Never - Yvonne dei Lupi #1
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Transcript of Never - Yvonne dei Lupi #1
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A voi lettori,
che siete l’anima della mia fantasia
e permettete ai miei sogni di divenire realtà.
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SOLO NEBBIA
na coltre fredda e pungente culla la mia memoria. Ricordo perfettamente di non aver
avuto paura. Neanche per un istante. Neanche quando mi sono resa conto di essere
rimasta sola. Completamente sola.
L’aria era impregnata dall’intenso odore che i corpi fracassati dei lupi emanavano. Un odore
che feriva la mia gola con terribili torture. Ero però certa che nessuno se ne sarebbe accorto:
nessuno di loro avrebbe sentito il mio odore. Almeno non in quelle circostanze.
Sentivo i riccioli -che scendevano lungo le mie gote- incollarsi alla fronte, impiastrati di
terra e secco fogliame bagnato. Ero in grado di trattenere il respiro meglio di come vi ero
riuscita durante le esercitazioni a cui mi avevano sottoposta.
Nessuno avrebbe potuto trovarmi lì dentro. Nessuno che non avesse avuto un olfatto
attento e sottile e, fino a quel momento, non avevo incontrato altri che possedessero questa
dote almeno quanto me.
Era stato facile aprire con le mie piccole dita bianche, forti come tenaglie, il varco che
accedeva a quella grotta sotterranea, sovrastata da un’inosservata collinetta di bruna roccia.
La visuale che la fessura lasciata aperta mi offriva, permetteva ai miei occhi di vedere tutto
quel che mi accadeva attorno. Di sentire le grida. Gli squarci della carne lacerata. I rombi dei
cuori che balzavano nel petto di quelle mostruose creature che i miei simili avevano voluto
attaccare. Percepivo ogni vita che esalava il suo ultimo respiro. Eppure, continuavo a non
provare alcuna emozione. La mia mente varcava saltando sopra ogni corpo esanime lanciato
al suolo, finché non raggiunse quel che voleva.
Quando riuscii a vedere i miei genitori, un moto di straziante dolore mi pervase
invadendo ogni mia facoltà, come farebbe uno sciame d’insetti con un frutto marcito.
Non ricordo i loro volti. Né qualcosa che mi possa far pensare di esser mai stata legata
a loro. L’unica cosa che non smetterà mai di accompagnare la mia esistenza nel corso dei
secoli, sarà solo la viva e terrificante immagine dei loro volti disfatti dal fumo della mia flebile
memoria, lanciati nel vuoto, staccati dai loro flessuosi corpi come mele dal ramo.
Il sordo e gelido rumore degli arti spezzati, simile a lastre di marmo che si spaccano in
due. Il lacerante fischio delle loro ossa frantumate e l’intenso odore d’erba bruciata che le
viscere smembrate dei loro corpi emanavano. Ed anche…sì, un altro diafano ricordo bussa alla
mia mente: la fluente chioma dorata che incorniciava il volto d’avorio di quella che sarebbe
dovuta essere mia madre. Le onde d’oro bronzato navigarono per pochi eterni istanti nell’aria,
durante il volo che avrebbe portato la sua testa a rimbalzare proprio vicino al varco da cui
osservavo con terrore lo sfacelo creatosi fuori dal mio rifugio. Ricordo ancora…lo sconcertato
stupore nei loro occhi quando sentirono la mia presenza così vicina, ed il muto avvertimento
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che sentii provenire da quel qualcosa che per un attimo unì i miei pensieri ai loro. Non era
ancora giunto il momento di espormi allo scoperto. Dovevo attendere. Ma cosa?
Nell’aria si espandevano i profumi dei nostri corpi mescolati al forte odore delle
pellicce dei lupi, e sorde grida squarciavano il cielo, gli alberi, le rocce, la terra. Grida simili
allo stridore di artigli sul metallo.
Poi, tutto tacque. Un improvviso, terrificante silenzio avvolse ogni respiro. D’un tratto,
folate di vento alzarono la polvere che la pelle di noi vampiri crea, quando viene frantumata. A
mezz’aria, galleggiava come sabbia. Insieme ad essa, il fogliame appassito che faceva da
tappeto alla terra umida e le ultime scie di odori familiari che fuggivano da quell’inferno.
Erano tutti andati via. I superstiti avevano deciso di battere in ritirata, e il resto del branco
sopravvissuto non li aveva fermati.
Io ero rimasta sola. Con i lupi. Con la mia nuova famiglia.
Contro ogni razionalità, fu solo in quel momento che il sapore della paura venne a
bussare al mio cuore. Forse fu il suo battere frenetico che richiamò la loro attenzione, o anche
il respiro che improvvisamente, non riuscii più a controllare.
Uno di loro avvicinò il suo muso umido e peloso all’unica apertura che accedeva al
nascondiglio. Annusò il mio odore per una quantità interminabile di secondi. Poi vidi un
bagliore di perla brillare attraverso le sue mostruose fauci: un sorriso. Il primo sorriso che la
mia nuova vita mi regalava. Non so perché, non so cosa mi spinse a prendere questa decisione,
ma in quel momento sentii di potermi rendere visibile agli occhi dei nemici. Fu facile riaprire
il varco di terra che avevo chiuso sopra la mia testa, aiutata dagli enormi artigli del licantropo.
Mi appoggiai alla sua folta e ruvida pelliccia argentata per risalire.
Questo, l’ultimo ricordo che accompagna quella notte. Una notte annegata nell’odore
del sangue dei lupi e dei corpi spezzati dei vampiri che giacevano privi di vita attorno a noi.
Non mi voltai per guardare un’ultima volta le carcasse dei miei genitori. Chi per primo,
aveva deciso di attaccare? Perché era esplosa quella guerra senza speranze? Non erano
domande alle quali avrei potuto dare risposta. Da quel momento in poi, i miei ricordi si
polverizzarono nella nebbia che li nascondeva. Come se la mia vita avesse avuto inizio da lì,
dal mio seguire l’invito dei lupi che mi presero con loro.
Adesso però, forse…è giunto il momento di ripormi la stessa domanda alla quale allora
non riuscii o non volli dare alcuna risposta. Perché?
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IL mio BRANCO
talia. Venezia.
«Odio questo dannato posto! Troppo umido per le mie povere ossa. Cosa aspettiamo ad
andar via?». Detesto quando il vecchio John inizia a lamentarsi. Prolungherebbe le sue lagne per ore
ed ore, se potesse. E a volte c’è chi gli permette di farlo. Come me, del resto. Stavolta però, non
posso essere del tutto contraria al suo malumore, questa città ha un che di afoso. Forse è
semplicemente colpa della calda stagione durante la quale siamo stati costretti ad affrontare
l’inaspettato viaggio per cui io e John abbiamo ricevuto brevi ma chiari ordini. È veramente strano
quel che provo. Forse, sarebbe meglio dire, quel che non riesco a provare. Ero certa che l’emozione
mi avrebbe scossa a tal punto da rendermi incapace di portare a termine la missione affidatami.
Invece mi ritrovo qui, sopra questa vecchia e sbiadita gondola, fredda nel cuore e nei pensieri.
Credevo che sapere di dover incontrare qualcuno molto più simile a me che alla mia famiglia
adottiva, avrebbe fatto sorgere nel mio animo sentimenti sconosciuti. Ma non riesco a provare nulla.
Niente che somigli ad ansia, trepidante attesa, paura, rabbia. Solo una parola brulica nella mia
mente, inquietante ma assidua, sin dalla mia partenza: curiosità. Sì, brucio realmente dal desiderio
di vederli. Somiglio molto alle gelide, mostruose e spietate sanguisughe che mi sono state descritte
dai giovani lupi della mia famiglia? Almeno, so di non essere completamente come loro. Solo per
metà. Meglio di niente.
Mi sono continuamente chiesta però, se sia realmente come mi ha sempre detto Marchal, la
mia madre adottiva: sono davvero l’unico esemplare mezzosangue della mia specie? Possibile che
nella storia dei vampiri, nessuno abbia mai posseduto le mie caratteristiche? A sentir dire tutti quelli
che mi circondano, no. Nessuno che somigliasse minimamente ad uno solo dei miei requisiti.
«Yvonne? Ma dove hai la testa?».
John mi è seduto di fronte, con i suoi piccoli occhi neri mi osserva da sotto le folte
sopracciglia che gli pendono sulle palpebre: «Temi un loro confronto, eh piccina?». Mi chiede,
preoccupato.
«Oh, no. Davvero, John. È tutto ok. Ero solo soprapensiero...credevo che questo giorno non
sarebbe mai arrivato e invece…»
«Invece eccoti qui. Pronta ad affrontare te stessa». L’anziano lupo grigio, ora ricurvo nelle
proprie ossa irrigidite, è uno di quegli elementi della mia famiglia divenuti, nel corso degli anni,
fondamentali per la mia stabilità. Lui, insieme ai miei fratelli Ricky ed Albert, mi hanno resa in
grado di divenire una degna componente della famiglia Smith. I loro insegnamenti sono stati
preziosi, il loro affetto insostituibile. John non è mai stato legato a noi Smith da alcun vincolo di
sangue, ma ha sempre fatto parte della famiglia, almeno così ricordo sin da quando vi entrai io
stessa. Il padre di Albert e Ricky, un certo Benjamin, capo branco della nostra congrega da ben due
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secoli, era morto già da qualche anno quando giunsi in casa Smith, durante l’ultimo periodo che
vide la seconda guerra mondiale. Marchal, donna di grande forza e nobiltà d’animo, nonché giovane
lupa dalle notevoli doti da cacciatrice, era riuscita a crescere i suoi cuccioli di licantropo senza mai
far loro mancare nulla, aiutata sempre dal resto del branco che fece di tutto per starle accanto nei
momenti più bui. Parlo del resto dei nostri amici, ovvero i grossi lupi rossi, una famiglia formata da
ben cinque ragazzoni dalla ribelle capigliatura fulva, in ordine d’età Valiant, Robert, Henry, Giosuè
ed infine il più piccolo, ma solo cronologicamente, Sam, e dai loro genitori, gli eccentrici coniugi
Sarah e Rudi Johnson. Come non citare le sorelle Lilian e Tiffany, eleganti e raffinate lupe dal pelo
biondo. Vivono solitarie nella loro bella villa dal tetto verde, a pochi metri dal nostro cottage. Se ne
stanno sempre per i fatti loro, si sanno ben poche cose della vita da umane che conducono e si
uniscono a noi molto più volentieri in sembianze da lupo che da stangone biondo platino quali sono.
A due isolati abitano Ronald e Claire Thomson con i loro tre figli adottivi: Daniel, il moro aitante e
senza cervello dalla pelle di cioccolata. Nancy, graziosa ragazzina dai riccioli castani e il viso
tempestato di piccole lentiggini. E Nico, introverso albino dagli occhi blu.
Attorno ai lupi con cui trascorro la maggior parte del mio tempo nella piccola cittadina in
cui vivo, al nord della California, incombe un’insolita cerchia di licantropi. Non sono una vera e
propria famiglia, piuttosto un nucleo di solitari lupi vagabondi, riunitisi in un compatto gruppo
deciso a volersi civilizzare per entrare a far parte del nostro branco. Dieci belve feroci con troppa
bava tra le fauci, desiderosi di volersi sentire sempre un gradino sopra gli altri. Chi li comanda è un
certo Peter: occhi grigio tempesta su pelle ambrata, lisci capelli castani i cui riflessi dorati donano
luce al volto tenebroso. Lupo dalla pelliccia bianca come la neve pervasa da una macchia nera che
si estende dal muso fino all’ampia fronte. Bello da mozzare il fiato. Ma nello sguardo, una flebile
ombra inquietante mi ha sempre indotta a pensare di star bene alla larga da lui e i suoi seguaci. Non
riesco a fidarmi completamente della sua insolita indole, e non capisco perché Walter, il nostro alfa,
abbia spinto il branco a decidere unanimemente di accogliere Peter e il suo seguito.
John ha smesso di remare e si accosta alla banchina per poter scendere finalmente sulla terra
ferma. Piazza S. Marco brilla tra la coltre di polvere dorata che i raggi del tramonto donano
attraverso le nuvole tinte d’arancio.
«Eccoci qui, piccola mia. Manca poco». I piccioni si alzano improvvisamente in volo, come
se spaventati da qualcosa di apparentemente invisibile. La gente cammina freneticamente, ognuno
immerso nei propri pensieri, ognuno vincolato dalla propria rete di problemi. Problemi di vite
semplici e ignote. Sorrido, scostando i miei capelli sfumati dal fuoco della luce del sole morente.
«Sono pronta, John. Non lo sono mai stata più di così».
Un bianco bagliore attira la mia vista d’aquila. Attraverso con lo sguardo l’intera piazza,
fino a giungere all’ombra dell’entrata di un vicolo che si trova alla mia destra. Un ampio sorriso
mostra una perfetta sequela di denti bianchi. Una voce accarezza le mie orecchie, come lo strisciare
di una fredda lama sulla mia pelle.
«Era l’ora, mezzosangue. Benvenuta tra i tuoi simili, sporca traditrice».
Sì. Sono realmente pronta ad affrontare la mia parte più oscura. Il vero volto della mia vita.
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I SENZA ANIMA
eguiamo la snella figura che, sinuosa, cammina a passo veloce lungo lo stretto e tetro vicolo
che ci condurrà al luogo dell’incontro. I capelli arruffati in una moderna capigliatura, corti e
ribelli, sono di un arancio troppo forte per apparire ordinari. La sua pelle diafana riveste una
muscolatura guizzante, a giudicare dalla lieve protuberanza sulle braccia che compare aderente alla
camicia di seta rossa. Non è un caso che abbiano mandato lei a darci il benvenuto: riesco a sentire il
veleno che scorre nelle sue vene. L’odore di vampiro tra queste vecchie mura umide è talmente
intenso da dare la nausea a chiunque. Non a me, ovviamente. Ma lo stomaco del povero vecchio
John sarà già in subbuglio, mi chiedo come stia resistendo così a lungo senza cedere all’istinto di
trasformarsi. Di solito, basta molto meno perché ciò avvenga senza indugi.
Per quanti anni mi sono chiesta come sarebbe stato quest’ incontro? Nella mia mente si
fanno spazio le mostruose descrizioni sempre fattemi dai lupi per dare un’immagine ai simili della
splendida creatura che ci precede. Ogni dettaglio prima immaginato carico di brutture, diviene
adesso fumo innanzi la sua superba bellezza. Perché la mia famiglia aveva deciso di mentirmi su
questo aspetto?
Marina, il nome della vampira che ci sta guidando. I suoi occhi di pece mi hanno guardata
con un odio impossibile da decifrare nel chiamarmi sporca traditrice. Di certo, loro non avrebbero
fatto la stessa scelta dei lupi. Sono sicura che mi avrebbero lasciata morire abbandonata a me stessa
o, ancora peggio, avrebbero assaggiato il mio sangue, curiosi di conoscerne il sapore misto allo
stesso veleno che scorre dentro i loro corpi freddi. Se i licantropi non mi avessero accolta nel
branco, sarei mai potuta crescere con i miei quasi simili?
Il rumore ritmico dei tacchi delle sue scarpe di vernice nera, rimbalza sulle pareti cariche
d’acqua. Una minuscola porticina sbiadita dal tempo -la vernice doveva essere verde prima di
divenire color senape-, si apre al nostro arrivo. Qualcuno ci stava attendendo.
«Loro sono con te?», gracchia una voce bassa, di uomo…forse. «Certo. Ne dubitavi? E poi,
non senti il loro odore? Dai, lasciaci passare». Marina è di casa, lì dentro. Il suo aspetto curato e
impeccabile, stona a dismisura con l’ambiente in cui ci troviamo. So che dietro quella porta si
nasconde la mia mezza verità. La stessa mezza verità che la mia famiglia fugge e con la quale
vorrebbe trovare finalmente un compromesso per dare fine alla guerra ancora in atto che decima da
secoli entrambe le razze.
Fino ad oggi, Marchal, Walter, i miei fratelli, persino John, l’intero branco ha fatto di tutto
per tenermi lontana da loro. Dalla mia vera famiglia. Sono stata protetta e tenuta sempre al sicuro da
quella che sarebbe stata di certo la mia rovina.
«Seguitemi e non parlate finché non sarò io a farvi cenno». L’aria intraprendente della
giovane vampira è svanita nel varcare l’inquietante entrata. Il rumore sordo della porta richiusa alle
nostre spalle ha fatto trasalire John, tremante al mio fianco. Sento il suo respiro caldo e profondo
scontrarsi con il freddo della buia stanza in cui ci troviamo. Un profumo delizioso investe i miei
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sensi. La camera dev’essere inondata da parecchie rose. Rabbrividisco al pensiero di ritrovarmi in
una specie di catacomba, circondata da bare elevate da piccoli altari recintati da splendidi fiori.
Ma, improvvisamente, una luce violenta travolge questo luogo segreto all’occhio umano,
catapultando John in un autentico stato di panico e me in una totale meraviglia. La luce proviene da
enormi lampadari di cristallo posti simmetricamente sull’alto soffitto color rosso porpora. Le pareti
che ci circondano sono di un elegante broccato dorato. Nessuna bara, nessun fantomatico altare.
Solo un mobilio classico e austero. All’interno delle enormi vetrine, sfilze di argenteria sono in
bella mostra. Ben distesi sul pavimento spiccano tappeti orientali d’indiscutibile valore. In ogni
possibile base, vasi dalle svariate forme straripano di rose rosse, bianche, gialle e arancio. Sarebbe
stato impossibile pensare che dietro quella sbiadita e rigonfia porta verde, si celasse questo mondo.
Solo i due grandi divani angolari, dalla linea certamente moderna, avrebbero stonato con il resto
dell’arredamento, se non fosse stato per la loro tinta neutra.
Seduti su essi, undici vampiri assetati ci osservano con espressione impenetrabile.
Marina si rivolge finalmente a noi. La sua presenza adesso quasi mi rassicura. Senza che io
abbia aperto bocca, mi lancia uno sguardo indagatore da sotto le folte ciglia brune. Poi si volta
verso il suo clan con noncuranza, ignorando il turbamento che, ne sono certa, ha sfiorato per un
attimo anche lei: «Yvonne dei lupi e il licantropo che l’accompagna». Ci indica con un gesto
grazioso della mano.
«Il mio nome è John», interviene il mio amico, impettito e contrariato dal modo crudo usato
dalla vampira per presentarlo.
«Vecchio, vi avevo detto di aprire il becco solo e quando ve l’avessi detto io. Siete nel
nostro territorio e dovete attenervi alle nostre regole». La voce trillante di Marina è adesso simile a
un ringhio sommesso.
«Per lui non è facile ritrovarsi chiuso in una stanza senza aria, con undici vampiri che lo
fissano con sguardo famelico». La mia voce risuona calma, nonostante il mio cuore traballi. Meglio
così. Anche se sono certa che il suo pulsare frenetico è subito giunto alle orecchie di chi continua a
puntare lo sguardo sul mio volto.
«Mentre per te non è poi così difficile ritrovarti tra i tuoi simili. È questo che vuoi dire,
mezzosangue? Perché dunque non sei venuta da sola? Ma certo. Hai bisogno del tuo…cane da
guardia».
Dal petto di John fa eco il rombo della rabbia che rischia di spingerlo ad un’imminente
trasformazione. Di già? Pensavo avrei almeno avuto il tempo di poter parlare con loro, di riuscire
finalmente a confrontare le reali differenze che, oramai ne ero sicura, sussistono tra l’idea che ho
sempre avuto dei vampiri, con ciò che in verità sono. Sebbene sin dalla nostra partenza, Ho
continuato a temere che l’incontro si sarebbe rivelato solo un pretesto, facile e veloce, per una
nuova lotta alla quale stavolta sarei stata anch’io partecipe.
Chi ha appena parlato in maniera spropositata, occupa il terzo posto del sofà alla mia destra.
Un uomo la cui altezza è evidente persino mentre siede sul bianco divano con la schiena poggiata
ad esso in posizione di relax. I capelli biondo platino, attraversati da riflessi argentei, sono raccolti
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in un codino basso, e sottili ciocche lisce cadono ordinate sul volto lungo e cereo. Le magre braccia
conserte lasciano intravedere una notevole muscolatura. Il naso dalla linea diritta sovrasta labbra
sottili e contratte. Occhi neri e penetranti sotto sopracciglia dall’arcata ampia.
«Non fate caso a Jack. È solito parlare a vanvera». Ridacchia sotto i baffi un tipetto alto la
metà del nominato Jack, dai capelli ricci e blu. Usano davvero delle strane tinte.
Marina si muove di qualche passo, avanza con innata grazia: «Non è questo il momento di
scherzare. Il mio compito l’ho svolto, e in maniera egregia, direi. Adesso tocca a te, Dorothy». Si
siede con noia vicino il ragazzino che aveva stuzzicato l’uomo dai capelli di platino e gli dà una
pacca sulla spalla a mo di rimprovero.
Adesso sono in dodici, seduti innanzi a noi, in attesa di una nostra qualsiasi mossa per
poterci attaccare.
Una di loro, certamente Dorothy, si alza dal posto che occupa e rivolge a me e a John un
improvviso e caldo sorriso di benvenuto: «Marina ha perfettamente ragione. Prima d’ogni cosa, è
giusto che si passi alle presentazioni». I capelli di un arancio molto più tenue di quello della
spavalda Marina, ricadono in folte onde fino alla sottile vita. Gli occhi -seppur neri- sembrano velati
di mitezza, e la sua pelle è spruzzata qua e là da piccole lentiggini all’altezza delle gote e
dell’incavo del naso. Si volge verso i suoi compagni e li indica uno ad uno, mentre al pronunciare
del loro nome ognuno si alza ed effettua un inchino elegante e dall’impronta antica.
«Lui è Yari. Il più anziano tra noi presenti». Anziano? Assurdo pensarlo. Più o meno avrà
trent’anni o giù di lì. Capelli sciolti, mossi e di un caldo dorato che sfuma sul verde corteccia. Negli
occhi brilla una sfumatura rossastra mentre mi sorride. «Loro sono i fratelli Jonatan e Carl».
Gemelli. Capelli bianchi come la neve su pelle di candido marmo. Mi chiedo come riescano ad
uscire tra la gente passando inosservati. Anche loro mi sorridono divertiti, forse hanno intuito il mio
pensiero.
«Paul». Il ragazzo dai capelli blu. «Sara e Rebecca». La prima è una bellezza da sballo. La seconda
un po’ meno. Sara, capelli corvini che le scendono in lunghe trecce sulle spalle scoperte dalla
striminzita maglietta che indossa, mi osserva con diffidenza continuando a masticare una caramella
tra le labbra tinte di rosa corallo. Rebecca, piuttosto magrolina e insipida, mi osserva -come l’altra-
attraverso gli occhi cupi in un’espressione che mette in risalto i lineamenti marcati del volto
spigoloso. Non può dirsi certamente brutta, ma la sua meno appariscente bellezza sfuma accanto la
vampira seducente che le è al fianco.
«Marina. Jack. Isabella e Susan». Per Isabella, parla da sé il suo nome: riccioli d’oro
incorniciano il volto perfettamente ovale, dove labbra a cuore lasciano intravedere i denti bramosi
di sangue. Susan è un tipetto tutt’ossa, sui sedici anni, dagli occhi allegri e capelli castani resi vivaci
da ciocche fucsia , tagliati in un caschetto sbarazzino.
«Alain».
In quel nome, il mio cuore ha posato un suo battito. Cerco di guardarlo come ho fatto con
tutti gli altri, ma temo di lasciar trasparire il tumulto nel quale sono appena caduta. Si alza
dall’ultimo posto che occupa, con sulle labbra stampato un lieve sorriso che lascia intravedere i
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denti. Capelli castani, di un ordinato liscio, dove lingue nere scendono in sottili ciocche sul ciuffo
ribelle che gli carezza la fronte. Pelle cerea, chiara e diafana, somigliante a quella degli altri;
caratteristica indiscutibile dei vampiri, certo, ma dotata di una leggera tonalità ambrata. Gli occhi
neri scrutano i miei come nessuno mai prima d’ora ha mai fatto, denudandomi di ogni maschera,
d’ogni corazza con la quale mi sono sempre difesa.
Alain. Il suo nome fischia nelle mie orecchie. I miei occhi non riescono a posarsi nei suoi
come vorrebbero.
«Ed io sono Dorothy». Sorride, terminando le presentazioni in grande stile. Bé, avevo già
capito chi fosse.
Tocca a me? «Bene. Come Marina ha prima detto, il mio nome è Yvonne. Lui è John, il più
anziano del branco. Viene in vece del nostro alfa, rimasto dentro i limiti del territorio da noi
occupato per mantenere compatte le difese».
«Hai detto di chiamarti Yvonne dei lupi?». Domanda una voce dal timbro caldo e pacato.
«No. Ho detto di chiamarmi semplicemente Yvonne. Questo attributo credo l’abbiate aggiunto voi.
Ma a dire il vero, non mi dispiace poi tanto». Rispondo.
È stato Yari a parlare, dalle cui labbra sento provenire un ghigno derisorio. Non mi volto per
dargli una risposta, continuando a rivolgermi sempre in direzione di Dorothy.
«Non dispiace neanche a noi». Ammicca il simpatico Paul. «È forte come nome! Yvonne
dei lupi. Non fa pensare a uno di quei romanzi d’avventura?». Ma nessuno risponde alla domanda.
È la volta di Rebecca, che si alza dalla sua postazione con espressione circospetta: «Adesso che le
presentazioni sono finite e conosci i nostri nomi, ti saremmo grati se ci spiegassi il reale motivo
della vostra venuta. Cosa vogliono i lupi da noi?». Avevo quasi dimenticato il vero perché del mio
viaggio.
«Chiediamo una tregua». Un silenzio tagliente invade la stanza arredata in pompa magna.
Smettono di fissare me e John, e scrutano a vicenda i loro volti per trovare una spiegazione alle mie
parole.
«Spiegati meglio». Rebecca si toglie elegantemente gli occhiali dalla linea intellettuale che
porta appesi al sottile naso. Ovviamente è impossibile che senta il reale bisogno d’indossarli, ma
l’abitudine nel voler apparire più umana possibile agli occhi della gente comune, la induce di certo
ad assumere simili pratiche anche quando si trova tra la sua razza.
«Semplice». Stavolta mi rivolgo a tutti, ampliando il mio arco visivo persino verso il
vampiro Alain, il quale mi scruta con espressione indecifrabile. «Il nostro branco è stanco di
combattere. I secoli che hanno visto morire centinaia dei nostri cari, sono stati sommersi dal sangue
di troppi innocenti».
«Innocenti?». Sara stropiccia il bel tessuto candido del divano su cui siede con le unghie
affilate simili ad artigli. «I licantropi non sono meno sanguinari di noi. Noi abbiamo sete di sangue,
perché questa è la nostra natura. Ma loro…loro non hanno motivo di attaccare la povera gente!
Godono nel fare brandelli dei malcapitati che finiscono tra i loro denti». Dal centro del mio stomaco
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sento pervadere il mio corpo da un intenso calore. I miei arti s’irrigidiscono per poi riscaldare i
muscoli, pronti a flettersi attorno al nemico per avvinghiarmi alla sua testa e staccarla dal corpo di
ghiaccio su cui si erge.
«Potrei sapere di chi state parlando? La mia famiglia non ha mai torto un capello a nessuno.
Noi proteggiamo chi di fronte alla nostra forza è impotente. Il nostro unico e vero nemico…siete
voi».
Le mie parole escono fluide, ma solo dopo aver finito di parlare, mi sono resa conto di aver
reso la mia voce più simile ad un ringhio che ad altro. In questo non differenzio molto da Sara o
dagli altri che le sono accanto.
«Parli così facilmente del vostro nemico. Ma come hai fatto…come fai a rinnegare te
stessa?». L’espressione poco prima così ostile della splendida vampira, è adesso ridotta ad una
maschera di sconcerto. «Ti rendi conto di avere il nostro veleno che scorre nel tuo sangue, e non
quella sorta di magia che trasforma un uomo in un raccapricciante cane randagio?».
Chi è stato fino ad ora in silenzio, pone una mano su di una mia spalla e blocca la risposta
che stavo per sputare in pieno viso a quella sporca assassina. Gli occhi di John sono socchiusi in
una sottile fessura, le labbra irrigidite: «La sanguisuga non mente».
Stavolta tutti posano i loro occhi carichi di sete sul volto imporporato del mio amico. Cosa
vogliono dire le sue parole azzardate?
«È vero. Esistono dei lupi che non si fanno scrupoli nell’uccidere la povera gente».
«Allora lo ammetti, vecchio lupo?». Il sorriso vittorioso di Sara fa vibrare in me un nuovo
ringhio.
«Sarebbe inutile negarlo. Ma posso affermare con certezza che nessuno del nostro branco
prende parte alla carneficina a cui vi riferite. Questi lupi di cui parlate non sono dei nostri».
Negli occhi scuri di Alain, una sfumatura d’accesa curiosità ha fatto brillare il suo volto di
una bellezza quasi ultraterrena. «Vuoi dire che il branco di Walter non ha mai ucciso le nostre prede
e non ha mai varcato i confini del nostro territorio?».
Prede? Distolgo il mio sguardo silenziosamente incantato da quel mostro omicida che usa
l’aggettivo “preda” per indicare una vita umana distrutta dai suoi denti bramosi di morte.
«No, mai. Il nostro rancore nei vostri confronti vive e si nutre per il più antico dei motivi.
Semplicemente: noi odiamo i vampiri. Ma oggi siamo qui perché abbiamo riscontrato delle
caratteristiche notevoli che differenziano il vostro clan dal resto dei nostri nemici».
I dodici effettuano dei mezzi sorrisi che mettono in risalto le terribili fauci. Cerco di cacciar
via l’espressione incredula dipinta sul mio viso nell’ascoltare John. Una cosa è perlomeno certa: è
molto più bravo di me nel trattare con l’avversario. La mia indole tende ad infuocarsi troppo
facilmente.
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Dorothy si avvicina in un batter di ciglia, ma con la stessa velocità si allontana dal corpo
caldo del licantropo per tornare al suo posto di partenza. Certamente l’aroma troppo intenso del
sangue di John non le rende facile parlargli a così poca distanza. «Crediamo alle tue parole, saggio
John. Ma, se come dici, non desiderate appropriarvi del nostro…cibo, non avete nulla da temere.
Non vi saremo più ostili».
Dunque era solo questo il motivo per cui siamo venuti fin qui? Come bestie senza cervello ci
contendevamo lo spuntino di mezzanotte? Il mio stomaco inizia a far cilecca, temo di sentirmelo
rivoltato da un momento all’altro. La mia metà antropica fortunatamente, impedisce ai miei sensi da
vampiro di desiderare più d’ogni altra cosa, sangue umano.
La mia sete di sangue è facile da placare con la caccia. In fondo, credo sia un compromesso
più che ragionevole, tra le mie due metà così in contrasto tra loro. Quella umana...e quella del
mostro che vive in me.
«Bene. Yvonne voleva solamente dire questo. La guerra tra vampiri e licantropi, almeno per
quanto riguarda il vostro clan e il nostro branco, può dichiararsi…sospesa. Nulla impedisce alle
nostre genti di vivere lontane le une dalle altre, nel rispetto reciproco delle proprie leggi. Vincolate,
ovviamente, dal territorio di appartenenza». La voce di John è autoritaria e risoluta, dimostrando di
poter essere degno sostituto di qualsiasi alfa.
«Possiamo dire che l’accordo è concluso. Non è così, ragazzi?». Il trillo gioioso di Dorothy
invade la stanza di leggerezza. L’aria che poco prima tirava è svanita e i corpi di tutti si rilassano
dallo stato di allerta in cui li aveva gettati il dibattito tra me e la loro Sara. Di tutti, eccetto che della
sottoscritta.
«Puoi contarci, cara Dorothy. Noi non siamo come Stephen e suoi seguaci. Cacciamo vite
umane per necessità, non per divertimento». Asserisce Jack, gesticolando un po’ troppo con le mani
scheletriche.
Bella differenza. Una vita in più, una vita in meno…l’importante è uccidere unicamente per
sete…e il loro peccato sarà assolto.
Anche i muscoli di John smettono di tremare. Continuo a guardarlo con occhi carichi
d’interrogativi. «Molto bene. Speravamo avreste accettato la nostra proposta. Riguardo i clan che
continueranno a spargere vittime…ci garantite che non lotterete al loro fianco contro noi?».
«Assolutamente». Risponde in fretta, Yari. «Noi siamo indipendenti. Nessuno ci comanda,
nessuno eccetto la nostra natura. Siamo liberi di scegliere dove andare e con chi stare».
Con un buffo cenno delle dita sulla fronte, John saluta il gruppo di assetati vampiri con il
quale è stato tutto sommato facile scendere a compromessi: «A mai più rivederci».
Senza più volgere un solo sguardo a nessuno dei presenti. Ma quando mi accingo a seguire il
mio affezionato lupo grigio, l’inaspettato richiamo di Paul arresta i nostri passi.
«Ferma un attimo, Yvonne dei lupi. Prima di andar via…puoi rispondere ad una sola
domanda?». La mia risposta è solo un impercettibile segno di consenso del capo. «Cosa sei in
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realtà? Voglio dire…non sei umana. Non sei vampiro. Non sei un lupo. Eppure il tuo cuore pulsa, e
il tuo sangue profuma a tal punto da far bruciare la gola di sete a tutti noi. Ma il veleno che scorre
nelle tue labbra è vivo, e il tuo aspetto è più vampiresco di tutti i qui presenti. E vivi con i
lupi…vivi come i lupi».
La domanda mi trafigge ad ogni affilata parola. Il mio cuore smette di battere per un istante.
Stringo le mani a pugno fino a farmi davvero male. Per fortuna, la risposta che non saprei dare mi
viene risparmiata dal salvifico intervento di Marina: «Alain, stavolta tocca a te fare da scorta ai
nostri ospiti».
Detto ciò, ci dirigiamo tutti e tre verso la piccola porta verde da dove siamo entrati. Ma
un’ultima domanda, posta sempre da Paul alla mite Dorothy, accende in una fiamma il mio udito:
«Dorothy…pensi che anche lei, come noi, sia senza anima?».
15
SCHEGGE DI MEMORIA
ipercorro con la mente gli ultimi istanti in cui la mia fragile vita si è scontrata, per pura
fatalità -o perché era scritto così che dovesse accadere- con Alain dei vampiri. È questo
un modo tutto mio per identificarlo, similare al soprannome appioppatomi dalla sua
famiglia.
Tra poco sarò di nuovo a casa, in California. Adoro la sensazione che provo
ogniqualvolta mi ritrovo galleggiante nell’aria, protetta solo da questo mostro di ferro
chiamato diplomaticamente aereo. Attraverso il soffice tessuto inconsistente delle nuvole,
intravedo la mia fumosa esistenza, troppo ricoperta da spessi strati di nebbia per riuscire a
collegarne i tasselli spezzati dal tempo.
Prima di risalire sulla vecchia e rigonfia gondola per ripercorrere la strada che ci aveva
condotti nell’abbraccio del nemico, il misterioso Alain –al quale era stata fatta la richiesta di
scortarci fin lì- aveva iniziato a fissare i suoi occhi senza luce nei miei. John ha osservato la
nostra immobilità per qualche istante, poi, rassegnato, ha deciso di lasciarci soli salendo sulla
barca e fingendo un riposino prima dell’imminente partenza.
Non respirava. Il corpo statico sembrava essere scolpito su marmo, e riuscivo e
sentirne la freddura che emanava. Il volto dai tratti regolari, di quel pallore dorato che lo
rendeva così diverso degli altri vampiri che avevo finalmente conosciuto, rimaneva inalterato
da qualsiasi emozione stesse vivendo in quel momento, al mio fianco. Chissà, forse non gli era
mai capitato di ritrovarsi talmente vicino ad un cuore vibrante di vita, senza che potesse
cedere alla tentazione di sentirne il sapore del sangue pompato. Mi beavo del mio
autocontrollo! In quel preciso istante, fui felice come mai prima d’allora di essere una
mezzosangue. A dispetto della derisione subita da alcuni giovani licantropi durante la mia
adolescenza, a dispetto delle domande di Paul a cui non avrei mai saputo rispondere, la gioia
che provavo nel poter usufruire di entrambe le mie metà mi colmava di soddisfazione,
ridendo in pieno viso alle afflizioni che in passato avevo dovuto superare, a causa di queste
due.
Al contrario di lui -e di tutti i comuni vampiri- io posso continuare a respirare
tranquillamente qualsiasi aroma di sangue umano, senza dover ridurre il mio volto ad una
maschera di sofferenza. In più, posso avere il vantaggio di possedere un olfatto di gran lunga
superiore alla norma. Ero certa di non sbagliarmi, ma avrei scommesso che l’intenso profumo
di rose selvatiche provenisse dalla sua pelle. I suoi occhi neri pervasero la mia anima d’ombre.
«Dunque dobbiamo salutarci qui…Yvonne dei lupi». Sorrise tristemente. Mi chiedevo
quale mistica sensazione si dovesse provare nel baciare quella fonte di veleno quali erano le
sue labbra. Lo stesso veleno che scorre nelle mie vene.
«Direi di sì…Alain». Dei vampiri, pensai muta.
R
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«Non posso che augurarti dei giorni sereni. Sono certo che la tua parte umana può
garantirtene una quantità sufficiente per colmare il lato oscuro che di noi vive in te».
Iniziavo a sentirmi davvero a disagio. La gola serrata in un freddo nocciolo: «Vorrei
tanto che le tue parole si rivelino vere, Alain. Per quanto mi riguarda, sebbene non ti conosca
affatto, voglio farti un augurio diverso. Sicuramente ti apparirà strano quel che sto per dire,
ma…spero tanto che tu possa ritrovare la tua anima».
Il sorriso che gli porsi era sincero, dettato dall’inspiegabile desiderio che bussava -
bussa silente persino adesso- e richiedeva di carezzare, anche solo per un istante, quel volto
mesto e perfetto. Non rispose nulla, ma non potei fare a meno di notare che iniziò a respirare
regolarmente, facendo entrare l’aroma del mio sangue nelle sue vene. Tese una sua mano
verso me e l’incertezza svanì in un sol battito di cuore. Sapevo che sarebbe potuto essere
pericoloso, sfacciatamente fatale, ma non fui turbata minimamente dalla sua vicinanza. Mosse
un ultimo passo per annullare le distanze che lo separavano dal mio corpo febbricitante e,
finalmente, sfiorò con le sue, le mie dita tremanti.
La sensazione provata rimarrà sempre impressa nella mia memoria, nei miei sensi, nel
mio cuore. Nulla potrà farmi dimenticare il gelo delle sue dita immerso nel calore tiepido e
morbido della mia mano. Ma, sopra ogni cosa, niente potrà annientare -neanche l’eternità- il
brivido che provai in ogni piccola parte di me al contatto avuto con lui: come un lampo che
attraversava le mie carni, ho sentito l’onda fredda del suo veleno sotto pelle sfiorare il mio
così bruciante, così fluido, così libero di scorrere in ogni parte di noi. Poi, una visione.
Tutto è svanito per la durata di un secondo. Un secondo interminabile in cui, ne sono
certa, una verità nitida, scolpita in chissà quale angolo remoto della mia memoria, è riemersa
violentemente: il volto di Alain, scosso e alterato dalla fatica, sorridere silenziosamente verso
qualcuno che cammina al suo fianco, qualcuno che lo costringe a posare gli occhi verso il
basso. Il suo non era il viso freddo e quasi impassibile di un vampiro, no. Erano i tratti, nitidi e
sinceri, di un ragazzo. Dove, quando il mio destino si era già scontrato con il suo?
Il flebile ma vivo ricordo si rituffò nella mia mente annebbiata.
Gli occhi di Alain erano ancora fissi nei miei. Dall’espressione sconvolta che ne
delineava i tratti, intuii che avesse avuto la mia stessa visione o qualcosa del genere. Strinse la
presa della sua mano tentando di trattenermi ancora per qualche istante con lui, mentre dei
leggeri movimenti, provenienti dalla gondola, cercavano di richiamare la mia attenzione: era
giunta l’ora di andar via. Di allontanarmi, ancora una volta, da coloro che rispecchiavano la
parte più pericolosa di me stessa.
«Quando potrò rivederti, Yvonne?». Chiese il vampiro in un sussurro.
«Mai. Mi più».
Fu la risposta, fredda e irrevocabile che giunse dalle mie labbra. Non era quello che
volevo. Ma era ciò che avrei dovuto dire. Feci scivolare le mie dita dalle sue e strisciai fin
dentro la gondola, senza più voltarmi indietro.
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Questo, il ricordo di Alain che porterò sempre dentro me. Il ricordo di Alain dei
vampiri.
Una hostess si avvicina a passo elegante e con espressione cordiale chiede sorridendo:
«Gradisce qualcosa?».
«No, grazie». Rispondo garbatamente. Poi posa lo sguardo su John: russa pesantemente
al mio fianco e la spinge ad allontanarsi con una smorfia di disgusto stampata sulle seducenti
labbra tinte di rosso.
Sento ancora il suo profumo pervadermi dentro. Riuscirò a far rimanere ben stretti i
frammenti di ricordi che mi legheranno per sempre a lui? Saranno questi a farmi compagnia
nel silenzio che mi fa da veste nella vita di tutti i giorni?
Sorrido al solo pensiero di poter presto riabbracciare quei mattacchioni di Albert e
Ricky. Cos’avranno combinato durante la mia assenza? Marchal se la sarà vista davvero male,
senza il mio sostegno. A volte, immagino come sarebbero state le loro vite senza la mia
intrusione improvvisa nel branco…avrebbero avuto minori preoccupazioni? O semplicemente,
si sarebbero annoiati a morte senza una sorella metà donna metà vampiro d’addestrare fino a
farla divenire più simile ad un lupo che ad ogni altro essere vivente?
Adesso voglio solo dimenticare.
Dimenticare i volti degli splendidi e terrificanti vampiri conosciuti ieri notte. Lo strano
senso di sicurezza e lo slancio interiore provato nei confronti della bella Marina. La dolcezza
di Dorothy. La simpatia di Paul. Persino l’arroganza della bellissima Sara e la diffidenza di
Rebecca.
Gli occhi di Alain. La sua voce di velluto, il profumo della sua pelle. E l’acuto dolore
provato durante la breve visione avuta attraverso il suo contatto.
Voglio solo dimenticare e tornare alla mia vita. Tornare nel mio branco.
«Si comunica ai passeggeri il previsto atterraggio tra dieci minuti. Si prega di allacciare
le cinture di sicurezza. Grazie».
La voce carezzevole e suadente dell’annuncio risveglia John dal suo sonno profondo.
«Siamo arrivati?». Farfuglia, mentre con la manica del maglione rossiccio cerca di levarsi il
brillante strato di saliva scivolatogli dalle labbra.
Piccole perle salate pungono i miei occhi. Mi volto per celare il magone sopraggiunto
improvviso e rispondo cercando di apparire entusiasta: «Si, John. Siamo a casa».
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NEI SUOI PENSIERI
«Pensi ancora a quello che abbiamo visto?». Gli occhi di Jack sono puntati verso una
meta indecifrabile, mentre mi lancia la sua domanda colma d’aspro sarcasmo. Sento il suo
disprezzo, l’irritazione insanabile per essere stato a contatto di un lupo senza potergli aprire il
ventre e smembrarlo di ogni sua interiora. Sento, inoltre, il suo sconcerto per la mezzosangue
giunta a farci visita. Giunta a capovolgere il nostro equilibrio per mai più rimetterlo in sesto.
L’odore dell’aroma delizioso del suo sangue è ancora nei suoi ricordi. Ha dovuto desiderare
ardentemente di poterlo assaggiare…il suo profumo assumeva una consistenza a dir poco
irresistibile per noi comuni vampiri, e credo che l’essenza del veleno scalpitante nelle sue
vene dovrebbe esserne la causa, ma non ne sono certo.
Una mezzosangue. Né bianco, né nero. Dev’esserci una spiegazione alla sua incredibile
natura…
«Alain, mi senti?».
«Certo, Jack. No…non penso a nulla. Cerco solo di concentrarmi sulle tracce d’uomo che
si aggirano verso est».
Il profumo del sangue umano si è finalmente fatto vivo. Cacciare in città sarebbe
impossibile, quindi l’unica alternativa è addentrarci tra le montagne nei pressi di Belluno e
attendere il passaggio di qualunque malcapitato incroci il nostro olfatto.
La sete è diventata insopportabile per tutti noi, dopo l’incredibile incontro avuto con la
ragazza che non riesco a rendere sbiadita nella mia mente. Abbiamo dunque deciso di
dividerci in coppie per iniziare lo sterminio notturno e placare il desiderio che inizia a
bruciare le nostre gole.
La mia anima…ne ho mai avuta una? Sicuramente sì. Ma è passato così tanto tempo
oramai, da aver perso persino buona parte della memoria che riguardi la mia vita da umano.
Eppure, ne sono sicuro: da qualche parte… non so quando o dove, i miei occhi si sono già
incontrati con quelli della misteriosa creatura conosciuta con il nome di Yvonne dei lupi. Quel
volto l’ho già visto.
È questa forzata amnesia che impedisce di ricordare il momento esatto del nostro
primo incontro; quest’ultimo dev’essere certamente avvenuto circa sessant’anni orsono:
quando ancora possedevo un cuore vivo e non l’organo freddo e immobile che adesso mi
ritrovo ad avere.
Devo assolutamente rivederla per cercare di dare una risposta ai misteri che le
aleggiano attorno. Che rivestono il suo corpo snello, agile, forte…eppure non indistruttibile
come il mio. Che velano i suoi occhi d’ametista e albergano in un cuore pieno di veleno, ma
pompante al ritmo delle proprie emozioni.
19
«Eccoli».
Jack mostra i denti taglienti come lame, accovacciandosi in posizione d’attacco. Il
profumo del sangue umano è giunto anche a me.
«Aspetta«. Fermo il mio compagno di caccia afferrandolo per un braccio e arrestando il
suo slancio imminente.
«Che diavolo ti prende, Alain?!», sibila lui tra i denti gocciolanti di veleno.
«C’è un bambino con loro». Indico con una mano tra il fogliame della fitta vegetazione
che ci protegge dalla vista dei passanti.
«Che tu possa bruciare all’inferno, Alain! Era fatta. Cosa può mai significare per te, la
vita di un marmocchio fastidioso? Non capirò mai questa tua insana decisione nel voler
risparmiare a tutti i costi la vita dei bambini. Se solo assaggiassi la dolcezza del loro sangue -e
ti assicuro che possiede una sfumatura più zuccherina rispetto quello di un adulto-,
cambieresti idea. Sei libero di decidere per te stesso, ma non puoi pretendere di estendere le
tue sciocche leggi personali ad altri».
Sono certo che, se avessi ancora qualcosa in me che si avvicini all’essere umano,
sentirei le tempie esplodermi dalla rabbia. Ma a tanta malvagità, il mio vuoto involucro
d’acciaio riesce a rispondere solo con un mezzo sorriso colmo d’ironia: «Ovviamente. Ma non
quando si caccia al mio fianco, Jack. Fino ad allora, si gioca a modo mio».
Lo sbuffo profondo e indispettito del mio amico vampiro, attira l’attenzione del bimbo
che gioca con il proprio cagnolino scorrazzando lungo la strada lastricata di ghiaccio, poco
distante dal padre che tiene in spalla un fucile. Anche lui si sta ritirando dalla caccia. Si
avvicina incuriosito verso la montagnetta di roccia sovrastata da alta sterpaglia, dietro la
quale ci troviamo noi. I suoi occhi ridenti brillano sopra le guance arrossate dal flusso di
sangue che la corsa gli ha provocato. Sorride, sono certo ci abbia intravisti. Jack digrigna i
denti e arretra di un passo, io ne avanzo di uno. Ricambio il sorriso ed effettuo un lieve cenno
di saluto con la mano. Il piccino raccoglie in una paffuta manina un po’ di candida neve e la
scaglia nella mia direzione, anche se il debole lancio impedisce persino che mi raggiunga. Poi,
il richiamo del padre distoglie la sua pericolosa curiosità dai suoi possibili carnefici e,
voltandosi, corre via. Ma si gira durante la corsa affannata e ancora, per un’ultima volta, mi
rivolge il suo simpatico saluto.
La mia anima…posso anche farne a meno. Ma ho deciso di non liberare del tutto dalle
catene il mostro che vive in me. E così continuerò a fare…finchè ne avrò la forza.
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Il RITORNO
ord California.
«Passala a me! No, non in quella direzione!».
Albert lancia l’arancione palla da baseball verso Ricky. Giocatore troppo pigro per i miei gusti.
Henry mi sta alle costole mentre corro carezzata dal vento verso la mia postazione. Amo la
sensazione di sentire i miei piedi quasi sollevati da terra. La nostra gara di velocità non ha
fine, continuiamo a sfidarci senza mai rinunciare ad una prossima rivincita, il che elettrizza
entrambi. «Volete finirla, voi due? C’è un’importante partita in corso, non potreste rimandare
le vostre stupide competizioni a dopo?!».
Dimenticavo: troppo pigro, Ricky. Troppo zelante Albert. Oltre ogni misura, quando
l’argomento è il baseball.
La grande distesa che circonda il nostro cottage, permette a me e ai miei fratelli di
poter correre e giocare quanto vogliamo, allontanandoci parecchio da casa, pur rimanendo
dentro i limiti del podere degli Smith. Isolati come siamo da una moderna cittadina, è per noi
uno dei più grandi divertimenti alla portata di mano -o di zampa- per far scorrere il tempo
senza dover essere costretti a morire dalla noia. Oltre alla caccia, ovviamente.
Per quanto mi riguarda, cerco comunque di riuscire ad ottenere, quando posso, il
permesso di andare in città. Nulla è per me più affascinante, più inquietante e
misteriosamente bello di una notte trascorsa tra le strade illuminate dalla luce dei negozi
blindati e dai lampioni. Non è facile convincere Marchal ma, a dire il vero, me la cavo niente
male quando si tratta di persuadere la volontà altrui: riesco ad essere piuttosto convincente.
Certo, non sono belli i piccoli compromessi ai quali devo scendere, ma in fondo è l’unico modo
che mi rimane per riuscire ad avere un piccolo ritaglio di tempo tutto mio. Ed è solo nelle ore
in cui le tenebre carezzano la terra e le gelide mura dei palazzi, in cui l’aria fresca e pungente
si scontra con le mie tiepide membra -fredde esternamente, ma roventi nel sangue misto al
veleno che mi scorre dentro-, che mi sento realmente libera.
Libera di essere me stessa. Avvolta e trascinata dai miei sensi, da quella parte ignota
del mio essere che mi permette di ascoltare, di sentire, di vedere, di vivere il mondo che mi
circonda sotto le mie vere e nascoste sembianze.
«Yvonne, sei incredibile! Mi batti sempre su soli tre secondi di vantaggio!».
«Henry, Henry…come pensi di potermi superare se continui a mangiare quanto un
branco di dieci lupi affamati?».
«Sciocchezze. La mia è tutta massa muscolare».
N
21
Mi diverte un mondo vedere l’imbarazzo accendersi sulle sue guance attraverso rosee
vampate di sangue. Riesco a sentire il lieve ribollio interiore che lo rende gonfio di offesa e
umiliazione. Sa bene che nessuno del branco mangia realmente quanto lui. Sarebbe in grado di
abbuffarsi sbranando da solo tre grasse vacche e non sentirsi ancora del tutto sazio! Per Sarah
Johnson deve avere rappresentato un vero problema riuscire a stare al passo con la sua
crescita.
«Yvonne, non essere così pungente con il povero Henry. Sai quanto ti vuole bene».
Sorrido, mostrando i miei splendidi denti: «Certo che lo so bene. Meglio di chiunque
altro. Proprio per questo ne approfitto volentieri».
Fine della partita. I miei amici Valiant, Giosuè, Sam, Henry e Robert, seguiti dai miei
amati fratelli, si lanciano nello spericolato inseguimento alla loro prediletta ragazza vampiro. I
nostri occhi sorridenti s’incrociano, attenti ad ogni invisibile mossa che potrebbe dare il via al
tallonamento. Come sempre, sono io a proiettarmi nella fuga: il mio slancio impercettibile, più
veloce della luce, lascia alle mie spalle un leggero vortice di vento; i fili d’erba più alti del resto
del tappeto verde ai nostri piedi, danzano tra il fogliame sollevato dalla mia corsa.
La trasformazione dei miei amici non dura che un secondo, forse anche meno. Ma
posso esser certa che in quel piccolo, insignificante attimo, qualcosa di estremamente
fantastico prende vita attraverso i loro corpi febbricitanti. Riesco a percepire il bollente flusso
del sangue scorrere nella spina dorsale di ognuno di loro, le membra allungarsi e protendersi
in qualcosa di bestiale e terribilmente forte.
Senza voltarmi, sento i loro pesanti respiri inseguirmi. Le falcate sprofondare nella
terra umida dalla pioggia di ieri notte. L’aria fredda scontrarsi con le loro lingue penzolanti, il
vento filtrare attraverso il folto pelo delle loro pellicce: rossicce, quelle dei fratelli Johnson.
Grigie, quelle di Albert e Ricky.
D’un tratto, qualcuno dei sette lupi accelera e si slancia in un salto per avvinghiarsi alle
mie spalle. Sento la massa portentosa del suo corpo vibrare a mezz’aria, fin quasi sopra il mio
capo. Ed è in momenti come questi che gl’insegnamenti del branco effettuano un balzo dalla
mia mente all’azione: tra l’umana e il vampiro, subentra in me la lupa radicatasi nel corso di
tutti questi anni.
Istantaneamente mi volto rimanendo con i piedi ben piantati al suolo, il mio corpo si
rannicchia a terra, tutto il mio peso viene sostenuto dalle gambe come se fossero gli arti
posteriori di un autentico lupo. Mentre mostro a Valiant -galleggiante nell’aria con la bava alla
bocca- i mie denti brillanti, non sono più una vampira assetata di sangue. Ma solo e
semplicemente: Yvonne dei lupi.
Lo scontro è imminente. Il resto dei ragazzi arresta la propria corsa per non perdere un
solo attimo della lotta corpo a corpo che sta per iniziare tra me e il mastodontico lupo dal pelo
rosso. La linea snella e agile della mia corporatura mi permette di slanciarmi in un salto che
supera in altezza quello di Valiant, cedendo a me la possibilità di scagliarmi su lui con le mie
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mani dalla presa ferrea, adoperate con tutte le funzioni di due vere zampe. Fluttuo anch’io a
mezz’aria per una frazione di secondo e, finalmente, mi aggrappo alla sua schiena come
un’amazzone sul proprio destriero, costringendolo a terra a zampe divaricate. La sua spina
dorsale inizia però a sussultare, e con uno scatto improvviso mi getta al suolo. Se non avessi
avuto la forza di un vampiro, se la mia carne avesse avuto la consistenza tenera e morbida di
una comune ragazza mortale, non sarei mai riuscita a lottare contro la potenza dei suoi colpi
feroci che mi avrebbero di certo ridotta a brandelli.
«Colpisci, Valiant! Colpisci!», grida Sam euforico, gli occhi illuminati dal sapore della
lotta. Di quella lotta che solo un vero lupo può essere certo di poter affrontare.
Lupo contro lupo.
È sempre stato questo il motto utilizzato quando uno dei miei fratelli o uno degli
appartenenti al nostro branco ha deciso di sfidarmi nel corso del tempo. Come anche la volta
in cui sono stata sottoposta ad un vero e proprio esame, in grado di stabilire se la mia
presenza all’interno del branco, sarebbe mai potuta esser utile in caso di guerra. Quell’esame,
lo superai. Ed anche egregiamente, direi.
Ed ora eccomi qui. Nessuna differenza tra la ragazza vampiro e i lupi.
Nessun segno di dovuta accortezza o tanto meno d’esclusione, a parte qualche
eccezione. Sono davvero una di loro. Mi sento una di loro. E sono felice di appartenere al
branco che sin da piccola ha deciso d’accogliermi nel suo abbraccio selvaggio.
«Non lasciarti vincere, Valiant! Non puoi perdere anche stavolta!». Il ringhio offeso fa
vibrare con violenti scossoni il lupo che mi sovrasta. Con la coda dell’occhio riesco a scorgere i
fratelli del mio avversario: Giosuè, Roby, Sam ed Hanry, sono tornati sotto le loro sembianze
umane, mentre Albert e Ricky, i miei inseparabili lupacchiotti dal pelo grigio, continuano a
fissare il combattimento con occhi colmi d’aspettativa in una mia possibile vincita.
«Non ancora una volta, Valiant! Non puoi farci questo!».
Il ringhio a pochi centimetri dal mio viso si fa più cupo e profondo; capisco che
l’ennesima sconfitta verrà incassata in malo modo da parte del mio amico. Del resto, per il
branco non sarebbe di certo una novità che io riesca a vincere qualsiasi sfida di lotta a corpo
libero lanciatami.
«Oh, Valiant…perché tanta resistenza?», cerco di distrarlo. «Non vorrai mica che io
superi un altro esame per poter continuare a vivere con voi?».
Mi mostra i suoi denti famelici in un ghigno che la sa lunga. Intuisco che il suo intento
sia quello di volermi dare una lezione per tutte quelle volte in cui l’ho costretto allo scherno
dei suoi quattro fratelli dai riccioli rossi.
Improvvisamente, sento il dolce aroma del sangue di nuovi elementi entrare nel
cerchio dei presenti. Le riconosco. Sono di certo Lilian e Tiffany, le sorelle lupo.
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«Se hai deciso di deluderci, Yvonne…giuriamo solennemente di non volerti più
rivolgere la parola almeno per i prossimi duecento anni!». Grida Tiffany con la sua voce
squillante che supera gli ululati dei miei fratelli e le grida eccitate dei Johnson, i quali
continuano ad incitare il lupo che cerca di schiacciare con il suo peso le mie gambe, per ben
affondare le grosse zampe tra i miei capelli sparsi sopra l’erba bagnata e tirarli attraverso i
lunghi artigli.
Che mossa sciocca.
Possibile che il maggiore dei fratelli Johnson non abbia ancora capito che la mia pelle è
immune a qualsiasi graffio, stiratura o lesione? È certamente il mio aspetto quasi del tutto
umano a causargli seri sospetti su questo reale dato di fatto. Un altro punto a mio vantaggio.
Chissà…magari a volte è stata proprio questa mia facciata da semplice ragazza mortale ad
impedire ai lupi di utilizzare completamente la forza di cui godono, per sconfiggermi. Questa è
comunque solo una mia teoria. Potrebbe anche darsi che il vero motivo per il mio personale
elenco di vittorie, sia la sovrumana energia che il mio corpo apparentemente fragile nasconde.
Nessun affanno nei miei polmoni, solo la fatica nel dover trattenere la sonora risata che
cerca di sgorgare dalla mia gola nel vedere la smorfia di ardente impegno sul peloso muso
rosso del povero Valiant.
Ma la mia mossa decisiva, quella che avrebbe posto fine alla lotta senza speranza di
vincita del mio amico lupo, viene interrotta dall’assordante rimbombo che sento battere sulla
terra, provocato dalla corsa di un gruppo piuttosto numeroso di lupi che avanzano nella
nostra direzione. Non è difficile intuire chi possa essere.
«Che noia…se avessi saputo di doverlo incontrare, avrei proseguito la mia corsa verso
casa», bofonchia Tiffany. «Non riesco neanche ad esser contenta per te, sorella. Sono certa che
il tuo umore grigio stia per diventare di un bel rosa acceso all’idea di poter vedere Peter e il
suo seguito di cani rognosi».
«Credo che sia felice solo di vedere Peter, cara Tiffany. Il resto fa solo da contorno».
«Hai sicuramente ragione, piccolo Sam».
Gli occhi azzurri di Lilian si accendono di stizza per pochi istanti, alle parole cariche di
sarcasmo della sorella e del ragazzino, i quali cercano invano di deridere i suoi sentimenti per
Peter, il secondo di Walter.
Le falcate si fanno sempre più vicine. Ancora pochi metri e saranno da noi. Io e Valiant
ci allontaniamo l’uno dall’altra. Mentre lui riacquista lentamente quell’aspetto umano che
tanto poco gli si addice, la sua cupa espressione mostra apertamente il disappunto per
l’argomento da poco trattato. Il suo profondo e sincero affetto per Lilian è evidente a tutti. A
esclusione, purtroppo, della diretta interessata.
«Chi non muore si rivede, amici miei». La sua voce dal timbro basso e caldo pervade la
chiazza di radura nella quale siamo tutti riuniti. I suoi occhi riflettono un inquietante bagliore.
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Sembra quasi che si celi un velo d’inspiegabile imbarazzo dietro quella sfacciata maschera di
boria di cui ora, come sempre, fa mostra.
«Yvonne…ci sei anche tu. Strano, non ho sentito il tuo odore lungo la strada».
Fisso i miei occhi nei suoi. Spero che il mio mal celato disprezzo riesca a fargli capire di
dover tenere chiuso il becco: «Sturati bene le orecchie, Peter. Sta lontano da me». La mia voce
esce aspra. Forse fin troppo stizzosa, ma…meglio esagerare. Tipi come lui hanno bisogno di
una bella strigliata, ogni tanto. E poi, non sopporto di dover vedere stampata
quell’espressione di triste umiliazione sul volto della povera Lilian. Nonostante Peter conosca
bene i sentimenti della ragazza più bella del branco nei suoi confronti, persiste nel voler ad
ogni costo riuscire a suscitare il mio interesse. Se solo sapesse quanto la sua sola presenza
riesca ad irritarmi…
«Sei sempre così acida?». Non mi guarda neanche. Parla portandosi una mano sotto il
mento, carezzando con piccoli movimenti circolari la barba leggermente incolta. Si guarda
intorno con espressione scrutatrice, come se si stesse accorgendo solo adesso della presenza
di altri nella radura, oltre me e sé stesso.
«Abbiamo forse interrotto qualcosa? Non assisto ad una sfida da tanto, mi piacerebbe
se ricominciaste da dove siete rimasti. Soprattutto se l’incontro coinvolgeva anche te».
Finalmente inchioda i suoi occhi nei miei. Posso linciarlo con uno sguardo che non promette
nulla di buono, nella speranza che riesca a cogliere la mia minaccia.
«Stavano solo dando libero sfogo alla loro natura…selvaggia. Fossi in te non resterei
qui a perdere tempo. Piuttosto…torni dalla caccia?».
A volte penso che potrei tranquillamente darmi minore pena per quell’antipatica di
lupa bionda. In presenza di Peter, Lilian è sempre pronta a dare gratuite manifestazioni di
disprezzo nei confronti della mia famiglia. Che sciocca. Ma non vede quanto riesce a rendersi
ridicola?
«Un po’ di divertimento ci vuole, cara Lilian. Sai, non vado al circo da…almeno
trent’anni». Questa Peter me la paga davvero.
«Perché devi sempre trovare il modo per offendere i tuoi stessi fratelli, Peter? Non
credi di non rendere onore al titolo che porti, così facendo?». Nel dire ciò, l’espressione di
Giosuè è sinceramente contrita. I suoi grandi occhi verdi osservano la reazione che spera le
sue parole possano far avere al secondo capo branco. Ma con tristezza nota la totale assenza
di risposta nello sguardo dell’insensibile ragazzo che continua a guardarmi con insistenza.
«Amico mio…dovresti ormai conoscere il mio modo di scherzare. Non vorrai credere
alla serietà delle mie parole? Tutto sommato, direi che non sia male il simpatico paragone tra
la nostra razza e un bel gruppo di cani da circo. In fondo, non differiamo poi così tanto da loro,
non credi?».
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Il suo mezzo sorriso irresistibile, appare realmente sincero. Perché non sono mai
riuscita, in tutti questi anni, a carpire la sua vera natura?
Peter. Freddo, assente, imperscrutabile. Ma allo stesso tempo gioviale, onesto, schietto
e impeccabile. La sua condotta a dir poco perfetta all’interno del branco, gli ha permesso di
occupare il posto che, in caso contrario, sarebbe di certo spettato a John, per l’anzianità
raggiunta. Nessuno, tra i lupi, in un arco di tempo di gran lunga maggiore rispetto a quello
impiegato da Peter, è mai giunto ad un livello di forza, destrezza nella lotta, capacità di
adattamento, intuito e fiuto pari a quelli toccati da lui. In davvero pochissimo tempo, Peter e i
suoi fedeli seguaci hanno rappresentato per l’intero branco un punto fermo di riferimento
nella lotta contro i vampiri a favore della sicurezza dell’uomo.
Mi sono sempre chiesta però, chi sia realmente Peter Callaghan.
Non sappiamo nulla sul suo passato, addirittura nulla del suo presente. Non vive
sempre a stretto contatto con noi, preferendo la compagnia dei suoi dieci compagni persino
per le battute di caccia. Eppure, presiede solo un posto più in basso di Walter, il nostro alfa. Le
sue imprese devono essere state davvero grandiose, per meritare tutto ciò in così breve
tempo.
E a dire il vero…alt. Cosa sto sentendo? Questo…sì, ne sono sicura: è odore di sangue
umano. Ma da dove viene? Le ondate giungono ancora fresche alle mie narici. Sento il suo lieve
calore venire meno attimo dopo attimo. Quello che non riesco a capire è da dove inizi la sua
scia…il chiacchierio dei ragazzi è divenuto simile al ronzio di uno sciame di mosche fastidiose.
Peter. Adesso ne sono sicura. La scia proviene da lui.
La sua sgorgante e rauca risata mi riporta al vivo presente. Sembra che la tensione di
poco fa sia del tutto scemata.
«Callaghan?», gli occhi di tutti mi si piantano addosso.
«Dimmi pure, Yvonne. Spero tu non abbia ancora voglia di cacciarmi via in malo
modo».
«Hai detto di essere andato a caccia, non è vero?». Immobile, resta in silenzio.
L’espressione un attimo prima divertita, torna ad essere glaciale. Poi, riaffiora sereno il
sorriso sulle sue labbra piene e ben delineate. «No, non l’ho detto. Ma posso asserirlo adesso,
se vuoi. Sì, sono stato a caccia con i miei ragazzi. Perché me lo chiedi?».
I suoi ragazzi? «Curiosità. Mi chiedevo come mai la tua pelle porta con sé odore fresco
di sangue umano».
Linee di contrizione piegano improvvisamente la pelle bronzea di Peter, i suoi occhi si
velano di lacrime.
26
«Speravo nessuno se ne accorgesse. Ma avevo dimenticato che il tuo sottile olfatto da
vampiro superi di parecchio quello grezzo di noi licantropi». Si volge verso il gruppo dei suoi
ragazzi, ricevendo da loro sommessi cenni del capo.
«Cosa vuoi dire?». Un fremito di tensione pervade le mie membra. Sento il veleno
avanzare lentamente verso i denti.
«Semplice. Durante la nostra escursione di caccia sui monti ad est, abbiamo trovato i
resti di un uomo. Non c’era più niente da fare per lui. Non è così ragazzi?». Ancora cenni di
consenso, stavolta più enfatici.
«Le sue carni erano straziate dalle fauci assetate di vampiro. Devono essere stati di
certo in due ad attaccarlo. Così, prima di continuare la nostra caccia -sebbene avessimo
oramai quasi del tutto perduto la fame-, io stesso ho provveduto a togliere ogni traccia della
carcassa. Se l’avessi lasciato lì dov’era, si sarebbero creati troppi allarmi nelle città vicine».
Ancora loro. Ancora i vampiri. Sono trascorsi tre anni da quando siamo riusciti ad
allontanare il clan di Stephen Dan dalla California. La vita, dalla fine della sanguinosa faida, è
scivolata in un clima di armonia e stabilità. Ricky e Albert sono tornati a lavorare la terra
lasciata loro in eredità dal padre, e la nostra famiglia ha riacquistato in tal modo un più che
agiato benestare. Una felicità contagiosa, poiché anche il resto delle famiglie di nostra
conoscenza hanno ritrovato una certa quiete. Dalla radice più remota della mia memoria, non
riesco a ricordare un periodo bello come questo.
Ed ora…Perché sono ricomparsi? Qual è l’origine del loro ritorno?
«Oh…ma è terribile!», esclama Tiffany portandosi una mano alla bocca.
«Quelle luride sanguisughe…», digrigna tra i denti Henry.
«Vigliacchi!». Sam è in preda a violente scosse. È ancora troppo giovane per controllare
il fulmineo attimo che intervalla l’umano dal lupo. Il processo di trasformazione è quasi
automatico.
«Hanno per caso lasciato delle tracce? Forse, se tornassimo sul luogo potremmo
seguire le loro scie e…»
«No, non servirebbe. Non vi era nessun indizio che potrebbe esserci utile».
Se fossi anch’io un licantropo, sarei già stata un lupo con la bava alla bocca, pronta a
correre verso il nemico.
«Ma l’hai detto tu stesso! Il mio olfatto è certamente più potente del vostro. Potrei
riuscire a scovare qualsiasi scia, e l’odore del sangue è ancora troppo fresco. Non possono
essere andati lontani».
Lo sguardo compassionevole di Peter mi dà sui nervi.
27
«Credimi, Yvonne. È impossibile per noi licantropi non percepire l’odore dei vampiri.
Se io stesso non sono riuscito a sentire nulla, sarebbe impossibile persino per te».
Perché. Perché?! Perché tutti vogliono tenermi lontana dai vampiri? Perché non ho mai
potuto combattere al fianco della mia famiglia, vivendo giorno dopo giorno nel terrore che
uno dei miei fratelli potesse morire attraverso il veleno di un vampiro? Dello stesso veleno
che scorre inesorabilmente anche nelle mie vene?
Se non sono in grado di essere d’aiuto a nessuno, a cosa serve la mia presenza
all’interno del branco? Perché i lupi hanno deciso di tenermi con loro? Sarebbe stato meglio se
mi avessero fatta a pezzi, come fanno del resto con ogni vampiro che incontrano nel loro
cammino.
«Per fortuna, ci siamo imbattuti noi in quel pover’uomo. L’immagine che regalava
avrebbe sconvolto chiunque». Continua Peter.
«Grazie a nome di tutti noi, Peter. Ti sobbarchi di responsabilità così
gravi…risparmiando al resto del branco molti problemi».
«Non devi ringraziarmi, Lilian. Compio solo il mio dovere».
«Non puoi porgere ringraziamenti da parte di chi non ha espresso alcun parere, Lilian.
Per quanto mi riguarda, farei volentieri a meno di simili premure. Non è assolutamente
corretto da parte tua, Peter, escludere il resto di noi giovani licantropi dalle tue perlustrazioni
e da tutto quel che ne comportano».
Gli occhi di Valiant bruciano di rabbia nel pronunciare tali parole a denti stretti. Walter
ha esteso pene alquanto severe per i duelli consumati tra i membri appartenenti allo stesso
branco, altrimenti…ne sono certa, lo scontro tra loro sarebbe avvenuto già da parecchio
tempo.
«Non era un giro di perlustrazione, Valiant. Eravamo a caccia». La voce di Peter diviene
grave. Quello appena assunto è il tono del comando: «Non c’è alcun motivo per cui tu e i
tuoi fratelli dobbiate ritenervi esclusi dalle incombenze del branco. Il branco agisce unito, mai
diviso. Dovresti saperlo almeno quanto me».
«La notizia non è affatto da sottovalutare. Bisogna avvisare immediatamente Walter, ci
darà subito le disposizioni per l’improvviso allarme lanciatoci».
«Brava, Yvonne. Vedo che il tuo senso di responsabilità supera la voglia di mostrare a
tutti le capacità di cui sei dotata. Questo ti fa onore».
Non ho bisogno dei suoi elogi. Sento riaffiorare in me il conato di disprezzo per il
nostro secondo. Meglio deviare il discorso. «Hai riconosciuto l’odore del clan di Stephen
Dan?». Chiedo con sincero interesse.
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«Questo è il punto della vicenda che più mi preoccupa. L’odore che ho riconosciuto non
appartiene al clan di Stephen». Sibili di stupore echeggiano nella radura, salendo in alto, fino a
sorpassare il verde fogliame degli alberi tempestato di rugiada.
«Veramente assurdo…ma se dici di averlo riconosciuto, sapresti individuare chi sia la
nuova minaccia per le nostre terre?».
Le labbra di Peter si piegano in una smorfia di disgusto. I suoi occhi brillano di rabbia.
«I vampiri di Venezia. Il loro odore è inconfondibile».
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RESPIRI
hiusa nella mia stanza, resto ferma sotto il soffice piumino del mio letto. L’aria della notte
è sempre piuttosto fresca, ma nel mio caso non è la bassa temperatura che m’induce a
coprirmi. Semplicemente, adoro la piacevole sensazione del tepore sulla mia pelle. La
giornata di oggi è stata a dir poco sconvolgente…da domani, sono certa che nulla sarà più
come prima.
I vampiri di Venezia. Ho fatto di tutto per cancellare il loro ricordo dalla mia mente,
senza mai riuscirci. Ma ero fiduciosa di poterli un giorno dimenticare. Invece, eccoli di nuovo.
Ancora vivi e presenti. E non solo nei miei pensieri, ma nella realtà.
Perché rompere il patto con i licantropi? Perché proprio ora, dopo aver ottenuto
finalmente la pace così tanto desiderata? Eppure, avrei giurato che questa fosse un obbiettivo
anche dei dodici vampiri che io e John abbiamo affrontato sette anni fa. L’immagine dei loro
volti freddi, privi in apparenza di qualsiasi emozione, spesso ha fatto salire qualche brivido
lungo la mia schiena. Ma non porto con me solo inquietanti ricordi di quell’incontro che ha
segnato per sempre la mia esistenza, no.
L’episodio della visione avuta durante il primo ed unico contatto fisico con il vampiro
Alain, non è mai più ricapitato con nessuno. È difficile ammetterlo, ma il solo suono silente del
suo nome nei miei pensieri, spezza ogni mia resistenza nel voler allontanare il suo ricordo.
Alain.
Chissà cosa avrà pensato di me…della mezzosangue.
Se ripercorro i miei giorni con la mente, riesco a vedere una bambina di soli sei anni
abbandonata dai propri genitori nel bel mezzo di una sanguinosa battaglia contro i licantropi.
Accolta poi in seno ai lupi stessi, dimostratisi in grado di possedere un cuore. Una bambina
successivamente divenuta donna, cresciuta circondata dall’amore della sua famiglia adottiva e
sostenuta da un branco rivelatosi unito, confortevole come una vera casa. Il tempo scorre e,
anno dopo anno, sono divenuta più forte. Più veloce. Più scattante. Più astuta. Più…vampiro.
Pur continuando a mantenere inalterato il lato umano che non mi ha mai abbandonata.
Giunta ai miei fulgidi vent’anni, la mia crescita si è improvvisamente arrestata. Dopo
anni di ricerche, Marchal e i ragazzi hanno rinunciato ad ogni possibilità di scoprire il mistero
che avvolge la mia esistenza. Sappiamo solo che -da ben circa quarant’anni- il processo della
mia crescita ha deciso di fermarsi, proprio nel momento in cui l’età raggiunta mi ha permesso
di avere il pieno vigore di ogni mia facoltà soprannaturale. Da allora, direi che il titolo ricevuto
dai vampiri -Yvonne dei lupi- mi calzi a pennello.
Eppure non mi sono ancora arresa. Un giorno, riuscirò a svelare l’arcano segreto che mi
rende così diversa da ciò che dovrei essere. Che vorrei essere.
C
30
Scanso le coperte che mi proteggono, sento arrivare qualcuno. È di certo Marchal, e
busserà alla porta tra meno di…quattro secondi. Tre. Due. Uno.
Bussano. «Yvonne? Posso entrare?».
«Certo, Marchal. Entra pure».
Mia madre. O meglio dire, colei che per me è da sempre stata madre, amica, sorella.
Queste tre parole, insostituibili e di fondamentale importanza, sono in lei perfettamente
rappresentate e racchiuse. Alta più o meno fino alla mia spalla, dalla capigliatura riccia e
ribelle di un biondo opaco e sbiadito, e dai grandi occhi espressivi, di un caldo color miele.
Difficile pensare che la sua corporatura apparentemente così fragile e minuta, nasconda una
lupa snella e dal pelo biondo dotata di un’incredibile velocità. Nessuno all’interno del branco
corre più veloce di lei.
«Per fortuna sei sveglia. Avevo bisogno di parlarti». Si avvicina al mio letto con passo
incerto. Non dev’essere un argomento facile quello che sta per tirare in ballo, lo intuisco dai
suoi movimenti.
«Sono tutt’orecchie. È successo qualcosa?». Ha un’aria davvero preoccupata. Sapere che
qualcosa le impedisce di essere serena, fa stare male anche me.
Si siede al mio fianco e raccoglie una mia pallida mano tra le sue: «Non puoi dirmi di
no. Te lo chiedo in ginocchio, se non dovessero servire le mie parole».
Sono certa di aver avuto poche volte l’espressione colma di stupore che il mio viso deve
adesso avere assunto nell’udire queste frasi. «Cosa succede, Marchal? Non mettermi nel
panico. C’entrano forse i vampiri?».
Un suo impercettibile segno del capo mi fa capire di aver centrato il segno. «C’è stato
un nuovo attacco?». Le chiedo, quasi tremando.
«Oh, no. Ma non ci faranno aspettare molto, stanne certa. Se hanno già iniziato, sarà
difficile fermarli».
La parola fermarli mi fa salire un brivido lungo la schiena. Cerco di scacciar via le
immagini terrificanti che tentano di tormentare i miei pensieri, concentrandomi su quello che
Marchal sta per dirmi.
«E allora? Cosa ti preoccupa tanto?». Mi guarda intensamente, mentre le lacrime
iniziano a velarle gli occhi.
«La tua incolumità». Ci risiamo. So già cos’ha da dirmi, ancor prima che termini il
discorso.
«Yvonne, so bene che sei stanca di sentirti ripetere sempre le stesse cose. Questa volta
per, non seguire i miei consigli porterebbe ad una conclusione davvero tragica per te e per noi
31
tutti. Non devi assolutamente e per nulla al mondo unirti agli attacchi che presto sferreremo ai
nostri nuovi nemici».
Lentamente, tolgo la mia mano dalla sua stretta colma d’attesa. Vedo l’ombra
dell’angoscia più cupa pervaderle il volto. Non vorrei mai ferirla in alcun modo, ma non posso
più permettere a nessuno di condannare la mia esistenza ad un insieme di perché senza
risposta, di opprimente impotenza e assoluta confusione.
«Non posso promettertelo. Ho aspettato troppo a lungo, Marchal. Per decenni mi avete
tenuta chiusa qui dentro, all’oscuro di tutto. E adesso…ora che persino i vampiri con i quali io
stessa ho stretto una sorta di patto di tregua, hanno deciso di rompere ogni parola data, non
posso non intervenire. Non puoi chiedermi questo!».
La mia calma apparente ha ceduto del tutto. Un moto improvviso di tetra ribellione ha
infranto ogni mio buon proposito. Non posso. Non voglio accettare di dover rimanere chiusa
tra quattro mura, mentre la mia famiglia corre a fare a pezzi gli unici vampiri con i quali ho
avuto un seppur minimo contatto. Se guerra dev’essere, voglio esserci anch’io.
«Tu non capisci!». Anche Marchal ha raggiunto il tetto massimo del suo autocontrollo:
«Ti uccideranno senza pietà. Non avranno alcuno scrupolo per una mezzosangue cresciuta
insieme ai lupi. E io, i tuoi fratelli, non vogliamo perderti sapendo che avremmo potuto
evitarlo. Ascoltami, ti prego!».
Il rumore della vibrazione di una chiamata al mio cellulare posto sopra il comodino,
interrompe la supplica della povera Marchal. Ci guardiamo un istante negli occhi, entrambe
consapevoli che la discussione non sia affatto terminata. Mi avvio per rispondere e, leggendo
sul piccolo schermo luminoso il nome di chi sta telefonando, un sorriso affiora tra le mie
labbra.
«Mary?».
Marchal porta gli occhi al cielo, visibilmente infastidita per aver capito di chi si tratta.
«Ma certo! Devi assolutamente raccontarmi tutto. Sono pronta ad ascoltare la tua
odissea!». L’espressione alquanto seria di mia madre, m’induce ad apparire meno allegra di
come evidentemente devo essere tutto d’un tratto diventata.
«Aspetta solo un attimo, Mary». Porto una mano alla cornetta e mi rivolgo verso lei nel
vano tentativo di tranquillizzarla: «Dobbiamo interrompere la nostra discussione, Marchal.
Posso solo garantirti che ci penserò, ok? Nulla di certo, però».
I suoi occhi s’illuminano di gioia. Vorrei sempre vederla così raggiante. «Bene..ci conto,
piccola mia. Buonanotte».
«Buonanotte, Marchal».
Appena richiude la porta alle sue spalle, chiudo gli occhi e tiro un silenzioso sospiro di
sollievo.
32
«Mary, sei ancora in linea? Mi hai salvata, non sai quanto ti ringrazio…se hai la pazienza
di aspettarmi, vengo subito e stiamo un po’ insieme. Ho bisogno di uscire…così potrai
raccontarmi di Jacopo, senza la fretta per gli scatti della chiamata».
La luna carezza, con i suoi pallidi raggi, il grigio selciato della strada che percorro verso
Mary: totalmente umana, il mio contatto più intimo con quel genere. L’unica ragazza con la
quale da cinque anni ho potuto scoprire la bellezza di un’amicizia limpida e sincera,
disinteressata. Da allora, una nuova sfumatura ha colorato la mia cinerea esistenza.
La sua amicizia è per me un’ancora di salvezza, di evasione dal soprannaturale, seppur
in un atterraggio a breve termine. Sebbene il nostro rapporto non sia ben visto né accettato
dal branco, nessuno mi ha mai completamente vietato di frequentarla al di fuori delle nostre
terre. Ed anche se qualcuno l’avesse fatto, fosse anche stato Walter in persona, avrei ignorato
gli ordini. Per Mary questo e altro. Conosce bene la mia vera natura, le ho raccontato tutto di
me…bè, quel poco che io stessa ricordo. Ma dei miei sessant’anni di esistenza da mezzosangue,
è al corrente di ogni dettaglio. Del resto non c’è stato molto da raccontare…il tempo, per quelli
come me, è un aspetto piuttosto relativo. Quel che mi ha sempre lasciata sconvolta, però, è
stata la sua totale predisposizione ad accettare ed anzi, a ritenersi una privilegiata nel poter
avere un’amica come me. Incantata direi, affascinata dalla mia storia che si allontana persino
dalle leggende, non ha mai dimostrato alcun disagio al mio fianco. Ed è addirittura rimasta
sempre ben attenta nel non infrangere mai la promessa di rimanere lontana dal territorio del
branco. Per i lupi è già un grave problema sapere che un essere umano sia a conoscenza della
loro esistenza…averla tra i piedi sarebbe stato veramente troppo. Ho sempre sospettato che la
mia simpatica amica avesse qualche rotella fuori posto, e forse non mi sbaglio. Chiunque, al
suo posto, si sarebbe dato a gambe levate o, peggio ancora, avrebbe denunciato la nostra
esistenza.
È stato bello, stasera, aver potuto trascorrere delle ore spensierate in sua compagnia;
per poco ho quasi dimenticato le oscure novità che stanno per invadere di nuovo la mia vita.
Perché di una cosa sono certa: combatterò. La mia falsa promessa concessa a Marchal,
è servita solo ad allentare la tensione già creatasi tra le quattro mura domestiche in cui
fingiamo di essere quel che non siamo. E se anche questa scelta dovesse provocare serie
fratture nei rapporti con la mia famiglia…sono pronta ad affrontarle. Non soccomberò al
volere degli altri ancora una volta.
Come sempre, la strada del ritorno verso casa costituisce un importante momento della
mia ritagliata libertà. Casa Smith dista circa trenta chilometri dalla piccola, ma graziosa
cittadina in cui abita Mary, e i dieci minuti che impiego di solito all’andata -percorrendo a
tutta velocità la distanza che ci separa- divengono ore al ritorno verso casa. Spero d’impiegare
più tempo possibile cercando di assaporare ogni dettaglio, ogni particolare che incrocia il mio
cammino. E di portarlo con me. Nei miei ricordi, nei miei angoli di amata solitudine.
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Giunge alle mie narici il profumo di alcuni sali da bagno che qualcuno sta usando nella
propria comoda vasca. Un bel bagno alle tre di notte è un po’ insolito, ma sicuramente
un’esperienza piacevole da dover provare. Sento ancora lo scalpitio delle zampette di alcuni
roditori che si aggirano alla ricerca di cibo da mettere sotto i lori fragili denti. A circa
cinquanta metri, i fogli di un vecchio giornale svolazzano incollandosi ad un lampione.
Percepisco i miei sensi tesi e vigili come non mai. Finché il sole è alto in cielo, sebbene
usufruisca sempre delle mie facoltà, queste non possono essere nel pieno delle loro
potenzialità come dal crepuscolo in poi. È, questo, uno dei maggiori motivi per cui la notte
adoro starmene per i fatti miei: libera da ogni vincolo, libera di essere me stessa e di non
vergognarmene.
Ecco…adesso sento…un respiro? C’è qualcuno. Improvvisamente, mi rendo conto di
non essere sola. Un respiro regolare, profondo e freddo, accompagna i miei passi su questo
solitario cammino. Il mio istinto mi suggerisce di non voltarmi, continuando a far finta di non
aver udito nulla. Proseguo il mio tragitto a passo moderato, senza lasciare trasparire alcuno
stato di allerta o paura. Del resto, la paura è l’ultima delle sensazioni che potrei provare,
soprattutto in circostanze come questa. Di cosa dovrei aver timore, possedendo denti affilati
come lame in grado di succhiare intermente il sangue di un essere umano di grossa taglia in
meno di venti minuti? E capaci di affondare nelle vene di chiunque, iniettando un veleno che
toglie la vita per regalare un’esistenza a dir poco terrificante?
Il respiro si fa sempre più vicino. La presenza alle mie spalle ha deciso di seguirmi. Un
maniaco? Un assassino? O forse, più semplicemente un ladro. Mi fermo. Il rumore dei miei
stessi passi m’impedisce di capire realmente a quale distanza si trovi il mio inseguitore. Libera
da ogni intralcio, capisco adesso che ci separano solo pochi metri. Nonostante la mia pelle sia
dura come il marmo, dentro me scorre sangue umano e il mio cuore pulsa. Forse non sono poi
così immortale come penso di essere. Non conosco ancora il metodo che potrebbe porre fine
ai miei giorni, ma non credo di volerlo scoprire proprio ora. Sarà meglio voltarsi e affrontare il
mio improvviso nemico guardandolo dritto negli occhi.
Scorrono circa quattro secondi nel movimento che accompagna il mio sguardo verso
lui…
«Yvonne. Non posso crederci…sei tu».
Alain. Gli occhi di velluto nero, infiammati da una calda luce rossastra, si aprono per lo
stupore. In lui nulla è cambiato dalla notte del nostro addio. Del resto, nulla potrà mai mutare
in noi abitanti di un eterno presente.
Alain. Uno dei membri del clan di Venezia. Dovrei forse attaccarlo, annientare uno dei
nostri nuovi nemici, distruggere colui che probabilmente ha partecipato allo strazio di quel
pover’uomo trovato da Peter e il suo seguito.
Alain…lo specchio di quel che non vorrei apparire, ma che in fondo so bene di essere.
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Alain. L’unico vero motivo per cui combattere, stavolta, diventerebbe per me un
fardello troppo grande da portare addosso.
«Alain…cosa ci fai tu qui?».
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SENZA PERCHÈ
on so da quanto siamo qui, immobili. Forse da un secolo, forse solo da cinque minuti. Il
suo respiro si è interrotto, come quella volta sull’ignota banchina del canale di Venezia.
Sento la mia gola arida, e persino l’aria fresca della notte sembra voler bruciare le sue
pareti. Nei suoi occhi si alternano -in maniera evidente- stupore, paura, gioia.
Per fortuna, decide di risparmiarmi il grave peso di prendere per prima la parola.
«So bene che non dovrei essere qui. Ma credimi, posso spiegarti. Sono sicuro che i tuoi
amici licantropi avranno già sentito il nostro odore, in questi giorni».
«Puoi ben dirlo. La vostra presenza non poteva di certo passare inosservata, non
credi?». Gli rispondo aspramente.
I suoi occhi si chiudono in una piccola fessura. Le folte ciglia brune donano una lieve
ombra alla sua pelle d’avorio.
«A quanto vedo la nostra visita inaspettata non è stata ben gradita. Dovevamo avvisare,
lo so. Ma gli eventi improvvisi non hanno permesso di agire nelle dovute maniere».
«Dovute maniere?! Sette anni fa è stato stipulato un accordo tra il nostro branco e il tuo
sporco clan!». La mia voce esce in un rauco ringhio. «Perché avete deciso di romperlo adesso?
Siete talmente senza remore, da dover venire fin qui per soddisfare la vostra sete di morte?
Perché proprio questa parte della California, quando avreste potuto avere le vostre vittime in
ogni altra parte del mondo?!». Una nuova emozione prende forma nei tratti del suo volto
terribilmente bello: l’incredulità.
«Ma di cosa stai parlando? Credi che siamo venuti fin qui da Venezia, per il gusto di
assaggiare sangue californiano? Non farmi ridere».
Persino la smorfia che delinea le sue labbra dona un tocco di fascino al suo aspetto
ondeggiante tra l’umano e il selvaggio.
«Prima d’intraprendere il lungo viaggio, abbiamo provveduto al nostro sostentamento
abbondantemente. Dovevamo essere in forze e lontani da ogni tentazione, per poter mettere
piede nel vostro territorio. Non avremmo mai infranto il patto. Non di certo in questo modo,
comunque».
Uno spasmo di nausea invade il mio stomaco. Avevano provveduto abbondantemente al
loro sostentamento. L’uomo ucciso e trovato da Peter nella foresta, doveva essere stato solo
un piccolo spuntino per i carnefici italiani.
«Puoi star certo che non vi permetteremo di girare a piede libero tra la nostra
popolazione».
N
36
«La vostra popolazione è libera. Gli umani che vi circondano non sono di vostra
proprietà. Siete ridicoli».
Violente scosse percuotono i miei muscoli, i miei arti. Un istinto primordiale inizia a
danzare nella mia mente. Il desiderio di attaccare il nemico che mi sta di fronte è più forte
dell’inspiegabile smania di saperlo al sicuro, lontano dal pericolo che rappresenta per lui il
branco.
L’assassino da uccidere. La preda da mettere in salvo. I due volti di Alain sconvolgono
la mia razionalità, rendendomi fin troppo fragile. Chi è mai lui per me, da gettarmi in una
simile confusione?
«Il nostro compito è solo quello di proteggere gli umani che occupano questo territorio,
da esseri spregevoli come voi. Non chiediamo altro che essere lasciati in pace. Da soli tre anni
ci siamo liberati di Stephen Dan, e pensavamo foste di un gradino superiori a lui e al suo
esercito di vampiri. Invece…siete solo dei traditori. Come tutti i vampiri che hanno incrociato
il mio cammino».
Come ho potuto anche solo pensare che dietro la parola vampiro si potesse nascondere
qualche sbiadito aggettivo come leale e sincero? Stupida. Stupida. Stupida! Sento un velo di
lacrime iniziare ad offuscare la mia vista. Se dovesse accorgersi del mio stato pietoso, sarei
spacciata.
Avanza di un passo, ma si arresta con espressione incerta: «Davvero, non capisco. Le
tue parole non hanno senso per me…ma andiamo al dunque. Sono felice di averti incontrata
così, per caso. Sarebbe stato realmente difficile per noi riuscire ad entrare nel cuore del
branco senza rischiare di essere fatti a pezzi dai tuoi amici lupi, ancor prima di poter aprire
bocca e spiegare il vero motivo della nostra visita».
Ricaccio con un veloce gesto della mano le piccole lacrime scivolate lungo una mia
guancia. I suoi occhi scuri, simili a due pozzi senza fondo, mi osservano stranamente. Come se
fossi io, tra i due, la misteriosa creatura da esaminare.
«Non servono parole futili per accompagnare il vostro gesto. L’uomo che avete
succhiato fino alla morte, viveva qui. Apparteneva alla nostra ala di protezione».
Il suo silenzio invade le mie vene di rabbia. Non so cosa, ma credo vi sia un elemento
sfuggente in grado di inquadrare bene tutta questa storia. Di dare i giusti perché alle domande
che mi svolazzano attorno.
«Siete tutti in pericolo, Yvonne. O meglio, siamo tutti in pericolo. Noi vampiri di Venezia
abbiamo deciso di venire fin qui per non interrompere la caccia all’assassino di Jack, uno dei
nostri».
Jack. Il vampiro dai capelli biondo platino. «Ricordo bene Jack. Vuoi dire che…»
«Che la sua esistenza da succhiasangue è finita. Abbiamo trovato i suoi resti
completamente smembrati. C’era odore di vampiro nell’aria…un licantropo dev’essere
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certamente stato aiutato da un vampiro, per mettere all’opera il massacro. Sai bene che l’unica
morte a cui può andare incontro un vampiro, è lo smembramento del suo corpo effettuato da
un lupo o da un altro succhiasangue. In altro modo, seppur fatti a pezzi, i nostri arti sono
capaci di ricrescere ad un’incredibile velocità. A meno che non siano accompagnati dal veleno
iniettato dai denti di un nostro simile. Quest’ultimo arresta la ricrescita della carne, ponendo
fine alle atroci sofferenze a cui altrimenti andremmo incontro, se desiderosi di riacquistare la
mostruosa immortalità a cui apparteniamo».
Sento i miei nervi -prima tesi- rilassarsi lentamente. I pugni delle sue mani si stringono
in una morsa letale, le ossa sembrano voler spaccare la pelle marmorea divenuta leggermente
violacea nei punti in cui aderisce del tutto ad esse.
«Alcuni licantropi si sono alleati con dei vampiri assetati di morte e potere. Puoi anche
non credere alle mie parole. Ma se non sono riuscito a estendere nella tua mente neanche
l’ombra del dubbio sulla mia versione dei fatti… uccidimi. Chiama i membri della tua famiglia,
assisti al mio massacro. E perché no, inietta il tuo stesso veleno nei miei arti troncati, così la
facciamo finita con questa buffonata».
Lo guardo attonita, cercando un barlume di scherno nei suoi occhi. Ma riesco a
scorgere solo una cupa serietà, la scintilla di una proposta che, oserei dire, appoggerebbe
volentieri se la accettassi. Le sue labbra abbozzano un lieve sorriso.
In me vibra una corda, incitandomi ad approfittare della situazione. Ma la parte umana
del mio cuore mi spinge ad accogliere l’ombra del dubbio insinuatasi, come del resto Alain
sperava accadesse.
«Domani. Al sorgere del crepuscolo. Un chilometro più distante dai confini della tua
proprietà».
«Non sarà pericoloso addentrarti così nel cuore del branco?», esitai, preoccupata.
«Tu pensa solo a non mancare. Per il resto stai tranquilla…so guardarmi alle spalle»,
sorrise debolmente.
«Perché di notte? Non sarebbe meno pericoloso alla luce del sole? O forse…per voi è
realmente impossibile esporvi ai raggi solari?». La sua risata echeggiò nel silenzio, simile ad uno
sgorgo d’acqua piovana.
«Che sciocchezze! Non sai proprio nulla sulle abitudini dei tuoi simili? Veramente
strano…quindi i tuoi occhi non subiscono nessuna mutazione alla luce del giorno?».
«Non so di cosa parli».
Tirò un sospiro profondo. «Nessuna polverizzazione al contatto con il calore del sole.
Niente di tutto questo. Noi vampiri possiamo tranquillamente vivere le nostre giornate in totale
libertà tra la gente, eccetto che per un piccolo particolare: dobbiamo indossare assolutamente
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degli occhiali da sole. Persino quando il cielo è grigio, la luce del giorno riflette nei nostri occhi
svelando in tal modo il nostro vero essere».
Notando il mio stupore, continuò a spiegare: «Durante il nostro primo incontro, e anche
adesso, mi hai potuto vedere totalmente al riparo dai raggi solari. In caso contrario.. .se avessi
visto me e la mia famiglia, avresti potuto anche conoscere il bagliore che riflette il nostro “io”
interiore. Quello del vampiro che vive in noi, ovviamente…non di certo quello dell’uomo che
prima ci apparteneva. Il colore che riflettono i miei occhi, per esempio, è il verde. Non so bene
cosa significhi…ma prova a immaginare la reazione della gente comune, se incontrasse uno
come me. Occhi a sfondo nero con fiamme di colore rosso e verde che s’intrecciano tra loro. Non
ci sono dubbi, gli occhiali da sole sono la nostra salvezza».
Continuai a fissare le sue iridi, immaginando di poterne scorgere il riflesso verde da lui
descritto. Sarebbe apparso meno terrificante a vederlo?
«E comunque, non è certo questo il motivo per cui non voglio che il nostro incontro si
svolga di giorno. Domani, capirai».
Queste, le ultime parole che hanno accompagnato il mio incontro di ieri notte con Alain
il vampiro. Non avrei mai immaginato, né desiderato, di poterlo un giorno rincontrare. Ed ora
che è qui, di nuovo a pochi passi da me…
Traditrice. Sì, l’aggettivo da loro affibbiatomi mi si addice proprio a pennello. Ora come
non mai. Traditrice. Verso i lupi, verso la mia stessa famiglia. Verso coloro che odiano, più
d’ogni altra cosa, i vampiri. La mia seconda metà.
Non è comunque questo il momento di lasciarmi prendere da simili pensieri. La cosa
più importante, adesso, è riuscire a ottenere da Walter il permesso per un incontro con i
vampiri di Venezia. Se quel che Alain mi ha raccontato è vero, siamo realmente tutti in
pericolo. Non sarà affatto facile riuscire a convincere i lupi… o meglio, sarà impossibile. Come
può anche solo sperare Alain, di entrare in una delle nostre adunate insieme ai suoi
compagni? I licantropi non accetteranno mai.
Eppure, devo almeno tentare. Devo, se decido di credere in Alain. Cercando di trovare
le parole adatte per non far intuire né a Walter, né a nessun altro, il mio segreto.
Mi alzo dal mio letto sopra il quale ho trascorso le ultime ore della notte, assorta tra le
recenti novità. Apro la finestra della mia camera che sfocia verso la piccola chiazza verde
vicino casa, con l’ardente desiderio di respirare l’aria fresca e pungente del mattino. Guardo la
sveglia, le lancette segnano le sette. Come rituale d’inizio giornata, spazzolo i miei capelli e
lavo con energia i miei denti affilati; scendo al piano di sotto, preparo la mia tazza di latte e
cornflakes da inghiottire con avidità, mentre con la mente divago tra le parole più giuste da
usare.
«Di buon’ora, Yvonne. Come mai già sveglia?». Alzo il viso in direzione di Marchal con
su stampata l’espressione più preoccupata che potessi riuscire a ottenere: «Come avrei potuto
dormire, dopo aver trovato questo sul davanzale della finestra?», le dico, estraendo dalla tasca
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dei jeans e mostrandoglielo, un foglio piccolo, quadrato. Piegato perfettamente. Marchal tende
la mano incerta e apre il biglietto misterioso. Con voce sommessa ne legge le poche righe:
Non c’è il tempo, né il modo di poter spiegare tutto per iscritto. Permetteteci di
partecipare alla vostra prossima adunata di luna piena e anche voi saprete la verità.
Siamo tutti in pericolo. Non sottovalutate le mie parole.
Alain
Rimane immobile, continuando a rileggere non so quante volte il messaggio.
«È il nome di uno dei vampiri che hai incontrato a Venezia?». Chiede improvvisamente,
restituendomi il biglietto e guardandomi fisso negli occhi.
«Sì, appartiene al clan di Venezia. Dovremmo considerare le parole del visitatore e
chiedere consiglio a Walter. Lui deciderà se accettare o meno la proposta, che ne dici?».
Il suo sguardo muto e severo getta una profonda ansia nel mio cuore. Che abbia capito
l’inganno?
«Questo», sventola il piccolo foglio quasi sotto il mio naso, «appartiene ti appartiene. Ci
sarà un motivo per cui hanno deciso di lasciarlo sulla tua finestra. Spetta quindi a te il compito
di presentarlo al nostro capo branco. Sebbene la risposta che ti darà, sia più che ovvia».
Cerco di nascondere il mio turbamento mostrando una sfacciata noncuranza, mentre
lavo la tazza per riporla al suo posto: «Pensi che Walter non permetterà ai vampiri di dare una
spiegazione allo scempio trovato da Peter?». Pone una mano sopra la mia, ritrovandosi con me
sotto lo scroscio d’acqua della fontana: «Non esistono spiegazioni, non esistono perché
all’uccisone di un uomo da parte di un vampiro. Il motivo è solo uno: la loro sete. Sarà meglio
che questo gruppo di girovaghi assassini venga il prima possibile fatto fuori, non possiamo
aspettare la morte di altre persone. Ed è impensabile far mettere piede a quelle carogne nel il
nostro branco».
Come pensavo. Non esiste speranza per Alain e i suoi. Saranno costretti ad affrontare il
branco in battaglia. A meno che…
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PRIMA DEL CREPUSCOLO
entre procedo a passo lento lungo il ripido sentiero che conduce all’abitazione di
Walter, un’unica e ovvia domanda non smette di tormentarmi: cosa mi spinge a voler
credere con tutte le mie forze alle parole di quel pericoloso assassino?
In fondo al mio cuore ho sempre saputo che l’incontro avuto con lui sette anni orsono,
avrebbe cambiato la mia vita. Ma non ho mai creduto di poter arrivare a tanto: mentire alla
mia famiglia per permettere al nemico d’intrufolarsi tra noi. Assurdo.
E se la sua fosse solo una trappola? Entrati senza ostacoli nel nostro campo, sarebbe
più facile attaccarci e far infiltrare poi dall’esterno altri membri per finirci del tutto. Certo, non
devo sottovalutare il mio stesso branco…non sarebbe un gioco da ragazzi riuscire ad
abbattere i fratelli Johnson, Peter e il suo seguito…per non parlare di Walter. Non so davvero
cosa pensare. Eppure i suoi occhi erano sinceri, ne sono sicura.
Che sia un membro dei vampiri di Venezia, il vero colpevole? Forse, a insaputa persino
di Alain e del resto dei suoi compagni...no, sto pensando un mare di sciocchezze. Anche
quest’ipotesi è improbabile: se uno dei traditori fosse un componente del clan italiano, i
vampiri avrebbero riconosciuto la sua identità dal suo odore, la stessa notte in cui sono stati
trovati i resti di Jack. E del resto, Peter avrebbe di certo capito dalle tracce lasciate sul luogo
del delitto di quel pover’uomo, se alla sua uccisone avesse partecipato anche un licantropo.
Il sole batte cocente con i suoi raggi di fine Luglio. L’aria è frizzantina, porta con sé i
profumi della fitta vegetazione che si estende a ovest. Carezzo lievemente, con la punta delle
mie dita, gli alti fili d’erba che solleticano le mie gambe. Chissà dove saranno, Alain e gli
altri…riesco a immaginarli, raggianti e colorati nelle loro eccentriche capigliature.
Finalmente casa Tunner. Proprietario, Walter Tunner. La casa dal tetto di ghiaccio,
soprannome ideato da me, Ricky ed Albert, calza a pennello per l’edificio che ho di fronte: le
tegole sono state dipinte di bianco, come le pareti esterne. Una freddezza inquietante a
vedersi, ma totalmente in contrasto con il calore interno dell’abitazione. Passo il dorso della
mano sul viso per togliere via il velo di sudore che m’imperla la fronte. Suono il campanello.
Cinque secondi d’attesa e poi…
«Prego? Cosa desideri?». Mi accoglie la vecchia governante.
«Buongiorno, sono Yvonne Smith. Potrei vedere il signor Walter? È una questione
molto urgente».
La tarchiata donna mi guarda dalla testa ai piedi con i suoi occhi piccoli e neri,
storcendo le labbra. Cos’ho che non va? I bermuda di jeans bianco che sfiorano il ginocchio o
la canotta cremisi? No, devono essere le sneackers rosa.
M
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«Entra pure. Avviso il signor Tunner della tua presenza».
Una donna dall’aspetto davvero minaccioso. Mi chiedo come Walter possa aver assunto
una simile dipendente. Il salone è sfarzoso, arredato con mobili di legno massiccio intagliato,
ma quel che conferisce all’ambiente un tocco di vanità, sono i numerosi scalpi di belve feroci
delle savane appesi come cimeli alle pareti, oltre che gli ampi tappeti di pellicce di ghepardo,
pantera, leone e tigre.
Non appena mi accingo a sedermi, in cima alle scale compare il nostro capo branco:
terribilmente alto, dalla corporatura statuaria. Dovrei essere abituata a questa sua
caratteristica, ma ogni volta che mi capita di vederlo, l’impatto è sempre sconvolgente. Occhi
di un caldo castano vanigliato, naso leggermente aquilino e labbra piuttosto seducenti. La
marcata fossetta sul mento è un tocco in più alla sua virilità bollata.
Ma noto con stupore che non è da solo. Alle sue spalle compaiono i fratelli Thomson:
Nico l’albino, e Daniel…il tutto muscoli senza cervello. I figli adottivi -insieme alla piccola
Nancy- dei coniugi Thomson. Molto meno appariscenti del padrone di casa. Come mai anche
loro da queste parti? E soprattutto…mi stupisce averli visti comparire dalle camere private di
Walter. Non sapevo vi fosse una simile confidenza tra loro.
«Che sorpresa! La nostra giovane mezzosangue ha voluto rendermi omaggio con una
sua visita. Qual buon vento, ti porta qui, amica mia?».
Non ho mai sopportato il suo modo di rivolgersi a me con l’aggettivo mezzosangue.
«Ciao, a tutti».
«Ciao, Yvonne». Mi rispondono i due fratelli, entrambi con espressione apatica.
«Non vorrei rubarti molto tempo, Walter. Avrei forse dovuto avvisarti del mio arrivo,
ma ho seriamente bisogno di parlarti». L’espressione serena e gioviale del nostro capo branco
rimane immutata nonostante la gravità delle mie parole.
«Siediti pure. Dimmi tutto».
Incerta su come comportarmi, rivolgo uno sguardo verso i ragazzi alle sue spalle:
«Ehm...preferirei parlarti da sola. Si tratta di un argomento piuttosto delicato».
Mi rivolge un ampio sorriso comprensivo. «Riguarda direttamente la tua persona o è
qualcosa che si potrebbe ripercuotere sul branco?».
Gli occhi dei due fratelli sono fissi su di me. Che razza di comportamento, quello di
Walter.
«Ovviamente... riguarda il branco». Se mai avesse riguardato la mia vita privata, che
motivo avrei avuto di andare a chiedere il suo aiuto?!
«Allora non devi affatto preoccuparti, mia cara. Non esistono segreti tra i membri del
branco. Parla pure>>.
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È davvero incredibile. Adesso dovrò riuscire ad ingannare tre grossi lupi, anziché solo
uno. Chiudo gli occhi per un istante e penso che sì, ce la posso fare.
«Bene. Ho questo da consegnarti». Gli mostro il biglietto scritto e firmato da Alain.
«L’ho trovato stamattina sul davanzale della mia finestra».
Lo legge con attenzione e lentamente. Poi, con un profondo sospiro mi rivolge i suoi
occhi improvvisamente colmi di preoccupazione: «Non credevo si sarebbero fatti vivi così
presto. Certamente sono venuti con la convinzione che tu gli avresti dato una certa…fiducia».
Sussulto per l’indiretta accusa. Sono così poco brava a mentire? «Cosa vuoi
dire? Sai bene che non potrei mai fidarmi di un vampiro». Rispondo risoluta, sfacciatamente
bugiarda. «Mi chiedo solo se sia il caso di prendere in considerazione l’avviso che ci hanno
voluto lanciare. Un pericolo esiste davvero. E se loro sapessero di cosa si tratta?».
Mi volge le spalle, ma continua a parlare: «Non importa affatto che loro lo sappiano o
meno. Basta che lo sappiamo noi e questo è tutto. Sono state riconosciute le tracce dei vampiri
di Venezia, sono loro gli assassini. E se non li fermassimo subito, sarebbe l’inizio di un vero
sterminio per gli abitanti delle zone a noi vicine».
«So bene cosa vuoi dire. Ma…se non tutti gli appartenenti al clan fossero colpevoli?
Forse è per questo che hanno richiesto il nostro aiuto...Forse sospettano un tradimento
all’interno del loro stesso clan». Un’aspra risata esce dalle sue labbra. Nico e Daniel
sogghignano tra loro guardandomi con scherno. Ed anche con un po’ di…disprezzo?
«Non dire sciocchezze, Yvonne. Basterebbe soltanto lo schifoso veleno di un loro
membro, per fermarne la ricrescita di un intero esercito. Non chiederebbero mai l’aiuto dei
licantropi per uccidere un loro simile, fosse anche un traditore».
Devo ad ogni costo nascondere la mia profonda delusione. Sto fallendo miseramente,
sapevo che sarebbe stato impossibile convincerlo.
«La tua disarmante ingenuità, piccola mia, è dovuta alla totale mancanza di esperienza
in combattimento con quelle luride carogne. Ma non temere. Presto, il tuo desiderio sarà
esaudito».
Un brivido mi pervade la schiena. Si gira nuovamente verso di me rivolgendomi il suo
sguardo tornato ad essere ridente. Avanza di qualche passo nella mia direzione e prende una
mia fredda mano tra le sue. La tensione che circola dentro me è tale, da farmi sospettare di
essere divenuta fredda almeno quanto Alain.
«È sinceramente impensabile permettere loro di partecipare a una nostra adunata.
Sarebbe inutile e fin troppo rischioso. So che sarai felice della mia decisione, Yvonne». Io
stessa -non so perché- aumento la stretta delle nostre mani unite, forse per incitarlo a parlare.
Ma ciò provoca nei suoi occhi una scintilla di gioioso stupore. «Di quale decisione parli?»,
chiedo, con voce tremante.
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«Preparati ad allenarti, mia cara. Parteciperai allo scontro contro i vampiri di
Venezia».
Un incontro breve. Inutile. È solo servito a farmi scoprire le vere intenzioni del branco.
Perché, a questo punto, sono certa che la decisione sia stata presa dalla maggior parte degli
altri lupi di mia conoscenza, vista la battuta poco felice di Daniel: «Finalmente sarai davvero
dei nostri, Yvonne. Cerca di non immergerti troppo nella mischia però…rischieremmo di
confondere il tuo odore nella battaglia e di farti a pezzi come se fossi una di loro!».
Per non parlare dell’occhiolino d’intesa ricevuto da Nico. Sospetto persino che sia stata
io l’ultima a sapere la grande notizia che mi riguarda. Spero almeno che la richiesta disperata
di Marchal e la promessa strappatami, non siano state frutto di tutto questo. Che conosca già
anche lei le aspettative del branco? Non saprei dirlo con certezza, ma la sua espressione
nell’apprendere la risposta di Walter alla proposta dei vampiri, mi ha lasciata perplessa.
Albert e Ricky, dal canto loro, hanno fatto di tutto per rendere meno pesante la
situazione, iniziando a programmare le prossime lezioni di lotta durante le quali loro stessi mi
faranno da maestri. Veramente una buffa circostanza…fino a ieri sera sarei stata disposta a
schierarmi contro tutto e tutti pur di non essere ancora esclusa nella lotta contro i vampiri.
Adesso…adesso c’è qualcosa di diverso. Ma cosa?
Il sole sta per tramontare. Oramai non dovrebbero sussistere più disagi per Alain, nel
vedermi. Credo di essere più che puntuale all’appuntamento, ancora un’ultima svolta..e
sorpassato questo gigante masso indorato dagli ultimi raggi del tramonto, sarò a
destinazione. Mi è sempre piaciuto camminare in mezzo ai campi. L’aria porta con sé profumi
che in altri luoghi sarebbe impossibile percepire. Chissà se mi sta già aspettando…
Eccolo, è qui. A pochi passi da me. Osserva un punto indecifrabile. La mia presenza, o
forse il mio odore, lo inducono a voltarsi lentamente verso la mia direzione.
Ed è in questo istante, colta dalla splendida visione della creatura più spietata, più cara,
terrificante, dolce e irraggiungibile, eppure a me così vicina, che la mia intera esistenza si
riduce in pochi, inafferrabili granelli di felicità.
I suoi occhi s’inchiodano ai miei. La calda e dorata luce degli ultimi raggi di sole si
riflette attraverso il bagliore emanato dal suo sguardo. È come se le sue pupille brillassero di
luce propria, simili a polvere di diamante sparsa in una pozza d’acqua argentea. La sua
descrizione era del tutto veritiera: una danza di rosse fiamme intrecciate a verdi lampi. Così, i
suoi occhi, prima del crepuscolo. I secondi che hanno accompagnato questo magico,
indimenticabile momento, sono stati troppo brevi. A poco a poco la luce si affievolisce e una
sottile coltre di nebbia azzurrina avvolge i nostri corpi e tutto quel che ci circonda. La sua voce
accarezza i miei sensi, trascinandomi in un irrinunciabile invito: «Yvonne…sei già qui».
Come nelle precedenti occasioni, non riesco a far uscire la voce dalla mia gola.
«Scusami…non credevo di essere in anticipo».
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«No, anzi. Sono felice che tu sia arrivata appena in tempo. È stata una sensazione…»
«Strana e…irripetibile».
«Incredibile».
Entrambi accenniamo un sorriso. L’imbarazzo è palpabile come i pulviscoli di polvere
che si scontrano sul suo volto spettrale e bellissimo. Gli occhi poco prima percorsi da una linea
verde smeraldo, sono tornati ad essere di un nero inchiostro.
«Non dovremmo soffermarci qui. Vieni con me», mi porge la sua mano, effettuando un
sorriso del tutto disarmante, «fidati».
Ed io, senza indugio, contrariamente ad ogni mio pensiero, o convinzione, o ideale…mi
fido di lui. Dell’essere più spaventoso e raccapricciante che sia mai esistito nella storia
dell’umanità.
Mi fido. Gli porgo la mia mano nella febbricitante attesa di una nuova ondata di
memoria, al solo contatto con la sua pelle fredda. Un istinto incontrollabile, una forza che mi
avvinghia al desiderio di una sua costante presenza al mio fianco.
Ma non accade nulla. La mia pelle tiepida, marmorea eppure rosata, a contatto con la
sua non risente di nulla…nessuna scossa, nessun prodigio. Non una visione inonda la mia
mente, lasciando in essa il posto ad una sensazione mai provata prima d’ora: la meravigliosa
percezione di sentirmi completamente, come mai prima d’ora, a mio agio. Nei palmi delle
nostre mani non c’è l’ombra del vampiro o della mezzosangue. Ma l’unione di due esseri
liberi.
Immersa in questi pensieri, mi lascio guidare da Alain nel folto della foresta inondata
oramai dalle ombre della sera.
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SORRISI
uante…quante volte mi sono chiesta cosa si potesse provare restando mano nella mano
ad osservare lo spicchio luminoso della luna, in compagnia di un vampiro? Bè, questa
notte non c’è alcun bisogno di fantasticare su quest’ipotesi prima tanto remota, adesso
più reale che mai.
«Dunque è davvero impossibile farli ragionare. Non capiscono che così facendo la
situazione potrebbe peggiorare? A quel punto, la segretezza del loro caro branco non
servirebbe più a nulla».
Il suo comportamento è a dir poco incredibile, non mi permette di ragionare a mente
fredda e senza correre il rischio di lasciarmi influenzare dallo sciocco effetto che la sua
vicinanza mi procura..
«Stai attento a quel che dici. Ricorda che è stai parlando della mia famiglia. Io resto pur
sempre dalla loro parte, se ancora non l’avessi capito».
Un sorriso sprezzante inarca le sue labbra. «Oh, eccome se l’ho capito. E chi non lo
farebbe? La tua devozione per i lupi è stata chiara sin dalla prima sera in cui t’incontrammo.
Ci avresti attaccati uno ad uno a costo di difendere il tuo vecchio amico. Ma ti sei mai
chiesta…se lui avrebbe fatto lo stesso per te?».
«Ne sono sicura». Per pochi istanti rimaniamo immobili, ognuno assorto nei propri
pensieri. Un lieve venticello carezza i nostri capelli, rendendoci sensibili a ogni sfumatura di
profumi presenti intorno a noi.
«Bè, non ne dubito. L’affetto del tuo amico era evidente. Ma non posso esserne certo
per il resto dei membri del tuo branco. È come ti ho detto: i licantropi si sono alleati con i
vampiri. Una circostanza mai avveratasi prima d’ora nella storia delle nostre razze».
D’un tratto, con entrambe le sue mani stringe la mia che già teneva legata in un
intreccio di dita stranamente rassicurante. I suoi occhi gridano. Ma è una voce troppo
soffocata dal sangue in cui è totalmente immersa, per poterla udire come vorrei.
«Devi fidarti di me, Yvonne. Non ho mai chiesto nulla a nessuno. Non ho mai
voluto dimostrare ad altri quel che sono. Il mostro che vive in me ha cancellato quel poco di
umano che mi era rimasto. Eppure anch’io, un tempo, sono stato un uomo. Anche se non so
quando…dove. Non ho nessun ricordo che mi faccia sentire legato in alcun modo a questo
mondo e al lato più bello da cui si può osservare. È come se la mia esistenza sia iniziata con il
desiderio irrefrenabile della sete. Ho odiato tutto e tutti, ma più di chiunque altro, me stesso.
Sopravvivo grazie alla morte di qualcun altro».
Pieghe di sofferenza provano il suo volto. Sento che la sua maschera di contegno sta
per spezzarsi, lasciando libero lo strato di rabbia che lo tormenta.
Q
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«Tu dimmi…cosa potrebbe importarmi della vita di un lupo? Quale fine potrei ottenere,
desiderando la distruzione della tua famiglia? Vedi…ho chiesto al resto dei miei compagni di
avere assegnato il compito di parlarti, di mettere al corrente il tuo…branco, delle vicende da
poco avvenute. Loro sono tutti a caccia dell’assassino di Jack. Ho voluto che fosse così, perché
questo sarebbe stato l’unico modo per rivederti prima della guerra che scoppierà. Avevo
bisogno di parlarti. Come non sono riuscito a fare sette anni fa».
Perché ha smesso di parlare? La sua voce è come una forte droga dal sapore
irresistibile. Mentre un lieve sorriso dipinge le sue labbra, chiude gli occhi e respira
profondamente l’odore del mio sangue spinto verso lui dal vento leggero che m’investe.
Dovrei tremare di paura. Dovrei scappare. Ma resto invece estasiata ad osservare il
flebile mutare delle espressioni nel suo volto perfettamente scolpito.
«Cosa senti?», riesco solo a chiedergli.
«Il profumo della tua anima. L’aroma della tua pelle fluttuare con i pollini dei fiori che
ci circondano. Il dolce ondeggiare del tuo sangue tra le spesse pareti delle vene irrigidite dal
veleno che ti rende così simile a me». Stringe le palpebre con maggiore energia. «Riesco a
sentire..il desiderio che fa pulsare il tuo cuore pieno di vita…anche tu vuoi ritrovare la vera
Yvonne».
«Questo significa che non sono la sola…anche tu sei alla ricerca del vero Alain. Proprio
come me».
«Oh, no», sorride amaramente a sé stesso, riaprendo gli occhi colmi d’emozione, «no,
Yvonne. Il vero Alain è morto. Da parecchio tempo, oramai. Proprio per questo motivo, vorrei
ti decidessi a credermi. Non ho nulla da perdere, niente da ottenere. Voglio solo che venga
fatta giustizia per la morte del povero Jack. Vorrei che tra le nostre famiglie non ci fosse
un’ulteriore minaccia. E…per quanto ti possa sembrare impossibile, vorrei che altri esseri
umani non perdessero la loro vita inutilmente. Servono già per sfamare la nostra sete di
morte…un massacro in più a cosa servirebbe? Chi è adesso all’azione non caccia per sfamarsi.
Ma per il gusto di uccidere».
Non mi sono accorta delle lacrime che intanto rigano le mie guance. Con un sorriso
obliquo, avvicina la sua fredda mano al mio viso e ne raccoglie una.
«Scusa…non volevo». Mi affretto a giustificare la mia sciocca reazione, nel timore che
possa confonderla con un moto di pena.
«Non scusarti. È…è la cosa più bella che io abbia mai visto».
Sotto il mio sguardo colmo di stupore, porta alle sue labbra il dito che trattiene la mia
lacrima. Assapora la liquida perla come se in realtà fosse un sorso del sangue più aromatico
che avesse mai gustato.
«Non dimenticherò mai questo momento». Sussurra tra i miei capelli. Non ho fatto in
tempo a percepire il fulmineo movimento che ha avvicinato il suo volto rendendolo ad un solo
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centimetro distante dal mio. Ora come mai, potrebbe penetrare la pelle del mio collo con i suoi
denti affilati e mortali. Potrebbe gustare il sangue che ha desiderato di bere sin dal primo
istante in cui ci siamo incontrati. Ma non accade nulla: il suo volto rimane fermo tra i miei
capelli, mentre i raggi della luna sfiorano, attraversando le fronde leggere dell’albero sotto il
quale siamo seduti, la sua chioma di un caldo castano striato da nere lingue di capelli che
scendono lungo le bianche tempie.
Mi lascio trascinare dall’istinto irrefrenabile di prendere il suo volto tra le mie mani
tremanti: «Ti credo, Alain. Il mio cuore si spezza sotto il peso delle mie stesse parole, ma in
questo momento sono più simile a te che a qualsiasi membro della mia famiglia. So che non
menti. E farò di tutto per renderli propensi a un incontro con i tuoi».
Pone le sue mani sulle mie che gli cingono il viso freddo come marmo. «Non c’è più
tempo, Yvonne. Vivo di sensazioni, previsioni che mi permettono di capire cosa accadrà a
breve. E sento che i lupi ci attaccheranno presto. Il nostro unico dovere è quello di rimanere
vivi, di riuscire a non morire in battaglia. Insieme potremo cercare il vero colpevole di tutto
questo, e solo allora porremo fine a quest’inutile faida».
Pensavo di essere la sola a vivere di quelle strane percezioni di cui Alain ha appena
parlato. E queste, al momento, non fanno altro che confermare le sue parole: la battaglia ci
sarà. E presto, anche. Non so cosa farò quando mi ritroverò faccia a faccia con i vampiri di
Venezia, dopo essere stata addestrata per ucciderli. Non so cosa farò quando sarò costretta a
vedere Alain pronto ad uccidere un membro della mia famiglia. Ma so che dovrò lottare
anch’io. E so che mi ritroverò a veder morire qualcuno che amo.
Ero certa che Albert e Ricky non avrebbero perso tempo con gli allenamenti. L’alba non
è ancora comparsa all’orizzonte, e i miei amati fratelloni già allestiscono il terreno che
circonda la nostra piccola casetta a mo di campo da combattimento.
«Smettila di poltrire, Yvonne! Dobbiamo iniziare». Sbadiglio, sebbene non abbia affatto
sonno. Vorrei poter evitare in qualsiasi modo il mio addestramento, ma in fondo al mio cuore
sento che non è giusto. Non posso starmene ancora con le mani in mano, mentre i miei cari
rischiano la loro vita per proteggere il branco e di conseguenza anche me. Walter avrebbe
dovuto prendere prima questa decisione, e solo adesso capisco che il suo ritardo è dovuto al
profondo rispetto sempre avuto per la famiglia Smith. Negli occhi dorati dei miei fratelli riesco
a leggere la paura malcelata dall’impegno già preso nell’insegnarmi le mosse più efficaci per
abbattere un vampiro. So che non sarà facile per loro allenarmi a una possibile morte. Ma
devono farlo.
Le prime sfumature dell’alba tingono finalmente il cielo. Il corpo bronzato, snello e
aitante di Albert si lascia travolgere dal fuoco interiore della trasformazione. Dopo tanto
tempo, non smetto di rimanere affascinata dal processo di mutazione che li avvolge
magicamente: dura tutto poco più che qualche secondo, ma riesco a memorizzare ogni piccolo
strato di pelle umana nel momento in cui viene allungato e ricoperto da un alto strato di
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peluria. Ogni artiglio comparire dalla tenera carne, lacerare le dita e radicarsi nelle mani
divenute zampe. I corpi rannicchiarsi a terra e assumere una comune posizione canina. E
ancora il loro volto contorto senza dolore, dare spazio alle mostruose fauci del peloso muso
comparso sotto gli occhi accesi da una luce selvaggia.
«Sei pronta, Yvonne?». La voce di Ricky, rimasto al mio fianco, mi scuote dalla rete di
pensieri in cui sono caduta. «Sì, fratellone. Diamo inizio al combattimento». Rispondo con fare
divertito.
«Bene». Sorride, stavolta con un moto d’eccitante fermento nella voce. «So che non ti
piace sentirtelo ripetere, sorellina…ma ricordarti che sei una mezzosangue è l’unico modo per
farti capire come utilizzare al meglio le tue potenzialità. Essendo come loro -almeno per metà-
saprai anche combattere come un vero vampiro. Sarà un istinto naturale, che sentirai nascere
dal profondo dei tuoi arti. In tal modo Albert potrà mostrarti come, ad ogni tua mossa, noi lupi
sappiamo rispondere. Se li attaccherai sia con il tuo metodo di lotta, che con quello dei lupi,
alternando le due tecniche a vicenda… si troveranno spiazzati. Non sapranno da cosa doversi
realmente difendere».
«Già…ben detto, Ricky. Solo per metà». Il non riuscire a sentirmi appartenente a
nessuna specie, rende tutto più difficile. Perché sempre, in ogni circostanza, diviene
inevitabile considerarmi un difetto del soprannaturale.
Devo però dire che non avevo mai pensato al modo in cui tutto questo si sarebbe
potuto volgere a mio favore. Ricky ha ragione: per i vampiri rappresento una vera bomba ad
orologeria. Sarà più difficile per loro ferire me, che qualsiasi altro membro del branco.
«Mettiti in posizione d’attacco, Yvonne. Albert sta per lanciarsi contro di te». Il suo
ringhio mi lascia intravedere le terribili zanne ricoperte di schiumosa bava. Arretra poggiando
il peso sulle zampe posteriori, per poi lanciarsi come una molla in avanti, verso il mio corpo
teso e pronto a scattare. Inizio a volteggiare su me stessa, come se i passi di una danza
sconosciuta mi spingessero a compiere gesti involontari, fino a un attimo fa sconosciuti dal
mio corpo. È così che un vampiro sferra il suo attacco: danzando. Poi, dal vortice del mio
strano ballo mi lancio a una velocità impressionante nella stessa direzione tracciata dal salto
di mio fratello. A mezz’aria, lo scontro dei nostri corpi è micidiale. Simile al suono di un tuono
nel silenzioso inizio di una tempesta. Sento il corpo portentoso, riscaldato dalla folta pelliccia
di Albert, cercare di schiacciarmi con il suo peso incredibile. La rigidità dei miei arti mi fa
credere di avere, al posto delle braccia e delle gambe, lance di ferro pronte a squarciare
qualsiasi corpo a me estraneo. Cadiamo sull’erba, rotolandoci sopra.
«Devi affinare i tuoi movimenti, Yvonne! Sono ancora troppo grezzi!», grida Ricky
cercando di superare i terribili ringhi di nostro fratello, «Ancora una volta!», incita con più
enfasi.
Non so quante ore siano trascorse. Ma quando Marchal ci ha richiamati annunciando il
pranzo per la terza volta, io, Albert e Ricky ci siamo avviati verso casa più felici che mai. Avrò
bisogno di un po’ di tempo per riuscire a gestire nel migliore dei modi la mia agilità, i miei
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movimenti scattanti e fulminei, l’incredibile forza dei miei colpi. Per azzannare, come i miei
fratelli, gli arti del nemico, e per sorprenderli alle spalle come solo un lupo riuscirebbe a fare.
Ma di quale nemico sto parlando…? Per un attimo, lascio volar via le nubi dal mio
cuore. I sorrisi raggianti e sinceri dei miei amati fratelli, si uniscono a quello seducente e
terrificante di Alain.
A pochi passi da casa, Albert e Ricky mi sorpassano rincorrendosi. Prima di varcare il
piccolo portoncino, guardo per un attimo alle mie spalle. Non credo sia un gioco di luci…dietro
i primi alberi del vicino boschetto, una fiamma sembra bruciare silenziosa, osservando
qualcosa verso la mia direzione.
Osservando me.
Sorrido, riconoscendo a una tale distanza il bagliore rosso verde dei suoi occhi.
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LA PROMESSA
ono trascorsi dieci giorni dalla sera in cui io e Alain ci siamo dati il nostro primo
appuntamento. Da allora non ho più avuto alcuna traccia della sua presenza.
Quale senso può avere questa triste assenza prolungata? Dieci giorni. Se fosse accaduto
qualcosa, i licantropi l’avrebbero di certo saputo; dall’episodio che ha scatenato tanto
scalpore, Peter non fa altro che setacciare ogni zona a noi vicina. Al momento non è accaduto
nulla che abbia dato il via allo scontro e, intanto, i miei addestramenti si sono intensificati
giorno dopo giorno. Non credevo si potesse provare una sensazione così esaltante nel
combattere corpo a corpo con il nemico per difendere la propria vita. Sarà anche questa una
parte del mio lato più oscuro? Non credo, perché mi pare di aver intravisto la stessa febbrile
voglia di attaccare, azzannare, mordere, lacerare, negli occhi dei miei fratelli. Bè, in fin dei
conti, anche loro fanno comunque parte del popolo nascosto. Le tecniche di lotta utilizzate dai
lupi, comunque, sono molto meno appariscenti delle nostre, di quelle dei vampiri: le giravolte
sono sostituite d’acrobatici salti, i delicati e profondi morsi da violente zannate, le
impercettibili ma granitiche movenze delle fredde mani contro la carne morbida e calda dei
lupi, da zampate capaci di strappare parti consistenti di un corpo senza pelliccia. Insomma, il
risultato appare lo stesso, ma con una sceneggiatura del tutto diversa.
«Qualcosa ti preoccupa?». Il viso piccolo e perfettamente ovale di Mary, incorniciato da
ribelli riccioli castani, compare da dietro l’enorme tela su cui ha deciso di ritrarmi. Associare
nel più delizioso dei modi i colori dando forma ad immagini reali, è la sua più grande passione.
«No, affatto. Stavo solo pensando alla prova scritta di lunedì. Sono ancora convinta che la
risposta alla terza domanda sia sbagliata». Raccoglie con la punta del morbido pennello un po’
di colore rosso e lo lancia nella mia direzione ridendo, sfiorando l’impatto con la mia maglietta
e rischiando di macchiarla. «Tu sei davvero matta!». Le grido allegramente.
«Ti ripeto che sono assolutamente certa di averti suggerito la risposta esatta. Abbiamo
controllato su tutti i libri di storia dell’arte e nessun argomento accennava a quella stupida e
ingannevole domanda. Sapevo la risposta corretta solo perché avevo letto qualcosa a riguardo
in una rivista, qualche mese fa, nella sala d’attesa del dentista…o della pettinatrice? Non
ricordo. Comunque dammi retta e stai tranquilla, almeno per una volta. Il mio intuito mi dice
che è tutto ok».
E dovrei fidarmi del suo intuito?
Non ho raccontato nulla a Mary di tutto quel che è accaduto negli ultimi tempi. Non sa
del ritorno dei veneziani, dell’intento dei licantropi di dichiarare loro guerra, tanto meno
dell’uomo ucciso nella foresta. Ho preferito risparmiarle la paura per l’incolumità della mia
vita. Mary crede che il misterioso personaggio del bel vampiro Alain, sia rimasto fermo al
racconto del mio viaggio a Venezia. Meglio così. Non posso rischiare di esporre in serio
S
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pericolo anche lei, mettendola al corrente dei tetri segreti della mia famiglia, della mia
esistenza.
«Fammi un po’ vedere», mi alzo dalla minuscola seggiola in vimini su cui mi ha
costretta a sedere da circa due ore. Il particolare rende unico, ha insistito a dire. Se non fossi
stata per metà di tempra d’acciaio, avrei avuto le mie povere ossa arrugginite, grazie alle sue
astruse pretese d’artista.
«Et voilà!». Le sue guance rosate ravvivano il leggero spruzzo di lentiggini sulle gote. In
cuor mio ringrazio il cielo di avere un così ferreo autocontrollo, per non risentire affatto del
dolce aroma che il sangue di Mary possiede.
«Ma è…a dir poco fantastico!». Le getto le braccia al collo e la tempesto di baci. Ha
meno paura lei di me, che alcuni membri del branco. È davvero unica.
«Non esagerare, Yvonne! Sei semplicemente…tu. Non ho alterato nessun tratto del tuo
viso, come invece a volte mi capita di dover fare sotto richiesta di alcuni clienti», storce le
labbra in una smorfia di disappunto.
«Anche se non credo di essere così carina come nel tuo dipinto…non posso fare altro
che ringraziarti».
«Puoi risparmiarti i ringraziamenti. Il dipinto lo terrò io».
«Cosa?! Perché quest’idea?».
Ammicca sorridendo, le labbra tinte naturalmente di un bel rosa acceso: «Per poterti
vedere ogni volta che mi pare. Capita così di rado che possiamo trascorrere un po’ di tempo
insieme…meglio di niente, no?».
Che cara, ineguagliabile ragazza. Come avrei fatto in questi ultimi anni, senza lei?
«Oh, Mary…non sai quanto ti voglia bene». Stavolta rischio davvero di stritolarla nel
mio forte abbraccio.
«Vacci piano, ragazza vampiro!», ride tra le lacrime. «Sai che anch’io ti voglio bene. Fai
la brava nel periodo in cui non potremo né vederci né sentirci, ok? Quanto hai detto che starai
via?».
Forse per sempre, dolcissima amica mia.
«Non so per certo quanto. Qualche settimana, credo. Ma tieniti pronta, al mio ritorno
dovremo rifarci dei chili di gelato non presi in questo periodo di lontananza!».
«Yvonne…mi mancherai».
Mary…forte. Fragile. Impetuosa e indifesa. Splendidamente umana.
«Anch’io sentirò la tua mancanza. Ma tornerò presto, non temere».
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La giornata è una delle più calde di questa torrida estate. Uscita da poco
dall’appartamentino di Mary, giro per le strade affollate dalla frenetica cittadina che le abita,
cercando un negozio che faccia al caso mio per il prossimo compleanno di Albert. Tra soli due
giorni compirà ventidue anni, (ufficiosi settanta), ed io non ho ancora deciso cosa comprare
per l’occasione. Avendo a disposizione una quantità disarmante di compleanni, mi chiedo per
quanto tempo ancora amerà festeggiare simili ricorrenze. Ma adoro vedere i miei fratelli così
spensierati…la loro felicità è divenuta, negli anni, l’unica ragione per cui riesca a sentirmi
serena.
La compagnia di Mary mi ha aiutata per qualche ora a divagare la mente in pensieri
poco più frivoli delle mie solite preoccupazioni…eppure, pochi attimi di solitudine sono
bastati per far ripiombare la mia povera testa dentro la terribile morsa che il nome Alain ha
creato attorno a sé. Dove sarà adesso? Perché, perché non mi ha dato alcun segnale? L’unico
momento in cui credo di averlo intravisto è stato la mattina dopo il nostro incontro, appena
terminati gli allenamenti con Albert e Ricky. Sono certa mi stesse spiando. Il motivo? Riuscire
a scoprire le mosse con cui li attaccheremo, o il desiderio irrefrenabile di vedermi, di
osservarmi, identico a quello che provo anch’io per lui?
La realtà più sconcertante, tuttavia, è il fatto che io sapessi di essere stata seguita. Lo
sospettavo e, nel dubbio, speravo di non sbagliarmi. Come posso essere cambiata così tanto?
Attirata da un’insegna vivacemente colorata con su scritto: Il libraio matto, mi fermo.
Dev’essere una libreria carina, forse potrei trovare qualcosa d’interessante, Albert ama
leggere. Sto per entrare nel piccolo locale dalle pareti piene zeppe di libri quando,
improvvisamente, vengo attratta da un gruppo di persone che avanza facendosi largo tra la
folla, dall’altro lato della strada in cui mi trovo.
Sono in dieci. Alcuni alti e dal fisico statuario, altri poco più bassi e mingherlini. Quattro
uomini. Sei donne. Ognuno con una capigliatura da sballo e occhiali da sole impenetrabili.
Sono, in ordine di postazione dal mio campo visivo: Yari, i gemelli Jonatan e Carl, Paul, Marina,
Sara e Rebecca, Dorothy, Isabella e Susan. I vampiri di Venezia. Più abbaglianti che mai nella
loro superba andatura. Di Alain, neanche l’ombra.
Eccoli, finalmente. Dal momento in cui ho saputo della loro presenza così vicina a me,
ho desiderato di poterli incontrare ancora una volta. Davvero una strana sensazione quella di
vederli camminare tra la gente senza alcun disagio, senza la probabilità che l’odore del sangue
umano dia alla testa a qualcuno di loro spingendolo ad aggrapparsi al collo di un passante.
Godono di un autocontrollo d’acciaio, a quanto pare. Da ciò deduco che devono aver
provveduto abbondantemente anche loro, al sostentamento alimentare per il viaggio. La loro
caccia all’uomo è quindi premeditata. Uccidono non per istinto, ma per…necessità. Come se
andassero a far la spesa.
Non posso fare a meno di pensarlo…sono dei veri assassini.
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Devo sbrigarmi, se voglio raggiungerli. Camminano talmente veloci tra la calca di gente
che temo di perderli di vista.
Ad un tratto sono costretta ad arrestare bruscamente il mio tallonamento: no…non
posso crederci.
Che diavolo ci fa qui, Peter Callaghan?!
E soprattutto: per quale assurda e incomprensibile causa sta andando incontro
all’altezzoso gruppo di vampiri che ho riconosciuto? Incontro ai suoi più acerrimi nemici?
Per un attimo ho creduto che Sara mi abbia vista; dirige il volto verso la mia direzione,
ma non posso esserne certa. Gli occhiali che indossano impediscono di seguire i loro occhi. Mi
nascondo tra le mura di un vicolo vecchio e stretto, nel tentativo di scorgere lo svolgersi
dell’incredibile scena che ho di fronte. Il mio cuore sembra impazzito, un lieve tremore
percuote le mie mani. Sento che qualcosa stia sfuggendo, mi serve un tassello fondamentale
che ricolleghi i pezzeti sparpagliati tra le mie ipotesi.
Peter alza una mano in cenno di saluto e la comitiva si ferma non appena lo raggiunge.
Sembra essere a suo agio, gesticola con movimenti teatrali, com’è solito fare quando cerca di
dare direttive ai suoi ragazzi. I vampiri hanno l’aria diffidente: Paul schiva la mano del giovane
lupo che cerca di carezzargli la ribelle massa di capelli blu. Yari fa alcuni passi avanti, parla in
maniera composta e sicura di sé, finché non offre la mano a Peter, il quale rimane alcuni
istanti a osservarlo con la sua solita espressione di disdegno. Quando decide di ricambiare il
gesto di Yari, il gruppo dei dieci vampiri si dilegua tra la folla, disperdendosi ognuno in
diverse direzioni ed impedendomi di riuscire a seguirli.
Diamine, erano a pochi passi da me! L’odore del sangue di tutte queste persone
confonde terribilmente i miei sensi, non riuscirò mai a ritrovarli.
Il clan di Venezia e Peter Callaghan si erano di certo dati un appuntamento. Sicuri di
non dare nell’occhio tra la mischia del caos cittadino.
Mi chiedo perché Alain non fosse con loro…inizio a preoccuparmi sul serio. Che sia in
pericolo? E se i ragazzi di Peter avessero scovato il suo nascondiglio e si fossero divertiti a far
brandelli del suo corpo? Non riesco neanche a pensare ad una simile eventualità. Devo
mettermi sulle sue tracce, e subito. Posso riuscirci. Devo riuscirci. È stato l’unico ad avere il
coraggio di esporre i suoi dubbi riguardo i misteriosi omicidi avvenuti negli ultimi tempi, ed io
sento di potermi fidare di lui. Voglio fidarmi di lui.
Ferma nella mia decisione sto per tornare a casa, quando.. Alt. Riconoscerei
quest’odore persino se fossi tra un branco di cento lupi. Mi conviene battere immediatamente
in ritirata se non voglio che…
«Da cosa scappi, bellezza?».
Mi volto lentamente, i miei occhi socchiusi in una stizzosa fessura.
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«O forse dovrei chederti…da chi scappi». Peter.
«Non ho motivo di nascondermi. Stavo semplicemente facendo un giro in città per delle
compere. Il compleanno di Albert è alle porte». Non mi sento in dovere di dare alcuna
spiegazione, ma credo sia meglio trovare dei piccoli alibi per la mia presenza in un’anonima
stradina. Cosa penserebbe il resto del branco se lo venisse a sapere? È come se la vita si debba
svolgere esclusivamente tra i nostri simili. Uscire dalle righe -agli occhi di tutti- significa
andare a caccia di guai.
«Oh…il compleanno di Albert! Avevo quasi dimenticato. Dovrò scegliere anch’io
qualcosa per quest’importante ricorrenza, se voglio accattivarmi la benevolenza del mio
futuro fratello», piega le labbra in quel che dovrebbe essere un sorriso, apparendo ai miei
occhi molto più simile a un ghigno. I suoi impertinenti e noiosi tentativi di approccio nei miei
confronti sono divenuti oramai patetici.
«Non ricominciare, Peter. Stai vaneggiando». Devo trovare il modo meno pericoloso
per chiedergli quel che mi preme sapere: «Piuttosto…mentre passeggiavo, ti ho intravisto
insieme ad un gruppo di persone. Sembrava conoscessi bene quella bizzarra compagnia».
Ormai sono allo scoperto, tanto vale rivolgergli apertamente le mie domande.
«Ah Ah! Sei incredibile, Yvonne! Hai un modo davvero singolare per aggirare il
prossimo e ottenere quel che vuoi. So che mi stavi spiando». Arretro di un passo, la sua
espressione è troppo serena, imperturbata. «So anche che conosci molto bene la compagnia di
cui parli. Tu stessa hai stipulato il patto di tregua con loro, sette anni fa. Vuoi dire che non hai
forse riconosciuto i tuoi…amici?».
Che razza di farabutto. Era consapevole della mia presenza persino mentre parlava con
loro.
«Ti ricordo che i miei sensi sono sviluppati almeno quanto i tuoi. Ma non è di questo
che dovremmo parlare. Non è così? Perché non mi chiedi del tuo giovane amico…come si
chiama? Alain, mi sembra di ricordare».
La mia era solo una stupida, folle illusione. Ero certa che nessuno, tra i membri del
branco, sapesse dell’esistenza di Alain. Se Peter conosce la sua identità, posso considerarmi
del tutto scoperta. Posso considerare Alain spacciato.
«Perché quell’aria così sconvolta? Pensavi che avresti potuto nasconderti per molto?
Suvvia, mia piccola…bella e sciocca vampirella. Fossi in te non ci rimarrei troppo male».
Detesto questo suo modo arrogante per dimostrare quanto si crede di essere al di
sopra di tutti. Il grigio dei suoi occhi sembra attraversato da scure ombre. Dietro la maschera
sfacciatamente ironica, sono certa nasconda qualcosa che riesce a turbarlo più di quanto vuol
far trasparire.
«Falla finita, Peter. Dimmi, cosa gli hai fatto? Se hai osato torcergli anche solo un
capello, giuro che…».
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Mi pervade un improvviso e incontrollabile istinto di attacco. La mia mente, ogni
singolo muscolo del mio corpo, sembra divenire d’acciaio rovente. Devono essere stati gli
allenamenti degli ultimi tempi, ma sono certa di poter essere in grado di lottare contro Peter.
In questo momento sento il veleno scorrere all’interno della mia bocca. Per la prima
volta in vita mia, desidero affondare i miei denti nella carne dell’uomo che mi sta di fronte.
Una sensazione del tutto nuova… ed è sconcertante dirlo, ma…sorprendentemente piacevole.
Il mio annebbiante stato di estasi viene interrotto dal ringhio profondo proveniente dal
petto di Peter. La sua pelle abbronzata viene attraversata, dalle labbra alla fronte, da una
chiazza nera; la stessa che ricopre la sua bianca pelliccia di lupo. Basterebbe un istante perché
si trasformi del tutto.
«Cosa credi di fare, stupida mezzosangue? Se la tua famiglia o qualsiasi altro membro
del branco sapesse del tuo legame con quel lurido vampiro, sarebbe la tua fine, lo sai?».
«Non ho nessun legame con i vampiri, Peter», ho quasi la schiuma alla bocca, «volevo
solo riuscire a scoprire quel che sta accadendo. Piuttosto…e del tuo legame con i
succhiasangue: cosa mi dici? Il vostro incontro non sembrava affatto ostile. Tutt’altro».
La macchia sul suo viso sembra voler sbiadire lentamente. Sulle labbra dalla linea
perfetta, ritorna la bozza di un sorriso: «Sarebbe davvero inutile far precipitare le cose tra noi,
Yvonne. Ascoltami con calma e capirai tutto».
E così, devo solo accettare il fatto di essere stata presa in giro. Le belle parole insieme ce
la faremo. Non devi lasciar trapelare nulla. La tua incolumità all’interno del branco non
dev’essere intaccata…sono andate a farsi friggere. Alain mi ha imbrogliata come si riuscirebbe
a fare con una bimba sprovveduta o, ancora peggio…con qualcuno che non sappia quanto falsi
e ingannevoli possano essere i vampiri.
Ma io lo sapevo. L’ho sempre saputo. Eppure ho lasciato che mi raggirasse come meglio
credeva. Da quel che ho potuto capire - nonostante la mia mente fosse quasi del tutto velata
dalla confusione che le rivelazioni di Peter mi stavano provocando-, Alain ha deciso di andare
a parlare da solo con i lupi. Un vampiro. Un solo vampiro di fronte a Peter e tutto il suo
seguito. Ma come diavolo gli è venuto in mente di prendere questa decisione senza chiedere
neanche il mio parere? Non ha pensato alle terribili conseguenze che il suo gesto avrebbe
provocato? O forse -e questa ipotesi è per me ancora più difficile d’ammettere-, ha preferito
correre tali conseguenze, del tutto indifferente ai pericoli che la sua vita avrebbe potuto
affrontare. Sembrerebbe che ad Alain non importi nulla della sua esistenza.
Suppongo il suo colloquio con Peter sia risultato più che soddisfacente. Spiegando
all’intero gruppo tutto quel che era accaduto negli ultimi tempi -ovvero il motivo della
presenza dei vampiri di Venezia nel nostro territorio-, Alain è riuscito ad ottenere un
permesso di entrata nella prossima adunata di luna piena, alla quale il nostro branco prenderà
parte. Dunque, contro ogni previsione e, a dispetto della mia totale diffidenza nei suoi
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confronti, Peter si è mostrato aperto e disponibile ad ascoltare la versione dei nostri visitatori.
Per riuscire nel suo intento, Alain ha persino raccontato una versione del nostro incontro un
po’ diversa dalla realtà. Tralasciando (almeno spero) i particolari. Ha rifilato a Peter la storia
del biglietto lasciato sulla mia finestra e di un breve incontro notturno durante il quale, alle
sue richieste, io avrei mostrato disappunto e un netto rifiuto nel voler aiutare i vampiri.
Grazie a queste sue dichiarazioni, sono stata sgravata da ogni accusa di tradimento.
So bene che il gesto di Alain mi ha del tutto tolta dai guai, ma provo un moto di rabbia e
frustrazione nel pensare che adesso non potrei più far nulla per aiutare lui e gli altri veneziani.
In caso contrario, ogni ombra di dubbio sulla mia sincerità sarebbe spazzata via, ed io…per i
lupi -per la mia famiglia- diventerei un vampiro come tanti, d’abbattere senza alcun
ripensamento.
Se proprio devo essere sincera, quel che non riesco a dimenticare è lo sguardo
incendiato di Peter: mentre cercava di rassicurarmi, dicendo che avrebbe cercato di
convincere Walter ad ascoltare la versione dei Veneziani, era come se lui sapesse del
contrasto interiore che in quel momento mi tormentava. Come se il trasporto che mi spinge
ogni attimo in più alla disperata ricerca di Alain dei vampiri, fosse perfettamente chiaro ai
suoi occhi.
In tutta questa storia, solo di tre cose posso essere certa: della fedeltà di Alain nei miei
confronti, della sua reale premura per la mia vita e dell’incredibile evento che domani notte si
svolgerà sotto il pallido sorriso della luna piena. L’entrata di undici assetati vampiri all’interno
di un’adunata di licantropi galvanizzati da giorni e giorni di preparazione alla lotta.
Devo stare tranquilla. Almeno fino a domani. Riuscirò a resistere? Il solo pensiero di
rivedere Alain fa pulsare le mie tempie violentemente.
Mi alzo dal mio piccolo scrittoio. Via col vento resta aperto, lasciando scorrere
morbidamente via le pagine a ventaglio. Questa è una di quelle notti afose in cui desidero, più
d’ogni altra cosa, di poter girovagare tra le strade deserte della città. Il calore intensifica gli
odori, i profumi…sarebbe davvero una delizia per i miei sensi. Questo pensiero mi fa tornare
in mente il momento in cui oggi ho desiderato ardentemente di mordere Peter. Di bere il
sangue di un uomo. Da quale mio istinto primordiale si è scatenato questo bisogno? Ho avuto
paura di me stessa. Non sono poi così diversa da Alain.
Apro la finestra per respirare un po’ d’aria fresca. Un gruppo di lucciole rimbalza sui
vetri delle lanterne appese davanti la porta d’entrata. Il profumo dei fiori di campo che
circondano il nostro cottage, m’investe come una morbida onda. Domani a quest’ora saremo
già al raduno. La luna farà brillare la candida pelle dei vampiri, facendo accendere i loro occhi
in una fiamma mortale.
Sto per richiudere la finestra allontanando il mio sguardo dalla scura coperta
diamantata di stelle che si estende sopra il mio capo, quando…
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«Non vorrai lasciarmi qui fuori, vero?». La sua mano fredda afferra in una presa di
ghiaccio il mio polso improvvisamente febbricitante. Gli occhi di brace osservano, sorridenti,
il mio viso sorpreso. Non posso crederci. Non mi sembra vero.
«Alain? Che ci fai qui?!».
Il suo sorriso mi abbaglia, i denti bianchi splendono nel buio della notte. «Preferisci
forse che me ne vada?».
«Scherzi?! Entra piuttosto. Qualcuno potrebbe vederti».
La sua sommessa risata vibra nell’aria carezzando i miei timpani: «Immagina la scena.
Uno dei tuoi fratelli torna a casa dopo una bella caccia e mi scopre penzoloni alla tua finestra.
Mi staccherebbe le gambe con un solo morso!».
«Non è affatto divertente». Cerco di rimanere sulle mie, non posso fargli capire quanto
abbia sentito la sua mancanza. Mi deve ancora delle spiegazioni. «Vedo comunque che sei di
buonumore. Sono felice per te».
I suoi occhi s’inchiodano ai miei. La sua espressione diviene improvvisamente velata di
tristezza. «Ho capito. Non sei felice per quel che accadrà domani. In realtà, non avresti voluto
che ottenessi il permesso di entrare nella vostra adunata, giusto?».
«No, non è giusto». Sento la rabbia accumulata in queste ultime ore, divampare a fiotti
nel mio sangue inferocito. Alain rimane immobile per qualche istante, poi respira
profondamente l’aroma del mio sangue che aleggia tutt’attorno a noi.
«Sei solo uno vampiro dal cervello annacquato di veleno!».
Spalanca i suoi occhi, una risata divertita dipinge le sue labbra irresistibili. «Ah Ah! È
davvero divertente! Ma dimmi, a che devo dei complimenti così cortesi?».
Finge forse di non capire?
«Come puoi chiedermelo? Avevamo fatto dei progetti, insieme. Per dieci giorni, ho
temuto ti fossi cacciato in qualche guaio. Oggi ho persino pensato d’iniziare una caccia per
ritrovarti. Poi, esclusivamente per una fortuita coincidenza, in città ho visto il resto del tuo
gruppo. Peter Callaghan -credo tu non abbia bisogno di avere delle delucidazioni sulla sua
identità- aveva un appuntamento con loro. E, come ben sai, il motivo era darvi o no il via per la
vostra comparsa al raduno di domani notte».
Mentre mi rivolgo a lui con tono aspro e pretenzioso, volge lo sguardo verso il
boschetto vicino, come se avesse avvertito una presenza nei paraggi di questo: «Non mi resta
molto. Avrei voluto trascorrere più tempo in tua compagnia, stanotte. Ma, Sara…ti ricordi di
lei, vero?».
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Alzo gli occhi al cielo, indispettita: «Certo che me ne ricordo. Potrei elencarti ogni nome
dei vampiri di Venezia, con associate le caratteristiche di ognuno. In tutti questi anni non ho
trascorso un solo giorno senza ripensare a voi».
Un suo sorriso rende le mie braccia pronte ad assumere la consistenza di burro sotto le
sue mani. «È bello sentirtelo dire. Comunque, dicevo…Sara è in preda a una terribile crisi
d’astinenza, stanotte. Niente di particolare, non allarmarti. Ma ha bisogno dell’aiuto di noi tutti
per superare questo momento. Sappiamo che qui non ci sarebbe permesso cacciare, quindi
cerchiamo di tenerla a bada, lontana dai guai. Dobbiamo essere al meglio del nostro aspetto
fisico per domani, se vogliamo apparire minimamente credibili agli occhi dei lupi».
«Capisco. Ma hai deviato come un abile giocatore le risposte che mi devi, Alain dei
vampiri». A quest’affermazione inarca il sopracciglio destro, il mio nomignolo deve essergli
sembrato strano.
«Lascia perdere. Allora? Cosa ti ha fatto cambiare idea? Non credi di aver rischiato
troppo esponendoti così apertamente con Peter e gli altri? Non ti sono affatto grata, se è
questo quel che speravi. Essere esclusa dai piani non è di mio gradimento».
Cos’ho detto di tanto grave? Il suo sguardo è terrificante. Nere fiamme divorano i suoi
occhi incavati dalle tenebre che hanno coperto, come un’ombra funesta, il suo pallido viso.
Bloccata dal laccio che sento mi lega a lui attraverso una membrana di ricordi indistinti,
rimango impietrita, immobile, quando decide di circondarmi nel suo freddo abbraccio. Sono
certa che il battere frenetico del mio cuore si unirebbe al suo, se anch’egli ne avesse ancora
uno in grado di pulsare al ritmo delle proprie emozioni.
In questo momento… il ringhio di guerra del branco, le zanne bramose dei miei fratelli,
la voce imperturbabile di Peter… sono solo mute ombre chiuse a chiave in un angolo remoto
dei miei pensieri. Solo i nostri respiri morbidi, regolari, magnificamente sincronizzati, vivono
grazie alla scintilla da noi accesa. Le parole sarebbero inutili, eppure entrambi sappiamo che
qualcosa d’indispensabile per le nostre esistenze dev’essere detto. Ora. Segrete parole tra due
bizzarri sconosciuti, verità in attesa di essere svelate, consapevoli di possedere radici
profonde e nascoste dal tempo.
Unisce la sua fronte marmorea alla mia, in un gesto d’intima complicità. «Devi farmi
una promessa, Yvonne. Ho bisogno di sentirtelo dire».
Al contrario delle volte precedenti in cui mi sono ritrovata in compagnia di Alain, oggi
sento di riuscire ad esprimere, seppur non nel migliore dei modi, quel che vorrei dire: «Prima
di promettertelo, devi dirmi di cosa si tratta. E sappi che non ti permetterò di prenderti
ancora una volta gioco di me. Ho deciso di credere alle tue parole non perché sei come la metà
di me stessa che ho sempre rifiutato. Ma solo ed unicamente per la sincerità dei tuoi occhi».
Sorride ancora una volta, inconsapevole delle estranee sensazioni che il piccolo
movimento delle sue labbra è in grado di suscitare nella tremante mezzosangue che freme tra
le sue braccia.
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«E se ti fossi sbagliata? Se i miei occhi avessero saputo mentire almeno quanto la mia
lingua?».
Sbuffo divertita: «Preferisco rischiare che seguire una strada lontana dal mio infallibile
fiuto».
Sorridiamo, aumentando la stretta del nostro abbraccio e unendo con maggiore
intensità le nostre fronti.
«Sai che ho agito per proteggerti. Non trovo sia corretto mettere a repentaglio la tua
posizione all’interno del branco che ti ha cresciuta. Non è certo una forma di rispetto per i tuoi
amici lupi…non sai quanto li possa odiare. Ma tu li consideri come una vera famiglia. Non
sarebbe stato bello per te, essere accusata proprio da loro dell’infamia di tradimento».
Traditrice. Più volte, in questo periodo, mi sono timbrata da sola di questo titolo.
Perché, in fondo, sento davvero di esserlo.
«Ed ora, dandoti la mia parola che mai più rischierò di deludere le tue aspettative,
voglio chiederti di concedermi una promessa. Non puoi negarmela: se mai i lupi non
dovessero voler ascoltare quel che noi vampiri abbiamo da dire, non fare nulla che possa
incitare il minimo dubbio riguardo un tuo possibile favoreggiamento nei nostri confronti. Non
avrebbero pietà per la loro mezzosangue, fidati. Combatti, seguendo quel che il tuo cuore…» e
nel dire ciò, porta una mano sul mio seno, proprio all’altezza del mio cuore dal battito
irregolare, «…vivo, pulsante di eternità, ti suggerirà di fare. Solo tu, Yvonne, puoi sapere quale
sia la giusta metà da rendere tua».
Le mie lacrime scendono calde, in contrasto con il freddo della sua pelle. Nella frazione
di un istante, desidero chiudere gli occhi e stringermi nel mio angolo di spietata tristezza.
Perché il terrore di perderlo dilaga nei miei pensieri, inarrestabile?
È questo l’istante in cui il battito della memoria ondeggia, ancora una volta senza alcun
preavviso, nella mia mente. È come cadere in un baratro senza fondo, buio e incredibilmente
freddo. Sento il mio corpo avviluppato dall’oscurità, una forza misteriosa e imbattibile
schiacciarmi inesorabilmente verso il basso. Precipito ad una velocità talmente alta da sentire
venir meno il respiro. Quando, all’improvviso…boom! Ritrovo, riconosco il mio corpo ancora
illeso. Ma lo sento…diverso. Vorrei, potrei aprire gli occhi e tornare alla realtà distante un
passo da me.
Invece continuo a voler rimanere incollata alla visione -o forse sarebbe meglio dire
sensazione- nella quale sono stata catapultata. Sì…credo di riconoscere la nuova forma del mio
fisico: ricordo di aver avuto queste sembianze quando avevo circa sei anni o giù di lì.
L’abbraccio che mi avvolge non è sconosciuto: so di aver provato lo stesso senso di sicurezza,
protetta da queste braccia dalla presa abile e ferma.
Maledetto buio. Se solo potessi vedere il volto di chi mi tenne così stretta a sé… Lo
sento. Sento il suo respiro affannato. Forse stavamo correndo, forse ha…paura.
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«Non preoccuparti, piccola. Manca davvero poco». La sua voce. La voce di…
«Addio, Yvonne dei lupi. Bevitrice di sangue senza macchia. Ragazza vampiro amica del
sole… Devo andare».
Spalanco gli occhi e ritorno alla realtà, spezzando le barre di prigionia dietro le quali
avevo quasi trovato rifugio.
Un motivo in più per non volere che tutto ciò finisca. Questo, il perché della mia visione.
Guardare i suoi occhi neri è come ritrovarmi ancora avvolta dal mio breve ma intenso salto
nella memoria.
«Te lo prometto, Alain dei vampiri. Sebbene questo non credo sia un addio…ma un
arrivederci a presto…molto presto».
Immerge una mano tra i miei capelli. Le sue dita sfiorano, massaggiando con i gelidi
polpastrelli, la sensibile pelle della mia cute. Le labbra che ho tanto desiderato baciare, si
avvicinano alle mie. Delicate, ma forti. Dolci, ma fredde. E capaci d’infondere nelle mie viscere
un calore mai provato prima, un tocco fresco che lascia una scia rovente sulla mia pelle.
E così, va via…svanisce dalla mia stanza, uscendo dalla finestra da dov’era entrato.
Lo vedo correre come un razzo attraverso i campi e mescolarsi poi tra la fitta
vegetazione del boschetto. Spero almeno che lui e gli altri siano abbastanza accorti da non
farsi scoprire dai lupi la notte prima del raduno.
Alain. Dietro il suo nome, il mio passato. Il mio presente. Forse, il mio futuro.
Credo di non aver mai pregato nessuno in vita mia. Ma se a qualcosa dovesse servire,
chiederei di convincere i lupi ad ascoltare, almeno per una volta, i loro antichi nemici.