca € 6.000,00. L’utilizzo delle recinzioni elettri-che dal 2002 ha consentito di ridurre complessi-vamente i danni del 40% con un risparmio di circa€ 27.000,00. Oltre a ridurre i costi, l’utilizzo dellerecinzioni elettriche ha contribuito a mitigare ilconflitto tra apicoltori, Orso e Parco creando unclima di maggiore dialogo e collaborazione tra l’En-te ed il danneggiato. La misura dell’indennizzo, at-tuata anche per aumentare la tolleranza verso igrandi predatori, può paradossalmente produrrel’effetto contrario, sia perché l’indennizzo vieneerogato in modo non selettivo, sia perché vi è daparte degli allevatori la tendenza a considerarel’indennizzo come una forma di sussidio dovuto(Cozza et al. 1996). A dimostrazione di ciò e consi-derando che il parere non favorevole all’indenniz-zo sia stato espresso solo nel 13% dei casi in seianni, le uccisioni illegali di predatori nel Parcohanno continuato comunque ad aumentare (L.Gentile dati non pubblicati). A nostro avviso un corretto accertamento deldanno è un utile accorgimento per ridurre i con-flitti citati sopra e per ottenere dati maggiormenteattendibili sul fenomeno della predazione (cfr. Fico& Patumi questo volume).Le linee individuate dall’Ente Parco in merito aquesto fenomeno sono: elaborazione di un nuovoRegolamento per gli indennizzi con adozione diuna modulistica più dettagliata, la formazione delpersonale accertatore ed il coinvolgimento nell’ac-certamento di personale Veterinario delle ASL(Fico 1992). La vecchia modulistica, infatti, nonprevedeva l’acquisizione di alcune informazionifondamentali per elaborare corrette strategie di ge-stione per il contenimento dei danni e per monito-rare l’efficacia di misure di protezione. Tali misurevanno comunque affiancate ad un programma diincentivazione e informazione agli imprenditorizootecnici basato su una migliore conduzione delle

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aziende zootecniche, sul rispetto della normativasanitaria, sul monitoraggio e la riduzione dellealtre cause di mortalità del bestiame, sulla lotta alrandagismo canino e sulla diffusione di sistemi diprotezione efficaci quali i cani appositamente ad-destrati, le recinzioni elettrificate e la costruzionedi adeguati ricoveri notturni (Fritts et al 1992,Cozza et al. 1996). Parimenti, considerati i tempilunghi per la corresponsione del danno, è oppor-tuno che l’Ente Parco si doti delle procedure am-ministrative adeguate che consentano una rapidaliquidazione dell’indennizzo. Questo suggeriscequanto sia importante affiancare allo strumentodell’indennizzo altre azioni che diano agli allevato-ri la sensazione che i grandi carnivori possono co-munque restare una risorsa per questi territori.

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I. Gatto, F. Rotondaro, P. Serroni

RiassuntoLe pesanti e dirette conseguenze dell’irrisolto con-flitto tra le attività zootecniche ed il Lupo in tuttoil suo areale sono l’uccisione illegale di diversiesemplari, il timore ed il sospetto che riguardanogli aspetti della biologia della specie ed infine ilgiudizio politico/sociale negativo sugli sforzi rivol-ti alla sua conservazione. Per questo motivo dal01/01/2000 al 31/12/2002 l’Ente Parco ha ela-borato e condotto in collaborazione con personaletecnico esterno il progetto “Salvaguardia del Luponel Parco Nazionale del Pollino” cofinanziato dallaComunità Europea nell’ambito del programma LifeNatura nel quale largo spazio è stato dato all’ana-lisi di tale conflitto ed alla individuazione di possi-bili strategie di coesistenza tra predatore ed attivi-tà antropiche. A tal fine, relativamente agli annidal 1998 al 2003, è stata ricostruita una visionedettagliata della distribuzione del fenomeno preda-torio nel territorio del parco analizzando le richie-ste d’indennizzo inoltrate dagli allevatori all’EnteParco Nazionale del Pollino. Sono state inoltre in-dividuate le aree critiche ed, all’interno di esse, leaziende che soffrono di livelli cronici di predazioneintesi come il verificarsi di più di un evento preda-torio per anno. Il numero totale degli eventi preda-tori accertati avvenuti nei sei anni oggetto di stu-dio è pari a 340, con un minimo nel 1998 (7% deglieventi) ed un massimo nel 2001 (26%). Dal 1998al 1999 è stato osservato un incremento del 41%del numero di denuncie, seguito da incrementi an-nuali del 25% e 38% nei due anni successivi, conun incremento medio annuale dal 1998 al 2001del 34%. Dal 2001, si registra invece una lieve fles-sione, con un decremento medio nel numero dieventi accertati di circa il 25%. Del totale di capipredati nei sei anni (n=1394), l’81,4% ha interes-sato pecore e/o capre, ed il 18.6% bovini, e unamedia di 42 aziende zootecniche l’anno hanno su-bito danni da predatori. Mediante interviste infor-mali agli allevatori è stata inoltre effettuata un’in-dagine sulle caratteristiche delle aziende e sulletecniche di conduzione del bestiame, nonché unsondaggio d’opinione sull’attuale programma diindennizzo. In questo lavoro si presentano i dati dibase relativi al conflitto tra Lupo e attività zootec-

nica nel Parco Nazionale del Pollino e se ne discu-tono le implicazioni in prospettiva di strategie diintervento e mitigazione più efficaci.

SummaryThe direct consequences of unsolved wolf-livestockconflicts are illegal wolf-killing, fear of the predator,and negative socio-political attitudes about conser-vation efforts. For these reasons, the Pollino Natio-nal Park administration carried out 2000 to 2002the project “Salvaguardia del Lupo nel Parco Nazio-nale del Pollino”, co-funded by the European Unionthrough the Life Nature 1999 financial plan. In thisproject emphasis has been given to wolf-humanconflicts, with the aim to define effective strategiesfor the coexistence between wolf and human activi-ties. The distribuition of livestock depredations inthe National Park has been analysed from 1998 to2003, by compiling the verified claims for reimbur-sement that shepherds addressed to the Park ad-ministration. Besides, some critical depredationareas have been localized and chronic farms iden-tified. During the six years analysed, tallied number of ve-rified claims involved a total of 340 depredationevents, from a minimum in 1998 (7% of all events)to a maximum in 2001 (26%). An increase in verifieddepredations (41%) has been observed between thefirst and the second year, and during the followingthree years an average increase of 34% was recor-ded annually. A decrease in verified claims hasbeen recorded in both 2001 and 2003, at an avera-ge rate of 25% per year. As from verified complaints,1,394 heads of livestock have been prayed (1998 –2003), 81.4% of which were sheep and goats and18.6% cattle. Verified depredation events involvedan average of 42 farms per year. Through informal interviews, we further investiga-ted characteristics of livestock farms and hu-sbandry techniques, and we carried out an opinionsurvey among shepherds about the current com-pensation program adopted by the park admini-stration. In this paper we present data concerningwolf-livestock conflict in the Park, and we discusstheir implications for a more effective preventionand mitigation strategy.

MONITORAGGIO DEL CONFLITTO TRA LUPO E ZOOTECNIANEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO: QUANTIFICAZIONE DELFENOMENO ED INDAGINE CONOSCITIVA SULLE TIPOLOGIE DI ALLEVAMENTO E SULL’ATTEGGIAMENTO DEGLI ALLEVATORI

ISABELLA GATTO*, FRANCESCO ROTONDARO** °, PIETRO SERRONI*** *Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo - Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

**Ente Parco Nazionale del Pollino - Settore Conservazione Promozione e Divulgazione ***Ente Parco Nazionale del Pollino - Settore Conservazione Promozione e Divulgazione

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 160-168, 2005

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Biol. Cons. Fauna 115

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INTRODUZIONEI comprensori montuosi inclusi nel Parco Naziona-le del Pollino hanno rappresentato fin dai tempistorici capisaldi importanti per il Lupo Canis lupusa livello regionale e nazionale. Fin dai primi anni’70, quando si presume che la specie abbia rag-giunto il minimo storico a livello nazionale, laprima attività di censimento diretto su ampiascala rilevava nuclei stabili nel comprensorio delPollino (Zimen & Boitani, 1975). Nei primi anni ’80la presenza del Lupo nell’area del Pollino veniva ri-conosciuta sia per il massiccio del Pollino vero eproprio che per la regione dell’Orsomarso, in con-tinuità potenziale con la Catena Costiera (Boitani& Fabbri 1983b).Il Lupo può considerarsi presente in gran parte delterritorio del Parco Nazionale del Pollino, essen-zialmente in virtù delle ampie dimensioni delparco e della sua collocazione che interessa nu-merose e vaste zone ecologicamente idonee allastabilizzazione spaziale di nuclei riproduttivi dellaspecie (Ciucci e Boitani 2004). In sintesi la pre-senza del Lupo nel Pollino è stata confermata datempi storici fino ad oggi, ma allo stesso temponon si può negare il fatto che elevati e ricorrentieventi di uccisione illegale hanno avuto e conti-nuano ad avere un ruolo critico nell’influenzare ladensità locale e le fluttuazioni della specie nel ter-ritorio (Boitani 2002).L’attitudine del Lupo a predare bestiame domesti-co, ed il conseguente impatto sulla zootecnia è unfenomeno antichissimo ed un problema attual-mente in crescita. Danni da predazione a caricodel patrimonio zootecnico si registrano in ognizona dell’areale attuale del Lupo ed hanno rappre-sentato da sempre la principale causa delle cam-pagne di eradicazione cui la specie è stata sogget-ta. L’Ente Parco sin dalla sua nascita ha sempreprevisto un programma di indennizzo per i dannida Lupo sul bestiame domestico che nel corsodegli anni si è sempre più affinato. Si è passati daun riconoscimento del 15% del valore del capopredato nei primi anni (1994-95), per passare al30% dal 1995 al 1999, fino ad arrivare all’attualeregolamento di indennizzi che riconosce l’80% deldanno subito. Inoltre con l’attuale regolamento siè cercato di semplificare tutti gli adempimenti chel’allevatore deve fare per richiedere l’indennizzo.L’allevatore che subisce il danno deve richiedere ilsopralluogo di un veterinario dell’A.S. competenteper territorio entro 24 ore dall’evento di predazio-ne ed informare l’Ente parco o il Comando Stazio-ne del C.F.S. competente per territorio. Il veterina-rio che effettua il sopralluogo se rileva che il dannoè stato causato da Lupi rilascia un certificato chelo attesta e nello stesso indica il numero di capiuccisi distinti per specie, razze, età e peso vivo, lalocalità e la data dell’evento. La richiesta di inden-nizzo va presentata all’Ente Parco entro 20 giornidall’evento dannoso con allegato il certificato delveterinario. L’Ente Parco valutata la richiesta diindennizzo provvede entro 60 giorni alla conces-sione o al diniego dell’indennizzo relativo.Sebbene una porzione elevata, ma ancora oggi non

esattamente quantificabile, dei danni alla zootecniasia altresì imputabile alla presenza di cani vaganti(Rowley 1970; Boitani & Fabbri 1983a, 1983b),l’uccisione illegale, che resta tra le cause principa-li di morte di lupi in Italia (Ciucci & Boitani 1998a),è conseguenza dell’irrisolto conflitto tra Lupo e set-tore zootecnico ed evidenzia l’atteggiamento e lapercezione delle popolazioni interessate.Alla luce di ciò, il Parco Nazionale del Pollino dal1999 al 2004 è stato promotore di un progetto diEcologia e Conservazione del Lupo condotto dal-l’Università di Roma “La Sapienza”. In sinergia contale studio l’Ente Parco è stato beneficiario di unprogramma Life Natura (LIFE99NAT/IT/006209)relativo alla “Salvaguardia del Lupo nel Parco Na-zionale del Pollino” nel quale largo spazio è statodato al conflitto ed alla coesistenza tra predatoreed attività antropiche locali, prevedendo, in parti-colar modo, la concessione gratuita di strumenti diprevenzione (cani da guardiania e recinti elettrifi-cati) a quegli allevatori che nel corso degli annihanno subito ripetutamente danni da Lupo.In questi anni di studio, con la raccolta, la quan-tificazione ed il monitoraggio dei singoli episodi dipredazione su bestiame domestico segnalati al-l’Ente Parco si è cercato: a) di ricostruire dettagliola distribuzione del conflitto nell’intero del territo-rio del parco, e b)di individuare le zone critiche e,all’interno di esse, le aziende che soffrono di livel-li cronici di predazione cui affidare i sistemi di pre-venzione previsti (reti elettrificate e cani da guar-diania). Infine, mediante interviste dirette agli alle-vatori, è stata effettuata un‘indagine conoscitivasulle caratteristiche delle aziende e sulle tecnichedi conduzione del bestiame, oltre che un sondag-gio di opinioni mediante l’impiego di un questio-nario sull’attuale regolamento per indennizzo deidanni da fauna approvato e utilizzato dall’EnteParco al fine di evidenziarne eventuali aspetticritici.Senza una conoscenza dettagliata dell’entità edella localizzazione degli eventi predatori, dell’ef-fettivo dimensionamento degli armenti, e delle ca-ratteristiche aziendali, risulta difficile, se non im-possibile, sviluppare delle strategie di prevenzioneadeguate e tanto meno riuscirne a verificare l’effi-cacia.Vengono qui presentati i risultati dell’analisi delconflitto tra predatore e settore zootecnico relativiall’intero territorio del Parco Nazionale del Pollinodal 1998 al 2003.

METODIRaccolta datiPer la quantificazione dei danni provocati dal Luposul bestiame domestico sono state esaminate det-tagliatamente le richieste d’indennizzo inoltratedagli allevatori all’Ente Parco Nazionale del Pollinoe sottoposte ad accertamento dal personale veteri-nario delle A.S.L. e dagli agenti del Corpo Foresta-le dello Stato negli anni che vanno dal 1998 al2003. Le informazioni raccolte ed utilizzate sonostate: data dell’evento; data della richiesta di in-

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I. Gatto, F. Rotondaro, P. Serroni

dennizzo; nome e codice dell’azienda interessatadalla predazione; località in cui è avvenuto l’even-to; Provincia e Comune di residenza dell’alleva-mento; perdite subite dall’allevatore (numero deicapi uccisi, specie ed età).Considerato l’esiguo numero di richieste di risarci-mento relative a equini e suini probabilmente acausa della scarsa presenza sul territorio oggettodi studio delle relative aziende al fine della pre-sente analisi sono state considerate esclusivamen-te le predazioni su pecore e capre e bovini.I dati riguardanti l’ammontare delle richieste di ri-sarcimento, e le somme effettivamente liquidatedall’Ente Parco dal 1998 al 2003, sono stati estra-polati dagli archivi dell’ufficio preposto dell’Ente.E’ stato così calcolato il totale liquidato dall’Entenei sei anni per evidenziare anche in questo casolivelli di cronicità aziendale.

Censimento della zootecnia e verifica dei datiSono state quantificate le aziende presenti sul ter-ritorio del Parco, facendo richiesta alle A. S .L.delle informazioni relative al dimensionamentodegli allevamenti. Per la Regione Calabria sonostate contattate le A.S L. 1, 2 e 3 (Paola, Castrovil-lari e Rossano) e per la Regione Basilicata le A.S.L.4 e 5 (Lagonegro e Montalbano Ionico). I dati si ri-feriscono al censimento del dicembre 1999.Al fine di poter valutare l’effettiva consistenza delleaziende presenti nel territorio, ed eventualmenteprodurre indici di correzione sono state sottopostea verifica, tramite conteggio completo degli armen-ti al pascolo 60 aziende selezionate casualmentesu base comunale e suddivise in base alla tipolo-gia del bestiame (53% pecore e capre, 35% bovinie 12% altro). Il conteggio dei capi per ogni aziendaindividuata è stato effettuato da tre operatori pre-feribilmente in assenza dell’allevatore. Gli operato-ri, per ogni azienda, hanno provveduto al conteg-gio degli animali attraverso l’uso di binocoli men-tre il bestiame era al pascolo. La soglia scelta perritenere i dati ASL attendibili è stata fissata ad unoscarto medio di 2 capi per ciascuna tipologia di al-levamento.

Indagine conoscitiva sulle aziende e sondaggiod’opinioneAl fine di approfondire lo studio condotto in rela-zione alle caratteristiche delle aziende, alle moda-lità di conduzione degli allevamenti ed alle opinio-ni degli stessi allevatori è stata svolta un’indagineconoscitiva mediante sopralluoghi e interviste adun campione selezionato (n=120) casualmentedalla lista dei nominativi forniti dalle A.S.L. Sonostati, quindi, messi a confronto i risultati di 60questionari, sottoposti ad allevatori che nonhanno subito (o denunciato) danni da predatori,con quelli di altrettanti questionari somministratiad allevatori, che hanno denunciato attacchi daparte del predatore. I due campioni sono statistratificati in base alla tipologia di produzione, conil 60-64% di allevatori di pecore e capre ed il 30-32% di bovini. Lo scopo di tale confronto è statoquello di evidenziare analogie o differenze tra le

tecniche di gestione degli allevamenti.Inoltre, un sottocampione di 46 tra i 120 alleva-menti contattati è stato coinvolto in un sondaggiocon specifiche domande relative ad alcuni aspettidel sistema di indennizzo attualmente utilizzatodall’Ente Parco (procedure di accertamento deldanno, modalità di denuncia, prassi burocratiche,percentuali di indennizzo ecc.). Il fine è stato di va-lutare il grado di conoscenza dell’allevatore delprogramma e di evidenziarne possibili aspetticritici.

Analisi dei datiL’obiettivo primo che ci si è posti nell’analisi deidati è stato quello di verificare l’influenza delle tec-niche di allevamento sull’incidenza della predazio-ne al fine trarre indicazioni gestionali utili allaconservazione del Lupo.Le richieste di indennizzo pervenute al Parco sonostate divise per anno analizzando percentualmen-te l’andamento delle richieste, il tipo di allevamen-to, la distribuzione comunale delle aziende colpitee l’incidenza economica su base annuale. Si èvisto, quindi, se tra le aziende e tra i comuni ci fos-sero dei casi di ricorrenza di attacchi da Lupo evi-denziando situazioni di cronicità, intesa come ilverificarsi di più di un attacco per anno. Per quan-to riguarda la densità delle aziende e dei capi perterritorio comunale si sono utilizzati i dati fornitidalle A.S.L. competenti per territorio. Per i territo-ri comunali ricadenti solo in parte entro i confiniamministrativi del Parco, le stime di densità sonostate espresse per l’intera superficie comunalenon essendo stato possibile conoscere l’esatta ubi-cazione catastale delle singole aziende o la localiz-zazione dei terreni di pascolo.

RISULTATIDistribuzione ed entità della predazione sul be-stiame domesticoIl numero totale degli eventi predatori denunciatinei sei anni oggetto di studio è pari a 340, con va-riazioni nel corso degli anni (Tab. 1). Tra il primoed il secondo anno, si osserva un incremento delnumero di denuncie del 41%, tra il secondo ed ilterzo anno del 25% e tra il terzo ed il quarto annodi circa il 38%, con un incremento medio nei quat-tro anni pari al 34% (Fig. 1). Tra il 2001 e gli ulti-mi due anni oggetto di studio (2002 e 2003), si re-gistra invece una lieve flessione del dato, corri-spondente in media al 25% (Fig. 1). Interpretandol’andamento del numero dei danni dal 1998 al2003 con una regressione logaritmica si evidenziaper gli anni seguenti lo stabilizzarsi del numero didanni denunciati (Fig. 1). Il numero totale di capipredati segnalati nei sei anni è 1.394 di cui l’81,4% tra capre e pecore ed il 18,6% di bovini conampie variazioni annuali (Fig. 2). In media, leaziende interessate da eventi predatori ogni annosono circa 42, da un minimo di 20 nel 1998 ad unmassimo di 64 nel 2001 (Tab. 2), che corrispondo-no rispettivamente allo 0,78% ed allo 2,47% delleaziende attive sul territorio.

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In termini di ricorrenza d’attacco, le aziende chehanno subito più di un attacco nel corso del 1998sono 2 (10%), percentuale che tende ad aumenta-re negli altri anni; casi di cronicità si riscontrano,quindi, in tutti gli anni (Tab. 2). Il maggior nume-ro di aziende che presentano più di due eventi pre-datori all’anno si ha invece nel 2001, per un tota-le di 6. Di questi allevamenti solo uno è presenteripetutamente in 4 dei 6 anni oggetto di studio,mentre 2 aziende solo in 2 anni; per il resto si os-servano casi di cronicità limitata ad un solo anno.Le aziende che hanno presentato domanda di in-

dennizzo dal 1998 al 2003 ricadono in 33 comunidel Parco sul totale di 56 (58,9%); relativamentealla variazione su base annua dei comuni interes-sati, essa risulta al massimo pari al 41% sul tota-le dei comuni nel parco (Fig. 3). Anche a livello comunale si riscontra cronicità delconflitto: quattro comuni, pari al 12% sul totale diquelli coinvolti, compaiono in tutti gli anni di stu-dio; tre in almeno cinque anni e sette in almenoquattro anni.L’ammontare totale dei costi liquidati dall’EnteParco, nel corso dei sei anni di studio, è pari a €

165.172,59 con una media annuale di €

27.528,76, da un minimo nel 1998 ad un massi-mo nel 2001 (Tab. 3). Escludendo il 2001, quandola distribuzione delle percentuali di indennizzo li-quidato per azienda risulta alquanto omogenea(nessun allevamento supera mai il 5% di inciden-za sul totale liquidazioni), negli altri anni si assistead una elevata concentrazione dell’ammontare deidanni a carico di un numero ridottissimo di azien-de. Ad una azienda in particolare, sul totale delleaziende coinvolte nel 1999, si attribuisce il 36,8%della liquidazione totale annua. La stessa aziendanel 2000 incide per il 43,2% sull’indennizzo com-plessivo, per il resto distribuito fra altre trenta-quattro unità. Nel 2002 e 2003, l’allevamento inquestione contribuisce da solo rispettivamente il25,8% e il 23,4% del totale dei risarcimenti. Nelcorso dei 6 anni l’ammontare di indennizzo richie-sto dalla singola azienda è di € 34.380,89, pari al20.8% del totale liquidato dal parco.

Figura 1. - Andamento annuale del numero di eventipredatori accertati negli anni dal 1998 al 2003 nelterritorio del Parco Nazionale del Pollino.

anno n. di eventi predatori n. ovi/caprini predati n. bovini predati__________________________________________________________________________________________________

1998 24 67 641999 41 243 192000 55 180 282001 90 310 322002 67 131 652003 63 204 51

__________________________________________________________________________________________________

media (±DS) 56,7 ± 22,7 189,2 ± 85 43,2 ± 19,6

Tabella 1. – Numero di eventi predatori e di capi predati per tipo di allevamento – pecore, capre e bovini (ParcoNazionale del Pollino, 1998-2003).

Comuni n. di aziende con anno n. aziende coinvolte n. eventi predatori coinvolti più di un attacco subito

__________________________________________________________________________________________________

1998 20 24 10 21999 30 41 12 72000 38 55 21 92001 64 90 20 122002 54 67 19 82003 48 63 23 9

__________________________________________________________________________________________________

media (±DS) 42,3 ± 16,2 56,7 ± 22,7 17,5 ± 5,2 7,8 ± 3,3

Tabella 2. – Numero degli eventi predatori a carico delle aziende di pecore e capre e di bovini (Parco Nazionaledel Pollino, 1998-2003).

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I. Gatto, F. Rotondaro, P. Serroni

Densità delle aziende nel territorio del Parco edimensioni delle greggiIn base ai dati A.S.L. risulta che il numero totaledi aziende zootecniche presenti nel territorio delParco è di 2.593, con circa il 60% di allevamenti dicapre e pecore, il 38% di bovini ed il resto di suinied equini. La densità delle aziende nel territoriodel Parco riferita ai singoli territori comunali, nonappare uniforme, e i valori sono stati pertantoraggruppati in tre classi principali: comuni chepresentano densità relativamente basse (<0,9aziende/km2), comuni che presentano densità in-termedie (1 – 1,9 aziende/ km2), comuni con den-sità elevate (≥ 2 aziende/ km2) (Fig. 4). I risultati ottenuti dal conteggio diretto dei capicondotto sul sottocampione di aziende sul sotto-campione di aziende hanno confermato una suffi-ciente attendibilità dei dati A.S.L. ai fini della pre-sente analisi, con uno scarto medio (n=46) di 1,1capi per azienda nel caso di capre e pecore, 0,7 peri bovini, 0,1 per i suini ed 1 per gli equini.Non si è ritenuto quindi necessario applicare indi-ci di correzione ai dati ufficiali A.S.L. estrapolati

dai tabulati aggiornati al 1999.

Indagine sulle tipologie di allevamento e atti-tudine degli allevatoriI risultati del questionario, relativamente al verifi-carsi della predazione ed alla tipologia di condu-zione, sono schematizzati in Tab. 4.Da un confronto dei risultati ottenuti dai due cam-pioni (allevatori che hanno presentato denuncia edallevatori apparentemente esenti da predazione) sievince che per quanto concerne gli allevamenti dipecore e capre non ci sono sostanziali differenzesulla scelta di stagionalità di pascolo. Nel caso deibovini, il campione di allevatori danneggiati rivelauna tendenza a non differenziare il tipo di pascolotra estate ed inverno. Tangibile è invece la diffe-renza tra i due campioni di allevatori, sia per gliovi/caprini che per i bovini, rispetto alle tecnichedi conduzione degli armenti al pascolo.

Opinioni degli allevatori sull’attuale sistema diindennizzoIl livello di conoscenza dell’attuale sistema di in-dennizzo è sovrapponibile tra i due gruppi di alle-vatori (quelli che non hanno e quelli che hanno de-nunciato danni). In entrambi i casi infatti circa il70% di allevatori non ha mostrato una conoscen-za approfondita del sistema di indennizzo in vigo-re. Inoltre, da un totale di 46 risposte si evince chegli allevatori sono critici con l’attuale programmad’indennizzo essenzialmente in relazione a: l’entitàdel rimborso considerata insufficiente (31%); le ec-cessive difficoltà burocratiche per l’espletamentodella pratica (26%); le spese di smaltimento dellacarcassa non contemplate nell’indennizzo (24%);la scarsa valutazione dei danni indotti (19%).Viene anche riconosciuta l’esigenza di un risarci-mento che contempli anche i capi feriti gravemen-te, il cui decesso avviene solitamente dopo le 48ore previste come limite massimo di accertamento.Nel 65% dei casi invece, gli allevatori rispondonoche nessun aspetto dell’attuale sistema di inden-

Figura 3. – Distribuzione annuale del numero di comuni coinvolti da eventi predatori (Parco Nazionale del Pollino, 1998 - 2003).

anno Indennizzo richiesto Indennizzo liquidato_______________________________________________

1998 3.935,40 1.180,621999 86.303,56 25.890,652000 41.012,87 16.970,052001 52.557,23 40979,562002 51.597,32 41.284,242003 50.066,77 40.053,42_______________________________________________

media 47.578,86 27.726,42(±DS) ( ±26.437,10) ( ±16.341,14)

Tabella 3. – Ammontare (in Euro) su base annualedegli indennizzi richiesti e degli indennizzi liquidati,per danni da Lupo su bestiame domestico(Parco Nazionale del Pollino, 1998 - 2003).

Figura 2.– Distribuzione annuale del numero di eventi predatori accertati e del relativo numero di capi in base alla categoria (pecore e capre, bovini) (Parco Nazionale del Pollino, 1998 - 2003).

Anni

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nizzo può essere ritenuto valido. Solo il 5% degliintervistati ritiene valida la clausola che prevede ladecurtazione della percentuale di indennizzo sel’azienda che ha subito danni non adotta sistemidi prevenzione.

DISCUSSIONELa quantificazione ed il monitoraggio dei casi dipredazione da parte del Lupo sul bestiame dome-stico sono strumenti essenziali per intervenire sulconflitto tra predatore e attività antropiche. Seb-bene i costi di indennizzo e il numero di capi pre-dati, estrapolati dai verbali di certificazione, nonsiano gli indici ottimali della predazione del Luposu bestiame domestico (Ciucci & Boitani 1998b,questo volume), sarebbe opportuno mantenereuna banca dati aggiornata per affinare nel tempola portata e l’efficacia di programmi di indennizzo. Lo scopo di questo lavoro è stato di fornire unabase di conoscenza strumentale per la delineazio-ne degli indirizzi di intervento sia diretti agli alle-vatori sia a livello politico nei rapporti con le altreamministrazioni coinvolte nella problematica. Idati dei verbali di certificazione riferiti al periodo1998-2003 confermano la maggiore incidenza dipredazioni sugli ovi-caprini rispetto ai bovini, esono in linea con altri studi sul fenomeno condot-ti in diverse località italiane (Meriggi 1991, Bra-

vaccini 1993, Fico et al. 1993, Meriggi 1995, Ciuc-ci & Boitani 1998b). Essi rispecchiano tra l’altro ladensità relativa delle due tipologie di bestiame sulterritorio (ISTAT 1999). E’ comunque azzardato in-terpretare le due serie di dati (denunce degli even-ti predatori e censimenti A.S.L.) in termini di even-tuali processi selettivi operati dal Lupo, in quantovanno considerate molte altre variabili, tra le qualiil diverso grado di accessibilità delle due tipologiedi bestiame, le tecniche di conduzione degli ar-menti al pascolo, la dislocazione e la stagionalitàdei terreni di pascolo rispetto ai territori frequen-tati. Difficilmente quantificabile tra queste è lapercentuale di danni che non vengono denunciati.I motivi della mancata denuncia, sebbene sia diffi-cile stabilire il peso di ognuno, possono essere ri-cercati tra: la diffusa pratica del pascolo brado chespesso non consente, soprattutto durante l’inver-no ed in assenza di controllo costante, la indivi-duazione delle carcasse degli animali predati, ele-mento indispensabili per la richiesta di indenniz-zo; la mancata conoscenza dell’attuale regolamen-to di indennizzo e la confusione fatta spesso conquello applicato dalle province, nella diffidenzapregiudiziale nei confronti dell’istituzione parco,legata anche alla delusione dell’allevatore derivan-te dalla necessità di un suo ruolo attivo di cam-biamento a fronte della semplice istanza di risolu-zione di un problema. Su tutti questi aspetti agi-

Aziende che non hanno subito danni Aziende che hanno subito danni__________________________________________________________________________________________________

42 Aziende di ovi-caprini: 36 Aziende di ovi-caprini:

23 utilizzano gli stessi pascoli nelle varie stagioni 25 non utilizzano pascoli diversi nelle varie stagioni- 17 utilizzano pascoli recintati - 1 utilizza pascoli recintati - 4 utilizzano pascoli bradi con controlli saltuari - 18 utilizzano pascoli bradi con controlli saltuari- 2 mantengono gli animali chiusi in stalla - 5 utilizzano pascoli bradi

- 1 utilizza pascoli bradi con controlli saltuarialternati a pascoli recintati

19 utilizzano pascoli differenti nelle varie stagioni 11 utilizzano pascoli differenti nelle varie stagioni- 15 utilizzano pascoli recintati in inverno e - 9 utilizzano pascoli bradi in inverno e pascolipascoli bradi con controlli saltuari in estate bradi con controlli saltuari in estate

- 4 mantengono gli animali in stalla durante l’inverno - 2 mantengono gli animali in stalla durante l’inverno e utilizzano pascoli recintati durante l’estate e utilizzano pascoli bradi con controlli saltuari in estate

__________________________________________________________________________________________________

18 Aziende di bovini: 24 Aziende di bovini:

8 utilizzano gli stessi pascoli nelle varie stagioni 21 utilizzano gli stessi pascoli nelle varie stagioni- 5 utilizzano pascoli recintati - 1 utilizza pascoli recintati - 3 utilizzano pascoli bradi con controlli saltuari - 18 utilizzano pascoli bradi con controlli saltuari

- 2 utilizzano pascoli bradi

10 utilizzano pascoli differenti nelle varie stagioni 3 utilizzano pascoli differenti nelle varie stagioni- 9 utilizzano pascoli recintati in inverno e pascolo - 2 utilizzano pascoli bradi in inverno e pascoli bradibradi con controlli saltuari in estate con controlli saltuari in estate

- 1 utilizza sempre pascoli bradi con controlli saltuari - 1 mantiene gli animali in stalla durante l’invernoe utilizzano pascoli recintati in estate

Tabella 4. - Sintesi dei risultati del questionario presentato agli allevatori (Parco Nazionale del Pollino).

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< 0,9 aziende/km2

da 1 a 1,9 aziende/ km2

≥ 2 aziende/ km2

sce, inoltre, il fatto che sono pochissime le azien-de ovi-caprine di dimensioni medio grandi nellearee di montagna del Pollino, dove invece insisto-no molti piccoli allevatori in età molto avanzata iquali sono naturalmente restii a giocare un ruoloattivo nella risoluzione del conflitto con il Lupo.E’ quindi assolutamente necessario prevederenella progettazione dei singoli interventi mirati allaconservazione del Lupo anche la ricerca di un rap-porto diretto ed attivo di assistenza agli allevatori,oltre che per evidenti motivi tecnici, anche per al-leviare la percezione sociale di una contrapposizio-ne conservazione/attività zootecniche utilizzandola mitigazione del conflitto come intervento attivodi conservazione.L’incremento nei danni segnalati dal 2000 in poirisente dell’entrata in vigore al giugno del 2000dell’attuale sistema di indennizzo del Parco, chenel 2001 è ormai a pieno regime e prevede unpiano più articolato ed oneroso del precedente: in-cremento della percentuale di indennizzo dal 30%all’80%, minori tempi di liquidazione, snellimentodelle procedure burocratiche ecc.L’andamento del conflitto subisce invece una lieveflessione e stabilizzazione nel 2002 e 2003, a con-ferma che oltre al quadro normativo, molteplicialtri fattori possono influenzare il livello di conflit-to tra Lupo e bestiame domestico. Rispetto alla

estensione territoriale del Parco l’analisi della dis-tribuzione dei danni, ritenuta indispensabile e piùvolte messa in risalto per una risoluzione efficacedel problema (Fico et al.1993, Cozza et al. 1996,Ciucci & Boitani 1998a,b), è quindi fondamentaleper individuare livelli cronici di predazione ed otti-mizzare gli sforzi nell’ambito di ogni intervento.Sia a livello aziendale che comunale si assiste adeventi di cronicità localizzata, con la presenza dizone ed aziende circoscritte. I territori in cui rica-dono le aziende individuate sono caratterizzati dadensità medio alte di allevamenti (1 – ≥ 2 aziende/km2); inoltre in tutti i comuni caratterizzati da li-velli cronici di predazione è stata accertata la pre-senza di almeno una unità riproduttiva di lupi(Ciucci & Boitani 2004). È da sottolineare a questoproposito la notevole incidenza di un solo alleva-mento che in ben quattro anni ha assorbito da unminimo del 23,4% ad un massimo di 43,2% del to-tale degli indennizzi liquidati dall’Ente ciascunanno. Il caso in questione è stato analizzato da piùpunti di vista ed è emerso che i fattori critici po-trebbero riscontarsi nel fatto che si tratta di un al-levamento di bovini ed equini di grandi dimensio-ni condotto con la tecnica del pascolo brado concontrolli episodici, e che l’area di pascolo è moltoampia ed è a ridosso di una delle aree boscate piùgrandi del Parco. A livello della stessa azienda è

Figura 4. - Densità delle aziende zootecniche nel territorio del Parco calcolata su base comunale (aziende/km2) (Parco Nazionale del Pollino, dati A.S.L. 1999).

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stata ritenuta inutile la concessione a titolo gra-tuito di cani da guardiania in quanto il bestiame èdisperso su numerosi ettari di pascolo ed anche laconcessione di un eventuale recinto elettrificatosarebbe stato di difficile attuazione.Relativamente all’incidenza degli attacchi l’utilizzodi differenti tecniche di conduzione degli armentirisulta determinante come emerge dal confrontodei dati relativi alle aziende che non hanno subito(o denunciato) e quelle che hanno invece denun-ciato attacchi mentre, al contrario, la scelta di sta-gionalità di pascolo non sembra essere una varia-bile critica nel favorire l’insorgenza di eventi pre-datori. Per le aziende che risultano essere statecolpite da eventi predatori, la conduzione del be-stiame al pascolo brado, o brado con controllo, perentrambe le tipologie di allevamento, è una ten-denza assai diffusa, sia nella stagione estiva che inquella invernale. L’assenza più o meno costante diforme di controllo (pastore, cani da guardiania, re-cinti) sembra quindi essere la causa principale diun più elevato livello di conflitto. Tale aspetto èanche legato all’utilizzo di bestiame e di tecnichedi conduzione non sempre compatibili con la pre-senza di una recinzione fissa e ciò rappresenta unfattore limitante per la diffusione di strategie effi-caci di prevenzione come le recinzioni elettrificate.Nelle aziende non colpite, più diffuso è invece l’u-tilizzo di reti metalliche per la recinzione dei pa-scoli, anche se, nella stagione estiva è frequente-mente utilizzato il pascolo brado.Per le aziende di bovini, va comunque sottolineatoche per entrambi i campioni considerati gli alleva-tori si dichiarano sempre a conoscenza del nume-ro di femmine gravide presenti, e nel 54% dei casiper il campione di aziende colpite, e nel 61% perquelle che non hanno denunciato danni, i parti av-vengono in stalla. Resta il fatto che, tale soluzione,data l’elevata tendenza al pascolo brado non scon-giura la predazione a carico dei vitelli nei primimesi di vita, categoria demografica a più alto ri-schio nel caso dei bovini (Fico et al. 1993, Ciucci eBoitani 1998a).Il numero totale degli eventi predatori indennizza-ti e le spese relative, dal 10% al 15% delle speseannuali per gli indennizzi da fauna selvatica, nonè elevato se confrontato con l’incidenza territorialedei danni alle coltivazioni e di conseguenza allespese sostenute dall’ente per l’indennizzo deidanni da cinghiale che da sole ne rappresentanodall’85 al 90%.Tuttavia ciò non è da interpretare unicamente intermini di carenza effettiva di eventi predatori sulterritorio, quanto piuttosto come alla possibilitàgia descritta e discussa di una estesa tendenza anon denunciare gli eventi da parte di molti alleva-tori. Ciò trova conferma anche nei risultati otte-nuti dai questionari sottoposti ad un campione diallevatori. Va quindi sottolineato come, ai fini diuna interpretazione realistica del fenomeno, l’am-montare dei danni segnalati non corrisponda ne-cessariamente alla reale entità economica deidanni provocati dal Lupo. A ciò vanno inoltre ag-giunte altre perdite come i danni indotti, gli abor-

ti, la perdita di latte, la perdita di produzione, icapi dispersi, tutte fonti di perdite solo parzial-mente o nulla affatto risarcite.La scarsa conoscenza e sfiducia manifestata dagliallevatori nei confronti del sistema di indennizzovigente e il perdurare delle uccisioni illegali di lupi,confermano che l’attuale sistema di indennizzonon è sufficiente da solo ad attenuare tensioni econflitti tra il settore zootecnico e la presenza delpredatore. E’ necessaria quindi una più ampia ecomplessa strategia di prevenzione che prevedasoprattutto una capillare sensibilizzazione degli al-levatori. In primo luogo deve essere scoraggiata lapresenza di pascolo brado, incentivato l’utilizzo disistemi di prevenzione un continuo aggiornamen-to sulle tecniche adottabili ed una verifica sull’at-tendibilità delle stesse. Gli strumenti per raggiun-gere tali obiettivi, data la frammentazione delle at-tività pastorali, non possono prescindere dallapresenza costante sul territorio di operatori a di-retto contatto con gli allevatori: sotto questo aspet-to gli Agenti del Corpo Forestale possono giocareun importante ruolo in collaborazione con gli Uffi-ci dell’Ente Parco. Un fattore limitante tale azioneè sicuramente l’attuale carenza di organico delCorpo Forestale soprattutto rispetto all’estensionedel Parco.Infine, essendo indubbiamente il programma diindennizzo uno strumento chiave per ridurre ilconflitto è necessario che sia sottoposto a verificatecnica e ad un’analisi puntuale da parte degli uf-fici dell’Ente almeno annualmente.

RingraziamentiGli autori intendono ringraziare tutti i tecnici chehanno collaborato alla realizzazione del progettoLife Natura 1999 “La Salvaguardia del Lupo nelParco Nazionale del Pollino”. In particolare il Prof.Sandro Lovari e tutto il personale del progetto“Ecologia e Conservazione del Capriolo nel ParcoNazionale del Pollino” per il prezioso coordinamen-to scientifico e logistico nelle operazioni di reintro-duzione del Cervo, il personale veterinario delleAziende Sanitarie del territorio del Parco Naziona-le del Pollino sempre disponibile alle sollecitazioneproposte, il personale del Coordinamento Territo-riale Ambiente del Corpo Forestale dello Stato chefattivamente ha collaborato in molte delle attivitàdi campo ed organizzative, il Sig. Giuseppe Barlet-ta per la disponibilità dimostrata nel seguire le in-dicazioni dei tecnici nella realizzazione del centrodi allevamento di cani da guardiania, il Sig. Leo-nardo Viceconte ed il Sig. Antonio Miraglia per ilprezioso supporto nelle operazioni di raccolta deidati presso le aziende.

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RiassuntoIl conflitto con le attività umane è una delle mi-nacce principali per la conservazione di molte spe-cie. Le affinità culturali e ambientali dei paesi delmediterraneo offrono l’opportunità di sviluppareuna strategia comune di mitigazione di tale con-flitto basata sull’analisi dei danni e sull’implemen-tazione delle misure di prevenzione adottate. Ilconflitto è stato analizzato in 5 paesi dell’EuropaMediterranea (Portogallo, Spagna, Italia, Croazia eGrecia) raccogliendo dati preliminari sui dannicausati da Orso (Ursus arctos), Lupo (Canis lupus),Cervo (Cervus elaphus), Daino (Dama dama), Ca-priolo (Capreolus capreolus), Cinghiale (Sus scrofa)e Istrice (Hystrix cristata). I dati ottenuti dalle au-torità competenti hanno permesso lo sviluppo diuna proposta di progetto LIFE Natura approvatodalla Commissione Europea e iniziato nell’ottobre2004. Il progetto mira alla riduzione del conflittotramite attività di gestione partecipativa, preven-zione del danno e miglioramento delle proceduredi indennizzo. Le specie interessate sono il Lupo el’Orso. Il progetto si svolge in ampie aree del Por-togallo, Spagna, Francia, Italia e Croazia, e coin-volge un totale di 16 partner, massimizzando cosìlo scambio di esperienze e rispondendo alla neces-sità di un approccio pan-Europeo per la risoluzio-ne di problemi comuni.

SummaryThe conflict between wildlife and agriculture is oneof the main threats for many species. The culturaland environmental similarities between Mediterra-nean countries provide the opportunity for develo-ping a common strategy towards the minimisationof such conflicts. In the presented project the extent of the conflictwas assessed through the collection of preliminarydata in five countries of Southern Europe. Data ondamage caused by Brown bear (Ursus arctos), Wolf(Canis lupus), Lynx (Lynx lynx) Red deer (Cervuselaphus), Roe deer (Capreolus capreolus), Fallowdeer (Dama dama), Wild boar (Sus scrofa) and Por-

cupine (Hystrix cristata) were kindly provided bythe competent public authorities in Portugal, Spain,Italy, Croatia and Greece. The data obtained have offered the challenging op-portunity for developing a LIFE Nature project pro-posal, which was approved by the European Com-mission and began in October 2004. The projectaims at the reduction of wildlife-agriculture conflictthrough a number of activities, including participa-tory conservation, damage prevention and improve-ment of compensation procedures. The targeted species are the Brown Bear and theWolf. The project is developed in wide study areaswithin Portugal, Spain, France, Italy and Croatia. Atotal of 16 partners are involved to maximise the ex-perience exchange, thus responding to the need ofa pan-European approach towards the resolution ofcommon issues.

INTRODUZIONEIn Europa, molte specie selvatiche sono presenti inaree altamente antropizzate. Di conseguenza inmolti casi, la gestione della fauna selvatica è inconflitto con le modalità di utilizzo del territorio, inparticolare con la produzione agricola (intesa cometutte le attività svolte nell’ambito dell’agricoltura edella zootecnia), che in vaste aree è a carattere disussistenza (cfr. Antonelli et al. questo volume).Questi conflitti possono influenzare negativamen-te le condizioni socio-economiche delle popolazionirurali e di conseguenza mettere in pericolo la so-pravvivenza delle specie selvatiche. Per questo mo-tivo e per contribuire all’adempimento dell’ Art. 2della Direttiva Habitat 92/43/CE, “la conservazio-ne della biodiversità tenendo in considerazione leesigenze economiche, sociali e culturali e delle ca-ratteristiche locali e regionali”, è estremamente ur-gente valutare l’entità del danno che le specie sel-vatiche arrecano alla produzione agricola ed ela-borare strategie tese a minimizzare lo stesso (Clarket al. 1996, Weber & Rabinowitz 1996, Sillero-Zu-biri & Laurenson 2001), aumentando così la pro-babilità di conservazione delle specie interessate.

VERSO IL MIGLIORAMENTO DELLA COESISTENZA TRA SPECIESELVATICHE E ATTIVITÀ AGRICOLE IN EUROPA MEDITERRANEA:

BREVE RASSEGNA E PROPOSTE PER IL FUTURO

Improving coexistence between wildlife and agriculture in MediterraneanEurope: overview of current situation and proposal for future activites

A. MERTENS*°, V. SALVATORI*, J. C. BLANCO**, D. HUBER***, C. GODES****, L. PINTO DE ANDRADE*****

* Istituto di Ecologia Applicata, Roma** Fundación Oso Pardo, Spagna

*** Dipartimento di Biologia, Facotlà di Veterinaria, Università di Zagreb, Croazia**** ARCTUROS, 3 Victor Hugo st., Thessaloniki, Greece

***** Escola Superior Agraria de Castelo Branco, Quinta de Sra. De Mercules, Portogallo

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 169-175, 2005

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A. Mertens, V. Salvatori, J. C. Blanco, D. Huber, C. Godes, L. P. de Andrade

Considerate le affinità che caratterizzano l’impattodelle specie selvatiche sulle attività agricole in di-versi paesi Europei, le strategie di gestione posso-no essere sviluppate in maniera abbastanza omo-genea a livello internazionale (Beaufoy et al. 1994).E’ inoltre evidente il vantaggio di sviluppare pro-getti a livello pan-Europeo al fine di evitare repli-che di relativa utilità generale, ed aumentando in-vece il rapporto costi/benefici delle misure adotta-te. Il valore aggiunto di queste iniziative è la mas-simizzazione dello scambio di esperienze simili. Nel periodo ottobre 2002 – luglio 2003 l’Istituto diEcologia Applicata (IEA) è stato beneficiario delprogetto LIFE-Starter “Wildlife and Agriculture: Mi-nimising the Conflicts through Damage Prevention”.Il programma LIFE Starter è stata una misuradella Comunità Europea intesa a finanziare la fasepreparatoria per la stesura di proposte di progettiLIFE-Natura. La prerogativa dei progetti Life-Star-ter è il carattere internazionale, essendo obbliga-torio il coinvolgimento di almeno due stati membridella EU o stati candidati aderenti al programmaLIFE. Il progetto LIFE Starter, curato dallo IEA, hapermesso di raccogliere dati preliminari sui dannicausati alle produzioni agricole da: (a) grandi erbi-vori, quali Cervo (Cervus elaphus), Daino (Damadama), Capriolo (Capreolus capreolus), Cinghiale(Sus scrofa); (b) carnivori, quali Orso (Ursus arc-tos), Lupo (Canis lupus), Lince (Lynx lynx)], e (c)Istrice (Hystrix cristata). Il progetto ha visto la partecipazione di cinquepaesi dell’Europa Mediterranea: Portogallo, Spa-gna, Italia, Croazia e Grecia, accomunati da similicontesti ambientali e culturali e da problemi ana-loghi di gestione e conservazione dei grandi carni-vori. Alcune differenze di approccio hanno riguar-dato la distribuzione delle specie nei vari paesi; adesempio, l’Istrice è stato oggetto di studio sola-mente in Italia in quanto non presente negli altripaesi. I risultati ottenuti dall’analisi dei danni causatidalle specie hanno guidato lo IEA, in collaborazio-ne con i partner già individuati, nella stesura dellaproposta di un progetto LIFE-Natura teso all’ela-borazione e messa in atto di una strategia per lariduzione del conflitto tra specie selvatiche e le at-tività agricole nei paesi dell’Europa Meridionale.L’obiettivo del presente lavoro è di presentare la si-tuazione dell’intensità del danno causato daigrandi mammiferi nei paesi in esame e di mostra-re come queste conoscenze siano state trasforma-te in azioni di gestione applicata. In generale, ildanno provocato dagli ungulati, in particolare ilcinghiale, è di gran lunga superiore a quello cau-sato dai grandi carnivori. In Italia le colture mag-giormente colpite sono i pascoli, seguiti da vigneti,coltivazioni di mais e castagneti da frutto. Ovvia-mente, considerato il diverso valore delle colture,la quantità dei danni non è direttamente correlatacon i rispettivi costi in termini economici, ed i vi-gneti, fra gli esempi citati, rappresentano la tipolo-gia che ha subito la massima entità economica didanni. Nonostante in alcuni paesi (Spagna e Gre-cia) l’ammontare dei danni causati da alcune spe-

cie (quelle non protette) rimanga sconosciuto, lasituazione appare paragonabile in tutti i paesi co-involti nel progetto di cui al presente lavoro.

METODIAl fine di valutare le differenze tra i paesi mediter-ranei considerati nel lavoro è stata condotta un’a-nalisi della legislazione che regola la gestione dellafauna selvatica e delle misure adottate per l’inden-nizzo e/o la prevenzione del danno arrecato alleattività agricole. I dati sull’ammontare dei dannisono stati ottenuti, nei diversi paesi, per gentileconcessione degli enti statali responsabili, delleUniversità, delle associazioni venatorie ed altri enticoinvolti nella gestione della fauna. In Italia, gli enti responsabili sono stati contattatiper via telefonica, elettronica, per posta o per fax.In seguito ad una breve esposizione del progetto edei suoi obiettivi, è stato cortesemente richiesto diriempire un modulo indicando l’entità del dannocausato dalle diverse specie, le colture danneggia-te, le eventuali misure di prevenzione adottate, el’ammontare del risarcimento, ove previsto. Nelcaso in cui fosse contattata un’amministrazioneregionale, tali dati sono stati richiesti almeno aldettaglio provinciale. È stato, inoltre, richiesto diriportare esclusivamente i dati relativi all’annoprecedente. I dati sono stati sottoposti ad analisidescrittiva ed utilizzati essenzialmente come baseper sviluppare la proposta del progetto LIFE Natu-ra “COEX: Improving Coexistence of Large Carnivo-res and Agriculture in South Europe”.

RISULTATIItaliaIn Italia sono stati contattati 15 enti amministra-tivi, appartenenti a 7 regioni: Liguria, Toscana,Emilia-Romagna, Lazio, Abruzzo, Campania e Um-bria. Le risposte alle nostre richieste di dati sonostate positive per il 73% dei casi, e i dati sono statiottenuti da 11 enti. I dati sui danni provocati daiselvatici alle produzioni agricole ricevuti si riferi-scono a 21 province (Fig. 1), e tre parchi naziona-li (Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ParcoNazionale delle Foreste Casentinesi, Parco Nazio-nale dell’Aspromonte). Tali dati sono relativi al-l’anno 2001-2002, ad eccezione di 5 casi, in cui leinformazioni sono relative ad un anno incluso nelperiodo 1999 – 2001. Il fatto che il livello di detta-glio al quale i dati erano forniti fosse estremamen-te variabile ha prodotto una certa disomogeneitàdei risultati. In particolare, i dati relativi a 4 Pro-vince sono stati forniti sotto forma aggregata cometotale dell’ammontare indennizzato, senza riporta-re alcuna informazione supplementare sul prodot-to danneggiato o sulla specie arrecante il danno.L’importo totale di indennizzo, relativo alle areeper le quali sono stati forniti i dati, ammonta a€ 1.655.409,00 (di cui il 69,6% fornito in formadettagliata) per il danno causato dagli ungulati edall’Istrice. Le colture maggiormente danneggiatesono risultate prati e pascoli, mais, vigneti e ce-reali (Tab. 1). Delle province che hanno fornito idati (n=21), solamente 12 hanno riportato infor-

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mazioni sui danni provocati dai grandi carnivori(Lupo e Orso), per un ammontare totale di €

424.247,50. In termini economici, appare eviden-te che il danno causato da Lupo e Orso è di granlunga inferiore del danno causato dal solo Cin-ghiale (Tab.2). La distribuzione geografica e l’in-tensità del danno indennizzato sono rappresenta-te nella Fig. 1, in cui l’unità geografica di base è

rappresentata dalle Province.Le informazioni pervenute in merito alle misure diprevenzione adottate in Italia sono state estrema-mente frammentarie e disomogenee e, pertanto,non è stato possibile analizzare questo aspettoadeguatamente.

PortogalloL’unica specie di grande carnivoro attualmentepresente in questo paese è il Lupo, (circa 300 in-dividui), distribuito nella zona settentrionale delpaese (Boitani 2000). Tra gli ungulati, il Cinghialeè abbondante e presente su gran parte del territo-rio, mentre Cervo e Capriolo sono scarsamentepresenti (Santos-Reis & da Luz Mathias 1996). In

Figura 1. L’ammontare dell’indennizzo pagato nelle 21 Province in Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Lazio,Abruzzo, Campania, Umbria e in 3 Parchi Nazionali (PNALM, Foreste Casentinesi e Aspromonte) in che hannofornito i dati sul danno provocato dalle specie considerate nel presente progetto tra il 1999 e il 2002.

Prodotto % indennizzo___________________________________________

Pascolo e fieno 20,6Verdura 3,1Patate 2,6Vigneto 15,0Olive 1,7Beni materiali 2,4Mais 15,9Cereali 14,1Noci e nocciole 1,2Castagne 12,1Varie 4,3Frutta 1,8Girasole 5,1___________________________________________ Totale 100,00___________________________________________ Totale indennizzo al dettaglio 1.151.887,00 €

Specie % indennizzo___________________________________________

Cinghiale 74,9Capriolo / Daino 2,8Cervo 0,7Istrice 1,2Orso 2,3Lupo 18,1___________________________________________

Totale indennizzo 2.079.656,00 €

Tabella 2. – Percentuali dell’indennizzo pagato per ildanno causato dalle diverse specie trattate nel pre-sente progetto in 21 Province in Liguria, Toscana,Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo Campania, Umbria enei 3 Parchi Nazionali citati, tra il 1999 e il 2002.

Tabella 1. Percentuali dei prodotti agricoli danneggiatida ungulati e Istrice in 21 Province in Liguria, Tosca-na, Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo Campania, Um-bria e nei 3 Parchi Nazionali citati, tra il 1999 e il 2002.

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questo paese l’indennizzo viene pagato seguendola legge nazionale per la Protezione del Lupo Iberi-co del 1990. Il lupo causa danni consistenti pre-valentemente nell’area a nord del Fiume Duero,dove è presente la popolazione più numerosa. Inquesta area, di circa 15.000 km2, nel 2002 gli entiresponsabili hanno speso circa € 250.000,00 sottoforma di indennizzi per danni al bestiame dome-stico. Le specie domestiche colpite risultano esse-re, prevalentemente, pecore (46,5%) e capre (28%).I danni causati dal Cinghiale non vengono riporta-ti alle autorità locali competenti, perciò non è statopossibile stimare l’entità dell’impatto di questaspecie in Portogallo. Data la loro scarsità, cervi ecaprioli causano danni irrilevanti alle attività agri-cole.Poche sono le informazioni disponibili sui metodidi prevenzione adottati. La ONG Grupo Lobo hainiziato un programma di mitigazione dei conflittimirato alla promozione delle misure di prevenzio-ne (uso di cani da protezione e recinzioni elettrifi-cate) durante l’anno 2002-2003 come parte delprogetto AGRO 31106 “Novas soluções para o con-trolo da predação nos animais domésticos” (Petruc-ci-Fonseca, com pers..).

SpagnaIn Spagna, l’Orso è presente in numero estrema-mente esiguo, con la popolazione principale di 80individui nei monti Cantabrici (Clevenger et al.1997, Naves & Palomero 1993) dove il bestiame èallevato prevalentemente allo stato brado. L’Orsoin Spagna è protetto e i danni sono interamenteindennizzati dalle autorità delle comunità autono-me di Asturias, Cantabria, Castilla-Léon e Galicia.Nel periodo 1986 – 1990 il danno causato daquesta specie sul bestiame è stato di circa€ 100.000,00 all’anno, ed ha interessato in parti-colare i bovini e, in misura minore, apiari, mentrepecore e capre ed equini risultano meno colpiti. La popolazione spagnola di Lupo è di circa 2.000individui (Boitani 2000). L’area di distribuzione diquesta specie include un’ampia regione nord-occi-dentale del paese fino al centro del paese, nellazona a sud del Fiume Duero. Solo la porzione dellapopolazione a sud del fiume Duero è inclusa nel-l’Appendice II della direttiva Habitat e pertantogode di protezione totale, mentre la popolazione aNord del fiume è inclusa nella lista delle speciecacciabili a livello nazionale (Regio Decreto1095/89). Il danno causato dal Lupo è stimato incirca € 1.500.000,00 all’anno e le pecore risultanoessere la categoria maggiormente predata. Il Cinghiale non è protetto in Spagna e gli unicidati disponibili su questo ungulato sono relativialla regione di Asturias (2% ca. del territorio na-zionale), ove il danno indennizzato nel 2001 è ri-sultato pari a € 518.794,00. Non sono pervenuti idati relativi alle altre specie di interesse del pre-sente progetto.I metodi di prevenzione del danno maggiormenteusati in Spagna includono la custodia costante delgregge (presenza continua dei pastori), l’uso dicani da guardiania e di recinzioni fisse in legno. Le

recinzioni elettrificate sono state solo recentemen-te impiegate ma la loro efficacia non è stata anco-ra valutata. L’uso non sistematico e l’assenza di si-stemi di monitoraggio rendono impossibile lastima dell’efficacia di tali misure.

CroaziaIn questo paese sono presenti tre specie di grandicarnivori con dimensioni delle popolazioni stimatein circa 130 – 170 lupi, 400 – 500 orsi e circa 60linci (D. Huber com. pers.); mentre le prime duespecie sono responsabili di danni consistenti alleattività zootecniche, in generale non viene riporta-to alcun danno causato dalla lince. In Croazia vengono indennizzati solamente i danniprovocati da Lupo e Lince, poiché queste speciesono protette secondo la Legge Nazionale per laprotezione della Natura (1994). L’Orso è conside-rata specie cacciabile (Legge Nazionale sulla attivi-tà venatoria del 1994), di conseguenza, i dannisono risarciti esclusivamente se avvenuti all’inter-no delle aree protette (anche quelli causati da Cin-ghiale). Nell’anno 2001-2002 il danno all’agricoltu-ra causato da animali selvatici in Croazia è risul-tato di circa € 2.900.000,00, di cui i Cinghiali nesono responsabili in misura dell’80%; come termi-ne di paragone, il danno provocato da Orso e Luponel 2001 è stato di € 118.800,00, prevalentemen-te sugli allevamenti di pecore e capre. Le misure diprevenzione sono scarsamente adottate e limitatea una presenza sporadica di cani o pastori. Re-centi programmi di sovvenzione hanno permessol’acquisizione e installazione di recinzioni elettrifi-cate, ma una valutazione sull’efficacia di questamisura non è stata ancora condotta.

GreciaIn Grecia, il Lupo e l’Orso sono strettamente pro-tetti secondo la legge nazionale 86/69 mentre tuttigli ungulati sono specie cacciabili. Il Lupo è pre-sente con una popolazione stimata di almeno 700individui e la stima per l’Orso si aggira interno a160 individui (C. Godes com. pers). In Grecia i pro-duttori agricoli hanno l’obbligo di stipulare unapolizza assicurativa sul bestiame, che permette ilrimborso del danno subito a condizioni specificheper la specie, l’entità del danno e l’accertamentodel danno stesso. Dal 1996 al 2001 in Grecia sonostati pagati mediamente € 84.500,00 di indenniz-zo all’anno per i danni causati dall’Orso. I dannisono stati a carico, principalmente, di bovini(55,5%) e apiari (31%). Il danno causato dal Lupoè trattato in forma cumulativa con quello causatoda altri canidi (volpi, sciacalli e cani inselvatichiti),perciò l’entità del danno riportato è comunque daconsiderare sovrastimata. Tale danno, tra il 1996e il 2001, ammontava a un valore medio annuo di€ 658.000,00. Gli animali domestici maggiormen-te predati dal Lupo sono gli pecore e capre (55,7%)e i bovini (40,1%). Non essendo soggetti ad inden-nizzo, i danni provocati dagli ungulati non vengo-no riportati. Le politiche agricole in Grecia hanno giovato di re-centi innovazioni che hanno introdotto sussidi ai

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produttori agricoli per coprire i costi di misure diprevenzione del danno. Il corretto uso di recinzio-ni elettrificate, ed un programma di monitoraggiocondotto dalla ONG Arcturos mediante progettiLIFE Natura finalizzati alla conservazione dell’Or-so in Grecia, hanno permesso di valutarne l’effica-cia nel ridurre il danno inflitto dall’Orso finoall’85-100%. Altri metodi utilizzati includono laguardianìa da parte dei pastori (ora in notevole di-minuzione) e la presenza di cani da pastore che, seallevati in modo appropriato, risultano essere si-gnificativamente efficaci nella riduzione del danno.

DISCUSSIONEIl presente studio, di carattere preliminare, haconsentito di definire un quadro generale della si-tuazione del conflitto tra selvatici e agricoltura neipaesi dell’Europa Mediterranea. In generale, èemersa in modo evidente la disparità dell’entitàeconomica del danno causato dai carnivori e dagliungulati. In molti casi non è stato possibile stima-re il danno da Cinghiale per via della mancanza diun sistema di indennizzo in grado di registrare idanni subiti dagli agricoltori; tuttavia, laddove cal-colata, l’incidenza del danno di cui la specie è re-sponsabile è notevolmente superiore a quanto diresponsabilità dei carnivori. Il fatto che, tuttavia, igrandi carnivori spesso siano causa di maggioreattenzione per via del danno causato alla zootecniaè probabilmente dovuto al fatto che i problemi le-gati alla gestione dei carnivori sono spesso più dinatura emozionale che economica (Swenson et al.1995; Kellert et al. 1996; Strahm 1998).In molti casi il danno provocato da questi ultimi ècomunque di entità notevole. Esso è sostanzial-mente rappresentato dalla predazione del Lupo sulbestiame domestico e, seppure in misura minore,dalla distruzione di arnie, di alberi da frutto edalla predazione sul bestiame da parte dell’Orso.La limitata distribuzione dell’Orso nei paesi consi-derati e la disomogeneità dei dati rende però diffi-cile il confronto tra l’entità del danno causato daidue carnivori. E’ stato impossibile stimare l’effetto dell’uso dellemisure di prevenzione sull’ammontare dei danni.Tuttavia, è noto che nei paesi in cui il danno dacarnivori è ingente, spesso ciò è dovuto al fatto cheil bestiame è scarsamente protetto (ad esempio, inSpagna), anche dove la popolazione di predatori sista naturalmente espandendo. Il limitato utilizzodi metodi di prevenzione è infatti considerato damolti autori come causa dei danni subiti dagli al-levatori (Breitenmoser 1998, Kaczensky 1999,Fritts et al. 2003). Le metodologie più efficaci perla prevenzione sembrano essere la protezione daparte di pastori (McAdoo & Klebenow 1978; Vila etal. 1993, Ciucci & Boitani 1998), l’utilizzo di canipastori (McGrew & Blakesley 1982, Green et al.1984, Andelt 1992) nonché l’uso di recinzioni elet-triche (Nass & Theade 1988, Huygens & Hayashi1999, Levin 2002, Mertens et al. 2002).I sistemi di indennizzo vengono utilizzati su largascala per cercare di diminuire lo scontento degliallevatori per i danni subiti dai carnivori (Fourli

1999). Alcune situazioni puntiformi suggerisconoche, ove la normativa prevede un indennizzo vin-colato all’uso corretto di misure di difesa (ad esem-pio, Regione Emilia Romagna: Delibera Regionalen° 2338/2000), la prevenzione può essere di fattoadeguatamente stimolata ed applicata. Nel presente studio, i dati sono stati spesso ripor-tati per l’Italia in forma dettagliata e, ai fini di unacaratterizzazione della situazione generale, sonostati generalizzati a livello provinciale. Benché talescala d’analisi coincida con l’ente amministrativoche implementa la strategia di gestione e di inden-nizzo, i danni sono difficilmente distribuiti inmodo omogeneo all’interno del territorio provincia-le. Infatti, i danni spesso risultano essere localiz-zati in pochi comuni o loro frazioni. Un’analisi det-tagliata a livello locale, condotta in collaborazionecon gli amministratori e i tecnici locali potrebbe ri-velare le aree in cui i danni sono maggiormente lo-calizzati (vedi, ad esempio, i casi di studio riporta-ti in questo volume). Integrando tale informazionicon dati dettagliati sulla distribuzione delle specieche causano i danni si possono elaborare dellestrategie di prevenzione adattate al livello di pro-babilità con cui danni si possono verificare. Que-sto rappresenta uno stimolo per lo sviluppo di at-tività future.

Pianificazione di attività future:il progetto LIFE COEXDurante la fase conclusiva del progetto LIFE-Star-ter, è stata sviluppata una proposta di progettoLIFE Natura che coinvolge la partecipazione deipaesi già coinvolti nel precedente progetto, inclu-dendo inoltre la Francia. Il progetto è stato intito-lato “COEX - Improving coexistence between largecarnivores and agriculture in S. Europe” ed è inizia-to il 01/10/2004. L’obiettivo del progetto è di svi-luppare le condizioni legali e socio-economiche ne-cessarie per la conservazione dei grandi carnivorinelle aree selezionate riducendo le situazioni diconflitto che minacciano le popolazioni, medianteun approccio partecipatorio. In virtù degli obiettivipreposti dal programma LIFE Natura, secondo cuisono eleggibili le proposte che mirano alla conser-vazione delle specie elencate negli annessi II e IVdella Direttiva Habitat (92/43/CE), il progettoCOEX prevede attività che mirano a migliorare lacoesistenza tra le due specie di grandi carnivoripresenti nei paesi partecipanti – il Lupo e l’Orso –e le attività umane. Unicamente in Portogallo e inItalia nella Regione Umbria sono incluse attività digestione dei danni causati dal Cinghiale, al fine diminimizzare gli effetti potenzialmente negativi chele attività di caccia al Cinghiale hanno sulla con-servazione del Lupo. Le attività principali che ven-gono svolte nel corso del progetto sono:- l’implementazione dell’uso di misure di preven-

zione adeguate, come le recinzioni elettriche edi cani da guardiania;

- la sensibilizzazione del pubblico e degli alleva-tori sui metodi di convivenza armonica con igrandi carnivori;

- il miglioramento dei sistemi di compensazione;

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A. Mertens, V. Salvatori, J. C. Blanco, D. Huber, C. Godes, L. P. de Andrade

- la gestione dei conflitti causati dalla presenza dicani randagi e da Orsi che si cibano dai rifiuti;

- scambi di esperienza e trasferimento e condivi-sione di conoscenze fra i partner;

- il monitoraggio delle popolazioni di grandi car-

nivori, dei danni causati e dell’efficacia dei me-todi di prevenzione adottati.

Le aree in cui le attività vengono svolte sono rap-presentate in Figura 2. La struttura del progettoprevede un beneficiario (IEA) e una serie di

Paese Partners e Co-finanziatori*__________________________________________________________________________________________________

Portogallo Grupo LoboEscola Superior Agraria de Castelo BrancoFacultade de Ciencias, Universidade de Lisboa*

__________________________________________________________________________________________________

Spagna Fundacion Oso PardoJunta de Castilla y Léon*

__________________________________________________________________________________________________

Francia WWF-FranciaAssociation pour la Cohabitation PastoraleAssociation our le Dèveloppement Economic et du TourismFondation pour l’Intervention Eco-Pastorale FERUSMEDD-DNPDirection Regionale de l’Environment de Midi-Pyrenees

__________________________________________________________________________________________________

Italia Istituto di Ecologia ApplicataEnte Parco Nazionale d’ Abruzzo, Lazio e MoliseEnte Parco Nazionale della MajellaEnte Parco Nazionale del Gransasso e Monti della LagaProvincia di TerniProvincia di PerugiaLegambiente

__________________________________________________________________________________________________

Croazia Facoltà di Veterinaria, Università di ZagabriaMinistero Agricoltura e Foreste

__________________________________________________________________________________________________

Grecia ARCTUROS

Tabella 3. Partners internazionali e nazionali coinvolti nel progetto LIFE COEX, 2002-2003. I coordinatorinazionali sono indicati in corsivo.

Figura 2. – L’area di studio del progetto LIFE COEX. In grigio i paesi partecipanti e in nero le aree in cui ver-ranno svolte le attività.

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partner nei diversi paesi. In ciascun paese un co-ordinatore nazionale ha la responsabilità di coor-dinare le attività dei diversi partnes nazionali e dimantenere i contatti con il coordinatore interna-zionale (IEA). Il comitato direttivo del progetto èperciò rappresentato da un coordinatore interna-zionale e sei coordinatori nazionali. In Italia i part-ner sono il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Mo-lise, il Parco Nazionale della Majella, il Parco Na-zionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Legam-biente ONLUS e le Province di Terni e di Perugia.Tutti i partner coinvolti nella stesura del progettosono elencati in Tabella 3.L’elemento di novità di questo progetto è rappre-sentato dal suo carattere pan-europeo e dalla pos-sibilità di sperimentare attività di gestione simili insituazioni diverse e adattate alle rispettive realtà lo-cali. Inoltre, tramite scambi di esperienza tra leparti sarà possibile confrontare i risultati delle at-tività, identificare le ragioni per le quali determina-te strategie non hanno successo in situazioni par-ticolari ed elaborare strategie al fine di ottimizzar-le. Il progetto prevede anche l’organizzazione di unaserie di incontri internazionali in cui verrà offertal’opportunità alle persone coinvolte nella gestionedella fauna di usufruire delle esperienze fatte, illu-strando e condividendo metodi di gestione usati inaltre situazioni, di scambiarsi informazioni e otte-nere nuovi spunti di lavoro per il futuro.

RingraziamentiSia il progetto LIFE Starter (NAT/IT/ST/000033)che il Progetto LIFE Natura (COEX –LIFE04NAT/IT/000144) sono finanziati con i fondiottenuti dalla Commissione Europea, DirezioneGenerale per l’Ambiente. Per l’Italia, i dati sonostati ricevuti da: Corpo Forestale della Valle d’Ao-sta, ARSIA, Regione Liguria, Provincia di Perugia,Provincia di Frosinone, Provincia di Roma, Provin-cia di Rieti, Provincia di Latina, Provincia di Pe-scara, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi,Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, ParcoNazionale dell’Aspromonte. Luigi Boitani per i datisul Parco Nazionale del Cilento. Si ringrazianoinoltre il Ministero dell’Ambiente Croato e la So-cietà Assicurativa greca ELGA.

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M. Pellegrini e R. Zuccarini

RiassuntoLa mitigazione, tramite reti elettrificate, dei dannial bestiame causati dai grossi predatori non èstata in Italia valutata sperimentalmente in termi-ni di efficienza del sistma. Inoltre, esiste il rischioche recinzioni di struttura non idonea favoriscanoingenti perdite di pecore o capre a causa delle lororeazioni e tentativi di fuga all’avvicinarsi del pre-datore. Al fine di superare questi ed altri problemi,in questo lavoro presentiamo un modello di recin-zione composita e di facile costruzione, compren-dente una rete metallica interna, per il conteni-mento del gregge, ed una rete elettrificata esternaper evitare l’avvicinamento ulteriore dei predatori.Questo sistema è attualmente in fase di valutazio-ne presso un’azienda zootecnica nel Parco Nazio-nale della Majella, ed è nostro intento, tramite ilpresente lavoro, stimolare una sua ulteriore valu-tazione in differenti contesti.

SummaryThe mitigation of depredations caused by large car-nivores using of power fences, has not been sup-ported in Italy by long-term studies to evaluatesystems’ efficiency. Moreover, wolf predatory beha-viour on sheep and goats enclosed into temporaryelectric fences may cause great losses due to fearresponse by livestock and escape attempts. Toavoid these problems we hereby suggest a systemcomposed by two different enclosures, an iron fenceinside and another, electrified fence around in theouter portion. This system is currently under eva-luation in a farm in the Majella range, and we hopethis report will stimulate its further testing in diffe-rent conditions.

INTRODUZIONENegli ultimi 30 anni, a seguito dell’espansione del-l’areale e dell’aumento demografico del Lupo suscala nazionale, si è avvertita la necessità di im-plementare le ricerche in merito attraverso specifi-ci interventi di gestione e conservazione ( Ciucci &Boitani 1998, Genovesi 2002). Tali azioni di con-servazione, in quasi ogni caso, hanno previstocome elemento determinante la mitigazione deiconflitti tra carnivori e zootecnia con la diffusionedi cani da guardiania, recinzioni ed altri sistemi diprevenzione dei danni (ad esempio, progetti IN-TERREG II Italia–Francia 1994-99, LIFE97/NAT/

IT/ 004141, LIFE00/NAT/IT/007214, LIFE04/NAT/ IT/000144) (cfr. Caporioni & Teofili questovolume). Purtroppo in molti casi, a giudizio degliscriventi, è mancata una valutazione accuratadella efficacia dei diversi metodi di prevenzione neitempi medio – lunghi, anche a causa della duratalimitata dei programmi (soprattutto per i program-mi Life).Le recinzioni, in particolare, possono risultare ap-parentemente ottimali quando utilizzate per laprima volta a causa della novità strutturale cheesse rappresentano per il predatore e, se istallatea livello sperimentale, con prodotti innovativi eposti in opera da personale specializzato. Delresto, la gestione diretta da parte di allevatori nonopportunamente informati o diffidenti può invecedeterminare nuove problematiche con diminuzio-ne della efficacia (ad esempio, costi per la manu-tenzione e sostituzione di parti, utilizzo non cor-retto; Mertens et al. 2002).Una completa valutazione delle strutture di pre-venzione non dovrebbe comunque limitarsi a veri-ficare solo l’entità dell’eventuale diminuzione deidanni ma dovrebbe essere condotta contestual-mente ad idonee ricerche riguardanti soprattuttola presenza e disponibilità (accessibilità) di risorsetrofiche alternative al bestiame (ungulati selvatici,rifiuti), i principali parametri della popolazione dilupo, le modalità di allevamento, protezione ed ac-cessibilità del bestiame (controllo costante, cani,recinzioni, condizioni ambientali sfavorevoli ecc.)(Mattioli et al. 1996, Solari & Maddalena 2002,Ciucci & Boitani 2004, questo volume, Tropini,questo volume).E’ dimostrato d’altronde che in alcuni casi, anchein presenza di abbondanti popolazioni di ungulatiselvatici, permangono ingenti danni al bestiame,se non adeguatamente controllato ed opportuna-mente rinchiuso in stalle o recinti idonei (Capitaniet al. 2004, Ciucci & Boitani 2004).La realtà pascoliva abruzzese è profondamentemutata nel corso degli anni: in passato, gli armen-ti erano più numerosi di quelle attuali ma, in per-centualmente, con un minor numero di capi pergregge; la difesa degli animali domestici era affida-ta a cani naturalmente vocati e selezionati con ri-gore per questa attività, in numero più proporzio-nato al bestiame e decisamente fedeli al gregge,contrariamente a quanto si verifica tra i cani at-

LE RECINZIONI ELETTRIFICATE PER LA DIFESA DEGLI OVICAPRINI DAI GRANDI PREDATORI: UNA PROPOSTA SUL CAMPO

Power fences prevention for damage caused by large carnivore:a utilization proposal

MASSIMO PELLEGRINI*° E ROBERTO ZUCCARINI***Direzione Agricoltura,Foreste, Alimentazione, Caccia e Pesca e Sviluppo Rurale Regione Abruzzo

**Servizio Veterinario Sanità Animale ASL 102 Chieti

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 176-180, 2005

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tualmente in uso (frutto di selezioni casuali emeno esigenti) che spesso si allontanano dal greg-ge anche perché attratti da nuove fonti di cibo(strutture ed attività turistico-ricettive). Inoltre, inpassato il conduttore, nella maggior parte dei casicoincidente con il proprietario, era una presenzaobbligatoriamente costante poiché identificava ilproprio vivere nel gregge in quanto fonte determi-nante di sostentamento. Nel contesto appena descritto, il lupo si è trovato,anche per la esigua presenza di fauna selvatica,nella necessità di calibrare la propria capacità pre-datoria su animali domestici, affinando le tecnicheper eludere sistemi di protezione molto efficaci(Macdonald et al. 1980, Cozza et al 1996). Questaspecie, adattatasi negli anni ad un ambiente diffi-cile essendo oggetto di continue persecuzioni, hamantenuto il suo comportamento mentre i sistemidi difesa si sono andati progressivamente indebo-lendo negli anni se non addirittura invalidati;quindi, non perché si debba tralasciare la cura dialtri aspetti, è necessario indirizzare con urgenzal’attenzione sul potenziamento delle strutture diricovero attualmente in uso che sembrano essereil primo punto critico su cui più facilmente inter-venire (cfr. Carnivore Damage Prevention News:www.kora.unibe.ch/en/proj/cdpnews/ index.html).Con il presente contributo, si propone l’utilizzo diun sistema di recinzione più complesso, compostoda una porzione esterna elettrificata per scorag-giare/contrastare il predatore ed una interna piùrobusta in rete metallica per contenere gli anima-li, separate da un corridoio largo almeno 5 m. (vedisotto). Attualmente l’efficacia del sistema qui pro-posto è in corso di sperimentazione presso l’alle-vamento ovi-caprino dell’Az. Di Placido G. di Pre-toro (CH) al pascolo per la monticazione nel ParcoNazionale della Majella, ma sarebbe utile verificar-ne l’idoneità su più vasta scala. In tal senso nevengono pertanto indicate le caratteristiche tecni-che per una auspicabile diffusione tale da contri-buire alla verifica della efficacia.

DIFFERENTI TIPOLOGIE DI RICOVEROATTUALMENTE IN USOIn questa sede vengono affrontate esclusivamentele problematiche inerenti gli allevamenti di pecoree capre. E’ indubbio come il metodo più sicuro peril ricovero notturno di questi animali sia la realiz-zazione di strutture in muratura, di altezza supe-riore ai 2 metri sufficientemente ampi (anche permotivi di accumulo del letame all’interno) e con in-gressi in ferro. Ricoveri di questa tipologia, sonostati realizzati e sperimentati con successo dallagestione ex ASFD di Castel Di Sangro per oltre 10anni, durante i quali si è verificato solo un caso diattacco da Orso su 5 diversi ricoveri in muratura(L. Sammarone, com. pers.). Tali ricoveri, se perun verso sono particolarmente apprezzati dagli al-levatori anche per il fatto che li sollevano da unavigilanza costante del gregge nelle ore notturne,per un altro presentano alcuni inconvenienti,quali: difficoltà e costi di realizzazione in zonemontane isolate, impatto paesaggistico, e impossi-

bilità di spostamento nel caso di variazione dellezone di alpeggio.In particolare per quest’ultimo aspetto è da rileva-re come nel caso dei pascoli montani dell’Appenni-no centrale la proprietà soprattutto demaniale(beni di c.d. uso civico) e l’antica tradizione dellatransumanza ha spesso impedito o sfavorito la co-struzione di stalle e strutture stabili a favore di ri-coveri precari sia per i pastori che per il gregge(stazzi). Infatti, per quanto concerne quest’ultimopunto, le recinzioni tradizionalmente utilizzate consemplici reti di corda e pali in legno permettonoagevoli spostamenti ed evitano la faticosa rimozio-ne del letame, prevenendo le eventuali malattie do-vute alla presenza di patogeni nella lettiera che,ideale terreno di coltura, ne favorisce lo sviluppo.Attualmente, sono in uso diversi modelli elettrifi-cati di qualità e caratteristiche simili (altezza circa120 cm., paletti in fibra e fili ad alta conduttivitàin rame e plastica, elettrificatore) ma che differi-scono per le modalità di installazione (ad esempio.,recinzione mobile con paletti in fibra, o fissa conpaletti in legno; cfr. Gallagher: www.gallagher.co.nz/; Elpro: http://elpro.it). Sulla base della no-stra esperienza e delle informazioni raccolte pres-so 7 diversi allevatori in Abruzzo, queste recinzio-ni pur essendo un buon metodo per limitare e pro-teggere i pascoli (come dimostrato in altre espe-rienze europee), non garantiscono sempre la tute-la del gregge da attacchi di predatori.Prima di aggredire un gruppo di ungulati sia sel-vatici che domestici, il lupo generalmente si avvi-cina con cautela cercando di individuare la poten-ziale preda, il punto ed il momento più idonei perl’aggressione. Nel caso dell’ovile, l’avvicinamentodel predatore viene avvertito dalle pecore e deter-mina di norma un tentativo di fuga degli animalicostretti dalle reti ed impossibilitati a fuggire.Com’è noto inoltre il vello degli ovini non è unbuon conduttore elettrico e l’effetto di conteni-mento della recinzione viene pertanto ulteriormen-te ridotto. E’ pertanto evidente la necessità nonsolo di evitare la penetrazione dei potenziali pre-datori all’interno della recinzione ma anche di im-pedirne l’eccessivo avvicinamento e di mantenerecomunque il bestiame al sicuro. Se le recinzioni appena descritte, in particolarequelle elettrificate, da un lato sono sicuramente ingrado di contenere agevolmente pecore e capre, giànaturalmente gregarie, in condizioni di tranquilli-tà, dall’altro non sono sempre altrettanto valide adevitarne la fuga. Infatti, ciò che accade nel corso ditale evento è che il gregge, in preda al panico, siaccalca su di un punto della debole recinzione fi-nendo per travolgerla. In questa situazione, risul-ta vana l’azione della corrente alternata che agiscesolo sui singoli animali a ridosso della recinzionestessa e che nulla possono per contrastare lamassa spingente. Esempi in questo senso, riferiti a 7 ovili elettrifica-ti, sono stati verificati nell’area compresa tra ilParco Nazionale d’ Abruzzo, Lazio e Molise ed ilParco Nazionale della Majella ( M. Pellegrini & R.Zuccarini, dati non pubbl.).

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M. Pellegrini e R. Zuccarini

Un altro problema verificato per due allevamentiriguarda invece l’utilizzo di recinzioni di rete elet-trosaldata con maglie da 20 cm. fornite alle azien-de dall’Ente Parco. L’uso di reti rigide con maglielarghe, sufficienti a farvi penetrare la testa o lezampe di pecore e capre, determina infatti gravi le-sioni agli animali che dopo essere rimasti bloccatinelle maglie possono essere calpestati dal resto delgregge. La reazione di panico o di semplice nervosismo ereazione di fuga del bestiame che è stata verificatadai colloqui con gli allevatori è sicuramente in-fluenzata da diversi fattori ed in particolare dallaconoscenza (anche olfattiva) tra preda e predatore,dalle modalità di allevamento e dalle caratteristi-che delle diverse razze. Per quanto riguarda la co-noscenza del predatore da parte delle potenzialiprede, questa è sicuramente anche frutto dell’ap-prendimento e risulta superiore nelle aree dove ilpredatore è presente con maggiore frequenza e co-stanza. Mentre, com’è noto a qualunque allevato-re, razze di pecore più rustiche ed agili (ad esem-pio, la Sopravvissana, la Gentile ecc.) reagisconocon la fuga di fronte a qualsiasi segnale di perico-lo. E’ pertanto evidente che le condizioni osservatesul campo (in Abruzzo) dagli autori potrebbero nonessere paragonabili a quelle tipiche di altre aree.

CARATTERISTICHE TECNICHE DELLERECINZIONI ELETTRIFICATEIn molti casi le recinzioni o i fili elettrificati utiliz-zati per evitare i danni sono collegati ad elettrifica-tori prodotti per il controllo del bestiame al pasco-lo e non per dissuadere dalla predazione i grandicarnivori. Per questi ultimi, ed in particolare perl’Orso bruno, è più opportuno utilizzare modellicon potenza di almeno 3 Joule (e non di soli 0,3Joule utilizzata generalmente solo per il conteni-mento di animali domestici). Numerose esperienzesono state condotte sia in Italia che in altre nazio-ni (cfr. Carnivore Damage Prevention News) utiliz-zando elettrificatori con voltaggio pari a 4-6000 Ved amperaggio di 1,2 J. Tale amperaggio sembre-rebbe sufficiente per il Lupo ma una potenza mag-giore sarebbe sicuramente preferibile per dissua-dere anche altre specie (Orso, Cinghiale). Tale con-siderazione è d’altronde suffragata dalle stessecase produttrici che ricordano come una maggiorecarica permette di mantenere uno shock adeguatoe di sopportare maggiori carichi della recinzione(intesi sia per maggiore lunghezza che per maggio-re dispersione determinata da cause varie). Non acaso alcuni modelli di elettrificatori venduti pos-siedono una potenza di oltre 15 J. Per la posa inopera è necessario inoltre istruire opportunamen-te gli allevatori e spiegare loro i principi elementa-ri di funzionamento della elettrificazione.Una delle principali critiche rivolte a tali sistemi èquello della debolezza (e dei costi di sostituzione)dei materiali (Santilli et al. 2002). L’esperienza ma-turata in Francia ed in Toscana (dall’ARSIA) ha di-mostrato che i fili elettrificati forniti dalle ditte erealizzati con piccole trecce di materiale plastico erame sottile possono essere sostituiti, con altret-

tanta ottima conducibilità (R=8 Ohm/100 m), dapiù comuni e più convenienti cavi di acciaio condiametro di circa 1,2 mm del tipo usato per i frenidelle biciclette. Questo tipo di cavo è formato da 7fili in acciaio galvanizzato ed è caratterizzato dauna grande flessibilità e resistenza allo strappo; èquindi robusto e facile da tendere senza rotture. Incaso di rottura inoltre si ripara facilmente con unsemplice nodo.Per quanto riguarda invece i picchetti che sosten-gono i fili i migliori per robustezza, reperibilità eprezzo sono non quelli in fibra o in legno trattatoin autoclave ma i più economici e diffusi picchettiin ferro ricavabili tagliando dei comuni tondini daedilizia di diametro da 15 mm (Santilli et al. 2002).I tondini sono inoltre più adatti ad essere piantatinei terreni pietrosi montani e permettono di rego-lare facilmente l’altezza degli isolatori (e del filo)con la semplice pressione della mano sul picchet-to indipendentemente dalla profondità alla qualeviene piantato.

IL MODELLO DI RECINZIONE PROPOSTOIl sistema qui proposto (Fig. 1) si avvale di duestrutture circolari e concentriche in modo da ga-rantire, con quella interna, la possibilità che glianimali spaventati possano muoversi continua-mente senza rimanere catturati in zone angolari;con il corridoio ricavato fra le due recinzioni, inol-tre, si garantirebbe l’opportunità di contenere lecagne da pastore a ridosso del gregge per la difesae di separare (in presenza dell’ allevatore e solo digiorno) le pecore da mungere da quelle muntesenza correre il rischio che le ultime possano al-lontanarsi.

Recinzione internaLa recinzione interna ha lo scopo di contenere ilgregge e deve avere una dimensione tripla/qua-drupla rispetto a quella sviluppata dal gruppo dianimali a stretto contatto fra loro. Deve essereinoltre realizzata con pannelli da 3x2 m di reteelettrosaldata in ferro del diametro di 5 mm conmaglie di 10x10 cm (maglie più grandi consenti-rebbero l’intrappolamento delle pecore e quelle piùstrette appesantirebbero la struttura), disposti adincastro fra loro nel senso della lunghezza ed an-corati da verghe di ferro (diametro di 1,5 cm e al-tezza di 180 cm) conficcate al suolo per 60 cm edisposte al centro ed alle giunzioni di ciascun pan-nello, sia internamente che esternamente. A talerecinzione si può inoltre addossare un telo om-breggiante fino ad un’altezza di 1,00 m per scher-mare la visuale del gregge. Quale forma di rinforzodella struttura, a contrasto di eventuali pressionidall’interno verso l’esterno, potrà essere piazzatoal centro del recinto un palo ancorato al suoloemergente per un’altezza di 2,5 m dalla cui som-mità partiranno tiranti colleganti a punti oppostidella parte superiore della recinzione (vedi Fig. 1).La forma circolare per entrambe le recinzioni èfondamentale per agevolare il movimento deglianimali eliminando punti naturali di ingorgo. Ilcontenimento interno del gregge può essere otte-

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nuto anche con le normali e diffuse reti per oviniin maglie zincate rettangolari. Queste però pur es-sendo indubbiamente più leggere ed idonee al tra-sporto sono molto meno robuste ed idonee a con-tenere greggi di oltre 300 capi, e non a caso gli al-levatori transumanti di alcune aree abruzzesi (adesempio, a Campotosto) utilizzano da anni i mo-duli di rete elettrosaldata. La soluzione internacon reti più leggere potrebbe essere quindi validasolo nei rari pascoli non serviti da strade o piste diaccesso idonee al trasporto del materiale.

Recinzione esternaLa recinzione interna può essere di rete elettrifica-ta a maglie strette di 1,20 m di altezza, sovrastatada due file di cavi elettrificati distanti 20 – 30 cmfra loro per elevarla fino a 1,4 m. Per motivi dimaggiore praticità e di minore costi la recinzioneelettrificata esterna può essere meglio realizzatacon una serie di 6 – 8 cavi ( cfr. Levin 2002, Vidrih2002) di acciaio di 1,2 mm di diametro dispostiorizzontalmente e distanti al massimo 20 cm fraloro per le prime 4 file da terra e di circa 30 cm perle successive, fino ad un’altezza, variabile a secon-da della pendenza del terreno, 1,40 - 2,00 m circa.Per una migliore scarica tra i fili con fase positivaed il potenziale predatore è preferibile alternarenella successione dal basso fili a polarità diversa.Tale accortezza è particolarmente utile nei casi diterreni asciutti che non favoriscono il passaggiodella corrente tra il suolo, l’animale ed il filo di fasepositiva (Vidrih 2002). Entrambe le soluzioni (fili oreti) dovranno essere sorrette da picchetti robusti(legno o ferro con isolatori) ancorati a tiranti alter-nati e disposti verso l’esterno.

Le aperture per l’ingresso alle due strutture do-vranno essere disposte in corrispondenza fra loroe quella esterna realizzata, preferibilmente, piùampia della interna; le porzioni di recinzioneesterna costituenti l’ingresso potranno essereusate come pareti per immettere nella strutturainterna. La doppia recinzione permetterebbe inol-tre un ulteriore vantaggio in tutte quelle operazio-ni in cui è indispensabile separare temporanea-mente gli ovini in due diversi gruppi (mungitura),operazioni per le quali in ogni caso l’allevatoredeve realizzare due diversi recinti contigui. Ovvia-mente nelle ore notturne o in assenza di controllodiretto del gregge tutto il bestiame verrebbe rin-chiuso nella sola recinzione interna. L’apertura al-l’esterno della recinzione elettrificata verrebbe fa-cilmente realizzata con i semplici accessori fornitidalle ditte (gancio con molla e maniglia isolata perogni filo elettrificato). Per le altre specifiche tecniche della recinzione(maniglie, isolatori, segnaletica, prese di terra, nu-mero di impulsi, ecc.) si rimanda a quanto sugge-rito dalle ditte fornitrici. Per migliorare la funzionedi difesa della recinzione è inoltre importante dis-porre in modo strategico i cani di razza pastore-abruzzese, rispettando la disposizione tradizionalecon le femmine nel corridoio intermedio a ridossodel gregge e i maschi adulti e gli immaturi, invece,all’esterno per poter intervenire sul punto di at-tacco. Tale disposizione di difesa del gregge, chia-ramente possibile se si dispone di un discreto econgruo numero di animali, favorisce il comporta-mento antipredatorio del cane da guardia esaltan-do le peculiarità comportamentali dei due sessi ilcui comportamento è stato ben evidenziato da di-

Figura 1. – Schema e particolari della recinzione

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versi autori (Breber 1979, 1988, Orysia et al.2004). Infatti le femmine, che sono più guardinghee sospettose, preferiscono rimanere sedute osdraiate sul ventre e restano in allerta più dei ma-schi a cui appartiene il vero ruolo di sorveglianzae difesa. Inoltre la presenza delle femmine serve atrattenere i maschi dal girovagare (Breber 1979).

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M. Pellegrini e R. Zuccarini

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RiassuntoA conclusione del progetto LIFE Natura (LIFE-NAT/IT/004097, gestito dall’Associazione Italianaper il WWF per la conservazione dei grandi carni-vori sull’arco alpino), in cui sono state date in affi-damento 6 coppie di mastini abruzzesi ad altret-tante aziende zootecniche (Piemonte, Friuli, Slove-nia), si è proceduto con la valutazione di un proto-collo per il monitoraggio della resa dei cani daguardiania affidati. Il protocollo di monitoraggioprevedeva sia osservazioni dirette, per quantifica-re l’attitudine dei cani a rimanere associati al greg-ge, sia questionari agli allevatori, per valutare illoro grado di soddisfazione e l’efficacia dei canistessi. Le osservazioni, realizzate a distanza suisingoli cani nelle ore di attività al pascolo (09:00 –17:00), sono state condotte nel periodo agosto – ot-tobre 2000 senza preavvisare, in ciascuna visita, isingoli allevatori. Il numero di cani e di contesti lavorativi idonei almonitoraggio è stato tuttavia inferiore all’atteso, esu 12 cani dati in affidamento tra il 1999 e il 2000,1 era morto, 3 non erano funzionali, e 4 si trova-vano all’interno di recinti. Le osservazioni, per untotale di 19 ore e 18 min, si sono potute quindirealizzare su 4 cani presenti in due aziende in Pie-monte. I punteggi relativi a prossimità, posizione eorientamento dei cani nei confronti del gregge alpascolo sono indicativi di elevata funzionalità, seb-bene da osservazioni prolungate siano emersi al-cuni difetti comportamentali (ad esempio, insegui-mento fauna selvatica). Gli allevatori sono apparsimediamente soddisfatti del cane da guardiania,ma erano generalmente poco informati sulle suefunzionalità e modalità d’impiego. Nonostante lalimitatezza del campione renda i risultati pocorappresentativi e puramente indicativi, l’enfasi diquesta trattazione verte sulla necessità di preve-dere programmi di monitoraggio qualora, nell’am-bito dei progetti di conservazione, si tenti il recu-pero o l’introduzione del cane da guardiania cometecnica di difesa.

SummaryFollowing adoption of 12 livestock guarding dogsby shepherds in the Alps (Prog. LIFENAT/IT/004097), we assessed a protocol for monitoringthe dogs’ efficiency. Monitoring involved both direct

observations of dogs at work, to evaluate their at-tentive behavior, and a questionnaire survey to theirowners, to assess the dogs’ efficiency and she-pherds’ satisfaction. Direct observations from thedistance and by focal sampling were carried out atgrazing time (09:00 – 17:00) during August – Octo-ber 2000. However, the number of working dogswas lower, and their range context different, thanexpected based on the original adoption program.At the time the monitoring took place, and out of 12dogs originally adopted, 1 died, 3 were no longerfunctional, and 4 were permanently held into sheepcorrals. Direct observations, for a total of 19h 18m, weretherefore carried out on 4 dogs working in 2 farmsin Piedmont. For these dogs, scores of proximity,orientation and sidedness reflected high attentivebehavior, but prolonged observations detected somebehavioral defects such as wildlife chasing. She-pherds were generally satisfied with the adoptioncampaign, although they were not thoroughly infor-med on working characteristics of livestock guar-ding dogs. Although the restricted sample size andthe small number of dogs severely limited represen-tativeness and interpretation of the data, we usethese results to emphasize the necessity to imple-ment a monitoring program of livestock guardingdogs as they are (re)introduced into sheep farmingas a defense against predators.

INTRODUZIONEIn seguito alla recente espansione dei grandi car-nivori in diverse aree dell’Europa occidentale(Breitenmoser 1998), si è tentato il recupero e l’af-finamento di tecniche di allevamento zootecnicopiù idonee alla presenza di predatori selvatici e co-munque mirate alla prevenzione degli eventi pre-datori (Linnell et al. 1996, Gutleb 2001, Levin2002, Mertens et al. 2002). Tra queste, l’impiego dei cani da guardiania è unotra i sistemi più tradizionali e promettenti allostesso tempo (Linhart et al. 1979, Coppinger &Coppinger 1980, Coppinger et al. 1998, Green etal. 1984, Andelt 1992, Rigg 2001, Dawydiak &Sims 2004) e, in quanto tale, è stato recentemen-te contemplato in diversi progetti di conservazionecon il recupero delle razze da guardiania a livellolocale (ad esempio, Rigg, 2001, 2005, Ribeiro &

MONITORAGGIO DELL’EFFICIENZA DEI CANI DA GUARDIANIA:APPLICAZIONE PRELIMINARE SUI CANI DATI IN AFFIDAMENTO

NELL’ARCO ALPINO

Monitoring the efficiency of live-stock guarding dogs: a preliminary application with dogs assigned to sheperds in the Alps

EDOARDO TEDESCO*° E PAOLO CIUCCI*** Department of Zoology, Università di Aberdeen, Aberdeen, Scozia

** Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Roma

°Autore per la corrispondenza

Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 181-190, 2005

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E. Tedesco e P. Ciucci

Petrucci Fonseca 2004, Hansen 2005, Landry etal. 2005, Levin 2005).Tuttavia, la piena funzionalità e la corretta inte-grazione del cane da guardiania nel contesto zoo-tecnico implicano condizioni e procedure affattosemplici (ad esempio, Green & Woodruff 1990). Ungrave errore spesso commesso nei recenti tentati-vi di recupero della tecnica è la convinzione chel’affidamento del cane a livello degli allevamentilocali rappresenti il momento finale degli intenti diconservazione. In realtà, data la complessità chesottintende la funzionalità di un cane da guardia-nia, la cui resa dipende da fattori di natura diver-sa (le caratteristiche genetiche dei fondatori, lecondizioni ambientali e sociali di allevamento, latipologia degli allevamenti, le condizioni di pasco-lo, etc.), i risultati delle operazioni di affidamentosono il più delle volte incerti (Rigg 2001). Questo ètanto più vero quanto meno vengono rispettate lecondizioni ottimali nella fasi critiche di selezione,allevamento, crescita e affidamento del cane, spe-cialmente in quelle aree dove gli allevatori nonsono più culturalmente affini al cane da guardia-nia come strumento di lavoro (Landry et al. 2005).Se questi aspetti non vengono adeguatamentecontemplati in fase di pianificazione, e ancor piùmonitorati in fase di realizzazione, non solo si ri-schia di inficiare gli intenti di conservazione (co-esistenza funzionale tra attività zootecnica e gran-di predatori) ma soprattutto di creare ulteriori pro-blemi di carattere ecologico, gestionale e sociale.Nel momento in cui, in Italia come altrove, la tra-dizione di selezione, allevamento e impiego deicani da guardiania si è andata perdendo con le ge-nerazioni parallelamente alla regressione dei gran-di carnivori sul territorio, il recupero di questa tec-nica di prevenzione non può prescindere da unafase di avviamento, apprendimento sperimentale,e progressivo affinamento. Nella prospettiva sopra delineata, un’attenta azio-ne di monitoraggio del comportamento e dell’effi-cienza dei cani stessi, in relazione alle loro carat-teristiche genetiche ed alle condizioni di alleva-mento e d’impiego, appare quindi un momentofondamentale – e troppo spesso sottovalutato – peraffinare la tecnica ed aumentarne efficacia ed ap-plicabilità. I risultati dovrebbero quindi essere tra-smessi tramite un feedback immediato ai centri diallevamento, per la selezione degli individui ripro-duttori, ed al contesto operativo, per l’individua-zione delle condizioni ottimali d’impiego. Inoltre,data la variabilità individuale dei cani e il rischiodi un mancato rispetto delle condizioni ottimali dicrescita e allevamento, il loro monitoraggio in uncontesto di lavoro è critico anche per prevenirel’immissione nell’ambiente di cani non solo poco onulla funzionali ma potenzialmente in grado dicontribuire ulteriormente ai noti problemi legati alrandagismo canino. La necessità di un attento monitoraggio dei canida guardiania appare particolarmente sentitanelle aree dell’arco alpino dove, rispetto ad un con-testo appenninico centro-meridionale, le popola-zioni locali e gli allevatori vivono da più generazio-

ni in assenza di grandi predatori allo stato selvati-co e non sono tradizionalmente inclini all’impiegodei cani da guardiania come strumento di difesadel bestiame. In queste aree, proprio perché parti-colarmente innovativo, l’eventuale affidamento deicani da guardiania deve essere riconosciuto comeintervento sperimentale e, quindi, caratterizzatoda un elevato standard tecnico e accompagnato daun alto senso di responsabilità gestionale (Ciucci2000). Cani o tecniche di affidamento poco effica-ci potrebbero infatti compromettere definitivamen-te la diffusione dei cani come strumento di pre-venzione se non tradursi in reazioni negative nonsolo degli allevatori ma generalizzate (p. es., cac-ciatori, guardie provinciali, consorzi usi civici, entituristici) con effetti negativi per la futura conser-vazione dei grossi carnivori sull’arco alpino. In definitiva, qualsiasi sia l’impianto sperimentaleche sottintende le condizioni per la selezione, l’al-levamento, l’affidamento e l’utilizzo dei cani daguardiania, è nostra convinzione che non si possaprescindere da un monitoraggio della loro effettivaresa una volta inseriti nel contesto lavorativo. Bi-sogna anche riconoscere che un’azione di monito-raggio dei cani da guardiania e delle loro condizio-ni d’impiego non può prescindere da un coinvolgi-mento degli allevatori stessi, e ciò ha due impor-tanti conseguenze: se da una parte comporta unpiù stretto contatto tra tecnici e allevatori – che sisentiranno più assistiti e incentivati in una fasesperimentale di recupero della tecnica, dall’altrafacilita la partecipazione attiva degli allevatori nelprocesso decisionale che dovrebbe sottintendere laformulazione condivisa delle strategie e delle poli-tiche di conservazione (Treves & Karanth 2003). In questo lavoro presentiamo i risultati prelimina-ri del monitoraggio dei primi cani dati in adozionetra il 1999 e il 2000 ad alcuni allevatori dall’Asso-ciazione Italiana per il WWF nell’ambito del pro-getto UE-LIFE Natura ‘Azioni urgenti di conserva-zione di grandi carnivori nell’arco alpino’ (ProgettoLIFENAT/IT/004097). Il monitoraggio è stato rea-lizzato per conto dell’Associazione Italiana per ilWWF indipendentemente dal progetto di affida-mento e nella sua fase finale (Ciucci 2000; Tede-sco & Ciucci 2001). Conseguentemente, i criteri diselezione degli allevatori, la scelta dei fondatori deicani da guardiania, la definizione delle condizionidi allevamento, di affidamento e di manutenzionedegli stessi esulano dal presente lavoro: questiaspetti (per i quali si rimanda ai rapporti interni,cfr. Arduino & Catullo 2001), pur avendo impor-tanza critica ai fini del monitoraggio, non vengonoin questa sede né illustrati né discussi non essen-do di responsabilità degli autori. Inoltre, dal mo-mento che in fase di applicazione del protocollo dimonitoraggio si è constatato che il numero di caniosservabili era in realtà inferiore all’atteso, e che ele condizioni di operatività erano in alcuni casicompromesse (vedi sotto), i dati raccolti sono ri-sultati limitati e comunque poco rappresentativi.Nonostante ciò, e sottolineando il carattere pura-mente indicativo della trattazione dei dati raccolti,intendiamo ugualmente presentare i risultati otte-

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nuti al fine di: (a) contribuire a colmare un vuotonella letteratura ad oggi disponibile in Italia suquesto argomento; (b) enfatizzare l’importanzache, nel caso dei cani da guardiania come di altriinterventi gestionali, il monitoraggio assume neiprogetti di conservazione, in special modo laddovegli interventi sono complessi, soffrono di uno scar-so controllo sperimentale, contemplano la parteci-pazione di più soggetti e si esplicano nel medio-lungo periodo; (c) illustrare l’applicazione di alcu-ne tecniche per il monitoraggio della resa dei canida guardiania, tecniche peraltro già sperimentatea tal fine (Coppinger et al. 1983). Consci del fattoche la limitatezza dei risultati non permette néuna esaustiva illustrazione né una valutazione delpiano di monitoraggio proposto, speriamo questolavoro possa comunque servire da spunto e stimo-lo per iniziative analoghe.

METODIIl monitoraggio dei cani da guardiania al lavoro,qui inteso come valutazione quantitativa di alcunimoduli comportamentali critici e della presunta ef-ficacia a seguito dell’affidamento, è stato applicatoin chiave sperimentale tramite osservazioni direttee questionari agli allevatori. I cani per cui era pre-visto il monitoraggio erano le sei coppie di mastiniabruzzesi forniti tra il 1999 ed il 2000 ad alcuni al-levatori della regione alpina (Tab. 1). Le osserva-zioni sono state effettuate sui cani ancora presen-ti nelle aziende al momento della realizzazione delmonitoraggio, in particolare tra 29 agosto e il 27ottobre 2000. I cani, al momento del monitoraggio,avevano un’età di circa due anni. Le osservazionisui cani al lavoro con le greggi sono state realizza-

te durante le ore di pascolo (09:00 – 17:00), in con-dizioni di operatività normali e con repliche di vi-sita da parte dell’osservatore agli stessi allevamen-ti, senza preavviso all’allevatore.

Valutazione del comportamento dei canida guardianiaIn base ad un modello teorico utilizzato per valu-tare l’efficienza del cane da guardiania, Coppingere collaboratori (Coppinger & Coppinger 1980, Cop-pinger et al. 1983, 1988) riconoscono tre compo-nenti comportamentali fondamentali: l’affidabilità(assenza di istinti predatori nei confronti del be-stiame domestico), l’attitudine a rimanere associa-ti al bestiame, e l’istinto di protezione, ovvero lapropensione al confronto con in predatori in casodi attacco. La valutazione quantitativa di questecomponenti nei cani da guardiania può essere uti-lizzata per comparare la resa di diversi cani al la-voro, individuare eventuali inabilità e risalirne allecause (Coppinger et al. 1983). Mentre per valutarel’affidabilità e l’istinto di protezione è più conve-niente utilizzare sondaggi d’opinione a livello degliallevatori che utilizzano i cani (questionari, inter-viste), il grado di associazione al gregge può esse-re misurato direttamente sul campo tramite osser-vazioni dirette. Questo ultimo aspetto interessa imeccanismi funzionali più rilevanti ai fini dell’effi-cienza del cane da guardiania e, ai fini del presen-te lavoro, è stato valutato tramite osservazioni di-rette sui singoli cani (focal sampling) in sessioni didurata > 1 ora suddivise in unità di registrazionedi 10 min. Allo stesso tempo, al fine di facilitarel’interpretazione dei dati, la ripartizione temporaledi alcuni comportamenti chiave (gioco, allerta, ag-

n. cani Osservazionia

Anno n. cani presenti al Condizioni Codice __________________________________________Destinazione consegna consegnati monitoraggio di impiego cane Posizionamento Orient./Posizione Attività__________________________________________________________________________________________________

Piemonte 2000 2 2 al pascolo CF F01 13 (127) - - 13 (127)(Colle Finestre) libero CF M01 18 (180) - - 18 (180)

Piemonte 2000 2 2 al pascolo LP F02 15 (148) 7 (70) 15 (148)(Limone) LP M02 17 (163) 8 (80) 17 (163)

Friuli 1999 2 2 in recinto SA F03 - - 13 (130)(Savogna) SA M03 - - 16 (160)

Slovenia 2000 2 2 in recinto NL M04 - - 24 (240)(Nemska Loka) NL F04 - - -

Piemonte 1999 2 0 al pascolo VS M05 - - -(Valle Stura) liberob VS F05 - - -

Piemonte 1999 2 0 al pascolo VM M06 - - -(Val Maira) liberob VM F06 - - -

a: numero di osservazioni e, tra parentesi, minuti totalib: condizioni d’impiego previste originariamente ma non riscontrate al momento del monitoraggio

Tabella 1. Tavola sinottica dei cani da guardiania e delle osservazioni comportamentali. I cani da guardianiasono mastini abruzzesi dati in affidamento agli allevatori nell’ambito del Progetto Life Natura, “Azioni urgenti diconservazione di grandi carnivori nell’arco alpino”.

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gressività, interazioni sociali, etc.) è stata registra-ta per i cani oggetto di osservazione. Le osserva-zioni dirette sono state compiute dalla distanzacon l’ausilio di binocoli (8-10x) e cannocchiale (40-60x) in modo da non interferire con il comporta-mento dei cani da guardiania. Le osservazionisono cominciate esclusivamente in condizioni dipascolo o di spostamento del bestiame, evitandofasi di riposo e/o di ruminazione (Coppinger et al.1983) Sono state inoltre escluse situazioni parti-colari quali interazioni positive o negative con ilpastore, che avrebbero potuto alterare il successi-vo grado di associazione con il pastore e/o le pe-core, o altri eventi di distrazione (ad esempio,gioco, interazioni sociali, inseguimento dellafauna). Seguendo il protocollo di Coppinger e col-leghi (Coppinger et al. 1983), l’attitudine dei canida guardiania a rimanere associati al bestiame do-mestico è stata quantificata rispetto alla presenzadel pastore e/o di altri cani e su tre basi comple-mentari: la prossimità, l’orientamento in fase dimovimento, e la posizione in fase di sosta.

- ProssimitàLa posizione del cane rispetto al gregge è stataquantificata rispetto a classi di distanza crescenti(0-15, 15-50, 50-100, 100-200, >200, in metri) edal tempo che il cane si tratteneva all’interno di cia-scuna classe di distanza. La stessa quantificazio-ne è stata fatta anche in riferimento al pastore e/oaltri cani (da compagnia, da conduzione) presenti,ed i dati confrontati in forma grafica (vedi sotto).Per ciascun cane, la distanza dal gregge e dal pa-store è stata quantificata come media pesata delledistanze in base al tempo:

dove,j = classe di distanza; fj = tempo in cui il cane èstato osservato osservato alla distanza j; N = totaleminuti di osservazionePunteggi di distanza media dal gregge inferiori cor-rispondono ovviamente ad una maggiore attitudi-ne del cane a rimanere associato al bestiame, maè dal confronto con le distanze medie rispetto alpastore o ad altri cani che si ottengono le valuta-zioni di efficienza più rilevanti (Coppinger et al.1983): le due classi di distanza vengono rese informa di matrice e interpretate graficamente ri-spetto ai valori giacenti lungo la diagonale dellamatrice (cfr. Fig. 1). Mentre punteggi prossimi alladiagonale indicano una eguale propensione ad as-sociarsi al pastore o al gregge, punteggi sopra ladiagonale indicano un maggior interesse nei con-fronti del pastore e punteggi sotto la diagonalesono indice di cani istintivamente più attaccati albestiame. Per una più completa interpretazione, ipunteggi di prossimità devono essere interpretaticongiuntamente a quelli delle due prove successi-ve (Coppinger et al. 1983).

- OrientamentoL’orientamento del cane nei suoi spostamenti (per

definizione, movimenti di almeno 5 passi seguitida pause di almeno 15 secondi) è stato quantifica-to anche in questo caso rispetto al gregge e al pa-store (e/o altri cani). Il punteggio finale è nellaforma di un rapporto tra la differenza tra casi diavvicinamento al gregge o al pastore e la lorosomma (Coppinger et al. 1983). L’indice risultantevaria da -1 a +1, con valori prossimi allo zero pro-pri di tendenze neutre. Valori positivi prossimi al-l’unità sono indice di un elevato senso di attacca-mento al bestiame.

- PosizioneLa posizione rispetto al gregge o al pastore (e/oaltri cani) viene registrata nel momento in cui ilcane termina uno spostamento e viene stabilita inriferimento alla linea mediana (stimata ad occhio)che attraversa il gregge o mandria con direzioneparallela al movimento del gregge. Il punteggio fi-nale, con riferimento alla linea mediana, è dato dalrapporto della differenza tra le soste dalla parte delpastore e/o altri cani e le soste dalla parte delgregge, e il numero totale di soste osservate. Canicon alto grado di associazione al bestiame non ri-sentiranno eccessivamente della presenza del pa-store e tenderanno a posizionarsi in maniera ca-suale da entrambi le parti rispetto alla linea me-diana, corrispondendo a punteggi bassi o intornoa valori nulli.

Figura 1. – Sintesi grafica dei punteggi di prossimitàper le coppie di cani da guardiania al pascolo (ColleFinestre e Limone, Piemonte, cfr. Tab. 1). La diago-nale indica i valori attesi in base ad una eguale pro-pensione ad associarsi al gregge al pascolo o al pa-store. Il numero dei campioni focali (n=63) e le ore to-tali (10h 30m) di osservazione sono state suddivisetra i cani come segue: CF F01: n=13 (2h 10m); CFM01: n=18 (3h 00m); LP F02: n=17 (2h 30m); LPM02: n=15 (2h 50m).

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Ripartizione delle categorie comportamentaliScopo iniziale di questa fase di osservazione èstato quello di fornire una descrizione delle princi-pali componenti comportamentali (Tab. 2) e delloro susseguirsi nel tempo, all’interno dei periodidi osservazione. Le osservazioni comportamentalipossono fornire un’importante base interpretativae di confronto tra soggetti diversi e a supportodelle prove precedenti, specialmente se fatte in re-lazione a differenti contesti zootecnici, ambientalie gestionali. Del resto, dato il carattere prelimina-re ed essenzialmente descrittivo di questa applica-zione, nessuno tentativo è stato fatto per correlareil comportamento osservato con altre variabili am-bientali e/o gestionali. Data la possibile insorgen-za di comportamenti rari ma critici (ad esempio,pattern predatori) anche in questo caso le regi-strazioni focali sono state articolate all’interno diperiodi di osservazione della durata di 1-2 ore.

Indagine tramite questionariL’efficienza dei cani è stata valutata indirettamen-te attraverso dei questionari presentati diretta-mente agli allevatori (Coppinger et al. 1988) sottoforma di colloquio informale condotto direttamen-te dall’operatore; i colloqui sono avvenuti secondoschemi prestabiliti e solo dopo che gli allevatoriavessero preso confidenza con l’operatore. I que-stionari sono stati suddivisi in cinque sezioni.Sono state innanzitutto registrate le impressionisulla presenza dei predatori in zona e sulle even-tuali perdite di bestiame a carico dell’allevamento;si sono quindi identificate le tipologie di bestiamee le condizioni di allevamento, nonché la tipologiae la funzionalità di eventuali cani impiegati. Nellaterza e quarta sezione si sono esaminate diretta-mente le caratteristiche dei cani da guardianiadati in affidamento: in particolare, si è richiesta

una valutazione soggettiva dell’efficienza del canee un parere sull’entità dei danni prima e dopo lasua adozione, soprattutto in relazione ai costi mo-netari e temporali che l’impiego dei cani stessi im-plica. Altre domande hanno cercato di sondare lapercezione di eventuali caratteristiche, sia positiveche negative, del comportamento dei cani (adesempio, la loro attitudine a inseguire prede selva-tiche oppure a rimanere vigili nei pressi al bestia-me domestico). L’ultima sezione del questionarioriguardava l’eventuale adozione di altri metodi didifesa dai predatori.

RISULTATI E DISCUSSIONESituazione dei cani al momentodel monitoraggioSu 12 cani inizialmente assegnati agli allevatorinel corso dei due anni precedenti, solo 8 eranopresenti al momento del monitoraggio (Tab. 1). Adistanza di due anni dalla cessione in affidamentoall’allevatore, delle 6 coppie inizialmente affidate 2(33,3%) erano assenti dall’azienda o comunquenon erano più operative. Altre 2 (33,3%) venivanoutilizzate all’interno di recinti, e solo le rimanenti2 erano utilizzate sui terreni di pascolo come daprogramma originario (Tab. 1). Delle 4 coppie ori-ginariamente affidate agli allevamenti in Piemontene erano rimaste 2 (Limone e Colle delle Finestre):la femmina della coppia data in affidamento inValle Stura era morta in seguito ad un morso diuna vipera, mentre il maschio, a giudizio del tito-lare dell’azienda, era totalmente inefficiente ed erastato rimosso dal lavoro; la femmina della coppiadata in affidamento in Val Maira era stata elimi-nata dopo essere stata sorpresa a predare sullegalline, mentre il maschio, nonostante continuas-se ad essere lasciato all’alpeggio, non rimaneva

Categoria comportamentale Descrizione__________________________________________________________________________________________________

Dorme, d Il cane è visibilmente assente, in posizione di acciambellamento

Riposa, r Il cane è sdraiato, supino o su un lato, con il capo a terra. Non necessariamente ha gli occhi chiusi

Vigila, v Il cane, sdraiato sullo sterno o seduto o in piedi, mantiene il capo erettoe lo sguardo vigile; varia da uno stato di riposo a uno stato di allerta attiva

Interazione sociale, ie Interazione sociale del cane con altri cani presenti nel gregge, siano essi diguardiania che da conduzione

Interazione pecore, ipe Interazioni con le pecore, non di natura aggressiva

Interazione pastore, ipa Interazioni con il pastore

Pattugliamento, p Pattugliamento e marcatura del territorio di pascolo

Aggressivo, a Aggressivo verso estranei (cani, fauna, persone)

Spostamento, s Spostamento con il gregge

Alimentazione, m Attività di alimentazione

Tabella 2. – Categorie comportamentali dei cani da guardiania registrate durante le sessioni di osservazione in-dividuale dei cani al lavoro (campionamento focale).

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mai con le pecore. Considerando le rimanenti 4coppie presenti al momento del monitoraggio (2 inPiemonte, una in Friuli ed una in Slovenia, Tab.1), solo a Limone si sono potuti osservare i cani allavoro sui terreni di pascolo con il gregge e incompagnia del pastore, mentre nell’altra coppia diColle delle Finestre i cani venivano lasciati al pa-scolo con il gregge ma in assenza del pastore. Lealtre due coppie (Savogna e Nemska Loka) veniva-no lasciate in compagnia delle pecore ma all’inter-no di recinti (circa 70 e 150 m2 ) ubicati nella pe-riferia dei paesi. Per questi cani non si è potutoprocedere con la valutazione di efficienza dal mo-mento che le condizioni di cattività ne avrebberofortemente condizionato risultato e validità. In Slo-venia, infine, era presente con il gregge solo il ma-schio poiché la femmina, avendo da poco partori-to, era tenuta in isolamento. In definitiva, ed escluso l’unico caso di mortalitàaccidentale, il fatto che 3 (27%) cani sui 11 dati inaffidamento non si siano dimostrati funzionali po-trebbe essere un risultato atteso in base alla va-riabilità individuale dei cani e alle diverse condi-zioni di utilizzazione, specialmente in zone dovenon esiste una tradizione d’impiego dei cani daguardiania e tanto meno del mastino abruzzese. Inbase a sondaggi condotti altrove sulla resa dei canida guardiania, la mancata funzionalità è stata ri-levata nel 40% e più degli allevamenti interessati(ad esempio, Coppinger et al. 1983, 1988), e spes-so le cause vanno ricercate non solo nelle diverserazze e caratteristiche genetiche dei singoli cani,ma soprattutto nelle condizioni d’allevamento e diutilizzo inadeguate. È proprio in virtù di una resacosì variabile che diventa fondamentale seguire unapproccio estremamente rigoroso, possibilmentegarantito da un supporto sperimentale, in tutte lefasi che precedono e seguono l’affidamento deicani da guardiania sull’arco alpino. Inoltre, inter-pretata in un’ottica più strategica, l’inefficacia dei3 cani sopra riportata interessa il 50% degli alle-vamenti contattati in Piemonte e ad oltre un terzodi tutti gli allevamenti coinvolti dal progetto di af-fidamento (Tab. 1). Inoltre, se si escludono i canimantenuti all’interno dei recinti, la mancata fun-

zionalità interessa il 50% dei cani dati in affida-mento. Proponendosi il progetto originario di in-trodurre, tramite una fase di avvio iniziale, unanuova tecnica di difesa del bestiame sull’arco alpi-no, le rese riportate in questo primo tentativo dimonitoraggio, sebbene limitate e fondate su unnumero ridotto di cani, devono comunque fare ri-flettere. Inoltre, qualora il programma di monito-raggio fosse stato contemplato già dalle fasi inizia-li del progetto di affidamento, i difetti comporta-mentali di alcuni cani sarebbero stati individuatiper tempo, e si sarebbe potuta valutare la loro evo-luzione in rapporto al contesto lavorativo, nonchésuggerire per tempo misure correttive all’allevato-re. Questo risulta tanto più vero considerando chei cani, sebbene in età già adulta al momento delmonitoraggio, sono stati affidati ancora in età gio-vanile agli allevatori e si sono trovati a lavorare inun contesto nuovo in assenza di altri cani da guar-diania con un’esperienza lavorativa già maturata;non essendo tra l’altro gli allevatori della zonaesperti nell’impiego di questi cani, è possibile checani geneticamente validi non abbiano avuto mododi rafforzare i giusti comportamenti in assenza dimodelli funzionali o condizioni di utilizzo idonee(Val Maira e Valle Stura).

Prossimità, orientamento e posizioneIn base ai cani disponibili per le osservazioni, leprove di prossimità sono state effettuate esclusi-vamente per quelle coppie che seguivano il greggelibero al pascolo, ovvero le due coppie affidate agliallevatori in Piemonte (Colle delle Finestre: CF F01e CF M01; Limone: LP F02 e LP M02; Tab. 1). Perla coppia di cani nell’allevamento di Colle delle Fi-nestre, con gregge al pascolo in assenza di pasto-re, la prossimità è stata misurata rispetto ad altricani; nell’allevamento di Limone la prossimità deicani è stata misurata rispetto al pastore. Dai ri-sultati preliminari (Fig. 1), si evince che i cani, perquanto riguarda le prove di prossimità, dimostra-vano buona funzionalità, ovvero una più spiccataattitudine ad associarsi al gregge piuttosto che alpastore o ad altri cani. Ciò e particolarmente evi-dente per la coppia di cani di Limone (Fig. 1), come

Figura 2. – Distribuzione delle categorie comportamentali osservate nei cani da guardiania al pascolo con le pe-core (A) e all’interno dei recinti (B). I valori in colonna sono le medie delle percentuali di tutti i cani ± DS (lineed’errore). Per le categorie comportamentali vedi Tab. 2).

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anche confermato dalle prove di posizione edorientamento (vedi sotto). Solo la femmina di Colledelle Finestre rientra nei riquadri della matrice inposizione diagonale, mostrando quindi un atteg-giamento neutro, ma nessun cane ha comunqueassunto valori superiori alla diagonale. Dato il ri-dotto numero di esemplari osservati, del resto,questi risultati assumono un significato essenzial-mente illustrativo e rimangono comunque difficil-mente interpretabili alla luce della variabilità dicampionamento.I punteggi di orientamento e posizione sono statirilevati esclusivamente per i cani da guardianiaoperanti in greggi accompagnati al pascolo anchedal pastore, ovvero i due cani dell’allevamento diLimone (Tab. 3). In entrambi i casi, i punteggi ot-tenuti sono indicativi di cani con elevato gradi diassociazione con il gregge e comunque non sog-getti ad attrazione deviante nei confronti del pa-store. La ridotta dimensione del campione, e loscarso numero di cani su cui si sono potute svol-gere le osservazioni, rendono anche in questo casoi risultati puramente indicativi. Nonostante ciò, ipunteggi ottenuti per le due coppie date in affida-mento a Limone e Colle delle Finestre sono propridi soggetti di elevata funzionalità e caratteristici dicani affidabili tradizionalmente utilizzati in Abruz-zo (cfr. Coppinger et al. 1983: Fig. 2 e Tab. 3); inquanto tali, questi cani rispecchiano probabilmen-te la selezione di un’efficace linea genetica, l’ado-zione di tecniche di crescita ed allevamento delcane adeguate, un contesto lavorativo particolar-mente idoneo, o un insieme di questi fattori. Inmancanza di informazioni addizionali sugli altriaspetti, questi individui dovrebbero essere perlo-meno valorizzati come fondatori all’interno deiprogrammi di selezione. Anche in questo caso, delresto, la funzionalità del cane da guardiania nonverrebbe esclusivamente assicurata dalla selezio-ne di riproduttori affidabili, in quanto resta in-dubbia l’influenza che le condizioni di crescita, diallevamento e di impiego esercitano sulla resa fi-

nale (Green & Woodruff 1990, Rigg 2001, Dawy-diak & Sims 2004). In quest’ottica, si ribadisce cheun piano di monitoraggio simultaneo al progetto diaffidamento avrebbe permesso di ricondurre piùfacilmente eventuali differenze nella resa dei cania fattori di carattere genetico oppure ambientale(crescita, allevamento, impiego). In termini di una valutazione globale dell’efficien-

za del cane da guardiania, la prove di prossimità,orientamento e posizione sono atte a valutare inparticolare l’attitudine del cane a rimanere asso-ciato al bestiame. Molte altre sono le componentida considerare, dall’assenza di istinti predatori al-l’attitudine a proteggere il gregge (Coppinger et al.1983, 1988, Green & Woodruff 1990), a fattori dicarattere pratico che interessano l’economia e lalogistica dell’allevamento (longevità dei cani e lorocosti di mantenimento, condizioni ideali di alleva-mento e d’impiego, interazioni dei cani con la sel-vaggina, il bestiame degli allevamenti limitrofi e lepersone, etc.) (Rigg 2001, Dawydiak & Sims 2004).Del resto, la funzionalità del cane da guardiania di-pende in ultima istanza dalla sua maggiore o mino-re propensione a focalizzare la sua attenzione sulbestiame domestico, in quanto è semplicemente conla sua presenza all’interno del gregge che può dis-togliere l’intento di un predatore o deviarlo altrove(Coppinger et al. 1988). Ciò è vero al punto che laselezione per questo carattere (che dipende sia dafattori genetici che di allevamento) risulta prepon-derante rispetto ad altri (mole, colore, aggressività,etc.) che assumono comunque un ruolo secondario(Black & Green 1985, Coppinger et al. 1988).

Ripartizione delle categorie comportamentaliIn totale sono state effettuate 19 ore e 18 minuti diosservazione diretta, per un totale di 117 osserva-zioni focali di 10 min, ripartite tra 7 cani (Tab. 1).In totale, le osservazioni focali sono state realizza-te per il 54% nelle ore diurne (09:00 – 12:00), il25% nelle ore centrali della giornata (12:00 –15:00), e il restante 21% nelle ore pomeridiane(15:00 – 19:00), con una allocazione temporalecomparabile tra i diversi cani. Mediamente (± DS),la coppia di Limone ha mostrato livelli di vigilanzasuperiori alla coppia di Colle delle Finestre (rispet-tivamente, 44 ± 0,8% vs. 30,3 ± 5,4%), e le duecoppie combinate sono state più vigili dei tre caniin ambiente recintato (rispettivamente, 37,2 ±9,7% vs. 8,9 ± 9,1%). Inoltre, la coppia di Limoneè stata osservata seguire le pecore (15,1 ± 3,9%)più frequentemente rispetto alla coppia di Colledelle Finestre (6,9 ± 5,7%), sebbene quest’ultimasembrasse più propensa a pattugliare il territoriodi pascolo (33,4 ± 9,5% vs. 16,5 ± 0,9%). Durantele osservazioni, le coppie di Limone e di Colle delleFinestre, congiuntamente, hanno inoltre dormito(1,4 ± 1,9%) o riposato (12,8 ± 4,9%) meno dei caninei recinti (rispettivamente, 39,9 ±11,7% e 36,4 ±0,9%) (Fig. 2). Tuttavia, dato l’esiguo numero dicani osservati in ciascuna categoria, le differenzenon sono state valutate ulteriormente dato lo scar-so potere statistico del confronto. Le osservazioni comportamentali sono state effet-

Punteggio na_____________________________________________

PosizioneLP F02 0,38 7LP M02 0,14 13

OrientamentoLP F02 0,35 37LP M02 0,78 31

a: numero di spostamenti (Orientamento) e di pause (Posizione)registrati dalle sessioni di monitoraggio di 10m (LP M02: n=8; LP F02: n=7)

Tabella 3. – Punteggio delle prove di Orientamento ePosizione effettuate per la coppia di cani da guardia-na al pascolo affidati all’allevamento di Limone (cfr.Tab. 1). Punteggi di Posizione prossimi allo zero epunteggi di Orientamento prossimi all’unità indicanoun’elevata attitudine ad associarsi al gregge.

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tuate al fine di meglio interpretare la resa delleprove precedenti tra i differenti cani e osservareeventuali comportamenti devianti. Del resto, l’in-terpretazione globale della ripartizione dei compor-tamenti qui descritta è fortemente limitata dallaimpossibilità di rispettare un campionamentoomogeneo del comportamento dei cani in quanto acontesto ambientale e lavorativo, in quanto le con-dizioni degli allevamenti erano molto diverse l’unadall’altra e il ristretto numero di casi non ha per-messo di procedere con una adeguata stratifica-zione del campione. Risulta comunque evidente che tutti i cani, anchese in misura diversa, presentavano atteggiamentiinopportuni, soprattutto nei confronti di animaliselvatici: tutti i cani che seguivano le greggi al pa-scolo hanno abbandonato talvolta le pecore perrincorrere la selvaggina, a volte anche per diverseore. In queste circostanze, anche se le prove diprossimità hanno dato buon esito, un buon istin-to di associazione al bestiame può essere ineffica-ce se si verificano momenti in cui il cane non èpresente con il bestiame (Green & Woodruf, 1993).Altro aspetto critico valutabile attraverso le osser-vazioni dirette è rappresentato dalle interazioni deicani da guardiania con le persone sui terreni dipascolo, variabile particolarmente rilevante nelconteso alpino, ma rispetto alla quale non sonostate fatte in questa occasione osservazioni degnedi nota.

Indagine tramite questionariI dati che emergono dall’indagine dei questionarisono da considerare assolutamente orientativi,dato l’esiguo numero di allevatori a cui erano staticonsegnati i cani al momento della realizzazionedel presente lavoro (n=6). I risultati ottenuti ven-gono quindi trattati sinteticamente, senza quanti-ficazioni né valutazioni statistiche, ed a scopo pu-ramente illustrativo. Ad eccezione delle aziende diSavogna e Nemska Loka che utilizzavano recintifissi, il gregge libero negli alpeggi era il sistema dipascolo adottato dalla maggior parte degli alleva-tori; tra questi, solo in un caso su 4 (Limone) ilgregge veniva accompagnato anche dal pastore suipascoli. Tutti gli allevatori erano a conoscenzadella presenza di predatori selvatici e, in 3 alleva-menti su 5, si erano verificate predazioni neglianni precedenti, sebbene con frequenza rara e oc-casionale. Gli altri allevatori in Piemonte che ave-vano subito perdite negli anni precedenti riteneva-no probabile che la diminuzione nelle perdite degliultimi mesi fosse dovuta alla presenza del cane daguardiania dato in affidamento. Tutti gli allevatoriconcordavano nel ritenere trascurabili le spese simanutenzione del cane, sebbene la sua presenzanon avesse comportato una riduzione netta deltempo lavorativo da dedicare alle altre tecniche didifesa. Per quanto concerne l’assistenza fornita al-l’allevatore durante la fase di affidamento e am-bientamento del cane da guardiania sul luogo dilavoro, solo l’allevatore di Savogna ha dichiarato diavere avuto informazioni specifiche su come alle-vare, mantenere e impiegare correttamente il cane

nel momento della sua consegna. Tutti gli altri al-levatori hanno lamentato una carenza di assisten-za e, soprattutto, difficoltà nella contattabilitàdegli esperti in caso di necessità. Nonostante ciò,gli allevatori hanno giudicato generalmente positi-vi i cani dati in affidamento e considerato la loroaffidabilità buona o eccellente. Ad una valutazionepiù dettagliata (attitudine del cane ad associarsi albestiame, attitudine alla protezione, tendenza avagare lontano dal gregge, etc.) si è intuita delresto una realtà contrastante, probabilmente in-terpretabile in base ad una carenza di conoscenzespecifiche degli allevatori sulla funzionalità e sullecaratteristiche lavorative di un buon cane da guar-diania. A supporto di ciò, è emerso che tre cani dei6 consegnati alle aziende con greggi al pascolo li-bero erano stati visti predare animali selvaticicome marmotte o caprioli, peraltro senza che lacosa fosse giudicata negativamente. In alcuneaziende (Val Maira) gli atteggiamenti negativi delcane sembrano essersi andati rinforzando con iltempo e con l’età, fino a rendere i cani di fatto inu-tilizzabili dopo più di un anno dall’adozione. D’al-tra parte, in nessun caso i cani in affidamentohanno danneggiato o interferito con le attività dipascolo e allevamento, sia delle proprie che delleaziende altrui; né, con l’unica eccezione della cop-pia data in affidamento a Limone, hanno creatoproblemi con le persone.

CONCLUSIONIIl monitoraggio dell’efficienza dei cani da guardia-nia a cui fa riferimento il presente lavoro consta diuna fase di valutazione diretta sul campo e di unsondaggio agli allevatori che utilizzano questostrumento di prevenzione. Il disegno di tale pianopuò essere chiaramente affinato o modificato inbase a specifiche esigenze, ma nella sua strutturadi base enfatizza due aspetti rilevanti al fine del-l’introduzione o del recupero del cane da guardia-nia nel contesto zootecnico:(a) l’attitudine del cane a rimanere in compagniadel bestiame domestico, anche in assenza del pa-store; questa è riconosciuta una prerogativa fon-damentale di un cane da guardiania, il cui effettoè superiore ad altri fattori come la razza o l’ag-gressività individuale;(b) l’opinione degli allevatori sulla funzionalità esull’efficacia del cane da guardiania come stru-mento di difesa, aspetto che non concerne soloaspetti tecnici ma anche le implicazioni economi-che e sociali implicite nel buon funzionamento diquesta tecnica di difesa, rispondendo al ruolo atti-vo che i singoli allevatori devono necessariamenteavere. Questo approccio al monitoraggio è partico-larmente rilevante, sebbene non solo, in aree tra-dizionalmente (ambientalmente, gestionalmente?)poco inclini all’impiego dei cani da guardiania,come appunto le zone dell’arco alpino, e dove sto-ricamente l’eradicazione dei predatori è stato ilmetodo di difesa più comune I dati raccolti in questa fase di monitoraggio, seb-bene limitati ed essenzialmente indicativi, corri-

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spondono ad indicazioni di funzionalità contra-stanti. Nonostante il numero di cani dati in affida-mento nei precedenti due anni nell’ambito del pro-getto LIFE del WWF sia risultato esiguo al mo-mento del monitoraggio, si è comunque rilevatoche circa la metà dei cani mantenuti con il greggeal pascolo non è risultata funzionale (cfr. Tab. 1);inoltre, sebbene in misura episodica e occasiona-le, anche i cani risultati più efficienti nelle prove diassociazione con il gregge hanno mostrato alcunidifetti comportamentali, come atteggiamenti pre-datori nei confronti della fauna selvatica. In definitiva, del resto, considerando i 12 cani ori-ginariamente dati in affidamento, il 66,7% di essinon si trovava, al momento del monitoraggio, incondizioni di allevamento o d’impiego adeguate.Tali dati, se da una parte rispecchiano la com-plessità inerente la corretta selezione, crescita eallevamento dei cani da guardiania, nonché il loroaffidamento all’interno di un nuovo contesto di la-voro (Green & Woodruff 1990, Rigg 2001, Dawy-diak & Sims 2004), dall’altra suggeriscono chequesta complessità non è stata sufficientementerisolta nella precedente fase del progetto. Inoltre, èimportante sottolineare a tal proposito che il mo-nitoraggio di cui al presente lavoro, effettuato a di-stanza di 1-2 anni dalla campagna di affidamento,è stato mirato a valutare alcune componenti del-l’efficienza dei cani nel contesto di lavoro, maanche altri sono i fattori potenzialmente responsa-bili della bassa resa osservata; tra questi, due inparticolare i più rilevanti: (a) la scelta o selezioneindividuale del cane da dare in affidamento all’al-levatore, scelta solitamente effettuata in base alcomportamento individuale nei confronti delle pe-core e, (b) le tecniche di allevamento e correzionedel cane nel suo contesto di lavoro (Green & Woo-druff 1990, Rigg 2001). Tra i due fattori, il primo sembra comunque avereun ruolo primario (A. Ortolani, com. pers.), ed il se-condo assume particolare importanza specialmen-te qualora il cane venga dato in affidamento anco-ra giovane e in una fase critica del suo sviluppo eapprendimento. Non essendo stati di pertinenzadegli autori i criteri di selezione e le condizioni diallevamento dei cani dati in affidamento nell’ambi-to del progetto in questione, non si è in grado didiscutere le cause, in alcuni casi, della loro man-cata funzionalità. È del resto probabile che talicause risiedano a livello dei due fattori menziona-ti e, in particolare, nella mancata attenzione alledelicate fasi di allevamento del cane nel suo con-testo di lavoro: è rilevante, infatti, che solo un al-levatore (Savogna), tra tutti gli interpellati, dichia-ri di avere ricevuto informazioni su come impiega-re correttamente il cane da guardiania. La prepa-razione dell’allevatore sul corretto uso del cane daguardiania è un aspetto critico in quanto, anchese il cane selezionato prima dell’affidamento è trai più dotati e capaci, l’allevatore a cui verrà dato inaffidamento deve essere in grado di riconoscerne esaperne rinforzare quei comportamenti che contri-buiscono ad aumentarne l’efficienza; altresì, eglidovrebbe saper scoraggiare, in tempo utile, gli

eventuali difetti comportamentali del cane (ecces-sivo girovagare, aggressività verso le persone,istinti predatori verso la fauna, etc.). Ciò è tantopiù vero quanto più giovani e senza una consoli-data esperienza lavorativa sono i cani dati in affi-damento, come nel caso del presente progetto. Inqueste circostanze, e specialmente laddove non sipuò disporre di precise informazioni sui criteri diselezione e di allevamento dei singoli cani, che ilmonitoraggio della loro efficienza è di fondamenta-le importanza fin dalle fasi iniziali dell’affidamen-to: questo non solo permette di individuare even-tuali problemi comportamentali o di utilizzo in unafase precoce ma, in un’ottica di assistenza tecnicaagli allevatori, permette di renderli partecipi edistruirli su come individuare, riconoscere e correg-gere gli eventuali difetti. Data l’importanza strategica e simbolica dei tenta-tivi di introduzione sull’arco alpino del cane daguardiania come strumento di difesa dai predato-ri è opportuno che le operazioni di selezione ed af-fidamento vengano fatte da personale altamentequalificato, secondo procedure consolidate e cura-te al minino dettaglio in ogni singola fase. In que-st’ottica, un programma di monitoraggio comequello qui presentato può essere uno strumento diinsostituibile supporto e può costituire la base perun continuo affinamento della tecnica, per la sele-zione funzionale dei singoli cani da dare in affida-mento, per individuare le condizioni di allevamen-to e impiego ottimali, nonché per facilitare il coin-volgimento attivo degli allevatori (Ciucci 2000). Ilmonitoraggio dei cani da guardiania dati in affida-mento può altresì facilitare l’assistenza tecnica equello scambio di informazioni di base di cui gli al-levatori hanno bisogno in una fase iniziale. Se benpianificato e realizzato, un programma di affida-mento del cane da guardiania può godere di ampimargini di successo: negli Stati Uniti, oltre il 90%degli allevatori ritiene che il cane da guardianiacontribuisca efficacemente a diminuire le predazio-ni del Coyote (Coppinger et al. 1983). Ulteriori svi-luppi sperimentali in questo senso, in riferimento alcontesto alpino in particolare, dovrebbero a nostroavviso prendere anche in considerazione la valuta-zione comparativa della resa e dell’efficacia indivi-duale di altre razze da guardiania tradizionalmenteutilizzate nelle zone di montagna (Rigg 2001, Ribei-ro & Fonseca 2004, Landry 2005).

RingraziamentiDesideriamo ringraziare Serena Arduino, respon-sabile WWF del progetto LIFE Natura per la con-servazione dei grandi carnivori sull’arco alpino,per aver stimolato e consentito la realizzazione delpresente lavoro; e l’Associazione Italiana per ilWWF per il supporto logistico e finanziario. Mauri-zio Quirino ed Elisabetta Tonioutti hanno facilita-to i contatti con gli allevatori ed offerto supportologistico a livello locale. Gianluca Catullo e AlessiaOrtolani hanno fornito commenti ed osservazionipreziosi che hanno migliorato portata e stile delpresente lavoro.

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