Nennolina

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"Sai, mamma, ho offerto la mia gambina a Gesù"

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LA NASCITA

Antonietta Meo nacque il 15 dicembre 1930 a Roma, a pochi

passi dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Mamma

e papà avevano già avuto tre figli, due dei quali erano morti

per malattia prima di compiere il secondo anno di vita. Per

questo motivo la nascita della bambina fu accompagnata da

una grande gioia, ma anche da qualche timore. Il nome di

Antonietta fu scelto in onore di sant’Antonio, al quale era

dedicata la chiesa francescana frequentata dalla famiglia. Il

nome della bimba era bello, ma un po’ lungo da

pronunciare. Tutti, in famiglia, presero a chiamarla con un

diminutivo: “Nenne”, trasformato presto in Nennolina.

LA FAMIGLIA

Il padre di Antonietta, Michele, era impiegato presso la presidenza del Consiglio dei Ministri. La madre, Maria, si occupava della casa e dell’educazione delle figlie. La famiglia viveva in una bella villetta. Spesso mamma e papà portavano le due bambine a spasso per Roma, per visitare le basiliche, i ruderi e le piazze più famose. I genitori andavano a messa tutti i giorni, avevano una devozione speciale per san Francesco e santa Teresina, che sarà tanto amata dalla piccola Antonietta. Ogni sera la famiglia si riuniva per recitare il rosario.

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Dapprima l’appuntamento era dopo cena, poi, papà Michele, vedendo che qualcuno era colto dal torpore, anticipò l’orario. A volte Antonietta faceva mettere i genitori uno di fronte all’altro, con lei e la sorella ai due lati. Al suo segnale tutti dovevano darsi un bacio contemporaneamente. “Ne nasceva una grande confusione di baci, risate e di gridi festosi”, ricorderà la mamma. LA BAMBINA Antonietta era una bambina vivace e allegra. Suor Noemi, la maestra d’asilo, l’aveva soprannominata “moto perpetuo”. L’asilo delle suore Zelatrici fu la prima palestra per la sua crescita fisica e spirituale. Il porticato era pieno di alberi e circondato da angeli affrescati che sembravano messi lì apposta per sorvegliare i giochi dei piccoli allievi. Ogni tanto Nennolina interrompeva le corse e andava nella cappellina per fare una visita a Gesù. Un giorno Antonietta tornò a casa dicendo alla mamma che doveva fare ogni sera la meditazione e l’esame di coscienza. La mamma si meravigliò che la piccola conoscesse già queste pratiche difficili, e chiese a suor Noemi se ne avessero parlato all’asilo. Suor Noemi confermò: “Si, ne ho parlato a tutti. Ma penso che sia stata soltanto la sua bambina a metterlo in pratica”.

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LA MALATTIA Un giorno di febbraio del 1936, Antonietta tornò a casa con un ginocchio dolorante. Era caduta e lo aveva battuto su un sasso. La mamma non dette troppo peso alla cosa, ma il male non accennava a diminuire. Il medico diagnosticò un’infezione al ginocchio, guaribile con punture di calcio e di iodio. Nonostante le cure, il problema non si risolveva, anzi peggiorava. Una lastra dette il tragico responso: un esteso osteosarcoma si nascondeva nella gamba sinistra, era necessaria l’amputazione immediata. Antonietta fu ricoverata all’ospedale di Santo Stefano Rotondo, una struttura non lontana da casa, con i padiglioni disposti a forma di croce latina. L’intervento fu programmato per sabato 25 aprile. Mamma e papà pregavano non tanto per avere un miracolo, quanto perché fosse data alla bimba la forza per accettare quella sofferenza. Dopo due ore e mezzo in sala operatoria, Antonietta fu riportata nella sua stanza. Della gamba sinistra erano rimasti solo dieci centimetri. Antonietta aveva male alla testa e si sentiva affaticata e dolorante. Alla sera il papà le raccomandò di riposarsi, ma la bimba non volle sentire ragioni: “Papà, le preghiere dobbiamo dirle, non possiamo tralasciarle”. Nennolina volle mettere in pratica con molta serietà, e fin da subito, quello che il padre spirituale, la mamma, le maestre gli avevano spiegato: le sofferenze hanno senso se vengono offerte a Gesù, possono trasformarsi in aiuto per la conversione di chi non lo ama. Iniziò affrontando in modo nuovo la dolorosa medicazione, non avrebbe più pianto, ma

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avrebbe offerto il suo male per tutto il mondo. “Oggi vado a fare la missionaria”, diceva. Mamma e papà vegliavano sugli stati d’animo della piccola, ogni tanto provavano a farsi raccontare i suoi sentimenti. Quando il papà le chiese se sentiva molto dolore, Nennolina rispose con una profondità spirituale non certo comune per la sua età: “Papà, il dolore è come la stoffa, più è forte e più ha valore.” L’animo di Antonietta si faceva sempre più sereno. Giocava con una bambola che aveva chiamato Tilde, come la sua infermiera; quando cantava la sua vocina si sentiva in tutto il reparto; se qualcuno la andava a trovare, si divertiva a spaventarlo con un jolly a molla. “Sembrava tutt’altro che stare dentro a una camera del reparto di chirurgia”, annotava la mamma. Venne il giorno del ritorno a casa. La nonna guardò Antonietta con compassione: “Purtroppo uscirai da qui diversa da come sei entrata, perché ti manca una cosa”. “No, nonna. A me non manca nulla”, rispose pronta Nennolina. Poi pensò un poco e esclamò: “Mi manca una gamba, ma quella l’ho regalata a Gesù.” IL CALVARIO Nell’anno che seguì, le condizioni di Antonietta non migliorarono. I soggiorni al mare e in campagna regalarono ancora molti momenti spensierati alla bimba, ma non fermarono il male.

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La sera del 2 luglio 1937 le condizioni di Nennolina apparivano disperate. Il suo corpicino sopportava il sarcoma, una manina gonfia (che si copriva con l’altra), un tumore alla testa, la cistite, il mughetto alla gola. Ora stava davvero con Gesù sulla croce. La mamma scese nel giardino della clinica, e corse di fronte alla statua della Madonna: “Madre mia, non ne posso proprio più! Come soffre la mia Antonietta!” Il giorno dopo, alle cinque del mattino, Antonietta bruciava di febbre. La mamma le aveva portato una reliquia di santa Teresina e un crocifisso. Antonietta baciò quel Gesù con il fianco squarciato come il suo. Il papà avvicinò il volto al visino della piccola. Antonietta chiese di essere chinata in avanti, poi gridò con tutta la voce: “Dio! Mamma! Papà!” La mamma prese la manina gonfia. Antonietta guardava fissa davanti a sé, la sua missione terrena era finita. In quel momento il sacerdote stava salendo in ascensore per portare l’Eucarestia. Non ce n’era più bisogno: la comunione con Dio adesso era totale. LE LETTERINE Nel settembre del 1936 Antonietta prese l’abitudine di dettare delle "poesie", come le chiamava lei, alla mamma, destinate ai genitori, alla sorella, a Gesù, alla Madonna. Nacquero così i suoi 19 pensierini, scritti nei 19 giorni precedenti la Cresima, e le 162 letterine, molte delle quali sono andate perdute.

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Si tratta di meditazioni ricche di tenerezza, di espressioni dolci, ma anche di ragionamenti sui misteri della fede. Nennolina scalpita, attendendo il giorno in cui riceverà l’Eucarestia, si propone di essere più buona, offre la sua sofferenza a Dio per la salvezza delle anime. La madre, segretaria fedele e rispettosa, trascrive con esattezza quello che la bimba le detta. Ecco una delle letterine di Antonietta, indirizzata “A Gesù crocifisso”: Caro Gesù Crocifisso io Ti voglio tanto bene e Ti amo tanto. Io

voglio stare sul Calvario con te e soffro con gioia perché so di

stare sul Calvario. Caro Gesù. Io Ti ringrazio che Tu mi hai

mandato questa malattia perché è un mezzo per arrivare in

Paradiso. Caro Gesù dì a Dio Padre che lo amo tanto anche Lui.

Caro Gesù, io voglio essere la Tua lampada e il Tuo giglio caro

Gesù, caro Gesù dammi la forza necessaria per sopportare i

dolori che Ti offro per i peccatori. Caro Gesù, dì allo Spirito

Santo che mi illumini d'amore e mi riempia dei suoi sette doni.

Caro Gesù dì alla Madonnina che l'amo tanto e che voglio stare

insieme a Lei sul Calvario perché io voglio essere la Tua vittima

d'amore caro Gesù. Caro Gesù Ti raccomando il Mio padre

spirituale e falle tutte le grazie necessarie. Caro Gesù Ti

raccomando i miei genitori e Margherita. Caro Gesù

Ti mando tanti saluti e baci Antonietta di Gesù

( lettera n.162 - 2 giugno 1937)

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