NèuraMagazine#4

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Nèura Magazine Numero 4 Superfici Nèurastenie Gli appuntamen della semana 25-31/10 “Fiato d’arsta” Yayoi Kusama per Louis Vuion Nel segno di Capogrossi Sara Valenna e il Vetraio Eunomia Adriana Rispoli sul MADRE di Napoli Logo ©Cristiano Baricelli 25 ottobre 2012 Non È Una Rivista d’Arte Giuseppe Capogrossi, Superficie, Arazzo cm 74 x 200, Collezione Fondazione A. De Mari, Savona (particolare)

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Non è una rivista d'arte - Superfici

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Nèura Magazine Numero 4

Superfici

Nèurastenie

Gli appuntamenti della settimana 25-31/10

“Fiato d’artista”

Yayoi Kusama per Louis VuittonNel segno di CapogrossiSara Valentina e il Vetraio

Eunomia

Adriana Rispoli sul MADRE di Napoli

Logo ©Cristiano Baricelli

25 ottobre 2012Non È Una Rivista d’Arte

Giuseppe Capogrossi, Superficie, Arazzo cm 74 x 200, Collezione Fondazione A. De Mari, Savona (particolare)

Logo in copertina e a pagina 3: ©Cristiano Baricelli, Ictus, 2005

Indice - Numero 4

Editoriale - Superfici

Eunomia - Adriana Rispoli: quale futuro per il MADRE?

Eunomia - Louis Vuitton a pois: accusata Yayoi Kusama

“Fiato d’artista” - Questione di superfici. L’omaggio di

Savona a Capogrossi

“Fiato d’artista” - Sara Valentina. La colorata

leggerezza del vetro design

Nèurastenie - I cinque sensi

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Nèura Magazine - 25 ottobre 2012

L’ultimo numero di ottobre, nonostante i ritmi concitati di inaugu-razioni di mostre e apertura di fiere, non ci fa dimenticare che sia-mo arrivati al nostro primo mese di vita.

Senza spingerci troppo in là con i bilanci (la noia dei numeri di-venta inesorabile) possiamo dirci soddisfatti dei piccoli passi mossi, uno per volta, ma in maniera costante.

Siamo rintracciabili sui social network. Sì, diciamo la nostra sul-la pagina facebook, su twitter, inviamo link su google+, lanciamo immagini su pinterest e interagiamo anche su tumblr. La scelta sta a voi. Noi siamo sempre Nèura Magazine.

Abbiamo inaugurato una Nèurletter settimanale, che esce di gio-vedì mattina, proprio come il nostro numero online. Ogni volta ha un colore e un tema differenti e vi tiene aggiornati sulla nostra atti-vità, che si esprime in formati diversi. Se siete curiosi di leggerla ba-sta iscriversi, trovate tutto sulla nostra home page.

E ricordate che scriviamo sul sito, ma vi regaliamo anche una ver-sione pdf e in .epub di ogni numero, nero su bianco: perché possia-te ascoltarci sempre, dove e come volete.

Il magazine #4 esce oggi ed è dedicato alle Superfici. Yayoi Kusa-ma le ha colorate, riempite con i suoi pois, che agiscono sugli spa-zi monocromi quasi in preda all’horror vacui della consuetudinaria contemporaneità.

Operazione in parte simile a quella di Giuseppe Capogrossi, che delle sue forme simili a forchette ne ha fatto un simbolo. Oggi il suo lavoro è in mostra a Savona, la nostra recensione vi condurrà in loco, idealmente e materialmente.

Editoriale - Nèura Magazine #4. Un mese dopo

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Superfici

Sono superfici delicate, trasparenti e vetrose, quelle lavorate da Sara Valentina, che si è occupata della creazione delle scenogra-fie del Minotauro di Dürrenmatt, spettacolo teatrale interpretato da Viviana Piccolo e Diana Palù e presentato in anteprima assoluta al pubblico di Pordenone.

Infine, sono ancora tutte da scrivere le superfici delle pagine tar-gate MADRE, il museo di arte contemporanea di Napoli in attesa del nuovo direttore. Conosceremo un pezzo della sua storia attra-verso le parole della curatrice della project room, Adriana Rispoli.

Ebbene, siamo arrivati al quarto atto della nostra storia. Ma diver-samente da tutte le pièces teatrali, che giungono a questo punto a un meritato finale, noi vogliamo ripartire, o meglio, proseguire da qui.

Buona lettura e alla prossima settimana.

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Eunomia - Adriana Rispoli: quale futuro per il MADRE?

Roberto Rizzente

Inaugurato in pompa magna il 10 giugno 2005, sull’onda di quel grande movimento di rinnovamento seguito alla stipulazione, nel marzo 2003, del Patto per l’Arte Contemporanea tra il Ministero e la Conferenza Unificata delle Regioni e degli Enti Locali, all’inizio del 2012 il Museo d’Arte Con-temporanea Donna Regina (MADRE) rischia la chiusura.

I finanziamenti alla Fondazione Donna Regina vengono congela-ti, il direttore Eduardo Cicelyn allontanato, i lavoratori rischiano il licenziamento. Pure, la Regione non sembra disposta a rinuncia-re a quello che, da più parti, viene ricordato come uno dei simbo-li del bassolinismo. L’assessore alla Cultura Caterina Miraglia pro-mette lo stanziamento di 8 milioni di euro per tre anni. Durante

Jacopo Miliani, Untitled (1967) 2011. Corpus. Arte in azione. Museo Madre, Napoli. Foto Amedeo Benestante

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l’estate viene bandito, per la prima volta nella storia dell’istituzio-ne, un concorso pubblico che elegge, a inizio ottobre, un comita-to scientifico “di tuono”: Gianfranco Maraniello, già direttore del Mambo di Bologna, Chus Martinez, curatrice capo di Documenta (13), Bice Curiger, curatrice della Kunsthaus di Zurigo e dell’ultima Biennale di Venezia, Johanna Burton, direttrice del Center for Cu-ratorial Studies del Bard College di New York, e Andrea Bellini, di-rettore del Centre d’Art Contemporain di Ginevra. In attesa che ven-ga nominato il nuovo direttore, il museo si trova ora di fronte a un bivio. Ne abbiamo parlato con Adriana Rispoli, già curatrice della Project Room per gli artisti emergenti.

Quando nasce il MADRE?Il MADRE nasce nel 2005 con la prima grande mostra di Kounel-

lis in Italia in una zona particolarmente lacerata della città, alla fine di via Duomo e di fronte alla Sanità, forse con l’obiettivo di farne un volano di sviluppo dell’area. Però va ricordato che il terreno a Napo-li per l’arte contemporanea è sempre stato fertile, un po’ per i priva-ti (Lucio Amelio e Peppe Morra, e, tra i più giovani, Alfonso Artia-co, Paola Guadagnino, Giangi Fonti, Umberto di Marino) e un po’ per la Regione, che già prima del MADRE aveva finanziato gli Anna-li delle Arti al Museo Archeologico — con Jeff Koons, Kapoor, Ser-ra e Kiefer, tra gli altri, che avrebbero poi realizzato opere site specific per il museo — e le grandi installazioni in Piazza Plebiscito a Natale, iniziate negli anni novanta con la montagna di sale di Paladino e con-cluse due anni fa con il lavoro, contestatissimo, di Carsten Nicolai.

Se volessi fare un bilancio del MADRE?Nei suoi anni di attività il MADRE è riuscito a catalizzare l’atten-

zione internazionale attraverso grandi mostre ed è stato l’antesigna-no di grandi musei, perché il Sud Italia, oltre al MADRE, non ha un museo di arte contemporanea. Purtroppo non è mai riuscito, a mio parere, a instaurare un buon rapporto col territorio, ed è sta-to questo il grande problema. La Project Room, il progetto che ho portato avanti in questi tre anni dal 2009 con Eugenio Viola, è sta-to, nel suo piccolo, un tentativo per uscire dal modello, coinvolgen-do i giovani artisti locali e spronandoli al confronto con altre realtà.

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Quali sono stati i progetti della Project Room?Il progetto principale si chiamava “Transit” e prevedeva degli

scambi, e relative residenze, con delle realtà del Mediterraneo da noi considerate affini a Napoli, che è considerata una città- soglia, una città al limite, l’ultima città europea e la prima del Mediterraneo. Su questo leit motiv abbiamo fatto dei gemellaggi con artisti e isti-tuzioni dal Cairo, lavorando con la Townhouse, una realtà para-pri-vata, con il CCA di Tel Aviv, PiST a Istanbul e lo State Museum di Salonicco, ottenendo spesso anche il supporto degli Istituti italiani di Cultura all’estero. A questi si affiancava “Spot”, pensato specifica-mente per artisti alle prime esperienze, molti dei quali stanno emer-gendo, come Roberto Amoroso o Donatella Di Cicco.

Senza dimenticare la performance…Per due anni abbiamo presentato in collaborazione col Napoli Te-

atro Festival una selezione di artisti che usano la performance come medium privilegiato di espressione. La prima edizione, “Corpus. Arte in azione”, con un budget più solido, era incentrata principal-mente sul corpo e le attuali derive del cosiddetto neoprimitivismo

Regina José Galindo, Caparazon. 2010, Corpus. Arte in azioneMuseo Madre, Chiesa di Donna Regina Vecchia, Napoli. Foto Amedeo Benestante

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(vedi Ron Athey), la seconda edizione è stata dedicata al Sud Ame-rica, con importanti artisti come Regina Jose Galindo, che aveva ap-pena vinto il Leone d’oro, Teresa Margolles, Maria Jose Arjona, Ta-nia Bruguera, tutti lavori site specific realizzati per questo festival. E l’ultima edizione, lo scorso anno, è stata un focus sulla performan-ce in Italia che ha visto la partecipazioni di sette artisti tra cui Fran-cesca Grilli, Luigi Presicce, Cristian Chironi.

Che cosa è successo poi?Già dalla fine del 2010 con lo sforamento del Patto di Stabilità, il

cambio ai vertici della Regione e il conseguente ridimensionamen-to dei finanziamenti, dovuto anche alla terribile congiuntura econo-mica globale, il museo ha affrontato un momento finanziariamente molto difficile che è sfociato in un cambio dirigenziale che si con-cluderà in seguito alla nomina per concorso pubblico di un nuo-vo direttore, che unirà la figura manageriale con quella curatoriale.

Alcuni artisti hanno portato via le proprie opere…Il MADRE oltre alle attività culturali vive anche della sua colle-

zione. Un collezione storica che non è mai stata di proprietà: a par-te le opere site specific delle origini, la collezione era composta da co-modati d’uso quindi da prestiti, come quasi sempre accade in Italia. Man mano queste opere sono tornate agli artisti o ai prestatori e cre-do che questo sia stato dovuto alla nebulosa intorno al futuro del museo. Spero davvero che con il nuovo direttore si possa ricostruire una collezione, perché di fatto un museo senza collezione non è un museo, ma un centro per le arti, che è un’altra cosa.

Quale direttore sogni per il futuro?La nuova figura di direttore sarà un ibrido, un’unica figura di-

rigenziale al tempo stesso curatoriale, quindi dal peso importan-te, che spero possa essere affiancata da un team in grado di guidar-lo nelle viscere di questa città. Mi auguro che si trasferisca a Napoli e che sia una figura internazionale “forte” perché serve una persona di larghe vedute e con un fornito patrimonio di esperienza e contat-ti. Ma spero che non ci sarà da preoccuparsi, considerando il comi-tato scientifico che è stato appena eletto.

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Quali sfide si troverà ad affrontare?Il grande problema a Napoli è che il lavoro è una lotta e quindi ci vor-

rà una grande passione. E credo che una grande passione ci sia stata, all’atto di fondazione del MADRE. Ora il museo deve risollevarsi: c’è stato un azzeramento completo, ma solo così possono cambiare le cose. Spero che nascerà una realtà che riesca a dialogare maggiormente con il territorio. Magari con un archivio, o una mediateca, purché intercetti

Luigi Presicce, La custodia del sangue nella giostra dei tori, 2012. Corpus. Arte in azione. Museo Madre, Chiesa di Donna Regina Vecchia, Napoli. Foto Amedeo Benestante

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il genius loci, perché questo è il compito di un museo, quello di essere un incubatore. Spero, poi, che il nuovo MADRE riesca a trovare il giu-sto equilibrio tra la sperimentazione, attraendo artisti internazionali e curando mostre temporanee di livello, e la conservazione, ricostruen-do, seppure attraverso i prestiti, una collezione che sia di supporto a chi l’arte la vuole studiare, la vuole vedere senza essere costretto ad andare in giro per il mondo. Sono fiorite in questi anni a Napoli alcune realtà museali interessanti che hanno contribuito a colmare un vuoto, come il Museo Nitsch, la Galleria dell’Accademia, il Museo del Novecento a Castel Sant’Elmo, ma spero che il MADRE possa tornare a essere nuo-vamente il faro per l’approfondimento dell’arte contemporanea a Na-poli con la “costruzione” di una collezione.

C’è un rinnovamento in atto, in Italia, del sistema museale?No, sinceramente. Pensiamo a realtà vicinissime come il MAXXI o

il MACRO: il finanziamento è pubblico, e di conseguenza i fondi e le possibilità di manovra sono limitati. Molti musei stanno sì facen-do un ottimo lavoro a livello di proposta culturale, ma poi ti giri, a luglio, e scopri che il MAXXI è stato commissariato. C’è poi il pro-blema dell’immensità del patrimonio artistico per capirci “antico”, in Italia, che necessariamente assorbe la maggior parte delle finanze pub-bliche. Pertanto l’investimento nel settore contemporaneo è per forza di cose limitato. Non si può negare che in Italia l’arte contemporanea venga sottovalutata nel confronto diretto con la Storia.

Ci sono ancora spazi per un giovane curatore?La figura del curatore è molto ibrida. Molto dipende dalle sue capa-

cità, sia nella proposta che nel movimento. I musei sono realtà chiuse: sono l’obiettivo, non lo step di partenza per la carriera di un curato-re. Bisognerebbe iniziare a pensare più in via indipendente. Le gallerie private lavorano sempre più autonomamente, gli spazi no profit, che all’estero sono realtà molto vivaci, in Italia sono quasi assenti. Certo, stanno nascendo delle fondazioni su tutto il territorio, Morra Greco e Morra a Napoli, o le fondazioni romane Giuliani e Nomas, anche molto vicine ai musei capitolini e principalmente al MACRO, ma parliamo sempre di un pubblico se non chiuso, certo molto ristretto.

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Eunomia - Louis Vuitton a pois: accusata Yayoi Kusama

Silvia Colombo

Se vi state chiedendo cos’è accaduto alla classica collezione di Louis Vuitton, niente allarmismi, si tratta di una trovata di Marc Jacob, il noto designer del marchio francese che ha voluto la firma della giappo-nese Yayoi Kusama per una linea a dir poco singolare.

Da qualche decennio l’arte, si sa, ha dispiegato le proprie ali, apren-dosi ad ambiti differenti eppure affini. Ha compiuto plurime incur-sioni nel cinema, ha giocato con il design e, trasformandosi mano a mano in diva pop, non ha potuto fare a meno di guardare, ammic-cante, a tutto ciò che, letteralmente, è patinato e fashion.

Già negli anni trenta Salvador Dalì, in collaborazione con Elsa Schiaparelli, dà vita a uno splendido vestito da sera,

Cartolina promozionale: Yayoi Kusama per Louis Vuitton © Kusama at “Dots Ob-session 2011”, Watari Museum of Contemporary Art, Tokyo. Courtesy Victoria Miro Gallery, London | Ota Fine Arts, Tokyo | Yayoi Kusama Studio Inc. © Yayoi Kusama

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morbidamente color pastello, non fosse per la presenza di un’a-ragosta gigante stampata sulla gonna (Woman’s Dinner Dress, 1937).

Qualche tempo dopo (1964) Andy Warhol rende omaggio ai clienti più assidui della zuppa Campbell regalando, a chi ne acqui-sta almeno cinque latte, un tubino stampato a tema, e solo l’an-no dopo Piet Mondrian con Yves Saint Laurent lavora al modello “Mondrian” day dress (collezione autunno 1965).

Ancora, persino il nostrano Alighiero Boetti si lascia sedurre dalla moda, restituendoci un avveniristico completo – abito e po-chette – in plastica trasparente e blu, con monete da cinque lire incorporate (1967).

Non è una novità se, oggi, anche il marchio Louis Vuitton è de-sideroso di rimanere al passo. Così Marc Jacob, in occasione dell’a-pertura di una grande personale dedicata alla Kusama (classe 1929) presso il Whitney Museum di New York, tenta il colpaccio e deci-de di chiamarla a sé, commissionandole il confezionamento di una collezione nuova e originalissima.

A noi che cosa resta da dire? Ai pois dell’artista che, parrucca fiammante a portata di mano, sin

dagli anni sessanta ha disseminato su tele dalle proporzioni smisura-te, su corpi esposti al pubblico e all’interno di installazioni lumino-se i suoi Polka dots siamo ormai avvezzi.

Lo stesso vale per le sue sporadiche ma ripetute esperienze di moda. Nel 1968 Yayoi allestisce un Fashion show all’interno dello studio newyorkese e, nel medesimo anno, fonda e lancia sul merca-to il suo marchio di fabbrica.

Ulteriori creazioni si incontrano, sorpresa delle sorprese, nei musei in giro per il mondo – non ultimi i due modelli esposti alla mostra “Reflecting Fashion” allestita la scorsa estate al MUMOK di Vienna.

Ed eccoci al risultato della recente collaborazione. La linea non po-teva che chiamarsi Infinitely Kusama (Infinitamente Kusama in Italia) e non poteva fare altro che impossessarsi – purtroppo in ma-niera forse piattamente ‘globalizzata’ – delle vetrine di tutto il mondo, urlando, pur in silenzio, il nome dell’autrice dell’operazione.

Più riusciti, poiché divertenti, spensierati e sfiziosi, gli accesso-ri e i capi decorati dai soli pois (trench in nero su nero, occhiali da

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sole gialli, portafogli, bracciali e ballerine con tanto di fiocco ros-so e bianco), risultano invece meno affascinanti e d’impatto quelli con entrambi i ‘loghi’, il dot dell’artista e il monogramma Vuitton.

La scelta è decisamente vasta, non c’è alcun dubbio. Ma tutte co-loro che pensano di potersi finalmente permettere un pezzo uni-co, collezionando in maniera accessibile un’opera dell’artista, non si facciano illusioni.

In linea con gli standard della maison parigina, i costi sono piut-tosto elevati: cosa scegliere, una borsa a spalla modello Papillon, in giallo e Pumpkin dots, a 1.080 euro o una serigrafia recente, quotata tra i 1000 e i 4000 euro? [ndr E attenzione alle più recenti quotazio-ni artistiche, leggermente lievitate rispetto agli anni passati: il lavo-ro Universe RYKP è stato venduto, in occasione del Frieze di Lon-dra, a 500.000 dollari]

Se non rientrate tra le precedenti opzioni, ma masticate un po’ di tecnologia c’è un’alternativa: potete scaricare, direttamente dal sito

Da sinistra: Andy Warhol, Souper Dress (1964)Piet Mondrian, “Mondrian” day dress – collezione di Yves Saint Laurent (autunno1965)

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della casa di moda, una app gratuita per iPhone, Louis Vuitton Ku-sama Studio. Come si legge dall’introduzione: “Creata come tribu-to all’artista, questa applicazione è un modo completamente nuovo di guardare il mondo attraverso gli occhi di Kusama”.

Scatta, applica all’immagine un filtro luminoso o a pois. In tota-le libertà creativa, certo.

Click.

Yayoi Kusama Louis Vuittonwww.louisvuittonkusama.com

Vetrina del punto vendita di Milano, Galleria Vittorio Emanuele, ottobre 2012. Credits: Silvia Colombo

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“Fiato d’artista” - Questione di superfici. L’omaggio di Savona a Capogrossi

Sonia Cosco

Superficie 209, Superficie 635, Superficie G 127. Giuseppe Capo-grossi e le superfici. Immagino di non sapere nulla dell’artista ro-mano (1900-1972), è un sabato pomeriggio a Savona, la Pina-coteca Civica di Piazza Chabrol è aperta e scopro che è in corso una mostra che s’intitola Nel segno di Capogrossi. Un allestimen-to semplice, poche, ma significative, le opere: oli su tela, acquerelli, litografie, foulard, terracotte, quasi tutti provenienti dalla Fondazio-ne Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo.

Foulard, 1954, cm 84,5 x 84,5, Edizione della Galleria del Cavallino, Venezia, Collezione Milena Milani

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Non sono e non voglio essere un critico d’arte, semplicemente mi appago dell’esperienza visiva in cui mi sono imbattuta e scat-tano con immediatezza le associazioni mentali. Innanzitutto le di-dascalie con quei titoli enigmatici: “superficie”, una parola che mi rimanda alla matematica, a una forma geometrica senza spessore,

Giuseppe Capogrossi, Piatto, 1957, terracotta decorata sottovernice, diam. cm 40 (particolare)

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piatta o curva, limitata, illimitata, chiusa, aperta. Dai titoli passo al contenuto delle opere. Cosa sono quei di-segni? Forchette? Petti-ni? Tridenti? Mi sfiora un pensiero provocatorio che condivido solo con voi lettori di Nèura: quei di-segni per me (non storcete il naso!) sono gli antenati degli alieni di un videogioco arcade del 1978 chia-mato Space Invaders che, sono certa, i nati tra gli anni settanta e ot-tanta, ricorderanno.

Superfici. Spazio. Spazialismo. Non è un caso che Giuseppe Ca-pogrossi abbia aderito al movimento ideato da Lucio Fontana. Non è un caso che le sue opere (post ’49) mi riportino indietro in un tempo ancestrale e contemporaneamente nell’universo di alieni sti-lizzati per PC MS-DOS. Preistoria futuristica. Pitture rupestri e glossario informatico. Segno che si ripete ossessivamente come se-quenze all’interno di una catena DNA. È come se Capogrossi par-lasse un linguaggio scientifico e lo rendesse visivamente con la sua arte, nella misura in cui, tutto ciò che riguarda la vita, è ritmo di elementi che si ripetono, si incastrano, catena di montaggio, catena di smontaggio. Lavori non necessariamente sensati, lavori non ne-cessariamente solo decorativi (la principale accusa dei detrattori di Caprogrossi).

La mostra presso la Pinacoteca Civica di Savona realizzata dal-la Fondazione Museo di Arte Contemporanea Milena Milani in me-moria di Carlo Cardazzo, a cura di Simona Poggi e Milena Milani, con la collaborazione del Servizio Musei del Comune di Savona e dell’Associazione Culturale Arte DOC, è un omaggio all’artista ro-mano che ha dato vita a un alfabeto che — può piacere o non pia-cere — di certo è oscuro. Segno come simbolo, come indice o come icona? Si chiederebbe il filosofo Charles Peirce. Deviando in ambi-to pubblicitario, potremmo dire che Capogrossi ha creato un logo, sicuramente una cifra identificativa della sua arte, che non era sin dall’inizio così criptica.

Capogrossi passa dal figurativo all’astrazione e al concettuale dopo la Seconda Guerra Mondiale, con un gesto coraggioso. Non gli importa di perdere clienti, non gli importa dello scetticismo dei critici italiani, va avanti e i riconoscimenti non tardano ad arrivare dall’estero, a partire dalla Parigi e la sua notorietà varca i confini na-zionali partecipando, unico tra gli italiani, alla mostra Véhémences

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Confrontées del 1951. In patria, a parte poche menti illuminate come il gallerista-mecenate Carlo Cardazzo, intorno a lui si fa il vuoto e ci vorrà del tempo per riconoscerne il valore.

«La personale di Savona sta raccogliendo consensi sia dal pubbli-co che dalla critica» commenta la curatrice Simona Poggi «è un ap-profondimento dei rapporti di Capogrossi con il gallerista-mecena-te Carlo Cardazzo e con la scrittrice Milena Milani in ambito ligu-re. Nell’esposizione si possono vedere diverse tele, alcune delle quali inedite, un tavolo e alcuni piatti in ceramica e svariati foulard a tira-tura limitata dell’Edizione del Cavallino Venezia». L’iniziativa si ac-compagna con un catalogo con i contributi critici di Riccardo Bar-letta, Milena Milani, Simona Poggi, Lorenza Rossi, Roberto Gian-notti, si avvale del contributo della Fondazione “A. De Mari”.

«Giuseppe ha avuto un forte legame con il nostro territorio e ha lasciato una traccia indelebile del suo operato. Ne sono testimo-nianze il mosaico per la Passeggiata degli Artisti di Albissola Ma-rina, Superficie 30 e la tela Superficie 512 realizzata presso l’Ostello

Giuseppe Capogrossi, Superficie, Arazzo cm 74 x 200, Collezione Fondazione A. De Mari, Savona (particolare)

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della Gioventù di Albissola Marina che si trova al Solomon Gug-genheim di New York».

Alla mostra manca però all’appello l’opera forse più significativa della Fondazione savonese: Superficie 209 (del 1957), in quanto ri-chiesta dalla Fondazione Peggy Guggenheim per l’antologica Ca-pogrossi. Una retrospettiva a cura di Luca Massimo Barbero. Per vederla bisogna quindi andare a Venezia, e avete tempo fino al 13 febbraio 2013.

Nel segno di CapogrossiSale Mostre temporanee della Pinacoteca Civica, Palazzo Gavotti15 settembre - 28 ottobre 2012, ingresso gratuitolun. mar. mer., 9.30-13gio. ven. sab., 9.30-13 / 15,30-18,30dom., 10-13www.comune.savona.it

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“Fiato d’artista” - Sara Valentina. La colorata leggerezza del vetro design

Anna Castellari

Non è facile entrare in un ambito come il design mescolandolo all’arti-gianato antico e tradizionale, come la lavorazione del vetro di Murano. Ma Sara Valentina, erede della storica azienda cordenonese Il Vetraio, ce l’ha fatta. Noi l’abbiamo scoperta a uno spettacolo di teatro contempo-raneo, Il Minotauro.

Le collezioni che presenta Sara Valentina, responsabile anche dell’uf-ficio stile e marketing dell’azienda di famiglia Il Vetraio, sono diverse e tutte con una personalità particolarissima. Ognuna ha uno stile ben definito, ma tutte hanno in comune la leggerezza e la ricerca del bello.

Noi Sara l’abbiamo incontrata a Pordenone, alla prima di uno spettacolo teatrale contemporaneo che si è tenuto all’ex convento

La scenografia del Minotauro di Sara Valentina, con l’attrice e regista Viviana Piccolo e la ballerina Diana Palù (coreografia di Ceclia Faotto)

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di San Francesco. Si tratta dell’adattamento teatrale del Minotauro di Dürrenmatt, su cui ha lavorato Viviana Piccolo, attrice e regista formatasi tra Padova e Bologna, che in passato aveva già portato in scena Fando y Lis di Arrabal, il quale l’aveva notata e le aveva scrit-to un monologo ad hoc.

Questa volta, la Piccolo è tornata nella sua terra d’origine e ha scelto di mettere in scena il romanzo di Dürrenmatt, pubblicato Marcos y Marcos, con una ballerina di danza che impersonasse il Minotauro protagonista, attraverso inattese e leggiadre coreografie e, appunto, con Sara Valentina come scenografa.

«L’idea iniziale» ci spiega l’artista del vetro, subito dopo la prima, il 5 ottobre «era quella di creare un vero e proprio labirinto fatto di vetri e specchi, che conducesse attraverso i suoi meandri nel bel mezzo della stanza in cui si teneva lo spettacolo, partendo dal chio-stro. Ma per motivi di sicurezza, questo non è stato possibile, e ci siamo dovute accontentare di un percorso di specchi che portasse in una sola “galleria”, non un vero labirinto».

Se il Minotauro dürrenmattiano confonde la propria immagine con il labirinto di specchi creato in questa occasione da Sara Valentina, anche il pubblico (se la scenografia avesse potuto essere quella che inizialmen-te era stata pensata) si sarebbe visto riflesso mille volte allo specchio. E sarebbe entrato – ancora di più – nella prospettiva del Minotauro, che in questo romanzo è piuttosto una vittima che un carnefice.

La leggerezza delle opere di Sara Valentina è un’ottima allea-ta nel contesto teatrale pensato da Viviana Piccolo, proprio gra-zie alla versatilità della vetraia. Pur rimanendo ancorata a uno sti-le riconoscibile, le opere sullo sfondo dello spettacolo riescono a comunicare al pubblico il senso di spaesamento del protagonista. Le trasparenze e le decorazioni rimangono tuttavia molto ricono-scibili in questo lavoro, come si può notare confrontandolo con le opere che Sara vende al pubblico. Sul suo sito web, infatti, ri-troviamo molti tratti caratteristici, ricorrenti anche nella pièce. Ad esempio, le decorazioni geometriche con semplici motivi — la luna e le stelle, la spirale — sono riprodotti sul vetro di un pan-nello del labirinto, ma anche in molte altre creazioni dell’artista. E la spirale è anche motivo utilizzato come simbolo del labirinto. Non solo: vi sono complementi d’arredo che l’artista crea, e che

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Rosanna La Spesa, Luna d’acqua

Viviana Piccolo (in bianco) a fianco alla ballerina Diana Palù durante un momen-to dello spettacolo Il Minotauro con la scenografia di Sara Valentina

(coreografia di Ceclia Faotto)

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qui sono riproposti in doppia valenza: sia come scenografia, sia per il suono tintinnante che producono. Si tratta di alcuni fili so-spesi dall’alto, attraverso i quali sono infilati — uno dietro l’altro — alcuni pezzi tondi in vetro trasparente e colorato.

Le idee di Sara Valentina sanno di antico e di design contem-poraneo al tempo stesso. Nella mente di chi ha visto Il Minotau-ro esse sono anche una scenografia che si esprime da sola. Di cer-to, sono leggere e dense di colori brillanti.

Per informazioni: www.saravalentina.it | www.ilvetraio.it

La scenografia del Minotauro di Sara Valentina, con l’attrice e regista Viviana Piccolo e la ballerina Diana Palù (coreografia di Ceclia Faotto)

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Cinque Nèurastenie per i cinque sensi. Perché l’arte non si vede soltan-to, ma si tocca, si gusta, si sente, si ascolta.

#Vista

La nobile arte di Valentina Beotti e Claudia Pajewski è una per-formance/installazione fotografica di 30’ collocata all’interno del Festival Internazionale Gender Bender che si svolgerà nella pros-sima settimana a Bologna. Un’indagine non oggettiva sulla violen-za dell’amore. “Di quanta capacità vitale ho bisogno per contenerti? Quanta capacità vitale ho quando mi accorgo che non ci sei? Quan-ta capacità vitale ho quando ricordo come era averti vicino?”. Un innesto di generi, un ibrido tra performing art e fotografia. I due ca-nali espressivi si sviluppano su binari paralleli attraverso l’immagi-ne evocativa della boxe, sezionandola in tre match: la ricerca, l’in-contro e la perdita. Se dal punto di vista performativo il nucleo ap-profondito è il sentimento amoroso, la parte fotografica si concen-tra sul tema dell’identità. Amore e identità sono qui intesi come parti di un unicum, in cui il perdersi nell’altro diventa al contem-po epifania identitaria. Il sé dischiude i suoi confini precostituiti per scoprirsi parte del tutto e contenitore di tutte le infinite possibilità dell’essere. Da vedere.

Nèurastenie - #I cinque sensi

Sonia Cosco

Info e contattiOrari. h 23Ingresso. gratuitosito web. www.genderbender.it

Dove e quandoBologna, Festival Internazionale Gender Bender27 ottobre 2012

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Superfici

#Udito

Un Giardino Sonoro come opera d’arte, ecco il progetto di Simone Conforti e Lorenzo Brusci per la Biennale Architettura di Venezia, rea-lizzato da un’equipe di architetti, designer, ingegneri del suono, da po-ter ammirare e ascoltare fino al 25 novembre 2012. Sensori che capta-no le frequenze dell’ambiente per creare nuovi paesaggi sonori e vivere nuove esperienze acustiche. Il basalto, la ceramica, la terracotta, il mar-mo sono materiali che riproducono il suono per sentirsi vivere all’inter-no di un ambiente in cui natura e architettura convivono in armonia.

Un suono ecologico contro l’inquinamento acustico che viene dif-fuso da altoparlanti che assumono diverse forme – campane, sfere, gocce, chiocciole, delfini – in modo da poter essere appoggiati a terra o pendere dagli alberi, ma anche appesi a un soffitto o a una parete. Saranno queste particolari sculture a ricreare l’area del Giardino delle Vergini all’Arsenale per tutto il periodo del Festival.

#Olfatto

Spostiamoci dall’Italia e andiamo a New York per conoscere i se-greti che si nascondono nella profumeria artistica con la mostra The

Dove e quandoVenezia, Giardino delle Vergini - Arsenale, BiennaleFino al 25 novembre 2012

Info e contattiSito webwww.labiennale.org/it/mediacenter/video/giardino-sonoro.html

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Nèura Magazine - 25 ottobre 2012

Art of Scent, 1889-2012, firmata Chandler Burr. Dal 2010 la gran-de mela ospita un museo dedicato al profumo, il Center of Olfactory Art presso il Museum of Arts and Design di New York. Il progetto na-sce da un’idea di Chandler Burr, perfume critic per il New York Times.

Fino al 27 gennaio 2013 sarà possibile esplorare il design e l’e-stetica dell’arte olfattiva attraverso 12 fragranze cardine degli ulti-mi 123 anni tra le quali: Chanel N ° 5 by Ernest Beaux, Jicky by Aimé Guerlain, Aromatics Elixir by Bernard Chant, Angel by Oli-vier Cresp, Pleasures by Annie Buzantian e Alberto Morillas, Un-titled by Daniela Andrier, Drakkar Noir by Pierre Wargnye, L’Eau d’Issey by Jacques Cavallier, cK One by Alberto Morillas e Harry Frémont, Prada by Carlos Benaim e Clément Gavarry.

# Gusto

All’interno della mostra Food Design - Capolavori da mangiare verran-no presentate creazioni di food art design, cibo creativo come le asce di torta di Natascia Fenoglio o i piatti volanti a motivi astratti e futuribili di Roberta Mitrovich, i mobili da masticare di Rui Pereira & Ryosuke Fukusada e le verdure di Valerio Guadagno e poi ancora pranzi d’auto-re con tovaglie d’ombre di Ludovico Sartor, merende con i portafrutta di Gimena Fernandez e set ispirati a Le Corbusier di Nomadesign-Of-fice. Non mancheranno le bottiglie di prosecco Conte Loredan Gaspa-rini con etichette d’arte e poesia edite da Nicola D’Angelo.

Dove e quando New York, Museum of Arts and Design13 novembre 2012 - 27 gennaio 2013

Info e contattisito web. www.madmuseum.org

Dove e quandoVicenza, Casa del Palladio 30 settembre - 18 novembre 2012

Info e contattisito web. www.comune.vicenza.it

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Superfici

#Tatto

Vietato non toccare. Presso la Nuova Galleria Tretyakov di Mo-sca saranno esposte sculture per non vedenti e ipovedenti create ap-posta per la percezione tattile. Si tratta di venticinque opere scolpi-te in bronzo, legno o pietra dall’artista Aleksandr Smirnov-Panfi-lov. Enormi, stralunate, esagerate nelle forme e nelle proporzioni, le sculture dell’artista sono fatte apposta per essere toccare ed esplorate dalle mani e hanno commenti in braille. La mostra è frutto di un’i-dea dello studio tedesco Franke Design Studio Steinert, che proget-ta regolarmente spazi espositivi dedicati ai non vedenti per i mu-sei di Berlino rientra nella politica del museo di consentire l’accesso all’arte a tutte le persone con disabilità.

Un’esperienza per non vedenti, ma anche per chi vuole prende-re familiarità con l’arte in modo alternativo, attraverso un senso di-verso dalla vista.

Dove e quandoMosca, Nuova Galleria TretyakovFino al 30 novembre 2012

Info e contatti

www.tretyakovgallery.ru/en

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