"Neuroscienze Anemos"- Aprile- giugno 2014

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Trimestrale culturale a diffusione gratuita - Apr-Giu 2014 ♦ anno IV - numero 13 Epigenetica Neurochirurgia Possibile che i caratteri acquisiti nel corso della vita possano trasmettersi come eredità genetica? Lo sostiene l'epigenetica Trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente SULLE CREDENZE ISSN 2281-0994 Cosa sono la neurochirurgia funzionale e stereotassica? Lo stato dell'arte oggi Cliccate "mi piace" sulla nostra pagina Potrete contribuire così con le vostre idee Anemos neuroscienze Credenza, termine dai significati multiformi, ne parliamo attraverso le scienze biomediche e sociali NEUROCHIRURGIA SLOW NEUROSURGERY Quando occorre attendere PENSIERO AL FEMMINILE SIMONE WEIL Vita e pensiero di una donna coraggiosa

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Trimestrale gratuito di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente a carattere interdisciplinare.

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Trimestrale culturale a diffusione gratuita - Apr-Giu 2014 ♦ anno IV - numero 13

Epigenetica NeurochirurgiaPossibile che i caratteri acquisiti nel corso della vita possano trasmettersi come eredità genetica? Lo sostiene l'epigenetica

Trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente

Sulle credenze

ISSN 2281-0994

Cosa sono la neurochirurgia funzionale e stereotassica?Lo stato dell'arte oggi

Cliccate "mi piace" sulla nostra pagina Potrete contribuire così con le vostre idee

Anemosneuroscienze

Credenza, termine dai significati multiformi, ne parliamo attraverso le scienze biomediche e sociali

neurOchirurgia

SLow NeuroSurgeryQuando occorre attendere

penSierO al femminile

SimoNe weiLVita e pensierodi una donna coraggiosa

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Centro di riferimento: Centro di Neuroscienze Anemos, Reggio Emilia.Centri Ospedalieri per la Neurochirurgia del rachide e le tecniche mininvasive:

Casa di Cura Salus Hospital (Re), Ospedale di Suzzara (Mn), Casa di Cura San Clemente (Mn), Casa di Cura Villa Maria Cecilia di Cotignola (Ra).

Ambulatori: Reggio Emilia, Correggio, Suzzara, Poggio Rusco, Mantova, Carpi, Modena, Fiorenzuola, Olbia e Messina.

cenTrO di neurOScienze anemOSDirettore sanitario: Dott. Marco Ruini

PSICOLOGIA CLINICA Psicodiagnosi (Dott.ssa Laura Torricelli)

Psicoterapia di coppia e famigliare (Dott Federico gasparini)Psicotraumatologia e EMDR (Dott.ssa Federica maldini)

Mindfulness (Dott.ssa Laura Torricelli)Psicopatologia dell'apprendimento (Dott.ssa enrica giaroli)

NEUROPSICOLOGIA ADULTI (Dott.ssa Caterina Barletta Rodolfi, Dott. Federico Gasparini)

NEUROPSICOLOGIA dello SVILUPPO (Dott.ssa Lisa Faietti, Dott.ssa Linda iotti)

AREA DI PSICHIATRIADott. giuseppe CupelloDott. raffaele Bertolini

AREA DI OCULISTICADott. Valeriano gilioliDott. Vicenzo Vittici

SERVIZIO DI NEUROCHIRURGIADr. marco ruini: Responsabile

Dr. marco ruini: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebraleDr. Andrea Veroni: Neurochirurgo, Patologia del rachide nell’anziano

Dr. Andrea Seghedoni: Neurochirurgo, Instabilità del rachideDr. giampiero muggianu: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebrale

CollaborazioniDr. ignazio Borghesi, NeurochirurgoProf. Vitaliano Nizzoli, Neurochirurgo

Prof. Lorenzo genitori, Neurochirurgia PediatricaDr. Bruno Zanotti, Neurochirurgo

SERVIZIO DI TERAPIA ANTALGICADr. roberto Bianco, Anestesista, Terapia infiltrativa, Agopuntura

Dr. ezio gulli, Anestesista, Terapia infiltrativa

SERVIZIO DI RIABILITAZIONE E RIEDUCAZIONE FUNZIONALE

Dr. Aurelio giavatto, Manipolazioni visceraliDr. Nicolas Negrete, FisioterapistaDott.ssa maela grassi, Osteopata

SERVIZIO DI NEUROLOGIA E DI NEUROFISIOLOGIADr. mario Baratti, Neurologo, Elettromiografia

e Potenziali evocatiDott. Devetak Massimiliano, Neurologo, doppler tronchi

sovraortici e transcranico Dr.ssa Daniela Monaco, Neurologia, Doppler transcranico per Parkinson

ANEMOS | Centro Servizi di NeuroscienzePoliambulatorio Medico | Libera Università | Ass. CulturaleVia Meuccio Ruini, 6 | 42124 Reggio Emilia tel. 0522 922052 | Fax 0522 517538 | www.anemoscns.it [email protected] | www.associazioneanemos.org

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Anemosneuroscienze

I l secondo numero dell'anno di “Neuroscienze Anemos” risulta, a differenza di altri numeri precedenti, tripartito.Nella prima parte troverete lo

speciale dedicato al tema del numero che sarà dedicato alle “credenze”. Questo concetto-termine, così poliedrico nella lingua italiana, viene analizzato da diversi punti di vista, dall'epigenetica alla sociologia, dall'antropologia alla filosofia. Non spendiamo altre parole a proposito poiché la serie di articoli è preceduta da un'introduzione che illustra scopi e impostazione dello speciale.La seconda parte è dedicata agli approfondimenti. Come ormai sarà noto ai nostri lettori, in questa sezione vengono riportati articoli di carattere più tecnico rispetto al tema del numero. In questo caso si tratta di due contributi di carattere medico. Il primo (“Slow Neurosurgery”) si deve a Bruno Zanotti e Angela Verlicchi, tratta della tempistica nella prassi neurochirurgica e ha anche esso attinenza col tema delle credenze. Come sottolineano gli autori, “si è abituati a pensare che la medicina abbia sempre meno limiti e sia spesso onnipotente. Inoltre, nel sentire comune, si ritiene che in presenza di un tumore prima si interviene, clinicamente o chirurgicamente, meglio è. Nella stragrande maggioranza dei casi ciò e vero, ma non sempre. E non sempre in neurochirurgia”.Il secondo testo della sezione approfondimenti è dovuto a Flavio Giordano, Barbara Spacca, Lorenzo Genitori, medici della struttura UOC Neurochirurgia, dell'Ospedale Meyer di Firenze. Questo articolo descrive lo stato dell'arte della neurochirurgia funzionale e stereotassica. “Si tratta di una branca della neurochirurgia che comprende gli

interventi atti a migliorare e correggere il funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico perturbato da patologie acquisite o congenite insorte in diverse età della vita. A differenza quindi di altre procedure chirurgiche che mirano a rimuovere la patologia (per esempio tumori, emorragie) o a correggere le malformazioni (disrafismi spinali, malformazioni cranio-facciali, idrocefalo), la neurochirurgia funzionale ha come scopo la rimozione, la modulazione e la ricreazione di funzioni e circuiti neuronali attraverso interventi di resezione, stimolazione, ricostruzione e trapianto”.Il testo è corredato da una nutrita iconografia tecnica che aiuta la comprensione dei concetti espressi.La terza parte di questo numero è dedicata ancora una volta al “pensiero al femminile”. L'approccio multidisciplinare di “Neuroscienze Anemos” guarda anche al mondo della psicologia sociale. La questione delle discriminazioni di genere e del ruolo della donna nella società rientra tra le problematiche anche della nostra epoca. Da qui l'esigenza di puntare la lente sul contributo del genere femminile ai settori importanti della scienza e della cultura.Il “personaggio” di questo numero è la filosofa Simone Weil, donna complessa e affascinante. Di lei riportiamo una breve biografia e una panoramica del suo pensiero filosofico.

Gli EditoriLa Clessidra Editrice

Libera Università di Neuroscienze Anemos

03

Dall'antropologia alla medicina

Editoriale

Si possono inviare proposte di articoli, segnalazioni di eventi, commenti

o altro all’indirizzo [email protected]

Ci trovate anche su Facebook https://www.facebook.com/Rivista.Anemos

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

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04

SOMMARIO

Rubriche e notizie

editore:Editrice La Clessidra / Anemos

redazioneVia 25 aprile, 33

42046 Reggiolo (RE)[email protected]

Tel 0522 210183

Direttore ResponsabileDavide Donadio

[email protected]

Direttore ScientificoMarco Ruini

[email protected]

Redazione: Marco Barbieri, Tommy

Manfredini, Paola Torelli.

Comitato scientifico*

Hanno inoltre collaborato:Claudio Brigati, Alessandro G.

Genitori, Aurelio Giavatto, Flavio Giordano, Simone Ruini, Barbara

Spacca, Angela Verlicchi

Luogo di stampaE.Lui Tipografia - Reggiolo (RE)

registrazione n. 1244 del 01/02/2011

Tribunale di Reggio Emilia

iconografia: alcune immagini presenti in «Neuroscienze Anemos» sono tratte da siti

internet contenenti banche dati di immagini di libero utilizzo. Qualora vi fossero stati errori e

omissioni relativi al diritto d’autore l’editore rimane a disposizione per sanare la sua posizione.

* Il comitato scientifico è composto da persone che partecipano a vario titolo e con continuità differente alle attività organizzate dalla Libera

Università di Neuroscienze Anemos e di La Clessidra Editrice.

Adriano AmatiLaura AndraoMario Baratti

Mauro BertaniRaffaele BertoliniVitaliano Biondi

Arcangelo Dell'AnnaSergio Calzari

Giuseppe CupelloPinuccia FagandiniLorenzo Genitori

Enrico Ghidoni Franco Insalaco

Giovanni MalferarriAntonio Petrucci

Sara PinelliIvana Soncini

Leonardo TeggiLaura TorricelliBruno Zanotti

Maria Luisa Zedde

06memoria e neuroniNeuronews

▪ Musicisti si nasce▪ Nuove scoperte sul disturbo bipolare ▪ Cosa accade quando si perde la coscienza di sé?

il tradimento del relativismoL'uomo macchina

di Davide Donadio

di Alessandro G. Genitori

08

10La follia diventa condivisione

Sulle credenzeCredenza, termine dai significati

multiformi, ne parliamo attraverso le scienze biomediche e sociali

Incontri

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epigenetica e credenzeSi ereditano anche i caratteri acquisiti? Il "dogma centrale" della biologia messo in discussione

14 Credenze tra natura e culturaUn campo di indagine infinito

www.clessidraeditrice.it

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22

26

38

42

di Aurelio giavatto

di Claudio Brigati

di Vitaliano Biondi

Genetica / Neurobiologia

Genetica / Antropologia

Storiografia / Antropologia

La trasmissione delle credenzeSi possono ereditare comportamenti legati ai ricordi dei genitori?

30

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

di Adriano Amati

Psicologia / Sociologia

Credenze e coesione sociale Come si spiega la nascita della società e come riesce a perpetuarsi nel tempo? In questo sviluppo che ruolo hanno le credenze?

di Sara Pinelli

Approfondimento: antropologiaSu carresegareIl carnevale sardo, retaggio di antichi culti

di Franco insalaco

Letteratura / Filosofia

Sul credereUn'incursione filosofica: credenza tra linguaggio e conoscenza

48

Anemosneuroscienze

C'era una volta...La festa di Sant'Antonio: un esempio di assimilazione di antichi riti ed usanze operato dalla Chiesa

di Bruno Zanotti, Angela Verlicchi

Altri Approfondimenti

Slow NeurosurgeryNeurochirurgia

La morte è biancadi Laura Andrao

di Flavio giordano, Barbara Spacca, Lorenzo genitoriNeurochirurgia funzionale e stereotassica52

58 di Simone ruiniuna vita in movimento

Simone Weil: il personaggio

di Franco insalacoSimone weil e la gorgone60

34

di Antonio Petrucci

Filosofia / AntropologiaLo specchio infrantoAppunti sulla superstizione

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Rassegna di notizie tra neuroscienza, filosofia e scienze cognitiveNeuronews

06

Musicisti si nasce, ma an-che l'ambiente culturale in cui si cresce gioca un

ruolo fondamentale nello sviluppo delle abilità e dell'attitudine musicale. Sono questi i risultati di uno studio

pubblicato sulla rivista specializzata “Molecu-lar Psychiatry”, che ha analizzato campioni di Dna di 767 persone con un'età compresa tra i 7 e i 94 anni.Dai risultati ottenuti è emerso come l'attitudi-

ne alla musica sia un tratto compor-tamentale complesso, influenzato sia da alcuni geni che dai fattori ambien-tali, come l'ambiente musicale dell'in-fanzia, l'esempio dei genitori e dei fratelli e l'educazione alla musica. In particolare a definire a livello di geni le nostre abilità musicali sono il Gata 2, responsabile della creazione delle "cellule ciliate" presenti nell'orecchio

interno, le cui fibre si muovono a seconda delle diverse frequenze, e il Pcdh7, che gioca un importante ruo-lo nell'amigdala, cioè nella parte del cervello che si occupa di gestire le emozioni.La ricerca, infatti, ha mostrato come diversi musicisti professionisti pro-venissero da famiglie con una forte tradizione musicale. Gli scienziati non solo hanno analizzato il codice genetico dei volontari, ma hanno an-che chiesto loro di eseguire tre test musicali: distinguere tra note con una tonalità e una durata differenti e identificare delle sequenze di note leggermente diverse le une dalle al-tre. Da ciò è emerso come l'attitudi-ne musicale risulti composta da una componente "primaria", vale a dire l'abilità fisica di distinguere sequenze di note, e da una “secondaria”, ovve-ro la capacità di suonare che dipende dall'ambiente culturale della persona.

Musicisti si nasce?Individuati i geni responsabili

dell'orecchio musicale. Ma da soli non bastano, servono anche fattori ambientali favorevoli

Un recente studio pubblica-to su “Current Biology” ha identificato i neuroni

alla base della codificazione dei ri-cordi. L'equipe di ricercatori dello Scripps Research Institute, con a capo il biologo Seth Tomchik, ha infatti individuato un piccolo grup-po di neuroni che risultano coinvol-ti nella formazione della memoria. Gli studiosi hanno analizzato una tipologia specifica di neuroni, chia-mati dopaminergici, che rappre-senta una sottoclasse che risponde a un messaggero di segnalazione cellulare definito cAMP (adenosina monofosfato ciclico) che si trova alla base di molti processi biologici e risulta coinvolto in molte patolo-gie della mente come la schizofre-nia, il distur-bo bipolare e l'Alzheimer. Questi neu-roni sono ri-sultati molto sensibili ad elevate quan-tità di cAMP in una specifica regione del cervel-lo, nota come corpo fungiforme. Tomchik ha così spiegato i risultati della ricerca: "Abbiamo scoperto che mentre sono tantissimi i neu-roni che rispondono agli stimoli sensoriali solo una determinata sottoclasse di neuroni si occupa effettivamente delle codifiche della memoria".

Memoria e neuroni

Individuato un ristretto gruppo di neuroni coinvolti nella formazione della memoria

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

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Anemosneuroscienze

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Una ricerca condotta sulle cel-lule staminali ha permesso di ottenere nuove importan-

ti informazioni nello studio del fun-zionamento del cervello in soggetti colpiti da disturbo bipolare. La ricerca condotta da un gruppo dell'Università del Michigan ad Ann Harbor e ripor-tata su "Translational Psychiatry" ha esaminato in particolare le cellule sta-minali ricavate riprogrammando cellule epiteliali degli stessi pazienti. I nuovi dati suggeriscono l'idea che l'insorgen-za del disturbo bipolare possa essere legato ad alterazioni genetiche inter-venute durante lo sviluppo del sistema nervoso.Il disturbo bipolare è un disturbo dell'umore difficile da identificare, che

si caratterizza per l'alternanza tra un polo depressivo e uno maniacale che spesso comprende euforia, esagerata autostima, loquacità, iperattività e com-portamento avventato.La ricerca si è basata sulla raccolta di al-cuni campioni di cellule epiteliali prele-vati da soggetti affetti da questo distur-bo. In laboratorio i ricercatori hanno poi indotto queste cellule a de-differen-

ziarsi, tornando allo stato di staminali pluripotenti indotte, da cui hanno poi ottenuto neuroni da mettere a confron-to con neuroni di persone sane.Dal confronto è emerso come questi neuroni si comportano e comunicano tra di loro in modo differente rispetto a quelli delle persone sane: in particolare i neuroni dei soggetti bipolari esprimono più geni per i recettori di membrana e per i canali ionici, soprattutto per quelli che si occupano di regolare lo scambio di segnali mediati dal calcio tra le cellule, fondamentali per il corretto sviluppo e funzionamento dei neuroni. Alcune im-portanti differenze si sono riscontrate anche nell'espressione del microRNA.

Nuove scoperte sul disturbo bipolare

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

La somatoparafrenia è un disturbo neurologico che riguarda fino al 15%

delle persone vittime di lesione all’emisfero destro a causa di ic-tus o di ischemia. È un tipo di disturbo che si manifesta con la perdita di coscienza del proprio corpo e che può indurre chi ne è colpito a non riconoscere più come proprio un braccio o una gamba. Uno studio condotto da

Angelo Maravita e Daniele Ro-mano del dipartimento di Psico-logia dell’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con l’Università di Pavia e l’Ospe-dale Niguarda “Ca’ Granda” di Milano e pubblicato sulla rivista “Brain” ha studiato gli effetti fi-siologici di questo disturbo.La ricerca ha visto condurre un esperimento su 3 gruppi di pazienti affetti da patologie che comportano perdita di sensibi-lità o movimento degli arti, di-visi in somatoparafrenici, emi-plegici e anosognosici. È stato avvicinato al loro arto un ago, una potenziale fonte di dolore, per vedere se i gruppi lo perce-pivano come una minaccia. A differenza degli altri due gruppi, i somatoparafrenici non han-no mostrato alcuna reazione, evidenziando un'assenza di ri-

sposta di conduttanza cutanea all’avvicinarsi dell’ago.Come hanno spiegato Angelo Maravita e Daniele Romani: «Il processo di perdita di coscienza del sé è talmente profondo che non si riescono neppure a per-cepire le minacce e non si attiva nessuna reazione di difesa, nem-meno riflessa. Il disordine della coscienza, indotto dalla lesione, è tale che si arriva a un rifiuto incontrovertibile del proprio arto. Stiamo parlando di pazien-ti che non hanno alcun tipo di disturbo psichico e che sono in grado di intendere e volere. Eppure, anche se talora sono addirittura imbarazzati perché comprendono la stranezza di quanto affermano, continuano a sostenere che il braccio è di un’altra persona anche se attac-cato al loro corpo».

Cosa accade quando si perde

la coscienza di sé?A spiegarcelo uno studio

dell’Università di Milano-Bicocca che ha mostrato gli effetti

fisiologici di questo disturbo

Grazie all'uso delle cellule staminali si è scoperto che l'insorgenza del disturbo bipolare può essere legato ad alterazioni

genetiche intervenute durante lo sviluppo del sistema nervoso

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L'uomo macchinaAppunti liberi tra filosofia della mente, divagazioni antropologiche e letterarie

Il termine “relativismo” è arri-vato fino all'onore delle cro-nache nel periodo del ponti-ficato di Benedetto XVI. Fu l'ex pontefice a scagliarsi, in

nome della verità rivelata, contro una concezione incerta e precaria di verità come quella proposta dal relativismo.In realtà, come avviene sempre in ter-mini giornalistici, quel dibattito com-portò una semplificazione dei concet-ti e un appiattimento tra sostenitori e oppositori delle parole del papa.Il relativismo è una posizione molto antica e risale alla riflessione greca. Tra le prime posizioni relativiste, si fa rientrare il pensiero del sofista Pro-tagora, ricordato per la sua celebre formula “l'uomo è misura di tutte le cose”.Non percorreremo, qui, la storia del concetto. Basti dire che il relativismo ha avuto grandi sostenitori in epoca contemporanea, sia nella speculazio-ne dei filosofi analitici, sia in quella dei filosofi continentali, questi ulti-mi legati in particolare al pensiero di Nietzsche.Si rifanno, in qualche modo, tutti a forme di relativismo, lo storicismo marxista, il post-strutturalismo, il co-struttivismo di Deleuze, l'anarchismo epistemologico di Feyerabend. Oppu-re, ancora, si pensi a Donald David-son e alla sua riflessione che spaziò nei campi della filosofia della mente, della filosofia del linguaggio e della logica. Esiti relativistici possono considerarsi

le sue conclusioni che intendevano il concetto di verità come risultato della triangolazione io-tu-mondo. Ma diamo un colpo di spugna all'eru-dizione, e cerchiamo di dare una de-finizione scarna ed essenziale del re-lativismo.Il relativismo è una posizione filoso-fica che intende la verità non come assoluta, ma come dipendente dal contesto storico-culturale e/o dal punto di vista soggettivo da cui vie-ne formulata la nozione di verità. Un esempio pratico: secondo un fedele di un determinato credo, alcuni dogmi o alcune prescrizioni comportamen-tali corrispondono alla verità (perché rivelate dalla divinità o perché con-tenute in testi sacri), mentre per altri individui che non abbracciano quel sistema di credenze, quelle posizioni sono unicamente dipendenti da quel sistema e quindi vere solo per coloro che vi aderiscono.La questione della verità non riguarda solo l'ambito delle credenze, ma anche il concetto più generico di “verità” in relazione a ciò che sappiamo o che possiamo sapere intorno al mondo. Così, anche la concreta pratica della scienza viene coinvolta nel dibattito sulla verità.Ma torniamo al relativismo e diamone una lettura, diciamo così, “politica”, lasciando da parte le questioni morali ed epistemologiche che necessaria-mente si legano al concetto di verità qui in gioco e che nel secondo caso

possono determi-nare note aporie (contestazioni al relativismo sul pia-no logico similari a quelle avanzate con-tro lo scetticismo).Per molto tempo si è intesa questa posi-zione come un'aper-tura democratica indispensabile per la convivenza di più posizioni divergenti e per non determi-nare la predomi-nanza di un sistema di valori o di una concezione della realtà su un'altra. Il relativismo, dunque, è stato inteso come garanzia contro una visione uniformatri-ce e come garanzia di libertà e plurali-smo nella società. Ciò si poteva giu-stificare almeno da due considerazioni. Innanzi tutto la re-ale e indubbia esistenza nel tempo e nello spazio di visioni differenti. Ed in secondo luogo, su un piano episte-mologico, dalla difficoltà di acquisire una reale conoscenza del mondo con i mezzi e le metodologie della scienza (qualunque forma abbia assunto nel

Il tradimento del relativismo

Quando l'assenza di una verità assoluta viene sfruttata dal populismo demagogico

di Davide Donadio

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

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passato).Ma il relativismo si è rilevato un'arma a doppio taglio, e su un piano politico si è rivolto contro coloro che l'aveva-no proposto proprio come garanzia di pluralismo. La strumentalizzazione di quello che viene chiamato “populismo demagogico” (spesso partendo da po-

sizioni conservatrici e antidemocrati-che) ha teso ad interpretare il relati-vismo come la via per rendere lecita ogni posizione, anche violenta, e ne-gare fatti storici, relegandoli al regno dell'interpretazione. Questo potrebbe far cantar vittoria a coloro che avverti-vano del pericolo del relativismo pro-pugnato dal pensiero progressista.Se questa deriva era certamente possi-bile, e in qualche misura persino pre-vedibile, non è detto che gli oppositori del relativismo, o i suoi manipolatori, abbiano in qualche modo ragione. Sarebbe più onesto parlare di tradi-mento del relativismo. Un conto è sostenere che una posizione non può definirsi unica depositaria della verità, un conto è affermare che nessuna for-

ma graduale di verità sia possibile, in tutti i campi dell'agire umano.Probabilmente, una forma di relativi-smo “debole”, che inserisca tra i valori i diritti e la dignità umana come pre-supposto della convivenza civile e pa-cifica, non tradirebbe i fondamenti del relativismo stesso e salvaguarderebbe gli scopi “politici” di questa posizione filosofica senza consentire tradimen-ti in malafede. Ma forse, per ottenere questo risultato, l'impostazione pura-mente filosofica dovrebbe integrarsi con le scienze biologico-comporta-mentali. Solo così sapremo se si potrà definire come “naturale” il rispetto intraspecifico tra individui e ritenere inaccettabile che in nome dell'assenza di verità assolute si neghi anche l'evi-denza del buon senso. ♦

09

Anemosneuroscienze

«Un conto è sostenere che una posizione non può definirsi unica depositaria della verità, un conto è affermare che nessuna forma graduale di verità sia possibile, in tutti i campi dell'agire umano.»

immagini - In queste pagine alcuni pensatori che si sono ispirati in qualche modo a forme di pensiero relativistico.Qui a fianco, Paul Feyerabend. In altro, da sinistra, Gilles Deleuze, Donald Davidson e Friedrich Nietzsche.

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13Incontri Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Al Caffè torinese Basa-glia, in via Mantova 34, la follia diventa momento di condi-visione. I dipendenti

del locale, alcuni dei quali seguiti dai Dipartimenti di salute mentale, lavo-

rano giorno dopo giorno con lena ed entusiasmo per cercare di creare un legame di affezione tra la clientela e il locale. Sulla malattia prende via via il sopravvento la voglia di normalità nella costruzione di un rapporto basa-to su affidabilità e rispetto. “Abbiamo costruito questo spazio con l’ambizio-ne e la speranza che sia la voce di chi non ha voce. Ed anche la voce di chi sente le voci”. Questa frase, che ac-coglie i clienti al Caffè Basaglia, se da un lato sottolinea la particolarità di un personale dalle speciali caratteristiche, dall’altra indica anche quale sia l’anima del luogo: un angolo della vecchia To-rino dove poter sostare lasciandosi alle

spalle per un attimo il caos della città. Il progetto “Caffè Basaglia”, voluto e sorretto dall’associazione “C.i.o.p.p.” (Coordinamento internazionale oltre la patologia psichiatrica) in collabora-zione con le cooperative “Ass.i.s.te”, “Insieme” e ARCI Torino, mira ad un

effettivo inserimento di personale con disturbi neuropsichiatrici nel mondo lavorativo. Un proget-to vincente, come dimostrano le attuali quattro assunzioni di per-sone affette da vari disturbi e gli anni di servizio di altre decine di pazienti/lavoratori che hanno avuto la possibilità di non essere solo e sem-pre visti come malati ma di “vivere il lavo-ro” in tutte le sue va-

rie sfaccettature. “Al Caffè Basaglia non ci sono ope-ratori sanitari - spiega lo psichiatra Ugo Zamburru, neopresidente dell’ARCI Torino - perché i pazienti qui non parlano dei loro problemi, ma sono dei veri dipendenti, con responsabilità che li gratificano: la comune volontà è soddisfare i clienti per far sì che ritornino”. Sono tante le persone che negli anni hanno varcato la soglia del Basaglia, costantemente impegnato a offrire nuovi percorsi gastronomici e cultura-li ai suoi ospiti. Fatiscente fino a po-chi anni fa, il Caffè è rinato grazie alla

passione condivisa di chi, tra tazzine di caffè e piatti tipici, ha saputo cre-are un luogo ospitale al punto da far ridimensionare, nella quotidianità, pro-blemi che apparivano straordinari. “La nostra volontà è dare reali opportunità a chi lavora con noi. - sottolinea Carla Stillavato, presidente dell’Ass.i.s.te - La guarigione passa attraverso una buona qualità della vita e un lavoro in ambien-ti strutturati in modo tale da accogliere dipendenti e clienti con percorsi con-divisi di gratificazione reciproca”. In 15 anni di attività “l’impresa socia-le” come viene definita dagli organiz-

zatori, ha creato lavoro per oltre 400 addetti. Perché se si responsabilizzano le persone con problematiche nella sfera psichica, essi hanno la possibilità di dare un contributo veramente uni-co: la “follia” di essere normali in un mondo fatto di pazzi. ♦

Alessandro G. Genitori

La follia diventa condivisione

Il Caffè Basaglia di Torino vuole essere la voce di chi non ha voce;

la voce di chi sente le voci

10

di Alessandro G. Genitori

Page 11: "Neuroscienze Anemos"-  Aprile- giugno 2014

AIl tema del numero

11

Sulle credenzeCredenza, termine dai significati multiformi,

ne parliamo attraverso le scienze biomediche e sociali

Page 12: "Neuroscienze Anemos"-  Aprile- giugno 2014

mappa cOnceTTuale: il Tema del numerO

epigeneTicaI caratteri bio-psicologici

acquisiti nel corso della vita e la loro trasmissibilità

STOriae credenzeUn esempio di sincretismo e di sopravvivenza di culti antichi

12

Percorsi interdisciplinari

1

2SOciOlOgiaLe credenzecome collante della coesione sociale

3

«Sulle credenze»Credenza, termine dai significati multiformi,

ne parliamo attraverso le scienze biomediche e sociali

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Dalle neuroscienze alle scienze umane e sociali

Page 13: "Neuroscienze Anemos"-  Aprile- giugno 2014

anTrOpOlOgiaSuperstizioni e carnevale: le usanze popolari come indizi di credenze

Approfondimenti interdisciplinari e altri punti di vista

13

Anemosneuroscienze

{STRUMENTI DI LETTURAI testi di «Neuroscienze Anemos» sono idealmente suddivisi in In - InterdisciplinaApp - ApprofondimentiR/Np - Ricerca e nuove proposte

Agli articoli viene inoltre assegnato un numero che indica la complessità di comprensione del testo da 1 a 5.

1 2 3 4 5

Anemosneuroscienze

Altri a

ppro

fond

imen

ti

medicinaSlow neurosurgery e tempi degli interventi

chirurgici

Neurochirurgia funzionale e

stereotassica

filOSOfiaVita e pensiero di Simone Weil

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

5

6

7

4

filOSOfiaLe ambiguità della credenza e della certezza

Page 14: "Neuroscienze Anemos"-  Aprile- giugno 2014

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

14

credenzeTra naTura e culTura

Un campo di indagine infinito. In questo numero cerchiamo di collegare

la riflessione filosofica alle scienze cognitive e alle discipline biologiche

INTRODUZIONE AL TEMA

Page 15: "Neuroscienze Anemos"-  Aprile- giugno 2014

A Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13 Anemosneuroscienze

15

Il tema. C'è una certa ambi-guità del vocabolo "credenza" nella lingua italiana. Ambiguità che non avviene per tutte le lin-gue occidentali.

“Credenza” è un convincimento non basato su prove o dimostrazioni, ed in questo caso è sinonimo di fede, ma è anche vocabolo indicante opinio-ne comune. D'altra parte, affermare “io credo che...” è come dire “penso che...” e di conseguenza manifestare una presa di posizione tra possibilità e certezza. In quest'ultimo caso è in gioco il concetto di verità, contrappo-sto a quello di opinione.Ed ancora: sostenere che un certo po-polo crede in determinate divinità è utilizzare il concetto di credenza in un suo ennesimo significato. Ancora una volta, con ulteriori diramazioni: teologiche o psicologiche, etnoantro-pologiche o storiografiche.Il tema che segue, dunque, è un ocea-no infinito, e il volerlo trattare come insieme ben definito è certamente dif-ficile.Una pubblicazione di ambito scien-tifico, pur divulgativa come questa, che voglia far chiarezza, dovrebbe poi dissipare le ambiguità e concetrarsi su una definizione ed un ambito delimi-tato di indagine. Nelle pagine che seguono, al contra-rio, non troverete volutamente una distinzione netta tra le sfumature se-mantiche, sinonimiche o persino di differenti significati che riguardano l'ambito della credenza. L'approccio è quello di “apertura” e discussione, piuttosto che quello di delimitazione e di nozionismo fine a se stesso.Partire dall'utilizzo quotidiano e dal senso comune potrebbe consentire al lettore non specialista delle materie trattate di farsi un'idea ampia e, come dicevamo prima, aperta e attiva.

I contenuti. I primi due contribu-ti (rispettivamente del Dott. Aurelio Giavatto e del Dott. Claudio Brigati), riguardano un nuovo campo di scien-ze bio-mediche, l'epigenetica. Si cerca di capire innanzitutto cosa sia l'epige-netica, e quindi di comprendere se le

credenze, il pensiero, abbiano un ri-svolto “biologico”, direttamente gene-tico nella storia umana. Tema difficile e ancora guardato con sospetto: pare che non solo le esperienze “fisiche” abbiano una immediata conseguenza evolutiva, ma anche le credenze e la ritualità delle società umane. Alcuni studi e alcuni dati sembrano suggerire che il paradigma darwiniano (che pre-scrive che l'ereditarietà dei caratteri derivi non da modificazioni avvenute nel corso della vita, ma nel corso di intere generazioni) non sia valido in assoluto: modificazioni biologiche, e quindi di riflesso psicologico-com-portamentale, avverrebbero anche tra una generazione e l'altra, avvalorando la prima versione di evoluzionismo sostenuta da Lamarck.Ci spostiamo, poi, in ambito storio-grafico e antropologico. L'architetto Vitaliano Biondi, studioso di tema-tiche storiche e antropologiche, ana-lizza un esempio di sincretismo e di sopravvivenze religiose. Adriano Amati, giornalista di forma-zione sociologica, si sofferma invece sulle credenze come ingrediente di coesione sociale utile alla costituzio-ne stessa della società.Antonio Petrucci, filosofo, ritorna all'idea di credenza più diffusa nel ger-go comune: la superstizione. Petrucci espone significati e origini della su-pertizione e pone il problema dell'at-tualità di questa forma mentale.Rimaniamo in ambito strettamente antropologico con i contributi di Sara Pinelli e Laura Andrao (professioni-sti, architetto la prima e avvocato la seconda, con interessi in campi cultu-rali e sociali). Nello specifico, vengo-no analizzati sotto forma di racconto l'uso del carnevale sardo, chiaro re-taggio di culti del passato, e la pratica crudele nei confronti degli albini nel continente africano.Chiude lo speciale dedicato al tema, un testo di impostazione filosofica di Franco Insalaco, il quale riporta considerazioni riguardanti “credenza” e “certezza” nel pensiero di Ludwig Wittgenstein, René Girard e Theodor Adorno.♦

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Genetica Neurobiologia

epigeneTicae credenze

Si ereditano anche i caratteri acquisiti? Il "dogma centrale" della biologia

messo in discussione

parole chiave. Credenze, epigenetica, cultura, rituali, comportamento.

abstract. Fin dall'epoca di Darwin si sosteneva che l'ereditarietà dei caratteri derivasse non da modificazioni avvenute nel corso della vita, ma nel corso di intere generazioni. Oggi pare che alcu-ni fattori, tra cui quelli psicologici e quindi legati al vasto mondo delle "credenze", possano indurre cambiamenti intragenerazionali, determinando l'attivazione o no di una serie di geni. Questo mette in discussione il cosiddetto "Dogma centrale della biologia".

di Aurelio Giavatto4App

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Una legge della biologia si infran-ge. Conrad Wadding-ton era uno scienziato inglese che presentò

nel 1957 il suo modello di paesag-gio epigenetico per spiegare i con-cetti della biologia dello sviluppo, della embriologia. Come si può no-tare dalla fig. 1.1, c'è una sfera alla sommità della collina. Nel rotolare verso il basso, la sfera può infilarsi in diversi canali per arrivare alla base della collina.Dall'immagine ci è subito chiaro che una volta che la palla ha raggiunto il fondo è verosimile che rimanga lì. Sappiamo anche che tornare alla sommità della collina sarà difficile.Questa immagine è estremamente utile per comprendere quello che succede durante lo sviluppo cellula-re. La palla alla sommità della collina è lo zigote, la singola cellula che ri-sulta dalla fusione di uno spermato-zoo con un'ovocita. Man mano che le diverse cellule del corpo iniziano a differenziarsi, diventando più spe-cializzate, ogni cellula è come una palla rotolata giù per la collina che si è infilata in uno dei canali. Una volta raggiunta la posizione definiti-va, starà lì. A meno che non succeda qualcosa di estremamente radicale, quella cellula non si trasformerà mai in un altro tipo di cellula (spostarsi in un altro canale). Non potrà nem-meno risalire la china all'apice della collina e rotolare di nuovo giù in un'altra direzione dando origine a diversi tipi cellulari. Non importa che Waddington non conoscesse i dettagli dei meccanismi: il suo uti-lissimo modello ci ha permesso di sviluppare un modo di pensare.La legge che il processo della diffe-renziazione sia una strada a senso unico, che le cellule non possano ri-salire la china e tornare ad essere cel-lule totipotenti in cima alla collina, è stata infranta da John Gourdon nel 1968 quando dimostrò che anche cellule epiteliali della mucosa inte-stinale della rana racchiudono tutta l'informazione genetica necessaria per riprodurre un'intero animale. Lo dimostrò trapiantando nuclei di cellule intestinali epiteliali in ovoci-ti a cui era stato asportato il nucleo, generando così normali embrioni e normali rane adulte. La conclusio-ne di questo e di altri esperimen-

ti analoghi è che la differenziazione non cambia il genoma in modo permanente, ma altera l'espressio-ne dei geni in modo che siano attivi solo quelli necessari per un certo tipo di tessuto. La dedifferenziazione è pertanto possibile. Questo fenomeno è estremanente impor-tante per la rigenerazio-ne. Robert O' Becker ha sempre sostenuto che la rigenerazione di parti danneggiate o mancanti è possibi-le e rappresenta una tecnologia molto più efficace che l'uso di protesi o di tra-pianti. Secondo queste potenzialità, quindi, la ricerca medica, invece di preoccuparsi per lo più di sviluppare apparecchi protesici o di trapiantare organi, dovrebbe cercare di indurre l'organismo a rigenerare i suoi propri organi. Becker ha mostrato già nel 1985 che la stimolazione elettrica può indurre culture di cellule diffe-renziate a dedifferenziarsi in cellu-le totipotenti, capaci di rigenerare tessuti. Gary Selden in "The body elettric" ci illustra la descrizione di questa sua affascinante ricerca (si vedano note e bibliografia in fondo all'articolo).Poi, nel 1996 Keith Campbell e Ian Wilnut, con tecnologia analoga, cre-arono il primo clone di un mammi-fero, la famosa pecora Dolly.Questo percorso di ricerca è conti-nuato con S. Yamanaka, chirurgo ortopedico. Specialista lontano dalla biologia cellulare, egli era comunque desideroso di ottenere cellule toti-potenti da cellule differenziate. Nel 2006 Yamanaka pubblicò su "Cell" i risultati del proprio lavoro con cui riuscì ad introdurre in fibroblasti maturi, utilizzando deboli campi elettrici o modificando l'ambiente chimico extracellulare, dei geni im-portanti per la dedifferenziazione, inducendo i fibroblasti a tornare in-differenziati.Nel 2012, Yamanaka ottenne insie-me a John Gurdon il premio Nobel per la medicina per il loro lavoro sul-la riprogrammazione nucleare delle cellule mature.

Ecco, dunque, che rimanendo alla metafora iniziale, siamo riusciti a ri-salire il canale della collina di Wad-dington e a ridiscederne un altro.

Ancora conferme. Recente-mente altri ricercatori giapponesi con altre collaborazioni (Haruko Obokata, Teruhiko Wakayama, Yo-shiki Sasai, Koji Kojima, Martin P. Vacanti, Hitoshi Niwa, Masayuki Yamato & Charles A. Vacanti) sono riusciti ad ottenere cellule stamina-li totipotenti "tuffando" le cellule ematiche in liquido acido.Le cellule staminali così ottenute possono trasformarsi in qualsiasi tessuto ed essere utilizzate per la rigenerazione di tessuti riguardanti organi quali occhio, cuore, cervello. Questo ultimo sviluppo è stato ap-pena pubblicato nella rivista "Natu-re" e potrebbe rendere la tecnologia veloce, economica e sicura.Il perchè tale risultato sia stato ot-tenuto attraverso un bagno acido è presto detto. È sufficiente l'esposi-zione ad uno stress ambientale per riprogrammare cellule differenziate e indurle a "tornare indietro" ad una cellula pluripotente o anche toti-potente. Non sono necessari geni, proteine, e neppure trasferimento nucleare. Sarà sufficiente stressare le cellule con un bagno acido.Le cellule così ottenute sono state denominate cellule STAP (stimulus-triggered acquisition of pluripoten-cy: acquisizione dalla pluripotenza indotta da uno stimolo).Il mondo della ricerca ha accolto la notizia con sorpresa. Questa rea-

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A Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Figura 1.1 - La logica delle cellule: una sfera alla sommità della collina. Nel rotolare verso il

basso, la sfera può infilarsi in diversi canali per arrivare alla base della collina. Una volta che la palla

ha raggiunto il fondo è verosimile che rimanga lì.

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zione, se verrà confermata anche per le cellule umane, potrà por-

tare ad una nuova medicina rigene-rativa, in particolare riguardante le terapie contro i tumori (tra gli altri, il Prof Chris Mason, professore di medicina rigenerativa all'University College di Londra ha parlato di era della medicina personalizzata).

È l'ambiente stupido. È que-sto il titolo di un capitolo del noto libro di Bruce Lipton, "La biologia delle credenze. Come il pensiero influenza il DNA e ogni cellula". Lipton ricorda il proprio docente di biologia, Irv Konisberg, che lo avver-tiva che quando le cellule in coltura mostravano segni di sofferenza, si sarebbe dovuto controllarne l'am-biente: bastava correggerlo per rivi-talizzare le cellule.Lipton era affascinato dall'idea di considerare le cellule come "esse-ri umani in miniatura": in questo modo sarebbe stato più facile com-prenderne la fisiologia ed anche il comportamento. Anche questa ana-logia non ortodossa era considerata un'antropomorfismo eretico dalla maggior parte dei biologi. Gli esseri umani come organismi multicellula-ri che hanno modelli organizzativi analoghi a quelli delle singole cellu-le che li compongono. Anche se sia-mo costituiti da miliardi di cellule, ogni nostra funzione di organismi complessi esiste già in ogni singola cellula; in essa troviamo l'equivalen-

te di un sistema nervoso, digestivo, endocrino, respiratorio, muscolare, scheletrico, circolatorio, riprodutti-vo ed immunitario. Per comprende-re meglio come ogni cellula sia un organismo intelligente che riesce a sopravvivere di per sè, basti pensare alle cellule in coltura: sondano l'am-biente per evitare le sostanze tossi-che e orientarsi verso i nutrienti che favoriscaono la loro sopravvivenza, analizzano migliaia di stimoli pro-venienti dall'ambiente in cui vivo-no, e assumono i comportamenti più appropiati alle diverse situazioni ambientali. Sono anche in grado di apprendere dall'ambiente e di crearsi delle memorie che trasmettono alle generazioni successive.

Evoluzione e cooperazione. Durante i primi tre miliardi di anni di vita sul nostro pianeta esistevano solo organismi unicellulari come i protozooi, i batteri, le alghe. Invece di considerare questi organismi solo come individui solitari, ora è possi-bile intuire come essi mettessero a disposizione molecole nell'ambiente circostante che servivano da segna-li per regolare le funzioni fisiologi-che ed anche il comportamento di altre cellule, consentendo così una coordinazione di comportamento che coinvolgeva altre cellule sparse nell’ambiente, permettendone la so-pravvivenza.Si consideri l'esempio delle amebe. Questi organismi, in condizione di

"carestia" emettono nell'ambien-te una molecola, AMP cicliclo (è un metabolita delle cellule) che si lega ai recettori di membrana per cAMP presenti nelle altre amebe, così che si attivino congregandosi in organismi multicellualri con ca-pacità riproduttive, condividendo il Dna e producendo spore inattive pronte per l’ibernazione. Nel caso di un cambiamento dell’ambiente con cibo disponibile, le spore originano di nuovo amebe unicellulari.Circa 700 milioni di anni fa le cellu-le trovarono vantaggiosa questa for-ma di cooperazione con lo sviluppo di piante ed animali. Fu in pratica lo sviluppo di queste molecole me-diatrici che permise alle comunità di cellule di coordinare le loro funzio-ni e di comportarsi come delle entità singole.

Il ruolo fondamentale delle membrane cellulari. Nel suo li-bro Lipton descrive poi come le pro-teine cellulari possano assumere for-me spaziali, aperte o chiuse, in base alle cariche ioniche degli aminoacidi che le compongono, e di come sia importante il ruolo delle membrane cellulari e delle loro proteine recet-toriali nel trasferire l'informazione dall'ambiente al nucleo cellulare, in-ducendo poi la modificazione della espressione dei geni. Questi recettori esterni, a loro volta influenzano le proteine interne, modificandone gli angoli molecolari. I due gruppi di re-18

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Figura 1.2 e 1.3 - A sinistra Shinya Yamanaka, a destra John Gurdon. Ricevettero il premio Nobel nel 2012 per la medicina per il loro lavoro

sulla riprogrammazione nucleare delle cellule mature.

Genetica Neurobiologia

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cettori si comportano come un reti-colo che può espandersi o contrarsi. Il grado di espansione determina la dimensione e la forma delle mole-cole, le cosiddette proteine effetrici, che possono attraversare il reticolo.Nel suo insieme il complesso recet-tore-vettore agisce come un interrut-tore molecolare accettando segnali dall'ambiente cellulare che induco-no l'apertura del guscio proteico che avvolge il DNA. Tutti questi fattori concorrono ad alterare la regola-zione delle proteine cellulari, inve-ce che ad alterare le proteine stesse attraverso delle mutazioni geniche. Ricordiamo a proposito che il 98% del genoma non codifica le proteine, ma le regola attraverso quello che si chiama RNA non codificante (ncR-NA). Infatti il ncRNA è stato impli-cato nella trasmissione "Lamarckia-na" dei caratteri acquisiti (vedi box pagina seguente).Nel 1982 Lipton iniziò ad esamina-re i principi della fisica quantistica e come potessero essere integrati nella comprensione dei sistemi cellulari di elaborazione delle informazioni. Produsse così studi innovativi sulle membrane cellulari che gli rivelaro-no come lo strato esterno della cel-lula possa essere paragonato ad un chip di un computer, l'equivalente di un cervello della cellula. Le sue ricerche alla Standford Universi-ty School of Medicine mostrarono come l'ambiente, operando attraver-so le membrane cellulari, controllas-se la fisiologia della cellula attivando o disattivando i geni.Lipton è stato un pioniere nella ap-plicazione dei principi della fisica quantistica (soprattutto riguardo la nozione che l'universo quantico sia un insieme di probabi-lità che sono tutte in-fluenzabili dai pensieri dell'osservatore) al cam-

po della biologia cellulare. Mentre la biologia cellulare tradizionale si con-centra su molecole fisiche, Lipton si concentrò su vie elettromagnetiche attraverso cui l'energia nella forma delle nostre credenze influenza la nostra biologia, incluso il nostro ge-noma. In un'elaborazione veramen-te elegante, così ne parla l'autore: "un campo sottile, molto debole per

innescare qualsiasi attività cellulare, scatena un cambiamento a livello regolatorio, che poi porta ad una so-stanziale risposta fisiologica".Le nostre credenze (vere o false, po-sitive o negative, creative o distrut-tive) non esistono solamente nelle nostre menti, esse interagiscono con le infinite possibilità dell'universo quantico, ed influenzano le cellule dei nostri corpi, contribuendo alla espressione di diversi potenziali ge-netici. Due individui possono avere un'identica sequenza genetica per una particolare caratteristica. Le cre-denze di un individuo forniranno i segnali per permettere l'espressione genetica, le credenze dell'altro indi-viduo no.Ecco, allora, che le credenze influen-

zano l'espressione dei nostri geni. I geni possono es-sere attivati da sti-moli che proven-gono dall'esterno del corpo e dal suo interno. Uno dei fattori che in-fluenza la even-tuale attivazione dei nostri geni è ad esempio l'esperienza. Noi prendiamo i fatti e le esperienze ed assegniamo loro un significato: ai fini della attiva-zione genetica,

il significato (mentale, emozionale, "spirituale") che assegniamo a qual-cosa è importante come il fatto stes-so. Anche i pensieri, i sentimenti, attivano una serie di geni. Le nostre emozioni e i nostri senti-menti plasmano i nostri cervelli e sti-molano la formazione di vie neurali che rinforzano vecchi percorsi o ne attivano di nuovi. E, citando Nor-

man Cousins, "le credenze diven-tano biologia" (e da qui si possono comprendere, ad esempio, fenomeni come l'effetto placebo o l'efficacia delle medicine complementari, non allopatiche).

La grande carestia olande-se. Nel 1944 l'Olanda fu investita da un inverno veramente freddo e dalla conseguente carestia, a causa anche della situazione bellica in Eu-ropa. La popolazione sopravvisse, secondo stime a posteriori, con solo il 30% del fabbisogno calorico gior-naliero.Morirono circa 22.000 persone. La popolazione disperata si cibava di tutto ciò che aveva l'apparenza di essere commestibile, dai bulbi di tu-lipano al sangue degli animali.Queste terribili restrizioni che in-teressarono una vasta popolazione fornirono dati e spunti per un im-portante studio scientifico. I sopra-vissuti olandesi costituirono una ben caratterizzata popolazione di studio perchè tutti loro soffrirono di un definito periodo di malnutrizio-ne, contemporaneamente.Uno dei primi aspetti studiati fu l'effetto del digiuno sul peso cor-poreo dei neonati di donne gravide in quel periodo. Se una madre era ben nutrita durante il periodo del concepimento e malnutrita durante gli ultimi mesi della gravidanza, il suo bambino, molto probabilmente, sarebbe nato piccolo, di basso peso. Se invece la madre aveva 19

AnemosneuroscienzeA Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Figura 1.4 - Sotto la famosa pecora Dolly, imbalsamata ed esposta al National Museum of Scotland. Fu uno degli esperimenti di genetica più famosi a livello mediatico.

«Le nostre credenze (vere o false, positive o negative, creative o distruttive) non esistono

solamente nelle nostre menti, esse interagiscono con le infinite possibilità dell'universo quantico, ed influenzano le cellule dei nostri corpi, contribuendo

all'espressione di diversi potenziali genetici.»

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sofferto la malnutrizio-ne solo durante i primi tre mesi della gravi-

danza perchè la gravidanza era iniziata verso la fine del periodo della grande carestia e poi era stata ben nutrita durante gli ultimi mesi della gravidanza, allora il bambino sarebbe nato con un norma-le peso corporeo. E fino a qui non c'è nulla di strano, infatti i feti crescono di peso soprattutto verso la fine della gravidanza.Ma gli epidemiologi, grazie

all 'eff icienza del sistema sanitario olan-dese, riusciro-no a studiare questi gruppi di bambini per decenni e arri-varono ad esiti sorprendenti: i bambini nati con un basso peso rimane-vano piccoli per tutta la loro vita, con una minor p e r c e n t u a l e di obesità ri-

spetto alla popolazione ge-nerale, nonostante avessero buona disponibilità di cibo. Fu ancora più sorprendente notare che i bimbi nati nor-mopeso da madri malnutrite durante i primi mesi della gravidanza avevano un più alto tasso di obesità rispetto al normale. Segnalazioni più recenti hanno anche mostra-to una più alta incidenza di altre malattie, anche mentali come un aumentato tasso di schizofrenia. Anche se questi individui erano perfettamen-te sani alla nascita, qualcosa che era accaduto durante il loro sviluppo intrauterino li avrebbe condizionati per gli anni a venire. Ciò dimostra che gli acca-dimenti durante i primi tre mesi dello sviluppo possono influenzare l'individuo per il resto della sua vita. Anco-ra più sorprendente è stato notare che questi effetti sem-

brano presenti nei bambini di individui nati da madri malnutrite durante i primi tre mesi di gravidanza.Ma come è possibile che que-sti effetti siano stati trasferi-ti alle generazioni future? Come mai gli individui non riuscirono a tornare alla nor-malità una volta che le con-dizioni ambientali si erano normalizzate?Prendiamo ora in considera-zione il caso della schizofre-nia nei gemelli omozigoti. Nella schizofrenia, malattia comune, la genetica gioca un ruolo predominante. Lo sappiamo dalla osservazione dello sviluppo della schizo-frenia nei gemelli omozigoti (con un patrimonio genetico identico): se uno dei due ge-melli soffre di schizofrenia, la probabillità che l'altro ne sia colpito è del 50%. Ma anche questo dato è sorprendente: come mai non vi è una pro-babilità del 100%? Come è possibile che individui appa-rentemente identici si svilup-pino in modo così diverso?Si consideri un altro esempio riguardante i bambini abusati in tenera età, quando hanno meno di tre anni. Anche se si interviene e i bambini ven-gono affidati ad una nuova famiglia "sana", le statistiche dimostrano, semplificando, che spesso da adulti questi individui avranno un alto rischio di soffrire di depres-sione, praticare suicidio e in generale la violenza.Questi esempi, che paiono differenti, hanno la stessa spiegazione: sono tutti esem-pi di epigenetica. Ed è l'epi-genetica la nuova disciplina che sta rivoluzionando la biologia.Si parla di epigenetica nei casi in cui il codice genetico da solo non basta per descri-vere gli esiti organici e com-portamentali dell'individuo.Tornando all'esempio della carestia olandese, nel caso della malnutrizione che in-teressa il feto, la spiegazione risiede nel modello epigene-tico: negli stadi precoci della

Nella sua opera Philosophie zoologi-que (1809), Jean Baptiste de Lamarck avanzò la sua teoria sull’evoluzione. In

quest'opera Lamarck giunse alla conclusione che gli organismi, così come si presentavano, fossero il risultato di un processo graduale di modificazio-ne che avveniva sotto la pressione delle condizio-ni ambientali. Lamarck assegnava una notevole importanza al ruolo attivo degli organismi nel mo-dificarsi in risposta agli stimoli ambientali e ritene-va che l'uso di determinati organi, o parti di organi, provocasse modificazioni. Le modificazioni si sarebbero poi trasmesse alla generazione successiva.La nostra interpretazione attuale si base invece sulla teoria evoluzionistica di Darwin: riconosciamo che un uomo, i cui geni tendevano a fornirlo di grossi muscoli, avrebbe avuto un vantaggio nell'intraprende-re un lavoro come quello del fabbro. Questa occupazione avrebbe attratto quelli con grossi muscoli.Giustamente ed inevitabilmente Lamarck venne oscurato da Charles Darwin. Egli propose un modello di evoluzione delle specie attraverso la selezione genetica che ha rappresentato la base concettuale della scienza biologica. Il potere di questo modello si accrebbe ulteriormente quando si abbinò al lavoro di Mendel sull'eredità ed alla nostra comprensione del DNA come struttura preposta all'ereditarietà.La sintesi darwiniana: la variazione genetica casuale crea variazioni fenotipiche (esteriori). Alcuni individui sopravviveranno meglio di altri in un particolare ambiente e questi individui con ogni probabilità avranno una prole più numerosa. I tassi di mutazione sono però molto bassi così da richiedere un lungo periodo di tempo perchè le mutazioni vantaggiose si sviluppino e si diffon-dano. Soprattutto nel caso in cui la mutazione dia all'individuo solo un lieve vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Qui è dove il modello di Lamarck delle caratteri-stiche acquisite supera i modelli darwiniani. Un cambiamento acquisito nel fenotipo avrebbe in qualche modo una ripercussione sulla espressio-ne del codice del DNA e lo cambierebbe al punto tale che le caratteristiche acquisite potrebbero essere trasmesse ai discendenti nello spazio di una generazione.

L'EvoLuzIoNE sECoNdo lamarck e darwin

Genetica Neurobiologia

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A Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Indicazioni bibliograficheAnway et al. (2005) Science: 308.Carone et al. (2010) Cell 143: 1084-1469.Cousins, Norman (1989) Beliefs become biology Advances in mind-body Medicine, 6, p. 201466-1469.Gaspar and Thrasher (2005), Exeprt Opin biol Ther 5; 1175-82.Bruce Lipton, La biologia delle credenze. Come il pensiero influenza il DNA e ogni cellula.Haruko Obokata, Teruhiko Wakayama, Yoshiki Sasai, Koji Kojima, Mar-tin P. Vacanti, Hitoshi Niwa, Masayuki Yamato & Charles A. Vacanti Na-ture 505, 641-647 (30 January 2014).

Gary Selden, Robert O. Becker, The Body Electric: Electromagnetism and the foundation of life; in particolare si vedano le pag. 141-143 per la descrizione della stimolazione elettrica per indurre la riproduzione di cellule differen-ziate.S. Yamanaka, Induction of Pluripotent Stem Cells from Mouse Embryonic and Adult Fibroblast Cultures by Defined Factors Cell, Volume 126, Issue 4, 663-676, 25 August 2006.

gravidanza, quando si stanno svilup-pando diversi tipi cellulari, le protei-ne epigenetiche sono probabilmen-te fondamentali per acconsentire l'espressione genica. In questo caso l'epigenetica viene definita a livello molecolare come tutto un insieme di modificazioni al nostro materiale genetico che cambia il modo in cui i geni vengono attivati o spenti.

Le credenze biologiche nel-la dottrina del determini-smo genetico. L'aver ignorato la necessità del segnale per poter por-tare l'informazione fuori dal DNA ha indotto generazioni di biologi a credere che per iniziare la sinte-si proteica bastasse l'informazione contenuta nel DNA stesso. È questa la cosiddetta dottrina del determini-smo genetico. Anche in condizioni di sviluppo normale possono verifi-carsi variazioni nella espressione di queste proteine e nel preciso effetto che hanno su una specifica regio-ne cromosomica, cambiando così l'espressione dei geni.Oggi pertanto, in seguito alla com-parsa dell'epigenetica, da più parti si parla di morte del Dogma Cen-trale della Biologia che indicava come l'informazione genetica passi dal DNA all'RNA, alle proteine e la conseguente idea che i geni siano depositari quasi unici delle nostre informazioni che determinano ca-ratteristiche individuali. Fu Francis Crick, uno dei padri della scoperta della doppia elica del Dna, che per primo usò questa espressione nel 1953 e pubblicò un articolo su "Na-ture" intitolato "Il Dogma Centrale della Biologia Molecolare". La sua influenza nel mondo scientifico è stata così pregnante da fare scarta-re come anomalie tutti i dati che lo contraddicevano.Uno dei molti problemi inerenti il dogma è per esempio che il numero

dei geni contenuti nei cromosomi umani è insufficiente per contenere tutta l'informazione richiesta da un corpo umano.Il Progetto del Genoma Umano aveva l'obiettivo di catalogare tutti i geni del corpo umano. Agli inizi degli anni Novanta del XX secolo i ricercatori si aspettavano di trovare circa 120.000 geni. Tale è, pressapo-co, il numero di proteine necessarie per un organismo così complesso come l'essere umano. Poi ridussero progressivamente le loro stime ed alla fine della mappatura si scoprì che il Genoma Umano consiste di solo 23.688 geni. Allora se tutta l'informazione ne-cessaria ad un essere umano non è contenuta nei geni, da dove deriva? E chi conduce tutta la complessa "danza" che porta ad assemblare dei sistemi con molteplici organi e funzioni? La ricerca si è allora spo-stata dalla catalogazione dei geni a cercare di comprendere come lavo-rano nel contesto di un organismo che, a quanto pare, si trova in uno stato di cooperazione sistemica dove ogni parte conosce quello che fanno le altre parti.Un'altra debolezza del Dogma Cen-trale è che si è scoperto che i geni possono essere attivati e disattivati dall'ambiente all'interno ed all'ester-no del corpo. I ricercatori stanno im-parando sempre di più sui processi che attivano e disattivano i geni e sui fattori che ne influenzano l'atti-vazione. Esprimendosi secondo una nota metafora, noi possiamo avere sull'hardware del nostro computer tantissima informazione, ma in un dato momento ne utilizziamo solo una parte. Inoltre possiamo pure modificare i dati prima di utilizzar-li.Il DNA delle nostre cellule non è qualcosa di puro e inalterabile. Piccoli composti chimici possono

essere aggiunti a regioni specifiche del DNA. Il nostro DNA è inoltre avvolto in un manicotto di proteine che possono essere ulteriormente co-perte da altre sostanze chimiche.Nessuno di questi riarrangiamenti molecolari cambia il codice genetico sottostante. Ma l'aggiunta di questi gruppi chimici al DNA o alle pro-teine ad esso associate, o la loro ri-mozione, cambia l'espressione dei geni attigui. Questi cambiamenti dell'espressione genica alterano le funzioni e la natura stessa delle cellu-le che si differenziano. Quando que-sti cambiamenti insorgono durante periodi critici del nostro sviluppo la nuova organizzazione può rimanere per tutta la vita.Un importante disturbo metaboli-co durante l'inizio della gravidanza, come una grave carenza di cibo può alterare in modo significativo i pro-cessi epigenetici che si sviluppano nel periodo fetale. Queste cellule cambiano il loro metabolismo nel tentativo di salvaguardare la crescita del feto, cambiano la loro espressio-ne genica per compensare la man-canza di nutrienti. E questi modelli di risposta vengono impostati per il futuro proprio in conseguenza delle modificazioni epigenetiche nei geni. Non stupisce, pertanto, che i bambi-ni olandesi diventassero obesi nella vita adulta. Le loro cellule erano di-ventate epigeneticamente program-mate ad ottenere il massimo da un ridotto apporto di nutrienti. Recenti studi che hanno esaminato la me-tilazione del DNA in questa popo-lazione di sopravvisuti alla grande carestia olandese hanno mostrato cambiamenti nei geni coinvolti nel controllo metabolico. ♦

Aurelio Giavatto. Medico chirurgo, spe-cializzato in dermatologia e venereologia, esercita medicina manipolativa: viscerale, craniale, neurale e miofasciale.

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13Genetica Antropologia

la TraSmiSSiOnedelle credenze

Si possono ereditare comportamenti legati ai ricordi dei genitori?

Un approfondimento dell'articolo precedente

parole chiave. Credenze, epigenetica, cultura, rituali, comportamento.

abstract. Un'importante ricerca pubblicata di recente su "Nature Neuroscience" ha dimostrato che i topi di laboratorio possono ereditare comportamenti legati a memorie dei genitori, senza mai aver-ne avuto esperienza diretta e senza mutazioni nel loro DNA. L'origine di questo fenomeno è tuttora in parte oscura, ma gli autori suggeriscono che si debba cercare nel campo dell'epigenetica. Esiste dunque un ramo dell'epigenetica definita “sociale”, che si occupa della possibile trasmissione ai figli di comportamenti e credenze da parte dei genitori.

di Claudio Brigati3In

ereditarietà dei comportamenti. Siete seduti su una panchina in un bel parco; è estate, una

giornata afosa.Qualche cirro-cumulo sparso, un'in-sopportabile umidità. D'un tratto, un lampo, seguito da un debole rombo, lontano; la vostra piccola figlia ha un sussulto. Gli oc-chi sbarrati nel terrore, trema. Una reazione abnorme, sproporzionata al caso, pensate. In fondo, è solo una luce accecante, un piccolo ru-more...Ma se scavate nella vostra memoria, forse c'è un legame: non era succes-so anche a voi, qualche anno ad-dietro, poco prima dell'inizio della gravidanza di vostra moglie? Ma sì, era stato in montagna: quel fulmine vi aveva colto di sorpresa, tagliando poi sagittalmente un cirro ad una cinquantina di metri di distanza, e voi impietriti, nel panico.Questo episodio, ricavato da un'esperienza personale, serve ad introdurre un importante lavoro pubblicato nel numero di gennaio

di “Nature Neuroscience” da parte di Ressler e coll.1 dal titolo “Parental olfactory experience influences be-havior and neural structure in sub-sequent generations”.In esso si dimostra che topi di labo-ratorio possono ereditare comporta-menti legati a memorie dei genitori, senza mai averne avuto esperienza diretta e senza mutazioni nel loro DNA.L'approccio è stato di sottoporre to-pine ad una scarica elettrica di bassa intensità ogni volta che nella gabbia veniva introdotto un profumo di acetofenone (un misto di vaniglia e ciliegia). Come ampiamente pre-visto dal condizionamento pavlo-viano, dopo alcuni cicli le topine tremavano dal terrore al solo respi-ro del profumo. Allora, dove sta la novità? La novità sta nel fatto che, dopo accoppiamento, la reazione al profumo era trasmessa alle genera-zioni successive in cui i topi discen-denti, nonostante non fossero mai stati esposti al profumo, avevano reazioni di tremore intenso al primo respiro dello stesso, ma non ad altri profumi, per quanto simili.

Un altro tassello importante del mo-saico era che lo stesso effetto pote-va essere riprodotto sottoponendo topine a fecondazione assistita con spermatozoi forniti da topi sotto-posti allo stesso condizionamento, attribuendo quindi alle cellule ger-minali, indifferentemente maschili o femminili, un ruolo decisivo per questa trasmissione trans-generazio-nale. L'origine del fenomeno è ancora parzialmente oscura, ma gli autori suggeriscono che si debba cercare nel perimetro dell'epigenetica.

Epigenetica, ambiente e cultura. La definizione “epigene-tica”, operata da Waddington negli anni '40, descrive modificazioni chimiche a carico del DNA e del-le proteine che lo avviluppano nel nucleo della cellula, gli istoni. Que-ste modificazioni, pur non essendo mutazioni (cioè non determinando alcun cambiamento della sequenza del DNA), agiscono in pratica come se lo fossero, potendo alterare la funzione di un dato gene o di intere serie di geni.

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Figura 2.1 - A destra Conrad Hal Waddington (Evesham, 1905 - Edimburgo, 1975), fu biologo, epistemologo e genetista. È a lui

che si deve la definizione negli anni '40 di "epigenetica". Docente all'università di Edimburgo dal 1946, fu presidente dell'Unione

internazionale delle scienze biologiche dal 1961 al 1967.

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AnemosneuroscienzeA Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Coerentemente con l'ipotesi epige-netica, esaminando l'assetto in un gene particolare coinvolto nell'ol-fatto, OLRF151, Ressler ha notato in spermatozoi di topi condizio-nati e nelle generazioni successive una massiccia de-metilazione (una modificazione che risulta in iperat-tività genica) rispetto al gruppo di controllo, o rispetto ad un gruppo che era stato condizionato da odori diversi.La cosa ha suscitato grande scalpore ed anche qualche scetticismo nella comunità scientifica. Senza adden-trarci nelle specifiche obiezioni e nel dibattito tecnico, l'aspetto che si può sottolineare è che sempre più spesso vengono descritti, su riviste autorevoli, episodi di trasmissione trans-generazionale di fenomeni che hanno un'origine ambientale o comportamentale/culturale e l'epi-genetica sembra esserne il motore molecolare.L'uomo, si sa, vive immerso in un ambiente che lo nutre e lo forgia, ma un determinismo genetico ed una credenza “genocentrica” aveva-no negli ultimi decenni ostacolato il passaggio della nozione che l'am-biente possa causare modificazioni trasmissibili anche senza determina-re mutazioni, quasi a rivalutare un secondo “lamarckismo”.In effetti, agendo attraverso modifi-cazioni chimiche che producono ef-fetti immediati, l'epigenetica si pone come interfaccia ideale tra uomo ed ambiente e si rivela il mezzo efficace per un codice fisso come il DNA, per far fronte in modo rapido, rever-sibile e su un lungo raggio, a bruschi cambiamenti esterni. Quando que-sti cambiamenti avvengono anche in cellule della linea germinale (ovo-citi e spermatozoi) si può assistere al passaggio della modificazione fun-zionale nella progenie. Molte osservazioni, per esempio in

campo metabolico, sono state legate all'epigenetica: nella cosiddetta me-moria iperglicemica, dove le vascu-liti diabetiche rimangono ben oltre il ripristino della glicemia normale e si propagano alla progenie2 o nel-la tendenza all'obesità/ipertensione di discendenti della grande carestia olandese degli anni '30-403. Esiste poi un'epigenetica “socia-le”, cioè un ramo dell'epigenetica ambientale che si occupa della tra-smissione ai figli di comportamenti e credenze (termini qui usati in ac-cezione larga, per esempio anche in ambito psichiatrico). Questa disciplina tende ad approc-ciare argomenti finora di compe-tenza psicosociale, come devianza, dipendenze, tendenze al suicidio, particolari attitudini creative, ideo-logie estreme, etc. In questo caso la spiegazione mec-canicistica del fenomeno è ancora più ardua, poiché verosimilmente si dovrebbe partire da modificazio-ni epigenetiche a carico di neuroni in regioni della corteccia attivate da relazioni sociali, apprendimen-to, esperienze significative, che poi per qualche via non ancora conosciuta si trasmettono alle discendenze (attraverso le cellule germinali e non fenomeni imitativi, stando a Ressler e Coll). La difficoltà di arrivare a le-gare i passaggi tra soma e ga-meti è anche accentuata dal-la diffusa cancellazione dei segnali epigenetici durante la gametogenesi, che però in questo caso sarebbe in-completa, sottendendo una pressione evolutiva a carico di questi elementi culturali.

Le credenze e i rituali di accompagnamen-to. Alcuni animali celebra-

no i morti, talvolta li seppelliscono. Gli umani li piangono con rituali elaborati, occasionalmente con ac-compagnamenti musicali. I rituali costituiscono un legame col passa-to e una forma di coesione sociale. Quando sono solenni e coreografi-ci si imprimono nella memoria in modo quasi indelebile. Nonostante la diversità fra le pratiche e la di-sparata collocazione geografica, le credenze e la loro rappresentazione sono una componente fondamenta-le di ogni società. In generale, esse vengono tramandate in modo tal-mente regolare da far pensare che rivestano un significato evolutivo. I rituali che accompagnano le cre-denze hanno un carattere stereoti-pato e ripetitivo, creando a volte nei protagonisti un senso di trance, e si stampano nella memoria con poten-ziamento a lungo termine. Servono a espandere le credenze e a raffor-zarle nella popolazione, hanno varie sfaccettature: si va dall'accensione delle candele alla disposizione degli individui o oggetti nello spazio, alle decorazioni, ovviamente alla gestua-lità, alla musica e alla danza.

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I rituali sembrano parte integrante e inevitabile dello sviluppo dei ver-

tebrati; molti animali prima dell'ac-coppiamento effettuano movenze a segmenti iterativi; nell'infanzia i bambini adottano spontaneamen-te, senza istruzioni esplicite, molti rituali prima di tappe importanti della giornata, per esempio prima del sonno o dei pasti. Questi com-portamenti sembrano essere quasi innati e si può quindi supporre che siano trasmessi trans-generazional-mente. Si è scoperto che il rituale si accompagna spesso alla secrezione di ossitocina, un ormone implicato nella sensazione di ricompensa e si-curezza interiore. Le credenze sono una sorta di nar-rativa comune. La credenza più universale, la religione, è sempre accompagnata da rituali stereotipa-ti e solenni. Non è certo se corri-

sponda ad una necessità adattativa (esiste il sospetto che lo sia, vista la sua diffusione universale) o ad una semplice diffusione di una serie di memi, atti a mantenere la coesione sociale. Un aspetto affascinante, se si inda-ga un ruolo evolutivo delle creden-ze “religiose” è quello che si ricava dall'analisi dell'idolatria. In molte civiltà passate gli idoli hanno avuto una rappresentazione spesso tesa a generare timore, quando non ad-dirittura paura, nell'astante. Julian Jaynes ne fornisce una descrizione dettagliata nel suo celebre “Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza” (Adelphy) descri-vendo per esempio l'uso frequen-te di bulbi oculari abnormemente ampi rispetto al capo, con le cavità spesso riempite di pietre scintillanti o rifrangenti, quasi a dar l'impres-

sione di parlare; a volte, per accre-scere il terrore, gli idoli avevano occhi sovrannumerari ed il corpo cosparso di sangue. In questo caso si può presumere che empiricamen-te i “sacerdoti” di queste lontane civiltà abbiano riscontrato una più efficace trasmissione delle creden-ze sulla base di memorie associate a paura, una sorta di esperimento culturale anticipato rispetto ai risul-tati di Ressler e coll.Ora, la domanda che ci si può porre è: se le memorie traumatiche pos-sono veramente trasmettersi per via epigenetica, si può supporre che anche le credenze ed i loro rituali orgiastici (così scolpiti nella memo-ria di chi vi partecipa) possano fare altrettanto?

Epigenetica e trasmissio-ne trans-generazionale di

Figura 2.2 - Le credenze sono una sorta di narrativa comune. La credenza più universale, la religione, è sempre accompagnata da rituali stereotipati e solenni. Non è certo se corrisponda ad una necessità adattativa o ad una semplice diffusione di una serie di memi, atti a mantenere la coesione sociale. Nell'immagine: stampa raffigurante il battesimo di Gesù tratta da un volume di religione popolare.

Genetica Antropologia

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A Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

cultura e comportamento.Naturalmente non abbiamo rispo-ste certe. Però, anche prima dell'ar-ticolo di Ressler, in letteratura esi-stevano descrizioni convincenti di trasmissioni trans-generazionali di

connotati culturali e sociali.Nei roditori, le interazioni madre-bambino durante la prima settima-na post-partum mostrano variazioni naturali stabili del comportamento materno affettivo, in particolare nel leccare/grattare (L-G) e ricurvarsi sui piccoli (arching-back). I discendenti nati da madri che presentano alti li-velli di L-G sono meno ansiosi in un nuovo ambiente e mostrano una ridotta risposta steroidea allo stress rispetto ai figli di madri a basso L-G. Inoltre, discendenti nelle generazio-ni successive sembrano mantenere il comportamento.4

A livello molecolare, le risposte allo stress nei cuccioli di madri ad alto L-G sono associate con modi-ficazioni epigenetiche nei recettori per estrogeni e glucocorticoidi nel cervello (regione ippocampale) ed è stato postulato che nell'accudimen-to umano, dove L-G è sostituito da strumenti culturali, possano verifi-carsi situazioni simili5. Negli umani esistono solo prove correlative indicanti che le modifi-cazioni epigenetiche possono asso-ciarsi alle interazioni genitori-figli e sarebbe interessante indagare la loro

trasmissione attraverso le generazio-ni in casi di abusi, maltrattamenti, o l’incapacità genitoriale con tenden-za all'abbandono. Purtroppo però gli esperimenti subiscono la grave limitazione di essere applicabili es-

senzialmente sui soggetti post-mor-tem, e la loro dimostrazione nella nostra specie è ancora lontana.Così, forse dovremmo aspettare un ulteriore sviluppo del neuroimaging. Sebbene queste tecniche stiano at-tualmente rilevando esclusivamente attività cellulare e non molecolare su singoli geni, l’aspettativa è che in futuro saranno in grado di rivelare anche cambiamenti epigenetici, ad alta risoluzione. Un passo avanti potrebbe essere ad esempio identi-ficare tali modifiche in modo indi-retto, attraverso il rilascio locale di sottoprodotti rivelabili6. Indubbiamente, se il lavoro di Res-sler troverà una spiegazione plausi-bile attraverso meccanismi epigene-tici, allora tutto ciò che costituisce il vissuto genitoriale, molti ricordi che hanno alla base un potenziamento a lungo termine potrebbero essere passati verticalmente ai successori e già si sta indagando sulla trasmis-sione alla discendenza di memorie terribili come nei reduci da guerre. Esiste allora un condizionamento a cui inconsapevolmente siamo sog-getti fin dalla nascita, per merito o disgrazia dei nostri genitori? Esiste

la possibilità che molti aspetti della cultura, di parte di ciò in cui cre-diamo, in campi disparati che van-no dalla religione alla politica alla visione della società e i rapporti in-terpersonali, insomma delle nostre tendenze anche più ineffabili, siano il frutto di una trasmissione genito-riale?Qui si apre un capitolo delicato, perchè spesso nella società occiden-tale i genitori scaricano sui figli le proprie aspettative o frustrazioni ed impongono loro il raggiungimento dei loro mancati obiettivi di vita. In questo caso la prospettiva tende a ribaltarsi e ad attribuire ai genitori una grande responsabilità: forse noi sappiamo già il loro sapere, credia-mo da subito alle loro credenze.Alcuni anni fa Chris Winter della British Telecom aveva teorizzato (per fortuna solo teorizzato) la pos-sibilità di impiantare nella retina di neonati una microcamera CCD che memorizzasse tutte le esperienze di vita dell'individuo, per poi rivivere tutte le registrazioni scaricandole su un computer. Estremizzando ulte-riormente, arrivò a proporre di im-piantarla in un successivo neonato, facendo in modo che il ricevente “veda scorrere” la vita del donatore.Naturalmente siamo nel campo del-la fantamedicina farneticante, ma forse in futuro scopriremo che la natura scrive in noi da sempre, in forma epigenetica, il romanzo delle nostre memorie più intense da tra-mandare, come un dono, ai nostri discendenti.♦

Note e indicazioni bibliografiche

1 Nature Neuroscience 17, 89–962 Diabetes 58, 1229–12363 Reproductive Toxicology, 20, 345-352.4 Behav. Neurosci. 121, 1353–1363. 5 Frontiers in genetics 2, 111-1296 Nature 449, 105–108.

Claudio Brigati. Laureato in medicina e chirurgia. Già dirigente medico presso l’Istitu-to Nazionale per la ricerca sul cancro - sede di Genova - staff genetica/epigenetica dei tu-mori. Tra le sue esperienze professionali si segna-lano: periodo di studio e lavoro presso l'Istitu-to Karolinska di Stoccolma 1983-1985, Istituto di Immunobiologia; periodo di comando pres-so Columbia Univ. di New York per progetto collaborativo come visiting fellow, 1989-90; periodo di comando presso Albert Einstein College di New York - Dipartimento di Biolo-gia Cellulare, per progetto collaborativo come visiting scientist, 1996-98.

«ora, la domanda che ci si può porre è: se le memorie traumatiche possono veramente trasmettersi per via epigenetica, si può supporre che anche le credenze possano fare altrettanto?»

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festa di sant'Anto-nio. Con l’inizio del secondo millennio sem-brano definitivamente perdute molte tradizioni

e credenze che hanno segnato la vita degli uomini del passato.Alla fine di un'epoca, quella della società agricola dell’occidente, forse non è inutile cercare di rievocare le antiche festività calendariali del mon-do contadino come fece Macrobio al tramonto dell’impero romano. Nelle feste antiche confluivano sim-boli e tradizioni in un processo di assimilazione continuo delle eredità religiose precedenti che hanno offerto ai credenti nuovi quadri di vita ten-tando di imporre uno stile di rappor-ti tra Dio e l’uomo, tra l’uomo ed il mondo.“L’immaginazione mitologica cristia-na”, come ebbe ad osservare Mircea Eliade “acquisisce e sviluppa motivi e scenari specifici della religiosità co-smica, ma che hanno già subito una reinterpretazione nel contesto biblico [...] Il fenomeno è importante perché caratterizza la creatività religiosa di tipo folkloristico - su cui non si è sof-fermata molto l’attenzione degli stori-ci delle religioni - che è una creatività

parallela a quella dei teologi, mistici e artisti.Si può parlare di cristianesimo co-smico poiché da un lato, il mistero cristiano viene proiettato sulla natura intera, e dall’altro, vengono trascurati gli elementi storici del cristianesimo, insistendo invece sulla dimensione li-turgica dell’esistenza del mondo.”Il periodo dell’inverno che dal solsti-zio si avvia all’equinozio di primavera è punteggiato di feste e cerimonie di segno contrario. La festa di Sant’An-tonio, la Candelora, il Carnevale, la Quaresima.Non potendo percorrerle tutte, da-remo una breve descrizione di una sola, la festa di Sant’Antonio. Festa calendariale importante che cade il 17 gennaio e che prenderemo come esemplificativa di quel fenomeno di assimilazione operata dalla Chiesa nei confronti di antichi riti ed usanze ar-caiche dopo aver constatato l’impossi-bilità di eradicarle. La sua festa sostituisce antiche feste pagane, romane e celtiche, dedicate alle Grandi Madri e sotto il nome del santo ritrova e ripropone la primige-nia funzione lustrale e propiziatoria. Nelle campagne fino a poco tempo fa il 17 di gennaio era un giorno di festa e nel giorno della vigilia il parroco ve-niva nelle stalle a benedire gli animali e a consegnare, come pratica apotro-paica, l'immagine del santo.Sant’Antonio, patriarca del monache-simo, non è un essere leggendario ma

c’era uNA voLtA...La festa di Sant'Antonio: un esempio di assimilazione di antichi riti ed usanze operato dalla Chiesa

parole chiave. Sant'An-tonio, Chiesa, credenze, se-colarizzazione.

abstract. Molte credenze e tradizioni che hanno se-gnato la vita degli uomini del passato sembrano oggi es-sere andate perdute. Nelle feste antiche simboli e tra-dizioni andavano a confluire in un processo continuo di assimilazione delle eredi-tà religiose precedenti che hanno offerto ai credenti nuovi quadri di vita tentando di imporre uno stile di rap-porti tra Dio e l’uomo. Dal momento che non è possibi-le ripercorrerle tutte, in que-sto articolo viene descritta la festa di Sant’Antonio (17 gennaio) che viene presa come modello per spiega-re il fenomeno di assimila-zione operato dalla Chiesa nei confronti di antichi riti ed usanze arcaiche dopo aver constatato l’impossibilità di eradicarle.

di Vitaliano Biondi1App

Figura 3.1 - Nella pagina accanto "Il Cristo risorto appare a Sant'Antonio Abate", pala dell'altare della Chiesa Parrocchiale di Castelcovati (Brescia), opera di Sante Cattaneo (1739 - 1819).

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è vissuto in Egitto tra il 250 ed i 356. Lo testimoniano una lettera

indirizzata all’abate Teodoro e la “Vita di Antonio” scritta dal un suo disce-polo, sant’Atanasio.È in Francia, dove le reliquie di sant’Antonio furono traslate nel XI secolo che nasce il culto del santo che viene raffigurato sempre in compagnia di un maiale. In alcuni quadri, come quello del Pisanello conservato alla National Gallery di Londra, è accom-pagnato ancora dal cinghiale. I celti onoravano il cinghiale e l’animale era l’attributo del dio celtico Lúg che era raffigurato come un giovane che porta in braccio il cinghiale.I celti adoravano questo animale tan-to da porre una sua effige sugli elmi e sugli stendardi e ad acconciarsi i capel-li con il gesso per riprodurre le setole dell’animale, come testimoniano i ca-pelli della statua del Galata morente.I sacerdoti Druidi erano chiamati Grandi Cinghiali bianchi ed ancora in età medievale era credenza che l’ani-male fosse sacro e si narrava che tutti i re merovingi avessero il dorso coperto

di setole come i cinghia-li. La chiesa nell’opera di cristianizzazione dei celti ha dunque trasferi-to gli attributi di Lúg a Sant’Antonio.Il maiale, animale dome-sticato e per questo più tranquillizzante, ha poi sostituito, secondo una strategia rivolta all’oblio degli antichi dei, il cin-ghiale, animale di selva, simbolo della barbara ferinità.Sant’Antonio, nel processo di cristia-nizzazione, assunse anche le funzio-ni di custode degli inferi esattamente come Lúg, signore della morte e della risurrezione.Sant’Antonio diventò il padrone del fuoco, colui che poteva salvare dal fuoco eterno le anime e che aveva combattuto i demoni che lo tentava-no.Padrone anche di quel fuoco che tor-mentava chi era affetto da ergotismo canceroso dovuto all’ingestione di pane o altri cibi preparati con farina

contaminata dal fungo Claviceps pur-purea detta volgarmente "segale cornu-ta", unica responsabile della malattia. Per assistere gli ammalati sorse allora l'Ordine ospedaliero degli Antoniani, che prese come insegna la gruccia a forma di Tau, tradizionale attributo di Antonio e simbolo divino in Egitto. A questo si accompagnerà la campanella che i maiali degli ospedali antoniani portavano al collo per riconoscimen-to. La campana non è però a ricordo di questa usanza, ma perchè simbolo della Grande Madre, simbolo di mor-te e resurrezione, attributi ancora una volta dell’antico dio Lúg.

Figura 3.2 e 3.3 - A sinistra l'economista e sociologo tedesco Max Weber (1864 - 1920).Secondo Weber il termine "disincanto del mondo" riassume l'evoluzione che ha condotto alla nascita della società borghese-capitalista e all'inizio dell'era moderna.Sotto La vergine e il bambino con San Giorgio e Sant'Antonio, opera del pittore Antonio Pisanello (1395 circa - 1455 circa), uno tra i maggiori esponenti del gotico internazionale in Italia.

Storiografia Antropologia

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A Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Indicazioni bibliograficheGeorges Bataille, Opera completa, 1970-1988. Mircea Eliade Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 1999.

Max Weber, Scienza come vocazione. E altri testi di etica e scienza sociale, Franco Angeli, 1996.

La tradizione popolare ha poi volu-to vedere nel maiale il diavolo, che, sconfitto da Antonio, fu da Dio con-dannato a seguire docile il santo. L'epoca della secolarizza-zione. Oggi forse e per sempre dopo millenni gli antichi dei ci hanno la-sciato. Viviamo, di fatto, così si dice, nell'epoca della secolarizzazione, nell'epoca cioé inaugurata dalla critica della religione in età moderna e giun-ta ormai a compimento nel nostro secolo attraverso l'eliminazione pro-gressiva, dalla vita degli uomini e delle società, del riferimento al sacro e del riferimento alla trascendenza ed al re-ligioso. Viviamo insomma nell'epoca del "disincanto del mondo", come lo definiva M. Weber. Eppure in molti, nel nostro secolo, hanno voluto vede-re nella scomparsa del sacro uno dei segni più drammatici della decadenza, che si annuncia come inesorabile, del-la civiltà occidentale, la stessa che ad un certo punto del suo cammino ha creduto di poterne fare a meno (cfr. G. Bataille ed il Collège de sociologie). La sua rimozione consente difatti il ri-torno, in forma di sintomo, di quelle forze e di quelle potenze che il sacro, fino a quando aveva potuto fungere da supremo dispositivo di regolazio-ne sociale, aveva controllato ed inca-nalato. Poiché proprio questa sembra essere stata, a lungo, la funzione del sacro: attraverso delle proibizioni e delle prescrizioni, istituire degli inter-detti e delle obbligazioni fondamen-tali per l'esistenza degli uomini, dal momento che grazie ad essi gli uo-mini potevano costituire un universo ordinato, orientato e dotato di senso, pertanto relativamente rassicurante. L'osservazione di regole e di riti, la tra-smissione attraverso narrazioni e miti, l'autorappresentazione per mezzo di iniziazioni e di misteri, l'ordinamento di un universo altrimenti inintelligibi-le ed impadroneggiabile: tutto questo

giustificherebbe la nascita del discor-so e dell'insieme di pratiche incaricate di amministrare il sacro, le religioni, unitamente al corpo dei funzionari specializzati nella conoscenza e nella gestione del sacro.

Funzione del sacro. Ma da or-mai molto tempo la nostra cultura ha introdotto una separazione tra sé (noi) ed il sacro, facendone piuttosto l'oggetto di una indagine: ha fatto l'inventario delle figure del sacro, ha sviluppato l'analisi delle forme stori-che che il sacro ha assunto all'interno delle grandi civiltà dell'antichità, ha dissezionato le religioni e le forme mitiche che hanno corso presso i po-poli cosiddetti primitivi, ha affrontato l'esame delle forme istituzionalizza-te e codificate del sacro all'interno delle grandi religioni occidentali, ha descritto come sia venuta evolvendo l'esperienza del sacro nelle diverse epoche della storia dell'occidente, se-condo una rigorosa articolazione di tale esperienza al più generale ambito dei saperi, delle ideologie e delle pra-tiche politiche. Ancora, antropologi e sociologi hanno delineato la struttu-ra, la natura e la funzione del sacro in una società detta "secolarizzata" come é quella contemporanea. Tra le forme, poi, del sapere contemporaneo che hanno saputo elaborare una analisi originale del fenomeno "religioso" in generale, ed in particolare della fun-zione del sacro nella costituzione del legame sociale "a partire da un cri-mine commesso in comune", come diceva Freud, e che pertanto hanno cercato di spiegarlo indagandone le strutture profonde, vi sono le disci-pline psicodinamiche, e tra di esse un posto privilegiato, nella configurazio-ne contemporanea del nostro sapere, occupa la psicoanalisi, la quale analiz-za appunto le corrispondenze tra or-ganizzazione immaginaria del socius e struttura simbolica che presiede alla

formazione della soggettività indivi-duale.Eppure, il sovrappiù di sapere ormai inseparabile della nostra esperienza del sacro, non ci ha messo al riparo - e l'attualità sovente tragica é lì a testi-moniarlo - dal riemergere delle forme più arcaiche della sua manifestazio-ne. Ecco allora rinascere fondamen-talismi antichi o recenti, accoppiarsi agli aspetti più inquietanti di vecchi e nuovi nazionalismi e tribalismi etni-ci. A fronte di tutto questo é urgente, forse, recuperare una domanda ed un bisogno che sono comunque soggia-centi all'esperienza del sacro, e che potremmo chiamare, con una parola antica, spiritualità. Ma quali sono i suoi luoghi, rimossi e marginali, nella nostra cultura? Probabilmente si tro-vano nell'arte e nella letteratura. Da almeno due secoli, ad essa sem-bra essere stato affidato il compito di fabbricare dei simulacri del sacro, se non dei veri e propri sostituti. Dai ro-mantici in poi la cultura moderna ha prescritto all'esperienza estetica di co-struire un nuovo universo simbolico capace di rimitizzare sempre di nuo-vo, l'esperienza umana, una volta che "gli dei hanno abbandonato la terra" (Holderlin).Da allora é proprio dall'esperienza artistica che gli uomini hanno atteso "un dio nuovo" (Nietzsche). Non sap-piamo se esso sia giunto, né se dalle arti lo si possa (o debba) ancora ragio-nevolmente attendere. Ma é certo che i mondi che esse han saputo creare re-stano ancora, per noi, abitabili. ♦

Vitaliano Biondi. Architetto, si occu-pa di architettura, giardini, paesaggio ed eventi culturali.Suoi lavori sono stati esposti alla Biennale di Venezia, al Beaubourg ed al Grand Palais di Parigi.

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13Psicologia Sociologia

credenze e cOeSiOne

SOcialeCome si spiega la nascita della società

e come riesce a perpetuarsi nel tempo? In questo sviluppo che ruolo hanno le credenze?

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convivenza civile. Gli uma-ni sono animali sociali, ma tale certezza non basta a spiegare l'esistenza della società e il suo perpetuarsi. Tra gli elementi

da considerare il primo è senz'altro quello di “ordine sociale”, che comporta due domande: quali sono le modalità organizzative che gli individui si danno, e quale rapporto lega l'in-dividuo alla collettività. Un terzo elemento da analizzare riguarda il pensiero e l'azione indi-viduale in rapporto alle convenzioni sociali.Il sociologo che per primo ha chiarito questi concetti in modo sistematico è stato Émile Durkheim, che ha analizzato anche le que-stioni legate all'integrazione e alla solidarietà, connaturate al tema di cui si tratta. Nonostan-te la ricchezza e l'eterogeneità dei contributi teorici formulati nelle varie epoche (oltre il Durkheim, Luhmann, Parsons, ecc.) tentiamo qui un'estrema sintesi di quella che possiamo considerare il fulcro della convivenza civile, a partire dalle società tribali per arrivare a quella nostra, occidentale e “razionalista”.Diciamo subito che la convivenza viene de-finita “civile” quando è armonica e unitaria, e si svolge nel rispetto delle singole esigenze individuali; ma, com'è facile immaginare, tale definizione assume sfaccettature diverse e non sempre è condivisa da tutti. Tuttavia la que-stione che qui ci interessa non concerne tanto la definizione di coesione, ampiamente spie-gata in altre parti della rivista, quanto come avviene tale processo. Bisogna anzitutto partire dal concetto di co-scienza collettiva, ovvero dall'insieme dei sentimenti, delle rappresentazioni dei modelli di comportamento codificati, dalle norme e dalle credenze comuni ai membri della socie-tà, rappresentazioni condivise che vanno ol-tre il singolo individuo. Si tratta di norme e credenze che costituiscono prodotti culturali che si sono formati storicamente e che, dopo un lento processo di assimilazione, hanno ac-quisito lo stesso carattere di oggettività delle cose naturali. Infatti ogni individuo di un de-terminato gruppo sociale sa che le rappresen-tazioni collettive (la messa, una parata, un cor-teo, ecc.) esistono “da sempre”, o comunque prima di lui e che continueranno ad esistere anche dopo di lui. Il singolo si trova perciò in un flusso di pratiche collettive che dan-

A Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13 Anemosneuroscienze

parole chiave. Credenze, coesione, società, conviven-za civile.

abstract. Come è possibile spiegare l'esistenza della so-cietà e il suo perpetuarsi? Sappiamo che gli esseri umani sono animali sociali, ma questo non basta per rispondere a tale quesito. Tra gli elementi da considerare c'è senz'altro quello di “ordine sociale”, che è a sua volta legato alle mo-dalità organizzative che gli individui si danno e al pensiero e all'azione individuale in rapporto alle convenzioni sociali.

di Adriano Amati1App

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Figura 4.1 - A destra il sociologo e antropologo francese Émile Durkheim (1858 - 1917). Fu tra i primi a comprendere lo stretto

rapporto esistente tra la religione e la struttura del gruppo sociale.

no forma, sostanza e significato all'intera realtà sociale: si tratta

anche e soprattutto di rituali dal ca-rattere simbolico - di natura celebrati-va, evocativa, scaramantica o religio-sa - che ricorrono periodicamente, in cui gli individui condividono gli stes-si sentimenti e analoghi valori.Durkheim suggerisce che si tratta di un fenomeno morale in cui il sin-golo si uniforma al fatto esterno che lo simbolizza, e che il fatto interno a ciascuno passa in secondo ordine; come accade in fisica, dove le pro-prietà di un singolo elemento resisto-no alla rottura e alla separazione, così il corpo sociale tende a mantenersi integro.

La credenza. Il nodo che trattie-ne il singolo individuo alla società è appunto la credenza (termine tratto dal verbo intransitivo credere, che indica l'essere persuasi di un'opinione) basa-ta sui fatti, anche solo supposti, o sul-la fede. Può essere di natura religiosa, popolare, pseudo-scientifica, super-stiziosa, e non opera come semplice suggestione individuale, ma come collante capace di unire l'intera co-munità in un unico sentimento dalla valenza collettiva. Questo agevola il processo identitario e, di conseguen-za, il sentimento di appartenenza a un gruppo di individui, per cui il sin-golo si riconosce in loro; non solo in termini generali e teorici, ma anche nelle minime pratiche quotidiane.Per fare un esempio attuale: crede-re nei messaggi della televisione, o percepirne gli effetti in modo subli-minale, porta milioni di spettatori-consumatori a comportarsi tutti in modo analogo, seguendo l'esempio che viene loro fornito. Non importa che il messaggio provenga da realtà o finzione, esso rappresenta il modello unificante che tende ad omologare i comportamenti individuali. L'emu-lazione, fenomeno tipico del regno animale, fa si che il singolo sia porta-to ad imitare l'altrui comportamento, però nel caso degli umani l'adesione

non è solo comportamentale, ma anche valoriale o, per meglio dire, morale: le norme non scritte, ovvero tutta quella materia che il diritto non contempla, vengono comunque fatte proprie, e in modo del tutto sponta-neo. Consapevole o no che sia, in tal modo il singolo diventa cittadino, membro della società, parte di un in-sieme che lo sopravanza, specchio del suo prossimo. L'effetto di tale identi-ficazione è l'armonia sociale, che ai diversi livelli di qualità (assai differen-ziata nelle diverse aree del pianeta) fa della società una comunità integrata in cui è possibile la convivenza civi-le, e non si sente il bisogno né tanto meno l'impulso di sbranarsi gli uni con gli altri.Oramai la credenza non s'affida più unicamente alla suggestione, come avveniva ad esempio in epoche passa-te, poiché dall'illuminismo in poi la ragione ha temperato tale propensio-ne (senza però cancellarla del tutto); né subisce più ciecamente le strumen-talizzazioni del potere, in quanto la presa di coscienza individuale, di cui il Novecento è stato protagonista, ha portato la coscienza a maturare l'in-trospezione, l'analisi interiore che fornisce l'opportuno disincanto.Però dobbiamo prendere atto che, nonostante oggi la ragione impedisca abbagli grossola-ni, resta, espresso o sublimi-nale, un condizionamento che porta a un'adesione non del tutto spontanea all'idea o all'atteggiamento della cultu-ra dominante. Tenuto conto di questo scarto tra socialità e individualità, la credenza continua a produrre sia effet-ti positivi che effetti negativi, in un equilibrio instabile che bisogna a tutti i costi tenere sotto controllo.Qui s'innesta il famoso prin-cipio secondo cui la libertà di ciascuno finisce dove comin-cia quella dell'altro; ma tale bordo, variabile e dunque in-

situabile, è in un equilibrio instabile che va appunto attentamente sorve-gliato. È il principio della democrazia liberale, nella quale è richiesta l'ade-sione spontanea di ciascun cittadino, libera e consapevole; adesione che spesso si conferma in pubblico con la ritualità di cui si è detto, e che ser-ve a rassicurare gli altri membri della società circa la sua piena adesione ai valori condivisi.Le liturgie religiose, siano esse di re-ligioni monoteiste o animiste, sono forse l'esempio principe di come i di-versi gruppi umani, riuniti a pregare secondo un rito collettivo, abbiano nei secoli cementato un sentire co-mune. Non importa quanto vero o presunto, né se riferito a valori credi-bili o assurdi, essere tutti figli o sud-diti di questo o quel dio rende i suoi fedeli fratelli; in quest'ambito non ha alcun senso entrare nel merito di questa o quella credenza, poiché cia-scuno vi aderirà a suo modo. Se il dio a cui quei credenti s'ispirano intende punire gli uomini (con un terremo-to, un'inondazione, ecc.), ebbene li punirà tutti, e dunque tutti quanti i membri si sentiranno ugualmente vit-time dell'ira del loro dio. La condivi-sione di quella condizione è il primo passo verso la comunione; poi arri-

Psicologia Sociologia

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AnemosneuroscienzeA Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Talcott Parsons, Struttura dell'azione sociale, Ed. Il Mulino, 1962.Émile Durkheim, Le forme elementari della vita reli-giosa, Meltemi Editore, 2005.

Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1978.

Indicazioni bibliografiche

veranno altre circostanze simili che si stratificheranno nel tempo dando vita alla tradizione, spina dorsale di ogni credenza.

Rappresentazioni della re-altà dell'uomo. Anche il senti-to dire, il senso comune, l'opinione diffusa, l'idea prevalente di un fatto, operano in modo indipendente dalla realtà del fatto. Questo genere di rap-presentazioni confina col pettegolez-zo, con la diceria, con la nomea, con la voce pubblica, eppure contribuisce a costruire una certa idea su una per-sona, su un evento e su altro ancora. Questi “si dice” sono un complesso variamente sistematico e coerente di rappresentazioni della realtà dell'uo-mo (la definizione è del sociologo Luciano Gallino) che conferisce ordi-ne e significato alla vita quotidiana. Attorno al senso comune si costru-iscono poi giudizi di valore su fatti non accertabili, reazioni emotive prive di reale consapevolezza, atteg-giamenti fideistici senza strutture lo-giche, si scelgono alcuni elementi di riferimento e li si enfatizza. Insomma, perché una credenza sia socialmente efficace, nel senso sopraindicato, essa non deve necessariamente avere ri-scontri scientifici né ottemperare ad esigenze logico-razionali, ma essere sentita o creduta intimamente da cia-scun membro della società. Questo convincimento collettivo si tradur-rà in pratiche quotidiane che danno appunto ordine e significato alla vita della comunità.

Naturalmente, l'aderire devotamente a una credenza può produrre conflit-to con quanti, razionalmente moti-vati, vi si oppongono in forza della loro conoscenza logico-razionale e scientifica relativa all'oggetto di quel-la devozione. Si tratta però di una contrapposizione marginale rispetto al fulcro ideologico della comunità, per cui si svilupperanno a macchia di leopardo alcune sacche (culturali) di disapprovazione critica. Ciò però non turba l'equilibrio complessivo dei valori comuni, in quanto, an-che in questo caso, la maggioranza fagocita il dissenso e, appunto, lo marginalizza. Se poi si tratta di blan-da adesione e non di vera e propria devozione, come accade ad esempio con l'ascolto dell'oroscopo, il dissen-so si limita a un sorriso o uno sfottò, e può benissimo convivere con quan-ti invece vi si attengono.L'unico strumento per eliminare ogni conflitto tra scienza e credenza è la tolleranza culturale dei membri della società, unitamente all'uguaglianza dei singoli rispetto all'ordinamento giuridico vigente: la tolleranza sta a garanzia che ciascuno sia libero di esprimere le proprie idee e di metterle

in pratica, e il diritto fissa i bordi del-le pratiche non consentite a nessuno.L'istinto naturale di riconoscersi membri della stessa specie, il rispetto (naturale o indotto) delle idee altrui, e la legge, sono i fattori principali del-la coesione sociale; a questi, come in una sorta di brodo culturale, si me-scolano il credo e la credenza, che convenzionalmente vengono definiti come il collante sociale capace, con i fattori citati, di unificare la sfera mo-rale di una comunità. E per ribadire e rinverdire tale unità la comunità stessa appronta le rappresentazioni collettive, in forma rituale, partecipa-te da tutto il popolo; il loro periodi-co ripetersi crea la tradizione, fonte storicamente consolidata della sua identità.♦

Adriano Amati. Giornalista e scrittore, ha pubblicato libri di turismo e d’arte, ha diretto cinque testate mantovane, ha scrit-to articoli e saggi collaborando con testate locali e nazionali. Per Paolini Editore di Mantova ha pubblicato Turista a Tebaide (1991) e Bertrand il matematico (1994), per la Severgnini di Milano Dialoghi del namoro (1997), inoltre Domicilio Mantova (Editoriale La Cronaca di Mantova, 2003), Detto tra noi (Prospecta Edizioni Mantova, 2005), I miei (Il Cartiglio Mantovano Man-tova, 2006), per la casa editrice E.Lui di Reggiolo la raccolta di poesie Una voglia di Sur (2008) e il romanzo L’iride azzurra (2010). Partecipa attivamente ai contenu-ti dei prodotti della Clessidra Editrice con articoli di opinione, di attualità e di lette-ratura e in generale ai progetti della casa editrice.

Figura 4.2 - I messaggi veicolati dalla televisione portano milioni di

spettatori a comportarsi in modo analogo, seguendo l'esempio che

viene loro fornito. L'emulazione non riguarda solo il comportamento, ma anche i valori e la morale che viene

loro veicolata.

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13Filosofia Antropologia

lO SpecchiO infranTOAppunti sulla superstizione

di Antonio Petrucci 2In

parole chiave. Superstizione, credenza, tradizioni popola-ri, magia, stregoneria, antropologia.

abstract. L'articolo prende in considerazione un'altra va-riante semantica del termine "credenza" analizzato fin qui: la credenza come superstizione. La superstizione è la credenza negli effetti nefasti (disgrazia o malasorte) o, più raramente, propizi, di un evento, di una persona o di un rituale. Si ana-lizza l'origine di alcune superstizioni e si mette in luce cosa pensassero a tale proposito alcuni personaggi storici come Francesco Bacone e Galielo Galilei. Si prende in considera-zione, inoltre, l'attualità della superstizione oggi.

definizione. La superstizione è la credenza negli effetti nefasti (di-sgrazia o malasor-

te) o, più raramente, propizi, di un evento, di una persona o di un rituale.Le varie superstizioni non sono, a ben pensarci, che i residui di una cultura contadina, legata alla terra, agli alberi, agli ani-mali, ai cicli stagionali e impre-gnata di paganesimo e di magia. Pertanto fanno parte del folclore e noi le studieremo come “tradi-zioni popolari”. Tuttavia accade poi di scoprire che ciò che si credeva apparte-nere al passato appartiene anche al presente… e che in una cul-tura sempre più governata dalla tecnica esiste una sub-cultura dominata dalla magia. Ci inter-rogheremo, alla fine della nostra analisi, su questo inquietante

ritorno.

Categorizzazione. Quello che faremo non è un catalogo di superstizioni (ci vorrebbe un libro) ma una categorizzazio-ne (che però potrebbe servire a una catalogazione). Una buona catalogazione sarebbe un passo verso la comprensione del feno-meno, in genere, nei vari libri che se ne occupano, esposto di-sordinatamente.Una prima categoria di supersti-zioni comprende degli eventi: eventi che non prevedono una volontà avversa, l’invidia o l’ostilità di qualcuno, ma solo una casualità o un errore; sono esempi consueti lo specchio rot-to o l’olio rovesciato oppure il gatto nero che attraversa la stra-da, il trovarsi in tredici a tavola, ecc.Una seconda categoria prevede una volontà avversa che può

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AnemosneuroscienzeA Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

esprimersi immediatamen-te (invidia e malocchio) o mediatamente attraverso la magia. La magia si esercita sugli uomini o sulla natura per imitazione oppure per contatto (e forse anche per contrasto). Ad esempio: per far venire la pioggia si imi-tano le nuvole, per uccidere un nemico si trafigge la sua immagine, ecc.Naturalmente contro il ma-locchio e contro la magia esistono delle “contromi-sure” cioè delle “controma-gie”: amuleti (che difendo-no dal male), talismani (che portano bene), ma anche formule magiche ed incan-tesimi. S’intende da tutto ciò la cen-tralità della strega. La strega non è necessariamente mal-vagia: può fare il male ma anche il bene, può fare la magia o difendere da essa, preparare il filtro ad mor-tem o il filtro ad amorem… La strega non è necessaria-mente malvagia - ma può diventarlo se ha rapporti con il diavolo, se deriva da que-sti rapporti i suoi poteri, se partecipa al sabba, che è una riunione di diavoli e streghe caratterizzata, fra l’altro, dalla licenza sessuale. In fondo la caccia alle streghe (tipica del Medioevo e del periodo dell’Inquisizione) si può intendere come espres-sione ultima della battaglia fra Cristianesimo e pagane-simo.

Lo specchio e l’olio. Una prima considerazione si impone: la superstizione nasce da osservazioni sbagliate o addirittura da dicerie non verificate e si mantiene (se si mantiene) non solo per la mancanza di verifiche ma anche perché si rifiuta di sottoporsi alla verifica. La singola superstizione

inoltre è tale nella misura in cui ignora la sua origine. Nella misura in cui la cono-sce cessa di essere supersti-zione e diventa, tutt’al più, una “tradizione”.Si prenda, dunque, a tito-lo d’esempio, il caso dello specchio infranto e dell’olio rovesciato. La ragione per cui rompere uno specchio porterebbe sfortuna (ben sette anni!) è storica: infatti in una socie-tà povera come quella con-tadina solo i signori hanno lo specchio e chi lo rompe è la serva, la quale, per il dan-no arrecato, rischia di esse-re punita o cacciata. Forse però c’è dell’altro. Accanto alla spiegazione storica viene spontanea an-che un’ipotesi psicologica. Uno specchio rotto forni-sce un’immagine sfregiata. Ora, se ogni immagine è un “doppio” di chi si specchia - come dimostrano i rituali magici “per somiglianza” - e se l’immagine nello spec-chio è “ferita”, anche colui/colei che si specchia rischia qualche forma di ferimen-to. Si aggiunga che avere il volto sfregiato significa per-dere la bellezza e quindi il migliore investimento sul proprio futuro (e che, infi-ne, l’immagine frantumata in uno specchio sembra una suggestiva immagine della follia).Se il caso dello specchio infranto ci pare abbastanza comprensibile (per ragioni, come si è visto, sia storiche che psicologiche), ci pare in-vece incomprensibile il caso dell’olio rovesciato. In par-ticolare ci è oscura la ragio-ne per cui rovesciare l’olio dovrebbe portare disgrazia e rovesciare il vino, invece, fortuna. Anche oscura la ragione per cui gettare sale sull’olio versato dovrebbe

annullarne le nefaste conse-guenze: e infatti, se sprecare l’olio è grave perché l’olio è prezioso, anche il sale è pre-zioso e sprecarlo dovrebbe essere riprovevole. In ogni caso, però, l’assoluta con-traddizione logica di una tradizione superstiziosa do-vrebbe avere lo stesso effet-to del riconoscimento delle sue cause - e cioè svuotarla, privarla del suo significato.

Il mana. Un poco più complesso sarà il discorso per quegli aspetti della su-perstizione che implicano una volontà ostile negli al-tri - cioè per il malocchio e per la magia, per i quali dovremo cercare le spiega-zioni più lontano (nella et-nologia e nella storia delle religioni).Secondo le cosiddette “re-ligioni primitive” (Dinami-smo, Animismo) c’è una Forza, una Potenza, un Po-tere, uno Spirito che perva-de l’universo e fa sì che il cosmo sia cosmo cioè Or-dine oppure ci sono spiriti nelle cose quali espressioni di quel Potere. Non può dunque stupirci l’opinione che questa Potenza, che è dappertutto, sia particolar-mente forte, “concentrata” si potrebbe dire, in certe cose (enti). Si dice allora che queste cose o enti sono forniti di mana, sono pieni di mana, sono mana (cioè potenti e magici: potenti perché magici e magici per-ché potenti). Possono essere mana: uomi-ni e spiriti, ma anche anima-li, piante e perfino pietre. Il significato del mana, o potere magico, può essere compreso meglio aggiun-gendovi alcune caratteri-stiche: ad esempio ciò che è mana è anche tabù, cioè sacro e proibito, e per-

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

◄ ciò bisogna accostarsi ad esso con reverenziale timore. Ciò

che è mana può essere anche totem e cioè individuare una famiglia o una gente. Infine ciò che è fornito di mana può essere rappresentato da feticci (amuleti, maschere, immagini ataviche) ed essere portato con sé. È possibile che l’immagine di ciò che è mana diventi a sua volta (per somiglianza o contatto) mana cioè fornito di potere magico.Naturalmente chi è particolarmente pieno di mana è lo sciamano: egli è un mago/sacerdote; può volare, superare il limite oscuro fra questo mondo e l’altro, può incontrare gli spiriti e i morti, può conoscere se-greti e misteri e le ragioni del vivere e del morire. Indubbiamente deve possedere poteri speciali ma deve anche educare questi poteri e “in-durli” (con allucinogeni, danze, rit-mi ossessivi). In fondo la strega del-la nostra cultura occidentale è una pallida immagine dello sciamano.Dal libro di Jack Finegan trarremo ora qualche esempio di potere ma-gico per imitazione e vicinanza. Ad esempio, i Pigmei dell’Africa equato-riale, prima di procedere alla caccia dell’antilope, ne simulano la cattura con un rito propiziatorio - senza il quale la caccia sarebbe vana: il rito consiste nel disegnare ciò che accadrà. Egualmente i Navahos dell’America del Nord preparano sortilegi utiliz-zando unghie e capelli della vittima predestinata oppure facendone una immagine e “uccidendola”. Essi co-noscono anche le “malie frenetiche” che sono in tutto simili ai nostri fil-tri ad amorem. E ancora gli Apaches del Nuovo Messico rappresentano con una danza, in cui si è maschera-ti, il Popolo della Montagna cioè un popolo di spiriti o esseri sopranna-turali, ma, rappresentandoli, essi ne assumono i poteri.Sono da ciò evidenti le somiglianze fra le superstizioni dei popoli “evo-luti” e le credenze magico/religiose dei popoli “primitivi”. Dal che si può trarre una considerazione: il pensiero superstizioso è fondamentalmente una forma di pensiero arcaico.

Gli idola di Bacone. Nel corso

del Rinascimento la storia della fi-losofia registra una fase di fioritura di astrologia, magia, alchimia e altre scienze occulte. Le scienze occul-te, praticate anche da filosofi come Bruno e Campanella, aprono la stra-da alla scienza moderna: l’astrologia all’astronomia; la magia alla fisica; l'alchimia alla chimica. L’interesse per le erbe medicinali e per i filtri magici che con esse si possono com-porre contribuisce alla nascita della farmacia moderna.Interessanti per noi, in maniera par-ticolare, le teorie di Fran-cesco Bacone.Nel Novum organum di Francesco Bacone (1620), si legge che il nuovo scien-ziato dovrà liberarsi dagli idola cioè da tutti i pre-giudizi della mente che impediscono alla scienza nuova (fisica) di decolla-re. Gli idola specus sono i pregiudizi che inducono

l’uomo a trovare nella natura l’af-finità con se stesso e ad attribuire un’anima alle cose. Il discorso del filosofo colpiva astrologi, maghi, al-chimisti ed altri esperti dell’occulto.Ancora, se con gli idola specus col-piva la magia, con gli idola tribus Bacone colpiva la religione, con gli idola fori (pregiudizi del linguaggio) i metafisici, con gli idola theatri la tradizione filosofica (che era, fonda-mentalmente, platonica e aristoteli-ca). Dalla sua critica agli idola nasce l’immagine di un nuovo scienziato, lo “scienziato-ape”, capace di racco-gliere osservazioni seguendo un’ipo-

tesi di lavoro e soprattutto capace di correggersi sulla base di nuove osser-vazioni e nuove ipotesi di lavoro.In un’altra opera, peraltro interrot-ta, la Nova Atlantis (1626), un’uto-pia tecnologica, Bacone descrive il “mondo di domani” e cioè racconta come il trionfo della scienza e del-la tecnica avrebbe cambiato la vita umana… Ciò che non è riuscito a prevedere è la sopravvivenza della magia nel mondo della tecnica. (Egli pensava evidentemente che il pen-siero umano avesse un andamento

coerente e che il futuro avrebbe can-cellato il passato. Mentre, come ve-dremo, non è così: il passato rimane ed è pronto anche a ritornare).Più o meno nello stesso periodo, Galileo Galilei scardinava la teoria astronomica geo-centrica cioè quella teoria che poneva la terra al centro dell’universo e fissava un limite in-valicabile fra la terra e il cielo. Gra-zie all’uso del cannocchiale egli fece osservazioni sulla superficie lunare e sui satelliti di Giove che gli permise-ro di convalidare l’ipotesi coperni-cana (v. il Sidereus nuncius del 1610). Ciò apriva la via a una visione mo-

Figura 5.1 e 5.2 - A fianco Francesco Bacone,

filosofo, politico, giurista e saggista inglese (1561-

1626), che affermava l'importanza di liberarsi

dagli idola, affinchè la scienza nuova (fisica)

potesse decollare. Nella pagina accanto, Galileo

Galilei (1564-1642), le cui scoperte aprirono la via a una visione moderna

dell’intero universo.

Filosofia Antropologia

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Anemosneuroscienze

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A Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Antonio Petrucci. Ha insegnato filosofia all’Istituto “Matilde di Canos-sa”. Ha collaborato a riviste e volumi collettanei. Oltre che di filosofia si occupa di letteratura e di storia. Nel 2013 ha curato il volume Sentieri in-terrotti. Silvio D’Arzo e il suo doppio, Consulta, Reggio Emilia.

G. Cocchiara, Il paese di cuccagna, Boringhieri, To-rino, 1980.A.M. Di Nola, Lo specchio e l’olio, le superstizioni degli Italiani, Laterza, Bari, 2010. J. Finegan, Splendore delle antiche religioni, Aldo Mar-telli, Verona, 1955.

J.G. Frazer, Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religio-ne, Boringhieri, Torino, 1976.M. Mauss, Teoria generale della magia, Einaudi, To-rino, 1991.

Indicazioni bibliografiche

derna dell’intero universo. L’astrologia si basa su un sistema astronomico geo-centrico, quindi la nascita dell’eliocentrismo avreb-be dovuto tagliarle le radici. Non è andata così. L’astrologia non solo è sopravvissuta alla crisi del geo-cen-trismo, ma si potrebbe dire che ha acquistato una crescente importan-za nel mondo contemporaneo, dove - accanto a coloro che leggono l’oro-scopo per curiosità e divertimento, salute, amore, lavoro, affari - c’è chi non muove un passo senza consul-tare l’astrologo.È il momento di chiedersi come tut-

to ciò sia possibile.

Riflessioni con-clusive. Iniziando questo studio ci sia-mo ripromessi di esa-minare l’argomento della “attualità” della superstizione. Ovve-ro: come si spiega, come è possibile che in un mondo gover-nato dalla scienza e dalla tecnica soprav-vivano credenze an-tiche, anzi arcaiche, come quelle supersti-ziose?Una prima risposta è facile. È evidente che la tecnica non è in grado di rispondere alle domande ultime che l’uomo si pone: alle domande che ri-guardano la morte, il male, il dolore e soprattutto la paura che prende l’uomo di fronte all’ignoto (e a volte, semplicemen-te, di fronte al futu-ro). Chi, deluso dalla

scienza e dalla tecnica, non ha il conforto della religione, è spinto a cercare rifugio nella magia.Seconda risposta. La paura è la parola-chiave che apre la porta alla superstizione. Essa era e rimane il motore, la motivazione principale della richiesta del magico. Accanto ad essa, certo, si possono porre le altre emozioni fondamentali: l’ira e l’amore; e in più le “emozioni de-rivate” come il rancore, la gelosia, ecc.Ovviamente la domanda crea l’of-ferta ma anche l’offerta crea la do-manda: nella società tecnologica ci

sono più maghi che scienziati. Essi lucrano sull’ignoranza e sulla debo-lezza, dimentichi del fatto che chi ha poteri magici dovrebbe metterli gratuitamente a disposizione di chi ha bisogno (come è nelle culture primitive e contadine: per lo scia-mano e per la strega).Tuttavia invocare le emozioni come causa della superstizione ci sembra ancora insufficiente.È necessario avanzare anche un’al-tra ipotesi: cioè che la mente umana sia “naturalmente” spinta verso la superstizione perché è spinta ad at-tribuire una sorta di volontà al mon-do che ci circonda. La scienza e la tecnica non hanno cancellato o sra-dicato questo modo di pensare: lo hanno solo “confinato” in una spe-cie di riserva. Da questa riserva esso continua ad esercitare una pressione normalmente irrilevante; ma quan-do la razionalità scientifico-tecno-logica fallisce, il pensiero arcaico prende (o forse meglio riprende) il sopravvento.La sopravvivenza della mentalità primitiva nel mondo tecnologico ha del resto il suo riscontro nel pensie-ro infantile che è animista.Piaget credeva che lo fosse per un breve periodo, durante la prima e la seconda infanzia. Studi più recenti (Hooper, Kelenen) fanno persistere l'animismo tutta la vita. Si potrebbe concludere che il pensiero superstizio-so non è, tutto sommato, nient’altro che un pensiero infantile che manteniamo da adulti.♦

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Un pomeriggio di febbra-io, una strada tortuosa tra i boschi di querce, pioggia battente, cielo di nuvole basse, di luce

bianca, quell'aria di vento pungente, il vento di passaggio, come lo chiama-va mia nonna, il vento invernale della Sardegna. Poche case, una piazza, mac-chine parcheggiate un po' dove capita, percorriamo la strada in salita che porta al paese, io ho in mano un cappello da cowboy, il mio amico una mascherina nera da Zorro.Suono di campanacci e urla nel futuro prossimo, nel presente silenzio e freddo umido. "Andiamo ad una festa di carne-vale" - "D'accordo!" - "Vestiti pesante, è all'aperto. Vedrai il vero carnevale sar-do, su carresegare".Su carresegare, ho scoperto in seguito, non è soltanto la traduzione in sardo di carnevale:

La parola carne in sardo si dice petta o pezza sia che si tratti di carne cotta sia che si tratti di car-ne cruda. Il termine carre invece si usa soltanto quando ci si riferisce alla carne viva e in modo particolare a quella umana. Segare significa lace-rare, fare a pezzi. Dovrebbe dunque far riflettere, perché quasi certamente questa parola fu coniata per indicare la festa in cui la carne viva veniva lacerata sbranata, come le menadi fecero con Orfeo e come, in tempi successivi, fecero con gli animali, sbranandoli vivi, fossero capretti o to-relli. Era insomma un rituale di antropofagia cui veniva dietro la rinascita del dio.1

Nella piazza del paese, persone accalca-te intorno, e un grande vuoto al centro; come se una forza centrifuga tenesse

tutti schiacciati sul perimetro. Dodici figure cupe con una pelliccia di caprone marrone scuro o nera, stivali neri, ognu-no un volto in legno scuro di pero, una maschera ricavata da un pezzo unico di legno, cupa, tragica.Sulla testa un fazzoletto femminile nero. Sulla schiena una serie di cam-panacci da animali. Portati a zaino, un grappolo di campanacci di diverse di-mensioni. Carico pesante, che costringe la figura a stare curva ingobbita. Nessu-no procede camminando, ma saltellano zoppi, facendo suonare i campanacci sguaiati, scordati.Dietro questo gruppo, che ha qualcosa del branco ferito e braccato, un gruppo di uomini a piedi, giacca cangiante in pannolenci rosso color Valentino, pan-taloni bianchi, maschera con sembian-ze umane, bianca, d'un bianco ottico, una grossa corda, usata come un lazzo: fatta roteare sulla testa e poi scagliata sul gruppo delle maschere scure. I due gruppi di maschere continuano la loro farsa danzando, gli uni zoppicando ap-pesantiti dai campanacci, gli altri facen-do roteare i lazzi orgogliosi.

Le vittime: nere, gobbe, zoppicanti, sgraziate, rumorose, bestiali. Sas mascheras bruttas = le maschere sporche, vengono chiamate. I Mamu-thones.Gli aguzzini: colorati, fieri, splendenti, umani. Sas mascheras limpias = le maschere pulite, sono chiamate gli Issoccadores. Le maschere ricoperte di stracci e pelli, col volto imbrattato di fuliggine, sono dette in tutti paesi "Sas mascheras bruttas", maschere sporche, cui si contrappongono "Sas mascherasse limpias", le maschere pulite soprat-tutto "Sa maschera 'e santa", con i bei lineamenti,

bianca, che sembrerebbe alludere ad una contrap-posizione tra religioni diverse."Sas mascheras bruttas" portano tutte dei sona-gli, grossi e piccoli. Il significato di questi oggetti è noto, si tratta dei tintinnambula che nelle reli-gioni misteriche, nel culto di Demetra, di Cibele e di Iside, tutte divinità identificate con la dea madre, venivano usati per scacciare le forze ma-lefiche, con significato apotropaico. Ancora oggi, quando si fa un gran baccano, si dice: "est uno mamuthino".È appena il caso di far notare l'assonanza tra i due termini mamuthone e mamuthino, ma anche il significato intrinseco, nonché il valore apotro-paico della cerimonia.2

Resto immobile ad osservare il gruppo in avvicinamento, una bambina davan-ti a me scoppia a piangere; la guardo, avrà cinque o sei anni, un vestito rosa da principessa, costume carnevalesco di quelli da tabaccheria, uno di quelli che popolano le scuole elementari, le piazze e gli oratori di qualsiasi città. Ma, qui non c'entra nulla, c'è qualco-sa di minaccioso, di lugubre in questo carnevale; trasmette uno strano senso di inquietudine, più che voglia di fare festa e soffiare le stelle filanti. Osservo il mio cappello da cowboy e la maschera da Zorro nella mano del mio amico e quasi me ne vergogno, mi stringo nella giacca mentre un lazzo mi sfiora i capel-li e acchiappa il braccio del padre della bambina, che, tra le urla degli Issocca-dores e i campanacci dei Mamuthones (che non possono parlare), viene spinto verso un bar di paese, dove entrano tut-ti, lasciando la piazza muta, gli spettato-ri a difendersi dal vento, mentre arriva il tramonto ed inizia a piovere.

Su carreSegare

APPROFONDIMENTI ♦ antropologiaApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

RACCONTI

Il carnevale sardo, retaggio di antichi cultidi Sara Pinelli

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Anemosneuroscienze

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La bambina segue il padre con lo sguar-do, con due occhi che sembrano ingi-gantirsi, fino a inglobarsi il naso e la bocca. Quando il gruppo sparisce den-tro al bar, sembra diventata un bam-bina lampione. Il padre viene spinto al bancone, gli Issoccadores urlano, i Mamuthones si stringono attorno a lui, con l'odore acre delle pelli di pecora. Deve offrire da bere a tutti, solo dopo, gli viene levato il lazzo dalla pancia e può tornare dalla sua figlia lampione vestita da principessa.Il paese è Mamoiada nell'entroterra Barbaricino.Nella campagna appena fuori dal pae-se si trova una strana roccia che si erge isolata su un altipiano. Si chiama "Per-da Pizzinna", pietra fanciulla, perché, si dice, faccia pensare a una figura di donna pietrificata. Intorno a questa roccia è fiorita da tempi immemorabili una curiosa leggenda che porta fino ai miti greci.

Perda Pizzinna era un tempo una bellissima fanciulla, figlia di un ricco pastore. Un giorno mentre stava seduta su una roccia, la vide un dio che, dopo aver ammirato la sua straordina-ria bellezza, le si accostò assumendo le spoglie di un giovane mortale. Tra i due nacque l'amo-re e cominciarono ad incontrarsi tutti i giorni all'ombra delle querce, presso le rive del Rio. Ma il dio aveva una moglie molto gelosa, quando questa scoprì la relazione con una creatura uma-na, pensò subito di vendicarsi. Scese sulla terra e trovò la fanciulla seduta su una roccia, in attesa del dio innamorato. La sua vendetta fu imme-diata: la pietrificò proprio sul luogo in cui stava seduta.3

Possiamo rintracciare un parallelo con il mito greco di Semele, madre di Dio-niso.

Semele era figlia di Cadmo, re di Tebe. Zeus si

invaghì di lei e le si presentò sotto le spoglie di un giovane mortale, non potendone comparire dinanzi come un dio. Ma Era, gelosa, quando s'accorse che la fanciulla attendeva un bambino, prese le sembianze della sua nutrice e le insinuò il dubbio che il suo amante non fosse Zeus. Per conoscerne la vera identità avrebbe dovuto esige-re che si presentasse a lei in tutto il suo splendore, così avrebbe saputo cos'era l'abbraccio di un dio. Semele cadde nell'inganno e, dopo essersi fatta promettere dall'amante che avrebbe esaudito ogni suo desiderio, gli chiese di mostrarsi a lei con il suo vero aspetto. Zeus ne fu costernato, ma dovette mantenere la promessa e quando comparve davanti alla fanciulla in tutta la sua luce, Semele rimase folgorata. Zeus, non poten-do salvare la fanciulla, salvò il figlio che il loro amore aveva generato, estraendolo ancora vivo dal grembo della madre e cucendoselo entro la co-scia per portarlo a compimento. Dioniso crebbe nei boschi allevato da Ninfe, ed era solito coprir-si con una pelle di capra o di cerbiatto.Nei riti Misterici, veniva celebrato soprattutto nel suo aspetto di fanciullo, Dionisos Junior, come lo chiamavano i romani ed era profonda-

mente legato al culto delle acque. Era, sempre gelosa, persuase i Titani ad ucci-

dere il bambino divino e benché questo, per non farsi prendere si trasformasse di continuo, riusci-rono a catturarlo sotto forma di toro, mentre si guardava in uno specchio che gli avevano posto dinnanzi. Si dice che Zeus punì i Titani che ave-vano ucciso il fanciullo fulminandoli e che dalle loro fuliggine sono nati gli uomini4.

Come il mito legato a Perda Pizzinna ha una forte analogia con la storia di Dioniso, così anche il carnevale della Barbagia ha moltissimi legami con i riti misterici in onore di Dioniso, in questi riti veniva celebrato il dio in numerosi suoi aspetti, ma soprattutto la sua pas-sione e morte, come esperienza catar-tica e propiziatoria per la pioggia e la fertilità del terreno.Il carnevale di Mamoiada è un carne-vale inusuale, cupo, tragico, ove la pas-

sione e la morte del dio vengono rap-presentate come in un teatro all'aperto, lungo le vie del paese dove sfilano le maschere dei "Mamuthones", le ma-schere dionisiache coperte di pelli che da millenni ripetono la stessa danza rit-mata dal suono dei campanacci che si scrollano sulle spalle. Un suono cupo, lugubre, che vuole allontanare gli spi-riti del male, ma vuole anche ricorda-re il sacrificio del dio che nasce e che muore con la vegetazione dei campi, per poi rinnovarsi e morire ancora, per la sopravvivenza degli uomini e degli animali. Culto necessario per ottenere pioggia e raccolti abbondanti.

I mamuthones sono dodici, come i dodici mesi dell'anno e si avviano con il loro passo di dan-za zoppicante, verso la meta finale, il sacrificio ultimo cui sono destinati. Li accompagnano 8 Issoccadores, maschere col corpetto rosso, non appesantite dal grappolo dei campanacci, che si muovono con agilità, tenendo in mano il laccio mortale col quale catturare le vittime, se tentasse-ro di sottrarsi alla loro sorte.5 Questo tipo di processione passionale e con-pas-sionale (nel senso etimologico del termine, di sof-frire insieme, soffrire con: dal greco Pathein, cun-pathein), non è presente soltanto a Mamoiada. Per esempio, ad Orgosolo (altro paese barbarici-no), la maschera protagonista del carnevale vie-ne chiamata, "su maimone 'e fune" e veste allo stesso modo dei Mamuthones di Mamoiada.

I carnevali che si svolgono in diverse zone della Sardegna rappresentano tutti la stessa cerimonia di passione e morte del Dio. Un tempo sia l'una che l'altra erano rappresentate e subite dal-la stessa persona, che originariamente doveva realmente essere sacrificata. Progressivamente abolito il sacrificio, è rimasta la rappresentazione della passione da parte di un uomo, che al momento della morte, veniva sostitu-ito da un fantoccio, o da un animale. Questo appare evidente ancora oggi os-servando i diversi momenti del carne-vale, così come si svolge in alcuni paesi dell'interno. Fino al secolo scorso una persona, sul serio o per burla, ha con-tinuato a subire la passione e, anche se il più delle volte le torture erano simu-late, si manteneva il valore simbolico della fuoriuscita di sangue da un cor-po, per la convinzione radicata in tutta l'antichità che il sangue fertilizzasse i terreni.

Il sangue fuoriusciva da una vescica nascosta

AnemosneuroscienzeA Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Figura 6.1 - Maschera di carnevale sarda. Le ma-schere tipiche sono descritte come "figure cupe con una pelliccia di caprone marrone scuro o nera, stivali neri, ognuno un volto in legno scuro di pero, una maschera ricavata da un pezzo unico di legno, cupa, tragica."

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che ogni tanto veniva punta col pungolo da buoi o con spilloni, oppure la vescica veniva nascosta entro il ventre di un fantoccio.6

Ad Orgosolo, ancora negli anni '30, la tortura è simulata solo in parte, perché spesso si cercava di pungere veramente su "Maimone 'e fune".Non si trattava di sadismo, ma della concezione ancora radicata che la terra, per produrre, necessita di sangue...

Quando ero giovane - racconta Pasquale Basso anni 72 pastore ad Oliena - ricordo un ragaz-zo di Orgosolo che pascolava le pecore quasi al confine col territorio di Oliena ogni anno, a carnevale, alcune persone venivano all'ovile a prelevarlo per fargli fare il "Maimone 'e fune". Riuscivano a convincerlo facilmente perché era un semplicione, una persona incapace di difen-dersi, quando tornava all'ovile era pieno di pun-ture con le gambe e le spalle imbrattate di sangue. Negli anni successivi quando si approssimava il carnevale, si nascondeva in modo che nessuno riuscisse trovarlo.7

"Su maimone e' fune" a volte si metteva in testa delle corna di caprone, di bue o di cervo, si mascherava molto bene anche perché nessuno lo riconoscesse, sotto le pelli nere applicava larghi pezzi di sughero perché tutti lo pungevano, sia col pungolo da buoi, sia con spillo-ni. Avvolgeva anche le gambe con pezzi di pelle, come se avesse gli stivali, per-ché le punture date col pungolo non sempre erano leggere e date per finta. C'era chi cercava le parti meno protette per vedere uscire il sangue. Per il ruolo di vittima da pungere, si cercava il fol-le, "lo scemo del villaggio", che veniva rapito e costretto con la forza, anno dopo anno, carnevale dopo carnevale. In mancanza di questo, dato che era un ruolo rifiutato da tutti, si cercava uno molto povero che, dietro compenso, si prestava a subire le torture.In alcuni paesi, non trovando nessun altro, i giovani del luogo si apposta-vano di notte negli angoli delle strade catturando chiunque si azzardava ad uscire di casa, oppure un forestiero di passaggio, vestendolo da Mamuthone, e legandolo ad una scala a pioli che ser-viva come lettiga. In altri paesi la vitti-ma veniva chiamata "su mortu 'e carre-segare", il morto di carnevale, lasciando intendere quale fosse la sua fine.L'incedere a saltelli, scollando in modo ritmico i campanacci non lo fanno sol-tanto i Mamuthones di Mamoiada, il Maimone 'e fune di Orgosolo, la ma-

schera di Urzulei chiamata "su urcu" e, più anticamente, tutti i paesi dell'entro-terra sardo, ma, questa stessa danza si faceva nel mondo greco, in primavera, per risvegliare la vegetazione.A Creta era detta "danza della pernice", ma altri popoli la chiamavano danza della gru e la si credeva inventata da Teseo. Era conosciuta anche in Siria e in Palestina e veniva eseguita per la ce-rimonia del Pesah. Questa parola (Pe-sah) ha il significato di saltare oltre e gli ebrei celebrano questa festa ricordo del salto fatto per tornare dall'Egitto e Isra-ele. Cominciavano a celebrarla la sera del 14 del mese di Nisan, durante il plenilunio. Era una danza sacra e con-sisteva in una serie di salti che volevano rappresentare ritmico saltare oltre.8

Il salto reiterato, la ripetizione storden-te enfatizzata dai campanacci, è veicolo di trasmissione da uno stato naturale ad uno stato di esaltazione, di estasi, dallo stato umano allo stato divino, dallostato normale allo stato di posseduto. Resta da chiedersi perché la vittima prescelta per il sacrificio rituale fosse il folle, lo scemo del villaggio.Si è portati a supporre che la comuni-tà volesse liberarsi di tali esseri, ma in questo caso ci si sarebbe liberati nella stessa maniera anche di tutte le persone non esenti da difetti fisici. Invece non si sentirà mai dire mamuthone per de-signare un uomo deforme, così come non lo si sentirà mai dire con riferi-mento ad una donna. Le ragioni della scelta vanno ricercate in altre direzioni. Innanzitutto la vittima, nelle religioni misteriche, doveva essere sempre ma-schio.Doveva inoltre essere integra, senza di-fetti fisici. Questa era la regola di tutte le religioni medio asiatiche, anche della Bibbia.La pazzia non era difetto tra i popoli mediorientali, poiché significava che l'individuo con alterazioni mentali, poteva più facilmente essere posseduto dal dio. La follia era più vicina alla divi-nità di quanto non fosse la razionalità.Se si domanda cosa significa nel lin-guaggio comune la parola Mamutho-ne, la risposta è la stessa: un pazzo, uno buono a nulla, un sempliciotto, un povero scemo. Lo stesso vale per Maimone. In alcuni paesi vengono utilizzati entrambi indistintamente. Il termine Maimone deriva da mainoles, il pazzo, il furioso. Con questo nome veniva chiamato Dioniso, dio dell'eb-brezza, mentre le sue seguaci, erano

dette mainades. In lingua greca deriva da mainomai, sono posseduto.I maimones dovrebbero essere dunque coloro che seguivano il corteo dionisia-co smaniosi di essere posseduti dalla figura del dio che si incarna nella figura del Mamuthone. Tale corteo banalizza-to in periodo cristiano è passato con il tempo a far parte del carnevale sardo.Maimatterione era il quinto mese dell'anno attico (tra novembre e dicem-bre) ed era dedicato a Zeus pluviale.9

I cretesi, durante le feste in onore di Dioniso, ne rappresentavano la passio-ne in tutti i suoi particolari.

Tutto quello che egli aveva fatto e sofferto nei suoi ultimi momenti veniva rappresentato davanti agli occhi dei suoi adoratori che facevano a brani con i loro denti un toro vivente e vagavano nei boschi con grida frenetiche. Avanti a loro veniva portato uno scrigno che si supponeva contenesse il sacro cuore di Dioniso e alla selvaggia musica dei flauti e dei cembali, imitavano quei sona-gli con cui il divino fanciullo era stato attirato nell'insidia fatale.10

Da qui l'aspetto tragico della maschera del Mamuthone, maschera tipica del culto dionisiaco, che a Mamoiada ha mantenuto tutta la sua tragicità.

In tempi lontani il carnevale in Sardegna veniva rappresentato come una tragedia, anzi era una tragedia, il canto del capro. Dioniso veniva raf-figurato in diversi modi: come capro, come toro, come serpente. In forma umana lo si rappresen-tava spesso con una maschera barbuta. Le più antiche maschere che si sono conservate al museo etnografico di Nuoro sono provviste di barba o pizzo e di lunghi baffi rivolti all'insù. Alcune maschere sono fatte di sughero ma le più antiche sono tutte di legno di pero selvatico. Se si doman-da il perché agli anziani, si sente rispondere che il pero selvatico fornisce un legno leggero che si pre-sta facilmente alla lavorazione. Indubbiamente questa è una delle ragioni che hanno portato alla scelta di quel legno, ma la ragione più profonda e più lontana nel tempo è un'altra: il pero selvatico era l'albero sacro alla divinità lunare Persefone, cui le vittime erano consacrate.11 ♦

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

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AnemosneuroscienzeA Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

La bimba di oggi è un'ombra bianca, un'ombra come al-tre cento, una trasparenza che avverti solo per il forte contrasto con la “normalità”.

La protagonista immaginaria della no-stra storia è una bambina la cui unica colpa è stata quella di nascere albina in Africa. L’unica colpa è stata quel-la di addormentarsi, come ogni sera, quella notte che alcuni uomini entra-rono nella sua povera casa e arma-ti di sega cominciarono a tagliarle il braccio mentre la madre era costret-ta a guardare. Questa bambina non è diversa dal bimbo ombra che poco tempo fa venne attaccato davanti alla scuola da alcuni uomini che con inim-maginabile ferocia gli hanno amputa-to una mano per poterla poi vendere. E queste ombre sono solo una piccola parte di un esercito di senza voce che hanno avuto la sfortuna di nascere al-bini in un paese che li considera dei mostri, e che li vende interi o a pezzi al migliore offerente.Albinismo è una parola derivante dal latino e significa “bianco”; si tratta di un’anomalia genetica che consiste nella completa o parziale carenza di pigmentazione melaninica nella pelle,

nell’iride e nella coroide, nei peli e nei capelli. Generalmente ne sono porta-tori coloro che presentano per un dato gene, un allele sano e uno mutato, con la possibilità tra l’altro di trasmet-tere un allele difettoso ai propri figli. Il fenomeno più comunemente, può presentarsi sia sull’uomo che sugli animali. In genere chi viene colpito da questa malattia, presenta disturbi alla vista e ha una predisposizione per i tumori della pelle. L’albinismo è una mutazione genetica derivante dall’in-crocio di due individui portatori di geni albini; è un carattere recessivo e per-tanto si manifesta soltanto in sogget-ti omozigoti per albinismo. La forma “classica” colpisce maschi e femmine con la stessa frequenza. Due genitori portatori sani hanno in media il 25% di figli albini.

In Tanzania e nel Burundi troviamo un’altissima concentrazione di malati.Secondo la Croce Rossa solo in Bu-rundi vivrebbero circa 1.000 albini su 8.000.000 di abitanti, mentre in Tanza-nia i dati ufficiali rivelerebbero 8.000 albini su 35.000.000 di persone, ma il governo ne stima almeno 150.000.Le “motivazioni” di tali abomini fonda-

no le loro radici nella notte dei tempi. Anticamente gli albini venivano ucci-si alla nascita e le madri venivano ri-pudiate dai mariti, poiché si pensava che la loro nascita non fosse altro che fonte di sventura e disgrazia oltre ad essere causa di vergogna. Ad oggi in Tanzania e Burundi nulla è cambiato. Tale tragedia nasce dalla credenza che gli albini siano la reincarnazione di spiriti di morti che devono essere tenuti lontani dalla comunità, sono considerati dotati di poteri magici, le parti del loro corpo possono essere usate come “porta-fortuna” o utilizza-te in rituali ed in pozioni per svariati scopi, come portare in superficie l’oro, incrementare la pesca, aumentare la fertilità ed infine curare l’AIDS. Inutile negare che il commercio degli albini frutta tantissimo e che sono soprattut-to le famiglie stesse ad effettuarlo per prime, raggiungendo il duplice scopo del lavaggio della colpa e del guada-gno. Ad oggi sarebbero circa 10.000 gli albini che vivono nascosti nell’Afri-ca occidentale in veri e propri lager. ♦

Laura Andrao. Avvocato, si interessa di pro-blematiche sociali e si occupa in particolare dell'amministrazione di sostegno, di sessualità e handicap e di violenza alle donne.

LA MoRtE È BIANCAdi Laura Andrao

DAL MONDO

sara Pinelli. Dopo essersi laureata in architettura, consegue una laurea specialistica in teatro presso lo IUAV, Venezia. Nel 2009 inizia a lavorare nell'opera lirica come assistente alle scenografie e al light design. Dal 2011 lavora presso Max Mara Fashion Group dove si occupa, in qualità di progettista, dell'immagine dei punti vendita con particolare attenzione al dialogo con le neuroscienze per mi-gliorare l'appetibilità e la fruibilità degli spazi e del prodotto, in supporto alle strategie di vendita. Come lavoro di tesi, ha scritto uno spettacolo teatrale che comprendeva drammaturgia e una proposta di mes-sa in scena (pubblicazione prevista per maggio 2014).

NOTE1 Dolores Turchi. Maschere, miti e feste della Sarde-gna, Newton Compton Editori, 19902 D. Turchi [1990]3 Elio Aste. Sardegna nascosta, Genova, Sagep, Cagliari, Della Torre, 1984.4 R. Graves, I miti greci, Milano, Longanesi, 1983.5 Dolores Turchi [1990]6 F. Alziator, Il folklore sardo, Sassari, Dessi', 1978.7 D. Turchi [1990]8 R. Graves [1983]9 D. Turchi [1990]10 J. Frazer, Il ramo d'oro, Torino Borighieri,

197311 R. Graves [1983]

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICIA.A. V.V., Storia dei Sardi e della Sardegna (a cura di M. Guidetti), Milano Jaka Book, 1988-1990F.Fresi - F. Enna - G.L. Medas - N. Piras, La Sardegna dei sortilegi, Newton Compton Editori 2004.Miranda Niedda Giagnoni, Majarzas e Sanado-ras, EDES 2009.K. Kerenyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano, Il saggiatore, 1963.

Note e indicazioni bibliografiche

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Un'incursione filosofica: credenza,

tra linguaggio e conoscenza

di Franco Insalaco 2In

Sul credere

Bonsenso pratico

Quanno, de notte, sparsero la voceche un Fantasma girava sur castello,

tutta la folla corse e, ner vedello,cascò in ginocchio co' le braccia in croce.

Ma un vecchio restò in piedi, e francamentevoleva dije che nun c'era gnente.

Poi ripensò: "Sarebbe una pazzia.Io, senza dubbio, vede ch'è un lenzolo:

ma, più che di' la verità da solo,preferisco sbajamme in compagnia.

Dunque è un Fantasma, senza discussione".E pure lui se mise a pecorone.

Trilussa

parole chiave. Credenza, linguaggio, filosofia.

abstract. Dire "non credo" significa comunque credere. Perché "non credo a questo e quello" vuol dire esserne convinti, credere ad altro, come ad esempio al suo opposto. La negazione porta con sè un aspet-to positivo in questo caso. L'articolo si propone dunque di indagare lo stretto legame esistente tra credenza, linguaggio e conoscenza.

Letteratura Filosofia

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A Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Io non credo e l'affermo con certez-za!" Dire non credo significa co-munque credere. Perché non credo a questo e quello vuol dire esserne convinti, credere ad altro, maga-

ri l'opposto. La negazione porta con sé un aspetto positivo. L'affermazione che "non credo" trascina con sé prevale sul-la negazione che l'anticipa. D'altra parte è proprio in quanto c'è la negazione, il nulla, che sento il bisogno di dire cosa credo e cosa non credo. Su uno sfondo vuoto che oscilla, il linguaggio afferma positivamente ciò in cui crediamo. Se tale oscillazione non fosse possibile non avremmo alcun bisogno di credere. Un cane, un gatto credono? Non ne hanno la possibilità. Anche se qualche volta mi pare che al contrario pure a loro appar-tiene in minima misura una oscillazione nel vuoto. Ma poi la genetica interviene a guidare i comportamenti adeguati alla condizione in cui si trovano. Per le don-ne e gli uomini la cosa è più complessa, grazie a quel nulla, o a quel tutto, in cui il gioco linguistico si sporge emergendo poi con tutta la sua positiva certezza. Crede-re è da abbinare così alla certezza. Cre-diamo poiché necessariamente abbiamo bisogno di certezze. Altrimenti muti non parleremmo neanche. Se non dessimo credito a ciò che diciamo, il vuoto fareb-be scivolare qualsiasi discorso o pensiero verso il nulla. Pensare richiede di credere che ciò che diciamo sia vero seppure lo mettiamo in dubbio? No, se lo metto in dubbio vuol dire che mi ancoro ad altro. Sempre siamo ancorati a qualcosa. La ve-rità è, forse, l'àncora per non cadere in quel nulla. A volte disperatamente di-fendiamo la certezza del credere fino ad agire in modo violento.

Figura 7.1 - Qui a fianco immagine del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein. Nella seconda fase del suo pensiero, Wittgenstein indicava con la formula di "gioco linguistico" la capacità del linguaggio di riferirsi a molteplici e mutevoli pratiche linguistiche, che sono tra loro correlate attraverso una rete aperta di analogie.

"

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

René Girard. René Girard mostra magistralmente cosa

accade quando quel che si crede si sfalda. Per l'antropologo francese la violenza è l'esito conseguente alle cer-tezze che stanno tramontando, cioè quando l'indifferenziato, il vuoto, il nulla si presentano. Se accade, allora per evitare la distruzione della comu-nità, tutti contro tutti, la violenza si incanala. Dato che senza più certezze l'essere che sono, il mondo in cui esi-sto, il soggetto che costituisce la mia identità, sono distrutti, la reazione è altrettanto violenta. La crisi è esterna o interna: guerra, carestia o cultura, e mette in pericolo la vita. Il modo che la religione arcaica ha inventato per evitare questa evenienza di tutti con-tro tutti è mettere tutti contro uno, il più debole, incanalando la violenza verso un capro espiatorio. Il sacrificio per Girard, a differenza di quel che credono i suoi colleghi più importan-ti, Mauss, Lèvi-Strauss, ecc. per i quali è concepito come passaggio per avvi-cinare la condizione umana a quella divina, è invece il rito, l'atto, con cui la violenza è incanalata. Attraverso que-sto gioco l'identità in crisi di fronte all'indifferenziato, al vuoto, al nulla, si ricompatta. Ritrova le sue convinzio-ni. Tutti in cerchio intorno alla vittima ci sentiamo diversi da lei e uguali tra di noi. Questa identità riconquistata è donata dalla differenza della vittima che si riflette nella nostra uguaglianza di carnefici. Perciò, secondo Girard, il capro espiatorio nella narrazione mi-tologica diventa infine il dio o l'eroe. In effetti la comunità è stata salvata proprio dal suo sacrificio. Perciò acca-de l'inversione, il capro diventa il sal-vatore. Le narrazioni coprono ciò che è veramente accaduto, almeno finché sono narrate dai carnefici. La comuni-tà sopravvive alla catastrofe grazie al sacrificio del più debole, perciò i car-nefici lo innalzano come un salvatore. Tale mistificazione avverrà finché non prenderà la parola una vittima a mo-strare il vero meccanismo sacrificale. Gesù è il capro espiatorio che per la prima volta racconta quello che avvie-ne non dal punto di vista del carnefi-ce ma da quello della vittima. Ciò si-gnifica che Gesù mette in evidenza la

sua assoluta innocenza riguardo le accuse che gli sono mosse. La verità in cui i carnefici credono è da Gesù ricusata. Noi sappiamo oggi che ciò che credevano vero un tempo è pura fantasia. Ad esempio, le streghe veni-vano dalla Santa Inquisizione, pensate un po', messe al rogo. Oggi neanche il più ignorante crederebbe alla sentenza emessa dalla Santa Romana Chiesa. La cambierebbe semplicemente condan-

nando alla galera gli inquisitori colpe-voli di femminicidio. La percezione delle certezze si è da allora trasformata in modo radicale. Come avviene che la certezza sia così differente, in fon-do sono passati pochi secoli, le ultime streghe sono andate al rogo nel '700 direi, solo tre secoli fa. Eppure, noi oggi pensiamo che erano ridicoli colo-ro che credevano alle streghe.

Wittgenstein. Wittgenstein mo-stra come possano accadere simili cantonate. Il linguaggio è per Witt-genstein un gioco. Non inizia come un sapere, ma come un agire. Non lo parliamo a partire dal sapere, lo impa-riamo agendo, lo usiamo per dei fini. Un bambino non impara che c'è una seggiola, impara a sedersi su una seg-

giola. Il linguaggio è usato come un arto del corpo. Un gatto reagisce graffiando, noi parlando. Poi se il piano della parola

non è sufficiente, la reazione può di-ventare via via più violenta. Scrive Wittgenstein in "Della certezza": "Qui voglio considerare l'uomo come un animale; come essere primitivo a cui si fa credito bensì dell'istinto ma non della facoltà di ragionamento. Come un essere in uno stato primitivo. Di una logica che sia sufficiente per un mezzo di comunicazione primitivo non dobbiamo vergognarci. Il linguag-gio non è venuto fuori da un ragiona-mento... La forma primitiva del gioco linguistico è la certezza, non l'incer-tezza. Per il fatto che l'incertezza non condurrebbe mai all'azione. La forma di base del gioco deve essere una for-ma nella quale agiamo". Ecco cosa capita, mentre noi crediamo di seguire

Figura 7.2 e 7.3 - In alto l'antropologo francese René Girard.In basso a destra il filosofo Theodor Adorno.

«La verità spesso è inventata di sana pianta, soprattutto sul piano sociale

e ai fini del dominio. L'arte ha un rapporto più integro in questo senso

con la verità, industria culturale permettendo»

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A Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

la ragione questa è trascinata dall'azio-ne. Viene prima l'azione poi la sua gustificazione, cioè il sapere. Non da un ragionamento viene il gioco lin-guistico ma dall'agire. Non sappiamo perchè agiamo, tuttavia pensiamo di saperlo. Questo il problema, la que-stione. La certezza riposa su questo genere di sapere che punta alla verità. Si sa una cosa poiché è vera, almeno apparentemente, non perché credia-mo sia vera. La scienza dimostra ciò che sa. Nella dimostrazione riposa la sua certezza. Mette in gioco la scienza una probabilità che tale certezza possa essere falsa, ma calcolata questa misu-ra, questa alea, questo rischio, amen.

Poi si trova a dover ritrattare verità che con il tempo si sono rivelate patacche. Il pensiero secondo Hannah Arendt è altro dalla conoscenza. Giacché il suo riferimento non è la verità, ma il senso. Il pensiero elabora ciò che è sensato. Purtroppo questa forma di attività ce-rebrale è marcatamente oscurata dalla conoscenza della verità. Nonostante la conoscenza vincola alla verità e il pensiero libera, si preferisce la prima forma. Cosa è in gioco tra conoscenza e pensiero? Entrambi sono necessari, tuttavia il pensiero è trascurato. Per la ragione che pensare è pericoloso, oltre che difficile e ineconomico. I

neoliberali valutano il capitale uma-no dall'aspetto cognitivo, cioè dalle competenze o conoscenze aquisite. Eppure, al contrario è il pensiero che dona senso, cioè il modo in cui la vita diviene creativa. Crea l'attimo che bat-te su di sé e pieno lascia alla memoria la pena di ricordarlo. Non è un attimo preoccupato, fuori di sé, proiettato al futuro, delocato, straniato, esterno, ma è in sé, saturo di senso. Ad esempio, se una poesia ha riempito il tempo in cui è stata scritta dell'autore e ha senso pure per chi l'ascolta, è un tempo eter-no, non scivolato invano. Quel tempo non è gettato perché ha ricevuto un dono per ciò che ha dato. Ha dato la vita e ricevuto una poesia, una musica, un quadro, una scultura, un racconto, una creazione. È tempo graziato. La creazione è allora la grazia di un tem-po del dono e della vita. Mi pare in ciò consista il senso del pensare.

Adorno. La creatività di un opera si esprime senza che la verità sia il suo orizzonte, eppure Adorno pensa che solo l'arte dice la verità, "Teoria Esteti-ca". Come mai? Se la psicoanalisi pen-sa che l'arte sia una forma di fuga dalla realtà certo è che negli artisti migliori la consapevolezza di come sia la realtà è al contrario massima. In un mondo in cui impera la divisione del lavoro non è che ad essere realisti, pragmati-ci, ci allontaniamo dal falso. Il fatto è che la scienza, il cognitivismo, la co-noscenza pensano alla verità, secondo Adorno, immersi in questa falsificazio-ne. Falsificazione della realtà perché è sottoposta alla divisione del lavoro e della proprietà, inoltre, direttamente derivabile da questi due punti, vie-ne espressa da un linguaggio creato dal solo soggetto maschile. Dunque parlare di verità è un bel problema. La scienza di queste questioni non si preoccupa. Con ciò non voglio dire che non esistono verità inemendabili. Ma, insomma, si pongono diversi pro-blemi se il modo in cui conosciamo il mondo è falso e se, come aggravante, è falso il mondo stesso. La verità spesso è inventata di sana pianta, soprattutto sul piano sociale e ai fini del dominio. L'arte ha un rapporto più integro in

questo senso con la verità, industria culturale permettendo. Giacché non cercandola finisce che senza esserne interessata la trova. Ad esempio, negli incontri su Warburg* si è visto come certe forme nelle opere d'arte si ripre-sentano a distanza di tempo dietro alla bellezza. Rivendicano ciò che questa nasconde, cioè che Apollo prevale su Dioniso. Non percepiamo più spie-gando il mondo che prima viene la vita e non la sua spiegazione. L'inver-sione mette la vita sotto il dettato della ragione, cioè sempre più del calcolo e dell'interesse economico. Non si lavo-ra per vivere, si vive per lavorare, e se non si lavora lo si cerca, cioè si lavora lo stesso. Per questo, secondo Adorno, l'arte non può essere astratta dal reale, ma va riferita al mondo che è il suo correlativo oggettivo. Così ne può te-stimoniare. Pensa inoltre Adorno che la vita non può diventare arte, sareb-be operazione da esteti. D'Annunzio aveva capito benissimo come volgeva il secolo. La vita come opera d'arte in-dustrialmente costruita con immagini di sé rilanciate da tutti i media allora disponibili, radio, foto, film, giornali, romanzi, ne fecero l'eroe del suo tem-po, l'esempio per tutti. Un modello, insomma, rovinoso.Fatto è che nell'arte forma e contenuto sono la stessa cosa, perciò l'arte rappre-senta se stessa, non la vita dell'autore, inoltre il contenuto è stratigrafico, in divenire, cioè mai concluso in modo irrevocabile. In questo senso appar-tiene a tutti, l'ultima parola sull'opera non è mai dell'autore. Allora come mai domina la concezione opposta? In sintonia con i neuroni specchio che si attivano nel soggetto quando guar-da agire un altro, catalizzati allo stesso modo che se l'azione fosse compiuta da lui, mostrando con ciò che il nostro spirito imitativo è prescritto fin den-tro le cellule più prossime al pensiero, anche secondo Girard non si deside-ra in proprio ma imitando l'altro. Si desidera una donna poiché la deside-ra il nostro modello. Se il modello è Berlusconi si desidera ciò che ha lui. Insomma, è in atto una triangolazio-ne. Questo modo di copiare l'altro è il motore attraverso cui l'uomo, che

* Seminari tenutesi presso la Libera Università di Neuroscienze Anemos di Reggio Emilia a inizio 2014

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Letteratura Filosofia

è l'animale più imitativo, ha lasciato al palo gli altri animali. Ne segue il

problema che se desidero ciò che ha l'altro, più il modello è vicino più la competizione diventa violenta. Fin-ché, come dice Dante, "Galeotto fu il libro e chi lo scrisse", il "Don Chisciot-te" ne è l'esempio più meraviglioso, il modello è trascendente, lontano, ma quando il modello non è più un libro ma il nostro vicino, diventa imma-

nente alla nostra vita, allora le cose si fanno più pericolose. Se voglio ciò che ha lui significa che il mio desiderio si attiva inciampando sul suo ostacolo, per Girard si desidera solo ciò che non abbiamo soprattutto se ce l'ha il nostro mediatore. Allora abbiamo bisogno di inciampare in ciò che impedisce di avere ciò che si desidera, perché così si tiene vivo questo sentimento, cataliz-zandolo continuamente come avviene di fronte alla pietra dello scandalo. Se sei così scandalizzato è forse in quan-

to desideri comportarti nel modo in cui accusi l'altro. Beato colui che non si scandalizza di me dice Gesù. "Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale

avviene lo scandalo!" cioè, chi accusa l'altro di essere scandaloso. Non chi fa scandalo, ma chi lo accusa di far-lo per Gesù deve essere gettato con la macina al collo. Scandalo è ciò che ci fa inciampare, perchè vorremmo e non pos-siamo. La pietra dello scandalo indica l'osta-colo che attira per re-spingere e respinge per attirare. Scrive Girard nel "Capro espiatorio":

"Io vedo nello scandalo una definizio-ne rigorosa del processo mimetico. Il senso moderno ricupera soltanto in minima parte il senso evangelico. Il desiderio vede perfettamente che, de-siderando quello che l'altro desidera, fa di questo modello un rivale e un ostacolo. Se fosse saggio abbando-nerebbe la partita, ma se il desiderio fosse saggio non sarebbe desiderio. Non trovando altro che ostacoli sulla propria strada, li incorpora nella sua visione del desiderabile, li trasporta in

primo piano; non può più desiderare senza di loro; li coltiva con avidità. È così che il desiderio diventa passione carica di odio verso l'ostacolo e si la-scia scandalizzare".

Conclusioni. L'ostacolo è colui che vogliamo imitare ma non possia-mo. Siamo scandalizzati dal suo com-portamento che conosciamo bene, vorremmo fosse il nostro. Se imitiamo per imparare il credere diventa invali-cabile. In quel modello cui mi ispiro è la verità che desidero per me. Voglio essere come lui, anzi voglio essere lui. L'identità, insomma, in questo caso ci frega. Beato chi non ha modelli dice Gesù. Questo è un lato del problema. Ma, d'altra parte, c'è anche ciò che mette in gioco Magritte con i suoi quadri dal titolo provocatorio: "Que-sta non è una pipa". Con ciò mostra Magritte che il rinvio tra immagine e parola non è la cosa. Bisognerebbe al-lora esprimersi così: "per prima cosa l'occhio scivolerebbe sulla moquette grigia di un lungo corridoio, alto e stretto. Le pareti sarebbero armadi a muro di legno chiaro, dalle luccicanti guarnizioni di ottone. Tre stampe raf-figuranti, l'una Thunderbird vincitore a Epsom, l'altra un battello a pale, il Ville-de-Montereau, la terza una loco-motiva di Stephenson, guiderebbero verso un tendaggio di cuoio, sorretto da grossi anelli di legno nero venato, che un semplice gesto basterebbe a far scorrere. Alla moquette, allora, si sosti-tuirebbe un pavimento di legno quasi giallo, ricoperto in parte da tre tappeti dai colori smorzati": George Perec, "La cosa". Ma, bisogna ammetterlo, non è facile. La certezza è meno complicata, attenti però ai fantasmi. ♦

Franco Insalaco. Autore di saggi filosofici e testi poetici. Organizza rea-ding letterari e incontri culturali.Nel 2005 con il filosofo Pietro M. To-esca ha realizzato la “Festa Cantiere della Poesia” promossa dal Comune di San Gimignano e dalla Provincia di Siena. È stato direttore del bimestrale filosofico «Éupolis. Rivista critica di ecologia territoriale». Indirizzo web del Giardino Filosofico: http://giardinofilo-sofico.blogspot.it.

Ludwig Wittgenstein, Della certezza, Luigi Einaudi Editore, 1999René Girard, Il capro espiatorio, Adelphi Edizioni, 1999

René Girard, La pietra dello scandalo, Adelphi Edi-zioni, 2004René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi EdizioniAdorno, Teoria Estetica, Einaudi, 1992

Indicazioni bibliografiche

Figura 7.4 - A fianco xilografia di un'edizione del "Don Chisciotte". L'opera di Cervantes è una rappresentazione letteraria del rapporto tra vero e immaginario, tra credenza e realtà.

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AAprrofondimenti

alTri apprOfOndimenTi► ancOra Sulle credenzeslow neurosurgery. Quando intervenire in presenza di tumori cerebrali

► medicinaNeurochirurgia funzionale e stereotassica: lo stato dell'arte

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NeurochirurgiaApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Non sempre l'intervento chirurgico tempestivo è la cosa migliore nel caso di tumori cerebrali

SlOw neurOSurgery

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AnemosneuroscienzeA Il tema del numeroApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Bruno Zanotti, Angela Verlicchi 3App

parole chiave. Neurochirurgia, interventi chirurgici, tumori cerebrali

abstract. Anche nell'ambito della medicina, esistono alcune credenze che persistono nel pensiero comune: una di queste è che in presenza di un tumore cerebrale la cosa migliore sia interveniere, cli-nicamente o chirurgicamente, il prima possibile. Nella stragrande maggioranza dei casi ciò e vero, ma non sempre.

credenze, miti e luoghi comuni

Tumori cerebrali. Si è abituati a pensare che la medicina abbia sempre meno limiti e sia spesso onnipotente.

Inoltre, nel sentire comune, si ri-tiene che in presenza di un tumore prima si interviene, clinicamente o chirurgicamente, meglio è. Nella stragrande maggioranza dei casi ciò e vero, ma non sempre. E non sem-pre in neurochirurgia.Nel 1993 il Radiation Therapy On-cology Group (RTOG) ha cercato di identificare delle categorie progno-stiche in Pazienti affetti da neoplasie cerebrali di alto grado di malignità. Ha evidenziato che in Pazienti con età pari o superiore ai 50 anni affetti da glioblastoma, dopo asportazio-ne chirurgica (senza residui deficit neurologici), la sopravvivenza è di poco più di 11 mesi, ma scende a circa 9 mesi in presenza di deficit neurologici post-chirurgici. Soprav-vivenza sostanzialmente paragona-bile a quella di Pazienti non trattati chirurgicamente privi di deficit.Nel 2005 uno studio clinico con-dotto dall’European Organisation for Research and Treatment of Can-cer (EORTC) e dal National Can-cer Institute of Canada (NCIC) ha

riportato che, associando al tratta-mento chirurgico anche la radio- e la chemio-terapia vi può essere un innalzamento della sopravvivenza (per la stessa classe di Pazienti) da 11 a 13 mesi.Vi è grande dibattito fra i neurochi-rurghi su quanto sia importante la radicalità chirurgica per garantire la migliore sopravvivenza, ma non ci sono, tuttora, indicazioni univo-che.1 Anche perché una reale radica-lità microscopica non è affatto ot-tenibile. Le cellule gliomatose sono estremamente infiltrative e si rile-vano anche a distanza di vari centi-metri oltre il confine macroscopico del cratere chirurgico. La recidiva post-chirurgica è sostanzialmente la regola, anche se le indagini neuro-radiologiche immediatamente dopo l’asportazione chirurgica sono nega-tive per residuo tumorale. Nell’80% dei casi la recidiva, infatti, avviene in prossimità del vallo chirurgico.Alla luce del fatto che, anche di fronte ad una “radicalità” chirurgi-ca, ove vi sia il rischio di produrre danni neurologici, con il possibi-le scadimento della qualità della vita, il guadagno di sopravvivenza è al massimo di ulteriori 2 mesi, si giustifica l’aggressività chirurgica? E questo, ancor più nella recidiva? E l’ulteriore guadagno in termini di sopravvivenza di circa 2 mesi se

associamo radio- e chemio-terapia trova sempre giustificazione?Inoltre, sebbene si tratti di tumori cerebrali maligni, l’aggredirli tera-peuticamente il più presto possibile ha sempre dei risvolti positivi?Dalle “Linee guida neoplasie cere-brali” stilate nel 2013 dall’Associa-zione Italiana di Oncologia Medi-ca apprendiamo che “non esistono prove significative che una diagnosi precoce condizioni favorevolmente la sopravvivenza in tutti i tumori cerebrali [...]”.Uno dei presidi contro il rigonfia-mento cerebrale peritumorale da edema è l’uso di cortisonici. Il loro effettivo ruolo è molto dibattuto da decenni e alcune evidenze farebbe-ro ritenere che il loro utilizzo ad alte dosi potrebbe avere addirittura un effetto dannoso.2 Da un’analisi del 2007, eseguita su 333 Pazienti affetti da recidiva di glioblastoma, emergerebbe una conferma sul dato sfavorevole, dal punto di vista prognostico, sull’uso dei cortisonici (Tabella 1).3

È ben comprensibile che chi deve usare steroidi è già potenzialmente più grave di chi non ne ha bisogno, e la classe medica, pur nel dubbio di portare a morte precoce il Pa-ziente, ne fa uso perché in questo caso prevale la scelta che è me-glio limitare o eliminare, alme- ►

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no per un periodo, i disturbi del Paziente, piuttosto che prolun-

garne la sopravvivenza a fronte di gravi deficit neu-rologici o alterazioni della coscienza. In un Paziente sonnolento o soporoso a causa dell’ipertensione en-docranica, l’uso terapeutico di cortisonici può portarlo a repentino risveglio e ad una nuova valida interazio-ne con l’ambiente. Quindi, in questo caso si privilegia la qualità della vita piutto-sto che una sopravvivenza puramente vegetativa.

traumi cranici. In pre-senza di gravi traumi crani-ci il chirurgo, giustamente, agisce in stato d’urgenza ed il suo atto chirurgico può essere veramente sal-vavita. Sia che si appresti a rimuovere un ematoma, a realizzare una toilette dello sfondamento cranico o sia costretto a realizzare una decompressione osteo-du-rale. Nei casi ad evoluzione favorevole, a distanza varia-bile di tempo, il chirurgo poi dovrà ricostruire l’in-tegrità della calotta cranica tramite l’apposizione di una cranioplastica. Può succede-re che questo trattamento incontri delle difficoltà in quanto la craniolacunia ha conformazione o margini non consoni ad un ottima-le risultato funzionale ed estetico. È vero che si han-no a disposizione modalità di intervento che possono rimediare a questi incon-venienti (tecnica di demo-lizione-ricostruzione), ma tutto questo sarebbe facil-mente evitabile pensando, durante l’atto chirurgico ur-gente, anche al dopo, cioè alla fase ricostruttiva. Il chi-rurgo solitamente si giusti-fica dicendo che ha dovuto

agire in urgenza. Questo è vero: il chirurgo agisce in urgenza durante la primis-sima fase dell’intervento chirurgico salvavita, ma non nella fase di chiusura, a fine intervento. Il Paziente, solitamente, finirà in tera-pia intensiva, comunque intubato ed assistito nelle funzioni vitali né più né meno di come è in sala ope-ratoria. Quindi, non trova giustificazione il ribadire che non si è avuto il tempo necessario per preparare un buon alloggiamento per la futura cranioplastica. Una volta evacuato l’ematoma o decompressa la scatola cra-nica si ha tutto il tempo per condurre una “slow neuro-surgery”, nell’interesse futu-ro del Paziente. Ma questo cozza con il mito che un chirurgo veloce è anche un buon chirurgo.

Chiosa. Se è difficile com-prendere per il chirurgo la necessità di non agire, sem-pre e comunque, in fretta, ancor più lo è per la gente comune o per il Paziente.Il tumore e l’urgenza neuro-chirurgica hanno un conno-tato reale di indifferibilità, ma sempre con una ponde-razione sull’atteggiamento più utile da tenere.Nel glioblastoma, sia di pri-ma diagnosi sia nelle recidi-ve, non è detto che l’essere precipitosi sia funzionale alla sopravvivenza ed alla qualità della vita. Inoltre, l’asportazione chirurgica radicale, specie in aree ce-rebrali eloquenti con alto rischio di realizzare deficit permanenti, non è detto che sia la migliore qualità da ricercare in un chirurgo. Può essere difficile saper ponderare fra l’utile e la presunzione salvifica, che nei glioblastomi è inganne-

gLoSSArio miNimo

gLioBLASTomi: fra i tumori cerebrali, i gliobla-stomi rappresentano la forma più maligna. Co-stituiscono circa il 30% di tutti i tumori intracranici e circa il 50% di tutti gli astrocitomi, il più comu-ne gruppo di tumori cerebrali, benigni e maligni. Il glioblastoma multiforme non ha sedi tipiche: può occupare più o meno estesamente un intero lobo (spesso frontale o temporale) o estendersi a più lobi, raggiungere le strutture profonde ed in-vadere anche l’emisfero opposto coinvolgendo il corpo calloso (glioblastomi a farfalla). Colpisce di solito i soggetti sopra i 50 anni ed è prevalente nel sesso maschile. Anche se operati o radio- e chemio-trattati, questi tumori recidivano, ineso-rabilmente. La sopravvivenza media non supera l’anno e mezzo.

DeComPreSSioNe CrANiCA: qualsiasi sia l’insulto cerebrale (traumatico, infettivo, ischemi-co, neoplastico, ecc.) l’encefalo ha sostanzial-mente un’unica modalità di reagire: si “gonfia” (è il cosiddetto edema cerebrale). L’edema, quando severo, comporta gravi danni permanenti del pa-renchima cerebrale (e quindi esiti estremamente invalidanti) o addirittura la morte. I neurointensivi-sti hanno sicuramente molti presidi per cercare di contrastare questo edema, ma, essendo la scato-la cranica rigida ed inestensibile, può succedere che questo rigonfiamento sia di tale portata da essere controllato solo da una decompressione cranica. La decompressione in sostanza consiste nel realizzare una ampia lacuna cranica, da un solo lato o da ambo i lati, seguita da una incisio-ne della membrana durale al fine di permettere al cervello di estroflettersi oltre la breccia e fornire così più spazio all’encefalo.

CrANioPLASTiCA: in presenza di una cranio-lacunia l’atto della riparazione si chiama cranio-plastica. Quest’ultima si realizza chiudendo la breccia o con l’osso del soggetto opportunamen-te conservato o inserendo una protesi su misu-ra realizzata precedentemente in laboratorio. La cranioplastica è sempre un atto terapeutico, in quanto restituendo integrità alla scatola cranica fa regredire o previene l’instaurasi delle cosiddette “sindromi del trapanato cranico e del lembo infos-sato” (che compare in presenza di un’ampia cra-niolacunia ed è caratterizzata da cefalee, attacchi epilettici, vertigini, alterazioni del tono dell’umore, deficit motori, ecc.).

emergeNZA - urgeNZA: si sente spesso par-lare di emergenza-urgenza in medicina. La distin-zione risiede sostanzialmente nei tempi di inter-vento (ore, per quanto riguarda l’urgenza, minuti, per quanto riguarda l’emergenza).

Neurochirurgia

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vole ed illusoria.Anche in neurotraumatologia l’urgenza decade una volta ef-fettuata la detensione encefalica e non trova valida giustificazio-ne il rimandare la preparazione cranica per il successivo alloggio della cranioplastica, con piccoli ma essenziali accorgimenti sul bordo craniectomico ed inseri-mento di un foglietto sintetico per impedire l’adesione della membrana durale alla cute so-vrastante. Non comporta rischi per il paziente, non allunga eccessivamente il tempo opera-

torio, ma consente una più age-vole e veloce ricostruzione della calotta cranica nel successivo intervento.In definitiva, anche la neuro-chirurgia vive di “credenze” e per questo bisogna avere una realistica visione su quanto è da ascrivere alla “fast neurosurgery” e quanto alla “slow neurosurge-ry”.Per il bene del Paziente.♦

Bruno zanotti. Neurologo e Neu-rochirurgo, attualmente dottorando di ricerca presso l'Università degli Studi di Udine. Segretario nazionale della SNO (Scienze Neurologiche Ospeda-liere). Direttore scientifico della rivista "Topics in Medicine".

Angela verlicchi. Neurologa, collabora con la Libera Università di Neuroscienze Anemos di Reggio Emilia. Con Bruno Zanotti ha pubbli-cato la monografia Il Coma & Co. (400 pagg.).

Note e indicazioni bibliografiche

Figura 8.1 - Risultati della Recursive Partitioning Analysis (RPA), che è un meto-do statistico che consente di valutare i fattori prognostici, su 333 adulti con glioma recidi-vante. Le 7 classi RPA sono rappresentate da quadrati, in cui sono indicati il numero dei decessi all’epoca dell’analisi/il numero dei pazienti in quella classe e la mediana di so-pravvivenza in mesi. Legenda: GBM: Gliobla-stoma, KPS: Karnofsky Performance Score, punteggio della relativa scala di valutazione dei Pazienti con tumori maligni che tiene con-to della qualità di vita.Fra l’altro, dal grafico si evince che l’uso dei cortisonici potrebbe portare ad un accorcia-mento della sopravvivenza (modificato da Carson KA, Grossman SA, Fisher JD, Shaw EG, 2007).

1Chaichana KL, Cabrera-Aldana EE, Jusue-Torres I, Wijesekera O, Olivi A, Rahman M, Quinones-Hinojosa A: When gross total resection of a glioblastoma is possible, how much resection should be achieved? World Neurosurg. 2014 Feb 6. [Epub ahead of print].Solheim O, Gulati S, Jakola AS: Glioblastoma resection: in search of a threshold between worthwhile and futile. Neuro Oncol. 2014; 16 (4): 610-611.2 Hohwieler Schloss M, Freidberg SR, Heatley GJ, Lo TC: Glucocorticoid dependency as a progno-

stic factor in radiotherapy for cerebral gliomas. Acta Oncol. 1989; 28 (1): 51-55.3 Carson KA, Grossman SA, Fisher JD, Shaw EG: Prognostic factors for survival in adult patients with recurrent glioma enrolled onto the new approa-ches to brain tumor therapy CNS consortium phase I and II clinical trials. J Clin Oncol. 2007 Jun 20; 25 (18): 2601-2606.

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neurOchirurgia funziOnale e STereOTaSSica

Lo stato dell'arte di questa importante branca della neurochirurgia

Neurochirurgia

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Anemosneuroscienze

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Si tratta di una branca della neurochirurgia che com-prende gli interventi atti a migliorare e correggere il funzionamento del sistema

nervoso centrale e periferico pertur-bato da patologie acquisite o conge-nite insorte in diverse età della vita. A differenza quindi di altre procedu-re chirurgiche che mirano a rimuove-re la patologia (per esempio tumori, emorragie) o a correggere le malfor-mazioni (disrafismi spinali, malfor-mazioni cranio-facciali, idrocefalo), la neurochirurgia funzionale ha come scopo la rimozione, la modulazione e la ricreazione di funzioni e circuiti neuronali attraverso interventi di re-sezione, stimolazione, ricostruzione e trapianto. La possibilità di raggiun-gere aree profonde ed eloquenti del cervello per eseguire registrazioni, ablazioni, modulazioni e stimolazio-ni di nuclei e parti di tessuto attra-verso piccoli fori nel cranio secondo precise coordinate spaziali costituisce la cosiddetta Neurochirurgia Stereo-tassica, elemento chiave nella Neuro-chirurgia Funzionale. Strumento fon-damentale per queste procedure è il casco stereotassico sincronizzato con diverse tecniche di neuronavigazione, che consentono al Neurochirurgo di raggiungere queste aree senza diretta visualizzazione.Si possono distinguere diversi gruppi fondamentali di patologie che si pos-sono beneficiare di questa disciplina:

Paralisi cerebrale infantile (PCI). Varie sono le opzioni chirur-giche per il trattamento spasticità (Fi-gura 1). Nelle forme caratterizzate da ipertono spastico resistente al tratta-mento farmacologico e riabilitativo, è possibile attuare interventi di sezione delle radici posteriori del midollo spi-nale (rizotomia dorsale selettiva) per

il controllo della paralisi spastica agli arti inferiori (diparesi o diplegia spasti-ca) o di neurotomia periferica (forme segmentali). Nel caso di forme gravi di tetraparesi spastica, è più frequen-te l’utilizzo di pompe per infusione intratecale di farmaci miorilassanti come il Baclofen, agonista dei recet-tori GABAb, a cui può essere even-tualmente associata la morfina o altri oppiodi (Ziconotide) per il controllo del dolore associato (Figura 2). A dif-ferenza degli interventi di rizotomia e neurotomia, l’infusione di Baclofen è reversibile e costituisce un intervento di neuromodulazione.

Epilessia farmaco-resisten-te. Il trattamento chirurgico dell’epi-lessia farmaco-resistente non può pre-scindere da un adeguato percorso di valutazione diagnostico-terapeutico (Figura 3) che può includere esplora-zioni invasive con elettrodi subdurali (Figura 4) e/o elettrodi di profondi-tà (Figura 5). Gli interventi curativi, che consistono nella resezione diretta delle aree epilettogene responsabi-li. A questa categoria appartengono: lesionectomie di tumori e displasie corticali focali; lobectomia temporale (Figura 6) per displasie corticali tem-porali spesso associate a sclerosi tem-porale mesiale; lobectomia frontale; lobectomia multilobare. Maggiore e più completa è infatti la ablazione del tessuto epilettogeno, migliore sarà l’outcome nel controllo delle crisi. Nei casi di patologia estesa a tutto un emisfero (angioma di Sturge-Weber, emimegalencefalia, esiti di ischemia perinatale o lesioni traumatiche -) al-trettanto efficace risulta la emisferec-tomia o meglio la emisferotomia, cioè la deconnessione delle vie commisu-rali dell’emisfero malato che viene tuttavia lasciato in situ (Figura 7). Sul-lo stesso principio si basa la chirurgia

di deconnessione endoscopica degli amartomi ipotalamici per il tratta-mento dell’epilessia gelastica (Figura 8). Nei casi in cui non sia possibile re-alizzare alcuna resezione parcellare di tessuto, esistono interventi palliativi come la callosotomia e le transezioni subpiali multiple, o come varie meto-diche di neuromodulazione: impian-to di elettrodi di profondità o Deep Brain Stimulation (DBS), stimolazio-ne del nervo vago (VNS) (Figura 9).

disturbi del movimento. In passato molti sono stati gli interven-ti ablativi eseguiti a carico dei nuclei profondi del sistema extrapiramidale per il trattamento del tremore essen-ziale, del morbo di Parkinson e del-la distonia. Dalla fine degli anni ’80 la stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation – DBS), che permette di modulare in maniera re-versibile i circuiti alterati mediante l’erogazione di una corrente ciclica su target differenti, è diventata prepon-temente la principale opzione tera-peutica chirurgica. Differenti sono i target proposti a seconda della patolo-gia: nucleo subtalamico (STN), globo pallido interno (Gpi), talamo ventrale laterale (VL) e ventrale mediale (VM) per il morbo di Parkinson; Gpi per la distonia primitivia idiopatica diffusa o multifocale, o focale (crampo del-lo scrivano, torcicollus musculorum deformans) (Figura 10) con risultati migliori in caso di mutazioni dei geni DYT-1, DYT6, e DYT-11; nucleo ta-lamico ventrale intramidollare (Vim) per il tremore essenziale.

Malattie psichiatriche. Dopo un periodo di oscurantismo causato dall’abuso della psicochirurgia con tecniche ablative, prima dell’avvento della farmacoterapia, negli ultimi anni è tornata in auge la possibilità di ►

di Flavio Giordano, Barbara Spacca, Lorenzo Genitori 3App

parole chiave. Neurochirurgia funzionale e stereotassica, patologie, cervello.

abstract. Neurochirurgia stereotassica: tramite l'utilizzo di un casco stereotassico e di un neurona-vigatore è possibile raggiungere e operare aree profonde del cervello. Attraverso un piccolo foro nel cranio si inseriscono strumenti mini invasivi della dimensione di un grosso ago controllati virtualmente e tridimensionalmente al monitor. Neurochirurgia funzionale: permette di migliorare e correggere il fun-zionamento del sistema nervoso centrale e periferico tramite l'impianto di stimolatori, la microlesione, la resezione o la modulazione di circuiti cranici, midollari o di nervi periferici.

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ricorrere ad interventi di neuro-modulazione mediante DBS. Al

momento in Italia l’unica procedura approvata senza necessità di ricorre-re a Comitati Etici è la stimolazione profonda del braccio anteriore della capsula interna (in passato capsulo-tomia stereotassica) (Figura 11) per il trattamento del Disturbo Ossessivo compulsivo non responsivo alla tera-pia farmacologia e invalidante. Tutta-via esistono non pochi report e studi pilota che mostrano una potenziale efficacia per la cura della depressione maggiore unipolare, della aggressività e automutilazione isolata o associata ad altre sindromi (Lesch-Nyan, de la Tourette), della anoressia nervosa, e per i disturbi da abuso/dipendenza (alcolismo, cocainomania, eroinoma-nia). La stimolazione vagale (VNS) è approvata in Italia anche per la cura della depressione maggiore endoge-na.

Paralisi dei plessi nervosi periferici e dei nervi cranici. Anche se in via di estinzione, le para-lisi ostetriche dei plessi sono ancora osservate; interventi di innesto di ner-vi periferici, di anastomosi nervose, o di trasposizione di muscoli/nervi pe-riferici possono consentire maggiore autonomia di movimento ai pazienti. Fra la lesioni dei nervi cranici, rima-ne di interesse la paralisi del nervo faciale trattata mediante anastomosi ipoglosso-faciale, trigemino-faciale (Figura 12), mediante trasposizioni muscolari facciali o con innesto di autotrapianto di un segmento di ner-vo surale.

sindromi nevralgiche e da conflitto neurovascolare. Buona parte delle sindromi nevral-giche facciali (nevralgia trigeminale tipica, emispasmo del faciale, ne-vralgia del glossofaringeo, sindrome di Meniere) sono determinate da un conflitto neurovascolare tra vasi ar-teriosi (di solito arterie cerebellari) e nervo all’emergenza o ingresso all’in-terno del tronco encefalico (Figura 13). Quando la terapia medica non è più responsiva o in caso di intollera-bili effetti collaterali può essere con-siderata la liberazione chirurgica del nervo dalla arteria (decompressione microvascolare secondo Jannetta).

sindromi da dolore cronico nocicettivo e neuropatico. Le sindromi da dolore cronico no-cicettivo (dolore da cancro, dolore radicolare) e neuropatico (dolore da deafferentazione spinale e radicolare, dolore centrale da lesioni cerebrali e midollari, dolore da amputazione o sindrome da arto fantasma) si avval-gono da molto tempo degli interventi di Neurochirurgia funzionale. Il dolo-re nocicettivo può essere controllato con i sistemi di infusione intratecale di morfina, ziconotide, clonidina (Fi-gura 2). In casi selezionati, ma sem-pre meno, possono essere necessarie metodiche ablative di talamotomia e leucotomia (sezione fascio spino-tala-mico). Il dolore neuropatico da deaf-

ferentazione spinale può beneficiare dalla stimolazione epidurale spinale (Figura 14), quello da lesioni centra-li (di solito dopo stroke ischemico a carico della capsula interna con com-parsa di sindrome di Dejerine-Roussy o sindrome della mano talamica) dal-la stimolazione epidurale corticale della area motoria (Figura 15).

Cefalea tensiva e a grappo-lo ed emicrania farmaco-re-sistente. Accanto alle metodiche più invasive di stimolazione cerebra-le profonda dei nuclei dell’ipotalamo posteriore proposti per il trattamento della cluster headache, esistono tec-niche meno rischiose e promettenti come la stimolazione sottocutanea

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Figura 1 - Soluzioni chirurgiche per il trattamento della spasticità

Figura 2 - Schema di pompa per infusione intratecale di Baclofen

Figura 3 - Percorso diagnostico-terapeutico per il trattamento chirurgi-co dell’epilessia farmaco-resistente

Figura 4 - Grids subdurali per re-gistrazione invasiva di superficie po-sizionati mediante craniotomia

Figura 5 - Elettrodi di profondità per registrazione invasiva posizionati mediante casco stereotassico

Figura 6 - Lobectomia temporale anteriore per displasia focale cortica-le (caso personale)

Figura 7 - Emisferotomia fun-zionale per epilessia post-traumatica (danno diffuso dell’emisfero dx) (caso personale)

Figura 8 - Deconnessione endo-scopica di amartoma ipotalamico per il trattamento dell’epilessia gelastica farmaco-resistente (caso personale)

Figura 9 - Schema e controllo RX (caso personale) di Stimolatore vagale (Vagal Nerve Stimulator) per il trattamento neuromodulatorio e palliativo dell’epilessia farmaco-resi-stente multi-focale

Figura 10 - DBS su Globo palli-do interno bilaterale (Gpi) per il trat-

tamento di un caso di distonia gene-ralizzata idiopatica con mutazione DYT-1

Figura 11 - DBS con impianto bilateral braccio anteriore capsula interna per disturbo ossessivo-com-pulsivo associato a disturbi del com-portamento (aggressività, automuti-lazione) (Caso personale)

Figura 12 - Anastasmosi tra ner-vo faciale e ramo masseterino del nervo trigemino (caso personale)

Figura 13 - Nevralgia trigeminale tipica da conflitto neurovascolare tra Arteria Cerebellare Superiore (SCA) e radice del nervo trigemino

Figura 14 - Stimolatore epidura-le spinale cervicale per il trattamento di dolore neuropatico secondario a lesione midollare traumatica

Figura 15 - Stimolatore epidu-rale corticale posizionato sull’area motoria primaria per il trattamento di dolore centrale post-stroke

Figura 16 - Schema stimolatore e controllo RX dopo impianto stimo-latore bilaterale del nervo grande oc-cipitale (ONS) per il trattamento della cefalea e dell’emicrania farmaco-re-sistente

Figura 17 - Neurochirurgia Fun-zionale e riparazione plastica dei tes-suti

Neurochirurgia

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Anemosneuroscienze

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Figura 1 Figura 2 Figura 3

Figura 5

Figura 6 Figura 7

Figura 8 Figura 9

Figura 4

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

bilaterale del nervo grande occipitale di Arnold (Occipital Nerve Stimulator= ONS) (Figura 16). La ONS sembra es-sere efficace sia nella emicrania comune che nella cefalea a

grappolo.

Rigenerazione nervosa centrale e periferica. Il trapianto delle cellule staminali pluripotenti, l’uso di vettori vi-rali per la terapia genica sintetizzati con le tecniche di biologia molecolare, l’erogazione di fattori di crescita neurotrofici (Ner-ve Growth Factor) con nanotecnologia possono essere eseguiti sia durante la vita fetale che extrauterina e permetterebbero di “correggere” precocemente gli errori di sviluppo del sistema ner-voso centrale riprogrammandolo e riplasmandolo (Figura 17). Quest'ultimo capitolo è sicuramente ancora sperimentale e lun-ga è la strada da percorrere, ma è sicuramente il futuro prossimo venturo della Neurochirurgia funzionale. ♦

Figura 10 Figura 11

Figura 12 Figura 13 Figura 14

Figura 15 Figura 16

Figura 17

Autori. Flavio Giordano, Barbara Spacca, Lorenzo GenitoriuoC Neurochirurgia, ospedale meyer, Firenze

Neurochirurgia

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1APensiero al femminile

vita e pensiero di una donna complessa e affascinanteSimone Weil

Pensiero al femminile. L'approccio multidisciplinare di «Neuroscienze Anemos» guarda anche al mondo della psicologia sociale. La questione delle discriminazioni di genere e del ruolo della donna nella società rientra tra le problematiche anche della nostra epoca. Da qui l'esigenza di puntare la lente sul contributo del genere femminile ai settori importanti della scienza e della cultura.

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IL PERSONAGGIO

uNA vItA IN MovIMENto

La vita di Simone Weil

Filosofa, insegnante, opera-ia, contadina, scrittrice, mi-stica, credente e miscreden-te, dentro le cose divine e fuori dalla chiesa, Simone

Weil appare come una singolare guer-riera senza eserciti, la cui breve esi-stenza – muore a trentaquattro anni, il 24 agosto del 1943 – occorrerebbe misurare in base all’intensità, alla profondità con cui è stata vissuta. Di intelligenza precoce, fu studen-tessa all’Ecole Normale laureandosi nel 1931 e dedicandosi successiva-mente all’insegnamento in vari licei. La scoperta della condizione operaia, la vicinanza agli oppressi e ai deboli l’avvicina a posizioni politiche radi-cali, spingendola ad abbandonare l’insegnamento e gli studi puramente teorici per vivere la condizione ope-raia in prima persona nel 1934, quan-do incomincia a lavorare come ma-novale in una fabbrica metallurgica di Parigi. Nel 1936 prende parte alla guerra civile spagnola. Passa la fron-tiera francese come giornalista e si arruola come miliziana fra i volontari della colonna anarchica Buenaventu-ra Durruti. Incapace ad utilizzare le armi, contribuisce alla lotta attraver-so lavori di servizio e di cucina. Feri-tasi lavorando e dubbiosa sull’utilità del conflitto torna dopo alcuni mesi a Parigi: “Non era più, come mi era sembrata all'inizio, una guerra di contadini af-famati contro i proprietari terrieri e un clero complice dei proprietari, ma una guerra tra la Russia, la Germania e l'Italia”La militanza di questi anni segue continue analisi del dibattito teori-co e politico internazionale, che la portano a intrattenere relazioni con molti pensatori e attivisti (da Trotsky a Souvarine, da Monatte a Guerin tra gli altri) e a confutare criticamente gli assunti del maxismo-leninismo attraverso la continua ricerca della migliore espressione pragmatica della libertà, nel sudato rapporto tra liber-tà individuale e felicità pubblica. La collaborazione con diverse riviste, in particolare La Critique sociale, la spinge a prende pubblicamente posi-zione contro lo stalinismo e il buro-cratismo dello Stato e delle istituzio-ni in genere, contro la degenerazione sociale cui spinge il potere.58

di Simone Ruini

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AnemosneuroscienzeApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Figura 9.1 - In alto Simone Weil, in piedi; seduti, da destra a sinistra: André Weil, Hen-ri Cartan e Jean Delsarte durante il congresso Bourbaki a Chançay 1937.

In L’azzurro del cielo, Georges Batail-le, intellettuale del Cercle communiste democratique, conosciuto dalla Weil durante questo periodo, delinea una trasfigurazione di Simone Weil nel per-sonaggio di Louise Lazare: “Era sui venticinque anni, brutta e visibilmente sporca… Il cognome, Lazare, si addice-va al suo aspetto macabro meglio del nome proprio. Era strana, anzi piutto-sto ridicola… Era, in quel momento, la sola persona che mi aiutasse a sfuggire alla prostrazione… Portava abiti neri, sgraziati e macchiati. Pareva non vedesse nulla davanti a sé, spesso urtava i tavoli passando. Senza cappello, i capelli corti, irti e spettinati le creavano ali di corvo intorno alla faccia. Aveva un gran naso di ebrea magra, la carnagione giallastra usciva da quelle ali sotto gli occhiali cer-chiati d’acciaio… Esercitava un suo fa-scino, e per la lucidità e per le sue idee di allucinata. Quel che mi interessava di più in lei, era l’avidità morbosa che la spin-geva a dare la sua vita e il suo sangue alla causa dei diseredati. Riflettevo: dev’esse-re un sangue povero di vergine sporca”.

Dal 1937-1938 emerge e si impone con grande intensità la ricerca di propri per-corsi di fede, destinati a diventare cen-trali nell’ultimo scorcio della sua vita. L’attenzione ad essi non diminuisce la volontà di condividere con gli ultimi e gli sfruttati l’esistenza, ma anzi appro-fondisce e significa l’attivismo politico sotto una diversa luce, la vita politica non più ristretta ai soli luoghi deputati dei costituiti poteri temporali. Dopo aver trascorso la Pasqua a Sole-smes iniziano le esperienze mistiche, e la religione cattolica verrà sempre più vis-suta come un riferimento, sebbene non si deciderà mai a ricevere il battesimo e sebbene mantenga la convinzione della irriducibile valenza del soggetto indivi-duale nell’esperienza religiosa.Con l’inizio della seconda guerra mon-diale è fortemente pacifista, convinta che nulla possa giustificare la tragedia di un conflitto. A causa dell’invasione tedesca della Francia nel giugno del 1940 lascia Parigi per rifugiarsi con la famiglia prima a Vichy, poi a Tolosa e infine a Marsi-glia, nella parte di territorio denominato “zona libera” sotto il controllo del go-verno di Vichy. In questo periodo studia il sanscrito, ricerca e scrive di tematiche sociali, religiose, letterarie, scrive poesie. Viene arrestata a Marsiglia per la distri-

buzione di volantini scritti contro il governo. Viene inol-tre esclusa dall'insegnamento in seguito alle leggi razziali, poiché la famiglia è di origine ebraica. Conosce Perrin, un domenicano che diverrà il suo referente spirituale e che la metterà in contatto con la fa-miglia Thibon, presso la quale Simone lavorerà come agricol-trice, nella speranza di trovare momenti di serenità attraverso il connubio di lavoro manuale e lavoro intellettuale. Gustave Thibon, filosofo-contadino, racconta così: “Ogni sera si se-deva su una panchina di pietra vicino alla fontana […] e là mi leggeva a lungo Platone sostenendo, con mille spiegazioni, il mio incerto proce-dere di grecista. I suoi doni pedagogici erano prodigiosi: se essa sopravvalutava volentieri le possibilità di cultura di tutti gli uomini, sapeva anche mettersi al livel-lo di chiunque per insegnargli qualsiasi cosa. Sia nell’insegnare la regola del tre a un ragazzino ritardato sia nell’iniziarmi agli arcani della filosofia platonica, essa metteva se stessa e tentava di ottenere dal suo discepolo quella qualità di estre-ma attenzione che, nella sua dottrina, si identificava alla preghiera”. Nel 1942 fugge dalla Francia con i ge-nitori imbarcandosi per l’America dove ritrova il fratello Andrè. In America Si-mone continua le ricerche filosofiche e religiose, scrivendo due saggi sui catari e mantenendo una posizione critica rispet-to all’Ecclesia. A dicembre dello stesso anno riparte, questa volta per Londra, dove grazie a contatti costruiti con esuli e politici in nord America riesce a ricon-giungersi alla resistenza di France libre, il governo di resistenza in esilio guidato dal generale De Gaulle contro l’invasione te-desca della Francia. Qui è incaricata dal Commissario agli Interni di raccogliere idee su come gestire la situazione politi-ca- sociale del dopoguerra, componendo un corpo di scitti che prenderà il nome di l’Enracinement. Contemporaneamen-te redige il progetto di una formazione di infermiere di prima linea: donne, lei compresa, disposte al sacrificio della vita per prestare i primi soccorsi ai feriti di-rettamente sul campo di battaglia, pre-senza che avrebbe dato coraggio morale, ben diverso dal fanatismo dei nazisti, ai combattenti. L’azione, che non avrebbe

posto eccessivi problemi organizzativi, avrebbe avuto un’efficacia simbolica nello scenario della guerra. Il progetto fu sottoposto a De Gaulle, che però non l’approva. Affossato dalla Commissione per la guerra il suo progetto di essere pa-racadutata sul campo di battaglia nella Francia occupata, si nutre per quel poco a cui i razionamenti del periodo di guer-ra costringevano la popolazione france-se, affetta da tubercolosi si lascia morire in sanatorio.Il suo pensiero arriverà ad un pubblico vasto solo dopo la morte grazie ad Albert Camus che fece pubblicare nella collana Essais Philosophiques l’Enracinement “La prima radice”. ♦

Dossier su Simone Weil, Monica Giorgi, A rivi-sta Anarchica, n.345, maggio 2009 L’indomabile Simone Weil, laure Adler, Jaka Book, Milano, 2009 Incontri libertari, Eleuthera, Milano, 2009Wikipedia, voce Simone WeilRoberto Rondanina, Simone Weil. Mistica e ri-voluzionaria, Milano, Paoline, 2009

Indicazioni bibliografiche

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IL PERSONAGGIO

SimOne weil e la gOrgOne

Filosofa e poetessa, attivista e mistica: pensare e agire erano due facce

della stessa medagliadi Franco Insalaco

Simone Weil è una filosofa, po-etessa e mistica francese. La sua posizione è particolarmen-te interessante per la prospet-tiva con cui pensa e si muove

all'interno del periodo più difficile del '900. Bisogna proprio dire si muove, perché per la filosofa francese pensare e agire sono tutt'uno. L'uno senza l'altro ammutoliscono nell'impotenza. Pen-sare significa per la Weil anche agire. Così come agire significa prima di tutto pensare. Agire senza pensare non lascia alcuna chance. In Inghilterra credeva di poter contrastare più radicalmente il na-zismo, resasi contro che non era vero si lasciò morire. Il carattere principale del suo pensiero riguarda la dimensione reli-giosa. Per Simone le religioni pensano da prospettive differenti lo stesso dogma, lo stesso Dio, la medesima verità.

Il linguaggio. Verità linguisticamente inavvicinabile per l'infinita complessità che la realtà pone in essere. Verità che non può essere compresa dalla rappre-sentazione che se ne fa un essere finito come l'uomo. Accediamo al mondo at-traverso il linguaggio, ma non siamo in grado di padroneggiare le infinite rela-zioni che effettuano l'universo. Pertanto abbiamo solo possibilità di avvinarci a rappresentazioni parziali di quella infi-nita complessità. Accediamo solo a dei punti di vista limitati. Il modo per andare verso la verità, allora, richiede per Simo-ne Weil il superamento dei limiti che la

lingua oppone. Superando la traduzione continua di significati con cui crediamo, siamo certi, di afferrare il mondo, di af-ferrare ciò che è vero, si ha la possibilità di non stare più nel nostro singolo punto di vista. Perché le cose reali che riguarda-no anche la nostra esistenza, sono al di là delle prerogative che la lingua possie-de. Pertanto è solo forando il guscio del linguaggio, superando la sua gabbia, il suo limite, che si può avvicinare il vero. Ad esempio Simone scrive: "Il criterio per la scelta delle parole è facile da ri-conoscere e da impiegare. Gli sventurati, sopraffatti dal male, aspirano al bene. Bi-sogna dar loro soltanto parole che espri-mono il bene, il bene allo stato puro. La discriminazione è facile. Le parole alle quali può aggregarsi qualcosa che indi-chi il male sono estranee al bene puro. Si esprime un biasimo quando si dice: "Mette la sua persona davanti a tutto". La persona è dunque estranea al bene. Si può parlare di un abuso della democra-zia. La democrazia è dunque estranea al bene. Il possesso di un diritto implica la possibilità di farne un buono o un cat-tivo uso. Il diritto è dunque estraneo al bene. Al contrario, il compimento di un obbligo è un bene sempre, dovunque. La verità, la bellezza, la giustizia, la compas-sione, sono dei beni sempre, dovunque. Per essere sicuri di dire quel che occor-re, basta limitarsi, quando si tratta delle aspirazioni degli sventurati, alle parole e alle frasi che esprimono sempre, dovun-que, in ogni circostanza, unicamente del

bene... L'amore della verità è sempre ac-compagnato da umiltà. Il genio naturale non è altro che la virtù sovrannaturale dell'umiltà nel campo del pensiero. Inve-ce d'incoraggiare lo sbocciare dei talenti, come si erano prefissi nel 1789, bisogna amare teneramente e scaldare con tene-ro rispetto la crescita del genio; perché soltanto gli eroi realmente puri, i santi e i geni possono rappresentare un soc-corso per gli sventurati. Tra gli uni e gli altri, la gente che ha talento, intelligenza, energia, carattere, forte personalità, fa da schermo e impedisce il soccorso. Non occorre far male allo schermo, bisogna metterlo tranquillamente da parte, facen-do in modo che se ne accorga il meno possibile. E bisogna rompere lo scher-mo molto più pericoloso del collettivo, sopprimendo tutta la parte delle nostre istituzioni e dei nostri costumi in cui ri-siede una qualche forma dello spirito di partito. Né le personalità, né i partiti pre-stano mai attenzione sia alla verità che alla sventura. C'è alleanza naturale tra la verità e la sventura, in quanto sia l'una che l'altra sono dei supplicanti muti, condannati in eterno a restare senza voce davanti a noi. Come un vagabon-do, accusato in tribunale di aver preso una carota in un campo, sta in piedi di fronte al giudice, il quale, comodamente seduto, infila elegantemente domande, commenti e scherzi, mentre l'altro non riesce neanche a balbettare; così sta la ve-rità di fronte a un'intelligenza occupata ad allineare elegantemente opinioni."

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AnemosneuroscienzeApr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

L'anarchia. In questa citazione ripre-sa da: "La persona e il sacro", troviamo alcune questioni fondamentali del pen-siero di Simone. Il suo pensiero anarchi-co, ad esempio, che possiamo avvertire nel fatto che il diritto non appartiene al bene, perché di fatto il diritto si trascina dietro la forza per farsi rispettare. Poi an-che nello spirito di partito e nelle istitu-zioni, dice Simone, sussiste lo schermo più pericoloso che deve essere rotto. Ciò che è evidente è che l'intelligenza adde-strata non sa che allineare opinioni, men-tre il vagabondo, la verità, è di fronte a lei. Uscire dal linguaggio significa allora innanzitutto allontanarsi proprio dalle isituzioni, dal linguaggio collettivo, neu-tro, astratto, per andare verso una capa-cità espressiva che si singolarizza. Passare dal collettivo al singolare è per Simone la premessa per fare poi l'ulteriore salto verso la rottura del soggetto cartesiano: "cogito ergo sum". Soggetto che si tira su da solo, autonomo, indipendente, questo è, secondo Simone Weil, il vero problema che impedisce di accedere alla realtà. Il soggetto orzoticamente si eleva al centro di tutto illudendosi di sapere come stanno le cose. Prerogativa in un certo senso del linguaggio stesso che per parlare non può che affermare e credere ciò che intende. Anche quando dice il falso sapendolo, crede al vero che na-sconde. Per questo il movimento che per la Weil può rompere il guscio linguistico deve anche decostruire il soggetto. Per-ché l'io è, a somiglianza di Dio, al cen-tro dell'Universo. Al contrario, Dio per

Simone non si impone all'umanità, non usa il suo potere dall'alto, ma cala verso le creature seducendole con la bellezza e il bene. La controprova è l'esistenza del male, per cui o Dio non è onnipotente, o non è buono, o non comanda ovun-que ne abbia il potere. Dunque, poiché non è possibile non attribuire a Dio i primi due attributi, occorre pensare che la creazione da parte di Dio non è un atto di espansione, ma di contrazione, di rinuncia. Questo il nucleo essenziale della rivelazione da cui si sono generate le religioni autentiche. Rivelazione non tanto di Dio all'uomo in generale quan-to esperienza interiore di una contrad-dizione tra necessità e bene, attraverso questa via la decisione che il bene per noi è possibile solo negando il nostro io e assumendo fino in fondo la nostra condizione di creature. Solo nella piena coscienza di essere creati ci è rivelato che Dio ha negato se stesso per darci la possibilità di negarci per lui. In altri ter-mini, la rivelazione non è un contenuto formalizzato che noi dobbiamo osserva-re, ma è una esperienza interiore della realtà di Dio, chiunque esso sia e anche se non gli si dà questo nome. Scrive la Weil: "Poiché è Dio che deve venire a cercare l'uomo, a prendergli l'anima sor-prendendo i sensi, ci sono a tal fine solo due mezzi: le bellezze naturali (il cielo, il mare, le stagioni, le pianure, montagne, fiumi, alberi, fiori, gli spazi - e i bei corpi e bei visi degli uomini, delle donne e dei bambini) - e i segni sensibili (linguaggio, opere d'arte, azioni...) provenienti dalle

anime in cui egli è entrato". Il contrario è ciò che invece accade comunemente. In questo senso la riveazione è inoperativa perché secondo Simone nella prassi pre-vale ancora il paganesimo.

La pietrificazione. Ciò la porta a scrivere un saggio su quello che per lei è il testo più importante della cultura Greca: "Iliade il poema della forza". La cultura Greca, secondo lei precristiana, a partire da Omero si interroga proprio sulla condizione che porta gli uomini a diventare cose, la guerra sottopone tutti al gioco per cui l'anima viene congela-ta da entrambe le parti, negli attaccati e negli attaccanti, nei vincitori e nei vin-ti, nelle vittime e nei carnefici. L'Iliade mostra come tutti gli eroi dalla parte greca e troiana passino dall'esaltazione della vittoria al terrore della sconfitta, lo stesso Achille, il più forte, passerà da un sentimento all'altro. Questo pendolo che oscilla in modo ineluttabile lascia senza via di scampo i combattenti. Essi ne sono pietrificati. Gandhi con la sath-yagrà cercherà proprio il modo di uscire da quella oscillazione che ci trascina con la sua forza in quella gorgonica condi-zione. ♦

Gli astriAstri di fuoco che la notte abitate cieli lontani, Astri muti che nell’eterno gelo ciechi volteggiate, Voi strappate ai nostri cuori i giorni trascorsi E nel domani senza il nostro consenso ci gettate, Noi piangiamo e le nostre grida verso di voi son vane. Vi seguiremo, se occorre, le braccia incatenate, Gli occhi rivolti al vostro puro scintillio dolente. Al vostro sguardo ogni dolore è niente. Noi vacilliamo in silenzio sul nostro cammino. E là, si spalanca nel cuore il loro fuoco divino.

Simone Weil

Simone Weil, La Grecia e le intuizioni precristia-ne, Rusconi editore, 1974Id., L'ombra e la grazia, Rusconi editore, 1985Id, Morale e letteratura, ETS, 1990Id, Sulle guerra, Pratiche editrice, 1999Id, Sul colonialismo, Medusa Edizioni, 2003

Indicazioni bibliografiche

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24 - 25 maggio 2014, Firenze4° Congresso Nzionale S.I.F.

Casi clinici in fisioterapia dalla diagnosi funzio-nale al trattamento

Pagine dedicate al Congresso SIF 2014: www.sif-fisioterapia.it

email [email protected]

3 - 6 giugno 2014, TorinoXVIII Congresso SINPF

Personalizzazione dei trattamenti:un ponte tra Scienza di base,clinica, ambiente e terapie

Segreteria Organizzativa: Comunicazione Eventi & More tel. 06 89011781

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4 - 6 giugno 2014, mestreVII Corso Teorico-Pratico sul Monitoraggio

Neurofisiologico Intraoperatorio in Neurochirurgia

Segreteria Organizzativa: Consorzio Ferrara Ricer-che Rif. Chiara Ciampaglia tel. 0532 762404 Email

[email protected]

5 - 7 giugno 2014, Verbania50°CONGRESSO AINPeNC e

40°CONGRESSO AIRICPer ulteriori informazioni si prega di contattare la

Segreteria Organizzativa: Istituto Auxologico Italia-no fax 02.700509124 email [email protected]

24 - 26 ottobre 2014, Vibo ValentiaHIPPONION NATIONAL PRIZE V EdizioneVIBO STROKE SEMINAR: “LA VITA PRIMA

E DOPO L’ICTUS”

7 - 9 Novembre 2014, FrascatiXII Corso ASC di formazione su Cefalee e Do-

lori Cranio-Facciali - 2 ° ModuloSegreteria Organizzativa: Eva Communication tel.

06 6851549 Email [email protected] - [email protected]

20 Novembre 2014, PalermoUpdate sulle lesioni nervose

periferiche dell'arto superiore

21 - 22 Novembre 2014, PalermoWorkshop teorico-pratico – la diagnostica neu-rofisiologica ed ecografica nelle lesioni nervose

periferiche dell’arto superiore

10 - 12 Dicembre 2014, roma4° The Brain Ischemia and Stroke (BIS)

Segreteria Organizzativa: Nico Congressi tel. 06 48906436 Email [email protected]

Eventi&Formazione

Convegni mediciEventi scientifici

di interesse neurologico

Si svolgerà dal 21 al 23 maggio a Genova presso l'Hotel Tower Genova Airport il 54° Congresso SNO (Scienze Neurologiche Ospedaliere). Durante la prima giornata

di congresso, mercoledì 21, si terrà una sezione dedicata alla Neuroestetica e al premio Anemos di tesi di laurea legate alle Neuroscienze.Per il programma completo del congresso si rimanda al sito del Congresso.

mercoledì 21 maggio14.30-17.00 SALA 3 NEUROESTETICA: GRUPPO DI STUDIO SNO L’OCCHIO DELLA MENTE E L’ARTE DI VEDERE Moderatori: E. Grassi (PO), B. Lucci (UD)

14.30 - Lettura Magistrale La figurazione inevitabile M. Bazzini (PO)

15.10 - La memoria dell’occhio: Michelangelo e il teatro anato-mico della Sistina E. Grassi (PO)

15.25 - L’errore fotografico: le illusioni dell’occhio e dell’ob-biettivo M. Aguggia (AT)

15.40 - L’invenzione dell’occhio. Il ruolo della visione nel pro-cesso evolutivo G. Vallortigara (TN)

15.50 - Discussione

16.30 - Premio Anemos

17.00 - Chiusura dei lavori

Per aggiornamenti, iscrizioni e informazioni scientifiche: www.avenuemedia.eu - www.snoitalia.it

54° Congresso Nazionale sNo A Genova dal 21 al 23 maggio

Corso residenziale teorico pratico di formazione sul campo rivolto a medici e fisioterapisti per un totale di 13 ore complessive. Richiesti ECM.

Il corso si svolge presso la Libera Università di Neuroscienze Anemos, in via Meuccio Ruini 6, a Reggio Emilia. Segreteria: tel 0522. 922052

La manipolazione dei nervi periferici: plesso

lombare e plesso sacraleReggio Emilia, 7-8 giugno,

Libera Università di Neuroscienze Anemos

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L’Associazione culturale e di volontariato Anemos, fondata nel marzo 2009, nasce per coordinare e ampliare le attività di volontariato sociale di un gruppo di amici

di Novellara (RE), nonchè le attività culturali del Centro di Neuroscienze Anemos, l’attività editoriale scientifica in collaborazione con la casa editrice New Magazine Edizioni e con la casa editrice La Clessidra. Tra i vari campi d’attività accennati:

♦ Libera Università di Neuroscienze Anemos: organizza convegni, seminari e corsi multidisciplinari sul tema delle neuroscienze in collaborazione con La Clessidra Editrice (vedi testo sotto). Pubblicazione della rivista «Neuroscienze Anemos»

♦ “Libri Anemos”. Attività editoriale con la Casa Editrice New Magazine con una collana di Neuroscienze e una collana di Narrativa e Poesia

♦ Biblioteca di Neuroscienze Anemos

♦ Promozione e valorizzazione di giovani artisti

♦ Programmi di volontariato sociale nei paesi in via di sviluppo e in Italia

www.associazioneanemos.org

Nell’autunno del 2010 è nato il progetto «Neuroscienze Anemos», trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente.

Il periodico di divulgazione scientifica, distribuito gratuitamente nelle biblioteche pubbliche della provincia di Reggio Emilia e Mantova e in altri circuiti distributivi, si sviluppa in stretta correlazione con La Clessidra Editrice, giovane casa editrice Reggiana (con sede a Reggiolo, RE) nata in un contesto di associazionismo cultura-le nel 2004 e costituitasi come casa editrice nel 2006.

Editrice La Clessidra è specializzata in editoria periodica locale e settoriale. La giovane casa editrice raduna intorno a sé un attivo gruppo di intellettuali, colla-

boratori abituali e occasionali, che agiscono oltre la sfera dell'editoria.

Sotto questo aspetto, le attività promosse dall'editore contribuiscono ad alimenta-re il dibattito sulla contemporaneità, non solo presentando e divulgando la pro-

pria attività e quella di altri operatori culturali, ma anche promuovendo convegni e seminari (riguardanti l'ambito scientifico e le scienze umane) , divulgando l'attività di artisti, scrittori, studiosi di varie discipline.

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La Clessidra Editrice

L'Associazione AnemosPresidente: dr. Marco Ruini

Le Clessidra Editrice. Redazione editrice e della rivista: via XXV aprile, 33 - 42046 Reggiolo (RE) tel. 0522 210183

Direzione editoriale: Davide Donadio Tommy Manfredini

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