Nexus n.87 gennaio - aprile 2013

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GENNAIO-MARZO 2011 ANNO XVII — N. 82 MENSILE DI COMUNICAZIONE, CULTURA E ATTUALITÀ NELLA CITTÀ METROPOLITANA DI VENEZIA Copertina di Gianni De Luigi, montaggio di Ilaria Pasqualetto Copia omaggio

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GENNAIO-MARZO 2011ANNO XVII — N. 82

MENSILE DI COMUNICAZIONE, CULTURA E ATTUALITÀ NELLA CITTÀ METROPOLITANA DI VENEZIA

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Tra gli elementi che hanno contribui-to a definire le soluzioni costruttiveadottate nella città lagunare e l’elabo-razione di archetipi architettonici unruolo determinante è stato svolto, in-nanzitutto, dall’adesione all’ambientenaturale, con la conseguente messa apunto di tecniche edificatorie sedi-mentatesi lungo il corso della mille-naria storia di Venezia. Il poter farequasi a meno della terra, la leggerezzainsita nell’architettura veneziana, chesembra non necessitare del suolo perdelineare il proprio sistema di aggre-gazione di spazi e di funzioni, non so-lo trasferisce le sue prerogative allaforma urbis che si viene configurando,quasi immateriale e aterritoriale, masembra divenire un codice interioriz-zato, una forma mentis che si riproponea vari livelli nella funzione delle strut-ture e nelle scelte estetiche che predi-ligono i vuoti ai pieni per quanto con-cerne le architetture e nell’anticipare eriassumere la tendenza all’immateria-lità, che contraddistingue anche ilmodello di espansione politica segui-to dalla città, che costruirà la propriapreminenza internazionale fondando-la, più che su estesi possessi territoria-li, su quell’ampia rete di scali e di fon-daci che costituirà lo Stato da Mar del-la Serenissima. Questa propensioneall’immaterialità trova riscontro neimodi della pittura veneziana, che, adifferenza di quella toscana, è quasipriva di contorni, formata diretta-mente da pennellate di colore e river-beri di luce, quasi a registrare le ca-ratteristiche dell’ambiente lagunare, i

cui elementi tendono alla fusione.Uno dei numerosi problemi postidall’insediamento lagunare fu quellodi rendere più solido e compatto ilsuolo su cui edificare, sovente fruttodi imbonimenti di aree palustri. Lapeculiarità delle tecniche costruttiveveneziane non si limita, comunque,alle sole fondazioni, ma interessa l’in-tera struttura delle fabbriche, realiz-zate mediante particolari accorgimen-ti, tali da consentire un elevato gradodi elasticità e di adattamento alle va-rie parti delle costruzioni, per am-mortizzare senza danni i continui as-sestamenti del suolo lagunare, ten-dente a compattarsi sotto il loro peso.Le costruzioni lagunari puntano sem-pre alla leggerezza, preferendo, salvocasi particolari, il laterizio alla pietrae il legno per solai e coperture. Anchele soluzioni ingegneristiche messe apunto dalle maestranze dell’Arsenalenelle tecniche di costruzione navaletendono a trasferirsi al linguaggio ar-chitettonico della città. Non è un ca-so, infatti, se i soffitti di alcuni edificigotici veneziani sono simili a carenedi nave. Nel Novecento, accanto all’innovarsidelle tecniche costruttive, si registraspesso, nella realizzazione di nuoviedifici, il mantenimento di alcuni ar-chetipi formali distintivi del linguag-gio architettonico veneziano, dal ca-rattere fortemente identitario, quale,ad esempio, l’uso della pietra d’Istriaper incorniciare le aperture di porte efinestre. Vorrei, in proposito, propor-re una riflessione. Mi ha sempre colpi-

to la diversità dell’esito percettivonell’utilizzo di questo elemento alta-mente espressivo del linguaggio ar-chitettonico veneziano quando essoviene riproposto nelle costruzionicontemporanee. Mentre, infatti, negliedifici dei secoli precedenti l’uso del-la pietra d’Istria quale fascia marca-piano o per incorniciare le aperturedelle finestre quasi contraddice la ma-teria, poiché non comunica l’effetto diun’intelaiatura rigida, esso, invece,negli edifici recenti, assume l’aspettodi una griglia che sembra ingabbiarela costruzione, apparentemente nonpiù in grado di adeguarsi a quegli im-percettibili movimenti previsti nellecostruzioni veneziane e conferisceall’edificio un aspetto non più in sim-biosi organica con l’ambiente, bensìuna connotazione di rigidezza, noncerto tipica dell’architettura venezia-na. A cosa è dovuto questo effetto per-cettivo? Cosa si è venuto modifican-do? Si può supporre che alcune tecni-che costruttive contemporanee nonsiano in grado di tradurre con altret-tanta efficacia l’osmosi con l’ambientecircostante, di trasferire, come in pas-sato avveniva, leggerezza e luceall’immagine dell’edificio. Questopone in evidenza la difficoltà di sot-trarre l’utilizzo di archetipi formali al-lo stretto nesso esistente con le non vi-sibili strutture portanti dell’edificio ele tecniche adottate per la sua realiz-zazione, che si trasferiscono sottil-mente nell’immagine esteriore dellostesso inducendo, talora, un effettopercettivo di non coerenza.

CITTÀ2 NEXUS GENNAIO-MARZO 2011

ARCHE-TIPOdi Gianni De Luigi

Ancora un titolo diviso in due parti.Archè: originale. In filosofia la formapreesistente e primitiva: città chepermette un dialogo interiore, cosìcome Jung interpreta la parola ar-chetipo. Tipos: immagine, modello,marchio, esemplare. Città dell’im-magine.L’archetipo conseguentemente,viene ad essere una sorta di prototi-po universale per le idee attraversoil quale l’individuo interpreta ciòche osserva e sperimenta, ancora perJung: “l’immagine primaria dell’in-conscio collettivo”.L’immagine della copertina riflettela scritta del padiglione Venezia ro-vesciata nell’acqua del padiglionebrasiliano. Bisogna innanzitutto ri-conoscere che la Biennale Architet-tura di quest’anno è riuscita a testi-moniare quanto di propositivo e didiverso dall’archistarismo proponeun’architettura di “persone che siincontrano”, rispondendo perfetta-mente all’intenzione che il titolodella curatrice Kazuyo Sejima (Peo-ple meet in architecture) voleva espor-re. Ancora una volta, Venezia riescea diventare luogo dove le idee si in-contrano e possono dare riconosci-mento alla presenza dell’uomo comepersona e corpo. La Biennale (eposso testimoniarlo personalmente)è stata visitata da un numero vera-mente immenso di giovani, dimo-strando capacità di stimoli interat-tivi; questo conferma quello che ilpadre dell’interpretazione dell’ar-chitettura, Vitruvio, diceva: “l’ar-chitettura è una scienza che è ador-nata di molte cognizioni e con laquale si regolano tutti i lavori, chesi fanno in ogni arte.”Molti critici dell’architettura, conaria di antichi Balanzoni, hannoespresso insoddisfazione e manifesta-to il loro dissenso perché questa espo-sizione a loro dire mancava dell’archi-tettura, non accorgendosi che maicome in questa occasione si è riuscitia dare strumenti di avvicinamento aquesta scienza, che di solito è cripticaed esclusiva. L’architettura è ancora ilgioco sapiente, rigoroso e magnificodei volumi nella luce e gli architettisono diventati artisti in questa Bien-nale, mentre la Biennale ha confer-mato la sua capacità di rendere l’arteonnicomprensiva.Questa città è veramente l’Archè, ilprincipio, e sviluppa ancora do-mande come: l’architettura è la piùuniversale delle arti? Protegge ilpassato? Come viene rappresentatanel cinema, in televisione, nei qua-dri, in teatro?Un’ultima citazione ci consente diprendere in prestito alcuni versi diAnna Achmatova:... questa città amata dall’infanzianella sua pace decembrinaoggi mi è apparsacome un’eredità sperperata.

ARCHETIPI COSTRUTTIVI E ARCHETIPI FORMALIdi Linda Mavian

SUPERNOVAprossima pubblicazione di

DOGI IN CONTROLUCEdi Daniela Zamburlin

DALLA FABBRICA ALLA BIENNALEdi Angelo Bacci

Affresco della Galleria delle Carte Geografiche ai Palazzi vaticani

ARCHÈ-VENEZIAdi Cristiana Moldi Ravenna

In un futuro non lontano Venezia saràconsiderata l’archetipo della città nataper galleggiare. Le fondazioni sono dilegno come di legno sono costituite letravature portanti delle sue case. Unacittà nata per sfidare la natura, per mo-dificarne i tratti, per proteggere e sal-vare le creature dalle acque non puòche essere destinata a durare, perchéprogettata per durare. Ma oggi ci tro-viamo dinanzi a situazioni assoluta-mente inesplorate. Le mutate condi-zioni atmosferiche dovute, pare, ancheal prolungato utilizzo, per 60 anni cir-ca, di antibiotici negli animali, nellavegetazione a ovviamente negli esseriumani stessi, hanno avviato un proces-so di alterazione degli equilibri preesi-stenti e trasformato radicalmentel’ambiente, senza poter prevedere qua-le sarà la natura del futuro. La scienzae le discipline matematiche in generesi stanno dimostrando in conflittosempre crescente con la filosofia. Glielementi stanno cambiando, le sostan-ze stanno cambiando, il principio per-de autorità e l’archè deve adattarsi anuove e inimmaginabili dimensioni.Siamo dinanzi alla trasmutazione uni-versale, non è cassandrismo, comeamano dire molti appena ascoltano di-battiti sull’emissione dei gas serra; èdoveroso analizzare concretamentequello che ci sta succedendo. Le Na-zioni non ne vogliono sapere e non ar-retreranno mai davanti al profitto, an-cor meno se facile. Le percentuali di ri-duzioni di prodotti inquinanti nell’at-mosfera sono ridicole e troppo a lungotermine, come anche il recente G20dimostra. Bisognerebbe decretare lostop immediato di tutti i materiali in-quinanti e di tutte le azioni inquinan-ti in tutti i luoghi della Terra; solo co-sì si potrebbe mantenere in vita piane-ta. Forse già troppi extraterrestri sononei luoghi di potere e approfittano dinoi senza pudore né senso di colpa.Non ci resta che preparare la nuova Ar-ca, proprio partendo dalla città-arca:Venezia. Unico problema è sceglierechi salvare: sicuramente tutte le specieanimali, vegetali, i microrganismi gliinsetti. E gli esseri umani? Non meri-tano di essere salvati.

IL PROGETTO PAYS. MED. URBAN. AL XIV SALONE DEI BENI E DELLE

ATTIVITÀ CULTURALI

Al XIV Salone dei Beni e delle AttivitàCulturali, svoltosi a Venezia (3 dicembre2010) si sono presentate le candidaturecon cui il Veneto concorre al III PremioMediterraneo del Paesaggio, competizio-ne promossa a livello internazionale nel-l’ambito del progetto PAYS.MED.UR-BAN., programma MED 2007-2013, chesi propone di contribuire alla diffusionedi esperienze concrete di buone pratiche ealla promozione della Convenzione Euro-pea del Paesaggio, per favorire una sensi-bilità attenta alla qualità del paesaggiocon particolare riferimento alla progetta-zione, creazione e gestione paesaggisticanelle aree peri-urbane. Il Comitato Tran-snazionale ha operato la selezione e per laRegione del Veneto queste sono le candi-dature selezionate dal Comitato: Categoria A, Piani e programmi, Comunedi Padova, Settore Verde Pubblico e Set-tore Pianificazione Urbanistica, PianoGuida “Parco del Basso Isonzo”; Categoria B, Opere realizzate, Studio Val-le- Architettura e Urbanistica-Venezia,Cittadella: un esempio di recupero urbano epaesaggistico di una città murata del Veneto;Categoria D, Attività di comunicazione sulpaesaggio:– Istituzione Parco della Laguna, Territo-ri lenti. Ritratti, storie, mappe della laguna(mostra e catalogo);– Circolo Fotografico “La Gondola” diVenezia, Identità? Il territorio veneziano traconservazione e innovazione .La premiazione avrà luogo a Siviglia nelsettembre 2011.

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L’intenzione era quella di fare il puntosu opere consolidate nel 2010 o anco-ra in progress accomunate dall'etero-genesi dei fini applicata all’archetipodi Venezia. Però questo imponeva unnumero doppio di Nexus. Ecco allorauna selezione emblematica. Ma perchéquesto titolo astruso?Eterogenesi dei fini: principio secon-do il quale le azioni umane possonoconseguire fini diversi da quelli perse-guiti (Devoto Oli). Vediamo comequesto principio è stato applicato aVenezia, cioè a un archetipo. Archeti-po: primo esemplare assoluto e auto-nomo (Devoto Oli).Su un vecchio numero di Nexus scrissiche di solito gli esseri umani sono nor-mali fino a quando non oltrepassanomaterialmente la soglia della politica;da quel momento sembra che in alcu-ni di loro avvenga una mutazione e(adesso ne ho conferma) subentri la lo-gica dell'eterogenesi dei fini: Veneziaha un problema? Bene, delle varie so-luzioni viene scelta la più antitetica.

ACTV. Dei 156 palmari Hp (900 euro l’uno)120 sono inservibili per «oggettiviproblemi di progettazione» e «nonesistono altri modelli in commercioadatti alle esigenze veneziane». La no-stalgia del cartaceo dilaga. Poiché, malgrado l’apparenza, i vapo-retti viaggiano praticamente vuoti, abordo ci sarà posto anche per toteminformativi. Inoltre, visto il successodel nexe stop (sic), verranno installatimonitor con avvisi su «pulizia della

città, comportamenti da tenere mentresi cammina, itinerari eno-cultural-ga-stronomici, notizie di cronaca cittadi-na, mostre, convegni, attività comuna-li, rassegne stampa...»Giustificazione per i costi: «Dobbia-mo aiutare i turisti e i cittadini, nonassalirli con divieti». Per il nuovo imbarcadero-monstre delLido (finora 5,5milioni) gli archistar sisono accorti che senza pareti quandopiove e tira vento ci si bagna. Trattasidi «errori progettuali» malgrado ilprogetto fosse stato approvato «da tut-ti gli Enti competenti». Errori peròeliminabili con ulteriori 60mila europer pareti di «materiale trasparente».

OSPEDALE DELL’ANGELO. A Venezia e Lido sono rimasti fram-menti di sanità. In compenso abbiamol’hub dell’Angelo raggiungibile conun solo bus diurno destinato all'Au-chan ogni 20’ salvo i giorni festivi eprevio avviso, più qualche treno confermata a oltre 200 metri. Per neces-sità ho visto l’hub di persona. Impres-sionante. Immensi spazi liberi ma cu-bicolo per visite a misura di lettino esedia con tavolino per il medico. Infer-miera ed eventuali accompagnatori inpiedi. Nella giungla tropicale dellahall mancava solo Tarzan urlante da unalbero all’altro. Tengo foto a disposi-zione. Intanto i medici migliori, stan-chi di essere considerati numeri, scap-pano. Poiché la creatura è nata inproject financing (254 milioni senzapossibilità di riscatto da parte pubbli-ca), i privati hanno un occhio allo sty-

ling e l’altro al bilancio. Intanto si èaperta la caccia al malato per coprire laquota minima di degenze: molti si ri-volgono ai centri convenzionati a mi-sura d’uomo e gestiti meglio, e questonon va bene. Già si profila una campa-gna contro unità «fuori norma».

MOSE.(2,3miliardi solo per maree oltre m.1,10 slm). Proposta: «Si potrebbe valu-tare l’ipotesi di realizzare degli eventi inquest'area riprendendo l’idea del teatrosull’acqua e, in estate, alzare due voltele paratoie a scopo dimostrativo».

MAXIPORTO OFF-SHORE. Costo preventivo 1,3 miliardi a pro-sciugamento di tutti i fondi stanziatiper le opere compensative del Mose.

PALACINEMA. (87milioni ca). Il nostro Ground Zero.I Comitati: «Siamo sempre più scon-volti di come viene affrontata questavicenda. La situazione è arrivata ai li-miti dell’incredibile e del paradossale».A. Restucci, rettore Iuav: «Era meglioristrutturare l’esistente risparmiandosoldi». Per il momento abbiamo mo-strato al mondo, durante la Mostra delCinema, pioggia ruscellante giù per lescale e sopra i computer in sala stampa,fango, fogne che tracimano, portadell’ascensore ex Casinò bloccata e de-legazioni e star dirottati su montacari-chi anno 1938. Roma gode.

PEOPLE MOVER. (24milioni). Secondo logica doveva es-sere l’ultimo tassello del progettocomprendente ristrutturazione diPiazzale Roma, spostamento autobusall’isola nuova, garage multipiano inMarittima, terminal passeggeri, tram.

Ezio Micelli, assessore all’urbanistica,dice: «Tutto è subordinato al tram ecome decideremo di farlo arrivare aVenezia. Finché non avremo stabilitoquesto non possiamo procedere». E in-vece il trenino è stato costruiro per pri-mo. Capacità 3.000 persone/ora. At-tualmente la media è del 5% e conti-nuerà a esserlo fino a che non sarannocompletate tutte le strutture di cui so-pra, se mai lo saranno.

TRAM.(45milioni). Collegamento con Mar-ghera e Venezia? Da mesi sì e no agiorni alterni. Michele Zuin dice sì«altrimenti diventa un trenino chenon serve a nessuno. Il tram deve so-prattutto essere utile ai cittadini». E achi sennò? Mazzonetto dice: «Tutti ipercorsi sono stati sbagliati, inutile ar-rivare fino a Venezia. Va fatto l’inter-scambio a San Giuliano trasferendo ipasseggeri sulla metropolitana di su-perficie altrimenti il ponte della Li-bertà, con una corsia occupata daltram, diventerà un disastro». Che sifa? sottopasso alla stazione (30milionidi cui 4,5 già spesi con crollo del tun-nel) o sovrappasso (20milioni)? Vem-pa o non Vempa? A. Ferialdi dice chela cosa «ha riflessi psico-patologici.Prima dobbiamo sapere che futuroavrà la stazione di Mestre». Altri insi-stono sull’inopportunità di un tramdoppione dell’Sfmr. In data 3.11.2010U. Bergamo pensa a un cavalcaferroviache diventi «il simbolo di Mestre, tipostrallato di Marghera o ponte di Cala-trava» (sic). In data 16.11.2010 Orso-ni non ha dubbi: sottopasso. E quandoqueste note appariranno? Mah!

CALATRAVA. Vergogna infinita per un’opera nonvoluta, «non pienamente funzionan-te» e non amata soprattutto da chicontinua a cadere e viene (forse) rim-borsato solo se cade di notte perché du-rante il giorno c’è luce sufficiente pervedere dove mettere i piedi (esperien-za raccolta personalmente da una si-gnora di Ancona di ritorno dall’ospe-dale per triplice frattura scomposta).

CONCLUSIONE. Ogni opera innovativa è benvenutapurché non subordinata al settimo co-mandamento. Amen. Intanto Veneziacontinua a morire.

GENNAIO-MARZO 2011 NEXUS 3CITTÀ

ARCHE-TIPOdi Giovanni Distefano

«La linea più breve che unisce duepunti non è mai la linea retta, tran-ne che nelle astratte costruzioni diEuclide. Venezia, prima città an-tieuclidea, è per questo il modellodi città che ha davanti a sé più av-venire», parola di Italo Calvino(1923-1985).Carlo Scarpa (1906-1978), architet-to sciamanico, trascorse la propriavita costruendo spazi come conge-gni: le sue opere erano pensate comegrandi unità costruttive esaltatedalla coerenza dell’insieme. La suaidea di Venezia era che la città pote-va accettare le cose più moderne perla sua stessa struttura: «È dissimme-trica, alta, bassa, storta, dritta».La linea più breve che unisce due puntinon è mai la linea retta è una fraseche fa il paio con quell’altra di cittàdissimmetrica, alta, bassa, storta, drit-ta.Due definizioni suggerite da Vene-zia, città arche-tipo per antonoma-sia. Urbanisticamente parlando,l’ex città-stato ha da qualche mil-lennio realizzato una via per le bar-che e i trasporti e un’altra per quel-la dei pedoni: le due vie non coin-cidono mai, l’arteria solida non in-terferisce mai con quella liquida,come ha ben detto e soprattutto il-lustrato Lorenzo Mattotti nel suolibro su Venezia intitolato Scavandonell’acqua.Scavare nell’acqua significa anche co-struire sull’acqua e dunque è soprat-tutto a Venezia che la dimensioneurbanistica si compone di 3 dimen-sioni, l’acqua, la terra, l’aria.Le fondamenta delle case affondanonella melma resa compatta da ciòche una volta svettava nell’aria, glialberi che un tempo ospitavano iprogenitori degli uomini. Intere fo-reste furono trapiantate nel suolomelmoso di Venezia per costiparlo,renderlo adatto a sostenere le abita-zioni. Venezia è la città arche-tipo checoncilia dunque i 3 modi di vita:terrestre, aereo e acquatico. Unaporta si apre sull’acqua (rio o cana-le, ma sempre elemento liquido cheavvolge il pianeta altrimenti defi-nito cordone ombelicale con ilmondo) e un’altra sulla terra(campo, calle o fondamenta del-l’isola che consente una comunica-zione locale, l’accesso ad una por-zione di mondo isolato e limitato).La limitatezza imposta dall’isolaviene superata dalla costruzione deicampanili che, come ha ben scrittoLuigi Calzavara nel suo libro Vene-zia: campanili numeri forme (Super-nova 2010), si alzano nell’aria econsentono di dominare e unificareil territorio acquatico e terrestresottostante.«Venezia, città a misura d’uomo»,disse il grande architetto Le Corbu-sier (1887-1965) e infatti nei pro-getti delle metropoli del futuro gliurbanisti s’ispirano sempre più al-l’arche-tipo veneziano: le vie desti-nate al traffico sempre più passanoin profondità, mentre le personecamminano su vie sopraelevate o suponti e molto spesso anche l’acquagioca un ruolo importante a riprovache il modello Venezia è diventatoirrinunciabile per l’immaginazione,rispondendo in modo naturale a bi-sogni antropologici fondamentali. Strade sovrapposte dunque e pre-senza dell’acqua, queste le coordi-nate che gli urbanisti vanno trac-ciando nel mondo per realizzarel’arche-tipo Venezia.

ETEROGENESI DEI FINIdi Renato Pestriniero

CLUB UNESCO-VENEZIAappuntamenti-presentazioni

13 gennaio ore 17Hotel Papadopoli - Piazzale Roma Là dove scorre il fiumelibro di Maria Teresa Ronca Babanicas20 gennaio ore 17Presidio Militare - Riva Schiavoni Le Dolomiti patrimonio dell’umanità conferenza di Gabriele Pavan26 gennaio ore 16Centro Scalzi - Cannaregio 55 Raimon Panikkar tra memoria e progetto a cura di Daniele Spero3 febbraio ore 17Presidio Militare - Riva Schiavoni L’architettura e il corpo. Il Nudo nelle Arti conferenza di Giovanni De Luigi9 febbraio ore 16Centro Scalzi - Cannaregio 55 Oltre il confine: frammenti di una storia dimenticata a cura di Alessandro Cuk17 febbraio ore 17 - tavola rotondaCapitaneria di Porto - S. Marco 1304 Evoluzioni in atto nella società italiana 24 febbraio ore 17 - incontroTeatro dei Frari - S. Polo 2464 Maestri del dialogo: Teresa Salzano 28 febbraio ore 17 - film con rinfresco Presidio Militare - Riva Schiavoni Cina ieri ed oggi prenotare 041.526079111 marzo ore 17.15 - proiezione filmTeatro dei Frari - S. Polo 2464 Pumzi di Wanuri Kaju con Michele Serra17 marzo ore 16 - conferenzaPalazzo Zorzi - Castello 4930Multimedialità e povertà nello sviluppo sostenibilerelatore Augusto Celentano24 marzo ore 17Capitaneria di Porto - S. Marco 1304 I caffè letterari nel mondopresentazione di Matilde CaponiFoto di Stefano Giacomazzi

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CITTÀ

Presso il Telecom Future Centre,nello stupendo refettorio del Con-vento di S. Salvador gremito di unaqualificata presenza, si è svolto l’in-contro su Caterina Cornaro – donnamoderna ante litteram, indiscutibileprotagonista del suo tempo – orga-nizzato per l’anniversario del gene-tliaco (25 novembre 1454) a cinque-cento anni dalla scomparsa (1510).

Dopo il cortese, sorridente benvenu-to rivolto a tutti e a tutte anche a no-me di Roberto Saracco, responsabiledell’attività di ricerca e svilupposcientifico del Centro, Massimo Fo-scato, coordinatore dei progetti cul-turali, ricorda che il convento – adia-cente alla chiesa dove riposano le spo-glie di Caterina accanto ai resti delprimo patrono della città, S. Teodoro– rimasto tale fino alla caduta dellaSerenissima Repubblica, è oggi ingrado di organizzare e ospitare ini-ziative culturali ad ampio raggio. Fo-scato dà quindi lettura del messaggioinviato dall’assessore e vicepresiden-te regionale Marino Zorzato, dopo diche Giovanni Distefano inizia la suasobria conduzione spiegando l’origi-ne dell’evento e invitando subito aparlare Daniela Zamburlin.

Con concisione e puntualità la diret-trice di Nexus richiama alcune datesalienti della vita di Corner, nata danobilissima famiglia, all’età di appe-na 14 anni, durante il glorioso maturbolento dogado di Francesco Fo-scari, si sposa per procura con Giaco-mo II di Lusignano, re di Cipro. Co-nosce il marito solamente due annidopo la celebrazione del matrimonio,rimane ben presto vedova (1473) e inquesta triste condizione partorisce unfiglio, Giacomo III, destinato peròlui pure a morire di lì a poco. Nonostante le trame da parte dell’arcive-scovo di Nicosia, non ostante le diffi-

coltà, le ribellioni, i malumori, Cate-rina resta sul trono dell’isola – a suotempo donata ai Lusignano da Ric-cardo Cuor di Leone – che ha eredita-to dal marito e dal figlioletto, fino aquando (1489) è costretta dal gover-no veneziano ad abdicare: ottiene incambio il dominio di Asolo con il ti-tolo di regina di Cipro, Gerusalem-me, Armenia e una pensione annua di8000 ducati, che le consente di vive-re in uno splendido isolamento nellamarca trevigiana circondata da arti-sti, poeti, letterati, fino a quandomuore nel palazzo del fratello Gior-gio a Venezia, dove ha trovato rifugiodai pericoli della guerra di Cambrai.Le vengono rese solenni onoranze fu-nebri (cui per altro il doge in caricaLeonardo Loredan non partecipa, ac-cusando uno stato di malattia). Unadonna, nelle conclusioni di Zambur-lin, prima strumentalizzata comepassaporto per l’Oriente dalla scaltra,non sempre cristallina politica dellaRepubblica, poi pesantemente umi-liata benché in apparenza gratificata

(Domina Aceli) e ricoperta di straordi-nari onori.

Alle parole di Zamburlin fa seguitol’omaggio di Tiziana Agostini, as-sessora alle Attività culturali e allaCittadinanza delle donne del Comu-ne di Venezia. Anche per lei Cateri-na è una grande figura, figlia diun’epoca e delle sue contraddizioni,regina della cultura veneziana e ve-neta, il cui prestigio trova adeguatarisonanza negli Asolani di PietroBembo. Come afferma Agostini,commemorare significa ricostruire lastoria nelle sue verità e nelle sue con-traddizioni per poi trascenderla inchiave simbolica, così da incoronarele protagoniste che tuttora affascina-no: è il caso di Caterina Corner, sim-bolo di forza e potenza femminile,una donna che è rimasta donna nonostante tutto. E il fatto di onorarlaproprio nella giornata mondiale de-dicata alla violenza contro le donne èun grande segno di civiltà: la civiltàdella Serenissima.

Dopo l’assessora Agostini intervienebrevemente lo scrittore GiuseppeCampolieti, molisano d’origine maveneziano d’adozione, esperto di sto-ria locale, che anni orsono ha scrittoper Camunia la biografia CaterinaCornaro: regina di Cipro, signora diAsolo (Milano 1987). Un libro giàvincitore del Premio Comisso, cheSupernova intende ora ripubblicare.Pure Campolieti sottolinea comequella di Caterina sia stata una vitadi trionfi ma anche di tormenti, co-sa inevitabile in una città illuminatae aperta, ma in ogni caso a governosaldamente maschile; quando è co-stretta a piegarsi, la sovrana proget-ta due volte la fuga, una prima voltaper riparare presso l’ordine dei Cava-lieri di Rodi, una seconda per ritor-nare in incognito da Asolo a Cipro,dove la popolazione continua adamarla e rimpiangerla. Secondo ilsuo biografo, Cornaro è l’unica figu-ra femminile della Serenissima poli-ticamente impegnata, abile oltretutto nell’intrattenere relazioni di-

plomatiche con gli ospiti di massimoriguardo, che ama ricevere nei palaz-zi di S. Cassiano o di Murano. Una fi-gura ricca di rilievo politico, di gen-tilezza femminile, di tenacia, di ci-viltà del vivere.

Conclude le comunicazioni Giusep-pe Gullino, presidente del Comitatoscientifico istituito dalla RegioneVeneto in collaborazione con il Co-mune di Asolo, allo scopo di degna-mente organizzare le celebrazioniper il cinquecentenario.Con l’ausilio di alcune immagini lostorico ripercorre in sintesi la vitadell’autorevole donna, nobilissimasia per parte di padre (i Cornaro, chenell’albero genealogico possono van-tare ben 7 cardinali e 20 vescovi, so-no all’epoca la famiglia più dovizio-sa e potente della città) sia per partedi madre: Fiorenza Crispo è nipote diGiovanni IV Comneno, imperatoredi Trebisonda. Secondo Gullinoquella che Caterina esercita a Cipro èuna sovranità formale e non effettiva,perché sotto il controllo discreto marigoroso della Serenissima: la quale,dopo il disastro di Negroponte, de-cide di annettere l’isola ai suoi do-mini diretti. Anche per consiglio diGiorgio Cornaro, la giovane reginarinuncia al trono e si ritira nell’esiliodorato di Asolo, dove riesce a crearel’illusione della corte ideale europea,una corte fino allora sognata e maiconquistata: realizza infatti nel bar-cho di Altivole un favoloso comples-so all’orientale che si estende per ol-tre 100 ettari, con una reggia-castel-lo cinta da mura, mirabilmente af-frescata da Giorgione e immortalatada Bembo. Un centro privilegiatoper artisti e letterati, un laboratoriodi cultura che diviene la più signifi-cativa espressione dell’età rinasci-mentale: l’età delle corti e dei mece-nati. (LL)

OMAGGIO A CATERINA CORNARO AL TELECOM FUTURE CENTRE

La moderna società, con l’aiuto deimedia, ha modellato Venezia secon-do l’ottica del “business”. Del resto,sappiamo come i messaggi mediati-ci, longa manus del sistema affari-stico, non siano sempre informazio-ni volte a fare conoscere la realtà, matendano, subdolamente, a mistifi-carla per stimolare menti narcotiz-zate a adeguarsi al mercatismo cheinvade il globo. Asfissiati venti-quattro ore su ventiquattro da uneccesso di messaggi accattivanti,non siamo in grado di liberare ilpensiero verso scelte non condizio-nate da interessi di parte.Chi viene in laguna ha il diritto diilludersi di essere arrivato alla meta.La sua “forma mentis”, tuttavia, nonè sintonizzata alle peculiarità di Ve-nezia che può conoscere solo peresperienza diretta e se ha la forza dieliminare dalla mente –come si facon il computer, quando si preme il

tasto cancella- gli stereotipi chel’hanno imprigionata in una riso-nanza mondiale eterna.Sarà sorpreso, allora, di scoprire che,invece dell’abusato clichè che puntale sue carte su un romanticismo dimaniera, l’immagine più consonaper entrare nello spirito di Venezia è“bellezza”. In verità, affermandoquesto concetto, non ho presenteparticolarmente gli edifici da “Mil-le e una notte”, resi familiari anchenei lontani paesi emergenti, maquella parte di Venezia non apprez-zata dalle agenzie turistiche e datante personalità di rilievo: luoghiche hanno significato nella vita inti-ma della città e dove si percepisce lapresenza degli abitanti che non sonofolla anonima ma uomini, donne, ra-gazzi, bambini…. Penso, dunque,agli stranianti grovigli delle calliche, apparentemente, si esaurisconosenza portare in qualche luogo o

chissà dove. Ecco gli incantevolicampielli abitati da comari, bambi-ni, sfaccendati ……, gatti. E pensoalle abitazioni civili -labirinti verti-cali in bilico su canali inestricabili-sempre più sfarinate dalle intempe-rie, che non possono reggere il con-fronto con i palazzi patrizi messi anuovo, come se una paziente operadi chirurgia estetica si adoperasseper fare scomparire ogni traccia delvissuto.Venezia, fin dalle sue origini (maanche oggi con il Mose), ha dovutosottostare ad una serie di eventi am-bientali che hanno reso indispensa-bili e obbligatorie soluzioni urbani-stiche, architettoniche e tecnologi-che che, prese nel loro insieme, nonsono riscontrabili in altre parti delmondo. La modernizzazione, che al-trove costringe a dimenticare il pas-sato, qui deve fare i conti (non so perquanto tempo ancora) con i limitiimposti dalla natura. Nei periodidell’anno stabiliti, quando la frene-sia di evadere prende l’uomo, nonsorprende che, oltre al mito ben con-solidato, anche le innovazioni equelle in nuce (vedi ancora il Mose)

funzionino da calamita. Con lo sco-po di attirare sempre più turisti simettono in cantiere progetti volti atrasformare Venezia in una cittàspettacolo, concettualmente non di-versa dai tanti Luna Park che stannosorgendo ovunque. Non c’è dubbioche la città dei veneziani e quellaprogrammata per il sollievo dei “vi-sitor” appartengano a due pianetiestranei l’uno all’altro. Converrebbeprestare attenzione alla necessità diritrovare un rapporto armonico con iluoghi e fra gli stessi individui sen-za umiliare quanto di valido ci ha la-sciato il passato. Immagino la sor-presa dell’ospite, che per la primavolta arriva a Venezia, nel trovarsiall’improvviso in un luogo dove sisente coinvolto e conosce il modo divivere quotidiano dei veneziani,sempre il medesimo da secoli. Di-menticati i mezzi di trasporto usua-li, deve affidarsi alle gambe, cammi-nare, mescolarsi con la gente in uncontatto ravvicinato e prestareascolto alle conversazioni, ai richia-mi lanciati a piena gola, alle battutedi spirito così naturali e spontaneedella gente della laguna. Nel caoti-

co traffico umano, impara a destreg-giarsi come gli abitanti del luogo,senza perdere la calma e, in questomodo, acquisisce un elemento di co-noscenza che lo avvicina allo spiritodella città.Tuttavia, a fronte dei giusti e ambi-ziosi progetti innovativi che riguar-dano Mestre, Venezia appare semprepiù relegata in una sorta di limbo or-ganizzato apposta per fare fantastica-re, e il processo sembra irreversibile.Che dire, ormai? L’uomo ha bisognodi inventarsi dei simboli, e se questonutrimento lo aiuta a sopportare unarealtà spesso difficile da accettaresenza validi sostegni psicologici, ac-cogliamoli di buon grado, lasciandoVenezia al suo destino. Nel nostromondo disumanizzato, ossessionato,pianificato, chissà, magari una voltanella vita diventa un dovere e un sol-lievo rifugiarsi nel mito, e Venezia,città Mecca per l’uomo occidentale,questo conforto può ancora concede-re… mio solito rovello), ora che neha più bisogno, l’altra Venezia nellasua umana realtà abbandonata,guardando al futuro senza dimenti-care il passato.

DUE VOLTI DI VENEZIAdi Giovanni Talamini

da sx Campolieti, Agostini, Gullino e Zamburlin da sx Foscato, Campolieti, Distefano e Gullino

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GENNAIO-MARZO 2011 NEXUS 5CITTÀ

Definire un carattere è sempre impresaardua. Per qualsiasi città riuscirebbequanto meno azzardato, difficile, tentardi tracciare, di raccontare il carattere deisuoi abitanti, tali e tante sono state nei se-coli le immigrazioni e le emigrazioni, letrasfusioni di abitudini e costumi diver-si. L’isola-Venezia è forse l’unica città delmondo, dove, al contrario, sussiste unapossibilità, un tracciato coerente da se-guire per descrivere il carattere, la perso-nalità dei suoi abitanti, o meglio, in que-sto caso, delle sue abitanti.

Un’opinione diffusa disegna il carattereveneziano con contorni sfumati, morbidi,atteggiamenti di pigrizia, mollezza, in-dolenza, favoriti probabilmente da unacittà che tanti poeti hanno definito terri-torio destinato all’amore, alle languidez-ze: come nasce questa leggenda di Vene-zia “stazione climatica dell’amore”?

Qualcuno insinua che non sia soltantola struttura della città, senza dubbio mi-steriosa e invitante, a suggerire questadestinazione sentimentale, ma il suo cli-ma particolare, quell’aria umida, pesan-te che si respira nelle sere d’estate: lo sci-rocco. Di questa particolarità climaticasi sarebbe accorto per primo uno scritto-re francese, Saint-Didier che, giunto aVenezia verso la fine del Seicento, la de-finì subito “culla di sensualità e lussuria,dove le donne sono amanti dolcissime,di rara bellezza in quanto l’aria salsa, ad-dolcita dallo scirocco di laguna, le illan-guidisce e le rende inclini all’amore, agliabbandoni …”. Una dichiarazione chequasi due secoli dopo, nel 1817, trovaconferma in una lettera di Lord Byron alsuo editore John Murray al quale confi-da che “le donne veneziane sono decisa-mente animali inclini all’amore”. “Se-condo il codice corrente – scrive Byron– a Venezia si considerano virtuose quel-le donne che si limitano ad avere un ma-rito e un amante; un po’ leggere, quelleche ne hanno due, tre, o più … Secondol’opinione pubblica, soltanto coloro chesi concedono indiscriminatamente atutti, ed intessono basse relazioni …calpestano veramente la verecondia delmatrimonio”.

La leggenda che vuole i Veneziani pigri,lenti, troppo miti si sviluppa e prendecorpo verso la fine del Settecento, in pie-na decadenza. In questo senso, uno deimaggiori responsabili è Carlo Goldoniche nelle sue commedie dipinge gli uo-mini – almeno apparentemente – troppomiti, quasi senza spina dorsale. Ma gliuomini veneziani che Carlo Goldoni hadisegnato nel suo teatro arrendevoli, in-certi, fragili, hanno comunque dellecompagne ben diverse. Le donne venezia-ne – anche nelle commedie di Goldoni –sono femmine “puntigliose, curiose, liti-giose, pettegole”, ma sempre, comunque,dotate di una intraprendenza, uno spiritocritico, un piglio di tipo manageriale dafar invidia ai grandi capi d’azienda. Ro-saura, Colombina, Mirandolina, le Mas-sere, amministrano la loro vita e i loro uo-mini: li rimproverano (ma saggiamente),li consigliano (amorevolmente), li esorta-no (con prudenza) a diffidare di questo odi quel mercante, combinano matrimoni,sono, in realtà, le vere protagoniste dellavita di ogni giorno. E a giustificare que-sta pittura lusinghiera non basta la sim-patia di Goldoni per le donne, sempreostentata e dichiarata senza reticenze.Evidentemente il nostro commediografoaveva colto alcuni aspetti del caratteredella donna veneziana che, probabilmen-te, sono rimasti immutati nel tempo.

Perché Venezia era una città forte. E nonfurono fragili quegli uomini che costrui-rono questa città in un terreno tanto ino-spitale, né quelli che più avanti, affron-tando rischi, l’avventura in mare, disagi,contribuirono ad arricchire la Serenissi-ma, e ancora meno quei marinai, quei sol-dati, che difesero la città dagli attacchinemici.

Molti si stupiscono per il gran numero diVeneziani che in questi ultimi anni han-no abbandonato il “centro storico”, ovve-ro quel contesto territoriale che per diecisecoli (sino al 1926 quando la città ven-ne integrata come comune a Mestre, cioè

alla Terraferma) si identificò con il nomedi Venezia (oggi divenuta “centro stori-co” di una diversa realtà). In realtà, con lastruttura tutta particolare di questa città,e con altri più gravi fattori che conoscia-mo troppo bene, dovremmo stupirci ditrovare ancora dei Veneziani a Venezia, senon conoscessimo per esperienza, per le-zioni impartite dalla storia stessa, quantosiano testardi, ostili ad accettare l’idea deltramonto.

Può sembrare patetica, ma in realtà èmolto vitale, quell’alterigia mascheratache li induce a considerarsi dei “grandi si-gnori” (anche negli strati più umili), po-sti a confronto con quelli della campagna.E per campagna, va sottolineato, i Vene-ziani non intendono i paesini confinantio le province limitrofe, ma anche Londra,Stoccolma, Berlino: la Terraferma, tuttoquello cioè che non corrisponde alla “ci-viltà veneziana”. Si racconta ancora in gi-ro di un modo di dire degli aristocraticiche, in partenza per la Francia, si com-piacevano di dire: si va in campagna, aParigi.

Il senso della grandiosità, a Venezia, è ri-scontrabile anche nella monumentalità,nelle strutture imponenti; le grandi arca-te dei ponti, i palazzi solenni; quel con-cetto architettonico che potrebbe essereuna spia dell’indole dei Veneziani, tantomeno “goldonevoli” di quel che Goldoniha fatto credere. Gente che navigava ilmondo per mercanteggiare o combattere,gente che poteva insegnare l’arte dellaguerra a tanti popoli, non poteva certocostruire una città tutta trine e sospiri, néle compagne di questi uomini potevanoessere creaturine fragili, tutte “balocchi eprofumi”, anche se una tradizione vez-zeggiante, che si è affermata in modo de-ciso e irreversibile verso la metà dell’Ot-tocento, parla quasi sempre e soltanto di“sospirosi amanti”.

C’è una descrizione del Petrarca di unmomento veneziano immaginato dalla fi-nestra della sua casa, in Riva degli Schia-voni, che ci propone una descrizione diVenezia molto più verosimile di certeoleografie ottocentesche, molto più vici-na al vero spirito dei Veneziani. “… Qua-le spettacolo, misto ad un tempo di pietà,di meraviglia, di paura e di diletto. Qui,sulla bocca del porto, presso le spondemarmoree, ferme sulle ancore, avevanosvernato alcune navi, che eguagliavanoper mole il palazzo da questa libera e li-berale città concessomi in uso, e sorpassa-vano di non poco con le cime delle an-tenne le due torri angolari che lo fian-cheggiavano. Ebbene: la maggiore, inquesto momento, mentre coperte dallenubi sono tutte le stelle, squassate dalvento treman le mura e mugghia di sot-to pauroso il mare, si sciolse dal lido e sipose in viaggio …”.

Non è una Venezia delicata, fragile, que-sta che ci presenta il poeta. È in questaVenezia forte e possente descritta dal Pe-trarca che si formano i Veneziani. È quiche prende forma una coscienza civile,destinata a continuare anche nei giorninostri: il carattere veneziano, fatto di ap-parente dolcezza, di apparente fragilità,ma in realtà saldo e deciso. Un carattereche nelle donne diventò una morale di vi-ta. Destinate al governo della casa,all’educazione dei figli, esse convertironoin sagacia, in lucido calcolo, quell’intelli-genza che i loro uomini esercitavano nelmestiere del commercio e della guerra.Durante le lunghe assenze del padrone dicasa erano le donne che affrontavano le vi-cende piccole e grandi della vita quoti-diana. Ad esse spettava il compito, inol-tre, di condurre, sorvegliare con occhiovigile quei mercati avviati dal marito odal padre. Persino le più frivole, le piùmondane, seppero emanciparsi accostan-dosi al mondo dello spirito, dell’arte, al-la poesia, alla pittura, e la storia ci ha con-segnato numerosissimi esempi di donneche non solo si avvicinarono con interes-se e passione anche al mondo intellettua-le, ma che contribuirono attivamente al-la diffusione della conoscenza, dell’amoreper la musica, le lettere, le arti.

Questa caratteristica, che pone senz’altrola Veneziana in una sfera di grande ri-

spetto, la riscontriamo persino nelle don-ne di infimo ordine, nelle meretrici, chead un certo punto sentirono il bisogno dielevarsi, di distinguersi anche nel lorotristissimo mestiere diventando quelle“Cortigiane Honorate” che, nel mondointellettuale, hanno lasciato esempi digrande rilievo. Quasi sempre provenientidal ceto popolare, grazie alla loro staturaintellettuale riuscivano a entrare nei sa-lotti più ambiti. Come le etère di Atene,come le geishe del raffinato mondo orien-tale, le cortigiane veneziane sapevano in-trattenere sul piano dell’intelligenza,della cultura i loro compagni di piacere,al punto da far valutare una semplice con-versazione al prezzo di una … chiamia-mola “nègotiatione entière”, come scriveMontaigne nel suo Journal de Voyage. Aquesto proposito basterebbe ricordareVeronica Franco, che seppe portare a ver-tici di poesia il suo mestiere di prostitu-ta. “Poetessa con licenza di amare”, ribadìla Franco con la sua generosa e arguta su-periorità alla malignità di Maffio Venierche, nel suo sfrontato e impudente liber-tinaggio intellettuale, l’aveva chiamata“Veronica, verunica puttana”! “Quanto lemeretrici hanno di buono, quanto di gra-zioso et di gentile – lei risponde – espri-me in me del parlar vostro il suono …”.

Diciamo dunque che, a qualsiasi livello,le Veneziane non erano donne da mette-re nel sacco facilmente. “Per farsi corteg-giare, buoni tutti – dice Mirandolina –ma quanto a farsi sposare bisogna andar-ci con i piedi di piombo, e pesare benel’un piatto della bilancia e l’altro”.

Dall’attacco a una Venezia zuccherosa ecaramellosa non si salva neanche la piùstucchevole canzone veneziana, La biondi-na in gondoleta, con la quale il Lamberti haconsegnato alla posterità una daminaignara e tutta sentimentale, che “in gon-doleta – dice la canzone – l’altra seragh’ho menà, dal piaser la poveretta la s’hain bota indormensà”… Ma è altrettantovero che nella strofa finale, che pochissi-mi conoscono, la nostra Venezianina nondoveva poi essere così perduta nelle nu-vole, visto che la canzone conclude: “OhDio che belle cosse, che gh’ho ditto e chegh’ho fatto. No mai più tanto beato, aime zorni no son sta”.

Diciamo dunque che la saggezza delleVeneziane non si è mai trincerata dietrofalsi moralismi, non ne aveva bisogno,come non ha mai avuto bisogno di aderi-re a un puritanesimo gretto e meschino.Le Veneziane sapevano condurre una ca-sa, un’azienda, perciò furono ottime am-ministratrici del bilancio familiare, delloro intelletto, e, perché no, del loro pia-cere. Ciò che conta insomma, per la don-na veneziana, è la testa sulle spalle, macon quel tanto di malizia, di arguzia, didignità, di stile che le ha guadagnatol’etichetta di “femmina ammirata e sti-mata”, persino in quelle commedie diGoldoni che nessun difetto risparmiaro-no a nessuno.

Ci porterebbe lontano il discorso sul ca-rattere, sempre, sia chiaro, con i beneficidi generalizzazione; ci porterebbe adesempio negli interni di povere case dipescatori a Chioggia, a Sottomarina, do-ve ancora oggi possiamo vedere quei vol-ti duri, segnati, provati più dalla storiache da una singola esperienza di vita; so-no, le donne dei pescatori, le antiche don-ne veneziane, le donne del mare avvezzead aspettare per settimane, per mesi, ma-riti, padri, figli. Non tutti tornano daquei viaggi, ma le donne sono là ad aspet-tare, ad accogliere qualsiasi notizia dolo-rosa come qualcosa di ineluttabile. E setentiamo di avvicinarle in circostanzetanto gravi ci accorgiamo che non si con-cederanno il lusso di commiserarsi, di es-sere sgarbate, offese con la società, con ildestino. Le calamità, i rovesci di fortuna,gli eventi lieti, la ricchezza, in obbedien-za ad un antico codice aristocratico nonhanno mai alterato l’atteggiamento diuna Veneziana, patrizia o popolana chefosse.

Passano i tempi, mutano ovunque pae-saggi e abitudini, ma a Venezia tante co-se sono rimaste e rimarranno com’erano,anche questa vita misurata su un tempo

diverso non più lenta che altrove ma ca-denzata su pause di riflessione. A conser-vare questa “misura” veneziana non saràuna volontà ostinata di paralizzare ognitentativo di innovazione, perché proprioil rinnovarsi fu la grande preoccupazionedei Veneziani, sempre. Rinnovarsi nel ri-spetto di un passato, di una civiltà che an-cora oggi sentiamo di respirare a Castel-lo, a Cannaregio, a Rialto, nel rispetto deirapporti umani e della storia. Non di-mentichiamoci che, quando i commerciincontrarono le prime serie difficoltà, Ve-nezia per prima (e le donne veneziane fu-rono in prima fila a sostenere e spronare iloro uomini), incoraggiò le industrie cit-tadine della lana, della seta, della stampa,del vetro, dei mobili artistici che hannodato alla città nuovi fermenti, nuovo lu-stro.

Le “arti” di quel tempo possono venirparagonate alle industrie di oggi e non èazzardata quella affermazione che ci indi-ca Venezia tra le prime città industrialidel Cinquecento, quando i Veneziani nonnavigavano più come prima, e comincia-vano a rivolgere le loro cure alla città, peringrandirla interrando anche alcune zonelagunari. Si costruiscono i più bei palaz-zi, si aprono le porte alla cultura interna-zionale, prende forma concreta la cittàmeravigliosa, “il cui splendore – dice unepigramma famoso – sarà destinato a per-durare nei secoli finchè il mare avrà del-fini, finchè i cieli avranno stelle, finchè laterra darà messi, finchè il genere umanoavrà storia …”

Troppo ottimismo, e anche presunzione,in questa profezia, ma i Veneziani (e leVeneziane anche di più) sanno e sepperofarsi perdonare. L’atteggiamento degliaristocratici nei confronti del popolano fusempre garbato ed affettuoso, sia pureombreggiato da un tono paternalistico.In uno dei bellissimi scritti su Veneziache ci ha lasciato l’indimenticabile ElioZorzi, leggiamo che “un sorriso benevo-lo, una levata di cappello, un buondì …non mancavano di accompagnare il salu-to del nobile all’uomo della strada. El’uomo della strada ha imparato per seco-li che la gentilezza, la bonarietà, nullatolgono all’autorità, al prestigio, di cui,anzi, sono la conferma”. Ben diversi era-no i modi usati in terraferma, dove le dif-ferenze di casta venivano sottolineate daltono pieno di sussiego e di alterigia.

Nonostante le belle affermazioni, nonpossiamo tuttavia ignorare che al caratte-re veneziano, in quanto tale, non sonostate risparmiate frecciate ironiche e ma-ligne anche da penne illustri.

Vere o false, le accuse mosse ai Venezia-ni da letterati e giornalisti di ogni tem-po? Non dovremmo parlare di falsità mapiuttosto di presunzione, la presunzionecioè di analizzare, capire e giudicare unpopolo dopo qualche giorno o qualchemese di soggiorno in città. Da questafretta nascono descrizioni categorichecome quella che ha lasciato lo scrittoreamericano Howell, giunto a Venezia co-me console nella seconda metà dell’Ot-tocento. Egli apprezza la natura cordia-le e estremamente socievole dei Vene-ziani, affermando che “in essi, durantel’estate, nelle giornate di scirocco”, riaf-fiora l’indolente carattere orientale: “Undolce far niente che a Venezia diventasaggio sistema di vita”. “Per rendere fe-lice un Veneziano – scriveva inveceHenry James – basta solo una manciata

di vivace sensibilità. Essi partecipano aduna eterna conversazione in quel lorodelizioso, garrulo dialetto invertebrato… Si tratta di una bellissima gente chevive con l’aiuto della sua immaginazio-ne … Il più povero Veneziano ha nelsangue una lunga e ricca civiltà, è per in-dole un viveur in quanto possiede unineffabile senso delle amenità della vi-ta”. Per farsi voler bene dai Veneziani –diceva Ernest Hemingway – bisogna es-sere un tipo in gamba. Nulla appare ec-cezionale in questa città che ha vistoquello che ha visto!”.

Del carattere veneziano esistono anchedescrizioni abbastanza ridicole, fatte controppa superficialità: Mary MacCarthy cifornisce in questo senso uno degli esem-pi di quella faciloneria con cui tante vol-te anche scrittori famosi hanno avvicina-to Venezia. “Il Veneziano – dice la Mac-Carthy – ha una carattere diverso da quel-lo tipicamente italiano: è ironico, sardo-nico, solenne, dignitoso, un po’ triste, ce-rimonioso ma pronto a rispondere tra lerime. La sua fisionomia, specialmente perquanto riguarda il naso e gli occhi, ricor-da un po’ quella dell’Ebreo … Vivono diespedienti, di furti, di sotterfugi …”. Af-fermazione personalissima, originale fin-ché si vuole, ma che denuncia un eccessodi ingenuità e di presunzione.

Per concludere. In passato ha trovatospazio di giudizio positivo la bellezzadelle donne veneziane. Byron descrive laVeneziana “alta, slanciata dall’apparenzadi antilope ma energica come la pitones-sa. Ha capelli ondulati, grandi occhi conuna particolare espressione che di rado –afferma il poeta – si vede tra le europee,comprese le italiane”. Lusinghiero per leVeneziane è anche il giudizio di un gran-de personaggio della moda, Emilio Puc-ci: “Tra le cose più belle da guardare aVenezia – mi confidò un giorno con quelsuo garbo inimitabile – c’è l’incedere del-le donne, il loro portamento maestoso efemminilissimo, appoggiato, sinuoso escattante al tempo stesso. Un portamen-to che nessuna indossatrice potrebbe imi-tare. Forse è l’abitudine di salire o scen-dere dai ponti, la necessità di camminaremolto e una indiscutibile aristocrazia dimodi o, meglio, tutto insieme, una di-sinvoltura, una grazia, che evidentemen-te nascono in questa città e si respiranocon l’aria di Venezia”.

Potremmo pensare che ci sia nelle Vene-ziane, in queste abitanti di un pianeta lon-tano, qualcosa di diverso, di impalpabile,qualcosa che è dentro: una diversa civiltà?“Nulla dà l’idea di una dimensione nuo-va, sconosciuta, scrive Italo Calvino –quanto Venezia con le sue case dalle por-te che si aprono sull’acqua. È sempre unasfida per la pigrizia mentale dell’uomo diTerraferma, abituarsi all’idea che quella èla vera porta, mentre l’altra, che dà sulcampo o sulla calle, è solo una porta se-condaria. Ma basta riflettere un momen-to, per capire che la porta sul canale colle-ga non a una particolare via acquatica, maa tutte le vie dell’acqua, cioè alla distesaliquida che avvolge tutto il pianeta. Nel-le case, nella gente, nel carattere dei Ve-neziani si avverte che la porta terrestre dàaccesso a una porzione di mondo limitata,a un isolotto, mentre la porta sull’acqua –che era l’ingresso principale di tutti i pa-lazzi veneziani – immette direttamente inuna dimensione senza confini”.

Luciana Boccardi

Il carattere delle donne veneziane

IN MEMORIAM

FRANCA TRENTINVenezia 13 dicembre 1919-Venezia 28 novembre 2010

Esule in Francia condivise le attività del padre, Silvio, e partecipòattivamente alla Resistenza. Si laureò in Francia e poi in Italia e in-segnò all’Università Ca’ Foscari. Fino all’ultimo ha svolto con pas-sione e coraggio un’intensa attività politica e sociale. Autorevolevoce veneziana della cultura femminile, ha raccolto i suoi scritti piùsignificativi in Carte ritrovate (2009) che alcuni amici hanno curatoper celebrare il suo splendido novantesimo compleanno.

Ti sia lieve la terra

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CULTURA E SOCIETÀ6 NEXUS GENNAIO-MARZO 2011

Villa Frankensteinun’esperienza scolasticaLa classe VB Scientifico della Scuola Navale Militare “Francesco Morosini” si è re-cata in visita alla mostra organizzata quest’anno dalla Biennale Architettura diVenezia People Meet in Architecture, nell’ambito delle attività culturali svolte al fi-ne di rafforzare il legame della scuola stessa con la città di Venezia, con le sue isti-tuzioni internazionali, e fornire un valido supporto didattico agli allievi. Duran-te la visita, protrattasi al pomeriggio, gli studenti hanno visitato i vari padiglio-ni nazionali, soffermandosi a considerare come le varie nazioni presenti avevanoaderito al tema di Biennale Architettura 2010, nella suggestiva cornice dei Giar-dini. Particolare interesse ha suscitato il progetto proposto dal padiglione dellaGran Bretagna che, suddiviso in tre parti, la prima ambientalista con esempi del-la flora e fauna della Laguna di Venezia, la seconda storica in cui la visione di JohnRuskin per la città è ancora attualissima, e la terza con la costruzione di un anfi-teatro in legno soprannominato “stadium” per poter sostare, disegnare, scrivereappunti, o svolgere dibattiti promossi da varie associazioni, a imitazione delloSpeaker’s Corner in Hyde Park a Londra. Per la classe VB è stato quindi possibi-le immergersi, in stile rigorosamente British, nel mondo anglosassone e in parti-colare nell’atmosfera colta e raffinata dell’artista e critico inglese John Ruskin dicui erano in esposizione numerosi disegni e annotazioni originali del suo famosolibro Stones of Venice. Inoltre entrando nel padiglione della Gran Bretagna, tra-sformato per l’occasione in “Villa Frankenstein”, si poteva constatare l’interesse eil profondo attaccamento dei britannici nei confronti di Venezia. Il percorso pro-posto dalla mostra, anche tramite la possibilità di incontrare altri visitatori e par-tecipare assieme allo sviluppo del processo creativo con la stesura di emozioni in-dividuali vissute al momento della visita, osservazioni personali e disegni su fo-gli forniti dal personale del padiglione stesso, ha lasciato le tracce di un’esperien-za visiva e culturale difficilmente dimenticabile. (CMR)

DONNE VELATEdi Luisa Codato

La prima volta che ho visto una donna velata è stato nell’estate del 1982. Mio ma-rito aveva accettato una missione in Iran, Paese noto in Italia soprattutto per la ri-voluzione che aveva scacciato lo Scià e la guerra da poco iniziata contro l’Iraq, e iomi apprestavo a raggiungerlo. L’aereo dell’Iran Air era pieno di iraniani che rien-travano e pochi europei. Dopo un paio d’ore di volo un annuncio del comandanteavvertì che stavamo superando il confine iraniano e pertanto le donne dovevano ve-stirsi in modo adeguato. Le passeggere dell’aereo subirono una trasformazione: ra-gazze e signore vestite estivamente all’europea indossarono fazzoletti che coprivanoi capelli, chador o le più esperte una tenuta che imparai a conoscere come vestitoislamico consistente in pantaloni e cappottino 7/8. Le europee seppure avvertite ma-nifestarono stupore e imbarazzo, non essendo preparate a tale trasformazione e, con-sigliate dalle hostess, tirarono fuori qualcosa dal bagaglio a mano. La sceneggiata sicompletò al controllo documenti dell’aeroporto, dove delle addette avvolte in cha-dor fecero aprire le valigie per avvolgere le signore a sovrapposizione con quanto ca-pitava purché nascondessero gambe e capelli, altrimenti non le avrebbero fatte usci-re dall’aeroporto. Queste europee non avvisate, in linea di massima, erano italianesposate a iraniani che si recavano per la prima volta in Iran. Nei tre anni di fre-quentazione del Paese potei constatare un inasprimento delle regole rispetto al pri-mo viaggio: io e le mie figlie ci eravamo organizzate con tenute islamiche molto co-lorate, analoghe a quelle usate ancora oggi dalle donne pakistane, ma le tenute fu-rono progressivamente limitate ai colori blu, nero e marrone(il paese era in guerra emolti erano i caduti). Anche i chador che nell’82 erano ancora, specie in periferia,di colore grigio azzurro a fiorellini e in città di pizzo diventarono esclusivamente diuna stoffa sintetica nera. Il viso rimaneva generalmente scoperto: pochissime, iden-tificate come mogli di mullah o di personaggi autorevoli, portavano anche un velonero davanti al viso; sulla costa del golfo Persico era consuetudine che le donne co-prissero parzialmente il viso con una maschera di cuoio alla Zorro. In Iran ho fattoamicizia con parecchie donne: venivo immediatamente identificata come europea efermata per strada, invitata nelle loro case e nei pic nic per parlare. Quanta sensibi-lità e quanta sofferenza in quelle donne! E quanta paura! Non una era contenta didover portare il chador! Non potrò mai dimenticare la frase di una donna, colta ededucata negli Stati Uniti: “Mia madre ha pianto perché il padre dello Scià le ha fat-to togliere il velo, io piango perché mi obbligano a mettermelo e a metterlo alle miefiglie”. Io, non rendendomi conto, specie le prime volte e forte della mia esperien-za in movimenti femminili, rispondevo che dovevano reagire a questa imposizione,le risposte erano di questo tono: “Hai mai visitato i nostri cimiteri? Sai quanto si so-no ingranditi? E lo sai perché: se disobbediamo ci tagliano la testa o ci uccidono co-me un verme! E se sei vergine ti violentano la notte prima di ucciderti! ( e qui il miopensiero va alle ragazze emigrate con la famiglia in Itali negli ultimi anni. Quanteuccise da padri e fratelli maschi perché non intendono stare a regolamenti fonda-mentalisti). Oppure ad esempio: una donna che aspettava suo figlio fuori da scuolacon il fazzoletto che aveva in testa un po’ scivolato, veniva caricata e portata in po-lizia. Per due giorni le legavano le mani in sacchetti di plastica pieni di scarafag-gi…usciva matta. Mio si raccontava che presso gli uffici della polizia religiosa ve-nivano esposte un numero enorme di foto di donne velate (solo gli occhi erano visi-bili). Era possibile per gli uomini sceglierne una qualsiasi e fare un matrimonio atermine: per sei mesi di matrimonio, veniva regalata per esempio una lavatrice, perun anno un regalo un po’ più importante…poi con una sola parola si poteva rom-pere il matrimonio e rimandarla indietro. Erano tutte vedove di guerra, anche sedi-cenni! Quante volte mi dicevano di far sapere in Italia che cosa stava succedendo al-le donne! Nelle scuole elementari, medie e superiori gli insegnanti venivano sosti-tuiti da komeinisti/e convinti, le università sono state chiuse per cinque anni. Usci-va così una nuova generazione culturalmente convinta (o quasi) che il chador e inqualche caso il burqa fosse giusto indossarli, e di conseguenza fosse giusto applica-re e accettare regole dettate esclusivamente, a mio avviso, per scaricare sulle donnecontro il loro corpo quel prepotente maschilismo reazionario che da noi, invece, vie-ne fatto passare per “loro tradizione”. Mi veniva raccontato che ai tempi dello Scià,che nelle città in gran numero rimpiangevano, specie dopo il matrimonio con FarahDiba, cioè quando le donne non erano più costrette a portare chador o burqa la vitadelle donne era esattamente come la nostra ed era estremamente rimpianta.

*Tratto dal convegno organizzato da D.E.A. “Restauro delle Blachernitisse e Donne Velate” Padi-glione della Gran Bretagna in occasione di Biennale Architettura 17.10.2010

L’associazione D.E.A. ai Giardini della Biennaledi Cristina De Rossi

In una delle molteplici finalità elencate nello Statuto dell’Associazione Donne EuropeeAssociate (D.E.A.) Venezia Centro Studi Silvia Businello Toro, si legge: “…valorizza-re Venezia Centro Storico come luogo di proposta e irradiazione di cultura contemporanea espressadalle donne scienziate, letterate, artiste” - ed ancora - “… coordinare le attività di collegamentotra istituzioni veneziane ed europee per ospitare e promuovere dibattiti internazionali su tematicheriguardanti la ricerca di donne scienziate, letterate, artiste in sedi veneziane”. Ed è appunto un Padiglione ai Giardini della Biennale Architettura 2010, il luogo ma-gico che ha ospitato l’Associazione DEA, grazie all’incontro organizzato dalla Gran Bre-tagna (People Meet in Architecture) all’interno del suo interessante spicchio d’arte, conil pubblico presente seduto su una istallazione in legno a forma di aula universitaria,una bellissima struttura costruita interamente da artigiani e maestranze dell’isola del-la Giudecca (il filo artistico, che legava le varie sale del padiglione, era comunque tut-to legato alla “venezianità”, elemento pregnante in molteplici espressioni artistiche, na-tura compresa). I saluti di benvenuto della rappresentante britannica e l’illustrazione introduttiva diCristina Moldi Ravenna (presidente della Associazione DEA) hanno aperto un pome-riggio quasi proibitivo, visto il maltempo impietoso che rendeva Venezia ancora piùfragile e quasi indifesa. Paradossalmente, anche l’acqua scrosciante della pioggia di quelpomeriggio ottobrino è sembrata l’introduzione metaforica alla relazione svolta dallarestauratrice Evelina Pescarollo, incentrata sul restauro delle quattro Madonne Orantidispensatrici d’acqua, collocate all’interno (una si trova all’esterno) della Basilica di SanMarco a Venezia. L’opera di restauro, progetto condiviso e sostenuto dall’Associazione DEA, ha permes-so infatti di riportarle al significato originario, rivelandone la vera identità e funzione:le Vergini Oranti (Blachernìtisse) erano figure (venerate a Bisanzio, poi via via distrut-te) con le braccia aperte in segno di preghiera dalle cui mani, attraverso piccoli fori,sgorgava acqua pura: rappresentavano quindi l’elemento simbolico e dirompente di cu-stodi e portatrici di vita mediante l’acqua, essenziale per l’umanità intera. Le statue furono portate a Venezia ormai private della loro funzione peculiare e dei lo-ro elementi caratteristici (fontane); vennero quindi cancellati i fori dalle loro mani (for-se, o soprattutto, per non assimilare un corpo femminile alle Sacre Stimmate, visto ildominio cristiano imperante) e collocate nella Basilica di San Marco dove quasi otto se-coli dopo, grazie al restauro, viene tolto loro il velo della storia.E a proposito di apparenze e mistificazioni, ironico, amaro e a tratti, divertente, è l’ex-cursus storico di Fiora Gandolfi – seconda intervenuta – sull’indumento che continuaa nascondere come ornamento o peggio, come costrizione, il volto e l’anima delle don-ne: il velo. L’illustrazione della Gandolfi ripercorre il significato storico, religioso, so-ciale e politico dell’uso del velo nelle varie civiltà, il tutto documentato da immaginistoriche e foto recenti in cui si evidenzia come un semplice pezzo di stoffa possa cam-biare lo stato sociale, la condizione, il ruolo delle donne a seconda della religione, del-lo stato, del ceto, della classe, della famiglia di appartenenza.Ruolo e condizione della donna velata, questa volta visti attraverso gli occhi della viag-giatrice, della testimone oculare, della donna che osserva altre donne, è la testimo-nianza realmente vissuta che Luisa Codato (vicepresidente dell’Associazione DEA) havoluto raccontare, alla luce dei suoi numerosissimi viaggi in Paesi musulmani. Storiedi donne velate, cancellate nell’identità, proprietà esclusiva di mariti, fratelli, suoceri.Donne, che una volta magari erano libere ed è bastato un niente per riportarle indie-tro nei secoli, come scrive Luisa: «Non potrò mai dimenticare la frase di una donna,colta ed educata negli Stati Uniti: “Mia madre ha pianto perché il padre dello Scià leha fatto togliere il velo, io piango perché mi obbligano a mettermelo, ed a metterloalle mia figlie”.»Con “Canti del Risveglio” di Cristiana Moldi Ravenna e le suggestive letture di Ales-sandra Prato e Gianni Moi, si è concluso un pomeriggio in cui storie, culture, cono-scenze, esperienze si sono mescolate a progetti, idee, emozioni. Certo, il “Sostenere, diffondere e promuovere il pensiero contemporaneo delle donne ri-cercatrici nella città di Venezia, luogo di interscambio di cultura tra passato e presen-te e di formazione di scambi culturali tra paesi facenti parte della Comunità Europea,prima, e conseguentemente, di tutto il mondo” è una delle impegnative finalità dellaAssociazione Donne Europee Associate ma, come sosteneva Silvia Businello Toro “lesfide più sono ardue e più meritano di essere affrontate”.

Cristina De Rossi

ESPERIENZE IN ARABIA SAUDITA

In Arabia Saudita in quattro anni nonsono riuscita a vedere una donna infaccia: tutte rigorosamente coperte dinero dalla testa ai piedi, faccia com-presa, anche le dottoresse in ospedaleche indossavano il camice sopra a taletenuta; potevi cercare di individuarese avevi a che fare con una giovane oanziana dalle scarpe e dal passo. Le europee erano obbligate a indossa-re un cappottino nero, ma a differen-za dell’Iran nessuno mi chiese mai dicoprire i capelli. La donna velata non ha foto a voltoscoperto e si palesa solo al padre, aifratelli, al marito, ai figli. Il volto ri-mane celato in presenza di tutti gli al-tri: suocero, cognati, cugini compre-si, e il problema della sua identità èlegato al padre, al marito, ai fratelli oai figli maschi maggiorenni. Per riti-rare un documento, spostarsi in auto,dormire in albergo, prendere l’aereo ofare operazioni in banca o atti da unnotaio e in tante altre occasioni ha bi-sogno di loro, perché è in loro custo-dia e senza di loro non ha identità. Perstrada possono andare solo in piccoligruppi ma tassativamente accompa-gnate da un maschio della famiglia. Non sono in grado di dire se le donnein Arabia Saudita sono o meno con-vinte che sia giusto così. Certo è cheti sembra di vivere in un grande con-vento di clausura o in una notte difantasmi. La negazione del corpo e della perso-na “donna” è assoluta. Allora rimanisconvolta quando vedi le gioiellerie,che sono tantissime, che vendono in-teri vestiti di oro, vedi negozi di inti-mo che nulla hanno di differente dainostri porno shop. I commessi sono esclusivamente uo-mini ed esclusivamente uomini sonogli acquirenti, che acquistano questicapi osceni e immagino, una voltaportati a casa, li facciano mettere alledonne che dovranno levarsi il burqa eindossarli. Nel periodo del Ramadanconcedono alle donne ripudiate dichiedere l’elemosina, in un paese ric-chissimo, per potersi mantenere tuttol’anno. Così fuori dai supermercativedi dei “grumetti” di nero, accovac-ciati, che non capisci se sono sacchineri di immondizie o cos’altro. Capi-sci che sono persone-donne solo dalmugolio che fanno per chiedere qual-cosa. Assicuro che è terrificante. Ilburqa serve anche per questo, per na-scondere la disperazione di un essereumano. (LC)

*Tratto dal convegno organizzato da D.E.A. “Restau-ro delle Blachernitisse e Donne Velate” Padiglionedella Gran Bretagna in occasione di Biennale Archi-tettura 17.10.2010

Il Kosovo era un paese super laico e tutti coloro con i quali ho parlato hanno affermato che la guerra con la Serbia non ave-va motivi religiosi, ma indipendentisti. Dopo la guerra sono però aumentate le moschee, dono dell’Arabia Saudita, e, im-provvisamente, molte donne hanno cominciato a vestirsi in modo musulmano. Venni così a sapere che l’Arabia Saudita èpenetrata con i suoi capitali e che a ogni donna che si veste in modo musulmano (leggi chador) vengono dati dai 400 ai 500euro mensili (un professore universitario guadagna circa 300 euro al mese). In un futuro non molto lontano si dirà: “…è la loro usanza…” Non meravigliamoci. Gheddafi, con l’appoggio del nostrogoverno in Italia, a Roma, ha dato 50 euro al giorno a circa 500 ragazze, perché si mettessero le scarpe con tacco e con ilCorano in mano ascoltassero le sue farneticazioni. “L’Europa dovrà diventare musulmana” e il velo in testa diventerà …unanostra tradizione. Dopo tali esperienze mi sento di rigettare la teoria che le donne musulmane si coprono perché è nella lo-ro tradizione; che lo facciano perché è scritto nel Corano è una in-terpretazione: informazioni ben documentate si possono trovare nellibro “Il prezzo del velo” di Giuliana Sgrena. Ritengo invece che imovimenti integralisti musulmani per prima cosa impongano lasottomissione delle donne come visibilità e identificazione politica,assieme ad altre richieste, tipo classi separate, insegnanti maschi perragazzi e e insegnanti donne per ragazze, macellerie separate, panesenza grasso di maiale, ecc. Per mia esperienza mi ritrovo senza ombra di dubbio con la batta-glia che sta portando avanti l’ON: Soaud Sbai, presidente di AC-MID, l’Associazione Donne Marocchine in Italia, che afferma: “Ilburqa non è un vestiario di tipo religioso ma rappresenta un costu-me introdotto da frange estremiste di matrice islamica come stru-mento di costrizione, segregazione e sottomissione della donna, le-dendole la libertà, la dignità e la parità dei sessi, tutti costituzio-nalmente protetti, senza discriminazione alcuna”. Su questi argo-menti sarà interessante, in incontri futuri, aprire una approfonditadiscussione.*Tratto dal convegno organizzato da D.E.A. “Restauro delle Blachernitisse e Donne Velate” Pa-diglione della Gran Bretagna in occasione di Biennale Architettura 17.10.2010

IL KOSOVO E LA RELIGIONE

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Un «mensile indipendente» fatto dadilettanti. Nel senso etimologico deltermine e cioè da chi si dedica adun’attività per diletto. Dunque, solocollaboratori alla prima esperienza,fatto salvo il direttore responsabileGiulio Gasparotti, noto critico d’artedel Veneto. Ma, su questo giornaledurato 4 numeri da novembre 1963 amarzo 1964 (saltando febbraio), pub-blicò soltanto il pezzo d‘apertura delgennaio 1964 siglandolo “g. g.”Già dalla prima uscita, il comitato diredazione del foglio lidense situato inVia Jacopo de’ Cavalli 17, venduto alprezzo di Lire 50, metteva le maniavanti: «un nuovo modesto mensilefatto da giovani e dedicato ai giova-ni. Non ha grandi ambizioni, non siprefigge mete eccezionali». Il coin-volgimento appariva già dal titolo, i“giorni nostri” come appartenenzaagli interessi temporali ed immediatid’una generazione che cominciava adaffacciarsi sulla scena. Purtroppol’auspicato impegno ed il coinvolgi-mento con i lettori nonostante gli in-viti mancarono. Eppure, cercando un

ruolo culturale ed informativo, furo-no pubblicati numerosi articoli suiproblemi della scuola, diede voce aglistudenti ed iniziò delle inchieste per-lomeno originali Oltre l’aspetto sobrio stile bollettinoparrocchiale, il difetto principale diGiorni Nostri, sfogliando le sue 8pagine, risultava nell’essere paludatoin un periodo in cui la gioventùdell’epoca cercava ancora tematichemeno impegnative o voleva altro ge-nere di risposta ai problemi con cuidoveva confrontarsi.Mancava oltretutto l’omogeneità deicontenuti, spesso quasi a contrastofra loro. Si passava, nella prima usci-ta, da un servizio concernentel’astrattismo od il figurativismo aduna intervista al poeta Diego Valericontinuando su Gershwin, D’Annun-zio, lo sport ed i giovani, i drasticigiudizi di due pittori emergentisull’ambiente artistico locale (GuidoSartorelli «Il compratore occasionaleè la maggior fonte di guadagno» ePaolo Pennisi «A Venezia non esisteassolutamente nessuna idea»).

Animatore del foglio era GianfrancoPerulli, diventato nel corso deglianni un notissimo avvocato nonchédocente universitario ed uomo politi-co. I suoi, sono interventi puntualiche cercano di suscitare il dibattitotra i giovani sulla democrazia cercan-do di coinvolgerli nel processo politi-co e stimolarne l’interessamento per iproblemi del Paese. Ma, ad appesan-tire le ali al mensile, sono a mio giu-dizio, articoli sull’importanza dellamusica molto ben fatti ma “stonati”su queste pagine (dovuti a Nevio To-masutti futuro enologo di fama na-zionale), le troppe interviste a pitto-ri, le inchieste sugli «esponenti citta-dini dell’atletica leggera». L’atleticaaveva la sua importanza, ma a farvendere copie erano gli argomenticalcistici.Peccato abbia collaborato una solavolta la misteriosa Federica da Firen-ze pubblicando sul n. 2 una spassosalettera dalla sua città concernente lavisita alla Terza Biennale dell’Anti-quariato. Eccone un saggio «Primastanza: ti senti un verme. In ogni

stand fanno bella mostra di sé, stu-pende ragazze cinque lingue, che cal-zano scarpe di Ferragamo, indossanocome pullover stinte camicette diPucci il parlamentare e si sono petti-nate da Valentino; che schifo bah!Ho già voglia di tornare via, misento un po’ mostrino anche se eroconvinta di essermi sistemata propriobenino».Dal n. 3 Giorni Nostri allarga il for-mato, riduce la foliazione a quattrofacciate ed abbassa il prezzo a lire 30.Appare una rubrica di critica cine-matografica scritta da Bruno Concina(futuro abile sceneggiatore della Di-sney). La rubrica discografica Pick-Up tenuta dall’enigmatico DottorCriticus è piuttosto filo francese enon risparmia mazzolate ad AdrianoCelentano. C’è anche il Taccuino mi-nimo andante sul decadente conpunte ironiche del sottoscritto (ah,questi peccati di gioventù!). Sull’ul-timo numero s’evidenzia in primapagina un limpido articolo di Perullisull’annoso problema dei testi scola-stici e la loro sostituzione secondo il

variar dei professori. All’internol’opinione di alcuni docenti sullaventilata abolizione degli esami adottobre.Si nota un innegabile salto di qua-lità, la pubblicità non manca, ma ilmensile stenta a decollare. La reda-zione cerca altre vie, si ventila la ri-cerca d’argomenti più “commerciali”poi si decide la chiusura. Giorni no-stri aveva “toppato” presenza e pene-trazione in temine di copie negli Isti-tuti, lì dove si cercava lo “zoccoloduro“ dei lettori. Forse ad affossarloprematuramente anche una certa in-differenza delle autorità scolastiched’allora, poco sensibili alle istanzestudentesche presenti sulle pagine.Un vero peccato perché, dopo gli as-sestamenti iniziali, contenutistici ed‘impaginazione (si nota la mancanzad’un grafico) avrebbe potuto decolla-re e diventare voce importante dellagioventù locale.

Claudio Dell’Orso

CULTURA E SOCIETÀGENNAIO-MARZO 2011 NEXUS 7

Franco Rocchetta, fondatore della LigaVeneta (Liga con la elle tagliata, cioèdebole) già senatore e sottosegretarioagli Affari Esteri è un veneziano cheoggi, come l’antico senatore romanoCatone, si è dato all’agricoltura, un po’scrivendo trattati, un po’ vestendo ipanni dell’agricoltore dalle parti diConegliano. Con la testa piena di ideeda sempre, oratore abile ed efficace, matroppo preoccupato della sostanza del-le cose, può tenerti inchiodato su unsemplice argomento per ore e ore, cu-rando sempre l’eleganza dell’esposizio-ne e nel caso preoccupandosi di citarele fonti spesso nella lingua originaria.E Rocchetta di lingue ne conosce pa-recchie. Insomma parlare con lui è unvero e proprio impegno, soprattuttobisogna stare attenti a non chiedere al-cuna spiegazione e nessun approfondi-mento a meno che non si sia pronti edesiderosi di ascoltare un trattato. Na-

turalmente ha fatto sua la massima diCatone rem tene, verba sequentur (abbiben chiaro il contenuto, e le parole ver-ranno da sé), della serie parole come unfiume in piena e senza possibilità diporre alcun argine. Scrive da tutta unavita, Rocchetta, spinto dal suo idealepolitico, ma la mattina presto si alzaassieme al sole, entra nei suoi stivalonie si tuffa nei campi. Sa anche come te-nere la casa, ma in questo la moglieMarilena Marin lo surclassa...

Veneziano dunque ma…Sono nato al mercato di Rialto... Un in-vito a farmi europeo, ad aprirmi almondo. Via via esposto a più lingue, apiù culture e mentalità, tanto in ambi-to veneto (Venezia ed aree rurali e mon-tane) che extraveneto: ho viaggiato inlungo e in largo e in tutti i continenti.

E i genitori?Hanno aperto un negozio a S. Lio agliinizi del 1948. Si chiamava Roni dallesillabe iniziali dell’uno e dell’altro co-gnome in segno di reciproco rispetto.Vendevano lane, sete, cotoni e altri fi-lati. Divenne il più fornito e qualifica-to del Veneto e i clienti arrivavano an-che da regioni vicine, da Oltralpe, daOltreoceano. Quel negozio vissuto dapiccolino mi ha portato a contatto coni tipi umani più diversi, con le ric-chezze e le varietà delle culture, deicomportamenti, delle personalità edelle lingue. Ho appreso lì, quasi pergioco, strumenti e regole dell’econo-

mia, delle dinamiche sociali e della di-plomazia. Il 4 novembre 1966 il nego-zio e i magazzini furono allagati. Ildanno enorme, il risarcimento inesi-stente. Anche la ricostruzione dell’at-tività, come e meglio di prima, fu unascuola di vita molto importante.

Come vede Venezia?Come lo spazio e la comunità in cui so-no nato e cresciuto. La continuatricedel nome dei veneti e della civiltà ve-neta. Ne riconosco la funzione prima-ria nella ricomposizione dell’universoveneto e nella creazione di uno Statotra i più efficienti e socialmente equidella storia, la Veneta Repubblica. Sof-fro davanti al degrado che sembra og-gi condannarla per l’insipienza e la col-pevole superficialità di tanti suoi am-ministratori.

Lei è un esperto di lingua veneta,cosa può dirci dell’insegnamentodel dialetto?Siamo bombardati da disinformazionee pregiudizi. Di fatto nemmeno duegemelli parlano la stessa lingua. Anchele lingue più disprezzate hanno un lo-ro punto di equilibrio. Lo sloveno sitrova scritto sull’euro. Ricordo a scuo-la un figlio di pescatori che per qual-che motivo si era trovato in difficoltà:ripetente una o più volte. Parlava unveneto molto bello, vivo e ricco. I mae-stri lo avevano ridicolizzato davanti aicompagni, denigrando il suo parlare,la sua pronuncia così diversa da quella

italiana. Me lo portavo a casa avendo lapazienza di aiutarlo ad orientarsi tra ilibri e tra le carte, tra i suoni e tra i con-cetti, fargli capire quello che i maestrinon avevano voluto o saputo spiegar-gli, o che per pigrizia o pregiudizionemmeno essi avevano capito: esistonolingue diverse, ciascuna con struttureportanti e meccanismi propri, ed è fal-limentare pretendere di insegnare aqualcuno una lingua disprezzando nelcontempo la sua lingua originaria.

E dunque?Quel che va insegnato potrebbe inse-gnarlo chiunque, un siciliano comeuno svedese, purché onesto. La primacosa è insegnare ad aprire gli occhi e leorecchie. Qui abbiamo una lingua in-dipendente dall’italiano ed è tempoche la si torni a parlare liberamente,senza complessi di inferiorità. Il vene-to e l’italiano, per rimanere nella no-stra regione, sono lingue diverse comediverse possono essere lo spagnolo e ilfrancese. Reprimere il veneto potrebbedeterminare uno squilibrio della no-stra società. La nostra lingua è ponte echiave privilegiata per l’apprendimen-to di molte altre lingue. Tutti i bam-bini (di qualsiasi origine) vanno edu-cati al plurilinguismo. Esistono decinedi lingue in Europa (e tot nel mondo)ognuna degna di rispetto e attenzionee tutte unite rappresentano diciamocosì il motore complesso di un’Europaricca e generosa.

Giovanni Distefano

CHI È FRANCO ROCCHETTA

È nato a Venezia il 12 aprile 1947, èl’ideatore e l’artefice della Liga Vene-ta, che Giorgio Lago definì “madre ditutte le leghe”. Vive i primi anni del-la sua vita a Rialto, poi a Cannaregio,Castello quindi al Lido, adesso risiedea Conegliano ma viene spesso a Vene-zia a controllare i fiori dei suoi balco-ni. Nel mezzo studia al Marco Polo,attraversa a piedi l’Europa, è indagato(1964) per aver tracciato scritte mura-li in lingua veneta contro la partecipa-zione dell’Italia alla Prima GuerraMondiale, fonda (1978) la Società Fi-lologica Veneta di cui è presidente. Èmembro del consiglio federale mon-diale dell’Associazione Internazionaleper la Difesa delle Lingue e delle Cul-ture Minacciate e ha organizzato ilPrimo Corso di Storia ed Istituzioni,Civiltà, Economia e Lingua Veneta.Studia con passione medicina, ma èsempre più preso dall’attività politica.Suggerisce a Umberto Bossi la crea-zione della Lega Lombarda e partecipa(1989) alla fondazione della LegaNord (presidente federale MarilenaMarin e segretario federale UmbertoBossi). Nel 1991 è eletto presidentefederale della Lega Nord. È rielettonel 1994. Lascia la Lega lo stesso an-no. Nel 1999, su invito di Giorgio La-go e molti sindaci veneti, scrive ilpamphlet L’identità veneta. Ha messoinsieme negli anni una biblioteca ster-minata.

FRANCO ROCCHETTA

Prosegue il viaggio di Nexus nelmondo dei giornali veneziani del No-vecento iniziato con il numero 74. Trai giornali nati e scomparsi abbiamo ri-cordato i seguenti:* Venezia 7, settimanale fondato daFranco Batacchi (Nexus 74).* il Femminile, rivista ideata e direttada Luciana Boccardi (Nexus 74). * Il Fronte, pubblicato in numerounico nel 1970 (Nexus 75). * giornali satirici (Nexus 75):

– Botega da cafè– La Bauta– Lustrissimo– Marangona– Pantalon– Papà Goldoni

– Sior Antonio Rioba– Sior Tonin Bonagrazia

* Il Ventuno (Nexus 76)* La Voce di Murano (Nexus 76)* Informazioni arti visive (Nexus 76)* La Gazzetta Veneta (Nexus 76)* Questo Mondo (Nexus 77)* Marco Polo (Nexus 77)* Mondo Latino (Nexus 77)* Gazzetta del Nord (Nexus 78)* Leo (Nexus 78)* Lido Novo (Nexus 78)* Il Nuovo Risorgimento (Nexus 79)* Il Veneto (Nexus 79)

Pagina a cura di: Giovanni Distefano e Daniela Zamburlin.

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RECENSIONI8 NEXUS GENNAIO-MARZO 2011

Sulla via del non ritornoEsce, ricchissima di brani, la nuova raccolta Supernova di Aldo Vianello dal ti-tolo decisamente inquietante: Sulla via del non ritorno. Leggendoli, talora nonsenza difficoltà o, forse, con un moto di rifiuto, si ha la sensazione che l’autoreintenda segnare, qui, la fine della sua esistenza non soltanto poetica, a dispettodella sanguigna passione che, in qualche modo, tuttora palpita. Numerose delresto sono le opere che compongono il medagliere dell’autore pellestrinotto: ol-tre venti, di cui molte pubblicate presso Supernova.Con Sulla via del non ritorno siamo lontani dagli esili quanto raffinati librini usci-ti negli anni Settanta per Bino Rebellato (tra cui Timide passioni del 1964, tra-dotto in inglese e pubblicato nel 1966 a Londra da Anvil Press Poetry), per scel-ta “canonica” composti di poche liriche anticipate da una succinta presentazio-

ne. E così siamo lontani dal raggio di speranza che lo stesso Vianello intravedeva in altre sue raccolte,dichiarando per es. a proposito di Summa dell’essere verbo (Venezia 1993): «Posso ben dire che le miepoetiche licenze non sono del tutto fuori luogo. Posso anche aggiungere di aver trovato, in tutta la suamaiuscola verità, la Speranza. È una forza che rende “lirico” ogni strato di profonda valle; è una leggedi natura che abbellisce i colori più assetati, rivolti al vento delle parole mai udite in pianura» (Nexus7, marzo-aprile 1994, p. 7). Energico fustigatore del male e saldo zelatore del bene, la poesia di Al-do Vianello – talentuosa voce fuori dal coro – è (sempre stata) una poesia che, al di là di sterili quan-to inutili polemiche, sa (ha saputo) graffiare, mordere. Sa – e vuole – provocare. Il suo è uno spec-chio a largo riflesso, che accoglie la complessità del reale nelle sue (troppe) pene e miserie, ma anchenei suoi (radi) squarci di luci, e lo riverbera tramite una lirica espressionista satura di immagini e diumori che trova alimento in una vena potente e declamatoria. I flash individuali, legati magari a fatti contingenti, punteggiano uno sfondo assai vasto e per lo più cu-po, plumbeo addirittura in quanto emblematico della decadenza generale: una caduta, al di là delle coor-dinate spazio-temporali, sempre più causata dal cedimento etico del singolo, prono ormai alle logichedominanti dell’egoismo – con l’inarrestabile deriva del liberismo predatorio – ed alle iniquità di un po-tere corrotto. Una poesia, quella di Vianello, che desidera il bello e il buono ma deve suo malgrado at-testarsi al vero, trovando tuttavia il coraggio necessario a orgogliosamente denunciarlo con i suoi versiturgidi, decisi, dai quali lo sdegno, o più spesso l’ira, gridano con forza generosa.Qui per altro, diversamente che in opere precedenti, sembra che l’estenuazione, quasi un cedere difronte all’inevitabile, raggeli la parola poetica dell’autore – «Più sola del rovo, / la mia voce / ha smal-tito un silenzio / di ghiaccio. // L’eternità / è un sogno che piange / tra le formiche» (p. 93) – suben-trando quindi, all’impeto guerriero, la dura rassegnazione. Così negli ultimi amarissimi brani – sor-ta di irrevocabile testamento, di autoepitafio (anche esistenziale?). (LL)

CANTI DEL RISVEGLIO di Cristiana Moldi Ravenna è una selezione di poesie del periodo 2000-2010. Introdotto da Armando Pajalich con Le cica-trici del discorso di Cristiana Moldi Ravenna «I Canti dei risvegli [...] sono frammentate parole solitarie, ‘cicatrici del discorso’, anacoluti e ripetizioni, tenuti in fila per una versificazione scarna, e inattesa di voce di performer che dia loro ritmo, cadenza e tono [...] Questa elegia concettuale [...] per una persona che, come è tradizione nell’elegia, viene esplicitamente nominata (“Silvia”) è fattadi 11 Canti che, come l’autrice afferma, si aggregano in due movimenti: un ‘dopo’ (1-8) e un ‘prima’ (9-11) della perdita di una ‘cugina gemella’». Gianni De Luigi nella lettera conclusiva inti-tolata Cristiana commenta: «Parole-esercizio preparano il corpo al sentire dei sensi [...] In tutte le relazioni umane appaiono due grandi zone silenziose: prima e dopo la parola». Apre il libro Ilsignificato del fare di Simonetta Gorreri in cui si illustra l’importanza del lavoro politico condotto da Silvia Businello Toro per l’emancipazione femminile che dal 1995 al 2000 aveva organizzatogli incontri presso la Libreria delle Donne di Mestre in base ad un programma culturale intenso. Quel “fare” si mantiene vivo nell’Associazione DEA. Il logo dello studio Tapiro, che aveva cura-to la grafica della Libreria delle Donne, sintetizza nell’immagine di un sole splendente lo spirito creativo ritrovato per dar vita a un rinnovamento culturale sempre in ascesa.

La verità e il mito di Letizia LanzaLa Bibbia e il mito greco-latino. Se ne discute oggi anche all’interno del dibatti-to storico-politico sulle “radici culturali” del nostro pensiero europeo. Da qual-che parte (vedi ad es. la Chiesa cattolica e, strumentalmente, alcuni suoi sosteni-tori interessati) si tende più a sottolineare l’elemento cristiano (che certamente èpresente), non come integrante, ma a scapito di altre radici. Ciò accade quando,a differenza di quanto si impegna a fare, in modo molto raffinato e documenta-to, Letizia Lanza, la dimensione culturale autentica lascia il posto ad altre preoc-cupazioni e impostazioni preconcette, da cui partire per piegare la realtà alla pro-prie tesi. Letizia offre, da questo punto di vista generale, un preziosissimo con-tributo per allargare il campo della conoscenza, utile a capire, del bene e del ma-le, ciò che realmente sta alle origini della nostra civiltà, che si è sedimentato e

che, in qualche caso, ancora è presente, direttamente, in alcune sue manifestazioni (penso ai frequentirichiami ai miti e leggende ancora oggi rintracciabili in alcune tradizioni locali qua e là lungo le costedel Mediterraneo). Ecco allora che il mito stesso si rivela come verità di cui ha bisogno una autenticaricerca delle radici. Mi viene in mente la bellissima raccolta di saggi dello storico francese Fernand Brau-del (Il Mediterraneo, sottotitolo: Lo spazio La storia Gli uomini Le tradizioni) che la lettura del volume diLetizia mi ha spinto a rivedere. Ma il lavoro della Lanza va anche oltre perché, sapendo quanto sia la-bile il concetto di verità, lei ce la propone da un punto di vista femminile, cioè partendo da una visio-ne diversa della storia per come siamo stati abituati a conoscere e studiare, arricchendone i contenutima, soprattutto, più che usarne un altro, allargando l’occhio come farebbe uno scienziato in cerca del-le origini della materia, introducendo quindi nuove categorie di analisi, altri “punti di vista”. Certa-mente una di queste categorie, come afferma in Premessa Tiziana Agostini, è quella della “diversità”ruotante attorno alla figura femminile e al tema della magia. Nessuno, men che meno l’Autrice, nellasua autentica laicità di pensiero, si illude di trovare una verità, che in senso assoluto non può esistere,ma la minuziosità, la certosina preoccupazione della spiegazione, del fornire persino il dettaglio del det-taglio (se possibile) nascondono, ma neanche troppo, il desiderio sincero e profondo (sostenuto da unacompetenza e una erudizione, per me, fuori dal comune) di fornirci strumenti, informazioni, citazionianche amplissime e dati reali, utili ad aiutarci a comporre un quadro, una visione d’insieme. Sembrabanale affermarlo, ma accade talmente di rado riscontrarlo al giorno d’oggi che, quando ci si incontracon questi rarissimi testi, vale la pena di sottolineare una verità che altrimenti dovrebbe essere ovvia.Non c’è bisogno di sposarne l’intenzione per ricavare la sua lezione, e non solo di storia, ma lo stru-mento, anche metodologico, che Letizia offre (anche e soprattutto all’occhio quasi chiuso di molti, fem-mine o maschi) ci può aiutare a comprendere meglio non solo la nostra storia ma la realtà attuale.

Gianfranco Isetta

DOMENICO MIOTTI di Antonella Bellin, presenta la vicenda e le opere migliori di un pittore veneziano vissuto tra Ottocento e Novecen-to. La sua vita artistica assume i contorni di una tragedia in coincidenza con il trionfo dell’amico fraterno Giacomo Favretto all’Esposizione Nazionale Artistica di Venezia del1887. Mentre si ammirano i suoi capolavori in mostra, Favretto muore a 38 anni (12 giugno 1887). Dopo la scomparsa dell’amico, pur continuando a dipingere, Miotti non hapiù la soddisfazione di vedere i suoi quadri esposti, né di sapere, una volta usciti dallo studio, dove vanno a finire. I mercanti d’arte cercano gli inediti di Favretto e non trovan-doli passano alla produzione di falsi: c’è a Venezia un pittore, Domenico Miotti, che condivide soggetti, luoghi d’ispirazione e tavolozza dell’amico Favretto. I mercanti lo pun-tano, gli acquistano i quadri per pochi denari. Domenico, però, ha bisogno di soldi per pagare le cure mediche della moglie ammalata e quando si rende conto che nessun qua-dro, una volta uscito dal suo studio, viene più esposto, si avvilisce al punto che rifiuta di vendere la sua ultima produzione. Per vivere, si riduce a dipingere vedutine anonime diVenezia. La guerra gli toglie anche questa minima fonte di guadagno e nel maggio del 1916 Miotti muore a 78 anni in una soffitta di Ca’ Bernardo a S. Polo 2184 in uno statod’incredibile indigenza, facendo promettere alla moglie e alla figlia Deodata di conservare i suoi quadri come ricordo. A questi quadri Antonella Bellin ha ridato vita.

DUCISSE VENEZIANE È il settimo volumetto uscito per la collana di Supernova “VeneziaStory”, cioè, come recita il sottotitolo, una “collana mini-malista dedicata alla Città e alle sue tante voci”. Già in questa prima serie è evidente l’interesse per la figura femminile, visto che 3 su 7 uscite, sia pure con diverse prospettive, hanno per pro-tagoniste o coprotagoniste le donne: così per esempio il piacevolissimo Byron Venezia e le donne di Virgilio Boccardi; il quale tuttavia offre un punto di vista maschile. Al contrario, sia Donne esangue a Venezia, il primo libro della collana, sia Ducisse assumono volutamente e consapevolmente un punto di vista femminile, presentando, qui, le dogaresse non in controluce, non di rifles-so rispetto ai dogi, bensì considerate in sé, nella loro, pur talvolta difficile da definirsi, fisionomia di donne. Lo schema, la struttura dei due volumetti è pressoché identica: dopo alcune rapidepagine introduttive vengono presentati, l’uno di seguito all’altro, dei ritratti delineati in maniera essenziale, senza aggiungere troppi e troppo minuziosi particolari. Da notare, poi, una cosa:il primo dei due libretti (Donne e sangue a Venezia) reca un’epigrafe che in qualche modo riassume e chiarisce lo spirito di tutta la collana: “La Storia è ricerca di testimonianza, la Cronaca vo-glia di curiosità”: anche in Ducisse veneziane la stesura si muove, si sviluppa tra i due poli della Storia e della Cronaca. Chi sono le ducisse o dogaresse? Sono le spose dei dogi in carica. Il libro nepresenta 65. La maggior parte delle dogaresse è nobile o nobilissima, qualcuna addirittura di stirpe regale, altre invece sono semplici popolane se non, magari, donne di malaffare o comunquedi dubbia fama.

ITINERARI di Maria Vatova è una silloge poetica che Mario Messinis nella sua prefazione definisce nata «nel segno della musica». Aggiunge Messinis che «le li-riche «fanno esplicito riferimento al mondo dei suoni: la flessibilità del verso, le interne assonanze, la grazia cantabile alludono ad un piacere melodico molto musicale, finementeespressivo. Prevalgono i toni lievi anche nei momenti dolorosamente elegiaci. Nei pensieri della Vatova c’è comunque una nota consolatoria: anche i ricordi lontani della sua terra,l’Istria, vivono in una pur sofferta serenità: le ombre aspirano alla luce. Ad apertura del volume figura un gruppo di poesie direttamente ispirate dalla musica. Affiora il canto sommes-so di Tancredi morente della versione con finale tragico dell’opera di Rossini, ripensato però come incanto onirico senza sottolineature drammatiche. Le Note di uno strumento attra-versano l’aria, la riempiono di sogni e sono rivissute con tenerezza. Un concerto è come un paesaggio avvolto da un sole che non brucia. La Vatova è legata alla cultura mitteleuropea e losi nota nella evocazione di alcune pagine di Dvorak, ripensate con placida malinconia o con acceso lirismo. Un valzer di Schubert è sentito con un gusto ornamentale levigato. Il can-to è memoria, sentimento infantile. L’Appassionata di Beethoven perde l’eroica violenza e La Barcarola di Chopin è trascritta in versi cullanti: L’acqua entra nel respiro,/negli occhi e nel-la bocca,/sommerge, cancella,/non c’è più nulla. Il nulla però non è il vuoto, ma il delicato spegnimento del suono».

RISERBO DI RADICE Dopo il fortunato esordio di Tra basaltiche onde (Supernova, 2003) con presentazione di Piera Piazza, esce la nuova sillogepoetica di Adriana Bertoncin presentata da Cinzia Mozzato. I temi e gli stilemi già presenti nell’opera prima appaiono adesso come riarticolati e investiti di una maggiore concen-trazione. L’autrice mantiene, rispetto alla raccolta precedente, una varietà di registri che si dimostra cruciale per poter riflettere e anche scandire i molteplici momenti di una con-versazione intima, ma al tempo stesso straordinariamente aperta verso l’esterno. A liriche improntate sul racconto si affiancano, oltre a meditazioni sul vivere, istantanee dai toniquasi surreali, o componimenti ispirati ad un dialogo serrato con altri, o ancora versi descrittivi in cui il rapporto sempre più stretto con il mondo naturale sfocia in una introiezio-ne del paesaggio nel poeta. Nella sua introduzione Cinzia Mozzato sottolinea che la lingua di Adriana Bertoncin, «ricchissima e ricercata ma anche fluida e aderente al ritmo del‘momento’ colto, riflette una più precisa volontà di articolare pensieri, emozioni e intuizioni e di aprirli al lettore senza esitazioni e senza limiti. Protesa di volta in volta alla narra-zione del passato o alla registrazione dell’impressione presente, al dialogo con un ‘tu’, all’ispirazione tratta dalla natura, alla riflessione intima, la personalità lirica che si propone inRiserbo di radice è ben attenta a modulare i differenti temi attraverso impostazioni vocali e linguistiche che coinvolgono il lettore in altrettanto differenti ruoli.

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NERO LAVAGNAGENNAIO-MARZO 2011 NEXUS 9

Lampi e … crampidi Cristiana Moldi Ravenna

SLANCIDigitale terrestre, anche seviene dallo spazio, non èun alieno. Dopo i primimomenti di perplessitànell’installazione, per lamancanza di informazioniadeguate, non tutti hannofrequentato l’Istituto Sa-nudo, la qualità delle infor-mazioni che entrano nellecase italiane è notevolmen-te migliorata. Già chi aveval’antenna parabolica pote-va usufruire di collega-menti extranazionali. Nonsolo i contatti con l’Europa,ma con il mondo intero,fanno sì che la mente (“lecelluline grigie” come dicePoirot) ampli le proprie co-noscenze e di seguito i con-tatti, e la sfera culturale insenso lato.Venezia, la Serenissima,aveva già capito molti se-coli fa, che, solo estenden-do e ampliando i commer-ci, si poteva attuare un au-mento prima di capitali e,poi, di interscambi cultu-rali. L’eterogeneità fa vin-cere sulla particolarità.Aveva anche predispostol’accoglienza e l’ospitalitàa paesi stranieri perchéavessero una sede in cittàda cui pubblicizzare i pro-pri prodotti. In un’Italiache risente ancora di quel-la strategica frantumazio-ne in piccoli stati (per evi-tare che una riunione degliitaliani portasse alla rico-stituzione di un impero,come quello romano, cheaveva soggiogato tutta Eu-ropa), governati da chi vo-lutamente manteneval’ignoranza e l’arretratezzadelle popolazioni per eser-citare su di esse maggior-mente il dominio, l’arrivodel digitale terrestre e ilconfronto quotidiano conquello che succede nelmondo costituirà il nuovomodello su cui si plasme-ranno le generazioni futu-re. Benvenuto digitale ter-restre!

HOTEL MOLINO STUCKYdi Gabriele Prigioni

Un gondoliere, già mugnaio, indos-sando un cappello verde ed una ma-glietta rossa, in piedi sulla sua gon-dola, Giudecca, stretto tra le mani ilremo, osserva, fiero, l’orizzonte:l’Hotel Molino Stucky.Negli anni trenta dell’Ottocento,Giovanni Stucky, desideroso di apri-re un mulino sul fiume Sile emigrò,dal villaggio svizzero Munsingen,ove si trova un mulino ad olio, a Tre-viso.Il figlio di questi, omonimo del pa-dre, assiduo frequentatore dei salottiborghesi europei, viaggiando per ilvecchio continente, ha avuto mododi affinare le sue capacità sino ad ela-borare una nuova metodologia perlavorare il grano.Nel 1867 Giovanni Stucky figlio(1843-1910), dopo essere convolatoa nozze, si è trasferito a Venezia overilevò un mulino ed aprì un ufficiodi importazione ed esportazione di

cereali e nei primi anni ottanta del-l’Ottocento ha acquistato un vastocomplesso sull’isola della Giudecca:è di quegli anni il primo progettoche diventerà il Molino Stucky.Struttura, questa, sorta sulle vestigiadel convento e della chiesa di SanBiagio.Alla fine del XIX secolo, 1896, ven-gono ultimate delle opere di amplia-mento, su un progetto dell’architet-to Ernst Wullekopf di Hannover,inizialmente bocciato dalla Com-missione dell’ornato per la presenzadi un numero eccessivo di guglie e inseguito varato: forse a causa dell’in-cendio domato dopo otto giorni odella minaccia di Stucky di licenzia-re i 187 operai che vi lavoravano.Nel 1909 Giovanni Stucky, tra i fon-datori della Biennale d’arte, ha acqui-stato Palazzo Grassi destinandolo asua dimora, non immaginando che so-lo un anno più tardi, il 19 maggio

1910, alla stazione di Santa Luciaavrebbe incontrato la morte. L’assassi-no, un dipendente che si era infortu-nato nel 1908 e che sosteneva di nonaver ricevuto alcun indennizzo, lo uc-cise con un colpo di rasoio alla gola.All’imprenditore successe il figlioGiancarlo, non abile come il padre,tanto che tale incapacità determi-nerà dei tagli alla produzione. A cau-sa della seconda guerra mondiale ilmolino fu militarizzato e GiancarloStucky si tolse dagli impicci suici-dandosi il 18 ottobre 1941. Parabo-la discendente che culminerà nellachiusura del 1955, dopo che gli ere-di si sono trovati costretti a cederePalazzo Grassi a Vittorio Cini, chevoleva fosse la residenza del figlio,morto, invece, nel 1949; lui che du-rante il fascismo vide attuate le sueintuizioni, con l’affiancamento dellarete stradale a quella ferroviaria, cir-ca una maggiore rapidità di traspor-

to dei cereali su terraferma, fino adallora eseguito via acqua, che ha in-ferto un duro colpo al molino. Dopo anni di degrado e abbandono,negli anni ottanta del Novecento, lasocietà Acqua Pia Antica Marcia hapresentato un progetto per la trasfor-mazione del complesso in albergo enel 1988 il Ministero dei Beni Cultu-rali ha posto il vincolo sulla struttura. È dei primi anni Duemila l’accordotra la società ed il gruppo alberghie-ro Hilton. Sottoposto ad opere di re-stauro, rallentate nel 2003 a causa diun incendio, forse doloso, l’hotel èstato inaugurato nel 2007.L’anno precedente, il 16 giugno2006, è stata presentata da FrancescoCaltagirone alla stampa la facciataricostruita dopo l’incendio.L’albergo, simbolo di un lavoro direcupero archeologico industriale diimportanza internazionale, è dotatodi 379 camere di cui 5 suite.

Questa rubrica di GabrielePrigioni è dedicata agli al-berghi storici di Venezia.

Sono già apparsi i seguenti articolidedicati a: Hotel Danieli (Nexus 73) Hotel Gritti (Nexus 74)Hotel Palazzo Priuli (Nexus 75) Hotel Bauer (Nexus 76)Hotel Ca’ Sagredo (Nexus 77)Hotel Europa&Regina (Nexus 78)Hotel Luna Baglioni (Nexus 79)Hotel Ausonia&Hungaria (Nexus 80)Hotel Cipriani (Nexus 81)

Hotel Molino Stucky

Un anziano poeta viveva, con la mo-glie, in un appartamento nel sestieredi Santa Croce. Proprietario del localeera Vincenzo, un suo amico, che glie-lo aveva affittato ad un buon prezzo.

Un giorno, inaspettatamente, men-tre conversava con un gruppo diamici, tra i quali era presente il suopadrone di casa, l’erudito ricevette,verbalmente, la notifica di sfratto.

“Ho trovato una famiglia che mi of-fre di più. Stanco di farti l’elemosi-na e di guadagnare molto meno diquanto potrei ricavare in relazionealle dimensioni del quartiere, d’ac-cordo con la mia signora, ti chiedodi lasciare il locale entro la fine delmese: dal primo di aprile desideroavere l’appartamento a mia comple-ta disposizione.”

Ernesto, così si chiamava il verseg-giatore, udendo le parole di Vincen-zo, sentì un tuffo al cuore che glistrozzò in gola le parole che avrebbevoluto dire in controbattuta. Basitoe addolorato, accomiatandosi daipresenti, in un atto di orgoglio, congli occhi lucidi, rispose all’atto me-schino di colui che credeva amicocon una lirica, tratta dall’opera Sfu-lingo, Scintille, del poeta indianoRabindranath Tagore.

C’è un poetanel cuore dell’universo!Descrive semprela bellezza dei fiori,cancella spessole insoddisfazioni dell’animo;ma non riesce a far tacere maiil grido del dolore.

Nessuno batté ciglio.Nei giorni seguenti, il furbo possi-dente si vantò, a più riprese, con gliamici, del grande affare che era sulpunto di concludere. Ai compagnidi crapula raccontava che, sempre insintonia con la moglie, aveva decisodi iniziare i restauri del quartiere ilprimo di aprile, in modo tale da po-ter beneficiare al più presto del nuo-vo, lauto affitto.

Il poeta lasciò l’abitazione due sereprima dell’ultimo dì del mese dimarzo. Riconsegnando le chiavi sa-lutò, in modo cordiale, Vincenzo esignora.

Il novello affarista non si fece scap-pare l’occasione e la mattina del 31marzo, baldanzoso, vinto dalla su-perbia e dalla brama di denaro, sirecò, con gli operai, avvisati in tut-ta fretta il giorno precedente, nel-l’appartamento per dare inizio ai la-vori, senza minimamente pensare

che l’inquilino uscente potesse esse-re stato puntiglioso a tal punto dadisdire i contratti di fornitura di ac-qua, luce, gas e telefono tralascian-do di avvertirlo. Vincenzo, dal can-to suo, non aveva pensato di fare lavoltura dei contatori, oppure avevafatto finta di dimenticarsene in mo-do che le spese, di quanto consuma-to dagli operai, venissero addebitateal povero Ernesto.

Seccato da tale gesto e soprattuttodal dover rimandare l’avvio delleopere di restauro di circa due setti-mane, Vincenzo telefonò all’aedopresentando le proprie rimostranze.

Ernesto rispose con una terzina delXII Canto del Purgatorio.

Or superbite, e via col viso altero,figliuoli d’Eva, e non chinate il voltosì che veggiate il vostro mal sentero!

Da tali versi si ricava un monito aisuperbi. Camminando a testa alta,nel senso di procedere impettiti,spinti dalla superbia, gli uomininon vedranno mai la strada sbaglia-ta che stanno percorrendo.

Recitato Dante, il poeta ripose, sol-levato, chiudendo la chiamata, lacornetta del telefono. (G.P.)

SERENISSIME RIFLESSIONI: personalità, ostentazione, arroganza

Il carattere, con le sue molteplici sfaccettatu-re, distingue, accomuna, divide gli esseriumani. Una persona irascibile, in nome delviver tranquilli, viene isolata; un individuoremissivo trova compagni in coloro i quali sicrogiolano nell’apatia; l’uomo senza attribu-ti fa comunella con i suoi pari criticando co-loro che li hanno; gli esseri dotati di persona-lità: consapevolezza del proprio valore, delleproprie capacità ed espressione continua, tra-mite opere ed azioni, di vera classe non han-no bisogno di porre in risalto latenti doti, alcontrario degli inetti, che avvertono l’impul-so irrefrenabile di esibire le proprie abilità,labili nella maggior parte dei casi ed in virtùdi ciò tali individui tendono ad ostentare, at-tribuendosi impropriamente dei titoli, per ge-nerare, in primis, nel proprio intimo, autosti-ma. Una inabilità evidente, mascherata, ge-nera solo caricature; un suino con il papillonfa la stessa magra figura di gaglioffi e scal-zacani all’Opera. Coloro che sono stati ba-ciati dal talento non seppelliscono la valentiama la coltivano, coscienti che un tale donocomporta la responsabilità di far conoscere ladivina predisposizione al prossimo per aiuta-re quelli che navigano nel laghetto della vitaa comprendere che l’esistenza è un oceano. Gliindividui che ostentano, invece, rimangonovittime del loro esibizionismo; con il tempo, laloro grandigia li rende arroganti al contra-rio di quelli dotati di personalità che, in ap-parenza, risultano altezzosi, in realtà, han-no una maggiore consapevolezza che li rendepiù sicuri di sé.Esempio significativo di queste riflessioni èstato l’intervento, in occasione dell’inaugura-zione di un locale a Rialto, di un uomo, du-rante una conversazione tra amici.“Non possiamo, come spesso accade durante lenostre chiacchierate, confrontarci su chi è ilmigliore: voi siete dei suonatori di violino, iosono un violinista. La differenza è sottile enotevole! (G.P.)

SANTA CROCE: LA CAPORETTO DELL’ALBAGIA

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10 NEXUS GENNAIO-MARZO 2011

PONTE DEI SOSPIRI

Per la donnache attende una ciurmasotto le arcatedi un grigio ponte,una barba mefistofelicatra i senia pera incolorevale il doppiodel suo cervello.

Al modigliano collo appesa,nel solletico la crocenon sarà meno intrusadi un raggioche si farà curioso.

PAROLA MIAAldo Vianello

[Venezia Multimediale]

IOSIF BRODSKIJ: SULLE ORME DELLA POESIAdi Danilo Reato

“Fallimento per fallimento, cercare di rievocare il passato è come tentare di afferra-re il significato dell’esistenza. In entrambi i casi ci si sente come un bambino che vo-glia stringere un pallone da basket: le palme continuano a scivolar via”. È l’effica-ce immagine di quella sensazione, così ben sintetizzata nell’incipit di Fugada Bisanzio, che io stesso ho provato, alcuni anni fa, nel tentativo di con-densare, in scarne pagine, la reale sostanza del grande amore che legava Io-sif Brodskij a Venezia. Un documentario, prodotto dalla Shibui productions,intitolato Josif Brodskij: Nella prigione delle latitudini, con la regia e sceneg-giatura di Jan Andrews e Anny Carraro, presentato nell’ultima edizione delVenice Film Meeting, oggi riprova a ripercorrere tutto il lungo cammino del-la sua esistenza per offrirci un quadro biografico, molto circostanziato e den-so di testimonianze di amici, di poeti, ma anche, restituendoci la voce stes-sa del maestro. L’esperimento è senza alcun dubbio riuscito, perché il filmato riesce a tra-sportarci magicamente, nell’arco di un’ora, nei meandri di una tragica esi-stenza di un poeta alla costante ricerca della libertà, un anelito sentito findalla prima gioventù con un’insofferenza indicibile provata già nei con-fronti della disciplina e dell’istruzione di regime. Iosif Brodskij, nato a Leningrado nel 1940, dopo l’abbandono prematuro dellascuola, lavora in una fabbrica di cannoni, poi come assistente nell’obitorio di unospedale e infine si unisce ad una spedizione geologica che cerca uranio in Si-beria. Incomincia nel frattempo a studiare da autodidatta e scopre il mondo del-la poesia e ne rimane per sempre contagiato. Un virus, da cui non si guarisce piùe che costringe a dure prove della vita e poiché, secondo l’assioma di AleksandrSolÏenicyn, un vero scrittore russo deve sempre soffrire un po’, Brodskij, chescriveva poesie ed era ebreo, sposava due realtà che il regime sovietico conside-rava colpe reali e senza possibilità alcuna di riscatto, perciò finì per imboccarescientemente la via del calvario.Le numerose testimonianze, le interviste agli amici e i filmati dell’epoca, ri-costruiscono questo periodo e ci informano su quanto difficile fosse fare ilpoeta in quei drammatici frangenti, infatti saranno proprio i successi lette-rari a renderlo sempre più sospetto ed inviso al regime. Accusato di “paras-sitismo sociale”, verrà condannato a cinque anni di lavori forzati. E allasprezzante domanda del giudice, che aveva già deciso il suo destino, su chilo avesse arruolato fra i poeti, Brodskij opponeva sfrontatamente una rispo-sta da ammutolire qualsiasi potenziale detrattore: “Chi mi ha arruolato nelgenere umano?”. La condanna, chiaramente, non si fece attendere, ma su-scitò reazioni sulla ribalta internazionale, grazie anche alla campagna por-tata avanti e sostenuta con molto vigore dalla Achmatova; i dirigenti sovie-tici saranno costretti a far marcia indietro e il poeta verrà finalmente rimessoin libertà, ma poi costretto nel 1972 all’esilio. Comincia così il periodo ame-ricano, con una nuova lingua per scrivere poesia, fino al conseguimento delpremio Nobel per la letteratura nel 1987. Il poeta amava Venezia, gli ri-cordava la sua natia San Pietroburgo e le ha dedicato il suo atto d’amore conFondamenta degli Incurabili, ma scegliere Venezia, come ultima dimora, hasignificato qualcosa di più, prolungare ancora la propria esistenza e lo te-stimoniano ampiamente quei numerosi bigliettini, in tutte le lingue, veredimostrazioni di sincero affetto e di sempiterna riconoscenza, che affollanooggi la sua tomba. D’altronde non poteva che esser così, come Brodskij stes-so aveva confidato agli amici più cari, in una specie di profetico testamen-to spirituale: “Riuscirò a permettermi questa città sino alla fine dei miei giorni, eanche oltre”.

Josif Brodskij: nella prigione delle latitudini (2010) regia di Jan Andrews; DVDUSA/Italia, dur. 60’; produttore: Shibui productions Salt Lake City/USA; distribuzione:Studio AC Venezia tel/fax 041 5242571; e-mail: [email protected]; prezzo: 15 euro.

La Piazza Universaledi Tomaso Garzoni

rilettura di Giovanni Distefano

Tomaso Garzoni (Bagnacavallo,presso Ravenna 1549-Venezia

1589) di cui abbiamo brevemente parlato[Nexus 76], scrisse tante opere tra cui laPiazza universale di tutte le profes-sioni del mondo nella quale presenta500 professioni e mestieri (incluso quellodel fannullone) che rileggo per questa ru-brica con l’animo di riproporre il sunto osucco sulle professioni veneziane e fare as-saporare la bellezza della sua prosa. Già pubblicate, a cura di Stefano Diste-fano, le professioni di Gondolieri[Nexus 72]; Giudici [Nexus 73];Ladri [Nexus 74]; Politici (filosofi)[Nexus 75]; De’ vetrari [Nexus 77];De’ mercanti [Nexus 78]; De’ furfanti[Nexus 79]; Librari e Stampadori[Nexus 80], De’ Poeti [Nexus 81].In questo numero ci occupiamo delleMeretrici. Dice Tomaso che l’inven-zione «di questa dissoluta e vitupero-sa professione s’attribuisce a Venere, la

quale apparve degna e meritevole perquesto d’esser posta nel numero delledee; percioché, essendo ella impudicae adorpata in ogni specie e qualità dilussuria, insegnò alle femmine di Ci-pro a compiacere agli uomini del lorcorpo per denari, onde nacque un abu-so in Cipro, come racconta Giustino[storico romano], che le fanciulle lor simettevano in publico inanzi il tempodelle nozze su la riva del mare a gua-dagnarsi la dote e a pagare a Venere leprimizie della castità loro».Questo antico mestiere si diffuse emolti, «senza rimorso alcuno [...] esenza ritegno alcuno di vergogna»spinsero nei postriboli mogli e figlie«a far guadagno col corpo, per rimet-ter le ricchezze consonte». E Venere, «la sfacciata dea degli amo-ri», ottenne «da Solone, quelgrand’uomo che diede le leggi agliAteniesi e che fu giudicato [...] uno de’sette savi della Grecia [...] un tempiomagnifico [...] il quale fu eretto sola-mente per le femine di chiasso [=po-stribolo]. E lui fu quello che ordinò ipublici luoghi disonesti [...] e conces-

se nelle sue leggi molte essenzioni allemeretrici». E Solone ebbe dei seguaci.Scrittori e poeti magnificarono le me-retrici e anche «quel gran filosofod’Aristotile che fu reputato così savio[...] non ebbe vergogna [...] d’onorar lemeretrici con divini onori». A questisi aggiunsero Pericle, che «per amoredi Aspasia, avendo i Megaresi rapito lesue donzelle, mosse la guerra del Pelo-ponneso; Alessandro Magno [...] ab-brugiò ad istanza della bella Taide itempli sacri di Persepoli [...] Sofocle,ardendo a morte per Teoride, prega ladea Venere con singhiozzi e sospirid’aver copia del suo amore».Tra l’altro Tomaso si pone questa do-manda: «Or qual è quel grand’uomoin armi o in lettere che con la servitùsua non abbia aggrandito il nome del-le meretrici, e che non abbia perso die-tro a loro il senno, la prudenza e l’in-telletto?» E cita Salomone che «per-dette il cervello fra l’infinita turba del-le concubine» e Sansone «così forte[...] acciecato degli occhi corporali e diquei della mente per causa delle mere-trici...»

TEATRINO GROGGIAL’Album Groggia, appena stampato,ripercorre i sette anni di attività delTeatrino Groggia che hanno incro-ciato le latitudini del Moderno equelle del Contemporaneo, in undialogo serrato tra tradizione e in-novazione attraverso i vari “conte-nitori”: Groggia Modern, MinimaMusicalia, Groggia Teatro, Grog-gia Eventi, Groggia Video, GroggiaWor(l)d e Groggia Nordest.Sette anni di “fervore creativo”, comeli ha definiti il direttore artistico Ma-rio Perez, sette anni “vissuti pericolo-samente” con impertinenza e rigore,durante i quali si è scommesso su unlinguaggio, quello della musica con-temporanea, solitamente percepitocome marginale, “nel tentativo di ac-creditarne il ruolo di regìa dei lin-guaggi della modernità”.Con l’Album Groggia si è voluto fis-sare, come in un’istantanea, il ricor-do di quest’avventura, vissuta datutti i protagonisti con convinzionee generosità.L’Album è sembrato altresì costitui-re una preziosa occasione per pro-muovere una piccola grande impre-sa di cultura alla quale hanno lavo-rato, spesso in condizioni di totalegratuità, musicisti, attori, compo-sitori e poeti, intellettuali ed artistiin difesa di una moderna idea dellabellezza.L’apporto grafico di Maurizio Cia-to, dello studio Limage, ha contri-buito in modo decisivo ad una resaaccattivante e perfettamente coor-dinata della più svariata congerie dimateriali raccolti in sette anni diprogrammazione: volti, partiture,autori, documenti, personaggi.In appendice, il calendario comple-to delle stagioni.Ultimo ma non ultimo, lavorare aquesto catalogo ci è sembratoun’opportunità per promuovere laconoscenza delle cose belle dellamodernità e per sradicare, per con-tro, quell’atavico pregiudizio se-condo il quale le cose belle preten-dono la grandezza.Copia della pubblicazione si può ri-tirare gratuitamente presso la sededella Municipalità di Venezia, a SanLorenzo.

Anna Trevisancuratrice del volume

da: Sulla via del non ritorno

L’errore di aver creato l’uomosi è ripetuto nella donnadiventata maschio.

Di abisso in abisso,anche il volatile più solertenel farsi udir dal solesi mutò in germe di corvo(impassibile fu solo il cielo).

Poco prima di uscir dal mondoforse anch’io perderò i trattiacquisitinelle pur brevi, amorose cavalcate.

VENEZIA: CAMPANILI, NUMERI FORME“La matematica è dicasa a Venezia, comel’acqua della laguna”– a sostenerlo que-sta volta con pe-rentoria fermezza e

cognizione di causa è Luigi Calzavara,un architetto padovano, innamoratodella città lagunare che col suo intri-gante volume, fresco di stampa coi ti-pi della Supernova Edizioni, ci portaper mano a scoprire passo passo il co-dice segreto, ben celato dietro le geo-metrie della complessa topografia ve-neziana. Di primo acchito, ad un’ana-lisi del tutto superficiale, l’afferma-zione, appena citata, può sembrare ad-dirittura blasfema, poiché Veneziaapparentemente sembra sfuggire aqualsiasi organizzazione geometrica efunzionale, ma, come sempre, tuttodipende dal punto di osservazione. Icampanili, che svettano in forma or-dinata, scomponendo la rigorosa piat-tezza dello skyline della città anadiome-ne, sono, secondo l’affascinante ipote-si dell’architetto padovano, sorti sullefondazioni di antiche torri di guardiaromane, innalzate a difesa e controllodel territorio seguendo precisi traccia-ti geometrici, ancor oggi potenzial-mente reperibili sulle carte. Prenden-do in esame 19 campanili, legati allechiese di fondazione più antica, si no-ta la loro collocazione precisa nel reti-colo cartesiano della cartografia uffi-ciale della città. Non sono quindi il ri-sultato di una disposizione casuale,ma oculatamente mirata, fino ad arri-vare alla conclusione che i campanilirisultano essere i vertici di un reticolodi triangoli quasi pitagorici. È una te-si affascinante – bisogna proprio dirlo- ma Luigi Calzavara non si limita al-le sole ipotesi, ma le avvalora concomplessi calcoli, che cerca di tradur-re in facili esemplificazioni per il let-tore, meno addentro al linguaggio, unpo’ criptico, della geometria. Questarete, che virtualmente congiunge tut-ti i campanili, sarà poi successiva-mente deputata da parte dei venezia-ni alla circolazione ottimale dei se-gnali e delle informazioni, elementiindispensabili in una “città singolare”basata sulla doppia viabilità (d’acquae di terra) che da secoli costituisce unadelle sue principali peculiarità.La matematica è madre d’ogni cono-

scenza, perciò chissà che proprio daquesta certezza non possa scaturireanche un modo totalmente nuovo peravvicinare il mistero che da sempreavvolge questo meraviglioso e sorprendentelaboratorio dell’immaginazione che ha nome:Venezia.

Danilo Reato

Luigi CALZAVARA, Venezia: campanili, numeri e for-me. Topografia della città, Supernova, 70 pp., €15

VILLA FRANKENSTEIN BRITISH PAVILIONdi Jane Da Mosto

Dedicato a Venezia il padiglione dellaGran Bretagna alla 12° Biennale di Ar-chitettura di Venezia: tutte le istalla-zioni non solo sono state costruite a Ve-nezia, ma anche progettate e disegnateper avere un uso permanente a Venezia.L’approccio concettuale era di esplora-re il rapporto tra dettagli e strategianella pianificazione e la vita urbana. Lanecessità di integrare molteplici tipi diinformazioni in un ambiente comples-so, con un quadro di riferimento ricconelle sue trasformazioni, non sono pre-rogative riferite solo alla realtà di Ve-nezia, questa esperienza fa parte dello“scambio a doppio senso” proposto dai cu-ratori londinesi muf architecture/artllp. In linea con l’intento di generaretraffico a doppio senso, rispecchiato neltema generale della Biennale quest’an-no “People Meet in Architecture”, ilpadiglione è stato progettato espressa-mente per ospitare workshops, riunio-ni di lavoro, discussioni, gruppi giocodopo-scuola, feste ed altri tipi di in-contri tra veneziani e non-. Così lo “sta-dio”, divenuto studio di disegno, fun-zionava anche come anfiteatro per pre-sentazioni. Il giorno della Festa dellaSalute abbiamo sfruttato al meglio il li-bero accesso per i Veneziani alla Bien-nale (l’ultimo giorno) per discutere sulfuturo della Laguna di Venezia nel con-testo informale e aperto del PadiglioneBritannico. Lo scopo era di incoraggia-re ulteriormente una maggiore parteci-pazione pubblica nelle decisioni strate-giche relative al futuro di Venezia allaluce delle inevitabili scelte che devonoessere fatte per definire più chiaramen-te “quale Venezia vogliamo”.

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DETTI VARI

Co capita un bon bocon, mona chi no ne aprofita

Quando xe più i passi che i boconixe un andar da cogioni

Chi magna da benedetocaga da maledeto

Co i denti no sbatele tete no fa late

I fasioi sbrega i ninzioi

Co i bisi in teca, gnanca la marede S. Piero no resta vecia

Ala da capon, culo de castrone tete de massàra, xe ‘na roba rara

La carne fa ingrassare el pesse fa pissar

Chi magna polpete, caga saete

Le frìtole xe come le done: se no le xe tonde e un poco grassote,non le xe bone

Tripe, brodo e merda cotatre minestre in te na bòta

Polenta e latte ingrassa le culate

La scalogna xe el rosto dei poveri

Chi ga inventà el vin, se no el xein Paradiso, el xe vicin

Diogene sercava un omo giusto,e mi serco el vin che gabia gusto

Xe megio bever vinche portar piere

El zogo de le spadea molti nol ghe piase

Xe inutili do cosse:mazzar i òmeni e bater le nose

La forza ghe caga a la razon

Un bel morir tutta la vita onorae un bel scampar salva la panza ancora

Chi xe vivo ga guerachi xe morto fa tera

Omo morto, guera finìa

L’abito no fa il monaconé l’elmo el capitan

Co se deventa vecise perde la virtù:le gambe se fa fiàpele calze no sta sù

Ogni bela rosa deventa un strassacul

Dopo i …antagambe che trema, tete che scampa

Primo, la sportasecondo, el bastonterzo, la gobaquarto, el balón

I zoveni d’ancuo, xe i veci del doman

CRONACA E CURIOSITÀGENNAIO-MARZO 2011 NEXUS 11

VITA DELL’OMO (3) di MARIO TECCHIATI

stampato il 27 dicembre 2010Editore: Supernova

GIOVANNI DISTEFANO (direttore editoriale e amministratore unico) NICOLA FALCONI (direttore responsabile)

DANIELA ZAMBURLIN (condirettrice)LETIZIA LANZA, CRISTIANA MOLDI RAVENNA, MARIUCCIA REGINA

(comitato di redazione)Hanno collaborato a questo numero

LUCIANA BOCCARDI, LUISA CODATO, JANE DA MOSATO, GIANNI DE LUIGI, CRISTINA DE ROSSI, CLAUDIO DELL’ORSO, GIOVANNI DISTEFANO,

STEFANO GIACOMAZZI, GIANFRANCO ISETTA, LETIZIA LANZA, LINDA MAVIAN, CRISTIANA MOLDI RAVENNA, TAZIA NUVOLARI, ILARIA PASQUALETTO,

RENATO PESTRINIERO, GABRIELE PRIGIONI, DANILO REATO, FRANCO ROCCHETTA,MARIO TECCHIATI, GIOVANNI TALAMINI, ANNA TREVISAN, ALDO VIANELLO,

DANIELA ZAMBURLIN.

DIREZIONE, REDAZIONE, AMMINISTRAZIONESUPERNOVA EDIZIONI srl, via Orso Partecipazio, 24 – 30126 Venezia-Lido

Tel/fax 041.5265027 – email: [email protected] – website: www.supernovaedizioni.itTIPOGRAFIA

Grafiche ITE, Dolo (Venezia)Aut. del Tribunale di Venezia n. 1114 del 23.3.93

LE OPINIONI ESPRESSE NEGLI ARTICOLI FIRMATI E LE DICHIARAZIONI RIFERITEDAL GIORNALE IMPEGNANO ESCLUSIVAMENTE I RISPETTIVI AUTORI

Mensile di Comunicazione cultura e attualità nella città metropolitana di Venezia

SETTEMBREÈ il mese dei centenari. Il 26 a MestreMaria Bertuzzi, già cassiera di cinema aVenezia, ha compiuto 104 anni. Il 28 alLido Gilberto Taolin, già direttore venditedi una importante azienda veneziana, neha compiuto 100 e il 29 alle Zattere hatagliato lo stesso traguardo Guido Trevi-san, con un passato di imprenditore del le-gname. Congratulazioni da parte di Nexuse Supernova ai centenari veneziani.28 Il patriarca benedice la statua dellaMadonna prima che venga issata sulla cu-pola dopo il restauro finanziato dall’im-prenditore Teodoro Russo.30 Un romeno uccide un povero 22ennebengalese in un bar di Mestre: colpito da unpugno cade a terra e batte la testa.

OTTOBRE1° Il Sior Rioba torna in possesso della testarestaurata dopo il furto del 2 aprile.2 Onesti impiegati derubano il Comune. Siaumentavano lo ‘stipendio’ con un trucchettosemplice semplice: uno riceveva lo scontrinodell’auto in uscita e incassava l’importosenza registrarlo perché tratteneva lo scon-trino che consegnava ad un nuovo cliente.

Una giostra di dis-onesti. 6 Lite a scuola (Istituto Nautico Venier)durante un’assemblea tra due studenti:scoppia un’americanata da bassifondi, uno(l’imbecille che va a scuola armato) estraeil coltello e ferisce l’altro. 7 La stampa annuncia la morte di EmilioRosini. Aveva 88 anni ed era stato vicesin-daco nella prima giunta Cacciari (1993-1997). 8 Finisce un’era: le poste centrali lascianoil Fontego dei Tedeschi, acquistato dai Be-netton, e traslocano a Palazzo Faccanon,già sede storica del Gazzettino. 9 Si celebrano i funerali di padre AngeloMaria Caccin (nato a Padova nel 1922)in servizio dal 1996 nella Chiesa di S.Giovanni e Paolo di cui aveva scritto unaimportante guida illustrata. 15 Si inaugura il Centro Scalzi (a fiancodella Chiesa degli Scalzi) per ospitare ini-ziative culturali e sociali. Intanto in Co-mune due innominabili consiglieri vengonoalle mani (Gioco di mani gioco di villani,si dice al paese mio...).16 Morire a 18 anni: è accaduto al Lido.Leonardo Angiolin si è schiantato con lasua moto contro un albero.

24 Si corre la 25. VeniceMarathon.28 nascosti in due traghetti dalla Greciadecine di clandestini: 25 saranno rimanda-ti indietro, mentre i 4 minorenni verrannoaffidati ai servizi sociali. 30 La stampa riporta una sentenza del tri-bunale: «Vendere vetro cinese non è reato».Commento autocensurato. Aveva 90 anni don Otello Toselli, era statoparroco in varie sedi e a Sacca Fisola finoal 1996.

NOVEMBRE4 In Piazza S. Marco le forze armatefanno festa.7 Ancora bulli da strapazzo (leggi imbecil-li veri e propri), prendono a pugni un grup-petto di ragazzi e ragazze. È accaduto inPiazza Ferretto, a Mestre.10 La stampa critica il nuovo terminal alLido, opera inutile e dannosa, peraltro: per laprima volta, in 40 anni, ci siamo bagnati inattesa del vaporetto, mentre intorno voci ma-schili e femminili si mischiavano parlandodei progettisti dementi e di quanti ne avevanoapprovato l’idea. Non vogliamo conoscere chisono gli autori, ma visti i risultati nulla de-vono essi sapere di mare. Quando il grandeCarlo Scarpa progettava qualcosa, egli facevafirmare l’opera da un vero architetto, non es-sendo egli laureato in architettura. Scarpaera intelligente, un genio. Qualcosa di simileavrebbero dovuto fare gli autori di questo ter-minal, pagare un caffè ad un pescatore perfarsi illuminare su venti e maree. Non aven-dolo fatto sono l’opposto esatto di Carlo.

13 Finalmente un titolo appropriato usatodalla stampa locale: «Delinguenti a tempopieno», parola di un dirigente della squa-dra mobile. delinquenti, proprio così devonochiamarsi coloro che delinguere e non già«re di qualcosa...», o «killer tal dei tali». 14 Amalia Sirol di Castello, già ristora-trice, ha festeggiato i 100 anni. 13 Un 21enne si è impiccato al Blue Moondavanti alla fidanzatina.15 Aggressione a Piazzale Roma: due co-raggiosissimi contro uno solo. Si è ucciso un giovane musicista rap delLido, lanciandosi dal settimo piano del suoappartamento. Si chiamava Fabio Valdo,aveva 38 anni e aveva perso il lavoro comeportiere d'albergo. 26 Sono scesi i 6 operai che per protestaerano saliti su una fiaccola a 150 m. d’al-tezza. Sono stati su tutta una giornata persalvare il loro lavoro negli impianti chimicidi Porto Marghera.

DICEMBRE1° Venezia passa al digitale.3 Il Comune approva le briccole in plastica.Funerali a Ca’ Farsetti per Franca Tren-tin Baratto. 4 L’acqua alta lascia ancora il segno. Salea 136 cm. I giornali ricordano chedall’inizio del 2010 Piazza S. Marco si èallagata 179 volte.6 Un giovane ricercatore di Ca’ Foscari,Paolo Franceschetti, ha ideato come produr-re acqua potabile a basso costo sfruttandol’energia solare.

9 Un gruppo di bulletti da strapazzo in-sulta un disabile a Cannaregio, ma nessunointerviene. Segni di inciviltà.È morto il maestro Lucio Finco, direttoredel Coro Marmolada, nato il 7 dicembre1949 dalla comune passione di un gruppodi amici veneziani per la montagna e le suecanzoni. Dal 1954 era affidato alla bac-chetta del maestro Finco. 11 La stampa parla di un prossimo refe-rendum sulla separazione tra Venezia eMestre: i separatisti gongolano.12 Presentato il progetto per la nuova sta-zione ferroviaria di S. Lucia. Previsti tral’altro un parcheggio auto di 5 piani eun’area commerciale. 14 Gli operai del Petrolchimico sono tornatia salire sulla fiaccola [vedi 26 novembre] indifesa del loro lavoro. Una decina i più riso-luti. L’Eni e il gruppo svizzero Gita firme-ranno il preliminare il 22 dicembre.Il Comune festeggia, prende possesso dellaCaserma Matter di Mestre, dell’Idroscalonell’isola di S. Andrea (posto ideale per unadarsena che potrà ospitare centinaia di im-barcazioni lungo i suoi 800 metri) e dibuona parte dell’Arsenale (le aree già usatedalla Biennale, le Sale d’Armi, le Tesedelle Galeazze, il Giardino delle Vergini,l’area ex Sommergibilisti.19 Mestre: inizia l’era del tram moderno. 22 Il Caffè Quadri passa di mano: dai Li-gabue alla famiglia Alajmo delle Calandredi Rubano (Padova).24 Saltato il cenone di Natale in molti ri-storanti del centro storico per l’acqua alta.

La Città raccontaGIOVANNI DISTEFANO

GENNAIO-MARZO 2011

Ariete. Nuovi ingressi cari Ariete: il 23gennaio Giove, il grande benefico, ritornerànel vostro segno e vi rimarrà fino al 5 giu-gno seguito a ruota dall’imprevedibile Ura-no che dal 12 marzo resterà con voi fino al2019. Il quadro però si complica per la pri-ma decade, per via della quadratura di Plu-tone dal Capricorno e per la seconda a cau-sa dell’opposizione di Saturno dalla Bilan-cia. Che dire? È vero che Giove rappresen-ta la grande fortuna ma se, soprattutto laprima decade, accetterà i colpi di testa diUrano c’è il rischio di fare un patatrac. Mo-rale: certi transiti per dare buoni frutti van-no gestiti con moderazione ed oculatezza.Toro. A parte qualche veloce transito ac-quariano in febbraio, direi che in questouniverso tempestoso le vostre stelle sianoriuscite a ricavarvi una specie di piccolo

cantone elvetico neutrale e sicuro. Mi rac-comando, non metteteci mano!

Gemelli. A partire dal 23 gennaio avreteGiove in postazione favorevole per 5 me-si: sappiatelo sfruttare e dateci dentro fin-ché c’è. Anche i transiti stagionali vi sonopropizi come pure il severo Saturno chedal segno amico della Bilancia, vi resti-tuirà con gli interessi quello che vi era sta-to tolto.

Cancro. Periodo critico cari amici delCancro sia per i transiti stagionali di gen-naio e febbraio, che per quelli lenti di Plu-tone e di Giove ai quali da marzo si ag-giungeranno anche quelli di Urano, per laprima decade e di Saturno, per la seconda.Che dire? Con una situazione astrale diquesto tipo, non è il caso di lasciarsi an-dare né tanto meno di aspettare la manna

dal cielo; ci vuole invece rigore e autodi-sciplina, altrimenti si rischia di franare.

Leone. Non male cari leoncini! Per esse-re inverno, stagione opposta a quella delsolleone in cui la fate da padroni, i transi-ti sono nel complesso buoni, tranne quel-li superveloci fra gennaio e febbraio dalsegno opposto dell’Acquario. In più Gio-ve in trigono dall’Ariete, lavorerà con Sa-turno, sestile dalla Bilancia, creando si-tuazioni propizie per realizzare nuove im-prese e raccoglierne i frutti.

Vergine. Comincerete il 2010 liberando-vi dell’opposizione di Giove cari Vergine!Inoltre anche le stelle stagionali sarannopiù che accettabili, a parte i transiti velo-ci fra febbraio e marzo dal segno oppostodei Pesci. Conclusione: costruttivi e ope-rativi come sempre!

Bilancia. Ci mancava solo l’ingresso diGiove in Ariete per mettere a dura provail vostro fair play! Sì perché, in aggiuntaa qualche quadratura stagionale dal Ca-pricorno, la prima decade dovrà vederse-la, oltre che con Plutone, dio delle tene-bre, anche con Giove, il grande beneficoin aspetto contrario, per di più incalzatoda Urano. La seconda decade dovrà conti-nuare a rendicontare a Saturno, cui inmarzo si opporrà Giove. Morale: in nessuncaso abbassare la guardia.

Scorpione. Situazione nel complessopropizia cari scorpioncini poiché, a partequalche veloce quadratura stagionaledall’Acquario, sarete immuni dalle conse-guenze delle pesanti quadrature celesti diquesto periodo. Approfittatene!

Sagittario. Ottimo periodo cari centauri!Giove, il vostro pianeta guida finirà il suotransito ostile e vi sorriderà con un trigo-no bellissimo dall’Ariete e anche Urano loseguirà e darà la scossa ai primissimi gra-di del segno. Il tutto in un contesto piùche favorevole. Che dire? Siete i padronidel firmamento!

Capricorno. Adesso ci si metterà ancheGiove a provocare la prima decade, comese Plutone non fosse più che sufficiente!In aggiunta Urano dal 12 marzo vi im-porrà cambiamenti inaspettati. Passandoalla seconda decade, bisognerà continuaread ascoltare le lezioni di Saturno, seppurcontrovoglia. Meno male che la terza de-cade si godrà i transiti stagionali in tuttatranquillità.

Acquario. Stelle senz’altro favorevoli siaveloci che di lungo periodo. Non riposatesugli allori ma approfittate del momentosì. Il tempo passa in fretta!

Pesci. Stelle belle cari amici. Urano eGiove lasceranno il vostro segno, il primoliberandovi dalle sue turbolenze e il se-condo promettendovi un ricco raccolto.Anche i transiti stagionali saranno propi-zi. Era ora!

Avviso ai gentili lettori: le previsioni conside-rano i transiti unicamente rispetto al Sole dinascita.

Le stelle di Taziaö ö

ö ö ö

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NONOVITÀ SUPERNOVITÀ SUPERNOVVA 2010-2011 A 2010-2011 DOVE SI TROVA

NEXUS *

Archivio di Stato

Baum Ca’ Foscari

Biblioteca Civica Mestre

Biblioteca Correr

Biblioteca dei Calegheri

Biblioteca del Lido

Biblioteca Marciana

Biblioteca Querini

Bistrot de Venise

Centro Candiani

Cinema Astra al Lido

Galleria Contemporaneo

Galleria Michela Rizzo

Libreria Bertoni

Libreria Don Chisciotte

Libreria Emiliana

Libreria Feltrinelli

Libreria Goldoni

Libreria Toletta LT2

Libreria Mondadori LT3

Lidolibri

San Servolo – Viu

Telecom Future Centre

* fino ad esaurimento delle copie

Cataloghi - Depliants - LibriCalendari - Grafica

Cataloghi - Depliants - LibriCalendari - Grafica

Giuseppe Cigana

AUTOBIOGRAFIAdi un ... “poco di buono”

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€ 7,00 (i.i.) ISBN 978-88-96220-20-7

Trovandosi in un periodo infelice, impossibilitato a svolgere le sue mansioni, l’autore ha creduto giunto ilmomento di rendere carta e pennaper rivivere e raccontare in estrema sintesi alcuni tra gli episodi più importanti che gli sonocapitati durante i settant’anni delle sua esistenza.

€ 14,90 (i.i)

Renato Pestrinieroè nato a Veneziadove vive e lavo-ra, sposato, conuna figlia.

Ha pubbblicato 8romanzi, un centi-naio di racconti etre antologie per-sonali. Dal racconto Una notte di 21 ore il regi-sta Mario Bava ha tratto il film Terrorenello spazio, 1965.

Ha scritto i testi di Cercare Venezia,guida illustrata con acquerelli di N.Watson (2002), e ha tradotto per laprima volta in italiano Venetian Life diW. D. Howells (2005).

Ha inoltre pubblicato Cronache dell'arci-pelago (1996), saggio in collaborazionecon Carlo della Corte, L’ultimo doge inSe l'Italia. Manuale di storia alternativa daRomolo a Berlusconi, 2005.

Ha partecipato a vari seminari letterarie vanta esperienze televisive, radiofoni-che, fotografiche e figurative con dueopere esposte nella sezione Krossingnell’ambito della 53a EsposizioneInternazionale d’Arte della Biennale diVenezia, 2009.

Andro e Ivana vivono in comune una vitascialba scandita da ritmi ripetitivi. Ivanapare accettarla ma Andro reagisce attraver-so opere di narrativa che manda a editoriapparentemente irraggiungibili. Malgradociò, egli è convinto che una risposta arrive-rà. Nel contempo, all'interno del proprioambiente di lavoro, Andro si ribella a certefilosofie di frontiera che cancellano ogniresiduo di personalità. Risultato di tale con-flitto è la sua espulsione.Da questo momento comincia per lui unviaggio che si manifesta come un modernogirone infernale dove la concretezza apparee scompare in lampi di realtà ‘altre’ prodot-te da ricordi, droghe, situazioni e personag-gi che appaiono in bilico tra realtà obiettiveed eterodirette.Alla fine, sia lui che Ivana raggiungerannoil loro rispettivo traguardo, ma sarà vera-mente un traguardo?Tutto questo mentre il treno corre.Frattanto, in fiduciosa attesa... è unromanzo che spinge il lettore a guardarsiintorno con occhi diversi, a sentirsi coinvol-to in situazioni che suscitano sorpresa, stu-pore, introspezione.

RENATOPESTRINIERO

REN

ATOPESTR

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venezianarrativa

venezianarrativa

FRATTANTO,IN FIDUCIOSAATTESA ...Frattanto,in

fiduciosaattesa

...

copertina pestriniero_paola3 20-11-2010 11:42 Pagina 1