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56. Ciotola carenata con ansa a nastro e appendice a cilindretto. Proviene da località Chiaruccia di Fano in cui è stato individuato il sito di un villaggio dell’età del bronzo. Fano, Museo Civico. 57. Ciotola ad impasto restaurata con ansa a nastro e sopraelevazione ad ascia proveniente dall’insediamento subappenninico di Cà Balzano. Museo Vernarecci, Fossombrone. 58. Vaso monoansato di forma askoide proveniente da una tomba picena ritrovata a Sant’Ippolito. Reca sul corpo una decorazione geometrica impressa. VIII secolo a.C.. Museo Vernarecci, Fossombrone. 59. Vaso monoansato con decorazione geometrica incisa proveniente dagli scavi effettuati alla fine dell’Ottocento a Novilara (sepolcreti Molaroni e Servici). Il sepolcreto venne utilizzato a partire dall’ VIII secolo a.C., Pesaro, Museo Oliveriano. 56. 57. 58. 59.

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56. Ciotola carenata con ansa a nastro e appendice a cilindretto. Proviene da località Chiaruccia di Fano in cui è stato individuato il sito di un villaggio dell’età del bronzo. Fano, Museo Civico.

57. Ciotola ad impasto restaurata con ansa a nastro e sopraelevazione ad ascia proveniente dall’insediamento subappenninico di Cà Balzano. Museo Vernarecci, Fossombrone.

58. Vaso monoansato di forma askoide proveniente da una tomba picena

ritrovata a Sant’Ippolito. Reca sul corpo una decorazione geometrica impressa. VIII secolo a.C.. Museo Vernarecci, Fossombrone.

59. Vaso monoansato con decorazione geometrica incisa proveniente dagli scavi effettuati alla fi ne dell’Ottocento a Novilara (sepolcreti Molaroni e Servici). Il sepolcreto venne utilizzato a partire dall’ VIII secolo a.C., Pesaro, Museo Oliveriano.

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nere lucide, inornata o decorata con bande di punti, motivi a gancio. Le forme sono riferibili a brocche ad orlo traverso con versatoio sul capo e vasi askoidi. Con l’inizio dell’età del bronzo la terracotta mostra ricchezza di decorazione ad intaglio e varietà impresse. Compare la ceramica micenea. Le anse dei vasi presentano una notevole varietà di forme, un esempio caratteristico sono le anse a corna di lumaca. Vi sono diverse ciotolecon ansa sopraelevata, manigliecon papera stilizzata e vari sono i ritrovamenti di pesi da telaio. Tipici i motivi decorativi della civiltà appenninica: fasce a graticcio, spirali, meandri, anse verticali, a nastro. La fase del protovillanoviano introduce la forma caratteristica del vaso biconico, utilizzato nelle sepolture ad incinerazione, ciotole carenate, scodelle ad orlo rientrante, olle e tazze. La necropoli di Novilara ha restituito skyphoi di terracotta pesante e malcotta che a volte presentano, sotto l’orlo, come motivo ornamentale, dei semicerchi con protuberanze coniche, bottoni a rilievo, piccoli semicerchi, fi nte orecchiette; kántharoi e áskoi di terra più fi ne decorati in alcuni casi con impressioni lineari; ciotole; olle biconiche a doppio manico ed anche un’olla panciuta con ansa di importazione apula.

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60. Vaso canopo, urna cineraria biconica di tipo villanoviano con ciotola-coperchio. Dal sepolcreto Servici di Novilara. Età del ferro. Pesaro, Museo Oliveriano.

61. Vasetti monoansati dell’ età del ferro conservati al Museo Oliveriano di Pesaro. Da notare la forma askoide e la decorazione geometrica impressa. Questo tipo di reperto è abbastanza comune nel territorio della provincia di Pesaro e Urbino.

62. Ansa a bastoncello con foro centrale. Prima età del

ferro. Museo Civico di Macerata Feltria.

63. Coppa su alto piede in ceramica a pasta grigia della fi ne del V secolo a.C.. Museo Civico di Macerata Feltria.

64. Grande olla, nel cui interno furono ritrovati numerosi resti di ossa umane, munita di due piccole anse a semicerchio impostate nella parte superiore. Presenta fasce di colore rosso scuro. Proviene dal sepolcreto Servici di Novilara, tomba S 29. Si trova al Museo Oliveriano di Pesaro.

65. Vaso globulare dipinto. Presenta corpo sferico, una sola ansa frammentaria breve collo e bocca con orlo estrofl esso. La superfi cie lucida è ornata di pitture a motivo geometrico e fasci lineari. Faceva parte del corredo femminile della tomba n. 81 del sepolcreto Servici di Novilara. Pesaro, Museo Oliveriano.

Nell’età del ferro il processo di fabbricazione cambia completamente con l’introduzione del tornio veloce.Massiccia è la presenza di artigianato di importazione dalla Magna Grecia, dalla Daunia, dalla Grecia, dall’Etruria, dall’Italia settentrionale e di conseguenza anche la produzione di un artigianato locale di imitazione. L’orizzonte culturale è quello tardo orientalizzante. Comincia a circolare la ceramica attica a fi gure rosse, ma arrivano anche le anfore greche e grecoitaliche.

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La ceramicagreca

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La ceramica greca

Pochi sono nel territorio i reperti in condizioni di conservazione accettabile, testimonianti la presenza di ceramica greca o di imitazione greca nella provincia di Pesaro e Urbino. Molti invece sono i piccoli frammenti ad essa riconducibili. La produzione di ceramica greca è vastissima e in questa sede ci limiteremo a quella attica che, com’è noto, è divisa in due classi principali: a fi gure nere su fondo rosso, tipica del VI secolo a.C. e a vernice nera e fi gure rosse, ricavate a risparmio, dal V secolo a.C. in poi. Consideriamo ora la tecnica delle “fi gure nere”: prima era tracciata la linea di contorno e poi, all’interno di questa, era messo il colore; erano quindi applicati i cosiddetti colori aggiunti, quali il bianco e il rosso, e venivano tracciati i dettagli con un utensile appuntito. Quella delle “fi gure rosse” è una derivazione dalla tecnica delle “fi gure nere”. Il contorno delle fi gure era tracciato e i dettagli dipinti con un pennello o altro utensile. Poi era dipinta la parte fuori dei contorni: questa nuova tecnica permetteva di tracciare linee di differenti spessori. Si arrivava addirittura

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66. Frammento di kylix attica a fi gure rosse con rappresentazione di Europa sul toro. Proviene da uno scavo del 1977 effettuato in via delle Galligarie a Pesaro. La presenza di ceramica attica, tra quelle di importazione, è rilevante nel territorio pesarese. Si contano circa duecento frammenti, di piccole dimensioni, per lo più a vernice nera, ma anche a fi gure nere e pochi a fi gure rosse. Questo reperto viene attribuito dagli studiosi alla bottega del pittore di Pentesilea ed è datato al 475-450 a.C. (da La ceramica attica fi gurata nelle Marche, p. 69).

Nel 1877 presso la località Monte Giove di Fano fu rinvenuta una tomba di tipo piceno, databile al 460-450 a.C. del cui corredo facevano parte anche vasi attici (foto nn. 67, 68, 69, 70 , 71 e 74), oltre che oggetti in bronzo. Al gruppo ceramico appartiene vasellame a fi gure rosse e oggetti in vernice nera. Abbiamo i resti restaurati di un cratere a colonnette; il fondo di una kylix (coppa con piede a calice) su cui sono dipinte fi gure panneggiate a colloquio; una lékythos (brocchetta con collo sottile, monoansata e bocca stretta) a fondo bianco con

decorazioni a palmette in nero; un’oinochóe a forma di testa femminile; uno skyphos (tazza con due anse ai lati del corpo) a fi gure nere. Completamente in vernice nera sono un’oinochóe, una lékythos ariballica (con corpo globulare) e due kylikes. Tutti i pezzi sono conservati al Museo Civico di Fano.

67. Kylix. Dell’antica coppa rimane un frammento, ricomposto da quattro parti più piccole che all’interno di un motivo circolare a meandro nero su fondo rosso rappresenta due fi gure giovanili ammantate, affrontate di cui una seduta.

68. Lékythos a fondo bianco con decorazione a palmette nere sul corpo e sulla spalla. E’ avvicinabile alla bottega di Diosphos ed è datata al 465-450 a.C.. La base e il fondo del corpo sono verniciati di nero, mentre sulla parte subito sotto la spalla notiamo un motivo a meandro, la classica greca. E’ alta quasi diciassette centimetri, è stata ricomposta poiché trovata in frammenti.

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ad usare pennelli con una sola setola di maiale per le linee più sottili.Nel processo di lavorazione di questo tipo di ceramica un problema è stato rappresentato dal capire come si faceva ad ottenere la vernice.L’aspetto più complicato era comprendere come venivano prodotti i colori fi nali rossi e neri. La ricerca chimica ha rivelato che l’elemento costitutivo, del colore nero e del rosso, è sempre una parte dell’argilla. Le particelle d’argilla del rosso sono più minute di quelle del nero, e probabilmente erano la parte superiore, più pura, sciolta in acqua. Gli studiosi hanno scoperto che per produrre i due colori, era necessario un procedimento di cottura in tre passaggi. Alcuni pensano che qualche sostanza organica fosse aggiunta per aiutare le reazioni. Non è ancora chiaro quali fossero queste sostanze, anche se la cenere potrebbe essere una di loro.Nell’area picena la presenza di ceramica attica e della Magna Grecia si diffonde maggiormente tra VI e IV secolo a.C. sia in contesti di necropoli, sia di abitati. Le merci arrivavano dal porto di Ancona, avamposto degli interessi economici siracusani dell’età di Dionigi il Grande. Si tratta in genere di vasellame da banchetto. Questo tipo di commercio penetra fi no all’interno delle vallate dove gli scambi tra

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69. Oinochóe plastica a testa femminile.

70. Skyphos miniaturistico, ricomposto da frammenti e privo delle anse.

71. Lékythos ariballica frammentaria, priva della parte superiore del collo e dell’ansa. Il corpo tondeggiante si presenta in vernice nera, caratterizzato

da una fascia mediana a risparmio, rossa, fi lettata da una doppia linea nera.

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le popolazioni umbre ed etrusche sono ormai consolidati.Sicuramente poi il favore riscontrato verso questo tipo di prodotti fa sì che in area picena si sia sviluppata anche una produzione locale a fi gure rosse e a fi gure nere imitante gli oggetti di importazione. La produzione locale integra apporti greco-attici, magnogreci e marginalmente elementi tirrenici.Le ceramiche attiche trovate a Pesaro indicano anche che i commerci si avvalevano dell’approdo di Santa Marina di Focara. La qualità dei vasi recuperati, per lo più relativi a crateri, hydriai, qualche oinochóe e coppe sono di qualità modesta e la decorazione pittorica è più approssimativa rispetto agli esemplari a cui siamo abituati per questo tipo di ceramica. Da Santa Marina di Focara provengono i frammenti di un cratere a volute con scena di combattimento le

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72. Frammento in ceramica attica. Fondo con piede, decorazione a losanghe di linee intersecanti in diagonale. E’ conservato al Museo Vernarecci di Fossombrone. Il materiale attico presente proviene dagli abitati di Monte Aguzzo e Monte Raggio.

73. Piccolo frammento di ceramica attica con decorazione a meandro. Località Pieve di San Cassiano. V secolo a.C.. Museo Civico di Macerata Feltria.

74. Parte di kylix in vernice nera, da tomba di Montegiove, Museo Civico di Fano.

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75/76. Le immagini fanno riferimento a due attestazioni di ceramica greca nel territorio della provincia di Pesaro e Urbino. La foto a colori riporta i frammenti di un cratere (grande vaso per contenere liquidi) con la rappresentazione di scene di palestra, atleta e Nike. Sono datati al V secolo a.C. e si conservano presso il Museo Archeologico di Ancona. La seconda immagine mostra un disegno in bianco e nero che testimonierebbe il ritrovamento nel corredo di una tomba picena a Monteporzio di un cratere attico a colonnette con rappresentazione di giovani di cui, però, sono state perse le tracce. Il disegno è conservato presso l’archivio della Soprintendenza archeologica delle Marche. (da La Ceramica attica fi gurata nelle Marche, p. 72 e p. 77).

cui parti sono sparse tra il Museo archeologico delle Marche e quello di Rimini. Ceramica attica è stata ritrovata anche a Pesaro, per lo più in frammenti ridotti riferibili a kylikes e skyphoi.La collezione presente al Museo Oliveriano è frutto di recuperi che non hanno a che fare con il nostro territorio, anche se la raccolta in mostra è piuttosto interessante. Da Sant’Angelo in Lizzola e da Fano giungono concrete testimonianze per questo tipo di esemplari fi ttili. Da Monteporzio ci resta

un disegno che farebbe riferimento ad un ritrovamento di tomba nella proprietà dei duchi Montevecchio, da cui proverrebbe un cratere a colonnette a fi gure rosse con la rappresentazione di giovani con elmo, scudo e lancia e giovani ammantati. Del vaso, posseduto dai Montevecchio, non si conosce l’attuale luogo di conservazione.

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La ceramica

romana

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La ceramica “a vernice nera” rappresenta una produzione fi ne nel vasellame da mensa. Le forme erano eleganti e curate, l’argilla che le componeva particolarmente depurata, ma l’elemento che le conferiva bellezza era la vernice nera lucente. La produzione è tipica romana del periodo repubblicano.Dagli scavi della villa rustica di Colombara a Pole di Acqualagna provengono numerosi oggetti (foto nn. 78, 80, 83), molti dei quali integri, che testimoniano l’utilizzo domestico di questa classe ceramica. Al Museo Antiquario di Acqualagna si

possono osservare boccali, pissidi (scatole fi ttili), ollette (contenitori panciuti), patere (piatti dai bordi rialzati e in alcuni esemplari umbone centrale) e coppe che sono datate al II-I secolo a.C..

77. Ceramica a vernice nera d’età repubblicana da Forum Sempronii. Museo Vernarecci di Fossombrone. Da notare la caratteristica decorazione, di solito a palmette, realizzata al centro del piatto, sul fondo interno entro cerchi concentrici incisi.

Ceramica a vernice nera campana

Si tratta di produzioni ceramiche diverse, riferibili ad un periodo compreso tra IV e I secolo a.C., tipico dell’età repubblicana. E’ caratterizzata da rivestimento superfi ciale vetroso di colore nero o nerastro, corpo ceramico nocciola con sfumature diverse, oppure grigio. Rappresenta la ceramica fi ne da mensa più diffusa insieme con quella più tarda della ceramica sigillata. Le forme potevano essere lisce o decorate con motivi a stampiglia o impressi. La sua presenza è un elemento datante negli scavi stratigrafi ci. In ambito medio adriatico il periodo di maggiore

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diffusione si fa partire dal III secolo a.C.. La produzione è maggiormente locale che d’importazione, ateliers sono testimoniati a Rimini e Jesi. Questa classe ceramica continua ad essere uniformemente diffusa tra II e I secolo a.C. fi no alla metà del I secolo d.C.. Molteplici i reperti nei nostri musei, in particolare molto interessante il ritrovamento di molti oggetti integri nello scavo archeologico della villa romana di Colombara, presso Pole di Acqualagna.

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79. Frammento di ceramica a vernice nera con decorazione a palmette. Museo di Cantiano.

80. Frammento di coppa a vernice nera anch’essa col motivo delle palmette.

81. Anche le lucerne erano realizzate a vernice nera. Questo è un esempio frammentario conservato a Macerata Feltria. Età repubblicana.

82. Coppa su piede in vernice nera, è conservata al Museo dei Bronzi dorati di Pergola.

83. Pisside a vernice nera.

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Ceramica detta “terra sigillata”

È la classe ceramica più diffusa in tutto l’impero, comprende il vasellame fi ne da mensa rivestito di vernice rossa, prodotta dal II secolo a.C. al V secolo d.C..Le sigillate di maggiore fortuna furono quelle orientali, italiche o aretine, galliche e africane. Per il nostro territorio prenderemo in considerazione la sigillata aretina, medioadriatica e africana. Sigillum, signifi ca in latino piccola statua, da signum; il termine sigillata farebbe riferimento agli oggetti decorati con fi gure a rilievo, ma oggi comprende sia gli esemplari decorati sia quelli lisci. La vernice che si otteneva per questi prodotti era di un rosso brillante, lucida e coprente; il corpo ceramico è beige o beige-rosato, molto depurato. Si tratta per lo più di forme aperte, dalle coppe ai piatti che erano prodotti in ogni parte dell’impero, anche se gli atéliers più importanti erano individuabili attraverso bolli, cartigli o iscrizioni in planta pedis che ne segnalavano l’attribuzione. La produzione più ricercata era quella aretina che produceva esemplari

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Con il termine “terra sigillata” si defi nisce tutta la produzione di vasellame fi ne da mensa di epoca romana caratterizzata da un’engobbiatura a vernice rossa esterna e interna. Il termine “sigillum” fa riferimento alla decorazione con fi gure a rilievo. I vasi più raffi nati erano quelli in “sigillata aretina”, in Arezzo, caratteristici della prima età imperiale. Meno pregiate ma molto diffuse furono in seguito durante l’età imperiale, le ceramiche defi nite “africane”, che presentavano una vernice più aranciata, e quelle locali “medioadriatiche” che si riconoscono per una qualità più scadente della vernice e per la presenza sulle superfi ci di motivi bruni a cerchi concentrici. A stampiglia si potevano far aderire alla superfi cie fresca del vaso motivi di tipo mitologico, motivi antropomorfi , animali, ornati vegetali, bottoncini, ovoli, bacellature e costolatura. Al Museo Civico di Fano si possono osservare

piccoli frammenti con delfi ni, ed uno con

Erote (Amorino) svolazzante.

84. Coppa in terra sigillata decorata a matrice con motivi vegetali (cerchietti e palmette). I secolo d.C., Fano, Museo Civico.

85. Coppa in terra sigillata italica liscia. I secolo d.C., Museo Vernarecci di Fossombrone.

86. Tra i frammenti di sigillata aretina conservati al Museo Vernarecci di Fossombrone che mostrano fi gure antropomorfe anche una divinità su un carro trainato da cavalli.

87/88. A Macerata Feltria si trovano numerosissimi piccoli frammenti con vari motivi. Per queste immagini sono stati scelti due frammenti: nel primo vi è un mascherone con protome di Medusa entro un cerchio perlato; il secondo rappresenta un cane.

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89. Nel frammento è riconoscibile il viso maschile e barbuto di un Sileno, divinità bacchica dalle orecchie equine, circondato da una corona di pampini e grappoli d’uva. Macerata Feltria, Museo.

90. Frammenti di grandi piatti in sigillata africana, caratterizzati da decorazioni impresse nella ceramica. Dal II secolo d.C.. Fano, Museo Civico.

91. Terra sigillata chiara detta “africana”. Bordo di piatto con decorazione ad ornati vegetali. Fano, Museo Civico.

92. Due frammenti con decorazione “ad appliques” da Sant’Angelo in Vado.

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a vernice rossa corallina, molto lucente, con decorazioni che potevano essere realizzate con la tecnica della barbotine, ad appliques o a rilievo (matrice). La prima consiste nell’utilizzo di argilla più depurata e liquida che era utilizzata per decorazioni come foglioline, linee, racemi. La tecnica ad appliques invece prevedeva l’incollaggio sull’orlo del vaso di elementi decorativi come piccole spirali, festoni, testine, fi ori. La decorazione a rilievo prevedeva l’uso di matrici, in pratica l’argilla prima veniva fatta aderire ad uno stampo che imprimeva a rilievo il motivo decorativo che esso presentava in negativo. I motivi erano innumerevoli, da geometrici a vegetali, da animali a personaggi del mito, da maschere a rappresentazioni di vita quotidiana.Dal II secolo d.C. comincia a diffondersi la cosiddetta “sigillata chiara africana”, una classe meno pregiata dell’italica che, inizialmente, venne prodotta su larga scala nelle offi cine delle coste africane del Mediterraneo e quindi esportata diffusamente. Poi cominciò ad essere prodotta localmente. La sigillata africana presenta forme abbastanza grandi, aperte, soprattutto piatti e vassoi che dovevano forse servire per portare in tavola preparazioni comprendenti più pietanze e talvolta utilizzate anche come ceramiche da cottura. Il colore della vernice va dall’arancio-nocciola al nocciola rossiccio. In alcuni casi comparivano anche

delle sovradipinture con vernice bruno seppia di cerchi concentrici e tremoli a raggera. Le decorazioni potevano essere a rilievo, con motivi vegetali o mitologici sulla tesa dei piatti o in un medaglione centrale o semplicemente sovradipinta.Una menzione a parte merita la sigillata defi nita “medioadriatica” o “sigillata tarda dell’Italia centro settentrionale” perché caratteristica delle nostre zone. Le produzioni, infatti, sono tipiche di Toscana, Emilia e Marche a partire dal II al V secolo. Essa presenta frequentemente tipi derivati dalla africana. Di questa produzione è la presenza di sovradipinture di colore variabile tra il bruno e il seppia chiaro. Anche qui il repertorio formale presenta prevalentemente forme aperte, cioè piatti, scodelle senza coperchi, grandi vassoi circolari.

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93. Frammento di ceramica medioadriatica presso il Museo Archeologico di Cantiano. Si possono notare le caratteristiche linee brune concentriche.

94. Piatto ricostruito in terra sigillata chiara medioadriatica conservato presso il

Museo Vernarecci di Fossombrone.

95. Bordo di piatto con scena bucolica: sono riconoscibili i buoi, un albero, un animale ed una fi gura umana. Fossombrone, Museo Vernarecci.

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Ceramica a pareti sottili

Si tratta di una classe ceramica relativamente giovane nella storia degli studi. Raggruppa vasi potori, per bere, che rientrano nel vasellame fi ne da mensa. Il nome deriva dalla caratteristica tecnica di questi manufatti che dovevano avere pareti sottili, buona maneggevolezza e imitare i modelli metallici. La produzione, all’inizio esclusivamente italica, si allarga a diverse province

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dell’impero, defi nendo un arco temporale che va dal II a.C. al III secolo d. C.. Sono testimonianza di questa classe bicchieri, coppe, tazze e piccoli boccali che presentano un impasto rosato o grigio secondo il tipo di argilla utilizzato nelle fabbriche. Possono essere rivestiti da un ingobbio dello stesso colore che gli dona lucentezza metallica, o presentare la superfi cie opaca, liscia o spruzzata da un leggero strato di sabbia. Le decorazioni sono ottenute prevalentemente in due modi: a rotella, sulla parete ancora fresca si disegnavano motivi a tacche ripetute; à la barbotine, i motivi venivano creati a mano libera dal ceramista con argilla semiliquida. Caratteristici sono le foglioline, i boccoli, i

puntini, le linee, le squame spatolate, i globetti. La forma più comune è la tazza emisferica carenata, abbastanza profonda, con larga imboccatura, che poteva presentarsi con o senza anse.

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La ceramica a pareti sottili fu prodotta soprattutto per i vasi potori, i bicchieri e le tazze dell’antichità. La loro caratteristica era di avere una parete ceramica molto sottile e di conseguenza si aveva un oggetto leggero, maneggevole ma che, quando si rompeva, andava in mille pezzi. Troviamo vasellame in pareti sottili di colore grigio, leggermente lucido. Questo accadeva perché si volevano

imitare i bicchieri di bronzo in uso in epoca romana. Come nella ceramica sigillata anche “le pareti sottili” presentavano delle decorazioni impresse.

96/97. (Alle pagine precedenti): Nell’immagine grande si possono osservare alcuni frammenti decorati di una certa consistenza, conservati al Museo Civico di Fano e, nell’altra, un pezzo del Museo Archeologico

di Sant’Angelo in Vado.

98/99. Altri frammenti del Museo Archeologico di Sant’Angelo in Vado.Si può notare in tutti la varietà dei motivi che venivano realizzati sulle superfi ci di questi vasi che, assieme a vernice nera e sigillata, rappresentavano “i servizi buoni” di casa. La produzione di questo vasellame si estende dal II secolo a.C. fi no ai primi secoli dell’impero.

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Ceramica e terracotta comune

Si tratta di una vera e propria categoria di ceramica, la più diffusa in assoluto, anche perché presente nelle case di ognuno.Il termine è utilizzato per indicare la ceramica utilitaria caratterizzata da una fattura maggiormente curata, mentre per la ceramica d’aspetto più grossolano si ricorre al termine di “ceramica grezza” o a quello di “rozza terracotta”.I vasi di questa classe si trovano impiegati per la mensa, per la cucina, la dispensa. Si tratta di materiale di basso prezzo, che poteva essere prodotto anche in realtà domestiche, fabbricato con argille d’impasto. Doveva rispondere soltanto a criteri di funzionalità e non seguiva “mode” particolari. Le superfi ci non sono né decorate né verniciate eccezion fatta per la vernice rossa interna. Questa classe comprende vasi da fuoco, realizzati al tornio e rivestiti all’interno e sul lato esterno del bordo, da uno spesso strato di vernice rossa. Le uniche forme sono un tegame basso e il relativo coperchio, che è piuttosto raro. I recipienti sono grandi e il colore dell’ingobbio può andare dal rosso aranciato al marrone rossastro. I fondi interni presentano una serie di cerchi concentrici. La produzione dall’età repubblicana arriva al

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III secolo d.C. quando poi è sostituita dalla sigillata africana.Le forme della terracotta comune sono semplici e presentano una straordinaria uniformità nel tempo e nello spazio. Le ceramiche da fuoco si riconoscono perché presentano impasti grossolani e, in sede di ritrovamento, i fondi visibilmente anneriti dalla fi amma.

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La ceramica comune d’età romana, quella appunto che si usava comunemente, di più ampia diffusione, meno costosa e di produzione locale, presenta numerosissime testimonianze nella provincia, con un vario repertorio di forme. Molto vasellame ci è arrivato in cocci. È probabilmente la classe più diffi cile da datare, ove manchi il contesto archeologico di ritrovamento, in quanto la produzione si è mantenuta identica per diversi secoli. Questi oggetti

erano fi nalizzati all’utilizzo più che all’estetica.

100. Brocca monoansata a fondo piatto. Proviene dalla villa rustica di Colombara ed è conservata al Museo Antiquario di Acqualagna.

101. Bicchiere in ceramica comune. Acqualagna, Museo Antiquario.

102. Piatto su piede in ceramica comune. Fano, Museo Civico.

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103. Olla e boccali monoansati. Fossombrone. Museo Vernarecci. Da notare, nelle varie immagini presentate la varietà dei colori dei vasi dovuti alla diversa composizione e depurazione delle argille utilizzate per produrli.

104. Olla in rozza terracotta. Questa produzione, piuttosto grezza con argilla piena di inclusi termoresistenti serviva spesso come vasellame da fuoco, infatti non di rado è possibile osservare ancora oggi sulla superfi cie l’annerimento dei vasi dovuto al contatto col fuoco. Museo Civico di Macerata Feltria.

105. Ciotola proveniente dal corredo funebre delle tombe romane di Ramaglie. Pergola, Museo dei Bronzi dorati.

106. Elementi a pigna conservati al Museo Civico di Fano.

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Anfore

Le anfore in generale presentano una forma con corpo più o meno ingrossato, spalla netta, base diversifi cata, collo distinto, espanso, con due anse solitamente verticali. Venivano utilizzate come contenitori da trasporto, per l’immagazzinamento dei prodotti alimentari nelle case, nelle tabernae, nei magazzini in generale e, dopo l’uso, venivano di solito reimpiegate in edilizia per vespai e drenaggi ma anche in contesti funerari come segnacolo, elemento di corredo, vaso cinerario o luogo di deposizione della salma. I “cocci” di anfore sono il materiale più diffuso in ogni scavo archeologico e, per le nostre zone, notevoli sono stati anche i ritrovamenti subacquei, visto che questo tipo di vasellame era impilato, stivato sulle navi e trasportato comunemente come merce di largo smercio. Nel caso poi che le navi non raggiungessero il porto, eventualità non infrequente, i carichi ci sono stati conservati nelle profondità marine. Caratteristica di questa tipologia di vasellame è la presenza di bolli sulla superfi cie e di coperchi di varia foggia. Il bollo permetteva subito all’acquirente di riconoscere non solo il produttore e l’offi cina ma anche il tipo di derrata, il peso e la provenienza degli alimenti. V’è

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la presenza di graffi ti che indicano il momento di produzione o di invasamento delle derrate. La nostra provincia è ricchissima di questa tipologia di oggetti o dei suoi frammenti dato il loro impiego e l’ampia diffusione.

Le anfore, tipici

contenitori da trasporto

dell’antichità, avevano collo

stretto e ampia pancia, erano fornite di due anse,

saldi manici che servivano per essere impugnati con entrambe le mani e presentavano, solitamente, anche un puntale utile per impilare i vasi uno dentro l’altro ma anche per confi ccarli in terra senza che si rovesciassero.

107/108. Nelle immagini riportate, alle pagine precedenti, alcune delle anfore conservate al Museo Civico di Fano e, accanto, si possono distinguere due recipienti che provengono da un recupero in mare. Sono infatti pieni di incrostazioni marine. Davanti a questi due anfore di dimensioni più modeste a fondo piatto.

109. Gruppo di anfore al Museo Vernarecci di Fossombrone. Si può notare che tutti questi esemplari pur nell’omogeneità della loro forma si differenziano tra loro. Questa varietà si rapporta ai diversi usi e alle varie esigenze di trasporto e contenimento. Le anfore erano destinate alla conservazione del vino, contenevano garum, salsa che si ricavava dalla putrefazione dei resti del pesce e serviva a dare sapidità ai cibi. Un altro tipo di salsa era il murium, una salamoia di viscere e interiora di tonno; altre servivano a contenere frutta conservata. La maggior parte di esse contenevano vino od olio.

110. Coperchi per anfore conservati al Museo Civico di Fano.

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Lucerne

Assieme alle anfore rappresentano il tipo di reperto che maggiormente è trovato nello scavo archeologico. Si tratta di un manufatto, realizzato in terracotta o metallo, che presenta generalmente un corpo chiuso che funge da serbatoio, un disco con il foro per l’immissione dell’olio combustibile e un forellino d’aerazione, un’ansa per reggerla, il fondo, il piede e il becco da cui usciva lo stoppino che veniva acceso per illuminare.L’uso è logicamente legato alla primaria esigenza di rischiarare gli ambienti durante le ore notturne. Le “lampade” erano montate spesso

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Le lucerne fi ttili inizialmente furono modellate a mano, poi al tornio e dal III secolo a.C. con la tecnica della fabbricazione a matrice. L’argilla era pressata all’interno degli stampi, uno per la parte superiore ed una per l’inferiore, ed erano

unite quando l’impasto, seccando, raggiungeva una certa consistenza. Si praticavano i fori, aggiungendo le applicazioni, si verniciavano ed erano cotte. Molte lucerne recano, o impressi o incisi, dei bolli di fabbrica che probabilmente erano realizzati subito prima della cottura nella parte inferiore,

esternamente sotto il serbatoio.

La possibilità di una produzione su larga

scala fece rapidamente diffondere in tutto il mondo romano quest’oggetto che permetteva l’illuminazione artifi ciale delle domus.Caratteristiche delle lucerne di periodo imperiale sono le indicazioni che esse riportavano sul fondo con i nomi dei fabbricanti: LITOGENE, FORTIS ed altri. Esempi di questo tipo li troviamo un po’ dovunque nei musei della provincia.

111. Lucerna fi ttile d’età repubblicana da Colombara. Museo Antiquarium di Acqualagna. L’oggetto fa parte di una serie di “lampade”, riunite nel Museo dette di tipo “biconico dell’Esquilino”, la cui datazione oscilla tra il 150 e l’80 a.C.. Da notare la forma triangolare del becco alla cui base si trova la fi rma C.CASSI.

112. Lucerne a volute con decorazioni sul disco. Si distinguono un amorino alato, un cavallo in corsa, una testa barbuta e un’anfora. I secolo d.C.. Fossombrone, Museo Vernarecci.

113. Due esempi di fi rmalampen, le lucerne a canale di età imperiale che sul fondo esterno del serbatoio riportavano la fi rma del produttore. La prima immagine riporta l’iscrizione FORTIS, una delle più conosciute, l’altra la fi rma LITOGENE. Fano, Museo Civico.

114. Disco di lucerna con la raffi gurazione di due cornucopie e forellino centrale. Museo Civico di Macerata Feltria.

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al soffi tto in più di una a formare una sorta di lampadario, ma anche legate al rituale funerario per l’alto valore simbolico attribuito nei secoli alla luce.Nel periodo ellenistico le lucerne hanno in generale una base pronunciata, il corpo più alto, cilindrico o rotondo, il becco più o meno lungo, scanalato o liscio. Le lucerne d’età repubblicana sono di tipo campano, in vernice nera, mancanti di decorazioni, salvo rari motivi geometrici e fl oreali, e nella forma in sostanza identiche alla coeva produzione greca. Tipiche della tarda repubblica sono invece le lucerne con becco ad incudine decorato da teste di cigno o lucerne decorate con perline sulla spalla e lucerne fi gurate con appendici laterali. Dall’età augustea fi no al II secolo d.C. la lucerna più diffusa è quella a volute, caratterizzata da un serbatoio troncoconico a pareti arrotondate, da un disco decorato con motivi fi gurati come animali, reali o fantastici, nature morte, divinità, scene mitologiche e leggendarie, erotiche, e beccuccio piuttosto tozzo affi ancato da volute. Dal II secolo d.C. si diffuse la Firmalampen, ottenuta a matrice e recante sul fondo la fi rma del fabbricante. La lucerna si presenta con un recipiente circolare, ampia spalla inclinata verso l’esterno, disco incavato, privo di decorazioni o con semplici maschere a rilievo, con il becco protratto, percorso da un solco. Questa ultima caratteristica fa sì che esse siano anche

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