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007

11/19 MAGGIO

sudamericanoil sogno

DODICESIMA EDIZIONE

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Saudade, che potremmo tradurrein nostalgia, ma anche in malinco-nia, è una parola che noi italiani, esoprattutto noi vicentini, abbiamoben conosciuto.Quando, migranti agli inizi del seco-lo scorso, ci siamo lasciati alle spalle le dolci pianure venete percercar fortuna in sud america, fondando città con il nome diNuova Vicenza, per non dimenticare del tutto, o almeno tentare dinon dimenticare, quello che la memoria iniziava a seppellire dopoanni di vita in una terra cosi lontana.Accomunati dallo stesso destino, anche se molto più tragico,abbiamo conosciuto gli africani e poi gli olandesi, i tedeschi, i litua-ni, i croati, i russi, tutti alla ricerca del grande sogno sud america-no, che per aspettative, speranze e flusso migratorio, credo abbiadi gran lunga superato l'epopea della conquista del grande westamericano.E da qui, da questo naturale melting pot, da questa straordinariamiscellanea di popoli, di culture, di modi di concepire l'esistenzae conseguentemente la musica, nasce il sound sud americano,in particolar modo quello brasiliano, intriso del fado dei conqui-statori portoghesi e della ritmica africana.Quest'anno Riccardo ha voluto, con grande sensibilità, dedicare ladodicesima edizione del jazz festival al sogno sudamericano, perricordarci che i destini, quando sono accomunati da una fataleobbligatorietà, spesso producono straordinari, inaspettati risultati.Mi piacerebbe che il sentimento di saudade ci accompagnasseper molto tempo dopo la fine di questo festival.Per noi che lo organizziamo sarebbe il più bello dei regali.

Luca Trivellato

Saudadedolce, magicaparola

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È una scelta importante, quella delfestival jazz di Vicenza, di dedicareun’intera giornata al jazz tedesco nel-l’anno in cui l’Europa festeggia i suoi50 anni durante il semestre tedescoalla guida del consiglio europeo.

La cultura tedesca è da sempre parte integrante della culturaeuropea e, in questo, la musica ha da secoli un ruolo fondamen-tale, basti pensare alle tre grandi B nella storia dell’arte dei suoni:Bach, Beethoven, Brahms.Ma non vi è dubbio che questo ruolo di preminenza sia stato svol-to da Berlino anche nelle avanguardie del XX secolo, non solonella musica, ma anche nell’architettura, nel cinema, nella lettera-tura e nelle arti visive.Questa funzione di volano Berlino e la Germania non potevanonon averla anche nell’avventura del jazz europeo, alla ricerca diuna propria identità nei confronti del jazz americano, tanto da farsì che i musicisti tedeschi di jazz rivendicassero talvolta l’apparte-nenza a un diverso genere che semplicemente si chiamasse“nuova musica improvvisata europea”.Certamente, durante l’ultima guerra, il jazz in Germania ha vissutotempi non facili ma ciò non significa, che in quel periodo, là non sisuonasse del jazz. Tutt’altro. C’era spesso, come dire, accantoall’ufficialità, un tacito laissez faire, tanto che molti appassionati eaddetti ai lavori sanno che, dopo il 1940, parecchi musicisti italianidi jazz prendevano il via per la Germania, sicuri che di là delle Alpisarebbe stato per loro più facile suonare musica americana.È un fatto abbastanza curioso ma significativo: l’arte e la musicavolano sempre più alto della politica. Anche nel cielo sopra Berlino.

Enrico Hüllweck

Il jazzincontra l’Europa

e riparte da Berlino

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“Aspettando il festival…”TOMMY EMMANUEL

in collaborazione con il Soave Guitar Festival

inaugurazione mostra fotografica “Berlin”in collaborazione con il Centro Culturale Italo Tedesco

a seguire, conferenza del dott. Wolfgang Pruscha“Berlino - origine e futuro

di una grande capitale europea”

Boato-Gibellini-Hebling-Beggio QuartetDavid Boato (tromba); Sandro Gibellini (chitarra);

Edu Hebling (contrabbasso); Mauro Beggio (batteria)

“Aspettando il festival…”MONTE MONTGOMERY

in collaborazione con il Soave Guitar Festival

Giulio Campagnolo QuartetGiulio Campagnolo (pianoforte); Adriano Ferracin (batteria);

Andrea Bevilacqua (contrabbasso); Dario Copiello (sax tenore)

inaugurazione mostra fotografica“Siamo tutti brasiliani”

di Patrizia Giancottiin collaborazione con l’Istituto Brasile-Italia di Milano

Fat Max Ferrauto TrioMax Ferrauto (voce); Lele Sartori (chitarra);

Lorenzo Pignattari (contrabbasso)

RONNIE CUBER & PEDROLLO ENSEMBLE feat. Marco Tamburini ed Eliot Zigmund

arrangiamento e direzione di Roberto Spadoni“A tribute to Gerry Mulligan”

in collaborazione con la classe jazz del Conservatorio “A. Pedrollo”

Dario Copiello QuartetDario Copiello (sax tenore); Giulio Campagnolo (pianoforte);

Andrea Bevilacqua (contrabbasso); Adriano Ferracin (batteria)

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PROGRAMMA

Mercoledì 2 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21

Sabato 5 MAGGIOChiesa dei SS. Ambrogio e Bellino - ore 18

Jolly Hotel Tiepolo - ore 21

Domenica 6 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21

Giovedì 10 MAGGIOGallery - ore 22

Venerdì 11 MAGGIOCasa del Palladio - ore 18

Nuovo Bar Astra - ore 19

Jazz Café Trivellato Teatro Astra - ore 21

Osteria Miles Davis - ore 22

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PROGRAMMA

Tavola rotonda: “L’emigrazione veneta nel Brasile meridionale”

a seguire: Inaugurazione mostra pittura “Brasil Fantastico”in collaborazione con Comune di Schiavon

inaugurazione mostra“Giochi fotografici in jazz key”di Gianluca Sgreva

Conferenza“Siamo tutti brasiliani” di Patrizia Giancotti

Sabrina Turri duoSabrina Turri (voce); Lele Sartori (chitarra)

Copiello-Bevilacqua QuartetAndrea Bevilacqua (contrabbasso); Giulio Campagnolo (pianoforte); Dario Copiello (sax tenore); Adriano Ferracin (batteria)

RAY MANTILLA SPACE STATION “TRIBUTE TO TITO PUENTE”Ray Mantilla (percussioni); Edy Martinez (pianoforte); Chucho Martinez (contrabbasso); Bill Elder (batteria); Piero Odorici (sax & flauto); Marco Tamburini (tromba)in collaborazione con I.P.A.S.V.I. - Collegio Provinciale Infermieri di Vicenza

Michele Prontera Live

Sinergia acoustic + Alessio Berto JazzmotelAlan Walter Bedin (voce); Matteo Bussi (contrabbasso); Nicola Sgreva (chitarra); Emanuele Gardin (pianoforte); Emanuele Giordani (batteria)

M’M Quartet - standard jazzMichele Perin (pianoforte), Marco Meneghetti (sax); Marco Zancan (contrabbasso); “Rino” (batteria)

RONNIE CUBER & Spring Jazz Trio + MARCO TAMBURINIRonnie Cuber (tromba); Marco Tamburini (tromba); Eliot Zigmund (batteria); Lorenzo Conte (contrabbasso); Paolo Birro (pianoforte)

Sabato 12 MAGGIOore 15.30 - Palazzo delle Opere Sociali

ore 18 - Libreria Libravit

ore 18 - Nirvana Caffè degli Artisti

ore 19 - Nuovo Bar Astra

ore 19 - Il Borsa

ore 21 - Campo Marzo

ore 21.15 - Caffè Teatro

ore 22 - Julien

ore 22 - Osteria alla Quercia

ore 23 - Jazz Café Trivellato Teatro Astra

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PROGRAMMA

Conferenza: “Dalla schiavitù alla beleza negra”di Patrizia Giancotti

Messa Jazz: celebrazione liturgica con musica di Steve Dobrogosz

per coro, archi e pianoforteCoro e Orchestra di Vicenza dir: Giuliano Fracasso

Paolo Birro (pianoforte)

IVO PAPAZOV AND HIS WEDDING ORCHESTRAIvo Papazov (clarinetto); Nesho Neshev (fisarmonica);

Matyo Dobrev (Kaval); Vasil Denev (tastiere, gadulka); Atheskhan Yousseinov (chitarra); Salif Ali (batteria);

Maria Karafizieva (voce)

MITOKASAMBAsfilata e concerto conclusivo al ritmo di samba

SAURO’S BANDconcerto itinerante a ritmo di swing

Jam Session

Francesco Pavin QuartetFrancesco Pavin (pianoforte); Gianfranco Barbieri (sax);

Federico Pilastro (contrabbasso); Adriano Ferracin (batteria)

Bertuzzi-Gallucci DuoRiccardo Bertuzzi (chitarra); Antonio Gallucci (sax)

Corazza Jazz QuintetBeppe Corazza (sax); Gabriele Bolcato (tromba);

Franco Pietrobelli (pianoforte); Giorgio Pietrobelli (contrabbasso); Edoardo Zocca (batteria)

ORQUESTRA DO FUBÀRicardo Teperman (chitarra e voce);

Fernando do Cavaco (cavaquinho e voce); Ricardo Herz (violino); José Carlos Moura (accordion);

Natalino Neto (contrabbasso); Mathieu Gramoli (percussioni);Wander Pio (percussioni)

Jam sessions della Scuola Thelonious

BANDA ZUEIRA featuring ANA FLORA “Tributo a Vinicius De Moraes”Ana Flora (voce); Cido Nevada (batteria);

Ney Portillo (contrabbasso); Beppe Fornaroli (chitarra);

Marquinho Baboo (percussioni)

Domenica 13 MAGGIONirvana Caffè degli Artisti - ore 11

Abbazia di S. Agostino - ore 11

Campo Marzo - ore 16

Centro storico - ore 16

Nuovo Bar Astra - ore 17

Galleria 15 - ore 18.30

Il Borsa - ore 19

Caffè Teatro - ore 19

Campo Marzo - ore 21

Sartea - ore 21.30

Jazz Café Trivellato Teatro Astra - ore 23

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PROGRAMMA

Incontro con Amiri Baraka e Giorgio Rimondi

Beat Generation SuitePiergiorgio Piccoli e Anna Zago (narratori); Enrico Antonello (tromba e percussioni)

Emozioni JazzErik Dj set

Mo’PlainRiccardo Beggio (contrabbasso); Claudio Marchetti (batteria);Matteo Liani (ordano-piano elettrico); Marco Domendiato (chitarra); Simonetta Cavalli (voce)

GUINGA-MIRABASSI DUOGuinga (chitarra e voce); Gabriele Mirabassi (clarinetto)

CARLA BLEY & THE LOST CHORDS find PAOLO FRESUCarla Bley (pianoforte); Steve Swallow (contrabbasso); Andy Sheppard (sax); Billy Drummond (batteria); Paolo Fresu (tromba)

Acoustic Spirit finger pickingMaurizio Brunello (chitarra); Valter Tessaris (chitarra)

THE SWINGING MALLETSBoris Ritter (pianoforte); Klaus Dusek (contrabbasso); Goran Mann (batteria); Roland Härdtner (vibrafono)

HARRY ALLEN QUARTETHarry Allen (sax tenore); Eliot Zigmund (batteria); Lorenzo Conte (contrabbasso); Paolo Birro (pianoforte)

Copiello-Dal Monte QuartetDario Copiello (sax); Carlo Dal Monte (pianoforte); Adriano Ferracin (batteria); Andrea Bevilacqua (contrabbasso)

Mistura FinaAlberto Lovison (vibrafono); Pasquale Cosco (contrabbasso);Silvana Dos Santos (voce); David Soto Chero (chitarra); Claudio Marchetti (batteria)

Riccardo Bertuzzi duoRiccardo Bertuzzi (chitarra); Antonio Gallucci (sax)

Scuola Thelonious: “Omaggio a 50 anni di carriera nel jazz di Gianni Cazzola”Gianni Cazzola (batteria) + Danilo Memoli Trio

Lunedì 14 MAGGIOore 18 - Libreria Galla

ore 19 - Nuovo Bar Astra

ore 19 - Caffè Teatro

ore 19 - Il Borsa

ore 21 - Teatro Olimpico

ore 22 - Julien

ore 22 - Jazz Café Trivellato Teatro Astra

Martedì 15 MAGGIOore 19 - Nuovo Bar Astra

ore 19 - Il Borsa

ore 21 - Caffè Teatro

ore 21 - Sartea

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PROGRAMMA

Martedì 15 MAGGIOAuditorium Canneti - ore 21

Julien - ore 22

Jazz Café Trivellato Teatro Astra - ore 22

Mercoledì 16 MAGGIONuovo Bar Astra - ore 19

Il Borsa - ore 19

Caffè Tazza d’Oro - ore 20

Jazz Café Trivellato Teatro Astra - ore 21

Caffè Teatro - ore 21

Scuola Thelonious - ore 21

Julien - ore 22

WILLIAM PARKER SEPTET: “Inside the songs of Curtis Mayfield”

Amiri Baraka (voce); Leena Conquest (voce e danza); Lew Barnes (tromba);Darryl Foster (sax soprano e tenore); Dave Burrell (pianoforte);

William Parker (contrabbasso); Hamid Drake (batteria)

ANTHONY BRAXTON – WILLIAM PARKER DUOAnthony Braxton (sax contralto e soprano);

William Parker (contrabbasso)

Kewin Place live

THE SWINGING MALLETSBoris Ritter (pianoforte); Klaus Dusek (contrabbasso);

Goran Mann (batteria); Roland Härdtner (vibrafono)

HARRY ALLEN QUARTET Harry Allen (sax tenore); Eliot Zigmund (batteria);

Lorenzo Conte (contrabbasso); Paolo Birro (pianoforte)

Mauro Baldassarre duoMauro Baldassarre (sax); Diego Rossato (chitarra)

Jeq Jazz Electric QuartetRiccardo Bertuzzi (chitarra); Antonio Gallucci (sax);

Diego Righellin (contrabbasso), Alessandro Montanari (batteria)

Bevilacqua-Campagnolo-Copiello Jazz TrioAndrea Bevilacqua (contrabbasso);

Giulio Campagnolo (pianoforte); Dario Copiello (sax tenore)

“Una notte con il jazz tedesco”DUDEK-KÜHN-LILLINGER TRIO + CLAUDIO FASOLI

Gerd Dudek (sax); Joachim Kühn (pianoforte); Christian Lillinger (batteria); Claudio Fasoli (sax)

SCHLIPPENBACH-LOVENS-PARKER TRIOAlexander von Schlippenbach (pianoforte);

Paul Lovens (batteria); Evan Parker (sax)

ZENTRALQUARTETTConrad Bauer (trombone); Manfred Hering (sax);

Ulrich Gumpert (pianoforte); Günther Sommer (batteria)

V.U.D.D.Max Zagnoni (chitarra); Bastia (contrabbasso); Lupaz (batteria)

Incontro con il batterista Gianni Cazzola: “50 anni di swing”D.Jazz: il meglio del jazz

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PROGRAMMA

Danzi e TuzzaMassimo Tuzza e Davide De Vito (percussioni)

V.U.U.D.Alessandro Lupatin (batteria); Massimo Zagnoni (chitarra); Luca Bastianello (contrabbasso)

ANDREA BACCHETTI “Omaggio a Ravel e De Falla”Andrea Bacchetti (pianoforte)

IRIO DE PAULA convida FABRIZIO BOSSOIrio De Paula (chitarra); Fabrizio Bosso (tromba e flicorno)

ABDULLAH IBRAHIM: “Senzo-Ancestor”Abdullah Ibrahim (pianoforte)

Sabrina Turri DuoSabrina Turri (voce); Lele Sartori (chitarra)

“Omaggio a 50 anni di carriera nel jazz di Gianni Cazzola”Gianni Cazzola (batteria) + Martin Quartet

PIETRO TONOLO QUARTET: “Italian Songs”Pietro Tonolo (sassofoni); Paolo Birro (pianoforte); Piero Leveratto (contrabbasso); Alfred Kramer (batteria)

LELLO PARETI QUARTET feat. ANTONELLO SALIS:“Maremma”Lello Pareti (basso); Antonello Salis (fisarmonica, pianoforte); StefanoCantini (sax soprano); Bebo Ferra (chitarra); Walter Paoli (batteria)

Copiello-Ferracin QuartetAndrea Bevilacqua (contrabbasso); Giulio Campagnolo (pianoforte);Dario Copiello (sax tenore); Adriano Ferracin (batteria)

Lubjan live chitarra e voce

Outsider: presentazione cd “Veya Putas”Max Ferrauto (voce); Paolo Mele (narratore); Dj Enea; Mauro Baldassarre (sax)

VerticalAndrea Gastellon (sax), Filippo Rinaldi (contrabbasso); Paolo Bortolaso (hammond); Luca Gazzani (batteria); Marco Scarabei (chitarra)

EGEA ORCHESTRAdiretta da Germano Mazzocchetticolonna sonora dal vivo di musiche originaliper il film Pinocchio (1911) di Giulio Antamoroin occasione del Centenario del Cinema Odeon

Giovedì 17 MAGGIOore 19 - Nuovo Bar Astra

ore 19 - Il Borsa

ore 21 - Teatro Olimpico

ore 21 - Caffè Teatro

ore 21 - Sartea

ore 22 - Jazz Café Trivellato Teatro Astra

ore 22 - Gallery

ore 22 - Julien

Venerdì 18 MAGGIOore 19 - Nuovo Bar Astra

ore 19 - Il Borsa

ore 21 - Cinema Odeon

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PROGRAMMA

Venerdì 18 MAGGIOCaffè Teatro- ore 21.30

Julien - ore 22

Jazz Café Trivellato Teatro Astra - ore 22

Sabato 19 MAGGIOPiccolo Bar - ore 18

Nuovo Bar Astra - ore 19

Il Borsa - ore 19

Il Borsa - ore 21

Jazz Café Trivellato Teatro Astra - ore 21

Caffè Teatro - ore 21

Sala Palladio della Fiera - ore 21

Julien - ore 22

Nicola Ferrarin Trio

D.Jazz: il meglio del jazz

SCUOLA THELONIOUS BIG BANDdiretta da Ettore Martin

QUADRANT feat. ANTONIO FARAÒ e ROB BONISOLORobert Bonisolo (sax tenore/soprano); Antonio Faraò (piano);

Aldo Zunino (contrabbasso); Enzo Carpentieri (batteria)

Diego Ferrarin TrioMichele Polga (sax); Diego Ferrarin (chitarra); Lorenzo Conte (contrabbasso)

Charlie Parker TributeLivio Pacella (narratore); Mauro Baldassarre (sax)

NihilPaolo Casolo (pianoforte), Alessandro Ferrara (batteria); Arem (tromba)

ClacksonMaurizio Pezzo (voce); Silvio Miotto (batteria), Gianni Placido (contrabbasso); Lorenzo Bari (tastiera); Carlo Tollero (chitarra); Luca Moresco (trombone/tuba);

Fiorenzo Martini (tromba); Carlo Salin (sax baritono); Mauro Carollo (trombone); Serena Fichera (voce)

ETTORE MARTIN QUARTET + STRINGSEttore Martin (sax tenore); Matteo Alfonso (piano); Danilo Gatto (contrabbasso);

Enzo Carpentieri (batteria) + Maria Vicentini e Lorella Baldin (violino); Grazia Colombini (viola); Paola Zannoni (violoncello)

MICHELE CALGARO “Round About Monk”Michele Calgaro (chitarra elettrica e acustica);

Kyle Gregory (tromba); Robert Bonisolo (sax tenore); Lorenzo Calgaro (contrabbasso); Mauro Beggio (batteria)

Dario Copiello QuartetAndrea Bevilacqua (contrabbasso); Giulio Campagnolo (pianoforte);

Dario Copiello (sax tenore); Adriano Ferracin (batteria)

DEE DEE BRIDGEWATER MALIAN PROJECTDee Dee Bridgewater (voce); Kabine Kouyate (coro);

Mamani Keita (coro); Cherif Soumano (kora); Moussa Sissokho (jdembe); Baba Sissoko (tamani);

Lansine Kouyate (balafon); Ira Coleman (contrabbasso); Minino Garay (percussioni); Edsel Gomez (pianoforte)

Melt acoustic liveTeo (contrabbasso e voce); Teno (chitarra e voce); Diego (batteria)

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Pat Metheny e Brad Mehldauin collaborazione con Veneto Jazz

“Berlin”mostra di fotografiain collaborazione con il Centro Culturale Italo-Tedesco

“Siamo tutti brasiliani” di Patrizia Giancottifotografie e installazioniin collaborazione con l’Istituto Brasile-Italia

“Giochi fotografici in chiave jazz” di Gianluca Sgreva

“Brasil fantastico”mostra di pitturain collaborazione con Comune di Schiavon

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PROGRAMMA

Martedì 17 LUGLIOPiazzale della Vittoria - Monte Berico

PROGRAMMA MOSTRE

dal 6 al 27 MAGGIOChiesa dei SS. Ambrogio e Bellino

(Contrà S. Ambrogio)

dal 12 al 27 MAGGIOCasa del Palladio(corso Palladio, 156)

dal 12 al 19 MAGGIOLibreria Libravit(Contrà Do Rode)

dal 13 al 17 MAGGIOPalazzo delle Opere Sociali

(piazza Duomo)

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Si è detto tante volte del jazz comedi una musica di sintesi, come delrisultato fra diverse sensibilità musi-cali venute a incontrarsi in una terraben presto chiamata Nuovo Mondo.Il jazz era dunque la Nuova Musicadel Nuovo Mondo.In realtà, con i primi decenni del XX secolo, il jazz si impose comela nuova musica degli Stati Uniti d’America che del Nuovo Mondoerano solo una parte. E, a guardar bene, neanche di tutti gli StatiUniti, ma principalmente delle zone metropolitane e, all’inizio, solodi quelle dell’Est, più propense a guardare all’Atlantico.Il Nuovo Mondo era e rimaneva ben più ampio. Comprendevainfatti spazi infiniti, zone ben connotate socialmente e cultural-mente, dal Messico e giù sino all’estremo sud dell’America meri-dionale, alla Patagonia e alla Terra del Fuoco, passando per Cuba,i Carabi, le Antille e l’immenso Brasile.La musica nata anch’essa per sintesi di culture, ma a sud degliStati Uniti, era ben diversa dal jazz, anche se, per alcuni tratti, pote-va sembrargli più vicina rispetto a tante musiche di derivazioneeuropea, in virtù soprattutto delle comuni radici africane.New Orléans, prima capitale del jazz, era (ed è) al centro del Golfodel Messico, cui si accede tramite il Canale di Yucatan, fra Messicoe Cuba, la quale a sua volta si affaccia a sud-est su Haiti, primarepubblica afroamericana indipendente, separata dall’America delSud dai Mari dei Carabi e delle Antille.Erano dunque naturali le “sfumature spagnole” in Jelly RollMorton e le influenze dell’habanera che venivano dalla capitalecubana (come spiega Maurizio Franco in un saggio articolato, nellepagine di questo stesso volume), così come le intuizioni diEllington e, finalmente, la rivelazione cubana secondo Dizzy

Riguardareal jazzdalle costedel Sud

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Gillespie e, poi, l’invenzione della bossa nova passata per le manie il sax di Stan Getz.Musica brasiliana e musica caraibica son diventate infine a noi cosìfamiliari, attraverso anche varie, festose, accattivanti ma spessosemplicistiche manifestazioni, tanto da farci perdere di vista, cosavi era intorno, prima del ricongiungimento col jazz.La dodicesima edizione di “New Conversations - Vicenza Jazz”prova a riportarci, almeno in parte (perché del tutto non si sarebbeproprio potuto), nel sogno musicale del Centro e del Sud America,ovviamente con un occhio di riguardo nei confronti dell’influenzajazz, ma anche guardando con attenzione a ciò che di musicale (enon-jazz) vi è oggi per esempio in Brasile.Sarà un’occasione per riguardare a quel continente nel continente,così strano e variopinto, così problematico eppure così bello,entrandovi anche dalle porte e dalle finestre più disparate, persinoquella degli emigranti veneti.Certamente, anche in questa dodicesima edizione, il tema princi-pale non sarà totalizzante e vi sarà occasione per farci catturare daaltre visioni, stili e idee: le eterne radici africane, con AbdullahIbrahim e col “malian project” di Dee Dee Bridgewater; la visua-le dalla parte di chi compone prima che improvvisare, come CarlaBley; gli ultimi esiti dello storico free jazz, con un incontro in primaassoluta, come quello fra Anthony Braxton e William Parker, e ilprogetto dello stesso Parker con Amiri Baraka; l’incontro fra jazze cinema, come avveniva agli albori di queste due giovani arti delXX secolo; la panoramica sulla anch’essa oramai storica avan-guardia tedesca.Ancora una volta, ci pare che, per chi ama le sorprese in musica,valga la pena di essere a Vicenza in questi giorni di maggio

Riccardo Brazzale

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ià presente in apertu-ra della scorsa edizio-ne del festival, Tom-my Emmanuel torna

quest’anno con il suo ec-cezionale virtuosismo e l’ampio repertorio. Nato nel New SouthWales, in Australia, comincia a suonare a quattro anni. Durante lasua carriera ha collezionato numerosi riconoscimenti e ha collabora-to con musicisti del calibro di Eric Clapton, Hank Marvin, Joe Walshe Chet Atkins. Autore di musiche dalle atmosfere delicate, sa farrisaltare le sue eccellenti qualità tecniche ed espressive in uno stilein cui si colgono echi jazzistici, del blues e del country. Il suo talentoe la sua capacità di tenere la scena hanno attirato nel tempo unostuolo di fan che aumenta sempre più di anno in anno.

G“Aspettando il festival...”Tommy Emmanuelin collaborazione con “Soave Guitar Festival”Tommy Emmanuel, chitarra

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Mercoledì 2 MAGGIO

Sabato 5 MAGGIO

Teatro Olimpico - ore 21

ato in occasione delFestival Jazz del Sen-tierone di Bergamo, ilquartetto ha parteci-

pato a numerose rasse-gne tra cui l’Habana Jazz Plaza nel 2002 a Cuba. Formato da espo-nenti di primo piano dei rispettivi strumenti, si caratterizza per unastraordinaria unità di intenti e di riferimenti stilistici. Il repertoriospazia infatti tra diversi autori e generi, da Cole Porter a StevieWonder, dalla musica caraibica a composizioni originali, secondoun carattere gioioso e giocoso, ma mai superficiale, che si rivela aogni concerto e coinvolge ogni volta anche il pubblico più vasto.

NBoato-Ghibellini-Hebling-Beggio 4TET

David Boato, trombaSandro Gibellini, chitarraEdu Hebling, contrabbassoMauro Beggio, batteria

Jolly Hotel Tiepolo - ore 21

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a musica di MonteMontgomery è comeun’antologia in cui sipuò trovare il meglio

della cultura pop degli ulti-mi cinquant’anni: dai grandi del rock & roll ai Beatles, RollingStones, Byrds, Jimi Hendrix, Bruce Cockburn, Led Zeppelin e DireStraits per citarne alcuni. Talento nato quarant’anni fa a Birming-ham, in Alabama, Monte è dotato di grande capacità compositiva,espressa da una voce potente, duttile e ricca di colori, e da una tec-nica chitarristica di altissimo livello. Acclamato per sette anni diseguito “miglior chitarrista acustico” agli “Austin Music Awards”,è considerato tra i migliori virtuosi del suo strumento sia dalla criti-ca specializzata che dalle riviste “Guitar Player” e “Guitar One”

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Venerdì 11 MAGGIO

egittimo erede di Pep-per Adams, RonnieCuber è uno dei mas-simi sassofonisti bari-

tono del jazz contempora-neo per la grande padro-nanza tecnica, la potenza

del timbro e la ricchezza delfraseggio. Sessantasei anni, Cuber ha trascorso gli anni Sessantacollaborando con prestigiose orchestre jazz (Lionel Hampton,

LRonnie Cuber & Pedrollo Ensemble

“A tribute to Gerry Mulligan”in coll. con la classe jazz del Conservatorio “A. Pedrollo”

Ronnie Cuber, sax baritonoMarco Tamburini, tromba

Eliot Zigmund, batteriaRoberto Spadoni, arr. e direzione

Monte MontgomeryMonte Montgomery,

chitarra

ore 21 - Jazz Café TrivellatoTeatro Astra

Domenica 6 MAGGIO

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ore 21 - Teatro OlimpicoM

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Woody Herman), con solisti di pre-stigio (Slide Hampton, GeorgeBenson), ma anche con formazioni

latine (Eddie Palmieri, Mario Bauza, Mongo Santamaria) e nel grup-po rhythm & blues di King Curtis (accompagnando la regina delsoul Aretha Franklin). Un percorso invidiabile che gli ha consentitoun’ampiezza di vedute e una capacità di sintesi che pochi oggi pos-siedono.La sua carriera successiva si è svolta tra collaborazioni prestigiose(il nonet di Lee Koniz o la Mingus Big Band) e la guida di proprieformazioni. Per questo appuntamentoRonnie Cuber si esibisce inun progetto particolare,commissionato da VicenzaJazz. Il giovane compositoreRoberto Spadoni ha arrangia-to un corpus di musiche diGerry Mulligan, cui è dedica-ta la serata, nell’ottantesimodella nascita, per un largoensemble composto da stu-denti e collaboratori dellaclasse di jazz delConservatorio “A. Pedrollo”dove insegna Paolo Birro.Con loro ci sono anche, inqualità di solisti aggiunti, iltrombettista Marco Tamburi-ni ed Eliot Zigmund, il grandebatterista di Bill Evans eMichel Petrucciani, che èun’altra prestigiosa attrattivadel festival e del Jazz CaféTrivellato all’Astra.

Venerdì 11 MAGGIO

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eggendario maestrodelle percussioni, RayMantilla coniuga damezzo secolo i caratte-

ri più autentici del LatinJazz, quell’elettrizzantesintesi tra jazz moderno eritmi caraibici che si impo-se con le orchestre afro-cubane di Machito, DizzyGillespie e Tito Puente.

Formatosi nell’esuberante atmosfera del South Bronx di NewYork, Ray impara le percussioni da autodidatta ascoltando le gran-di formazioni d’anteguerra nelle sale da ballo e nelle strade. Pocopiù che ventenne suona professionalmente le congas con EddiePalmieri, Ray Barretto e altri capiscuola, ma è solo dal 1960 che ilsuo nome acquista rilevanza internazionale, grazie all’incisione

Ray Mantilla Space Station“Tribute to Tito Puente”

in coll. con I.P.A.S.V.I. - collegio prov. infermieri di Vicenza

Ray Mantilla, percussioniEdy Martinez, pianoforteChuco Martinez, basso

Bill Elder, batteriaMarco Tamburini, tromba

Piero Odorici, sassofoni e flauto

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Sabato 12 MAGGIO

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ore 21 - Campo Marzo

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con Max Roach di “Freedom NowSuite”. Dopo una lunga parentesi portori-

cana, nel 1970 Ray torna a New York e fonda con Roach il cele-bre “M’Boom Re: Percussion”, ensemble di soli percussionisti. Ildecennio trascorre in collaborazioni prestigiose: i JazzMessengers di Art Blakey, Charles Mingus, Gato Barbieri, FreddieHubbard, Herbie Mann, Tito Puente. Negli anni Ottanta Mantillafonda la Space Station, una formazione di grande impatto cheottiene ampi consensi per la capacità di coniugare solari ritmicaraibici (guaracha, mambo, montuno, guajira) con trascinantiimprovvisazioni jazz. È l’etichetta milanese Red Record che docu-menta da allora molti suoi progetti, compresi i lavori della JazzTribe, nata negli anni Novanta. L’ultimo disco di Mantilla, pubblicato nel 2006, si intitola “GoodVibrations” ed è un’ulteriore prova del suo stato di forma, nelricordo dell’ammaliante flavour dei gruppi di Cal Tjader.

Sabato 12 MAGGIO

orna in scena il saxbaritono di Cuber,ma attorniato daquattro musicisti

che assicurano l’alta qua-lità della serata: lo SpringJazz Trio del batteristaEliot Zigmund (con Paolo Birro alpiano e Lorenzo Conte al basso) eil trombettista Marco Tamburiniuno degli specialisti dello stru-mento più richiesti in Italia, capacedi spaziare fra gli stili.

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ore 23 - Jazz Café TrivellatoTeatro Astra Ronnie Cuber & Spring Jazz Trio

+ Marco TamburiniRonnie Cuber, sax baritonoMarco Tamburini, trombaPaolo Birro, pianoforteLorenzo Conte, contrabbassoEliot Zigmund, batteria

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ur rinunciando alla tim-brica delle percussionie degli ottoni, SteveDobrogosz (1956), uno

dei compositori più signi-ficativi e originali della pro-

lifica terra scandinava, riesce, con questa sua Messa per coro, archi epiano, del 1992, a legare i suoni della sua terra alle alle armonie e al testosacro dell'Ordinario della Messa. Giuliano Fracasso e il suo Coro eOrchestra non sono certo nuovi a queste proposte, forti di collaborazionifinanche con Mercer Ellington e Dave Brubeck.

ortemente legata alfolklore bulgaro, maarricchita da elementimusicali contempora-

nei (da altre tradizioni mapure in relazione col jazz), laband di Ivo Papazov è l’e-spressione più rinomata ecoinvolgente della musicabalcanica odierna. Leg-

genda vivente nel suo Paese, Papazov ha contribuito per primo a faruscire la musica balcanica dalle rigidità del folklore senza intaccarnela tradizione. Virtuoso di clarinetto, Papazov è nato nel 1952. Dabambino suonava nel gruppo del padre alle feste di matrimonio,secondo una tradizione in cui le orchestre acquisiscono prestigio inbase all’abilità di coinvolgere gli invitati in frenetici balli collettivi.

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Domenica 13 MAGGIO

ore 16 - Campo MarzoIvo Papazov & His Wedding Orchestra

Ivo Papazov, clarinettoNesho Neshev, fisarmonica

Matyo Dobrev, kavalVasil Denev, tastiere, gadulka

Ateskhan Yousseinov, chitarraSalif Ali, batteria

Maria Karafizieva, voce

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ore 11 - Abbazia S. AgostinoMessa Jazz celebrazione liturgica

con musica di Steve DobrogoszCoro e Orchestra di Vicenza

Giuliano Fracasso, direttorePaolo Birro, pianoforte

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l colore dei ritmi tradizionali sudamericani sfila in città con la stes-sa magia che si manifesta nei giorni del carnevale di Rio. Prima scuola italiana di samba, nata a Milano nel 1992, questa for-mazione è composta da venticinque percussionisti guidati da Kal

dos Santos e Jacopo Pellegrini. Il multiforme universo ritmico emusicale del samba si coniuga con la sensibilità e le radici italiane dimolti suoi componenti. Strumentisti brasiliani, italiani e di altre nazio-nalità residenti in Italia hanno creato una realtà consolidata. Moltoricca è la dotazione strumentale, che fa uso di percussioni tradizio-nali (berimbau, surdo, tamborin, ganzà, tarol, cuìca, caxixi) che coin-volgono il pubblico in un’avvolgente esperienza d’ascolto.

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Domenica 13 MAGGIO

Mitokasamba

un concerto itinerantequello della Sauro’sband, formazione disoli fiati, nata per ini-

ziativa del trombonistaMauro Carollo, che havoluto coniugare la musicacon esigenze spettacolarie di divertimento. Carat-terizzata da un approccioistrionico e coinvolgente,la Sauro’s band dà il meglioa stretto contatto col pubblico, proprio come le prime orchestrine d’i-nizio Novecento. Il suo repertorio è quanto mai vario e attraversamolti generi musicali, spaziando dallo swing alle musiche latine, dalblues al soul, dalle colonne sonore alla rivisitazione di brani pop.

Centro storico - ore 16

Centro storico - ore 16

Sauro’s BandFiorenzo Martini, trombaSergio Gonzo, trombaMarco Ronzani, sax sopranoRoberto Beraldo, sax contraltoMauro Ziroldi, sax tenoreCarlo Salin, sax baritonoLuca Moresco, tromboneMauro Carollo, tromboneDario Duso, tubaAlex Manzardo, batteriaGiovanni Bastian, chitarra

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ormatasi quattro annifa a Parigi dall’incontrodi cinque musicisti pro-venienti da San Paolo

e Rio De Janeiro, questaformazione ha esportato inFrancia il cosiddetto forró,un genere popolare che riu-nisce i ritmi tradizionali del

Nordeste brasiliano (xaxado, coco, baião, xote) e li reinterpreta allaluce della sensibilità urbana. Samba, bossa nova, funk e molto altrosi fondono in un ritmo sfrenato e fortemente percussivo, che invitaalla danza. Lo stile è stato lanciato da artisti regionali come LuizGonzaga, Zé Ramalho e Alçeu Valença, ma si è trasformato in unfenomeno nazionale grazie a Gilberto Gil che ha incluso brani oaccenni di forró nei suoi dischi. Il suo “As canções de eu, tu, eles”è stato infatti un grandissimo successo. Novità quasi assoluta perl’Italia, l’Orquestra do Fubá ha prodotto un paio di dischi che hannoricevuto alti consensi in Francia. Il primo s’intitola “Forróléidoscope”ed è uscito nel 2004 mentre il secondo, “Quem mandô”, è statopubblicato lo scorso anno. Il termine forró deriva dall’inglese for alle sta a indicare una musica per tutti, che vuol soprattutto coinvol-

gere, divertire e far ballare ilpubblico con l’uso di fisar-monica, violino, chitarra,basso e strumenti tradizio-nali a corda e percussivi. Il cantante e chitarristaFernando do Cavaco è ungiovane compositore che faparte di una prestigiosascuola di samba di San

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Domenica 13 MAGGIO

Orquestra do FubàFernando do Cavaco, cavaquinho e voce

Ricardo Teperman, chitarra, voceRicardo Herz, violino

José Carlos Moura, fisarmonicaNatalino Neto, basso

Wander Pio, percussioniOspite:

Mathieu Gramoli, percussioni

ore 21 - Campo Marzo

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antante brasiliana disuccesso nell’ambitodella musica leggera(il suo brano Paraiso

do mundo è stato un hitinternazionale nel 2002),Ana Flora propone unaccattivante connubio trasamba e jazz, che spazia con libertàe fantasia dalla tradizione alla con-temporaneità. Dotata di una voce potente, un’inti-ma colloquialità e un coinvolgentebrio, Ana Flora è l’interprete idealeda ascoltare in club. Accompagnatadalla Banda Zueira, la cantante pro-pone un omaggio a Vinicius DeMoraes, uno dei padri fondatoridella bossa nova.

Domenica 13 MAGGIO

Banda Zueira feat.Ana Flora“Tributo a Vinicius de Moraes”Ana Flora, voceBeppe Fornaroli, chitarraNey Portillo, bassoCido Nevada, batteriaMarquinho Baboo, percussioni

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Paolo ed è membro fondatore delClub du Choro di Parigi. Il violinistaRicardo Herz è uno dei migliori musi-

cisti brasiliani, si è formato in prestigiose istituzioni nazionali e allaBerklee School di Boston. Anche il cantante e chitarrista RicardoTeperman è un autore di successo: ha vinto il primo premio al festi-val Vinicius de Moraes e due suoi brani sono diventati degli hit inBrasile. Il bassista Natalino Neto ha suonato con grandi nomi dellabossa nova come Baden Powell. Il fisarmonicista José Carlos Mouraha vinto parecchi premi nel suo Paese. I percussionisti Wander Pioe Mathieu Gramoli sono il motore instancabile del gruppo.

- ore 23Jazz Café TrivellatoTeatro Astra

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Lunedì 14 MAGGIO

uinga mi ha fattopiangere» ha dettoSergio Mendes «èqualcosa come Vil-

la-Lobos che incontra Cole Porter». Ancora poco noto in Italia, ilcompositore e chitarrista di Rio è il massimo autore della musicabrasiliana degli ultimi vent’anni, che Gabriele Mirabassi ha coinvol-to in una relazione artistica unica per intensità e raffinatezza. Considerato tra i migliori clarinettisti europei, Mirabassi ama lamusica brasiliana da quando, ancora giovane studente di conser-vatorio, scoprì Egberto Gismonti e la sua capacità di coniugare ilversante colto della musica con il folklore: «Lì hanno saputo ricu-

cire la frattura che dopo la secondaguerra mondiale si è aperta tra lacultura alta e quella popolare.All’inizio c’era riuscito anche il jazzche poi, mi sembra, non ha man-tenuto le promesse».La musica di Mirabassi e Guingavive di questo magico equilibrio,coniugando preziosità acustiche,abbandoni malinconici (la sauda-de), contrappunti jazzistici e sor-

prese ritmiche. A partire dal 2003 (anno d’incisione del disco “Graffiando vento”)il loro rapporto musicale si è alimentato da una ricca frequentazio-ne, che ha accentuato l’empatia artistica e umana. Se Mirabassi hacontinuato a guardare al folklore sudamericano (con lo straordina-rio omaggio a Pixinguinha e al choro) Guinga scopre da adultoun’Italia amata fin dall’infanzia. «Mai avrei immaginato di poter faredell’Italia il mio secondo Paese. Mio padre me ne parlava tanto eio l’ho sempre sognata».

ore 21 - Teatro OlimpicoGuinga - Mirabassi DuoGuinga, chitarra, voce

Gabriele Mirabassi, clarinetto «G

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Lunedì 14 MAGGIO

arla Bley è tra le mag-giori strumentiste deljazz moderno e unadelle massime perso-

nalità di questa musica,per le doti di pianista,compositrice e bandlea-der espresse in oltre qua-rant’anni di presenza sullascena internazionale. Il quartetto che presenta a “NewConversations - Vicenza Jazz” è lo stesso che ha registrato il disco“The Lost Chords” nell’ottobre 2003: da un lato è l’ampliamentodel precedente trio con il bassista Steve Swallow e il sassofonistaAndy Sheppard, ma è anche un felice tentativo di ripensare i ruolistrumentali, superando gli schemi del tipico quartetto jazz. La propulsiva batteria di Billy Drummond si integra infatti con ilsignorile e flessibile basso elettrico di Swallow, costituendo unpolo ritmico in costante dialogo con le cantabili parti della Bley e diSheppard in front line. Non dimentichiamo che Steve Swallowresta uno dei capiscuola del basso elettrico, per cui ha inventatoun linguaggio assoluta-mente originale. Il britan-nico Andy Sheppard è datempo uno dei protagoni-sti del jazz europeo. L’ingresso in questo quar-tetto del trombettistaPaolo Fresu, già più volteospite di Vicenza Jazz,contribuisce a incremen-tare lo spessore liricodella serata.

CTeatro Olimpico - ore 21 Carla Bley & The Lost Chords

find Paolo FresuCarla Bley, pianoforte Steve Swallow, basso elettricoAndy Sheppard, sax tenore Billy Drummond, batteria Ospite: Paolo Fresu, tromba

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Lunedì/Martedì 14/15 MAGGIO

uella formata da PaoloBirro al piano, LorenzoConte al basso edEliot Zigmund alla bat-

teria (ancora lui, il celebratopartner di Bill Evans), è laformazione ideale peraccompagnare il sassofoni-sta tenore Harry Allen.Strumentista dalla tecnicasmagliante, Allen ripropo-ne l’estetica dei grandi sas-sofonisti degli anni Quaran-

ta e Cinquanta, da Lester Young a StanGetz, da Ben Webster a Zoot Sims. Sulloro esempio è capace di creare atmosfe-re di grande fascino, specie nelle ballad. Allen è nato a Washington quarant’anni fae ha una ricca carriera come leader, conuna trentina di cd all’attivo e molte colla-borazioni di rilievo fra cui i chitarristi Johne Bucky Pizzarelli, i cantanti RosemaryClooney e Tony Bennett. Ha fatto partedella formazione che fu definita “Jazz atthe Philarmonic Revisited”, in onore dellastorica formula inventata dall’impresarioNorman Granz. In entrambe le serate di lunedì 14 e mar-tedì 15, il primo set sarà appannaggio delquarteto tedesco “The Swinging Mallets”proveniente da Pforzheim e ispirato alModern Jazz Quartet.

Harry Allen QuartetHarry Allen, sax tenorePaolo Birro, pianoforte

Lorenzo Conte, contrabbassoEliot Zigmund, batteria

The Swinging MalletsBoris Ritter, pianoforte

Roland Härdtner, vibrafonoKlaus Dusek, contrabbasso

Goran Mann, batteria

Qore 22 - Jazz Café Trivellato

Teatro Astra

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all’inizio degli anniNovanta il bassistaWilliam Parker è lafigura di riferimento

per tutto il jazz di ricercaafroamericano, il punto disintesi fra le nuove ten-denze e lo storico freejazz degli anni Sessanta.In quella fase di forti ten-sioni sociali, la colonna sonora dei ghetti neri non era tanto il freema il soul, espresso da artisti come James Brown, ArethaFranklin, Otis Redding, Curtis Mayfield.«Mayfield parlava di orgoglio nero» diceParker, «di coscienza sociale e di consape-volezza. Si rivolgeva alla comunità e oggi lesue parole mantengono intatta la loro forza esaggezza. Possono parlare anche ai ragazziniche ascoltano rap e hip hop». Questo progetto per celebrare la musica diMayfield torna in Italia con l’organico origina-le comprendente il grande scrittore, poeta edrammaturgo Amiri Baraka (autore del cele-bre saggio Il popolo del blues), il batteristaHamid Drake, la cantante Leena Conquest, il pianista Dave Burrelle altri musicisti che hanno condiviso con il bassista la necessità dirafforzare l’identità afroamericana attraverso la consapevolezzastorico-culturale. È un progetto che, lontano dal sapore della cele-brazione, nasce dall’esigenza di attualizzare quei valori in una sin-tesi tra poesia e musica. «L’idea dell’inside song nasce da qui» èancora William Parker che parla, «la negritudine, l’orgoglio nero.We people who are darker than blue…».

Martedì 15 MAGGIO

William Parker Septet“Inside the songs of Curtis Mayfield”William Parker, contrabasso Amiri Baraka, voce recitanteLew Barnes, tromba Darryl Foster, sax tenore e sopranoDave Burrell, pianoforteHamid Drake, batteriaLeena Conquest, voce e danza

DAuditorium Canneti - ore 21

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Martedì 15 MAGGIO

ntecedente diretto diquesto inedito con-fronto tra due grandipersonalità della mu-

sica afroamericana di ricer-ca, è il trio con il batteristaAndrew Cyrille, nato nel

2005 e riedito oggi alternando Hamid Drake e Milford Graves allepercussioni. Per le ampie possibilità che consente, la duo perfor-mance è una formula particolarmente cara ai musicisti d’avan-guardia degli anni Settanta. Braxton, in particolare, l’ha usata assiduamente, realizzandoincontri storici con Max Roach, MuhalAbrams, Derek Bailey, Evan Parker, RoscoeMitchell e vari altri strumentisti (tra le piùrecenti ricordiamo quella col chitarrista FredFrith e con la bassista Joelle Léandre). Forseil grande sassofonista ama in questo periodoconfrontarsi con gli strumenti a corda anchese la relazione con William Parker investeelementi che vanno oltre l’aspetto squisita-mente strumentale. Si incontrano infatti duemondi, due concezioni espressive (unaattenta ai valori formali, sostanzialmenteaccademica, l’altra tumultuosa e vibrante,radicata nel blues). Le personalità artistiche di Anthony Braxtone William Parker rappresentano due filoni dalungo tempo presenti (e coesistenti benprima dell’Harlem Renaissance) nella comu-nità afro-americana e molto meno distanti diquanto può sembrare.

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Anthony Braxton - William ParkerAnthony Braxton, sassofoni

William Parker, contrabbasso Aore 21 - Auditorium Canneti

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uesta serata riunisce imassimi protagonistidella musica improv-visata tedesca degli

ultimi quarant’anni, nomiche hanno caratterizzato lastoria del free jazz inEuropa e la sua fiorituracon caratteristiche assolu-tamente originali rispettoai modelli statunitensi. Il trio composto dal piani-sta Alexander vonSchlippenbach, dal sas-sofonista Evan Parker edal percussionista PaulLovens va consideratacome una vera e propriaistituzione. È una delle for-mazioni più longeve ecreative della musicaimprovvisata europea. Iltrio nasce all’alba deglianni Settanta, poco dopola fondazione, da parte di Schlippenbach, della Globe UnityOrchestra. All’impronta fondamentalmente lirica del pianista e all’in-terattivo drumming di Lovens, l’inglese Evan Parker affianca la pro-verbiale ricerca sonora che coniuga alto virtuosismo e creatività,spaziando dalla respirazione circolare all’emissione di armonici emultisuoni. La seconda formazione ha una connotazione interna-zionale e ruota attorno alla figura del pianista Joachim Kühn, centrodi gravità armonico di un quartetto comprendente anche il sas-

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Mercoledì 16 MAGGIO

“Una notte con il jazz tedesco”Dudek-Kühn-Lillinger Trio+ Claudio Fasoli Gerd Dudek, sax tenoreClaudio Fasoli, sax tenoreJoachim Kühn, pianoforteChristian Lillinger, batteria

Schlippenbach-Lovens-Parker TrioEvan Parker, sax tenoreAlex von Schlippenbach, pianofortePaul Lovens, batteria

ZentralquartettConrad “Conny” Bauer, tromboneManfred Hering, sax contraltoUlrich Gumpert, pianoforteGünther “Baby” Sommer, batteria

Q- ore 21Jazz Café Trivellato

Teatro Astra

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Mercoledì 16 MAGGIO

sofonista italiano Claudio Fasoli. Negli anni Sessanta/Settanta Kühnha incarnato il nuovo pianismo europeo coniugando formazioneclassica e sensibilità romantica con l’idioma del jazz d’avanguardia.Il suo nome è legato a momenti storici del jazz contemporaneo, ilpiù noto dei quali è il duo con Ornette Coleman. Gerd Dudek è unsassofonista olandese già componente della Globe Unity e partnerdi Evan Parker; Claudio Fasoli è uno dei più originali e avventurosisassofonisti del jazz europeo; il batterista Christian Lillinger uno deinomi più interessanti della scena attuale. Lo Zentralquartett è un’altra formazione storica del jazz tedesco,guidato dal trombonista Conrad “Conny” Bauer e dal batteristaGünther “Baby” Sommer. A lungo attivi nel piccolo universo jazzi-stico della Germania Est, sia Bauer che Sommer hanno contribuitoa rifondare l’idioma dei propri strumenti nella musica improvvisataeuropea. Lo Zentralquartett è nato nel 1990 con il disco autopro-dotto “Zentralquartett”, ma si è fatto conoscere in ambito interna-zionale con l’avvincente “Plie” del 1994, in cui convivono free jazz,hard bop, blues e infuocati assoli. Accanto al pianista UlrichGumpert troviamo il sassofonista Manfred Hering in sostituzionedello storico componente Ernst-Ludwig Petrowsky.

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ore 21 - Jazz Café TrivellatoTeatro Astra“Una notte con il jazz tedesco”

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alento precoce, gio-vanissimo ha incon-trato e raccolto i con-sigli di artisti quali Ka-

rajan, Berio, Horszowsky,Siciliani e Magaloff. Di-plomato "Master" all’Ac-cademia di Imola ha debuttato a 11 anni alla Sala Verdi di Milanocon i Solisti Veneti diretti da Scimone. Da allora ha vinto premie concorsi, ha inciso per etichette come Decca e Rca e ha parte-cipato a festival nelle sale internazionali più prestigiose. AVicenza Jazz propone un omaggio al più importante composi-tore colto brasiliano, Manuel De Falla, nonché a Ravel nel set-tantesimo della morte.

Giovedì 17 MAGGIO

Andrea Bacchetti“Omaggio a Ravel e De Falla”

Andrea Bacchetti, pianoforte

TTeatro Olimpico - ore 21

Teatro Olimpico - ore 21

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ata per il disco “OnceI Loved” del 2003quella del trombetti-sta Fabrizio Bosso col

chitarrista Irio de Paula èuna di quelle collaborazioni miracolose che vedono due musicistiintendersi dal primo istante, travalicando le differenze generazio-nali e di stile. De Paula è un chitarrista unico, uno dei massimi interpreti dellamusica brasiliana che, per nostra fortuna, vive in Italia dagli anniSettanta pur mantenendo un forte legame con la tradizione musi-cale del suo Paese.Dotato di tecnica cristallina e appassionante feeling, Irio ama il

Irio de Paula convida Fabrizio BossoIrio de Paula, chitarraFabrizio Bosso, tromba, flicornoN

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Giovedì 17 MAGGIO

jazz e ha collaborato con grandi protagonisti americani ed europei(tra cui ricordiamo Phil Woods, Archie Shepp, Lee Konitz, FrancoD’Andrea, Gato Barbieri, Toots Thielemans). Laureato nuovo talento della critica per l’anno 1999, Bosso è oggiuno dei massimi trombettisti nazionali, sorretto da un’ammirevo-le quantità e qualità di doti: inventiva melodica, limpida sonorità,fraseggio incalzante, pronunciato senso ritmico.Il loro duo esplora con inventiva e intenso lirismo classici dellacanzone americana e della bossa nova con incursioni nel patri-monio più specifico della musica brasiliana e del jazz. Il risultatoè un delizioso e coinvolgente percorso che si snoda illuminatoda una sottile vena malinconica e da un singolare equilibrioespressivo.

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Giovedì 17 MAGGIO

bdullah Ibrahim (pri-ma della conversioneall’Islam si chiamavaDollar Brand) è uno

dei pochi musicisti africa-ni ad aver raggiunto un ruolo di protagonista nel jazzmondiale.Casualmente lo scoprì Duke Ellington in un club diZurigo, poco dopo il suo trasferimento in Europa dalSudafrica, nel 1962. Il grande bandleader rimase cosìentusiasta del suo stile da fargli incidere subito undisco (“Duke Ellington Presents The Dollar BrandTrio”), propiziando la sua presenza al Newport JazzFestival del 1965. Nella seconda metà degli anni Sessanta la suaascesa nel jazz fu rapidissima: entrò nel quartetto di Elvin Jonese si esibì coi leader delle nuove tendenze: John Coltrane, DonCherry, Ed Blackwell, Gato Barbieri. Dopo un altro decennio d’intensa attività (ricordiamo incisioni conMax Roach, Archie Shepp, Carlos Ward), Ibrahim ha formato neglianni Ottanta il sestetto Ekaya e scritto la famosa “KalahariLiberation Opera”. In una carriera così lunga e versatile, i momen-ti significativi sono molti (basterebbe ricordare le impegnativeopere African Symphony, African Suite, Ekapa Loduno), ma l’a-spetto più suggestivo della sua arte è legato alle esecuzioni in solo. Sorretto da una possente definizione ritmica, sontuosa e iterativa,il suo talento melodico disegna percorsi di palpitante dolcezza,nostalgici, struggenti e intensamente evocativi in cui si innestauna viva spiritualità.Tra i suoi dischi più rappresentativi in piano solo ricordiamo“Ancient Africa” e “Fats, Duke & The Monk” del 1973, “Auto-biography” del 1978, “Desert Flowers” del 1991, “Knysna Blue”del 1993.

Abdullah IbrahimSenzo - AncestorAbdullah Ibrahim, pianoforte

ATeatro Olimpico - ore 21

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ue formazioni diprim’ordine caratteriz-zano questa serata.La prima è guidata da

Pietro Tonolo, un nomeche non ha bisogno di pre-sentazioni. È infatti da annitra i migliori sassofonistieuropei: ha collaborato coni massimi jazzmen interna-zionali (Chet Baker, DaveHolland, Lee Konitz, PaulMotian e decine di altri) ediretto organici di primopiano. Tra i più recentiricordiamo il gruppo inter-nazionale che ha inciso

“Italian Songs” e quello italiano che ha pubblicatol’incantevole “Lennie’s Pennies”, dedicato alla musi-ca di Lennie Tristano. Il secondo gruppo della serata ripropone le musichedi “Maremma”, secondo album da leader diRaffaello Pareti. Contrabbassista di vasta esperienza(è stato a lungo partner di Luca Flores, StefanoBollani, Bruno Tommaso e dei cantanti SergioCaputo, Tiziana Ghiglioni e Barbara Casini), Pareti hadimostrato già dal disco “Il circo” spiccate doti melo-diche, coniugando in modo originale la sintassi deljazz con la cantabilità della nostra tradizione popola-re. Grazie anche al contributo di illustri partner comeAntonello Salis, la musica dell’artista toscano ha rice-vuto invidiabili riconoscimenti in Italia e all’estero.

Pietro Tonolo QuartetPietro Tonolo, sassofoni

Paolo Birro, pianofortePiero Leveratto, contrabbasso

Alfred Kramer, batteria

Lello Pareti Quartetfeat. Antonello Salis

Lello Pareti, contrabbassoAntonello Salis, fisarmonica, pianoforte

Stefano Cantini, sax sopranoBebo Ferra, chitarra

Walter Paoli, batteria

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ore 22 - Jazz Café TrivellatoTeatro Astra

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l’evento dell’annonell’ambito del jazzitaliano. Diretta daGermano Mazzoc-

chetti e composta danomi di primo piano,legati all’etichetta disco-grafica Egea, l’orchestraha vinto il Top Jazz dellacritica nella categoriamigliore formazione del2006.Dell’orchestra attrae l’o-pulenza delle partiture,che riprendono i modellidel modern mainstreamcon un taglio tipicamentemediterraneo, esaltandola ricchezza del nostropatrimonio musicale, po-polare e non. Un’operazione di sintesi che coniuga l’impronta can-tabile dei temi e degli arrangiamenti di Mazzocchetticon l’originale poetica della giovane etichetta perugi-na, da sempre votata alla raffinatezza delle forme ealla preziosità dei suoni. C’è poi il contributo di mar-cate individualità che aggiungono valore e fascino.Le dinamiche orchestrali sono eleganti ed equilibra-te, gli impasti timbrici tendono a cromatismi pastello,la scrittura è ariosa e lascia emergere con naturalez-za le varie personalità strumentali. La ricca dimensione evocativa nelle composizioni di

Egea Orchestraproiezione del film Pinocchio (1911) di Giulio Antamorocon colonna sonora dal vivodi musiche originali in occasione del centenario del Cinema Odeon (18 maggio 1907 - 18 maggio 2007)

Pietro Tonolo,sax tenoreMarco Zurzolo, sax altoLuca Velotti,clarinettoGiampaolo Casati, trombaAlessandro Tedesco, trombonePaolo Birro, pianoforteGiancarlo Bianchetti,chitarraSalvatore Maiore, contrabbassoAlfred Kramer, batteriaFulvio Maras, percussioni

Germano Mazzocchetti,direzione e musiche

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Venerdì 18 MAGGIO

Cinema Odeon - ore 21

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Mazzocchetti si spiega con la sualunga frequentazione nel mondodel cinema e del teatro, per cui hacomposto varie colonne sonore.Si ricordano le sue collaborazionicon i registi Vittorio Gassman,Luigi Squarzina, Antonio Calenda,Lello Arena, Carlo Vanzina che lohanno portato a confrontarsi con i più diversi generi musicali.

L’esibizione vicentina dell’orchestra è un evento speciale ancheper altri motivi. Avrà luogo infatti al Cinema Odeon, nella datasignificativa del 18 maggio, a cento anni esatti dalla nascita dellasala cinematografica più longeva d’Italia. Per questo eventoGermano Mazzocchetti, che al Teatro Olimpico di Vicenza ha giàricevuto uno dei “Premi Eti-Gli Olimpici del Teatro”, ha apposi-tamente scritto la colonna sonora originale del film Pinocchio,realizzato nel 1911 da Giulio Antamoro, importante opera dellanostra cinematografia, recentemente restaurata e proiettato perl’occasione.

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Venerdì 18 MAGGIO

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ecnica prodigiosa,dinamismo e inventi-va sono le doti più evi-denti di Quadrant,

quartetto che si collocaentro il miglior filonemodern-mainstream. Sostenuti da una ritmicadi prim’ordine, RobertBonisolo e Antonio Faraò sono i principali solisti di una musica fre-sca e compatta, che evidenzia un particolare rapporto con il ritmo. Canadese, 41 anni, Bonisolo si è diplomato al Berklee College ofMusic di Boston sotto la guida di John La Porta e JerryBergonzi e ha poi studiato a New York con DaveLiebman e Joe Lovano.Residente da anni in Italia, ha suonato, tra gli altri, conFranco Ambrosetti, Gianni Cazzola, Lee Konitz, KennyWheeler, Elliot Zigmund, la Lydian Sound Orchestra e,in ambito pop, con la cantante Rossana Casale.Quasi coetaneo del sassofonista, Faraò è uno dei pia-nisti di punta della scena europea. Fanciullo prodigio,ha debuttato nel quintetto di Claudio Fasoli e, alla finedegli anni Novanta, ha incontrato il successo interna-zionale vincendo il prestigioso Martial Solal Concourse registrando splendidi album per le etichette Enja eCam Records. Emanazione della Scuola di Musica Thelonious diVicenza, l’ensemble diretto dal sassofoista EttoreMartin che apre la serata ha già dato prova del propriovalore. Merito, in primo luogo, dell’alto livello del corpodocente, di cui fanno parte alcuni importanti jazzmendel panorama nazionale.

Venerdì 18 MAGGIO

QuadrantRobert Bonisolo, sax tenore e soprano Antonio Faraò, pianoforteAldo Zunino, contrabbassoEnzo Carpentieri, batteria

Scuola Thelonious EnsembleEttore Martin, conduzione

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- ore 22Jazz Café TrivellatoTeatro Astra

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Sabato 19 MAGGIO

egli ultimi anni»dice Dee DeeBridgewater «hoavuto la forte esi-

genza di ritrovare le mieorigini africane. Nonpotendo risalire fino alleradici che mi legano allamadrepatria mi sono rivol-ta alla musica, la musicaafricana. Speravo cheascoltando la musica dialcuni paesi africani ne

avrei trovato una che mi avrebbe parlato con grande forza spiri-tuale. Così è stato per la musica del Mali».

Dee Dee BridgewaterRed Earth, A Malian Journey

Dee Dee Bridgewater, cantoKabine Kouyate, canto

Mamami Keita, cantoCherif Soumano, kora

Moussa Sissokho, doum doum, jdembeBaba Sissoko, tamani ou talking drum & n'Goni

Lansine Kouyate, balafonEdsel Gomez, pianoforte

Ira Coleman, contrabbassoMinino Garay, batteria

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ore 21 - Sala Palladio - Fiera

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Aiutata da Cheick TidianeSeck, che ha scelto imusicisti africani della for-mazione e da Ira Colemanche ha svolto la direzionemusicale, Dee Deeaggiunge le doti chel’hanno portata ad essereuna delle cantanti piùcoinvolgenti del jazz: ilvibrante appeal, il cantoacrobatico e sensuale, latensione ritmica e la feb-brile presenza scenica. In questo progetto lavocalist di Memphisconiuga la musica tradi-zionale del Mali, dallaricca e sofisticata tradizio-ne percussiva, con gli sti-lemi tipici del jazz nord-americano tra cui, ovviamente, lo swing.Dopo aver debuttato, appena ventenne, con l’orchestra di ThadJones e Mel Lewis, la Bridgewater è maturata accanto ad artisticome Max Roach, Dizzy Gillespie, Sonny Rollins, Dexter Gordon.Protagonista di alcuni importanti musical (The Wiz, SophisticatedLadies, Lady Day) la cantante vive dalla metà degli anni Ottanta aParigi e la sua carriera artistica ha ottenuto vivi apprezzamentianche dal grande pubblico della musica leggera, come ha testi-moniato la collaborazione con Ray Charles. Nonostante quei gran-di successi la Bridgewater si sente e resta una jazz singer, unagrande interprete creativa che elabora progetti originali come irecenti “This Is New” dedicato a Kurt Weill, “J’ai deux amours”imperniato sulle canzoni francesi e l’attuale “Red Earth – A MalianJourney”.

Sabato 19 MAGGIO

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a serata conclusiva delJazz Café Trivellato èun omaggio adAntonio Cavalloni,

scomparso lo scorso anno,da sempre amante del jazz,a sua volta musicista(fondò il Trio Florio), colle-zionista di dischi e videomusicali e grande amico di“Vicenza Jazz”. Per questoil festival ha deciso di ricor-darlo chiamando sul palco-

scenico dell’Astra Ettore Martin, un suo giovane amico che lo fre-quentò assiduamente.Il compositore e arrangiatore vicentino, attivo nella scena jazzisti-ca da più di quindici anni, presenta il suo ultimo lavoro discografi-co “Senzaparole”: una rivisitazione di alcune tra le più belle can-zoni della tradizione italiana come Amore baciami, Senza fine,Donna, Il cielo in una stanza, Estate, per citarne alcune. Affrontarequesto tipo di repertorio senza la parte vocale è una scelta stili-stica che consente al gruppo di rielaborare in modo libero e per-

sonale frammenti melodiciindimenticabili. Il progettorappresenta inoltre un’occa-sione di incontro tra duequartetti, formazioni tipichedel jazz l’una e della musicaclassica l’altra, che trovano ilmodo per far dialogare assie-me i propri strumenti, allaricerca di un suono comune.

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Sabato 19 MAGGIO

Ettore Martin Quartet + Strings“Senzaparole”

Ettore Martin, sax tenoreMatteo Alfonso, pianoforteDanilo Gallo, contrabbassoEnzo Carpentieri, batteria

Maria Vicentini, violinoLorella Baldin, violino

Grazia Colombini, violaPaola Zannoni, violoncello

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ore 21 - Jazz Café TrivellatoTeatro Astra

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Sabato 19 MAGGIO

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on questo progetto,registrato a Triesteun anno fa, e pubbli-cato dalla Caligola

records nell’ aprile di que-st’anno, il chitarristaMichele Calgaro rendeomaggio a TheloniousMonk, rivisitando alcunibrani fra i più noti dell’autore afroamericano (da Epistrophy a

Monk’s Mood, daCrepuscule withNellie a BrilliantCorners). Quello di Calgaro èanche un sentito edovuto omaggioalla scuola di musi-ca “Thelonious” dicui il jazzmanvicentino è fonda-tore e direttore dal1990. “RoundAbout Monk” è ilprimo disco da lea-der dopo diverse

decine di pubblicazioni con artisti quali Cheryl Porter, ClaudioFasoli, Paolo Fresu, la Lydian Sound Orchestra, per citarne soloalcuni. Con Calgaro, nella serata conclusiva del festival, si esibirannoalcuni fra i più quotati jazzman veneti, già suoi partner in diversiprogetti concertistici e discografici.

CMichele Calgaro“Round about Monk”Michele Calgaro, chitarra elettrica e acusticaKyle Gregory, trombaRobert Bonisolo, sax tenoreLorenzo Calgaro, contrabbassoMauro Beggio, batteria

- ore 21Jazz Café TrivellatoTeatro Astra

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egata a una delle te-matiche del festival -la musica improvvisa-ta, nata e sviluppatasiin Germania - questa

mostra fotografica ha per oggetto la metropoli di Berlino, tornataa essere la capitale della Germania riunificata. In realtà Berlino nonha mai smesso di essere capitale da quando, nel 1871, venne pro-clamata capitale dell’Impero Germanico. Restò tale durante laRepubblica di Weimar, durante il regime nazista e, dopo la sepa-razione in due della città, alla fine della guerra, la parte est di

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Dal 6 al 27 MAGGIO

Chiesa dei SantiAmbrogio e Bellino“Berlin”

mostra di fotografiain collaborazione con il Centro Culturale Italo-Tedesco L

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Berlino fu eletta capitale della RepubblicaDemocratica Tedesca. La zona ovest dellacittà, separata dal celebre muro, divenne ilsimbolo (in un certo senso ancora “capita-le”) della guerra fredda. La mostra vuol dare un’idea, ovviamente par-ziale, ma significativa ed emblematica, delladimensione storica e della complessitàmetropolitana di Berlino. Vuol suscitare inoltrecuriosità verso un luogo che si sta imponendocome la capitale europea dell’arte moderna edella sperimentazione artistica.

rutto di un lavoro distudio durato seimesi, l’esposizione diGianluca Sgreva, tren-

taseienne fotografo vicen-tino, presenta una quindi-cina di quadri composti con la tecnica del mosaico fotografico.Partendo da immagini di strumenti musicali, Sgreva riesce a dareuna dimensione contemplativa ai suoi lavori e conduce lo spettato-re attraverso un percorso che rimanda alle atmosfere del jazz. Latecnica utilizzata dall’autore consente di superare la bidimensiona-lità dell’opera, trasmettendo il senso della profondità, del tempo edel suono. La fotografia è un mezzo che permette a Sgreva dicomunicare al suo pubblico in maniera diretta senza dover rinun-ciare agli aspetti riflessivi e contemplativi che contraddistinguono ilsuo lavoro.

FGiochi fotografici in chiave jazzmostra di fotografiadi Gianluca Sgreva

dal 12 al 26 maggio

Libreria Libravit43

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Questa rassegna espo-sitiva di PatriziaGiancotti è un eventomultimediale a forte

connotazione antropologi-ca che si avvale di cento-

cinquanta fotografie a colori divise in varie sezioni, ognuna legataai testi di un personaggio guida: lo scrittore Jorge Amado, i can-tanti Caetano Veloso e Gilberto Gil, l’attrice Sonia Braga, il presi-dente Lula ed altri ancora. Il percorso visivo andrà dai luoghi dell’approdo dei portoghesi aiculti afro-brasiliani di Bahia, dai tagliatori di canna dello stato diPernambuco alle comunità indigene del Mato Grosso. Le immagini sono avvolte da una sfera sonora in cui elementi dellatradizione folk brasiliana si legano a motivi originali in un unico

insieme di musica,testi e fotografie. Specializzata nellostudio del can-domblé, l’antropo-loga e fotografatorinese tienecorsi e seminari inambito universita-rio, collabora conla televisione e laradio nazionale, haideato e condottoil programma“Siamo tutti brasi-liani” per Radio 3“il terzo anello”.

Dal 12 al 27 MAGGIO

“Siamo tutti brasiliani”mostra di fotografia

di Patrizia Giancotti

in collaborazione con l’Istituto Brasile-Italia

LCasa del Palladio

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Dal 13 al 19 MAGGIO

l Sogno Sudameri-cano”, tema privile-giato di questa edi-zione del festival,

tocca con questa esposi-zione una realtà socialeche ci coinvolge diretta-mente in quanto nazione e comunità locale. Parliamo dell’emigra-zione che dall’Italia, e dal Veneto in particolare, è confluita inBrasile creando isole culturali che continuano a mantenere la loroidentità. In questa mostra espongono venticinque artisti dalla

regione del Rio Grande doSul dove prosperano comu-nità di italo-brasiliani, di-scendenti dei primi immi-grati veneti. Da anni ilcomune di Schiavon man-tiene intensi rapporti (uffi-cializzati in un gemellaggio)con il comune di Montebelo do Sul, abitato per inte-ro da discendenti partiti dalnostro territorio. La mostranon è fine a se stessa, madiventa occasione di cono-scenza e riflessione sullastoria dell’emigrazione ita-liana in Brasile con la produ-zione di un dvd ricco diricordi e testimonianze, econ una tavola rotonda sultema.

“IBrasil fantasticomostra di pitturain collaborazione con il Comune di Schiavon

Palazzodelle Opere Sociali

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di Maurizio Franco

La “sfumatura spagnola”, così lachiamava il pianista e grande com-positore creolo Jelly Roll Morton

intendendo in particolare i ritmi delle “Indie Occidentali”, è unacomponente che ha accompagnato l’intero percorso del linguag-gio jazzistico, anche se a ben vedere è stata spesso fraintesa e,tutto sommato, poco amata e rispettata dalla critica, che più volteha considerato le componenti afrolatina e afrocubana penetratenel jazz in maniera riduttiva, quando non le ha addirittura condan-nate come una deriva commerciale di poco o nessun interesse.Convinti, al contrario, dell’importanza del rapporto tra il jazz e altrimondi sonori americani, in questo scritto affronteremo senza pre-giudizi questo campo di indagine. Cercheremo invece di offrire unavisione “a volo d’angelo” dei rapporti tra il jazz e il complesso uni-verso musicale dei ritmi “altri”, cioè dell’insieme di quelle conce-zioni ritmiche in cui è presente, in varia misura, il retaggio africanoe che attraversa tutte le Americhe entrando a diversi livelli e in dif-ferenti periodi anche nel mondo espressivo dei jazzisti. Del resto, non poteva essere altrimenti, visto che la radice africa-na è uno dei tratti musicalmente più forti del continente america-no e ha interessato quasi tutte le musiche che vi sono nate, ivicompreso il jazz, consentendo incontri anche arditi tra differentitipologie musicali, sia colte sia popolari, contribuendo alla creazio-ne di un elemento comune a quasi tutto il paesaggio sonoro delnuovo continente. I ritmi americani che hanno un qualche legame con l’Africa, siacome retaggio diretto oppure come una più sfumata memoria,sono infatti molteplici e hanno influenzato nel profondo anche le

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Il jazze la “Spanish Tinge”:

un viaggionei ritmi afro

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Maurizio Franco

componenti di carattere melodico. Il jazz, del resto, è nato propriodal sincretico incontro tra la musica di derivazione europea e tuttociò che è sopravvissuto, negli Stati Uniti, in termini di atteggia-menti espressivi e concezione ritmica, di provenienza africana, percui appare del tutto naturale la confluenza che si è verificata neltempo, e in fogge molto diverse, dei ritmi afro all’interno del lin-guaggio jazzistico. Senza nessuna pretesa di essere esaustivi, vogliamo indicare qual-che tappa di questo articolato percorso, che parte da New Orleansper giungere ai nostri giorni, di fatto accompagnando il jazz lungotutto il suo cammino perché quel tipo di incontro multiculturale viè presente sin dagli albori di questa musica. E per quanto riguardal’area cubana e caraibica in generale, cioè la più importante sulpiano quantitativo, lo è in maniera diretta. Non dimentichiamoci infatti che Cuba era l’isola di sosta delle navinegriere dirette nel Nord America, il luogo di “decantazione” pergli schiavi africani deportati, che vi restavano per lunghi periodi por-tandovi la loro concezione musicale e irradiandola nell’isola, comedimostra il fatto che proprio a Cuba sia nata l’habanera (anzi: hava-nera, da Avana), con il suo ritmo binario e sincopato che, dal secon-do ’600, parte come un viaggio a ritroso giungendo in Europa efinendo, come spesso accade per ciò che proviene dal mondonero, per essere considerata di origine prettamente spagnola econfluire come elemento folclorico nella Carmen di Bizet. Esempi sublimi dell’uso di questo ritmo in ambito jazzistico si tro-vano per esempio in The Crave del citato Morton, oppure nel bra-no di apertura della Such Sweet Thunder di Ellington e Strayhorn,cioè in quello omonimo che in realtà è un blues, ma con un temacostruito proprio su un ritmo di habanera. Mambo e rumba sonougualmente parto dell’isola, i cui stretti rapporti con gli Stati Unitideterminarono nel tempo la penetrazione culturale massiccia dellamusica cubana nel territorio della grande superpotenza, doveottenne un successo enorme che persiste tuttora. Anche Haiti ha avuto un ruolo significativo nel portare i ritmi di ori-gine africana in quella che viene definita la culla del jazz, cioè New

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Il jazz e la “Spanish Tinge”

Orleans, soprattutto dopo la rivoluzione nell’isola che, il primo gen-naio del 1804, portò alla proclamazione della prima repubblicaafroamericana della storia, con la conseguente fuga dei proprieta-ri terrieri bianchi, ma anche di molti neri, verso la Louisiana. La con-seguenza fu l’arrivo nella città, appena venduta da Napoleone agliStati Uniti, di usi e costumi tipici della comunità nera di Haiti, quin-di anche di ritmi di diretta discendenza africana e della religionevodoo, che fece della Nuova Orleans il maggior centro americanodi questa religione sincretica che unisce animismo africano e cat-tolicesimo europeo in maniera del tutto originale. L’arrivo degli hai-tiani arricchì il paesaggio musicale della città e dell’intera regione,perché la dimensione ritmica dei nuovi venuti era più direttamen-te vicina a quella del mondo africano e quindi in parte differente daquella dei neri e dei creoli residenti nell’area del Mississippi. A livello generale, la confluenza del complesso mondo ritmico chedal Messico e i Caraibi si estende per tutto il continente, giungen-do sino al Brasile, si avverte sin dall’800, per esempio nella musi-ca del pianista e compositore Louis-Moreau Gottschalk e nel rag-time di Scott Joplin, e poi passa in maniera non appariscente neljazz, almeno sino a quando non esplode la moda delle orchestrecubane che infiammano New York nel corso dell’era dello swing. Comunque, Ellington (ancora lui) precede come al solito i tempi eincide nel 1936 il celebre Caravan, firmato insieme al trombonistaportoricano Juan Tizol, brano famosissimo basato su un ritmo tipi-camente afro e, tra l’altro, coevo a quel Sing, Sing, Sing dell’or-chestra di Benny Goodman in cui il batterista Gene Krupa utilizza-va i tom tom con un piglio decisamente africaneggiante. A tale proposito, del grande Duke occorre sottolineare il ruolo cen-trale nello sguardo jazzistico al mondo afrolatino, evidenziato inmolteplici opere tra cui Afro-Bossa, la Liberian Suite e la VirginIslands Suite. Mario Bauzà, Machito, Tito Puente, Chano Pozo so-no invece i più famosi esponenti della musica afrocubana deglianni ’40 e sono gli stessi che vissero il periodo di incontro con iljazz, in particolare con il bebop, che ebbe nel trombettista DizzyGillespie il suo grande traghettatore, anche se fu l’orchestra di

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Maurizio Franco

Stan Kenton la prima ad affrontare quel mondo ritmico, che da allo-ra è stabilmente entrato a far parte dell’universo jazzistico, nelquale è ancora oggi presente e ben vivo. Stranamente, almeno in apparenza, la storiografia jazzistica tendead escludere quasi totalmente l’afrocuban jazz (con il suo portatodi meravigliosi ritmi, quali per esempio i già citati mambo e rumba)dalle grandi correnti che hanno animato il percorso del jazz, consi-derandolo una deriva sostanzialmente commerciale, in parte comeavviene con il periodo swing. Quindi, non deve stupire la sottova-lutazione delle pagine realizzate da Charlie Parker con l’orchestradi Machito, oppure la totale esclusione dalle grandi opere del jazzdella Manteca Suite, registrata nel 1954 da Gillespie e arrangiatada Chico O’Farrill, che è un capolavoro assoluto in cui l’uso strut-turale della dimensione ritmica (sviluppato per quasi 17 minuti, ingran parte scritti o comunque ben pianificati) ha pochi paragoninella storia della musica occidentale. In questo atteggiamento ha probabilmente pesato il rapporto conla danza che è alla base dello Swing come, e soprattutto, delmondo cubano, poiché nella visione “alta” della musica tipica delmondo europeo o di derivazione europea, questo aspetto non rap-presenta l’architettura visiva del ritmo (tipica delle culture di granparte del mondo, dall’Africa sino ad Oriente), bensì una degrada-zione del concetto di purezza artistica a favore di un aspetto dimera funzionalità. Una visione del tutto aberrante, legata probabil-mente alla frigidità ritmica sviluppatasi negli ultimi due secoli nelmondo musicale europeo, di cui alla fine ha finito per farne lespese l’incontro tra il jazz e i molteplici ritmi del mondo afrocuba-no e afrolatino, che nonostante la comune matrice non è statoaffatto semplice. In realtà, ci volle una personalità del calibro di Gillespie per riuscirea intrecciare sincreticamente jazz e musica cubana, in quanto purnella comunanza della matrice originaria, l’uso del ritmo nelle duemusiche è di natura differente. Nel jazz esiste una elasticità ritmi-ca dovuta alle caratteristiche del tratto individuale di ogni singolomusicista, che agisce dialetticamente intorno a una precisa pulsa-

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Il jazz e la “Spanish Tinge”

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Maurizio Franco

zione e si ricompone in collettivo grazie all’interplay, rendendo pos-sibili molteplici intrecci e cambi di direzione. Nelle musiche piùlegate alla originaria dimensione afro, la presenza di un complessoapparato percussivo determina una maggiore rigidità e la musicastessa non si sviluppa tanto sul beat inteso in maniera occidenta-le, bensì su un modo ritmico, una time line, un clave intorno allaquale si posizionano, ritmicamente e timbricamente, gli accenti deivari strumenti, determinando una notevole complessità, ma ancheuna sorta di immutabilità di percorso della musica. L’esempio più evidente lo offre l’ascolto di Parker con l’orchestradi Machito, nel quale il grande altosassofonista deve scurire ilsuono, accentare percussivamente le frasi e inserirsi rigidamentenella trama ritmica. La geniale idea di Gillespie fu allora quella dialternare parti in stile cubano ad altre di tipo swing, arrangiandolecon naturalezza per farle apparire senza soluzione di continuità, edi inglobare alle percussioni una batteria jazz, in modo da integra-re il classico incedere jazzistico di derivazione bop, basato sull’in-treccio tra piatto sospeso, piatto a pedale e grancassa, alla per-cussione strettamente cubana, riuscendo a rendere più elastica laseconda e integrando la prima alla tessitura complessiva in mododa evitare sovrapposizioni posticce.Un altro capolavoro raramente citato, eppure seminale per la svol-ta verso l’idea del modalismo jazzistico, e quindi di una nuovagestione della creazione estemporanea e dell’interplay, basata suaccadimenti sonori anziché sullo sviluppo di improvvisazionicostruite secondo successioni logiche di sequenze, è Un PocoLoco del pianista Bud Powell, inciso in trio nel 1951 con MaxRoach alla batteria. In quell’occasione, e per la prima volta nellastoria del jazz, l’intera improvvisazione è sviluppata sopra un peda-le poliritmico di matrice chiaramente afro, ottenuta dall’ossessivaripetizione di una frase distribuita tra basso, mano sinistra del pia-nista e batteria (che sul piatto suona un clave), le cui connotazioniarmoniche riprendono l’idea di vamp su due soli accordi tipica delmondo cubano e che sarà anche delle procedure usate poi nel jazzdefinito gergalmente modale.

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Il jazz e la “Spanish Tinge”

Come si può notare, la storia del jazz ha dunque legato molte pagi-ne a questa linea artistica, che oggi è particolarmente sviluppata evanta numerosi esponenti di rilievo, da Arturo Sandoval a ChucoValdes, da Gonzalo Rubalcaba a Paquito D’Rivera, per fare soltan-to alcuni nomi. La dimensione afro del mondo jazzistico non si ènaturalmente fermata qui, e ha interessato molti altri ritmi, guar-dando anche al resto del mondo caraibico, al centro e al suddell’America. Per esempio, nel 1956, incidendo la propria composizione St.Thomas, il sassofonista Sonny Rollins rendeva popolare nel jazz ilritmo del calypso, al punto da farlo diventare uno dei filoni princi-pali del suo mondo poetico, ancora oggi ampiamente utilizzato. Ilpianista Horace Silver si è poi ampiamente mosso nella direzionedei ritmi afrolatini, così come ha fatto un altro celebre pianista:Chick Corea, che con La Fiesta ha composto un vero e proprio hit.Il batterista Art Blakey è stato invece tra i primi a portare ritmi espli-citamente africani, afrolatini e afrocubani all’interno della propriamusica, operando sin dagli anni ’50 insieme a ensemble di per-cussionisti, mentre il grande compositore e contrabbassistaCharles Mingus ha composto, nel 1977, la suite Cumbia & JazzFusion ispirandosi al ritmo colombiano. Ritmi panamensi e venezuelani hanno trovato e trovano spazionella musica di non pochi artisti contemporanei, da Danilo Perez aEd Simon, mentre il ritmo del tango ha assunto un ruolo inimma-ginabile ai tempi del celebre disco di Gerry Mulligan con AstorPiazzola, che risale a una trentina di anni orsono. Nel jazz america-no come in quello europeo, la presenza di ritmi derivati dal tangoo direttamente ispirati a esso è realmente ampia, e del resto lanatura “audiotattile” e di musica della performance che accomu-na i due generi, rende compatibile un intreccio fecondo in cui èperò il jazz, con la sua estetica dell’incontro, a inglobare organica-mente quel particolare mondo sonoro. Se scriviamo di ritmi afro, non possiamo però dimenticare cheanche nell’ambito del jazz europeo lo sguardo al mediterraneocomporta l’assunzione di ritmi certo diversi da quelli sinora affron-

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tati, ma non per questo motivo meno imparentati con la culturaafricana, in particolare nordafricana, e quindi compatibili con un lin-guaggio jazzistico sempre più aperto agli influssi esterni anche sememore e consapevole degli stili che ne hanno caratterizzato lastoria. Da questo panorama, che sappiamo essere tutt’altro che esausti-vo, manca ancora un orizzonte importante: la bossa nova, che uni-sce il samba brasiliano al jazz in maniera del tutto naturale, al puntodi diventare un vero e proprio stile jazzistico, probabilmente il piùbattuto nell’ambito degli incontri tra i ritmi afro e l’universo espres-sivo della più colta tra le musiche africano-americane, cioè il jazz.Questo fenomeno musicale ha la sua genesi negli anni ’50, grazieall’opera di autori brasiliani che vogliono rinnovare la musica di tra-dizione popolare del loro paese attraverso l’incontro con il jazz, inparticolare con le concezioni armoniche del bebop, ma con unintenzione espressiva venata di coolness. Il movimento decolla soltanto verso la fine del decennio, grazie alcontributo di giovani musicisti, tra cui spicca la figura di AntonioCarlos Jobim, teorico e principale autore di quella musica, ma i jaz-zisti si impossesseranno solo successivamente, alla fine degli anni’50, di quel modo di esprimersi che è anche un mirabile esempiodi assimilazione del jazz al di fuori della sua terra natale (e per giun-ta, tra i primi, insieme ad alcune esperienze significative del vec-chio continente). In tal senso le testimonianze lo dimostrano, prima tra tutte quelladel chitarrista Jim Hall, probabilmente il primo jazzista ad aver por-tato il profumo di quella musica nel suo paese natale. La grandepopolarità di quello che poteva restare semplicemente un dialettolocale è però dovuta al sassofonista Stan Getz, che ottenne unsuccesso senza precedenti eseguendo molte pagine di Jobim,senz’altro uno dei maggiori autori del ’900 musicale. Ma anche il “padre” del sax tenore nel jazz, Coleman Hawkins, in-cise in quegli anni il suo album di bossa nova e persino ArchieShepp, magistrale graffitista sonoro dell’ala più radicale del jazzanni ’60, realizzò una sua versione della celeberrima The Girl of

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Il jazz e la “Spanish Tinge”

Ipanema, che insieme a Desafinado è forse il brano “manifesto”della tendenza. Raffinata sul piano armonico, sottilmente poliritmica, intrisa di unamalinconia connaturata alla sensibilità brasiliana e, per certi aspet-ti, trasferibile nella sadness jazzistica, la bossa nova ha subitosedotto il mondo del jazz e le sue più belle composizioni sonoentrare a far parte del repertorio comune dei jazzisti di ogni latitu-dine, diventando degli autentici classici. Un successo così grandenon poteva essere esente anche da qualche limite, perché il tipodi ritmo di cui la bossa è portatrice può diventare un generico pat-tern “latin”, travisato e banalizzato da molti musicisti e spessousato con insopportabile monotonia, al punto di diventare uno sti-lema “easy listening” che condiziona il fraseggio orientandoloverso prevedibili luoghi comuni. Alla fine di questa panoramica, occorre considerare che la storiadel jazz riduce a note a piè di pagina queste correnti, tendenze erelative opere che sono invece parte di quel composito mondomusicale chiamato jazz, il cui cammino, così ricco di poetiche e didialetti espressivi derivati dalla lingua base, viene semplicistica-mente appiattito da una lettura che guarda soprattutto, quandonon esclusivamente, al fraseggio solistico dei singoli musicisti,anzi dei caposcuola, e non al complesso e articolato modo di faremusica che lo ha caratterizzato. In una simile prospettiva, l’oriz-zonte che abbiamo disegnato è contemplato solo come riflessodell’altro e indagato seguendo criteri con esso incompatibili. Inconclusione, scrivere oggi la storia del jazz significa anche dare undiverso rilievo all’incontro con quella che abbiamo arbitraria-mente, e erroneamente, chiamato “spanish tinge” mentre è inrealtà la “sfumatura africana” vista in alcune delle sue diversecomponenti. �

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di Enrico Bettinello

Le storie del jazz, si sa, sono unincrociarsi di individualità artistiche,luoghi e circostanze, una sovrapposi-

zione caleidoscopica di traiettorie che rende arduo, quando nonimpossibile, tentare definizioni e tassonomie. Tra i tanti stili che la vulgata jazz ha individuato nel tempo, il “WestCoast Jazz” è tra quelli più controversi e affascinanti: chiunque siavventuri nel tentativo di delinearne i tratti caratteristici si trova benpresto impelagato in un ginepraio da cui sembra impossibile venirefuori, se non ricoperti di dolorosi graffi.West Coast uguale California: semplice si dirà! Solo apparentemen-te, dal momento che sulla costa pacifica degli Stati Uniti solo unaparte dei musicisti possono essere ricondotti a quello stile – non losono Art Pepper, Hampton Hawes, Eric Dolphy o Wardell Grey,tanto per fare degli esempi – e viceversa ci sono artisti come GerryMulligan il cui nome si associa quasi automaticamente al WestCoast Jazz e che invece non solo erano originari della costa orien-tale, ma a New York hanno sviluppato una parte significativa dellapropria carriera.Quando poi ci si ferma a riflettere un istante sulla comune associa-zione fra West Coast Jazz e Cool Jazz, le cose si complicano anco-ra di più, dal momento che l’esperienza del nonetto di Miles Davisda cui il cosiddetto movimento “cool” trae la sua origine è squisi-tamente legata a New York.Che fare? Dal momento che le velleità definitorie – come semprenel jazz – portano verso sonori fallimenti, ci conviene guardare allecose con semplicità, tentando di sottolineare i movimenti e le carat-teristiche che animarono il jazz in California, soprattutto a partire

Gerry Mulligane il

West Coast Jazz

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Enrico Bettinello

dagli anni Cinquanta, e che lo posero in qualche modo in un rap-porto dialettico di alterità rispetto a quello dell’altra costa.La prima caratteristica che ci viene da osservare è certamente quel-la legata alle diversità urbane: se New York offriva spazi ed econo-mie in cui i jazzisti potevano riconoscersi e sviluppare la propriamusica, a Los Angeles le cose erano un po’ diverse e i musicisti sitrovavano in un luogo in cui soffrivano da un lato di un maggiore iso-lamento, mentre aspiravano dall’altro a differenti modalità di lavoro,in modo particolare a entrare nel mondo dorato di Hollywood.Eppure un suono che si associa immediatamente al West CoastJazz c’è, non si può negarlo. Una attenzione particolare all’aspettocompositivo – specie in rapporto alla contemporanea semplificazio-ne dei temi e delle strutture che si stava compiendo in ambito hard-bop – con l’utilizzo di raffinate trame contrappuntistiche, una mag-giore rilassatezza esecutiva rispetto alla frenesia bop, una ricercatimbrica che coinvolgeva strumenti e formazioni differenti, sonosolo alcuni dei tratti che vengono alla mente quando parliamo diWest Coast Jazz. Che poi magari agli stessi musicisti l’idea di esse-re associati a uno stile suonava limitato e irrispettoso: lo stessoMulligan rivendicava stizzito il valore della propria musica indipen-dentemente dalla collocazione geografico-stilistica.Un ruolo essenziale, come è prevedibile, fu giocato anche dalle eti-chette discografiche locali, che riuscirono a fornire la giusta visibilitàagli artisti e che attrassero jazzmen da tutta la nazione. Labels comela Contemporary, la Pacific, la Dial per la quale incise anche CharlieParker, sono state in grado di dare al jazz californiano, o meglio aljazz suonato in California, un apporto determinante.Anche la presenza di importanti orchestre nel territorio, che proprionella metà degli anni Quaranta si erano trovate ad affrontare gros-se difficoltà economiche, si rivelò un fattore importante. Fu proprionelle big band di Woody Herman o di Stan Kenton che molti musi-cisti fecero esperienza non solo come strumentisti, ma anchecome compositori e arrangiatori. Questi ultimi poi contribuiranno inmodo decisivo alle migliori pagine del jazz californiano: ShortyRogers e Shelly Manne, ma anche Jimmy Giuffre, Bud Shank o

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Gerry Mulligan e il West Coast Jazz

Howard Rumsey, il contrabbassista che fu l’anima di uno dei primigruppi-simbolo del West Coast Jazz, quei Lighthouse All Stars chesi trovavano a suonare al Lighthouse Cafè di Hermosa Beach.Per l’orchestra di Kenton passò anche Gerry Mulligan, giunto inCalifornia all’inizio degli anni Cinquanta: il baritonista aveva già unabuona esperienza orchestrale, maturata con Gene Krupa e in parti-colare con Claude Tornhill e il gusto per sonorità pastose e raffina-te fu un tratto comune con l’amico Gil Evans. Alcuni brani simbolodel repertorio di “Birth of the Cool” portano la firma di Mulligan,come Jeru, Venus De Milo o Rocker, composizioni di acutissimoequilibrio tra le sonorità e lo sviluppo melodico.Giunto in California con un notevole bagaglio esecutivo, compositi-vo e di arrangiatore, Mulligan iniziò a suonare ogni lunedì, nel 1952,in un piccolo locale di Los Angeles, The Haig. Il quartetto com-prendeva anche Chet Baker alla tromba, Bob Whitlock al contrab-basso e Chico Hamilton alla batteria - ma la ritmica subì qualcheavvicendamento - ed è passato alla storia come il “pianoless quar-tet”, proprio per questa sua peculiare caratteristica di non averestrumento armonico.Sulle ragioni che portarono a questa scelta stilistica si è moltodiscusso. Come spesso succede, si tratta della combinazione traopzioni consapevoli e fattori contingenti: tra questi ultimi c’era ilfatto che il quartetto suonava nel club nella serata libera dal trio diRed Norvo che non richiedeva pianoforte sul palco. Anche la colla-borazione con il pianista Jimmy Rowles si interruppe e la formuladel quartetto senza pianoforte, che anche a livello di immagineebbe un ruolo non secondario, fu adottata con successo nelleprime incisioni per la Pacific, consentendo a Mulligan di affinare lepreziose linee contrappuntistiche, gli impasti tra il pacioso sarca-smo del baritono e il lirismo della tromba di Baker, la pungente con-dotta ritmica.Va detto che al successo del gruppo di Mulligan contribuì anche lasimpatia che il pubblico più colto, in maggior parte bianco, accordòa quel jazz di sapore cameristico, così come a quell’immagine di raf-finatezza un po’ blasé che fu sfruttata sapientemente e che rap-

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Enrico Bettinello

presenta un momento cruciale nella ridefinizione del ruolo stessodel jazzista rispetto al proprio pubblico, proprio in un periodo in cuiè più evidente il passaggio da musica strettamente popolare amusica “per un certo uditorio dai gusti affinati”.Sofisticato e al tempo stesso altamente comunicativo, quello diMulligan è certamente un momento imprescindibile del jazz dellaWest Coast: il quartetto con Baker fu allargato a tentet, riallaccian-dosi in un certo senso alle non dimenticate avventure del nonetto diDavis, coinvol-gendo alcuni deimusicisti piùsensibili dellascena california-na, da BudShank a PeteCandoli, e dimo-strando la straor-dinaria flessibilitàe fantasia comearrangiatore delbaritonista.Ma è da ricorda-re anche la colla-borazione conLee Konitz: i bra-ni registrati per laPacific svelanoun esemplaregioco dialetticotra i fiati, in gradodi insinuarsi nellearmonie di temiimmortali comeLover Man oThese Foolish

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Gerry Mulligan e il West Coast Jazz

Things con una forza espressiva ancor oggi sorprendente.A questi esiti artistici si affiancarono però presto diversi problemi: inprimis quelli legati alla droga, che portarono Mulligan in carcere perqualche mese, ma anche la separazione da Chet Baker. Ritornato aNew York nel 1954, e poi nuovamente in California, il baritonistaportò comunque avanti la formula “pianoless”, sostituendo Bakercon il trombettista Jon Eardley o con il trombone di BobBrookmeyer, allargando poi l’organico a questi due e al sassofonodi Zoot Sims e collaborando con altri giganti del jazz californiano tracui Paul Desmond o Dave Brubeck. Il musicista si trovò così nella curiosa situazione di essere un clas-sico anzitempo. La sua influenza su alcune direzioni del West CoastJazz è indiscutibile, ma la forza di questa musica non trovò il giustoappoggio promozionale e critico, tanto che è rimasta in gran parteuna musica di musicisti per musicisti, tanto ricca di idee e talentoquanto poco compresa ed efficace a livello mediatico. Non a casoalcuni dei più grandi jazzisti della costa occidentale che emersero inquegli anni, da Charles Mingus a Ornette Coleman, da Eric Dolphya Dexter Gordon, hanno trovato la loro fortuna sulla costa opposta.Anche dal punto di vista strettamente strumentale Mulligan è dive-nuto presto un classico: inizialmente orientato verso i più comunisax tenore e contralto, si dedicò poi esclusivamente al baritono, cuidiede una statura solistica autonoma. Se infatti fino a allora gli eroidel baritono erano da ricercare nelle grandi orchestre, un nome pertutti quello di Harry Carney nella big band di Duke Ellington, conMulligan lo strumento diventa un protagonista credibile a trecento-sessanta gradi: il suono è agile ed elegante, in grado di donare allefrenetiche frasi bop una cantabilità ironica ed efficace senza biso-gno di spingere sull’acceleratore. Se a questo aggiungiamo che l’u-nico possibile contendente alla “corona” fu il prematuramentescomparso Serge Chaloff, appare chiaro che il ruolo di re dello stru-mento non potesse venirgli insidiato da solidi boppers come CecilPayne o Pepper Adams. Sarà poi solo alla fine degli anni Sessanta,con la definitiva “democratizzazione” di tutti gli strumenti nel jazzpost-coltraniano e in quello europeo più evoluto, che il sax baritono

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troverà specialisti in grado di ridefinire ulteriormente le possibilitàdello strumento: possiamo citare, solo per fare qualche nome,Hamiett Bluiett all’interno del World Saxophone Quartet o l’ingleseJohn Surman, ma anche, in tempi più recenti, sassofonisti comeKen Vandermark o Mats Gustafsson.Tornando però a Mulligan e a quell’ingombrante status di classicoanzitempo a cui accennavamo, è probabile che il musicista sia statoin qualche senso “vittima” – ma si prenda il termine con la dovutaelasticità – del suo stesso talento e della sfolgorante immagine incui è stato immortalato.Nel prosieguo della carriera il sassofonista ha intrapreso progetti digrande valore, come la Concert Jazz Band, e collaborazioni curiosequanto stuzzicanti - una su tutte quella con Thelonious Monk -, masi ha in molti altri casi il senso di un appagamento estetico che rifug-ge i rischi dell’avventura: Mulligan è compositore ed esecutoresempre impeccabile e dall’incredibile vastità di soluzioni formali, mapreferisce lavorare di cesello sul proprio linguaggio piuttosto chespingerlo oltre i limiti acquisiti. Questa attitudine lo rende così personaggio ancora più emblemati-co per il West Coast Jazz, che da ciò ha tratto una significativa alte-rità rispetto al corpo comune del jazz, specie newyorkese: una alte-rità - ma non si devono dimenticare i tanti musicisti West Coast,specie neri, che a questa categoria non si possono accomunare -ricca di gemme poco conosciute e di edonistico rimirarsi. Le luci di Hollywood sullo sfondo, le onde dell’oceano che si infran-gono dolcemente sulla spiaggia: ogni luogo ha una sua storia musi-cale e quella del jazz californiano è rimasta forse incompiuta.Restano tanti capolavori e tanti artisti la cui musica è ancora oggi traquelle che non si dimenticheranno. �

Per saperne di più sul jazz californiano:

Ted Gioia, West Coast Jazz (1992, University of California Press)

Ascolti:

Gerry Mulligan: “The Complete Pacific Jazz and Capitol Recordings” (Mosaic Boxset)

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di Giorgio Rimondi

Help me, Yardbird, Help me!Langston Hughes

Suono e senso sono indissolubili nella cultura afroamericana, se èvero che fu la musica a sopravvivere agli orrori del middle passagee ad accompagnare la triste vicenda degli schiavi nel NuovoMondo. Non le usanze, gli ordinamenti sociali, una storia comune,ma la musica: quella strumentale, certo, ma anche quella vocale,le innumerevoli forme cantate che lentamente diedero vita allemusiche che precedono la nascita del blues e del jazz: work song,gospel, field holler… D’altra parte il canto non è solo il primo suonocon cui veniamo a contatto - a partire da quello materno, che ciacquieta e addormenta -, ma una componente peculiare dell’e-spressività afroamericana. Dalle glossolalie di Cab Calloway allatensione onomatopeica dello scat, dalle increspature di BillieHoliday ai virtuosismi di Ella Fitzgerald, la cultura afroamericanaoffre un panorama pressoché illimitato di varianti della vocalità.Poiché anche qui, come in genere accade nelle musiche di tradi-zione popolare, la voce che canta è il primo medium fra musica elinguaggio, ovvero fra suono e senso, poiché da un lato si rappor-ta alla parola che vuol “dire” qualcosa e dall’altro si fa luogo di ungodimento squisitamente acustico, che scompone e ricompone iltessuto linguistico per il puro piacere di trovare a ogni sillaba il suospecifico suono. Se dunque le canzoni hanno avuto tanta impor-tanza nella vicenda del jazz, nel contribuire al suo successo e allasua diffusione, questo conferma che il jazz è un’arte essenzial-mente vocale, che tiene conto del piacere fisico del corpo vibran-te, oltre che della volontà comunicativa del linguaggio.

Inside Songs:musica e letteratura

nella culturaafroamericana

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Giorgio Rimondi

Poeti e letterati afroamericani, d’altronde, lo hanno sempre sapu-to. Sono sempre rimasti affascinati dal potere performativo dellaparola detta, declamata, cantata, dall’effetto cinetico che essa pro-duce in chi l’ascolta. Per questo si sono ispirati alla black music,prima matrice della loro identità comunitaria. Per questo hannotentato in mille modi di “sonorizzare” il testo, di valorizzare la qua-lità fonica del discorso, di restituire almeno in parte la “presenza”vibrante del segno che sulla pagina tende a pietrificarsi. È quelloche fa ad esempio Langston Hughes in Ask Your Mama. TwelveMoods for Jazz, suggerendo addirittura al lettore l’idoneo accom-pagnamento sonoro del testo poetico:

IN THE TheIN THE QUARTER rhythmicallyIN THE QUARTER OF THE NEGROES roughWHERE THE DOORS ARE DOORS OF PAPER scrapingDUST OF DINGY ATOM Sof a guiraBLOWS A SCRATCHY SOUND continuesAMORPHOUS JACK-O’-LANTERNS CAPER monotonouslyAND THE WIND WON’T WAIT FOR MIDNIGHT until a lonelyFOR FUN TO BLOW DOORS DOWN flute call…

Ma è quello che avevano fatto prima di lui Helene Johnson e ZoraNeale Hurston, Sterling Brown e Waring Cuney, Claude McKay ePaul Laurence Dunbar. Ovvero tutti coloro che negli anni Venti die-dero vita alla cosiddetta Harlem Renaissance, l’epoca d’oro dellacultura nera poi immortalata da Francis Scott Fitzgerald come JazzAge. L’evoluzione della tecnologia, che proprio allora iniziava lagrande avventura delle registrazioni sonore, ci ha lasciato un certonumero di tracce che documentano i primi poetry reading, le primecommistioni fra musica e letteratura che illuminano le radici costi-tutive delle diverse ma convergenti anime del popolo nero, comedirebbe W.E.B. DuBois. Più tardi, nel secondo dopoguerra, un gruppo di giovani bianchi sin-ceramente affascinati dal jazz, e perdutamente innamorati di

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Inside Songs

Charlie Parker, tentò di articolare una vera e propria forma di “pro-sodia bop”. Allen Ginsberg e Jack Kerouac, i più famosi della cova-ta, forse cercavano una modalità americana per esprimere il flus-so di coscienza, forse miravano a ottenere una sacralizzazionedella spontaneità creatrice, ma comunque produssero risultati diun certo rilievo. Il secondo, in particolare, ponendo l’accento sullarespirazione e prendendo la jam session come modello, trasfor-mava il jazz in emblema di una rivolta individuale che certo non cor-risponde al sentimento dei musicisti e della comunità afroameri-cana. Ma questo nulla toglie alla musicalità della sua scrittura, enemmeno alla riuscita di alcune performance vocali con accompa-gnamento jazz divenute giustamente famose.Negli anni Sessanta il panorama si complica. Sono infatti gli annidelle grandi manifestazioni di protesta, delle rivolte nei ghetti, delradicalismo intellettuale e dell’utopismo politico: quelli della“nuova frontiera” di John F. Kennedy, del “sogno” di MartinLuther King, della scelta “islamica” di Malcolm X. Ma sono anchequelli del free jazz, che esplode come una meteora nel cielo dellamusica afroamericana facendo brillare, per non spegnersi mai più,gli astri di Ornette Coleman, Albert Ayler, Cecil Taylor, JohnColtrane. Sono anche quelli in cui il rapporto fra jazz e letteratura sifa più stretto, all’insegna di una visione del mondo radicalmentecontestataria e spesso politicamente rivoluzionaria. Basti pensareal lavoro dei Last Poets, che declamano a tempo di jazz contro ilrazzismo e la segregazione, alla produzione poetico-musicale diArchie Shepp, alle denunce “cantate” di Charles Mingus, alla vocedi Abbey Lincoln, che letteralmente urla i nomi dei popoli schiaviz-zati incalzata dal drumming di Max Roach. Così il jazz sfida la tra-dizione musicale occidentale, diventando la prima fonte d’ispira-zione per poeti e letterati che ormai si considerano alla stregua dimusicisti: «Le mie più forti influenze letterarie» scrive SamGreenlee «sono Charlie Parker, Lester Young, Miles Davis e BillieHoliday. Come scrittore io mi considero un musicista jazz, il cuistrumento è una macchina da scrivere». Molti autori pensano alla musicalizzazione della scrittura in termini

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fortemente ideologizzati. Edward Kamau Brathwaite parla dell’elo-quenza dell’esitazione, della forza espressiva di una prosa asim-metrica come la musica di Thelonious Monk. Amiri Baraka propo-ne una prosa jazzistica che mediante l’elemento cinetico della sor-presa produca un sound movimentato e antiassimilatorio. Tuttivalorizzano la tradizione del double talk, riconoscono la necessitàdi giocare con le parole e di infrangere le regole della comunica-zione scritta, per dare al popolo nero una voce che sia la sua. Tutticercano di nominare quell’alterità che si produce ascoltando imovimenti della voce dentro il testo. E mentre il jazz si mette a rac-contare storie, i letterati celebrano la musica. Quella di JohnColtrane, in particolare: Michael Harper intitola la sua prima raccol-ta di versi Dear John, Dear Coltrane, A.B. Spellman riflette sull’in-fluenza spirituale di quella musica, Askia Touré, Caroline Rodgers,Jayne Cortez le dedicano poesie. Nasce così un corpus di testi checostituiscono una sorta di nuovo genere poetico, i “ColtranePoems”. Essi celebrano l’arte del grande sassofonista ricono-scendolo come guida spirituale, come colui che insegna l’unicità el’unità della black experience, che trasforma l’artista nero in uneroe culturale. È a quest’altezza, temporale e culturale, che si (ri)affaccia ladomanda: come possono i poeti neri fare con le parole ciò chefanno i jazzisti? Come possono usare il linguaggio con la stessalibertà che consente la musica? Molteplici sono le risposte, poichéogni singola voce ha tracciato in modo originale il proprio percorso.Fra le altre, quella di Amiri Baraka ha probabilmente fornito la piùgrande quantità di materiali su cui riflettere. Già negli anni Settanta,dopo aver capito che la storia della letteratura afroamericana dove-va essere ricostruita in un’ottica “nera”, si è impegnato nel com-pito di mettervi ordine a partire dalle slave narratives, i raccontidegli schiavi, valorizzando il lavoro di Frederick Douglass e ren-dendo successivamente omaggio a personalità come W.E.B.DuBois, Langston Hughes, Richard Wright. A partire dalla musicaha poi definito il concetto di “tradizione”, impegnandosi a fornirneesempi in testi come In the Tradition, fondamentale per compren-

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Inside Songs

dere la sua poetica, e nei ripetuti omaggi a Monk, Coltrane, MilesDavis, Sun Ra. La sua intensa produzione poetica disegna così ilcontinuum di quella cultura che egli sente strettamente correlataalla soggettività afroamericana, una soggettività che si esprimesoprattutto nell’improvvisazione e nella performance. Da questoderiva quella particolare forma espressiva che Baraka chiama poe-trymusic, forse la più convincente dimostrazione delle tesi espostenel celeberrimo Il popolo del blues.Su questa strada, a un certo punto, ha incontrato William Parker,compositore, musicista, organizzatore e intellettuale di areanewyorkese proveniente dall’esperienza del free. I due hannoavviato una ormai lunga e costruttiva collaborazione, poiché con-dividono la stessa idea della musica e della cultura afroamerica-ne, cui attribuiscono una qualità “rivelatrice”, e liberatrice, chesi manifesta negli ambiti più diversi: dalla storia alla spiritualità ealla socialità.

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A questa condivisione si deve il progetto legato alle canzoni diCurtis Mayfield, compositore nero influenzato dal gospel e dalrhythm’n’blues che prima di morire, nel 1999, ha lasciato un grannumero di canzoni diventate giustamente famose: People GetReady, I’m So Proud, Keep On Pushing, Move On Up, We’re AWinner… A queste canzoni Parker e Baraka dedicano uno spetta-colo-concerto intitolato “The Inside Songs of Curtis Mayfield”, checelebra la grande creatività, e l’altrettanto grande umanità, di unartista ingiustamente relegato nell’ambito della musica di consu-mo e che la comunità afroamericana sta invece rivalutando. I suoitesti, infatti, sempre in bilico fra spiritualità e protesta, manifesta-no una forte carica rivendicativa e sostengono la causa dell’auto-nomia estetica e culturale del black people. Ha scritto WilliamParker: «Immaginiamo il Creatore: una parte della sua voce si èespressa attraverso Duke Ellington, un’altra parte attraverso AlbertAyler, e un’altra parte ancora attraverso Curtis Mayfield». In que-ste parole la tradizione musicale nera, sentita come una, sola eindivisibile, viene così ricostruita attraverso le varie voci che lacompongono, ognuna al suo posto, ma tutte alla pari, perché,come sostiene Baraka: «Noi capiamo Marta & the Vandellas eSmokey proprio come comprendiamo Albert Ayler, OrnetteColeman e Trane. Per noi sono solo voci differenti di una stessafamiglia, voci differenti della stessa comunità».“Inside Songs”, allora, ovvero canzoni per dare voce a un’interio-rità troppo a lungo negata. Canzoni alla ricerca del suono interiore,che anima il cuore stesso del pensiero e della scrittura; o forse allaricerca di un pensiero che sia in grado di ascoltare l’intima musi-calità del corpo e delle sue manifestazioni, secondo una logica incui tutto si tiene: interno ed esterno, sensibile e intelligibile, musi-ca e scrittura, body & soul… �

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di Francesco Martinelli

Premessa

La storia del jazz tedesco è statanaturalmente segnata dai drammati-

ci avvenimenti storici che, in un periodo di circa sessant’anni, com-prendente diverse fasi cruciali dello sviluppo della musica afroame-ricana (1936-1989) hanno prima portato alla proibizione della musi-ca di origine afroamericana come “decadente” e poi hanno visto ilpaese diviso in due, con la Germania est che attuava una contrad-dittoria politica di sostegno teorico al jazz, in quanto musica che rap-presentava una razza oppressa dal capitalismo, sottoponendo allostesso tempo i propri musicisti di jazz al più stretto controllo. Perquanto riguarda la storia del jazz in Germania, quindi, si deve far rife-rimento a quattro periodi con caratteristiche assai specifiche:

1. 1890-1936: prime tournées di artisti afroamericani, il jazz nell’e-ra di Weimar;

2. 1936-1945: proibizione e persecuzione del jazz sotto il nazismo;3. 1945-1989: storie parallele all’est e all’ovest;4. 1989 fino ad oggi: il jazz nella Germania moderna e riunificata

Nell’ambito di ciascun periodo si manifestano movimenti e opzio-ni stilistiche diverse, attraverso uno sviluppo complesso che fadella Germania di oggi uno dei paesi leader del jazz del VecchioContinente; il jazz tedesco è all’origine legato ai movimenti jazzi-stici e più in generale musicali dei paesi dell’intera Mitteleuropa, daquella che oggi è la Repubblica Ceca fino all’Austria, e per questonel corso di questo articolo faremo riferimenti anche a musicisti diqueste aree. La storia del jazz tedesco del dopoguerra è stata inol-

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tre senza dubbio caratterizzata dalle attività del trombonista AlbertMangelsdorff e dello studioso Joachim Ernst Berendt, cui sonodedicati due paragrafi a parte per la loro centralità. A partire daglianni ’60, con caratteristiche differenziate a Berlino, Wuppertal,Monaco e Baden-Baden la Germania si afferma come uno dei cen-tri produttivi più importanti per il nuovo jazz europeo, in particolareper quanto riguarda festival e concerti, grandi organici e orchestre,produzione discografica. Per comprendere meglio questa storia èmeglio affrontare separatamente i vari periodi.

1. 1890-1936

Grazie al lavoro di ricerca di Rainer Lotz e altri studiosi, oggi si haun quadro molto più preciso delle troupe di spettacolo afroameri-cano che arrivarono in Europa dopo il grande successo nel 1873della prima tournée dei Fisk Jubilee Singers con il loro repertorio“spiritual”. Gli artisti di origine afroamericana, cantanti, ballerini emusicisti di jazz, erano assai popolari in Germania, e il jazz era con-siderato la musica del momento nel periodo della Repubblica diWeimar, influenzando anche compositori di musica classica. I“Minstrel Show” e tutte le danze derivate dal ragtime erano diven-tate di moda alle corti di Wittelsbach, Habsburg e Hohenzollern,con i gruppi americani che li proponevano, in opposizione alledanze “popolareggianti” del secolo XIX. Prima dell’avvento alpotere di Hitler nel 1933, le persone di tedesche “di colore” (tracui le centinaia di bambini nati da convivenze tra coppie “miste”nel periodo della occupazione da parte di truppe coloniali francesinella regione del Reno dopo la prima guerra mondiale) erano tran-quillamente accettate. Secondo il compositore George Antheil, l’impatto negli anni’10/’20 di orchestre come quelle di Sam Woodings, di LouisMitchell o di Jack Hylton fu paragonabile a quello della prima ese-cuzione della Sagra della primavera di Stravinsky a Parigi, diretta daquello stesso Ernest Ansermet che nel suo articolo per La RevueRomande si entusiasmava in quel periodo per la perfezione ed ilgusto delle improvvisazioni di Sidney Bechet, paragonando i suoi

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assoli addirittura al Secondo Concerto Brandeburghese di Bach.Nell’aprile del 1925 una rivista d’avanguardia tedesca dava il ben-venuto al jazz come liberatore dal romanticismo di maniera, in toniaffini al nostro futurismo: “...questo diabolico jazz potrebbe segna-re l’inizio di una rivoluzione... quando lo si ascolta in qualche loca-laccio, o su disco, pesa molto di più che una mezza dozzina di sera-te passate in teatro ad ascoltare concerti qualsiasi. Ed è più serio....per noi il jazz è prima di tutto America. Istinto atavico di ribellionecontro una cultura musicale priva di ritmo. Immagine dei tempi:caos, macchinari, rumori, al massimo dell’intensità - trionfo dellospirito che scintilla con una nuova melodia, un nuovo colore.... Jazzsignifica combattere l’ipocrita Biedermeier che viene spesso con-fuso con il romanticismo.”Purtroppo le orchestre da ballo e da cabaret di Weimar non eranoal livello di quelle citate prima, e in maggioranza eseguivano musi-ca da ballo sincopata, tra tango e charleston, che veniva in quelperiodo accettata come jazz. Una delle cause della carenza diorchestre di livello internazionale nel periodo di Weimar fu la terri-bile svalutazione della moneta che rendeva i costi proibitivi e chefu alla fine una delle cause scatenanti il fallimento del primo regi-me liberale e democratico in Germania. È proprio il “surrogato” dijazz a cui fu allora esposto ad aver probabilmente causato l’ira suc-cessiva di Adorno e la sua celeberrima invettiva: il filosofo fu pro-babilmente mal consigliato e certo non si era mantenuto informa-to sull’argomento. Tra le star che visitarono dopo il 1925 laGermania pre-hitleriana ci sono Josephine Baker e PaulWhiteman: il loro successo spinse musicisti “da ballo” come LudGluskin e l’italo-americano Michael Danzi a creare orchestre localidi sapore jazzistico integrando musicisti tedeschi con solisti fattivenire apposta da oltreoceano o da altri paesi europei. Pittoriespressionisti come Otto Dix raffigurano locali, musicisti e balleri-ni di jazz, mentre nel 1927 l’ebreo Boemo Hans Janowitz pubblicala prima opera narrativa europea di profonda ispirazione jazzistica,e lo stesso Herman Hesse ne Il lupo della steppa usa il jazz comeuno dei simboli della complessità psicologica del protagonista,

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basando pare la figura del sassofonista Pablo su Sidney Bechet. Illibro sarà poi tradotto in film da Fred Haines nel periodo psichede-lico, e la colonna sonora composta dal pianista svizzero GeorgeGruntz - con il sassofonista italo-americano Charlie Mariano, cherisiede da decenni in Germania - è una delle migliori e più sottova-lutate partiture jazzistiche per il cinema.Il simbolo dell’influenza del jazz sulla musica classica europea, maanche il sintomo degli equivoci insiti in una ricezione meramentecompositiva, è l’opera di Ernst Krenek Jonny Spielt Auf (Jonny dàil via all’orchestra), presentata il 10 febbraio del 1927 a Lipsia.L’austriaco Krenek era una figura centrale della musica a Vienna,per un breve periodo fu anche genero dello stesso Mahler, e nel1925 a Francoforte ebbe occasione di vedere Chocolate Kiddies,uno spettacolo americano basato sulla musica di Ellington, ese-guito da un’orchestra di cui facevano parte musicisti del calibro diTommy Ladnier, Herb Flemming e Gene Sedric: fu questa l’ispira-zione per la sua nuova opera, in cui simbolicamente la musicaeuropea e quella afroamericana si incontrano attraverso il protago-nista e il suo strumento. Il protagonista è un musicista di jazz afroa-mericano che vuole suonare il violino, simbolo della musica euro-pea; la storia comprende un amore interrazziale; l’allestimento èispirato all’arte espressionista e al modernismo del Bauhaus, sot-tolineato dall’uso di tecnologie appena sviluppate come telefoni,radio e automobili. Nella musica, armonie jazzistiche e tempi sin-copati incontrano la tradizione orchestrale europea postromantica.Tra i più interessanti esempi del primo jazz tedesco c’è l’orchestradi Eric Borchard, clarinettista e sassofonista che nel 1923 andò aNew York per ingaggiare musicisti americani. Tornò con il trombo-nista di New Orleans Emile Christian, che aveva suonato con laOriginal Dixieland Jass Band. Borchard nel 1924 incise una versio-ne di Aggravatin’ Papa ispirata al disco originale degli OriginalMemphis Five (febbraio 1923) in cui i musicisti tedeschi dimostra-no sufficiente confidenza con il nuovo idioma. Pochi anni dopo, nel1929, il compositore tedesco-ungherese Matyas Seiber fondò alloHoch’sches Konservatorium di Francoforte sul Meno la “Jazz-

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Il jazz in Germania

Klasse”, il primo corso ufficiale di alta formazione jazzistica inEuropa e probabilmente nel mondo.

2. Il jazz sotto il nazismo

Un dialogo era stato avviato tra la tradizione musicale europea equella afroamericana, e molti musicisti stavano realizzando chesuonare jazz era qualcosa di più complicato e più eccitante del suo-nare musica da ballo sincopata; ma l’avvento del nazismo inter-ruppe ogni possibile sviluppo. Joseph Goebbels, capo della propa-ganda, odiava il jazz e la musica contemporanea, che furono benpresto messi fuorilegge come esempi di “musica negroide dellagiungla”. A partire dal 1938, anno di uscita del libro EntarteteMusik (Musica degenerata), con la creazione del relativo centro didocumentazione, le milizie naziste ebbero precisi ordini sul con-trollo della musica che si suonava nei locali notturni e su comereprimere - con tortura e deportazione - chi la suonava. Opere cele-berrime di Mendelssohn, Mahler e Schoenberg vennero usate

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come esempio: un’intera generazione di talenti fu messa al bandoe intorno al jazz si cercò di fare terra bruciata. Data l’ignoranzamusicale dei controllori, tuttavia, molto spesso l’unico modo diidentificare il jazz era dai titoli che furono ben presto mascherati:Tiger Rag diventò Schwarzer Panther (La pantera nera) o addirittu-ra Löwenjagd im Taunus (A caccia di leoni nella foresta del Taunus).Sopravvive qualche esempio di jazz tedesco degli anni ’40: e un’in-cisione del brano di Jimmie Lunceford Time’s A-Wastin da partedell’orchestra di Kurt Hohenberger (di cui faceva parte il pianistaFritz Schulz-Reichel, che raggiunse una certa popolarità dopo laguerra con lo pseudonimo di Crazy Otto), dimostra che il livello deimigliori musicisti di jazz tedesco era, malgrado tutto, paragonabilea quello dei contemporanei gruppi inglesi o francesi. Nel frattempo i “non-ariani” - ebrei, zingari, ma anche i relativa-mente rari tedeschi di razza mista europea/africana - venivanoavviati ai campi di concentramento. Krenek, come Schoenberg,dovette emigrare, e fu più fortunato di compositori come ErvinSchulhoff che scrisse opere ispirate al jazz fino dal periodo 1919-1923, per sposare poi una sorta di “realismo socialista”: Schulhofffu catturato dai nazisti a Praga nel 1939 e ucciso in campo di con-centramento nel 1942. A Theresienstadt/Terezin, il campo di con-centramento usato per dimostrare come venivano trattati bene gliinternati, c’erano perfino due gruppi di jazz: i Ghetto Swingers, gui-dati dal trombettista ceco Erich Vogel, e il Jazz-Quintet-Weiss, conil famoso clarinettista e sassofonista Fritz Weiss. Quasi tutti que-sti musicisti perirono nelle camere a gas e uno dei tre sopravvis-suti descrisse l’esperienza in due memorabili articoli su Downbeat. Un caso particolare è quello di Charlie and His Orchestra, la bigband swing guidata da Karl Schwedler. I suoi dischi erano infattiregistrati su commissione del ministero della propaganda, cioèdello stesso Joseph Goebbels, per essere radiotrasmessi in terri-torio nemico, in particolare in Inghilterra. Schwedler cantava ininglese le parti vocali originali delle canzoni americane in voga alloscopo di attirare gli ascoltatori, ma il ritornello successivo conte-neva un testo di propaganda mirato a demoralizzare il nemico.

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Dell’orchestra facevano parte i migliori musicisti swing fatti arriva-re da tutta Europa: il pianista italiano Primo Angeli, il clarinettistabelga Benny de Weille, il trombonista Willy Berking, il sax tenoreEugen Henkel e il batterista Freddie Brocksieper suonavano,suprema ironia della storia, musica swing al soldo dei nazisti. Ma imotivi erano anche diversi: Brocksieper ad esempio aveva nonniebrei, e suonando con “Charlie” si salvò dai campi di concentra-mento. Alcuni dei musicisti dell’orchestra continuarono la profes-sione nel dopoguerra, minimizzando il loro ruolo nella band; altrifurono emarginati come collaborazionisti, molti restarono inGermania per paura di come sarebbero stati accolti in patria. Ma lasopravvivenza di gruppi jazz tedeschi e la stessa esistenza dell’or-chestra di Charlie sono anche la manifestazione di una sotterraneadivisione ideologica e culturale all’interno del nazismo, i cui gerar-chi si combattevano l’un l’altro in lotte di potere personali pren-dendo spesso a pretesto musica e cultura. I giovani tedeschi eranoattratti dalla nuova musica come tutti gli altri e il regime era divisotra un ideologico tradizionalismo e la modernizzazione tecnologica:l’ambiguità del jazz, figlio di una musica tradizionale e allo stessotempo musica del futuro, confondeva gli ideologi e assicurava allamusica un margine di sopravvivenza. L’esempio più celebre sonole riviste clandestine di jazz che circolavano perfino nell’esercito,grazie a personaggi come Dietrich Schulz-Köhn, alto ufficiale tede-sco nella Parigi occupata che rimase amico di Charles Delaunay,culturalmente vicino alla Resistenza, e che protesse musicisticome Django senza troppe interferenze dei suoi comandanti.

3. 1945-1989

3.1 Dal dixieland al cool

Erano passati solo nove giorni dalla fine della guerra quando CarloBohländer, trombettista di Francoforte, si presentò al comandantedelle truppe americane per poter aprire un jazz club in cui far suo-nare il gruppo del Frankfurt Hot Club. L’ampiezza del loro reperto-rio convinse l’ufficiale che non si trattava di un tentativo di ingra-ziarsi gli occupanti, e che questi musicisti avevano suonato clan-

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Francesco Martinelli

destinamente jazz anche sotto i nazisti. Dopo la guerra nessunosembrava esser stato nazista in Germania, ma questi musicistipotevano provare la loro estraneità al regime e alla sua cultura.Come prima del Reich, lo swing e i balli a esso associati tornaronoad essere di moda affascinando le giovani generazioni che voleva-no dimenticare tutto degli anni precedenti. Gli Hot Club uscironodalla clandestinità almeno nella parte ovest della Germania ecominciarono ad organizzare attività pubbliche. Il loro modelloerano i club francesi e, accanto alla diffusione di rivistine ciclostila-te, gli Hot Club tedeschi organizzavano gite a Parigi non per visita-re il Louvre o Notre-Dame ma per andare alle “caves” jazzistichedi Saint-German-des-Pres dove si esibivano anche molti musicistiamericani espatriati. I club parigini offrirono il modello per il primolocale jazzistico tedesco, aperto nel 1952 dallo stesso CarloBohländer: il Domicile du Jazz a Francoforte, ancora attivo comeJazzkeller. I musicisti suonavano ancora dixieland e swing, madovettero ben presto cominciare ad arrabattarsi con i nuovi e com-plessi stili del jazz del dopoguerra, a partire dal bebop, sia pure inmaniera differenziata nelle varie zone della Germania. Amburgo, per esempio, era al centro di una zona controllata dalletruppe inglesi, ed è nella città anseatica che si diffuse maggior-mente la passione per il jazz tradizionale, influenzata dal dixielande dallo skiffle inglesi: musicisti come Abbi Hübner, i Black Birds ofParadise, e altre orchestre si concentrarono sul Dixieland e sul jazzdi New Orleans, che era naturalmente popolare anche in altre città:la Barrelhouse Jazzband, continuamente in attività dal 1953 aFrancoforte, suona ancora la propria versione degli stili arcaici deljazz, non limitandosi a copiarli, ma introducendo innovazioni creati-ve e personali. Le aree occupate dagli americani, comeFrancoforte, Brema e Monaco, videro un maggiore influsso di gio-vani musicisti americani influenzati dal bebop e dagli stili piùmoderni: a Monaco il tenorista Max Greger suonava una musicabasata sullo swing e sul blues, mentre a Berlino Helmut Brandtguidava già all’inizio degli anni ’50 un gruppo ispirato al suonocameristico della Tuba Band di Miles Davis.

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Il jazz in Germania

È tuttavia Francoforte che emerge in quel decennio come la culladel jazz tedesco moderno, grazie alle attività del trombonista AlbertMangelsdorf, del tenorista Joki Freund, e di una giovane pianistadi Lipsia, Jutta Hipp. Il viennese Hans Koller, che in quel periodoviveva in Germania, suonava uno stile ispirato al cool insieme aMangelsdorf e al chitarrista Attila Zoller. Koller fu molto importan-te per diffondere a livello internazionale l’idea che il jazz tedesconon era una pura imitazione di quello americano: Melody Makerintitolò un suo celebre articolo sul jazz in Germania “Jazz inKollerland”. Nel 1957 Koller entrò nella big band della SWF Radiodi Baden-Baden, guidata dal compositore e arrangiatore america-no Eddie Sauter; successivamente condusse esperimenti sia nellalibera improvvisazione, sia creando complesse strutture composi-tive per big band e per il suo ensemble di sassofoni. Le radio ame-ricane offrirono a molti giovani jazzisti tedeschi l’occasione diascoltare il jazz contemporaneo e, nei club per i G.I., ebbero l’oc-casione - fino all’avvento del rock’n’roll - di migliorare il loro livellotecnico suonando con cachet decorosi insieme a musicisti profes-sionisti americani. Negli anni successivi la Germania svolge un ruolo importante nel-l’avviare una prospettiva continentale per il jazz europeo, superan-do le divisioni tra le varie scene nazionali: l’International YouthBand, riunita nel 1958 per suonare al Newport Jazz Festival, com-prende Mangelsdorff. Nel 1961 Joachim Ernst Berendt crea leEuropean All Stars e nel 1963 Gigi Campi, un ristoratore italiano diColonia con una grande passione per il jazz, fonda la prima bigband pan-europea, sotto la guida del pianista belga Francy Bolande del batterista americano espatriato a Parigi Kenny Clarke. Il pia-nista e vibrafonista di Heidelberg Karl Berger si trasferisce a Parigiper suonare con Gato Barbieri e Don Cherry; quest’ultimo lo spin-ge a trasferirsi negli USA dove, nel 1971, insieme a OrnetteColeman ed altri musicisti, Berger fonda il Creative Music Studio,un laboratorio di musica mondiale improvvisata ancor’oggi assaiinfluente.

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3.2 La liberazione dai modelli americani

Come nel resto del mondo, i musicisti tedeschi degli anni ’60 sonostati ispirati dall’opera di John Coltrane, Charles Mingus, CecilTaylor e Ornette Coleman, che hanno cercato di rimuovere i limitiinsiti nella maggior parte degli stili precedenti. Grazie a questi inno-vatori non solo sono state eliminate le regole formali, ma i jazzmendi tutto il mondo si sono affrancati dall’idea che le innovazioni neljazz potessero venire solo da Oltreoceano. La libertà conquistataera psicologica ancora prima che formale: se le figure guida dellamusica afroamericana potevano impiegare, accanto alla liberaimprovvisazione, anche materiali diversi di provenienza europea -musica spagnola, opera, canti popolari, e così via dicendo - anchei musicisti europei si sentivano liberi di creare una musica basatasulla propria biografia personale e artistica, integrando tutti gli ele-menti della propria cultura. Oltre a Mangelsdorff, sono statiManfred Schoof, Gunter Hampel, Peter Brötzmann e Alexandervon Schlippenbach a sviluppare concezioni musicali personali,creando una musica radicata nella tradizione jazzistica ma diversada quanto era stato sviluppato nella terra d’origine del jazz. Un par-ticolare ruolo in questa fase ha avuto la città di Wuppertal, nota peruna scena artistica attiva nel campo del teatro, della danza, dellearti visive: in questo ambiente stimolante due musicisti di grandecapacità visionaria, il clarinettista e sassofonista Peter Brötzmanne il bassista Peter Kowald, iniziarono non solo a creare musica libe-ramente improvvisata, ma a creare una rete di collegamento conmusicisti tedeschi e degli altri Paesi, attraverso forme di autopro-duzione e autorganizzazione in cui il contenuto artistico era con-trollato dai musicisti stessi e non da una struttura commerciale dipromotori o produttori. Nel 1966 Brötzmann e Kowald fondaronoa Berlino la New Artists Guild insieme a Schoof e vonSchlippenbach; dalla Guild nacque l’etichetta FMP, dedicata adocumentare il nuovo jazz europeo su disco e a organizzare i festi-val berlinesi a loro dedicati: il Total Music Meeting e il Free JazzWorkshop. Il manifesto di questo movimento è senza dubbio“Machine Gun” pubblicato a nome di Brötzmann nel 1968: ispira-

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to da Albert Ayler e Pharoah Sanders, è basato su una brucianteintensità, che Brötzmann ancora mantiene pur avendo dimostrato,specie nelle sue recenti collaborazioni con musicisti di Chicago, unlato più morbido e melodico. L’altro organico significativo, cheinclude buona parte degli stessi musicisti, è la Globe UnityOrchestra, creata dal pianista Alexander von Schlippenbach ametà degli anni ’60 con l’obiettivo di integrare libera improvvisa-zione e musica strutturata in un organico orchestrale arricchito damusicisti di tutta Europa e spesso anche americani. Oltre aBrötzmann e Kowald, ne hanno fatto parte, tra gli altri, GunterHampel, specialista del vibrafono e del clarinetto basso, il sas-sofonista olandese Willem Breuker, gli inglesi Evan Parker e DerekBailey, il canadese Kenny Wheeler, l’italiano Enrico Rava. Nel loroprimo disco, “Globe Unity” del 1966, la presenza di complessecomposizioni non pregiudica la libertà dei singoli musicisti, e que-sto approccio sarà influente anche nel campo della musica acca-demica grazie all’attività di musicisti di “confine” come VinkoGlobokar o Michel Portal, con risultati assai diversi e probabilmen-te più riusciti rispetto alla “terza corrente” americana che muove-va da premesse simili. Nei decenni successivi il jazz in Europa si sviluppa in direzioni diver-se: la libera improvvisazione è ben radicata e resta una opzioneespressiva che i giovani musicisti sono liberi di utilizzare nella loromusica. Cresce l’interesse per l’utilizzo di materiali provenientidalle tradizioni popolari con l’elaborazione di varie forme di “folklo-re immaginario” da parte dei clarinettisti e sassofonisti LouisSclavis in Francia, John Surman in Inghilterra e Gianluigi Trovesi inItalia. Il jazz-rock, o fusion, ha in Germania un importante seguitotra il pubblico e, insieme a Mangelsdorff, alcuni tra i migliori musi-cisti tedeschi come Wolfgang Dauner, Volker Kriegel e EberhardWeber creano la longeva orchestra United Jazz and RockEnsemble, mentre l’hard-bop conosce una nuova popolarità tra legiovani generazioni di musicisti ad imitazione del jazz americanopiù mainstream.

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3.3 Arte e burocrazia in Germania est

Dopo l’inizio della guerra fredda i musicisti della Germania est nonhanno potuto confrontarsi direttamente con quelli americani, maforse proprio per questo hanno sviluppato proprie concezioni musi-cali originali che, grazie alla censura del regime, hanno raggiuntouna popolarità superiore rispetto ai loro colleghi dell’ovest, fino allacaduta del muro di Berlino. Dopo la fine della guerra, ma primadella fondazione ufficiale della Repubblica Democratica Tedescanel 1949, il trombettista di Ellington Rex Stewart aveva registratodiverse facciate con un organico creato nell’ambito del Berlin HotClub, che vennero poi pubblicate dalla etichetta di stato della DDR,“Amiga”. L’atteggiamento del regime verso il jazz era a correntealternata: appoggiava la musica dei “neri oppressi”, ma scorag-giava i tentativi di musicisti locali di cercarne una propria versioneperché i “reazionari” potevano usare questi tentativi per raggrup-pare l’opposizione; in questo la DDR seguiva pedissequamente lalinea dettata dall’URSS. Ma le trasmissioni radio non potevanoessere fermate e quindi i giovani musicisti della Germania estascoltavano le emittenti americane e tedesche dell’ovest, con illoro programmi jazz, per poter raccogliere informazioni e reperto-rio per le loro orchestre che, malgrado tutto, sopravvivevano astento. L’orchestra da ballo di Radio Berlin (RBT) suonava swingdal 1945; l’omologa di Dresda dal 1951, sotto la direzione del pia-nista Günter Hörig, mentre Eberhard Weise aveva fondato nel1957 il suo gruppo di stile più moderno. La censura sul jazz, infatti, nel corso della seconda metà degli anni’50 si era allentata e nell’ambito di numerose organizzazioni dellagioventù comunista si erano formati circoli di jazz, diventato, spe-cie nelle sue forme più contemporanee, un simbolo di libertà. Nel1971 Karlheinz Drechsel della GDR, la radio di stato, fonda ilDixieland Festival di Dresda, che diventa il maggior festival di jazztradizionale d’Europa. Nella cittadina di Peitz, tra il 1973 e il 1982,viene organizzato un festival dedicato alla musica improvvisata e alfree jazz che attrae migliaia di giovani, eccitati dalla prospettiva diascoltare qualcosa che sfuggiva per sua natura alle direttive del

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partito-stato. Naturalmente tutte queste attività sono tenute sottocontrollo da agenti infiltrati e collaboratori ufficiosi che vigilano con-tro ogni segno di politicizzazione esplicita.La costruzione del muro di Berlino, nel 1961, mette fine alla pos-sibilità per gli appassionati di jazz di andare a sentire musicisti ame-ricani nella parte ovest della città, così che essi prendono la stradadi Praga o ancor più di Varsavia, dove il Jazz Jamboree presenta,spesso con l’aiuto di agenzie governative, i più importanti musici-sti degli USA, senza tuttavia trascurare la promozione dei musici-sti polacchi ed europei. Nel 1969 Manfred Schulze crea un quin-tetto di ottoni per eseguire la sua musica che ha l’obiettivo di fon-dere composizioni accademiche contemporanee, annotate congrande dettaglio, con la libera improvvisazione. Il sassofonistaFriedhelm Schönfeld è tra i primi a sperimentare forme di improv-visazione libera, ben presto seguito da Ernst-Ludwig Petrowsky edal suo gruppo Studio IV.Negli anni ’70 emerge la prima generazione di jazzmen della Ger-mania est, che cerca una forma jazzistica originale, trovandola inuna maggiore attenzione alle strutture compositive rispetto ai con-temporanei dell’ovest. Petrowsky, Ulrich Gumpert, Conny Bauer,Günter “Baby” Sommer e Joe Sachse utilizzano la libera im-provvisazione all’interno di brani accuratamente strutturati, il chepermette loro di accedere alle tournée organizzate dalla DDR per iloro artisti di musica classica. Günter Sommer si esibisce nellaGermania dell’ovest con lo scrittore Günther Grass, e altri lavora-no con pittori, scultori, mimi e attori. I loro giri sono sempre accom-pagnati da cani da guardia ufficiali, chiamati “sacchi di sabbia” daimusicisti, da cui il titolo A Sandbag Too Much dato da Petrowskya una delle sue composizioni. Nel 1973 viene fondato il SynopsisQuartet con Petrowsky, Conny Bauer, Ulrich Gumpert e Günter“Baby” Sommer; il gruppo si scioglie nel 1978 per rinascere poinegli anni ’80 come Zentralquartett (allusione al Comitato Centrale,il vertice della burocrazia politica nei Paesi comunisti). Zentral-quartett continua ad esibirsi anche dopo la caduta della Germaniaest, come anche Doppelmoppel, l’inusuale quartetto creato nel

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1981 dai due trombonisti Conny e Johannes Bauer e dai due chi-tarristi Uwe Kropinski e Joe Sachse. Tutte queste formazionihanno in comune l’uso di passaggi melodici e lirici, l’alternanza diserietà e umorismo, il senso del teatro e dell’allusione ereditatodalla vita di tutti i giorni sotto un regime in cui non ci si potevaesprimere direttamente. L’orchestra-laboratorio fondata da UlrichGumpert combina questi elementi in dischi assai riusciti come“Echos vom Karolinenhof” del 1979: melodie folk, free jazz, esplo-razioni materiche, marce e melodie che potrebbero venire dallapenna di Hans Eisler. Tra i musicisti più importanti emersi nellaDDR troviamo i fratelli Kühn: Rolf, clarinettista, e il minoreJoachim, pianista. Rolf emigra all’ovest ancora prima della costru-zione del muro, arrivando fino a suonare negli USA. Joachim scap-pa nel 1965 grazie all’invito di Friedrich Gulda a partecipare al con-corso pianistico di Vienna e si stabilisce nella Germania ovest dovediventa una delle figure guida del jazz europeo, combinando ele-menti diversi, come l’ispirazione di Ornette Coleman, con la seco-lare tradizione musicale della sua città, la bachiana Lipsia.

3.4 Albert Mangelsdorff, il trombone globale

Nella sua carriera il trombonista tedesco è riuscito a conquistare ea mantenere l’affetto del pubblico senza rinunciare allo spirito diesplorazione che l’aveva spinto a suonare jazz. La sua personalitàmusicale, basata su una straordinaria ed originale tecnica stru-mentale, sulla capacità di selezionare musicisti per convincentiprogetti di gruppo, e sulla sua apertura alle collaborazioni con arti-sti di tutte le tradizioni, ne hanno fatto il miglior biglietto da visitaper il jazz tedesco. Nato di una famiglia di musicisti ha cominciatoa suonare grazie alla spinta del fratello Emil, altosassofonista,imbracciando prima la chitarra e poi il trombone, nel 1948, stru-mento con il quale si è cimentato professionalmente nei club diFrancoforte. Ha anche incontrato numerosi musicisti americani neilocali aperti per le truppe d’occupazione. Nel 1953 ha registrato ilpromo disco con il tenorista Hans Koller, e dalla metà del decennioè stato membro delle German All Stars. Inizialmente influenzato

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dal suono della scuola di Lennie Tristano, si è successivamenteavvicinato all’hard-bop e poi al free jazz, senza imitare nessuno diquesti stili. A partire dal 1970 Mangelsdorff ha sviluppato tra lealtre cose l’emissione di note multiple, creata cantando nello stru-mento una nota diversa da quella suonata: sfruttando l’interazionetra le due frequenze si ottiene l’effetto di un accordo a tre parti. Trai più brillanti esempi di questa tecnica c’è la registrazione del 1976in cui suona da solo temi armonizzati.A partire dal 1960 ha diretto vari gruppi: prima un quintetto a suonome con Günter Kronberg (alto), Heinz Sauer (tenore), GünterLenz (basso) e Ralf Hübner (batteria); il risultato dei suoi numerosiviaggi in Asia è la registrazione del disco “New Jazz Ramwong”del 1964, con arrangiamenti di temi popolari di paesi del lontanoOriente. Tra il 1967 e gli anni ’80 Mangelsdorff ha fatto parte dellaGlobe Unity Orchestra, ha contribuito a fondare l’United Jazz &Rock Ensemble e, dal 1995 al 2001, è stato direttore artistico delFestival Jazz di Berlino. Il Premio del Jazz tedesco è stato a luidedicato già nel 1994; Mangelsdorff è scomparso il 25 luglio 2005.

3.5 Joachim Berendt: libri, radio e il Darmstadt Jazz Institute

Malgrado le inevitabili polemiche che il suo lavoro ha suscitato,dovute alla posizione di grandissima influenza che aveva raggiuntonel mondo jazzistico tedesco, Joachim Ernst Berendt è stato inrealtà una fortuna per il jazz non solo in Germania ma anche inEuropa proprio per come ha saputo negoziare con le leve del pote-re mediatico. Berendt ha dedicato la sua intera vita a diffondere iljazz nei modi più diversi: attraverso i suoi programmi alla radio e allaTV, i suoi volumi, ma anche i suoi articoli per la stampa popolare,come organizzatore di concerti e direttore di festival, come produt-tore discografico e persino come concorrente di quiz televisivi.Subito dopo la guerra Berendt è stato uno dei primi a lavorare allaSüdwestfunk Radio, e il dipartimento jazz da lui creato è diventatoun modello per le emittenti jazzistiche in Germania e all’estero; nel1945 aveva già creato il primo programma di jazz, e il suo Libro deljazz pubblicato per la prima volta nel 1953, poi successivamente

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aggiornato e tradotto in ben sedici lingue, è forse il libro di jazz piùvenduto della storia ed ancora oggi continua a introdurre alla musi-ca nuove generazioni di ascoltatori, per il suo linguaggio piano e lasua avvincente narrazione. Dal 1954 Berendt introdusse e poimantenne la presenza del jazz nei Donaueschingen Music Days,abbattendo la barriera di separazione dalla musica “seria”; nel1964 fondò i Berlin Jazz Days, nel 1966 il New Jazz Meeting diBaden-Baden, e dal 1954 al 1972 ha diretto la serie televisiva “Jazzascoltato e visto” (“Jazz, gehört und gesehen”) attraverso la qualeabbiamo oggi una straordinaria documentazione visiva dei mag-giori artisti in tutti gli stili di jazz, realizzata con tecniche di ripresad’avanguardia. Nel 1965 ha organizzato per la prima volta un WorldMusic Festival e, grazie alla collaborazione con il Goethe-Institut,ha fatto circolare il jazz tedesco in Asia e negli altri continenti.Come produttore discografico ha spesso utilizzato le registrazionidei concerti e dei programmi radio da lui stesso prodotti, assicu-rando la documentazione di eventi spesso unici, e realizzando oltre250 titoli (in particolare una memorabile e innovativa serie con l’e-tichetta discografica MPS-SABA). Fino al 1987 ha continuato a pre-sentare al pubblico, dal vivo e alla radio, i più recenti sviluppi deljazz americano, europeo e mondiale, spesso fornendo ai musicistil’occasione di produrre opere che difficilmente avrebbero visto laluce o addirittura stimolandone l’immaginazione con ragionatesfide musicali. Negli ultimi anni della sua vita Berendt si è dedicato alla ricercasugli aspetti psicologici dell’ascolto, nel 1990 ha donato la sua inte-ra collezione di dischi, libri, riviste e fotografia alla città diDarmstad, che le ha prese come base per la creazione delJazzinstitut Darmstadt, oggi il maggiore archivio jazzistico euro-peo.

3.6 Orchestre radiofoniche

Tra gli elementi portanti della scena jazzistica tedesca dagli anni ’50a oggi, va ricordata l’azione di supporto delle radio pubbliche cheoperano autonomamente nei vari stati federali. Oltre a sponsoriz-

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zare importanti festival e a presentare programmi dedicati ai varistili di jazz, compresi quelli più sperimentali, le big band delle emit-tenti radio hanno svolto un ruolo importante, commissionandonuove opere ed arrangiamenti, invitando solisti e avviando produ-zioni originali. Specialmente le big band della NDR e della WDRhanno oggi un ruolo autonomo come orchestre jazzistiche tra lepiù qualificate a livello mondiale. Il Jazz Ensemble della HessischerRundfunk, fondato grazie a Horst Lippmann nel 1958 a Francofortee ancora attivo, è composto da soli otto musicisti ma viene rego-larmente allargato a solisti e compositori ospiti. Tra i suoi membripiù importanti troviamo Albert e Emil Mangelsdorff, Heinz Sauer,Joki Freund, Christof Lauer, Bob Degen, Günter Lenz and RalfHübner. Dopo gli anni ’80 la liberalizzazione ha favorito la nascita dialcune radio private specializzate, come JazzRadio Berlin, chesono tuttavia basate sulla presentazione di notizie e musica, datoche il mercato non garantisce le risorse per nuove produzioni, enemmeno per adeguate registrazioni dal vivo. Inoltre, l’interessedegli inserzionisti pubblicitari per la loro quota di mercato ne limitala possibilità di presentare generi meno popolari, confermando inquesto senso l’importanza della radio pubblica.

4. Jazz in Germania oggi

4.1 Club

Secondo le statistiche del Jazzinstitut Darmstadt ci sono inGermania più di 200 festival e più di 600 club che regolarmenteprogrammano jazz, e oltre 150 associazioni regionali di musicisti.Tra i club che hanno fatto la storia del jazz tedesco ci sono il Delphie l’Haus Vaterland a Berlin, dove si sono svolti molti concerti tra glianni Venti e Quaranta; la Casa dei Giovani Talenti di Berlino est,teatro delle esibizioni dei gruppi più sperimentali della DDR neglianni ’70; la Uncle Pö’s Carnegie Hall di Amburgo, dove negli anni’60 si sono esibite star del calibro di Dizzy Gillespie, Pat Methenye Al Jarreau; il Domicile di Monaco, centro del jazz moderno nellaGermania del sud; il Jazzclub Tonne di Dresda, dove dal 1981 siascolta un ampio spettro di stili jazzistici, dal free al dixieland; l’al-

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tro Domicile di Dortmund e il Quasimodo a Berlino (fondati tutti edue nel 1969), l’Unterfahrt di Monaco (1978), il Birdland diAmburgo (1985), lo Stadtgarten di Colonia (1986), il Jazzhaus diFreiburg (1987), il Birdland di Neuburg (1991).

4.2 Festival

I quattro principali festival tedeschi, eventi internazionali con carat-teristiche molto diverse, si svolgono a Francoforte, Berlino, Moerse Lipsia: sono anche i luoghi in cui la scena nazionale del jazz inGermania si incontra e si definisce. Il festival di Francoforte (Deutsches Jazz Festival) è stato fondatonel 1953 dal batterista, critico e promotore Horst Lippmann, e hasempre avuto l’obiettivo di presentare il meglio del jazz tedesco. IlFestival di Berlino, fondato da Joachim Ernst Berendt nel 1963come Berliner Jazztage ma dal 1981 chiamato JazzFest Berlin, sisvolge ogni anno in novembre ed è caratterizzato dalla presenta-zione di progetti originali. È stato via via diretto, dopo Berendt, daGeorge Gruntz, Albert Mangelsdorff, Nils Landgren, John Corbette, oggi, da Peter Schulze. Nel 1968 fu organizzato il controfestivalTotal Music Meeting, dedicato alla libera improvvisazione, ma oggile due manifestazioni collaborano tra loro. Burkhard Hennen hafondato il Festival di Moers nel 1972 per presentare le forme piùavanzate di jazz e le sperimentazioni di fusione con altri generimusicali. Il Festival di Lipsia era il più importante della Germaniaest e, dopo la riunificazione, ha attraversato un momento di crisieconomica, ma è oggi tornato ad essere uno dei più importantefestival tedeschi alla ricerca di un equilibrio tra giovani talenti,famosi jazzman, stili consolidati e sperimentazioni contempora-nee.

4.3 il Jazz nella Berlino riunificata

La vita jazzistica di Berlino è arricchita dai festival, da importanticlub e dal Jazz-Institut Berlin in cui sono confluiti i programmi distudi jazzistici offerti dai due conservatori. Dopo la riunificazione,una nuova generazione di musicisti è arrivata in città e si è ben pre-

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sto presentata alla ribalta con un approccio fresco, a volte criticodei vecchi stili ma allo stesso tempo teso alla riscoperta della sto-ria del jazz nel suo complesso. Il trio Der rote Bereich formato dalchitarrista Frank Möbus con Rudi Mahall, specialista del clarinettobasso, ha creato un proprio originale suono di gruppo, mentre OlafTon o gli Erdmann 3000 hanno sviluppato uno stile chiaramentemetropolitano in cui si ascoltano gli echi del jazz, insieme al rock,pop, e hip hop. I molti bar forniscono occasioni di suonare insieme,anche se le paghe non sono sempre molto alte, e la città che erail simbolo della divisione tra le due Europe è oggi un crogiolo in cuisi fondono culture e identità nazionali non più singolarmente iden-tificabili. Largamente concentrata a Berlino, la nuova generazione che siaffianca ai molti nomi importanti degli anni ’50 e ’60 ancora attivipresenta un ampio ventaglio di stili e concezioni del jazz. Il trom-bettista Til Brönner è diventato molto popolare per il suo stile melo-dico e la sua attraente immagine; Nils Wogram mette la sua straor-dinaria tecnica trombonistica al servizio di progetti che vanno dallamusica da camera, come il duo con il pianista Simon Nabatov, finoa contaminazioni con funk ed elettronica (Underkarl, Root 70). Ilvibrafonista Christopher Dell pratica e teorizza l’improvvisazione,cercandone una sintesi con la composizione contemporanea neltrio DRA insieme a Christian Ramond e Felix Astor come esempli-ficato dal Cd “Future of the Smallest Form” del 2001. L’altro trom-bettista, Thomas Siffling, di Mannheim, lavora con il suo gruppoSöhne Mannheims, la Big Band Mardi Gras, ispirandosi sia all’hard-bop che al rock e alla musica elettronica. Il giovanissimo pianistaMichael Wollny ha attratto molta attenzione grazie al duo conHeinz Sauer, sassofonista attivo sin dagli anni ’50; Lisa Bassengee Michael Schiefel si dedicano al jazz vocale.

4.4 Etichette discografiche

La Germania ha avuto un ruolo trainante nella produzione disco-grafica europea grazie a etichette come ECM, Enja, JMT, Winter& Winter, ACT, Jazzhaus Musik, e Jazz ‘n’ Arts, che sempre più

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presentano artisti tedeschi accanto a talenti internazionali.L’etichetta più celebre della storia del jazz, la Blue Note, è statafondata da due ebrei tedeschi rifugiatisi negli USA nel 1939,Francis Wolff e Alfred Lion.L’ECM è il caso più famoso e rappresenta a livello mondiale l’ec-cellenza del jazz “made in Germany”. Manfred Eicher è riuscito acreare una estetica sonora originale e a dimostrare la praticabilitàcommerciale di musicisti considerati troppo d’avanguardia dalleetichette americane, come Keith Jarrett, e di musicisti europeicome Jan Garbarek, che negli anni ’70 hanno fatto la fortuna eco-nomica dell’etichetta, il cui pubblico va ben al di là di quello del jazzin senso stretto. La FMP (Free Music Production) è nata nell’am-bito del gruppo che organizzava il Total Music Meeting; oltre aBrötzmann e Peter Kowald, è stato Jost Geber a dedicarsi allaorganizzazione dei festival e della produzione discografica, mante-nendone il controllo ai singoli musicisti che potevano presentare ipropri progetti. L’ENJA, fondata nel 1971 da MatthiasWinckelmann e Horst Weber, ha documentato l’intera avanguardiaeuropea, oltre a musicisti come Mingus e Abdullah Ibrahim, regi-strando anche, spesso dal vivo al Domicile di Monaco, musicistiamericani. Nel 1986 i due fondatori si sono separati, mantenendodue entità produttive diverse sotto l’unico nome originale. A parti-re dal 1992 la ACT, fondata da Siegfried Loch che era stato il pro-duttore di artisti come Klaus Doldinger e il manager dell’AmericanFolk Blues Festival, si è affermata per il suo concetto produttivo edi design, lanciando giovani gruppi e musicisti come NilsLandgren, E.S.T., Christof Lauer, Jens Thomas, Michael Wollny,Michael Schiefel e Carsten Daerr che hanno contribuito a dare aljazz tedesco un nuovo profilo internazionale. Dal 2006 un gruppodi festival e organizzatori ha lanciato Jazzahead al Palazzo delleEsposizioni di Brema, vera e propria vetrina per tutto il jazz tede-sco: musicisti, etichette, scuole, festival che presentano le proprieproduzioni e attività al pubblico e alla stampa internazionale. �

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FontiErnest Ansermet, Sur un orchestre Nègre, “La Revue Romande”. IIIe serie, No. 10.

15 Octobre 1919, 10-13.

Paul Stefan Jazz , “Musikblätter des Anbruch” 7.4 (April 1925)

Hans Janowitz: “Jazz”, 1927. Ed. Rolf Riess. (reprint Bonn: Weidle, 1999)

Herman Hesse: “Steppenwolf”, 1928 (Ed. Italiana “Il lupo della steppa”, Monda-

dori, 1996)

Mike Zwerin: “La Tristesse de Saint Louis: Jazz Under the Nazis”. Beech Tree

Books, 1985. (NB: Edizione italiana arricchita da una postfazione di Riccardo

Schwamenthal: “Musica degenerata: il jazz sotto il nazismo”, EDT, 1993)

Rainer E. Lotz: The Black Troubadours: Black Entertainers in Europe, 1896-1915.

“Black Music Research Journal”, Vol. 10, No. 2 (Autumn, 1990), pp. 253-273

J. Bradford Robinson. “Jazz Reception in Weimar Germany: in search of a shimmy

figure”, in: Bryan Gilliam, “Music and performance during the Weimar Republic”.

Ed. Cambridge University Press, 1994.

Klaus Wolbert: “That’s Jazz: der Sound des 20”. Jahrhunderts: eine Musik-,

Personen-, Sozial- und Medien-geschichte des Jazz von den Anfängen bis zur

Gegenwart Frankfurt 1997. Katalog der großen Ausstellung in Darmstadt 1988.

Carol Aisha Blackshire-Belay: “The African-German Experience: Critical Essays”.

1996, Praeger.

Mike Heffley: “Jazz in German Eyes”, PhD Dissertation, 2000

Wolfram Knauer e altri: Catalogo della mostra “Deutscher Jazz/German Jazz” pro-

dotta dal Goethe Institut e dal Jazzinstitut Darmstadt, 2007.

Grazie a Wolfram Knauer e a tutti gli amici del Jazzinstitut Darmstadt per la con-

sueta prontezza nell’invio dei materiali da me richiesti e per avermi dato la possibi-

lità di consultare testi inediti. (f.m.)

Nella foto di pag. 71, la Globe Unity Orchestra diretta da Alexander von

Schlippenbach (al pianoforte, di spalle) e dal bassista Peter Kowald (a sinistra).

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ColoPhon

main sponsor in coproduzione

enti pubblici in concorso

sponsor ufficiali

collaborazioni

strumenti musicali

servizi tecnici

progetto grafico

fotografo ufficiale

stampa

hotel ufficiale

altri hotel

staff tecnico e accoglienza artisti

trivellato mercedes benz - vicenza ministero per i beni e le attività culturali

regione venetofiera di vicenza

jolly hotel tiepoloaim

immobiliare faeda spaassicurazioni generali

confcommercio vicenzaconservatorio “a. pedrollo”, vicenza

scuola di musica “thelonious”, vicenzaistituto musicale veneto “città di thiene”

comune di schiavoncentro culturale italo-tedesco, vicenza

istituto brasile-italia, milanoi.p.a.s.v.i. - collegio prov. infermieri, vicenza

jacolino - vicenzamusical box - verona

pega sound - malo (vi)dna studio - mestrino (pd)

graziano ramina - dueville (vi)pino ninfa

u.ti.vi. - vicenzac.t.o. - vicenza

jolly hotel tiepolo - vicenza

hotel castello - vicenzahotel de la ville - vicenza

paola bettella massimo marcante

giancarlo mastrottoangela piovene

massimiliano sanigiancarlo zanetti

franca festa

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trattoria ponte delle bele - contrà ponte delle bele, 5

ristorante le muse - jolly hotel tiepolo – viale s. lazzaro, 110

teatro olimpico - piazza matteotti

teatro astra - contrà barche, 53

auditorium canneti - levà degli angeli, 11

sala palladio della fiera - via dell’oreficeria

cinema odeon - corso palladio

jolly hotel tiepolo - viale s. lazzaro, 110

chiesa dei ss. ambrogio e bellino - c.à s. ambrogio, 23

abbazia di s. agostino - viale s. agostino

casa del palladio - corso palladio

nirvana caffè degli artisti - piazza matteotti

palazzo delle opere sociali - piazza duomo

libreria galla 1880 - corso palladio, 11

libreria libravit - contrà do rode

jazz café trivellato / teatro astra - contrà barche, 53

caffè teatro - piazza matteotti

galleria 15 - piazza biade

gallery - via pola, 30 (torri di quartesolo)

il borsa - piazza dei signori

julien - via j. cabianca, 13

nuovo bar astra - contrà barche

osteria alla quercia - via s. rocco, 25 (arcugnano)

osteria miles davis - str. di polegge, 114

piccolo bar - via arzignano

sartea - corso ss. felice e fortunato, 362

tazza d’oro - corso a. palladio, 153

ristoranti ufficiali

i luoghi del festival

jazz clubs

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ABBONAMENTO

Abbonamento per i 6 concerti delle 21 dal 14 al 19 maggio Euro 90,00 70,00Abbonamento per i concerti del 2 e 6 maggio Euro 45,00 35,00

diritto di prevendita di euro 1,5 sui biglietti e di euro 2,5 sugli abbonamenti

Tranne che per l’acquisto diretto al botteghino del Teatro Olimpico, sul prezzo del biglietto l’operatore applicherà una commissione di vendita.

RIDUZIONI

Militari, giovani fino a 25 anni, Carta 60, Cral e associazioni culturali (ne usufruiscono solo coloro che sonoregolarmente iscritti), gruppi di almeno 10 persone con richiesta su carta intestata.

BOX OFFICE CALL CENTER 899 666 805 (numero a pagamento)

Botteghino del Teatro Olimpico orario: 8 - 20 dal lunedì al venerdìorario: 9 – 16.30 8 - 15 il sabatochiuso il lunedì www.vivaticket.it

INFO E SEGRETERIA ORGANIZZATIVA

tel. 0444 320217; 346 1405630; fax 0444 230037dal lunedì al venerdì, 10.30-12.30; [email protected] - www.comune.vicenza.it

intero ridotto rid. gruppi

. . . . . . . Euro 25,00 20,00 ------ . . . . . . . Euro 22,00 18,00 14,00

. . . . . . . Euro 22,00 18,00 14,00

. . . . . . . Euro 16,00 12,00 10,00

. . . . . . . Euro 16,00 12,00 10,00

. . . . . . . Euro 16,00 12,00 10,00

BIGLIETTI

Teatro Olimpico2 e 6 maggio14 e 17 maggio

Sala Palladio19 maggio

Teatro Astra16 maggio

Auditorium Canneti (posti non numerati)15 maggio

Cinema Odeon (posti non numerati)18 maggio

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Informazioni

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Indice

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I saluti

di Luca Trivellato

di Enrico Hüllweck

Programma generale

Riguardare al jazz dalle coste del Sud

di Riccardo Brazzale

Le schede sui protagonisti

a cura di Angelo Leonardi

Il jazz e la “Spanish Tinge”: un viaggio nei ritmi afro

di Maurizio Franco

Gerry Mulligan e il West Coast Jazz

di Enrico Bettinello

Inside Songs: musica e letteratura

nella cultura afroamericana

di Giorgio Rimondi

Il jazz in Germania:

da Weimar alla riunificazione

di Francesco Martinelli

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finito di stampare nel mese di maggio 2007dalla tipografia u.ti.vi. - vi

per la collana “I quaderni del jazz”

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