Nepal: la vita agra degli spaccapietre - Apeiron · 2019-11-01 · gli spaccapietre devono pagare...

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Vivono e lavorano in condizioni estreme, non sono consapevoli dei loro diritti, non hanno alcuna nozione sanitaria, né una cultura del rispar- mio. Spesso sprecano i pochi soldi guadagnati in alcol e fumo. Sono come schiavi moderni. Tra loro migliaia di bambini malnutriti. Gli italia- ni sono in prima fila per cercare di alleviare le sofferenze di una popo- lazione che... Nepal: la vita agra degli spaccapietre di Francesca Lancini SOCIETÀ

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Page 1: Nepal: la vita agra degli spaccapietre - Apeiron · 2019-11-01 · gli spaccapietre devono pagare ogni mese cento rupie al cosiddetto proprietario terrie-ro. In realtà non siamo

Vivono e lavorano in condizioni estreme, non sono consapevoli dei loro

diritti, non hanno alcuna nozione sanitaria, né una cultura del rispar-

mio. Spesso sprecano i pochi soldi guadagnati in alcol e fumo. Sono

come schiavi moderni. Tra loro migliaia di bambini malnutriti. Gli italia-

ni sono in prima fila per cercare di alleviare le sofferenze di una popo-

lazione che...

Nepal: la vita agra degli spaccapietre

di Francesca LanciniSOCIETÀ

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È l’alba quando con un’auto-taxi sgan-gherata partiamo per Dhading, distret-to rurale del Nepal noto per le cave e i

cosiddetti spaccapietre che ci lavorano, bam-bini, donne, uomini di ogni età, anche anzia-ni. Attraversata Kathmandu, che a quell’orasi è già popolata di mercanti e pellegriniindù che portano le offerte ai templi, arrivia-mo finalmente ai confini della valle, con alcentro la capitale, e ai margini del Nepal piùremoto.Qui, solo poco più di un anno fa c’era uncheck-point, che segnava la fine del territo-rio controllato dall’esercito governativo e l’i-nizio delle impervie zone popolate dai guer-riglieri maoisti. Dopo una guerra duratadieci anni e almeno 13.000 morti, un’allean-za di sette partiti ha firmato la pace coi ribel-li nel novembre 2006, intraprendendo unnegoziato travagliato verso la democrazia. Ilre assoluto Gyanendra è stato privato ditutti i poteri e a dicembre si è deciso di pro-clamare la repubblica dopo il voto, previsto

per aprile e rimandato già due volte, perun’assemblea costituente.La nebbia diventa sempre più fitta, mentreimbocchiamo i primi tornanti della stradaper Pokhara, l’unica a collegare Kathmanducon il nord. Da ambo i lati, le montagnesono ricoperte da piantagioni di mais verdeintenso. Alcuni bambini puliscono con scopepiù alte di loro alcuni tratti della “highway”,come la chiamano qui, prima che siano asfal-tati. Altri cercano di venderci bottiglie d’ac-qua e dolci. Diversi operai spaccano pietrecon macchine rudimentali, un’anticipazionedel lavoro a mani nude che vedremo fraalcune ore.Passiamo le ultime case di mattoni e lamiera.La valle è sempre più lontana. Il traffico,invece, su queste colline dell’Himalayaaumenta di chilometro in chilometro.Camion con decorazioni religiose sul cru-scotto e autobus sovraffollati fanno a garaper superarsi, noncuranti degli strapiombi,in un sottofondo di clacson senza pause. Il

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gas di scarico fa bruciare la gola.Dopo due ore la nebbia scompare e appaionoai piedi delle alture i primi mucchietti disassi. Siamo a Mahadevbensi, un agglomera-to di case a ridosso della strada, da cui sivede la gola del fiume Agrakola, puntellatolungo le sue sponde da piccole macchie blu,ovvero le tende dove abitano almeno 5.000spaccapietre di 30 distretti, su 75, del Nepal.“I locali dicono che ci vivono 500 famiglie,ma in certi periodi potrebbero essere moltedi più, contando i lavoratori stagionali chevanno e vengono”, spiega BarbaraMonachesi, presidente di Apeiron, un’asso-ciazione italiana che sta conducendo un’in-dagine nella zona. “In vista di un progettoumanitario per gli spaccapietre, stiamofacendo un nuovo censimento. Gran partedei lavoratori vive qui tutto l’anno, ma cisono anche persone che durante la stagione

dei monsoni, quando il livello del fiume ètroppo alto per estrarre le pietre, tornano alvillaggio d’origine. Le più fortunate vanno alavorare il loro pezzo di terra, mentre lealtre prestano le braccia a qualche proprieta-rio terriero”.Circa dieci chilometri di rive dell’Agrakolasono stati popolati a partire dai primi anniNovanta, quando forti alluvioni hanno tra-scinato molte pietre. Scendendo a piedi unpercorso fangoso, verso la riva, si vedonodue donne che raccolgono pietre dal letto delfiume. L’acqua arriva loro alle ginocchia e unbambino si diverte a bagnarle. Dopo averriempito i coni di bambù, li caricano sullespalle e vanno a svuotarli davanti alle tende.Qui, con un martello, spaccano i massi inpezzi sempre più piccoli da vendere ai teka-dar, compratori di pietre che li caricano suicamion. “I sassi sono venduti a barili”, dice

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Il Paese in cifre

Ordinamento politico: monarchia costituzionale (difatto il re è stato esautorato di tutti i poteri dopo lerivolte per la democrazia dell’aprile 2006)Capitale: KathmanduPaesi confinanti: Cina e IndiaSuperficie: 147.181 KmqPopolazione: 29 milioni circaLingua: Nepalese 47,8%, Maithali 12,1%, Bhojpuri7,4%, Tharu (Dagaura/Rana) 5,8%, Tamang 5,1%,Newari 3,6%, Magar 3,3%, Awadhi 2,4%, altro12,5%, Religione: Induisti 80,6%, Buddisti 10,7%,Musulmani 4,2%, Kirant 3,6%, altro 0,9%Alfabetizzazione: 48,6%Mortalità infantile: 64 morti su milleSperanza di vita: 60 anniPopolazione sotto la soglia di povertà: 31%Disoccupazione: 42%Prodotti esportati: tappeti, vestiti, prodotti in pelle edi iuta, cerealiPaesi importatori: India 67,9%, USA 11,7%,Germania 4,7% Debito estero: 3,07 miliardi di dollari

_Per ogni barile di sassi raccolto si guadagnano 10 rupie,

circa 12 centesimi di euro. Una miseria, considerando

anche che per stare sulle rive del fiume gli spaccapietre

devono pagare 100 rupie al proprietario terriero

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Monachesi. “Di solito per un barile si guada-gnano 10 rupie, circa 12 centesimi di euro.Una miseria che non consente di fare unavita dignitosa. Per stare sulle rive del fiumegli spaccapietre devono pagare ogni mesecento rupie al cosiddetto proprietario terrie-ro. In realtà non siamo ancora riusciti a capi-re se i proprietari sono veramente tali. Tuttidicono di avere i documenti che lo provano,ma nessuno ce li ha mai mostrati. I proprie-tari terrieri e i tekadar sono in combutta. Selo spaccapietre si rifiuta di pagare il proprie-tario della terra, nessun tekadar comprerà isuoi sassi”.Un camion parte. Direzione: Kathmandu. È lìche vengono portati i sassi per costruire casee palazzi di una città che sta vivendo unboom demografico ed edilizio assai proble-matico. I migranti, poverissimi, arrivano daogni parte del Paese in cerca di un futuro

migliore. Le baraccopoli si allargano a mac-chia d’olio e per far spazio alle nuove costru-zioni si demoliscono spesso le più antiche osi snatura il volto della valle, ai piedi dellacatena himalayana.Kanchhi, una piccolissima donna avvolta inun sari rosa, con una tanica d’acqua sullaspalla raccolta da una fonte pubblica, raccon-ta: “Tutti i quaranta membri della mia fami-glia fanno gli spaccapietre. Non so quantianni ho – ride – forse 45. Non ho mai stu-diato e vivo in una di queste tende. Vorreiandare via, ma non so dove. Qui l’acquapotabile scarseggia e non esistono serviziigienici e fognature. Sto aspettando chequalcuno venga ad aiutarci”.Lungo i sentieri che portano al fiume, che èa un’ora di cammino, gli spaccapietre passa-no con ceste di alimenti comprati al villaggiopiù vicino di Mahadevbensi. La maggior

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parte dei beni di prima necessità, però, liacquistano a credito dai proprietari terrieri.Spesso finiscono nella morsa di debiti e inte-ressi altissimi, perché i soldi guadagnatispaccando le pietre non bastano per alimen-tarsi tutto l’anno.Alla fonte d’acqua una bambina e una ragaz-za lavano i panni: “Mi chiamo Sunita, ho 17anni, e anch’io rompo le pietre. Non socos’altro potrei fare. Ho ricevuto un’educa-zione lacunosa e so solo scrivere qualcosa”.Buddna dice di avere 45 anni, anche se sem-bra una donna molto anziana: “Spacco lepietre da quando avevo 8 anni e abitavo neldistretto di Makamuanpur. Questo lavoro èrischioso. Possiamo cadere, ferirci le mani,essere colpiti dalle schegge negli occhi”.Nell’area degli spaccapietre non esiste alcuncentro di assistenza sanitaria. Chi ha proble-mi di salute deve recarsi fino a Kathmandu.“Mio marito è camionista”, continua Buddna“e i miei 4 figli vanno a scuola, ma nel tempolibero spaccano anche loro le pietre”.In Nepal si contano 2 milioni e 600.000bambini lavoratori, che per l’estrema povertà

sono costretti ad aiutare i genitori. Quasitutti i piccoli spaccapietre vanno in unascuola elementare, ma nelle ore libere devo-no lavorare. “I miei figli, di 2, 5 e 7 anni miaiutano a raccogliere le pietre, ma non lerompono”, dice Sanu, un ragazzo magrissi-mo di 27 anni, con sul volto i segni profondidella fatica. Nella sua tenda ogni cosa è inordine, coperte, stoviglie, vestiti, e i bambinigiocano con la madre su un tappeto dipaglia. “Siamo venuti a Dhading perchésiamo rimasti senza terra e senza casa dopoun’alluvione. Qui la vita è dura, ma almenoabbiamo un lavoro”.“Quasi tutti gli spaccapietre non sono consa-pevoli dei loro diritti e si accontentano dicondizioni di vita estreme”, spiega la presi-dente di Apeiron. “Non hanno alcuna nozio-ne sanitaria e alcuna cultura del risparmio.Sprecano spesso i pochi soldi in alcol e siga-rette, e si trasmettono con facilità le malat-tie”.Muna, 8 anni, viene a giocare coi bambini diSanu. Ha la pelle olivastra, scurita dalletante ore trascorse a raccogliere e spaccare le

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pietre sotto il sole, ma i capelli incredibil-mente chiari. “Può essere un segno dellamalnutrizione, che qui è diffusissima”,aggiunge Monachesi.Muna vorrebbe andare a scuola. Ha sentitodire che è divertente, ma suo padre non glie-lo permette: “Tanto non proseguirebbe oltrela scuola elementare, perché dunque farlainiziare?”, dice l’uomo, aggrappato alle cer-tezze tipiche di chi vive nella miseria.“Anche la guerra ha spinto molte persone atrasferirsi lungo il fiume Agrakola”, spiegaSanu Giri, operatore umanitario che collabo-ra con Apeiron. “I maoisti hanno preso lorole terre o hanno reso troppo pericolosi idistretti in cui vivevano. Quest’area, al con-trario, è così povera che i ribelli non avevanonulla da estorcere o confiscare”. E adesso cheil conflitto è finito, ma la situazione restaincerta, molti hanno deciso di rimanere.Sotto una delle tende più grandi, una piccolaamaca dondola con dentro un bambino diappena cinque mesi. Suo fratello, dodicenne,sorride mostrandoci la maglietta con stam-pata Britney Spears che con quella di Avril

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Situazione Politica

Il 25 aprile 2006, dopo 19 giorni di rivolte popolarie 21 persone uccise dalla polizia, il re Gyanendrarinuncia al potere assoluto. Pochi giorni doporiapre il parlamento, formato dai membri diun’alleanza di sette partiti. In novembre iguerriglieri maoisti e il governo provvisorio, guidatodal premier Girija Prasad Koirala, firmano l’accordodi pace dopo 10 anni di guerra, 13.000 morti e100.000 sfollati. Nel gennaio 2007 un’ottantina diex maoisti entra nel parlamento ad interim e siavvia il disarmo dei ribelli supervisionato dalleNazioni Unite. Nel sud-est (regione del Terai),tuttavia, cominciano gli scontri etnici fra madheshi(genti delle pianure) e pahadi (genti delle colline).Ad aprile viene invece formato il governo adinterim con 5 ex maoisti come ministri. Asettembre, dopo alcuni attentati a Kathmandu, irappresentanti dei maoisti lasciano il governo.Questi ultimi rientrano solo all’inizio del 2008,dopo aver ottenuto dal parlamento la garanzia chela monarchia sarà abolita dopo il voto del prossimoaprile per l’assemblea costituente.c

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Lavigne, altro idolo degli adolescenti occi-dentali, ha letteralmente invaso il mercatonepalese. “Siamo venuti a lavorare comespaccapietre perché la terra che avevamo nelnostro villaggio era troppo piccola per sfa-marci”, dice la madre, mentre un gallo cam-mina intorno ai suoi piedi.Tornati sulla “highway”, veniamo accolti inuna casa di legno per ristorarci con acquabollita e pane in cassetta. Come in una sortadi autogrill, tre tavoli di legno e tre panchesono lasciati a disposizione dei visitatori.Alla domanda se qualche organizzazioneinternazionale, delle tante presenti in Nepal,ha mai pensato di aiutare gli spaccapietre,risponde Uttam Poudel, un ragazzo di 24anni laureato in Sociologia: “Dal 1999 al2005 l’International Labour Organization(ILO), per la quale ho lavorato, sviluppò unprogetto contro il lavoro minorile. Poi hadeciso di andarsene, ma non sappiamo per-ché”. A Dhading c’è ancora molto da fare.Pare che dopo l’intervento dell’ILO granparte dei bambini abbia ripreso a frequentarela scuola, ma non ha smesso di lavorare nelleore libere.

La lotta contro il lavoro minorile è prima ditutto una lotta contro la povertà: “Io conti-nuo a occuparmi della gente della miacomunità in modo volontario”, continuaPoudel. “E per mantenermi faccio il conta-dino”. Sher bahadur Gurung, un giovane di32 anni, ha vissuto la medesima esperienza:“ Dopo la partenza dell’ILO, ho continuatoa fare il volontario per Youcasp, un’orga-nizzazione locale che adesso collabora conApeiron. Sono di Dhading e voglio aiutare imiei compaesani”. I mezzi di cui dispongo-no i volontari locali, tuttavia, sono troppopochi: “Ma non ci arrenderemo”, dice SanuGiri con determinazione. “Io e gli altrivolontari resteremo a Dhading perchéabbiamo un sogno: realizzare un altro pro-getto che possa aiutare i bambini e i lorofamigliari”.È quasi sera e dalla casa di legno, trasfor-mata in luogo di ristoro, la veduta delfiume toglie il fiato. Sui pendii i contadinisi muovono fra la vegetazione, mentrelungo la riva piccoli gruppi di adulti eragazzini spaccano le ultime pietre primache venga buio.

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Il ruolo degli italiani

A Cecilia Brighi, responsabile Cisl per i rapportiinternazionali e componente del consigliod’amministrazione dell’ILO (International LabourOrganization), abbiamo chiesto perché l'ILO se n'èandata da Dhading, dove vivono gli spaccapietre.

“Il progetto contro il lavoro minorile e perpromuovere i diritti dei lavoratori in generale(1999-2005, ndr) è finito, ma l'ILO è rimasta inNepal con altre attività. Esso riguardava varie areedel Nepal e non solo Dhading, e ha contribuito amodificare la legislazione nazionale in tema dischiavitù. Era stato cofinanziato dal ministerodegli esteri italiano (in tutto 500.000 euro per ilNepal), ma poi sono finiti i soldi. La Cooperazioneitaliana purtroppo è molto al di sotto delle risorsenecessarie. Un progetto, comunque, è un volanoper il cambiamento, ma non è il cambiamento. Conquesto progetto in Nepal si è costruito un percorsoimportante con imprenditori e sindacati locali. Lasituazione politica del Nepal, inoltre, moltocomplessa fino alle rivolte del 2006, ha paralizzatoalcuni interventi umanitari”.

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