Never - Yvonne dei Lupi #1

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"Never - Yvonne dei Lupi" è il nuovo romanzo dark-fantasy di Desy Giuffrè. Una storia di sangue e amore che l'autrice ha deciso di regalare ai suoi lettori in tre puntate, sfogliabili gratuitamente dal blog ufficiale del romanzo: http://neveryvonnedeilupi.blogspot.it/

Transcript of Never - Yvonne dei Lupi #1

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A voi lettori,

che siete l’anima della mia fantasia

e permettete ai miei sogni di divenire realtà.

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PARTE I

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SOLO NEBBIA

na coltre fredda e pungente culla la mia memoria. Ricordo perfettamente di non aver

avuto paura. Neanche per un istante. Neanche quando mi sono resa conto di essere

rimasta sola. Completamente sola.

L’aria era impregnata dall’intenso odore che i corpi fracassati dei lupi emanavano. Un odore

che feriva la mia gola con terribili torture. Ero però certa che nessuno se ne sarebbe accorto:

nessuno di loro avrebbe sentito il mio odore. Almeno non in quelle circostanze.

Sentivo i riccioli -che scendevano lungo le mie gote- incollarsi alla fronte, impiastrati di

terra e secco fogliame bagnato. Ero in grado di trattenere il respiro meglio di come vi ero

riuscita durante le esercitazioni a cui mi avevano sottoposta.

Nessuno avrebbe potuto trovarmi lì dentro. Nessuno che non avesse avuto un olfatto

attento e sottile e, fino a quel momento, non avevo incontrato altri che possedessero questa

dote almeno quanto me.

Era stato facile aprire con le mie piccole dita bianche, forti come tenaglie, il varco che

accedeva a quella grotta sotterranea, sovrastata da un’inosservata collinetta di bruna roccia.

La visuale che la fessura lasciata aperta mi offriva, permetteva ai miei occhi di vedere tutto

quel che mi accadeva attorno. Di sentire le grida. Gli squarci della carne lacerata. I rombi dei

cuori che balzavano nel petto di quelle mostruose creature che i miei simili avevano voluto

attaccare. Percepivo ogni vita che esalava il suo ultimo respiro. Eppure, continuavo a non

provare alcuna emozione. La mia mente varcava saltando sopra ogni corpo esanime lanciato

al suolo, finché non raggiunse quel che voleva.

Quando riuscii a vedere i miei genitori, un moto di straziante dolore mi pervase

invadendo ogni mia facoltà, come farebbe uno sciame d’insetti con un frutto marcito.

Non ricordo i loro volti. Né qualcosa che mi possa far pensare di esser mai stata legata

a loro. L’unica cosa che non smetterà mai di accompagnare la mia esistenza nel corso dei

secoli, sarà solo la viva e terrificante immagine dei loro volti disfatti dal fumo della mia flebile

memoria, lanciati nel vuoto, staccati dai loro flessuosi corpi come mele dal ramo.

Il sordo e gelido rumore degli arti spezzati, simile a lastre di marmo che si spaccano in

due. Il lacerante fischio delle loro ossa frantumate e l’intenso odore d’erba bruciata che le

viscere smembrate dei loro corpi emanavano. Ed anche…sì, un altro diafano ricordo bussa alla

mia mente: la fluente chioma dorata che incorniciava il volto d’avorio di quella che sarebbe

dovuta essere mia madre. Le onde d’oro bronzato navigarono per pochi eterni istanti nell’aria,

durante il volo che avrebbe portato la sua testa a rimbalzare proprio vicino al varco da cui

osservavo con terrore lo sfacelo creatosi fuori dal mio rifugio. Ricordo ancora…lo sconcertato

stupore nei loro occhi quando sentirono la mia presenza così vicina, ed il muto avvertimento

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che sentii provenire da quel qualcosa che per un attimo unì i miei pensieri ai loro. Non era

ancora giunto il momento di espormi allo scoperto. Dovevo attendere. Ma cosa?

Nell’aria si espandevano i profumi dei nostri corpi mescolati al forte odore delle

pellicce dei lupi, e sorde grida squarciavano il cielo, gli alberi, le rocce, la terra. Grida simili

allo stridore di artigli sul metallo.

Poi, tutto tacque. Un improvviso, terrificante silenzio avvolse ogni respiro. D’un tratto,

folate di vento alzarono la polvere che la pelle di noi vampiri crea, quando viene frantumata. A

mezz’aria, galleggiava come sabbia. Insieme ad essa, il fogliame appassito che faceva da

tappeto alla terra umida e le ultime scie di odori familiari che fuggivano da quell’inferno.

Erano tutti andati via. I superstiti avevano deciso di battere in ritirata, e il resto del branco

sopravvissuto non li aveva fermati.

Io ero rimasta sola. Con i lupi. Con la mia nuova famiglia.

Contro ogni razionalità, fu solo in quel momento che il sapore della paura venne a

bussare al mio cuore. Forse fu il suo battere frenetico che richiamò la loro attenzione, o anche

il respiro che improvvisamente, non riuscii più a controllare.

Uno di loro avvicinò il suo muso umido e peloso all’unica apertura che accedeva al

nascondiglio. Annusò il mio odore per una quantità interminabile di secondi. Poi vidi un

bagliore di perla brillare attraverso le sue mostruose fauci: un sorriso. Il primo sorriso che la

mia nuova vita mi regalava. Non so perché, non so cosa mi spinse a prendere questa decisione,

ma in quel momento sentii di potermi rendere visibile agli occhi dei nemici. Fu facile riaprire

il varco di terra che avevo chiuso sopra la mia testa, aiutata dagli enormi artigli del licantropo.

Mi appoggiai alla sua folta e ruvida pelliccia argentata per risalire.

Questo, l’ultimo ricordo che accompagna quella notte. Una notte annegata nell’odore

del sangue dei lupi e dei corpi spezzati dei vampiri che giacevano privi di vita attorno a noi.

Non mi voltai per guardare un’ultima volta le carcasse dei miei genitori. Chi per primo,

aveva deciso di attaccare? Perché era esplosa quella guerra senza speranze? Non erano

domande alle quali avrei potuto dare risposta. Da quel momento in poi, i miei ricordi si

polverizzarono nella nebbia che li nascondeva. Come se la mia vita avesse avuto inizio da lì,

dal mio seguire l’invito dei lupi che mi presero con loro.

Adesso però, forse…è giunto il momento di ripormi la stessa domanda alla quale allora

non riuscii o non volli dare alcuna risposta. Perché?

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IL mio BRANCO

talia. Venezia.

«Odio questo dannato posto! Troppo umido per le mie povere ossa. Cosa aspettiamo ad

andar via?». Detesto quando il vecchio John inizia a lamentarsi. Prolungherebbe le sue lagne per ore

ed ore, se potesse. E a volte c’è chi gli permette di farlo. Come me, del resto. Stavolta però, non

posso essere del tutto contraria al suo malumore, questa città ha un che di afoso. Forse è

semplicemente colpa della calda stagione durante la quale siamo stati costretti ad affrontare

l’inaspettato viaggio per cui io e John abbiamo ricevuto brevi ma chiari ordini. È veramente strano

quel che provo. Forse, sarebbe meglio dire, quel che non riesco a provare. Ero certa che l’emozione

mi avrebbe scossa a tal punto da rendermi incapace di portare a termine la missione affidatami.

Invece mi ritrovo qui, sopra questa vecchia e sbiadita gondola, fredda nel cuore e nei pensieri.

Credevo che sapere di dover incontrare qualcuno molto più simile a me che alla mia famiglia

adottiva, avrebbe fatto sorgere nel mio animo sentimenti sconosciuti. Ma non riesco a provare nulla.

Niente che somigli ad ansia, trepidante attesa, paura, rabbia. Solo una parola brulica nella mia

mente, inquietante ma assidua, sin dalla mia partenza: curiosità. Sì, brucio realmente dal desiderio

di vederli. Somiglio molto alle gelide, mostruose e spietate sanguisughe che mi sono state descritte

dai giovani lupi della mia famiglia? Almeno, so di non essere completamente come loro. Solo per

metà. Meglio di niente.

Mi sono continuamente chiesta però, se sia realmente come mi ha sempre detto Marchal, la

mia madre adottiva: sono davvero l’unico esemplare mezzosangue della mia specie? Possibile che

nella storia dei vampiri, nessuno abbia mai posseduto le mie caratteristiche? A sentir dire tutti quelli

che mi circondano, no. Nessuno che somigliasse minimamente ad uno solo dei miei requisiti.

«Yvonne? Ma dove hai la testa?».

John mi è seduto di fronte, con i suoi piccoli occhi neri mi osserva da sotto le folte

sopracciglia che gli pendono sulle palpebre: «Temi un loro confronto, eh piccina?». Mi chiede,

preoccupato.

«Oh, no. Davvero, John. È tutto ok. Ero solo soprapensiero...credevo che questo giorno non

sarebbe mai arrivato e invece…»

«Invece eccoti qui. Pronta ad affrontare te stessa». L’anziano lupo grigio, ora ricurvo nelle

proprie ossa irrigidite, è uno di quegli elementi della mia famiglia divenuti, nel corso degli anni,

fondamentali per la mia stabilità. Lui, insieme ai miei fratelli Ricky ed Albert, mi hanno resa in

grado di divenire una degna componente della famiglia Smith. I loro insegnamenti sono stati

preziosi, il loro affetto insostituibile. John non è mai stato legato a noi Smith da alcun vincolo di

sangue, ma ha sempre fatto parte della famiglia, almeno così ricordo sin da quando vi entrai io

stessa. Il padre di Albert e Ricky, un certo Benjamin, capo branco della nostra congrega da ben due

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secoli, era morto già da qualche anno quando giunsi in casa Smith, durante l’ultimo periodo che

vide la seconda guerra mondiale. Marchal, donna di grande forza e nobiltà d’animo, nonché giovane

lupa dalle notevoli doti da cacciatrice, era riuscita a crescere i suoi cuccioli di licantropo senza mai

far loro mancare nulla, aiutata sempre dal resto del branco che fece di tutto per starle accanto nei

momenti più bui. Parlo del resto dei nostri amici, ovvero i grossi lupi rossi, una famiglia formata da

ben cinque ragazzoni dalla ribelle capigliatura fulva, in ordine d’età Valiant, Robert, Henry, Giosuè

ed infine il più piccolo, ma solo cronologicamente, Sam, e dai loro genitori, gli eccentrici coniugi

Sarah e Rudi Johnson. Come non citare le sorelle Lilian e Tiffany, eleganti e raffinate lupe dal pelo

biondo. Vivono solitarie nella loro bella villa dal tetto verde, a pochi metri dal nostro cottage. Se ne

stanno sempre per i fatti loro, si sanno ben poche cose della vita da umane che conducono e si

uniscono a noi molto più volentieri in sembianze da lupo che da stangone biondo platino quali sono.

A due isolati abitano Ronald e Claire Thomson con i loro tre figli adottivi: Daniel, il moro aitante e

senza cervello dalla pelle di cioccolata. Nancy, graziosa ragazzina dai riccioli castani e il viso

tempestato di piccole lentiggini. E Nico, introverso albino dagli occhi blu.

Attorno ai lupi con cui trascorro la maggior parte del mio tempo nella piccola cittadina in

cui vivo, al nord della California, incombe un’insolita cerchia di licantropi. Non sono una vera e

propria famiglia, piuttosto un nucleo di solitari lupi vagabondi, riunitisi in un compatto gruppo

deciso a volersi civilizzare per entrare a far parte del nostro branco. Dieci belve feroci con troppa

bava tra le fauci, desiderosi di volersi sentire sempre un gradino sopra gli altri. Chi li comanda è un

certo Peter: occhi grigio tempesta su pelle ambrata, lisci capelli castani i cui riflessi dorati donano

luce al volto tenebroso. Lupo dalla pelliccia bianca come la neve pervasa da una macchia nera che

si estende dal muso fino all’ampia fronte. Bello da mozzare il fiato. Ma nello sguardo, una flebile

ombra inquietante mi ha sempre indotta a pensare di star bene alla larga da lui e i suoi seguaci. Non

riesco a fidarmi completamente della sua insolita indole, e non capisco perché Walter, il nostro alfa,

abbia spinto il branco a decidere unanimemente di accogliere Peter e il suo seguito.

John ha smesso di remare e si accosta alla banchina per poter scendere finalmente sulla terra

ferma. Piazza S. Marco brilla tra la coltre di polvere dorata che i raggi del tramonto donano

attraverso le nuvole tinte d’arancio.

«Eccoci qui, piccola mia. Manca poco». I piccioni si alzano improvvisamente in volo, come

se spaventati da qualcosa di apparentemente invisibile. La gente cammina freneticamente, ognuno

immerso nei propri pensieri, ognuno vincolato dalla propria rete di problemi. Problemi di vite

semplici e ignote. Sorrido, scostando i miei capelli sfumati dal fuoco della luce del sole morente.

«Sono pronta, John. Non lo sono mai stata più di così».

Un bianco bagliore attira la mia vista d’aquila. Attraverso con lo sguardo l’intera piazza,

fino a giungere all’ombra dell’entrata di un vicolo che si trova alla mia destra. Un ampio sorriso

mostra una perfetta sequela di denti bianchi. Una voce accarezza le mie orecchie, come lo strisciare

di una fredda lama sulla mia pelle.

«Era l’ora, mezzosangue. Benvenuta tra i tuoi simili, sporca traditrice».

Sì. Sono realmente pronta ad affrontare la mia parte più oscura. Il vero volto della mia vita.

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I SENZA ANIMA

eguiamo la snella figura che, sinuosa, cammina a passo veloce lungo lo stretto e tetro vicolo

che ci condurrà al luogo dell’incontro. I capelli arruffati in una moderna capigliatura, corti e

ribelli, sono di un arancio troppo forte per apparire ordinari. La sua pelle diafana riveste una

muscolatura guizzante, a giudicare dalla lieve protuberanza sulle braccia che compare aderente alla

camicia di seta rossa. Non è un caso che abbiano mandato lei a darci il benvenuto: riesco a sentire il

veleno che scorre nelle sue vene. L’odore di vampiro tra queste vecchie mura umide è talmente

intenso da dare la nausea a chiunque. Non a me, ovviamente. Ma lo stomaco del povero vecchio

John sarà già in subbuglio, mi chiedo come stia resistendo così a lungo senza cedere all’istinto di

trasformarsi. Di solito, basta molto meno perché ciò avvenga senza indugi.

Per quanti anni mi sono chiesta come sarebbe stato quest’ incontro? Nella mia mente si

fanno spazio le mostruose descrizioni sempre fattemi dai lupi per dare un’immagine ai simili della

splendida creatura che ci precede. Ogni dettaglio prima immaginato carico di brutture, diviene

adesso fumo innanzi la sua superba bellezza. Perché la mia famiglia aveva deciso di mentirmi su

questo aspetto?

Marina, il nome della vampira che ci sta guidando. I suoi occhi di pece mi hanno guardata

con un odio impossibile da decifrare nel chiamarmi sporca traditrice. Di certo, loro non avrebbero

fatto la stessa scelta dei lupi. Sono sicura che mi avrebbero lasciata morire abbandonata a me stessa

o, ancora peggio, avrebbero assaggiato il mio sangue, curiosi di conoscerne il sapore misto allo

stesso veleno che scorre dentro i loro corpi freddi. Se i licantropi non mi avessero accolta nel

branco, sarei mai potuta crescere con i miei quasi simili?

Il rumore ritmico dei tacchi delle sue scarpe di vernice nera, rimbalza sulle pareti cariche

d’acqua. Una minuscola porticina sbiadita dal tempo -la vernice doveva essere verde prima di

divenire color senape-, si apre al nostro arrivo. Qualcuno ci stava attendendo.

«Loro sono con te?», gracchia una voce bassa, di uomo…forse. «Certo. Ne dubitavi? E poi,

non senti il loro odore? Dai, lasciaci passare». Marina è di casa, lì dentro. Il suo aspetto curato e

impeccabile, stona a dismisura con l’ambiente in cui ci troviamo. So che dietro quella porta si

nasconde la mia mezza verità. La stessa mezza verità che la mia famiglia fugge e con la quale

vorrebbe trovare finalmente un compromesso per dare fine alla guerra ancora in atto che decima da

secoli entrambe le razze.

Fino ad oggi, Marchal, Walter, i miei fratelli, persino John, l’intero branco ha fatto di tutto

per tenermi lontana da loro. Dalla mia vera famiglia. Sono stata protetta e tenuta sempre al sicuro da

quella che sarebbe stata di certo la mia rovina.

«Seguitemi e non parlate finché non sarò io a farvi cenno». L’aria intraprendente della

giovane vampira è svanita nel varcare l’inquietante entrata. Il rumore sordo della porta richiusa alle

nostre spalle ha fatto trasalire John, tremante al mio fianco. Sento il suo respiro caldo e profondo

scontrarsi con il freddo della buia stanza in cui ci troviamo. Un profumo delizioso investe i miei

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sensi. La camera dev’essere inondata da parecchie rose. Rabbrividisco al pensiero di ritrovarmi in

una specie di catacomba, circondata da bare elevate da piccoli altari recintati da splendidi fiori.

Ma, improvvisamente, una luce violenta travolge questo luogo segreto all’occhio umano,

catapultando John in un autentico stato di panico e me in una totale meraviglia. La luce proviene da

enormi lampadari di cristallo posti simmetricamente sull’alto soffitto color rosso porpora. Le pareti

che ci circondano sono di un elegante broccato dorato. Nessuna bara, nessun fantomatico altare.

Solo un mobilio classico e austero. All’interno delle enormi vetrine, sfilze di argenteria sono in

bella mostra. Ben distesi sul pavimento spiccano tappeti orientali d’indiscutibile valore. In ogni

possibile base, vasi dalle svariate forme straripano di rose rosse, bianche, gialle e arancio. Sarebbe

stato impossibile pensare che dietro quella sbiadita e rigonfia porta verde, si celasse questo mondo.

Solo i due grandi divani angolari, dalla linea certamente moderna, avrebbero stonato con il resto

dell’arredamento, se non fosse stato per la loro tinta neutra.

Seduti su essi, undici vampiri assetati ci osservano con espressione impenetrabile.

Marina si rivolge finalmente a noi. La sua presenza adesso quasi mi rassicura. Senza che io

abbia aperto bocca, mi lancia uno sguardo indagatore da sotto le folte ciglia brune. Poi si volta

verso il suo clan con noncuranza, ignorando il turbamento che, ne sono certa, ha sfiorato per un

attimo anche lei: «Yvonne dei lupi e il licantropo che l’accompagna». Ci indica con un gesto

grazioso della mano.

«Il mio nome è John», interviene il mio amico, impettito e contrariato dal modo crudo usato

dalla vampira per presentarlo.

«Vecchio, vi avevo detto di aprire il becco solo e quando ve l’avessi detto io. Siete nel

nostro territorio e dovete attenervi alle nostre regole». La voce trillante di Marina è adesso simile a

un ringhio sommesso.

«Per lui non è facile ritrovarsi chiuso in una stanza senza aria, con undici vampiri che lo

fissano con sguardo famelico». La mia voce risuona calma, nonostante il mio cuore traballi. Meglio

così. Anche se sono certa che il suo pulsare frenetico è subito giunto alle orecchie di chi continua a

puntare lo sguardo sul mio volto.

«Mentre per te non è poi così difficile ritrovarti tra i tuoi simili. È questo che vuoi dire,

mezzosangue? Perché dunque non sei venuta da sola? Ma certo. Hai bisogno del tuo…cane da

guardia».

Dal petto di John fa eco il rombo della rabbia che rischia di spingerlo ad un’imminente

trasformazione. Di già? Pensavo avrei almeno avuto il tempo di poter parlare con loro, di riuscire

finalmente a confrontare le reali differenze che, oramai ne ero sicura, sussistono tra l’idea che ho

sempre avuto dei vampiri, con ciò che in verità sono. Sebbene sin dalla nostra partenza, Ho

continuato a temere che l’incontro si sarebbe rivelato solo un pretesto, facile e veloce, per una

nuova lotta alla quale stavolta sarei stata anch’io partecipe.

Chi ha appena parlato in maniera spropositata, occupa il terzo posto del sofà alla mia destra.

Un uomo la cui altezza è evidente persino mentre siede sul bianco divano con la schiena poggiata

ad esso in posizione di relax. I capelli biondo platino, attraversati da riflessi argentei, sono raccolti

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in un codino basso, e sottili ciocche lisce cadono ordinate sul volto lungo e cereo. Le magre braccia

conserte lasciano intravedere una notevole muscolatura. Il naso dalla linea diritta sovrasta labbra

sottili e contratte. Occhi neri e penetranti sotto sopracciglia dall’arcata ampia.

«Non fate caso a Jack. È solito parlare a vanvera». Ridacchia sotto i baffi un tipetto alto la

metà del nominato Jack, dai capelli ricci e blu. Usano davvero delle strane tinte.

Marina si muove di qualche passo, avanza con innata grazia: «Non è questo il momento di

scherzare. Il mio compito l’ho svolto, e in maniera egregia, direi. Adesso tocca a te, Dorothy». Si

siede con noia vicino il ragazzino che aveva stuzzicato l’uomo dai capelli di platino e gli dà una

pacca sulla spalla a mo di rimprovero.

Adesso sono in dodici, seduti innanzi a noi, in attesa di una nostra qualsiasi mossa per

poterci attaccare.

Una di loro, certamente Dorothy, si alza dal posto che occupa e rivolge a me e a John un

improvviso e caldo sorriso di benvenuto: «Marina ha perfettamente ragione. Prima d’ogni cosa, è

giusto che si passi alle presentazioni». I capelli di un arancio molto più tenue di quello della

spavalda Marina, ricadono in folte onde fino alla sottile vita. Gli occhi -seppur neri- sembrano velati

di mitezza, e la sua pelle è spruzzata qua e là da piccole lentiggini all’altezza delle gote e

dell’incavo del naso. Si volge verso i suoi compagni e li indica uno ad uno, mentre al pronunciare

del loro nome ognuno si alza ed effettua un inchino elegante e dall’impronta antica.

«Lui è Yari. Il più anziano tra noi presenti». Anziano? Assurdo pensarlo. Più o meno avrà

trent’anni o giù di lì. Capelli sciolti, mossi e di un caldo dorato che sfuma sul verde corteccia. Negli

occhi brilla una sfumatura rossastra mentre mi sorride. «Loro sono i fratelli Jonatan e Carl».

Gemelli. Capelli bianchi come la neve su pelle di candido marmo. Mi chiedo come riescano ad

uscire tra la gente passando inosservati. Anche loro mi sorridono divertiti, forse hanno intuito il mio

pensiero.

«Paul». Il ragazzo dai capelli blu. «Sara e Rebecca». La prima è una bellezza da sballo. La seconda

un po’ meno. Sara, capelli corvini che le scendono in lunghe trecce sulle spalle scoperte dalla

striminzita maglietta che indossa, mi osserva con diffidenza continuando a masticare una caramella

tra le labbra tinte di rosa corallo. Rebecca, piuttosto magrolina e insipida, mi osserva -come l’altra-

attraverso gli occhi cupi in un’espressione che mette in risalto i lineamenti marcati del volto

spigoloso. Non può dirsi certamente brutta, ma la sua meno appariscente bellezza sfuma accanto la

vampira seducente che le è al fianco.

«Marina. Jack. Isabella e Susan». Per Isabella, parla da sé il suo nome: riccioli d’oro

incorniciano il volto perfettamente ovale, dove labbra a cuore lasciano intravedere i denti bramosi

di sangue. Susan è un tipetto tutt’ossa, sui sedici anni, dagli occhi allegri e capelli castani resi vivaci

da ciocche fucsia , tagliati in un caschetto sbarazzino.

«Alain».

In quel nome, il mio cuore ha posato un suo battito. Cerco di guardarlo come ho fatto con

tutti gli altri, ma temo di lasciar trasparire il tumulto nel quale sono appena caduta. Si alza

dall’ultimo posto che occupa, con sulle labbra stampato un lieve sorriso che lascia intravedere i

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denti. Capelli castani, di un ordinato liscio, dove lingue nere scendono in sottili ciocche sul ciuffo

ribelle che gli carezza la fronte. Pelle cerea, chiara e diafana, somigliante a quella degli altri;

caratteristica indiscutibile dei vampiri, certo, ma dotata di una leggera tonalità ambrata. Gli occhi

neri scrutano i miei come nessuno mai prima d’ora ha mai fatto, denudandomi di ogni maschera,

d’ogni corazza con la quale mi sono sempre difesa.

Alain. Il suo nome fischia nelle mie orecchie. I miei occhi non riescono a posarsi nei suoi

come vorrebbero.

«Ed io sono Dorothy». Sorride, terminando le presentazioni in grande stile. Bé, avevo già

capito chi fosse.

Tocca a me? «Bene. Come Marina ha prima detto, il mio nome è Yvonne. Lui è John, il più

anziano del branco. Viene in vece del nostro alfa, rimasto dentro i limiti del territorio da noi

occupato per mantenere compatte le difese».

«Hai detto di chiamarti Yvonne dei lupi?». Domanda una voce dal timbro caldo e pacato.

«No. Ho detto di chiamarmi semplicemente Yvonne. Questo attributo credo l’abbiate aggiunto voi.

Ma a dire il vero, non mi dispiace poi tanto». Rispondo.

È stato Yari a parlare, dalle cui labbra sento provenire un ghigno derisorio. Non mi volto per

dargli una risposta, continuando a rivolgermi sempre in direzione di Dorothy.

«Non dispiace neanche a noi». Ammicca il simpatico Paul. «È forte come nome! Yvonne

dei lupi. Non fa pensare a uno di quei romanzi d’avventura?». Ma nessuno risponde alla domanda.

È la volta di Rebecca, che si alza dalla sua postazione con espressione circospetta: «Adesso che le

presentazioni sono finite e conosci i nostri nomi, ti saremmo grati se ci spiegassi il reale motivo

della vostra venuta. Cosa vogliono i lupi da noi?». Avevo quasi dimenticato il vero perché del mio

viaggio.

«Chiediamo una tregua». Un silenzio tagliente invade la stanza arredata in pompa magna.

Smettono di fissare me e John, e scrutano a vicenda i loro volti per trovare una spiegazione alle mie

parole.

«Spiegati meglio». Rebecca si toglie elegantemente gli occhiali dalla linea intellettuale che

porta appesi al sottile naso. Ovviamente è impossibile che senta il reale bisogno d’indossarli, ma

l’abitudine nel voler apparire più umana possibile agli occhi della gente comune, la induce di certo

ad assumere simili pratiche anche quando si trova tra la sua razza.

«Semplice». Stavolta mi rivolgo a tutti, ampliando il mio arco visivo persino verso il

vampiro Alain, il quale mi scruta con espressione indecifrabile. «Il nostro branco è stanco di

combattere. I secoli che hanno visto morire centinaia dei nostri cari, sono stati sommersi dal sangue

di troppi innocenti».

«Innocenti?». Sara stropiccia il bel tessuto candido del divano su cui siede con le unghie

affilate simili ad artigli. «I licantropi non sono meno sanguinari di noi. Noi abbiamo sete di sangue,

perché questa è la nostra natura. Ma loro…loro non hanno motivo di attaccare la povera gente!

Godono nel fare brandelli dei malcapitati che finiscono tra i loro denti». Dal centro del mio stomaco

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sento pervadere il mio corpo da un intenso calore. I miei arti s’irrigidiscono per poi riscaldare i

muscoli, pronti a flettersi attorno al nemico per avvinghiarmi alla sua testa e staccarla dal corpo di

ghiaccio su cui si erge.

«Potrei sapere di chi state parlando? La mia famiglia non ha mai torto un capello a nessuno.

Noi proteggiamo chi di fronte alla nostra forza è impotente. Il nostro unico e vero nemico…siete

voi».

Le mie parole escono fluide, ma solo dopo aver finito di parlare, mi sono resa conto di aver

reso la mia voce più simile ad un ringhio che ad altro. In questo non differenzio molto da Sara o

dagli altri che le sono accanto.

«Parli così facilmente del vostro nemico. Ma come hai fatto…come fai a rinnegare te

stessa?». L’espressione poco prima così ostile della splendida vampira, è adesso ridotta ad una

maschera di sconcerto. «Ti rendi conto di avere il nostro veleno che scorre nel tuo sangue, e non

quella sorta di magia che trasforma un uomo in un raccapricciante cane randagio?».

Chi è stato fino ad ora in silenzio, pone una mano su di una mia spalla e blocca la risposta

che stavo per sputare in pieno viso a quella sporca assassina. Gli occhi di John sono socchiusi in

una sottile fessura, le labbra irrigidite: «La sanguisuga non mente».

Stavolta tutti posano i loro occhi carichi di sete sul volto imporporato del mio amico. Cosa

vogliono dire le sue parole azzardate?

«È vero. Esistono dei lupi che non si fanno scrupoli nell’uccidere la povera gente».

«Allora lo ammetti, vecchio lupo?». Il sorriso vittorioso di Sara fa vibrare in me un nuovo

ringhio.

«Sarebbe inutile negarlo. Ma posso affermare con certezza che nessuno del nostro branco

prende parte alla carneficina a cui vi riferite. Questi lupi di cui parlate non sono dei nostri».

Negli occhi scuri di Alain, una sfumatura d’accesa curiosità ha fatto brillare il suo volto di

una bellezza quasi ultraterrena. «Vuoi dire che il branco di Walter non ha mai ucciso le nostre prede

e non ha mai varcato i confini del nostro territorio?».

Prede? Distolgo il mio sguardo silenziosamente incantato da quel mostro omicida che usa

l’aggettivo “preda” per indicare una vita umana distrutta dai suoi denti bramosi di morte.

«No, mai. Il nostro rancore nei vostri confronti vive e si nutre per il più antico dei motivi.

Semplicemente: noi odiamo i vampiri. Ma oggi siamo qui perché abbiamo riscontrato delle

caratteristiche notevoli che differenziano il vostro clan dal resto dei nostri nemici».

I dodici effettuano dei mezzi sorrisi che mettono in risalto le terribili fauci. Cerco di cacciar

via l’espressione incredula dipinta sul mio viso nell’ascoltare John. Una cosa è perlomeno certa: è

molto più bravo di me nel trattare con l’avversario. La mia indole tende ad infuocarsi troppo

facilmente.

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Dorothy si avvicina in un batter di ciglia, ma con la stessa velocità si allontana dal corpo

caldo del licantropo per tornare al suo posto di partenza. Certamente l’aroma troppo intenso del

sangue di John non le rende facile parlargli a così poca distanza. «Crediamo alle tue parole, saggio

John. Ma, se come dici, non desiderate appropriarvi del nostro…cibo, non avete nulla da temere.

Non vi saremo più ostili».

Dunque era solo questo il motivo per cui siamo venuti fin qui? Come bestie senza cervello ci

contendevamo lo spuntino di mezzanotte? Il mio stomaco inizia a far cilecca, temo di sentirmelo

rivoltato da un momento all’altro. La mia metà antropica fortunatamente, impedisce ai miei sensi da

vampiro di desiderare più d’ogni altra cosa, sangue umano.

La mia sete di sangue è facile da placare con la caccia. In fondo, credo sia un compromesso

più che ragionevole, tra le mie due metà così in contrasto tra loro. Quella umana...e quella del

mostro che vive in me.

«Bene. Yvonne voleva solamente dire questo. La guerra tra vampiri e licantropi, almeno per

quanto riguarda il vostro clan e il nostro branco, può dichiararsi…sospesa. Nulla impedisce alle

nostre genti di vivere lontane le une dalle altre, nel rispetto reciproco delle proprie leggi. Vincolate,

ovviamente, dal territorio di appartenenza». La voce di John è autoritaria e risoluta, dimostrando di

poter essere degno sostituto di qualsiasi alfa.

«Possiamo dire che l’accordo è concluso. Non è così, ragazzi?». Il trillo gioioso di Dorothy

invade la stanza di leggerezza. L’aria che poco prima tirava è svanita e i corpi di tutti si rilassano

dallo stato di allerta in cui li aveva gettati il dibattito tra me e la loro Sara. Di tutti, eccetto che della

sottoscritta.

«Puoi contarci, cara Dorothy. Noi non siamo come Stephen e suoi seguaci. Cacciamo vite

umane per necessità, non per divertimento». Asserisce Jack, gesticolando un po’ troppo con le mani

scheletriche.

Bella differenza. Una vita in più, una vita in meno…l’importante è uccidere unicamente per

sete…e il loro peccato sarà assolto.

Anche i muscoli di John smettono di tremare. Continuo a guardarlo con occhi carichi

d’interrogativi. «Molto bene. Speravamo avreste accettato la nostra proposta. Riguardo i clan che

continueranno a spargere vittime…ci garantite che non lotterete al loro fianco contro noi?».

«Assolutamente». Risponde in fretta, Yari. «Noi siamo indipendenti. Nessuno ci comanda,

nessuno eccetto la nostra natura. Siamo liberi di scegliere dove andare e con chi stare».

Con un buffo cenno delle dita sulla fronte, John saluta il gruppo di assetati vampiri con il

quale è stato tutto sommato facile scendere a compromessi: «A mai più rivederci».

Senza più volgere un solo sguardo a nessuno dei presenti. Ma quando mi accingo a seguire il

mio affezionato lupo grigio, l’inaspettato richiamo di Paul arresta i nostri passi.

«Ferma un attimo, Yvonne dei lupi. Prima di andar via…puoi rispondere ad una sola

domanda?». La mia risposta è solo un impercettibile segno di consenso del capo. «Cosa sei in

14

realtà? Voglio dire…non sei umana. Non sei vampiro. Non sei un lupo. Eppure il tuo cuore pulsa, e

il tuo sangue profuma a tal punto da far bruciare la gola di sete a tutti noi. Ma il veleno che scorre

nelle tue labbra è vivo, e il tuo aspetto è più vampiresco di tutti i qui presenti. E vivi con i

lupi…vivi come i lupi».

La domanda mi trafigge ad ogni affilata parola. Il mio cuore smette di battere per un istante.

Stringo le mani a pugno fino a farmi davvero male. Per fortuna, la risposta che non saprei dare mi

viene risparmiata dal salvifico intervento di Marina: «Alain, stavolta tocca a te fare da scorta ai

nostri ospiti».

Detto ciò, ci dirigiamo tutti e tre verso la piccola porta verde da dove siamo entrati. Ma

un’ultima domanda, posta sempre da Paul alla mite Dorothy, accende in una fiamma il mio udito:

«Dorothy…pensi che anche lei, come noi, sia senza anima?».

15

SCHEGGE DI MEMORIA

ipercorro con la mente gli ultimi istanti in cui la mia fragile vita si è scontrata, per pura

fatalità -o perché era scritto così che dovesse accadere- con Alain dei vampiri. È questo

un modo tutto mio per identificarlo, similare al soprannome appioppatomi dalla sua

famiglia.

Tra poco sarò di nuovo a casa, in California. Adoro la sensazione che provo

ogniqualvolta mi ritrovo galleggiante nell’aria, protetta solo da questo mostro di ferro

chiamato diplomaticamente aereo. Attraverso il soffice tessuto inconsistente delle nuvole,

intravedo la mia fumosa esistenza, troppo ricoperta da spessi strati di nebbia per riuscire a

collegarne i tasselli spezzati dal tempo.

Prima di risalire sulla vecchia e rigonfia gondola per ripercorrere la strada che ci aveva

condotti nell’abbraccio del nemico, il misterioso Alain –al quale era stata fatta la richiesta di

scortarci fin lì- aveva iniziato a fissare i suoi occhi senza luce nei miei. John ha osservato la

nostra immobilità per qualche istante, poi, rassegnato, ha deciso di lasciarci soli salendo sulla

barca e fingendo un riposino prima dell’imminente partenza.

Non respirava. Il corpo statico sembrava essere scolpito su marmo, e riuscivo e

sentirne la freddura che emanava. Il volto dai tratti regolari, di quel pallore dorato che lo

rendeva così diverso degli altri vampiri che avevo finalmente conosciuto, rimaneva inalterato

da qualsiasi emozione stesse vivendo in quel momento, al mio fianco. Chissà, forse non gli era

mai capitato di ritrovarsi talmente vicino ad un cuore vibrante di vita, senza che potesse

cedere alla tentazione di sentirne il sapore del sangue pompato. Mi beavo del mio

autocontrollo! In quel preciso istante, fui felice come mai prima d’allora di essere una

mezzosangue. A dispetto della derisione subita da alcuni giovani licantropi durante la mia

adolescenza, a dispetto delle domande di Paul a cui non avrei mai saputo rispondere, la gioia

che provavo nel poter usufruire di entrambe le mie metà mi colmava di soddisfazione,

ridendo in pieno viso alle afflizioni che in passato avevo dovuto superare, a causa di queste

due.

Al contrario di lui -e di tutti i comuni vampiri- io posso continuare a respirare

tranquillamente qualsiasi aroma di sangue umano, senza dover ridurre il mio volto ad una

maschera di sofferenza. In più, posso avere il vantaggio di possedere un olfatto di gran lunga

superiore alla norma. Ero certa di non sbagliarmi, ma avrei scommesso che l’intenso profumo

di rose selvatiche provenisse dalla sua pelle. I suoi occhi neri pervasero la mia anima d’ombre.

«Dunque dobbiamo salutarci qui…Yvonne dei lupi». Sorrise tristemente. Mi chiedevo

quale mistica sensazione si dovesse provare nel baciare quella fonte di veleno quali erano le

sue labbra. Lo stesso veleno che scorre nelle mie vene.

«Direi di sì…Alain». Dei vampiri, pensai muta.

R

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«Non posso che augurarti dei giorni sereni. Sono certo che la tua parte umana può

garantirtene una quantità sufficiente per colmare il lato oscuro che di noi vive in te».

Iniziavo a sentirmi davvero a disagio. La gola serrata in un freddo nocciolo: «Vorrei

tanto che le tue parole si rivelino vere, Alain. Per quanto mi riguarda, sebbene non ti conosca

affatto, voglio farti un augurio diverso. Sicuramente ti apparirà strano quel che sto per dire,

ma…spero tanto che tu possa ritrovare la tua anima».

Il sorriso che gli porsi era sincero, dettato dall’inspiegabile desiderio che bussava -

bussa silente persino adesso- e richiedeva di carezzare, anche solo per un istante, quel volto

mesto e perfetto. Non rispose nulla, ma non potei fare a meno di notare che iniziò a respirare

regolarmente, facendo entrare l’aroma del mio sangue nelle sue vene. Tese una sua mano

verso me e l’incertezza svanì in un sol battito di cuore. Sapevo che sarebbe potuto essere

pericoloso, sfacciatamente fatale, ma non fui turbata minimamente dalla sua vicinanza. Mosse

un ultimo passo per annullare le distanze che lo separavano dal mio corpo febbricitante e,

finalmente, sfiorò con le sue, le mie dita tremanti.

La sensazione provata rimarrà sempre impressa nella mia memoria, nei miei sensi, nel

mio cuore. Nulla potrà farmi dimenticare il gelo delle sue dita immerso nel calore tiepido e

morbido della mia mano. Ma, sopra ogni cosa, niente potrà annientare -neanche l’eternità- il

brivido che provai in ogni piccola parte di me al contatto avuto con lui: come un lampo che

attraversava le mie carni, ho sentito l’onda fredda del suo veleno sotto pelle sfiorare il mio

così bruciante, così fluido, così libero di scorrere in ogni parte di noi. Poi, una visione.

Tutto è svanito per la durata di un secondo. Un secondo interminabile in cui, ne sono

certa, una verità nitida, scolpita in chissà quale angolo remoto della mia memoria, è riemersa

violentemente: il volto di Alain, scosso e alterato dalla fatica, sorridere silenziosamente verso

qualcuno che cammina al suo fianco, qualcuno che lo costringe a posare gli occhi verso il

basso. Il suo non era il viso freddo e quasi impassibile di un vampiro, no. Erano i tratti, nitidi e

sinceri, di un ragazzo. Dove, quando il mio destino si era già scontrato con il suo?

Il flebile ma vivo ricordo si rituffò nella mia mente annebbiata.

Gli occhi di Alain erano ancora fissi nei miei. Dall’espressione sconvolta che ne

delineava i tratti, intuii che avesse avuto la mia stessa visione o qualcosa del genere. Strinse la

presa della sua mano tentando di trattenermi ancora per qualche istante con lui, mentre dei

leggeri movimenti, provenienti dalla gondola, cercavano di richiamare la mia attenzione: era

giunta l’ora di andar via. Di allontanarmi, ancora una volta, da coloro che rispecchiavano la

parte più pericolosa di me stessa.

«Quando potrò rivederti, Yvonne?». Chiese il vampiro in un sussurro.

«Mai. Mi più».

Fu la risposta, fredda e irrevocabile che giunse dalle mie labbra. Non era quello che

volevo. Ma era ciò che avrei dovuto dire. Feci scivolare le mie dita dalle sue e strisciai fin

dentro la gondola, senza più voltarmi indietro.

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Questo, il ricordo di Alain che porterò sempre dentro me. Il ricordo di Alain dei

vampiri.

Una hostess si avvicina a passo elegante e con espressione cordiale chiede sorridendo:

«Gradisce qualcosa?».

«No, grazie». Rispondo garbatamente. Poi posa lo sguardo su John: russa pesantemente

al mio fianco e la spinge ad allontanarsi con una smorfia di disgusto stampata sulle seducenti

labbra tinte di rosso.

Sento ancora il suo profumo pervadermi dentro. Riuscirò a far rimanere ben stretti i

frammenti di ricordi che mi legheranno per sempre a lui? Saranno questi a farmi compagnia

nel silenzio che mi fa da veste nella vita di tutti i giorni?

Sorrido al solo pensiero di poter presto riabbracciare quei mattacchioni di Albert e

Ricky. Cos’avranno combinato durante la mia assenza? Marchal se la sarà vista davvero male,

senza il mio sostegno. A volte, immagino come sarebbero state le loro vite senza la mia

intrusione improvvisa nel branco…avrebbero avuto minori preoccupazioni? O semplicemente,

si sarebbero annoiati a morte senza una sorella metà donna metà vampiro d’addestrare fino a

farla divenire più simile ad un lupo che ad ogni altro essere vivente?

Adesso voglio solo dimenticare.

Dimenticare i volti degli splendidi e terrificanti vampiri conosciuti ieri notte. Lo strano

senso di sicurezza e lo slancio interiore provato nei confronti della bella Marina. La dolcezza

di Dorothy. La simpatia di Paul. Persino l’arroganza della bellissima Sara e la diffidenza di

Rebecca.

Gli occhi di Alain. La sua voce di velluto, il profumo della sua pelle. E l’acuto dolore

provato durante la breve visione avuta attraverso il suo contatto.

Voglio solo dimenticare e tornare alla mia vita. Tornare nel mio branco.

«Si comunica ai passeggeri il previsto atterraggio tra dieci minuti. Si prega di allacciare

le cinture di sicurezza. Grazie».

La voce carezzevole e suadente dell’annuncio risveglia John dal suo sonno profondo.

«Siamo arrivati?». Farfuglia, mentre con la manica del maglione rossiccio cerca di levarsi il

brillante strato di saliva scivolatogli dalle labbra.

Piccole perle salate pungono i miei occhi. Mi volto per celare il magone sopraggiunto

improvviso e rispondo cercando di apparire entusiasta: «Si, John. Siamo a casa».

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NEI SUOI PENSIERI

«Pensi ancora a quello che abbiamo visto?». Gli occhi di Jack sono puntati verso una

meta indecifrabile, mentre mi lancia la sua domanda colma d’aspro sarcasmo. Sento il suo

disprezzo, l’irritazione insanabile per essere stato a contatto di un lupo senza potergli aprire il

ventre e smembrarlo di ogni sua interiora. Sento, inoltre, il suo sconcerto per la mezzosangue

giunta a farci visita. Giunta a capovolgere il nostro equilibrio per mai più rimetterlo in sesto.

L’odore dell’aroma delizioso del suo sangue è ancora nei suoi ricordi. Ha dovuto desiderare

ardentemente di poterlo assaggiare…il suo profumo assumeva una consistenza a dir poco

irresistibile per noi comuni vampiri, e credo che l’essenza del veleno scalpitante nelle sue

vene dovrebbe esserne la causa, ma non ne sono certo.

Una mezzosangue. Né bianco, né nero. Dev’esserci una spiegazione alla sua incredibile

natura…

«Alain, mi senti?».

«Certo, Jack. No…non penso a nulla. Cerco solo di concentrarmi sulle tracce d’uomo che

si aggirano verso est».

Il profumo del sangue umano si è finalmente fatto vivo. Cacciare in città sarebbe

impossibile, quindi l’unica alternativa è addentrarci tra le montagne nei pressi di Belluno e

attendere il passaggio di qualunque malcapitato incroci il nostro olfatto.

La sete è diventata insopportabile per tutti noi, dopo l’incredibile incontro avuto con la

ragazza che non riesco a rendere sbiadita nella mia mente. Abbiamo dunque deciso di

dividerci in coppie per iniziare lo sterminio notturno e placare il desiderio che inizia a

bruciare le nostre gole.

La mia anima…ne ho mai avuta una? Sicuramente sì. Ma è passato così tanto tempo

oramai, da aver perso persino buona parte della memoria che riguardi la mia vita da umano.

Eppure, ne sono sicuro: da qualche parte… non so quando o dove, i miei occhi si sono già

incontrati con quelli della misteriosa creatura conosciuta con il nome di Yvonne dei lupi. Quel

volto l’ho già visto.

È questa forzata amnesia che impedisce di ricordare il momento esatto del nostro

primo incontro; quest’ultimo dev’essere certamente avvenuto circa sessant’anni orsono:

quando ancora possedevo un cuore vivo e non l’organo freddo e immobile che adesso mi

ritrovo ad avere.

Devo assolutamente rivederla per cercare di dare una risposta ai misteri che le

aleggiano attorno. Che rivestono il suo corpo snello, agile, forte…eppure non indistruttibile

come il mio. Che velano i suoi occhi d’ametista e albergano in un cuore pieno di veleno, ma

pompante al ritmo delle proprie emozioni.

19

«Eccoli».

Jack mostra i denti taglienti come lame, accovacciandosi in posizione d’attacco. Il

profumo del sangue umano è giunto anche a me.

«Aspetta«. Fermo il mio compagno di caccia afferrandolo per un braccio e arrestando il

suo slancio imminente.

«Che diavolo ti prende, Alain?!», sibila lui tra i denti gocciolanti di veleno.

«C’è un bambino con loro». Indico con una mano tra il fogliame della fitta vegetazione

che ci protegge dalla vista dei passanti.

«Che tu possa bruciare all’inferno, Alain! Era fatta. Cosa può mai significare per te, la

vita di un marmocchio fastidioso? Non capirò mai questa tua insana decisione nel voler

risparmiare a tutti i costi la vita dei bambini. Se solo assaggiassi la dolcezza del loro sangue -e

ti assicuro che possiede una sfumatura più zuccherina rispetto quello di un adulto-,

cambieresti idea. Sei libero di decidere per te stesso, ma non puoi pretendere di estendere le

tue sciocche leggi personali ad altri».

Sono certo che, se avessi ancora qualcosa in me che si avvicini all’essere umano,

sentirei le tempie esplodermi dalla rabbia. Ma a tanta malvagità, il mio vuoto involucro

d’acciaio riesce a rispondere solo con un mezzo sorriso colmo d’ironia: «Ovviamente. Ma non

quando si caccia al mio fianco, Jack. Fino ad allora, si gioca a modo mio».

Lo sbuffo profondo e indispettito del mio amico vampiro, attira l’attenzione del bimbo

che gioca con il proprio cagnolino scorrazzando lungo la strada lastricata di ghiaccio, poco

distante dal padre che tiene in spalla un fucile. Anche lui si sta ritirando dalla caccia. Si

avvicina incuriosito verso la montagnetta di roccia sovrastata da alta sterpaglia, dietro la

quale ci troviamo noi. I suoi occhi ridenti brillano sopra le guance arrossate dal flusso di

sangue che la corsa gli ha provocato. Sorride, sono certo ci abbia intravisti. Jack digrigna i

denti e arretra di un passo, io ne avanzo di uno. Ricambio il sorriso ed effettuo un lieve cenno

di saluto con la mano. Il piccino raccoglie in una paffuta manina un po’ di candida neve e la

scaglia nella mia direzione, anche se il debole lancio impedisce persino che mi raggiunga. Poi,

il richiamo del padre distoglie la sua pericolosa curiosità dai suoi possibili carnefici e,

voltandosi, corre via. Ma si gira durante la corsa affannata e ancora, per un’ultima volta, mi

rivolge il suo simpatico saluto.

La mia anima…posso anche farne a meno. Ma ho deciso di non liberare del tutto dalle

catene il mostro che vive in me. E così continuerò a fare…finchè ne avrò la forza.

20

Il RITORNO

ord California.

«Passala a me! No, non in quella direzione!».

Albert lancia l’arancione palla da baseball verso Ricky. Giocatore troppo pigro per i miei gusti.

Henry mi sta alle costole mentre corro carezzata dal vento verso la mia postazione. Amo la

sensazione di sentire i miei piedi quasi sollevati da terra. La nostra gara di velocità non ha

fine, continuiamo a sfidarci senza mai rinunciare ad una prossima rivincita, il che elettrizza

entrambi. «Volete finirla, voi due? C’è un’importante partita in corso, non potreste rimandare

le vostre stupide competizioni a dopo?!».

Dimenticavo: troppo pigro, Ricky. Troppo zelante Albert. Oltre ogni misura, quando

l’argomento è il baseball.

La grande distesa che circonda il nostro cottage, permette a me e ai miei fratelli di

poter correre e giocare quanto vogliamo, allontanandoci parecchio da casa, pur rimanendo

dentro i limiti del podere degli Smith. Isolati come siamo da una moderna cittadina, è per noi

uno dei più grandi divertimenti alla portata di mano -o di zampa- per far scorrere il tempo

senza dover essere costretti a morire dalla noia. Oltre alla caccia, ovviamente.

Per quanto mi riguarda, cerco comunque di riuscire ad ottenere, quando posso, il

permesso di andare in città. Nulla è per me più affascinante, più inquietante e

misteriosamente bello di una notte trascorsa tra le strade illuminate dalla luce dei negozi

blindati e dai lampioni. Non è facile convincere Marchal ma, a dire il vero, me la cavo niente

male quando si tratta di persuadere la volontà altrui: riesco ad essere piuttosto convincente.

Certo, non sono belli i piccoli compromessi ai quali devo scendere, ma in fondo è l’unico modo

che mi rimane per riuscire ad avere un piccolo ritaglio di tempo tutto mio. Ed è solo nelle ore

in cui le tenebre carezzano la terra e le gelide mura dei palazzi, in cui l’aria fresca e pungente

si scontra con le mie tiepide membra -fredde esternamente, ma roventi nel sangue misto al

veleno che mi scorre dentro-, che mi sento realmente libera.

Libera di essere me stessa. Avvolta e trascinata dai miei sensi, da quella parte ignota

del mio essere che mi permette di ascoltare, di sentire, di vedere, di vivere il mondo che mi

circonda sotto le mie vere e nascoste sembianze.

«Yvonne, sei incredibile! Mi batti sempre su soli tre secondi di vantaggio!».

«Henry, Henry…come pensi di potermi superare se continui a mangiare quanto un

branco di dieci lupi affamati?».

«Sciocchezze. La mia è tutta massa muscolare».

N

21

Mi diverte un mondo vedere l’imbarazzo accendersi sulle sue guance attraverso rosee

vampate di sangue. Riesco a sentire il lieve ribollio interiore che lo rende gonfio di offesa e

umiliazione. Sa bene che nessuno del branco mangia realmente quanto lui. Sarebbe in grado di

abbuffarsi sbranando da solo tre grasse vacche e non sentirsi ancora del tutto sazio! Per Sarah

Johnson deve avere rappresentato un vero problema riuscire a stare al passo con la sua

crescita.

«Yvonne, non essere così pungente con il povero Henry. Sai quanto ti vuole bene».

Sorrido, mostrando i miei splendidi denti: «Certo che lo so bene. Meglio di chiunque

altro. Proprio per questo ne approfitto volentieri».

Fine della partita. I miei amici Valiant, Giosuè, Sam, Henry e Robert, seguiti dai miei

amati fratelli, si lanciano nello spericolato inseguimento alla loro prediletta ragazza vampiro. I

nostri occhi sorridenti s’incrociano, attenti ad ogni invisibile mossa che potrebbe dare il via al

tallonamento. Come sempre, sono io a proiettarmi nella fuga: il mio slancio impercettibile, più

veloce della luce, lascia alle mie spalle un leggero vortice di vento; i fili d’erba più alti del resto

del tappeto verde ai nostri piedi, danzano tra il fogliame sollevato dalla mia corsa.

La trasformazione dei miei amici non dura che un secondo, forse anche meno. Ma

posso esser certa che in quel piccolo, insignificante attimo, qualcosa di estremamente

fantastico prende vita attraverso i loro corpi febbricitanti. Riesco a percepire il bollente flusso

del sangue scorrere nella spina dorsale di ognuno di loro, le membra allungarsi e protendersi

in qualcosa di bestiale e terribilmente forte.

Senza voltarmi, sento i loro pesanti respiri inseguirmi. Le falcate sprofondare nella

terra umida dalla pioggia di ieri notte. L’aria fredda scontrarsi con le loro lingue penzolanti, il

vento filtrare attraverso il folto pelo delle loro pellicce: rossicce, quelle dei fratelli Johnson.

Grigie, quelle di Albert e Ricky.

D’un tratto, qualcuno dei sette lupi accelera e si slancia in un salto per avvinghiarsi alle

mie spalle. Sento la massa portentosa del suo corpo vibrare a mezz’aria, fin quasi sopra il mio

capo. Ed è in momenti come questi che gl’insegnamenti del branco effettuano un balzo dalla

mia mente all’azione: tra l’umana e il vampiro, subentra in me la lupa radicatasi nel corso di

tutti questi anni.

Istantaneamente mi volto rimanendo con i piedi ben piantati al suolo, il mio corpo si

rannicchia a terra, tutto il mio peso viene sostenuto dalle gambe come se fossero gli arti

posteriori di un autentico lupo. Mentre mostro a Valiant -galleggiante nell’aria con la bava alla

bocca- i mie denti brillanti, non sono più una vampira assetata di sangue. Ma solo e

semplicemente: Yvonne dei lupi.

Lo scontro è imminente. Il resto dei ragazzi arresta la propria corsa per non perdere un

solo attimo della lotta corpo a corpo che sta per iniziare tra me e il mastodontico lupo dal pelo

rosso. La linea snella e agile della mia corporatura mi permette di slanciarmi in un salto che

supera in altezza quello di Valiant, cedendo a me la possibilità di scagliarmi su lui con le mie

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mani dalla presa ferrea, adoperate con tutte le funzioni di due vere zampe. Fluttuo anch’io a

mezz’aria per una frazione di secondo e, finalmente, mi aggrappo alla sua schiena come

un’amazzone sul proprio destriero, costringendolo a terra a zampe divaricate. La sua spina

dorsale inizia però a sussultare, e con uno scatto improvviso mi getta al suolo. Se non avessi

avuto la forza di un vampiro, se la mia carne avesse avuto la consistenza tenera e morbida di

una comune ragazza mortale, non sarei mai riuscita a lottare contro la potenza dei suoi colpi

feroci che mi avrebbero di certo ridotta a brandelli.

«Colpisci, Valiant! Colpisci!», grida Sam euforico, gli occhi illuminati dal sapore della

lotta. Di quella lotta che solo un vero lupo può essere certo di poter affrontare.

Lupo contro lupo.

È sempre stato questo il motto utilizzato quando uno dei miei fratelli o uno degli

appartenenti al nostro branco ha deciso di sfidarmi nel corso del tempo. Come anche la volta

in cui sono stata sottoposta ad un vero e proprio esame, in grado di stabilire se la mia

presenza all’interno del branco, sarebbe mai potuta esser utile in caso di guerra. Quell’esame,

lo superai. Ed anche egregiamente, direi.

Ed ora eccomi qui. Nessuna differenza tra la ragazza vampiro e i lupi.

Nessun segno di dovuta accortezza o tanto meno d’esclusione, a parte qualche

eccezione. Sono davvero una di loro. Mi sento una di loro. E sono felice di appartenere al

branco che sin da piccola ha deciso d’accogliermi nel suo abbraccio selvaggio.

«Non lasciarti vincere, Valiant! Non puoi perdere anche stavolta!». Il ringhio offeso fa

vibrare con violenti scossoni il lupo che mi sovrasta. Con la coda dell’occhio riesco a scorgere i

fratelli del mio avversario: Giosuè, Roby, Sam ed Hanry, sono tornati sotto le loro sembianze

umane, mentre Albert e Ricky, i miei inseparabili lupacchiotti dal pelo grigio, continuano a

fissare il combattimento con occhi colmi d’aspettativa in una mia possibile vincita.

«Non ancora una volta, Valiant! Non puoi farci questo!».

Il ringhio a pochi centimetri dal mio viso si fa più cupo e profondo; capisco che

l’ennesima sconfitta verrà incassata in malo modo da parte del mio amico. Del resto, per il

branco non sarebbe di certo una novità che io riesca a vincere qualsiasi sfida di lotta a corpo

libero lanciatami.

«Oh, Valiant…perché tanta resistenza?», cerco di distrarlo. «Non vorrai mica che io

superi un altro esame per poter continuare a vivere con voi?».

Mi mostra i suoi denti famelici in un ghigno che la sa lunga. Intuisco che il suo intento

sia quello di volermi dare una lezione per tutte quelle volte in cui l’ho costretto allo scherno

dei suoi quattro fratelli dai riccioli rossi.

Improvvisamente, sento il dolce aroma del sangue di nuovi elementi entrare nel

cerchio dei presenti. Le riconosco. Sono di certo Lilian e Tiffany, le sorelle lupo.

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«Se hai deciso di deluderci, Yvonne…giuriamo solennemente di non volerti più

rivolgere la parola almeno per i prossimi duecento anni!». Grida Tiffany con la sua voce

squillante che supera gli ululati dei miei fratelli e le grida eccitate dei Johnson, i quali

continuano ad incitare il lupo che cerca di schiacciare con il suo peso le mie gambe, per ben

affondare le grosse zampe tra i miei capelli sparsi sopra l’erba bagnata e tirarli attraverso i

lunghi artigli.

Che mossa sciocca.

Possibile che il maggiore dei fratelli Johnson non abbia ancora capito che la mia pelle è

immune a qualsiasi graffio, stiratura o lesione? È certamente il mio aspetto quasi del tutto

umano a causargli seri sospetti su questo reale dato di fatto. Un altro punto a mio vantaggio.

Chissà…magari a volte è stata proprio questa mia facciata da semplice ragazza mortale ad

impedire ai lupi di utilizzare completamente la forza di cui godono, per sconfiggermi. Questa è

comunque solo una mia teoria. Potrebbe anche darsi che il vero motivo per il mio personale

elenco di vittorie, sia la sovrumana energia che il mio corpo apparentemente fragile nasconde.

Nessun affanno nei miei polmoni, solo la fatica nel dover trattenere la sonora risata che

cerca di sgorgare dalla mia gola nel vedere la smorfia di ardente impegno sul peloso muso

rosso del povero Valiant.

Ma la mia mossa decisiva, quella che avrebbe posto fine alla lotta senza speranza di

vincita del mio amico lupo, viene interrotta dall’assordante rimbombo che sento battere sulla

terra, provocato dalla corsa di un gruppo piuttosto numeroso di lupi che avanzano nella

nostra direzione. Non è difficile intuire chi possa essere.

«Che noia…se avessi saputo di doverlo incontrare, avrei proseguito la mia corsa verso

casa», bofonchia Tiffany. «Non riesco neanche ad esser contenta per te, sorella. Sono certa che

il tuo umore grigio stia per diventare di un bel rosa acceso all’idea di poter vedere Peter e il

suo seguito di cani rognosi».

«Credo che sia felice solo di vedere Peter, cara Tiffany. Il resto fa solo da contorno».

«Hai sicuramente ragione, piccolo Sam».

Gli occhi azzurri di Lilian si accendono di stizza per pochi istanti, alle parole cariche di

sarcasmo della sorella e del ragazzino, i quali cercano invano di deridere i suoi sentimenti per

Peter, il secondo di Walter.

Le falcate si fanno sempre più vicine. Ancora pochi metri e saranno da noi. Io e Valiant

ci allontaniamo l’uno dall’altra. Mentre lui riacquista lentamente quell’aspetto umano che

tanto poco gli si addice, la sua cupa espressione mostra apertamente il disappunto per

l’argomento da poco trattato. Il suo profondo e sincero affetto per Lilian è evidente a tutti. A

esclusione, purtroppo, della diretta interessata.

«Chi non muore si rivede, amici miei». La sua voce dal timbro basso e caldo pervade la

chiazza di radura nella quale siamo tutti riuniti. I suoi occhi riflettono un inquietante bagliore.

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Sembra quasi che si celi un velo d’inspiegabile imbarazzo dietro quella sfacciata maschera di

boria di cui ora, come sempre, fa mostra.

«Yvonne…ci sei anche tu. Strano, non ho sentito il tuo odore lungo la strada».

Fisso i miei occhi nei suoi. Spero che il mio mal celato disprezzo riesca a fargli capire di

dover tenere chiuso il becco: «Sturati bene le orecchie, Peter. Sta lontano da me». La mia voce

esce aspra. Forse fin troppo stizzosa, ma…meglio esagerare. Tipi come lui hanno bisogno di

una bella strigliata, ogni tanto. E poi, non sopporto di dover vedere stampata

quell’espressione di triste umiliazione sul volto della povera Lilian. Nonostante Peter conosca

bene i sentimenti della ragazza più bella del branco nei suoi confronti, persiste nel voler ad

ogni costo riuscire a suscitare il mio interesse. Se solo sapesse quanto la sua sola presenza

riesca ad irritarmi…

«Sei sempre così acida?». Non mi guarda neanche. Parla portandosi una mano sotto il

mento, carezzando con piccoli movimenti circolari la barba leggermente incolta. Si guarda

intorno con espressione scrutatrice, come se si stesse accorgendo solo adesso della presenza

di altri nella radura, oltre me e sé stesso.

«Abbiamo forse interrotto qualcosa? Non assisto ad una sfida da tanto, mi piacerebbe

se ricominciaste da dove siete rimasti. Soprattutto se l’incontro coinvolgeva anche te».

Finalmente inchioda i suoi occhi nei miei. Posso linciarlo con uno sguardo che non promette

nulla di buono, nella speranza che riesca a cogliere la mia minaccia.

«Stavano solo dando libero sfogo alla loro natura…selvaggia. Fossi in te non resterei

qui a perdere tempo. Piuttosto…torni dalla caccia?».

A volte penso che potrei tranquillamente darmi minore pena per quell’antipatica di

lupa bionda. In presenza di Peter, Lilian è sempre pronta a dare gratuite manifestazioni di

disprezzo nei confronti della mia famiglia. Che sciocca. Ma non vede quanto riesce a rendersi

ridicola?

«Un po’ di divertimento ci vuole, cara Lilian. Sai, non vado al circo da…almeno

trent’anni». Questa Peter me la paga davvero.

«Perché devi sempre trovare il modo per offendere i tuoi stessi fratelli, Peter? Non

credi di non rendere onore al titolo che porti, così facendo?». Nel dire ciò, l’espressione di

Giosuè è sinceramente contrita. I suoi grandi occhi verdi osservano la reazione che spera le

sue parole possano far avere al secondo capo branco. Ma con tristezza nota la totale assenza

di risposta nello sguardo dell’insensibile ragazzo che continua a guardarmi con insistenza.

«Amico mio…dovresti ormai conoscere il mio modo di scherzare. Non vorrai credere

alla serietà delle mie parole? Tutto sommato, direi che non sia male il simpatico paragone tra

la nostra razza e un bel gruppo di cani da circo. In fondo, non differiamo poi così tanto da loro,

non credi?».

25

Il suo mezzo sorriso irresistibile, appare realmente sincero. Perché non sono mai

riuscita, in tutti questi anni, a carpire la sua vera natura?

Peter. Freddo, assente, imperscrutabile. Ma allo stesso tempo gioviale, onesto, schietto

e impeccabile. La sua condotta a dir poco perfetta all’interno del branco, gli ha permesso di

occupare il posto che, in caso contrario, sarebbe di certo spettato a John, per l’anzianità

raggiunta. Nessuno, tra i lupi, in un arco di tempo di gran lunga maggiore rispetto a quello

impiegato da Peter, è mai giunto ad un livello di forza, destrezza nella lotta, capacità di

adattamento, intuito e fiuto pari a quelli toccati da lui. In davvero pochissimo tempo, Peter e i

suoi fedeli seguaci hanno rappresentato per l’intero branco un punto fermo di riferimento

nella lotta contro i vampiri a favore della sicurezza dell’uomo.

Mi sono sempre chiesta però, chi sia realmente Peter Callaghan.

Non sappiamo nulla sul suo passato, addirittura nulla del suo presente. Non vive

sempre a stretto contatto con noi, preferendo la compagnia dei suoi dieci compagni persino

per le battute di caccia. Eppure, presiede solo un posto più in basso di Walter, il nostro alfa. Le

sue imprese devono essere state davvero grandiose, per meritare tutto ciò in così breve

tempo.

E a dire il vero…alt. Cosa sto sentendo? Questo…sì, ne sono sicura: è odore di sangue

umano. Ma da dove viene? Le ondate giungono ancora fresche alle mie narici. Sento il suo lieve

calore venire meno attimo dopo attimo. Quello che non riesco a capire è da dove inizi la sua

scia…il chiacchierio dei ragazzi è divenuto simile al ronzio di uno sciame di mosche fastidiose.

Peter. Adesso ne sono sicura. La scia proviene da lui.

La sua sgorgante e rauca risata mi riporta al vivo presente. Sembra che la tensione di

poco fa sia del tutto scemata.

«Callaghan?», gli occhi di tutti mi si piantano addosso.

«Dimmi pure, Yvonne. Spero tu non abbia ancora voglia di cacciarmi via in malo

modo».

«Hai detto di essere andato a caccia, non è vero?». Immobile, resta in silenzio.

L’espressione un attimo prima divertita, torna ad essere glaciale. Poi, riaffiora sereno il

sorriso sulle sue labbra piene e ben delineate. «No, non l’ho detto. Ma posso asserirlo adesso,

se vuoi. Sì, sono stato a caccia con i miei ragazzi. Perché me lo chiedi?».

I suoi ragazzi? «Curiosità. Mi chiedevo come mai la tua pelle porta con sé odore fresco

di sangue umano».

Linee di contrizione piegano improvvisamente la pelle bronzea di Peter, i suoi occhi si

velano di lacrime.

26

«Speravo nessuno se ne accorgesse. Ma avevo dimenticato che il tuo sottile olfatto da

vampiro superi di parecchio quello grezzo di noi licantropi». Si volge verso il gruppo dei suoi

ragazzi, ricevendo da loro sommessi cenni del capo.

«Cosa vuoi dire?». Un fremito di tensione pervade le mie membra. Sento il veleno

avanzare lentamente verso i denti.

«Semplice. Durante la nostra escursione di caccia sui monti ad est, abbiamo trovato i

resti di un uomo. Non c’era più niente da fare per lui. Non è così ragazzi?». Ancora cenni di

consenso, stavolta più enfatici.

«Le sue carni erano straziate dalle fauci assetate di vampiro. Devono essere stati di

certo in due ad attaccarlo. Così, prima di continuare la nostra caccia -sebbene avessimo

oramai quasi del tutto perduto la fame-, io stesso ho provveduto a togliere ogni traccia della

carcassa. Se l’avessi lasciato lì dov’era, si sarebbero creati troppi allarmi nelle città vicine».

Ancora loro. Ancora i vampiri. Sono trascorsi tre anni da quando siamo riusciti ad

allontanare il clan di Stephen Dan dalla California. La vita, dalla fine della sanguinosa faida, è

scivolata in un clima di armonia e stabilità. Ricky e Albert sono tornati a lavorare la terra

lasciata loro in eredità dal padre, e la nostra famiglia ha riacquistato in tal modo un più che

agiato benestare. Una felicità contagiosa, poiché anche il resto delle famiglie di nostra

conoscenza hanno ritrovato una certa quiete. Dalla radice più remota della mia memoria, non

riesco a ricordare un periodo bello come questo.

Ed ora…Perché sono ricomparsi? Qual è l’origine del loro ritorno?

«Oh…ma è terribile!», esclama Tiffany portandosi una mano alla bocca.

«Quelle luride sanguisughe…», digrigna tra i denti Henry.

«Vigliacchi!». Sam è in preda a violente scosse. È ancora troppo giovane per controllare

il fulmineo attimo che intervalla l’umano dal lupo. Il processo di trasformazione è quasi

automatico.

«Hanno per caso lasciato delle tracce? Forse, se tornassimo sul luogo potremmo

seguire le loro scie e…»

«No, non servirebbe. Non vi era nessun indizio che potrebbe esserci utile».

Se fossi anch’io un licantropo, sarei già stata un lupo con la bava alla bocca, pronta a

correre verso il nemico.

«Ma l’hai detto tu stesso! Il mio olfatto è certamente più potente del vostro. Potrei

riuscire a scovare qualsiasi scia, e l’odore del sangue è ancora troppo fresco. Non possono

essere andati lontani».

Lo sguardo compassionevole di Peter mi dà sui nervi.

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«Credimi, Yvonne. È impossibile per noi licantropi non percepire l’odore dei vampiri.

Se io stesso non sono riuscito a sentire nulla, sarebbe impossibile persino per te».

Perché. Perché?! Perché tutti vogliono tenermi lontana dai vampiri? Perché non ho mai

potuto combattere al fianco della mia famiglia, vivendo giorno dopo giorno nel terrore che

uno dei miei fratelli potesse morire attraverso il veleno di un vampiro? Dello stesso veleno

che scorre inesorabilmente anche nelle mie vene?

Se non sono in grado di essere d’aiuto a nessuno, a cosa serve la mia presenza

all’interno del branco? Perché i lupi hanno deciso di tenermi con loro? Sarebbe stato meglio se

mi avessero fatta a pezzi, come fanno del resto con ogni vampiro che incontrano nel loro

cammino.

«Per fortuna, ci siamo imbattuti noi in quel pover’uomo. L’immagine che regalava

avrebbe sconvolto chiunque». Continua Peter.

«Grazie a nome di tutti noi, Peter. Ti sobbarchi di responsabilità così

gravi…risparmiando al resto del branco molti problemi».

«Non devi ringraziarmi, Lilian. Compio solo il mio dovere».

«Non puoi porgere ringraziamenti da parte di chi non ha espresso alcun parere, Lilian.

Per quanto mi riguarda, farei volentieri a meno di simili premure. Non è assolutamente

corretto da parte tua, Peter, escludere il resto di noi giovani licantropi dalle tue perlustrazioni

e da tutto quel che ne comportano».

Gli occhi di Valiant bruciano di rabbia nel pronunciare tali parole a denti stretti. Walter

ha esteso pene alquanto severe per i duelli consumati tra i membri appartenenti allo stesso

branco, altrimenti…ne sono certa, lo scontro tra loro sarebbe avvenuto già da parecchio

tempo.

«Non era un giro di perlustrazione, Valiant. Eravamo a caccia». La voce di Peter diviene

grave. Quello appena assunto è il tono del comando: «Non c’è alcun motivo per cui tu e i

tuoi fratelli dobbiate ritenervi esclusi dalle incombenze del branco. Il branco agisce unito, mai

diviso. Dovresti saperlo almeno quanto me».

«La notizia non è affatto da sottovalutare. Bisogna avvisare immediatamente Walter, ci

darà subito le disposizioni per l’improvviso allarme lanciatoci».

«Brava, Yvonne. Vedo che il tuo senso di responsabilità supera la voglia di mostrare a

tutti le capacità di cui sei dotata. Questo ti fa onore».

Non ho bisogno dei suoi elogi. Sento riaffiorare in me il conato di disprezzo per il

nostro secondo. Meglio deviare il discorso. «Hai riconosciuto l’odore del clan di Stephen

Dan?». Chiedo con sincero interesse.

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«Questo è il punto della vicenda che più mi preoccupa. L’odore che ho riconosciuto non

appartiene al clan di Stephen». Sibili di stupore echeggiano nella radura, salendo in alto, fino a

sorpassare il verde fogliame degli alberi tempestato di rugiada.

«Veramente assurdo…ma se dici di averlo riconosciuto, sapresti individuare chi sia la

nuova minaccia per le nostre terre?».

Le labbra di Peter si piegano in una smorfia di disgusto. I suoi occhi brillano di rabbia.

«I vampiri di Venezia. Il loro odore è inconfondibile».

29

RESPIRI

hiusa nella mia stanza, resto ferma sotto il soffice piumino del mio letto. L’aria della notte

è sempre piuttosto fresca, ma nel mio caso non è la bassa temperatura che m’induce a

coprirmi. Semplicemente, adoro la piacevole sensazione del tepore sulla mia pelle. La

giornata di oggi è stata a dir poco sconvolgente…da domani, sono certa che nulla sarà più

come prima.

I vampiri di Venezia. Ho fatto di tutto per cancellare il loro ricordo dalla mia mente,

senza mai riuscirci. Ma ero fiduciosa di poterli un giorno dimenticare. Invece, eccoli di nuovo.

Ancora vivi e presenti. E non solo nei miei pensieri, ma nella realtà.

Perché rompere il patto con i licantropi? Perché proprio ora, dopo aver ottenuto

finalmente la pace così tanto desiderata? Eppure, avrei giurato che questa fosse un obbiettivo

anche dei dodici vampiri che io e John abbiamo affrontato sette anni fa. L’immagine dei loro

volti freddi, privi in apparenza di qualsiasi emozione, spesso ha fatto salire qualche brivido

lungo la mia schiena. Ma non porto con me solo inquietanti ricordi di quell’incontro che ha

segnato per sempre la mia esistenza, no.

L’episodio della visione avuta durante il primo ed unico contatto fisico con il vampiro

Alain, non è mai più ricapitato con nessuno. È difficile ammetterlo, ma il solo suono silente del

suo nome nei miei pensieri, spezza ogni mia resistenza nel voler allontanare il suo ricordo.

Alain.

Chissà cosa avrà pensato di me…della mezzosangue.

Se ripercorro i miei giorni con la mente, riesco a vedere una bambina di soli sei anni

abbandonata dai propri genitori nel bel mezzo di una sanguinosa battaglia contro i licantropi.

Accolta poi in seno ai lupi stessi, dimostratisi in grado di possedere un cuore. Una bambina

successivamente divenuta donna, cresciuta circondata dall’amore della sua famiglia adottiva e

sostenuta da un branco rivelatosi unito, confortevole come una vera casa. Il tempo scorre e,

anno dopo anno, sono divenuta più forte. Più veloce. Più scattante. Più astuta. Più…vampiro.

Pur continuando a mantenere inalterato il lato umano che non mi ha mai abbandonata.

Giunta ai miei fulgidi vent’anni, la mia crescita si è improvvisamente arrestata. Dopo

anni di ricerche, Marchal e i ragazzi hanno rinunciato ad ogni possibilità di scoprire il mistero

che avvolge la mia esistenza. Sappiamo solo che -da ben circa quarant’anni- il processo della

mia crescita ha deciso di fermarsi, proprio nel momento in cui l’età raggiunta mi ha permesso

di avere il pieno vigore di ogni mia facoltà soprannaturale. Da allora, direi che il titolo ricevuto

dai vampiri -Yvonne dei lupi- mi calzi a pennello.

Eppure non mi sono ancora arresa. Un giorno, riuscirò a svelare l’arcano segreto che mi

rende così diversa da ciò che dovrei essere. Che vorrei essere.

C

30

Scanso le coperte che mi proteggono, sento arrivare qualcuno. È di certo Marchal, e

busserà alla porta tra meno di…quattro secondi. Tre. Due. Uno.

Bussano. «Yvonne? Posso entrare?».

«Certo, Marchal. Entra pure».

Mia madre. O meglio dire, colei che per me è da sempre stata madre, amica, sorella.

Queste tre parole, insostituibili e di fondamentale importanza, sono in lei perfettamente

rappresentate e racchiuse. Alta più o meno fino alla mia spalla, dalla capigliatura riccia e

ribelle di un biondo opaco e sbiadito, e dai grandi occhi espressivi, di un caldo color miele.

Difficile pensare che la sua corporatura apparentemente così fragile e minuta, nasconda una

lupa snella e dal pelo biondo dotata di un’incredibile velocità. Nessuno all’interno del branco

corre più veloce di lei.

«Per fortuna sei sveglia. Avevo bisogno di parlarti». Si avvicina al mio letto con passo

incerto. Non dev’essere un argomento facile quello che sta per tirare in ballo, lo intuisco dai

suoi movimenti.

«Sono tutt’orecchie. È successo qualcosa?». Ha un’aria davvero preoccupata. Sapere che

qualcosa le impedisce di essere serena, fa stare male anche me.

Si siede al mio fianco e raccoglie una mia pallida mano tra le sue: «Non puoi dirmi di

no. Te lo chiedo in ginocchio, se non dovessero servire le mie parole».

Sono certa di aver avuto poche volte l’espressione colma di stupore che il mio viso deve

adesso avere assunto nell’udire queste frasi. «Cosa succede, Marchal? Non mettermi nel

panico. C’entrano forse i vampiri?».

Un suo impercettibile segno del capo mi fa capire di aver centrato il segno. «C’è stato

un nuovo attacco?». Le chiedo, quasi tremando.

«Oh, no. Ma non ci faranno aspettare molto, stanne certa. Se hanno già iniziato, sarà

difficile fermarli».

La parola fermarli mi fa salire un brivido lungo la schiena. Cerco di scacciar via le

immagini terrificanti che tentano di tormentare i miei pensieri, concentrandomi su quello che

Marchal sta per dirmi.

«E allora? Cosa ti preoccupa tanto?». Mi guarda intensamente, mentre le lacrime

iniziano a velarle gli occhi.

«La tua incolumità». Ci risiamo. So già cos’ha da dirmi, ancor prima che termini il

discorso.

«Yvonne, so bene che sei stanca di sentirti ripetere sempre le stesse cose. Questa volta

per, non seguire i miei consigli porterebbe ad una conclusione davvero tragica per te e per noi

31

tutti. Non devi assolutamente e per nulla al mondo unirti agli attacchi che presto sferreremo ai

nostri nuovi nemici».

Lentamente, tolgo la mia mano dalla sua stretta colma d’attesa. Vedo l’ombra

dell’angoscia più cupa pervaderle il volto. Non vorrei mai ferirla in alcun modo, ma non posso

più permettere a nessuno di condannare la mia esistenza ad un insieme di perché senza

risposta, di opprimente impotenza e assoluta confusione.

«Non posso promettertelo. Ho aspettato troppo a lungo, Marchal. Per decenni mi avete

tenuta chiusa qui dentro, all’oscuro di tutto. E adesso…ora che persino i vampiri con i quali io

stessa ho stretto una sorta di patto di tregua, hanno deciso di rompere ogni parola data, non

posso non intervenire. Non puoi chiedermi questo!».

La mia calma apparente ha ceduto del tutto. Un moto improvviso di tetra ribellione ha

infranto ogni mio buon proposito. Non posso. Non voglio accettare di dover rimanere chiusa

tra quattro mura, mentre la mia famiglia corre a fare a pezzi gli unici vampiri con i quali ho

avuto un seppur minimo contatto. Se guerra dev’essere, voglio esserci anch’io.

«Tu non capisci!». Anche Marchal ha raggiunto il tetto massimo del suo autocontrollo:

«Ti uccideranno senza pietà. Non avranno alcuno scrupolo per una mezzosangue cresciuta

insieme ai lupi. E io, i tuoi fratelli, non vogliamo perderti sapendo che avremmo potuto

evitarlo. Ascoltami, ti prego!».

Il rumore della vibrazione di una chiamata al mio cellulare posto sopra il comodino,

interrompe la supplica della povera Marchal. Ci guardiamo un istante negli occhi, entrambe

consapevoli che la discussione non sia affatto terminata. Mi avvio per rispondere e, leggendo

sul piccolo schermo luminoso il nome di chi sta telefonando, un sorriso affiora tra le mie

labbra.

«Mary?».

Marchal porta gli occhi al cielo, visibilmente infastidita per aver capito di chi si tratta.

«Ma certo! Devi assolutamente raccontarmi tutto. Sono pronta ad ascoltare la tua

odissea!». L’espressione alquanto seria di mia madre, m’induce ad apparire meno allegra di

come evidentemente devo essere tutto d’un tratto diventata.

«Aspetta solo un attimo, Mary». Porto una mano alla cornetta e mi rivolgo verso lei nel

vano tentativo di tranquillizzarla: «Dobbiamo interrompere la nostra discussione, Marchal.

Posso solo garantirti che ci penserò, ok? Nulla di certo, però».

I suoi occhi s’illuminano di gioia. Vorrei sempre vederla così raggiante. «Bene..ci conto,

piccola mia. Buonanotte».

«Buonanotte, Marchal».

Appena richiude la porta alle sue spalle, chiudo gli occhi e tiro un silenzioso sospiro di

sollievo.

32

«Mary, sei ancora in linea? Mi hai salvata, non sai quanto ti ringrazio…se hai la pazienza

di aspettarmi, vengo subito e stiamo un po’ insieme. Ho bisogno di uscire…così potrai

raccontarmi di Jacopo, senza la fretta per gli scatti della chiamata».

La luna carezza, con i suoi pallidi raggi, il grigio selciato della strada che percorro verso

Mary: totalmente umana, il mio contatto più intimo con quel genere. L’unica ragazza con la

quale da cinque anni ho potuto scoprire la bellezza di un’amicizia limpida e sincera,

disinteressata. Da allora, una nuova sfumatura ha colorato la mia cinerea esistenza.

La sua amicizia è per me un’ancora di salvezza, di evasione dal soprannaturale, seppur

in un atterraggio a breve termine. Sebbene il nostro rapporto non sia ben visto né accettato

dal branco, nessuno mi ha mai completamente vietato di frequentarla al di fuori delle nostre

terre. Ed anche se qualcuno l’avesse fatto, fosse anche stato Walter in persona, avrei ignorato

gli ordini. Per Mary questo e altro. Conosce bene la mia vera natura, le ho raccontato tutto di

me…bè, quel poco che io stessa ricordo. Ma dei miei sessant’anni di esistenza da mezzosangue,

è al corrente di ogni dettaglio. Del resto non c’è stato molto da raccontare…il tempo, per quelli

come me, è un aspetto piuttosto relativo. Quel che mi ha sempre lasciata sconvolta, però, è

stata la sua totale predisposizione ad accettare ed anzi, a ritenersi una privilegiata nel poter

avere un’amica come me. Incantata direi, affascinata dalla mia storia che si allontana persino

dalle leggende, non ha mai dimostrato alcun disagio al mio fianco. Ed è addirittura rimasta

sempre ben attenta nel non infrangere mai la promessa di rimanere lontana dal territorio del

branco. Per i lupi è già un grave problema sapere che un essere umano sia a conoscenza della

loro esistenza…averla tra i piedi sarebbe stato veramente troppo. Ho sempre sospettato che la

mia simpatica amica avesse qualche rotella fuori posto, e forse non mi sbaglio. Chiunque, al

suo posto, si sarebbe dato a gambe levate o, peggio ancora, avrebbe denunciato la nostra

esistenza.

È stato bello, stasera, aver potuto trascorrere delle ore spensierate in sua compagnia;

per poco ho quasi dimenticato le oscure novità che stanno per invadere di nuovo la mia vita.

Perché di una cosa sono certa: combatterò. La mia falsa promessa concessa a Marchal,

è servita solo ad allentare la tensione già creatasi tra le quattro mura domestiche in cui

fingiamo di essere quel che non siamo. E se anche questa scelta dovesse provocare serie

fratture nei rapporti con la mia famiglia…sono pronta ad affrontarle. Non soccomberò al

volere degli altri ancora una volta.

Come sempre, la strada del ritorno verso casa costituisce un importante momento della

mia ritagliata libertà. Casa Smith dista circa trenta chilometri dalla piccola, ma graziosa

cittadina in cui abita Mary, e i dieci minuti che impiego di solito all’andata -percorrendo a

tutta velocità la distanza che ci separa- divengono ore al ritorno verso casa. Spero d’impiegare

più tempo possibile cercando di assaporare ogni dettaglio, ogni particolare che incrocia il mio

cammino. E di portarlo con me. Nei miei ricordi, nei miei angoli di amata solitudine.

33

Giunge alle mie narici il profumo di alcuni sali da bagno che qualcuno sta usando nella

propria comoda vasca. Un bel bagno alle tre di notte è un po’ insolito, ma sicuramente

un’esperienza piacevole da dover provare. Sento ancora lo scalpitio delle zampette di alcuni

roditori che si aggirano alla ricerca di cibo da mettere sotto i lori fragili denti. A circa

cinquanta metri, i fogli di un vecchio giornale svolazzano incollandosi ad un lampione.

Percepisco i miei sensi tesi e vigili come non mai. Finché il sole è alto in cielo, sebbene

usufruisca sempre delle mie facoltà, queste non possono essere nel pieno delle loro

potenzialità come dal crepuscolo in poi. È, questo, uno dei maggiori motivi per cui la notte

adoro starmene per i fatti miei: libera da ogni vincolo, libera di essere me stessa e di non

vergognarmene.

Ecco…adesso sento…un respiro? C’è qualcuno. Improvvisamente, mi rendo conto di

non essere sola. Un respiro regolare, profondo e freddo, accompagna i miei passi su questo

solitario cammino. Il mio istinto mi suggerisce di non voltarmi, continuando a far finta di non

aver udito nulla. Proseguo il mio tragitto a passo moderato, senza lasciare trasparire alcuno

stato di allerta o paura. Del resto, la paura è l’ultima delle sensazioni che potrei provare,

soprattutto in circostanze come questa. Di cosa dovrei aver timore, possedendo denti affilati

come lame in grado di succhiare intermente il sangue di un essere umano di grossa taglia in

meno di venti minuti? E capaci di affondare nelle vene di chiunque, iniettando un veleno che

toglie la vita per regalare un’esistenza a dir poco terrificante?

Il respiro si fa sempre più vicino. La presenza alle mie spalle ha deciso di seguirmi. Un

maniaco? Un assassino? O forse, più semplicemente un ladro. Mi fermo. Il rumore dei miei

stessi passi m’impedisce di capire realmente a quale distanza si trovi il mio inseguitore. Libera

da ogni intralcio, capisco adesso che ci separano solo pochi metri. Nonostante la mia pelle sia

dura come il marmo, dentro me scorre sangue umano e il mio cuore pulsa. Forse non sono poi

così immortale come penso di essere. Non conosco ancora il metodo che potrebbe porre fine

ai miei giorni, ma non credo di volerlo scoprire proprio ora. Sarà meglio voltarsi e affrontare il

mio improvviso nemico guardandolo dritto negli occhi.

Scorrono circa quattro secondi nel movimento che accompagna il mio sguardo verso

lui…

«Yvonne. Non posso crederci…sei tu».

Alain. Gli occhi di velluto nero, infiammati da una calda luce rossastra, si aprono per lo

stupore. In lui nulla è cambiato dalla notte del nostro addio. Del resto, nulla potrà mai mutare

in noi abitanti di un eterno presente.

Alain. Uno dei membri del clan di Venezia. Dovrei forse attaccarlo, annientare uno dei

nostri nuovi nemici, distruggere colui che probabilmente ha partecipato allo strazio di quel

pover’uomo trovato da Peter e il suo seguito.

Alain…lo specchio di quel che non vorrei apparire, ma che in fondo so bene di essere.

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Alain. L’unico vero motivo per cui combattere, stavolta, diventerebbe per me un

fardello troppo grande da portare addosso.

«Alain…cosa ci fai tu qui?».

35

SENZA PERCHÈ

on so da quanto siamo qui, immobili. Forse da un secolo, forse solo da cinque minuti. Il

suo respiro si è interrotto, come quella volta sull’ignota banchina del canale di Venezia.

Sento la mia gola arida, e persino l’aria fresca della notte sembra voler bruciare le sue

pareti. Nei suoi occhi si alternano -in maniera evidente- stupore, paura, gioia.

Per fortuna, decide di risparmiarmi il grave peso di prendere per prima la parola.

«So bene che non dovrei essere qui. Ma credimi, posso spiegarti. Sono sicuro che i tuoi

amici licantropi avranno già sentito il nostro odore, in questi giorni».

«Puoi ben dirlo. La vostra presenza non poteva di certo passare inosservata, non

credi?». Gli rispondo aspramente.

I suoi occhi si chiudono in una piccola fessura. Le folte ciglia brune donano una lieve

ombra alla sua pelle d’avorio.

«A quanto vedo la nostra visita inaspettata non è stata ben gradita. Dovevamo avvisare,

lo so. Ma gli eventi improvvisi non hanno permesso di agire nelle dovute maniere».

«Dovute maniere?! Sette anni fa è stato stipulato un accordo tra il nostro branco e il tuo

sporco clan!». La mia voce esce in un rauco ringhio. «Perché avete deciso di romperlo adesso?

Siete talmente senza remore, da dover venire fin qui per soddisfare la vostra sete di morte?

Perché proprio questa parte della California, quando avreste potuto avere le vostre vittime in

ogni altra parte del mondo?!». Una nuova emozione prende forma nei tratti del suo volto

terribilmente bello: l’incredulità.

«Ma di cosa stai parlando? Credi che siamo venuti fin qui da Venezia, per il gusto di

assaggiare sangue californiano? Non farmi ridere».

Persino la smorfia che delinea le sue labbra dona un tocco di fascino al suo aspetto

ondeggiante tra l’umano e il selvaggio.

«Prima d’intraprendere il lungo viaggio, abbiamo provveduto al nostro sostentamento

abbondantemente. Dovevamo essere in forze e lontani da ogni tentazione, per poter mettere

piede nel vostro territorio. Non avremmo mai infranto il patto. Non di certo in questo modo,

comunque».

Uno spasmo di nausea invade il mio stomaco. Avevano provveduto abbondantemente al

loro sostentamento. L’uomo ucciso e trovato da Peter nella foresta, doveva essere stato solo

un piccolo spuntino per i carnefici italiani.

«Puoi star certo che non vi permetteremo di girare a piede libero tra la nostra

popolazione».

N

36

«La vostra popolazione è libera. Gli umani che vi circondano non sono di vostra

proprietà. Siete ridicoli».

Violente scosse percuotono i miei muscoli, i miei arti. Un istinto primordiale inizia a

danzare nella mia mente. Il desiderio di attaccare il nemico che mi sta di fronte è più forte

dell’inspiegabile smania di saperlo al sicuro, lontano dal pericolo che rappresenta per lui il

branco.

L’assassino da uccidere. La preda da mettere in salvo. I due volti di Alain sconvolgono

la mia razionalità, rendendomi fin troppo fragile. Chi è mai lui per me, da gettarmi in una

simile confusione?

«Il nostro compito è solo quello di proteggere gli umani che occupano questo territorio,

da esseri spregevoli come voi. Non chiediamo altro che essere lasciati in pace. Da soli tre anni

ci siamo liberati di Stephen Dan, e pensavamo foste di un gradino superiori a lui e al suo

esercito di vampiri. Invece…siete solo dei traditori. Come tutti i vampiri che hanno incrociato

il mio cammino».

Come ho potuto anche solo pensare che dietro la parola vampiro si potesse nascondere

qualche sbiadito aggettivo come leale e sincero? Stupida. Stupida. Stupida! Sento un velo di

lacrime iniziare ad offuscare la mia vista. Se dovesse accorgersi del mio stato pietoso, sarei

spacciata.

Avanza di un passo, ma si arresta con espressione incerta: «Davvero, non capisco. Le

tue parole non hanno senso per me…ma andiamo al dunque. Sono felice di averti incontrata

così, per caso. Sarebbe stato realmente difficile per noi riuscire ad entrare nel cuore del

branco senza rischiare di essere fatti a pezzi dai tuoi amici lupi, ancor prima di poter aprire

bocca e spiegare il vero motivo della nostra visita».

Ricaccio con un veloce gesto della mano le piccole lacrime scivolate lungo una mia

guancia. I suoi occhi scuri, simili a due pozzi senza fondo, mi osservano stranamente. Come se

fossi io, tra i due, la misteriosa creatura da esaminare.

«Non servono parole futili per accompagnare il vostro gesto. L’uomo che avete

succhiato fino alla morte, viveva qui. Apparteneva alla nostra ala di protezione».

Il suo silenzio invade le mie vene di rabbia. Non so cosa, ma credo vi sia un elemento

sfuggente in grado di inquadrare bene tutta questa storia. Di dare i giusti perché alle domande

che mi svolazzano attorno.

«Siete tutti in pericolo, Yvonne. O meglio, siamo tutti in pericolo. Noi vampiri di Venezia

abbiamo deciso di venire fin qui per non interrompere la caccia all’assassino di Jack, uno dei

nostri».

Jack. Il vampiro dai capelli biondo platino. «Ricordo bene Jack. Vuoi dire che…»

«Che la sua esistenza da succhiasangue è finita. Abbiamo trovato i suoi resti

completamente smembrati. C’era odore di vampiro nell’aria…un licantropo dev’essere

37

certamente stato aiutato da un vampiro, per mettere all’opera il massacro. Sai bene che l’unica

morte a cui può andare incontro un vampiro, è lo smembramento del suo corpo effettuato da

un lupo o da un altro succhiasangue. In altro modo, seppur fatti a pezzi, i nostri arti sono

capaci di ricrescere ad un’incredibile velocità. A meno che non siano accompagnati dal veleno

iniettato dai denti di un nostro simile. Quest’ultimo arresta la ricrescita della carne, ponendo

fine alle atroci sofferenze a cui altrimenti andremmo incontro, se desiderosi di riacquistare la

mostruosa immortalità a cui apparteniamo».

Sento i miei nervi -prima tesi- rilassarsi lentamente. I pugni delle sue mani si stringono

in una morsa letale, le ossa sembrano voler spaccare la pelle marmorea divenuta leggermente

violacea nei punti in cui aderisce del tutto ad esse.

«Alcuni licantropi si sono alleati con dei vampiri assetati di morte e potere. Puoi anche

non credere alle mie parole. Ma se non sono riuscito a estendere nella tua mente neanche

l’ombra del dubbio sulla mia versione dei fatti… uccidimi. Chiama i membri della tua famiglia,

assisti al mio massacro. E perché no, inietta il tuo stesso veleno nei miei arti troncati, così la

facciamo finita con questa buffonata».

Lo guardo attonita, cercando un barlume di scherno nei suoi occhi. Ma riesco a

scorgere solo una cupa serietà, la scintilla di una proposta che, oserei dire, appoggerebbe

volentieri se la accettassi. Le sue labbra abbozzano un lieve sorriso.

In me vibra una corda, incitandomi ad approfittare della situazione. Ma la parte umana

del mio cuore mi spinge ad accogliere l’ombra del dubbio insinuatasi, come del resto Alain

sperava accadesse.

«Domani. Al sorgere del crepuscolo. Un chilometro più distante dai confini della tua

proprietà».

«Non sarà pericoloso addentrarti così nel cuore del branco?», esitai, preoccupata.

«Tu pensa solo a non mancare. Per il resto stai tranquilla…so guardarmi alle spalle»,

sorrise debolmente.

«Perché di notte? Non sarebbe meno pericoloso alla luce del sole? O forse…per voi è

realmente impossibile esporvi ai raggi solari?». La sua risata echeggiò nel silenzio, simile ad uno

sgorgo d’acqua piovana.

«Che sciocchezze! Non sai proprio nulla sulle abitudini dei tuoi simili? Veramente

strano…quindi i tuoi occhi non subiscono nessuna mutazione alla luce del giorno?».

«Non so di cosa parli».

Tirò un sospiro profondo. «Nessuna polverizzazione al contatto con il calore del sole.

Niente di tutto questo. Noi vampiri possiamo tranquillamente vivere le nostre giornate in totale

libertà tra la gente, eccetto che per un piccolo particolare: dobbiamo indossare assolutamente

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degli occhiali da sole. Persino quando il cielo è grigio, la luce del giorno riflette nei nostri occhi

svelando in tal modo il nostro vero essere».

Notando il mio stupore, continuò a spiegare: «Durante il nostro primo incontro, e anche

adesso, mi hai potuto vedere totalmente al riparo dai raggi solari. In caso contrario.. .se avessi

visto me e la mia famiglia, avresti potuto anche conoscere il bagliore che riflette il nostro “io”

interiore. Quello del vampiro che vive in noi, ovviamente…non di certo quello dell’uomo che

prima ci apparteneva. Il colore che riflettono i miei occhi, per esempio, è il verde. Non so bene

cosa significhi…ma prova a immaginare la reazione della gente comune, se incontrasse uno

come me. Occhi a sfondo nero con fiamme di colore rosso e verde che s’intrecciano tra loro. Non

ci sono dubbi, gli occhiali da sole sono la nostra salvezza».

Continuai a fissare le sue iridi, immaginando di poterne scorgere il riflesso verde da lui

descritto. Sarebbe apparso meno terrificante a vederlo?

«E comunque, non è certo questo il motivo per cui non voglio che il nostro incontro si

svolga di giorno. Domani, capirai».

Queste, le ultime parole che hanno accompagnato il mio incontro di ieri notte con Alain

il vampiro. Non avrei mai immaginato, né desiderato, di poterlo un giorno rincontrare. Ed ora

che è qui, di nuovo a pochi passi da me…

Traditrice. Sì, l’aggettivo da loro affibbiatomi mi si addice proprio a pennello. Ora come

non mai. Traditrice. Verso i lupi, verso la mia stessa famiglia. Verso coloro che odiano, più

d’ogni altra cosa, i vampiri. La mia seconda metà.

Non è comunque questo il momento di lasciarmi prendere da simili pensieri. La cosa

più importante, adesso, è riuscire a ottenere da Walter il permesso per un incontro con i

vampiri di Venezia. Se quel che Alain mi ha raccontato è vero, siamo realmente tutti in

pericolo. Non sarà affatto facile riuscire a convincere i lupi… o meglio, sarà impossibile. Come

può anche solo sperare Alain, di entrare in una delle nostre adunate insieme ai suoi

compagni? I licantropi non accetteranno mai.

Eppure, devo almeno tentare. Devo, se decido di credere in Alain. Cercando di trovare

le parole adatte per non far intuire né a Walter, né a nessun altro, il mio segreto.

Mi alzo dal mio letto sopra il quale ho trascorso le ultime ore della notte, assorta tra le

recenti novità. Apro la finestra della mia camera che sfocia verso la piccola chiazza verde

vicino casa, con l’ardente desiderio di respirare l’aria fresca e pungente del mattino. Guardo la

sveglia, le lancette segnano le sette. Come rituale d’inizio giornata, spazzolo i miei capelli e

lavo con energia i miei denti affilati; scendo al piano di sotto, preparo la mia tazza di latte e

cornflakes da inghiottire con avidità, mentre con la mente divago tra le parole più giuste da

usare.

«Di buon’ora, Yvonne. Come mai già sveglia?». Alzo il viso in direzione di Marchal con

su stampata l’espressione più preoccupata che potessi riuscire a ottenere: «Come avrei potuto

dormire, dopo aver trovato questo sul davanzale della finestra?», le dico, estraendo dalla tasca

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dei jeans e mostrandoglielo, un foglio piccolo, quadrato. Piegato perfettamente. Marchal tende

la mano incerta e apre il biglietto misterioso. Con voce sommessa ne legge le poche righe:

Non c’è il tempo, né il modo di poter spiegare tutto per iscritto. Permetteteci di

partecipare alla vostra prossima adunata di luna piena e anche voi saprete la verità.

Siamo tutti in pericolo. Non sottovalutate le mie parole.

Alain

Rimane immobile, continuando a rileggere non so quante volte il messaggio.

«È il nome di uno dei vampiri che hai incontrato a Venezia?». Chiede improvvisamente,

restituendomi il biglietto e guardandomi fisso negli occhi.

«Sì, appartiene al clan di Venezia. Dovremmo considerare le parole del visitatore e

chiedere consiglio a Walter. Lui deciderà se accettare o meno la proposta, che ne dici?».

Il suo sguardo muto e severo getta una profonda ansia nel mio cuore. Che abbia capito

l’inganno?

«Questo», sventola il piccolo foglio quasi sotto il mio naso, «appartiene ti appartiene. Ci

sarà un motivo per cui hanno deciso di lasciarlo sulla tua finestra. Spetta quindi a te il compito

di presentarlo al nostro capo branco. Sebbene la risposta che ti darà, sia più che ovvia».

Cerco di nascondere il mio turbamento mostrando una sfacciata noncuranza, mentre

lavo la tazza per riporla al suo posto: «Pensi che Walter non permetterà ai vampiri di dare una

spiegazione allo scempio trovato da Peter?». Pone una mano sopra la mia, ritrovandosi con me

sotto lo scroscio d’acqua della fontana: «Non esistono spiegazioni, non esistono perché

all’uccisone di un uomo da parte di un vampiro. Il motivo è solo uno: la loro sete. Sarà meglio

che questo gruppo di girovaghi assassini venga il prima possibile fatto fuori, non possiamo

aspettare la morte di altre persone. Ed è impensabile far mettere piede a quelle carogne nel il

nostro branco».

Come pensavo. Non esiste speranza per Alain e i suoi. Saranno costretti ad affrontare il

branco in battaglia. A meno che…

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PRIMA DEL CREPUSCOLO

entre procedo a passo lento lungo il ripido sentiero che conduce all’abitazione di

Walter, un’unica e ovvia domanda non smette di tormentarmi: cosa mi spinge a voler

credere con tutte le mie forze alle parole di quel pericoloso assassino?

In fondo al mio cuore ho sempre saputo che l’incontro avuto con lui sette anni orsono,

avrebbe cambiato la mia vita. Ma non ho mai creduto di poter arrivare a tanto: mentire alla

mia famiglia per permettere al nemico d’intrufolarsi tra noi. Assurdo.

E se la sua fosse solo una trappola? Entrati senza ostacoli nel nostro campo, sarebbe

più facile attaccarci e far infiltrare poi dall’esterno altri membri per finirci del tutto. Certo, non

devo sottovalutare il mio stesso branco…non sarebbe un gioco da ragazzi riuscire ad

abbattere i fratelli Johnson, Peter e il suo seguito…per non parlare di Walter. Non so davvero

cosa pensare. Eppure i suoi occhi erano sinceri, ne sono sicura.

Che sia un membro dei vampiri di Venezia, il vero colpevole? Forse, a insaputa persino

di Alain e del resto dei suoi compagni...no, sto pensando un mare di sciocchezze. Anche

quest’ipotesi è improbabile: se uno dei traditori fosse un componente del clan italiano, i

vampiri avrebbero riconosciuto la sua identità dal suo odore, la stessa notte in cui sono stati

trovati i resti di Jack. E del resto, Peter avrebbe di certo capito dalle tracce lasciate sul luogo

del delitto di quel pover’uomo, se alla sua uccisone avesse partecipato anche un licantropo.

Il sole batte cocente con i suoi raggi di fine Luglio. L’aria è frizzantina, porta con sé i

profumi della fitta vegetazione che si estende a ovest. Carezzo lievemente, con la punta delle

mie dita, gli alti fili d’erba che solleticano le mie gambe. Chissà dove saranno, Alain e gli

altri…riesco a immaginarli, raggianti e colorati nelle loro eccentriche capigliature.

Finalmente casa Tunner. Proprietario, Walter Tunner. La casa dal tetto di ghiaccio,

soprannome ideato da me, Ricky ed Albert, calza a pennello per l’edificio che ho di fronte: le

tegole sono state dipinte di bianco, come le pareti esterne. Una freddezza inquietante a

vedersi, ma totalmente in contrasto con il calore interno dell’abitazione. Passo il dorso della

mano sul viso per togliere via il velo di sudore che m’imperla la fronte. Suono il campanello.

Cinque secondi d’attesa e poi…

«Prego? Cosa desideri?». Mi accoglie la vecchia governante.

«Buongiorno, sono Yvonne Smith. Potrei vedere il signor Walter? È una questione

molto urgente».

La tarchiata donna mi guarda dalla testa ai piedi con i suoi occhi piccoli e neri,

storcendo le labbra. Cos’ho che non va? I bermuda di jeans bianco che sfiorano il ginocchio o

la canotta cremisi? No, devono essere le sneackers rosa.

M

41

«Entra pure. Avviso il signor Tunner della tua presenza».

Una donna dall’aspetto davvero minaccioso. Mi chiedo come Walter possa aver assunto

una simile dipendente. Il salone è sfarzoso, arredato con mobili di legno massiccio intagliato,

ma quel che conferisce all’ambiente un tocco di vanità, sono i numerosi scalpi di belve feroci

delle savane appesi come cimeli alle pareti, oltre che gli ampi tappeti di pellicce di ghepardo,

pantera, leone e tigre.

Non appena mi accingo a sedermi, in cima alle scale compare il nostro capo branco:

terribilmente alto, dalla corporatura statuaria. Dovrei essere abituata a questa sua

caratteristica, ma ogni volta che mi capita di vederlo, l’impatto è sempre sconvolgente. Occhi

di un caldo castano vanigliato, naso leggermente aquilino e labbra piuttosto seducenti. La

marcata fossetta sul mento è un tocco in più alla sua virilità bollata.

Ma noto con stupore che non è da solo. Alle sue spalle compaiono i fratelli Thomson:

Nico l’albino, e Daniel…il tutto muscoli senza cervello. I figli adottivi -insieme alla piccola

Nancy- dei coniugi Thomson. Molto meno appariscenti del padrone di casa. Come mai anche

loro da queste parti? E soprattutto…mi stupisce averli visti comparire dalle camere private di

Walter. Non sapevo vi fosse una simile confidenza tra loro.

«Che sorpresa! La nostra giovane mezzosangue ha voluto rendermi omaggio con una

sua visita. Qual buon vento, ti porta qui, amica mia?».

Non ho mai sopportato il suo modo di rivolgersi a me con l’aggettivo mezzosangue.

«Ciao, a tutti».

«Ciao, Yvonne». Mi rispondono i due fratelli, entrambi con espressione apatica.

«Non vorrei rubarti molto tempo, Walter. Avrei forse dovuto avvisarti del mio arrivo,

ma ho seriamente bisogno di parlarti». L’espressione serena e gioviale del nostro capo branco

rimane immutata nonostante la gravità delle mie parole.

«Siediti pure. Dimmi tutto».

Incerta su come comportarmi, rivolgo uno sguardo verso i ragazzi alle sue spalle:

«Ehm...preferirei parlarti da sola. Si tratta di un argomento piuttosto delicato».

Mi rivolge un ampio sorriso comprensivo. «Riguarda direttamente la tua persona o è

qualcosa che si potrebbe ripercuotere sul branco?».

Gli occhi dei due fratelli sono fissi su di me. Che razza di comportamento, quello di

Walter.

«Ovviamente... riguarda il branco». Se mai avesse riguardato la mia vita privata, che

motivo avrei avuto di andare a chiedere il suo aiuto?!

«Allora non devi affatto preoccuparti, mia cara. Non esistono segreti tra i membri del

branco. Parla pure>>.

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È davvero incredibile. Adesso dovrò riuscire ad ingannare tre grossi lupi, anziché solo

uno. Chiudo gli occhi per un istante e penso che sì, ce la posso fare.

«Bene. Ho questo da consegnarti». Gli mostro il biglietto scritto e firmato da Alain.

«L’ho trovato stamattina sul davanzale della mia finestra».

Lo legge con attenzione e lentamente. Poi, con un profondo sospiro mi rivolge i suoi

occhi improvvisamente colmi di preoccupazione: «Non credevo si sarebbero fatti vivi così

presto. Certamente sono venuti con la convinzione che tu gli avresti dato una certa…fiducia».

Sussulto per l’indiretta accusa. Sono così poco brava a mentire? «Cosa vuoi

dire? Sai bene che non potrei mai fidarmi di un vampiro». Rispondo risoluta, sfacciatamente

bugiarda. «Mi chiedo solo se sia il caso di prendere in considerazione l’avviso che ci hanno

voluto lanciare. Un pericolo esiste davvero. E se loro sapessero di cosa si tratta?».

Mi volge le spalle, ma continua a parlare: «Non importa affatto che loro lo sappiano o

meno. Basta che lo sappiamo noi e questo è tutto. Sono state riconosciute le tracce dei vampiri

di Venezia, sono loro gli assassini. E se non li fermassimo subito, sarebbe l’inizio di un vero

sterminio per gli abitanti delle zone a noi vicine».

«So bene cosa vuoi dire. Ma…se non tutti gli appartenenti al clan fossero colpevoli?

Forse è per questo che hanno richiesto il nostro aiuto...Forse sospettano un tradimento

all’interno del loro stesso clan». Un’aspra risata esce dalle sue labbra. Nico e Daniel

sogghignano tra loro guardandomi con scherno. Ed anche con un po’ di…disprezzo?

«Non dire sciocchezze, Yvonne. Basterebbe soltanto lo schifoso veleno di un loro

membro, per fermarne la ricrescita di un intero esercito. Non chiederebbero mai l’aiuto dei

licantropi per uccidere un loro simile, fosse anche un traditore».

Devo ad ogni costo nascondere la mia profonda delusione. Sto fallendo miseramente,

sapevo che sarebbe stato impossibile convincerlo.

«La tua disarmante ingenuità, piccola mia, è dovuta alla totale mancanza di esperienza

in combattimento con quelle luride carogne. Ma non temere. Presto, il tuo desiderio sarà

esaudito».

Un brivido mi pervade la schiena. Si gira nuovamente verso di me rivolgendomi il suo

sguardo tornato ad essere ridente. Avanza di qualche passo nella mia direzione e prende una

mia fredda mano tra le sue. La tensione che circola dentro me è tale, da farmi sospettare di

essere divenuta fredda almeno quanto Alain.

«È sinceramente impensabile permettere loro di partecipare a una nostra adunata.

Sarebbe inutile e fin troppo rischioso. So che sarai felice della mia decisione, Yvonne». Io

stessa -non so perché- aumento la stretta delle nostre mani unite, forse per incitarlo a parlare.

Ma ciò provoca nei suoi occhi una scintilla di gioioso stupore. «Di quale decisione parli?»,

chiedo, con voce tremante.

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«Preparati ad allenarti, mia cara. Parteciperai allo scontro contro i vampiri di

Venezia».

Un incontro breve. Inutile. È solo servito a farmi scoprire le vere intenzioni del branco.

Perché, a questo punto, sono certa che la decisione sia stata presa dalla maggior parte degli

altri lupi di mia conoscenza, vista la battuta poco felice di Daniel: «Finalmente sarai davvero

dei nostri, Yvonne. Cerca di non immergerti troppo nella mischia però…rischieremmo di

confondere il tuo odore nella battaglia e di farti a pezzi come se fossi una di loro!».

Per non parlare dell’occhiolino d’intesa ricevuto da Nico. Sospetto persino che sia stata

io l’ultima a sapere la grande notizia che mi riguarda. Spero almeno che la richiesta disperata

di Marchal e la promessa strappatami, non siano state frutto di tutto questo. Che conosca già

anche lei le aspettative del branco? Non saprei dirlo con certezza, ma la sua espressione

nell’apprendere la risposta di Walter alla proposta dei vampiri, mi ha lasciata perplessa.

Albert e Ricky, dal canto loro, hanno fatto di tutto per rendere meno pesante la

situazione, iniziando a programmare le prossime lezioni di lotta durante le quali loro stessi mi

faranno da maestri. Veramente una buffa circostanza…fino a ieri sera sarei stata disposta a

schierarmi contro tutto e tutti pur di non essere ancora esclusa nella lotta contro i vampiri.

Adesso…adesso c’è qualcosa di diverso. Ma cosa?

Il sole sta per tramontare. Oramai non dovrebbero sussistere più disagi per Alain, nel

vedermi. Credo di essere più che puntuale all’appuntamento, ancora un’ultima svolta..e

sorpassato questo gigante masso indorato dagli ultimi raggi del tramonto, sarò a

destinazione. Mi è sempre piaciuto camminare in mezzo ai campi. L’aria porta con sé profumi

che in altri luoghi sarebbe impossibile percepire. Chissà se mi sta già aspettando…

Eccolo, è qui. A pochi passi da me. Osserva un punto indecifrabile. La mia presenza, o

forse il mio odore, lo inducono a voltarsi lentamente verso la mia direzione.

Ed è in questo istante, colta dalla splendida visione della creatura più spietata, più cara,

terrificante, dolce e irraggiungibile, eppure a me così vicina, che la mia intera esistenza si

riduce in pochi, inafferrabili granelli di felicità.

I suoi occhi s’inchiodano ai miei. La calda e dorata luce degli ultimi raggi di sole si

riflette attraverso il bagliore emanato dal suo sguardo. È come se le sue pupille brillassero di

luce propria, simili a polvere di diamante sparsa in una pozza d’acqua argentea. La sua

descrizione era del tutto veritiera: una danza di rosse fiamme intrecciate a verdi lampi. Così, i

suoi occhi, prima del crepuscolo. I secondi che hanno accompagnato questo magico,

indimenticabile momento, sono stati troppo brevi. A poco a poco la luce si affievolisce e una

sottile coltre di nebbia azzurrina avvolge i nostri corpi e tutto quel che ci circonda. La sua voce

accarezza i miei sensi, trascinandomi in un irrinunciabile invito: «Yvonne…sei già qui».

Come nelle precedenti occasioni, non riesco a far uscire la voce dalla mia gola.

«Scusami…non credevo di essere in anticipo».

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«No, anzi. Sono felice che tu sia arrivata appena in tempo. È stata una sensazione…»

«Strana e…irripetibile».

«Incredibile».

Entrambi accenniamo un sorriso. L’imbarazzo è palpabile come i pulviscoli di polvere

che si scontrano sul suo volto spettrale e bellissimo. Gli occhi poco prima percorsi da una linea

verde smeraldo, sono tornati ad essere di un nero inchiostro.

«Non dovremmo soffermarci qui. Vieni con me», mi porge la sua mano, effettuando un

sorriso del tutto disarmante, «fidati».

Ed io, senza indugio, contrariamente ad ogni mio pensiero, o convinzione, o ideale…mi

fido di lui. Dell’essere più spaventoso e raccapricciante che sia mai esistito nella storia

dell’umanità.

Mi fido. Gli porgo la mia mano nella febbricitante attesa di una nuova ondata di

memoria, al solo contatto con la sua pelle fredda. Un istinto incontrollabile, una forza che mi

avvinghia al desiderio di una sua costante presenza al mio fianco.

Ma non accade nulla. La mia pelle tiepida, marmorea eppure rosata, a contatto con la

sua non risente di nulla…nessuna scossa, nessun prodigio. Non una visione inonda la mia

mente, lasciando in essa il posto ad una sensazione mai provata prima d’ora: la meravigliosa

percezione di sentirmi completamente, come mai prima d’ora, a mio agio. Nei palmi delle

nostre mani non c’è l’ombra del vampiro o della mezzosangue. Ma l’unione di due esseri

liberi.

Immersa in questi pensieri, mi lascio guidare da Alain nel folto della foresta inondata

oramai dalle ombre della sera.

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SORRISI

uante…quante volte mi sono chiesta cosa si potesse provare restando mano nella mano

ad osservare lo spicchio luminoso della luna, in compagnia di un vampiro? Bè, questa

notte non c’è alcun bisogno di fantasticare su quest’ipotesi prima tanto remota, adesso

più reale che mai.

«Dunque è davvero impossibile farli ragionare. Non capiscono che così facendo la

situazione potrebbe peggiorare? A quel punto, la segretezza del loro caro branco non

servirebbe più a nulla».

Il suo comportamento è a dir poco incredibile, non mi permette di ragionare a mente

fredda e senza correre il rischio di lasciarmi influenzare dallo sciocco effetto che la sua

vicinanza mi procura..

«Stai attento a quel che dici. Ricorda che è stai parlando della mia famiglia. Io resto pur

sempre dalla loro parte, se ancora non l’avessi capito».

Un sorriso sprezzante inarca le sue labbra. «Oh, eccome se l’ho capito. E chi non lo

farebbe? La tua devozione per i lupi è stata chiara sin dalla prima sera in cui t’incontrammo.

Ci avresti attaccati uno ad uno a costo di difendere il tuo vecchio amico. Ma ti sei mai

chiesta…se lui avrebbe fatto lo stesso per te?».

«Ne sono sicura». Per pochi istanti rimaniamo immobili, ognuno assorto nei propri

pensieri. Un lieve venticello carezza i nostri capelli, rendendoci sensibili a ogni sfumatura di

profumi presenti intorno a noi.

«Bè, non ne dubito. L’affetto del tuo amico era evidente. Ma non posso esserne certo

per il resto dei membri del tuo branco. È come ti ho detto: i licantropi si sono alleati con i

vampiri. Una circostanza mai avveratasi prima d’ora nella storia delle nostre razze».

D’un tratto, con entrambe le sue mani stringe la mia che già teneva legata in un

intreccio di dita stranamente rassicurante. I suoi occhi gridano. Ma è una voce troppo

soffocata dal sangue in cui è totalmente immersa, per poterla udire come vorrei.

«Devi fidarti di me, Yvonne. Non ho mai chiesto nulla a nessuno. Non ho mai

voluto dimostrare ad altri quel che sono. Il mostro che vive in me ha cancellato quel poco di

umano che mi era rimasto. Eppure anch’io, un tempo, sono stato un uomo. Anche se non so

quando…dove. Non ho nessun ricordo che mi faccia sentire legato in alcun modo a questo

mondo e al lato più bello da cui si può osservare. È come se la mia esistenza sia iniziata con il

desiderio irrefrenabile della sete. Ho odiato tutto e tutti, ma più di chiunque altro, me stesso.

Sopravvivo grazie alla morte di qualcun altro».

Pieghe di sofferenza provano il suo volto. Sento che la sua maschera di contegno sta

per spezzarsi, lasciando libero lo strato di rabbia che lo tormenta.

Q

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«Tu dimmi…cosa potrebbe importarmi della vita di un lupo? Quale fine potrei ottenere,

desiderando la distruzione della tua famiglia? Vedi…ho chiesto al resto dei miei compagni di

avere assegnato il compito di parlarti, di mettere al corrente il tuo…branco, delle vicende da

poco avvenute. Loro sono tutti a caccia dell’assassino di Jack. Ho voluto che fosse così, perché

questo sarebbe stato l’unico modo per rivederti prima della guerra che scoppierà. Avevo

bisogno di parlarti. Come non sono riuscito a fare sette anni fa».

Perché ha smesso di parlare? La sua voce è come una forte droga dal sapore

irresistibile. Mentre un lieve sorriso dipinge le sue labbra, chiude gli occhi e respira

profondamente l’odore del mio sangue spinto verso lui dal vento leggero che m’investe.

Dovrei tremare di paura. Dovrei scappare. Ma resto invece estasiata ad osservare il

flebile mutare delle espressioni nel suo volto perfettamente scolpito.

«Cosa senti?», riesco solo a chiedergli.

«Il profumo della tua anima. L’aroma della tua pelle fluttuare con i pollini dei fiori che

ci circondano. Il dolce ondeggiare del tuo sangue tra le spesse pareti delle vene irrigidite dal

veleno che ti rende così simile a me». Stringe le palpebre con maggiore energia. «Riesco a

sentire..il desiderio che fa pulsare il tuo cuore pieno di vita…anche tu vuoi ritrovare la vera

Yvonne».

«Questo significa che non sono la sola…anche tu sei alla ricerca del vero Alain. Proprio

come me».

«Oh, no», sorride amaramente a sé stesso, riaprendo gli occhi colmi d’emozione, «no,

Yvonne. Il vero Alain è morto. Da parecchio tempo, oramai. Proprio per questo motivo, vorrei

ti decidessi a credermi. Non ho nulla da perdere, niente da ottenere. Voglio solo che venga

fatta giustizia per la morte del povero Jack. Vorrei che tra le nostre famiglie non ci fosse

un’ulteriore minaccia. E…per quanto ti possa sembrare impossibile, vorrei che altri esseri

umani non perdessero la loro vita inutilmente. Servono già per sfamare la nostra sete di

morte…un massacro in più a cosa servirebbe? Chi è adesso all’azione non caccia per sfamarsi.

Ma per il gusto di uccidere».

Non mi sono accorta delle lacrime che intanto rigano le mie guance. Con un sorriso

obliquo, avvicina la sua fredda mano al mio viso e ne raccoglie una.

«Scusa…non volevo». Mi affretto a giustificare la mia sciocca reazione, nel timore che

possa confonderla con un moto di pena.

«Non scusarti. È…è la cosa più bella che io abbia mai visto».

Sotto il mio sguardo colmo di stupore, porta alle sue labbra il dito che trattiene la mia

lacrima. Assapora la liquida perla come se in realtà fosse un sorso del sangue più aromatico

che avesse mai gustato.

«Non dimenticherò mai questo momento». Sussurra tra i miei capelli. Non ho fatto in

tempo a percepire il fulmineo movimento che ha avvicinato il suo volto rendendolo ad un solo

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centimetro distante dal mio. Ora come mai, potrebbe penetrare la pelle del mio collo con i suoi

denti affilati e mortali. Potrebbe gustare il sangue che ha desiderato di bere sin dal primo

istante in cui ci siamo incontrati. Ma non accade nulla: il suo volto rimane fermo tra i miei

capelli, mentre i raggi della luna sfiorano, attraversando le fronde leggere dell’albero sotto il

quale siamo seduti, la sua chioma di un caldo castano striato da nere lingue di capelli che

scendono lungo le bianche tempie.

Mi lascio trascinare dall’istinto irrefrenabile di prendere il suo volto tra le mie mani

tremanti: «Ti credo, Alain. Il mio cuore si spezza sotto il peso delle mie stesse parole, ma in

questo momento sono più simile a te che a qualsiasi membro della mia famiglia. So che non

menti. E farò di tutto per renderli propensi a un incontro con i tuoi».

Pone le sue mani sulle mie che gli cingono il viso freddo come marmo. «Non c’è più

tempo, Yvonne. Vivo di sensazioni, previsioni che mi permettono di capire cosa accadrà a

breve. E sento che i lupi ci attaccheranno presto. Il nostro unico dovere è quello di rimanere

vivi, di riuscire a non morire in battaglia. Insieme potremo cercare il vero colpevole di tutto

questo, e solo allora porremo fine a quest’inutile faida».

Pensavo di essere la sola a vivere di quelle strane percezioni di cui Alain ha appena

parlato. E queste, al momento, non fanno altro che confermare le sue parole: la battaglia ci

sarà. E presto, anche. Non so cosa farò quando mi ritroverò faccia a faccia con i vampiri di

Venezia, dopo essere stata addestrata per ucciderli. Non so cosa farò quando sarò costretta a

vedere Alain pronto ad uccidere un membro della mia famiglia. Ma so che dovrò lottare

anch’io. E so che mi ritroverò a veder morire qualcuno che amo.

Ero certa che Albert e Ricky non avrebbero perso tempo con gli allenamenti. L’alba non

è ancora comparsa all’orizzonte, e i miei amati fratelloni già allestiscono il terreno che

circonda la nostra piccola casetta a mo di campo da combattimento.

«Smettila di poltrire, Yvonne! Dobbiamo iniziare». Sbadiglio, sebbene non abbia affatto

sonno. Vorrei poter evitare in qualsiasi modo il mio addestramento, ma in fondo al mio cuore

sento che non è giusto. Non posso starmene ancora con le mani in mano, mentre i miei cari

rischiano la loro vita per proteggere il branco e di conseguenza anche me. Walter avrebbe

dovuto prendere prima questa decisione, e solo adesso capisco che il suo ritardo è dovuto al

profondo rispetto sempre avuto per la famiglia Smith. Negli occhi dorati dei miei fratelli riesco

a leggere la paura malcelata dall’impegno già preso nell’insegnarmi le mosse più efficaci per

abbattere un vampiro. So che non sarà facile per loro allenarmi a una possibile morte. Ma

devono farlo.

Le prime sfumature dell’alba tingono finalmente il cielo. Il corpo bronzato, snello e

aitante di Albert si lascia travolgere dal fuoco interiore della trasformazione. Dopo tanto

tempo, non smetto di rimanere affascinata dal processo di mutazione che li avvolge

magicamente: dura tutto poco più che qualche secondo, ma riesco a memorizzare ogni piccolo

strato di pelle umana nel momento in cui viene allungato e ricoperto da un alto strato di

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peluria. Ogni artiglio comparire dalla tenera carne, lacerare le dita e radicarsi nelle mani

divenute zampe. I corpi rannicchiarsi a terra e assumere una comune posizione canina. E

ancora il loro volto contorto senza dolore, dare spazio alle mostruose fauci del peloso muso

comparso sotto gli occhi accesi da una luce selvaggia.

«Sei pronta, Yvonne?». La voce di Ricky, rimasto al mio fianco, mi scuote dalla rete di

pensieri in cui sono caduta. «Sì, fratellone. Diamo inizio al combattimento». Rispondo con fare

divertito.

«Bene». Sorride, stavolta con un moto d’eccitante fermento nella voce. «So che non ti

piace sentirtelo ripetere, sorellina…ma ricordarti che sei una mezzosangue è l’unico modo per

farti capire come utilizzare al meglio le tue potenzialità. Essendo come loro -almeno per metà-

saprai anche combattere come un vero vampiro. Sarà un istinto naturale, che sentirai nascere

dal profondo dei tuoi arti. In tal modo Albert potrà mostrarti come, ad ogni tua mossa, noi lupi

sappiamo rispondere. Se li attaccherai sia con il tuo metodo di lotta, che con quello dei lupi,

alternando le due tecniche a vicenda… si troveranno spiazzati. Non sapranno da cosa doversi

realmente difendere».

«Già…ben detto, Ricky. Solo per metà». Il non riuscire a sentirmi appartenente a

nessuna specie, rende tutto più difficile. Perché sempre, in ogni circostanza, diviene

inevitabile considerarmi un difetto del soprannaturale.

Devo però dire che non avevo mai pensato al modo in cui tutto questo si sarebbe

potuto volgere a mio favore. Ricky ha ragione: per i vampiri rappresento una vera bomba ad

orologeria. Sarà più difficile per loro ferire me, che qualsiasi altro membro del branco.

«Mettiti in posizione d’attacco, Yvonne. Albert sta per lanciarsi contro di te». Il suo

ringhio mi lascia intravedere le terribili zanne ricoperte di schiumosa bava. Arretra poggiando

il peso sulle zampe posteriori, per poi lanciarsi come una molla in avanti, verso il mio corpo

teso e pronto a scattare. Inizio a volteggiare su me stessa, come se i passi di una danza

sconosciuta mi spingessero a compiere gesti involontari, fino a un attimo fa sconosciuti dal

mio corpo. È così che un vampiro sferra il suo attacco: danzando. Poi, dal vortice del mio

strano ballo mi lancio a una velocità impressionante nella stessa direzione tracciata dal salto

di mio fratello. A mezz’aria, lo scontro dei nostri corpi è micidiale. Simile al suono di un tuono

nel silenzioso inizio di una tempesta. Sento il corpo portentoso, riscaldato dalla folta pelliccia

di Albert, cercare di schiacciarmi con il suo peso incredibile. La rigidità dei miei arti mi fa

credere di avere, al posto delle braccia e delle gambe, lance di ferro pronte a squarciare

qualsiasi corpo a me estraneo. Cadiamo sull’erba, rotolandoci sopra.

«Devi affinare i tuoi movimenti, Yvonne! Sono ancora troppo grezzi!», grida Ricky

cercando di superare i terribili ringhi di nostro fratello, «Ancora una volta!», incita con più

enfasi.

Non so quante ore siano trascorse. Ma quando Marchal ci ha richiamati annunciando il

pranzo per la terza volta, io, Albert e Ricky ci siamo avviati verso casa più felici che mai. Avrò

bisogno di un po’ di tempo per riuscire a gestire nel migliore dei modi la mia agilità, i miei

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movimenti scattanti e fulminei, l’incredibile forza dei miei colpi. Per azzannare, come i miei

fratelli, gli arti del nemico, e per sorprenderli alle spalle come solo un lupo riuscirebbe a fare.

Ma di quale nemico sto parlando…? Per un attimo, lascio volar via le nubi dal mio

cuore. I sorrisi raggianti e sinceri dei miei amati fratelli, si uniscono a quello seducente e

terrificante di Alain.

A pochi passi da casa, Albert e Ricky mi sorpassano rincorrendosi. Prima di varcare il

piccolo portoncino, guardo per un attimo alle mie spalle. Non credo sia un gioco di luci…dietro

i primi alberi del vicino boschetto, una fiamma sembra bruciare silenziosa, osservando

qualcosa verso la mia direzione.

Osservando me.

Sorrido, riconoscendo a una tale distanza il bagliore rosso verde dei suoi occhi.

50

LA PROMESSA

ono trascorsi dieci giorni dalla sera in cui io e Alain ci siamo dati il nostro primo

appuntamento. Da allora non ho più avuto alcuna traccia della sua presenza.

Quale senso può avere questa triste assenza prolungata? Dieci giorni. Se fosse accaduto

qualcosa, i licantropi l’avrebbero di certo saputo; dall’episodio che ha scatenato tanto

scalpore, Peter non fa altro che setacciare ogni zona a noi vicina. Al momento non è accaduto

nulla che abbia dato il via allo scontro e, intanto, i miei addestramenti si sono intensificati

giorno dopo giorno. Non credevo si potesse provare una sensazione così esaltante nel

combattere corpo a corpo con il nemico per difendere la propria vita. Sarà anche questa una

parte del mio lato più oscuro? Non credo, perché mi pare di aver intravisto la stessa febbrile

voglia di attaccare, azzannare, mordere, lacerare, negli occhi dei miei fratelli. Bè, in fin dei

conti, anche loro fanno comunque parte del popolo nascosto. Le tecniche di lotta utilizzate dai

lupi, comunque, sono molto meno appariscenti delle nostre, di quelle dei vampiri: le giravolte

sono sostituite d’acrobatici salti, i delicati e profondi morsi da violente zannate, le

impercettibili ma granitiche movenze delle fredde mani contro la carne morbida e calda dei

lupi, da zampate capaci di strappare parti consistenti di un corpo senza pelliccia. Insomma, il

risultato appare lo stesso, ma con una sceneggiatura del tutto diversa.

«Qualcosa ti preoccupa?». Il viso piccolo e perfettamente ovale di Mary, incorniciato da

ribelli riccioli castani, compare da dietro l’enorme tela su cui ha deciso di ritrarmi. Associare

nel più delizioso dei modi i colori dando forma ad immagini reali, è la sua più grande passione.

«No, affatto. Stavo solo pensando alla prova scritta di lunedì. Sono ancora convinta che la

risposta alla terza domanda sia sbagliata». Raccoglie con la punta del morbido pennello un po’

di colore rosso e lo lancia nella mia direzione ridendo, sfiorando l’impatto con la mia maglietta

e rischiando di macchiarla. «Tu sei davvero matta!». Le grido allegramente.

«Ti ripeto che sono assolutamente certa di averti suggerito la risposta esatta. Abbiamo

controllato su tutti i libri di storia dell’arte e nessun argomento accennava a quella stupida e

ingannevole domanda. Sapevo la risposta corretta solo perché avevo letto qualcosa a riguardo

in una rivista, qualche mese fa, nella sala d’attesa del dentista…o della pettinatrice? Non

ricordo. Comunque dammi retta e stai tranquilla, almeno per una volta. Il mio intuito mi dice

che è tutto ok».

E dovrei fidarmi del suo intuito?

Non ho raccontato nulla a Mary di tutto quel che è accaduto negli ultimi tempi. Non sa

del ritorno dei veneziani, dell’intento dei licantropi di dichiarare loro guerra, tanto meno

dell’uomo ucciso nella foresta. Ho preferito risparmiarle la paura per l’incolumità della mia

vita. Mary crede che il misterioso personaggio del bel vampiro Alain, sia rimasto fermo al

racconto del mio viaggio a Venezia. Meglio così. Non posso rischiare di esporre in serio

S

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pericolo anche lei, mettendola al corrente dei tetri segreti della mia famiglia, della mia

esistenza.

«Fammi un po’ vedere», mi alzo dalla minuscola seggiola in vimini su cui mi ha

costretta a sedere da circa due ore. Il particolare rende unico, ha insistito a dire. Se non fossi

stata per metà di tempra d’acciaio, avrei avuto le mie povere ossa arrugginite, grazie alle sue

astruse pretese d’artista.

«Et voilà!». Le sue guance rosate ravvivano il leggero spruzzo di lentiggini sulle gote. In

cuor mio ringrazio il cielo di avere un così ferreo autocontrollo, per non risentire affatto del

dolce aroma che il sangue di Mary possiede.

«Ma è…a dir poco fantastico!». Le getto le braccia al collo e la tempesto di baci. Ha

meno paura lei di me, che alcuni membri del branco. È davvero unica.

«Non esagerare, Yvonne! Sei semplicemente…tu. Non ho alterato nessun tratto del tuo

viso, come invece a volte mi capita di dover fare sotto richiesta di alcuni clienti», storce le

labbra in una smorfia di disappunto.

«Anche se non credo di essere così carina come nel tuo dipinto…non posso fare altro

che ringraziarti».

«Puoi risparmiarti i ringraziamenti. Il dipinto lo terrò io».

«Cosa?! Perché quest’idea?».

Ammicca sorridendo, le labbra tinte naturalmente di un bel rosa acceso: «Per poterti

vedere ogni volta che mi pare. Capita così di rado che possiamo trascorrere un po’ di tempo

insieme…meglio di niente, no?».

Che cara, ineguagliabile ragazza. Come avrei fatto in questi ultimi anni, senza lei?

«Oh, Mary…non sai quanto ti voglia bene». Stavolta rischio davvero di stritolarla nel

mio forte abbraccio.

«Vacci piano, ragazza vampiro!», ride tra le lacrime. «Sai che anch’io ti voglio bene. Fai

la brava nel periodo in cui non potremo né vederci né sentirci, ok? Quanto hai detto che starai

via?».

Forse per sempre, dolcissima amica mia.

«Non so per certo quanto. Qualche settimana, credo. Ma tieniti pronta, al mio ritorno

dovremo rifarci dei chili di gelato non presi in questo periodo di lontananza!».

«Yvonne…mi mancherai».

Mary…forte. Fragile. Impetuosa e indifesa. Splendidamente umana.

«Anch’io sentirò la tua mancanza. Ma tornerò presto, non temere».

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La giornata è una delle più calde di questa torrida estate. Uscita da poco

dall’appartamentino di Mary, giro per le strade affollate dalla frenetica cittadina che le abita,

cercando un negozio che faccia al caso mio per il prossimo compleanno di Albert. Tra soli due

giorni compirà ventidue anni, (ufficiosi settanta), ed io non ho ancora deciso cosa comprare

per l’occasione. Avendo a disposizione una quantità disarmante di compleanni, mi chiedo per

quanto tempo ancora amerà festeggiare simili ricorrenze. Ma adoro vedere i miei fratelli così

spensierati…la loro felicità è divenuta, negli anni, l’unica ragione per cui riesca a sentirmi

serena.

La compagnia di Mary mi ha aiutata per qualche ora a divagare la mente in pensieri

poco più frivoli delle mie solite preoccupazioni…eppure, pochi attimi di solitudine sono

bastati per far ripiombare la mia povera testa dentro la terribile morsa che il nome Alain ha

creato attorno a sé. Dove sarà adesso? Perché, perché non mi ha dato alcun segnale? L’unico

momento in cui credo di averlo intravisto è stato la mattina dopo il nostro incontro, appena

terminati gli allenamenti con Albert e Ricky. Sono certa mi stesse spiando. Il motivo? Riuscire

a scoprire le mosse con cui li attaccheremo, o il desiderio irrefrenabile di vedermi, di

osservarmi, identico a quello che provo anch’io per lui?

La realtà più sconcertante, tuttavia, è il fatto che io sapessi di essere stata seguita. Lo

sospettavo e, nel dubbio, speravo di non sbagliarmi. Come posso essere cambiata così tanto?

Attirata da un’insegna vivacemente colorata con su scritto: Il libraio matto, mi fermo.

Dev’essere una libreria carina, forse potrei trovare qualcosa d’interessante, Albert ama

leggere. Sto per entrare nel piccolo locale dalle pareti piene zeppe di libri quando,

improvvisamente, vengo attratta da un gruppo di persone che avanza facendosi largo tra la

folla, dall’altro lato della strada in cui mi trovo.

Sono in dieci. Alcuni alti e dal fisico statuario, altri poco più bassi e mingherlini. Quattro

uomini. Sei donne. Ognuno con una capigliatura da sballo e occhiali da sole impenetrabili.

Sono, in ordine di postazione dal mio campo visivo: Yari, i gemelli Jonatan e Carl, Paul, Marina,

Sara e Rebecca, Dorothy, Isabella e Susan. I vampiri di Venezia. Più abbaglianti che mai nella

loro superba andatura. Di Alain, neanche l’ombra.

Eccoli, finalmente. Dal momento in cui ho saputo della loro presenza così vicina a me,

ho desiderato di poterli incontrare ancora una volta. Davvero una strana sensazione quella di

vederli camminare tra la gente senza alcun disagio, senza la probabilità che l’odore del sangue

umano dia alla testa a qualcuno di loro spingendolo ad aggrapparsi al collo di un passante.

Godono di un autocontrollo d’acciaio, a quanto pare. Da ciò deduco che devono aver

provveduto abbondantemente anche loro, al sostentamento alimentare per il viaggio. La loro

caccia all’uomo è quindi premeditata. Uccidono non per istinto, ma per…necessità. Come se

andassero a far la spesa.

Non posso fare a meno di pensarlo…sono dei veri assassini.

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Devo sbrigarmi, se voglio raggiungerli. Camminano talmente veloci tra la calca di gente

che temo di perderli di vista.

Ad un tratto sono costretta ad arrestare bruscamente il mio tallonamento: no…non

posso crederci.

Che diavolo ci fa qui, Peter Callaghan?!

E soprattutto: per quale assurda e incomprensibile causa sta andando incontro

all’altezzoso gruppo di vampiri che ho riconosciuto? Incontro ai suoi più acerrimi nemici?

Per un attimo ho creduto che Sara mi abbia vista; dirige il volto verso la mia direzione,

ma non posso esserne certa. Gli occhiali che indossano impediscono di seguire i loro occhi. Mi

nascondo tra le mura di un vicolo vecchio e stretto, nel tentativo di scorgere lo svolgersi

dell’incredibile scena che ho di fronte. Il mio cuore sembra impazzito, un lieve tremore

percuote le mie mani. Sento che qualcosa stia sfuggendo, mi serve un tassello fondamentale

che ricolleghi i pezzeti sparpagliati tra le mie ipotesi.

Peter alza una mano in cenno di saluto e la comitiva si ferma non appena lo raggiunge.

Sembra essere a suo agio, gesticola con movimenti teatrali, com’è solito fare quando cerca di

dare direttive ai suoi ragazzi. I vampiri hanno l’aria diffidente: Paul schiva la mano del giovane

lupo che cerca di carezzargli la ribelle massa di capelli blu. Yari fa alcuni passi avanti, parla in

maniera composta e sicura di sé, finché non offre la mano a Peter, il quale rimane alcuni

istanti a osservarlo con la sua solita espressione di disdegno. Quando decide di ricambiare il

gesto di Yari, il gruppo dei dieci vampiri si dilegua tra la folla, disperdendosi ognuno in

diverse direzioni ed impedendomi di riuscire a seguirli.

Diamine, erano a pochi passi da me! L’odore del sangue di tutte queste persone

confonde terribilmente i miei sensi, non riuscirò mai a ritrovarli.

Il clan di Venezia e Peter Callaghan si erano di certo dati un appuntamento. Sicuri di

non dare nell’occhio tra la mischia del caos cittadino.

Mi chiedo perché Alain non fosse con loro…inizio a preoccuparmi sul serio. Che sia in

pericolo? E se i ragazzi di Peter avessero scovato il suo nascondiglio e si fossero divertiti a far

brandelli del suo corpo? Non riesco neanche a pensare ad una simile eventualità. Devo

mettermi sulle sue tracce, e subito. Posso riuscirci. Devo riuscirci. È stato l’unico ad avere il

coraggio di esporre i suoi dubbi riguardo i misteriosi omicidi avvenuti negli ultimi tempi, ed io

sento di potermi fidare di lui. Voglio fidarmi di lui.

Ferma nella mia decisione sto per tornare a casa, quando.. Alt. Riconoscerei

quest’odore persino se fossi tra un branco di cento lupi. Mi conviene battere immediatamente

in ritirata se non voglio che…

«Da cosa scappi, bellezza?».

Mi volto lentamente, i miei occhi socchiusi in una stizzosa fessura.

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«O forse dovrei chederti…da chi scappi». Peter.

«Non ho motivo di nascondermi. Stavo semplicemente facendo un giro in città per delle

compere. Il compleanno di Albert è alle porte». Non mi sento in dovere di dare alcuna

spiegazione, ma credo sia meglio trovare dei piccoli alibi per la mia presenza in un’anonima

stradina. Cosa penserebbe il resto del branco se lo venisse a sapere? È come se la vita si debba

svolgere esclusivamente tra i nostri simili. Uscire dalle righe -agli occhi di tutti- significa

andare a caccia di guai.

«Oh…il compleanno di Albert! Avevo quasi dimenticato. Dovrò scegliere anch’io

qualcosa per quest’importante ricorrenza, se voglio accattivarmi la benevolenza del mio

futuro fratello», piega le labbra in quel che dovrebbe essere un sorriso, apparendo ai miei

occhi molto più simile a un ghigno. I suoi impertinenti e noiosi tentativi di approccio nei miei

confronti sono divenuti oramai patetici.

«Non ricominciare, Peter. Stai vaneggiando». Devo trovare il modo meno pericoloso

per chiedergli quel che mi preme sapere: «Piuttosto…mentre passeggiavo, ti ho intravisto

insieme ad un gruppo di persone. Sembrava conoscessi bene quella bizzarra compagnia».

Ormai sono allo scoperto, tanto vale rivolgergli apertamente le mie domande.

«Ah Ah! Sei incredibile, Yvonne! Hai un modo davvero singolare per aggirare il

prossimo e ottenere quel che vuoi. So che mi stavi spiando». Arretro di un passo, la sua

espressione è troppo serena, imperturbata. «So anche che conosci molto bene la compagnia di

cui parli. Tu stessa hai stipulato il patto di tregua con loro, sette anni fa. Vuoi dire che non hai

forse riconosciuto i tuoi…amici?».

Che razza di farabutto. Era consapevole della mia presenza persino mentre parlava con

loro.

«Ti ricordo che i miei sensi sono sviluppati almeno quanto i tuoi. Ma non è di questo

che dovremmo parlare. Non è così? Perché non mi chiedi del tuo giovane amico…come si

chiama? Alain, mi sembra di ricordare».

La mia era solo una stupida, folle illusione. Ero certa che nessuno, tra i membri del

branco, sapesse dell’esistenza di Alain. Se Peter conosce la sua identità, posso considerarmi

del tutto scoperta. Posso considerare Alain spacciato.

«Perché quell’aria così sconvolta? Pensavi che avresti potuto nasconderti per molto?

Suvvia, mia piccola…bella e sciocca vampirella. Fossi in te non ci rimarrei troppo male».

Detesto questo suo modo arrogante per dimostrare quanto si crede di essere al di

sopra di tutti. Il grigio dei suoi occhi sembra attraversato da scure ombre. Dietro la maschera

sfacciatamente ironica, sono certa nasconda qualcosa che riesce a turbarlo più di quanto vuol

far trasparire.

«Falla finita, Peter. Dimmi, cosa gli hai fatto? Se hai osato torcergli anche solo un

capello, giuro che…».

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Mi pervade un improvviso e incontrollabile istinto di attacco. La mia mente, ogni

singolo muscolo del mio corpo, sembra divenire d’acciaio rovente. Devono essere stati gli

allenamenti degli ultimi tempi, ma sono certa di poter essere in grado di lottare contro Peter.

In questo momento sento il veleno scorrere all’interno della mia bocca. Per la prima

volta in vita mia, desidero affondare i miei denti nella carne dell’uomo che mi sta di fronte.

Una sensazione del tutto nuova… ed è sconcertante dirlo, ma…sorprendentemente piacevole.

Il mio annebbiante stato di estasi viene interrotto dal ringhio profondo proveniente dal

petto di Peter. La sua pelle abbronzata viene attraversata, dalle labbra alla fronte, da una

chiazza nera; la stessa che ricopre la sua bianca pelliccia di lupo. Basterebbe un istante perché

si trasformi del tutto.

«Cosa credi di fare, stupida mezzosangue? Se la tua famiglia o qualsiasi altro membro

del branco sapesse del tuo legame con quel lurido vampiro, sarebbe la tua fine, lo sai?».

«Non ho nessun legame con i vampiri, Peter», ho quasi la schiuma alla bocca, «volevo

solo riuscire a scoprire quel che sta accadendo. Piuttosto…e del tuo legame con i

succhiasangue: cosa mi dici? Il vostro incontro non sembrava affatto ostile. Tutt’altro».

La macchia sul suo viso sembra voler sbiadire lentamente. Sulle labbra dalla linea

perfetta, ritorna la bozza di un sorriso: «Sarebbe davvero inutile far precipitare le cose tra noi,

Yvonne. Ascoltami con calma e capirai tutto».

E così, devo solo accettare il fatto di essere stata presa in giro. Le belle parole insieme ce

la faremo. Non devi lasciar trapelare nulla. La tua incolumità all’interno del branco non

dev’essere intaccata…sono andate a farsi friggere. Alain mi ha imbrogliata come si riuscirebbe

a fare con una bimba sprovveduta o, ancora peggio…con qualcuno che non sappia quanto falsi

e ingannevoli possano essere i vampiri.

Ma io lo sapevo. L’ho sempre saputo. Eppure ho lasciato che mi raggirasse come meglio

credeva. Da quel che ho potuto capire - nonostante la mia mente fosse quasi del tutto velata

dalla confusione che le rivelazioni di Peter mi stavano provocando-, Alain ha deciso di andare

a parlare da solo con i lupi. Un vampiro. Un solo vampiro di fronte a Peter e tutto il suo

seguito. Ma come diavolo gli è venuto in mente di prendere questa decisione senza chiedere

neanche il mio parere? Non ha pensato alle terribili conseguenze che il suo gesto avrebbe

provocato? O forse -e questa ipotesi è per me ancora più difficile d’ammettere-, ha preferito

correre tali conseguenze, del tutto indifferente ai pericoli che la sua vita avrebbe potuto

affrontare. Sembrerebbe che ad Alain non importi nulla della sua esistenza.

Suppongo il suo colloquio con Peter sia risultato più che soddisfacente. Spiegando

all’intero gruppo tutto quel che era accaduto negli ultimi tempi -ovvero il motivo della

presenza dei vampiri di Venezia nel nostro territorio-, Alain è riuscito ad ottenere un

permesso di entrata nella prossima adunata di luna piena, alla quale il nostro branco prenderà

parte. Dunque, contro ogni previsione e, a dispetto della mia totale diffidenza nei suoi

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confronti, Peter si è mostrato aperto e disponibile ad ascoltare la versione dei nostri visitatori.

Per riuscire nel suo intento, Alain ha persino raccontato una versione del nostro incontro un

po’ diversa dalla realtà. Tralasciando (almeno spero) i particolari. Ha rifilato a Peter la storia

del biglietto lasciato sulla mia finestra e di un breve incontro notturno durante il quale, alle

sue richieste, io avrei mostrato disappunto e un netto rifiuto nel voler aiutare i vampiri.

Grazie a queste sue dichiarazioni, sono stata sgravata da ogni accusa di tradimento.

So bene che il gesto di Alain mi ha del tutto tolta dai guai, ma provo un moto di rabbia e

frustrazione nel pensare che adesso non potrei più far nulla per aiutare lui e gli altri veneziani.

In caso contrario, ogni ombra di dubbio sulla mia sincerità sarebbe spazzata via, ed io…per i

lupi -per la mia famiglia- diventerei un vampiro come tanti, d’abbattere senza alcun

ripensamento.

Se proprio devo essere sincera, quel che non riesco a dimenticare è lo sguardo

incendiato di Peter: mentre cercava di rassicurarmi, dicendo che avrebbe cercato di

convincere Walter ad ascoltare la versione dei Veneziani, era come se lui sapesse del

contrasto interiore che in quel momento mi tormentava. Come se il trasporto che mi spinge

ogni attimo in più alla disperata ricerca di Alain dei vampiri, fosse perfettamente chiaro ai

suoi occhi.

In tutta questa storia, solo di tre cose posso essere certa: della fedeltà di Alain nei miei

confronti, della sua reale premura per la mia vita e dell’incredibile evento che domani notte si

svolgerà sotto il pallido sorriso della luna piena. L’entrata di undici assetati vampiri all’interno

di un’adunata di licantropi galvanizzati da giorni e giorni di preparazione alla lotta.

Devo stare tranquilla. Almeno fino a domani. Riuscirò a resistere? Il solo pensiero di

rivedere Alain fa pulsare le mie tempie violentemente.

Mi alzo dal mio piccolo scrittoio. Via col vento resta aperto, lasciando scorrere

morbidamente via le pagine a ventaglio. Questa è una di quelle notti afose in cui desidero, più

d’ogni altra cosa, di poter girovagare tra le strade deserte della città. Il calore intensifica gli

odori, i profumi…sarebbe davvero una delizia per i miei sensi. Questo pensiero mi fa tornare

in mente il momento in cui oggi ho desiderato ardentemente di mordere Peter. Di bere il

sangue di un uomo. Da quale mio istinto primordiale si è scatenato questo bisogno? Ho avuto

paura di me stessa. Non sono poi così diversa da Alain.

Apro la finestra per respirare un po’ d’aria fresca. Un gruppo di lucciole rimbalza sui

vetri delle lanterne appese davanti la porta d’entrata. Il profumo dei fiori di campo che

circondano il nostro cottage, m’investe come una morbida onda. Domani a quest’ora saremo

già al raduno. La luna farà brillare la candida pelle dei vampiri, facendo accendere i loro occhi

in una fiamma mortale.

Sto per richiudere la finestra allontanando il mio sguardo dalla scura coperta

diamantata di stelle che si estende sopra il mio capo, quando…

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«Non vorrai lasciarmi qui fuori, vero?». La sua mano fredda afferra in una presa di

ghiaccio il mio polso improvvisamente febbricitante. Gli occhi di brace osservano, sorridenti,

il mio viso sorpreso. Non posso crederci. Non mi sembra vero.

«Alain? Che ci fai qui?!».

Il suo sorriso mi abbaglia, i denti bianchi splendono nel buio della notte. «Preferisci

forse che me ne vada?».

«Scherzi?! Entra piuttosto. Qualcuno potrebbe vederti».

La sua sommessa risata vibra nell’aria carezzando i miei timpani: «Immagina la scena.

Uno dei tuoi fratelli torna a casa dopo una bella caccia e mi scopre penzoloni alla tua finestra.

Mi staccherebbe le gambe con un solo morso!».

«Non è affatto divertente». Cerco di rimanere sulle mie, non posso fargli capire quanto

abbia sentito la sua mancanza. Mi deve ancora delle spiegazioni. «Vedo comunque che sei di

buonumore. Sono felice per te».

I suoi occhi s’inchiodano ai miei. La sua espressione diviene improvvisamente velata di

tristezza. «Ho capito. Non sei felice per quel che accadrà domani. In realtà, non avresti voluto

che ottenessi il permesso di entrare nella vostra adunata, giusto?».

«No, non è giusto». Sento la rabbia accumulata in queste ultime ore, divampare a fiotti

nel mio sangue inferocito. Alain rimane immobile per qualche istante, poi respira

profondamente l’aroma del mio sangue che aleggia tutt’attorno a noi.

«Sei solo uno vampiro dal cervello annacquato di veleno!».

Spalanca i suoi occhi, una risata divertita dipinge le sue labbra irresistibili. «Ah Ah! È

davvero divertente! Ma dimmi, a che devo dei complimenti così cortesi?».

Finge forse di non capire?

«Come puoi chiedermelo? Avevamo fatto dei progetti, insieme. Per dieci giorni, ho

temuto ti fossi cacciato in qualche guaio. Oggi ho persino pensato d’iniziare una caccia per

ritrovarti. Poi, esclusivamente per una fortuita coincidenza, in città ho visto il resto del tuo

gruppo. Peter Callaghan -credo tu non abbia bisogno di avere delle delucidazioni sulla sua

identità- aveva un appuntamento con loro. E, come ben sai, il motivo era darvi o no il via per la

vostra comparsa al raduno di domani notte».

Mentre mi rivolgo a lui con tono aspro e pretenzioso, volge lo sguardo verso il

boschetto vicino, come se avesse avvertito una presenza nei paraggi di questo: «Non mi resta

molto. Avrei voluto trascorrere più tempo in tua compagnia, stanotte. Ma, Sara…ti ricordi di

lei, vero?».

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Alzo gli occhi al cielo, indispettita: «Certo che me ne ricordo. Potrei elencarti ogni nome

dei vampiri di Venezia, con associate le caratteristiche di ognuno. In tutti questi anni non ho

trascorso un solo giorno senza ripensare a voi».

Un suo sorriso rende le mie braccia pronte ad assumere la consistenza di burro sotto le

sue mani. «È bello sentirtelo dire. Comunque, dicevo…Sara è in preda a una terribile crisi

d’astinenza, stanotte. Niente di particolare, non allarmarti. Ma ha bisogno dell’aiuto di noi tutti

per superare questo momento. Sappiamo che qui non ci sarebbe permesso cacciare, quindi

cerchiamo di tenerla a bada, lontana dai guai. Dobbiamo essere al meglio del nostro aspetto

fisico per domani, se vogliamo apparire minimamente credibili agli occhi dei lupi».

«Capisco. Ma hai deviato come un abile giocatore le risposte che mi devi, Alain dei

vampiri». A quest’affermazione inarca il sopracciglio destro, il mio nomignolo deve essergli

sembrato strano.

«Lascia perdere. Allora? Cosa ti ha fatto cambiare idea? Non credi di aver rischiato

troppo esponendoti così apertamente con Peter e gli altri? Non ti sono affatto grata, se è

questo quel che speravi. Essere esclusa dai piani non è di mio gradimento».

Cos’ho detto di tanto grave? Il suo sguardo è terrificante. Nere fiamme divorano i suoi

occhi incavati dalle tenebre che hanno coperto, come un’ombra funesta, il suo pallido viso.

Bloccata dal laccio che sento mi lega a lui attraverso una membrana di ricordi indistinti,

rimango impietrita, immobile, quando decide di circondarmi nel suo freddo abbraccio. Sono

certa che il battere frenetico del mio cuore si unirebbe al suo, se anch’egli ne avesse ancora

uno in grado di pulsare al ritmo delle proprie emozioni.

In questo momento… il ringhio di guerra del branco, le zanne bramose dei miei fratelli,

la voce imperturbabile di Peter… sono solo mute ombre chiuse a chiave in un angolo remoto

dei miei pensieri. Solo i nostri respiri morbidi, regolari, magnificamente sincronizzati, vivono

grazie alla scintilla da noi accesa. Le parole sarebbero inutili, eppure entrambi sappiamo che

qualcosa d’indispensabile per le nostre esistenze dev’essere detto. Ora. Segrete parole tra due

bizzarri sconosciuti, verità in attesa di essere svelate, consapevoli di possedere radici

profonde e nascoste dal tempo.

Unisce la sua fronte marmorea alla mia, in un gesto d’intima complicità. «Devi farmi

una promessa, Yvonne. Ho bisogno di sentirtelo dire».

Al contrario delle volte precedenti in cui mi sono ritrovata in compagnia di Alain, oggi

sento di riuscire ad esprimere, seppur non nel migliore dei modi, quel che vorrei dire: «Prima

di promettertelo, devi dirmi di cosa si tratta. E sappi che non ti permetterò di prenderti

ancora una volta gioco di me. Ho deciso di credere alle tue parole non perché sei come la metà

di me stessa che ho sempre rifiutato. Ma solo ed unicamente per la sincerità dei tuoi occhi».

Sorride ancora una volta, inconsapevole delle estranee sensazioni che il piccolo

movimento delle sue labbra è in grado di suscitare nella tremante mezzosangue che freme tra

le sue braccia.

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«E se ti fossi sbagliata? Se i miei occhi avessero saputo mentire almeno quanto la mia

lingua?».

Sbuffo divertita: «Preferisco rischiare che seguire una strada lontana dal mio infallibile

fiuto».

Sorridiamo, aumentando la stretta del nostro abbraccio e unendo con maggiore

intensità le nostre fronti.

«Sai che ho agito per proteggerti. Non trovo sia corretto mettere a repentaglio la tua

posizione all’interno del branco che ti ha cresciuta. Non è certo una forma di rispetto per i tuoi

amici lupi…non sai quanto li possa odiare. Ma tu li consideri come una vera famiglia. Non

sarebbe stato bello per te, essere accusata proprio da loro dell’infamia di tradimento».

Traditrice. Più volte, in questo periodo, mi sono timbrata da sola di questo titolo.

Perché, in fondo, sento davvero di esserlo.

«Ed ora, dandoti la mia parola che mai più rischierò di deludere le tue aspettative,

voglio chiederti di concedermi una promessa. Non puoi negarmela: se mai i lupi non

dovessero voler ascoltare quel che noi vampiri abbiamo da dire, non fare nulla che possa

incitare il minimo dubbio riguardo un tuo possibile favoreggiamento nei nostri confronti. Non

avrebbero pietà per la loro mezzosangue, fidati. Combatti, seguendo quel che il tuo cuore…» e

nel dire ciò, porta una mano sul mio seno, proprio all’altezza del mio cuore dal battito

irregolare, «…vivo, pulsante di eternità, ti suggerirà di fare. Solo tu, Yvonne, puoi sapere quale

sia la giusta metà da rendere tua».

Le mie lacrime scendono calde, in contrasto con il freddo della sua pelle. Nella frazione

di un istante, desidero chiudere gli occhi e stringermi nel mio angolo di spietata tristezza.

Perché il terrore di perderlo dilaga nei miei pensieri, inarrestabile?

È questo l’istante in cui il battito della memoria ondeggia, ancora una volta senza alcun

preavviso, nella mia mente. È come cadere in un baratro senza fondo, buio e incredibilmente

freddo. Sento il mio corpo avviluppato dall’oscurità, una forza misteriosa e imbattibile

schiacciarmi inesorabilmente verso il basso. Precipito ad una velocità talmente alta da sentire

venir meno il respiro. Quando, all’improvviso…boom! Ritrovo, riconosco il mio corpo ancora

illeso. Ma lo sento…diverso. Vorrei, potrei aprire gli occhi e tornare alla realtà distante un

passo da me.

Invece continuo a voler rimanere incollata alla visione -o forse sarebbe meglio dire

sensazione- nella quale sono stata catapultata. Sì…credo di riconoscere la nuova forma del mio

fisico: ricordo di aver avuto queste sembianze quando avevo circa sei anni o giù di lì.

L’abbraccio che mi avvolge non è sconosciuto: so di aver provato lo stesso senso di sicurezza,

protetta da queste braccia dalla presa abile e ferma.

Maledetto buio. Se solo potessi vedere il volto di chi mi tenne così stretta a sé… Lo

sento. Sento il suo respiro affannato. Forse stavamo correndo, forse ha…paura.

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«Non preoccuparti, piccola. Manca davvero poco». La sua voce. La voce di…

«Addio, Yvonne dei lupi. Bevitrice di sangue senza macchia. Ragazza vampiro amica del

sole… Devo andare».

Spalanco gli occhi e ritorno alla realtà, spezzando le barre di prigionia dietro le quali

avevo quasi trovato rifugio.

Un motivo in più per non volere che tutto ciò finisca. Questo, il perché della mia visione.

Guardare i suoi occhi neri è come ritrovarmi ancora avvolta dal mio breve ma intenso salto

nella memoria.

«Te lo prometto, Alain dei vampiri. Sebbene questo non credo sia un addio…ma un

arrivederci a presto…molto presto».

Immerge una mano tra i miei capelli. Le sue dita sfiorano, massaggiando con i gelidi

polpastrelli, la sensibile pelle della mia cute. Le labbra che ho tanto desiderato baciare, si

avvicinano alle mie. Delicate, ma forti. Dolci, ma fredde. E capaci d’infondere nelle mie viscere

un calore mai provato prima, un tocco fresco che lascia una scia rovente sulla mia pelle.

E così, va via…svanisce dalla mia stanza, uscendo dalla finestra da dov’era entrato.

Lo vedo correre come un razzo attraverso i campi e mescolarsi poi tra la fitta

vegetazione del boschetto. Spero almeno che lui e gli altri siano abbastanza accorti da non

farsi scoprire dai lupi la notte prima del raduno.

Alain. Dietro il suo nome, il mio passato. Il mio presente. Forse, il mio futuro.

Credo di non aver mai pregato nessuno in vita mia. Ma se a qualcosa dovesse servire,

chiederei di convincere i lupi ad ascoltare, almeno per una volta, i loro antichi nemici.