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LENNI BRENNER IL SIONISMO NELL’ETA’ DEI DITTATORI (1918 1945) Un’analisi delle affinità ideologiche e delle relazioni politiche intercorse tra sionismo e nazifascismo prima e durante la Shoah. ll sionismo, l’ideologia alla base dello stato di Israele, non solo ha determinato la tragedia palestinese ma ha contribuito anche a quella degli ebrei.

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LENNI BRENNER

IL SIONISMO NELL’ETA’ DEI

DITTATORI (1918 – 1945)

Un’analisi delle affinità ideologiche e delle relazioni politiche intercorse tra sionismo e nazifascismo prima e durante la Shoah. ll sionismo, l’ideologia alla base dello stato di Israele, non solo ha determinato la tragedia palestinese ma ha contribuito anche a quella degli ebrei.

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La medaglia commemorativa riprodotta sulla copertina dell’edizione in inglese fu coniata nel 1934 dal quotidiano nazista “Der Angriff” all’indomani della visita alle colonie sioniste in Palestina del funzionario delle SS Leopold von Mildenstein in compagnia di Kurt Tuchler, rappresentante della Federazione Sionista Tedesca.

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indice

Prefazione dell’autore (1983), nota biografica, nota alla traduzione italiana…………………..p.4 1. Sionismo e antisemitismo prima dell’Olocausto………………………………………………..p.6 2. Blut und Boden (sangue e suolo): le radici del razzismo sionista………………………… p.16 3. Il sionismo tedesco e il collasso della Repubblica di Weimar………………………………..p.21 4. Il sionismo e il fascismo italiano, 1922 – 1933………………………………………………...p.27 5. Il sionismo tedesco si offre di collaborare col nazismo……………………………………….p.31 6. Il boicottaggio ebraico antinazista e il patto commerciale nazisionista……………..………p.38 7. Hitler guarda al sionismo………………………………………………………………………...p.51 8. Palestina: gli arabi, i sionisti, gli inglesi e i nazisti……………………………………………..p.58 9. Il Congresso Mondiale Ebraico………………………………………………………………….p.66 10. Il sionismo revisionista e il fascismo italiano………………………………………………….p.69 11. Revisionismo e nazismo………………………………………………………………………...p.78 12. Georg Kareski: un Quisling sionista prima di Quisling……………………………………….p.84 13. La selezione del popolo eletto: la dottrina della “crudeltà sionista”…………………………p.88 14. L’Organizzazione Sionista Mondiale e il fascismo italiano, 1933 – 1937………………….p.93 15. L’Austria e i Gentile Friends of Zionism…………………………………………………….….p.98 16. I partiti ebraici dell’Europa orientale…………………………………………………………...p.102 17. Spagna: i nazisti combattono, i sionisti no……………………………………………………p.106 18. I sionisti non partecipano alla lotta antinazista nelle democrazie liberali………………….p.109 19. Il sionismo e la sfera di co-prosperità del Giappone nell’Asia orientale…………………..p.112 20. Polonia 1918 – 1939……………………………………………………………………………p.114 21. Il sionismo nella Polonia dell’Olocausto………………………………………………………p.122 22. Collusione tra il sionismo e il governo polacco in esilio……………………………………..p.130 23. L’immigrazione illegale…………………………………………………………………………p.133 24. Il fallimento delle operazioni di soccorso……………………………………………………..p.138 25. Ungheria: il crimine dentro un crimine………………………………………………………..p.152 26. La Banda Stern………………………………………………………………………………….p.160 Bibliografia e glossario……………………………………………………………………………..p.163

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prefazione dell’autore (1983)

Perché un altro libro sulla Seconda guerra mondiale, che probabilmente è l’argomento sul quale

si è scritto di più nella storia umana? Perché un altro libro sull’Olocausto, che è stato vivamente descritto da molti sopravvissuti e storici? Come argomento generale l’età dei dittatori, la guerra mondiale e l’Olocausto sono stati indubbiamente approfonditi. Ma l’interazione tra sionismo, fascismo e nazismo è stata adeguatamente indagata? E se no, perché no?

La risposta è piuttosto semplice. Diversi aspetti dell’argomento generale sono stati affrontati nello specifico, ma non c’è un equivalente del presente lavoro, che cerca di presentare una panoramica dell’attività del movimento sionista durante quell’epoca. Naturalmente questo non è un caso, ma piuttosto un sintomo che vi sono molte cose imbarazzanti da scoprire in una tale ricerca.

Analizzare certi temi conduce a difficili problemi, e uno dei più difficili è rappresentato dalle emozioni evocate dall'Olocausto. Chi può dubitare del fatto che molti delegati alle Nazioni Unite che nel 1947 votarono per la creazione di uno stato israeliano erano motivati dal desiderio di risarcire in qualche modo gli ebrei sopravvissuti all'Olocausto? Essi, e molti altri fautori di Israele, rivolsero verso quello stato i profondi sentimenti che avevano nei confronti dei mostruosi crimini di Hitler. Ma qui fu il loro errore: basarono il loro sostegno a Israele e al sionismo su ciò che Hitler aveva fatto agli ebrei, piuttosto che su ciò che i sionisti avevano fatto per gli ebrei. Dire che un tale approccio è intellettualmente e politicamente inammissibile non significa denigrare i profondi sentimenti suscitati dall'Olocausto.

Il sionismo d'altronde è un'ideologia, e la sua storia deve essere indagata con lo stesso occhio critico che i lettori dovrebbero avere nei confronti di qualunque tendenza politica. Il sionismo non è, e non fu mai, comprensivo dell'ebraismo o del popolo ebraico. La grande maggioranza delle vittime di Hitler non erano sionisti. E' ugualmente vero, come i lettori sono invitati a verificare, che in particolare la maggioranza degli ebrei polacchi avevano ripudiato il sionismo alla vigilia dell'Olocausto, e che aborrivano le posizioni di Menachem Begin, nel settembre 1939 uno dei capi del cosiddetto movimento "sionista-revisionista" nella capitale polacca. In quanto anti-sionista, l'autore è ferito dall'accusa che l'antisionismo corrisponda all'antisemitismo e all' "odio ebraico per se stessi".

E' quasi superfluo aggiungere che ogni tentativo di equiparare gli ebrei e i sionisti, e quindi di attaccare gli ebrei in quanto tali, è un crimine, e deve essere duramente contrastato. Non vi potrà mai essere alcuna confusione tra la lotta contro il sionismo e l'ostilità verso gli ebrei o l'ebraismo. Il sionismo prospera sulle paure che gli ebrei hanno di un nuovo Olocausto. Il popolo palestinese è profondamente riconoscente per il sostegno che riceve dagli ebrei progressisti, sia religiosi come Ruth Blau, Elmer Berger, Moshe Menuhin o Israel Shahak, che atei come Felicia Langer e Lea Tsemel e altri della sinistra. Nessun nazionalismo nè teologia nè teoria sociale può avere licenza di diventare un ostacolo davanti a quegli ebrei, in Israele o altrove, che sono decisi a camminare col popolo palestinese contro l'ingiustizia e i razzismo. Si può dire con certezza scientifica che senza l'indistruttibile unità degli arabi e degli ebrei progressisti la vittoria sul sionismo non è solo difficile, è impossibile.

A meno che questi libro non diventasse un'enciclopedia, il materiale è stato necessariamente

selezionato, con tutta la dovuta cura, in modo da arrivare a un quadro completo. Inevitabilmente gli studiosi dei singoli temi lamenteranno che non è stata posta abbastanza attenzione a ciascun ambito specifico. E avranno sicuramente ragione; interi libri sono stati scritti su aspetti particolari dei problemi complessivi affrontati qui, e il lettore è invitato ad approfondire le fonti citate nelle note a piè di pagina. Un ulteriore problema nasce per il fatto che molto del materiale originale è in lingue che pochi lettori sono in grado di comprendere. Perciò, ove possibile, sono riportate fonti inglesi e traduzioni, per dare agli scettici lettori la possibilità di consultare la bibliografia di riferimento della ricerca.

Come i lettori sono invitati a scoprire leggendo questo libro, le conseguenze dell'ideologia sionista meritano lo studio e la divulgazione. Questo è il tentativo. Come convinto antisionista, la mia conclusione è che il sionismo è completamente errato; è la mia conclusione ricavata dall'evidenza. Le conclusioni sono, in una parola, mie. Per quanto riguarda la persuasività degli argomenti usati per giungervi, i lettori sono invitati a giudicare da sè.

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nota biografica

Lenni Brenner è nato negli Stati Uniti il 25 aprile 1937 da una famiglia di ebrei ortodossi. Fin da giovanissimo si è interessato al marxismo, in particolare alla corrente trotzkista, e ha intrapreso l’attività politica militante.

Negli anni ’60 si è impegnato nel movimento per i diritti civili dei neri, e poi nel movimento contro la guerra in Vietnam. E’ stato in carcere per più di tre anni, di cui alcuni giorni in cella con Huey Newton, futuro fondatore delle Black Panthers. Negli anni ’90 insieme a un altro storico leader delle Black Panthers, Stokely Carmichael (alias Kwame Ture), ha contribuito alla creazione di un Committee against Zionism and Racism.

Zionism in the Age of the Dictators del 1983 è stato il suo primo libro. Successivamente ha scritto: The Iron Wall: Zionist Revisionism from Jabotinsky to Shamir (Il Muro di ferro: il sionismo revisionista da Jabotinsky a Shamir, 1984), Jews in America Today (Gli ebrei in America oggi, 1986), The

Lesser Evil: The Democratic Party (Il male minore: il Partito Democratico, 1988), 51 Documents: Zionist Collaboration with the Nazis (51 documenti: la collaborazione sionista coi nazisti, 2002) e Black Liberation and Palestine Solidarity (2012, con Matthew Quest). Ha scritto anche più di 100 fra articoli e recensioni, pubblicati da riviste e siti internet.

Intevistato a margine del forum “Jews against Zionism” del 2003 a Londra, ha rivolto una battuta ai suoi detrattori sionisti: “Coloro che mi definiscono un ebreo che odia se stesso dovrebbero parlare con le mie fidanzate. Tutte affermano che mi voglio molto bene”.

nota alla traduzione italiana Zionism in the Age of the Dictators è sovente citato come fonte da Alan Hart nel primo volume de

Sionismo: il vero nemico degli ebrei, edito in Italia da Zambon nel 2015. Il libro di Brenner, al di là forse di certe forzature in alcuni giudizi, è molto utile perchè fornisce agli studiosi

e ai militanti impegnati nel boicottaggio di Israele argomenti storici ampiamente sufficienti non solo a respingere l'accusa di antisemitismo che viene rivolta ai critici del sionismo, ma anche a rispedire la critica al mittente. Cioè, leggendo il libro si può concludere che veri antisemiti sono stati, e sono, i sionisti (e Brenner ne cita almeno uno che lo riconobbe espressamente), nella misura in cui per lo scopo coloniale e razzista di occupazione della Palestina oltre a opprimere il popolo palestinese hanno strumentalizzato e manipolato anche il popolo ebraico, scendendo a patti con i suoi aguzzini anche nei momenti più bui.

Esiste al 100% una "responsabilità oggettiva" delle organizzazioni sioniste nella genesi dell'Olocausto, dal momento che esse nella prima metà del Novecento non hanno quasi mai contrastato l’antisemitismo (anzi) e in molte occasioni hanno collaborato con i governi nazifascisti, snobbando o ostacolando i movimenti di resistenza. Per quanto riguarda il periodo cruciale dello sterminio (1941 – 1945), i sionisti reagirono in svariati modi ma le correnti maggioritarie furono per lo più complici, insieme ai governi alleati, del fallimento delle operazioni di salvataggio degli ebrei oppressi dalla furia naizsta; una parte dei sionisti anche in questa fase collaborò con gli stati dell’Asse e alcuni, i più perversi, espressero la consapevolezza che il sangue dei milioni di vittime sarebbe stato utile al tavolo delle trattative per rivendicare uno stato ebraico in Palestina.

Tutto ciò può essere valutato dal lettore attraverso le fonti e le informazioni fornite da Brenner. L'auspicio è che il presente testo serva a rendere sempre più efficace la critica del sionismo e dello stato

di Israele, a "desionistizzare" la politica italiana e le comunità ebraiche, ad ampliare il fronte degli ebrei progressisti e più in generale di coloro che si impegnano per la fine dell'occupazione della Palestina, per il Diritto al Ritorno dei profughi e, sul modello del Sud Africa di Nelson Mandela, per la costituzione di un unico paese nel quale arabi ed ebrei abbiano uguali diritti. (marzo 2016)

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1. SIONISMO E ANTISEMITISMO

PRIMA DELL'OLOCAUSTO

Nel periodo compreso tra la Rivoluzione Francese e l'unificazione di Germania e Italia, il futuro sembrava indicare la progressiva emancipazione degli Ebrei nel quadro di uno sviluppo continuo del capitalismo e dei suoi valori di libertà e modernità. Anche i pogrom in Russia degli anni '80 dell'Ottocento apparivano come l'ultimo respiro di un sistema feudale morente piuttosto che un' avvisaglia dei tempi a venire. Ma nel 1896, quando Theodor Herzl pubblicò il suo Stato Ebraico, un tale ottimistico scenario non era più realisticamente prevedibile. Nel 1895 lo stesso Herzl aveva visto la folla parigina invocare la morte di Dreyfus. Quello stesso hanno egli aveva udito i cori di selvaggia acclamazione della classe media viennese quando l'antisemita Karl Lueger era stato eletto Burgmeister.

Nato in mezzo a un'ondata di odio verso gli ebrei, non solo nella periferica Russia ma anche nei principali centri dell'Europa industriale, il sionismo moderno aveva i più nobili propositi che si potessero immaginare: la redenzione del perseguitato popolo ebraico in una terra propria. Ma fin dall'inizio il movimento fece propria la convinzione di una parte della classe media ebraica che il futuro appartenesse agli "odiatori degli ebrei", che l'antisemitismo fosse qualcosa di inevitabile, naturale. Fermamente convinta che l'antisemitismo non potesse essere eliminato, la nuova Organizzazione Sionista Mondiale non lo combattè mai. L'assuefazione all'antisemitismo (e il suo pragmatico utilizzo allo scopo di ottenere uno stato ebraico) fu caratteristica centrale del movimento sionista, a partire dai suoi primi esordi fino ad arrivare all'Olocausto. Nel giugno 1895, in una delle prime pagine del suo Diario, Herzl sanciva questo punto fisso del sionismo:

A Parigi, come ho detto, ho sperimentato una forte attitudine all'antisemitismo, che ora comincio a comprendere storicamente, e a perdonare. Soprattutto, ho empaticamente conosciuto la futilità del provare a "combattere" l'antisemitismo1.

In un certo senso, Herzl era un uomo del suo tempo e della sua classe; un monarchico che

credeva nell’idea del "buon tiranno". Il suo Stato Ebraico affermava baldanzosamente: "Le nazioni odierne non sono ancora pronte per la democrazia, e credo che lo diventeranno sempre meno...non ho alcuna fiducia nelle virtù politiche del nostro popolo, poichè noi non siamo nulla di meglio rispetto all'umanità moderna"2.

Il suo profondo pessimismo fece sì che Herzl travisasse completamente lo sviluppo politico nell'Europa occidentale del tardo Ottocento. In particolare, egli male interpretò l'Affare Dreyfus3. La segretezza del processo e la ferma proclamazione di innocenza da parte di Dreyfus convinsero molti che si compiva un'ingiustizia. La vicenda vide un enorme aumento del sostegno da parte dei "gentili". I re ne discussero, e si preoccuparono per lo stato di salute della Francia; gli ebrei dei remoti villaggi delle Paludi di Pripyat si rivolsero a Emile Zola. Gli intellettuali francesi si schierarono con Dreyfus. Il movimento socialista conquistò i lavoratori. L’ala destra della società francese era screditata, l’esercito disonorato, la Chiesa destabilizzata. L’antisemitismo in Francia era ridotto all’isolamento, ove sarebbe rimasto fino all’invasione hitleriana. Eppure Herzl, il più famoso giornalista di Vienna, non fece nulla per suscitare anche solo una manifestazione di supporto a Dreyfus. Quando parlava della questione, essa era sempre un “orribile esempio” e mai una “causa da sostenere”. Nel 1899 la mobilitazione ottenne un nuovo processo. Una corte marziale ribadì la colpevolezza del capitano, cinque voti a due,

1 Theodor Herzl, Diaries (Diari), 1895 – 1904 2 Theodor Herzl, The Jewish State (Lo Stato Ebraico), 1896 3 Alfred Dreyfus, ebreo, capitano dell’esercito francese, fu accusato di spionaggio a favore della Germania nel 1894. Subito

processato, fu condannato alla deportazione a vita nelle prigioni della Guyana francese (la famosa Caienna); negli anni

seguenti alcuni elementi fecero emergere la montatura nei suoi confronti, ordita negli stessi ambienti dell’esercito, e iniziò

una campagna per la riabilitazione culminata in un nuovo processo tenutosi nel 1899, al termine del quale la pena fu ridotta

a dieci anni. Dreyfus fu poi graziato, e pienamente riabilitato nel 1906.

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tuttavia individuò delle circostanze attenuanti e ridusse la pena a dieci anni. Ma Herzl vedeva solo la sconfitta e disprezzava l’importanza della vasta simpatia dei gentili per la vittima ebrea:

“Se un povero animale viene torturato in pubblico, la folla non leva forse grida di indignazione? Questo è il senso del sentimento pro-Dreyfus al di fuori della Francia, se davvero è così esteso come molti ebrei ritengono…in sintesi, potremmo dire che l’ingiustizia commessa contro Dreyfus è così grande che noi dimentichiamo che abbiamo a che fare con un ebreo…c’è qualcuno così presuntuoso da affermare che tra sette persone qualunque ve ne sono due, o almeno una, a favore degli ebrei?...Dreyfus rappresenta un bastione che è stato ed è ancora oggetto di una lotta. A meno che non ci inganniamo, quel bastione è perso!” Il governo francese comprese la situazione meglio di Herzl e agì per prevenire ulteriori

sollevazioni riducendo l’entità della pena. Dato il successo della lotta in favore di Dreyfus, gli ebrei francesi – destra e sinistra - vedevano il sionismo come qualcosa di irrilevante. Herzl li sferzò nel suo Diario: “Cercano la protezione dei socialisti e dei distruttori dell’attuale ordine civile…Non sono affatto più ebrei. Di certo, non sono neppure francesi. Probabilmente diventeranno i capi dell’anarchismo europeo.”

La prima opportunità per Herzl di applicare la sua strategia di non-resistenza all’antisemitismo, abbinata all’emigrazione di una quota di ebrei verso un nascente stato ebraico, venne con il successo di Karl Lueger4 a Vienna. La vittoria del demagogo fu la principale affermazione della nuova ondata di partiti dichiaratamente antisemiti in Europa, ma gli Asburgo si opposero fermamente al neoeletto sindaco. Circa l’otto per cento dei generali austriaci erano ebrei. Numerosi erano gli ebrei fedeli al regime, in mezzo a un mare di irredentismi nazionali che destabilizzavano l’Impero Austro-Ungarico. L’antisemitismo poteva solo creare problemi a una dinastia già indebolita. L’Imperatore per due volte rifiutò di confermare la carica di Lueger. Herzl fu uno dei pochi ebrei a Vienna a favore della conferma. Piuttosto che dedicarsi a organizzare l’opposizione al demagogo cristiano-sociale, egli incontrò il primo ministro, il conte Kasimierz Badeni, il 3 novembre 1895 e gli disse sfrontatamente di accettare Lueger:

“Penso che l’elezione di Lueger a sindaco vada accettata. Se Voi mancate di farlo una prima volta, comunque non potrete una seconda, e se arriverete alla terza…i Dragoni dovranno muoversi. Il Conte sorrise: - Davvero! - con espressione goguenard5.”6 Era la povertà nella Galizia asburgica, unitamente alle discriminazioni patite in Russia, che

spingevano gli ebrei a Vienna e di lì in Europa Occidentale e in America. Essi portarono l’antisemitismo nel bagaglio con sé. I nuovi immigrati divennero un “problema” per i dirigenti dell’alta società, e per le comunità ebraiche locali già inserite, che temevano il crescere del sentimento antiebraico nella popolazione locale. Herzl per questa nuova ondata migratoria aveva pronta una soluzione che, pensava, avrebbe soddisfatto sia le alte sfere delle comunità ebraiche che le classi dirigenti del capitalismo occidentale: le avrebbe spinte a togliersi di torno gli ebrei poveri. Egli scrisse a Badeni: “Ciò che io propongo è…non proprio l’emigrazione di tutti gli ebrei…Attraverso la porta che sto cercando di aprire per le masse ebraiche povere, uno statista cristiano che coglie bene la situazione può incamminarsi nella direzione della storia mondiale.”

I primi sforzi di Herzl di spingere il vento dell’opposizione all’immigrazione ebraica verso le vele del sionismo fallirono completamente, ma ciò non gli impedì di provare di nuovo. Nel 1902 il parlamento britannico mise all’ordine del giorno un Aliens Exclusion Bill rivolto contro gli immigrati, e Herzl si recò a Londra per dire la sua sul provvedimento. Piuttosto che approvarlo, affermò, il governo britannico avrebbe dovuto sostenere il sionismo. Egli incontrò lord Rothschild ma, a dispetto delle sue affermazioni pubbliche sul rinnovamento delle comunità ebraiche, si espresse senza ipocrisia in

4 Karl Lueger (Vienna, 24 ottobre 1844 – 10 marzo 1910), dichiaratamente razzista e antisemita, leader del Partito Cristiano

Sociale Austroungrarico, deputato al consiglio municipale di Vienna e al parlamento austriaco. Eletto borgomastro di

Vienna nel 1895, entrò in carica solo nel 1897 dopo l’intervento di Papa Leone XIII presso gli Asburgo e vi rimase fino alla

morte, influenzando molto la politica della città e di tutta la nazione austriaca. Hitler lo cita come un modello nel Mein

Kampf. 5 Ironica (in francese nel testo). 6 Theodor Herzl, Diaries (Diari), 1895 – 1904

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privato, dicendo al barone inglese: “Potrei casualmente essere una di quelle cattive persone cui gli ebrei inglesi dovrebbero erigere un monumento per averli salvati dal flusso degli ebrei dell’Est Europa e forse, anche, dall’antisemitismo”7.

Nella sua autobiografia, Trial and Error8, scritta nel 1949, Chaim Weizmann – allora primo presidente del nuovo stato israeliano – ritornò sulla vicenda dell’Aliens Bill. Egli stesso immigrato in Gran Bretagna, il giovane e brillante chimico nel 1902 era già uno degli intellettuali preminenti del nuovo movimento sionista. Egli aveva incontrato sir William Evans Gordon, autore della legge anti-ebraica; retrospettivamente, con la tragedia dell’Olocausto fresca nella sua mente, l’allora presidente di Israele ancora ribadì che:

“La nostra gente è stata piuttosto dura con lui (Evans Gordon)…L’Aliens Bill in Inghilterra e il movimento cresciuto intorno ad esso erano fenomeni naturali…Ogniqualvolta il numero di ebrei in qualunque paese raggiunge il livello di saturazione, quel paese reagisce contro di essi…Il fatto che allora il numero di ebrei in Inghilterra, e anche la sua proporzione rispetto alla popolazione totale, fosse più basso che in altri paesi, era irrilevante; il fattore determinante in questo campo non è la disponibilità all’assimilazione degli ebrei, ma la capacità di assimilazione del paese…ciò non può essere visto come antisemitismo nel senso comune, o volgare, del termine; è un dato di fatto economico-sociale concomitante con l’immigrazione ebraica, e noi non possiamo liberarcene…benché il mio punto di vista sull’immigrazione fosse naturalmente in aspro contrasto col suo, discutemmo di questi problemi in maniera obiettiva e anche amichevole.”9 Nonostante quello da lui definito “aspro contrasto” con Evans Gordon, non ci sono segni che

Weizmann abbia mai provato a mobilitare l’opinione pubblica contro di lui. Cosa gli disse Weizmann nella loro “amichevole” discussione? Lui ha deciso di non rivelarlo, ma lo possiamo legittimamente supporre: tale il maestro Herzl, tale il discepolo Weizmann. Possiamo ragionevolmente ritenere che il dichiarato sostenitore dell’intesa pragmatica chiese al suo interlocutore antisemita di sostenere il sionismo. Neppure una volta, allora e in altre occasioni, Weizmann provò a incoraggiare le masse ebraiche a opporsi all’antisemitismo.

“Allontanando gli ebrei dai partiti rivoluzionari”

Herzl inizialmente sperò di convincere il Sultano della Turchia a garantirgli la Palestina come

piccolo stato autonomo in cambio dell’intervento dell’Organizzazione Sionista Mondiale (WZO) per risanare il debito estero turco. Presto fu evidente che la sua speranza era priva di fondamento. Abdul Hamid sapeva bene che l’autonomia conduce sempre all’indipendenza, ed era deciso a mantenere l’integrità del suo impero. La WZO non aveva un esercito, non avrebbe mai potuto acquisire il paese da sola. La sua unica possibilità stava nel costruire una lobby europea in grado di influenzare il Sultano in favore del sionismo. Una colonia sionista sarebbe allora stata sotto la protezione di questa lobby, e i sionisti sarebbero stati i suoi rappresentanti presso un impero ottomano in decomposizione. Per il resto della sua vita Herzl lavorò a questo obiettivo e si rivolse, dapprima, alla Germania. Naturalmente, il Kaiser non era certo un nazista; non si sognò mai di uccidere gli ebrei, e permise loro una piena libertà economica, ma li tenne completamente al di fuori dai ranghi degli ufficiali e dal ministero degli esteri, e a ciò si aggiungeva una forte discriminazione in tutti i ruoli civili. Verso la fine degli anni ’90 il Kaiser Guglielmo divenne seriamente preoccupato dal crescente movimento socialista, e il sionismo lo attrasse nella misura in cui era convinto che gli ebrei fossero dietro i suoi nemici. Egli credeva ingenuamente che “gli elementi socialdemocratici” si sarebbero raggruppati in Palestina. Ricevette Herzl a Costantinopoli il 19 ottobre 1898. In quell’incontro il leader sionista gli chiese di intervenire personalmente presso il Sultano e di poter costituire una compagnia commerciale sotto la protezione della Germania. Una sfera di influenza in Palestina era qualcosa di abbastanza attraente, ma Herzl intuiva di avere un’altra esca per attirare i suoi potenziali, reazionari sostenitori: “Spiegai che stavamo allontanando gli ebrei dai partiti rivoluzionari”10.

7 ibidem 8 Tradotta in italiano col titolo La mia vita per Israele, Garzanti 1950. 9 Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949 10 Theodor Herzl, Diaries (Diari), 1895 – 1904

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Nonostante il forte interesse del Kaiser a liberarsi degli ebrei, attraverso Berlino non si potè fare nulla. I suoi diplomatici sapevano che il Sultano non avrebbe mai approvato quel progetto. Inoltre il Ministro degli esteri tedesco non era pazzo come il suo padrone. Egli sapeva che gli ebrei tedeschi non avrebbero mai lasciato volontariamente il loro paese.

Herzl si rivolse altrove, cercando supporto anche presso il regime zarista. In Russia il sionismo era stato subito accolto; l’emigrazione era ciò che si voleva. Sergei Zubatov, capo della polizia segreta di Mosca, aveva sviluppato una strategia per dividere gli oppositori dello Zar. A causa della loro duplice oppressione, i lavoratori ebrei avevano creato la prima organizzazione socialista di massa, l’Unione Generale dei Lavoratori Ebrei, meglio nota come Bund. Zubatov incaricò i suoi agenti ebrei di mobilitare i gruppi della nuova organizzazione Poale Zion (Lavoratori di Sion) in opposizione ai rivoluzionari11. (Il sionismo non è un movimento monolitico, e quasi fin dall’inizio la WZO era stata suddivisa in correnti ufficialmente riconosciute). Ma quando elementi dei gruppi sionisti reagirono alle pressioni del regime poliziesco e al crescente malcontento, e iniziarono a dedicarsi ai diritti degli ebrei in Russia, la banca dei sionisti, il Jewish Colonial Trust, venne bandita dal paese. Ciò portò Herzl a Pietroburgo per incontrare il conte Sergei Witte, Ministro delle finanze, e Vyacheslav von Plehve, Ministro dell’interno. Era stato von Plehve a organizzare il primo pogrom da vent’anni a quella parte, a Kishenev, in Bessarabia, nell’estate 1903. 45 persone furono uccise e più di mille ferite; Kishenev produsse terrore e collera tra gli ebrei.

Il colloquio di Herzl con l’assassino von Plehve fu criticato anche dalla maggior parte dei sionisti. Egli andò a Pietroburgo per far riaprire il Colonial Trust, per chiedere che le tasse degli ebrei fossero usate per sussidi all’emigrazione e per ottenere un’intercessione presso i turchi. Per addolcire i suoi critici di parte ebraica, egli chiese non l’abolizione della Zona di Residenza, ovvero le province occidentali nelle quali gli ebrei erano confinati, bensì il suo allargamento, “per dimostrare apertamente il carattere umanitario di questi provvedimenti”, suggerì. “Questo” insistette “dovrebbe far cessare la tensione”12. Von Plehve lo incontrò l’8 e il 13 agosto 1903. Sappiamo ciò dal diario di Herzl. Von Plehve spiegò il suo punto di vista sulla nuova direzione che vedeva prendere al sionismo:

Ultimamente la situazione è molto peggiorata, perché gli ebrei stanno entrando nei partiti rivoluzionari. Noi avevamo simpatia per il vostro movimento sionista, finchè si adoperava per l’emigrazione. Voi non dovete giustificare il movimento con me. Vous prechez a un converti. Ma dalla conferenza di Minsk13 in avanti, abbiamo notato un changement des gros bonnet. C’è meno dibattito sul progetto sionista in Palestina di quanto non ve ne sia sulla cultura ebraica, l’organizzazione e il nazionalismo. Questo non ci soddisfa14. Herzl ottenne che il Colonial Trust riaprisse e una lettera di apertura verso il sionismo da parte di

Plehve, ma il sostegno era concesso soltanto alla condizione che il movimento si limitasse all’emigrazione e rinunciasse ad occuparsi di rivendicazioni nazionalistiche all’interno della Russia. Al ritorno, Herzl mandò a von Plehve una copia di una propria lettera a Lord Rothschild nella quale suggeriva: “La situazione potrebbe considerevolmente migliorare se i giornali pro-ebrei smettessero di usare un tono così odioso nei confronti della Russia. Noi dobbiamo provare a lavorare affinchè ciò accada nel prossimo futuro”.15

Successivamente Herzl si pronunciò pubblicamente, in Russia, contro i tentativi di organizzare gruppi socialisti da parte dei sionisti russi:

In Palestina…la nostra terra, un tale partito vivacizzerebbe la nostra vita politica – e dunque avrebbe la mia stessa adesione. Mi fate un’ingiustizia se dite che sono contrario alle idee di progresso sociale. Ma ora, nell’attuale situazione, è troppo presto per

11 Riportato in Georgij Gapon, The Story of my Life, 1906. Il pope Georgij Gapon fu un controverso esponente del

movimento operaio russo, in contatto con la polizia zarista. Poale Zion venne fondata in varie città russe ed europee

all’indomani del rifiuto del Bund di aderire al sionismo, nel 1901. 12 Theodor Herzl, Diaries (Diari), 1895 – 1904 13 Presumibilmente allude al Congresso clandestino di fondazione del POSDR (Partito Operaio SocialDemocratico Russo),

tenutosi a Minsk nel marzo 1898. Il Bund fu tra le organizzazioni partecipanti. 14 Theodor Herzl, Diaries (Diari), 1895 – 1904 15 ibidem

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occuparsi di queste cose. Esse ci sono estranee. Il sionismo chiede un coinvolgimento totale, non parziale16. Di ritorno in Occidente, Herzl proseguì ancora nella propria collaborazione con lo zarismo.

Quell’estate, durante il Congresso Sionista Mondiale a Basilea (nel 1903 era il sesto), ebbe un incontro riservato con Chaim Zithlovskij, che era una figura preminente nel Partito Socialista Rivoluzionario. Zithlovskij poi scrisse a proposito di questa straordinaria conversazione. Herzl gli aveva detto:

Sono appena stato da Plehve. Ho avuto la sua promessa che entro al massimo quindici anni egli ci procurerà una concessione per la Palestina. Ma a una condizione: gli ebrei rivoluzionari devono cessare la loro attività contro il governo russo. Se fra quindici anni, a partire dalla data dell’accordo, Plehve non avrà fatto la concessione, essi saranno liberi di fare ciò che ritengono necessario.17 Naturalmente Zithlovskij rifiutò con sdegno la proposta. I rivoluzionari ebrei non erano affatto

dell’idea di abbandonare la lotta per diritti umani fondamentali in cambio della vaga promessa di uno stato sionista in un futuro lontano. Egli ebbe a dire poche parole a proposito del fondatore della WZO:

Era, in generale, troppo fedele alle autorità vigenti (come è proprio di un diplomatico che deve avere a che fare con l’ordine costituito) per essere interessato ai rivoluzionari e includerli nei suoi calcoli…Fece il suo viaggio non per intercedere per il popolo di Israele e suscitare compassione per noi nel cuore di Plehve. Lo fece come un politico che non dedica se stesso ai sentimenti, ma agli interessi…La “politica” di Herzl è costruita sulla pura diplomazia, e si basa sulla ferma convinzione che la storia politica dell’umanità è fatta da poche persone, pochi dirigenti, e che quanto concordato tra costoro diviene il contenuto della storia.18 Si può in qualche modo giustificare gli incontri di Herzl con von Plehve? Ci può essere solo una

risposta. Anche Weizmann scrisse successivamente che “il passo fu non solo umiliante, ma completamente privo di senso…un’insensatezza non poteva avere un seguito.”19 Lo Zar non aveva la benché minima influenza sui turchi, che lo vedevano come nemico. Nel contempo, nel 1903, Herzl accolse una proposta anche più surreale per una colonia sionista nelle Highlands del Kenya in sostituzione della Palestina. I sionisti russi cominciarono a spazientirsi di queste bizzarre discussioni, e si accordarono per lasciare la WZO se l’“Uganda” fosse stata presa in considerazione. Herzl si considerava una sorta di Cecil Rhodes ebreo; difficilmente avrebbe avuto importanza per lui ove la colonia fosse situata, ma per la maggioranza dei sionisti russi il movimento era un’estensione del messaggio biblico e l’Africa per loro non aveva senso. Un sionista russo un po’ folle tentò di uccidere il vice di Herzl, Max Nordau, e solo la morte prematura di Herzl prevenne un collasso interno del movimento.

Tuttavia, i contatti diretti con lo zarismo non cessarono con Herzl. Nel 1908 le fazioni della WZO si espressero a favore di un incontro tra il successore di Herzl, David Wolffsohn, il Primo ministro Stolypin e il Ministro degli esteri Alexandr Izvolskij, a proposito di nuove controversie sulla Colonial Trust Bank. Itzvolskij giunse rapidamente a un accordo sulle richieste minime e infatti ebbe un’amichevole discussione con il leader della WZO: “Posso quasi dire di aver fatto di lui un sionista” scrisse Wolffsohn trionfalmente20. Ma non c’è bisogno di dire che la visita di Wolffsohn nulla modificò nella legislazione anti-ebraica della Russia.

16 Amos Elon, Herzl, 1975 17 Vladimir Medem, From my Life, 1923 18 ibidem 19 Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949 20 Emil Cohen, David Wolffsohn: Herzl’s Successor, 1944

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La Prima guerra mondiale

Gli egregi risultati diplomatici dei sionisti nel periodo pre-bellico non impedirono alla WZO di approfittare del disastro della Prima Guerra Mondiale. La maggior parte dei sionisti era filo-tedesca per avversione allo zarismo, essendo quest’ultimo il più antisemita dei contendenti. La direzione della WZO a Berlino provò a spingere Germania e Turchia ad appoggiare il sionismo in Palestina, come espediente volto a spingere il mondo ebraico dalla propria parte. Altri videro che la Turchia era debole, e sicuramente con la guerra sarebbe stata smembrata. Essi ipotizzarono che, se avessero appoggiato gli Alleati, il sionismo sarebbe stato appoggiato in Palestina come ricompensa. A costoro difficilmente importava che gli ebrei russi, che erano la maggioranza, non avessero nulla da guadagnare dalla vittoria del loro oppressore con i suoi alleati. Weizmann, che viveva a Londra, provò a convincere i politici britannici. Egli aveva già preso contatti con Arthur Balfour, il quale da primo ministro nel 1905 si era espresso contro l’immigrazione ebraica. Weizmann conosceva tutta la profondità dell’antisemitismo di Balfour; egli stesso aveva espresso tale giudizio il 2 dicembre 1914 in una lettera privata: “Mi ha detto di come una volta ebbe una lunga conversazione con Cosima Wagner a Bayreuth e che aveva approvato la maggior parte delle affermazioni antisemite di lei”.21

Mentre Weizmann intrigava con i politici di Londra, Vladimir Jabotinskij aveva ottenuto l’appoggio zarista a una legione di volontari ebrei per aiutare gli inglesi a occupare la Palestina. Migliaia di giovani ebrei con cittadinanza russa rifugiati in Inghilterra furono minacciati di deportazione in Russia dall’ebreo Herbert Samuel, Segretario agli interni, se non si fossero offerti “volontari” per l’esercito britannico. Essi non si lasciarono intimidire: non avrebbero combattuto né per lo Zar né per il suo alleato, e così il governo fece marcia indietro. L’idea della legione fu una via d’uscita per gli Alleati in imbarazzo.

I turchi ci misero del loro nell’aiutare il progetto a divenire realtà, espellendo tutti gli ebrei russi dalla Palestina in quanto nemici stranieri. Questi erano comunque restii a combattere direttamente per lo zarismo, ma il loro sionismo li spinse a seguire il collaboratore di Jabotinskij, Yosef Trumpeldor, negli Zion Mule Corps, di stanza insieme agli inglesi a Gallipoli. Più tardi Jabotinskij si vantò orgogliosamente di come i Corpi dei Mulattieri di Sion, con l’ausilio degli antisemiti di Pietroburgo, lo aiutarono a raggiungere i suoi scopi:

Fu quel “battaglione di asini” proveniente da Alessandria, preso in giro da tutti i burloni in

Israele, che mi aprì le porte degli uffici governativi di Whitehall. Il ministero degli esteri di Pietroburgo ne scrisse al conte Benkendoff, l’ambasciatore russo a Londra; l’ambasciata russa inviò i rapporti al ministero degli esteri inglese; il capo consigliere dell’ambasciata, il defunto Constantine Nabokov, che poi successe all’ambasciatore, combinò gli incontri con i ministri inglesi.22

La Dichiarazione Balfour e la lotta contro il bolscevismo

La fine della guerra vide sia gli ebrei che il sionismo in un mondo completamente nuovo. Le manovre della WZO avevano finalmente avuto successo (per i sionisti ma non per gli ebrei). La Dichiarazione Balfour fu il prezzo che Londra si preparava a pagare affinchè gli ebrei americani usassero la loro influenza per portare in guerra gli Stati Uniti, e per mantenere gli ebrei russi dalla parte degli alleati. Ma benché la dichiarazione desse al sionismo l’appoggio militare e politico dell’Impero Britannico, non ebbe il minimo effetto sul corso degli eventi nel vecchio Impero Zarista, la madrepatria degli ebrei. Il bolscevismo, ideologia fondamentalmente opposta al sionismo, aveva preso il potere a Pietroburgo e stava per essere sfidato dalle Armate Bianche zariste, ucraine, polacche e baltiche finanziate da Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Giappone. La controrivoluzione contava su molti elementi che avevano una lunga tradizione di antisemitismo e pogrom. Questa durante la guerra civile continuò, e anche conobbe un ulteriore sviluppo, e almeno 60.000 ebrei furono uccisi dalle forze anti-bolsceviche. Benché la Dichiarazione Balfour desse ai sionisti il tiepido appoggio dei sostenitori

21 The Letters and Papers of Chaim Weizmann, vol VII, p. 81. Dopo l’Olocausto Weizmann non poteva rivelare

l’antisemitismo di un grande padre del sionismo. Quindi cambiò versione in Trial and Error: “Mr. Balfour disse che due

anni prima era stato a Bayreuth, e che aveva parlato con Frau Cosima Wagner, moglie del compositore, che aveva

accennato alla questione degli ebrei. Io interruppi mr. Balfour…” 22 Vladimir Jabotinskij, The Story of the Jewish Legion, 1945

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delle Armate Bianche, non servì a nulla per frenare i pogrom. La Dichiarazione era al massimo un vago impegno che permetteva alla WZO di provare a costruire un “focolare nazionale” in Palestina. La sostanza di quell’impegno era ancora completamente indefinita. I leader della WZO compresero che il governo inglese vedeva la caduta dei bolscevichi come la massima priorità, e che loro avrebbero dovuto dare il massimo, non semplicemente per quanto riguardava l’insignificante Palestina, ma nella loro attività nell’instabile arena est-europea.

Gli storici occidentali chiamano la rivoluzione bolscevica “rivoluzione russa”, ma gli stessi bolscevichi la consideravano una scintilla per innescare la rivoluzione mondiale. Lo stesso pensiero avevano i capitalisti di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, agli occhi dei quali il successo dei comunisti accendeva l’ala radicale delle rispettive classi lavoratrici. Come tutti i ceti sociali che non possono ammettere che le masse abbiano ragione a ribellarsi, essi cercarono di spiegare le sollevazioni, a se stessi e alle loro popolazioni, nei termini di una cospirazione – degli ebrei. L’8 febbraio 1920 Winston Churchill, allora segretario alla guerra, parlò ai lettori dell’Illustrated Sunday Herald di “Trockij…(e)…i suoi progetti di uno stato comunista mondiale dominato dagli ebrei.” Tuttavia Churchill aveva già scelto gli oppositori del bolscevismo: i sionisti. Egli scrisse sdegnosamente della “furia con cui Trockij ha attaccato i sionisti in generale e il dottor Weizmann in particolare”. “Trockij” dichiarò Churchill era “decisamente turbato e ostacolato da questo nuovo ideale…la lotta che sta per iniziare tra i sionisti e gli ebrei bolscevichi è quasi una lotta per l’anima del popolo ebraico”.23

La strategia inglese di servirsi insieme degli antisemiti e dei sionisti contro “Trockij” riposava in ultima analisi sulla disponibilità del sionismo a cooperare con la Gran Bretagna nonostante il suo coinvolgimento con i pogromisti bianchi in Russia. La WZO non voleva i pogrom nell’Europa dell’Est, ma non fece nulla per mobilitare il mondo ebraico a difesa degli ebrei colà perseguitati. Le affermazioni di Weizmann all’epoca, come riportato nelle sue memorie, ci dicono come era vista la situazione. Egli presenziò alla Conferenza di Versailles il 23 febbraio 1919. Ancora una volta affermò la linea tradizionale sugli ebrei, condivisa sia dagli antisemiti che dai sionisti. Non erano gli ebrei che avevano un problema, gli stessi ebrei erano il problema:

Gli ebrei e l’ebraismo erano in una pericolosa condizione di debolezza, poiché

rappresentavano, a se stessi e alle altre nazioni, un problema molto difficile da risolvere. Non vi era, dissi, nessuna speranza di soluzione – poiché il problema ebraico ruotava fondamentalmente intorno al suo essere senza patria – senza la creazione di una Casa Nazionale.24

Naturalmente gli ebrei non costituivano nessun problema (né per le nazioni né per “se stessi”)

ma Weizmann per questo inesistente “problema” aveva una soluzione. Ancora una volta il sionismo si offriva al consesso dei potenti capitalisti come movimento contro-rivoluzionario. Il sionismo avrebbe “trasformato l’energia degli ebrei in una forza costruttiva anziché lasciare che si dissolvesse in tendenze distruttive”.25

Anche in tarda età Weizmann vedeva la tragedia degli ebrei durante la Rivoluzione Russa soltanto con la lente del sionismo:

Tra la Dichiarazione Balfour e l’ascesa dei bolscevichi al potere, gli ebrei russi avevano sottoscritto l’enorme somma di 30 milioni di rubli per una banca dell’agricoltura in Palestina; ma questo progetto, come molti altri, ora dovette essere cancellato…Gli ebrei polacchi…stavano ancora così soffrendo a causa della guerra di spartizione russo-polacca, che non fu possibile per loro dare il minimo contributo ai compiti posti davanti a noi.26

Weizmann vedeva che il sionismo era debole sotto tutti gli aspetti, con un solo punto d’appoggio

in Palestina. L’Europa orientale rappresentava “una tragedia che il movimento sionista era al momento incapace di alleviare.”27 Ma altri soggetti non erano così inattivi: i sindacati inglesi organizzarono un embargo delle navi di armamenti destinate ai bianchi, i comunisti francesi promossero un ammutinamento nella flotta francese sul Mar Nero. E naturalmente l’Armata Rossa

23 Illustrated Sunday Herald, 8 february 1920 24 Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949 25 Leonard Stein, The Balfour Declaration, 1961 26 Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949 27 Ibidem

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tentò di difendere gli ebrei dai loro assassini bianchi. Invece la WZO non usò mai la sua influenza, né presso la comunità ebraica inglese né nelle stanze del potere, per supportare i militanti sindacali. Weizmann fece completamente propria la mentalità anti-comunista dei suoi padroni inglesi. Non cambiò mai opinione in quel periodo. Anche in Trial and Error sembrava ancora un vecchio Tory quando scriveva di “un’epoca in cui gli orrori della rivoluzione bolscevica erano freschi nella mente di ognuno”28 (sottolineatura dell’autore).

I Trattati sulle Minoranze alla Conferenza di Pace di Versailles

La Russia era fuori controllo, ma gli Alleati e i loro referenti locali dominavano nel resto dell'Europa Orientale; ora che la WZO era stata trasformata dalla Dichiarazione Balfour in voce ufficiale di Israele, non poteva più tacere sul destino delle grandi comunità ebraiche dell'Est. Doveva agire, e così i suoi portavoce. Quello che voleva era che gli ebrei venissero riconosciuti come una nazione, con l'autonomia per le scuole e le istituzioni linguistiche, così come il sabato ebraico doveva essere riconosciuto come giorno di riposo. Dal momento che l'acquiescenza all'imperialismo era alla base della strategia sionista, il Comitato delle Delegazioni Ebraiche - sostanzialmente la WZO in tandem con l'American Jewish Committee - presentò un memorandum sull'autonomia nazionale alla conferenza di Versailles. Tutti i nuovi stati nati dal crollo degli Imperi Centrali, ma non la Germania nè la Russia, dovevano essere spinti a firmare i trattati di riconoscimento delle minoranze come precondizione per il riconoscimento diplomatico. All'inizio l'idea fu fatta propria dagli Alleati, che si resero conto che riconoscere i diritti delle minoranze era essenziale per evitare che il groviglio di sciovinismi nazionali mandasse in pezzi i nuovi stati, aprendo la strada all'espansione bolscevica. Uno alla volta i polacchi, gli ungheresi e i romeni firmarono, ma le loro adesioni furono prive di sostanza. In quei paesi le classi medie in rapida ascesa vedevano gli ebrei come i loro storici avversari, ed erano determinate a scacciarli. Il rappresentante polacco che firmò il trattato era più noto antisemita del paese, gli ungheresi dichiararono il lutto nazionale il giorno della firma, e i romeni rifiutarono di firmare finchè le clausole che garantivano i diritti dello shabbat e delle scuole ebraiche non furono rimosse dal loro trattato.

Mai vi fu la minima probabilità di successo per quel piano utopico. Balfour presto si rese conto di quali problemi i trattati avrebbero creato agli Alleati nell'Europa Orientale. Il 22 ottobre 1919 egli dichiarò alla Società delle Nazioni che gli stati in questione avrebbero dovuto assumersi un compito ingrato se si fossero adoperati per far applicare gli obblighi dei trattati. Egli quindi disse che dal momento che i trattati precedevano la Società, questo non la obbligava ad applicarli.29 I legislatori riuniti, quindi, riconobbero la validità legale dei trattati, ma non predisposero un meccanismo di applicazione.

Gli ebrei non poterono mai far leva su quei trattati senza senso. Solo tre petizioni collettive furono inviate. Negli anni '20 l’Ungheria fu segnalata per il numero chiuso nelle università. Nel 1933 l'ancora debole Hitler si sentì in dovere di onorare la Convenzione Tedesco-Polacca, che era l'unico trattato che riguardava la Germania, e 10.000 ebrei nell'Alta Slesia conservarono tutti i loro diritti civili fino alla scadenza del trattato, nel 1937.30 La Romania fu riconosciuta colpevole della revoca dei diritti dei cittadini ebrei nel 1937. Queste mere vittorie legali nel lungo periodo non cambiarono nulla.

L'unica possibilità per gli ebrei di avere successo nella lotta per i propri diritti nell'Europa Orientale, sarebbe stata in alleanza con il movimento operaio che, in tutti questi paesi, vedeva l'antisemitismo per quello che era: un'arma ideologica nelle mani dei suoi nemici capitalisti. Ma poichè la rivoluzione sociale significava uguaglianza per gli ebrei in quanto ebrei, significava anche l'espropriazione della classe media ebraica, in quanto capitalista. Ciò non era accettabile per i membri locali della WZO, che erano per lo più medio-borghesi. La WZO, costantemente legata alle posizioni della classe dirigente inglese, non spinse mai i suoi gruppi locali a dirigere la sinistra, benchè questa fosse l'unica forza in grado di difendere gli ebrei. Invece, i leader della WZO giunsero alla conclusione che non avevano la forza di combattere per i diritti degli ebrei nella diaspora e contemporaneamente di costruire la nuova Sion, così negli anni '20 abbandonarono qualunque pretesa di agire in difesa della diaspora ebraica in situ, lasciando i loro membri locali, e le comunità ebraiche di quei paesi, a difendersi da soli.

28 Ibidem 29 Jacob Robinson, Were the Minority Treaties a Failure?, 1943 30 Jacob Robinson, And the Crook Shall be Made Straight, 1966

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L’alleanza sionisti – antisemiti nell’Europa Orientale

La maggior parte degli ebrei in Europa Orientale non vedeva i boscevichi come gli orchi immaginati da Churchill e Weizmann. Sotto Lenin i bolscevichi non solo diedero agli ebrei completa eguaglianza, ma istituirono scuole e anche tribunali in lingua yiddish; ciò nonostante, erano assolutamente contrari al sionismo e a tutte le ideologie nazionaliste. I bolscevichi pensavano che la rivoluzione richiedesse l’unità dei lavoratori di tutte le nazioni contro i capitalisti. I nazionalisti separavano i “loro” lavoratori dai loro fratelli di classe. Il boscevismo in particolare si opponeva al sionismo in quanto filo-inglese e fondamentalmente anti-arabo. Dunque la dirigenza locale sionista fu spinta a rivolgersi ai nazionalisti come possibili alleati. In Ucraina questo significava la Rada (Consiglio) di Simon Petljura che, come i sionisti, ragionava sulla base di stringenti vincoli etnici: niente russi, niente polacchi, niente ebrei.

Ucraina La Rada era espressione degli insegnanti delle campagne e di altri entusiasti tradizionalisti,

che si rifacevano alla gloriosa storia ucraina, ovvero alla rivolta anti-polacca dei Cosacchi di Bogdan Zinovy Chmielnicki (XVII secolo), durante la quale i contadini furibondi massacrarono 100.000 ebrei che vedevano come intermediari dei pans (nobili) polacchi. L’ideologia nazionalista fece crescere i semi velenosi che erano stati sparsi tra le masse contadine ignoranti dal vecchio regime. Le ondate antisemite erano inevitabili in tale clima ideologico, e travolsero anche la Rada. Nel gennaio 1919 Abraham Revuskij di Poale Zion assunse l’incarico di Ministro degli affari ebraici di Petljura. Meir Grossman dell’esecutivo sionista ucraino si recò all’estero per raccogliere il sostegno degli ebrei al regime anti-bolscevico.

I pogrom, inevitabili, iniziarono con la prima sconfitta ucraina da parte dell’Armata Rossa nello stesso gennaio 1919, e in capo a un mese Revuskij arrivò a dimettersi poiché Petljura non faceva nulla per fermare le atrocità. Per molti aspetti la vicenda Petljura distrusse la base di massa del sionismo fra gli ebrei sovietici. Churchill perse la sfida: Trockij, e non Weizmann o Revuskij, aveva conquistato la fiducia delle masse ebraiche.

Lituania Il coinvolgimento dei sionisti lituani con gli antisemiti fu allo stesso modo un fallimento, benché

per fortuna in Lituania non vi furono pogrom significativi. I nazionalisti là erano in una posizione molto difficile. Non solo dovevano fronteggiare la minaccia del comunismo, ma avevano anche una disputa con la Polonia sul territorio intorno a Vilna. Essi furono spinti a lavorare coi sionisti, poiché necessitavano del sostegno della numerosa comunità ebraica di Vilna, e anche perché sovrastimavano l’influenza dei sionisti sui governi alleati, il cui assenso diplomatico era fondamentale se volevano acquisire la città. Nel dicembre 1918 tre sionisti entrarono nel governo provvisorio di Antanas Smetona e Augustinas Voldemaras. Jacob Wigodski divenne Ministro per gli affari ebraici, N. Rachmilovitch divenne Vice-ministro del commercio e Shimshon Rosenbaum fu nominato Vice-ministro degli esteri.

L’esca era ancora l’autonomia. Gli ebrei avrebbero ricevuto un’equa rappresentanza nel governo, pieni diritti per la lingua yiddish, e un Consiglio Nazionale Ebraico avrebbe avuto il diritto a un prelievo forzoso presso tutti gli ebrei per scopi religiosi e culturali. L’esenzione dalla tassa fu permessa soltanto ai convertiti. Max Soloveitchik, che fu il successore di Wigodski al ministero per gli affari ebraici, affermò con entusiamo: “La Lituania è la fonte d’ispirazione del nuovo modo di vivere ebraico”. 31

Nell’aprile 1922 il governo lituano reputò che poteva iniziare a muovere contro gli ebrei. Il Corridoio di Vilna era definitivamente perduto appannaggio della Polonia, e l’esercito polacco stanziava tra la Russia sovietica e il confine lituano. Il primo passo di Smetona fu quello di rifiutarsi di promettere l’istituto dell’autonomia nella costituzione. Soloveitchik si dimise per protesta, e andò a far parte dell’Esecutivo della WZO a Londra. I sionisti locali provarono ad affrontare il problema formando un blocco elettorale con le minoranze russa, polacca e tedesca. Questa piccola prova di forza fece rallentare il passo al governo, e Rosenbaum fu nominato Ministro per gli affari ebraici da Ernestas Galvanauskas, il nuovo Primo ministro. Nel 1923 l’assalto riprese, con il divieto di tenere discorsi parlamentari in yiddish. Nel giugno 1924 il ministro per gli affari ebraici fu abolito; a luglio le insegne in yiddish vietate; in settembre la polizia sciolse il Consiglio Nazionale, e Rosenbaum e Rachmilovitch

31 Samuel Gringauz, Jewish National Autonomy in Lithuania (1918-1925), 1952

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emigrarono in Palestina. Con il 1926, Smetona aveva istituito un regime semi-fascista che durò fino alla Seconda guerra mondiale, quando ci fu l’invasione sovietica (giugno 1940). Negli ultimi giorni Voldemaras e Galvanauskas assunsero apertamente il ruolo di agenti nazisti nella politica lituana.

L’intesa sionismo – antisemitismo

I punti essenziali della dottrina sionista sull’antisemitismo furono definiti ben prima dell’Olocausto: l’antisemitismo era inevitabile e non poteva essere contrastato; la soluzione era l’emigrazione degli indesiderati ebrei verso uno stato-ebraico-in-costruzione. L’impossibilità per il movimento sionista di acquisire la Palestina militarmente lo spinse a cercare protezioni governative, che ci si aspettava dovessero arrivare a causa dell’antisemitismo. I sionisti inoltre vedevano il marxismo rivoluzionario come un pericoloso nemico assimilazionista, il che li persuase ad allearsi contro di esso con i movimenti nazionalisti e antisemiti di destra nell’Europa Orientale.

Herzl e i suoi successori ebbero ragione. Fu un antisemita, Balfour, che permise al sionismo di introdursi in Palestina. Benchè Israele debba la sua fondazione a una rivolta armata contro l’Inghilterra, se non fosse stato per la presenza dell’esercito inglese durante i primi anni del Mandato i Palestinesi non avrebbero avuto il minimo problema a scacciare i sionisti. Ma noi siamo vittime di un gioco di prestigio. Balfour diede ai sionisti un appoggio per la Palestina, ma il Mandato britannico protesse gli ebrei dai loro nemici in Europa?

L’antisemitismo poteva essere contrastato. E non solo fu contrastato, esso fu sconfitto in Francia, Russia e Ucraina, senza alcun aiuto da parte dell’Organizzazione Mondiale Sionista. Se i popoli di questi paesi avessero seguito le indicazioni dei sionisti, l’antisemitismo non sarebbe mai stato battuto.

La politica della WZO, nei suoi aspetti essenziali, venne continuata da Chaim Weizmann, il principale dirigente dell’organizzazione durante l’epoca hitleriana. I membri della WZO che vollero ribellarsi al nazismo negli anni ’30 ebbero il loro principale nemico interno nel Presidente della stessa organizzazione. Nahum Goldmann, che a sua volta divenne presidente della WZO dopo l’Olocausto, descrisse in seguito una feroce discussione avvenuta tra Weizmann e il rabbino Stephen Wise, figura preminente del sionismo americano:

Ricordo violente discussioni tra lui e Weizmann, che era un grande dirigente nel suo campo, ma non aveva alcun interesse per il resto. Weizmann era sì interessato ad aiutare gli ebrei tedeschi durante i primi anni del nazismo, non che negasse il bisogno di combattere per i diritti degli ebrei, ma non poteva distogliere il tempo dal lavoro sionista. Stephen Wise gli diceva: ‘Ma è tutto parte del medesimo problema. Se lasci perdere la diaspora ebraica non avrai una Palestina, puoi solo dedicarti a tutto il mondo ebraico’.32

Tale era il sionismo, e tale la sua figura preminente, quando Adolf Hitler irruppe sulla scena della

storia.

32 Nahum Goldmann, A Galaxy of American Zionist Rishonim, 1964

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2. BLUT UND BODEN (SANGUE E SUOLO): LE RADICI DEL RAZZISMO SIONISTA

Fu l’antisemitismo – soltanto – che produsse il sionismo. Herzl non avrebbe potuto basare il suo movimento su qualche aspetto positivo dell’ebraismo. Benchè cercasse l’appoggio dei rabbini, personalmente egli non era devoto. Non teneva particolarmente alla Palestina, l’antica patria degli ebrei; era abbastanza propenso ad accettare le Highlands del Kenya, almeno temporaneamente. Non gli interessava la lingua ebraica; dal punto di vista linguistico vedeva lo stato ebraico come una Svizzera. Fu spinto a pensare in termini di razza, perché questa era l’idea corrente: gli antisemiti tedeschi parlavano degli ebrei come una razza. Ma presto abbandonò anche quella ideologia, e fece un paradossale ragionamento a proposito di Israel Zangwill, uno dei suoi primi simpatizzanti, per motivare il proprio ripensamento. Herzl descrisse lo scrittore ebreo inglese come segue:

del tipo negroide, naso lungo, capelli lanosi nerissimi…egli comunque mantiene un punto di vista di razza – qualcosa che io non posso accettare, se solamente confronto lui e me. Questo dico: noi siamo un’unità dal punto di vista storico, una nazione con differenze antropologiche.33

Non in sintonia con la religione, propose che un ateo, il famoso autore Max Nordau, fosse il suo

successore alla presidenza della WZO. Ancora, il discepolo fu meno liberale del maestro. Nordau era sposato con una cristiana, ed era preoccupato che sua moglie si sentisse a disagio in mezzo agli ebrei ortodossi.34 Era già sposato quando si convertì al sionismo e, nonostante la moglie “gentile”, presto diventò un ebreo razzista convinto. Il 21 dicembre 1903 rilasciò un’intervista all’accanito giornale antisemita di Eduard Drumont, La Libre Parole, in cui diceva che il sionismo non era una questione di religione, ma esclusivamente di razza, e che “Non c’è nessuno con cui io sia più in accordo che con Mr. Drumont”.35

Sebbene solo una sezione nazionale della WZO (la federazione olandese, nel 1913) avesse ipotizzato di provare a escludere formalmente gli ebrei sposati con i non ebrei, il sionismo cosmpolita morì di morte prematura, con Herzl nel 1904. La WZO come tale non dovette mai prendere posizione contro i matrimoni misti; coloro che li appoggiavano raramente si univano ai sionisti, ovviamente contrari. Il movimento nell’Europa orientale, a livello di massa, condivideva i pregiudizi di carattere religioso-popolare delle comunità ortodosse circostanti. Benchè nel passato gli ebrei avessero visto nel proselitismo e nei matrimoni coi gentili un punto di forza, la successiva pressione della Chiesa Cattolica spinse i rabbini a iniziare a vedere i convertiti come una “gatta da pelare”, e abbandonarono l’attività di proselitismo. Col passare dei secoli l’auto-segregazione divenne la caratteristica degli ebrei. Le masse ebraiche giunsero man mano a vedere il matrimonio misto come un tradimento dell’ortodossia. Sebbene in Occidente alcuni ebrei cambiassero religione e formassero sette riformatrici e altri abbandonassero il dio dei loro predecessori, il flusso fu essenzialmente di allontanamento dall’ebraismo. Pochi aderirono all’ebraismo attraverso la conversione o il matrimonio. Se il sionismo occidentale si sviluppò in un clima più secolare rispetto all’Europa orientale, il grosso dei suoi membri vedeva ancora il matrimonio misto come un allontanamento dell’ebreo dalla comunità piuttosto che un arrivo di nuova linfa ad essa.

Gli studenti universitari tedeschi, che si appropriarono del movimento sionista dopo la morte di Herzl, svilupparono l’ideologia razzista moderna della segregazione ebraica. Essi erano stati fortemente influenzati dal pangermanesimo dei loro colleghi studenti del Wandervogel (Uccello vagabondo o Spirito libero), che dominò i campus universitari prima del 1914. Questi sciovinisti rifiutavano gli ebrei in quanto privi di sangue tedesco; per cui non potevano essere parte del popolo tedesco ed erano decisamente alieni dal boden, o suolo, teutonico. Tutti gli studenti ebrei furono spinti ad aderire a queste concezioni. Pochi si volsero verso sinistra e aderirono ai socialdemocratici, per i quali la concezione wandervogel era soltanto nazionalismo borghese e come tale andava combattuta.

33 Theodor Herzl, Diari, 1895 - 1904 34 Amos Elon, Herzl, 1975 35 Desmond Stewart, Theodor Herzl, 1974

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La maggior parte rimase convenzionalmente Kaiser treu (fedeli all’imperatore), convinti nazionalisti che affermavano che mille anni sul boden tedesco li avevano fatti diventare “tedeschi di orientamento mosaico”. Ma una parte di studenti ebrei accolse pienamente l’ideologia wandervogel traducendola in termini sionisti. Essi concordavano con gli antisemiti su alcuni punti fondamentali: gli ebrei non erano parte del popolo tedesco e, naturalmente, ebrei e tedeschi non avrebbero dovuto mescolarsi sessualmente, non per ragioni religiose ma per mantenere la purezza del proprio sangue. Non essendo di sangue tedesco, gli ebrei dovevano per forza avere il loro suolo: la Palestina.

A una prima impressione potrebbe sembrare strano che gli studenti della classe media ebraica fossero così influenzati da concezioni antisemite, specialmente se nello stesso tempo il socialismo, con il suo discorso assimilazionista verso gli ebrei, stava prendendo molto piede nella società intorno a loro. Tuttavia, il socialismo attirava soprattutto i lavoratori, non i membri della classe media. Tra questi ultimi prevaleva lo sciovinismo; anche se intellettualmente respingevano l’idea di legame col popolo tedesco, di fatto essi non si emanciparono mai dalla classe capitalistica tedesca, e durante la Prima guerra mondiale i sionisti tedeschi sostennero appassionatamente il proprio governo. Al di là delle loro grandi pretese intellettuali, il loro sionismo voelkisch (populista) era semplicemente un’imitazione dell’ideologia nazionalista tedesca. Fu così che il giovane filosofo Martin Buber potè combinare il sionismo con l’ardente patriottismo tedesco durante la Prima guerra mondiale. Nel suo libro Drei Reden uber das Judentum (Tre discorsi sull’ebraismo), pubblicato nel 1911, Buber parlava di una gioventù che:

..percepisce in questa immortalità delle generazioni una fratellanza di sangue, che sente essere l’antesignana dell’Io, la sua continuità nel passato infinito. A ciò si aggiunge che la scoperta, favorita da questa percezione, che il sangue è una forza vitale profondamente radicata nell’individuo; che gli strati più profondi del nostro essere sono determinati dal sangue; che i nostri pensieri intimi e la nostra volontà ricevono il suo colore. Ora scopre che il mondo intorno a essa è il mondo delle impressioni e delle influenze, mentre il sangue è l’essenza di un corpo capace di essere impressionato e assimilato, un corpo che assorbe e assimila tutto nella sua essenza…Chiunque, di fronte alla scelta tra ambiente e essenza, sceglie l’essenza che d’ora in poi lo renderà un ebreo nel profondo, per vivere come un ebreo con tutte le contraddizioni, le tragedie, e le future promesse del suo sangue.36

Gli ebrei avevano vissuto in Europa per millenni, molto di più che, per dire, i magiari. Nessuno si

sognerebbe di riferirsi agli ungheresi come asiatici ma, per Buber, gli ebrei europei erano ancora asiatici, e presumibilmente lo sarebbero sempre stati. Si potè allontanare gli ebrei dalla Palestina, ma non si potrà mai allontanare la Palestina dall’ebreo. Nel 1916 egli scrisse che l’ebreo:

..è stato portato via dal suo paese e disperso attraverso le lande d’Occidente…ma, nonostante ciò, egli è rimasto un orientale…si può notare tutto ciò nella maggior parte degli ebrei assimilati, se si sa come accedere alla loro anima…l’immortale istinto all’unità ebraica – questo si manifesterà solo dopo il ritorno in Palestina…Una volta che verrà a contatto col proprio suolo originario, esso diverrà di nuovo forza creatrice.37

Tuttavia, il voelkisch zionism di Buber, con i suoi corollari di entusiasmo mistico, era troppo

spirituale per trovare un seguito ampio. Quello che serviva era piuttosto una versione sionista di quel darwinismo sociale che aveva animato il mondo intellettuale borghese nelle conquiste imperiali europee in Africa e Oriente. La versione sionista di questa concezione fu sviluppata dall’antropologo austriaco Ignatz Zollschan. Per lui il valore segreto del giudaismo era che esso aveva, sebbene involontariamente, lavorato per produrre una meraviglia delle meraviglie:

..una nazione di sangue puro, non contaminato dalle malattie dell’eccesso o dell’immoralità, con un senso dell’integrità familiare altamente sviluppato, e con abitudini virtuose molto radicate che avevano favorito un’eccezionale attività intellettuale. In più, la proibizione dei matrimoni misti fece sì che queste elevate caratteristiche etniche non andassero perdute, a causa della mescolanza con razze educate con meno cura…così

36 Martin Buber, Reden über das Judentum (Discorsi sull’ebraismo), ed. 1923 37 Martin Buber, ibidem

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ebbe luogo quella selezione naturale che non ha eguali nella storia della razza umana…se una razza così ben dotata avesse l’opportunità di sviluppare ulteriormente le sue qualità originarie, nulla potrebbe eguagliarla in quanto a valore culturale.38

Anche Albert Einstein aderì alle concezioni sulla razza del sionismo e così facendo ne rafforzò il

razzismo, prestandogli la propria reputazione. Il suo personale contributo alla discussione appare ben argomentato, ma è basato sulla medesima assurdità.

Le nazioni con una differenza razziale sembrano avere degli istinti che agiscono contro la loro reciproca fusione. L’assimilazione degli ebrei alle nazioni europee…non ha potuto eliminare la sensazione di mancanza di affinità tra loro e i loro vicini. In ultima analisi, il sentimento spontaneo di mancanza di affinità è riferibile alla legge di conservazione dell’energia. Per questa ragione esso non può essere eliminato da alcuna quantità di pressione, per quanto significativa.39

Buber, Zollschan e Einstein erano solo tre sionisti classici che pontificavano dottamente sulla

purezza della razza. Ma in quanto a puro fanatismo, pochi potevano battere l’americano Maurice Samuel. Scrittore ben conosciuto all’epoca – più tardi, negli anni ’40, avrebbe lavorato con Weizmann all’autobiografia di quest’ultimo – Samuel si rivolse al pubblico americano nel 1927 con il suo Io, l’ebreo. Denunciò con orrore una città che egli in realtà ammise di conoscere solo di fama – e che possiamo pensare trattarsi della colonia di artisti libertari di Taos, nel New Mexico:

..vivevano assieme, in questa piccola località, rappresentanti del negro africano, dell’americano e del mongolo cinese, del semita e dell’ariano…vigeva il matrimonio misto…Perché questa rappresentazione, in parte reale in parte fantasiosa, mi riempie di uno strano disgusto, evoca l’osceno, la bestia oscura?...Perchè quel villaggio immaginario mi fa venire in mente un mucchio di rettili orrendamente allevati in un secchio?40

“Per essere buoni sionisti bisogna essere un po’ antisemiti”

Sebbene il blut fosse un tema ricorrente nella letteratura sionista pre-Olocausto, esso non era così centrale come il tema del boden. Finchè i confini dell’America rimasero aperti, gli ebrei europei si chiedevano: se l’antisemitismo non può essere battuto nel suo luogo di origine, perché non seguire la massa in America? La risposta sionista era duplice: l’antisemitismo avrebbe accompagnato gli ebrei dovunque fossero andati e, soprattutto, erano gli ebrei che, con le loro caratteristiche, avevano prodotto l’antisemitismo. La causa profonda dell’antisemitismo, insistevano i sionisti, era la condizione di esuli degli ebrei. Gli ebrei vivevano da parassiti sulle spalle dei loro “ospiti”. Praticamente non vi erano contadini ebrei nella diaspora. Gli ebrei vivevano nelle città, non erano avvezzi al lavoro manuale o, detto più chiaramente, lo evitavano e si dedicavano alle attività intellettuali o commerciali. Nella migliore delle ipotesi, i loro proclami di patriottismo erano vacui, poiché erravano eternamente di paese in paese. E quando si immaginavano come socialisti o internazionalisti, in realtà non erano più che gli intermediari della rivoluzione, impegnati in “lotte di altri popoli”. Questo insieme di concetti era noto come shelilat ha’galut (rifiuto dell’esilio), ed era sostenuto dall’intero mondo dei sionisti, che differivano solo per i dettagli. Tali idee erano vigorosamente esposte nella stampa sionista, dove caratteristica di molti articoli era l’ostilità verso il popolo ebraico nel suo complesso. Chi li avesse letti senza conoscere la fonte avrebbe automaticamente pensato che provenissero dalla stampa antisemita. La weltanschaung dell’organizzazione giovanile Hashomer Hatzair (Giovani Sentinelle), elaborata originariamente nel 1917 ma ripubblicata di nuovo solo nel 1936, era piena di tali allusioni:

L’ebreo è la caricatura di un essere umano normale, sia fisicamente che spiritualmente. Come individuo nella società, egli si ribella e rigetta il vincolo degli obblighi sociali, non conosce l’ordine o la disciplina.41

38 Ignatz Zollschan, Jewish Questions: Three Lessons, 1914 39 In Solomon Goldman, Crisis and Decision, 1938 40 Maurice Samuel, I, the Jew, 1927 41 Hashomer Hatzair, dicembre 1936, p. 26

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Analogamente nel 1935 Ben Frommer, un americano, scrittore dell’ultra-destra sionista

revisionista, arrivò a dichiarare a proposito dei non meno di 16 milioni ebrei suoi affini:

Il fatto incontrovertibile è che gli ebrei, tutti quanti, sono insani e nevrotici. Quegli ebrei altolocati che, punti sul vivo, si indignano e negano questa verità sono i più grandi nemici della loro razza, poiché a tal proposito vanno a cercare false soluzioni, al massimo dei palliativi.42

Lo stile dell’auto-denigrazione dell’ebreo caratterizzava molta parte della letteratura sionista. Nel

1934 Yehezkel Kaufman, allora famoso in quanto professore di storia biblica all’Università Ebraica di Gerusalemme e a sua volta sionista, di fronte a un oppositore della bizzarra teoria del “rifiuto dell’esilio”, si lanciò in un’aspra controversia citando esempi ancor peggiori dalla letteratura ebraica. All’università ebraica i detrattori potevano attaccare i loro affini ebrei senza timore dell’accusa di portare acqua al mulino dell’antisemitismo. L’Hurban Hanefesh (Olocausto dell’anima) di Kaufman citava tre classici pensatori sionisti. Per Micah Yosef Berdichevsky gli ebrei erano “non una nazione, non un popolo, non umani”. Per Yosef Chaim Brenner essi non erano altro che “zingari, cagnacci, subumani, menomati, bestie”. Per A.D. Gordon il suo popolo non era composto che da “parassiti, persone fondamentalmente inutili”.43

Naturalmente Maurice Samuel dovette fare uso del suo acuto ingegno per preparare degli opuscoli contro i suoi affini ebrei. Nel 1924, nel suo scritto You, Gentiles (Voi, gentili), costruì il ritratto dell’ebreo animato da un sinistro demiurgo, in opposizione all’ordine cristiano-sociale:

Noi ebrei, i distruttori, rimarremo distruttori per sempre. NULLA di ciò che farete potrà andare incontro ai nostri bisogni e richieste. Noi saremo sempre distruttivi, perché abbiamo bisogno di un mondo nostro, un mondo divino, che voi per natura non potete costruire…quelli di noi che non riescono a capire ciò finiranno sempre per allearsi con le vostre fazioni ribelli, finchè non subentrerà la disillusione e il triste destino che ci ha sparpagliato in mezzo a voi non cesserà di accanirsi nei nostri confronti.44

Il sionismo laburista produsse la sua propria versione dell’ebreo che denigra se stesso. A

dispetto del suo nome e delle sue pretese, il sionismo laburista non fu mai in grado di affermarsi presso alcun settore consistente della classe lavoratrice ebraica, in tutti i paesi della diaspora. I suoi membri avevano una tesi auto-assolutoria: affermavano che i lavoratori ebrei erano in settori industriali “marginali”, ad esempio quello tessile, che non erano fondamentali per l’economia del paese “ospitante”, e di conseguenza i lavoratori ebrei avrebbero sempre avuto un ruolo secondario nel movimento operaio del paese di appartenenza. I lavoratori ebrei, si diceva, avrebbero potuto condurre una “genuina” lotta di classe soltanto nel proprio paese. Ovviamente gli ebrei poveri mostravano poco interesse verso un movimento cosiddetto operaio che non diceva loro di combattere per migliori condizioni nel tempo presente, ma piuttosto di preoccuparsi della lontana Palestina. Paradossalmente, la principale presa del sionismo laburista fu nei confronti di quei giovani ebrei della classe media che cercavano di rompere con le loro origini di classe, ma non erano pronti ad avvicinarsi ai lavoratori del paese in cui abitavano. Il sionismo laburista divenne una sorta di setta contro-culturale, che criticava i marxisti ebrei per il loro internazionalismo e la classe media ebraica per il suo parassitismo nei confronti delle nazioni “ospitanti”. Di fatto essi tradussero in yiddish l’antisemitismo tradizionale: gli ebrei erano nei paesi sbagliati, facevano i lavori sbagliati, e avevano i politici sbagliati. Fu l’Olocausto a riportare alla ragione questi Geremia (profeti di sventura, n.d.t.). Solo allora si resero conto dell’analogia tra i loro messaggi e la propaganda antisemita dei nazisti. Nel marzo del 1942 Chaim Greenberg, allora editore del organo sionista laburista di New York, il Jewish Frontier, ammise con rammarico che, infatti, vi era stato:

..un tempo in cui era consuetudine tra gli oratori sionisti (compreso il sottoscritto) dichiarare dal palco: “Per essere buoni sionisti bisogna essere un po’ antisemiti”. Attualmente i circoli sionisti laburisti sono attraversati dall’idea che il Ritorno a Sion debba comportare un processo di purificazione dalla nostra impurità economica. Chiunque non si

42 Jewish Call, maggio 1935, p. 10 43 Yehezkel Kaufman, Hurban Hanefesh: a Discussion of Zionism and Anti-Semitism, 1930 44 Maurice Samuel, You, Gentiles, 1924

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dedichi alla cosiddetta attività manuale “produttiva” è ritenuto un peccatore, contro Israele e contro l’umanità.45

“Acqua al mulino della propaganda nazista”

Se, senza ulteriori spiegazioni, si dicesse a qualcuno che i primi sionisti erano razzisti, questi

automaticamente penserebbe che ciò sia parte del contenuto colonialista del sionismo in Palestina. In realtà non è così; il sionismo di sangue si sarebbe sviluppato anche se la Palestina fosse stata completamente vuota. L’entusiasmo per il blut und boden era parte del sionismo prima che i primi sionisti moderni lasciassero l’Europa.

Il sionismo della razza era una curiosa propaggine dell’antisemitismo razzista. Di certo, dicevano i sionisti, gli ebrei erano una razza pura, certamente più pura, ad esempio, dei tedeschi che, come anche il pangermanesimo ammetteva, avevano un’abbondante aggiunta di sangue slavo. Ma per questi sionisti, neppure la purezza razziale poteva rimediare al solo difetto nell’esistenza ebraica: la mancanza di un proprio boden ebraico. Se i razzisti teutonici si vedevano come ubermenschen (superuomini), i razzisti ebrei non potevano fare altrettanto; anzi, piuttosto il contrario. Essi credevano che mancando di un proprio boden, gli ebrei fossero untermenschen e quindi, per i loro “ospiti”, poco più che sanguisughe: la peste mondiale.

Se si crede nella validità delle differenziazioni razziali, è difficile obiettare alle concezioni razziste di chiunque. Se poi si pensa che sia impossibile per qualunque popolo vivere bene se non nella propria patria, allora è impossibile impedire ad alcuno di escludere gli “stranieri” dal suo territorio. In realtà il sionista medio non pensò mai di lasciare la civile Europa per la selvaggia Palestina. E’ certo che il blut und boden sionista fornì un’eccellente scusa per non combattere l’antisemitismo sul suo terreno. La colpa non era degli antisemiti, bensì della stessa sfortunata condizione di esilio degli ebrei. I sionisti potevano amaramente sostenere che la perdita della Palestina era la causa profonda dell’antisemitismo, e la riconquista della Palestina era l’unica soluzione della questione ebraica. Ogni altra cosa poteva soltanto essere palliativa o inutile.

Walter Laqueur, il decano degli storici sionisti, si è chiesto nel suo libro Storia del sionismo se l’insistenza dei sionisti sull’ineluttabilità dell’antisemitismo non fosse “acqua al mulino della propaganda nazista”.46 Certamente lo fu. Alla domanda di Laqueur si può rispondere con un’altra domanda: è così difficile comprendere come l’ingenuo lettore di un quotidiano nazista potesse concludere che quello che i nazisti sostenevano, e con cui i sionisti concordavano, fosse corretto?

Ma c’è di peggio: ogni movimento ebraico convinto dell’ineluttabilità dell’antisemitismo, come per natura sarebbe finito per scendere a patti coi nazisti, quando fossero giunti al potere.

45 Jewish Frontier, marzo 1942 46 Walter Laqueur, A History of Zionism, 1972

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3. IL SIONISMO TEDESCO E IL COLLASSO DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR

L’ebraismo tedesco era profondamente leale nei confronti della Repubblica di Weimar, che aveva posto fine alle discriminazioni dell’era guglielmina. Gli ebrei tedeschi (lo 0,9% della popolazione) erano in genere benestanti. Il sessanta per cento erano uomini d’affari o professionisti, gli altri artigiani, impiegati, studenti, con un insignificante numero di lavoratori dell’industria. La maggior parte erano per un capitalismo liberale, con il 64% che votava per il Deutsche Demokratische Partei (DDP). Circa il 28% votava per il moderato Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD). Solo il 4% votava per il Kommunistische Partei Deutschlands (KPD), e i restanti erano sparsi tra gruppi di destra. Weimar sembrava al sicuro agli occhi di tutti, quando i voti nazisti scesero dal 6,5% del 1924 a un misero 2,6% nel 1928. Nessuno immaginava che l’orrore fosse alle porte.

Fino alla fine degli anni ’20 Hitler aveva perso tempo provando a reclutare la classe operaia nelle file del Partito Nazional Socialista Operaio Tedesco, ma pochi erano interessati: Hitler era stato per la guerra, ed essi si erano rivoltati contro di essa; Hitler era contro gli scioperi, ed essi erano buoni sindacalisti. Quando la Depressione alla fine gli portò una massa di seguaci furono i contadini, e non gli operai, che aderirono al suo movimento. Weimar non aveva cambiato nulla per i contadini; il 27% coltivava ancora meno di un ettaro, un altro 26% meno di cinque ettari. In debito con le banche già prima della crisi, questi cristiani rurali erano facilmente propensi a prendersela con gli ebrei che, per secoli, avevano identificato come prestatori a pegno e usurai. La classe dei professionisti di fede cristiana, già avvezza al populismo di bassa lega all’università, e i piccoli negozianti, che pativano la superiore concorrenza dei grossi magazzini di proprietà ebraica, furono i successivi a rompere con la coalizione che aveva sostenuto Weimar sin dalla sua nascita, e a unirsi ai nazisti. Dal 2,6% nel 1928 i voti nazisti balzarono al 18,3% nelle elezioni del 14 settembre 1930.

Gli ebrei osservanti si rivolsero alla loro tradizionale organizzazione di difesa, il ZentralVerein (ZV), l’Associazione Nazionale dei Cittadini Tedeschi di Fede Ebraica; per la prima volta i gestori di magazzini, che erano divenuti oggetto preferito delle attenzioni delle camicie brune, iniziarono a contribuire agli sforzi del ZV. La vecchia leadership del ZV non era in grado di comprendere il collasso del capitalismo. Essi furono sbalorditi quando il loro partito, la DDP, fece un improvviso voltafaccia e si mutò nel moderatamente antisemita Staatspartei. Tuttavia, giovani membri del ZV misero in minoranza la vecchia leadership e riuscirono a far si che il ZV usasse i proventi dei magazzini per sostenere la propaganda anti-nazista dell’SDP. Dopo il tradimento della DDP, l’SPD raccolse circa il 60% del voto ebraico. Solo l’8% andò ai comunisti, ed essi non beneficiarono di alcuna elargizione dal ZV in base all’argomento che erano anticlericali; il vero motivo era che essi erano anche contrari agli intrallazzi finanziari del ZV.

Ogni associazione ebraica vide l’ascesa di Hitler attraverso il proprio particolare punto di vista. I giovani funzionari del ZV vedevano che la base dei lavoratori dell’SPD rimanevano fedeli al partito e che gli ebrei continuavano a esservi inseriti in ogni livello. Quello che non capivano era che l’SPD non era in grado di sconfiggere Hitler. Prima della Prima guerra mondiale l’SPD era stata il più grande partito socialista del mondo, l’orgoglio dell’Internazionale. Ma non era altro che una forza riformista, e all’epoca della Repubblica di Weimar non riuscì a imporre i principi basilari del socialismo grazie ai quali la classe lavoratrice tedesca avrebbe potuto resistere ai nazisti. L’inizio della Depressione vide come Cancelliere proprio il socialdemocratico Hermann Muller. Ma presto l’ala destra della coalizione di governo decise che i lavoratori dovevano sopportare il peso della crisi, e sostituirono Muller con Heinrich Bruning del cattolico Zentrumpartei. L’ “Hunger Chancellor” (Cancelliere affamato) aumentò le tasse ai fortunati che avevano un lavoro, per pagare i sempre più esigui sussidi per i milioni di nuovi disoccupati. I leader dell’SPD sapevano che questo era un suicidio ma tollerarono Bruning, temendo che egli avrebbe portato Hitler nella propria coalizione se loro se ne fossero distaccati. Dunque non si opposero ai tagli. Bruning non aveva nulla da offrire a una classe media disperata, e questa indossò la camicia bruna. I militanti dell’SPD, ebrei e non ebrei, rimasero passivi a guardare la sconfitta del loro partito.

Anche il comunista KPD si rovinò da solo. Il bolscevismo di Lenin era degenerato nell’ultrasinistrismo del “Terzo Periodo” di Stalin, e la Spartakusbund di Rosa Luxemburg nella Rote

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Front di Ernst Thaelmann. Per questi settari chiunque altro era un fascista. I socialdemocratici ora erano socialfascisti, e non era possibile alcun legame con loro.

Nel 1930 i due partiti operai (SPD e KPD) sommati sorpassarono Hitler con il 37,6% dei voti contro il 18,3%. Egli avrebbe potuto essere fermato; fu la mancanza di un’unione per un programma di opposizione attiva alla camicie brune e contro i furiosi assalti del governo alle condizioni di vita dei lavoratori, che permise a Hitler di giungere al potere. Dalla Seconda guerra mondiale in poi gli storici occidentali hanno parlato di “tradimento” del KPD nei confronti dell’SPD a causa del fanatismo di Stalin. Nel campo stalinista i ruoli sono invertiti: si rimprovera all’SPD di aver sostenuto l’infido Bruning. Ma entrambi i partiti devono condividere la responsabilità del disastro.

“E’ giusto, quindi, che essi combattano contro di noi”

Se SPD e KPD hanno sulla coscienza la grossa colpa del trionfo di Hitler, altrettanto vale per la Zionistische Vereinigung fur Deutschland (ZVD, la Federazione Sionista Tedesca). Benchè il senso comune abbia sempre creduto che i sionisti, con la loro ipersensibilità verso l’antisemitismo, avessero avvertito gli ebrei della minaccia nazista, ciò in realtà non è vero. Nel 1969 Joachim Prinz, l’ex presidente dell’American Jewish Congress – in giovinezza un invasato rabbino sionista a Berlino – ancora insisteva nell’asserire che:

Fin dall’assassinio di Walter Rathenau nel 1922, non ci fu dubbio ai nostri occhi che lo sviluppo della Germania sarebbe stato nel senso di un regime totalitario e antisemita. Quando Hitler cominciò a guadagnare consensi, e risvegliò nella nazione tedesca il sentimento di superiorità razziale, non avemmo dubbi che quest’uomo prima o poi sarebbe divenuto la guida della nazione tedesca.47

Eppure un’attenta ricerca tra le pagine della Judische Rundschau, il settimanale della ZVD, non

riporterà queste previsoni. Quando un ebreo fu ucciso e diverse centinaia di negozi ebraici saccheggiati in una “rivolta della fame” a Berlino nel novembre 1923, Kurt Blumenfeld, il segretario (poi presidente) della ZVD, minimizzò consapevolmente l’accaduto:

Ci potrebbe essere un tipo di reazione molto istintivo e concreto, e noi…siamo contrari. Si potrebbe procurare profonda ansietà tra gli ebrei tedeschi. Si potrebbe sfruttare il clima per arruolare gli indecisi. Si potrebbe presentare la Palestina e il sionismo come rifugio per chi è senza patria. Noi non intendiamo fare ciò. Non intendiamo attraverso la demagogia scuotere dall’indifferenza coloro che sono al di fuori delle questioni che riguardano gli ebrei. Ma vogliamo trasmettere loro la chiara comprensione della contraddizione di fondo dell’esistenza galuth (errante) degli ebrei. Noi auspichiamo di risvegliare la loro coscienza nazionale. Intendiamo…attraverso un paziente e serio lavoro di educazione, indurre costoro a partecipare alla costruzione della Palestina.48

Lo storico Stephen Poppel, di certo non un nemico della ZVD, afferma perentoriamente nel suo

libro, Il sionismo in Germania 1897 – 1933, che dopo i fatti del 1923 la Rundschau “non iniziò a riportare notizie dettagliate su agitazioni e violenze contro gli ebrei prima del 1931”. Ben lungi dall’avvisare o difendere gli ebrei, i dirigenti sionisti scoraggiarono l’attività antinazista.

Erano stati in massima parte i sionisti tedeschi a elaborare l’ideologia della WZO prima del 1914, e negli anni ’20 la condussero ad una logica conclusione: il giudaismo nella diaspora non aveva speranza. Non c’era nessuna difesa possibile dall’antisemitismo e non aveva senso provare a sviluppare una cultura ebraica e istituzioni comunitarie in Germania. La ZVD si estraniò dalla società in cui viveva. Furono portati avanti solo due obiettivi: instillare una coscienza nazionale nel maggior numero possibile di ebrei, e istruire i giovani in attività utili allo sviluppo economico della Palestina. Ogni altra cosa era inutile e palliativa.

Nel 1925 il più agguerrito alfiere del disimpegno totale, Jacob Klatzkin, co-editore della monumentale Encyclopedia Judaica, espresse le implicazioni definitive dell’approccio sionista all’antisemitismo:

47 AA.VV., Gegenwart im Ruckblick, 1970 48 Stephen Poppel, Zionism in Germany 1897 – 1933, 1977

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Se noi non ammettiamo la correttezza dell’antisemitismo, neghiamo la correttezza del

nostro nazionalismo. Se il nostro popolo è degno e disposto a vivere la sua propria vita nazionale, allora esso è un corpo estraneo nelle nazioni in cui vive, un corpo estraneo che rivendica la propria identità, riducendo il loro spazio vitale. E’ giusto, quindi, che essi combattano contro di noi per la loro integrità nazionale…Invece di istituire organismi di difesa contro gli antisemiti, che vogliono ridurre i nostri diritti, dovremmo istituire organismi per difenderci dai nostri amici che vogliono tutelare i nostri diritti.49

Il sionismo tedesco si distingueva nella WZO perché i suoi dirigenti erano contrari a prendere

parte alla vita politica locale. Per Blumenfeld la grenzuberschreitung (oltrepassare i limiti) era peccato mortale. Blumenfeld accettava completamente l’assunto antisemita per cui la Germania apparteneva alla razza ariana e per un ebreo svolgere un ufficio nel paese natale non era nulla più che un’intrusione negli affari un altro volk. In teoria la ZVD sosteneva che ogni singolo proprio membro avrebbe dovuto emigrare in Palestina, ma ovviamente questo era completamente irrealistico. Circa 2000 coloni si trasferirono dalla Germania in Palestina tra il 1897 e il 1933, ma molti di costoro erano russi bloccati là dopo la rivoluzione. Nel 1930 la ZVD aveva 9059 membri sottoscrittori, ma i contributi erano di cifre simboliche e per nulla segno di profondo coinvolgimento. Nonostante la buona volontà di Blumenfeld, il sionismo non era un elemento importante nella Repubblica di Weimar.

Quando i segnali premonitori dell’ascesa nazista apparvero nel giugno 1930 alle elezioni in Sassonia, dove ottennero il 14% dei voti, la comunità ebraica di Berlino fece pressione sulla ZVD affinchè entrasse in un Comitato per le Elezioni Parlamentari insieme al ZV e altri assimilazionisti. Ma l’adesione della ZVD fu soltanto formale; come gli assimilazionisti constatarono, i sionisti vi dedicarono ben poco tempo e denaro, e il comitato si sciolse subito dopo le elezioni. Un articolo sulla Rundschau di Siegfried Moses, poi successore di Blumenfeld a capo della federazione, dimostrava l’indifferenza dei sionisti verso la costruzione di una difesa efficace:

Noi abbiamo sempre creduto che la difesa contro l’antisemitismo fosse un obiettivo riguardante tutti gli ebrei, e abbiamo chiaramente stabilito i metodi che approviamo e quelli che consideriamo irrilevanti o inefficaci. Ma è vero che la difesa contro l’antisemitismo non è il nostro principale obiettivo, non ci riguarda allo stesso grado e non è della stessa importanza per noi rispetto alla lavoro per la Palestina e, in un certo senso diverso, al lavoro delle comunità ebraiche.50

Anche dopo le elezioni del settembre 1930 i sionisti ebbero da ridire contro l’idea di creare un

fronte attivo contro i nazisti. A.W. Rom sulla Rundschau insistette che ogni difesa sarebbe stata soltanto una perdita di tempo. Per lui “L’insegnamento più importante ricevuto da queste elezioni è che è molto più importante consolidare la comunità ebraica in Germania al suo interno che condurre…un lotta all’esterno”.51

I dirigenti della ZVD non si unirono mai di fatto con gli assimilazionisti in un lavoro di difesa. Essi erano astensionisti totali in politica, ed erano populisti; non credevano nel fondamentale assunto del ZV, ovvero che gli ebrei fossero tedeschi. La loro preoccupazione era che gli ebrei enfatizzassero il loro essere tali. Essi ritenevano che se gli ebrei avessero iniziato a considerare se stessi una distinta minoranza nazionale, smettendo di interferire negli affari “ariani”, sarebbe stato possibile indurre gli antisemiti a tollerare la loro esistenza sulla base di una coesistenza “riconosciuta”. Gli assimilazionisti non la pensavano affatto così; per loro la posizione sionista era solo un’eco di quella nazista. Non c’è dubbio che gli assimilazionisti fossero nel giusto. Ma anche se i sionisti avessero convinto ogni ebreo a sostenere la loro linea, questo non li avrebbe aiutati. A Hitler non importava quello che gli ebrei pensavano di se stessi; egli li voleva lontano dalla Germania e, preferibilmente, morti. La soluzione sionista non era una soluzione. Non c’era nulla che gli ebrei avrebbero potuto fare per ammorbidire l’antisemitismo. Solo la difesa dal nazismo avrebbe potuto aiutare gli ebrei, e ciò sarebbe accaduto solo se si fossero uniti alla classe operaia antifascista intorno a un programma di resistenza attiva. Ma questo per i dirigenti della ZVD era un anatema, tanto che nel 1932, quando Hitler guadagnava

49 Jacob Agus, The Meaning of Jewish History, 2 voll., 1963 50 In Margaret Edelheim-Muehsam, Reaction of the Jewish Press to the Nazi Challenge, 1960 51 ibidem

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sempre più consensi giorno dopo giorno, essi decisero di organizzare dei meeting anticomunisti per ammonire la gioventù ebraica contro l’”assimilazione rossa”52.

I sionisti di minoranza

Mentre Hitler saliva al potere, le minoranze all’interno della ZVD ignorarono sempre più le strette di Blumenfeld contro l’azione politica e o lavorarono con il ZV o si rivolsero verso altre forze politiche per tutelarsi. Georg Kareski, un banchiere, era da tempo in disaccordo con Blumenfeld a proposito dell’indifferenza di fondo del presidente della ZVD per gli affari politici interni alla comunità ebraica, e nel 1919 aveva costituito un Judische Volkspartei (Partito del Popolo Ebraico) per le elezioni della comunità ebraica berlinese, con un programma che prevedeva maggiore sostegno all’insegnamento dell’ebraico. Nel 1930 Kareski sbarcò nell’arena politica nazionale tedesca come candidato al Reichstag nel centro cattolico (non fu eletto) e una “Organizzazione degli Elettori Ebrei del Partito di Centro” venne istituita dai suoi collaboratori. La faccenda suscitò l’ironia di un burlone socialdemocratico:

La borghesia ebraica senza casa ha in gran parte trovato rifugio presso il Partito di Centro – Cristo e il primo Papa erano ebrei, dunque perché no? Poveri individui che distorcono le loro idee e obiettivi per la paura dell’ “espropriazione socialista”! Ciò che Hitler è per i cristiani, il Partito di Centro è per gli ebrei.53

La Kulturkampf (battaglia culturale) di Bismarck contro la Chiesa Cattolica aveva reso la

gerarchia cattolica tedesca molto contraria all’antisemitismo; temevano che esso avrebbe aperto la strada a ulteriori attacchi nei confronti della minoranza cattolica. Inoltre i singoli vescovi, memori che Gesù era ebreo e che quindi l’antisemitismo razzista era incompatibile col cristianesimo, avevano sempre respinto il legame con i nazisti. Ma c’erano sempre stati degli antisemiti tra i dirigenti del Partito di Centro, e dopo i Patti Lateranensi del 1929 con Mussolini vi fu una crescente pressione dal Vaticano per un’intesa tra centristi e nazisti, in nome della lotta contro il comunismo. Tuttavia, Kareski non vide la direzione in cui gli interessi di classe stavano conducendo l’alta borghesia cattolica, e si sbagliò completamente sul conto di Franz von Papen, il centrista che prese il posto di Bruning come Cancelliere. Kareski rassicurò i suoi ricchi amici ebrei che “il governo Papen ha iscritto la protezione degli ebrei sulla propria bandiera”54. In realtà von Papen era sempre stato un antisemita e alla fine, quando ebbe perduta la leadership del governo, fu parte della congrega che convinse il presidente Hindenburg a mettere Hitler al potere.

Per quanto riguarda la sinistra sionista, il ramo tedesco di Poale Zion seguì l’incompetente leadership dell’SPD. Prima del 1914 l’SPD aveva rifiutato di associarsi al sionismo, che vedeva come fattore di divisione degli ebrei dagli altri lavoratori, e solo quegli appartenenti all’estrema destra dell’SPD che sostennero l’imperialismo tedesco in Africa sostennero anche i sionisti laburisti, che vedevano come coloni socialisti. L’Internazionale Socialista stabilì relazioni amichevoli con Poale Zion solo durante e dopo la guerra, quando le forze della sinistra anti-colonialista si unirono nell’Internazionale Comunista. I sionisti laburisti si unirono all’SPD con un obiettivo primario: ottenere sostegno per il sionismo. Finchè i leader dell’SPD si espressero con buone parole verso i sionisti, essi fecero altrettanto. Dal 1931 i leader sionisti laburisti in Palestina cominciarono a intravedere la vittoria di Hitler, ma non avevano suggerimenti alternativi per l’SPD, e non c’è traccia di leader di Poale Zion in Palestina che abbiano mai dibattuto con i loro ex compagni della leadership SPD.

“I tedeschi di fede mosaica sono un fenomeno indesiderabile e demoralizzante”

L’idea di fondo dei sionisti verso i nazisti era che non si potesse far nulla per fermarli, ma essi si sentirono comunque in dovere di fare qualcosa. L’Encyclopedia of Zionism and Israel ci dice molto

52 Donald Niewyk, The Jews in Weimar Germany, 1980 53 Donald Niewyk, Socialist, Anti-Semite and Jew, 1971 54 Leonard Baker, Days of Sorrow and Pain, 1978

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vagamente che i sionisti tedeschi provarono a persuadere il Cancelliere Bruning a rilasciare una forte dichiarazione di condanna dell’antisemitismo nazista, “mettendo in rilievo l’influenza dei nazisti sui governi di varie nazioni”. Bruning non rispose mai, “né i sionisti ebbero successo nei loro sforzi di ottenere il sostegno del governo all’emigrazione in Palestina, come via d’uscita costruttiva dalla difficile situazione interna”55.

Qualunque dichiarazione di questo tipo da parte di Bruning sarebbe stata senza senso, a meno che egli si stesse preparando a rovesciare i nazisti. Un annuncio che il governo stesse aiutando gli ebrei a partire avrebbe avuto un effetto controproducente in quanto avrebbe incoraggiato i nazisti, nella certezza che il governo stava diminuendo la difesa dei diritti degli ebrei. Comunque, Bruning non fece nulla poiché la vantata influenza sui “governi di varie nazioni”, in particolare quello inglese, era una millanteria dei sionisti.

Weizmann, il celebre scienziato e presidente della WZO, che era ben inserito a Londra, non fece pressoché nulla per gli ebrei tedeschi. Non gli erano mai piaciuti, e non aveva simpatia per i loro sforzi di difendersi dall’antisemitismo. Già il 18 marzo 1912 aveva avuto la sfacciataggine di affermare di fronte a un uditorio berlinese che “Ogni paese può assorbire solo un limitato numero di ebrei, se non vuole avere guai allo stomaco. La Germania ne ha già troppi.”56 Nei suoi dialoghi con Balfour, nel 1914, egli andò oltre, dicendogli che “anche noi concordiamo con l’antisemitismo culturale, nel senso che crediamo che i tedeschi di fede mosaica siano un fenomeno indesiderabile e demoralizzante”.57 Si recò in Germania diverse volte durante gli ultimi anni di Weimar. I suoi amici colà gli dissero che non volevano che gli ebrei di altri paesi si schierassero dalla loro parte. Piuttosto, egli avrebbe dovuto far sapere ai conservatori britannici che, portando avanti azioni antisemite, Hitler avrebbe squalificato se stesso. Weizmann si rivolse al conservatore Robert Boothby, il quale gli disse molto francamente che la maggior parte dei Tories vedevano Hitler come colui che salvava la Germania dal comunismo, ed erano ben poco preoccupati del suo antisemitismo.58 Dal gennaio del 1932 Weizmann si convinse che c’era da attendersi l’emigrazione di alcuni degli ebrei tedeschi. Benchè avesse perso il sostegno del Congresso Sionista Mondiale nel 1931, non fosse più presidente dell’organizzazione e quindi fosse relativamente libero da impegni, non fece più nulla per mobilitare il mondo ebraico contro Hitler.

Nella stessa Germania la ZVD non provò mai a far scendere in strada gli ebrei, ma la Rundschau ebbe l’ardire di minacciare che gli ebrei si sarebbero mobilitati…a New York. In realtà, non una manifestazione contro Hitler fu organizzata in America prima che egli fosse salito al potere. Rabbi Wise, leader dell’American Jewish Congress, si unì agli assimilazionisti dell’American Jewish Committee per domandare ai dirigenti dell’ebraismo tedesco come potevano aiutarli. La borghesia ebraica tedesca li ringraziò caldamente della premura e assicurò che li avrebbe contattati se le cose fossero peggiorate. Wise voleva tentare di chiedere un pronunciamento al presidente Hoover ma anche quel passo era troppo radicale per l’American Jewish Committee, e l’idea fu abbandonata. Wise e Nahum Goldmann organizzarono una Conferenza Mondiale Ebraica a Ginevra nell’estate 1932, ma Goldmann, estremamente rigido, non era disposto a lavorare con gli assimilazionisti.59 Il sionismo all’epoca era un movimento di minoranza nel panorama ebraico; la conferenza fu poco più che un atto di preghiera ai convertiti, e solo a una minoranza di convertiti, visto che nè Weizmann nè Nahum Sokolow, che gli era succeduto alla presidenza della WZO, erano presenti. Nulla uscì dal meeting, e nè Wise nè Goldmann valutarono adeguatamente la gravità della situazione. Goldmann, che aveva sempre creduto nell’influenza dei “poteri forti”, disse al convegno della ZVD del 1932 che l’Inghilterra, e la Francia, e la Russia, non avrebbero mai lasciato che Hitler prendesse il potere.60 Stephen Wise si ritirò in quel mondo illusorio in cui le cose non sono “lo spauracchio che immaginiamo”. All’arrivo di Hitler al potere, secondo lui l’unico vero pericolo era che Hitler fallisse nel mantenere le altre sue promesse. Allora “forse alla fine avrebbe deciso di arrendersi ai suoi compari nazisti sulla questione dell’antisemitismo”.61

55 AA. VV., Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971 56 In Benjamin Matuvo, The Zionist Wish and the Nazi Deed, 1966 57 Chaim Weizmann, Lettera a Ahad Ha’am (1914), in The Letters and Papers of Chaim Weizmann 58 Shlomo Shafir, American Jewish Leaders and the Emerging Nazi Threat (1928–January 1933), 1979 59 ibidem 60 Walter Laqueur, A History of Zionism, 1972 61 Shlomo Shafir, American Jewish Leaders and the Emerging Nazi Threat (1928–January 1933), 1979

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“Il liberalismo è il nemico; esso è anche il nemico del nazismo”

Poiché i sionisti tedeschi concordavano con due fondamentali elementi dell’ideologia nazista (ovvero che gli ebrei non sarebbero mai stati parte del volk tedesco e, inoltre, che non appartenevano al soil tedesco), era inevitabile che alcuni sionisti credessero che un’intesa fosse possibile. Se Wise poteva auto illudersi che Hitler fosse un moderato nel novero dei nazisti, perché altri non potevano raccontarsi la favola che vi fossero membri del NSDAP che potevano contenere Hitler? Stephen Poppel ha accennato a questo dibattito in seno alla ZVD:

Alcuni sionisti pensavano che vi fossero elementi rispettabili e moderati nel movimento nazista che avrebbero forse potuto contenerlo dall’interno…Questi elementi potevano servire come partner per negoziati per raggiungere una sorta di intesa tra ebrei e tedeschi. C’era una netta divisione in merito a questa possibilità, con per esempio Weltsch (l’editore della Rundschau) che vi credeva e Blumenfeld che vi si opponeva duramente.62

E Robert Weltsch non era solo. Gustav Krojanker, un editore della Judischer Verlag, la più

vecchia casa editrice sionista d’Europa, vedeva le radici comuni dei due movimenti nell’irredentismo di popolo, e giungeva alla conclusione che i sionisti dovevano guardare positivamente agli aspetti nazionalisti del nazismo. Un approccio positivo verso i loro omologhi populisti, argomentava ingenuamente, avrebbe forse potuto portare a un atteggiamento benevolente verso il sionismo da parte dei nazisti.63 Secondo il punto di vista di Krojanker e di molti altri sionisti, il tempo della democrazia era finito. Harry Sacher, inglese, uno dei leader della WZO in quel periodo, spiegò le teorie di Krojanker su una pubblicazione di quest’ultimo, nell’articolo intitolato Zum Problem des Deutsches Nazionalismus (Sul problema del nazionalismo tedesco):

Per i sionisti, il liberalismo è il nemico; esso è anche nemico del nazismo; ergo, il sionismo dovrebbe avere molta più simpatia e comprensione per il nazismo, del quale l’antisemitismo è probabilmente un accidente temporaneo.64

Nessun sionista voleva che Hitler giungesse al potere, nessun sionista votò per lui e né Weltsch

né Krojanker collaborarono con i nazisti prima del 30 gennaio 1933. La collaborazione si sviluppò soltanto dopo. Ma tutto ciò fu il risultato logico di decenni di giustificazioni sioniste dell’antisemitismo, e di mancanza di opposizione ad esso. Non si può argomentare in loro difesa che i leader sionisti non sapessero cosa sarebbe accaduto dopo l’avvento al potere di Hitler. Egli aveva parlato a sufficienza per garantire che, al minimo, gli ebrei sarebbero stati relegati al grado di cittadini di seconda classe. In più, sapevano che Hitler era un ammiratore di Mussolini e che dieci anni di fascismo in Italia avevano significato terrore, torture e dittatura. Ma nella loro ostilità al liberalismo e al suo impegno per l’assimilazione ebraica, e opponendosi al fatto che gli ebrei utilizzassero i loro pieni diritti democratici nel sistema parlamentare, l’analogia tra fascismo e nazismo non turbò mai i leader della ZVD. Non venne mai in mente a questi settari di avere il dovere di mobilitarsi in difesa della democrazia. Essi ignorarono completamente le gravi implicazioni di un altro regime fascista, questa volta con posizioni antisemite dichiarate, nel cuore dell’Europa.

Dante ha messo i falsi indovini a camminare all’indietro, col volto dalla parte della nuca, mentre il pianto scende dai loro occhi. Per sempre.65 Così sia per tutti coloro che non capirono Hitler!

62 Stephen Poppel, Zionism in Germany 1897 – 1933, 1977 63 Herbert Strauss, Jewish Reaction to the Rise of Antisemitism in Germany, 1969 64 Jewish Review, settembre 1932 65 Nel XX canto dell’Inferno.

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4. SIONISMO E FASCISMO ITALIANO, 1922 – 1933

L’atteggiamento dell’Organizzazione Sionista Mondiale verso il fascismo italiano fu determinato

da un unico criterio: la posizione dell’Italia nei confronti del sionismo. Quando Mussolini fu ostile, Weizmann lo criticò; ma quando divenne filo-sionista, la dirigenza sionista lo appoggiò entusiasticamente. Quando Hitler giunse al potere, i sionisti erano già amici del leader fascista.

Quando era rivoluzionario, Mussolini aveva sempre lavorato con gli ebrei nel Partito Socialista Italiano, e ancor prima di abbandonare la sinistra iniziò a riecheggiare le idee antisemite diffuse nella destra nordeuropea. Quattro giorni dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, egli annunciò che la loro vittoria era il risultato di un complotto tra la “Sinagoga” (ovvero Ceorbaum – Lenin e Bronstein – Trockij) e l’esercito tedesco.66 Nel 1919 egli così spiegò il comunismo: i banchieri ebrei (Rothschild, Wamberg, Schiff e Guggenheim) stavano dietro agli ebrei comunisti.67 Ma Mussolini non era così antisemita da escludere gli ebrei dal suo nuovo partito, tanto che ve ne furono cinque tra i fondatori del movimento fascista. E l’antisemitismo non era importante nella sua ideologia; esso non era ben visto dai suoi seguaci.

L’antisemitismo in Italia era sempre stato visto come connesso all’oscurantismo cattolico. Era la Chiesa che aveva sempre spinto gli ebrei nei ghetti, e i nazionalisti italiani avevano sempre sostenuto gli ebrei contro i papi, che per loro erano gli avversari dell’unità italiana. Nel 1848 le mura del ghetto di Roma vennero abbattute dalla rivoluzionaria Repubblica Romana. Con la sua caduta il ghetto fu ricostituito, ma la vittoria finale del nazionalista Regno d’Italia nel 1870 pose fine alla discriminazione contro gli ebrei. La Chiesa attaccò gli ebrei per la vittoria nazionalista, e l’organo ufficiale gesuita, Civiltà Cattolica, continuò a sostenere che la sconfitta era dovuta a “complotti con gli ebrei orditi da Mazzini, Garibaldi, Cavour, Farini e Depretis”.68 Ma questa invettiva clericale contro gli eroi del risorgimento italiano semplicemente mise in cattiva luce l’antisemitismo, particolarmente tra i giovani anticlericali della piccola borghesia nazionalista. Dal momento che l’essenza del fascismo era la mobilitazione della classe media contro il marxismo, Mussolini ascoltò attentamente le obiezioni dei suoi seguaci: che senso aveva denunciare il comunismo come una cospirazione ebraica se proprio gli ebrei erano ben visti?

“I veri ebrei non sono mai stati contro di voi”

Come molti altri, Mussolini inizialmente abbinò l’antisemitismo al filosionismo, e il suo giornale Il Popolo d’Italia continuò a sostenere il sionismo fino al 1919, quando giunse alla conclusione che tale movimento fosse solo un fantoccio nelle mani degli inglesi, e cominciò a riferirsi ai suoi esponenti nella penisola come ai “cosiddetti italiani”.69 Tutti i politici italiani condividevano questo sospetto verso il sionismo, inclusi due ministri degli esteri di origine ebraica: Sidney Sonnino e Carlo Schanzar. La posizione italiana sulla Palestina era che la protestante Inghilterra non aveva alcun diritto di stare laggiù, poiché non vi erano nativi protestanti. Ciò che essi volevano era che la Palestina fosse una Terra Santa internazionale. In accordo con le posizioni dei governi pre-fascisti su Palestina e sionismo, Mussolini era mosso principalmente dalla rivalità imperiale con l’Inghilterra, e dall’ostilità con qualunque gruppo che facesse riferimento a un’organizzazione internazionale.

La Marcia su Roma dell’ottobre 1922 preoccupò la Federazione Sionista Italiana. Non amavano affatto il precedente governo Facta, dato il suo antisionismo, ma da quel punto di vista i fascisti non erano meglio, e Mussolini aveva messo in chiaro il suo antisemitismo. Tuttavia, le loro preoccupazioni sull’antisemitismo vennero presto fugate; il nuovo governo si affrettò ad avvisare Angelo Sacerdoti, rabbino capo di Roma e attivo sionista, che non avrebbe sostenuto l’antisemitismo, né in patria né fuori. I sionisti quindi ebbero udienza da Mussolini il 20 dicembre 1922. Essi

66 Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica) 67 ibidem 68 Daniel Carpi, The Catholic Church and Italian Jewry Under the Fascists, 1960 69 Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)

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assicurarono al Duce la loro lealtà. Ruth Bondy, sionista e studiosa dell’ebraismo italiano, scrisse: “La delegazione, dal canto suo, spiegò che gli ebrei italiani sarebbero sempre stati fedeli al loro paese natale e potevano aiutare a stabilire relazioni con l’Oriente attraverso le comunità ebraichè colà stanziate”.70

Mussolini disse loro senza mezzi termini che considerava il sionismo uno strumento degli inglesi, ma il loro giuramento di fedeltà lo ammorbidì un po’, e acconsentì a incontrare Chaim Weizmann, presidente della WZO, che ricevette il 3 gennaio 1923. L’autobiografia di Weizmann è deliberatamente vaga, e spesso fuorviante, sulle sue relazioni con gli italiani, ma fortunatamente è possibile conoscere qualcosa sull’incontro dal resoconto fornito all’epoca dall’ambasciata inglese a Roma. Esso spiega come Weizmann provò a replicare all’obiezione che il sionismo faceva il gioco dell’Inghilterra: “Il dottor Weizmann, mentre negava che le cose stessero così, disse che, se anche così fosse stato, l’Italia avrebbe tratto un eguale vantaggio rispetto all’Inghilterra dall’indebolimento della potenza musulmana”.71

Questa risposta non può aver ispirato troppa fiducia da parte di Mussolini, ma egli fu compiaciuto quando Weizmann chiese il permesso di nominare un sionista italiano alla commissione della WZO per gli insediamenti in Palestina. Weizmann sapeva che l’opinione pubblica italiana avrebbe visto ciò come un segno di tolleranza verso la WZO da parte dei fascisti, e questo avrebbe reso la vita più facile al sionismo tra i diffidenti ebrei, preoccupati all’idea di un conflitto con il nuovo regime. Mussolini la vide dall’altro versante: con un gesto di per sé semplice egli avrebbe ottenuto il sostegno della comunità ebraica sia in patria che all’estero.

L’incontro non produsse cambiamenti nella politica italiana verso il sionismo o gli inglesi, e gli italiani continuarono a ostacolare gli sforzi dei sionisti attraverso tattiche ostruzionistiche in seno alla Commissione Mandataria della Società delle Nazioni. Weizmann non si oppose mai, né prima né poi, a ciò che Mussolini faceva agli italiani, ma ebbe da ridire quando il regime si opponeva al sionismo. Egli così parlò in America il 26 marzo 1923:

Oggi abbiamo un’ondata politica terribile, nota come fascismo, che si sta abbattendo sull’Italia. Trattandosi di un movimento italiano non è affar nostro, bensì del governo italiano. Ma quest’onda ora si sta abbattendo sulla comunità ebraica, e la piccola comunità, che non si è mai ben assestata, oggi è colpita dall’antisemitismo.72

La politica dell’Italia verso il sionismo cambiò solo a metà degli anni ’20, quando gli addetti

consolari in Palestina si resero conto che il sionismo era lì per restarvi, e che l’Inghilterra avrebbe potuto solo lasciare il paese, se e quando i sionisti avessero acquisito un loro stato. Weizmann fu invitato a Roma per un altro incontro il 17 settembre 1926. Mussolini fu assai cordiale; si offrì di aiutare i sionisti a costruire la loro economia e la stampa fascista cominciò a pubblicare articoli favorevoli al sionismo in Palestina.

I dirigenti sionisti cominciarono a recarsi a Roma. Nahum Sokolow, allora capo dell’Esecutivo e di lì a poco, nel 1931 – 33, presidente della WZO, vi arrivò il 26 ottobre 1927. Michael Ledeen, esperto di fascismo e questione ebraica, ha descritto il risultato politico dei colloqui Sokolow-Mussolini:

Con quest’ultimo incontro Mussolini divenne un idolo per il sionismo; Sokolow non solo lo lodò come persona ma dichiarò la sua ferma convinzione che il fascismo fosse immune dai pregiudizi antisemiti. Egli andò anche oltre: in passato potevano esservi stati dubbi sulla vera natura del fascismo, ma ora “cominciamo a capire la sua vera natura…i veri ebrei non sono mai stati contro di voi”. Queste parole, una così grande apertura, furono riprese sui periodici ebraici in tutto il mondo. In questo periodo, che vide nuovi accordi legali stabiliti tra la comunità ebraica e lo stato fascista, espressioni di fedeltà e simpatia verso il fascismo uscirono dai circoli ebraici italiani.73

Non tutti i sionisti gradirono le dichiarazioni di Sokolow. I sionisti laburisti erano vagamente legati

al Partito Socialista Italiano, clandestino, attraverso l’Internazionale Socialista, e si lamentarono, ma i sionisti italiani erano entusiasti. Benestanti e estremamente religiosi, questi conservatori vedevano

70 Ruth Bondy, The Emissary: A Life of Enzo Sereni, 1973 71 Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975 72 Chaim Weizmann, American Addresses, 1923 73 Michael Ledeen, Italian Jews and Fascism, 1969

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Mussolini come il loro sostegno contro il marxismo e l’assimilazione in esso contenuta. Nel 1927 rabbi Sacerdoti rilasciò un’intervista al giornalista Guido Bedarida:

Il professor Sacerdoti è convinto che molti dei principi fondamentali della Dottrina Fascista come: rispetto delle leggi dello stato, rispetto delle tradizioni, principio dell’autorità, esaltazione dei valori religiosi, desiderio di purezza morale e fisica dell’individuo e della famiglia, lotta per l’aumento della produzione, e anche la lotta contro il malthusianesimo74, non sono né più né meno che principi dell’ebraismo.75

Il leader ideologico del sionismo italiano era l’avvocato Alfonso Pacifici. Uomo molto religioso,

era sicuro che i sionisti italiani sarebbero divenuti il ramo più religioso del movimento sionista mondiale. Nel 1932 un altro intervistatore scrisse di come Pacifici anche:

mi espresse la convinzione che la nuova situazione avrebbe portato a una ripresa dell’ebraismo italiano. Infatti, affermò di aver sviluppato una filosofia dell’ebraismo in quanto tendenza del fascismo ben prima che quest’ultimo assumesse un ruolo centrale nella politica italiana.76

Relazioni tra Mussolini e Hitler

Se i sionisti avevano esitato fino a quando Mussolini non si era rivolto a loro, Hitler non ebbe tali inibizioni. Fin dall’inizio dell’affermazione del fascismo, Hitler utilizzò l’esempio di Mussolini come prova che una dittatura del terrore poteva rovesciare una debole democrazia borghese e quindi abbattere il movimento dei lavoratori. Dopo che giunse al potere, riconobbe il suo debito a Mussolini in una conversazione con l’ambasciatore italiano nel marzo 1933: “Sua Eccellenza sa quanto sia grande la mia ammirazione per Mussolini, che io considero capo spirituale del mio ‘movimento’ poiché, se egli non avesse avuto successo nel prendere il potere in Italia, il nazionalsocialismo non avrebbe avuto la minima chance in Germania”77.

Hitler aveva due problemi con il fascismo: Mussolini opprimeva pesantemente i tedeschi nel Sud Tirolo, che gli italiani avevano acquisito a Versailles, e accoglieva gli ebrei nel Partito Fascista. Ma Hitler vide, correttamente, che ciò che entrambi volevano era così simile da potere in prospettiva arrivare a un’alleanza. Egli insistette che una lite con gli italiani a proposito dei tirolesi avrebbe soltanto favorito gli ebrei; tanto che, contrariamente alla maggior parte della destra tedesca, era dell’idea di abbandonare i tirolesi78. Inoltre, a dispetto del fatto che non conoscesse le precedenti posizioni antisemite di Mussolini, nel suo Mein Kampf del 1926 Hitler affermò che nel profondo del suo cuore l’italiano era antisemita:

La lotta che l’ITALIA FASCISTA sta combattendo, benché forse inconsapevolmente (cosa che io personalmente non credo), contro le tre grandi armi degli ebrei è il migliore sintomo che, anche se indirettamente, l’influsso malefico di questo potere sovrastatale sta per essere eliminato. La proibizione di società segrete massoniche, la persecuzione della stampa internazionale, così come la progressiva distruzione del marxismo e di converso il costante rafforzamento dell’idea di stato fascista, faranno sì che nel corso degli anni il governo italiano serva sempre più gli interessi del popolo italiano, senza riguardo per i sibili dell’idra ebraica mondiale.79

Ma se Hitler era pro-Mussolini, non ne consegue che Mussolini fosse filonazista. Durante gli

anni ’20 il Duce ripetè spesso il suo famoso “il fascismo non è un articolo di esportazione”. Di certo dopo il fallimento del putsch di Monaco e il magro 6,5% dei nazisti alle elezioni del 1924, Hitler non rappresentava nulla. Ci vollero la Depressione e l’improvviso successo elettorale di Hitler prima che

74 Malthusianesimo = Teoria del controllo delle nascite. 75 The Reflex, ottobre 1927, p. 58. 76 Views, aprile 1932, p.46 77 Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975 78 Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926 79 ibidem

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Mussolini iniziasse a prendere sul serio le notizie a proposito della sua controparte tedesca. Allora iniziò a parlare di un’Europa che sarebbe diventata fascista nel giro di dieci anni, e la sua stampa iniziò a parlare in maniera favorevole del nazismo. Ma allo stesso tempo egli ripudiava il razzismo “nordico” e l’antisemitismo di Hitler. Completamente fuorviati dal suo filosemitismo, i sionisti speravano che Mussolini avrebbe avuto una influenza moderatrice su Hitler una volta salito al potere.80 Nell’ottobre 1932, nel decimo anniversario della Marcia su Roma, Pacifici sviolinò a proposito delle differenze tra il vero fascismo di Roma e la sua Ersatz (surrogato) a Berlino. Egli vedeva

Una radicale differenza tra il vero e autentico fascismo – che è quello italiano – e i movimenti pseudo fascisti in altri paesi che…spesso utilizzano le fobie più reazionarie, e specialmente l’odio cieco e sfrenato per gli ebrei, come mezzo per distrarre le masse dai loro reali problemi, dalle vere cause della loro miseria, e dai veri colpevoli.81

Più tardi, dopo l’Olocausto, nella sua autobiografia Trial and Error, Weizmann provò malamente

a tratteggiare una patina antifascista sui sionisti italiani: “I sionisti, e gli ebrei in generale, benchè non esprimessero pubblicamente il loro punto di vista, erano noti per essere antifascisti”.

Stante l’antisionismo di Mussolini dei primi anni della sua carriera fascista, così come i commenti antisemiti, i sionisti a fatica lo accettarono nel 1922. Ma, come abbiamo visto, essi promisero fedeltà al nuovo potere una volta che Mussolini ebbe loro assicurato che non era antisemita. Nei primi anni del regime, i sionisti sapevano che egli non gradiva i loro collegamenti internazionali, ma ciò non li portò a essere antifascisti e, di certo, dopo le affermazioni del 1927 di Sokolow e Sacerdoti, i sionisti poterono essere considerati buoni amici del Duce.

80 Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica) 81 ibidem

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5. IL SIONISMO TEDESCO SI OFFRE DI COLLABORARE COL NAZISMO

Werner Senator, un importante sionista tedesco, una volta sottolineò che il sionismo, pur essendo il nazionalismo del mondo ebraico, politicamente si assimila sempre ai paesi in cui opera. Non c’è migliore prova di questa asserzione dell’adattamento della ZVD alle teorie e alle politiche del nuovo regime nazista. Poiché riteneva che le somiglianze ideologiche tra i due movimenti – la critica al liberalismo, il razzismo di popolo e ovviamente la convinzione che la Germania non sarebbe mai stata la patria dei suoi ebrei – potessero indurre i nazisti a sostenerla, la ZVD sollecitò la protezione di Adolf Hitler, non una volta ma ripetutamente, dopo il 1933.

Lo scopo della ZVD divenne una “ritirata ordinata”, ovvero il sostegno nazista per l’emigrazione in Palestina almeno della generazione più giovane degli ebrei, e quindi cercò immediatamente contatti con quegli elementi nell’apparato nazista che pensava fossero interessati a un tale accordo, sulla base del loro apprezzamento per il sionismo. Kurt Tuchler, membro dell’esecutivo della ZVD, convinse il barone Leopold von Mildenstein delle SS a scrivere un articolo pro-sionista sulla stampa nazista. Il barone acconsentì a patto di poter prima visitare la Palestina, e due mesi dopo Hitler mise in condizione i due uomini, con le loro mogli, di andare in Palestina; von Mildenstein vi rimase sei mesi, prima di rientrare per scrivere i suoi articoli.82

Il contatto con una figura centrale del nuovo governo avvenne nel marzo 1933, quando Hermann Goering incontrò i leader delle maggiori organizzazioni ebraiche. All’inizio di marzo Julius Streicher, editore del Der Stuermer83, aveva dichiarato che dal 1 aprile in avanti tutti i negozi e gli studi professionali ebraici dovevano essere boicottati; tuttavia, questa campagna andò subito incontro a un inconveniente. I fiancheggiatori capitalisti di Hitler erano estremamente preoccupati dall’annuncio dell’influente rabbino americano Wise di una contro-dimostrazione da tenersi a New York il 27 marzo, se i nazisti avessero insistito con il loro boicottaggio. Gli ebrei erano influenti nel commercio al dettaglio sia in America che in Europa e, temendo ritorsioni contro le loro compagnie, gli imprenditori filo-hitleriani chiesero al Fuehrer di porre fine all’iniziativa. Ma i nazisti difficilmente avrebbero potuto fare ciò senza perdere la faccia, e decisero di usare gli ebrei tedeschi contro Wise; perciò Goering convocò i dirigenti ebrei. L’influenza del sionismo tedesco nella repubblica di Weimar non era tale da meritare la partecipazione dei suoi leader, ma poiché essi si consideravano gli unici partner plausibili per negoziare coi nazisti, si assicurarono la partecipazione. Martin Rosenbluth, dirigente sionista, più tardi parlò della vicenda nella sua autobiografia dopo la guerra, Go Forth and Serve. Quattro ebrei incontrarono Goering: Julius Brodnitz per il ZentralVerein (ZV), Heinrich Stahl per la comunità ebraica berlinese, Max Nauman, filonazista fanatico del Verband von Nationaldeutscher Juden84 (VNJ), e Blumenfeld per i sionisti della ZVD. Goering si lanciò in un’invettiva: la stampa estera stava mentendo sulle atrocità contro gli ebrei, e a meno che le bugie non fossero finite, egli non avrebbe garantito sulla sicurezza degli ebrei tedeschi. E, la cosa più importante, l’adunata di New York doveva essere annullata: “Il dottor Wise è uno dei nostri più pericolosi e cinici nemici”85. Una delegazione doveva andare a Londra e contattare il mondo ebraico.

Gli assimilazionisti si ritirarono, dicendo che come tedeschi non avevano alcuna influenza sugli ebrei stranieri. Ciò era falso, ma essi non volevano prendere parte alla propria autodistruzione. Solo Blumenfeld accettò, ma insistette affinchè gli fosse consentito di dire la verità sul trattamento nazista verso gli ebrei. A Goering non importava cosa si sarebbe detto per far annullare l’adunata, forse una descrizione della difficile situazione avrebbe fatto desistere gli ebrei stranieri per timore di peggiorare le cose. Non gli importava chi sarebbe andato e quali argomenti sarebbero stati usati, purchè la delegazione acconsentisse a “fare regolare rapporto all’ambasciata tedesca”86.

Alla fine la ZVD inviò Martin Rosenbluth e Richard Lichteim. Temendo la responsabilità dell’esito della strana missione, essi convinsero il ZV a mandare insieme a loro il dottor Ludwig Tietz.

82 History Today, gennaio 1980, p. 33 83 L’attaccante, settimanale nazista pubblicato dal 1923 al 1945. 84 Unione degli Ebrei Tedeschi Nazionalisti, filonazisti e assimilazionisti. 85 Martin Rosenbluth, Go Forth and Serve, 1961 86 ibidem

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Benchè non fosse un sionista, il ricco uomo d’affari era “un nostro buon amico”87. Il trio arrivò a Londra il 27 marzo e subito incontrò quaranta leader ebraici a un meeting presieduto da Nahum Sokolow, presidente della WZO. Poi essi incontrarono alcuni funzionari inglesi. I delegati avevano due obiettivi di fronte a sè: usare la difficoltà della situazione per promuovere la Palestina come "luogo naturale in cui rifugiarsi", e fermare le istanze antinaziste all'estero. Chiamarono Wise a New York. Rosenbluth descrisse i fatti nelle sue memorie:

Memori delle accuse di Goering...riportammo il messaggio...Trasmettere la parte

nascosta del nostro messaggio fu più difficile, poichè fu necessario parlare in termini vaghi per confondere gli eventuali ascoltatori. Gli eventi successivi provarono che avevamo chiarito la nostra richiesta nascosta, e il dottor Wise capì che noi volevamo che lui tenesse duro e non cancellasse il meeting per nessuna ragione.88

Non c'è prova che venne fatto un qualche sforzo per indurre Wise a ciò. Attraverso le ricerche

di uno studioso israeliano, Shaul Esh, è noto che la delegazione provò a fermare le mobilitazioni a New York e in Palestina. Secondo Esh, più tardi, alla sera, essi inviarono dei telegrammi:

..non a loro nome, ma a nome dell'Esecutivo sionista di Londra. I telegrammi chiedevano

che i riceventi telegrafassero immediatamente alla Cancelleria del Terzo Reich la dichiarazione che non avrebbero perdonato l’organizzazione di un boicottaggio anti-tedesco...l'Esecutivo sionista di Londra apprese questo alcune ore dopo, e inviarono un altro telegramma a Gerusalemme per differire l’invio della dichiarazione a Hitler.89

Successivamente nella sua autobiografia, Challenging Years, Stephen Wise scrisse di aver

ricevuto il telegramma, ma non parlò di alcun altro messaggio criptico da parte dalla delegazione. E' plausibile ritenere che se avesse ricevuto un tale messaggio, ne avrebbe parlato. In realtà, Wise attaccò ripetutamente le ZVD negli anni seguenti per la sua continua opposizione a ogni tentativo degli ebrei all'estero di contrastare il regime hitleriano.

La condotta di Londra fu tipica di ogni altra seguente azione della ZVD. Nel 1937, dopo aver lasciato Berlino per l'America, il rabbino Joachim Prinz riportò le sue esperienze in Germania facendo riferimento a un memorandum che, ora è noto, fu inviato al partito nazista dalla ZVD il 21 giugno 1933. L'articolo di Prinz descrive candidamente l'atteggiamento sionista nei primi mesi del 1933:

Tutti in Germania sapevano che solo i sionisti avrebbero potuto rappresentare

degnamente gli ebrei nelle trattative coi nazisti. Tutti eravamo sicuri che un giorno il governo avrebbe aperto una tavola rotonda con gli ebrei, alla quale - passate le rivolte e le atrocità della rivoluzione - sarebbe stato discusso il nuovo status dell'ebraismo tedesco. Soluzione della questione ebraica? Era il nostro sogno sionista! Non abbiamo mai negato l'esistenza della questione ebraica! De-assimilazione? Era proprio il nostro scopo!...In una dichiarazione notevole per orgoglio e dignità, facemmo richiesta di un incontro.

Il memorandum rimase nascosto fino al 1962, quando fu finalmente pubblicato, in Germania e

Israele. "Orgoglio" e "dignità" sono parole che si prestano a varie interpretazioni ma, bisogna dire, nel documento non c’è neanche una parola che possa essere letta in tal modo. Questo straordinario documento richiede l'esposizione per esteso. Ai nazisti fu cortesemente chiesto:

Ci possa quindi essere consentito di presentare le nostre opinioni, che, a nostro avviso,

rendono possibile una soluzione in linea con i principi del nuovo Stato Tedesco del Risveglio Nazionale e che, allo stesso tempo, potrebbero rappresentare per gli ebrei, un nuovo ordine nelle condizioni della loro esistenza…Il sionismo non si fa illusioni sulla difficoltà della condizione degli ebrei, che consiste soprattutto in condizoni professionali anomale e nel disagio di un atteggiamento morale e intellettuale non basato sulle proprie tradizioni…

87 ibidem 88 ibidem 89 Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968)

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…una risposta veramente soddisfacente alla questione ebraica può essere fornita allo stato nazionale solo con la collaborazione del movimento ebraico, che miri a un rinnovamento sociale, culturale e morale dell’ebraismo…la rinascita della vita nazionale, come sta avvenendo nella vita tedesca attraverso l’adesione ai valori cristiani e nazionali, deve avere luogo anche nella nazione ebraica. Anche per l’ebreo, origine, religione, comunità di destino e coscienza di gruppo devono assumere importanza decisiva nella formazione della sua vita…

Per quanto riguarda la fondazione del nuovo stato, che si basa sul principio della razza, noi vogliamo adattare la nostra comunità alla struttura complessiva in modo che anche per noi, nel settore a noi assegnato, possa realizzarsi una feconda attività per la Patria…La nostra nozione di nazionalità ebraica contempla una chiara e sincera relazione con il popolo tedesco e le sue realtà nazionali e razziali. Proprio perché non vogliamo falsificare questi fondamenti, perché anche noi, siamo contro il matrimonio misto e per il mantenimento della purezza della nazione ebraica... …La fedeltà alla propria identità e alla propria cultura dà agli ebrei la forza interiore che impedisce l’insulto rispetto ai sentimenti nazionali tedeschi; e il radicamento in una propria spiritualità preserva l’ebreo dal diventare un critico senza radici dei fondamenti nazionali dell’essenza germanica. L’allontanamento tra le nazioni, che lo stato richiede, avverrebbe quindi con una certa facilità, come il risultato di uno sviluppo organico.

Così, l’ebraismo autocosciente qui descritto, nel nome del quale noi parliamo, può trovare un posto nella struttura dello stato tedesco, poiché è un sentimento puro, libero da quel livore che gli ebrei assimilati provano essendo consapevoli di appartenere all’ebraismo, alla razza e alla storia ebraiche. Noi crediamo nella possibilità di una onesta relazione di lealtà tra la nazione ebraica cosciente di sè e lo stato tedesco… Per i suoi obiettivi pratici, il sionismo spera di ottenere la collaborazione anche con un governo fondamentalmente ostile agli ebrei, perché nel trattare la questione ebraica non sono coinvolti sentimentalismi ma problemi reali la cui soluzione interessa tutti i popoli, e nel momento attuale specialmente il popolo tedesco.

La realizzazione del sionismo non potrebbe che essere danneggiata dal risentimento degli ebrei all’estero contro lo sviluppo tedesco. La propaganda del boicottaggio – come quella che attualmente è diretta in vari modi contro la Germania – è in sostanza non-sionista, perché il sionismo non vuole dare battaglia ma convincere e costruire…Le nostre osservazioni, qui presentate, si basano sulla convinzione che, nel risolvere il problema secondo le proprie linee, il governo tedesco guarderà con favore a una condotta irreprensibile da parte degli ebrei, che si armonizzi con gli interessi dello Stato.90

Questo documento, un tradimento verso gli ebrei tedeschi, fu scritto con i classici clichè dei

sionisti: “condizioni professionali anomale”, “intellettuali senza radici grandemente bisognosi di rigenerarsi”, eccetera. In esso i sionisti tedeschi offrirono una calcolata collaborazione tra sionismo e nazismo, motivata dall’obiettivo di uno stato ebraico.

Ossessionati dai loro assurdi scopi, i leader della ZVD persero ogni senso della prospettiva internazionale ebraica e provarono a chiedere alla WZO di annullare il suo Congresso Mondiale in programma nell’agosto 1933. Inviarono alla direzione una lettera: “Bisognerà portare avanti dure proteste”, le loro esistenze potevano finire male poiché “la nostra condizione legale ci ha reso impossibile organizzare le masse e trasferire ampie somme di denaro in Palestina”91. Il Congresso si svolse ugualmente, ma la ZVD non ebbe nulla da temere dal momento che i nazisti colsero quell’occasione per annunciare di aver stipulato un accordo col sionismo mondiale.

“Cercando il proprio idealismo nazionale nello spirito nazista”

L’opinione pubblica ebraica era all’oscuro del soggiorno di von Mildenstein in Palestina in compagnia di un membro dell’Esecutivo sionista, e del viaggio di Rosenbluth e Lichteim a Londra; così del memorandum, e della richiesta di annullamento del Congresso Sionista. Tuttavia, non potè sfuggire ciò che apparve sulla Rundschau, dove gli ebrei assimilazionisti erano ripetutamente

90 In Lucy Dawidowicz, A Holocaust Reader, 1976 91 Ruth Bondy, The Emissary: A Life of Enzo Sereni, 1973

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attaccati. Il ZV criticò aspramente le siegesfanfaren (fanfare di guerra, n.d.t.) che la Rundschau lanciava contro i peccatori ebrei92. L’editore, Robert Weltsch, colse l’occasione del boicottaggio del 1 aprile per attaccare gli ebrei in un’editoriale: “Indossare la Stella Gialla con orgoglio”:

Nei tempi di crisi della sua storia, il popolo ebraico si è trovato di fronte al problema della propria colpa. Il nostro principale profeta dice: “Siamo stati espulsi dal nostro paese per i nostri peccati”…Gli ebrei hanno una grave colpa perché non hanno ascoltato l’appello di Theodor Herzl…Poichè gli ebrei non hanno ostentato la loro ebraicità con orgoglio, poiché hanno voluto ignorare la questione ebraica, ora devono subire l’onta della denigrazione dell’ebraismo.93

Anche mentre i nazisti stavano recludendo i militanti di sinistra nei campi di concentramento,

Weltsch attaccò i giornalisti ebrei di sinistra:

Se oggi i giornali nazionalsocialisti e patriottici tedeschi spesso parlano di certi scribacchini ebrei e della cosiddetta stampa ebraica…bisogna far presente…Gli ebrei retti si sono sempre indignati per gli sfottò e le caricature dirette da sciocchi ebrei contro altri ebrei, così come contro i tedeschi o altri.94

Anche se la stampa di sinistra era sotto attacco fin dal giorno in cui Hitler era giunto al potere, i

giornali ebraici erano ancora legali. Naturalmente erano sottoposti a censura; se un giornale pubblicava qualcosa di eccessivo, veniva chiuso, temporaneamente o definitivamente. Tuttavia, i nazisti non spinsero i redattori sionisti ad attaccare i loro colleghi ebrei.

Dopo l’Olocausto Weltsch espresse un certo senso di colpa per quell’editoriale, dicendo che avrebbe dovuto scrivere agli ebrei di salvare la propria vita, ma non disse mai che i nazisti gli avessero fatto scrivere quel pezzo. Weltsch non era un fascista, ma era un sionista troppo settario per prevedere le conseguenze delle sue parole. Così come la maggior parte dei leader della ZVD, egli era piuttosto convinto che il “liberalismo egoistico” e la democrazia parlamentare fossero morte, almeno in Germania. A livello internazionale la ZVD era ancora dalla parte degli inglesi in Palestina, ma il corrispondente della Rundschau in Italia, Kurt Kornicher, era un filo-fascista dichiarato95. I leader della ZVD si convinsero che il fascismo era il futuro, di certo nell’Europa centrale, e all’interno di questa concezione essi contrapponevano il fascismo buono di Mussolini agli eccessi dell’hitlerismo, che pensavano sarebbero diminuiti, con il loro aiuto, col passare del tempo.

Ora il razzismo stava trionfando, e la ZVD salì sul carro del vincitore. I discorsi sul blut iniziarono a prendere piede con un’affermazione di Blumenfeld nell’aprile 1933, secondo la quale fino ad allora gli ebrei avevano mantenuto celata la loro “differenza di sangue” con i veri tedeschi, ma raggiunsero proporzioni wagneriane sulla Rundschau del 4 agosto con un lungo saggio, Rasse und Kulturfaktor (Razza e fattore culturale), che ragionava sulle implicazioni intellettuali della vittoria nazista per gli ebrei. Il saggio sosteneva che gli ebrei non avrebbero dovuto solamente accettare in silenzio i dettami dei loro nuovi maestri; essi dovevano anche rendersi conto che la segregazione razziale era una cosa ottima:

Noi che viviamo qui come “razza straniera” dobbiamo assolutamente rispettare la coscienza razziale e gli interessi di razza del popolo tedesco. Ciò tuttavia non preclude una pacifica convivenza di popoli di appartenenza razziale diversa. Tanto minore è la possibilità di un’indesiderabile commistione, tanto minore il bisogno di “proteggere la razza”…Ci sono delle differenze che in ultima analisi hanno origine nell’ancestralità. Solo i giornali razionalisti, che hanno perso il contatto con le più recondite ragioni e profondità dell’anima e con le origini della coscienza comune, possono mettere così superficialmente l’ancestralità al di fuori del regno della “storia naturale”.

Nel passato, continuava il testo, era stato difficile portare gli ebrei ad avere una considerazione

obiettiva della questione della razza. Ma ora era tempo per una sorta di “ponderata rivalutazione”. “La

92 Jacob Boas, The Jews of Germany, 1977 93 Lucy Dawidowicz, A Holocaust Reader, 1976 94 ibidem 95 Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)

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razza è indubbiamente un elemento molto importante, sì, decisivo. Con ‘sangue e suolo’ davvero si determina l’essenza di un popolo, e le sue conquiste”. Gli ebrei avrebbero dovuto aver cura delle “giovani generazioni, nelle quali la coscienza razziale ebraica era largamente misconosciuta”. L’articolo metteva in guardia dalle razze “bagatellari”, e anche dal ZV, che stava iniziando ad abbandonare la sua tradizionale ideologia assimilazionista sull’orlo del disastro, ma “senza un cambiamento profondo”.

Controbattere alla buonafede razzista dei suoi rivali non era sufficiente. Per provare che il “Movimento di Rinascita Ebraica” era sempre stato razzista, la Rundschau ristampò due articoli antecedenti il 1914 sotto il titolo “Voci del sangue”. Das singende Blut (Il sangue che canta) di Stefan Zweig e Lied des Blutes (Canto del sangue) di Hugo Salus salmodiavano di come “l’ebreo moderno…riconosce la sua ebraicità…attraverso un’esperienza interiore che gli insegna il linguaggio speciale del suo sangue in maniera mistica”.

Ma sebbene queste imitazioni del nazismo fossero di stampo razzista, esse non erano di stampo sciovinista. Essi non pensavano di essere superiori agli arabi dal punto di vista razziale. I sionisti avrebbero anche magnificato i loro cari cugini semiti. Il loro populismo era solo una risposta distorta ai loro “problemi di personalità” (così li definivano): permetteva loro di riconciliarsi con l’esistenza dell’antisemitismo senza combatterlo. Si affrettarono a rassicurare i loro lettori che molti stati e nazioni moderne erano miste dal punto di vista razziale e dunque le razze potessero vivere in armonia. Gli ebrei erano avvertiti: ora che stavano diventando razzisti, non dovevano però diventare sciovinisti: “al di sopra della razza c’è l’umanità”96.

Sebbene il razzismo abbondasse nella letteratura della ZVD, gli osservatori ebrei stranieri videro sempre in Joachim Prinz il suo più acceso propagandista. Elettore socialdemocratico prima del 1933, Prinz divenne rapidamente populista nei primi anni del Terzo Reich. Certa violenta ostilità verso gli ebrei contenuta nel suo libro Wir Juden, avrebbe potuto essere inserita direttamente nei pamphlet della propaganda nazista. Per Prinz l’ebreo era un composto di “smarrimento, bizzarria, esibizionismo, inferiorità, arroganza, autoinganno, sofisticato amore per la verità, odio, debolezza, patriottismo e cosmopolitismo senza radici…un arsenale psicopatologico di rara abbondanza”97.

Prinz era profondamente sdegnato per le tradizioni razionaliste e liberali che cosituivano la base comune del pensiero progressista a partire dalla Rivoluzione Americana. Per lui il danno fatto dal liberalismo era compensato soltanto dal fatto che esso stava morendo:

Il parlamento e la democrazia sono sempre più sconquassati. La disastrosa, esagerata enfasi sul valore dell’individuo è riconosciuta come erronea; il concetto e la realtà della nazione e del volk sta prendendo sempre più terreno, con nostra grande gioia.98

Prinz credeva che un’intesa tra nazisti ed ebrei fosse possibile, ma solo sulla base di un accordo

nazi-sionista: “Uno stato costruito sul principio della purezza della nazione e della razza può avere rispetto solo di quegli ebrei che considerano se stessi allo stesso modo”99.

Dopo essere giunto negli Stati Uniti, Prinz si rese conto che nulla di ciò che diceva in Germania sembrava razionale in un contesto democratico, e abbandonò le sue bizzarre concezioni, prova ulteriore che i sionisti tedeschi si erano ideologicamente adattati al nazismo100. Ma forse la migliore rappresentazione della “nazificazione” sionista fu la curiosa affermazione di uno degli editori della Rundschau, Arnold Zweig, fatta nel suo Insulted and Exiled, scritto all’estero e pubblicato nel 1937:

Di tutti i giornali pubblicati in Germania, il più indipendente, il più coraggioso, e il più capace fu la Judische Rundschau, l’organo ufficiale della Federazione Sionista Tedesca. Benché talvolta si sia spinto troppo oltre nel suo sostegno allo Stato Nazista (cercando il proprio idealismo nazionale nello spirito nazista), tuttavia da esso scaturisce un flusso di energia, tranquillità, calore e confidenza di cui gli ebrei tedeschi e gli ebrei di tutto il mondo hanno urgente bisogno.101

96 Judische Rundschau, 4 agosto 1933 97 Menorah Journal, autunno 1936, p. 235 98 Uri Davis, Israel:Utopia Incorporated, 1977 99 Benyamin Matuvo, The Zionist Wish and the Nazi Deed, 1966 100 Intervista dell’autore con Joachim Prinz 101 Arnold Zweig, Insulted and Exiled, 1937

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“L’esclusivo controllo sulla vita degli ebrei tedeschi”

Neanche le leggi di Norimberga del 15 settembre 1935 scalfirono la fiducia dei sionisti tedeschi di poter raggiungere un modus vivendi con i nazisti. La direzione di HeChalutz (i Pionieri), impegnata nell’addestramento giovanile per il movimento dei kibbutz, stabilì che la promulgazione di leggi che vietavano i matrimoni misti fosse una buona occasione per un nuovo approccio verso il regime. I Pionieri vararono un piano per l’emigrazione dell’intera comunità ebraica in capo a 15-25 anni. Abraham Margaliot, studioso dell’Israel Yad Vashem Holocaust Institute, ha spiegato le intenzioni della direzione in quell’anno fatale:

I dirigenti di HeChalutz pensarono che questo allettante piano avrebbe provato alle autorità tedesche che essi erano d’accordo ad accelerare l’emigrazione, liberalizzando le leggi sul trasferimento di valuta all’estero, favorendo gli addestramenti volontari e con “intese politiche”102

La Rundschau pubblicò estratti di un discorso in cui Hitler annunciava che il suo governo

sperava ancora di trovare la base per “un migliore approccio verso gli ebrei”103. Il giornale pubblicò un’affermazione di A.I. Brandt, capo dell’associazione della stampa nazista, che informava un pubblico piuttosto sorpreso che le leggi erano:

benefiche e rigeneranti anche per gli ebrei. Dando alla minoranza ebraica l’opportunità di condurre la propria vita e assicurando il sostegno governativo a questa esistenza indipendente, la Germania sta aiutando l’ebraismo a rafforzare il proprio carattere nazionale e sta dando un contributo al miglioramento delle relazioni tra i due popoli.104

Lo scopo della ZVD divenne “l’autonomia nazionale”. Essi volevano da Hitler il diritto

all’esistenza economica, protezione dagli attacchi al loro onore, e addestramento per preparare l’emigrazione. La ZVD si concentrò sull’utilizzo delle istituzioni segregate ebraiche per sviluppare uno spirito nazionale ebraico. Quanto più i nazisti stringevano il cappio intorno agli ebrei, tanto più essi si convincevano che un accordo coi nazisti fosse possibile. Dopo tutto, pensavano, quanto più i tedeschi avessero escluso gli ebrei da ogni aspetto della vita della Germania, tanto più avrebbero avuto bisogno del sionismo per liberarsi degli ebrei. Il 15 gennaio 1936 il Palestine Post riportò la sorprendente notizia che: “la Federazione Sionista Tedesca oggi in una dichiarazione ha fatto l’audace richiesta di essere riconosciuta dal governo come unico strumento per l’esclusivo controllo sulla vita degli ebrei tedeschi”105.

Le speranze dei sionisti tedeschi in un accordo svanirono solo di fronte alle crescenti intimidazioni e atti di terrore. Anche se non vi fu nessun segnale di attività anti-nazista da parte dei leader della ZVD. Durante il periodo anteguerra ci fu uno scarsissimo coinvolgimento dei sionisti nell’attività antinazista clandestina. Sebbene i movimenti giovanili HeChalutz e Hashomer si ispirassero al socialismo, i nazisti non erano preoccupati. Yechiel Greenberg di Hashomer nel 1937 ammise che “il nostro socialismo era considerato semplicemente una filosofia da esportazione”106. Ma fin dall’inizio della dittatura il KPD clandestino, che cercava sempre nuove reclute, inviò alcuni dei suoi quadri ebrei nei movimenti giovanili e, secondo Arnold Paucker (poi editore dell’annuario del Leo Baeck Institute107 di Londra) alcuni sionisti furono coinvolti con la Resistenza, almeno nella redazione di alcuni manifesti illegali nei primi anni del regime.108 Quanto questo fu dovuto all’influenza degli infiltrati comunisti, e quanto fu spontaneo, è impossibile stimarlo. Tuttavia, la burocrazia sionista attaccò vigorosamente il KPD.109 Così in Italia, così in Germania: la leadership sionista cercò il supporto del regime al sionismo e si oppose al comunismo; in nessuno dei due paesi si può ritenere che abbia fatto parte della Resistenza.

102 Abraham Margaliot, The Reaction of the Jewish Public in Germany to the Nuremberg Laws, 1977 103 ibidem 104 ibidem 105 Palestine Post, 15 gennaio 1936, p. 1 106 Hashomer Hatzair, novembre 1937 107 Istituto di storia e cultura dell'ebraismo germanico, fondato nel 1955 e intitolato all’ebreo progressista Leo Baeck. 108 Intervista dell’autore con Arnold Paucker, 28 ottobre 1980. 109 Giora Josephthal, The Responsible Attitude, 1961

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I rapporti tra la ZVD e la WZO verranno descritti successivamente. E’ sufficiente dire per ora che i leader della WZO approvarono la linea di fondo dei loro affiliati tedeschi. Tuttavia, all’interno del movimento sionista mondiale vi furono molti che rifiutarono di rimanere in silenzio mentre il loro ramo tedesco non solo accettava una cittadinanza di seconda classe ma, peggio ancora, denunciava gli ebrei stranieri per il boicottaggio della Germania. Boris Smolar, capo corrispondente in Europa per l’Agenzia Telegrafica Ebraica (l’agenzia di stampa dei sionisti), parlò di queste cose scrivendo rabbiosamente nel 1935:

Si può capire che un giornale ebraico pubblicato in Germania possa non appoggiare pienamente le richieste del mondo ebraico riguardo alla piena salvaguardia dei diritti degli ebrei. Ciò tuttavia non fa sì che un organo ufficiale si schieri e praticamente sia d’accordo con le limitazioni antiebraiche eistenti in Germania. E questo è proprio quello che la Judische Rundschau ha fatto.110

Prima del nazismo, il sionismo tedesco non era più che un culto politico borghese isolato.

Mentre la sinistra provava a contrastare le camicie brune nelle strade, i sionisti erano impegnati a raccogliere denaro per piantare alberi in Palestina. Improvvisamente nel 1933 questo piccolo gruppo si ritenne prescelto dalla storia a negoziare segretamente coi nazisti, opponendosi alla vasta massa degli ebrei del mondo che volevano resistere a Hitler, tutto nella speranza di ottenere supporto dal nemico del loro popolo per l’edificazione del loro stato in Palestina. Smolar e gli altri sionisti critici vedevano la ZVD semplicemente come codarda, ma si sbagliavano. Nessuna teoria della sottomissione può spiegare l’evoluzione del razzismo sionista nel periodo pre-hitleriano, né può arrivare a spiegare l’apertura della WZO a quelle istanze. Purtroppo la verità va oltre la codardia. La verità nuda e cruda è che i sionisti tedeschi non si vedevano come sottomessi, ma piuttosto come partner in un accordo tra uomini di stato. Essi furono profondamente delusi, poiché nessuna fazione ebraica ebbe il sopravvento sulle altre nella Germania nazista. Nessun modus vivendi fu neanche lontanamente possibile tra Hitler e gli ebrei. Una volta che Hitler ebbe trionfato in Germania, la posizione degli ebrei fu senza speranza; tutto ciò che restava loro era andare in esilio e continuare a lottare da là. Molti lo fecero, ma i sionisti continuarono a sognare di ottenere la protezione di Hitler. Non combatterono Hitler prima che questi salisse al potere, quando c’era ancora la possibilità di sconfiggerlo: non a causa di una qualche forma di codardia, ma per la profonda convinzione, ereditata da Herzl, che l’antisemitismo non poteva essere battuto. Data la loro mancanza di opposizione durante Weimar, e data la loro teoria della razza, era inevitabile che sarebbero finiti per essere gli sciacalli ideologici del nazismo.

110 Jewish Daily Bulletin , 8 marzo 1935

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6. IL BOICOTTAGGIO EBRAICO ANTI-NAZISTA E L’ACCORDO COMMERCIALE NAZI-SIONISTA

Fu solo l’incompetenza dei suoi nemici che consentì a Hitler di giungere al potere, e per di più il nuovo Cancelliere doveva ancora dimostrare ai padroni capitalisti di sapersi assumere la responsabilità di guidare la Germania. Senza dubbio la sua posizione era tutt’altro che solida: i lavoratori erano ancora contro di lui e gli industriali dovevano ancora essere convinti che egli fosse capace di sanare l’economia. All’estero, i capitalisti oscillavano tra il sollievo per la sconfitta dei comunisti e il timore di una nuova guerra. L’opinione all’estero era ora fondamentale: la Germania dipendeva dal mercato mondiale, e l’antisemitismo di Hitler divenne un problema. Gli ebrei avevano un ruolo importante nelle piazze commerciali, in particolare in due dei principali mercati della Germania: l’Europa orientale e l’America. Gli uomini d’affari tedeschi erano senza dubbio fondamentali nel garantire la stabilità del nuovo Cancelliere; insieme ai loro amici dell’esercito essi lo avrebbero frenato o anche rimpiazzato, se avessero avuto danno perché gli ebrei o altri oppositori del Fuehrer all’estero si fossero uniti nel boicottaggio delle esportazioni tedesche. Gli stessi esperti di economia del regime discussero apertamente della loro grave debolezza ed erano estremamente convinti che il Nuovo Ordine non sarebbe sopravvissuto a una decisa opposizione all’estero.

Gli ebrei si mossero molto lentamente ma alla fine l’associazione dei Jewish War Veterans (Veterani di Guerra Ebrei, JWV) di New York, preoccupata per la situazione degli ebrei tedeschi, il 19 marzo 1933 annunciò un boicottaggio commerciale e organizzò una grande parata di protesta per il giorno 23. Il sindaco di New York vi prese parte e così fecero i comunisti, ai quali però i Veterans impedirono di partecipare, a meno che avessero ritirato i loro striscioni. L’aver snobbato le migliaia di comunisti causò il fallimento dell’iniziativa del piccolo gruppo di veterani. Politicamente molto ingenui, costoro ignoravano il fatto elementare che per avere un minimo di possibilità di successo il boicottaggio doveva avere la massima unità e organizzazione possibile. Subito dopo l’insuccesso dei Veterans, il sionista Abe Coralnik e Samuel Untermayer, un simpatizzante che aveva finanziato la costruzione del nuovo stadio all’Università Ebraica di Gerusalemme, misero insieme quella che sarebbe diventata la Non-Sectarian Anti-Nazi League. Tuttavia, fare picchetti di boicottaggio era illegale e Untermayer, un avvocato di Tammany111, non voleva infrangere la legge. Naturalmente senza picchettaggio di massa era impossibile ottenere il boicottaggio, per cui quelli che nella comunità ebraica erano determinati allo scopo si rivolsero al rabbino Wise e al suo American Jewish Congress (AJC) affinchè prendesse in mano la situazione. Subito Wise si oppose sia alle manifestazioni che al boicottaggio, ma il 27 marzo si decise a riempire il Madison Square Garden per un’adunata che turbò molto Goering. Una vasta assemblea di politici, uomini di chiesa e sindacalisti denunciò aspramente il tiranno di Berlino, ma non fu fatto nulla per organizzare un’attività di massa. Wise, che prima dell’avvento di Hitler non aveva mobilitato la popolazione, non lo fece neanche ora. Al contrario, scrisse a un amico: “Non puoi immaginare cosa io stia facendo per frenare le masse. Esse spingono terribilmente per scendere in strada”.112 Egli si oppose al boicottaggio, sperando che poche iniziative, da sole, avrebbero spinto Roosevelt a intervenire. Ma il Dipartimento di Stato vedeva Hitler come un ariete contro il comunismo, e i politici americani, che attendevano con ansia la fine della Depressione, ambivano alla Germania come mercato. Il risultato fu che i democratici non fecero nulla né contro Hitler nè a favore degli ebrei. Wise, anch’egli democratico, continuò a osteggiare il boicottaggio ma, mentre egli era in Europa nell’agosto 1933 per parlare con i dirigenti ebraici tedeschi e partecipare al Congresso Sionista Mondiale, i militanti più attivi dell’AJC si prepararono a chiamare un boicottaggio. Ma l’AJC era ancora un’organizzazione profondamente borghese, senza esperienza nella mobilitazione di massa e, come l’Anti-Nazi League, vergognosamente rinunciò ai picchetti. Il suo responsabile per il boicottaggio non fece altro che pubblicare alcune splendide statistiche su come il commercio nazista venisse affossato dalla loro attività.113 Fu solo quando il suo settore giovanile si ribellò e picchettò una catena di grandi magazzini nell’autunno 1934 che l’AJC permise ai suoi membri di aderire al boicottaggio.

111 Organizzazione newyorchese nata sin dal 1789 e scioltasi negli anni ’60 del Novecento, collegata al Partito Democratico,

dedita a svariate forme di assistenza, per lo più clientelare, agli immigrati. 112 Carl Voss, Let Stephen Wise speak for himself, 1968 113 Moshe Gottlieb, The Anti-Nazi Boycott Movement in the American Jewish Community 1933 - 1941, 1967

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I boicottaggi non hanno quasi mai successo. La maggior parte delle persone pensano di avere fatto abbastanza quando hanno smesso di comprare i prodotti, ma un boicottaggio può funzionare solo se c’è una solida organizzazione capace di disturbare seriamente il commercio. La responsabilità del fallimento nel costruire questo movimento riguarda molti: sia ebrei che non-ebrei. Certamente i capi sindacali che promisero di opporsi a Hitler, ma non fecero nulla per mobilitare le loro sezioni, furono in larga misura responsabili dell’assenza di una seria campagna di boicottaggio. Certamente quei gruppi ebraici come Jewish War Veterans, Anti-Nazi League e American Jewish Congress furono inefficaci, ma ve ne furono altri nella comunità ebraica in America e Inghilterra che si opposero all’idea stessa di boicottaggio. L’American Jewish Committee, il B’nai B’rith114 e il Board of Deputies of British Jews rifiutarono di sostenere il boicottaggio. Essi temevano che se i lavoratori ebrei, e altri con loro, avessero fatto propria l’idea di combattere Hitler, forse sarebbero rimasti attivi e si sarebbero rivoltati anche contro i ricchi di casa loro. Questi benemeriti si limitarono a iniziative caritatevoli verso gli ebrei tedeschi e i loro rifugiati, pregando affinchè l’hitlerismo non si espandesse. L’Agudas Israel (Unione di Israele), il braccio politico dell’ala più radicale del tradizionalismo ortodosso, si oppose al boicottaggio per motivi religiosi. Essa proclamò che fin da quando l’antico regno ebraico era stato distrutto dai Romani, il Talmud aveva vietato agli ebrei della diaspora di ribellarsi all’autorità dei gentili; interpretò il boicottaggio come una ribellione, dunque vietandolo. Ma di tutti gli oppositori ebrei all’idea del boicottaggio, il più importante fu la World Zionist Organisation (WZO). Non solo essa comprava i prodotti tedeschi; essa li vendeva, e pure procurò nuovi clienti a Hitler e agli industriali suoi sostenitori.

Il fascino dell’idea di consanguineità

La WZO vide la vittoria di Hitler allo stesso modo della sua affiliata tedesca, la Zionistische Vereinigung fur Deutschland (ZVD): non una sconfitta per tutti gli ebrei, ma una prova tangibile della bancarotta dell’assimilazionismo e del liberalismo. L’ora si avvicinava. I sionisti iniziarono a parlare da nostalgici del passato: Hitler era il basto della storia che avrebbe ricondotto i recalcitranti ebrei alla loro origine e alla loro terra. Un sionista appena convertito, l’allora celeberrimo scrittore Emil Ludwig, fu intervistato da un suo compagno ed espresse l’atteggiamento generale del movimento sionista:

‘Hitler sarà dimenticato in pochi anni, ma per lui vi sarà un bel monumento in Palestina. Tu sai’ – e qui lo storico sembrò assumere il ruolo di un antico patriarca – ‘l’avvento dei nazisti è stato davvero qualcosa di positivo. Molti dei nostri ebrei tedeschi oscillavano tra due sponde; molti di loro cavalcavano le infide correnti tra Scilla (l’assimilazione) e Cariddi (l’accettazione della loro ebraicità). Migliaia, che sembravano essere completamente perduti all’ebraismo, sono stati riportati a riva da Hitler, ed è per questo che io personalmente gli sono molto grato’.115

Ludwig era un nuovo arrivato nel movimento, ma la sua visione era in completo accordo con

quella di alcuni veterani come il celebre Chaim Nachman Bialik, ritenuto uno dei “poeti laureati” di Sion. Per la sua reputazione, le sue affermazioni furono ampiamente diffuse sia dal movimento sionista che dai suoi avversari di sinistra. La costante preoccupazione del poeta era stata la rottura dell’unità ebraica rappresentata dal declino della fede religiosa tradizionale, e ora egli non poteva nascondere la felicità poiché Hitler era venuto giusto in tempo per salvare gli ebrei dall’autodistruzione.

L’hitlerismo, avverte il poeta, ha reso quasi un servigio non facendo distinzione tra ebrei religiosi ed ebrei apostati. Se Hitler avesse fatto eccezione per gli ebrei battezzati, avremmo assistito, sostiene Bialik, allo spettacolo poco edificante di migliaia di ebrei che accorrevano alle fonti battesimali. L’hitlerismo ha forse salvato l’ebraismo tedesco, che stava assimilandosi fino all’annichilimento. Nello stesso tempo esso ha reso il mondo talmente consapevole della questione ebraica, da non poterla più ignorare.116

114 Congregazione di ebrei religiosi, conservatori e assimilazionisti. 115 Canadian Jewish Cronicle, ottobre 1935. 116 New Palestine, 11 dicembre 1933, p.7.

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Bialik, come molti altri sionisti, pensava agli ebrei come una specie di super-razza; se solo essi fossero tornati a se stessi e avessero smesso di perdersi dietro a un’umanità ingrata, e avessero iniziato a lavorare nella loro vigna.

Infatti è pressoché vero che il giudaismo, diffondendosi in tutte le nazioni, ha veramente

minato le vestigia di quella specie di idolatria…ma forse l’azione più forte in questo processo viene dai nostri ebrei “apostati” o “assimilati” di tutti i tipi, che si sono introdotti nel corpo della Cristianità e ne hanno contaminato i visceri, e lentamente hanno corroso le vestigia del paganesimo con la loro volontà e il loro sangue ebraico. Anche io, come Hitler, credo nel potere dell’idea di consanguineità. Questi furono gli uomini (anche se spesso i nomi di grandi non-ebrei sono stati citati al loro posto) che spianarono la strada ai grandi movimenti di liberazione in tutto il mondo: Rinascimento, Liberalismo, Democrazia, Socialismo e Comunismo…Gli antisemiti talvolta vedono molto chiaro. L’influenza ebraica è infatti stata notevole in tutte queste circostanze; non dobbiamo negarlo.117

Comunque, nel 1934 il sionismo era un movimento che coinvolgeva più di un milione di persone

a livello mondiale, e non tutti costoro accettavano l’idea calata dall’alto che Hitler fosse un vantaggio per gli ebrei. Alcuni, come il rabbino americano Abraham Jacobson, protestarono contro questa assurda concezione, che era ancora assai diffusa ancora fino al 1936:

Quante volte abbiamo sentito l’empio auspicio, espresso a causa del disinteresse degli ebrei americani per il sionismo: “Che Hitler arrivasse anche da loro! Così si renderebbero conto della necessità della Palestina!”118

Primi contatti coi nazisti

Di certo la WZO era pronta a utilizzare i nazisti per i suoi scopi. Le prime aperture ai nazisti furono compiute in maniera indipendente nel 1933 da un certo Sam Cohen, proprietario della Ha Note’a Ltd., un’azienda per l’esportazione di agrumi con sede a Tel Aviv. Ancora sotto il Cancelliere Bruning il governo tedesco aveva messo una tassa sui capitali che lasciavano il paese, e Cohen aveva proposto che gli emigranti sionisti fossero esonerati dal pagamento della tassa se acquistavano beni in Germania che poi sarebbero tornati indietro sotto forma di denaro una volta venduti in Palestina. Bruning non accolse la proposta, ma nel 1933 Cohen di sua iniziativa ripresentò il piano. I nazisti erano preoccupati degli effetti che il boicottaggio, per quanto spontaneo e male organizzato, aveva sulla loro bilancia commerciale, e Heinrich Wolff, console tedesco a Gerusalemme, intuì subito quanto la proposta di Cohen poteva essere utile. Egli scrisse al suo ministro: “In questo modo sarebbe possibile condurre un’efficace campagna contro il boicottaggio ebraico verso la Germania. Sarebbe possibile aprire una breccia nel muro”.119

Gli ebrei, pensava, sarebbero stati messi in imbarazzo. Un ulteriore boicottaggio sarebbe stato visto come un’imposizione di problemi a emigranti che cercavano di trovare un posto dove vivere, in Palestina o altrove. A causa della propria collocazione, Wolff fu uno dei primi tedeschi a intuire la crescente importanza della Palestina nella vicenda ebraica, e in giugno scrisse nuovamente a Berlino:

Mentre in aprile e maggio l’Yishuv120 attendeva istruzioni per il boicottaggio dagli Stati Uniti, ora sembra che la situazione sia diversa. E’ ora la Palestina che dà le istruzioni…è importante interrompere il boicottaggio, prima e al più presto in Palestina, e gli effetti si vedranno presto sul fronte più importante, negli Stati Uniti.121

Ai primi di maggio i nazisti siglarono un accordo con Cohen per trasferire un milione di marchi di

ricchezza ebraica in Palestina sottoforma di macchinari agricoli. A questo punto la WZO intervenne. La Depressione aveva pesantemente ridotto le donazioni e nel marzo 1933 essi avevano scritto ai loro

117 Young Zionism, maggio 1934, p.6. 118 New Palestine, 3 aprile 1936, p.3. 119 David Yisraeli, The Third Reich and the Transfer Agreement, 1971 120 In ebraico “insediamento”, indicava genericamente gli ebrei presenti in Palestina ai primi del secolo. 121 David Yisraeli, The Third Reich and the Transfer Agreement, 1971

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seguaci in America avvertendo che se i fondi non fossero immediatamente ricresciuti sarebbero andati incontro a un collasso finanziario122. Allora Menachem Ussischkin, a capo del Jewish National Fund123, incaricò Cohen di organizzare lo sblocco delle riserve in denaro del JNF in Germania tramite la Ha Note’a. L’argomento convincente per i nazisti era che il contante era necessario a comprare la terra per gli ebrei che Hitler si apprestava a mandare via. Cohen inoltre assicurò a Wolff che avrebbe lavorato “dietro le quinte, all’imminente conferenza di Londra, per indebolire o annullare qualunque risoluzione favorevole al boicottaggio”.124Il dottor Fritz Reichert, l’agente della Gestapo in Palestina, più tardi scrisse ai suoi superiori ricordando l’episodio:

La conferenza di Londra sul boicottaggio è stata intralciata da Tel Aviv poichè il capo del Transfer in Palestina, in stretto contatto con il consolato di Gerusalemme, ha inviato telegrammi a Londra. La nostra principale funzione in Palestina è stata di prevenire un’unificazione del mondo ebraico su posizioni ostili alla Germania…E’ consigliabile danneggiare la forza politica ed economica degli ebrei provocando divisioni tra i loro ranghi.125

Sam Cohen fu presto avvicendato in queste delicate trattative dal sionista laburista Chaim

Arlosoroff, segretario politico dell’Agenzia Ebraica, la sezione della WZO in Palestina. Arlosoroff era profondamente consapevole dei problemi del movimento. Nel 1932 egli si era reso conto che c’erano difficoltà ad attirare in Palestina abbastanza immigrati per superare il numero degli arabi, e che il capitale ebraico versato non era sufficiente. Hitler al potere significava la guerra entro dieci anni. Per sopravvivere in Palestina e risolvere il problema ebraico in quel periodo ci voleva un’azione rapida e decisa. Ora, egli pensò, il sionismo aveva il mezzo per risolvere i suoi problemi: con l’accordo britannico, potevano ottenere gli immigrati e i capitali necessari allargando il progetto di Cohen. In un articolo sulla Rundschau e in altre circostanze egli spiegò cinicamente che ciò poteva essere fatto soltanto in completa cooperazione con Berlino:

Naturalmente, la Germania non può esporsi al rischio di sconvolgere la propria bilancia valutaria e commerciale per venire incontro agli ebrei, ma si può trovare una via d’uscita per conciliare questi differenti interessi…sarebbe molto utile, lasciando da parte i sentimentalismi, giungere a un accordo con la Germania.

Il sedicente sionista-socialista quindi propose l’alleanza decisiva, un accordo tra sionisti, nazisti,

fascisti e impero britannico, per organizzare l’evacuazione dalla Germania:

Sarebbe anche possibile istituire una compagnia con la partecipazione dello stato tedesco e di altri partner europei, soprattutto inglesi e italiani, che potrebbe rapidamente liquidare le varie proprietà emettendo delle lettere di credito…(e creando)…un fondo di garanzia.126

Egli pensava che la sua idea capitasse a proposito, poiché l’opinione pubblica mondiale avrebbe

sostenuto un “approccio costruttivo alla questione ebraica in Germania”127. Sapendo che gli ebrei tedeschi non avrebbero voluto mettere i loro soldi nelle mani di Hitler, egli propose che fossero gli inglesi a scegliere il gestore del fondo. Il suo compagno Yitzhak Lufban più tardi scrisse che “Arlosoroff suggerì alcuni nomi, e il Segretario per le Colonie ne scelse uno”.128 Nella prima parte di maggio 1933, Arlosoroff e i nazisti arrivarono a una prima intesa sull’estensione degli accordi di Cohen. Egli andò nuovamente a Berlino in giugno, e tornò a Tel Aviv il 14 giugno. Due notti dopo fu ucciso per i suoi legami con i nazisti. Dell’uccisione si parlerà più avanti; qui è sufficiente dire che essa non rallentò l’intesa della WZO con i nazisti, e un patto nazi-sionista fu annunciato dai nazisti in tempo per il XVIII Congresso sionista, in agosto a Praga.

122 Palestine Drive to Continue, articolo in Israel’s Messenger, 1 maggio 1933 123 Fondo Nazionale Ebraico, creato nel 1901 come costola della WZO per acquistare e sviluppare la terra palestinese. 124 Werner Braatz, German commercial interests in Palestine, 1979 125 David Yisraeli, The Third Reich and the Transfer Agreement, 1971 126 Jewish Economic Forum, 1 settembre 1933, p.9 127 Labor Palestine, giugno 1933, p.9 128 Labor Palestine, giugno 1934, p.6

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La WZO giustifica il patto coi nazisti

L’ombra di Hitler dominò completamente il Congresso di Praga. I dirigenti della WZO sapevano che i nazisti erano interessati a un accordo e stabilirono di evitare di offendere la Germania, limitando al minimo la discussione su ciò che accadeva colà. Il regime come tale non fu condannato. Si invocò l’aiuto della Società delle Nazioni “nella lotta per ripristinare i diritti degli ebrei in Germania”, ma la richiesta si spense in un’interminabile discussione sull’emigrazione in Palestina129. Non fu varato nessun piano per far pressione sulla comunità internazionale, né fu chiesto alcun atto specifico da parte della Società delle Nazioni.

Il patto nazi-sionista venne reso pubblico il giorno prima della discussione su una risoluzione per il boicottaggio, e si può ritenere che i nazisti lo fecero per scoraggiare le aperture verso il boicottaggio. Il leader dell’ala destra revisionista, Vladimir Jabotinskij, parlò della questione del boicottaggio, ma non vi era alcuna possibilità che la sua proposta fosse ascoltata. Gli inglesi avevano arrestato diversi revisionisti per l’uccisione di Arlosoroff e il pubblico ministero fece le sue osservazioni in tribunale in concomitanza con il Congresso. Poiché i revisionisti avevano una storia di violenze contro i loro rivali, molti delegati erano convinti della loro complicità nell’uccisione di Arlosoroff. La loro sgradevole reputazione aumentò quando Jabotinskij si fece accompagnare nella sala del Congresso dalle sue camicie brune in formazione militare, inducendo la presidenza a vietare le uniformi nel timore che esse avrebbero provocato i compagni laburisti di Arlosoroff. L’appoggio di Jabotinskij al boicottaggio, e la sua opposizione al patto, furono liquidate come la levata di scudi di un terrorista nei confronti di una leadership moderata eletta democraticamente. La sua risoluzione fu sconfitta per 240 voti a 48.

Comunque, la bocciatura della risoluzione di Jabotinskij non significava necessariamente che i delegati fossero favorevoli a un accordo con Hitler e, quando i nazisti annunciarono che avevano siglato un accordo con i sionisti, in base al quale gli ebrei tedeschi potevano trasferire in Palestina tre milioni di marchi di propri averi sottoforma di prodotti tedeschi, molti congressisti liquidarono l’affermazione come una trovata propagandistica. Quando fu chiaro che l’accordo era reale, scoppiò un pandemonio. La dirigenza aveva completamente sbagliato i calcoli e si aspettava sinceramente che il patto avrebbe riscosso grande successo. Ora, vista la reazione ostile, provarono a difendersi mentendo su tutta la linea; il leader laburista Berl Locker affermò sfacciatamente: “L’esecutivo dell’Organizzazione Sionista Mondiale non ha avuto nulla a che fare con i negoziati che hanno condotto a un accordo con il governo tedesco”.130 Nessuno credette a questa plateale invenzione.

Molti delegati, in particolare gli americani, erano a favore del boicottaggio ma votarono comunque contro Jabotinskij, soprattutto perché capivano che la WZO era troppo preoccupata dalla Palestina per badare ad altre faccende. A quel punto Stephen Wise si rivolse alla dirigenza con un ultimatum: spiegare “come evitare che i sionisti tedeschi mettano in pratica l’accordo”. La sua domanda suscitò un’accesa discussione, per un’intera giornata, nel comitato politico.131 Alla fine i capi non osarono assumersi direttamente la responsabilità dell’ “Ha’avara”, o “Transfer” Agreement (Accordo di Trasferimento), e pretesero che esso fosse circoscritto alla Germania e al firmatario formale, la Banca Anglo-Palestinese. Ma, poiché quella banca era la loro banca, essi ebbero soltanto successo nel rendersi ridicoli, presso amici e nemici.

Il dibattito sul patto nazi-sionista continuò aspramente fino al 1935. L’Ha’avara crebbe rapidamente fino a diventare una struttura bancaria e commerciale con 137 addetti nella sua sede di Gerusalemme nel periodo massimo di attività. Le regole erano in costante cambiamento su pressione nazista, ma la sostanza dell’accordo era sempre la stessa: gli ebrei tedeschi potevano mettere denaro in una banca in Germania, e questo denaro era usato per comprare beni d’esportazione che venivano venduti al di fuori della Germania, di solito, ma non esclusivamente, in Palestina. Quando gli emigranti fossero finalmente giunti in Palestina, avrebbero ricevuto il denaro per i beni che avevano precedentemente acquistato, ora rivenduti. Le operazioni di Ha’avara riguardavano molti altri aspetti, ma in sostanza l’attrattiva per gli ebrei tedeschi era sempre la stessa: era il modo meno gravoso di trasferire ricchezza ebraica al di fuori della Germania. Naturalmente i nazisti dettavano le regole, e queste peggiorarono col tempo; nel 1938 mediamente un utente perdeva dal 30 al 50 per cento del

129 The New Judaea, settembre 1933, p.193 130 Jewish Daily Bulletin, 29 agosto 1933, p.4 131 Jewish Daily Bulletin, 1 settembre 1933 p.4

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suo denaro. Tuttavia, ciò era tre o anche cinque volte meglio delle perdite subite dagli ebrei quando il denaro prendeva altre destinazioni.132

Il tetto massimo nel piano di trasferimento era di 50mila marchi (20mila dollari o 4mila sterline) per ogni emigrante, il che rendeva l’Ha’avara poco attraente per gli ebrei più ricchi. Comunque tramite l’Ha’avara solo 40.419.000 dollari arrivarono in Palestina, mentre 650 milioni furono trasferiti negli Stati Uniti, 60 milioni in Inghilterra e altre grosse somme altrove. Ma se dal punto di vista della ricchezza degli ebrei tedeschi l’Ha’avara non fu decisiva, fu senza dubbio decisiva, anzi cruciale, per il sionismo. Circa il 60 per cento del capitale investito in Palestina tra l’agosto del 1933 e il settembre del 1939 provenne dall’accordo coi nazisti.133 In più, gli inglesi limitarono la quota annuale di immigrati ebrei, col pretesto della ridotta capacità di assorbimento economico del paese; ma i “capitalisti” (coloro che portavano più di 1000 sterline) erano ammessi oltre il limite. I 16.529 capitalisti furono una fonte addizionale di immigrati e un risultato economico per il sionismo. Il loro capitale generò un vero e proprio boom, dando alla Palestina una bolla di artificiosa prosperità nella nebbia della depressione mondiale.

Inizialmente la WZO provò a difendersi dalle accuse di anti-boicottaggio e collaborazionismo, insistendo che i trasferimenti dell’Ha’avara non interrompevano per davvero il boicottaggio, poiché la Germania non riceveva valuta estera per i suoi beni che erano tutti acquistati all’interno del paese. Ma Berlino presto domandò il pagamento per alcuni prodotti in valuta estera, e altrettanto presto la WZO iniziò a cercare nuovi clienti per la Germania in Egitto, Libano, Siria e Iraq. Alla fine i sionisti iniziarono a esportare arance in Belgio e Olanda usando navi tedesche134. Nel 1936 la WZO iniziò a vendere beni tedeschi in Inghilterra.135

La WZO non era interessata a combattere i nazisti, e ogni difesa del programma Ha’avara ne era una dimostrazione. Selig Brodetskij, uno dei membri dell’Esecutivo sionista e poi, nel 1939, presidente del British Board of Deputies, rimproverò il mondo per averla messa sotto accusa:

Il Congresso (di Praga n.d.t.) raggiunse un livello di confusione tale da “far resuscitare i morti”. Era molto facile usare parole forti, organizzare incontri, invocare boicottaggi, ma era molto più difficile parlare con calma e ragionare freddamente. Si diceva che le decisioni concernenti la Germania erano troppo vigliacche. No! Dei non ebrei potevano usare parole forti, ma gli ebrei no.136

Non erano i sionisti i traditori, erano tutti gli altri che erano fuori strada, o almeno così Moshe

Beilinson, uno dei principali sionisti laburisti, avrebbe voluto far credere. E non era al suo primo tentativo di collaborazione. Nel 1922 era stato uno dei delegati che impegnarono il sionismo italiano alla lealtà verso Mussolini. Egli ora provò a presentare una difesa teoretica del patto coi nazisti:

Dopo che le mura del Ghetto erano state abbattute, la principale arma di difesa dei nostri corpi e delle nostre vite fu la protesta…Tutte le nostre proteste nel corso dei decenni non ottennero di distruggere il regno della persecuzione, non solo nel vasto impero degli Zar, ma anche nella relativamente piccola Romania…

Il Congresso non ha “tradito”; esso ha trionfato. Non è stato “intimorito”; al contrario esso ha avuto il coraggio di iniziare una nuova politica ebraica…in verità, il 18esimo Congresso ha avuto il coraggio di distruggere la tradizione assimilazionista la cui caratteristica principale era dipendere dagli uni o appellarsi agli altri…per generazioni abbiamo combattuto attraverso le proteste. Ora abbiamo un’altra arma nelle nostre mani, un’arma forte, affidabile e sicura: il visto per la Palestina.137

La grande maggioranza degli ebrei si oppose all’Ha’avara. Questa non aveva difensori fuori

dalla WZO, e il commercio coi nazisti non era gradito da parte di molti dei suoi membri. La protesta cominciò a levare mentre il Congresso di Praga era ancora in corso. Il patto era estremamente sgradito in Polonia, dove gli ebrei temevano che non essendoci resistenza all’antisemitismo da parte dei loro vicini, i loro stessi avversari avrebbero iniziato a chiedere al governo polacco di imitare la

132 Mark Wischnitzer, To Dwell in Safety: The Story of Jewish Migration since 1800, 1948 133 Jewish Frontier, agosto 1974 134 Palestine Post, 14 novembre 9138, p.6 135 Yehuda Bauer, My brother's keeper; a history of the American Jewish Joint Distribution Committee, 1974 136 Zionist Record, 4 ottobre 1933, p.5 137 Labor Palestine, febbraio 1934, pp. 8-10

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Germania. In America e Gran Bretagna, che avevano entrambe una tradizione più o meno democratica, molti sionisti, inclusi i nomi più in vista del movimento, si opposero all’Ha’avara. Il carismatico rabbino di Cleveland, Abba Hillel Silver, fu uno dei primi a farsi sentire:

L’idea che gli ebrei in Palestina trattino di affari con Hitler, invece di domandare giustizia per gli ebrei perseguitati in Germania, è impensabile. Sembra di essere di fronte a una colossale bancarotta, per cui gli ebrei tentano di trarre in salvo i loro pochi averi.138

Le proteste arrivarono anche agli angoli più remoti della Terra. Il Jewish Weekly News di

Melbourne lamentò: “Ci renderanno gli zimbelli dei tedeschi, che potranno dire che quando tra gli ebrei c’è un conflitto tra gli affari e i sentimenti, gli affari vincono sempre”.139 Il rabbino Wise tornò sull’argomento innumerevoli volte. Nel settembre 1933 si riferì all’Ha’avara come al nuovo Vitello d’oro140 (“l’Arancia d’oro”) e ribadì: “Credo di esprimere il pensiero degli ebrei di tutto il mondo quando dico che ci fa orrore qualunque ebreo, dentro o fuori dalla Palestina, che si abbassi a fare qualunque accordo commerciale con i nazisti, per qualunque ragione!”141

In un discorso a una Conferenza Ebraica Mondiale a Ginevra nel 1934, Wise attaccò i laburisti che erano diventati la forza dominante del sionismo palestinese:

Un leader sionista in Palestina ha ripetuto più e più volte a Praga: la Palestina è prioritaria. Questa conferenza deve affermare chiaramente che, mentre la Palestina è prioritaria su tutti gli altri elementi della questione, la sua priorità cessa quando entra in conflitto con una legge morale superiore.142

Wise aveva visto il marcio nella WZO: la terra di Israele era diventata molto più importante dei

bisogni del popolo di Israele. Il sionismo laburista era divenuto, nel vero senso della parola, un culto utopico. Per esso “un ebreo nuovo nella sua antica terra” era l’unica strada per la nazione ebraica per continuare a esistere. Il popolo ebraico reale, i milioni di ebrei della diaspora, non erano altro che un bacino nel quale pescare giovani immigrati coi quali costruire il nuovo stato. La diaspora in quanto tale era condannata. O gli ebrei sarebbero stati allontanati, come in Germania, o assimilati, come in Francia.Con questa prospettiva distorta, per cui la sopravvivenza degli ebrei era legata al loro destino in Israele, i sionisti furono spinti a trafficare ancora di più coi nazisti per realizzare i loro piani.

Alla fine del 1933 essi provarono a far rivivere la banca per la liquidazione su vasta scala ipotizzata da Arlosoroff. Weizmann incaricò Cohen di proporre al ministro degli esteri tedesco che lui, già presidente del movimento, ora direttore dell’Ufficio Centrale per l’Insediamento degli Ebrei Tedeschi, poteva venire a Berlino per discutere il programma di liquidazione, ma i nazisti non vollero invitarlo.143 Essi erano sempre meno interessati a fare accordi coi sionisti di quanto i sionisti lo fossero con loro. I nazisti avevano raggiunto i loro scopi, i sionisti avevano interrotto il boicottaggio e non davano segni di resistenza nei loro confronti; per il momento andava bene così. Ma neppure quel rifiuto fece desistere Weizmann. Un anno e mezzo dopo, il 3 luglio 1935, egli scrisse a Arthur Ruppin, direttore del Colonization Department in Palestina, e uno dei più convinti sostenitori di ulteriori legami coi tedeschi:

Il dottor Moses, ho sentito, ha preso contatti con il Ministro dell’Economia Nazionale del Reich e, secondo quanto emerso dai colloqui, gli ha sottoposto un memorandum che chiede che eventuali ulteriori esportazioni in Inghilterra, se richiesto dai nostri amici in Germania, siano usati in favore degli emigranti da 1000 sterline.144

Weizmann proseguiva chiarendo che la risoluzione del Congresso di Praga a proposito della

lotta per i diritti degli ebrei tedeschi era soltanto sulla carta. Egli parlò di Praga in riferimento all’imminente Congresso di Lucerna:

138 Jewish Daily Bulletin, 30 agosto 1933, p.4 139 Jewish Weekly News, 10 novembre 1933, p.5 140 Nella Bibbia il vitello d’oro è l’idolo adorato peccaminosamente dagli ebrei in assenza di Mosè. 141 New York Times, 9 settembre 1933, p.5 142 World Jewry, 24 agosto 1934, p.395 143 Werner Braatz, German commercial interests in Palestine, 1979 144 Chaim Weizmann, The Letters and Papers, 1898 - 1952

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So bene che al Congresso di Lucerna si può sorvolare e non dare notizie sulla questione

degli ebrei tedeschi, così come fece il Congresso di Praga…mi permetto di dubitare del fatto che qualcuno, specialmente gli ebrei tedeschi e i sionisti tedeschi, possa trarre vantaggio se la questione degli ebrei tedeschi fosse trattata approfonditamente, soprattutto in un rapporto speciale. Ciò non porterebbe un beneficio, specialmente oggi che c’è la possibilità che il mondo riesca a mettersi d’accordo con la Germania. Anzi, ritengo possibile che un tale rapporto possa diventare pericoloso per l’unica cosa positiva che abbiamo in Germania, ovvero la crescita del movimento sionista…Noi, essendo un’Organizzazione Sionista, dovremmo concentrarci su una soluzione costruttiva della questione tedesca, attraverso il trasferimento della gioventù ebraica dalla Germania alla Palestina, piuttosto che sulla questione dei diritti degli ebrei in Germania.145

“Costruttivo”, si ricorderà, era uno degli aggettivi preferiti da Weizmann; dopo la Prima Guerra

Mondiale egli aveva assicurato ai capitalisti a Versailles che il sionismo era costruttivo, diversamente dal comportamento di quegli ebrei che coltivavano “tendenze distruttive”. Un pensiero “costruttivo” nei confronti di Hitler era una novità straordinaria per un ebreo, ma naturalmente il Grande Sionismo era assai al di sopra della mentalità ebraica ordinaria. L’amico di Weizmann, il tedesco Ruppin, fu un buon esempio in proposito. Deciso a migliorare la razza ebraica, era lui che si occupava di guidare i giovani della classe media nelle “costruttive” fatiche nel salutare boden146 ebraico. Nel suo libro del 1934, Gli ebrei nel mondo moderno, espresse apertamente la linea conciliatoria del movimento sionista. Nel libro diceva agli ebrei, ancora una volta, che era colpa loro se le cose erano andate così, e li ammoniva:

Uno sforzo per una risoluzione pacifica del problema sarebbe stato possibile se…gli ebrei…avessero ammesso che la loro peculiare posizione fra i tedeschi doveva per forza condurre a conflitti, aventi origine nella natura umana, impossibili da rimuovere con argomenti razionali. Se entrambe le parti avessero compreso che la situazione presente non è dovute a cattiva volontà ma alle circostanze, che sono maturate indipendentemente dalla volontà delle parti, non sarebbe stato necessario cercare la soluzione del problema ebraico in un’orgia di odio sfrenato.

La sua teoria del “fraintendimento” arrivava ad una logica conclusione: “C’è bisogno di

intermediazioni e soluzioni parziali per arrivare a un modus vivendi”.147 Lewis Namier, ex segretario politico dell’Agenzia Ebraica nel 1929-31 e importante storico

dell’aristocrazia inglese, aveva scritto la prefazione al libro di Ruppin. Alcuni noti sionisti, incluso Nahum Goldmann, consideravano Namier un ebreo profondamente antisemita.148 Nella sua devozione verso la nobiltà, egli disprezzava gli ebrei in quanto personificazione del capitalismo, del volgare “commercio”. Come ci si potrebbe attendere, la sua introduzione conteneva la sua “interpretazione” dell’antisemitismo: “non tutti coloro che provano fastidio nell’avere a che fare con noi devono essere chiamati antisemiti, e non c’è nulla di necessariamente e intrinsecamente malvagio nell’antisemitismo”.149 La bozza originaria del testo era anche più esplicita. Weizmann l’aveva letta e si sentì in dovere di avvertire Namier di non essere così esplicito nell’esprimere la mutua tolleranza verso il nazismo:

A pag.6 le righe “ma ciò che era accaduto” etc…sottolineate a matita mi sembrano pericolose, anche se condivido la tua conclusione. E’ un libro di Ruppin con una tua prefazione e in Germania verrà valutato e gli zoticoni diranno “gli ebrei stessi pensano che andrà tutto bene”, etc. Io toglierei quella parte se possibile.150

145 Chaim Weizmann, The Letters and Papers, 1898 - 1952 146 Terra. In tedesco nel testo. 147 Arthur Ruppin, The Jews in Modern World, 1934 148 Nahum Goldmann, Autobiography, 1969 149 introduzione di Lewis Namier a Arthur Ruppin, The Jews in Modern World, 1934 150 Weizmann, To Lewis Namier, 1 ottobre 1933, The Letters and Papers

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Queste erano le posizioni dei leader del movimento sionista nel 1935 quando si riunirono a Lucerna, come sempre in estate, per il loro Congresso. Mentre pubblicamente negavano di avere a che fare con l’Ha’avara, segretamente stavano facendo il possibile per estenderlo. Sotto tutti gli aspetti i loro pensieri e la loro politica erano in contrasto con la stragrande maggioranza degli ebrei nel mondo.

“Provare a cogliere da essa il massimo vantaggio, nel senso sionista”

La leadership della WZO doveva ancora fronteggiare una battaglia interna sull’Ha’avara e sull’atteggiamento da tenere verso i nazisti. Jabotinskij e i suoi revisionisti erano usciti dalla WZO, ma un gruppo di suoi seguaci – ora denominati Judenstaat Partei (Partito dello Stato ebraico) era rimasto leale alla WZO e chiedeva l’annullamento dell’Accordo. Diversi giornalisti descrissero il breve ma acceso dibattito al Congresso del 1935. Il Canadian Zionist riportò che:

Si votò e la mozione di mr. Grossman (per un dibattito se la banca anglo-palestinese avesse provocato l’arresto di attivisti che protestavano contro l’uso di cemento tedesco) fu sconfitta. Dopodichè vi furono forti grida ironiche di “Heil Hitler” da parte di alcuni sostenitori di Grossman. Ciò provocò un pandemonio.151

Paul Novick, l’editore del quotidiano dei comunisti americani, il Morgen Freiheit, riportò che “I

delegati dell’Histadrut risposero a tono, gridando gli attivisti dello Judenstaat: ‘agenti di Schuschnigg’ (cioè agenti del fascismo italo-austriaco)”.152

La politica dell’Esecutivo verso Hitler ebbe strenui difensori al Congresso. Una difesa di carattere generale fu presentata da Moshe Shertok153, che era succeduto ad Arlosoroff come segretario politico dell’Agenzia Ebraica. L'uomo che poi divenne il secondo Primo ministro di Israele arringò duramente i delegati, e il mondo ebraico che udiva, dicendo che dovevano accettare il fatto che:

Il popolo ebraico non aveva speranza maggiore, per il successo nella sua lotta per la sopravvivenza, che la costruzione di Eretz Israel, e bisognava accettare le conseguenze di ciò. Si imitavano le proteste e i boicottaggi effettuati da altri popoli, ma si dimenticava che queste misure erano espressione della forza di quei popoli, mentre il movimento sionista doveva ancora creare una propria forza.154

Dopo il Congresso alcuni dei più importanti propagandisti della strategia della WZO furono gli

shliachim, o emissari, inviati dalla Palestina in giro per il mondo dai sionisti laburisti. Enzo Sereni, esponente del movimento sionista italiano, era stato l'emissario in Germania nel 1931-32, ma non aveva fatto nulla nè per mobilitare gli ebrei tedeschi nè per sostenere la SPD nella sua battaglia contro i nazisti. Sereni era uno di coloro che vedevano Hitler come una frusta che avrebbe spinto gli ebrei verso il sionismo. Una volta egli disse a Max Ascoli, un attivista antifascista italiano, che "l'antisemitismo di Hitler poteva portare alla salvezza degli ebrei".155 Al Congresso di Lucerna egli fu un vigoroso esponente dell'idea della priorità della Palestina:

Non abbiamo nulla di cui vergognarci nel fatto che abbiamo usato la persecuzione degli

ebrei in Germania per l’edificazione in Palestina…fare uso delle catastrofi della popolazione ebraica della diaspora per edificare.156

Ma l'esempio di gran lunga migliore della non volontà della leadership di resistere ai nazisti fu

l'affermazione di Weizmann:

151 Canadian Zionist, settembre 1935, p.8 152 Paul Novick, Zionism Today, 1936 153 Shertok cambiò poi nome in Sharett. 154 New Palestine, 20 settembre 1935, p.24 155 Ruth Bondy, The Emissary: A Life of Enzo Sereni, 1973 156 Paul Novick, Zionism Today, 1936

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L'unica risposta dignitosa ed efficace a tutto ciò che viene inflitto agli ebrei tedeschi è l'edificio eretto dal nostro grande e meraviglioso lavoro nella Terra d'Israele...Stiamo creando qualcosa che trasformerà il dolore che tutti soffriamo in canzoni e leggende da tramandare ai nostri nipoti.157

La direzione manovrò affinchè ogni seria discussione sulla resistenza al nazismo fosse tenuta

fuori dalla sala del Congresso, e il nome di Wise fu cancellato dalla lista degli oratori per paura che attaccasse Hitler. Egli minacciò di abbandonare il Congresso se non gli fosse stata data la parola e, poichè il Congresso non poteva permettersi che il sionista americano più famoso se ne andasse dopo una controversia, alla fine lo lasciarono parlare. Egli si alzò, disse che era contrario a Hitler (un'affermazione che difficilmente avrebbe attirato l'attenzione in qualunque consesso) e si sedette. Lui e Padre Hillel Silver in realtà si erano limitati a poco più che delle chiacchiere sul boicottaggio, e nel 1935 non c’era nulla in America che assomigliasse a un’effettiva organizzazione di boicottaggio. In pratica, essi non avevano nessun programma alternativo per una resistenza effettiva; a quel punto, con l’attenzione puntata sulla Palestina come rifugio per gli ebrei tedeschi, essi si arresero a Weizmann e accettarono l’Ha’avara, e dopo il Congresso di Lucerna non vi furono mai più grosse differenze tra loro e il resto del movimento. Alla fine l’unica protesta ufficiale contro l’hitlerismo fatta dal movimento fu la cancellazione di una delle sessioni del congresso (mezza giornata di lavoro): un gesto insignificante.

Weizmann ebbe davvero poche difficoltà a far accettare formalmente l’Ha’avara, ma l’opposizione riuscì a limitare una delle sue attività. Una sussidiaria dell’Ha’avara, la Near and Middle East Commercial Corporation (NEMICO), era stata istituita per trovare nuovi clienti per la Germania in Medioriente. La federazione sionista egiziana aveva minacciato di sollevare uno scandalo se la WZO non vi avesse messo fine, e nell’interesse di preservare il progetto generale la leadership, riluttante, dovette rinunciare all’operazione NEMICO.

La capitolazione degli americani non riuscì a zittire l’opposizione ebraica altrove. Le critiche sulla carta stampata furono immediate. La londinese World Jewry, la migliore rivista sionista in lingua inglese, criticò aspramente il Congresso: “Il dottor Weizmann è arrivato a proclamare che la sola risposta degna che gli ebrei possono dare è un rinnovato sforzo per la costruzione della Palestina. Quale spavento tale proclama del presidente del Congresso deve aver suscitato nei signori Hitler, Streicher e Goebbels!”158

La stampa non ufficiale sionista in Inghilterra condivideva il crescente sentimento popolare per cui la guerra con Hitler era inevitabile, e non poteva comprendere la totale assenza di serie discussioni sul nazismo al Congresso. Il corrispondente della World Jewry descrisse l’assise come stranamente deprimente: “Abbiamo un’agenda che corrisponde al consiglio d’amministrazione di una società a responsabilità limitata, piuttosto che a un consesso nazionale che ha in mano il destino di una nazione”.159 Anche il Jewish Cronicle, da sempre portavoce dell’establishment ebraico, era sullo stesso tono: “I lavori erano noiosi quasi come un dibattito all’ufficio per le Colonie della Camera dei Comuni al venerdi mattina”.160 Esso si sentì in dovere di condannare le decisioni in merito all’Ha’avara:

E’ uno spettacolo sconcertante per quel mondo sulla cui simpatia noi contiamo, e sconcertante per gli ebrei per i quali il boicottaggio è una delle poche armi a disposizione, e che ora si vedono abbandonati da quel movimento di cui hanno più che mai il diritto di pretendere l’alleanza nella loro battaglia.

In America l’opposizione all’Ha’avara fu particolarmente intensa tra i sindacati dell’industria

dell’abbigliamento, con le sue centinaia di migliaia di lavoratori ebrei. La maggioranza dei leader dei lavoratori ebrei avevano sempre guardato al sionismo con disprezzo. Molti di loro venivano dalla Russia e sapevano del fatidico incontro del 1903 tra Herzl e Plehve e di come il loro vecchio nemico Zubatov avesse messo i sionisti di Poale Zion contro il Bund. Per quanto ne sapevano l’Ha’avara era un altro dei vecchi trucchi del sionismo, e nel dicembre 1935 Baruch Charney Vladeck, il coordinatore del Comitato dei Lavoratori Ebrei, egli stesso ex bundista polacco, partecipò a un dibattito con Berl Locker, responsabile organizzativo di Poale Zion in Palestina, davanti a un’enorme folla a New York.

157 Barnett Litvinoff, Weizmann. The Last of the Patriarchs, 1976 158 World Jewry, 6 settembre 1935, p.1. 159 World Jewry, 30 agosto 1935, p.1 160 Jewish Chronicle, 20 settembre 1935, p.24

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Locker fu spinto subito sulla difensiva, e insistette che l’accordo era puramente nell’interesse degli ebrei tedeschi. Inoltre, disse, essi avrebbero trasferito i loro beni in Palestina per conto proprio, se non vi fosse stato nessun trattato. Poiché se non ci fosse stato il patto, assicurò, la situazione sarebbe stata molto peggiore, in questo senso: “La Palestina sarebbe stata presentata come un fait accomplì…L’Accordo di Trasferimento fa sì che il paese non venga invaso dalle merci tedesche, dal momento che i beni arrivano soltanto se ce n’è bisogno”.161

Vladeck non si fece mettere fuori gioco dal banale sotterfugio di Locker, e continuò il suo attacco. A New York i sionisti laburisti appoggiavano il boicottaggio e nello stesso tempo giustificavano l’Ha’avara in Palestina, e il vecchio bundista ridicolizzò il loro atteggiamento di tenere il piede in due staffe:

Tu potrai raccontarla fino al Giorno del Giudizio, ma questo è un doppio gioco dei più chiari. Nessuno dovrebbe interrompere il boicottaggio, tranne gli ebrei in Palestina! E nessuno accordarsi con la Germania, tranne l’organizzazione sionista!...Sono convinto che lo scopo principale del Trasferimento non è dare un rifugio agli ebrei tedeschi ma rafforzare le istituzioni in Palestina…la Palestina quindi diventa “crumiro ufficiale” contro il boicottaggio nel Vicino Oriente…quando le notizie sull’Accordo di Trasferimento vennero fuori per la prima volta…Berl Locker disse: “Neanche una delle agenzie sioniste ha a che fare con il Transfer”…Da questo io posso concludere in un solo modo: l’Accordo di Trafserimento è una porcheria nei confronti degli ebrei di tutto il mondo.162

Se la maggioranza degli ebrei si opponevano all’Ha’avara considerandola un tradimento, ce ne

fu almeno uno che volle arrivare al record di lamentare che Weizmann e soci non stavano facendo abbastanza. Gustav Krojanker, le cui opinioni sui nazisti sono state discusse nel capitolo 3, al tempo era uno dei leader della Hitachdut Olei Germania (l’Associazione degli Immigrati Tedeschi in Palestina), e nel 1936 l’associazione pubblicò il suo pamphlet, Il Transfer: una questione vitale del movimento sionista. Per lui il sionismo era soprattutto calcolo, nulla più, ed era più che deciso a trarre le conclusioni logiche insite nel patto nazi-sionista. Egli esortava a vedere il nazismo e le opportunità che esso apriva per il sionismo in una maniera autenticamente herzliana:

La sua analisi della situazione era priva di qualsiasi futile sentimentalismo; egli considerava due fattori politici – un’organizzazione del popolo ebraico da una parte, e i paesi coinvolti dall’altra. Essi dovevano essere parte di un patto.163

Krojanker rimproverava la leadership per non aver avuto il coraggio di sdoganare formalmente

l’Ha’avara già nel 1933. Per lui questa era stata una capitolazione a quella che considerava la “mentalità della diaspora”. Egli voleva che si andasse ben oltre:

Il movimento sionista avrebbe dovuto sforzarsi…di convincere il governo tedesco a stipulare un trattato tra pari, accettando la situazione e provando a cogliere da essa il massimo vantaggio, nel senso sionista.164

Egli insisteva che passo successivo fosse necessariamente aiutare i nazisti a rompere il

boicottaggio nella stessa Europa, attraverso l’estensione dell’Ha’avara. La Germania “potrebbe essere in grado di concludere accordi, se noi…ci preparassimo a estendere il sistema dell’Ha’avara ad altri paesi”.165 Ma la WZO non aveva bisogno dell’aiuto di Krojanker. Lui non sapeva che, segretamente, essa aveva deciso di fare proprio quello e ora, nel marzo 1936, le trattative guidate da Sigfried Moses avevano dato luce a Londra alla International Trade and Investment Agency (INTRIA), una banca per organizzare la vendita dei prodotti tedeschi direttamente in Inghilterra.166 I nazisti dovettero accontentarsi della soddisfazione di un ulteriore indebolimento delle forze del boicottaggio, mentre il timore dell’ostilità ebraica e britannica in generale verso i crumiri del boicottaggio non permisero all’INTRIA di far arrivare valuta inglese direttamente nelle mani tedesche. Invece, i beni erano

161 Call of Youth, gennaio 1936, pp. 3-12 162 ibidem, p.34 163 Gustav Krojanker, The Transfer: A Vital Question of the Zionist Movement, 1936 164 ibidem 165 ibidem 166 Yehuda Bauer, My brother's keeper; a history of the American Jewish Joint Distribution Committee, 1974

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comprati in marchi in Germania, e il loro valore accreditato agli ebrei possessori di capitale che necessitavano delle 1000 sterline richieste per emigrare in Palestina come fuoriquota. Le relazioni commerciali tra nazisti e sionisti continuarono poi a svilupparsi in vario modo. Nel 1937 200.000 casse di “arance d’oro” vennero inviate in Germania, e un altro mezzo milione nel Paesi Bassi a bordo di navi battenti la bandiera uncinata.167 Anche dopo la Notte dei Cristalli, la terribile notte del 9-10 gennaio 1938 quando i nazisti indossarono le camicie brune per devastare i negozi ebrei, il manager dell’Ha’avara Ltd., Werner Felchenfeld, continuò a offrire a prezzi ridotti la possibilità di usare le navi naziste. La sua unica preoccupazione era di rassicurare i dubbiosi che “non vi è competizione con le navi inglesi, in quanto questo accordo commerciale è valido per l’esportazione di agrumi verso i porti olandesi e belgi, mentre i porti inglesi sono espressamente esclusi”.168

“Ciò che conta in una tale situazione è la dirittura morale di un popolo”

Naturalmente furono i nazisti a trarre il maggiore guadagno dall’Ha’avara. Non solo il patto li aiutava ad allontanare molti ebrei in più, ma aveva un immenso valore all’estero, poiché forniva un fondamento logico a coloro che volevano ancora commerciare con i tedeschi. Il giornale di Sir Oswald Mosley169, la Blackshirt (Camicia Nera), ne era entusiasta:

Pensate che roba! Ci diamo la zappa sui piedi rifiutando di commerciare coi tedeschi per difendere i poveri ebrei. Ma gli ebrei stessi, nel loro stesso paese, vogliono continuare a fare preziosi affari coi tedeschi. I fascisti non possono usare argomento migliore per battere la propaganda negativa che vuole distruggere le amichevoli relazioni con la Germania.170

Una valutazione finale sul ruolo della WZO durante l’Olocausto non può essere fatta prima di

aver esaminato le altre interrelazioni tra i sionisti e i nazisti; tuttavia, si può certamente tentare un giudizio preliminare sull’Ha’avara. Tutte le giustificazioni per cui esso salvò delle vite non vanno affatto prese in seria considerazione. Nessun sionista negli anni ’30 pensava che Hitler avesse intenzione di sterminare gli ebrei tedeschi o europei, e nessuno provò a difendere l’Ha’avara in questi termini durante il suo svolgimento. La giustificazione fu che esso salvava ricchezza, non vite. Infatti, al massimo, esso aiutò economicamente alcune migliaia di ebrei, permettendo loro di entrare in Palestina dopo che l’Inghilterra aveva introdotto le quote, e indirettamente fornì un’opportunità ad altri stimolando la crescita dell’economia palestinese. Ma qualunque sincero oppositore del nazismo capì che una volta che Hitler aveva preso il potere e teneva gli ebrei tedeschi tra i suoi artigli, la lotta contro di lui non poteva essere frenata da una preoccupazione per il loro destino. Essi erano essenzialmente prigionieri di guerra. La battaglia doveva continuare. Naturalmente nessuno augurava a questi sventurati più sofferenze del necessario, ma bloccare la campagna contro il nazismo per la preoccupazione verso gli ebrei tedeschi avrebbe soltanto accelerato la marcia di Hitler nel resto d’Europa. Mentre la WZO stava salvando le proprietà o, più precisamente, una parte delle proprietà della borghesia ebraica tedesca (il “popolo delle 1000 sterline”), migliaia di tedeschi – inclusi molti ebrei – stavano combattendo in Spagna contro la Legione Condor dello stesso Hitler e l’esercito fascista di Franco. L’Ha’avara certamente favorì i nazisti in quanto demoralizzò gli ebrei, alcuni dei quali erano sionisti, inducendoli a illudersi che fosse possibile arrivare ad una sorta di modus vivendi con Hitler. Esso demoralizzò anche i non-ebrei, che vedevano che un movimento ebraico mondiale si apprestava a scendere a patti con il nemico. Certamente l’Ha’avara distolse il movimento sionista, allora forte di circa un milione di membri, dal fronte della resistenza antinazista. La WZO non si oppose a Hitler, ma cercò di collaborare con lui e, come si può vedere dalle proposte di Arlosoroff e Weizmann per una banca di liquidazione, solo il rifiuto dei nazisti di estendere la collaborazione impedì un accordo ancora più vasto. A quei sionisti, come la World Jewry, che provarono a opporsi a Hitler, va mossa una severa critica per il loro fallimento nel creare una efficace struttura di boicottaggio, fra gli ebrei o anche fra i sionisti, ma almeno va loro riconosciuta una certa levatura morale in quanto provarono a fare qualcosa per attaccare i nazisti. Per contro Weizmann, Shertok e i

167 Palestine Post, 14 novembre 1938, p. 6 168 Palestine Post, 17 novembre 1938, p. 6 169 Fondatore nel 1932 della British Union of Fascists. 170 Citato in Jewish Daily Bulletin, 6 febbraio 1935, p. 5

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loro compari non sono degni del minimo rispetto, anche se solo li mettiamo a confronto con gli altri sionisti, senza tener conto della posizione degli altri ebrei. Nella migliore delle ipotesi, si può dire di Weizmann e del suo genere che furono l’equivalente di Neville Chamberlain: un fallimento politico e morale. Dopo la guerra e l’Olocausto un contrito e pieno di rimorso Nahum Goldmann, mortificato per il proprio vergognoso ruolo durante l’epoca hitleriana, scrisse di un drammatico incontro che aveva avuto con il ministro degli esteri cecoslovacco, Edvard Benes. Il vivido resoconto di Goldmann del monito di Benes agli ebrei dice tutto ciò che c’è da dire sull’Ha’avara e sulla vergognosa rinuncia della WZO ad opporsi ai nazisti:

“Non capite” - gridò – “che reagendo soltanto con gesti timorosi, senza svegliare l’opinione pubblica e intraprendere vigorose azioni contro i tedeschi, gli ebrei stanno mettendo in pericolo se stessi e i loro diritti umani in tutto il mondo?”...Io sapevo che Benes aveva ragione…in questo contesto il successo era irrilevante. Ciò che conta in una tale situazione è la dirittura morale di un popolo, la sua capacità di reagire invece di lasciarsi inutilmente massacrare.171

171 Nahum Goldmann, Autobiography, 1969

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7. HITLER GUARDA AL SIONISMO

Il pensiero di Hitler sugli ebrei e sull’ebraismo è chiaramente espresso nel Mein Kampf. Nel suo testo programmatico del 1926, il futuro Fuehrer si sofferma a lungo nel dimostrare che il suo odio per gli ebrei era assai razionale, e che derivava dall’esperienza e da deduzioni logiche ricavate dall’evidenza dei fatti. Il padre, “il vecchio gentiluomo”, guardava all’antisemitismo come a un pregiudizio religioso residuale e così, apprendiamo, fece il brillante giovane Adolf. Fu solo dopo la morte della madre, e quando si trasferì dalla provinciale Linz a Vienna, che Hitler ebbe l’occasione di mettere in discussione le semplicistiche opinioni della sua giovinezza. Là egli girovagava per la città vecchia e incontrò un chassidista galiziano, “un’apparizione in caffetano nero e ciocche di capelli neri. Questo è un ebreo? Fu il mio primo pensiero”. Ma più pensava a ciò che aveva visto, più la sua domanda assumeva una nuova forma: “Questo è un tedesco?”172. E’ nel contesto delle sue prime riflessioni su cosa fosse per lui l’elemento centrale dell’esistenza, che introdusse il sionismo nel suo lavoro.

E per quali dubbi io possa aver avuto, essi furono dissipati dal comportamento di una parte degli stessi ebrei. Tra essi infatti vi era un grande movimento, piuttosto esteso a Vienna, che giunse direttamente a confermare il carattere nazionale degli ebrei: si trattava dei sionisti.

Sembrava, a dire il vero, che solo una parte degli ebrei approvasse questo punto di vista, mentre la maggioranza condannava e respingeva una tale teoria. Ma…i cosiddetti ebrei liberali non respinsero i sionisti in quanto non ebrei, ma soltanto in quanto ebrei con un modo poco pratico, forse pericoloso, per dichiarare pubblicamente la propria ebraicità.173

Questa affermazione di Hitler è la migliore prova del classico ruolo di lacchè dell’antisemitismo

svolto dal sionismo. Di che altro può avere bisogno una persona ragionevole, si chiederà il lettore? Comunque, prima del 1914 Hitler non ebbe bisogno di preoccuparsi oltre del sionismo, in quanto le prospettive di un nuovo stato ebraico erano molto remote. Furono la Dichiarazione Balfour, la sconfitta della Germania e la rivoluzione di Weimar che lo fecero ritornare col pensiero al sionismo. Naturalmente egli fece dei tre eventi un tutt’uno: cioè, i viscidi ebrei avevano mostrato il loro vero volto nel senso che accolsero la Dichiarazione Balfour e che furono i socialdemocratici, servi degli ebrei, a rovesciare il Kaiser; senza di loro la Germania avrebbe vinto la guerra. Nel 1919 Hitler si unì alla piccola formazione dei Socialisti Nazionali e divenne il loro ispirato demagogo nelle birrerie, ma l’ideologo dominante sul punto specifico della questione ebraica fu il rifugiato tedesco baltico Alfred Rosenberg, che aveva sviluppato le proprie teorie mentre viveva ancora nella nativa Estonia. Nel 1919 Rosenberg aveva già spiegato il sionismo nel suo libro, Die Spur des Juden im Wandel die Zeit (Le tracce degli ebrei nella storia). Per lui si trattava di un altro trucco ebraico: i sionisti volevano soltanto creare una via di fuga per la cospirazione ebraica internazionale. Gli ebrei erano per loro natura incapaci di costruire un proprio stato, ma egli comprendeva che l’ideologia sionista serviva perfettamente come giustificazione per privare gli ebrei tedeschi dei loro diritti e che, forse, vi era in futuro la possibilità di usare il movimento per la promozione dell’emigrazione ebraica. Hitler presto iniziò a lambire questi temi nei suoi discorsi, e il 6 luglio 1920 affermò che la Palestina era il posto adatto per gli ebrei e che soltanto laggiù essi potevano sperare di ottenere i propri diritti. Articoli che appoggiavano l’emigrazione in Palestina iniziarono ad apparire nell’organo del partito, il Volkischer Beobachter, dopo il 1920, e periodicamente i propagandisti del partito sarebbero tornati su quel punto, come fece Julius Streicher in un discorso pronunciato il 20 aprile 1926 davanti al parlamento regionale bavarese174. Ma per Hitler la validità del sionismo stava soltanto nella conferma, da esso fornita, che gli ebrei non avrebbero mai potuto essere tedeschi. Nel Mein Kampf scrisse:

Mentre i sionisti provano a far credere al resto del mondo che la coscienza nazionale degli ebrei trova soddisfazione nella creazione di uno stato in Palestina, gli ebrei

172 Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926 173 ibidem 174 Francis Nicosia, Zionism in National Socialist Jewish Policy in Germany, 1933-39, 1978

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astutamente prendono in giro gli ingenui gentili. A loro non entra in testa di costruire uno stato ebraico allo scopo di viverci; tutto ciò che vogliono è un’organizzazione centrale per i loro imbrogli internazionali, dotata di diritti sovrani e libera dall’intervento degli altri stati: un ritrovo per farabutti e un’università per imbroglioni in erba.175

Gli ebrei non avevano le caratteristiche razziali essenziali per costruire un proprio stato. Erano

essenzialmente sanguisughe, prive di idealismo naturale, e odiavano il lavoro. Hitler spiegava:

Perché una formazione statale possa avere uno spazio occorre sempre un approccio ideale da parte dello stato-razza, e specialmente un’interpretazione corretta del concetto di lavoro. Nella misura in cui questo approccio manca, ogni tentativo di creare, o anche preservare, uno stato delimitato spazialmente è destinato a fallire.176

A dispetto di qualunque ipotesi sull’efficacia del sionismo nel promuovere un’eventuale

emigrazione, i nazisti non fecero alcun passo per stabilire relazioni con i sionisti locali. Al contrario, quando il XIVmo Congresso Sionista Mondiale si riunì a Vienna nel 1925, i nazisti furono tra coloro che si ribellarono contro la loro presenza.177

L’appoggio nazista al sionismo

Hitler pianificò fin dall’inizio lo sterminio degli ebrei? I suoi primi pensieri in proposito si trovano nel Mein Kampf:

Se nel 1914 la classa operaia tedesca nel suo profondo fosse stata ancora composta da marxisti, la guerra sarebbe finita in tre settimane. La Germania sarebbe caduta ancor prima che il primo soldato avesse attraversato il confine. No, il fatto che il popolo tedesco stesse ancora combattendo provò che il difattismo marxista non era stato in grado di attecchire nel profondo. Ma nella misura in cui, nel corso della guerra, il lavoratore tedesco e il soldato tedesco ricaddero nelle mani dei leader marxisti, in quella misura essi furono perduti alla patria. Se all’inizio della guerra e durante la guerra dodici o quindicimila di questi ebrei corruttori del popolo fossero stati soffocati dai gas velenosi, come accadde sul terreno a centinaia di migliaia dei nostri migliori lavoratori tedeschi, il sacrificio di milioni di vite al fronte non sarebbe stato invano.178

Tuttavia, queste intenzioni non furono mai la base dell’agitazione popolare nazista prima della

presa del potere nel 1933. invece, i nazisti si concentrarono sulla critica agli ebrei, piuttosto che spiegare ciò che avrebbero loro fatto dopo la vittoria. Comunque, per decenni “ebrei in Palestina!” era stato lo slogan dell’antisemitismo europeo, e i propagandisti nazisti lo usavano nella loro attività. Nel 1932 il pezzo forte di una delle loro più grandi adunate antisemite, a Breslavia in Slesia, fu un enorme striscione che diceva agli ebrei: “preparatevi per la Palestina!”179. Durante il boicottaggio antiebraico del 1 aprile 1933, i picchetti davanti ai magazzini venivano distribuiti finti “biglietti di sola andata” per la Palestina ai passanti di aspetto ebraico180. Il manifesto ufficiale di lancio del boicottaggio nazista affermava che il sentimento antinazista all’estero era dovuto al “tentativo dell’ebraismo internazionale di attuare il progetto annunciato nel 1897 dal leader sionista Herzl, cioè sobillare i paesi stranieri contro qualunque nazione si opponesse agli ebrei”.181 Tuttavia, nulla di ciò era veramente serio; era piuttosto un’espressione di sordido antisemitismo. Finchè non fu giunto al potere, Hitler non manifestò alcuna seria intenzione di ciò che avrebbe fatto agli ebrei. Al di là della sua frase nel Mein Kampf, non c’è prova evidente che egli abbia detto ai suoi più vicini sottoposti ciò che alla fine progettò. Dopotutto, come sempre ebbe a lamentarsi in privato, l’uomo medio delle SS era, alla fine, debole e

175 Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926 176 ibidem 177 Francis Ludwig Carsten, Fascist Movements in Austria, 1977 178 Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926 179 Donald Niewyk, Socialist, Antisemite and Jews, 1971 180 Elizabeth Poretsky, Our Own People, 1969 181 Israel’s Messenger, 10 aprile 1933

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chiacchierone. Se tu avessi parlato di uccidere gli ebrei, egli sicuramente avrebbe accampato delle scuse per il suo “ebreo buono” e a quel punto? Inoltre, i capitalisti avevano i loro legami affaristici con gli ebrei all’estero, e c’erano le chiese e i loro scrupoli sull’assassinio. Hitler risolse il problema eludendolo, lasciando i singoli settori del partito e del governo a gestirlo come meglio credevano. Vi furono inevitabilmente scuole di pensiero contrastanti. Il puro terrore aveva diversi sostenitori, ma costoro erano molto osteggiati da altri che vedevano che gli ebrei erano molto inseriti nell’economia interna e avevano molti contatti all’estero. L’immediata imposizione dei ghetti aveva i suoi fautori, ma incontrò le medesime obiezioni. L’emigrazione era la soluzione immediata, ma dove? Non solo una massiccia emigrazione di ebrei avrebbe reso Berlino impopolare tra le altre capitali, ma cosa sarebbe accaduto dopo l’arrivo di così tanti ebrei in una qualunque delle maggiori città del mondo? Essi avrebbero sobillato altri, non solo ebrei, contro il Reich e i potenziali effetti sul commercio tedesco potevano essere devastanti. Fu in questo contesto che i sionisti, Sam Cohen della Ha’notea e la ZVD in Germania, comparvero con le loro proposte.

L’Ha’avara aveva alcuni evidenti vantaggi per i nazisti. Se gli ebrei fossero andati in Palestina non sarebbero stati in grado di coinvolgere altri ebrei. Infatti avrebbero avuto scarsa influenza laggiù, a causa del timore di peggiori conseguenze per i loro parenti in Germania se fosse stato fatto qualcosa per far cancellare l’Accordo di Trasferimento. Ma la funzione principale dell’Ha’avara Agreement fu quella di propaganda. I nazisti ora avevano qualcosa da mostrare ai loro detrattori all’estero che dicevano che non erano capaci di alcuna politica verso gli ebrei che non fosse la violenza fisica. In un comizio il 24 ottobre 1933 Hitler proclamò che lui era il benefattore degli ebrei, e non i suoi critici:

In Inghilterra si dice che le braccia sono aperte per accogliere tutti gli oppressi, specialmente gli ebrei che vengono dalla Germania…Ma sarebbe ancor più gentile se l’Inghilterra non facesse dipendere la sua accoglienza dal fatto di possedere mille sterline – l’Inghilterra dovrebbe dire: “chiunque può entrare” – come noi sfortunatamente abbiamo fatto per 30 anni. Se anche noi avessimo dichiarato che nessuno poteva entrare in Germania se non portando con sé mille sterline o più, oggi non avremmo affatto una questione ebraica. Così noi, gente semplice, ci siamo ancora una volta dimostrati migliori, meno forse nelle esternazioni, ma almeno nelle azioni! E ora siamo ancora così generosi che diamo al popolo ebraico una percentuale molto più alta della nostra dei beni che dividono per poter lasciare il paese.182

La Germania nazista considerava la volontà del Fuhrer alla stregua di una legge, e una volta

che Hitler si fu schierato, prese piede una politica dichiaratamente pro-sionista. Sempre in ottobre Hans Frank, allora ministro della giustizia della Baviera, poi governatore generale della Polonia, disse al congresso del partito a Norimberga che la migliore soluzione per la questione ebraica, sia per gli ebrei che per i gentili, era la Casa Nazionale in Palestina183. Ancora in ottobre, la Hamburg South-American Shipping Company iniziò un servizio diretto verso Haifa, trasportando “cibo rigorosamente kosher sulle sue navi, sotto la supervisione dei rabbini di Amburgo”.184 Gli ebrei potevano ancora partire verso qualunque destinazione, ma ora la Palestina divenne la soluzione preferita dai propagandisti per la questione ebraica. Comunque, i sionisti erano sempre ebrei, come Gustav Guenther della Scuola Educativa Tedesca precisò molto attentamente:

Così come ora noi abbiamo relazioni amichevoli con la Russia sovietica, benché la Russia, in quanto paese comunista, rappresenti un pericolo per il nostro Stato nazional-socialista, dovremmo assumere lo stesso atteggiamento verso gli ebrei, se loro si stabiliscono in un loro paese, benché sappiamo che saranno sempre nostri nemici.185

Se ciò non bastasse, un gioco per bambini, Juden Raus!, non lasciava alcuna illusione su come

i nazisti consideravano il sionismo. I pezzi erano piccoli pagliacci che indossavano copricapi ebrei medievali a pois; i giocatori li muovevano tirando un dado; vinceva il giocatore il cui ebreo per primo se ne andava “via in Palestina!” attraverso le porte di una città fortificata.186 Il sionismo era disprezzato

182 In Hitler’s Speeches 1922 – 1939, ed. 1942 183 Francis Nicosia, Zionism in National Socialist Jewish Policy in Germany, 1933-39, 1978 184 Zionist Record, 20 ottobre 1933, p. 15 185 Jewish Weekly News, 30 marzo 1934, p. 6 186 In The Wiener Library: its history and activities 1934-1945, 1946

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nella Germania nazista, ma i sionisti avevano disperato bisogno dell’appoggio nazista se volevano portare in Palestina il capitale di cui avevano bisogno, e si autoindussero a credere che l’Ha’avara e tutte le trattative sulla Palestina che seguirono avrebbero portato a qualcosa di simile a un accordo tra uomini di stato alla pari.

“Andrà loro il nostro saluto ufficiale”

Dal 1934 le SS erano diventate la componente del partito nazista più favorevole al sionismo. Altri nazisti le tacciavano di “debolezza” verso gli ebrei. Il barone von Mildenstein era tornato dalla sua visita di sei mesi in Palestina come caloroso simpatizzante del sionismo. A quel punto, da capo del dipartimento ebraico del Servizio di Sicurezza delle SS, iniziò a studiare l’ebraico e a collezionare oggetti ebraici; quando il suo ex collaboratore e guida, Kurt Tuchler, si recò nel suo ufficio nel 1934, fu salutato dal suono familiare di incisioni popolari ebraiche.187 C’erano mappe sulle pareti che mostravano la forte ascesa del sionismo in Germania188. Von Mildenstein passò dalle parole ai fatti: non solo scrisse favorevolmente a proposito di ciò che vide nelle colonie sioniste in Palestina, ma anche persuase Goebbels a pubblicare il resoconto in dodici puntate su Der Angriff (L’assalto), l’organo principale della propaganda nazista, dal 26 settembre al 9 ottobre 1934. Il soggiorno tra i sionisti aveva mostrato al funzionario SS “la strada per curare una ferita secolare nel corpo del mondo: la questione ebraica”189. Era davvero entusiasmante il fatto che un buon boden sotto i piedi ravvivasse così gli ebrei: “Il suolo ha trasformato loro e la loro gente in un decennio. Questi ebrei saranno un nuovo popolo190”. Per commemorare la spedizione del barone, Goebbels ebbe una medaglia: da un lato la svastica, dall’altro la stella sionista191.

Nel maggio 1935 Reinhardt Heydrich, allora a capo del Servizio di Sicurezza delle SS, poi l’infame “Protettore” di Boemia e Moravia incorporate nel Reich, scrisse un articolo, Il nemico visibile, per Das Schwarze Korps, l’organo ufficiale delle SS. In esso Heydrich espose le varie tendenze in seno all’ebraismo, confrontando gli assimilazionisti con i sionisti. La sua parzialità verso il sionismo non avrebbe potuto essere espressa in termini più chiari:

Dopo la presa del potere da parte nazista, le nostre leggi razziali diminuirono considerevolmente l’influenza degli ebrei. Ma…la questione si pone ancora: come possiamo riaffermare le nostre vecchie posizioni…Dobbiamo separare gli ebrei in due categorie…i sionisti e gli assimilazionisti. I sionisti adottano una rigida concezione razzista ed emigrando in Palestina lavorano per la costruzione del loro stato ebraico.

Heydrich augurò loro un lieto addio: “Non è lontano il tempo quando la Palestina potrà di nuovo

accogliere i suoi figli, perduti per più di mille anni. Insieme ai migliori auguri, andrà loro il nostro saluto ufficiale”.192

“E' stata una dolorosa eccezione per il sionismo essere scelto, esso soltanto, per dei favoritismi”

Le leggi di Norimberga del settembre 1935, i tocchi finali della legislazione anti-ebraica in Germania prima della Seconda Guerra Mondiale, furono difese dai nazisti in quanto espressione del loro filo-sionismo. Esse ebbero la tacita approvazione degli stessi "vecchi saggi" ebrei. Quando vennero varate - e non fu una coincidenza - tutti i periodici ebraici in Germania furono temporaneamente banditi, eccetto la Rundschau. Essa pubblicò gli articoli della legge con un commento di Alfred Berndt, caporedattore del German News Bureau. Berndt ricordò che solo due settimane prima tutti gli oratori al Congresso sionista mondiale a Lucerna avevano ripetuto che gli

187 Jacob Boas, The Jews of Germany: Self-Perceptions in the Nazi Era as Reflected in the German Jewish Press, 1977 188 Heinz Hohne, The Order of the Death's Head: The Story of Hitler's SS, 1967 189 Der Angriff, 9 ottobre 1934, p. 4 190 ibidem 191 Jacob Boas, A Nazi Travels to Palestine, 1980 192 Heinz Hohne, The Order of the Death's Head: The Story of Hitler's SS, 1967

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ebrei del mondo dovevano essere visti come un'entità separata, indipendentemente da dove vivessero. Quindi, spiegò, tutto quello che Hitler aveva fatto era andare incontro "alle richieste del congresso internazionale sionista rendendo gli ebrei tedeschi una minoranza nazionale"193.

Un aspetto delle leggi, ora dimenticato ma che all'epoca destò molta attenzione, fu il fatto che nel Terzo Reich da allora in poi fossero ammessi solo due bandiere, quella con la svastica e quella bianca e blu del sionismo. Ciò naturalmente entusiasmò la ZVD, che sperava si trattasse del segno di una possibile intesa con Hitler. Ma per molti sionisti all'estero si trattò di una bruciante umiliazione, ben espressa dall'angoscia dell'organo di Stephen Wise, il Congress Bulletin:

L'hitlerismo è il nazionalismo di Satana. La volontà di liberare il corpo nazionale tedesco dall'elemento ebraico ha condotto l'hitlerismo a scoprire la sua "affinità" con il sionismo, il nazionalismo ebraico della liberazione. Quindi il sionismo è divenuto l'unico altro partito legale nel Reich, la bandiera sionista l'unica altra bandiera ammessa nel paese. E' stata una dolorosa eccezione per il sionismo essere scelto, esso soltanto, per dei favoritismi e dei privilegi dalla sua controparte satanica.194

I nazisti furono conseguenti nel loro filosionismo anche in altri campi. Ora che gli ebrei erano

stati sistemati come un popolo separato con un suolo separato, non avrebbero anche dovuto avere una lingua separata? Nel 1936 venne aggiunto un altro elemento "nach Palestina" nelle misure repressive. La Jewish Frontier dovette tristemente informare i suoi lettori che:

Gli sforzi di recludere gli ebrei in un ghetto culturale hanno raggiunto un nuovo livello con la proibizione ai rabbini di usare la lingua tedesca nei loro sermoni della Channukah195. Questo in linea con le spinte da parte dei nazisti per costringere gli ebrei tedeschi a usare la lingua ebraica come mezzo culturale. quest'altra "prova" della cooperazione nazi-sionista viene ampiamente strumentalizzata dagli oppositori comunisti del sionismo.196

Clemenza nazista verso il sionismo

Nella primavera del 1934 fu sottoposto a Heinrich Himmler, Reichsfuehrer delle SS, un "Resoconto della situazione - Questione ebraica": secondo il suo staff la grande maggioranza degli ebrei si consideravano ancora tedeschi ed erano determinati a rimanere tali. Dal momento che non era possibile usare la forza, per timori di eventuali ripercussioni internazionali, il modo per piegare la loro resistenza era instillare in loro una distinta identità ebraica promuovendo scuole ebraiche, squadre sportive, la lingua ebraica, musica e arte ebraiche etc. Insieme ai centri di addestramento professionale sionisti, ciò avrebbe finalmente indotto i recalcitranti ebrei ad abbandonare il paese. Tuttavia questa sottile strategia non era abbastanza, poiché nonostante la pressione nei loro confronti i testardi ebrei avrebbero ricominciato a fare resistenza. La politica nazista allora si orientò verso un maggiore sostegno per i sionisti, cosicchè gli ebrei realizzassero che la strada per porre fine ai loro guai fosse unirsi al movimento. Tutti gli ebrei, inclusi i sionisti, erano oggetto di persecuzione in quanto ebrei, ma all’interno di questo schema era sempre possibile alleviare la pressione. In quest’ottica, il 28 gennaio 1935 la Gestapo della Baviera inviò una circolare alle forze di polizia secondo cui da allora in avanti: “i membri delle organizzazioni sioniste, data la loro attività diretta all’emigrazione in Palestina, non devono essere trattati con la stessa durezza dei membri di altre organizzazioni ebraiche”197.

I nazisti crearono complicazioni a loro stessi con la loro linea filosionista. La WZO necessitava del capitale degli ebrei tedeschi ben più di quanto gli ebrei tedeschi volessero. Essa operava entro il vincolo delle quote sull’immigrazione fissate dagli inglesi. Il suo maggior seguito era in Polonia, e se avesse dato troppi certificati di espatrio ai tedeschi, questo non sarebbe stato abbastanza per i suoi sostenitori in Polonia o altrove. Quindi i sionisti diedero solo il 22% dei certificati ai tedeschi durante gli anni ’30. Inoltre la WZO non era interessata alla grande maggioranza degli ebrei di Germania, poiché costoro non erano sionisti, non parlavano l’ebraico, erano troppo vecchi e, naturalmente, non

193 Margaret Edelheim-Muehsam, Reaction of the Jewish Press to the Nazi Challenge, 1960 194 Congress Bulletin, 24 gennaio 1936, p. 2 195 Festività ebraica che si celebra a inizio dicembre. 196 Jewish Frontier, gennaio 1937, p. 28 197 Kurt Grossmann, Zionists and Non-Zionists under Nazi Rule in the 1930s, 1965

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svolgevano le attività “giuste”. O l’emigrazione ebraica sarebbe stata diretta anche verso altri paesi, o la Germania sarebbe stata bloccata dagli ebrei che né lei né i sionisti volevano. La discriminazione nazista nei confronti degli ebrei non sionisti creava problemi a quegli enti internazionali come l’American Jewish Joint Distribution Committee, che provavano a procurare agli ebrei rifugi in paesi diversi dalla Palestina. Yehuda Bauer, uno dei più noti storici israeliani dell’Olocausto, ha scritto a proposito di una discussione su tali difficoltà tra due dirigenti del Joint Distribution Committee:

(Joseph) Hyman pensava che gli ebrei tedeschi avrebbero dovuto dichiarare che vi erano altre mete oltre alla Palestina, il che francamente era vero. (Bernard) Kahn era d’accordo, ma disse che i nazisti sostenevano il sionismo, dunque l’emigrazione in Palestina, perché esso consentiva la massima emigrazione di ebrei dalla Germania; dunque gli ebrei tedeschi non potevano fare alcuna dichiarazione pubblica a proposito di altri paesi. Ancor meno potevano rendere nota la decisione di mantenere istituzioni pubbliche in Germania. I nazisti avevano sciolto un’assemblea in Germania soltanto perché l’oratore aveva detto: “Dobbiamo provvedere sia a coloro che lasciano il paese sia agli ebrei che vogliono rimanere in Germania”198.

In pratica, le preoccupazioni naziste su dove gli ebrei dovessero andare scomparvero con

l’anschluss austriaca, che portò con sé così tanti ebrei che ulteriore attenzione alla loro destinazione avrebbe paralizzato il programma di espulsione. Nell’ottobre 1938 i nazisti scoprirono che i polacchi avevano intenzione di revocare la cittadinanza a migliaia di loro concittadini residenti in Germania. Essi dunque decisero di deportare immediatamente gli ebrei in Polonia per non essere poi bloccati da migliaia di ebrei apolidi. Fu questa deportazione a freddo che condusse alla violenza di massa della Notte dei Cristalli del novembre 1938.

La vicenda fu riportata, molti anni dopo, il 25 aprile 1961, al processo di Adolf Eichmann. Il testimone, Zindel Grynszpan, un uomo anziano, era il padre di Herszl Grynszpan che, disperato per la deportazione del padre in Polonia, aveva assassinato un diplomatico tedesco a Parigi fornendo ai nazisti il pretesto per la terribile Notte dei Cristalli. Il vecchio Zindel parlò della propria deportazione dalla sua casa di Hannover la notte del 27 ottobre 1938: “Ci misero in camion della polizia, furgoni per i prigionieri, circa 20 uomini per ogni mezzo, e ci portarono alla stazione ferroviaria. Le strade erano piene di gente che gridava: “Juden raus! Auf nach Palestina!”199

Il significato della testimonianza di Zindel fu completamente perduto nella massa di dettagli emersi nel corso del processo ad Eichmann. Quegli ebrei non erano inviati in Palestina, come chiedeva la folla nazista. E il pubblico ministero in quel tribunale di Gerusalemme non pensò mai di fare al vecchio Grynszpan una domanda che forse viene in mente anche a noi: “cosa pensò, cosa pensarono gli altri ebrei quando sentirono quel particolare grido venire dalla folla urlante?”. Zindel Grynszpan è morto da tempo, come molti, se non tutti, coloro che vissero quella notte infernale; non abbiamo risposta alla nostra domanda. Ma ciò che davvero conta è cosa veniva gridato, piuttosto che ciò che veniva pensato all’interno di quel furgone della polizia. Possiamo ragionevolmente ritenere che se la ZVD si fosse opposta all’ascesa del nazismo, se la WZO avesse mobilitato gli ebrei contro il Nuovo Ordine, se la Palestina fosse stata un bastione della resistenza al nazismo, i nazisti non avrebbero mai detto agli ebrei, neppure quella notte, che il posto per loro era la Palestina. Forse, allora, quel venerdi ad Hannover avrebbero gridato “Gli ebrei in Polonia”, oppure “morte agli ebrei”. Il fatto principale è che quella folla grido ciò che era stato proclamato dai servi di Hitler: “Gli ebrei in Palestina!”

I nazisti chiedevano un “comportamento più sionista”

Che i nazisti preferissero i sionisti agli altri ebrei, è un dato acquisito. Anche se Joachim Prinz forse rabbrividì quando scrisse il suo articolo del 1937, egli fu sincero quando dovette amaramente ammettere che:

Era molto difficile agire per i sionisti. Era moralmente disturbante apparire come i figli prediletti dal governo nazista, particolarmente quando esso sciolse i gruppi giovanili anti-

198 Yehuda Bauer, My brother's keeper; a history of the American Jewish Joint Distribution Committee, 1974 199 Hannah Arendt, Eichmann a Gerusalemme, 1961

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sionisti, e pareva preferire quelli sionisti. I nazisti chiedevano un comportamento più sionista.200

Il movimento sionista fu costantemente sotto severe restrizioni negli anni ’30. La

Rundschau fu bandita in almeno tre occasioni tra il 1933 e il novembre 1938, quando infine il regime chiuse la sede della ZVD dopo la Notte dei Cristalli. Dopo il 1935 agli emissari dei sionisti laburisti fu vietato l’ingresso nel paese, ma nonostante ciò ai leader sionisti palestinesi fu permesso di entrare in particolari occasioni; per esempio Arthur Ruppin ebbe il permesso di entrare in Germania il 20 marzo 1938 per intervenire a un raduno al chiuso a Berlino sugli effetti della rivolta araba del 1936 in Palestina. Di certo i sionisti ebbero molti meno problemi dei loro colleghi assimilazionisti del CV, e non c’è confronto con quanto dovettero subire i comunisti a Dachau mentre la Rundschau era diffusa nelle strade di Berlino.

Tuttavia, il fatto che i sionisti siano diventati i figli prediletti di Hitler difficilmente qualifica quest’ultimo come un nazionalista ebraico. Anche von Mildenstein, con tutti i suoi oggetti ebraici, accettò la linea di partito quando essa si volse al completo assassinio. Durante quel periodo, i nazisti giocarono col sionismo come il gatto col topo. Hitler non pensò mai che alcuno gli sarebbe sfuggito perché egli incoraggiava l’emigrazione verso la Palestina. Se gli ebrei fossero andati nella lontana America, non sarebbe stato in grado di prenderli e sarebbero sempre stati nemici dell’Impero Tedesco in Europa. Ma se invece si fossero recati in Palestina? “La’ - come un agente della Gestapo disse a un dirigente ebraico - vi potremo sempre acchiappare”201.

I sionisti non potevano neanche affermare di essere stati ingannati da Hitler; essi erano consapevoli della situazione. Le teorie di Hitler sul sionismo, inclusa la impossibilità congenita degli ebrei di realizzare uno stato, erano note in tutta la Germania sin dal 1926. I sionisti non tennero conto del fatto che Hitler odiava tutti gli ebrei, e che condannava in modo specifico anche la loro ideologia. Essi erano semplicemente dei reazionari, che ingenuamente decisero di concentrarsi sui punti di somiglianza tra loro stessi e Hitler. Convinsero se stessi che poichè anch’essi erano razzisti, contro i matrimoni misti, e credevano che gli ebrei fossero stranieri in Germania, e perché anch’essi si opponevano alla sinistra, che queste somiglianze fossero sufficienti perché Hitler li vedesse come i soli “partner onesti per un détente (processo di distensione) diplomatico”.202

200 Young Zionist, novembre 1937, p. 18 201 Lucy Dawidowicz, The War Against the Jews 1933 – 45, 1975 202 Jacob Boas, The Jews of Germany: Self-Perceptions in the Nazi Era as Reflected in the German Jewish Press, 1977

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8. PALESTINA: ARABI, SIONISTI, INGLESI E NAZISTI

Furono gli arabi, e non i sionisti, che costrinsero i nazisti a rivedere il loro orientamento filosionista. Tra il 1933 e il 1936 164.267 emigrati ebrei giunsero in Palestina; 61.854 soltanto nel 1935. La minoranza ebraica crebbe dal 18% della popolazione nel 1931 al 29,9% nel dicembre 1935, e i sionisti si immaginavano di diventare la maggioranza in un futuro poco distante.

Gli arabi reagirono a questi numeri. Essi non avevano mai accettato il mandato inglese, con il suo obiettivo dichiarato di creare una Casa Nazionale Ebraica nel loro paese. Vi erano state rivolte nel 1920 e nel 1921; nel 1929, dopo una serie di provocazioni di sionisti sciovinisti e islamici radicali al Muro del Pianto, nel masse islamiche si ribellarono in un’ondata di feroci massacri che portarono alla morte di 135 ebrei e all’uccisione di quasi altrettanti arabi, in primo luogo da parte degli inglesi.

La politica arabo-palestinese era dominata da un gruppetto di ricchi clan. I più nazionalisti erano gli Husayn, capeggiati dal Mufti di Gerusalemme, al-Haji Amin al-Husayni. Uomo profondamente religioso, la sua risposta alle provocazioni sioniste al Muro del Pianto fu di sobillare i fedeli contro i sionisti in quanto infedeli piuttosto che nemici politici. Egli era diffidente nei confronti di qualunque riforma sociale e piuttosto impreparato a sviluppare un programma politico che potesse mobilitare le masse contadine palestinesi, per lo più analfabete. Fu questa mancanza di un programma per la maggioranza contadina che non gli permise mai di creare una forza politica in grado di competere con i sionisti, numericamente inferiori ma molto più efficienti. Egli fu spinto a guardare all’estero per trovare un partner che gli desse quella forza che la sua politica reazionaria gli impediva di reperire dall’interno della società palestinese. La sua scelta cadde sull’Italia.

L’accordo con Roma fu completamente segreto finchè non fu accidentalmente rivelato nell’aprile 1935, e da allora difficilmente potè essere giustificato nel mondo arabo. Mussolini aveva usato gas velenosi nel 1931 contro i Senussi in rivolta in Libia, ed era per di più apertamente filo-sionista. Tuttavia Roma era anti-britannica e intendeva sostenere il Mufti a quello scopo. Il primo finanziamento fu fatto nel 1934, ma sia i palestinesi che gli italiani ci guadagnarono poco. Alcuni anni dopo il Ministro degli esteri di Mussolini, suo genero Galeazzo Ciano, confessò all’ambasciatore tedesco che:

Per anni egli mantenne costanti relazioni con il Gran Mufti finanziandolo segretamente. La controparte di questi doni miliardari non era stata molto soddisfacente e si era limitata all’occasionale distruzione di alcuni oleodotti, che nella maggior parte dei casi potevano essere rapidamente rimessi in funzione.203

“L’obiettivo dell’Haganah…una maggioranza ebraica in Palestina”

Se Hitler non credeva che gli ebrei avrebbero costituito un proprio stato, ciò non significa che egli fosse a favore dei palestinesi. Anche loro erano semiti. Negli anni ’20 molti gruppi politici tedeschi di destra iniziarono a esprimere simpatia per le nazioni oppresse dall’impero britannico, considerate vittime della “perfida Albione” come la Germania. Tuttavia, Hitler non volle avere a che fare con ciò; gli inglesi, dopo tutto, erano bianchi.

Io in quanto uomo di sangue tedesco, vedo nonostante tutto l’India sotto il controllo britannico piuttosto che di altri. Così come vane sono le speranze in una mitica ribellione in Egitto…Come uomo di popolo, che apprezza il valore degli uomini su una base sociale, io in base alla semplice constatazione dell’inferiorità razziale di queste cosiddette “nazioni oppresse” sono prevenuto rispetto al collegare il destino del mio popolo al loro.204

203 Wiener Library Bulletin, vol XV (1961), p. 35 204 Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926

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Comunque la rivolta delle masse arabo-palestinesi nel 1936 indusse Berlino a ripensare alle implicazioni della propria politica filosionista. Una forte agitazione si era manifestata già nell’ottobre 1935 con la scoperta di armi in un cargo che trasportava cemento diretto a Tel Aviv, e la situazione divenne incandescente quando lo sceicco Izz al-Din al-Qassam, popolare predicatore musulmano, salì sulle colline con una banda di guerriglieri. Le truppe inglesi presto lo eliminarono, ma il suo funerale si trasformò in un’appassionata manifestazione. La crisi si protrasse per mesi finchè non esplose definitivamente la notte del 15 aprile 1936, quando alcuni reduci della banda di Qassam fermarono un convoglio sulla strada per Tulkarem, rapinando i viaggiatori e uccidendo due ebrei. Due arabi vennero trucidati per rappresaglia la notte successiva. Il funerale degli ebrei si trasformò in una dimostrazione dei sionisti di destra e la folla iniziò a marciare verso la città araba di Jaffa. La polizia aprì il fuoco, quattro ebrei furono uccisi, e nuovamente gli arabi furono attaccati nelle strade di Tel Aviv per rappresaglia. Una contro manifestazione araba presto ebbe luogo nella medesima città. La rivolta era iniziata. Nacque uno sciopero generale spontaneo e la pressione dal basso spinse i clan rivali dell’establishment arabo a unirsi in un Supremo Comitato Arabo sotto la guida del Mufti. Ma il Comitato Supremo temeva che la continuazione della rivolta avrebbe messo i contadini definitivamente fuori dal controllo dei loro capi, e arrivò a prevalere sui comitati degli scioperanti mettendo fine alla protesta il 12 ottobre, in attesa di un’inchiesta da parte di una commissione inglese.

Fino alla rivolta araba, l’appoggio nazista nei confronti del sionismo era stato caloroso ma non molto concreto, come abbiamo visto. Tuttavia, con la turbolenza politica in Palestina e l’allestimento della Commissione Peel, la WZO vide la possibilità di persuadere i nazisti a fare una dichiarazione pubblica in loro favore. L’8 dicembre 1936 una delegazione congiunta dell’Agenzia Ebraica, il principale rappresentante della WZO in Palestina, e della Hitachdut Olei Germania (l’associazione degli emigranti tedeschi) andarono nell’ufficio di Gerusalemme del console generale tedesco Doehle. Lo studioso sionista David Yisreali ha descritto l’avvenimento.

Cercarono attraverso Doehle di persuadere il governo nazista affinchè la sua

rappresentanza a Gerusalemme andasse davanti alla Commissione Peel e dichiarasse che la Germania era interessata all’aumento dell’immigrazione in Palestina a causa dell’aumento dell’emigrazione dalla Germania. Il console, tuttavia, rifiutò la richiesta di appoggio. La sua giustificazione ufficiale fu che l’aumento dell’emigrazione dalla Germania avrebbe giocoforza portato con sé la questione dell’Accordo di Trasferimento, che era un danno per le esportazioni britanniche in Palestina205.

Come già capitato, i sionisti erano più desiderosi di estendere i loro legami coi nazisti che

viceversa, ma il rifiuto di Doehle non li dissuase da ulteriori approcci. L’arrivo della Commissione Peel era considerato cruciale per il progetto sionista e fu allora che l’Haganah, allora il braccio militare dell’Agenzia Ebraica (di fatto la milizia sionista laburista), ottenne il permesso di Berlino di negoziare direttamente con il Sicherheitsdienst (SD), il Servizio di Sicurezza delle SS. Un agente dell’Haganah, Feivel Polkes, giunse a Berlino il 26 febbraio 1937 e gli fu assegnato Adolf Eichmann come partner nel negoziato. Eichmann era stato un protegé del filosionista von Mildenstein e, come il suo mentore, aveva studiato l’ebraico, letto Herzl ed era l’esperto di sionismo della SD. I colloqui Eichmann-Polkes furono riportati in un resoconto redatto dal superiore di Eichmann, Franz Albert Six, che fu ritrovato tra le carte delle SS prese dall’esercito americano alla fine della Seconda Guerra Mondiale:

Polkes è un nazional-sionista…è contro tutti gli ebrei che si sono opposti alla costruzione di uno stato ebraico in Palestina. Come uomo dell’Haganah egli combatte contro il comunismo e tutti gli obiettivi dell’alleanza arabo-inglese…egli ha sottolineato che l’obiettivo dell’Haganah è di raggiungere, quanto prima possibile, una maggioranza ebraica in Palestina. Perciò ha lavorato, a seconda delle esigenze, con o contro l’Intelligence Service inglese, la Suretè Generale, con l’Inghilterra e l’Italia…ha dichiarato di voler lavorare per la Germania nel senso di fornire informazioni finchè ciò non ostacoli i suoi obiettivi politici. Tra le altre cose avrebbe intenzione di sostenere la politica estera tedesca nel Vicino Oriente. Proverebbe a trovare risorse petrolifere per il Reich senza toccare la sfera di interessi inglesi se le regole valutarie in Germania fossero semplificate in favore degli emigranti ebrei in Palestina.206

205 In AA.VV., Germany and the Middle-East 1835 – 1939, 1975 206 David Yisraeli, The Palestine Problem in German Politics 1889 – 1945, 1974

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Six in definitiva pensava che un’alleanza operativa con l’Haganah sarebbe stata nell’interesse

dei nazisti. Essi avevano ancora bisogno di informazioni riservate sui vari gruppi di boicottaggio ebraico e sui piani degli ebrei nei confronti della vita dei nazisti d’alto rango. Era del parere di far si che le SS aiutassero gli ebrei.

Si può fare pressione sugli apparati del Reich che si occupano degli ebrei tedeschi per fare sì che gli ebrei che emigrano dalla Germania vadano in Palestina e non in altri paesi. Tali misure sono nel totale interesse della Germania e sono già in preparazione attraverso provvedimenti della Gestapo. Attraverso queste misure nel contempo verrebbero realizzati i piani di Polkes per il raggiungimento di una maggioranza ebraica in Palestina.207

L’entusiasmo di Six non era condiviso dal Ministro degli esteri tedesco, che vedeva la Palestina

come sfera d’influenza inglese. L’interesse primario di Berlino era un’intesa con Londra a proposito della questione cruciale dei Balcani; nulla doveva interferire rispetto a ciò. I funzionari tedeschi erano anche preoccupati di come l’Italia avrebbe potuto reagire a un intervento tedesco nella politica mediterranea. Perciò il 1 giugno 1937 il Ministro degli esteri, Konstantin von Neurath, inviò telegrammi ai suoi diplomatici a Londra, Gerusalemme e Baghdad: né uno stato sionista né un apparato politico sionista sotto controllo inglese era nell’interesse della Germania, in quanto esso “non assorbirebbe l’ebraismo mondiale ma creerebbe un’ulteriore posizione di potere, con l’avallo della legge, per l’ebraismo internazionale, qualcosa di simile al Vaticano per il mondo cattolico o a Mosca per il Comintern”. La Germania inoltre aveva “interesse a rafforzarsi nel mondo arabo”, ma “non ci si può attendere che l’intervento diretto della Germania possa influenzare decisamente la questione palestinese”. In nessun caso il sostegno ai palestinesi doveva andare oltre un apporto simbolico: “nella consapevolezza che le aspirazioni nazionali arabe andrebbero espresse più chiaramente che prima, ma senza fare alcuna promessa definita”.208

La concezione sionista del futuro Israele

La politica britannica verso la Palestina in questo periodo è stata elegantemente sintetizzata nelle memorie di sir Ronald Storrs, primo governatore militare di Gerusalemme, per cui l’impresa sionista era “da benedire nella misura in cui ha creato per l’Inghilterra un piccolo Ulster ebraico in un mare di ostilità araba”209. Questo fu lo spirito della proposta della Commissione Peel nel luglio 1937 di dividere la Palestina in tre parti. Tutte sarebbero state sotto il controllo britannico; l’Inghilterra avrebbe gestito direttamente una striscia tra Gerusalemme e Jaffa, e avrebbe tenuto Jaffa per dieci anni, dopodiché quest’ultima sarebbe stata aggregata a uno staterello sionista con un’estensione pari alla contea inglese di Norfolk. La piccola entità sionista avrebbe avuto una grossa minoranza araba, parte della quale secondo la Commissione doveva spostarsi nello stato arabo situato nel resto del paese.

Le posizioni tra i sionisti erano profondamente diverse. L’Ulster ebraico differiva dall’originale nel senso che i sionisti non sarebbero mai stati soddisfatti da una partizione. La loro Eretz Israel includeva tutto il territorio biblico di Abramo. Alla fine la posizione del Congresso Mondiale Sionista fu un no attentamente dosato, che significava un sì. Quella particolare partizione era rifiutata, ma l’Esecutivo era incaricato di contrattare per un accordo migliore.

Che tipo di stato aveva in mente il movimento sionista per sé e per milioni di ebrei nel 1937? I sionisti laburisti erano di gran lunga la forza maggiore nel movimento e non c’era maggior fautore della partizione che il loro leader David Ben-Gurion, il quale nell’estate del 1937, intervenendo a Zurigo a una sessione del Consiglio Mondiale di Poale Zion, assicurò che che non c’era nulla a temere al riguardo: in futuro si sarebbero definitivamente espansi.

Questo stato ebraico che ora ci viene proposto, anche con tutte le possibili correzioni e miglioramenti, non è l’obiettivo sionista – in questo territorio non si può risolvere il problema ebraico…cosa accadrà tra quindici o chissà quanti anni, quando lo stato attualmente proposto raggiungerà il livello di saturazione della popolazione?...Chiunque

207 ibidem 208 In Documents on German Foreign Policy, ed. 1953 209 Ronald Storrs, Orientations, 1943

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voglia essere sincero con se stesso non dovrebbe emettere profezie su ciò che accadrà tra quindici anni…gli avversari della partizione avevano ragione quando affermavano che questo paese non ci è stato dato per essere diviso – perché esso costituisce un’unica entità, non solo storicamente, ma anche dal punto di vista naturale ed economico.

I sionisti laburisti di certo si rendevano conto che se uno stato ebraico fosse stato conquistato,

avrebbe incontrato la ferma opposizione del popolo palestinese. Poichè essi erano sempre fondamentalmente nazionalisti ebrei, avevano decisamente abbandonato la retorica socialista del passato, così come i loro primi blandi tentativi di organizzare i lavoratori arabi, e iniziarono ad allontanare questi ultimi dai loro tradizionali lavori stagionali nelle piantagioni di agrumi di proprietà degli ebrei. In generale il loro modo di ragionare era diventato cinico, e ora coscientemente vedevano il loro successo come direttamente correlato alla rovina della classe media ebraica europea. Era il capitale di quest’ultima che avrebbe dovuto edificare Sion. Enzo Sereni, all’epoca emissario negli USA, fu abbastanza onesto nel descrivere l’attrattiva che il sionismo aveva per una parte della classe media ebraica nell’Europa centro-orientale:

Due anime convivono in seno alla borghesia ebraica, una dedita al profitto, l’altra alla ricerca del potere politico…Come gruppo politico, la borghesia ebraica non può sopravvivere senza le masse ebraiche. Solo sulle masse ebraiche può pensare di costruire la propria supremazia politica. Perciò, nell’ottica di esercitare il suo controllo sui lavoratori ebrei, la borghesia ebraica ha bisogno di un proletariato ebraico, esattamente come i poteri forti europei necessitano di un proletariato nazionale per esecuzione dei loro piani imperialistici. Ciò che distingue la borghesia ebraica sionista da quella non sionista è semplicemente il fatto che la borhgesia sionista ha ben presente che può soddisfare i propri interessi di classe solo nel dominio su un popolo unificato e non più su semplici individui, come invece credono gli ebrei assimilazionisti.210

L’antisemitismo era ritenuto la forza principale del sionismo ma, in aggiunta, vi erano anche

attrattive positive nella costituzione di un mini-stato sionista. Moshe Beilinson, allora editore del quotidiano laburista Davar, espresse candidamente le sue speranze per un Israele che in futuro fosse il fulcro per lo sfruttamento capitalistico dell’area:

Grandi prospettive si aprono per il “Grande Sionismo” per cui solo pochi ora osano combattere, ovvero uno stato ebraico in Palestina egemone in Oriente…Lo stato ebraico costruito su tali basi avrà pieno diritto, sia socialmente che spiritualmente, di rivendicare il ruolo di leadership, il ruolo di avanguardia del nuovo mondo in Oriente…

Dietro la sua sfavillante retorica, Beilinson diceva senza mezzi termini:

A quanto ammonta la nostra affinità razziale con gli arabi considerando la grande

distanza che ci separa nel pensiero, nelle condizioni di vita, nella scala di valori? In tutti questi ambiti noi siamo molto più affini agli europei o agli americani, nonostante le “differenze razziali”…Noi vogliamo la pace con la comunità araba…senza falsa filantropia, e senza atteggiamenti missionari. Non abbiamo interessi “rivoluzionari” nel risveglio dell’Oriente, sia esso un Oriente nazionale o di classe o religioso…non siamo venuti per liberare altri, ma per liberare noi stessi.211

Questi ideologi stavano costruendo una sorta di profezia auto-illusoria. Parlando così

convintamente dell’inevitabile espropriazione degli ebrei europei, e del conseguente sfruttamento del proletariato ebraico e arabo, questi socialisti fai-da-te non facevano nulla per mobilitare gli europei e facevano di tutto per accrescere la rabbia dei palestinesi.

210 In AA. VV., Arabi ed ebrei in Palestina. Studi su un problema nazionale e coloniale, 1936 211 ibidem

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Ammirazione nazista per gli sforzi dei sionisti in Palestina

I nazisti erano rassegnati alla partizione della Palestina e la loro principale preoccupazione riguardava il destino dei duemila tedeschi che vivevano colà. Alcuni erano monaci cattolici, alcuni luterani, ma la maggior parte erano templari, una setta di pietisti del diciannovesimo secolo che erano andati a vivere in Terrasanta nell’attesa dell’imminente ritorno di Gesù. Si erano stabiliti in sei prospere colonie, quattro delle quali sarebbero rientrate nell’enclave sionista. Assodato che la WZO voleva evitare antagonismi con Berlino a proposito dei templari, divenuti nel frattempo quasi tutti buoni nazisti, il partito nazista locale si rese conto che qualunque forma di boicottaggio spontaneo da parte degli ebrei dopo la partizione avrebbe reso pressoché impossibile la loro situazione. Il ministro degli esteri tedesco voleva porre le colonie sotto diretto controllo britannico o, più realisticamente, spostarle nel territorio arabo.

L’intera opinione popolare araba era assolutamente contro la partizione, sebbene i Nashashibi (clan rivale degli egemoni Husayn) avrebbero accettato uno stato ebraico più piccolo. I Nashashibi si opposero con molta riluttanza alla proposta britannica, e l’evidente mancanza di impegno nel contrastare la partizione, unita a un intenso odio di fazione verso gli Husayn, condussero a una feroce guerra intestina nella comunità araba. Fuori dal paese il solo attore che fu indotto ad accettare quello schema fu Abdullah di Transgiordania, il cui emirato sarebbe stato fuso con il bantustan palestinese. Ibn Saud in Arabia rimase silente. I clan egemoni in Egitto e Iraq si lamentarono, mentre in privato la loro unica preoccupazione era che la partizione avrebbe messo in agitazione il loro popolo e favorito una sollevazione generale contro di loro e contro gli inglesi. Comprensibilmente, i tedeschi non facevano per nulla affidamento sulla capacità degli arabi di opporsi alla partizione, e quando il Mufti finalmente comparve al loro consolato il 15 luglio 1937, Doehle non offrì assolutamente nulla. Egli fece immediatamente rapporto ai suoi superiori: “Il Gran Mufti ha accentuato la simpatia araba per la nuova Germania e ha espresso la speranza che la Germania sia in sintonia con la lotta degli arabi contro gli ebrei e sia disposta a supportarla”212. La risposta di Doehle alla proposta di alleanza fu al limite dell’insulto. Disse al querelante che: “Dopo tutto non vi era alcuna disputa in cui potessimo giocare un ruolo di arbitro…Aggiunsi che forse tatticamente era nell’interesse degli arabi che la simpatia della Germania verso le loro aspirazioni non fosse troppo ostentata nelle dichiarazioni tedesche”213.

In ottobre fu il turno dei sionisti di recarsi alla corte nazista. Il 2 ottobre 1937 la nave Romania arrivò ad Haifa con due giornalisti tedeschi a bordo. Herbert Hagen sbarcò in compagnia del suo giovane collega Eichmann. Essi incontrarono il loro contatto, Reichert, e quella sera Feivel Polkes, che mostrò loro Haifa dal monte Carmelo e li portò a visitare un kibbutz. Anni dopo, mentre si nascondeva in Argentina, Eichmann registrò una cronaca delle sue esperienze e ricordò il suo soggiorno in Palestina con una certa nostalgia:

Vidi abbastanza per restare impressionato dal modo in cui i coloni ebrei stavano costruendo il loro paese. Ammiravo la loro disperata voglia di vivere, tanto più che anch’io stesso ero un idealista. Negli anni che seguirono spesso dissi agli ebrei con cui avevo dei contatti che, se fossi stato un ebreo, sarei stato un fanatico sionista. Non potevo immaginare di essere qualcos’altro. Sarei stato il più fervente sionista che si potesse immaginare.214

Ma i due SS avevano commesso un errore nel contattare il loro agente locale; il CID (Criminal

Investigation Department) inglese aveva scoperto la rete di Reichert, e due giorni dopo espulsero sbrigativamente i visitatori in Egitto. Polkes li seguì laggiù, e ulteriori colloqui si tennero il 10 e 11 ottobre al Caffè Groppi del Cairo. Nel resoconto della loro spedizione Hagen e Eichmann diedero un’attenta ricostruzione delle parole di Polkes. Egli disse ai due nazisti:

Lo stato sionista deve essere costituito in ogni modo, al più presto possibile…Quando lo stato ebraico sarà costituito secondo i termini definiti dalla carta Peel, e secondo le parziali concessioni inglesi, allora i confini potranno essere allargati a seconda della volontà di ognuno215.

212 In Documents on German Foreign Policy, ed. 1953 213 ibidem 214 Life, 28 novembre 1960, p. 22 215 Klaus Polkehn, The Secret Contacts: Zionism and Nazi Germany 1933-41, 1976

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Proseguì:

Nei circoli nazionalisti ebraici la gente apprezza molto la politica radicale tedesca, poiché

il rafforzamento della popolazione ebraica in Palestina può arrivare a un livello tale che gli ebrei potranno contare su una superiorità numerica nei confronti degli arabi.216

Durante la sua visita di febbraio a Berlino, Polkes aveva proposto che l’Haganah agisse come

spia dei nazisti, e ora mostrava la sua buona fede fornendo alcune informazioni di intelligence. Disse a Hagen e Eichmann:

Il Congresso pan-islamico riunito a Berlino è in diretto contatto con due leader arabi filo-sovietici: l’emiro Shekib Arslan e l’emiro Adil Arslan…La stazione radio illegale comunista, la cui trasmissione in Germania è particolarmente efficiente, è secondo le affermazioni di Polkes installata su un furgone che si sposta lungo il confine tedesco-lussemburghese quando le trasmissioni sono attive.217

Poi fu il turno del Mufti di chiedere di nuovo l’assistenza tedesca. Questa volta inviò direttamente

un’offerta a Berlino tramite un suo agente, il dr. Said Imam, che aveva studiato in Germania ed era stato a lungo in contatto con il consolato tedesco a Beirut. Se la Germania avesse “sostenuto il movimento indipendentista arabo ideologicamente e materialmente”, allora il Mufti avrebbe “diffuso le idee nazional-socialiste nel mondo arabo-islamico; e combattuto il comunismo, che sembrava crescere gradualmente, con ogni mezzo possibile”. Egli propose anche “di continuare gli atti di terrorismo in tutta la Francia coloniale e nei territori mandatari abitati dagli arabi e dai musulmani”. Se avessero vinto, egli giurava che “avrebbe utilizzato solo capitali e risorse intellettuali tedesche”. Tutto ciò nel contesto dell’impegno a mantenere separate le razze ariana e semita, il quale impegno era delicatamente riferito “al mantenimento e al rispetto delle concezioni nazionali di entrambi i popoli”218.

La Palestina ora riscuoteva profonda attenzione presso ogni settore rilevante dello stato tedesco e della burocrazia del partito. I filosionisti avevano ancora i loro argomenti, soprattutto economici, e ribadivano che l’Ha’avara aiutava l’industria tedesca. I critici dell’alleanza nazisionista erano preoccupati che la proposta di un bantustan ebraico fosse riconosciuta a livello internazionale e tale staterello iniziasse a essere considerato come un Vaticano ebraico, che poteva creare problemi diplomatici alla Germania in merito al trattamento riservato agli ebrei. Questo era l’argomento centrale di Hagen e Eichmann nel resoconto del loro viaggio.

Furono gli inglesi a risolvere il dilemma dei nazisti. Essi avevano inziato a dubitare su ciò che sarebbe accaduto con la creazione di uno staterello ebraico. La possibilità di una guerra mondiale era evidente e la creazione di uno stato sionista era garanzia di gettare gli arabi tra le braccia di Hitler. Inoltre la possibilità di una guerra con il bellicoso Giappone rendeva cruciale la possibilità di muovere truppe attraverso il Medio Oriente, via terra, e attraverso il Canale di Suez senza l’opposizione violenta degli indigeni. Perciò la partizione di Peel venne frettolosamente accantonata e gli inglesi decisero che la rivolta araba doveva essere schiacciata prima che l’alleanza dell’Asse potesse approfittarne. La rivolta fu selvaggiamente repressa dall’esercito inglese e poi l’immigrazione sionista, causa della rivolta, fu ridotta.

Hitler ora non doveva più preoccuparsi della possibilità di un Vaticano ebraico, ma il fatto che l’Inghilterra l’avesse proposto rendeva in futuro la possibilità di uno stato ebraico seriamente tangibile. I calcoli militari tedeschi a lungo termine tenevano conto dell’opinione araba come fattore di politica estera. Molti diplomatici tedeschi insistevano che l’Ha’avara Agreement assicurava l’eventuale creazione dello stato, e l’orientamento del ministero degli esteri iniziò e volgersi contro di esso; allora l’Ha’avara fu salvato dall’intervento di Otto von Hentig, diplomatico in carriera che aveva negoziato coi sionisti prima e durante Weimar. Secondo Ernst Marcus, rappresentante dell’Ha’avara a Berlino, von Hentig “con il suo profondo amore verso la nazione e il suo spirito…apprezzò le forze trainanti del sionismo come elemento affine ai suoi stessi sentimenti”. Egli dunque lavorò con i suoi parnter sionisti per mantenere in vita “un trattamento di favore per la Palestina”.

216 Heinz Hohne, The Order of the Death's Head: The Story of Hitler's SS, 1967 217 Klaus Polkehn, The Secret Contacts: Zionism and Nazi Germany 1933-41, 1976 218 In Documents on German Foreign Policy, ed. 1953

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Egli mi chiese di preparare del materiale attendibile allo scopo di dimostrare che il numero di emigranti ebrei dalla Germania alla Palestina, così come il loro contributo finanziario alla costruzione della patria ebraica, erano ben lontani dall’esercitare un’influenza determinante sullo sviluppo del paese. Secondo tali indicazioni, io compilai un memorandum che sottolineava il peso degli ebrei polacchi nel lavoro di ricostruzione in quella delicata fase, descrissi i contributi economici degli ebrei americani e li confrontai con i deboli sforzi compiuti dagli ebrei tedeschi.219

Von Hentig sapeva che il tentativo di persuadere Hitler ad aiutare il sionismo andava compiuto di

persona e in un “momento favorevole”, quando egli rideva e scherzava ed era pieno di benevolenza verso gli ebrei. Un giorno all’inizio del 1938 von Hentig annunciò buone notizie: “Il Fuehrer aveva preso la sua decisione affermativa e tutti gli ostacoli sulla strada dell’emigrazione in Palestina ora erano stati rimossi”220.

Inizialmente i nazisti avevano provato a restare neutrali durante la rivolta araba. Nel Coronation Day del 1937 in tutte le colonie templari sventolò la svastica in segno di simpatia con l’Inghilterra, ed essi avevano la precisa indicazione di non sollecitare le truppe inglesi e di non avere questioni con i mosleyiti221. Ma Berlino fece pressioni e, mentre soldi ed emigranti ebrei venivano ancora trasferiti in Palestina, nel 1938 l’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo del Servizio di Intelligence dell’Abwehr, mise il Mufti sul suo libro paga. Tuttavia il Mufti non mostrò alcun segno di competenza politica o militare e il denaro, che veniva elargito sempre a intermittenza, alla fine non arrivò più222. Da allora il non-coinvolgimento nella rivolta araba rimase rigida linea politica fino alla Conferenza di Monaco nel settembre 1938, e solo alla fine del 1938 vennero allestite delle forniture di armi. Ma anche allora la volontà di non contrastare Londra con minacce all’impero britannico portò all’improvvisa cancellazione della prima fornitura, via Arabia Saudita, quando i tedeschi si resero conto che il Ministro degli esteri saudita era un agente inglese. Con la cancellazione della fornitura di armi l’interesse tedesco nella rivolta araba cessò.

Il fallimento della collaborazione fra il Mufti e i dittatori

Il Mufti non guadagnò nulla, né allora né poi, dalla sua collaborazione con Roma e con Berlino, né i due dittatori giovarono mai agli interessi palestinesi. Quando il Mufti si rivolse ai nazisti, essi stavano incoraggiando gli ebrei a emigrare in Palestina; mai una volta nei suoi negoziati anteguerra coi nazisti egli suggerì loro di interrompere quell’emigrazione che era la fonte del rafforzamento del sionismo. Più tardi, durante la Seconda guerra mondiale, il suo odio per gli ebrei e il suo anti-comunismo lo indussero a recarsi a Berlino e a opporsi a qualunque rilascio degli ebrei dai campi di concentramento, per timore che essi si trasferissero in Palestina. Alla fine egli organizzò truppe musulmane contro i sovietici e i partigiani jugoslavi.

Il Mufti era un reazionario incompetente, che fu condotto all’antisemitismo dai sionisti. Lo stesso sionismo, nel suo sfacciato tentativo di trasformare la Palestina da paese arabo a stato ebraico e poi di usare quest’ultimo per sfruttare ulteriormente la nazione araba, generò l’odio per gli ebrei da parte dei palestinesi. Rabbi Yitzhak Hutner di Agudas Yisrael diede una chiara rappresentazione della parabola palestinese.

Dovrebbe essere chiaro, tuttavia, che fino alla grande pressione per la costituzione dello stato ebraico, il Mufti non aveva alcun interesse per gli ebrei di Varsavia, Budapest o Vilna. Una volta che gli ebrei d’Europa divennero una minaccia per il Mufti a causa del loro possibile afflusso in Terrasanta, egli divenne per loro il Malekh HaMoves, ovvero l’incarnazione dell’Angelo della Morte. Anni fa era ancora facile trovare vecchi residenti di Gerusalemme che ricordavano le cordiali relazioni che avevano mantenuto col Mufti negli anni precedenti la creazione di uno stato ebraico. Una volta che l’incombente realtà dello stato ebraico fu davanti a lui, il Mufti non esitò a indurre Hitler a uccidere quanti più ebrei possibile nel più breve tempo possibile. Questo fatto vergognoso, cioè che i fondatori e

219 Ernst Marcus, The German Foreign Office and the Palestine Question in the Period 1933 – 39, 1958 220 ibidem 221 Supporters di Oswald Mosley, fondatore dell’Unione dei Fascisti Inglesi. 222 David Yisraeli, The Third Reich and Palestine, 1971

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primi leader dello stato furono causa evidente della distruzione di molti ebrei, è stato completamente celato e rimosso dai resoconti.223

Se la collaborazione del Mufti con i dittatori non può essere in alcun modo giustificata, diventa

assolutamente pazzesca l’offerta dell’Haganah di spiare per i nazisti. Vista la debole entità delle proteste contro l’Ha’avara e contro la servile condotta della ZVD, si può certamente ritenere che alla fine il tradimento segreto dell’Haganah, se reso noto, non avrebbe creato problemi a una significativa minoranza della WZO.

223 Jewish Observer, ottobre 1977, p. 8

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9. IL CONGRESSO MONDIALE EBRAICO

Benchè la WZO avesse permesso alla ZVD di cercare la collaborazione col nazismo, e i suoi leader fossero ansiosi di vendere i prodotti di Hitler e anche di spiare per conto suo, essa non voleva che la minaccia totalitaria si espandesse. Anche il movimento sionista capiva che raccogliere fondi in un mondo ebraico completamente in crisi difficilmente sarebbe stato come provvedere alle vittime della sola Germania. Non volendo combattere direttamente Hitler, per paura che avrebbe abrogato l’Ha’avara e bandito la ZVD, Sokolow e Weizmann sognavano una grande alleanza che avrebbe fatto tornare Hitler sui suoi passi, ma questa era pura fantasia. Coloro che nella WZO seguivano Goldmann e Wise, che volevano combattere, trovarono i due presidenti sempre o contrari o indifferenti, ma la crescente forza di Hitler spinse la fazione più militante a istituire un World Jewish Congress (WJC, Congresso Mondiale Ebraico) come organizzazione per la difesa ebraica.

Sia Goldmann che Wise erano loro stessi profondamente legati al sionismo; Goldmann si era anche opposto a includere gli assimilazionisti – cioè la maggioranza degli ebrei – a una conferenza preliminare sul WJC convocata nel 1932224. Inoltre, essi non pensarono di sfidare l’intenzione di Weizmann di essere eletto per la seconda volta alla presidenza della WZO nel 1935. Ciononostante, la WZO era fermamente contraria alla nuova iniziativa, per paura che avrebbe distolto energie dalla Palestina per volgerle all’ebraismo mondiale. Nel febbraio 1934, un anno dopo l’avvento di Hitler al potere, venne riportato un discorso di Sokolow, che era ancora presidente della WZO, contro il World Jewish Congress:

Dubbi sull’opportunità di tentare la convocazione del World Jewish Congress previsto per questa estate sono stati espressi da Nahum Sokolow, presidente della World Zionist Organization…il veterano sionista osserva che alla conferenza di Ginevra dell’estate scorsa, dove si parlò del World Jewish Congress, si affrontò la questione se la Palestina dovesse o meno essere inclusa nel programma del World Jewish Congress, il che fu sintomo delle divergenze e degli scontri di fazione che potrebbero nascere se si convoca il congresso…Mr. Sokolow presenta un piano alternativo, secondo il quale tutte le fazioni dell’ebraismo sarebbero chiamate intorno alla costituzione di una legione ebraica per l’autodifesa ebraica, e l’esecuzione dei piani per approntare una tale legione, che includerebbe tutti i gruppi ebraici con l’eccezione degli assimilazionisti dichiarati, porterà un gran beneficio, ritiene mr. Sokolow225.

Sokolow era titubante anche perché era preoccupato degli attacchi all’Ha’avara Agreeement che

sicuramente sarebbero stati fatti in un ampio World Jewish Congress. Stephen Wise replicò aspramente:

Ci avvisano che il sostegno al World Jewish Congress potrebbe venire meno se la conferenza di Ginevra adotta una risoluzione contro l’accordo di trasferimento tedesco-palestinese. Io non temo questa minaccia. Il popolo ebraico è preparato ad accogliere la guida di Eretz Israel, ma non ordini o minacce, quando esse siano in conflitto con gli interessi collettivi degli ebrei.

Il conflitto era doloroso per Wise; egli una volta aveva concezioni simili a Sokolow, ma benché

pensasse ancora alla Palestina come alla migliore cosa per la vita degli ebrei, semplicemente non poteva mettere il sionismo così al di sopra del pericolo che minacciava gli ebrei europei.

Io so bene che alcuni sionisti diranno: a me interessa solo Eretz Israel. La Palestina è il luogo più importante. Io fui il primo a usare le parole “più importante” alcuni anni fa. Dovetti abbandonare la parola “più importante” quando ebbi il coraggio di dire che benché la Palestina abbia il posto più importante nelle speranze degli ebrei, io non posso, come

224 Shlomo Safir, American Jewish Leaders and the Emerging Nazi Threat (1928 – 1933), 1979 225 Jewish Daily Bulletin, 11 febbraio 1934, pp. 1, 12

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ebreo, essere indifferente al galuth (diaspora)…se dovessi scegliere tra Eretz Israel e la sua costruzione e la difesa del galuth, direi che il galuth deve perire. Ma dopo tutto, quanto più si preserva il galuth, tanto più a lungo termine si fa per Eretz Israel.226

Il movimento per il WJC continuò a guadagnare terreno a dispetto dell’opposizione di Sokolow;

la pressione nazista era troppo forte, la base voleva che il movimento facesse qualcosa e, quando Wise con riluttanza aprì all’Ha’avara al Congresso Sionista Mondiale del 1935, l’idea del WJC finalmente ottenne l’avallo formale della WZO. Tuttavia, non vi fu mai molto entusiasmo per il WJC entro la WZO. Il Jewish Chronicle di Chicago, a sua volta contrario al WJC, descrisse accuratamente la mancanza di interesse per l’idea di un’organizzazione di difesa, almeno fino al maggio 1936, dopo quasi tre anni e mezzo di Terzo Reich:

I singoli leader del Mizrachi227 e del Partito dello Stato ebraico228 non avevano alcuna fiducia o interesse nel Congresso…Hadassah229 non si occupava della cosa, e per quanto riguarda l’insieme dei membri del Comitato Esecutivo dell’Organizzazione Sionista d’America…la maggioranza era decisamente contraria al Congresso230.

Nonostante l’ostilità dell’ala destra, comunque il WJC ebbe luogo. Questo ora era il periodo del

Fronte Popolare; i socialdemocratici e gli stalinisti finalmente avevano capito la necessità di unirsi contro il fascismo per non andare incontro al disastro, e i sionisti dovevano pervenire a un equivalente ebraico o avrebbero perso la loro debole influenza fra i lavoratori ebrei, particolarmente in Polonia, dove le idee del Fronte Popolare erano egemoni. Il sostegno sionista laburista per Wise e Goldmann fu sufficiente per superare l’ala destra, ma il paradosso è che il WJC andò verso il fallimento proprio quando improvvisamente parve volgersi verso un vero Fronte Popolare.

"Centrati solo sulla lotta antifascista"

Il Partito Comunista Americano (CPUSA) decise di seguire il World Jewish Congress poichè i suoi leader credevano che una volta dentro il movimento non avrebbero avuto problemi a portare i settori sionisti onesti a concentrarsi soprattutto sulla minaccia nazista piuttosto che sulla Palestina. Ma ammettere il filo-arabo CPUSA per Wise era fuori questione. La lotta contro Hitler era importante, ma la Palestina e il sionismo in realtà lo erano ancora di più. Il suo Congress Bulletin si schierò apertamente contro l'ingresso del Partito Comunista:

Benchè la lotta contro l'antisemitismo e il fascismo sarà, per forza, uno dei primi punti nell'agenda del Congresso...i problemi coi quali il Congresso dovrà avere a che fare...includeranno anche la costruzione della Palestina e la lotta per le libertà civili e culturali per gli ebrei in tutti i paesi...gli indirizzi sotto i quali i comunisti ebrei americani stanno provando a trovare collocazione entro le strutture coordinate ebraiche, sono centrati soltanto sulla lotta antifascista...il Morgen Freiheit231 potrebbe facilmente risparmiarsi l'imbarazzo di prendere in considerazione la partecipazione degli ebrei comunisti.232

Il World Jewish Congress alla fine tenne il suo congresso di fondazione a Ginevra nell'agosto

1936. Una delegazione pro-CPUSA vi partecipò, nella speranza di ottenere l'accettazione all'ultimo minuto, ma ciò non fu concesso. Il meeting approvò una risoluzione per il boicottaggio contro i nazisti, ma non vi fu mai nessuno sforzo di applicarla. Il fedele luogotenente di Weizmann negli USA, Louis Lipsky, presidente dell'Organizzazione Sionista Americana, aveva solo a fatica accolto l'idea di tenere il congresso; azioni concrete contro Hitler erano ben lungi da ciò che le sue coorti erano pronte ad

226 New Palestine, 14 febbraio 1934, p. 5-7 227 Partito sionista religioso. 228 Partito di sionisti revisionisti rimasti nella WZO all’epoca della rottura di Jabotinsky (1933). 229 Organizzazione sionista femminile. 230 Chicago Jewish Chronicle, 1 maggio 1936, p. 8 231 Quotidiano newyorchese in yiddish schierato con il PCUSA 232 Congress Bulletin, 13 marzo 1936, p. 2

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accettare. Un corrispondente del World Jewry descrisse il sabotaggio di Lipsky dell'unica azione anti-nazista che il Congresso pensava di mettere in atto:

La risoluzione generale di boicottaggio...è stata adottata sull'onda dell'emozione...ma quando si arrivò al problema di dare attuazione pratica alla risoluzione, allora l'opposizione la fece fallire. La Commissione aveva stilato una risoluzione che chiedeva la creazione di un dipartimento speciale per il boicottaggio...A questo punto dei delegati americani, guidati da Louis Lipsky, si opposero fortemente...è chiaro che i vertici non sono entusiasti della proposta e tendo a dubitare che vogliano darle un effetto pratico.

Il reporter proseguì descrivendo il congresso come "confuso nei suoi intenti e privo di quella

leadership ispirata che avrebbe potuto fare di quell'evento un momento di svolta nella storia ebraica"233.

La pessimistica descrizione del giornale era pienamente giustificata. Si trattava di un incontro tra leader sionisti di professione; costoro non erano gente in grado di promuovere un boicottaggio serio o di combattere Hitler in altro modo. Senza l'unione con gli ebrei assimilazionisti, inclusi i comunisti, e con gli antinazisti gentili, non avrebbero potuto mai iniziare a far danno ai nazisti, nè col boicottaggio nè in altro modo. Il rifiuto di lavorare con gli stalinisti non era a causa di ostilità verso l'Unione Sovietica. Il sionismo là era bandito. la lingua ebraica era vista come estranea alla vita reale delle masse ebraiche, ma nessuno di loro considerava l'Unione Sovietica come antisemita; al contrario. Quando a Stephen Wise fu chiesto di unirsi alla commissione di John Dewey per verificare le accuse di Stalin a Trockij di essere un agente nazista, egli rifiutò. Trockij aveva accusato Stalin di antisemitismo e questo, diceva Wise, era così ovviamente falso che rendeva allo stesso modo sospetta qualunque altra cosa quest'ultimo avesse detta. Non c'è dubbio che Wise e i suoi associati pensassero che ci sarebbe stata la guerra e che volessero vedere USA, Inghilterra e URSS uniti contro Hitler; ma non avevano fiducia che le masse potessero fermare il nazismo, e facendo conto sulle classi dirigenti per risolvere la questione ebraica, vedevano in un'alleanza di "poteri forti" la sola arma possibile contro Hitler. Nonostante il loro entusiasmo per un alleanza tra le loro classi padronali e Stalin, i membri dell'American Jewish Congress non erano radicali in economia e non volevano essere coinvolti con il partito comunista locale. Quello e la posizione comunista filo-araba esclusero qualunque possibilità di legame con il CPUSA. La mancanza di realismo politico nel World Jewish Congress andava al di là del ruolo marginale del sionismo nella vita reale degli ebrei del mondo. Quanto più i sionisti lavoravano per la lontana Palestina, tanto meno si coinvolgevano nella lotta reale delle masse ebraiche. Quando un movimento di massa e di strada si rese necessario, il WJC non ebbe nè la disponibilità nè l'esperienza per condurre una tale lotta, nè la buona volontà di imparare.

Tra il World Jewish Congress del 1936 e il patto Hitler-Stalin, il CPUSA crebbe fino a 90.000 membri e aveva un sindacato di più di un milione di iscritti. Diventò politicamente molto più importante dell'American Jewish Congress di Wise o del movimento sionista americano. Certamente i comunisti e i sionisti avevano grandi differenze. Entrambi avevano grossi limiti, e di certo ben più di un boicottaggio era necessario per battere Hitler, ma non c'è dubbio che un'alleanza tra le due forze avrebbe galvanizzato la comunità ebraica in America, e molti antinazisti non ebrei si sarebbero uniti a loro. Se una tale alleanza sarebbe potuta durare è un'altra questione, ma il rifiuto del WJC di includere il Partito Comunista fu un colpo tremendo alla lotta ebraica contro Hitler. Il fronte unito ebraico, così disperatamente necessario, fu tragicamente sacrificato al sionismo.

233 World Jewry, 21 agosto 1936, p. 67

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10. IL SIONISMO REVISIONISTA E IL FASCISMO ITALIANO

La sorprendente ascesa al potere di Menachem Begin, dopo un lunghissimo periodo

all'opposizione nel movimento sionista, comprensibilmente ha suscitato molto interesse a proposito della sua storia personale. Tuttavia Begin stesso, nonostante la fama e il potere attuali234, si riferisce a se stesso come null'altri che un discepolo di Vladimir Jabotinsky, fondatore della sua corrente e colui che egli considera il più grande ebreo dai tempi di Herzl.

Il creatore della Legione Ebraica e fondatore dell'Haganah (La Difesa)235, Vladimir Jabotinsky, è l'eroe riconosciuto dei revisionisti. Alla sua morte, sui monti Catskills nei dintorni di New York nell'agosto 1940, era il pensatore più disprezzato nel mondo politico ebraico. Tipico del suo stile fu l'incredibile accordo con gli ucraini che stipulò in una camera d'albergo a Praga nell'agosto 1921. Si era recato a Praga per un Congresso Sionista Mondiale, e là ricevette una visita, un vecchio amico, Maxim Slavinsky, ambasciatore di Simon Petljura. Il regime in Ucraina era crollato. Petljura, stretto tra l'imperialismo polacco e il bolscevismo, aveva lasciato che la Polonia annettesse territori ucraini in cambio di armi per combattere l'Armata Rossa, ma l'impresa non andò a buon fine e i superstiti della sua armata dovettero fuggire nella Galizia occupata dai polacchi. Slavinsky parlò a Jabotinsky del nuovo piano: i 15.000 soldati superstiti avrebbero attaccato l'Ucraina Sovietica nel 1922. L'ambasciatore del governo del noto pogromista Petljura e l'organizzatore dell'Haganah stipularono un accordo segreto. Jabotinsky, di sua iniziativa, senza mandato della WZO, giurò di impegnarsi all'interno del suo movimento per organizzare una polizia sionista per assistere le truppe di Petljura nei loro raid. Essa non doveva combattere l'Armata Rossa, ma avrebbe sorvegliato gli ebrei delle città catturate dai soldati.

Il patto fu rivelato dagli ucraini per dimostrare che avevano cambiato idea. La WZO era inorridita per questo, e Jabotinsky dovette difendersi da tutto il mondo ebraico, che non poteva sopportare un qualunque rapporto con l'infame assassino Petljura. Alla fine l'attacco non ebbe mai luogo; la Francia ritirò il suo supporto, e l'armata nazionalista si sfasciò. Gli ebrei si divisero tra chi riteneva Jabotinsky un pazzo e chi un furfante; dovunque i comunisti usarono il patto per screditare il sionismo tra gli ebrei, ma Jabotinsky fu impenitente. Egli avrebbe fatto lo stesso coi leninisti, se glielo avessero chiesto:

Una polizia ebraica con l’Armata Bianca, una polizia ebraica con l’Armata Rossa, una polizia ebraica con le armate lilla e verde pisello, se occorre; lasciate loro sistemare le loro questioni, noi dobbiamo vigilare sulle città e far sì che la popolazione ebraica non venga molestata236.

Poale Zion domandò un’inchiesta, poiché affermavano che l’accordo aveva messo a

repentaglio la tolleranza della loro già poco tollerata organizzazione in Unione Sovietica, ma Jabotinsky era stato negli Stati Uniti per un giro di sette mesi di conferenze, e la convocazione dell’inchiesta slittò al 18 gennaio 1923. Alla fine l’audizione non si tenne mai, poiché Jabotinsky improvvisamente lasciò la WZO la sera prima del giorno in cui doveva comparire. Egli ha sempre detto che le dimissioni non avevano niente a che fare con l’inchiesta, e insistette che il suo abbandono era dovuto a dissensi sulle relazioni con l’Inghilterra, ma pochi gli cedettero. Rientrò nei ranghi poco tempo dopo, ma i suoi detrattori non videro la necessità di continuare a portare avanti la questione poiché egli non aveva più alcun ruolo nel movimento. Quando egli iniziò a organizzare la sua nuova corrente gli attacchi ripresero, e per il resto della vita dovette giustificare le proprie dimissioni. Ma durante la sua carriera Jabotinsky era noto per il contegno imperioso verso chi lo criticava; egli

234 Begin fu Primo ministro di Israele dal 1977 al 1983, proprio mentre Brenner compiva la sua ricerca (anzi probabilmente

fu proprio il primo successo elettorale della destra sionista che lo spinse a scrivere questo libro). 235 Jabotinsky fu uno dei capi dell’Haganah proprio nell’anno di fondazione, il 1920, ma presto entrò in rotta coi vertici

della WZO e la direzione della milizia passò ai sionisti laburisti. 236 Jewish Social Studies, ottobre 1955, p. 297

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semplicemente diceva a chi gli era ostile che “Quando morirò potete scrivere come epitaffio: ‘Costui era l’uomo che strinse l’accordo con Petljura’”237.

“Vogliamo un impero ebraico”

Nella seconda metà del 1923 Jabotinsky fece ritorno nella WZO, ora diffidente nei suoi confronti, come oppositore di estrema destra, determinato a “revisionare” le posizioni dell’organizzazione; criticò Weizmann per non aver richiesto la ricostituzione della Legione Ebraica. Egli aveva anche assistito alla separazione della Transgiordania dalla “Casa Nazionale” ebraica in Palestina, e quando la WZO accettò con riluttanza la decisione di Churchill egli si adeguò solo per senso di disciplina ma da allora la rivendicazione della Giordania come da sempre ebraica divenne un punto fisso del suo nuovo programma. “Un lato del Giordano è nostro, e così l’altro”: così recita Shtei Gadot, la canzone ancor oggi comunemente associata al movimento revisionista.

Jabotinsky non ebbe mai la pia illusione che i palestinesi un giorno avrebbero dato il benvenuto alla dominazione straniera del loro paese. Nel periodo in cui Ben-Gurion e i suoi pensavano ancora di poter convincere le masse palestinesi ad accettare il sionismo nel proprio interesse, Jabotinsky sviluppò le sue taglienti tesi in un articolo, The Iron Wall (We and the Arabs), scritto nel 1923. L’essenza del saggio è spiegata nel 1935 da Marie Syrkin:

La colonizzazione sionista deve essere portata a termine contro la volontà della popolazione indigena. Questa colonizzazione può, dunque, continuare a progredire solo sotto la protezione di un potere indipendente dalla popolazione indigena – un muro di ferro, che sarà nella condizione di resistere alla pressione della popolazione indigena. Questa è, in toto, la nostra politica verso gli arabi…Una spontanea riconciliazione con gli arabi è fuori questione, ora o nel prossimo futuro.238

Prendeva in giro i leader sionisti che parlavano di pace mentre chiedevano la protezione

dell’esercito inglese; o derideva la loro speranza in un mediatore arabo (il candidato più indicato era l’emiro Feisal dell’Iraq) che si sarebbe accordato con loro alle spalle dei palestinesi e li avrebbe imposti agli indigeni con l’ausilio delle baionette arabe. Egli ripetè più e più volte che vi poteva essere solo una via verso uno stato sionista:

Se volete colonizzare un paese in cui vive un'altra popolazione, bisogna procurarsi una guarnigione per quel paese, o trovare qualche miliardario o benefattore che procuri una guarnigione per voi. O così, oppure addio colonizzazione, perché senza una forza armata che renda fisicamente impossibile ogni tentativo di annientare o prevenire questa colonizzazione, la colonizzazione è impossibile, non difficile, non pericolosa, ma IMPOSSIBILE!...Il sionismo è un avventura coloniale e dunque dipende dal problema della forza armata. E’ importante…parlare in ebraico, ma sfortunatamente è ancora più importante saper sparare e fare quanto altro richiesto durante una colonizzazione.239

Jabotinsky comprese che, per il momento, i sionisti erano troppo deboli per battere gli arabi

senza il sostegno degli inglesi, e il revisionismo divenne fortemente alleato dell’impero britannico. Nel 1930 Abba Achimeir, l’ideologo del loro ramo palestinese, proclamò che era loro obiettivo “espandere l’Impero britannico anche oltre quanto ritenuto dagli stessi inglesi”240. Tuttavia non avevano intenzione di nascondersi dietro agli inglesi più del necessario. Nel 1935 un giornalista ebreo comunista incontrò Jabotinsky a bordo di una nave diretta negli Stati Uniti e ottenne un’intervista con lui. L’articolo di Robert Gessner sul New Masses divenne oggetto di dibattito in tutto l’ebraismo americano.

Egli premise che avrebbe parlato apertamente, cosicchè il revisionismo fosse comprensibile…”Revisionismo”, iniziò, “è spontaneo, brutale, primitivo. E’ selvaggio. Tu vai per la strada e prendi qualcuno – un cinese – e gli chiedi cosa vuole ed egli dirà un 100%

237 Ibidem, p. 306 238 Marie Syrkin, Labor-Zionism Replies, 1935 239 Vladimir Jabotinsky, The Iron Law, 1925 240 Ya’acov Shavit, The Attitudes of the Revisionists to the Arabs Nationalists Movements, 1978

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di qualcosa. Così per noi. Noi vogliamo un impero ebraico. Proprio come ve ne sono uno italiano o francese nel Mediterraneo, noi vogliamo un impero ebraico”241.

“Aveva colto un barlume del grande segreto dei politici nati” A dispetto dell’entusiasmo dei suoi membri per l’impero britannico, alla fine il revisionismo

dovette guardare altrove per un nuovo protettore imperiale. L’Inghilterra non era dell’idea di fare di più che tutelare i sionisti, e neanche tanto sul serio, e i sionisti dovevano comprare il territorio palmo a palmo. Né qualcuno poteva seriamente pensare che l’Inghilterra avrebbe dato la Transgiordania ai sionisti. I revisionisti allora cominciarono a cercare un nuovo mandatario, fermamente deciso a una politica più aggressiva nei confronti degli arabi e quindi disposto a sostenere la costruzione di una guarnigione sionista. L’Italia sembrava la risposta evidente, non solo per una generica simpatia verso il fascismo, ma proprio per le stesse aspirazioni imperiali italiane. Jabotinsky aveva studiato in Italia e amava il vecchio ordine aristocratico-liberale. In cuor suo si riteneva il Mazzini, il Cavour e il Garibaldi ebraico insieme, e non vedeva nulla di sbagliato nelle tradizioni liberali che Mussolini ripudiava così decisamente. Infatti derideva il fascismo. Nel 1926 scrisse:

Oggi c’è un paese dove i programmi sono stati rimpiazzati dalla parola di un solo uomo…l’Italia; il sistema si chiama fascismo: per dare un nome al loro profeta, hanno coniato un nuovo termine -“Duce”-, che ha il significato della più assurda delle parole inglesi – “leader”. I bufali seguono un leader. Gli uomini civilizzati non hanno leader.242

Eppure, nonostante la sua ampiezza di vedute, Jabotinsky cominciò a tenere una condotta che

imitava il militarismo di Mussolini e Hitler. Il suo romanzo Sansone, pubblicato nel 1926, rimane uno dei classici della letteratura totalitaria.

Un giorno, egli partecipò a una festa al tempio di Gaza. Fuori, nella piazza, una moltitudine di giovani donne e uomini erano riunite per le danze della festa…Un prete sbarbato guidava le danze. Egli stava sul gradino più alto del tempio, tenendo in mano un bastone d’avorio. Quando la musica iniziò la gran folla restò immobile…Il prete sbarbato diventò pallido e sembrò immergere i suoi occhi in quelli dei danzatori, che erano fissati verso i suoi. Egli divenne sempre più pallido; tutta l’energia repressa della folla sembrava concentrarsi nel suo petto, fino a minacciare di soffocarlo. Sansone sentiva il sangue attraversargli il cuore; egli stesso sarebbe soffocato se quel momento fosse duranto ancora un po’. Improvvisamente, con un movimento rapido e quasi inconsapevole, il prete picchiò il bastone, e tutte le bianche figure nella piazza si piegarono sul ginocchio sinistro e alzarono il braccio destro verso il cielo – un unico movimento, un’unica, improvvisa, mormorante armonia. Le decine di migliaia di spettatori si lasciarono sfuggire un sospiro lamentoso. Sansone barcollò; c’era sangue sulle sue labbra, tanto le aveva strette una all’altra…Sansone lasciò quel luogo in preda a un profondo turbamento. Non avrebbe potuto spiegare il suo pensiero, ma aveva la sensazione, in quello spettacolo di una moltitudine che obbediva a una singola volontà, di aver colto un barlume del grande segreto degli uomini orientati alla politica243.

Il desiderio di un mandatario più determinato fece facilmente superare a Jabotinsky il proprio

disgusto per il regime vigente in Italia, e molte delle sue reclute non ebbero mai difficoltà alcuna a familiarizzare con lo stile fascista. A metà degli anni ’20 egli aveva avvicinato alcuni sionisti laburisti delusi, che di getto abbandonarono gli ex compagni e fecero di Mussolini il loro eroe. Nell’agosto del 1932, alla quinta Conferenza Mondiale Revisionista, Abba Achimeir e Wolfgang von Weisl, leader dei revisionisti in Palestina, proposero Jabotinsky come Duce della loro fazione in seno alla WZO. Egli rifiutò recisamente, ma ogni contraddizione tra lui e i crescenti settori filofascisti fu risolta con un avvicinamento a questi ultimi. Senza abbandonare la precedente retorica liberale, Jabotinsky inserì i

241 New Masses, 19 febbraio 1935, p. 11 242 The Zionist, 25 giugno 1936, p. 26 243 Vladimir Jabotinsky, Sansone, 1926

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concetti mussoliniani nella sua ideologia, e raramente criticava i suoi seguaci per i loro attacchi in stile fascista, difendendoli dai sionisti laburisti e dagli inglesi.

E’ stato sollevato l’argomento che il revisionismo come tale non era fascista perché c’erano legittime differenze tra le correnti e le decisioni erano prese attraverso il voto ai congressi o con il metodo del plebiscito. In realtà, è difficile pensare a come il movimento sarebbe potuto essere più antidemocratico pur senza diventare un gruppo formalmente filo-fascista. Nel 1932 – 33 Jabotinsky aveva deciso che era ora di lasciare la WZO, ma la maggioranza dell’esecutivo della fazione revisionista si oppose in quanto non vedeva nessun vantaggio nel distacco. Egli subito troncò il dibattito prendendo arbitrariamente il controllo personale sul movimento e lasciando che le correnti scegliessero tra lui e il vecchio esecutivo in un plebiscito. Una lettera scritta nel 1932 dimostra che egli sapeva bene in quale direzione stesse conducendo l’organizzazione: “Sembra essere giunto il momento in cui ci deve essere un unico decisore principale nel movimento, un ‘leader’, anche se ancora odio questa parola. E sia, se ce ne deve essere uno solo, ce ne sarà uno solo”244.

Jabotinsky sapeva di non poter perdere la votazione; alle decine di migliaia di giovani camicie brune del Betar egli prospettò il militarismo che volevano in contrasto a un esecutivo composto dalla stessa borghesia raffinata del gruppo di Weizmann. Era sempre la gioventù del Betar che costituiva la componente centrale del revisionismo della diaspora. La semi-ufficiale Storia del movimento revisionista afferma che, dopo una discussione se decidere su basi democratiche, venne scelta “una struttura gerarchica di tipo militare”. Il Betar scelse il suo Rosh Betar (Capo Betar), sempre Jabotinsky, con un voto a maggioranza del 75%, ed egli cooptò i leader delle sezioni nazionali; essi, a turno, scelsero i leader inferiori. L’opposizione era tollerata, ma dopo l’espulsione dei moderati nei primi anni ’30 gli unici veri oppositori interni erano i vari “massimalisti”, estremisti che avrebbero lamentato più di una volta che Jabotinsky non era un fascista, o che era troppo filoinglese o troppo poco antiarabo. Quando il betarim medio indossava la camicia bruna di certo gli veniva perdonato se pensava di essere un membro del movimento fascista o che Jabotinsky fosse il suo “Duce”.

“La borghesia ebraica, la sola fonte del nostro capitale di costruzione”

Fin dall’inizio i revisionisti videro nella classe media il loro riferimento, e nutrirono un odio profondo per la sinistra. Nel 1933 un giovane scrisse a Jabotinsky chiedendo perché fosse diventato così visceralmente anti-marxista; Jabotinsky scrisse un notevole articolo, Sionismo e comunismo, spiegando la loro totale incompatibilità. Dal punto di vista dell’ebraismo, “il comunismo cerca di annichilire la borghesia ebraica, la sola fonte del nostro capitale di costruzione, poiché gli investimenti borghesi sono la nostra radice, e il principio del comunismo è la lotta di classe contro la borghesia”245. In Palestina il marxismo significava per definizione una drastica opposizione al sionismo:

L’essenza del comunismo è che esso scuote e sobilla i paesi orientali contro il dominio europeo. Questo dominio ai suoi occhi è “imperialistico” e sfruttatore. Io credo invece che il dominio europeo sia fonte di civiltà, ma questa è un’altra questione e non rientra nel nostro argomento. Una cosa è certa: il comunismo sobilla e deve sobillare e questo può essere fatto solo in nome della liberazione nazionale. Esso dice e deve dire: il vostro paese appartiene a voi e non agli stranieri. Questo deve dire agli arabi e agli arabi in Palestina…Per i nostri scopi sionisti, il comunismo è gas venefico e come tale lo dobbiamo affrontare.246

Come tipico del suo stile, saltava da una premessa corretta a una conclusione scorretta.

Logicamente sionismo e comunismo erano infatti incompatibili, ma ciò non voleva dire che coloro che cercavano di unire le due cose fossero davvero nel campo nemico. Di fatto i sionisti socialisti sacrificavano il socialismo al sionismo, e non viceversa, ma Jabotinsky ribadiva che non vi fosse alcuna differenza tra i comunisti e quelli di Poale Zion:

Non credo che vi sia differenza tra il comunismo e altre forme di socialismo basate su una visione di classe…la sola differenza tra questi due campi sta nel temperamento: uno è

244 Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961 245 Vladimir Jabotinsky, Zionism and Communism, 1933 246 ibidem

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febbrile, l’altro leggermente più moderato. Una tale differenza non vale le gocce d’inchiostro necessario a descriverla.247

Il pensiero di Jabotinsky come sempre andava all’essenziale. La classe capitalistica era la forza

principale del sionismo; ne seguiva, logicamente, che gli scioperi danneggiavano gli investimenti in Palestina. Essi erano accettabili nei paesi industrialmente avanzati (le loro economie li potevano assorbire), ma non dove la fondazione di Sion era ancora in corso, mattone su mattone. Imitando alla perfezione il fascismo italiano, i revisionisti erano contrari sia agli scioperi che alle serrate, e vedevano gli scioperi come il peggior crimine:

E come arbitrato “obbligatorio” intendiamo questo: dopo l’elezione di un tale organismo permanente, il ricorso ad esso dovrebbe essere l’unico modo per risolvere le questioni lavorative, i suoi verdetti dovrebbero essere finali, e sia lo sciopero che la serrata (così come il boicottaggio dell’attività ebraica) dovrebbero essere dichiarati tradimento degli interessi del sionismo e repressi con ogni mezzo legale e morale a disposizione della nazione.248

I revisionisti non avevano intenzione di attendere la presa del potere per rompere coi loro rivali

laburisti. Achimeir, il loro leader in Palestina (Jabotinsky era stato bandito dalla Palestina dall’Alto Commissariato inglese dopo che le provocazioni revisioniste avevano innescato la rivolta araba nel 1929) lo disse a chiare lettere nel suo Yomen shel Fascisti (Diario di un fascista), pubblicato da una rivista laburista. Egli aveva creato un equivalente degli squadristi italiani, il Brith HaBiryonim (Unione dei Terroristi), che si ispiravano agli antichi Sicarii, gli assassini zeloti armati di pugnale attivi durante la rivolta giudaica contro Roma, e spronava i giovani revisionisti alla resa dei conti coi sionisti laburisti:

Dobbiamo creare gruppi di azione; per sterminare l’Histadrut fisicamente; essi sono peggio degli arabi…Voi non siete studenti; siete piuttosto melassa…Non c’è nessuno tra voi capace di commettere un omicidio con lo stile di quegli studenti tedeschi che uccisero Rathenau. Voi non siete posseduti da quello spirito nazionalistico che dominò i tedeschi…Nessuno di voi è capace di uccidere nel modo in cui furono uccisi Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.249

Dunque all’epoca in Palestina i sionisti, con la copertura dell’Histadrut, allontanavano migliaia di

arabi dai loro lavori stagionali nelle piantagioni ebraiche di agrumi, e i revisionisti si mobilitavano contro l’Histadrut. Ma se i lavoratori arabi non avevano ancora una guida in loro difesa, l’Histadrut invece era ben organizzata. Dopo una seire di aspri scontri, inclusa una battaglia decisiva ad Haifa il 17 ottobre 1934, nella quale 1.500 sionisti laburisti devastarono il quartier generale revisionista e ferirono dozzine di quei fascisti, la campagna revisionista andò scemando. I militanti dell’Histadrut erano assai decisi a rispondere all’attacco fascista portando la battaglia nel campo nemico per annientarlo, ma la leadership sionista laburista non voleva combattere il fascismo, né in Palestina né altrove, e lasciò andare gli sconfitti temendo che una guerra aperta avrebbe alienato le simpatie per il sionismo da parte della classe media della diaspora.

Rapporti dei revisionisti coi fascisti italiani

Nei primi anni ’30 Jabotinsky decise di istituire una scuola di partito in Italia, e i revisionisti locali, che si dichiaravano apertamente fascisti, erano di stanza a Roma. Egli sapeva bene che scegliere l’Italia come sede per una scuola di partito significava solo ribadire la propria immagine fascista, ma si era così spostato a destra che aveva perso la cognizione di cosa i suoi “nemici” potessero pensare e ribadì a uno dei suoi accoliti italiani che avrebbero potuto creare la scuola altrove ma “preferiamo stabilirla in Italia”250. Nel 1934 gli italiani avevano concluso che, per quanto fossero loro amici, Sokolow e Weizmann e la direzione della WZO non avevano la minima intenzione di

247 In Shlomo Avineri, The Political Thought of Vladimir Jabotinsky, 1980 248 Vladimir Jabotinsky, State Zionism, 1935 249 Marie Syrkin, Labor-Zionism Replies, 1935 250 Lettera a Leone Carpi, 7 ottobre 1931

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rompere con Londra. Né agli italiani faceva piacere la crescente influenza in seno alla WZO dei sionisti laburisti, che erano in contatto, seppur vagamente, con il partito socialista italiano, messo fuorilegge. Essi comunque erano abbastanza propensi a mostrare appoggio ai revisionisti, che erano evidentemente i fascisti di Sion. Nel 1934 Mussolini permise al Betar di mettere su un battaglione all’accademia marittima di Civitavecchia, diretta dalle Camicie Nere.

Anche dopo l’assassinio di Arlosoroff nel 1933 e la campagna anti-scioperi organizzata da Achimeir contro l’Histadrut, nell’ottobre 1934 Ben-Gurion lavorava ancora per un’intesa con Jabotinsky, ma la base dell’Histadrut oppose un rifiuto e i revisionisti alla fine fondarono la loro New Zionist Organization (NZO). Jabotinsky chiese ai suoi sostenitori italiani di fare in modo che il primo congresso mondiale della NZO si svolgesse a Trieste nel 1935, non curandosi di ciò che la gente avrebbe pensato del suo movimento che teneva il congresso di fondazione nell’Italia fascista251. Alla fine l’evento ebbe luogo a Vienna, ma Jabotinsky visitò l’accademia di Civitavecchia dopo il congresso. Curiosamente, non incontrò mai Mussolini – forse era preoccupato di dimostrare di non essere un altro “capobranco”.

Sebbene non vi sia alcuna frase di Jabotinsky in cui egli si definisca fascista, e innumerevoli siano le sue dichiarazioni di ascendenza gladstoniana252, ogni altra corrente politica vedeva i revisionisti come i fascisti del sionismo. Weizmann in privato attribuì l’assassinio di Arlosoroff al loro stile fascista; Ben-Gurion abitualmente si riferiva a “Vladimir-Hitler” e arrivò a definire i nazisti i “revisionisti tedeschi”253. Von Mildenstein parlò ai suoi lettori dell’incontro a bordo di una nave con un fascista ebreo, uno del Betar; descrisse quei giovani come “il gruppo fascista tra gli ebrei. Nazionalisti radicali, erano contrari a qualsiasi compromesso sulla questione del nazionalismo ebraico. Il loro partito politico era quello revisionista”254. La maggioranza del movimento si considerava contraria alla democrazia e alla stregua dei fascisti (o loro simpatizzante). Jacob de Haas, intimo di Herzl, aveva aderito al revisionismo a metà degli anni ’30 e, per dimostrare che essi non erano “solo Jabotinsky”, aveva presieduto il Congresso della NZO a Vienna. Quando tornò in America riportò le sue impressioni sull’assise in un articolo sul Jewish Chronicle di Chicago. Dopo aver fermamente assicurato i suoi lettori che non stava assolutamente difendendo il fascismo, disse loro che dovevano

rendersi conto che la democrazia era lettera morta nella maggior parte dell’Europa. La sua massima espressione agli occhi della gente comune è una furiosa contrapposizione tra partiti e partitini…I delegati al Congresso non erano fascisti, ma poiché avevano perso la fiducia nella democrazia non erano antifascisti. Piuttosto erano profondamente anticomunisti255.

Se de Haas, in America, doveva far accettare ai suoi scettici lettori la realtà che la

maggioranza del suo movimento non provava altro che disprezzo per la democrazia, Wolfgang von Weisl, direttore finanziario dei revisionisti, non ebbe alcuna esitazione a dire a un giornale di Bucarest che “benché le opinioni tra i revisionisti siano varie, in generale essi simpatizzano col fascismo”. Egli era orgoglioso di far sapere al mondo che “lui personalmente era un sostenitore del fascismo, e gioì della vittoria dell’Italia fascista in Abissinia come trionfo della razza bianca contro quella nera”256. Nel 1980 Shmuel Merlin ha descritto le sue impressioni nei confronti di Mussolini negli anni ’30, da giovane segretario generale della New Zionist Organization.

Io lo ammiravo ma non ero fascista. Egli idealizzava la guerra. Io sentivo che la guerra era necessaria, ma per me era una tragedia…Disapprovai che Achimeir avesse intitolato il suo articolo “Diario di un fascista”, così forniva una scusa ai nostri nemici per attaccarci, ma questo certamente non interruppe la nostra amicizia257.

Di qualunque cosa Jabotinsky pensasse di avere il comando, non c’è dubbio che ciò di cui

questi dirigenti del movimento revisionista parlavano fosse un gruppo fascista. La valutazione di von

251 Lettera a Leone Carpi, 21 maggio 1935 252 William Gladstone (1809 – 1898), quattro volte Primo ministro inglese, membro del Partito Liberale (Whigs). 253 Michael Bar-Zohar, Ben Gurion. The Armed Prophet, 1966 254 Der Angriff, 27 settembre 1934, pp.3-4 255 Chicago Jewish Chronicle, 18 ottobre 1935, p.9 256 World Jewry, 12 giugno 1936, p. 12 257 Intervista dell’autore a Shmuel Merlin, 16 settembre 1980

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Weisl pare abbastanza plausibile; la componente fascista nella dirigenza revisionista era predominante, ed erano loro, non Jabotinsky, a guidare il movimento in Palestina, Polonia, Italia, Germania, Austria, Lettonia e infine Manciuria. Al massimo si può considerare Jabotinsky un cervello liberal-imperialista in un corpo fascista. I revisionisti di oggi non vedono male la presenza di fascisti dichiarati nel loro movimento negli anni ’30; invece enfatizzano eccessivamente la distinzione tra Jabotinsky e i fascisti. L’accademia di Civitavecchia, affermano, era un qualcosa di “mazziniano”. I nazionalisti italiani erano ammessi, proclamano, per cercare l’aiuto di un imperialismo rivale del loro stesso oppressore; di certo, insistono, questo non implicava lo sdoganamento dell’intero regime del Duce. Quindi fanno riferimento al monito di Jabotinsky ai betarim di Civitavecchia:

Non intervenite in alcuna disputa di partito riguardante l’Italia. Non esprimete alcuna opinione sulla politica italiana. Non criticate il regime vigente in Italia – né il precedente. Se vi chiedono delle vostre idee politiche e sociali rispondete: io sono un sionista. Il mio più grande desiderio è lo stato ebraico, e nel nostro paese ci opponiamo alla guerra di classe. Questo è tutto ciò in cui credo.258

Questa formula assai diplomatica era studiata per compiacere i fascisti italiani senza contrariare

i vecchi conservatori, sostenitori del vecchio governo, che i betarim avrebbero potuto incontrare. L’opposizione alla lotta di classe era la cartina di tornasole per Mussolini, che non fu mai particolarmente preoccupato se i suoi ammiratori all’estero si ritenessero o meno veri fascisti. Tuttavia, le cose non finirono con la lettera di Jabotinsky ai betarim. I suoi apologeti omettono di dire come andassero veramente le cose alla scuola, ove i suoi scritti erano sconosciuti. Il numero di marzo 1936 de L’idea sionistica, rivista dei revisionisti italiani, descrisse i cerimoniali per l’inaugurazione del nuova sede del Betar:

All'ordine "Attenzione!", un triplice slogan guidato dal comandante del plotone ("Viva l'Italia! Viva il Re! Viva il Duce!") risuonò, seguito dalla benedizione che rabbi Aldo Lattes invocò in italiano e ebraico, per Dio per il re e per il Duce...Giovinezza (l'inno del partito fascista) fu cantato con grande entusiasmo dai betarim.259

Possiamo star certi che gli stessi slogan furono gridati quando lo stesso Mussolini passò in

rivista i betarim nel 1936. Jabotinsky sapeva che i suoi seguaci italiani erano ammiratori di Mussolini, ma quando gli fu inviata una copia de La dottrina del fascismo di Mussolini, tutto ciò che disse in risposta fu un mite: "Mi permetto di sperare che abbiamo la capacità di creare una nostra dottrina, senza copiarne altre". Nonostante le sue riserve personali verso il fascismo, egli alla fine voleva che Mussolini fosse il mandatario per la Palestina, e nel 1936 scrisse a un amico che le sue scelte oscillavano tra:

l'Italia o un gruppo di stati meno antisemiti interessati all'immigrazione ebraica, oppure un mandato diretto della Società delle Nazioni...tra fine giugno e metà luglio ho vagliato l'alternativa numero 1. Risultato: non è ancora ora, ma tra non molto lo sarà260.

Jabotinsky divenne l'avvocato difensore di Mussolini nel mondo ebraico. Mentre visitava

l'America nel 1935 in un giro di conferenze, scrisse una serie di articoli per il Jewish Daily Bulletin, un giornale sionista in lingua inglese, che ebbe breve durata e si occupava solo di questioni ebraiche. Negli anni '30 la maggior parte degli ebrei seguivano l'opinione corrente e si riferivano alla lotta contro Hitler come a parte della "lotta antifascista"; Jabotinsky era deciso a porre un fine a tale luogo comune, poichè aveva capito perfettamente che finchè gli ebrei avessero visto Hitler come un altro fascista, non avrebbero mai approvato l'apertura revisionista verso Mussolini. La sua sintesi sul regime fascista italiano ci mostra come egli mettesse le sue opinioni sulla politica di un "capobranco" ben dietro alla crescente inclinazione per il suo candidato mandatario italiano.

Al di là di ciò che pochi pensano su altri aspetti del fascismo, non c'è dubbio che la versione italiana dell'ideologia fascista sia in fondo un'ideologia di uguaglianza razziale. Non lasciateci essere così modesti dal pretendere che ciò non abbia importanza, ovvero

258 Lettera ai Plugat Betarim di Civitavecchia, 1935 259 Supplemento al numero 8 de L’Idea Sionistica, marzo 1936, p. 2 260 Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961

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che l'uguaglianza razziale sia un'idea troppo insignificante per compensare l'assenza di libertà civili. Perchè non è vero. Io sono un giornalista, che non potrebbe vivere senza libertà di stampa, ma sostengo che è semplicemente vergognoso dire che nella scala dei diritti civili anche la libertà di stampa viene prima dell'uguaglianza fra gli uomini; e gli ebrei dovrebbero ricordare ciò, e tener conto del fatto che un regime che mantiene tale principio in un mondo sempre più cannibale è giustificabile, in parte ma considerevolmente, per le altre sue carenze: può essere criticato ma non dovrebbe essere ripudiato. Ci sono abbastanza termini di uso dispregiativo (nazismo, hitlerismo, stato di polizia etc.) ma la parola fascismo è di copyright italiano e dovrebbe essere usata soltanto nel suo corretto contesto, non come ingiuria. Soprattutto se la sua negatività è ancora da dimostrare. Il governo fascista oggi ha una grande influenza, e può condizionare molti, per esempio nei consessi della Società delle Nazioni. Per inciso, la Commissione Mandataria Permanente che sovrintende alla questione palestinese ha un presidente italiano. In sintesi, benchè non mi aspetti che le leve più giovani (poco rispettose degli anziani) seguano gli inviti alla cautela, i leader responsabili dovrebbero tenerne conto261.

I revisionisti regolano i loro rapporti coi fascisti

L'apertura verso Mussolini si risolse in un totale disastro. Dispensando colpi alla cieca contro i loro nemici arabi, inglesi ed ebrei, i revisionisti furono i soli a non vedere ciò che stava accadendo. La copia di una lettera dell'emiro Shekib Arslan al Mufti, riguardante l'aumento della propaganda filoitaliana tra gli arabi, apparve sulla stampa palestinese nel 1935, e nel 1936 Radio Bari trasmetteva appelli anti-inglesi fra gli arabi. Allora i revisionisti erano così abituati a difendere Mussolini che non notarono la sua collaborazione con il Mufti e la causa palestinese. Ancora nel 1938 William Ziff, un dirigente pubblicitario leader del revisionismo americano, provò a sminuire il coinvolgimento italiano con il Mufti nel suo libro, The Rape of Palestine.

In poche, belle parole che equiparavano complotti antisemiti e anti-inglesi, il Segretario agli Esteri inglesi ha addossato tutta la colpa agli italiani. L’intera stampa liberale ha abboccato all’esca così abilmente gettata sull’acqua. Come un branco di cani affamati, la stampa marxista ha lanciato i suoi strali aggressivi262.

Nonostante il fatto che i revisionisti avessero chiaramente puntato sul cavallo sbagliato continuò:

Non c'è dubbio che Mussolini, un convinto realista, avrebbe ritenuto di fare un buon

affare separando gli ebrei dall'orbita inglese. Una Sion forte e indipendente e in rapporti amichevoli con l’Italia sarebbe stata cosa assai auspicabile. Ma gli ebrei stessi resero impossibile questa prospettiva a causa della loro persistente anglofilìa, e Mussolini finì per considerare il sionismo semplicemente come una copertura per la creazione di una nuova zona di espansione economico-politica inglese nel Mediterraneo. Il sionismo dunque si profila agli occhi degli italiani come una forza anti-inglese. Ciononostante, non vi è mai stata alcuna evidenza del fatto che l'intervento italiano sia stato un fattore della recente rivolta araba in Palestina263.

In realtà fu la Spagna, e non la Palestina, che indusse Mussolini a sostenere Hitler. Mussolini

comprese che lui e Hitler dovevano restare uniti per sconfiggere la rivoluzione anche in altri paesi, e che solo attraverso un'alleanza con la Germania egli poteva sperare di espandere il suo impero. Ma sapeva anche che era impossibile essere alleato di Hitler e avere gli ebrei nel suo partito. Perciò mise a punto una sorta di “arianesimo latino”, espulse gli ebrei dal partito e dall'economia, e si preparò alla guerra. I revisionisti dichiararono di essersi sbagliati, in buona fede.

261 Jewish Daily Bulletin, 11 aprile 1935, p.3 262 William Ziff, The Rape of Palestine, 1938 263 ibidem

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Per anni abbiamo detto agli ebrei di non denigrare il regime fascista in Italia. Lasciateci essere franchi prima di accusare altri delle recenti leggi anti-ebraiche in Italia; le prime accuse sono per i nostri gruppi radicali che sono responsabili di ciò che è accaduto264.

Con la svolta di Mussolini verso Hitler, lo stesso fascismo revisionista divenne un'opzione

impraticabile nel mondo ebraico, e quando Jabotinsky morì a New York nell'agosto 1940 la carica di Rosh Betar, che sapeva molto di fascismo, venne frettolosamente abolita. Essi non volevano ammettere di essere stati tutti fascisti, semplicemente perchè nessuno poteva sostituire Jabotinsky nel suo ruolo. Gli storici revisionisti attuali naturalmente tendono a omettere o sminuire il ruolo dei revisonisti fascisti, come Achimeir, e su Civitavecchia per lo più si sorvola con frasi minimizzanti del tipo "i fondatori della marina israeliana vennero addestrati là".

“Uno dei fenomeni politici più inquietanti dei nostri tempi”

E' impossibile concludere una discussione su revisionismo e fascismo senza menzionare brevemente il ruolo di Begin durante queste vicende. Nei suoi libri scritti nel dopoguerra, The Revolt e White Nights, le sue attività negli anni '30 sono omesse, e Jabotinsky è ritratto come un esponente incompreso della resistenza militare. Ma all'età di 22 anni Begin era abbastanza importante nel Betar polacco da sedere con Jabotinsky alla presidenza della conferenza del 1935 dei revisionisti polacchi a Varsavia. Nel 1938 egli fu la figura principale alla conferenza mondiale del Betar, svoltasi sempre a Varsavia, e nel 1939 fu nominato capo del Betar in Polonia. Ma, nonostante il fatto che sia stato definito fascista da innumerevoli oppositori, non sono mai stati citati suoi scritti in favore di Mussolini, e a questo punto si presume che non ve ne siano. Tuttavia, se è vero che egli non appoggiò mai dichiaratamente il fascismo, Yehuda Benari, direttore del Jabotinsky Institute, e autore della voce “Begin” nell’Enciclopedia del sionismo e di Israele, afferma categoricamente che nel 1939 “egli si unì all’ala radicale del movimento revisionista, che ideologicamente era legata al B’rit HaBiryonim”265. Begin era amico personale di Achimeir, che era stato deportato in Polonia nel 1935, così come di von Weisl, che spesso veniva a Varsavia a negoziare col governo per conto della NZO. Egli era amico intimo di Nathan Yalin-Mor e a quel tempo ammiratore di Avraham Stern, entrambi profondamente totalitari. Anche dopo la Seconda guerra mondiale, da leader del partito Herut nel nuovo stato israeliano, Begin potè contare sia su Achimeir che su von Weisl come redattori del quotidiano del partito.

Nel 1948, in occasione della prima visita di Begin negli Stati Uniti, Albert Einstein, Hannah Arendt, Sidney Hook e altri inviarono una lettera al New York Times descrivendo la politica di Begin. Stante la condotta del suo movimento e le sue strette relazioni con i fascisti dichiarati del revisionismo anteguerra, il loro giudizio sulle commistioni ideologiche di Begin è da rilevare:

Tra i fenomeni politici più inquietanti del nostro tempo vi è l’emergere nel neonato stato di Israele del “Partito della Libertà” (Tnuat HaHerut), un partito politico molto vicino, per organizzazione, metodi, filosofia politica e riferimenti sociali, ai partiti nazista e fascista…Essi predicano un misto di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale…hanno proposto sindacati corporativi sul modello dell’Italia fascista…Alla luce delle suddette considerazioni, è fondamentale che la verità sul singor Begin e il suo movimento sia resa nota in questo paese. Ed è ancora più tragico che i massimi dirigenti del sionismo americano si siano rifiutati di intraprendere una campagna contro le manovre di Begin”266.

264 In Paul Novick, Solution for Palestine: the Chamberlain White Paper, 1939 265 Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971 266 New York Times, 4 dicembre 1948, p. 12

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11. REVISIONISMO E NAZISMO

All’inizio del 1932 Norman Betwich, l’ex Procuratore Generale della Palestina, sionista, fu insignito dall’Università Ebraica di una cattedra in Diritto internazionale della pace. Appena iniziò la lezione inaugurale, delle grida improvvisamente vennero dal pubblico: “Vai a parlare di pace al Mufti, non a noi!”. Egli ricominciò, ma questa volta fu bombardato da una pioggia di fialette puzzolenti e volantini che annunciavano che gli studenti revisionisti erano contrari a lui e alla sua materia, e la polizia dovette occupare la sala267. Proprio nel periodo in cui le camicie brune di Hitler scioglievano le adunate, era inevitabile che il pubblico ebraico di Gerusalemme vedesse nei betarim in camicia bruna i propri nazisti. Nel 1926 Abba Achimeir aveva già scritto della necessità di uccidere gli oppositori, e quando gli studenti andarono a processo il loro avvocato, un eminente revisionista, tratteggiò allegramente le caratteristiche del nazismo ebraico.

Si, noi revisionisti abbiamo una grande ammirazione per Hitler. Hitler ha salvato la Germania. Altrimenti sarebbe crollata nel giro di quattro anni. E se egli rinunciasse al suo antisemitismo andremmo con lui268.

Di certo molti dei membri del movimento revisionista nel mondo all’inizio guardavano ai nazisti

come a propri affini: nazionalisti e fascisti. Nel 1931 la loro rivista americana, il Betar Monthly, aveva pubblicamente dichiarato il proprio disprezzo per coloro che li accusavano di nazismo.

Quando i leaderini dell’ala sinistra di un sionismo meschino apprezzano Berl Locker che chiama “hitleriani” noi revisionisti e betarim, non siamo affatto dispiaciuti…i Locker e i loro amici vogliono creare in Palestina una colonia di Mosca, con una maggioranza araba invece che ebraica, con la bandiera rossa invece che quella bianca e blu, con l’Internazionale al posto dell’HaTikvah269…Se una maggioranza ebraica sui due lati del Giordano, se uno stato ebraico in Palestina che risolva i problemi economici e culturali della nazione ebraica è hitlerismo, allora noi siamo hitleriani270.

I revisionisti erano sionisti e come tali condividevano la basilare analogia tra il loro movimento e i

nazisti, ovvero che gli ebrei non potessero essere veri tedeschi. Il nazismo era inevitabile e comprensibile. Questa idea fu ben espressa da Ben Frommer, un revisionista americano, nel 1935. Per Frommer, l’ebreo:

non importa quale paese abita…lui non è delle tribù originarie…Di conseguenza l’atteggiamento di un ebreo di completa identità con il proprio paese risulta spurio; il suo patriottismo, per quanto sbandierato, è una bugia a se stesso; e dunque la sua richiesta di completa uguaglianza con coloro che sono l’essenza della nazione naturalmente crea dei contrasti. Questo spiega l’intolleranza di tedeschi, austriaci, polacchi e la marea crescente di ostilità nella maggior parte dei paesi europei…E’ presuntuoso da parte di un ebreo chiedere di essere trattato allo stesso modo di un tedesco in un paese tedesco o di un polacco in un paese polacco. Egli deve gelosamente difendere la sua vita e la sua libertà, ma deve sinceramente riconoscere che non può rivendicare l’ “appartenenza”. La finzione liberale di una perfetta uguaglianza è fallita perché era innaturale271.

267 Norman and Helene Betwich, Mandate Memories 1918 – 1948, 1965 268 In Die Weltbuehne (settimanale berlinese), 31 maggio 1932 269 L’inno nazionale israeliano. 270 Betar Monthly, 15 agosto 1931, pp, 2,5,6 271 Ben Frommer, The Significance of Jewish State, 1935

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Approcci revisionisti coi nazisti

Come gli altri sionisti tedeschi, i revisionisti erano interessati solamente alla Palestina, e durante Weimar non fecero alcuno sforzo per organizzare una resistenza a Hitler. Quando alla fine i nazisti giunsero al potere, i revisionisti intepretarono la vittoria come una sconfitta dei loro avversari ideologici nel mondo ebraico e una rivincita per le proprie idee, il sionismo e il fascismo. Andarono al di là delle posizioni della ZVD e della Rundschau, e fecero proprio lo stile nazista. Il banchiere Georg Kareski, vedendo che i suoi ricchi omologhi cattolici del Partito di Centro collaboravano o si univano ai vincitori nazisti, decise di mostrare a Hitler che vi erano sionisti che condividevano l’etica nazista. Egli si unì ai revisionisti, presto divenne un leader del movimento tedesco e nel maggio del 1933 tentò un putsch alla sede centrale della comunità ebraica di Berlino. Ciò è stato descritto da Richard Lichtheim nella sua Storia del sionismo tedesco. Kareski:

pensava che i sionisti avessero perso l’opportunità di collocarsi al vertice dell’ebraismo tedesco attraverso un atto rivoluzionario. Con un certo numero di giovani membri del Betar…”occupò” l’edificio della comunità ebraica nel 1933. Tuttavia fu rapidamente costretto a uscire, poiché i membri della comunità si rifiutarono di seguirlo. Il risultato di questa folle azione fu l’espulsione di Kareski dalla ZVD. Dapprima Kareski ritenne che lo spirito dei tempi richiedesse un tale atto, e che le superate concezioni della borghesia ebraica liberale dovessero essere sostituite con un’imposizione nazional-sionista di carattere violento. Negli anni successivi egli scivolò in una piuttosto discutibile relazione di dipendenza dalla Gestapo, presso la quale cercò di accreditare se stesso e il Betar come i veri rappresentanti del punto di vista sionista radicale, corrispettivo del nazional-socialismo272.

Questo fu troppo per Jabotinsky. Egli non aveva prestato molta attenzione alla Germania negli

ultimi anni di Weimar. Nel periodo 1929-33 la sua principale preoccupazione era un’intesa con le proposte inglesi sulla Palestina, che erano una risposta ai brevi ma sanguinosi massacri del 1929, in gran parte dovuti alle provocazioni revisioniste al Muro del Pianto. Come molti sionisti di destra, Jabotinsky non pensava che Hitler al potere sarebbe stato altrettanto antisemita come sembrava all’opposizione. Shmuel Merlin, segretario generale della NZO, ha spiegato che: “Egli non era preoccupato, pensava che Hitler avrebbe dovuto fare delle riforme o cedere alla pressione degli Junker e della grande borghesia”273. Comunque, nel marzo del 1933 Jabotinsky proclamò che la Germania ora era un implacabile nemico degli ebrei e si dichiarò inorridito dalla buffonata di Kareski274. Egli scrisse perentoriamente a Hans Block, predecessore di Kareski come presidente dei revisionisti tedeschi:

Non so esattamente cosa è accaduto, ma ogni approccio col governo o i suoi rappresentanti e idee lo considererò semplicemente criminale. Capisco che uno possa silenziosamente combinare guai; ma mettersi sistematicamente nei guai è vietato, e l’hitlerismo rimane un guaio, a dispetto dell’entusiasmo di milioni di persone, che impressiona i nostri giovani in una maniera simile a come l’entusiamo per il comunismo impressiona altri ebrei275.

“L’alleanza Stalin - Ben Gurion – Hitler”

Jabotinsky ebbe anche a che fare col problema del fascismo di Achimeir in Palestina. Flirtare con Mussolini era accettabile, ma una linea filo-nazista era troppo. Egli scrisse in termini chiari ad Achimeir nel 1933:

272 Richard Lichtheim, Die Geschichte des deutschen Zionismus, 1954 273 Intervista dell’autore con Shmuel Merlin, 16 settembre 1980 274 ibidem 275 Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961

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Gli articoli e le note su Hitler e il movimento hitleriano apparse su Hazit Ha’am276 sono per me, e per tutti noi, come un coltello piantato nella schiena. Chiedo la cessazione incondizionata di questo oltraggio. Trovare nell’hitlerismo dei segni di un movimento di “liberazione nazionale” è crassa ingoranza. Per di più, nelle circostanze attuali, queste sciocchezze screditano e paralizzano il mio lavoro…Chiedo che il giornale faccia propria, incondizionatamente e assolutamente, non solo la nostra campagna contro la Germania hitleriana, ma anche la cacciata di Hitler, nel più pieno senso della parola277.

Jabotinsky aveva sostenuto il boicottaggio anti-nazista fin dall’inizio, e la sua critica ai suoi

seguaci in Palestina li riportò in linea; presto essi, che avevano pregato Hitler di salvare la Germania, si misero a criticare la WZO per il suo rifiuto di prendere parte al boicottaggio. Il primo obiettivo dei loro attacchi fu Chaim Arlosoroff, il segretario politico dell’Agenzia Ebraica, di cui erano noti i negoziati coi nazisti. Il 14 giugno 1933 Arlosoroff fece ritorno dall’Europa. Il 15 giugno, Hazit Ha’am lanciò un furioso attacco contro di lui con un articolo di Yochanan Pogrebinski, The Alliance of Stalin – Ben Gurion – Hitler. Il curioso titolo interconnetteva due argomenti centrali della propaganda revisionista: i sionisti laburisti stavano tramando per istituire in Palestina un regime comunista filo-arabo e, nello stesso tempo, per vendere gli ebrei ai nazisti. E’ necessario riportare un brano esteso dell’articolo di Pogrebinski, perché esso spiega tutti gli eventi successivi:

Abbiamo letto…un’intervista a mr. Arlosoroff…Tra le varie frasi senza senso e stupidaggini nelle quali il ciarlatano rosso eccelle, troviamo che il problema ebraico in Germania può essere risolto soltanto con un compromesso con Hitler e il suo regime. Questi individui…adesso hanno deciso di vendere per denaro a Hitler e ai nazisti l’onore del Popolo Ebraico, i suoi diritti, la sua sicurezza e presenza su tutto il globo. A quanto sembra i ciarlatani rossi sono stati disturbati dal successo del boicottaggio contro i beni tedeschi proclamato dal grande leader ebraico di questa generazione, V. Jabotinsky, e sostenuto dagli ebrei di tutto il mondo…

La viltà con la quale il Partito Laburista in Palestina si è piegato a vendersi per denaro al più grande odiatore di ebrei, ha ora raggiunto il punto più basso, e non ha eguali nella storia ebraica…Gli ebrei accoglieranno la triplice alleanza “Stalin – Ben Gurion – Hitler” solo con repulsione e disprezzo…Il popolo ebraico ha sempre saputo come comportarsi con coloro che hanno venduto l’onore della loro nazione e della sua Torah, e sapranno anche oggi come reagire a questo atto vergognoso, compiuto alla piena luce del sole e sotto gli occhi del mondo intero.278

La sera del 16 giugno Arlosoroff e sua moglie fecero una passeggiata lungo la spiaggia di Tel

Aviv. Due giovani li oltrepassarono due volte. La signora Arlosoroff era preoccupata e suo marito provò a calmarla: “Sono ebrei, da quando hai timore degli ebrei?” Poco dopo essi comparvero di nuovo. “’Che ore sono?’ chiese uno di loro. La luce di una torcia ci accecò, e vidi una pistola puntata su di noi”279. Risuonò un colpo e Arlosoroff cadde ucciso.

La polizia inglese non ebbe molte difficoltà. L’assassinio ebbe luogo su una spiaggia; investigatori beduini furono subito messi al lavoro. Due giorni dopo Avraham Stavsky e Zvi Rosenblatt, entrambi revisionisti, furono fermati per un riconoscimento. La signora Arlosoroff quasi svenne quando riconobbe Stavsky che, disse, teneva la torcia. La polizia fermò anche Abba Achimeir e recuperò il suo diario. Una delle sue note parlava di una festa tenuta in casa sua subito dopo l’uccisione, per celebrare la “grande vittoria”. Ciò indusse la polizia ad arrestarlo come mandante dell’omicidio280.

L’accusa era talmente grave che la difesa fu spinta a ricorrere a misure estreme. Mentre i tre erano in carcere in attesa del processo, un arabo, Abdul Majid, detenuto per un altro omicidio, confessò l’uccisione di Arlosoroff, affermando che lui con un amico volevano rapire la moglie. Egli presto ritirò la confessione, la fece di nuovo e ritrattò una seconda volta; affermò che Stavsky e Rosenblatt l’avevano corrotto affinchè facesse quella dichiarazione. Il caso arrivò a processo il 23 aprile 1934. Achimeir fu assolto senza che avesse portato una difesa: il diario non era sufficiente a provare una cospirazione premeditata. Invece, con due voti contro uno, Stavsky fu giudicato

276 Giornale sionista revisionista pubblicato in Palestina tra il 1931 e il 1934. 277 Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961 278 In Eliazer Liebenstein, The Truth About Revisionism, 1935 279 Jerusalem Post, 11 giugno 1958, p.4 280 Jewish Daily Bulletin, 29 agosto 1933, p.4

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colpevole, e l’8 giugno fu condannato all’impiccagione. Il 19 luglio la Corte d’Appello di Palestina lo assolse per una serie di cavilli. Vi erano stati degli errori procedurali riguardanti le indagini. Una volta negata l’evidenza, non vi era più alcun supporto materiale che comprovasse le accuse della signora Arlosoroff. La legge palestinese, a differenza di quella inglese, richiedeva delle verifiche per corroborare la testimonianza di unico teste in un caso di pena capitale. Il presidente della Corte Suprema fu profondamente dispiaciuto (“In Inghilterra…la condanna sarebbe stata confermata”) e criticò la difesa per la confessione artefatta:

L’intromissione di Abdul Majid in questo caso solleva in me il grave sospetto di una cospirazione per intralciare il corso della giustizia, attraverso l’istigazione di Abdul Majid a commettere spergiuro nell’interesse della difesa281.

Fu solo nel 1944 che la verità venne di nuovo fuori, ma ciò non fu reso pubblico fino al 1973.

Quando Lord Moyne, Alto Commissario inglese per il Medio Oriente, fu assassinato al Cairo nel 1944 da due membri della Banda Stern (una fazione revisionista), un esperto balistico palestinese, F.W. Bird, esaminò l’arma del delitto e scoprì che era stata usata in non meno di altri sette omicidi politici: due arabi, quattro poliziotti inglesi e Chaim Arlosoroff. Bird spiegò nel 1973, che: “all’epoca del processo ai due assassini di Lord Moyne non feci notare il collegamento con l’omicidio Arlosoroff poiché i reperti indiziari su quest’ultimo caso erano stati distrutti durante quegli undici anni”282.

L’intero movimento revisionista, incluso Jabotinsky, negò categoricamente che chiunque di loro fosse implicato nell’attentato, ma i sionisti laburisti non dubitarono mai della loro colpevolezza e quando la Corte d’Appello rilasciò Stavsky scoppiò una rivolta fra le due fazioni presso la Grande Sinagoga di Tel Aviv, che Stavsky frequentava. Durante il periodo dell’Olocausto l’uccisione di Arlosoroff fu uno dei principali motivi di attacco ai revisionisti da parte dei sionisti laburisti. Se Arlosoroff fu l’iniziatore dell’Ha’avara Agreement, la base della politica della WZO verso i nazisti, la responsabilità dell’omicidio aveva importanti implicazioni per le relazioni tra i sionisti e i nazisti. Dagli indizi raccolti sembrano esservi pochi dubbi che Stavsky e Rosenblatt assassinarono Arlosoroff, anche se nel 1955 Yehuda Arazi-Tennenbaum, ex sionista laburista ed ex poliziotto del Mandato che aveva lavorato sul caso, annunciò che Stavsky era innocente e che l’arabo Majid aveva subito pressioni affinchè ritirasse la sua confessione. Tuttavia la sua versione dei fatti destò estremo sospetto, anche solo per il fatto che avesse aspettato 22 anni prima di tirarla fuori283. E’ molto meno chiaro se Achimeir avesse commissionato l’omicidio. Di certo non vi è chiara evidenza che Jabotinsky abbia saputo in anticipo del progetto di omicidio. Egli affermò di credere nell’improbabile confessione di Abdul Majid, ma è molto singificiativo che nel 1935 egli insistette affinchè nei principi fondamentali del Betar venisse inserita una clausola: “Io devo preparare il mio braccio in difesa del mio popolo e non devo muoverlo che per questa difesa”.

Gli sforzi di Jabotinsky di mantere il boicottaggio

L’effetto immediato dell’assassinio fu di rendere vani gli sforzi di Jabotinsky per mantenere il boicottaggio antinazista al Congresso Mondiale Sionista tenutosi in agosto a Praga. Durante il Congresso, i dispacci dell’Agenzia Telegrafica Ebraica riportarono la scoperta della polizia della sua lettera ad Achimeir, nella quale lo minacciava di espulsione se avesse continuato ad elogiare Hitler284. Questo episodio, e il fatto che egli comparve nella sala del Congresso con una squadra di betarim in camicia bruna squalificò Jabotinsky come una sorta di nazista ebraico. La decisione del Congresso di respingere il boicottaggio fu dovuta a una serie di fattori ma, in generale, i delegati condivisero le opinioni di Weizmann, e l’opposizione revisionista alla politica tedesca della WZO destò profondo sospetto e discredito a causa del loro farneticare sulla cricca “Stalin - Ben Gurion” che avrebbe trasformato la Palestina in uno stato arabo e comunista.

Tuttavia, Jabotinsky parò a nome di molti al di là del suo stretto seguito quando si pronunciò in favore di una lotta contro Hitler. Egli sapeva che non vi sarebbe mai stata la minima possibilità di un modus vivendi tra gli ebrei e Adolf Hitler. Jabotinsky comprese che gli ebrei tedeschi erano prigionieri

281 Palestine Post, 22 luglio 1934, p. 8 282 Jewish Journal, 10 agosto 1973 283 Jewish Herald, 24 febbraio 1955, p.3 284 Jewish Daily Bulletin, 24 agosto 1933, p. 1

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della guerra di Hitler contro il mondo ebraico. “Se il regime di Hitler è destinato a durare, l’ebraismo è condannato”. Per i nazisti l’ebraismo tedesco era “solo un trascurabile dettaglio”285, scrisse.

Dopo che il Congresso ebbe respinta la sua risoluzione, 240 voti a 48, Jabotinsky tenne una conferenza stampa per attaccare l’Ha’avara e indicare il Partito Revisionista quale temporaneo punto di riferimento per lanciare una campagna anti-nazista mondiale. Espresse la volontà di lavorare con la Non-Sectarian Anti-Nazi League americana e altre forze del boicottaggio, ma non ipotizzò mai una sorta di mobilitazione di massa. Era contrario a quello che chiamava un boicottaggio “negativo”. Il suo sarebbe stato in positivo, ovvero “comprare…da origini più accettabili”. Il suo ufficio avrebbe fornito “l’esatta descrizione di tutti gli articoli raccomandati per l’acquisto…indirizzi e numeri di telefono dei negozi ove questi articoli possono essere reperiti”286. I revisionisti, ligi al dovere, istituirono un “Dipartimento di Difesa Economica” presso la loro sede di Parigi, ma il 6 febbraio 1934 Jabotinsky già lamentava di dover fare da solo tutto il lavoro poiché:

I membri del comitato esecutivo si sono rifiutati di caricarsi di un compito che non poteva essere svolto senza un consistente budget…tutto il lavoro deve essere fatto da un segretario non pagato più una dattilografa part time287.

Finchè avesse avuto del denaro non vi sarebbe stata “nessuna azione pubblica (che sarebbe

stata molto facile): il mondo ebraico ne aveva abbastanza di tali approcci, cui non faceva seguito un’azione sistematica”288. Il 13 settembre 1935, al congresso fondativo della Nuova Organizzazione Sionista, Jabotinsky parlò ancora di boicottaggio, ma al tempo futuro: “Un’organizzazione ebraica di boicottaggio, da lui guidata, deve essere creata”289. L’ “agenzia pubblicitaria” di Jabotinsky non riuscì a convincere nessuno e al massimo produsse una montagna di carta. Tuttavia, i revisionisti fecero un lavoro di boicottaggio in tutto il mondo ma, in quanto tipici settari, tennero le loro assemblee anti-naziste nelle loro roccaforti in Europa orientale. Da soli non riuscirono a ottenere nulla, e inevitabilmente si rivolsero ad attività a loro più congeniali, direttamente attinenti alla Palestina.

“Non ci sarà alcuna guerra”

A causa del suo personale antinazismo, Jabotinsky non si dedicò mai primariamente alla Germania. Secondo Shmuel Merlin, “Jabotinsky non credeva che il regime Hitler fosse duraturo o stabile”290. C’è una leggenda secondo la quale egli avrebbe avvertito gli ebrei dell’imminente Olocausto, e alcune sue affermazioni a un’attenta considerazione hanno un tono profetico: ‘Se il regime hitleriano è destinato a durare, l’ebraismo è condannato’. Ma egli pensava che il regime fosse debole ed era certo che sarebbe collassato in caso di guerra. I suoi ammiratori ribadivano la sua tesi ricorrente: ‘o liquidate la diaspora o la diaspora vi liquiderà’. Ma nonostante le sue qualità oracolari, egli non intendeva che la Germania avrebbe conquistato l’Europa e massacrato gli ebrei. Merlin è preciso: “‘Liquidate la diaspora’ non era affatto riferito a Hitler. I nostri riferimenti principali erano la Polonia e l’Europa orientale”291. Lo slogan si riferiva alla distruzione dal punto di vista economico della classe media ebraica in Polonia, che era sempre più emarginata dallo sviluppo delle cooperative contadine e cacciata dai pogrom organizzati dalla classe media cristiana nazionalista.

Durante gli anni '30, Jabotinsky non comprese mai che il nazismo era il prodotto di un'epoca di guerra e rivoluzione, e in guerra e rivoluzione doveva cadere. Egli si autoconvinse che i capitalisti non si sarebbero lasciati portare all'autodistruzione in un'altra guerra, e nel 1939 scrisse alla sorella: "Non ci sarà alcuna guerra; l'insolenza tedesca presto finirà; l'Italia farà amicizia con gli inglesi...e in cinque anni avremo uno stato ebraico"292. Nell'estate 1939 si trovava a Pont d'Avon in Francia, e l'ultima

285 Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961 286 ibidem 287 ibidem 288 ibidem 289 World Jewry, 13 settembre 1935, p.13 290 Intervista a Shmuel Merlin 291 ibidem 292 Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961

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settimana di agosto scriveva ancora: "Non c'è la minima possibilità di una guerra...Il mondo sembra un posto pacifico da Pont d'Avon, e penso che a Pont d'Avon vi sia la giusta visuale"293.

La risposta revisionista all'occupazione nazista di Austria e Cecoslovacchia era stata febbrile. Al Congresso Mondiale del Betar a Varsavia, nel settembre 1938, il venticinquenne Begin chiese l'immediata conquista della Palestina. Jabotinsky sapeva che ciò era impossibile; non avrebbero mai potuto sconfiggere gli inglesi, gli arabi o anche i sionisti laburisti, ed egli ridicolizzò il suo assai zelante discepolo, paragonando le sue parole all' "inutile scricchiolìo di una porta". Ma nell'agosto 1939, riflettendo la stessa disperazione dei suoi, Jabotinsky concluse che, se i revisionisti non potevano in quel momento salvare gli ebrei d'Europa, almeno potevano uscire di scena con onore e magari ispirare gli ebrei con il loro esempio: decisero pertanto di “invadere” la Palestina, facendo approdare un'imbarcazione carica di betarim sulla spiaggia di Tel Aviv. L’organizzazione clandestina colà, l'Irgun (L'Organizzazione, da Irgun Zvei Leumi, Organizzazione Nazionale Militare) doveva insorgere e impadronirsi del palazzo del governo a Gerusalemme, e mantenerlo per 24 ore, mentre un governo provvisorio ebraico sarebbe stato proclamato in Europa e a New York. Dopo la sua cattura o morte, avrebbe operato come governo in esilio. Il modello dell'impresa era la Rivolta di Pasqua del 1916 in Irlanda. Là i leader erano stati giustiziati dopo la cattura, ma la rivolta aveva portato al ritiro inglese dalla parte meridionale del paese. Tuttavia, è impossibile immaginare come l'invasione di Jabotinsky avrebbe potuto convincere la popolazione ebraica in Palestina a insorgere dopo la sconfitta dei revisionisti, visto che la maggior parte era loro nemica. Il fantasioso piano venne alla luce nella notte tra il 31 agosto e il 1 settembre 1939. Il CID inglese arrestò l'intero stato maggiore dell'Irgun mentre discutevano se prendere parte al progetto e, nel giro di poche ore, le armate di Hitler si misero in marcia nel territorio polacco, iniziando quella guerra che secondo le convinzioni di Jabotinsky non sarebbe mai scoppiata294.

293 ibidem 294 Jewish Spectator, estate 1980, p. 36

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12. GEORG KARESKI: UN QUISLING SIONISTA PRIMA DI QUISILING295

Il fatto che Jabotinsky fosse contrario a Hitler, e avesse convinto Achimeir a smettere di inneggiare al nazismo, non significava che tutti i revisionisti fossero d'accordo con lui. Alcuni revisionisti erano ancora convinti che la collaborazione fosse la strada migliore per il sionismo. Il più noto fra loro era Georg Kareski, che come abbiamo visto Jabotinsky provò a frenare nel 1933.

Già nel 1919-20 Kareski aveva ignorato le preoccupazioni della ZVD per il lavoro sulla Palestina e si era concentrato sull'attività della comunità ebraica tedesca. In un'epoca di declino della fede, in cui molti ebrei tedeschi sceglievano i matrimoni misti e l'ateismo, coloro che aderivano a quella riservata comunità divennero ancor più identitari. Nel 1926 i sionisti "duri e puri" della Judische Volkspartei di Kareski, in alleanza con altri isolazionisti religiosi, riuscirono a soppiantare la leadership liberale riformatrice, e nel 1929 egli divenne direttore della comunità ebraica di Berlino. Ma il suo successo fu di breve durata, e i liberali lo sconfissero nel novembre 1930. Kareski era entrato nella politica tedesca nelle elezioni per il Reichstag del settembre 1930, come candidato del Centro cattolico, che lo attraeva per la sua impostazione religiosa e il conservatorismo sociale. Con l'arrivo di Hitler al potere, Kareski si unì ai revisionisti, che vedeva come i possibili emuli dei vittoriosi nazisti. Essi costituivano una modesta fazione entro la ZVD, e raccolsero solo 1189 voti su 8494 alle elezioni dei delegati al Congresso Sionista Mondiale del 1931. Nel 1933 i revisionisti divennero una minoranza ancora inferiore a causa delle loro divisioni interne. Kareski, con prestigio derivante dall'essere un noto membro della comunità, non ebbe difficoltà ad assumere la guida di queste forze disgregate, coagulandole nella nuova Staatsionistiche Organisation (Organizzazione per uno Stato sionista, SO).

Nel maggio del 1933 egli tentò il suo ridicolo putsch alla sede della comunità ebraica di Berlino e fu espulso dalla ZVD. La sua carriera e la sua collaborazione coi nazisti crebbero dopo il distacco dei revisionisti dalla WZO, che seguì la sconfitta del boicottaggio antinazista al Congresso di Praga. Poichè i revisionisti de facto non erano più parte della WZO, l’Ufficio per la Palestina a Berlino ricevette l’ordine di escludere i betarim dagli elenchi per i certificati di immigrazione. I revisionisti risposero dando atto a una serie di zuffe ai meeting della ZVD, gridando: “Porci marxisti! Voi siete simpatizzanti dell’Histadrut, che appartiene alla Seconda Internazionale!”296. Come risultato le sedi della ZVD vennero temporaneamente chiuse nel giugno 1934. Il 6 agosto uno dei leader della SO, il dottor Friedrich Stern, inviò una lettera ai nazisti spiegando che lo sviluppo del loro gruppo giovanile anti-marxista, la Nationale Jugend Herzlia (Gioventù Nazionale Herzliana), era dovuto alla loro esclusione dall’emigrazione da parte dell’Ufficio per la Palestina, gestito da membri della ZVD sostenitori dei filo-marxisti dell’Histadrut. Stern proponeva che la gestione dell’Ufficio per la Palestina fosse assegnata alla sua fazione. La ZVD scoprì il complotto attraverso delle spie di HeChalutz tra gli herzliani e attraverso i suoi contatti con il regime, e subito il progetto fallì297. I nazisti presto capirono che se avessero dato l’Ufficio per la Palestina alla SO, la WZO non avrebbe più rilasciato alcun certificato in Germania. Finchè i nazisti avevano bisogno della WZO e delle donazioni ebraiche per organizzare l’emigrazione, non potevano imporre un collaborazionista alla comunità ebraica. La campagna di Kareski mise Jabotinsky in una posizione impossibile: mentre attaccava la WZO per l’Ha’avara, il suo stesso movimento in Germania collaborava coi nazisti, ed egli presto dovette annunciare che da allora in avanti “L’ala del sionismo che condivide le nostre vedute herzliane sa anche che ‘marxista’ è una parola che non va mai usata nei dibattiti polemici”298.

295 Vidkun Quisling (1887 – 1945), fondatore nel 1933 del partito fascista norvegese, fu uno dei più famosi

collaborazionisti, mettendosi al servizio di Hitler e delle forze armate tedesche che all'inizio della Seconda guerra mondiale

avevano occupato la Norvegia. Nel corso del conflitto il termine "quisling" fu perciò usato per indicare i capi dei governi

collaborazionisti con i nazisti. Tale denominazione si adopera ancora oggi nei confronti dei governi che si mettono al

servizio degli occupanti stranieri. Al termine della guerra Quisling venne fatto prigioniero dal Fronte patriottico norvegese.

Dopo un processo per alto tradimento, venne condannato a morte e giustiziato il 24 ottobre 1945. 296 Palestine Post, 25 giugno 1934, p.1 297 Herbert Levine, A Jewish Collaborator in Nazi Germany. The strange career of Georg Kareski, 1933–1937, 1975 298 Jewish Daily Bulletin, 11 aprile 1935, p.2

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I nazisti avevano optato per una linea generale che favoriva i sionisti sui non sionisti, ed entro quella linea decisero che la loro strategia sarebbe stata il sostegno aperto alla SO senza sopprimere i “marxisti” della ZVD. Il 13 aprile 1935 la Gestapo inviò alle polizie locali l’indicazione che da allora innanzi la SO avrebbe ricevuto:

…eccezionalmente, e sempre provvisoriamente, il permesso per i loro membri della Gioventù Nazionale Herzliana e di Brit Hashomrim299 di indossare le loro uniformi in luoghi chiusi…poiché la SO ha dato prova di essere un’organizzazione che ha tentato in ogni modo, anche illegalmente, a portare i suoi membri in Palestina e che, per la sua sincera attività dedita all’emigrazione, va incontro in parte ai piani del governo del Reich di rimuovere gli ebrei dalla Germania. Il permesso di indossare un’uniforme dovrebbe spingere i membri delle organizzazioni ebraico-tedesche a unirsi ai gruppi giovanili della SO, nei quali sarebbero maggiormente spinti a emigrare in Palestina300.

Nonostante le relazioni tra la SO e la Gestapo, Kareski fu ancora il benvenuto al Congresso

della NZO a Vienna nel 1935. Quando i revisionisti avevano deciso di sostenere il boicottaggio antinazista, avevano ufficialmente sciolto la loro sezione tedesca nel tentativo di proteggerla; era ovvio che Kareski fosse al congresso su istigazione della Gestapo per fare lobby contro il boicottaggio. I partecipanti volevano prendere le distanze dalla SO e presentarono una risoluzione per cui, date le circostanze, non vi era e non poteva esservi un movimento revisionista in Germania301. Kareski commise l’errore di recarsi al successivo congresso del Betar a Cracovia in compagnia di un noto agente ebreo della Gestapo, e alcuni betarim tedeschi avvisarono Jabotinsky302. Fu chiesto a Kareski di lasciare il congresso, e Jabotinsky si sentì in dovere di chiedergli di giustificarsi pubblicamente e di negare qualsiasi legame coi nazisti303. Tuttavia più tardi, nel 1936, si servì di Kareski come tramite con la casa editrice tedesca che deteneva il copyright di uno dei suoi libri. Jabotinsky non si assunse altre responsabilità nei confronti di Kareski dopo Cracovia, ma finchè rimase in Germania quest’ultimo restò in contatto con la minoranza del movimento revisionista, soprattutto quelli intorno a von Weisl a Vienna, che continuavano ad approvare la sua linea filonazista.

“I sionisti, come le Leggi Razziali, ci hanno dato garanzie formali”

I continui fallimenti di Kareski nel cercare di avvicinare alle sue posizioni gli ebrei tedeschi non scoraggiarono mai i nazisti dal tentativo di imporlo alla comunità. Alla fine del 1935 lo misero a capo del Reichsverband judischer Kulturbunde (Società delle Unioni Culturali Ebraiche). Queste unioni culturali erano state istituite per trovare lavoro a musicisti, scrittrori e artisti ebrei che erano stati esclusi dalle loro posizioni, e la Gestapo aveva deciso che un genuino spirito sionista avrebbe arrecato loro del bene304. Benno Cohen della ZVD era stato nominato assistente del loro presidente, il direttore d’orchestra Kurt Singer, ma ciò non era abbastanza: i membri erano ancora culturalmente assimilazionisti, e nell’ottobre 1935 Kareski, che non aveva niente a che fare con l’arte, fu nominato in un ruolo superiore a quello di Singer, mentre Cohen veniva rimosso. Singer disse ai nazisti che si sarebbe ritirato piuttosto che lavorare con Kareski, e le Unioni vennero chiuse nel tentativo di costringerle ad accettare quest’ultimo. Il rifiuto degli ebrei di subire le scelte naziste destò l’interesse della stampa del regime, e Hans Hinkel, il burocrate che si occupava delle Unioni Culturali, spiegò pubblicamente la sua scelta di un nuovo direttore.

Ho consapevolmente permesso al movimento sionista di esercitare la massima influenza sull’attività culturale e spirituale delle Unioni perché i sionisti, come le Leggi Razziali, ci hanno dato garanzie formali di cooperazione in un modo per noi accettabile.

299 Unione delle Sentinelle, altra organizzazione revisionista presente in Germania. 300 Kurt Grossmann, Zionists and Non-Zionists under Nazi Rule in the 1930s, 1965 301 Intervista a Shmuel Merlin, 16 settembre 1980 302 Intervista a Paul Riebenfeld, 17 settembre 1978 303 Congress Bulletin, 24 gennaio 1936, p. 4 304 Herbert Levine, A Jewish Collaborator in Nazi Germany. The strange career of Georg Kareski, 1933–1937, 1975

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I sionisti cui Hinkel faceva riferimento erano quelli della SO, all’epoca ancor meno popolari che nel 1931; realisticamente essi non contavano più di alcuni membri anziani e circa 500 giovani305. Tuttavia i nazisti diedero spazio a Kareski nella loro propaganda. In quanto ex capo della comunità ebraica di Berlino, capo della SO, e ora capo delle Unioni Culturali, sembrava una figura notevole. Der Angriff lo intervistò il 23 dicembre:

Per anni ho considerato la completa separazione tra le attività culturali dei due popoli come una condizione per una pacifica collaborazione…fondata sul rispetto per la nazionalità altrui…Le Leggi di Norimberga…mi sembra, a parte le loro specifiche disposizioni legali, che siano conformi a questo desiderio di una vita separata, basata sul reciproco rispetto. E’ specialmente così quando si mette in conto la separazione di sistemi scolastici istituiti in precedenza. Le scuole ebraiche soddisfano una vecchia esigneza dei miei amici, in quanto essi ritengono che l’educazione dell’ebreo secondo le sue tradizioni e modi di vita è qualcosa di assolutamente fondamentale306.

Comunque, le Unioni culturali erano troppo importanti per i nazisti come modelli di segregazione

culturale per essere abbandonate a causa di Kareski, e alla fine i nazisti lasciarono che venissero riorganizzate senza di lui. Ma nel 1937 Kareski e la Gestapo erano pronti a un’altra operazione. Questa volta il loro obiettivo fu il Reichsvertretung der deutschen Juden (Rappresentanza al Reich degli Ebrei tedeschi). Kareski formò un’alleanza con degli assimilazionisti conservatori scontenti della comunità ebraica, e loro presentarono un programma in cui la SO avrebbe guidato il lavoro politico dell’organizzazione e le congregazioni religiose si sarebbero occupate delle attività assistenziali. Max Nussbaum, rabbino della Grande Congregazione Ebraica di Berlino, in seguito raccontò delle pressioni naziste in favore della linea revisionista. Il Commissario agli Affari Ebraici, Kuchmann, si era messo in testa di diventare un esperto della questione ebraica, e leggeva tutti i libri inerenti l’ebraismo moderno. Determinato a svolgere nel modo migliore il suo incarico, egli convocò Nussbaum.

Alla fine dei suoi impegnativi studi, improvvisamente si innamorò del revisionismo, dicendo a ognuno di noi che avevamo la sfortuna di essere convocati nel suo ufficio che quella era la sola soluzione del problema della Palestina e criticando costantemente il sionismo ufficiale per il suo essere “rosso” e “di sinistra”. Un giorno nella primavera del 1937 mi chiamò nel suo ufficio e mi disse bruscamente che dovevo assumere la guida del gruppo revisionista, dovevo rendere il revisionismo più popolare presso gli ebrei tedeschi, abbandonare la mia propaganda per i sionisti di Meinecke Strasse (la ZVD)…Quando io rifiutai…mi punì con la proibizione di tenere discorsi e scrivere per un anno307.

Ancora una volta il tentativo fallì; gli ebrei all’estero non erano disposti ad accettare

un’organizzazione centrale degli ebrei tedeschi diretta da un traditore, e i nazisti rinunciarono. Come premio di consolazione nella primavera del 1937 i nazisti fecero della Staatsionistische Organisation l’unico rappresentante degli ebrei autorizzato a negoziare con gli enti di salute pubblica tedeschi308.

Kareski diventò definitivamente inutile per i nazisti nel luglio del 1937, quando emerse uno scandalo riguardante la sua Iwria Bank. Egli aveva fatto prestiti irregolari a membri del board della banca e a suoi amici personali, e provò a garantirsi con un assegno sul conto della comunità ebraica di Berlino, facendolo accettare a uno dei suoi dipendenti sebbene avesse soltanto la sua firma, il che era una violazione dei requisiti richiesti. Il cassiere incassò l’assegno con riserva, e avvisò la comunità berlinese. Non c’è prova che Kareski abbia ottenuto un profitto personale dalle sue manovre (usava i prestiti come tangenti per procacciasi alleati all’interno della comunità ebraica) ma alla fine la banca fallì e Kareski decise di recarsi in Palestina309.

Il viaggio non fu un successo. Il 6 ottobre la comunità ebraica tedesca di Haifa scoprì che egli era laggiù e una gran folla si riunì per accoglierlo, inseguendolo per le strade. Alla fine dovette barricarsi dentro una casa e attendere di essere soccorso dalla polizia310. L’Associazione degli emigrati tedeschi (Hitahdut Olei Germanyah, HOG), lo accusò pubblicamente di aver cercato di

305 Solomon Colodner, Jewish Education under the Nazis, 1964 306 Riportato in Jewish Chronicle, 3 febbraio 1936, p. 16 307 Congress Weekly, 11 settembre 1942, p.13 308 Palestine Post, 5 settembre 1937, p. 5 309 Leonard Baker, Days of Sorrow and Pain, 1978 310 Palestine Post, 7 ottobre 1937, p. 3

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acquisire la leadership dell’ebraismo tedesco con l’aiuto dei nazisti, di aver istigato all’uccisione del presidente della ZVD, di aver provato a distruggere l’organizzazione sionista, e di bancarotta. Kareski commise l’errore di respingere le accuse e di chiedere un processo presso un tribunale rabbinico. Nel giugno 1938 il tribunale, presieduto da un rabbino capo, riconobbe come pienamente confermate le accuse dell’HOG. Quella decisione in quel momento mise fine all’attività politica di Kareski.

“Una Legione Ebraica per proteggere gli ebrei in Palestina dagli attacchi”

Nonostante la presa di distanza di Jabotinsky, Kareski ebbe sempre dei sostenitori nel movimento revisionista. Vi era sempre stato chi non condivideva l’antinazismo di Jabotinsky. Se era stato possibile per Jabotinsky provare ad accordarsi con Simon Petljura, tramite Slavinsky, quando l’armata ucraina aveva già macellato 30.000 ebrei, perché un accordo con Hitler era inaccettabile? Prima della Notte dei Cristalli Hitler non aveva ucciso ebrei in quanto ebrei. Questi revisionisti erano convinti che la vittoria di Hitler avesse aperto un’epoca fascista e che gli ebrei dovessero solamente accettare la realtà e adattarsi ad essa. Il gruppo intorno a von Weisl, che era il negoziatore di Jabotinsky con le dittature dell’Europa orientale, concordava con le vedute di Kareski. Nel 1936 von Weisl, apparentemente di sua iniziativa, contattò i fascisti inglesi e propose una fantasiosa alleanza militare tra Inghilterra, Giappone, Polonia e Germania, insieme a un futuro stato revisionista, contro i sovietici, gli arabi e le rivoluzioni anticoloniali asiatiche311.

Sarebbe piacevole poter dire che la decisione della corte rabbinica mise definitivamente fine alla carriera politica di Kareski, e che questi morì solo e malvoluto, ma il 2 agosto 1947 egli 68enne era il direttore del Revisionist Healt Fund in Palestina. Alcuni amici provarono anche a fargli intitolare una strada a Ramat Gan312. Egli ha anche dei recenti estimatori che suggeriscono che, essendo gli ebrei stati abbandonati dal resto del mondo, all’arrivo di Hitler al potere una veloce emigrazione era l’unica soluzione.

Kareski, un tipico revisionista, sebbene di un’ala estremista, fu un traditore della comunità ebraica tedesca. La sua visione prevedeva uno stato revisionista esteso dal Mediterraneo all’Eufrate, con Mussolini come mandatario. Di certo egli non previde l’Olocausto. Nel 1935 aveva proposto un piano di evacuazione di 25 anni dalla Germania, con 20.000 emigranti all’anno. La sua idea era di utilizzare la Gioventù Herzliana come “una Legione Ebraica per proteggere gli ebrei in Palestina (sottolineatura mia) dagli attacchi”313.

Non è sorprendente che i nazisti abbiano usato Kareski come collaboratore in Germania. Il suo rivale tra gli assimilazionisti, Max Naumann, era totalmente inadeguato poiché insisteva per la piena partecipazione degli ebrei al Terzo Reich. Kareski sembrò ai nazisti proveniente da un’agenzia di casting cinematografico: una caricatura dell’ebreo da palcoscenico, del gobbo usuraio, tanto zelante quanto un rabbino medievale nel tenere gli ebrei al di fuori dal mondo dei miscredenti, e a capo di un movimento emigrazionista che vestiva la camicia bruna.

311 Herbert Levine, A Jewish Collaborator in Nazi Germany. The strange career of Georg Kareski, 1933–1937, 1975 312 ibidem 313 Chicago Jewish Chronicle, 15 novembre 1935, p. 9

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13. LA SELEZIONE DEL POPOLO ELETTO: LA DOTTRINA DELLA “CRUDELTA’ SIONISTA”

Le statistiche sull’emigrazione ebraica dalla Germania variano a seconda delle fonti, ma a grandi linee coincidono. Herbert Strauss, per esempio, stima che in totale vi furono 270.000 – 300.000 emigranti ebrei dalla Germania, di cui 30.000 perirono nei paesi di arrivo314. Yehuda Bauer scrive che vi furono 44.537 emigranti in Palestina da Germania e Austria tra il 1933 e il 1938, “circa il 20%” del totale degli emigranti ebrei315. L’Encyclopedia Judaica scrive che 55.000 ebrei andarono in Palestina fino al 1939316. Fawzi Abu-Diab riporta solo 39.131 emigrati tedeschi tra il 1921 e il 1945, ma un numero così basso è ricavato dalle categorie “viaggiatori autorizzati”, “apolidi” e “non specificati” degli elenchi del Mandato e dell’Agenzia Ebraica, molti dei quali erano tedeschi domiciliati in Palestina in quegli anni317. Per fare un confronto, l’Encyclopedia Judaica stima che 63.000 emigranti andarono negli Stati Uniti, 40.000 in Inghilterra, 30.000 in Francia, 25.000 in Belgio e 25.000 in Argentina. La colonia internazionale di Shanghai accolse circa 16.000 ebrei tra il 1938 e il 1941, e il Sud Africa 5.000.

Furono gli inglesi, e non i sionisti, e determinare la politica migratoria verso la Palestina, combinando insieme una serie di considerazioni politiche: per esempio una stima della reazione degli arabi, e alcune valutazioni abbastanza oggettive della capacità di assorbimento dell’economia ebraica. Ogni anno veniva fissata una quota, e i preziosi certificati di immigrazione erano assegnati alla WZO. Vi furono sempre criteri politici per selezionare gli aspiranti immigrati. I comunisti furono sempre esclusi e il 6% dei certificati andavano agli anti-sionisti dell’Aguda ma, di converso, chi deteneva un capitale di 1.000 sterline o più era sempre ammesso come fuoriquota. Fino alla rivolta araba del 1936, che spinse l’autorità mandataria a diminuire drasticamente l’immigrazione, l’Agenzia Ebraica non sfidò mai seriamente Londra sulla selezione dei candidati o sui criteri economici che vi sottendevano.

La stessa politica migratoria della WZO si era evoluta lentamente. Prima della Prima guerra mondiale la maggior parte degli immigrati provenivano dalla Russia, ma la rivoluzione bolscevica d’un tratto prosciugò quella fonte; nel primo dopoguerra fu la Polonia che fornì il maggior numero di coloni. La linea antisemita dei nazional-democratici (endek) del governo polacco spinse migliaia di artigiani e ebrei di classe medio-bassa a scegliere l’emigrazione. Non potendo più andare in America a causa delle nuove restrizioni all’immigrazione in quel paese, si diressero in Palestina e il loro flusso di capitale presto produsse un boom della vendita di appezzamenti, tanto che lotti di terreno di Tel Aviv erano richiesti nelle piazze dei mercati di Varsavia. Il Jewish National Fund (JNF), che organizzava le colonie agricole della WZO, era anche costretto a pagare prezzi esorbitanti per ottenere terreni di sua proprietà. Tel Aviv dunque si allargò a causa della nuova immigrazione, ma soprattutto per quella dei lavoratori autonomi polacchi: un vecchio patriarca con la famiglia allargata e alcuni telai a mano. I polacchi risolvevano i loro problemi, ma i loro piccoli insediamenti non potevano diventare la base di un’economia sionista consolidata, cosa fondamentale se volevano strappare il paese agli arabi. Improvvisamente il boom dei terreni si interruppe, portando alla rovina di molti piccoli negozianti e a una vasta disoccupazione nelle imprese edili; sebbene il crollo dei prezzi ora fosse un vantaggio per il JNF, essi ora avevano a che fare con le necessità dei disoccupati.

Quell’esperienza produsse drastici cambiamenti politici, e fu deciso che non si potevano affrontare i costi sociali di un’immigrazione piccolo-borghese. All’inizio del 1924 Weizmann iniziò a criticare i nuovi coloni, che secondo lui si portavano dietro “l’atmosfera del ghetto” e ammonì che “non stiamo costruendo la nostra Casa Nazionale sul modello di Djika e Nalevki318…qui siamo a casa e stiamo costruendo qualcosa di eterno”319.

Fu la politica “anti-Nalevki” che allontanò il sionismo dalle masse degli ebrei ordinari, che per lo più non erano sionisti, e anche da molti settori del movimento sionista nella diaspora. Essi non avevano i requisiti e le risorse necessarie alla Palestina, e da allora in poi il sionismo non si servì più

314 Herbert A. Strauss, Jewish Emigration from Germany - Nazi Policies and Jewish Responses, 1980 315 Yehuda Bauer, My brother's keeper; a history of the American Jewish Joint Distribution Committee, 1974 316 Encyclopedia Judaica, 16 voll., 1971-72 317 Fawzi Abu-Diab, Immigration to Israel: A Threat to Peace in the Middle East, 1960 318 Due vie del ghetto di Varsavia. 319 Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949

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di loro; gli immigrati sarebbero stati accuratamente selezionati a seconda delle esigenze di Sion. Nella stessa Palestina la WZO decise di incoraggiare i disoccupati a ritornare indietro, per non dover spendere nei sussidi di disoccupazione320. Si iniziò a mostrare forte preferenza per i kibbutzim collettivisti di tendenza sionista laburista e si formò un alleanza tra la cerchia di Weizmann, che pur essendo borghesi stavano cercando in ogni modo di tagliare i costi della colonizzazione, e quelli “di sinistra” che avevano la concezione di una generazione di ebrei “sani”, non più dediti alle occupazioni della diaspora, intenti a costruire un paese socialista sul proprio territorio. I giovani pionieri avevano voltato le spalle ai privilegi delle loro famiglie medio-borghesi e avrebbero sopportato grandi privazioni economiche per il bene della causa. Il sionismo divenne un’utopia concreta che risollevava l’immagine dell’ebreo, ma non servì a risolvere alcuno dei problemi delle masse ebraiche in Europa.

“I crudeli criteri del sionismo”

La settimana di terrore scatenato contro gli ebrei in seguito alla vittoria nazista alle elezioni del marzo 1933 aveva portato migliaia di persone nelle strade e davanti all’Ufficio per la Palestina a Berlino, da parte della WZO non vi era ancora alcun desiderio di trasformare la Palestina in un vero rifugio. L’emigrazione doveva continuare a servire gli interessi del sionismo. Solo i giovani, sani, qualificati e attivi sionisti erano richiesti. Gli HeChalutz (Pionieri) tedeschi dichiararono che l’emigrazione in Palestina senza restrizioni era un “crimine sionista”321. Enzo Sereni, allora emissario sionista laburista in Germania, espose i loro criteri:

Anche in questo periodo di difficoltà dobbiamo assegnare la maggior parte dei 1.000 certificati di immigrazione ai pionieri. Ciò può sembrare crudele, ma anche se gli inglesi ci garantissero 10.000 certificati anziché i 1.000 che ci danno ora, diremmo ancora: “Lasciate partire i giovani, perché anche se soffrono meno degli anziani, sono più adatti ai compiti da svolgere in Palestina. I figli possono successivamante far venire i genitori, ma non il contrario322.

Weizmann si occupò soprattutto di emigrazione dalla Germania tra il 1933 e la sua rielezione

alla presidenza della WZO nel 1935. Il suo resoconto del gennaio 1934 elencava alcuni degli standard utilizzati per scegliere i possibili emigranti. Coloro che erano “over 30, e non hanno un capitale né specifiche qualifiche non possono essere accolti in Palestina a meno che si trovino specifiche opportunità per il lavoro che svolgono in Germania”323. Il 26 aprile egli escluse specificamente alcune importanti categorie dalla possibilità di diventare emigranti: “ex uomini d’affari, agenti commerciali, artisti, musicisti in questa fase difficilmente potranno ottenere dei certificati”324. La maggior parte degli ebrei tedeschi semplicemente non erano graditi in Palestina: essi erano troppo vecchi, o le loro attività non servivano ai bisogni del paese, o non parlavano ebraico o non erano ideologicamente schierati. Con loro la leadership sionista fu piuttosto chiara su ciò che andava facendo. Nel 1933 Berl Katznelson, che allora era l’editore del quotidiano dell’Histadrut, Davar, riportava la loro concezione: “Sappiamo di non poter trasferire tutti gli ebrei tedeschi e dovremo scegliere sulla base dei crudeli criteri del sionismo”. Nel 1935 Moshe Sharett dichiarò a sua volta che le circostanze li obbligavano a trattare con la diaspora con un criterio crudele325. Lo studioso israeliano Abraham Margaliot ha riportato un discorso tenuto da Weizmann all’Esecutivo Sionista del 1935:

Dichiarò che il movimento sionista avrebbe dovuto scegliere tra il soccorso immediato agli ebrei e la realizzazione di un progetto nazionale che avrebbe assicurato la redenzione definitiva per il popolo ebraico. Date le circostanze il movimento, secondo Weizmann, doveva scegliere la seconda opzione326.

320 Walter Laqueur, A History of Zionism, 1972 321 Abraham Margaliot, The problem of the rescue of German Jewry during the years 1933-1939, 1974 322 Ruth Bondy, The Emissary: A Life of Enzo Sereni, 1973 323 New Palestine, 31 gennaio 1934, p. 6 324 The Letters and Papers of Chaim Weizmann, vol XVI, p. 279 325 Abraham Margaliot, The problem of the rescue of German Jewry during the years 1933-1939, 1974 326 ibidem

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Gli inglesi stabilirono quanti e quali categorie economiche di ebrei potevano entrare anno per anno, e in ciò tennero conto delle pressioni degli arabi, contrari a ogni immigrazione, degli interventi diplomatici di Polonia, Romania e altri regimi antisemiti nell’Europa orientale, favorevoli all’aumento delle quote, e delle condizioni economiche della Palestina. Tuttavia, gli inglesi non richiesero mai ad alcuno la conoscenza dalla lingua ebraica, né importava loro se un aspirante immigrato non era sionista. Né si preoccuparono della provenienza degli immigrati; Londra sarebbe stata d’accordo se la WZO avesse scelto meno americani e più tedeschi. Data la situazione politica nel Mandato, l’emigrazione sionista non poteva mai essere la via d’uscita per tutti gli ebrei tedeschi ma, all’interno dei canoni imposti dagli inglesi, i sionisti non diedero mai la priorità della salvezza degli ebrei tedeschi.

Chi, allora, ottenne i certificati dai quattordici uffici per la Palestina distribuiti nel mondo? Secondo le statistiche di Abu-Diab, 27.289 ebrei entrarono in Palestina come immigrati legali nel 1933; 36.619 nel 1934; e 55.407 nel 1935, portando il totale a 119.315 nei tre anni. Di questi, 18.206 erano registrati come tedeschi327. Altri immigrati residenti in Germania furono registrati come polacchi e appartenenti ad altre nazionalità. Nel 1935 questi erano 1.979328. Durante questi tre anni la maggiore componente nazionale dell’emigrazione ebraica fu quella polacca, il 42,56% nel 1934 e il 44,12% nel 1935329. L’antisemitismo in Polonia fu una costante durante quegli anni, e la decisione di dare ai polacchi più certificati che ai tedeschi è comprensibile; ma durante gli stessi anni non meno di 3.743 migranti venivano dagli Stati Uniti e altri 579 dal resto dell’area occidentale. La quota di immigrati inglesi fu di 513, e dall’Africa ne arrivarono 213330. La Turchia ne fornì 1.259 nel 1934-35. L’insieme di Inghilterra, area occidentale e Turchia in quei tre anni ammonta a 6.307. Se i dati della Polonia possono essere giustificati, questi ultimi invece no. Nessuno di questi ebrei aveva bisogno di un soccorso, e infatti nessuno richiedeva che il bisogno di soccorso fosse criterio di selezione. Essi vennero scelti perché erano sionisti, e in primo luogo per la loro età e addestramento. Durante il medesimo periodo, i due terzi di tutti gli ebrei tedeschi che fecero richiesta di certificati furono respinti331.

“Nessuna organizzazione ebraica…appoggerà una proposta di legge”

Dal momento che non voleva tutti gli ebrei tedeschi in Palestina, è legittimo supporre che il movimento sionista abbia provato a trovare altri luoghi di destinazione per gli emigranti, almeno in America: ma non fu così. In tutto il mondo la borghesia ebraica si mosse timidamente per timore che troppi rifugiati nei vari paesi avrebbero suscitato nuovo antisemitismo. Inviare i rifugiati in Palestina sembrava la risposta ideale e la stampa ebraica americana criticò le restrizioni inglesi all’immigrazione in Palestina, mentre mantenne un riservato silenzio sulle medesime restrizioni verso l’America.

Fu l’Anschluss austriaca del marzo 1938 che scatenò la violenza nazista contro gli ebrei. Due deputati democratici, Dickstein e Celler di New York, fecero ciascuno una proposta di misure per liberalizzare ampiamente le leggi sull’immigrazione, ma furono entrambe bocciate, senza audizione, nell’aprile 1938, dopo che le associazioni per i rifugiati ebbero deciso che la destra poteva sfruttare l’occasione per proporre restrizioni ancora peggiori. La voce arrivò ai politici: se vi fossero state delle audizioni, le associazioni si sarebbero pronunciate contro la riforma332. Un organismo del Partito Comunista, il Jewish People Committee, ottenne una copia di una delle lettere di Stephen Wise in rappresentanza delle associazioni ebraiche dei rifugiati, tramite un funzionario democratico di Brooklyn, Donald O’Toole. I comunisti pubblicarono il documento in un opuscolo intitolato Jews in Action, nel tentativo di screditare il loro rivale sionista filoinglese proprio mentre veniva stipulato il patto Hitler-Stalin. Non c’è dubbio che la lettera è autentica, e fornisce una chiara indicazione della condotta del movimento sionista.

Vorrei poter pensare che queste misure sarebbero approvate senza ripercussioni per la comunità ebraica di questo paese. Sfortunatamente, ho tutte le ragioni per credere che ogni sforzo compiuto in questa fase per abolire le leggi sull’immigrazione, sebbene per

327 Fawzi Abu-Diab, Immigration to Israel: A Threat to Peace in the Middle East, 1960 328 American Jewish Yearbook, 1936 – 37, p. 585 329 ibidem 330 Fawzi Abu-Diab, Immigration to Israel: A Threat to Peace in the Middle East, 1960 331 Abraham Margaliot, The problem of the rescue of German Jewry during the years 1933-1939, 1974 332 David Wyman, Paper walls: America and the refugee crisis, 1938-1941, 1968

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scopi umanitari, porterebbe a un aumento dell’ondata di sentimento antisemita nel paese…Vi interesserà sapere che alcune settimane fa i rappresentanti di tutte le principali organizzazioni ebraiche si sono riuniti per discutere la proposta del Presidente e altre proposte fatte per abolire le leggi sull’immigrazione. Si è convenuto che allo stato attuale, alla luce della disoccupazione che grava sul paese e della propaganda diretta contro il popolo ebraico, e diffusa in tutto il paese, tali proposte danneggerebbero gli scopi ai quali tutti noi intendiamo lavorare. Per tale ragione è stato deciso che per ora nessuna organizzazione ebraica sosterrà una proposta di legge che alteri in qualsiasi modo le attuali norme sull’immigrazione333.

I sionisti americani avrebbero potuto fare di più per trovare un rifugio agli ebrei tedeschi? La

risposta è ovviamente sì. Le leggi sull’immigrazione risalivano agli anni 1921 – 24, durante un’ondata di xenofobia, e praticamente furono varate per escludere chiunque non facesse parte del vecchio blocco dei coloni inglesi, irlandesi e tedeschi. Ciò significava una quota relativamente alta di tedeschi, ma i reazionari al Dipartimento di Stato e nel Partito Democratico interpretarono a loro modo le regole per creare ostacoli agli ebrei che potevano usufruire della ripartizione. Se vi fosse stato uno sforzo deciso per mobilitare le masse ebraiche, e la più ampia comunità liberale, non c’è dubbio che Roosevelt non avrebbe potuto ignorare la pressione. Gli ebrei e i liberali erano troppo importanti nel suo partito per essere contrariati, se avessero chiesto un vero intervento sulle restrizioni all’immigrazione. Tuttavia i sionisti non lanciarono mai una tale campagna, e lavorarono sempre sui casi individuali; nessuna organizzazione sionista fece più che chiedere piccoli aggiustamenti alle leggi vigenti. Solo la sinistra, in particolare i trotzkisti e gli stalinisti, chiesero sempre che le porte per gli ebrei rimanessero sempre aperte.

Alcune ragioni spiegano la risposta dei sionisti americani al problema dei rifugiati. Nei primi anni ’20 essi non avevano mai pensato di organizzare gli ebrei, insieme alle altre minoranze etniche discriminate dalle proposte di restrizione, in una lotta contro questi limiti. Essi sapevano che finchè l’America fosse stata aperta all’immigrazione, gli ebrei avrebbero continuato a voltare le spalle alla povera Palestina. Negli anni ’30 molti sionisti americani erano convinti che il diritto d’asilo in un paese che non fosse la Palestina offrisse poco più che un “nachtasylum” (cioè un palliativo o peggio un pericolo dal momento che credevano che gli immigrati ebrei viaggiassero con l’antisemitismo nella valigia). L’antisemitismo era abbastanza diffuso in America in quel periodo, benché ovviamente il movimento sionista non cercò mai di organizzare un’autodifesa dagli attacchi agli ebrei. Comunque bisogna sottolineare che l’antisemitismo in America non andò mai oltre certi limiti e la comunità ebraica come tale non fu mai in pericolo. Nessun ebreo restò mai ucciso in episodi antisemiti, in un’epoca in cui il linciaggio dei neri era frequente negli stati del sud. Inoltre, la grande maggioranza dei sionisti, e anche degli ebrei, appoggiavano le riforme di politica interna di Roosevelt e temevano che sollevando la questione dei rifugiati e dell’immigrazione avrebbero arrecato danno al Partito Democratico. L’appoggio all’insediamento in Palestina di alcuni ebrei tedeschi divenne un conveniente surrogato allo sforzo sincero per combattere l’antisemitismo nel cuore del capitalismo americano.

“Stiamo mettendo a rischio l’esistenza del sionismo”

La Palestina avrebbe mai potuto essere la soluzione al problema dei rifugiati? Con il resoconto della Commissione Peel nel luglio 1937, Londra aveva seriamente ipotizzato la creazione di un piccolo stato sionista, ma anche se gli inglesi avessero portato a compimento tale progetto, ciò non avrebbe risolto la disperata situazione degli ebrei, né la WZO lo pretendeva. Weizmann depose davanti alla Commissione dicendo che lui era uno scienziato; sapeva che la Palestina, con la sua economia arretrata, non avrebbe potuto sostenere tutti gli ebrei dell’Europa centrale e orientale. Egli si accontentava di due milioni di giovani, e di questa testimonianza parlò poi al Congresso Sionista del 1937:

I vecchi periranno; affronteranno il loro destino, oppure no. Essi sono polvere, polvere da un punto di vista economico e morale, in un mondo crudele…Due milioni, e forse meno; Scheerith Hapleta (solo una parte sopravviverà). Bisogna accettarlo. Gli altri devono fare

333 Jews in Action – Five Years of the Jewish People Committee, opuscolo, 1941

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largo ai giovani. Se capiscono, e sopportano, saranno ricompensati, Beacharith Hajamin (alla fine dei tempi)334.

Con l’abbandono dei propositi di Peel, il sionismo cessò di avere rilevanza per gli ebrei in

Europa. Gli inglesi avevano limitato l’immigrazione nel tentativo di placare gli arabi, e solo 61.302 ebrei poterono entrare in Palestina tra il 1936 e il 1939; la WZO ne lasciò entrare solo 17.421 dalla Germania. Comunuqe neanche il terribile pericolo che minacciava gli ebrei dell’Europa centrale, né l’abbandono da parte dell’imperialismo inglese poterono scuotere la determinazione dei leader della WZO: in nessun caso il sionismo venne scalfito, mentre si svolgeva una corsa frenetica per trovare un rifugio agli ebrei disperati. Quando, dopo la Notte dei Cristalli, gli inglesi, nell’intento di alleviare la pressione dall’imigrazione in Palestina, proposero che migliaia di minori fossero direttamente accolti in Inghilterra, Ben-Gurion fu assolutamente contrario al progetto, e disse a un incontro di dirigenti sionisti laburisti il 7 dicembre 1938:

Se io sapessi che è possibile salvare tutti i minori in Germania portandoli in Inghilterra, e solo metà di loro portandoli in Eretz Israel, allora opterei per la seconda alternativa. Poiché dobbiamo tener conto non solo della vita di questi minori, ma anche della storia del popolo di Israele335.

La politica inglese era data; non vi era alcuna possibilità che Londra improvvisamente aprisse a

un’immigrazione di massa in Palestina, tuttavia Ben-Gurion persistette, rifiutando di prendere in considerazione altre destinazioni. Il 17 dicembre 1938 ammonì l’esecutivo sionista:

Se gli ebrei dovranno scegliere tra i rifugiati, ovvero salvare gli ebrei dai campi di concentramento, e istituire un museo nazionale in Palestina, la pietà avrà il sopravvento e tutte le energie del nostro popolo saranno incanalate nel soccorso agli ebrei dei vari paesi. Il sionismo verrà rimosso dall’agenda politica non solo nell’opinione pubblica mondiale, in Inghilterra e Stati Uniti, ma anche nell’opinione pubblica ebraica. Se permettiamo la separazione del problema dei profughi dal problema palestinese, rischiamo l’esistenza del sionismo336.

La replica di Weizmann alla Notte dei Cristalli fu la proposta al Segretario alle Colonie inglese di

un piano per cui l’Iraq accogliesse 300.000 ebrei per 20 o 30 milioni di sterline oppure, meglio, accogliesse 100.000 palestinesi “il cui territorio sarebbe passato agli immigrati ebrei”337. Per usare le sue stesse parole a proposito dei negoziati di Herzl con von Plehve del 1903: “L’impossibile non può avere luogo”. Ovvero, che l’Iraq accogliesse 300.000 ebrei per fare un favore ai sionisti e agli inglesi, o accogliesse i palestinesi per fare posto agli ebrei! L’Inghilterra aveva avallato il sionismo nella Dichiarazione Balfour per propri scopi imperialistici; quegli scopi non erano più tali, e il sionismo non poteva e non voleva cercare delle alternative per le masse ebraiche sull’orlo della distruzione.

E’ nell’ordine delle cose che oggi i sionisti se la prendano con gli inglesi, e tramite loro con gli arabi, per il basso numero di rifugiati ammessi in Palestina negli anni ’30. Ma questo è un argomento fine a se stesso; se i sionisti non furono mai interessati a fare della Palestina un vero luogo per i rifugiati, perché ciò doveva essere compito degli inglesi o degli arabi? L’atteggiamento dei palestinesi verso l’immigrazione ebraica nel proprio paese è facilmente comprensibile. Sebbene l’Inghilterra sia da condannare per aver abbandonato gli ebrei d’Europa, non spetta farlo ai sionisti. Essi sapevano molto bene che gli interessi imperialistici erano sempre stati dietro l’appoggio inglese al loro movimento. Essi furono ammoniti costantemente dalla sinistra che gli interessi delle masse ebraiche e quelli dell’impero britannico non sarebbero mai stati conciliabili. La WZO deve essere considerata responsabile per il proprio tradimento nei confronti degli ebrei tedeschi: voltò loro le spalle a causa di quello che è stato perfettamente definito come “una vetrina di Tiffany per ebrei in ghingheri”338.

334 Discorso al XX Congresso Sionista, New Judaea, agosto 1937, p. 215 335 Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry, 2 voll., 1979 - 83 336 AA. VV. The Other Israel: the Radical Case against Zionism, 1972 337 Martin Gilbert, British Government Policy towards Jewish Refugees (november 1938 – september 1939), 1978 338 Ben Hecht, Perfidy, 1961. Presumibilmente intendendo il progetto sionista in Palestina come elitario.

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14. L’ORGANIZZAZIONE SIONISTA MONDIALE E IL FASCISMO ITALIANO, 1933 – 1937

Nel 1933 Mussolini era ben considerato dai conservatori. Si pensava che egli fosse l’unico al quale il suo selvaggio discepolo di Berlino desse ascolto, e i sionisti speravano che egli dicesse a Hitler che danneggiando indebitamente gli ebrei avrebbe causato soltanto inutili problemi. Essi speravano anche che Mussolini avrebbe acconsentito a unirsi a Londra e Parigi per impedire l’occupazione dell’Austria da parte dei nazisti.

Nahum Sokolow, allora presidente della WZO, incontrò Mussolini il 16 febbraio del 1933. Sokolow non era una personalità forte; era stato eletto nel 1931 soltanto per le dimissioni di Weizmann, avvenute dopo aver perso un voto di fiducia sulla sua politica di accondiscendenza con l’Inghilterra, e non fece richieste a Mussolini. Tuttavia, Mussolini espresse la propria “cordiale simpatia” verso gli ebrei. Quando i nazisti annunciarono il loro boicottaggio anti-ebraico per il 1 aprile, Mussolini mandò il proprio ambasciatore a incontrare Hitler il 31 marzo, per chiedergli di rinunciare. All’incontro il Fuehrer colmò il Duce di complimenti, ma disse di essere il massimo esperto del mondo di ebrei e di non aver bisogno di alcuna lezione su come comportarsi con loro. Era colpa sua se i capi marxisti erano ebrei? E, replicò, quali eccessi aveva perpetrato verso gli ebrei tanto da essere così diffamato all’estero? No, i suoi ammiratori forse lo avrebbero ringraziato se avesse rinunciato al boicottaggio, ma i suoi numerosi nemici l’avrebbero preso per un segno di debolezza. Hitler disse all’ambasciatore che al suo prossimo incontro col signor Mussolini:

Aggiunga questo: che io non so se tra due o trecento anni il mio nome sarà venerato in Germania per quello che ho potuto fare per il mio popolo, ma di una cosa sono assolutamente sicuro: che tra cinque o seicento anni, il nome di Hitler sarà glorificato ovunque come quello di colui che una volte per tutte liberò il mondo dalla piaga del giudaismo.339

Gli italiani, che erano preoccupati dei progetti tedeschi sull’Austria, erano relativamente in

buoni rapporti con gli inglesi e diedero a Londra un resoconto del colloquio con Hitler, ma non c’è ragione di credere che Mussolini abbia riportato queste ignobili parole ai sionisti, né c’è l’evidenza che la WZO abbia mai pensato di chiedere agli italiani informazioni sulle intenzioni di Hitler. L’interesse della WZO era di portare Mussolini ad appoggiarli sulla Palestina, di allearsi con gli inglesi sull’Austria e di negoziare coi nazisti per conto degli ebrei tedeschi. Vi era una vecchia tradizione nelle comunità ebraiche dell’Europa orientale, quella dello shtadlin (il mediatore), il ricco ebreo che andava dall’Amàn locale e lo corrompeva affinchè ammansisse la folla. Ma Hitler non era il classico monarca antisemita, come Petljura, e nessun ebreo fu mai ammesso in sua presenza. Sebbene il sionismo abbia contrastato la tradizione degli shtadlin per la loro influenza sulle comunità ebraiche, la WZO guardava a Mussolini come il suo intercessore presso Hitler. Portare Mussolini a bisbigliare nell’orecchio di Hitler era soltanto una nuova forma di shtadlinut.

“Il mio terzo e ultimo colloquio con Mussolini”

Benchè la sua profezia all’ambasciatore di Mussolini fosse magniloquente, Hitler era ben consapevole della propria debolezza. All’inizio del 1933 l’opposizione all’aumento della persecuzione degli ebrei, rappresentata dall’intervento di Mussolini e dalle richieste della borghesia tedesca, preoccupata per le proprie attività di export negli Stati Uniti, lo spinsero a limitare il boicottaggio a una giornata di intimidazioni verso gli ebrei. Ma Mussolini interpretò questa cautela come segno che un modus vivendi era possibile. Egli aveva provato ad aiutare gli ebrei; ora doveva fare altrettanto con Hitler. Chiese ad Angelo Sacerdoti, rabbino capo di Roma, di metterlo in contatto con i vertici

339 Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975

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dell’ebraismo, suggerendo che difficilmente Hitler avrebbe cambiato il proprio atteggiamento se non avesse prima avuto garanzie dal mondo ebraico sulla fine delle manifestazioni contro di lui. Weizmann aveva già in programma di venire a Roma il 26 aprile 1933, e il rabbino lo indicò come logico referente; dunque l’incontro Weizmann – Mussolini fu rapidamente fissato.

I contenuti della discussione del 26 aprile sono avvolti nell’oscurità. Nahum Goldmann, storico sodale di Weizmann, ha affermato che tutti gli argomenti spiacevoli “semplicemente furono messi da parte”340. Il resoconto nell’autobiografia di Weizmann, Trial and Error, è inconsistente. Egli accennò a “il mio terzo e ultimo colloquio con Mussolini”, e poi parlò invece del quarto341. Era mai possibile dimenticare un incontro nel famoso ufficio di Mussolini? Un’udienza a Palazzo Venezia era nota come qualcosa di memorabile. Una campana risuonò all’apertura di una finestra e un annunciatore gridò a gran voce che il dottore Weizmann era giunto per vedere il Duce; uno stuolo di soldati lo scortò al piano superiore, dove fu annunciato di nuovo; la scena si ripetè per quattro volte. Dopo aver atteso in una splendida sala di arte rinascimentale, Weizmann fu annunciato da un ultimo lacchè ed entrò nel favoloso ufficio. Esso era enorme, lungo almeno 40-50 passi; in fondo al salone quasi vuoto stava Mussolini, solo, seduto a una piccola scrivania con un’unica luce proveniente dalla lampada da tavolo.

Altri documenti, di fonte italiana e sionista, rivelano parte del contenuto del loro colloquio. Mussolini fece la sua proposta, ovvero che i leader ebraici dichiarassero la loro intenzione di porre fine alle loro manifestazioni e di negoziare con Hitler. Ma aveva una sua idea antisemita degli ebrei come un tutt’uno, e Weizmann dovette spiegare che non aveva alcun controllo sui non sionisti e sugli antisionisti, e neanche sul suo stesso movimento che lo aveva spinto alle dimissioni da ogni incarico. Ora si occupava dell’immigrazione degli ebrei tedeschi in Palestina e non voleva assumersi altri compiti; più tardi sostenne di aver detto a Mussolini che lui non negoziava con “bestie selvagge”342. Il silenzio sui contenuti dell’incontro ci impedisce di avere più informazioni, ma il 26 aprile era ancor prima dell’accordo di maggio di Sam Cohen coi nazisti; anche se Weizmann fosse stato a conoscenza delle trattative di Cohen a Berlino, difficilmente avrebbe potuto sposare un progetto ancora vago. Ma il 17 giugno, quando egli scrisse a Mussolini chiedendogli un altro incontro per luglio, Arlosoroff era appena tornato in Palestina dopo i suoi colloqui coi nazisti a proposito dell’estensione dell’Ha’avara, ed è ragionevole supporre che Weizmann volesse discutere la proposta di una partecipazione fascista alla banca di liquidazione di Arlosoroff. Weizmann ora poteva provare agli italiani che la WZO era disposta a scendere a patti con Hitler, anche se l’organizzazione non poteva ordinare a tutti gli ebrei di cessare le manifestazioni. Sebbene non vi sia prova che dopo il colloquio di aprile Weizmann abbia provato a rivolgersi ai leader ebrei del mondo, rabbi Sacerdoti cercò di accondiscendere alle richieste di Mussolini. Il 10 luglio egli riportò al Duce di avere incontrato cinque leader ebraici: il rabbino capo di Francia, il presidente dell’Alliance Israelite Universelle, Neville Laski capo del Board dei deputati ebrei inglesi, e Norman Bentwich e Victor Jacobson della WZO. Essi avevano tutti concordato di porre fine alle manifestazioni se Hitler avesse ripristinato i diritti degli ebrei343.

“Potrò mettere a vostra disposizione un intero team di chimici”

Benchè Weizmann volesse un incontro più urgente, il suo quarto colloquio con Mussolini non potè essere fissato prima del 17 febbraio 1934. Dai resoconti che egli diede agli inglesi e il resoconto di Viktor Jacobson all’esecutivo sionista, oltre a documenti italiani, il contenuto del quarto incontro è pressoché noto nella sua interezza. Mussolini chiese a Weizmann se avesse provato a intendersi con Hitler; questi, che attraverso il suo amico Sam Cohen aveva appena chiesto di essere invitato a Berlino per discutere la proposta di banca di liquidazione, gli disse ancora che lui non negoziava con le bestie selvagge344. Cambiarono argomento e arrivarono direttamente al nodo della Palestina; Mussolini si dichiarò a favore dell’idea di partizione e di un piccolo stato sionista indipendente, con la clausola che fosse autonomo dall’Inghilterra. Mussolini disse anche che avrebbe aiutato i sionisti a istituire la propria nuova marina mercantile, sebbene sia dubbio che Weizmann sapesse dei piani revisionisti della scuola di Civitavecchia.

340 Nahum Goldmann, Autobiography, 1969 341 Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949 342 Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975 343 Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica) 344 Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975

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Weizmann era un politico e sapeva di dover dare per prendere. La sua piuttosto irrealistica autobiografia dice che Mussolini “parlò a ruota libera di un’intesa Roma – Parigi – Londra, che, diceva, era la soluzione logica per l’Italia. Egli parlò anche dell’industria chimica, e del bisogno italiano di farmaci, che noi avremmo potuto produrre in Palestina”345.

Scrisse queste parole nel 1947; dopo la guerra il presidente della WZO ammetteva a fatica che si era offerto di costruire un’industria farmaceutica nell’Italia fascista, ma la cosa è nota. Viktor Jacobson, rappresentante della WZO alla Società delle Nazioni, aveva accompagnato Weizmann in Italia e inviato un dettagliato rapporto sul colloquio all’esecutivo sionista. Weizmann disse a Mussolini:

Potrei mettere a vostra disposizione un intero team di chimici della più alta levatura scientifica; uomini esperti, affidabili e leali con un unico desiderio: aiutare l’Italia e danneggiare la Germania. Se necessario, potremo anche trovare i capitali necessari346.

Gli italiani incaricarono Nicola Paravano di incontrare Weizmann il giorno successivo. Il

marchese Theodoli, presidente della Commissione per i Mandati della Società delle Nazioni, era presente e nelle sue memorie riporta che Weizmann e i fascisti raggiunsero completo accordo sul piano. Alla fine non se ne fece nulla, e nella sua autobiografia Weizmann criticò gli inglesi:

Ripetei i contenuti del colloquio ai miei amici inglesi a Londra ma non vi furono sviluppi…io non so se staccare Roma da Berlino avrebbe impedito lo scoppio della guerra, ma di certo avrebbe fatto molta differenza per la guerra nel Mediterraneo, avrebbe salvato molte vite e abbreviato l’agonia di molti mesi347.

Di certo gli inglesi non erano interessati a un tale progetto; per di più, è altamente improbabile

che Weizmann potesse raccogliere il capitale necessario a sostenere la sua offerta per una collaborazione economica diretta col fascismo. Egli usava sempre la diplomazia della speculazione; più tardi avrebbe fatto un’altrettanto fantastica offerta di 50 milioni di dollari in prestito ai turchi se anch’essi si fossero alleati con gli inglesi. Egli lavorava in base al principio che, se avesse generato interesse da un capo dell’alleanza, potesse accadere qualcosa dall’altro capo. Ma è dubbio che qualcuna di queste sue trame prima della guerra, che erano sempre volte a suscitare un interesse dell’interlocutore ma miravano precisamente a fare del sionismo in Palestina un asse portante della politica mediterranea inglese, sia stata accettata dalle parti in causa.

La diplomazia segreta di Goldmann

La diplomazia sionista continuò a fare affidamento su Mussolini per scongiurare future catastrofi, e Nahum Goldmann fu il successivo visitatore di Palazzo Venezia il 13 novembre 1934. Goldmann adorava la diplomazia segreta, e descrisse vividamente l’incontro nella sua autobiografia. Egli aveva tre preoccupazioni: Hitler aveva intenzione di occupare la Saar; i polacchi volevano rescindere le clausole per i diritti delle minoranze imposte alla loro costituzione a Versailles; e gli austriaci stavano platealmente discriminando gli ebrei nei servizi pubblici. Poiché un italiano ambiva a diventare presidente della Commissione governativa per la Saar alla Società delle Nazioni, egli non ebbe difficoltà a convincere Mussolini a fare pressioni sui tedeschi affinchè gli ebrei potessero lasciare la regione portando via la loro ricchezza in valuta francese. Lo convinse anche a concedere che se i polacchi si fossero rivolti a lui per i loro scopi (cosa che naturalmente non fecero) egli avrebbe risposto “no, no, no”348. La situazione austriaca era quella su cui Mussolini aveva il maggior controllo, nella misura in cui il governo dei cristiano-sociali dipendeva dall’esercito italiano, di stanza al Passo del Brennero, per la protezione da un’eventuale invasione tedesca. Goldmann disse a Mussolini che gli ebrei americani proponevano manifestazioni di protesta, ma egli li stava scoraggiando. Mussolini replicò:

345 Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949 346 Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975 347 Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949 348 Nahum Goldmann, Autobiography, 1969

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E’ stato molto avveduto da parte vostra. Quegli americani, ebrei e gentili, sono sempre pronti a fare proteste e a immischiarsi negli affari europei, che non capiscono affatto.

Goldmann continuò:

Dissi che mentre concordavo che non fosse il momento per una protesta pubblica contro

il governo austriaco, dovevamo tuttavia chiedere un cambiamento nell’atteggiamento verso gli ebrei e per questo contavamo molto su di lui.

Mussolini rispose:

Herr Schuschnigg (il Cancelliere austriaco, n.d.t.) sarà qui la prossima settimana, seduto

sulla poltrona su cui vi trovate ora, e gli dirò che non voglio che si crei una questione ebraica in Austria.

Mussolini era in una fase antinazista alla fine del 1934. Forse la WZO avrebbe potuto

rappresentare un tramite tra lui e gli inglesi; egli non parlò più di un compromesso tra ebrei e tedeschi. Disse a Goldmann:

Voi siete molto più forti del signor Hitler. Quando non vi sarà più traccia di Hitler, gli ebrei saranno ancora un grande popolo. Voi e noi…La cosa più importante è che gli ebrei non devono temerlo. Noi tutti vivremo fino a vederne la fine. Voi piuttosto dovete creare uno stato ebraico. Io sono un sionista e l’ho detto al dottor Weizmann. Voi dovete avere un vostro paese, non la ridicola Casa Nazionale che vi hanno offerto gli inglesi. Vi aiuterò a creare uno stato ebraico349.

Il leader fascista stava imbrogliando i sionisti sotto ogni aspetto. Sin dal giugno 1933 aveva

rinunciato a ogni speranza di convincere Hitler a trovare un accordo con gli ebrei, e disse ai tedeschi che di persistere, come se qualunque marcia indietro fosse pericolosa: “Di certo vi è stata molta goffaggine e esagerazione all’inizio, ma non bisogna assolutamente dare prova di debolezza350”. Egli era anche in parte responsabile della discriminazione in Austria, poiché aveva detto al primo ministro di mettere una “spruzzata di antisemitismo” nella sua politica allo scopo di tenere i cristiano-sociali lontani dai nazisti351. Inoltre, di certo non aveva detto a Goldmann che aveva iniziato a sovvenzionare il Mufti. Ma Goldmann era un perfetto interlocutore per un intrigante come Mussolini. Nel 1969, ripercorrendo i suoi dodici anni alla presidenza della WZO, scrisse nella sua autobiografia:

Gli affari esteri mancano di eleganza in un’epoca democratica in cui i governi dipendono dall’umore dell’opinione pubblica. Vi è qualcosa di indubitabilmente giusto nel principio della diplomazia segreta, anche se oggi è difficilmente praticabile352.

“L’ebraismo ricorda con gratitudine la lealtà del governo fascista”

Con la guerra in Etiopia Mussolini cercò di far fruttare il suo ascendente presso la WZO. Nell’autunno 1935 la Società delle Nazioni era intenzionata a imporre delle sanzioni, e il ministro degli esteri italiano improvvisamente incaricò Dante Lattes, rappresentante della Federazione Sionistica Italiana nei negoziati col regime, e Angelo Orvieto, importante letterato, di convincere la borghesia ebraica europea a opporsi a un embargo. Essi avevano due argomenti: le sanzioni avrebbero fatto avvicinare Mussolini a Hitler e, inoltre, egli dichiaratamente a favore di uno stato ebraico e un sincero amico del movimento sionista. Essi videro Weizmann e i leader dell’ebraismo inglese, ma senza successo. I leader ebraici dovevano assecondare l’Inghilterra, se non altro per il fatto che in Oriente l’Italia non poteva competere con loro353.

349 ibidem 350 Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica) 351 ibidem 352 Nahum Goldmann, Autobiography, 1969 353 Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)

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Roma inviò in Palestina un ebreo fascista non sionista, il giornalista Corrado Tedeschi, per contattare l’ala destra sionista all’estero. Ripetendo le medesime richieste, egli aggiunse che i sionisti avrebbero migliorato la loro posizione nei confronti dell’Inghilterra presentando un atteggiamento filoitaliano, tanto che Londra sarebbe stata spinta ad assecondarli. Trovò scarso appoggio nei circoli revisionisti. Ittamar Ben-Avi, il famoso “bambino sionista”, il primo neonato dopo secoli le cui prime parole erano state pronunciate in ebraico, scrisse un articolo in favore della guerra nel suo giornale scandalistico Doar Ha’Yom il 21 febbraio 1936354. Ma dal punto di vista pratico per l’Italia il sostegno di Ben-Avi non significava nulla. Il suo giornale era stato un organo revisionista, poi se ne era staccato, e ora non aveva un seguito. Altri esponenti della destra ascoltarono l’appello di Tedeschi, ma la campagna d’Etiopia era così chiaramente segno di un imminente conflitto mondiale nel quale i due regimi fascisti parevano di certo alleati, che non vi era possibilità di un sostegno non revisionista alla posizione italiana.

Hitler vide sempre Mussolini in maniera più realistica di qualunque corrente del movimento sionista. I sionisti avevano sempre pensato che la questione austriaca avrebbe mantenuto divisi i due dittatori, ma Hitler comprese che il loro comune odio per il marxismo alla fine li avrebbe avvicinati. La conquista dell’Etiopia diede a Hitler una chance di mostrare che era dalla parte del suo autoritario collega, ma fu la guerra civile spagnola che finalmente convinse Mussolini che doveva allearsi con Hitler; la vittoria operaia a Madrid e Barcellona sull’onda della rivolta militare avrebbe significato una vittoria del fronte popolare, a meno che non vi fosse stato un massiccio appoggio dall’estero alle forze di Franco. Mussolini iniziò a rendersi conto che non poteva permettersi che Hitler perdesse o vincesse l’imminente guerra senza la sua assistenza. Di conseguenza il sionismo non poteva più essere d’aiuto al fascismo. Con un’alleanza tra Italia e Germania, gli ebrei sarebbero diventati nemici di Mussolini, a prescindere da ciò che gli potesse dire o fare a proposito di uno stato ebraico. Ciononostante i sionisti cercarono di mantenere buone relazioni. Nel marzo 1937 l’ufficio di Goldmann a Ginevra ancora decideva pubblicamente di

Sottolineare che il mondo ebraico, come un tutt’uno o attraverso le sue singole organizzazioni, non si è mai opposto al governo italiano. Al contrario, l’ebraismo ricorda con gratitudine la lealtà del governo fascista355.

Goldmann si recò a Roma per un ultimo colloquio con il conte Ciano, genero del Duce e Ministro

degli esteri, il 4 maggio 1937. Ciano gli assicurò che l’Italia non era antisemita né antisionista, e propose un altro incontro con Weizmann356. Ma la commedia era finita e Weizmann non tornò mai più a Roma.

“Allora? E’ vantaggioso per gli ebrei?”

Nessun esponente sionista, né di destra né di sinistra, comprese il fenomeno fascista. Fin dall’inizio i sionisti furono indifferenti alla lotta del popolo italiano contro le camicie nere, che includeva degli ebrei progressisti, e alle più ampie implicazioni che il fascismo poteva avere sulla democrazia europea. I sionisti italiani non si opposero mai al fascismo; arrivarono a decantarlo e a condurre negoziati diplomatici per suo conto. Il grosso dei revisionisti e altri elementi di destra divennero suoi entusiasti sostenitori. I leader sionisti della borghesia moderata – Weizmann, Sokolow e Goldmann – non erano interessati al fascismo in quanto tale. In quanto segregazionisti ebrei, si ponevano una sola domanda, la classica e cinica “Allora? E’ vantaggioso per gli ebrei?”, che implica che qualcosa può essere un male per il resto del mondo e un bene per gli ebrei. La loro sola preoccupazione fu se Roma sarebbe stata con loro o contro di loro alla Società delle Nazioni, e se Mussolini sarebbe diventato loro amico e mentore. Data l’importanza da loro attribuita al Duce prima del trionfo nazista, non stupisce che essi abbiano continuato a corteggiarlo supinamente anche dopo il 1933.

354 ibidem 355 Jewish Life, settembre 1938, p.17 356 Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)

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15. L’AUSTRIA E I GENTILE FRIENDS OF ZIONISM

La Prima guerra mondiale distrusse quattro imperi e creò una serie di nuovi stati nell’Europa centrale. Di tutti questi, quello meno “logico” fu l’Austria. La sua popolazione era pressoché tutta tedesca, e nel 1919 il parlamento austriaco, con un solo voto contrario, deliberò l’unione alla Germania; gli Alleati tuttavia rifiutarono di riconoscere il risultato, e la coalizione a maggioranza socialdemocratica continuò suo malgrado a governare. Nell’estate 1920 i cristiano-sociali, antisemiti, presero il controllo del governo nazionale, mentre la sinistra riusciva a mantenere il controllo della città di Vienna.

Tre correnti ideologiche si contendevano il potere in quella “repubblica a metà”. Il partito comunista era uno dei più deboli d’Europa, e per i socialdemocratici il nemico era a destra, rappresentato dai cattolici cristiano-sociali (il partito dei contadini e della borghesia urbana medio-piccola) e dai nazionalisti tedeschi (che avevano base nei professionisti e nei colletti bianchi). Sebbene entrambi i gruppi borghesi fossero ostili alla democrazia, il grosso seguito dei socialisti a Vienna e la dipendenza finanziaria da Gran Bretagna e Francia rendevano impossibile qualunque colpo di stato. Ma sia i socialdemocratici che i cristiano-sociali ebbero l’accortezza di mantenere a disposizione consistenti milizie di partito.

“Questo grande patriota e leader del suo paese”

Il principale leader socialdemocratico, Victor Adler, era un ebreo; ebreo era anche il principale teorico, Otto Bauer, ed erano ebrei quasi la metà dei dirigenti. Inevitabilmente, il movimento vide gli attacchi agli ebrei come un pericolo mortale e agì di conseguenza. I settori operai erano estremamente solidali coi loro compagni ebrei e non ebbero la minima esitazione nell’affrontare fisicamente gli antisemiti, come lo stesso Hitler ricorda nel Mein Kampf, scrivendo delle sue prime esperienze lavorative in un cantiere edile nella Vienna anteguerra:

Questi uomini rifiutavano tutto: la nazione, in quanto invenzione delle classi “capitalistiche” (quanto spesso ho dovuto sentire questa parola!): la patria, in quanto strumento della borghesia per lo sfruttamento della classe operaia; l’autorità della legge, in quanto mezzo per opprimere il proletariato…non c’era assolutamente nulla che non fosse buttato nel fango…Provai a tacere. Ma alla lunga…iniziai a prendere posizione…un giorno essi fecero uso di un’arma che convince rapidamente…alcuni oppositori mi costrinsero a lasciare il cantiere o sarei stato gettato da un’impalcatura357.

Fin dall’inizio i lavoratori socialdemocratici combatterono i nazisti quando il nuovo partito fece le

sue prime apparizioni a Vienna nel 1923. Bande di teppisti con la bandiera con la svastica iniziarono a compiere pestaggi di ebrei e in un’occasione uccisero un operaio; questo spinse migliaia di socialdemocratici a scendere in strada. Un corrispondente dell’americano Menorah Journal, una delle principali riviste ebraiche dell’epoca, descrisse la situazione:

Da allora innanzi i ritrovi per dare vita ai pogrom non potevano svolgersi senza disturbo. I lavoratori organizzati, socialdemocratici e comunisti, spesso attaccavano gli incontri degli antisemiti, non per la loro amicizia con gli ebrei, ma perché ritenevano in gioco l’esistenza della repubblica358.

La gran parte degli ebrei austriaci si identificavano con i socialdemocratici. Tra i pochi che non lo

facevano vi erano i sionisti del Judischnationale Partei (JP). Ma gli ebrei erano solo il 2,8% dell’intera

357 Adolf Hitler, Mein Kampf, 1925 358 Menorah Journal, agosto 1923

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popolazione austriaca, e non più del 10% degli elettori viennesi, e il piccolo JP riuscì solo una volta a far eleggere un candidato al parlamento austriaco. Fu costui, Robert Stricker, che espresse l’unico voto contrario all’unificazione con la Germania nel 1919, una scelta che gli costò la sconfitta nel 1920. Altri tre sionisti furono eletti al consiglio comunale nei primi anni ’20; nel 1920 i sionisti presero il 21% del voto ebraico viennese e nel 1923 la loro percentuale salì al 26%, ma poi il voto sionista crollò repentinamente, e nel 1930 esso conseguì un misero 0,2% del totale359. Sebbene il ruolo del JP nella politica austriaca fosse insignificante, la sua breve parabola è esemplificativa dell’isolazionismo e del carattere piccolo-borghese del sionismo europeo. La maggioranza dei membri del JP non pensavano di emigrare in Palestina. Molti degli ebrei di Vienna erano solo recentemente emigrati dalla Galizia. Il sionismo del JP rappresentava l’ultima traccia della loro mentalità da ghetto. Non era una reazione contro l’antisemitismo; quel problema era stato rimosso nelle strade dalla milizia socialdemocratica. Il sionismo austriaco era una protesta piccolo borghese contro il socialismo, e i cristiano-sociali furono sempre ben contenti di vedere che il JP sottraeva qualche voto ai loro acerrimi nemici. In cambio i sionisti non vedevano i cristiano-sociali come loro nemici. Sokolow era a Durban, in Sud Africa, nel 1934, quando ebbe la notizia dell’uccisione del primo ministro austriaco Engelbert Dollfuss360, durante il fallito putsch nazista del 25 luglio; egli prese la parola al Circolo Ebraico per onorare la memoria di

Questo grande patriota e leader del suo paese, che io conoscevo molto bene e incontrai molto spesso…era uno degli amici della nostra causa. Fu uno di coloro che istituì, col mio aiuto, l’organizzazione dei Gentile Friends of Zionism nella capitale austriaca361.

I Gentile Friends erano stati istituiti nel 1927. Nel 1929 Fritz Lohner Beda, ex presidente del

Zionist Hakoah Athletic Club, ammonì gli ebrei che sarebbero stati puniti per il loro sostegno ai socialdemocratici quando i reazionari avessero sconfitto i socialisti. Continuò promettendo che gli ebrei avrebbero sostenuto la milizia fascista Heimwehr, se gli estremisti di destra avessero solo rinunciato all’antisemitismo. Affermò che i socialisti, gli atei, gli antinazionalisti e gli anticapitalisti erano i più grandi nemici degli ebrei362.

“Condanniamo la diffusione dall’Austria all’estero di notizie di violenze”

Mentre i cristiano-sociali temevano il nazismo come minaccia al loro potere, il successo di Hitler convinse Dollfuss che la dittatura sarebbe stata l’avvenire, almeno nell’Europa centrale, e alla fine il Cancelliere austriaco ascoltò i ripetuti consigli di Mussolini e provocò i socialdemocratici in un’insurrezione nel febbraio 1934, che soffocò dopo tre giorni di battaglia. Più di mille operai furono uccisi quando l’Heimwehr bombardò il famoso Karl Marx Hof. La reazione sionista al massacro fu piuttosto eloquente. Robert Strickler, in un dibattito sull’accaduto a un meeting di partito, criticò i resoconti circolanti all’estero sulle persecuzioni ebraiche. Egli insisteva che questo era falso, dicendo che durante quei terribili giorni l’Austria aveva manifestato un elevato livello culturale, difficilmente riscontrabile altrove363. In realtà il regime di Dollfuss intraprese una politica di forte discriminazione nei confronti degli ebrei, in particolare negli apparati di governo, e molti professionisti persero il loro impiego. Tuttavia, l’ostilità dei sionisti verso gli ebrei socialisti assimilazionisti fece sì che giustificassero, a livello locale e internazionale, i cristiano-sociali. Nel 1935 il governo annunciò un piano per segregare gli studenti ebrei in caso di “sovraffollamento”. Mentre i leader ebrei assimilazionisti naturalmente si opposero al progetto in quanto primo passo verso la totale segregazione scolastica, Stricker approvò le nuove scuole-ghetto364. Quello stesso anno, quando il ministro degli esteri austriaco inveì contro le “notizie di violenze” comparse sulla stampa mondiale, Der Stimme, l’organo della Federazione Sionista Austriaca, si affrettò a spiegare che:

359 Walter Simon, The Jewish Vote in Vienna, 1961 360 Engelbert Dollfuss (1892 – 1934). Piccolo proprietario terriero, di formazione cattolica, fu uno dei maggiori esponenti

del Partito cristiano-sociale, in decisa opposizione al movimento socialdemocratico. Le sue concezioni politiche non erano

contrarie all'autoritarismo, al quale improntò la sua azione di governo una volta raggiunta, nel 1932, la cancelleria. In quello

stesso anno fondò il Fronte Patriottico, che riuniva sotto un'unica bandiera i numerosi partiti politici austriaci della destra e

che si ispirava al partito fascista italiano. Il 25 luglio 1934 fu ucciso nel corso di un tentato putsch nazista. 361 Palestine Post, 13 agosto 1934, p.4 362 Menorah Journal, febbraio 1930 363 South African Ivri, marzo 1934, p.1 364 American Jewish Yearbook, 1935-36, p. 189

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E’ impossibile oggi sigillare ermeticamente ogni paese e nascondere gli eventi, incluse le agitazioni antiebraiche. Ma noi condanniamo la diffusione dall’Austria all’estero di notizie di violenze. Cosa che tuttavia non è mai stata fatta dagli ebrei ma da giornali austriaci che vengono letti all’estero.365

I cristiano-sociali sapevano di non poter competere con Hitler senza l’aiuto straniero. Mentre

guardavano a Mussolini per una protezione militare, chiesero anche prestiti alle banche di Londra e Parigi e dovettero persuadere potenziali sostenitori stranieri che non erano un’imitazione dei nazisti. Nel maggio 1934 Dollfuss nominò Desider Friedmann, un veterano sionista a capo dell’organizzazione della comunità ebraica viennese, membro del Consiglio di Stato. Vi furono altre aperture simili verso il sionismo da parte del regime. Ai revisionisti fu concesso di usare un terreno donato da un loro ricco membro come centro di addestramento. Un corrispondente revisionista in seguito ricordò la scena nel grande spazio agreste parlando delle “sembianze di un disciplinato campo militare”, e nel settembre 1935 il governo permise ai revisionisti di tenere a Vienna il congresso fondativo della loro Nuova Organizzazione Sionista366.

Per ragioni di politica estera il regime negò sempre di discriminare gli ebrei, accampando assurdi pretesti, come il presunto sovraffollamento, per giustificare il suo antisemitismo. Gli ebrei avevano anche la possibilità di entrare a far parte del Fronte Patriottico, che dal 1934 aveva rimpiazzato tutti i partiti politici inclusi, tecnicamente, i cristiano-sociali. Tuttavia, una volta che Mussolini ebbe deciso di allearsi con Hitler, e fu chiaro che non avrebbe più protetto l’Austria, il regime dovette disperatamente impegnarsi per impedire l’occupazione nazista. Nel gennaio 1938 gli austriaci provarono a mostrare a Hitler che, sebbene fossero determinati a restare indipendenti, il loro era comunque uno stato tedesco-cristiano, e istituirono una sezione staccata per i giovani ebrei nel Fronte Patriottico. L’Encyclopedia Judaica dice laconicamente che “i sionisti accettarono di buon grado, ma la cosa turbò chi era a favore dell’assimilazione”367. Comunque, benché stesse diventando più antisemita nel tentativo di tener fuori dal paese i nazisti tedeschi, il regime non ebbe esitazioni a usare i sionisti per cercare supporto finanziario in altri paesi. Desider Friedmann fu inviato all’estero all’inizio del 1938, nelle ultime settimane prima dell’Anschluss368. Il successore di Dollfuss, Kurt von Schuschnigg, tentò un ultimo stratagemma, annunciando il 9 marzo un plebiscito sull’indipendenza per il giorno 13, e la comunità ebraica, controllata dai sionisti, si affrettò a stilare una lista di tutti gli ebrei di Vienna per contribuire a un fondo di finanziamento della campagna di Schuschnigg. Hitler fece una valutazione molto più realistica del signor Schuschnigg e semplicemente gli intimò di dimettersi, cosa che egli fece l’11 marzo, e l’esercito tedesco entrò in Austria il giorno 12.

La follia della fiducia sionista nei cristiano-sociali

Fu mai giustificato il supporto sionista alla destra austriaca? Si potrebbe dire che i cristiano-sociali erano l’unica protezione tra gli ebrei e l’occupazione nazista, ma l’alleanza con loro era iniziata negli anni ’20, quando Hitler non rappresentava ancora una minaccia. L’istituzione dei Gentile Friends non può essere giustificata in termini di antinazismo. Di fatto la destra austriaca, Dollfuss e Schuschnigg, non furono mai un ostacolo all’occupazione tedesca, ma piuttosto funsero da garanti della vittoria nazista. Joseph Buttinger, negli anni ’30 leader della socialdemocrazia in clandestinità, descrisse i fatti nel suo libro, In The Twilight of Socialism. Vi era una maggioranza antinazista in Austria, ma Schuschnigg fu “incapace di sfruttare le possibilità politiche implicite in tali circostanze”. Egli impedì ogni “mobilitazione di massa contro le camicie brune, perché in una lotta aperta contro il fascismo egli stesso inevitabilmente sarebbe stato rovesciato”. La mobilitazione di massa era fondamentale, disse Buttinger scrivendo proprio in quei giorni, “nel caso dell’Austria in modo particolare, poiché in ultima analisi il destino dell’Austria sarà deciso da forze internazionali”. Hitler avrebbe attaccato l’Austria al momento per lui opportuno, che stava allegramente attendendo dal momento che il regime di Schuschnigg “nel frattempo era la garanzia contro l’organizzazione di una resistenza”369.

365 Jewish Daily Bulletin, 11 gennaio 1935, p.1 366 Tagar, 1 gennaio 1947, p.7 367 Encyclopedia Judaica, 16 voll., 1971-72 368 ibidem 369 Joseph Buttinger, In The Twilight Of Socialism: A History of the Revolutionary Socialist of Austria, 1953

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L’ebraismo austriaco aveva una sola speranza: una stretta alleanza, locale e internazionale, con i socialdemocratici. Diversamente dagli screditati socialisti tedeschi, i socialdemocratici austriaci rimasero per lo più integri anche dopo la loro eroica, seppur poco organizzata, resistenza nel 1934. Il regime di Dollfuss era il più debole dei governi fascisti, e anche dopo il massacro dei socialisti del 12 febbraio il nuovo governo era assistito non solo dalla sua polizia ma dall’ingombrante presenza degli eserciti italiano e ungherese, pronti a combattere per Dollfuss, e con altrettanta certezza che l’esercito tedesco sarebbe intervenuto piuttosto che vedere l’ascesa al potere dei socialdemocratici. Chiaramente né la difficile situazione internazionale né la forza del regime austriaco possono essere sottovalutati, ma vi furono gigantesche manifestazioni socialiste per l’Austria in Europa e America. Tuttavia invece di guardare ai socialisti in Austria e all’estero in cerca di appoggio, i sionisti austriaci si rivolsero al regime, che alla fine si arrese a Hitler senza sparare un colpo. Nahum Goldmann, rappresentante della WZO, consapevolemente scoraggiò gli ebrei all’estero dal manifestare contro l’antisemitismo in Austria, scegliendo invece di dare fiducia ai sospiri dietro le quinte di Benito Mussolini.

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16. I PARTITI EBRAICI DELL’EUROPA ORIENTALE

Con la caduta dei tre grandi imperi dell’Europa orientale in conseguenza della Prima guerra mondiale, un nuovo sistema di potere emerse sotto il dominio dell’imperialismo francese e inglese. L’isolamento di Germania e Unione Sovietica era il loro principale obiettivo, e l’intenzione di circondare la Germania spinse gli alleati a far sì che i lituani, i polacchi e i cechi si ritagliassero pezzi di territorio nazionale tedesco. L’Ungheria e la Bulgaria, in quanto alleate della Germania, subirono a loro volta perdite di territorio. Il risultato fu la creazione di un gruppo di stati minati da un forte sfaldamento nazionale. L’antisemitismo era inevitabile in questo miscuglio di rivalità localistiche.

Il sionismo ebbe buon gioco nel generare nelle comunità ebraiche dell’Est Europa sufficiente peso per inviare dei rappresentanti nei parlamenti di Lettonia, Lituania, Polonia, Cecoslovacchia, Romania e Austria; anche in Jugoslavia, dove la popolazione ebraica totale era meno di 70.000 unità, furono fatti tentativi di mettere componenti ebraiche nelle elezioni del consiglio comunale di Zagabria. Tuttavia il sionismo, in quanto ideologia separatista del più debole gruppo etnico della regione, non fu mai in grado di fronteggiare la crisi del nazionalismo dell’Europa orientale.

Gli ebrei in Cecoslovacchia: il 2,4% di un impero

La Cecoslovacchia negli anni ’30 aveva la buona reputazione di oasi democratica in una regione di dittature, ma in realtà era poco più che una versione ceca dell’Impero asburgico. La borghesia ceca dominava sugli slovacchi e assoggettò brutalmente nel suo mini-impero pezzi di territorio tedesco, ungherese, polacco e ucraino. I leader cechi erano antisemiti sui generis; gli ebrei erano visti come rappresentanti della cultura tedesca o di quella magiara, e nei primi giorni della Repubblica Ceca vi furono delle rivolte antisemite370. L’esercito era controllato da ex militari cechi che avevano disertato dagli Asburgo per unirsi ai russi durante la Prima guerra mondiale, e quindi combatterono a fianco delle armate bianche nella loro disfatta in Russia; i generali erano antisemiti dichiarati. I giovani chassidim della Rutenia carpatica, dove gli ebrei erano il 15% della popolazione, erano sempre il bersaglio del malumore dei loro ufficiali, e un ebreo della Slovacchia era trattato come un ungherese. Era impensabile che un ebreo ptoesse diventare ufficiale. Nessuno aveva diritti nell’esercito cecoslovacco eccetto i cechi e gli slovacchi che accettavano il dominio dei cechi371.

La borghesia ceca non voleva che gli ebrei si mescolassero con i tedeschi o i magiari, e solo i socialdemocratici cechi incoraggiarono gli ebrei a entrare nella vita del paese372. Il loro intento era proteggere la “nazionalità ebraica”, e agli ebrei fu permesso di registrarsi in quanto ebrei in occasione del censimento. Vi erano 356.820 ebrei nel 1930, il 2,4% della popolazione totale: di questi il 58% si registrò come ebreo, il 24,5% come ceco, il 12,8% come tedesco e il 4,7% come ungherese.

I sionisti cecoslovacchi operavano nella politica locale attraverso il Partito Ebraico (Zidovska Strana). Dal 1919 riuscirono a far eleggere dei loro esponenti al consiglio comunale di Praga e in altre città, ma fu per loro impossibile mandare un rappresentante al parlamento nazionale. Nelle elezioni del 1920 una coalizione di Partiti Ebraici Uniti prese solo 79.714 voti, mentre in quelle del 1925 il Patito Ebraico, da solo, arrivò a 98.845 voti. Dal 1928 anche i separatisti ebrei più accaniti si resero conto di doversi alleare con dei non ebrei se volevano entrare in parlamento, e trovarono potenziali partner nel partito della classe media polacca e nei socialdemocratici polacchi dell'area ceca. Nel 1929 la loro alleanza raccolse 104.539 voti, abbastanza per inviare due sionisti e due polacchi al parlamento. Ma l'alleanza fu limitata alle elezioni: i sionisti rimasero fedeli al governo ceco, mentre i polacchi appoggiavano la Polonia. In parlamento i sionisti avevano anche un altro problema, poichè il diritto di parola nei dibattiti era concesso in base al risultato elettorale. Alla fine essi furono indotti a

370 AA. VV., The Jews of Czechoslovakia, vol. 1, 1968 371 Soviet Jewish Affairs, maggio 1980, pp. 76-77 372 AA. VV., The Jews of Czechoslovakia, vol. 1, 1968

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trovare rifugio presso i socialdemocratici cechi come "ospiti". I socialdemocratici annoveravano già degli ebrei nel loro partito, e contavano sui due sionisti semplicemente come voti aggiuntivi per il governo che sostenevano. Gli esigui interessi del Partito Ebraico, ovvero il rifiuto della domenica festiva e il sostegno alle scuole ebraiche nella Rutenia carpatica, non intaccarono la supremazia ceca nello stato. I sionisti guardarono sempre ai cechi per soddisfare le loro ambizioni, e non presero mai in considerazione di allearsi con le altre minoranze nazionali, neanche coi polacchi coi quali eppure avevano fatto un patto elettorale. Nonostante il loro nazionalismo ebraico, furono sempre un'appendice della supremazia ceca. Presi dalla loro lotta contro l'assimilazione linguistica, erano arrivati a vedere la lotta per i diritti delle altre minoranze nazionali come un contributo all'assimilazione. Il loro obiettivo primario fu il sostegno da parte del governo al loro nascente sistema scolastico, e a tale scopo rimasero fedeli allo stato cecoslovacco di Tomas Masaryk e Edvard Benes.

Dopo la resa dei Sudeti nel 1938, e la contemporanea caduta del governo Benes, l'appoggio del rimanente stato ceco all'ebraismo "nazionale" venne meno. I nuovi leader cechi, di fatto l'ala destra del precedente governo, erano decisi ad adeguarsi alla realtà del dominio nazista sull'Europa orientale, e sapevano che Hitler non sarebbe mai stato disposto a scendere a patti con loro se gli ebrei fossero stati liberi nella nuova "Cecoslovacchia". Il nuovo Primo ministro, Rudolf Beran, leader del Partito Agrario, che era stato il partito più importante nel governo Benes, dopo la Conferenza di Monaco informò il parlamento che da allora in avanti l'antisemitismo sarebbe stato politica ufficiale del governo. Era necessario "limitare i ruoli degli ebrei nella vita delle nazioni che sono il nucleo portante dello stato". La sua dichiarazione fu approvata con un solo voto contrario. A esprimersi in favore degli ebrei fu un esponente della destra, mentre il deputato del Partito Ebraico, che durante il governo Benes non aveva mai parlato in difesa delle minoranze, ora non intervenne neppure in favore del suo stesso popolo373.

Romania: “Ebrei in Palestina!”

La Romania prima del 1914 era decisamente antisemita. La maggior parte degli ebrei che vi risiedevano erano rifugiati russi, e il governo romeno semplicemente negò a loro e ai loro discendenti il diritto di cittadinanza. L’alleanza con le potenze occidentali nella Prima guerra mondiale procurò nuovi territori alla Romania a Versailles, che portarono molte migliaia di ebrei in più a uno stato ampliato. A questo punto gli ebrei ottennero la possibilità della cittadinanza, poiché i grandi a Versailles imposero a Bucarest di garantire i diritti minimi ai suoi milioni di cittadini non romeni. La discriminazione contro gli ebrei naturalmente continuò, e iniziò per altre etnie non romene, ma la rivalità etnica era solo uno dei problemi del paese. Oltre ai problemi economici di fondo, il governo era profondamente corrotto: “Romania non è una nazione, è una professione” divenne un celebre proverbio yiddish dell’epoca.

Nel corso degli anni ’20 e i primi anni ’30 vi fu un certo miglioramento nella situazione degli ebrei. Essi rappresentavano il 5,46% della popolazione e i politici iniziarono a cercare i loro voti; il re, Carol II, nominò anche una ministra ebrea, la celebre Magda Lupescu. Tutti gli esponenti romeni progressisti vedevano l’antisemitismo come parte integrante di una generale arretratezza che il paese doveva superare. Tuttavia i socialdemocratici erano estremamente passivi, e il Partito Nazionale dei Contadini (NPP) e il Partito Radicale dei Contadini (RPP) erano più decisi nell’opporsi all’antisemitismo. Essi volevano la riforma agraria e più democrazia, e comprendevano che coloro che negavano i diritti agli ebrei erano contro la democrazia in generale.

Gli ebrei appoggiavano tutti i partiti tranne gli estremisti antisemiti. Molti ebrei ricchi di lingua romena votavano per partiti moderatamente antisemiti, nella misura in cui questi reprimevano i malviventi. Altri ebrei, in Transilvania, parteggiavano apertamente per i nazionalisti ungheresi. Una minoranza votava per i socialdemocratici o seguiva i comunisti, che erano fuorilegge. I sionisti, presenti tra gli ebrei di lingua non romena, lentamente crearono un Partito Ebraico che, dopo alcune esperienze nelle elezioni locali, si presentò alle elezioni parlamentari nel 1931. Essi fecero un buon risultato (dal loro punto di vista), ottenendo 64.175 voti, più del 50% del voto ebraico, e quattro seggi in parlamento, benché la loro percentuale corrispondesse al 2,19% del voto totale. Nel luglio 1932 fecero leggermente meglio, ottenendo 67.582 voti (2,48% del totale) e conservando i quattro seggi.

I leader del Partito Ebraico provenivano dalla classe media delle piccole città. Essi apprezzarono che il NPP fosse contro l’antisemitismo e in parlamento si avvicinarono ai contadini,

373 Contemporary Jewish Record, gennaio 1939, p.13

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anche se in realtà non erano molto partecipi della causa contadina. La loro base piccolo-borghese si vedeva minacciata dal movimento cooperativo, che prendeva piede sulla scia delle mobilitazioni contadine. Invece di far fronte alle sfide politiche che attraversavano la Romania in quel periodo, i leader sionisti si dedicarono alle attività ebraiche locali, non rendendosi conto che rimanendo isolati dalla lotta per un cambiamento democratico avrebbero indebolito la posizione degli ebrei.

Gli estremisti antisemiti compirono atti di violenza già negli anni ’20. Corneliu Codreanu, fondatore della Legione dell’Arcangelo Michele, e i terroristi della sua Guardia di Ferro erano stati assolti nel 1924 dall’accusa di omicidio del capo della polizia della città di Iasi. Nel 1926 venne ucciso uno studente ebreo e l’omicida fu assolto, e nel 1929 e 1932 vi furono delle rivolte, ma l’estrema destra non riuscì a prendere il potere fin dopo la vittoria di Hitler del 1933. A quel punto le forze fasciste avevano alcuni vantaggi psicologici. Se la Germania, uno stato altamente civilizzato, poteva volgere all’antisemitismo, gli estremisti locali non potevano più essere liquidati come fanatici retrogradi; inoltre la Guardia di Ferro era immune dalla corruzione imperante.

Benchè l’erosione della democrazia parlamentare fosse piuttosto rapida, vi fu una resistenza concreta. Il Partito Nazionale dei Contadini si espresse contro l’antisemitismo fino alle elezioni del 1937, quando improvvisamente cambiò direzione e formò un’alleanza con gli antisemiti. Il Partito Radicale dei Contadini continuò a sostenere e anche in alcuni casi a difendere fisicamente gli ebrei, ma non riuscì a tenere testa all’estrema destra.

Il disastro per il Partito Ebraico arrivò già nelle elezioni di dicembre 1933. Il trionfo di Hitler a Berlino rese l’elezione di Codreanu ben più di una possibilità, e molti sostenitori del partito pensarono che se volevano restare al sicuro in Romania avrebbero dovuto cercare la protezione di forze politiche romene. Il voto per il Partito Ebraico crollò a 38.565 (1,3%) e tutti i quattro seggi furono persi. Nel 1935 i socialdemocratici lanciarono un appello per un fronte popolare, ma con l’esclusione dei comunisti. Questi ultimi, a loro volta, sostennero un’alleanza con i socialisti e l’NPP. Entrambi i partiti volevano accordarsi con il NPP e non l’uno con l’altro, ma il NPP rifiutò, siglando un “patto di non aggressione” coi fascisti per le elezioni del dicembre 1937. I socialisti, i contadini radicali e il Partito Ebraico si presentarono tutti divisi e i comunisti, convinti della necessità che il NPP fosse assolutamente necessario per un governo antifascista, diedero l’indicazione di votare per il NPP374. L’elezione fu un disastro per le forze antifasciste; i socialdemocratici crollarono da un già basso 3,25% all’1,3% e furono esclusi dal parlamento. Il Partito Ebraico sperava di tornare in parlamento con i voti degli ebrei che ora non potevano più votare per il NPP. Ma la loro crescita fu troppo limitata, e raggiunsero soltanto l’1,4% dei consensi.

Se il Partito Ebraico e i socialdemocratici avessero unito le forze, avrebbero almeno ottenuto la percentuale del 2% necessaria a ottenere un seggio, ma ovviamente un fronte unito avrebbe attirato ulteriori altre forze verso di loro. Per il Partito Ebraico correre da solo fu un suicidio politico. Era esattamente ciò che volevano gli antisemiti; Octavian Goga, che divenne primo ministro dopo il voto, aveva detto agli ebrei in campagna elettorale di “restare a casa oppure di fare proprie liste di candidati e votare per se stessi”375.

Nessuna fazione del movimento sionista aveva mostrato interesse nella lotta contro l'antisemitismo in Romania. Nel novembre 1936 l'americana Labor Zionist Newsletter, che esprimeva la guida ideologica di Enzo Sereni e Golda Meir, emissari di Poale Zion negli Stati Uniti, definì la posizione strategica della corrente maggioritaria della WZO: "A meno che il Partito dei Contadini non si impadronisca immediatamente del potere, il paese verrà occupato dai nazisti, e diventerà un satellite della Germania. I piani per l'emigrazione sono all'ordine del giorno"376. Era ipotizzato un patto con il regime vigente o con il suo successore (NPP o i fascisti) per incoraggiare una parte degli ebrei a emigrare in Palestina come metodo di alleviamento della "pressione" dovuta alla presenza di "troppi ebrei". Ma un tale "piano" sarebbe stato fatto proprio dagli antisemiti, nel senso che se avessero insistito essi avrebbero potuto liberarsi di ancor più ebrei, e ciò avrebbe suscitato ulteriori richieste da parte degli antisemiti di altri paesi affinchè gli ebrei iniziassero "volontariamente" a lasciare l'Europa. Insomma invece di aiutare a organizzare la resistenza contro il fascismo avanzante, la WZO progettava una disastrosa estensione all'Europa orientale della sua strategia di trasferimento.

"Jidanii in Palestina!" ("Ebrei in Palestina!") fu per lungo tempo il grido di battaglia delle Guardie di Ferro e di altri antisemiti. L'unica strada percorribile dagli ebrei per rispondere alla minaccia era di cercare l'unità di tutte le forze disposte a fare fronte comune per la libertà; ma i sionisti, che avevano il supporto elettorale della maggioranza degli ebrei all'inizio dell'ascesa della destra, non

374 Bela Vago, Popular Front in the Balkans: Failure in Hungary and Rumenia, 1970 375 Bela Vago, The Jewish Vote in Rumenia between the two World Wars, 1972 376 Labor Zionist Newsletter, 15 novembre 1935, p.12

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fecero mai un passo in quella direzione. Il fascismo arrivò al potere, e il paese fu testimone degli orrori dell'Olocausto.

Nel gennaio 1941 la Guardia di Ferro fece ingresso nel governo coni suoi alleati, e nella capitale scoppiò una breve ma furiosa guerra civile. La Guardia in quell'occasione massacrò almeno 2.000 ebrei in maniera barbara. Circa 200 ebrei vennero condotti al macello e fu loro tagliata la gola a imitazione dei riti ebraici di macellazione degli animali.

Occorre sottolineare un aspetto particolare della vicenda. Gli allevatori di Dudesti Cioplea, un piccolo villaggio vicino a Bucarest, inviarono messaggi alla popolazione ebraica: gli ebrei che si fossero rifugiati nella loro città sarebbero stati protetti. Più di mille ebrei fuggirono là e furono difesi dai contadini armati di fucili da caccia377.

Che non vi siano state altre Dudesti Cioplea è dovuto alla rinuncia delle forze antifasciste, incluso il Partito Ebraico, a unirsi contro i killer di Codreanu negli anni '30.

377 William Perl, The Four Front War, 1979

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17. SPAGNA: I NAZISTI COMBATTONO, I SIONISTI NO

Sia Hitler che Mussolini compresero tutte le implicazioni della Guerra civile spagnola; una

vittoria della sinistra avrebbe incoraggiato i loro nemici, non ultimi i lavoratori di Italia e Germania. Essi si mossero rapidamente, e più tardi Hitler ebbe a vantarsi che l'intervento dei 14.000 uomini della sua Legione Condor fu decisivo nella contesa. Altri 25.000 tedeschi si arruolarono nelle unità corazzate e nell'artiglieria di Franco, e gli italiani inviarono 100.000 "volontari". La sinistra lealista a sua volta ricevette un consistente sostegno estero; singoli militanti attraversarono i Pirenei per unirsi alle milizie operaie; l'Internazionale Comunista organizzò 40.000 volontari nelle Brigate Internazionali (benchè non tutti fossero comunisti); e infine i sovietici inviarono sia uomini che materiali, benchè mai nella quantità fornita dagli stati fascisti.

Non c'è certezza sul numero di ebrei che combatterono in Spagna. Essi si riconoscevano come militanti radicali piuttosto che ebrei, e pochi hanno pensato di registrarli come ebrei. La stima del professor Albert Prago, lui stesso veterano del conflitto, è che gli ebrei abbiano composto il 16% delle Brigate Internazionali, il gruppo etnico proporzionalmente più numeroso378. Si ritiene che di 2.000 inglesi almeno 214 (il 10,7%) fossero ebrei, e i numeri degli ebrei americani ammontano tra i 900 e i 1.250, circa il 30% della Brigata Abraham Lincoln. Il gruppo nazionale ebraico più numeroso era composto da polacchi che vivevano in esilio dal regime anticomunista di Varsavia. Dei circa 5.000 polacchi, 2.250 (il 45%) erano ebrei. Nel 1937 le Brigate, per ragioni di propaganda, allestirono la Brigata Naftali Botwin, quasi 200 miliziani di lingua yiddish nella Brigata polacca Dombrowski. Stranamente, nessuno ha mai fatto una stima del numero degli ebrei nella Brigata tedesca Ernst Thaelmann, il secondo più grande contingente nazionale, ma essi erano ben rappresentati.

Anche alcuni italiani erano ebrei; il più famoso di questi era Carlo Rosselli, che Mussolini considerava come il suo più pericoloso antagonista tra gli esiliati. Liberale indipendente, egli andò in Spagna ancor prima dei comunisti, organizzò la prima colonna di 130 italiani (la maggior parte anarchici, con alcuni liberali e trotzkisti) per combattere nelle milizie degli anarco-sindacalisti. Mussolini alla fine lo fece assassinare insieme al fratello Nello da killer dell'organizzazione fascista francese Cagoule, il 9 luglio 1937379.

“La questione non è ‘perché andarono’, ma ‘perché non andammo anche noi?’”

Vi erano 22 sionisti provenienti dalla Palestina in Spagna quando scoppiò la Guerra civile. Costoro erano membri di HaPoel, l’associazione di atletica dei sionisti laburisti, che era venuta per un’Olimpiade operaia prevista per il luglio 1936 a Barcellona come protesta contro gli imminenti giochi olimpici di Berlino. Quasi tutti loro presero parte alle giornate di Barcellona in cui i lavoratori repressero l’insurrezione della guarnigione locale.

Albert Prago menziona per nome altri due sionisti giunti dalla Palestina per combattere, e indubbiamente ve ne furono altri, ma essi vennero a titolo individuale. Il movimento sionista non solo vietò ai suoi membri in Palestina di venire in Spagna, ma il 24 dicembre 1937 Ha’aretz, quotidiano sionista in Palestina, criticò gli ebrei americani delle Brigate Lincoln perché combattevano in Spagna anziché venire in Palestina a lavorare380. Vi furono comunque degli ebrei in Palestina che ignorarono i divieti del movimento sionista e andarono in Spagna, ma nessuno conosce il loro numero; le stime variano da 267 a 500, proporzionalmente il numero più alto di ogni altro paese381. L’Encyclopedia of

378 Albert Prago, Jews in the International Brigades in Spain, 1979 379 Charles Delzell. Mussolini's Enemies: The Italian Anti-Fascist Resistance, 1961 380 Jewish Life, aprile 1938, p.11 381 Albert Prago, Jews in the International Brigades in Spain, 1979

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Zionism and Israel li descrive come “circa 400 comunisti”382. E’ noto che alcuni sionisti, a titolo individuale, erano in quel numero, ma quasi tutti erano membri del Partito Comunista Palestinese383.

Nel 1973 gli israeliani veterani del conflitto tennero un meeting e invitarono i veterani di altri paesi a partecipare. Uno di questi, Saul Wellman, ebreo americano, successivamente descrisse il momento più emozionante del meeting, che avvenne quando si recarono a Gerusalemme e incontrarono il sindaco Teddy Kolleck. Essi avevano discusso se fosse stato giusto andare in Spagna nel pieno della rivolta araba e Kolleck diede la sua personale risposta alla domanda: “La questione non è ‘perché andarono’, ma piuttosto ‘perché non andammo anche noi?’”384.

Vi sono alcune ragioni, tutte profondamente legate al sionismo (e in particolare al sionismo laburista) che spiegano perché essi non andarono, quando era chiaro che i nazisti erano direttamente coinvolti dalla parte di Franco. Tutti i sionisti vedevano la soluzione della questione ebraica come il loro obiettivo principale, e contrapposero nettamente il nazionalismo ebraico a ogni idea di solidarietà internazionale; nessuno disprezzava l’“assimilazione rossa” più vigorosamente dei sionisti laburisti. Durante la Guerra civile spagnola nel 1937 Berl Katznelson, editore del quotidiano dell’Histadrut Davar, e figura rilevante del movimento, scrisse un pamphlet intitolato Revolutionary Constructivism, che era innanzitutto un attacco ai gruppi giovanili e al loro scetticismo verso le posizioni del partito, supine alla linea del fascismo revisionista, e verso il crescente razzismo nei confronti degli arabi. La polemica di Katznelson era anche rivolta contro il nucleo fondamentale del marxismo: il suo internazionalismo. Egli attaccò i giovani in termini inequivocabili:

Essi non hanno la capacità di vivere la loro vita. Sono capaci di vivere solo la vita altrui, e di pensare con le idee altrui. Che bizzarro altruismo! Le nostre ideologie sioniste hanno sempre denunciato questo tipo di ebreo, questo mezzo rivoluzionario, che pretende di essere un internazionalista, un ribelle, un combattente, un eroe, e in realtà è così abietto, così codardo e smidollato quando l’esistenza della sua stessa nazione è in forse…Questo affarista della rivoluzione chiede continuamente: “Guardate la mia modestia, la mia pietà, guardate come osservo tutti i principi rivoluzionari, da quello più importante al più banale”. Quanto è diffuso questo atteggiamento tra noi, e quanto è pericoloso in quest’epoca, quando è fondamentale che siamo leali con noi stessi e chiari coi nostri vicini385.

Formalmente i sionisti laburisti erano parte della Seconda Internazionale, ma per loro la

solidarietà operaia internazionale significava solo il sostegno dei lavoratori alla loro Palestina. Raccolsero piccole somme di denaro per la Spagna, ma nessuno di loro ufficialmente andò a combattere “battaglie altrui”. All’incontro dei veterani del 1973 esso affrontarono la questione se fosse stato giusto lasciare la Spagna “alla luce delle critche provenienti dai leader sionisti e dell’Histadrut nel 1936…all’epoca delle rivolte anti-ebraiche”386. Ma dalle affermazioni di Enzo Sereni e Moshe Beilinson in Jews and Arabs in Palestine, che fu pubblicato nel luglio 1936, proprio il mese della rivolta fascista in Spagna, sembra che il pensiero sionista laburista all’epoca non fosse volto alla difesa; il loro obiettivo era conquistare la Palestina e dominare economicamente il Medio Oriente. Le “rivolte” arabe erano la naturale risposta difensiva alle loro mire, e non il contrario. Sebbene i membri dell’Histadrut avessero simpatia per la sinistra in Spagna, a causa delle loro ambizioni i leader sionisti erano assai lontani dall’idea di combattere il fascismo internazionale. Fu durante il conflitto spagnolo che i loro approcci verso i nazisti raggiunsero l’apice, con la richiesta nel dicembre 1936 che i nazisti deponessero a loro favore davanti alla Commissione Peel, e poi con la successive offerte da parte della filo-laburista Haganah a spiare per conto delle SS nel 1937.

Solo un’organizzazione sionista, Hashomer Hatzair, provò a cogliere le più profonde implicazioni della rivoluzione spagnola. I suoi membri avevano compiuto grossi sforzi per provare a spostare l’Independent Labour Party (ILP) inglese su posizioni filosioniste, e seguirono da vicino le sorti del partito fratello dell’ILP in Spagna, il Partido Obrero de Unificaciòn Marxista (POUM). Il fallimento politico della strategia del fronte popolare in Spagna suscitò un’ampio dibattito tra gli stalinisti e i

382 AA. VV., Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971 383 Fondato da ebrei in Palestina all’inizio degli anni ’20, antisionista, aderente alla Terza Internazionale, il Communist

Palestine Party incluse sia ebrei che arabi fino al 1943, quando si divise su base etnica; la componente ebraica obbedendo

alla linea dell’URSS arrivò ad accettare la partizione del 1947 e divenne il Partito Comunista d’Israele. 384 Jewish Currents, giugno 1973, p. 10 385 Berl Katznelson, Revolutionary Constructivism, opuscolo 1937 386 Jewish Currents, giugno 1973, p. 10

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socialdemocratici. Comunque, non c’è evidenza che alcuno dei suoi membri sia andato in Spagna, di certo non in veste ufficiale, o che essi abbiano fatto qualcosa per sostenere la lotta laggiù a parte la raccolta di un’insignificante somma, in Palestina, per il POUM. Durante gli anni ’30 i membri di Hashomer non presero parte alla vita politica, neanche locale, al di fuori della Palestina, e furono da questo punto di vista il gruppo sionista più ripiegato su se stesso. Lungi dal produrre una leadership teorica, sulla questione spagnola così come sulla più ampia questione del fascismo e del nazismo, essi persero seguaci sia tra gli stalinisti che tra i trotzkisti, dal momento che non offrivano nulla se non una retorica isolazionista e utopica nel mezzo della catastrofe globale.

Negli anni successivi il coraggio degli ebrei di sinistra che combatterono e morirono in Spagna è stato usato per dimostrare che “gli ebrei” non andarono come pecore al macello durante l’Olocausto. I più zelanti nel sostenere questa tesi sono stati quegli ebrei ex-stalinisti che hanno cercato di fare pace col sionismo. Essi non possono arrivare a rinnegare il proprio passato o ad affermare che i sionisti avessero ragione a criticarli per aver combattuto in Spagna, ma retrospettivamente hanno cercato di enfatizzare il carattere “nazionale” ebraico del loro coinvolgimento e hanno minuziosamente conteggiato ogni ebreo nella lunga lista di coloro che presero parte al conflitto. Ma la maggioranza di coloro che andarono in Spagna lo fecero perché erano sinceri comunisti e lo erano diventati sulla base di molte ragioni, e il nazismo era solo una di queste. Il loro coraggio non dimostra nulla di come “gli ebrei” reagirono all’Olocausto, così come il loro coinvolgimento nel movimento comunista non significa che “gli ebrei” siano implicati nella sistematica uccisione dei leader del POUM da parte della polizia segreta sovietica.

I crimini di Stalin in Spagna sono una parte della Guerra civile e non possono essere minimizzati. Ciononostante, quei militanti di sinistra combattevano e morivano sulle linee del fronte della lotta al fascismo internazionale, mentre i sionisti laburisti ospitavano Adolf Eichmann in Palestina e si offrivano di fare le spie per conto delle SS.

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18. I SIONISTI NON PARTECIPANO ALLA LOTTA ANTINAZISTA

NELLE DEMOCRAZIE LIBERALI

Il sionismo e la British Union of Fascists

Nessuno stato occidentale fu immune dall’ascesa di movimenti filonazisti dopo il 1933, ma l’estensione della loro influenza variò da paese a paese. Benchè il capitale occidentale preferisse la Germania nazista a una vittoria del comunismo, tra quelle elites economiche non vi fu mai grande supporto per Hitler come per Mussolini. Hitler era troppo revanscista nel suo atteggiamento verso Versailles, e la Germania potenzialmente troppo forte perché non vi fosse una forte ambiguità nei confronti di quest’ultimo baluardo anticomunista. Inoltre, l’antisemitismo di Hitler non fu mai popolare presso i capitalisti occidentali. Dal momento che gli ebrei erano soltanto una piccola percentuale nelle loro società, era dato per scontato che potessero essere assimilati. L’immigrazione di massa dall’Europa orientale aveva ravvivato l’antisemitismo in Occidente, ma se vi era maggiore pregiudizio verso gli ebrei nel 1933 rispetto, per dire, al 1883, nulla fu paragonabile al nazismo. Tuttavia, durante la Depressione sia l’Inghilterra che l’America videro l’ascesa di concreti movimenti antisemiti che minacciavano fisicamente le comunità ebraiche.

In Inghilterra, la minaccia venne da sir Oswald Mosley e dalla British Union of Fascists (BUF). Il Board dei deputati ebrei inglesi provò a scongiurare il pericolo ignorandolo. Fin dall’inizio esso raccomandò agli ebrei di non disturbare i meeting di Mosley. I dirigenti insistevano che gli ebrei in quanto tali non avevano alcun motivo di litigare col fascismo, e Neville Laski, presidente del Board e direttore del comitato amministrativo dell’Agenzia Ebraica, enfatizzò che “In Italia c’è un fascismo nel quale 50.000 ebrei vivono in amicizia e sicurezza…la comunità ebraica, non essendo un’entità politica in quanto tale, non dovrebbe essere trascinata in quanto tale nella lotta contro il fascismo”387. La Federazione Sionista Inglese sostenne le sue posizioni sul Young Zionist in un articolo nei numeri di agosto e settembre 1934. I comunisti e l’Independent Labour Party avevano contrastato attivamente i seguaci di Mosley in strada, anche con 12.000 manifestanti all’esterno dell’adunata della BUF all’Olympia Exhibition Centre di Londra il 7 giugno, e non meno di 6.937 poliziotti dovettero proteggere 3.000 fascisti da 20.000 oppositori a Hyde Park il 9 settembre. La comunità ebraica dell’East End vedeva il Partito Comunista come il proprio difensore dai seguaci della BUF, e vi fu una crescente tendenza tra la gioventù sionista a unirsi alla campagna anti-Mosley. Tuttavia, la leadership sionista era determinata a far sì che ciò non accadesse. Cosa sarebbe accaduto se gli ebrei avessero sfidato Mosley e la BUF avesse avuto il sopravvento?

Supponendo che sotto un regime fascista vi sarebbero rappresaglie contro gli antifascisti, tutti gli ebrei ne patirebbero…dunque la questione sorge ancora una volta: dobbiamo?...Nel frattempo ci sono tre ideali che chiedono a gran voce il sostegno di tutti gli ebrei…1. L’unità del Popolo Ebraico 2. Il bisogno di un più forte orgoglio ebraico. 3. La costruzione di Eretz Israel. E stiamo perdendo il nostro tempo chiedendoci se dobbiamo unirci a organizzazioni antifasciste388.

Il numero successivo ribadiva la cosa più “a fondo e innegabilmente”:

Una volta compreso che non possiamo liberarci dal male, che i nostri prolungati sforzi

non sono serviti a nulla, dobbiamo fare qualcosa per difenderci dai bubboni di quell’infame malattia. Il problema dell’antisemitismo diventa un problema della nostra stessa educazione. La nostra difesa è nel rafforzamento della nostra personalità ebraica389.

387 Gisela Lebzelter, Political Anti-Semitism in England 1918 – 1939, 1978 388 Young Zionist, agosto 1934, p. 6 389 Young Zionist, settembre 1934, p. 12

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Di fatto le masse ebraiche per la maggior parte ignorarono gli appelli sionisti alla passività e seguirono i comunisti. Alla fine la posizione dei sionisti cambiò e alcuni sionisti si unirono in un gruppo di autodifesa della comunità chiamato Jewish People Council (JPC), ma l’antifascismo non divenne mai una priorità per il movimento sionista.

La famosa Battaglia di Cable Street del 4 ottobre 1936, quando oltre 5.000 poliziotti non riuscirono a far passare un corteo della BUF oltre un blocco di 100.000 tra ebrei e militanti di sinistra, fu un punto di svolta nella lotta contro Mosley. William Zuckerman, uno dei più importanti giornalisti ebrei dell’epoca e allora ancora sionista, era presente e scrisse un resoconto per la Jewish Frontier di New York:

Nessuna città anglo-sassone ha mai visto le scene che hanno avuto luogo in questa tentata manifestazione…Coloro che come me hanno avuto il privilegio di prendere parte a questo evento non lo scorderanno mai. Perché si è trattato dell’atto collettivo di una massa di persone prese da una profonda emozione e da un senso di giustizia tradita, un atto che fa la storia…E’ stata senz’altro la grande epopea dell’East End ebraico390.

Zuckerman scrisse che la manifestazione era stata convocata dal JPC, che coinvolse

“sinagoghe, circoli ricreativi e associazioni di immigrati”. Riportò la presenza di ex soldati ebrei. Continuò: “I comunisti e l’Independent Labour Party devono essere accreditati quali i più attivi antagonisti dell’antisemitismo fascista di Mosley”391. Altri sionisti la pensavano come lui e probabilmente parteciparono alla Battaglia, ma è significativo che un giornalista sionista, che scriveva per una rivista sionista, non menzioni mai la presenza dei sionisti. Il libro di Gisela Lebzelter, Political Anti-Semitism in England 1918 – 1939, dice solo che "organizzazioni sioniste" erano presenti alla conferenza di fondazione del JPC il 26 luglio 1936. Non dice nulla invece di un eventuale ruolo che esse abbiano avuto nella campagna, che durò per diversi anni. La Lebzelter conferma la valutazione di Zuckerman e riconosce appieno il ruolo guida dei comunisti.

Il movimento sionista inglese all'epoca non era piccolo. Esso inviò 643 coloni in Palestina tra il 1933 e il 1936. Aveva la forza per recitare un ruolo importante nella lotta di strada, ma di fatto fece molto poco per difendere la comunità ebraica, anche dopo l'abbandono delle posizioni del 1934. Fu Cable Street (ovvero la resistenza illegale degli ebrei guidata innanzitutto dai comunisti e dall'ILP) che spinse il governo a cessare di proteggere i "diritti" della BUF e finalmente a vietare le milizie private in uniforme.

Il sionismo e il German American Bund Movimenti fascisti negli USA avevano preso piede durante gli anni '30. Il vecchio Ku Klux Klan

era ancora forte nel Sud, e molti irlandesi in Nord America erano stati infettati dal fascismo clericale di padre Charles Coughlin mentre l'esercito di Franco entrava a Barcellona. I quartieri italiani furono attraversati da parate fasciste, e molte organizzazioni di immigrati tedeschi erano influenzate dal German American Bund (GAB). L'antisemitismo crebbe notevolmente, e il GAB decise di dare una dimostrazione di forza annunciando un'adunata al Madison Square Garden di New York per il 20 febbraio 1939. Altri meeting erano in programma a San Francisco e Philadelphia. Avrebbero reagito gli ebrei?

Gli ebrei a New York erano almeno 1.765.000 (il 29,56% della popolazione) e ve ne erano altre centinaia di migliaia nei sobborghi; eppure nessuna organizzazione ebraica pensò di organizzare una contro-manifestazione. Una, il destrorso American Jewish Committee, inviò anche una lettera ai gestori del Garden appoggiando il diritto dei nazisti a tenere il loro meeting. Solo un gruppo politico, i trotzkisti del Socialist Workers Party (SWP), lanciarono l'appello per una contro-manifestazione. Il SWP era un gruppo piccolo, con poche centinaia di aderenti, ma come spiegò Max Schachtman, organizzatore della mobilitazione, fece abbastanza per "combinare il proprio piccolo ingranaggio con quello più grande costituito dai lavoratori di New York, e mettere questi ultimi in movimento"392. Il pubblico seppe della manifestazione del SWP quando l'amministrazione cittadina annunciò che la polizia avrebbe difeso i nazisti dall'attacco, e la stampa parlò della possibilità di violenze.

390 Jewish Frontier, novembre 1936, p.41 391 Ibidem, p.43 392 Socialist Appeal, 28 febbraio 1939, p.4

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Vi erano allora due quotidiani in lingua yiddish che venivano identificati col sionismo: Der Tog, di cui uno degli editori, Abraham Coralnik, era stato uno dei promotori del boicottaggio antinazista; e Der Zhournal, il cui manager Jacob Fishman era stato uno dei fondatori dell'Organizzazione Sionista d'America. Entrambi i giornali si opposero alla protesta contro la presenza dei nazisti. Der Tog pregò i suoi lettori: "Ebrei di New York, non fatevi guidare dai vostri crucci! Evitate il Madison Square Garden questa sera. Non avvicinatevi all'edificio! Non date ai nazisti la possibilità di avere quella pubblicità che tanto desiderano"393. Il Socialist Appeal, il settimanale del SWP, descrisse l’appello del Zhournal come caratterizzato dal medesimo linguaggio del Tog "arricchito da un tocco di nauseante pietismo rabbinico"394. Né vi fu reazione da parte delle organizzazioni sioniste un poco più militanti. Durante i preparativi dell’evento un gruppo di giovani militanti trotzkisti si recò alla sede di Hashomer Hatzair nel Lower East Side, ma fu loro risposto: “Scusate ma non possiamo unirci a voi, la nostra linea sionista è di non prendere parte alla politica al di fuori della Palestina”395.

Allora come oggi, l’Hashomer affermava di essere l’ala sinistra del sionismo, ma solo dieci mesi prima la sua rivista ne aveva difeso la rigida linea di astensione:

Non possiamo separare la nostra posizione di ebrei dalla nostra posizione di socialisti; infatti noi poniamo la stabilità e normalità della prima condizione come priorità necessaria rispetto al nostro lavoro nella seconda condizione…dunque non siamo implicati nelle attività socialiste, alle quali potremmo partecipare solo in quanto borghesi, come elemento discontinuo e non importante, senza mischiarci con gli strati proletari e senza “pontificare”…Questo significa non fare comizi, non tenere manifestazioni, non costruire castelli in aria come fanno le solite organizzazioni “radicali” nei loro programmi…Noi siamo, e dobbiamo essere, essenzialmente non politici396.

Più di 50.000 persone affluirono al Madison Square Garden. La maggior parte erano ebrei, ma

non tutti. Da Harlem arrivò uno spezzone dell’Universal Negro Improvement Association, i nazionalisti seguaci di Marcus Garvey. Sebbene il Partito Comunista Americano avesse rifiutato di appoggiare la manifestazione, per avversione verso i trotzkisti e per non andare contro il sindaco democratico Fiorello La Guardia (la cui polizia era schierata a protezione del GAB), molte sue componenti multietniche parteciparono. L’area fu teatro di una furiosa battaglia di cinque ore con la polizia a cavallo, parte di un contingente di 1.780 uomini, che caricò ripetutamente gli antifascisti. Sebbene i manifestanti non riuscirono a rompere i cordoni della polizia, la vittoria andò a loro. I 20.000 nazisti e seguaci di Coughlin al Garden sarebbero stati ben maltrattati se non ci fosse stata la polizia.

Il SWP immediatamente diede seguito al successo di New York chiamando un’altra manifestazione a Los Angeles il 23 febbraio, all’esterno di un meeting del GAB alla Deutsches Haus. Più di 5.000 persone intrappolarono i fascisti nell’edificio finchè la polizia non arrivò in loro soccorso. L’avanzata del GAB presto volse al termine e, profondamente umiliati, esso dovette annullare le adunate previste a San Francisco e Philadelphia.

Il fatto che fino al febbraio 1939 il SWP sia stato solo a convocare una manifestazione contro un meeting di fascisti a New York è la prova di una costante dell’epoca nazista: a titolo individuale certamente i sionisti parteciparono alla battaglia del Garden, ma tutte quante le organizzazioni ebraiche – politiche o religiose – non furono mai disposte a combattere i loro nemici.

393 Socialist Appeal, 24 febbraio 1939, p.4 394 ibidem 395 Socialist Appeal, 7 marzo 1939, p.4 396 Hashomer Hatzair, aprile 1938, p. 16

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19. IL SIONISMO E LA SFERA DI CO-PROSPERITA’

DEL GIAPPONE IN ASIA ORIENTALE

Vi erano 19.850 ebrei in Cina nel 1935: una comunità a Shanghai e un'altra in Manciuria. La comunità di Shanghai era quasi totalmente composta di ebrei sefarditi di origine irachena, discendenti di Elias Sassoon e dei suoi seguaci, che si erano dedicati agli affari dopo la Guerra dell'Oppio e si erano arricchiti a dismisura nello sviluppo economico di Shanghai. La comunità manciuriana di Harbin era di origine russa, e risaliva alla costruzione da parte degli Zar della Ferrovia cinese orientale. Successivamente era stata infoltita da rifugiati della guerra civile russa.

Il sionismo era debole tra gli ebrei "arabi", che erano una delle comunità etniche più ricche del mondo e non avevano interesse ad abbandonare la loro agiata condizione. I sionisti in Cina erano russi. Essi erano una parte della proiezione imperialistica straniera in Cina e non avevano intenzione di assimilarsi alla nazione cinese. Capitalisti e esponenti della classe media, non avevano interesse a tornare in Unione Sovietica, e la loro identità ebraica era rafforzata dalla presenza di migliaia di Bianchi, antisemiti, sconfitti nella guerra civile russa e rifugiatisi nella Cina del nord. Il separatismo sionista era un'attrattiva naturale, e in seno al movimento fu il revisionismo ad avere maggior peso. Gli ebrei russi erano commercianti in un contesto imperialistico e militarizzato, e il Betar combinava una mentalità entusiasticamente capitalista con un militarismo assai utile a far fronte alle guardie bianche trasformatesi in banditi. Il revisionismo sembrava perfettamente adatto al mondo irto di difficoltà che quegli ebrei si vedevano intorno.

“Una parte attiva nella costruzione del Nuovo Ordine dell’Asia orientale”

La comunità di Harbin prosperò fino alla conquista giapponese della Manciuria nel 1931. Molti ufficiali veterani giapponesi avevano preso parte alla spedizione contro i bolscevichi del 1918 – 22 a fianco dell’esercito dell’ammiraglio Alexander Kolchak in Siberia, e avevano ereditato l’ossessione per gli ebrei delle guardie bianche. Presto i russi bianchi divennero propagandisti del regno fantoccio filo-giapponese del “Manchukuo”, e molti furono reclutati direttamente nell’esercito nipponico. Bande di russi bianchi, protette dalla polizia giapponese, iniziarono a estorcere denaro agli ebrei, e a metà degli anni ’30 la maggior parte degli ebrei di Harbin erano fuggiti a sud, nella Cina nazionalista, piuttosto che sopportare il forte antisemitismo.

La fuga degli ebrei danneggiò seriamente l’economia manciuriana, e dal 1935 i giapponesi dovettero cambiare la loro linea politica: ovvero, vi era una cospirazione ebraica mondiale molto potente, ma si poteva farla lavorare nell’interesse del Giappone. I giapponesi nei confronti dell’ebraismo mondiale decisero di indicare il Manchukuo come possibile rifugio per gli ebrei tedeschi, e anche di assumere un atteggiamento filosionista. Così, credevano, gli ebrei americani avrebbero investito nel Manchukuo e rabbonito l’opinione pubblica americana, contrariata per l’invasione della Cina e anche per la crescente amicizia tra giapponesi e nazisti. Si trattava di una speranza vana, poiché gli ebrei non avevano grande influenza nella politica americana; inoltre, Stephen Wise e gli altri leader ebrei americani erano profondamente contrari alla collaborazione col Giappone, che vedevano come un inevitabile alleato dei nazisti.

I giapponesi ebbero molto più successo nel convincere gli ebrei rimasti nel Manchukuo che era loro interesse collaborare, se non altro reprimendo i russi bianchi e chiudendo il Nash Put, l’organo dell’Associazione Fascista Russa. Il leader degli ebrei di Harbin era un dottore molto religioso, Abraham Kaufman, che era molto coinvolto con la comunità locale. Egli fu molto incoraggiato dal cambio di politica dei giapponesi e, secondo quanto riportato da un ufficio esteri nipponico, lui e i suoi amici nel 1936 – 37 chiesero il permesso di convocare un Consiglio Ebraico dell’Estremo Oriente. Lo

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scopo era organizzare tutti gli ebrei d’Oriente e fare propaganda per conto del Giappone, particolarmente prendendo posizione contro il comunismo397.

La prima di tre conferenze delle comunità ebraiche dell’Estremo Oriente ebbe luogo ad Harbin nel dicembre 1937. La coreografia delle conferenze si vede nelle fotografie del numero di gennaio 1940 del Ha Dagel (La Bandiera) che, nonostante il titolo in ebraico, era la rivista in lingua russa del revisionismo del Manchukuo. I palchi erano addobbati con bandiere giapponesi, manchukuo e sioniste. I betarim fungevano da guardia d’onore398. Gli incontri furono moderati da personaggi come il Generale Higuchi, dell’intelligence militare giapponese, il Generale Vrashevsky delle Guardie Bianche, e funzionari del governo fantoccio manchukuo399.

La conferenza del 1937 approvò una risoluzione, che fu inviata alle principali organizzazioni ebraiche del mondo, che auspicava la “cooperazione con il Giappone e il Manchukuo nel costruire un Nuovo Ordine in Asia”400. In cambio, i giapponesi riconoscevano il sionismo come il movimento nazionale degli ebrei. Il sionismo divenne una parte dell’apparato del Manchukuo, e il Betar ricevette colori ufficiali e uniformi. Vi furono talvolta situazioni imbarazzanti, per esempio quando il Betar dovette essere scusato per aver celebrato con una parata il riconoscimento del Manchukuo da parte della Germania. Ma in generale i sionisti locali erano piuttosto soddisfatti delle loro relazioni con il regime giapponese. Il 23 dicembre 1939 un reporter alla terza conferenza parlò di “giubilo in tutta la città”401. L’assemblea approvò alcune risoluzioni:

L’Assise qui riunita si congratula con l’Impero Giapponese per il suo grande sforzo di stabilire la pace in Asia orientale, ed è convinta che quando i combattimenti cesseranno i popoli dell’Asia orientale costruiranno le proprie nazioni sotto la guida del Giappone402.

E proseguiva dicendo che:

La Terza Conferenza delle Comunità Ebraiche si appella al popolo ebraico affinchè esso

prenda parte attiva alla costruzione del Nuovo Ordine dell’Asia orientale, guidato da principi fondamentali basati sulla lotta contro il Comintern, in stretta collaborazione con tutti i popoli403.

Verdetto: i sionisti collaborarono con il nemico del popolo cinese

I sionisti del Manchukuo guadagnarono qualcosa dalla loro collaborazione con i giapponesi? Herman Dicker, uno dei massimi esperti dell’ebraismo dell’Estremo Oriente, ha concluso che: “Non si può dire, retrospettivamente, che la Conferenza dell’Estremo Oriente abbia facilitato l’arrivo di un gran numero di rifugiati in Manciuria. Al massimo, solo alcune centinaia di rifugiati ebbero il permesso di entrare”404. Negli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale i sovietici entrarono in Manciuria e arrestarono Kaufman; alla fine egli scontò undici anni in Siberia per collaborazionismo. Di certo il sionismo manciuriano fu profondamente coinvolto nell’apparato giapponese del Manchukuo. I sionisti non avevano sostenuto la conquista giapponese, ma una volta che i russi bianchi furono repressi non ebbero più nulla da ridire contro la presenza giapponese. Non avevano nulla da guadagnare dal ritorno del Kuomintang, e aborrivano una rivoluzione comunista. Non furono mai contenti del legame di Tokyo con Berlino, ma speravano di limitare i danni usando la loro influenza sugli ebrei americani per promuovere un’intesa con Washington nell’area del Pacifico. Non c’è dubbio che, nonostante il loro dissenso verso la politica filotedesca del Giappone, i giapponesi vedevano i sionisti manciuriani come fidi collaboratori.

397 Herman Dicker, Wanderers and Settlers in the Far East: a Century of Jewish Life in China and Japan, 1962 398 Ha Dagel, 1 gennaio 1940, pp. 21 - 28 399 Herman Dicker, Wanderers and Settlers in the Far East: a Century of Jewish Life in China and Japan, 1962 400 M. Tokajer, M. Swarz, The Fugu Plan: The Untold Story of The Japanese And The Jews During World War II, 1979 401 David Kranzler, Japanese, Nazis & Jews: the Jewish Refugee Community of Shanghai, 1938-1945, 1976 402 In Japan Interpreter n. 11, 1977, p. 493-527 403 Ha Dagel, 1 gennaio 1940, p.26 404 Herman Dicker, Wanderers and Settlers in the Far East: a Century of Jewish Life in China and Japan, 1962

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20. POLONIA 1918 - 1939

Il collasso dei tre imperi che controllavano la Polonia diede ai capitalisti polacchi uno stato

indipendente che essi avevano da tempo cessato di volere. Dopo il fallimento dell'insurrezione anti-zarista del 1863, avevano iniziato a vedere l'impero russo come un enorme mercato, e non vedevano ragioni per separarsi da esso. Il nemico, pensavano, non era la Russia ma gli ebrei e i protestanti tedeschi che dominavano il “loro” mercato interno. Il nazionalismo divenne l’argine nei confronti della classe operaia e del suo Polska Partja Socjalistyczna (PPS). La Prima guerra mondiale vide i borghesi Nazional-Democratici, i cosiddetti endeks, appoggiare lo Zar, e l'ala destra del PPS, guidata da Josef Pilsudski, allestire una legione polacca in appoggio ai tedeschi, considerati il male minore. Tuttavia, il collasso di entrambi gli imperi spinse le due fazioni a unirsi nell'ottica di resuscitare uno stato polacco indipendente. Pilsudski aveva lasciato il PPS durante la guerra, approdando a posizioni di estrema destra; così le due fazioni poterono ora accordarsi su un programma anti-bolscevico e di ricostruzione di un impero polacco. Il "Maresciallo" Pilsudski aveva ben accolto i soldati ebrei nella sua legione e ancora disprezzava l'antisemitismo, che identificava con la reazione zarista; tuttavia egli non aveva alcun controllo su quei generali che provenivano dalle armate degli endek zaristi, e si appoggiava ai pogromisti di Petljura. Le uccisioni e persecuzioni di ebrei raggiunsero un livello tale che gli Alleati intervennero e imposero una clausola sui diritti delle minoranze nella costituzione polacca come condizione per il riconoscimento dello stato. Solo quando gli endek si resero conto che l'influenza ebraica poteva giovare all'esposizione di Varsavia con i banchieri stranieri misero fine ai pogrom. Ma la fine dei pogrom significò soltanto un cambiamento di forme dell'antisemitismo. Il regime decise di "polonizzare" l'economia, e migliaia di ebrei persero il loro lavoro quando il governo rilevò le ferrovie, le fabbriche di sigarette e di fiammiferi e le distillerie.

Nei primi anni '20 la comunità ebraica polacca ammontava a 2.846.000 membri, il 10,5% della popolazione. Politicamente era molto disomogenea. All'estrema sinistra vi erano i comunisti (KPP). Sebbene la proporzione di ebrei nel KPP fosse sempre superiore al 10,5%, i comunisti non furono mai una parte significativa della popolazione ebraica. Il PPS, sebbene avesse sempre accolto gli ebrei nelle sue fila, era imbevuto di nazionalismo polacco ed era contrario alla lingua yiddish; quindi il PPS nel dopoguerra ebbe pochi seguaci ebrei. Invece la forza di sinistra maggiormente presente tra gli ebrei erano i pro-yiddish del Bund, la cui sezione polacca era sopravvissuta alla sconfitta nell'Unione Sovietica; tuttavia essi erano ancora una netta minoranza nell'ambito della comunità. Nelle elezioni del 1922 per il parlamento polacco (Sejm, Dieta) essi presero solo poco più di 87.000 voti, e non riuscirono a ottenere neanche un seggio. Alla destra vi era Agudas Yisrael, il partito degli ortodossi tradizionalisti, che era vagamente appoggiato da circa un terzo della comunità. Secondo la concezione agudista, il Talmud esigeva fedeltà a qualunque governo dei gentili che non interferisse con la religione ebraica. Con il loro passivo conservatorismo, essi non potevano avere influenza sugli elementi più acculturati, che cercavano una soluzione più attivistica all'antisemitismo. Un piccolo seguito, soprattutto di intellettuali, era appannaggio dei Populisti, un gruppo di nazionalisti yiddish. Tutti questi gruppi, ognuno con le sue specificità, erano antisionisti.

La forza politica dominante nella comunità ebraica erano i sionisti. Essi avevano ottenuto sei dei tredici seggi ebraici nella Dieta del 1919, e le elezioni del 1922 diedero loro l'opportunità di dimostrare che potevano contenere l'ancora virulento antisemitismo. La fazione più ampia del movimento, capeggiata da Yitzhak Gruenbaum dei sionisti radicali, organizzò un “Blocco delle Minoranze”. Le nazionalità non polacche costituivano quasi un terzo della popolazione e Gruenbaum pensava che unendosi avrebbero potuto essere l'ago della bilancia nella Dieta. Il blocco, comprendente la fazione sionista di Gruenbaum ed esponenti delle nazionalità tedesca, bielorussa e ucraina, ebbe 66 candidati eletti, di cui 17 sionisti. All'apparenza l'accordo sembrò avere successo, ma in sostanza presto emersero le divisioni, sia all'interno della minoranza sionista che tra le varie minoranze in generale. La maggioranza ucraina in Galizia rifiutò di riconoscere lo stato polacco e boicottò le elezioni. Nessuno degli altri nazionalisti avrebbe sostenuto la lotta degli ucraini e i sionisti galiziani, che non volevano contrapporsi ai polacchi, andarono alle elezioni come rivali del Blocco delle Minoranze. I sionisti galiziani presero 15 seggi, ma poichè il loro successo era dovuto all'astensione degli ucraini non poterono accreditarsi come rappresentanti della regione. Anche dentro il Blocco delle Minoranze non vi fu accordo per un'unità a lungo termine, e dopo le elezioni esso di sciolse. Ora vi erano 47 ebrei

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nelle due camere della Dieta, 32 dei quali sionisti, ma il loro opportunismo elettorale li aveva messi in cattiva luce.

Il fallimento del Blocco delle Minoranze aprì la strada a un altro tentativo, organizzato dai leader sionisti generali galiziani, Leon Reich e Osias Thon. Nel 1925 essi negoziarono un accordo, l' "Ugoda" (Compromesso) con Wladyslaw Grabski, il Primo ministro antisemita. Grabski era in cerca di un finanziamento dagli americani, e aveva bisogno di dimostrare di non essere un irremovibile fanatico. Con l'accordo coi due sionisti poteva riuscire, almeno agli occhi di incauti stranieri, a far sembrare il suo regime capace di un cambiamento. Di fatto il governo acconsentì a piccole concessioni: i coscritti ebrei poterono avere cibo kosher, e gli studenti ebrei furono esentati dalla scrittura al sabato, mentre per tutti gli altri era obbligatoria. Anche all'interno del movimento sionista, Thon e Reich vennero visti come dei traditori della comunità ebraica405.

L'antisemitismo era solo una componente della linea reazionaria dei governi successivi al 1922, e la maggioranza della popolazione, ebrei compresi, seguì il colpo di stato di Pilsudski del maggio 1926, nella speranza di un cambiamento in positivo. L'intera delegazione ebraica alla Dieta votò per Pilsudski presidente il 31 maggio406. La posizione degli ebrei non migliorò, ma almeno Pilsudski non fece aumentare le discriminazioni, e la sua polizia represse i riot antisemiti fino alla sua morte, nel 1935. Le elezioni della Dieta del 1928 furono le ultime elezioni più o meno libere in Polonia. I sionisti generali erano di nuovo divisi: la fazione di Gruenbaum entrò di nuovo in un blocco delle minoranze, e i galiziani sostennero il loro proprio candidato. Pilsudski era popolare tra gli ebrei conservatori per aver fatto cessare i pogrom, e molti votarono i suoi candidati per gratitudine. Questo, insieme all'ingresso degli ucraini di Galizia nella competizione elettorale, fece sì che la rappresentanza ebraica si riducesse a 22 eletti, di cui 16 sionisti407. Dal 1930 il regime di Pilsudski si volse verso un vero e proprio stato di polizia, con gravi brutalità nei confronti dei prigionieri politici. Pilsudski mantenne la Dieta, ma stabilì un controllo sulle elezioni attraverso brogli e i risultati del 1930 furono in gran parte fittizi. La rappresentanza ebraica calò ancora a 11 eletti, di cui 6 sionisti.

Con l'intensificarsi della dittatura i parlamentari sionisti mostrarono maggiore interesse per l'opposizione anti-Pilsudski, ma queste correnti vennero messe in difficoltà dalla vittoria di Hitler nella vicina Germania. Il sionismo polacco inizialmente aveva sottovalutato il nazismo. Prima che arrivasse al potere i quotidiani sionisti Haint, Der Moment e Nowy Dziennik avevano assicurato i loro lettori che una volta al governo l'antisemitismo di Hitler sarebbe stato contenuto dalla presenza di conservatori come von Papen e Hugenburg nel suo governo di coalizione. Pensavano che le necessità dell'economia tedesca lo avrebbero presto costretto ad adottare un approccio più moderato. Poche settimane di Nuovo Ordine distrussero tali fantasie e la nuova preoccupazione dei sionisti polacchi fu che il successo nazista avrebbe suscitato un'ondata di estremismo in Polonia. Ogni interesse verso le opposizioni cessò, e Pilsudski divenne l'uomo decisivo in quanto si pronunciava contro il regime di Berlino408. Il brusco voltafaccia dei sionisti nei confronti del dittatore suscitò forti proteste da parte dei partiti di opposizione che vi resistevano. L'Agenzia Telegrafica Ebraica riportò notizia di un dibattito sulla questione ebraica alla Dieta il 4 novembre 1933:

Il deputato Rog, leader del Partito dei Contadini...ha denunciato il comportamento

antiebraico della Germania hitleriana. Il crimine commesso contro gli ebrei tedeschi è un crimine contro l'umanità, ha detto. La Polonia, ha dichiarato, non prenderà mai esempio dalla Germania di Hitler. Egli tuttavia non poteva capire, ha proseguito, come i politici ebrei che si oppongono alla dittatura tedesca possano conciliare con la loro coscienza il sostegno che stanno dando in Polonia alla dittatura polacca. Non è un bene per le masse polacche trovarsi di fronte agli ebrei che appoggiano il loro oppressore409. Il 26 gennaio 1934 Pilsudski siglò un patto decennale con Hitler. Nello stesso anno il governo di

Varsavia, vedendo l'impotenza della Società delle Nazioni di fronte al problema tedesco, decise di rinnegare il Trattato sulle Minoranze sottoscritto sotto costrizione a Versailles. Nahum Goldmann incontrò Jozef Beck, ministro degli esteri polacco, a Ginevra il 13 settembre 1934, provando a persuaderlo a cambiare idea, ma senza successo. Come al solito la WZO rinunciò a organizzare

405 Ezra Mendelsohn, The Dilemma of Jewish Politics in Poland: Four Responses, 1974 406 Joseph Rothschild, Pilsudski's Coup D'Etat, 1967 407 AA. VV., Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971 408 In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974 409 Jewish Weekly News, 29 dicembre 1933, p. 5

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manifestazioni di massa all'estero, e si limitò a interventi diplomatici tra Londra e Roma410. I sionisti polacchi rimasero fedeli a Pilsudski fino alla sua morte il 12 maggio 1935, e allora Osiah Thon e Apolinary Hartglas, quest’ultimo presidente dell'Organizzazione Sionista Polacca, fecero la proposta di una "Foresta Pilsudski" in Palestina in sua memoria411. I revisionisti in Palestina annunciarono che avrebbero costruito un ostello per coloni intitolato a lui412.

“I lavoratori non sono stati contaminati”

La vittoria di Hitler esaltò gli estremisti tra gli antisemiti polacchi, ma finchè il Maresciallo fu in vita la sua polizia si attenne strettamente agli ordini di reprimere ogni tipo di disordine di strada. Tuttavia i suoi successori, i “Colonnelli”, non avevano la caratura politica per mantenere ancora questa linea politica. Essi mancavano del prestigio di Pilsudski e dovettero adeguarsi all’opinione della popolazione, altrimenti sarebbero stati rovesciati. L’antisemitismo era una scelta ovvia in quanto attingeva ai tradizionali pregiudizi di gran parte della classe media polacca. Tuttavia, essi provarono ancora a mantenere l’ordine; le limitazioni verso gli ebrei sarebbero state introdotte sotto stretta osservanza della legge. Gli antisemiti più radicali degli endek e della loro propaggine, i filonazisti nara (Nazionalisti Radicali), compresero che i Colonnelli si sarebbero piegati alla linea antisemita per debolezza, e si misero a sfidare la polizia. Il paese presto fu attraversato da un’ondata di pogrom. Più volte gli assalti iniziarono nelle università, dove gli endek e i nara provarono a istituire delle “aule-ghetto” e un numero chiuso per gli ebrei. Prese piede un boicottaggio dei negozi ebraici e bande di teppisti anti-ebraici iniziarono a terrorizzare i polacchi che affittavano i negozi ebrei. Gli assalti agli ebrei per la strada divennero cronaca quotidiana.

La resistenza ebraica ai pogromisti fu in larga parte opera dei bundisti. Sebbene essi fossero numericamente inferiori ai sionisti fino a metà degli anni ’30, ciononostante erano sempre stati la forza egemone nel movimento operaio ebraico. Essi organizzarono delle squadre mobili 24 ore su 24 presso la loro sede di Varsavia. Alla notizia di un attacco il loro Ordener-grupe (servizio d’ordine), bastoni e tubi tra le mani, andava all’attacco. All’epoca vi furono centinaia di bundisti, ebrei unitari e loro amici della milizia del PPS, la Akcja Socyalistyczna, coinvolti in aspri scontri con i sostenitori di endek e nara413. La più importante di queste battaglie di strada fu quella al Giardino Sassone, famoso parco di Varsavia, nel 1938, quando il Bund scoprì che i Nara avevano in programma un pogrom nel parco e nelle strade adiacenti. Bernard Goldstein, leader dell’Ordener-grupe, ha poi descritto la battaglia nelle sue memorie:

Creammo un grosso gruppo di militanti e lo concentrammo nella grande piazza vicino al cancello di ferro. Il nostro piano era di spingere gli hooligans in quella piazza, che era chiusa da tre lati, e di bloccare la quarta uscita, e quindi coglierli in trappola in un luogo dove potevamo dare battaglia e impartire loro una bella lezione…all’improvviso sbucammo fuori dai nostri nascondigli, circondandoli da ogni lato…dovettero chiamare le ambulanze414.

Precedentemente, il 26 settembre 1937, i nara assalirono la sede del Bund. Il Bund prontamente

mise insieme una squadra di trenta persone: dieci bundisti, dieci membri di un gruppo dissidente sionista, e dieci polacchi del PPS. Andarono alla sede dei nara. I polacchi, che vollero agire da guastatori, andarono avanti e tagliarono le linee telefoniche. Poi il resto del commando effettuò l’attacco. Hyman Freeman, uno dei bundisti, disse del raid:

Ci fu battaglia, ma loro non ebbero la possibilità di mettere in piedi una qualche resistenza. Li attaccammo come una sorta di blitzkrieg. Riducemmo il posto in macerie e li menammo per bene…fu davvero un lavoro straordinario415.

410 In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974 411 Ezra Mendelsohn, The Dilemma of Jewish Politics in Poland: Four Responses, 1974 412 Palestine Post, 16 maggio 1935, p. 1 413 In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974 414 ibidem 415 ibidem

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Benchè il senso comune sia dell’idea che l’antisemitismo fosse diffuso in tutte le classi della società polacca, l’evidenza mostra che l’antisemitismo era soprattutto un fenomeno della classe media, e in seconda battuta, dei contadini. Il grosso della classe operaia polacca seguiva il PPS, ed essi capirono dall’inizio che la lotta del Bund era la loro lotta e il loro appoggio agli ebrei sotto assedio era vitale nel quadro della resistenza ai nara. Nel 1936 il Palestine Post spiegava ai suoi lettori che quando le bande di studenti fascisti volevano uscire dai loro covi nelle università per dare inizio a un pogrom:

i lavoratori e gli studenti polacchi non-ebrei venivano subito in aiuto degli ebrei. Recentemente il PPS ha organizzato un gran numero di incontri di propaganda…sono stati fatti discorsi molto appassionati da parte di polacchi non ebrei che sembrano profondamente decisi a dissociarsi dagli strepiti degli endek416.

Jacob Lestchinsky, uno dei principali studiosi sionisti dell’epoca, descrisse la mentalità del

movimento operaio polacco in un articolo per i lettori della Jewish Frontier nel luglio 1936:

il partito operaio polacco può a ragione vantare di aver immunizzato i lavoratori dal virus dell’antisemitismo, anche nella velenosa atmosfera polacca. La loro posizione sulla questione è diventata quasi un esempio. Anche nelle città e nei quartieri che sembrano essere completamente infettati dal peggior tipo di antisemitismo, i lavoratori non sono stati contaminati417.

Anche altri settori erano dalla parte degli ebrei. Tra le masse ucraine, l’antisemitismo era

pericolosamente cresciuto allorchè molti nazionalisti erano diventati filohitleriani. Essi si illudevano che la Germania, in conseguenza dell’ostilità verso i colonnelli polacchi e Stalin, li avrebbe aiutati a ottenere l’indipendenza in un futuro indefinito. Tuttavia il piccolo strato di studenti ucraini che avevano avuto a che fare con lo sciovinismo della classe media polacca nelle sue roccaforti nelle università, non fu mai contaminato dall’antisemitismo populista. Essi compresero cosa sarebbe accaduto alle loro carriere universitarie se gli endek e i nara avessero avuto il sopravvento. Nel dicembre 1937 il Palestine Post scrisse che

Nelle università di Vilna e Lemberg (Lvov) gli studenti bielorussi e ucraini si sono uniti quasi in blocco al fronte anti-ghetto, e stanno sostenendo gli ebrei nella loro lotta contro queste misure di stampo medievale418.

I contadini erano divisi sulla questione ebraica. Quelli ricchi tendevano all’antisemitismo,

particolarmente nella Polonia occidentale. Nel sud e in misura minore nella parte centrale, le masse rurali seguivano il Partito dei Contadini. Nel 1935 esso aveva assunto una posizione inconsistente, da una parte insistendo sul principio dei diritti democratici per tutti gli ebrei nel paese e dall’altra invocando la colonizzazione dell’economia e l’emigrazione ebraica in Palestina o altrove419. Tuttavia, nel 1937 il partito insisteva che la campagna antisemita non era altro che un trucco per distogliere l’attenzione dai veri problemi politici, in particolare la necessità di una riforma agraria. Nell’agosto 1937 una gran parte dei contadini parteciparono a uno sciopero generale di dieci giorni. Malgrado la polizia uccidesse 50 dimostranti, in molte zone lo sciopero fu totale. Alexander Erlich della Columbia University, che allora era un giovane dirigente del Bund, afferma che: “Durante lo sciopero si potevano vedere dei barbuti chassidim infoltire i picchetti insieme ai contadini”420. Il governo riuscì a sopravvivere soltanto perché i leader contadini della vecchia guardia non volevano collaborare coi socialisti.

Il Bund e il PPS coinvolsero le masse nella lotta contro gli antisemiti. L’uccisione di due ebrei e il ferimento di altre dozzine a Przytyk il 9 marzo 1936 spinsero a una risposta decisa, e il Bund convocò uno sciopero generale di mezza giornata per il 17 marzo, con l’appoggio del PPS. Tutte le attività ebraiche – una parte significativa della vita economica del paese – si fermarono. I sindacati del PPS a

416 Palestine Post, 29 gennaio 1936, p. 3 417 Jewish Frontier, luglio 1936, pp. 11-12 418 Palestine Post, 1 dicembre 1937 419 In Jewish Social Studies, aprile 1939, p. 248 420 In AA.VV., Solidarnosc, Polish Society and the Jews, 1982

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Varsavia e nelle principali città sostennero lo sciopero, e una gran parte della Polonia si fermò. Fu davvero il “Sabbath dei Sabbath!” Come fu descritto nella stampa ebraica.

Nel marzo del 1938 il Bund dichiarò una protesta di due giorni contro le aule-ghetto e i continui atti di terrore nelle università. Nonostante gli attacchi fascisti, che erano respinti, molti dei più importanti accademici polacchi si unirono alla comunità ebraica e ai sindacati socialisti nelle strade, una straordinaria collaborazione in un paese in cui le madri zittivano i figli con la minaccia che un ebreo li avrebbe portati via in un sacco.

Vittorie elettorali che non portano a nulla

Le masse cominciarono a orientarsi verso il Bund nelle elezioni della comunità ebraica del 1936, e il Bund e il PPS registrarono un forte incremento nelle elezioni municipali dello stesso anno. Tuttavia qui emersero nettamente i gravi limiti del PPS. A Lodz, la città polacca più industrializzata, il PPS rifiutò un’alleanza elettorale con il Bund, perché la sua leadership era preoccupata di perdere voti se fosse stata identificata con gli ebrei. Ciononostante, da un punto di vista pratico, i due partiti erano alleati nel lavoro quotidiano e continuarono ad acquisire seguito. I riformisti socialdemocratici del PPS non furono mai in grado di abbandonare la loro mentalità opportunista e ancora rifiutarono l’alleanza nelle elezioni per il consiglio comunale del dicembre 1938 e gennaio 1939. Il Bund dovette correre separatamente, ma le due fazioni si sostennero a vicenda nelle aree dove erano in minoranza. De facto alleati, ottennero la maggioranza a Lodz, Cracovia, Lvov, Vilna e altre città, e impedirono il formarsi di una maggioranza di governo a Varsavia. Il PPS prese il 26,8% dei voti, il Bund un altro 9,5%, e sebbene non fossero strettamente connessi, il loro 36% era visto come socialmente più influente del 29% dei colonnelli o del 18,8% degli endek. Il New York Times parlò della “netta vittoria” della sinistra, e della perdita di terreno dei profondamente divisi antisemiti421.

Nei quartieri ebraici il Bund affossò i sionisti e ottenne il 70% dei consensi, il che gli portò 17 dei 20 seggi disponibili a Varsavia, mentre ai sionisti ne andò uno solo422.

“Mi auguro che venga massacrato un milione di ebrei polacchi”

Le masse ebraiche iniziarono ad abbandonare i sionisti nei tardi anni ’30. Quando gli inglesi tagliarono le quote di immigrazione dopo la rivolta araba, la Palestina non sembrò più una soluzione ai loro problemi. L’immigrazione polacca in Palestina cadde da 29.407 unità nel 1935 a 12.929 nel 1936, poi a 3.578 nel 1937 e infine a 3.346 nel 1938. Tuttavia vi era un’altra ragione fondamentale per l’allontanamento dal sionismo. Il movimento era screditato dal fatto che tutti gli antisemiti, dal governo ai nara, erano a favore dell’emigrazione in Palestina. “La Palestina assunse un’accezione negativa nella vita politica polacca. Quando i deputati ebrei parlavano alla Dieta, i rappresentanti del governo e degli endek li interrompevano al grido di ‘Andate in Palestina!’ ”423. Dovunque i picchetti di boicottaggio anti-ebraico erano dello stesso segno: “Moszku idz do Palestyny!” (“A calci in Palestina!”). Nel 1936 i delegati endek nel consiglio comunale di Piotrkow fecero un gesto dimostrativo proponendo di destinare un zloty “per sostenere l’emigrazione di massa in Palestina degli ebrei di Piotrkow”424. Il 31 agosto 1937 l’ABC, l’organo dei nara, affermò:

La Palestina da sola non risolverà la questione ma può rappresentare l’inizio di un’emigrazione di massa degli ebrei dalla Polonia. Di conseguenza essa non deve essere ignorata dalla politica estera polacca. L’emigrazione volontaria degli ebrei dalla Polonia può ridurre la tensione delle relazioni ebraico-polacche425.

I Colonnelli difficilmente avevano bisogno di una spinta da parte dei nara; erano sempre stati

entusiasti filosionisti e sostennero caldamente la proposta della Commissione Peel per una partizione della Palestina. Weizmann incontrò Jozef Beck nel settembre 1937 e questi gli assicurò che, quando

421 New York Times, 20 dicembre 1938 422 Bernard Johnpoll, The Politics of Futility: The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917-1943, 1967 423 American Jewish Yearbook, 1937-38 p. 392 424 World Jewry, 13 marzo 1936, p. 5 425 Information Bulletin (American Jewish Committee), nn. 8-9, 1937, p. 3

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fossero state definite le frontiere del nuovo stato, Varsavia avrebbe fatto il massimo per garantire ai sionisti quanto più territorio possibile426.

Il movimento sionista non aveva mai pensato che fosse possibile per gli ebrei polacchi risolvere i loro problemi sul suolo polacco. Anche negli anni ’20, mentre negoziava con le altre minoranze nazionali, Gruenbaum era divenuto famoso per le sue affermazioni sul fatto che gli ebrei fossero solo una “zavorra in eccesso” nel paese e che la Polonia aveva “un milione di ebrei in più rispetto a quanti ne può sistemare”427. Quando gli inglesi trovarono il diario di Abba Achimeir dopo l’omicidio Arlosoroff, constatarono che quel concetto era espresso con più forza: “Mi auguro che venga massacrato un milione di ebrei polacchi. Allora si renderebbero conto di vivere in un ghetto”428.

I sionisti si diedero da fare per indebolire gli sforzi del PPS di aiutare gli ebrei. Il Palestine Post, nello stesso articolo del gennaio 1936 in cui ricordava le battaglie di strada dei lavoratori contro gli antisemiti, scrisse che “E’ decisamente utile sottolineare questa manifestazione di speranza, come se fosse vera”429. Nel giugno del 1937 l’americana Labor Zionist Newsletter ribadiva il suo scetticismo:

E’ vero che ora il PPS sta mostrando la sua solidarietà con le masse ebraiche in Polonia con un coraggio e un vigore mai visti. Ma è molto dubbio che i socialisti e i sinceri liberali in Polonia siano nella condizione di esprimere una resistenza tale da bloccare l’avanzata della versione polacca del fascismo430.

Di fatto, benché i sionisti laburisti fossero considerati parte della stessa Internazionale Socialista

cui aderiva il PPS, essi speravano di poter ignorare tale legame e di negoziare un’intesa direttamente coi nemici dei socialisti polacchi. Nel suo editoriale del 20 settembre 1936 la Newsletter scriveva:

L’attenzione del mondo politico internazionale è stata attirata dalla notizia che il governo polacco si sta preparando ad accrescere la sua richiesta di colonie…Gli analisti più seri ritengono che la questione della redistribuzione delle colonie diventerà qualcosa di fondamentale. Perciò tali progetti e proposte da parte di paesi con un’ampia popolazione ebraica dovrebbero ricevere molta attenzione da parte della leadership ebraica mondiale431.

In realtà la Polonia non aveva alcuna possibilità di un posto al sole, ma dando credito alle

lunatiche aspirazioni della destra polacca i sionisti speravano di persuadere l’opinione pubblica del fatto che la risposta all’antisemitismo polacco era al di fuori del paese.

Benchè la WZO fosse disposta ad assecondare il regime di Varsavia, dopo che gli inglesi abbandonarono il piano di partizione Peel e tagliarono le quote di immigrazione, i suoi seguaci non avevano più nulla da offrire ai Colonnelli polacchi e furono i revisionisti che divennero i più intimi collaboratori del regime. Jacob de Haas sintetizzò la posizione revisionista sugli ebrei polacchi nell’ottobre 1936:

Ovviamente è spiacevole sentirsi dire che gli ebrei sono dovunque “superflui”. Dall’altra

parte la suscettibilità verso le frasi che vengono usate, e verranno usate, a proposito di queste questioni, espone a una sofferenza che non è necessaria. Vorremmo essere capaci di mandar giù qualcosa di ancor più grosso, se il risultato alla fine fosse positivo432.

Jabotinsky aveva proposto di “evacuare” un milione e mezzo di ebrei dall’Europa orientale

nell’arco di dieci anni, e molti di costoro sarebbero stati polacchi. Egli provò in qualche modo a edulcorare una tale resa all’antisemitismo, ma nel 1937 ammise che aveva difficoltà a trovare termini appropriati per la sua proposta:

Dapprima ho pensato a un “Esodo”, una “seconda partenza dall’Egitto”. Ma non può

essere. Noi siamo impegnati in politica, dobbiamo essere in grado di relazionarci con le

426 Palestine Post, 15 settembre 1937, p. 8 427 Jewish Social Studies, gennaio 1970, p.24 428 Jewish Daily Bulletin, 8 settembre 1933, p.1 429 Palestine Post, 29 gennaio 1936, p. 3 430 Labor Zionist Newsletter, 4 giugno 1937, pp. 1-2 431 Labor Zionist Newsletter, 20 settembre 1936, p. 10 432 Chicago Jewish Chronicle, 2 ottobre 1936, p.1

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altre nazioni e di chiedere il sostegno di altri stati. E stando così le cose, non possiamo sottostare a loro in termini offensivi, che richiamano alla mente il Faraone e le sue dieci piaghe. D’altronde, la parola Esodo evoca una terribile immagine di orrore, l’immagine di un’intera nazione che si muove disordinatamente e in preda al panico433.

Nel 1939 i revisionisti inviarono Robert Briscoe, allora membro del Fianna Fail e del parlamento

irlandese (poi famoso come Sindaco Onorario ebreo di Dublino) con una proposta al colonnello Beck:

Per conto del Nuovo Movimento Sionista…vi suggerisco di chiedere all’Inghilterra di cedere a voi il Mandato per la Palestina e renderla di fatto una colonia polacca. Allora potrete spostare tutti gli ebrei polacchi indesiderati in Palestina. Ciò porterebbe grande giovamento al vostro paese, e avreste una colonia ricca e prospera per sostenere la vostra economia434.

I polacchi non persero tempo a fare richiesta per il Mandato. Si ricorderà che Jabotinsky aveva

intenzione di invadere la Palestina nel 1939. Questa operazione iniziò a essere pianificata nel 1937, quando i polacchi acconsentirono ad addestrare l’Irgun e ad armarla per un’invasione della Palestina prevista per il 1940435. Nella primavera del 1939 i polacchi allestirono un campo di addestramento per la guerriglia per i loro clienti revisionisti a Zakopane, sui Monti Tatra436. 25 membri dell’irgun, provenienti dalla Palestina, vennero istruiti all’arte del sabotaggio, cospirazione e insurrezione da ufficiali polacchi437. Furono procurate armi per 10.000 uomini, e i revisionisti si prepararono a contrabbandare le armi in Palestina quando fosse iniziata la guerra. Avraham Stern, il primo a lasciare il campo di Zakopane, disse agli istruttori che una via per la Palestina attraverso Turchia e Italia era “oggetto di negoziati che potevano avere possibilità di successo” ma non c’è prova che gli italiani, nè certamente i turchi, fossero coinvolti438. Stern era uno dei fascisti viscerali tra i revisionisti, e pensava che se Mussolini avesse visto che loro avevano davvero intenzione di sfidare l'Inghilterra, sarebbe stato indotto a ritornare alla sua politica filosionista. Inizialmente l'invasione era stata programmata come un vero tentativo di prendere il potere, e quando Jabotinsky propose di trasformarla in un gesto simbolico mirante a creare un governo in esilio vi fu un aspro dibattito in seno al comando dell'Irgun. La discussione fu troncata dal loro arresto da parte degli inglesi proprio mentre scoppiava la guerra.

E' difficile credere che qualsiasi gruppo ebraico abbia seriamente programmato un tale piano e persuaso i polacchi a seguirlo. Tuttavia, esso aveva il vantaggio per il regime di distogliere migliaia di betarim dagli scontri contro gli antisemiti. Essi si allenavano nella boxe, nella lotta e talvolta a tirare con la pistola ma, a meno che fossero attaccati, non combatterono mai i fascisti. Secondo Shmuel Merlin, che allora era a Varsavia ed era il segretario generale della NZO:

E' assolutamente corretto affermare che solo il Bund fece una lotta organizzata contro gli antisemiti. Noi non prendevamo in considerazione il fatto di dover combattere in Polonia. Credevamo che il modo di risolvere la situazione fosse portare gli ebrei fuori dalla Polonia. Non avevamo uno spirito battagliero439.

Il fallimento dei socialisti e il tradimento dei sionisti Non si deve pensare che i lavoratori polacchi fossero tutti grandi sostenitori degli ebrei. Il PPS

era contrario all'yiddish e guardava ai fanatici chassidim con benevola compassione. Comunque, il partito aveva assimilato dei leader ebraici, come Herman Lieberman, il suo parlamentare più noto, e molti dei suoi dirigenti erano sposati con donne ebree. Nel 1931 il PPS fece una proposta temporanea al Bund: la milizia del PPS, l'Akcja Socjalistczyna, avrebbe protetto lo spezzone del Bund alla manifestazione unitaria del Primo Maggio, e l'Ordener-grupe del Bund avrebbe protetto lo spezzone del PPS. Il Bund declinò l'ottima proposta. Esso apprezzò lo spirito del gesto, ma rifiutò adducendo il

433 Vladimir Jabotinsky, Evacuation – Humanitarian Zionism, articolo 1937 434 Robert Briscoe, For the Life of Me, 1958 435 John Bowyer Bell, Terror Out of Zion, 1977 436 Daniel Levine, David Raziel: The Man and His Times, 1969 437 Jewish Spectator, estate 1980, p.33 438 Daniel Levine, David Raziel: The Man and His Times, 1969 439 Intervista dell’autore a Shmuel Merlin, 16 settembre 1980

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fatto che era compito degli ebrei badare alla propria autodifesa440. La non volontà dei leader del PPS di costituire un fronte unito con il Bund per le importantissime elezioni municipali del 1938 - 39 fu motivata non da un loro antisemitismo ma dalla "versione polacca" della storica preoccupazione dei socialdemocratici di perdere voti. Invece di provare ad acquisire i voti dei lavoratori più arretrati, essi avrebbero dovuto appellarsi all'unità dei lavoratori e contadini più avanzati per un assalto al regime. Vi fu un'incapacità di riconoscere le immense potenzialità che maturarono a partire dalla proposta del 1931, e una generale incapacità di comprendere che gli ebrei non avrebbero mai sconfitto appieno i loro nemici, e che non era possibile raggiungere il socialismo solo con il proprio partito, isolato dalla classe operaia polacca; e anche il Bund contribuì a mantenere una spaccatura nazionalista in seno alla classe operaia.

Entrambi i partiti erano riformisti nella loro essenza; benché i Colonnelli avessero subito una severa sconfitta nelle elezioni municipali, essi non ebbero fiducia nei propri mezzi e attesero passivamente che i regime crollasse sotto il proprio peso. Nell'interesse dell' "unità nazionale" annullarono le adunate del Primo Maggio 1939, quando l'unica salvezza possibile per la Polonia era sobillare le masse contro il regime attraverso la richiesta di un armamento generale della popolazione.

Ma se il Bund e il PPS fallirono "all'ultima curva", almeno si batterono contro gli antisemiti. I sionisti non lo fecero. Al contrario, si batterono per sostenere i nemici degli ebrei.

440 In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974

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21. IL SIONISMO NELLA POLONIA DELL’OLOCAUSTO

Nel momento in cui i nazisti invasero la Polonia, per gli ebrei non vi fu più speranza. Hitler

riteneva che la conquista della Polonia avrebbe fornito lebensraum (spazio vitale) ai coloni tedeschi. Alcuni polacchi, della stirpe etnicamente migliore, sarebbero stati assimilati a forza alla nazione tedesca, i restanti sarebbero stati spietatamente sfruttati come schiavi. Con queste mire sulla popolazione slava, era chiaro che non vi era più posto per gli ebrei nel Reich in espansione. I nazisti permisero, e anzi incoraggiarono con la forza, l’emigrazione ebraica dalla Germania e dall’Austria fino alla fine del 1941, ma fin dall’inizio l’emigrazione dalla Polonia avvenne col contagocce poiché il flusso dalla Grande Germania non doveva essere ostruito. All’inizio gli occupanti permisero agli ebrei americani di inviare pacchi di cibo, ma era solo perché Hitler aveva bisogno di tempo per organizzare il nuovo territorio e portare avanti la guerra.

La classe operaia non capitola

Nei giorni dell’invasione tedesca il governo polacco dichiarò Varsavia città aperta, e ordinò a tutti gli uomini abili a combattere di ritirarsi lungo un nuovo fronte sul fiume Bug. Il Comitato Centrale del Bund si chiese se fosse meglio per gli ebrei combattere fino alla fine a Varsavia piuttosto che vedere le proprie famiglie arrendersi a Hitler, ma non era sicuro che gli ebrei lo avrebbero seguito nella resistenza, né che i polacchi avrebbero tollerato la riduzione della città in rovine; così decise la ritirata con le armi al seguito. I bundisti approntarono un comitato ristretto e ordinarono a tutti gli altri membri del partito di seguire l’esercito verso est. Alexander Erlich ha spiegato la loro posizione:

Deve sembrare ingenuo, perché ora sappiamo che Stalin stava per invadere da est, ma noi pensavamo che la linea del fronte si sarebbe stabilizzata. Eravamo certi di essere più efficaci con un esercito schierato piuttosto che in un territorio occupato dai tedeschi.441

Quando il comitato del Bund si schierò presso il Bug, arrivò la notizia che l’ordine di evacuazione

era stato revocato. Mieczyslaw Niedzialdovski e Zygmunt Zaremba del Partito Socialista Polacco (PPS) avevano convinto il generale Czuma, il comandante dell’esercito, che era psicologicamente cruciale per il futuro movimento di resistenza che la capitale della Polonia non cadesse senza combattere. Il Bund incaricò due dei suoi principali leader, Victor Alter e Bernard Goldstein, di rientrare a Varsavia. La strada del ritorno era completamente bloccata, e loro decisero di andare a sud e da lì di provare a dirigersi verso Varsavia. Arrivarono fino a Lublino, e lì si divisero. Alter non ebbe successo, ma Goldstein raggiunse Varsavia il 3 ottobre. Allora la città era caduta, ma solo dopo una determinata difesa da parte di truppe dislocate nell’area circostante e di battaglioni di lavoratori organizzati dal PPS e dal Bund.

La leadership sionista si disperde

La maggior parte dei principali leader sionisti lasciarono Varsavia quando l’esercito evacuò la città ma, diversamente dai bundisti, nessuno di loro vi fece ritorno quando seppero che la capitale andava difesa. Quando i sovietici attraversarono il confine, essi o si rifugiarono in Romania o fuggirono a nord a Vilna, annessa alla Lituania dai sovietici. Tra i fuggitivi vi erano Moshe Sneh, presidente dell’Organizzazione Sionista Polacca, Menachem Begin, allora leader del Betar in Polonia, e i suoi amici Nathan Yalin-Mor e Israel Scheib (poi Israel Eldad). Sneh andò in Palestina e fu nel comando dell’Haganah dal 1941 al 1946. Begin fu casualmente arrestato in Lituania dai russi e, dopo un duro soggiorno nei campi di Stalin in Siberia, fu rilasciato quando la Germania invase l’URSS. Lasciò il paese come soldato dell’esercito polacco in esilio e arrivò in Palestina nel 1942; poi fu a capo dell’Irgun nella rivolta contro la Gran Bretagna del 1944. Nathan Yalin-Mor e Israel Scheib più avanti

441 Intervista dell’autore a Alexander Erlich, 3 ottobre 1979

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divennero due dei tre comandanti della “Banda Stern”, un gruppo che si era distaccato dall’Irgun. Dei sionisti, solo i giovani di Hashomer e He-Chalutz fecero rientrare degli attivisti nella tempesta polacca. Gli altri cercarono, e alcuni ottenero, visti per la Palestina e lasciarono il mattatoio europeo.

Essi abbandonarono il loro popolo per la Palestina? La testimonianza di Begin è chiara. Egli disse in un intervista, nel 1977:

Con un gruppo di amici raggiungemmo Lvov (Lemberg) in un disperato e vano tentativo di raggiungere Eretz Israel, ma ci andò male. A quel punto, udimmo che Vilna sarebbe stata fatta capitale di una repubblica indipendente di Lituania da parte dei Russi.442

Quando Begin fu arrestato, nel 1940, egli aveva intenzione di continuare il suo viaggio verso la

Palestina e non di ritornare in Polonia. Nel suo libro, Notti bianche, riporta di avere detto ai suoi carcerieri russi nella prigione Lukishki di Vilna che “Avevo ricevuto un lasciapassare da Kovno per me e mia moglie, e anche visti per la Palestina. Eravamo sul punto di partire, ed è solo il mio arresto che ci ha impedito di farlo”. Poche pagine più avanti aggiunge: “Stavamo per partire…ma fummo costretti a cedere i nostri posti a un amico”.443

Due dei suoi più recenti biografi, i revisionisti Lester Eckman e Gertrude Hirschler, hanno scritto che egli fu criticato dal suo movimento per la fuga, ma assicurano che pensava di tornare:

Ricevette dalla Palestina una lettera che lo denigrava per essere fuggito dalla capitale polacca quando altri ebrei erano bloccati laggiù. Come capo del Betar, diceva la lettera, sarebbe dovuto essere l’ultimo ad abbandonare la nave che affondava. Begin era tormentato da sentimenti di colpa; ci vollero strenui sforzi da parte dei suoi compagni per non fargli commettere questo atto impulsivo, che probabilmente gli sarebbe costato la vita.444

Begin non fa riferimento a ciò in White Nights, ma spiega che “non c’era alcun dubbio che sarei

stato uno dei primi a essere giustiziato se i tedeschi mi avessero catturato a Varsavia”.445 Ma in realtà non c’era alcuna persecuzione specifica verso i sionisti in generale o i revisionisti in particolare, a Varsavia o altrove. Al contrario, ancora nel 1941, dopo l’invasione dell’URSS, i tedeschi nominarono Josef Glazman, capo del Betar in Lituania, come ispettore della polizia ebraica nel ghetto di Vilna. Begin voleva andare in Palestina perché era stato colui che nel 1938 al Congresso del Betar aveva più di ogni altro invocato la sua immediata conquista. Un interessante corollario a tutto ciò emerse il 2 marzo 1982, durante un dibattito al parlamento israeliano. Begin chiese solennemente: “Quante persone ci sono in Parlamento che hanno dovuto mettere la Stella di David? Io sono una di quelle”.446

Begin scappò dai nazisti e non c’erano stelle gialle in Lituania quando era là come rifugiato.

I Consigli ebraici

Al loro ingresso a Varsavia i nazisti trovarono Adam Czerniakow, sionista e presidente dell’Associazione degli Artigiani Ebrei, a capo dei resti della comunità ebraica, e gli ordinarono di costituire uno Judenrat (Consiglio ebraico).447 A Lodz, seconda città della Polonia, Chaim Rumkowski, un altro sionista, ebbe un incarico analogo. Essi non erano rappresentanti autorizzati del movimento sionista, ed erano entrambi figure insignificanti prima della guerra. Non tutti i Consigli vennero capeggiati da sionisti; alcuni lo furono da intellettuali assimilati, altri da rabbini, e lo Judenrat di Piotrkow fu guidato da un bundista. Comunque, come membri o dirigenti di questi consigli fantoccio furono scelti più sionisti che agudisti, bundisti e comunisti messi insieme. I nazisti disprezzavano molto i religiosi chassidici dell’Aguda, e sapevano che bundisti e comunisti non avrebbero mai agito secondo

442 Jewish Press, 2 dicembre, 1977 443 Menachem Begin, White Nights, 1957 444 Lester Eckman e Gertrude Hirschler, Menachem Begin, 1979 445 Menachem Begin, White Nights, 1957 446 New York Times, 3 marzo 1982, p. 7 447 Adam Czerniakow, Diario, 1939 - 42

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i loro piani. Dal 1939 i nazisti ebbero una serie di contatti con i sionisti in Germania e anche in Austria e Cecoslovacchia, e sapevano che avrebbero trovato scarsa resistenza nei loro ranghi.

La dispersione della vecchia leadership sionista aumentò per il fatto che per alcuni mesi i nazisti permisero ai possessori di certificati di espatrio di lasciare la Polonia per la Palestina. La WZO sfruttò questa opportunità per allontanare il grosso della propria leadership locale, incluso Apolinary Hartglas, che aveva preceduto Sneh a capo dell’Organizzazione Sionista. Nel suo Diario Czerniakow raccontò come anche a lui fosse stato offerto uno dei certificati ed egli avesse sdegnosamente rifiutato di abbandonare il suo posto.448 Nel febbraio 1940 riportò come rimproverò un uomo che era venuto a porgergli i saluti prima di andare via:

Pidocchio, non dimenticherò, pidocchio, come hai preteso di comportarti da leader e ora te ne scappi via con gli altri come te, lasciando le masse in questa situazione orribile.449

Yisrael Gutman, uno degli studiosi all’Israel’s Yad Vashem Holocaust Institute, ha scritto su

questo tema.

E’ vero che alcuni leader avevano buone ragioni per temere per la loro incolumità personale in un paese caduto nelle mani dei nazisti. Nello stesso tempo c’era nella partenza di questi leader un elemento di panico, che non era controbilanciato dallo sforzo di preoccuparsi del proprio rimpiazzo e della continuazione dell’attività da parte di altri…Quelli rimasti erano dirigenti di seconda o di terza categoria, che non erano sempre in grado di districarsi in quella difficile situazione, e perdevano anche i preziosi contatti con il mondo polacco e la sua dirigenza. Tra i leader che rimasero vi fu anche chi si teneva in disparte dall’attività clandestina e provava a cancellare le tracce del proprio passato.450

Alcuni studiosi hanno rilevato che non tutti i leader dei Consigli ebraici collaborarono, ma il clima

morale al loro interno era estremamente corrotto. Bernard Goldstein nelle sue memorie, The Stars Bear Witness, descrisse il Consiglio di Varsavia nei mesi precedenti la creazione del ghetto; il consiglio, per mitigare gli arruolamenti forzati, forniva ai tedeschi battaglioni di lavoratori. Venne studiato un sistema di coinvolgimento. In teoria ognuno si prestava a rotazione, ma

Il meccanismo venne inquinato molto in fretta…gli ebrei ricchi pagavano fino a migliaia di zloty per essere esonerati dal lavoro forzato. Lo Judenrat raccoglieva grandi quantità di denaro, e mandava i poveri nei battaglioni di lavoro al posto dei ricchi.451

Senza dubbio ogni branca dell’apparato consiliare era corrotta. Essi si adoperavano attivamente

per l’educazione e il welfare, ma pochi consigli facevano qualcosa per infondere uno spirito di resistenza. Isaiah Trunk, uno dei più attenti studiosi degli Judenrat, ha espresso un chiaro giudizio in proposito.

Ho detto esplicitamente che la maggior parte dei Judenrat ebbe un approccio negativo alla questione della resistenza…Nelle regioni orientali la vicinanza geografica alle basi partigiane offriva una possibilità di salvezza, e questo certamente influenzò l’atteggiamento degli Judenrat…dove non c’era possibilità di salvezza presso i partigiani, l’approccio della maggior parte degli Judenrat verso la resistenza fu assolutamente negativo.452

Vi furono alcuni collaborazionisti totali, come Avraham Gancwajch a Varsavia. Un tempo

“onesto” sionista laburista, guidava quelli del “13”, cosiddetti perché il loro quartier generale era al numero 13 di Leszno Street. Il loro lavoro era catturare contrabbandieri, spiare lo Judenrat e in generale fornire informazioni alla Gestapo.453 A Vilna Jacob Gens, un revisionista, capo della polizia del ghetto e de facto capo del ghetto, di certo fu collaborazionista. Quando i nazisti ebbero notizia di

448 Adam Czerniakow, Diario, 1939 - 42 449 ibidem 450 Yisrael Gutman, The Genesis of the Resistance in the Warsaw Ghetto, Yad Vashem Studies 1973 451 Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949 452 Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968) 453 Emmanuel Ringelblum, Notes from the Warsaw Ghetto, 1944

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un movimento di resistenza nel ghetto, Gens attirò il suo leader, il comunista Itzik Wittenberg, presso il suo ufficio. Quindi lo fece arrestare dalla polizia lituana.454 Il sionista generale Chaim Rumkowski di Lodz gestiva il suo ghetto in una maniera singolare: “Re Chaim”, come i suoi sottoposti lo chiamavano, mise il suo ritratto sul timbro postale del ghetto. Ma non tutti erano così degradati. Czerniakow collaborò coi nazisti e oppose anche resistenza, ma durante la grande “aktion” del luglio 1942, quando i tedeschi deportarono 300.000 ebrei, si tolse la vita piuttosto che collaborare ancora. Anche Rumkowski volle andare incontro alla morte insieme al suo ghetto, quando i nazisti chiarirono che neanche la collaborazione avrebbe permesso la sopravvivenza di un tale testimone dei loro misfatti. Nella loro mente questi ebrei giustificavano ciò che facevano, perché pensavano che solo grazie a un’infame collaborazione qualche ebreo sarebbe potuto sopravvivere. Ma non andò così; il destino dei singoli ghetti, e anche dei singoli consigli, fu determinato in quasi tutti i casi o dai capricci o dalla politica regionale nazista, e non da quanto un ghetto era stato docile.

“I partiti non hanno alcun diritto di darci ordini”

Tutta la resistenza ebraica deve essere vista nel contesto della politica nazista verso i polacchi. Hitler non cercò mai un Quisling polacco; il paese doveva essere soggiogato dal terrore. Fin dall’inizio migliaia di persone furono giustiziate come rappresaglia collettiva per ogni atto di resistenza. Membri del PPS, ex ufficiali, molti preti e accademici, molti di questi probabilmente in quanto solidarizzavano con gli ebrei, furono uccisi o inviati nel campi di concentramento. Nello stesso tempo i nazisti cercarono di coinvolgere le masse polacche nella persecuzione degli ebrei attraverso ricompense materiali, ma vi furono sempre coloro che aiutavano gli ebrei. L’organizzazione più importante era il PPS, che aveva rubato diversi timbri ufficiali e produceva falsi documenti ariani, anche per alcuni membri del Bund. I revisionisti mantennero contatti con l’esercito polacco. Migliaia di polacchi nascosero gli ebrei, rischiando la morte certa se quelli fossero stati catturati.

Il vantaggio principale che la Germania aveva era che la popolazione non aveva armi, poiché i Colonnelli avevano sempre avuto cura che queste fossero fuori dalla disponibilità dei civili. Il PPS e il Bund non avevano mai formato le loro milizie, a parte qualche occasionale esercitazione di tiro, e ora dovevano pagarne lo scotto. Di fatto le uniche pistole disponibili erano quelle nascoste dall’esercito in ritirata, e queste erano custodite dall’Armia Krajova (AK), l’Esercito Patriottico, che prendeva ordini dal governo in esilio a Londra. Sotto pressione inglese gli esiliati avevano dovuto includere una piccola rappresentanza del PPS e del Bund, ma il controllo dell’AK rimaneva agli antisemiti e ai loro alleati. Essi erano restii ad armare la popolazione per paura che, dopo che i tedeschi se ne fossero andati, i lavoratori e i contadini avrebbero rivolto le armi contro i ricchi; essi svilupparono la tesi strategica che l’ora di agire sarebbe scattata solo quando i tedeschi avessero patito una sconfitta sul campo di battaglia. Insistevano che l’azione prematura non sarebbe servita a nulla, e avrebbe solo scatenato la rabbia nazista nei confronti della popolazione. Questo significava che l’aiuto agli ebrei era sempre rinviato. Il PPS, non avendo armi proprie, si sentì obbligato ad unirsi all’AK, ma non riuscì a ottenere armi sufficienti per aiutare gli ebrei in maniera autonoma ed efficace.

Gli ebrei che prima della guerra si erano opposti all’antisemitismo polacco furono i primi a resistere ai nazisti. Quelli che non avevano fatto nulla continuarono a non fare nulla. Czerniakow insistette affinchè il Bund fornisse un membro allo Judenrat di Varsavia. I bundisti sapevano fin dall’inizio che il Consiglio poteva solo essere uno strumento nelle mani dei tedeschi, ma si sentirono obbligati ad acconsentire e nominarono Shmuel Zygelboym. Zygelboym era stato il capo del partito a Lodz ed era fuggito a Varsavia nella speranza di continuare a combattere dopo che l’esercito polacco si era ritirato dalla sua città. Egli contribuì a mobilitare i resti del Bund di Varsavia a fianco del PPS.

Zygelboym aveva accettato con riluttanza la costituzione di una squadra di lavori forzati in quanto preferibile ai sequestri arbitrari da parte degli arruolatori nazisti, ma nell’ottobre 1939, quando allo Judenrat fu ordinato di organizzare un ghetto, non volle andare oltre. Egli dichiarò al Consiglio:

Sento che non vorrei mai più vivere se…il ghetto dovesse essere istituito ed io

rimanere illeso…riconosco che il presidente è obbligato a riferire ciò alla Gestapo, e so a quali conseguenze ciò può portare per me personalmente.455

454 Lester Eckman e Chaim Lazar, The Jewish Resistance, 1977 455 Bernard Johnpoll, The Politics of Futility: The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917-1943, 1967

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Gli altri membri Consiglio temevano che la posizione di Zygelboym li avrebbe screditati tra gli ebrei se essi avessero supinamente accettato l’ordine dei nazisti, e cancellarono la loro iniziale decisione di collaborare. Migliaia di ebrei giunsero davanti alla sede del Consiglio per avere più informazioni, e Zygelboym colse l’occasione per parlare. Egli disse loro di rimanere a casa e di farsi prendere dai tedeschi con la forza. I nazisti gli ordinarono di presentarsi alla polizia il giorno successivo. Il Bund capì che questa era una sentenza di morte e lo fece uscire clandestinamente dal paese; comunque, la sua azione ebbe successo poiché l’ordine di istituire un ghetto fu temporaneamente cancellato.

L’ultima coraggiosa battaglia del Bund ebbe luogo poco prima della Pasqua 1940. Un delinquente polacco aggredì un vecchio ebreo e iniziò a strappargli la barba dalla faccia. Un bundista vide il fatto e colpì il polacco. I nazisti catturarono il bundista e lo fucilarono il giorno successivo. I pogromisti polacchi iniziarono a vandalizzare i quartieri ebraici mentre i tedeschi stavano a guardare. Essi volevano che i raid continuassero per dimostrare che la popolazione polacca li appoggiava nella loro politica anti-ebraica. Gli assalti contro gli ebrei furono di gran lunga più gravi di quanto i nara avessero mai fatto nella Polonia indipendente; il Bund comprese che non aveva altra scelta se non rischiare la rabbia dei nazisti e scese in campo. Per essere sicuri che nessun morto tra i polacchi fosse usato come pretesto per ulteriori incursioni, non furono usati né coltelli né pistole; solo manici di ottone e tubi di ferro. Centinaia di ebrei, e i membri del PPS del distretto di Wola, si batterono contro i pogromisti nei due giorni successivi, fino a che la polizia polacca non pose fine alla guerriglia urbana. I nazisti non interferirono. Essi avevano raccolto fotografie per la loro propaganda e per il momento scelsero di non punire gli ebrei per la loro azione.456 Questo episodio segnò la fine della leadership del Bund nei confronti degli ebrei polacchi.

In capo a pochi mesi di occupazione tedesca i capi dei movimenti giovanili sionisti Hashomer e HeChalutz, che erano anch’essi fuggiti in Lituania, fecero rientrare in Polonia dei loro rappresentanti, ma non con l’idea di organizzare una rivolta. Essi si sentivano in dovere di condividere le sofferenze della popolazione e di mantenere un atteggiamento morale elevato. Le prime azioni militari di un gruppo sionista furono dello Swit (Alba), un piccolo gruppo di veterani revisionisti. Essi avevano legami con il Korpus Bezpieczenstwa (KB, Corpo di Sicurezza), un piccola unità polacca vagamente connessa con l’AK, e all’inizio del 1940 il KB mandò alcuni ebrei, tra cui alcuni medici, nell’area tra i fiumi Bug e San, per lavorare insieme a elementi dell’AK.457 Tuttavia, né lo Swit ne il KB avevano piani per una resistenza su vasta scala o per la fuga dai ghetti.458

Considerazioni serie su una resistenza ebraica armata iniziarono soltanto dopo l’invasione tedesca dell’URSS. Fin dall’inizio i nazisti abbandonarono ogni remora nelle loro azioni in URSS. Le Einsatzgruppen (Unità operative) iniziarono a massacrare ebrei e nell’ottobre 1941, a quattro mesi dall’invasione, più di 250.000 ebrei erano stati uccisi in esecuzioni di massa in Bielorussia e Paesi Baltici. Nel dicembre 1941 i primi resoconti sulle camere a gas in territorio polacco, a Chelmno, convinsero i movimenti giovanili, il Bund, i revisionisti e i comunisti a mettere insieme gruppi militari, ma i leader dei principali partiti della WZO o non credevano che quei massacri sarebbero avvenuti anche a Varsavia, oppure erano convinti che non ci fosse nulla da fare. Yitzhak Zuckerman, un fondatore della Organizzazione Ebraica di Combattimento (JFO), che univa le forze della WZO con il Bund e i comunisti, e poi uno dei principali storici della rivolta di Varsavia, ha detto chiaramente: “La Jewish Fighting Organization nacque senza i partiti e contro la volontà dei partiti”.459 Dopo la guerra furono pubblicati alcuni scritti postumi di Hersz (Hirsch) Berlinski, della “sinistra” di Poale Zion. Egli parlò di una conferenza nell’ottobre 1942 tra la sua organizzazione e i movimenti giovanili. La questione tra loro era se la JFO dovesse avere solo un comando militare o un comando politico-militare, e i gruppi giovanili volevano respingere il controllo dei partiti:

I compagni di Hashomer e HeChalutz parlarono in maniera chiara dei partiti politici: “I partiti non hanno alcun diritto di darci ordini. Eccetto i giovani, non fanno nulla. Interferiscono e basta.”460

456 Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949 457 Wladystaw Bartoszewski, The Bloodshed United Us, 1970 458 Reuben Ainsztein, Jewish Resistance in Nazi Occupied Europe, 1974 459 Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968)

460 Hirsch Berlinski, Pola Elster, Eliyahu Erlich. Drai, 1966

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Alla Conferenza sulla Resistenza Ebraica alla Yad Vashem Rememberance Authority, nell’aprile 1968, furono scambiate aspre parole tra quegli storici che avevano partecipato alla lotta e quelli che ancora cercavano di difendere l’approccio passivo. Yisrael Guttman sfidò uno di questi ultimi, il dottor Nathan Eck:

Lei crede che, se avessimo atteso fino alla fine e avessimo agito secondo le indicazioni dei leader di partito, la rivolta avrebbe lo stesso avuto luogo? Io credo che non ci sarebbe stata alcuna rivolta, e io sfido il dottor Eck a portare prove convincenti che i leader di partito credevano davvero che ci sarebbe stata una rivolta.461

Emmanuel Ringelbaum, il grande storico della distruzione della Varsavia ebraica, descrisse le

opinioni del suo amico Mordechai Anielewicz di Hashomer, comandante della JFO:

Il Mordechai che era maturato così rapidamente ed era asceso così rapidamente ai più importanti posti di comando dell’Organizzazione di Combattimento, ora si rammaricava profondamente che lui e i suoi compagni avessero perduto tre anni di guerra nel lavoro educativo e culturale. Non avevamo capito che stava emergendo il nuovo volto di Hitler, si lamentava Mordechai. Avremmo dovuto istruire i giovani nell’uso di proiettili veri e propri. Avremmo dovuto crescerli in uno spirito di rivolta contro il grande nemico degli ebrei, di tutta l’umanità, e di tutti i tempi.462

La discussione sulla resistenza ruotava intorno alla questione centrale di dove combattere. In

linea generale, i comunisti erano a favore di inviare quanti più giovani possibile nelle foreste come partigiani, mentre i giovani sionisti erano per restare nei ghetti. I comunisti erano sempre stati il partito più etnicamente radicato nel paese e, ora che la stessa URSS era stata attaccata, erano completamente dediti alla lotta contro Hitler. I sovietici avevano paracadutato in Polonia Pincus Kartin, un veterano della guerra civile spagnola, per organizzare gli ebrei in clandestinità. I comunisti ritenevano che i ghetti fossero indifendibili e i combattenti sarebbero stati uccisi per nulla. Nei boschi essi non solo sarebbero sopravvissuti, ma avrebbero potuto anche iniziare ad attaccare i tedeschi. I giovani sionisti sollevavano problemi reali rispetto alla ritirata nelle foreste. L’Armata Rossa era ancora molto lontana e la Gwardia Ludowa (Guardia Popolare) dei comunisti polacchi era vista con molto sospetto dalla popolazione, a causa del suo appoggio al patto Hitler-Stalin che aveva condotto direttamente alla distruzione dello stato polacco. Di conseguenza la Guardia aveva pochissime armi, e la campagna era piena di partigiani antisemiti, spesso nara, che non esitavano a uccidere gli ebrei. Comunque, c’era un eccessivo elemento settario in molte posizioni dei giovani sionisti. Mordechai Tanenbaum-Tamaroff di Bialystok fu uno dei più veementi oppositori della concezione partigiana, eppure la sua città si trovava in un’immensa foresta naturale. Egli scrisse:

Nella vendetta che vogliamo esigere l’elemento costante e decisivo è l’ebreo, il fattore nazionale…la nostra strategia è legata alla nostra condizione nazionale nel ghetto (non lasciamo gli anziani al loro macabro destino!)…e se restiamo vivi, ce ne andremo, armi in pugno, nelle foreste.463

I risultati non furono quelli sperati: Hashomer e HeChalutz avevano sperato che il loro esempio

avrebbe mobilitato i ghetti, ma essi non capirono che il morale della popolazione era spezzato dai quattro anni di umiliazioni e sofferenze. I ghetti non potevano armarsi, e dunque vedevano la rivolta solo come un accrescimento della certezza di morire. Yisrael Guttman ha ribadito a ragione:

La verità è che la popolazione ebrea nella maggior parte dei ghetti né capì né accettò la presenza e il contributo dei combattenti…Dovunque le organizzazioni combattenti erano oggetto di aspre critiche da parte della popolazione…I movimenti giovanili in nessun altro luogo di rivolta raggiunsero il livello conseguito a Varsavia.464

461Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968) 462 AA.VV., They Fought Back: The Story of the Jewish Resistance in Nazi Europe, 1968 463 Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968)

464 ibidem

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Il ghetto di Varsavia aveva due potenziali fonti di armi: la Guardia Popolare, che voleva agire ma non aveva armi, e l’Esercito Patriottico che ne aveva ma non voleva agire. Essi alla fine usarono poche armi, soprattutto pistole, e si batterono coraggiosamente per diversi giorni finchè il loro scarso arsenale non terminò. I revisionisti avevano dovuto costituire la loro “Organizzazione Nazionale Militare” separata, perché le altre correnti politiche rifiutavano di unirsi a un gruppo che era considerato fascista. Comunque, i revisionisti furono in grado di fornire a uno dei loro distaccamenti uniformi tedesche, tre mitragliatrici, otto fucili e centinaia di granate. Alcuni dei loro combattenti fuggirono attraverso tunnel e fognature, vennero accompagnati nelle foreste da alcuni simpatizzanti polacchi, furono intrappolati, fuggirono ancora, si rifugiarono di nuovo nel settore ariano di Varsavia e furono infine circondati e uccisi. Per Anielewicz la fine arrivò nel ghetto al ventesimo giorno di resistenza. Marek Edelman, allora bundista e vice-comandante della JFO, dice che si suicidò in un bunker con 80 compagni.465 Zuckerman, un altro vice-comandante, dice che Anielewicz fu ucciso dalle granate e dai gas tossici sprigionatisi all’interno del nascondiglio in cui si trovava.466

“Gli ebrei sognano di andare nelle case dei lavoratori”

Emmanuel Ringelbaum, un sionista laburista, era rientrato in Polonia dall’estero. Era in Svizzera per il Congresso Sionista nell’agosto 1939, quando la guerra scoppiò, e scelse di ritornare in Polonia attraverso i Balcani. Poi si dedicò al compito di rendicontare quegli eventi. Il valore della sua attività era riconosciuto da tutta la comunità politica, e alla fine gli fu assegnato un nascondiglio nella parte ariana di Varsavia. Morì nel 1944, quando quel luogo fu scoperto, ma non prima di aver scritto la sua opera principale, Relazioni tra polacchi ed ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Il testo è senza peli sulla lingua (“Il fascismo polacco e il suo alleato, l’antisemitismo, hanno conquistato la maggioranza della popolazione polacca”), ma tratta con attenzione tutta la Polonia, classe per classe e anche regione per regione.467

La classe media in toto ha continuato ad aderire all’ideologia dell’antisemitismo ed è entusiasta della soluzione nazista al problema ebraico in Polonia.468

Egli confermò la valutazione ante-guerra di Lestchinskij e di altri osservatori sulla fermezza dei

lavoratori nella lotta contro l’antisemitismo:

I lavoratori polacchi avevano colto ben prima della guerra gli aspetti di classe dell’antisemitismo, strumento di potere della borghesia autoctona, e durante la guerra hanno raddoppiato i loro sforzi per combattere l’antisemitismo…C’erano poche possibilità per i lavoratori di nascondere gli ebrei nelle loro case. Il sovraffollamento degli alloggi era il maggiore ostacolo all’accoglienza degli ebrei. A dispetto di ciò, molti ebrei hanno trovato rifugio negli alloggi dei lavoratori…Si deve sottolineare che in generale gli ebrei sognano di entrare nelle case dei lavoratori, perchè questo garantisce loro da ricatti e sfruttamento da parte dei loro ospiti.469

Il resoconto di Ringelblum, insieme di un testimone oculare e di uno storico esperto, mostra la

pena che gli ebrei devono aver subito prima e durante la guerra. Nonostante la caduta del Partito Socialista e del Partito Comunista, non c’è dubbio che molti lavoratori furono con gli ebrei fino alla fine, e che molti lavoratori fecero per gli ebrei più di quanto non fecero molti altri ebrei. Non è una mera ipotesi che alcune centinaia o qualche migliaio di ebrei avrebbero potuto essere aggiunti a coloro che furono effettivamente tratti in salvo, ma le rivolte nei ghetti, scarseggiando di armi, non ebbero mai una possibilità di successo, anche come gesti simbolici. Il rapporto riservato del comandante nazista sulla rivolta di Varsavia segnalò solo sedici vittime tra i tedeschi e i loro ausiliari e, benché questo dato probabilmente sia troppo basso, la rivolta non rappresentò mai una vera preoccupazione militare per i tedeschi.

465 Jewish Affairs, settembre 1975, p. 23 466 AA.VV., The Catastrophe of European Jewry, 1976 467 Emmanuel Ringelblum, Polish-Jewish Relations During the Second World War, 1943 468 ibidem 469 ibidem

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L’ascesa di Mordechai Anielewicz all’immortalità storica è senz’altro giustificata, e nessuna critica alla sua strategia deve essere considerata un tentativo di togliere lustro al suo nome. Egli rientrò volontariamente da Vilna. Si dedicò al suo popolo provato. Tuttavia, il martirio del 24enne Anielewicz non potrà mai assolvere il movimento sionista dal fallimento nel combattere l’antisemitismo prima della guerra, in Germania e in Polonia, quando si era ancora in tempo. E il suo ritorno non può farci dimenticare la condotta degli altri leader sionisti, anche nei primi mesi di occupazione, nè la rinuncia degli altri leader di partito a iniziare una lotta clandestina.

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22. COLLUSIONE TRA IL SIONISMO E IL GOVERNO POLACCO IN ESILIO

Le notizie sull’invasione tedesca dell’URSS raggiunsero Menachem Begin mentre viaggiava prigioniero su un treno diretto in Siberia. Era stato arrestato dai russi con gli altri attivisti politici polacchi non comunisti che erano fuggiti nei territori assegnati a Stalin dal patto tedesco-sovietico del 1939. Il governo polacco in esilio e i sovietici erano stati acerrimi nemici fino all’invasione tedesca dell’URSS, ma anche dopo vi erano ancora posizione inconciliabili tra loro, soprattutto a proposito dei territori orientali. Ciononostante Stalin annunciò un’amnistia per tutti i prigionieri politici polacchi, e il primo ministro polacco Vladyslaw Sikorski ordinò a tutti i maschi di unirsi all’esercito polacco in esilio.

“Quelli di fede mosaica facciano un passo avanti”

Negli ultimi mesi prima della guerra i revisionisti, tra i quali spiccava la figura di Begin (allora a capo del Betar polacco), avevano negoziato con il capitano Runge, capo della Security Police a Varsavia, per creare unità armate ebraiche sotto il comando di ufficiali polacchi470. Essi speravano che, dopo che i polacchi e gli ebrei avessero sconfitto le armate tedesche, gli ebrei senza gli ufficiali polacchi al comando sarebbero andati a conquistare la Palestina471. Nel settembre-ottobre 1941 nella regione sovietica del Volga, mentre i nazisti stavano avanzando verso Mosca, la proposta fu riformulata da Miron Sheskin, comandante in capo del Brith HaChayal, organizzazione di veterani revisionisti, e da Mark Kahan, editore del quotidiano yiddish di Varsavia Der Moment. L’esercito polacco in esilio era dominato da antisemiti, che volevano tenere gli ebrei al di fuori dei loro ranghi, e questa proposta di segregazione degli ebrei li attraeva. Tuttavia al vertice della catena di comando il generale Wladyslaw Anders comprese che la proposta non sarebbe stata accettabile né per i sovietici né per gli inglesi. Ciononostante alcuni degli ufficiali della base sita nell’oblast di Samara erano vecchi collaboratori dei revisionisti e credettero di fare un favore agli ebrei separandoli all’interno delle loro unità. Il colonnello Jan Galadyk, ex comandante della scuola allievi ufficiali prima della guerra, si offrì volontario per guidare tale battaglione. Dopo la guerra Kahan descrisse l’unità come un modello per l’agognata legione ebraica e ne fece un ritratto positivo, come esempio di successo nelle relazioni tra ebrei e polacchi. Ma Yisrael Gutman ha studiato la storia dell’armata di Anders e ci dice che Kahan non è attendibile. La verità è riportata dal rabbino Leon Rozen-Szeczakacz, agudista ma sostenitore dell’idea della legione, nel suo Cry in the Wilderness.

Il 7 ottobre 1941 a Tozkoje tutti gli ebrei furono riuniti in uno spiazzo e un ufficiale annunciò: “Tutti quelli di fede mosaica facciano un passo avanti”. La maggior parte di coloro che lo fecero vennero esclusi dall’esercito. Quei pochi, compreso Rozen-Szeczakacz, che non furono sommariamente allontanati furono completamente separati dal resto dell’armata. Le violenze iniziarono immediatamente. Alla maggior parte degli ebrei furono forniti stivali troppo piccoli, il che significava provare a proteggersi i piedi con gli stracci, nell’inverno sovietico a meno quaranta gradi. Furono trasferiti in un altro luogo e lasciati all’aperto per giorni, e il comando si “dimenticò” di fornire i pasti472. Quando Rozen Szeczakacz, che il suo comando aveva fatto nascondere in una chiesa, arrivò alla nuova località di stanza del battaglione a Koltubanka, il suo primo compito fu di seppellire il gran numero di corpi473. Alla fine, dopo un gran numero di sofferenze e morti, le cose migliorarono quando la notizia arrivò all’ambasciatore polacco e ai leader bundisti in esilio, e il battaglione divenne effettivamente una piccola unità militare. Tuttavia il piano di una più numerosa legione ebraica era svanito.

Alla fine l’armata di Anders lasciò l’URSS per l’Iran, dove si unì all’esercito inglese; gli antisemiti provarono ad abbandonare il maggior numero di ebrei, e giovani sani furono esonerati dal

470 Jewish Press, 13 maggio 1977, p.4 471 Yisrael Gutman, Jews in General Anders' Army in the Soviet Union, 1977 472 Leon Rozen-Szeczakacz, Cry in the Wilderness, 1966 473 Yisrael Gutman, Jews in General Anders' Army in the Soviet Union, 1977

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servizio. Circa 114.000 persone furono trasferite a marzo-aprile e agosto-settembre 1942. Di queste, circa 6.000 erano ebrei, il 5% dei soldati e il 7% dei civili. Per fare un confronto, nell’estate del 1941, prima che la linea antisemita fosse imposta, gli ebrei erano circa il 40% del totale degli arruolati nell’esercito. Nonostante la discriminazione verso i soldati ebrei, i revisionisti Kahan, Sheskin e Begin riuscirono a cavarsela grazie alle loro conoscenze nelle gerarchie militari474.

Il sionismo accetta l’antisemitismo nell’esercito polacco

Una delle ironie della storia, in questo caso della Seconda guerra mondiale, è che l’esercito polacco in esilio, con il suo largo stuolo di antisemiti, alla fine arrivò in Palestina. Era ancora di stanza laggiù il 28 giugno 1943, quando Eliazer Liebenstein, che allora editava il giornale dell’Haganah Eshnab, pubblicò un ordine del giorno segreto che il generale Anders aveva emesso nel novembre 1941. Egli aveva detto ai suoi ufficiali che “comprendeva pienamente” la loro ostilità verso gli ebrei; essi dovevano capire che gli alleati erano sotto la pressione ebraica ma li rassicurava che al ritorno al loro paese “ci occuperemo della questione ebraica in accordo con l’idea di indipendenza della nostra patria”. Ciò va interpretato come l’intenzione alla fine della guerra di espellere tutti gli ebrei che fossero scampati agli artigli di Hitler. La presenza dell’esercito polacco in Palestina rese impossibile per la WZO ignorare lo scandalo e alla fine il 19 settembre una “Rappresentanza degli ebrei polacchi” ebbe un confronto con Anders alla sede del consolato polacco a Tel Aviv. Il generale dichiarò che l’intera storia era una montatura. Poi parlò della diserzione degli ebrei dal suo esercito durante la permanenza in Palestina. Disse che non gli importava che 3.000 dei 4.000 ebrei arruolati ai suoi ordini avessero disertato, che non li avrebbe fatti ricercare, e i sionisti colsero l’allusione475. Poco dopo l’incontro il console inviò al ministro degli esteri polacco a Londra un memorandum su un incontro tra il suo vicario e Yitzhak Gruenbaum, allora all’esecutivo dell’Agenzia Ebraica. Il console vicario aveva ribadito la tesi della montatura a proposito dell’ordine di Anders e chiese ai sionisti aiuto per risolvere la questione. Dopo aver discusso con gli altri membri del suo esecutivo, Gruenbaum fu d’accordo nell’avallare quella tesi ingannevole dei polacchi476. Più tardi, il 13 dicembre 1944 a Londra, il dottor Ignacy Schwartzbart, il rappresentante sionista nel Consiglio Nazionale Polacco, e Aryeh Tartakower del World Jewish Congress incontrarono Stanislaw Mikolajczyk, un politico del Partito dei Contadini che era succeduto a Sikorski come Primo ministro e, ancora una volta, i sionisti accettarono di mentire riguardo all’ordine. Schwartzbart disse al polacco che:

ci sono testimoni, e tra loro dei ministri, che si ribellarono contro quell’ordine quando fu emesso. Sappiamo che uno dei telegrammi si riferisce all’ordine come a un falso. Non ho alcuna obiezione a utilizzare questa versione per le dichiarazioni esterne, ma in privato nessuno può pretendere che io creda che fosse un falso477.

Anche in Inghilterra ai soldati ebrei veniva detto dai loro comandanti che avrebbero preso dei

colpi nella schiena quando andavano in battaglia, e gli ufficiali polacchi parlavano continuamente di deportazione degli ebrei alla fine della guerra. Qualcuno disse senza mezzi termini che quegli ebrei che fossero sopravvissuti a Hitler sarebbero stati massacrati. Nel gennaio 1944, alla fine, alcuni ebrei dissero basta: sessantotto disertarono e minacciarono di entrare in sciopero della fame, o anche di suicidarsi, piuttosto che stare nell’esercito polacco, mentre non avevano obiezioni a combattere in quello inglese. A febbraio altri 134 ebrei disertarono, e a marzo furono ancora di più. La prima reazione dei polacchi fu di lasciarli andare, ma poi annunciarono che 31 disertori sarebbero andati alla corte marziale e che non sarebbero stati tollerati altri casi. Alcuni membri del Partito Laburista sposarono la loro causa e Tom Driberg fece un’interrogazione alla Camera dei Comuni. Non appena ebbe fatto ciò Schwarzbart gli telefonò, pregandolo di lasciar perdere la cosa onde non attirare ulteriore attenzione478. Driberg ignorò questo suggerimento; sia lui che Michael Foot denunciarono le intenzioni dei polacchi in un meeting di massa il 14 maggio, e ci furono manifestazioni davanti a Downing Street. Il governo in esilio fu costretto a fare marcia indietro. Anni dopo Driberg parlò della

474 Leon Rozen-Szeczakacz, Cry in the Wilderness, 1966 475 Yisrael Gutman, Jews in General Anders' Army in the Soviet Union, 1977 476 ibidem 477 ibidem 478 Bernard Wasserstein, Britain and the Jews of Europe 1939-45, 1979

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vicenda nel suo libro, Ruling Passions. Era ancora stupito del comportamento della leadership ebrea inglese:

La cosa bizzarra fu che avevamo sollevato questa questione alla Camera dei Comuni contro il parere (una preghiera quasi supplichevole) dei protavoce ufficiali della comunità ebraica inglese. Essi pensavano che qualunque pubblicità sulla vicenda avrebbe generato più antisemitismo, forse diretto contro loro stessi479.

L’interpretazione di Driberg delle motivazioni dei leader ebrei inglesi è indubbiamente corretta.

Alla fine essi presero posizione, ma solo dopo che i membri laburisti avevano motivato l’opinione pubblica e potevano essere assolutamente sicuri che non ci fosse pericolo a farlo.

In precedenza Schwarzbart aveva partecipato a un altro episodio piuttosto vergognoso della vita politica polacca. Nel 1942 madame Zofia Zaleska, del partito degli endek, aveva proposto alla Dieta polacca in esilio che venisse istituita una patria ebraica al di fuori della Polonia, che si chiedesse agli ebrei di emigrare. Invece che opporsi, Schwarzbart provò a emendare la risoluzione Zaleska nel senso di nominare specificamente la Palestina come patria. Il suo suggerimento fu respinto e la mozione originale fu accolta dalla Dieta. Solo Shmuel Zygelboym del Bund e un rappresentante del PPS votarono contro. Schwarzbart si astenne480.

Il governo polacco in esilio dipendeva dalla Gran Bretagna e, dopo l’arrivo dell’esercito polacco in Palestina, i sionisti avrebbero potuto fare ulteriore pressione sugli inglesi. Anders aveva ragione a dire ai suoi ufficiali che gli ebrei avrebbero sempre potuto far pressione sugli inglesi sulla questione dell’antisemitismo fra le forze armate polacche, e il successo dell’iniziativa Driberg-Foot fu un esempio di ciò che si poteva fare. Invece la WZO, sia in Palestina che a Londra, si mise d’accordo coi polacchi per nascondere l’ordine del giorno di Anders e intervenne per convincere i deputati laburisti a mettere fine alla loro protesta. Allo stesso modo i revisionisti trattarono con l’esercito polacco quando questo era di stanza in URSS, per favorire la Legione Ebraica e la conquista della Palestina; nel 1943 un loro buon amico, il colonnello Caladyk, contribuì all’addestramento dell’Irgun in Palestina481.

Coloro che in Polonia prima della guerra avevano cercato la protezione degli antisemiti, poi non combatterono mai l’antisemitismo, neanche in Inghilterra e in Palestina dove il vantaggio era dalla loro parte.

479 ibidem 480 Bernard Johnpoll, The Politics of Futility: The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917-1943, 1967 481 Leon Rozen-Szeczakacz, Cry in the Wilderness (appendice), 1966

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23. L’IMMIGRAZIONE ILLEGALE

Non si sa esattamente quanti immigrati illegali arrivarono clandestinamente in Palestina prima e durante la Seconda guerra mondiale. Yehuda Bauer stima che furono circa 15.000 tra il 1936 e il 1939482. Egli divide questo numero in 5.300 portati dalle navi dei revisionisti, 5.000 dai sionisti laburisti e 5.200 da imbarcazioni private483. Gli inglesi conteggiarono 20.180 arrivi prima della fine della guerra. William Perl, il principale organizzatore revisionista delle spedizioni, raddoppia la stima a più di 40.000484. Yehuda Slutzky parla di 52.000 arrivi in Palestina durante la guerra, ma include sia i legali che gli illegali485.

La prima nave clandestina, il Velos, organizzata dai kibbutzim palestinesi, arrivò nel luglio 1934. Essa ritentò a settembre, ma fu intercettata e sia la WZO che i sionisti laburisti si ostacolarono ulteriori tentativi; nel 1935 gli inglesi avrebbero ammesso 55.000 immigrati regolari perciò non vedevano la ragione di creare attriti con Londra per aggiungerne pochi altri. Il primo tentativo revisionista fu la Union, che fu intercettata al momento dello sbarco nell'agosto 1934. Questi due fallimenti scoraggiarono ulteriori spedizioni fino a un nuovo tentativo revisionista nel 1937.

Dopo l'Olocausto, l'immigrazione illegale post-1937 venne rappresentata come parte del contributo dei sionisti al salvataggio degli ebrei europei da Hitler. Tuttavia all'epoca nè i revisionisti nè la WZO intendevano salvare gli ebrei di per sè; essi puntavano a introdurre in Palestina uno specifico numero di coloni selezionati.

“La priorità andò ai membri del nostro Betar” I revisionisti ripresero l'immigrazione illegale durante la rivolta araba. Gli immigrati erano per lo

più dei betarim portati a rinforzo dell'Irgun, che era impegnato in una campagna terroristica contro gli arabi486. I primi tre gruppi, per un totale di 204 passeggeri, lasciarono Vienna nel 1937, prima dell'Anschluss nazista. A parte quattro austriaci, erano tutti dell'Europa orientale. Tutti avevano ricevuto un addestramento militare al campo revisionista di Kottingbrunn, allo scopo di essere pronti “per la battaglia finale con gli occupanti inglesi”487. Il loro obiettivo fu sempre rispondere alle necessità militari dei revisionisti palestinesi. Die Aktion, il gruppo viennese che organizzava la "immigrazione libera", approvò una risoluzione per la quale essi avrebbero trasportato solo giovani: "Per l'imminente battaglia di liberazione della patria ebraica dal giogo coloniale inglese, la priorità deve essere data agli ebrei in grado e disposti a usare le armi"488.

Negli anni successivi in alcuni casi i revisionisti trasportarono anche altri oltre ai betarim, ma costoro furono inclusi solamente per la contingenza della situazione. Il denaro per la prima spedizione dopo l’Anschluss proveniva dalla comunità ebraica di Vienna, che era dominata da una coalizione di sionisti di destra; Die Aktion fu talvolta indotta da ragioni politiche ed economiche a inserire membri di altri gruppi tra i passeggeri, ma la preferenza andava sempre ai betarim. William Perl parlò della prima nave “post-anschluss” nel suo libro, The Four-Front War, e ammise candidamente che:

La priorità andò ai membri del nostro Betar…poi, a coloro che si pensava potessero sostenere la fatica del viaggio, adattandosi alla vita in Palestina. Un giorno questi giovani sarebbero stati pronti e in grado a prendere le armi insieme al Betar489.

482 Yehuda Bauer, From Diplomacy to Resistance, 1970 483 AA. VV., Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971 484 William Perl, The Four-Front War: From the Holocaust to the Promised Land, 1979 485 In AA.VV., Jewish Resistance during the Holocaust, 1968 486 Daniel Levine, David Raziel: The Man and His Times, 1969 487 William Perl, The Four-Front War: From the Holocaust to the Promised Land, 1979 488 ibidem 489 ibidem

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A proposito delle vicende dell’estate 1939 Perl scrisse inoltre che “Jabotinsky stesso…ora ha assunto un ruolo più attivo nell’organizzazione dell’evacuazione degli ebrei dalla Polonia, in particolare del maggior numero possibile di membri del Betar”490. Yitshaq Ben-Ami, che dalla Palestina si era recato a Vienna per gestire le operazioni e poi andò negli USA per raccogliere fondi per le imbarcazioni, recentemente ha parlato di “grandi discussioni e tensione” tra lui e Jabotinsky su come approcciare il pubblico americano. Ben-Ami sapeva che ci sarebbe stata una guerra in Europa e voleva organizzare una vera e propria operazione di soccorso, mentre Jabotinsky vedeva la raccolta fondi semplicemente come un finanziamento al partito491. Anche nel novembre 1939, due mesi dopo l’inizio della guerra, Perl era ben lontano dall’idea di salvare gli ebrei e ragionava: “Se pagavano, i betarim avevano la precedenza”492. Egli menziona un caso in cui furono trasportati “alcuni” sionisti socialisti e lui e altri revisionisti elencano alcuni membri del club sportivo di destra Maccabi e alcuni sionisti generali come parte dei convogli. Vi erano solo due modi in cui dei non sionisti potevano salire a bordo di navi revisioniste: o su insistenza dei nazisti (o di altri governi dell’area danubiana), o perchè, come nel caso di un gruppo di agudisti di Budapest, la carenza di denaro obbligava Perl a includere dei passeggeri paganti non sionisti per garantire il viaggio ai contingenti del Betar. Anche in questi casi si vedeva comunque che la preoccupazione centrale era per la Palestina. Benchè gli agusti fossero ostili al sionismo, Perl riteneva che “per la difesa del nuovo stato erano da prendere in considerazione. Per loro la Palestina non era solo un rifugio temporaneo”493. Nel 1947 Otto Seidmann, ex leader del Betar viennese, affermò che “dovevamo salvare le vite degli ebrei – sia comunisti che capitalisti, sia membri di Hashomer Hatzair che sionisti generali”494, ma ciò semplicemente è falso. I betarim erano sempre preferiti agli altri sionisti, di destra o di sinistra, e i sionisti erano sempre preferiti ai non sionisti.

“Chi è più utile nel processo di costruzione della patria ebraica”

La Federazione Sionista Tedesca si oppose all’immigrazione illegale fino alla Notte dei Cristalli. Erano dei legalitari, che non avevano fatto nulla per opporsi al nazismo e non avevano intenzione di osteggiare gli inglesi. Quando la WZO rientrò nel campo dell’immigrazione illegale, lo fece con grande titubanza, e anche dopo la Notte dei Cristalli Ben-Gurion ammoniva il Comitato Centrale della ZVD: “Non potremo mai combattere sia gli arabi che gli inglesi”. Weizmann, dopo anni di collaborazione con gli inglesi, era istintivamente contro qualunque azione illegale. All’inizio la WZO non poteva accettare l’idea che l’Inghilterra, ora seriamente impegnata a preparare la guerra, potesse temere di inimicarsi gli arabi e i musulmani con un ulteriore appoggio all’immigrazione sionista. Ciò che alla fine spinse i sionisti laburisti ad agire fu il prestigio che i revisionisti stavano guadagnando con i loro trasporti di ebrei europei in Palestina. Ma anche allora mantennero invariato il loro approccio molto selettivo. Nel 1940 il Comitato di Emergenza per le questioni sioniste, la voce ufficiale della WZO in America durante la Seconda guerra mondiale, pubblicò un pamphlet, Revisionism: A Destructive Force, che esprimeva chiaramente il loro concetto di selettività:

E’ del tutto vero che la Palestina dovrebbe essere un rifugio per tutti gli ebrei senza patria. C’è un ebreo o un sionista che si augurano il contrario? Ma siamo di fronte alla tragica evidenza dei fatti. Solo alcuni tra coloro che oggi cercano di entrare in Palestina potranno essere accolti. La selezione è inevitabile. La scelta deve essere casuale, dipendente soltanto da chi arriva prima, o devono essere dei motivi precisi a determinare le modalità dell’immigrazione? Noi sappiamo che la preferenza per l’emigrazione dalla Germania va data ai giovani. La ragione di questa preferenza è il brutale disprezzo per gli anziani o deriva dal difficile ma sincero tentativo di salvare chi è più utile nel processo di costruzione della patria ebraica? Quando la forza degli eventi impone agli uomini il terribile onere di assicurare la salvezza, la questione non si risolve con la caotica apertura delle porte a chiunque voglia entrare. Anche quella è una scelta – una scelta contraria al nostro presente e al nostro futuro495.

490 ibidem 491 Intevista dell’autore a Yitshaq Ben-Ami, 16 dicembre 1980 492 William Perl, The Four-Front War: From the Holocaust to the Promised Land, 1979 493 ibidem 494 Tagar, 1 gennaio 1947, p. 7 495 Revisionism: A Destructive Force, opuscolo, 1940, p. 24

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Il processo di selezione per le navi organizzate dalla WZO fu poi spiegato da Aaron Zwergbaum

nella sua descrizione di una spedizione dalla Cecoslovacchia occupata dai nazisti.

Le autorità sioniste trattavano questa Aliya come un’immigrazione regolare; era altamente selettiva, e richiedeva (almeno per i giovani) l’Hashkara (addestramento agricolo), una certa conoscenza dell’ebraico, l’affiliazione a un organismo sionista, buona salute, e così via. Vi era un limite di età piuttosto basso, e il pagamento era fissato in base al principio che i benestanti non dovessero pagare solo per sé ma anche per chi non aveva i mezzi496.

Anche qui, come per i revisionisti, vi furono eccezioni alla regola. Alcuni veterani sionisti furono

ricompensati per i loro servizi con un posto sulle imbarcazioni, e così accadde con i parenti di alcuni o un ricco ebreo. E naturalmente, per quelli imposti dai nazisti e da altri governi. Non avendo la stessa mentalità militare dei loro rivali revisionisti, i giovanissimi erano meno ben visti; altri figli sarebbero nati direttamente in Palestina, andando a incrementare la percentuale della popolazione ebraica. Ma, per esempio, un 45enne non sionista, accordatore di pianoforti, senza la possibilità di pagare per altri, e senza parenti sionisti, non sarebbe mai stato preso in considerazione per un viaggio.

“Essi coopereranno in questioni per noi di vitale importanza”

I revisionisti erano più impegnati nell'organizzazione dell'immigrazione illegale perchè non si curavano di ciò che Londra pensava. Essi erano arrivati a capire che se avessero voluto realizzare lo stato ebraico avrebbero dovuto combattere contro l'Inghilterra; la WZO, invece, ancora si aspettava di ottenere uno stato ebraico con l'approvazione degli inglesi attraverso una nuova conferenza di Versailles alla fine della Seconda guerra mondiale. Essi ritenevano che l'Inghilterra li avrebbe ricompensati solo se avessero assecondato i suoi piani durante la guerra, e Londra evidentemente non voleva altri rifugiati in Palestina. Dunque nel novembre 1940, quando la Marina inglese provò a deportare 3.000 immigrati illegali alle Mauritius, nell'Oceano Indiano, Weizmann provò a convincere l'Esecutivo Sionista che "non si deve avere nulla a che fare con questa attività, solo per il capriccio di avere altre 3.000 persone in più in Palestina, che un domani potrebbero diventare un grave peso per noi"497. Affermò anche di essere preoccupato per il coinvolgimento della Gestapo nei viaggi498. Ovviamente le navi non potevano lasciare il territorio controllato dai tedeschi senza il loro permesso, ma è improbabile che Weizmann credesse all'accusa inglese che i nazisti mettessero delle spie a bordo delle navi. Comunque, l'argomentazione di Weizmann era coerente con la sua strategia volta a ottenere l'appoggio inglese per il sionismo. Egli sapeva che un'operazione illegale di vasta scala avrebbe compromesso i suoi legami con gli inglesi e, in particolare, avrebbe reso impossibile ottenere l'assenso di Londra per una legione ebraica entro l'esercito inglese.

Gli inglesi, che avevano imparato dall'esperienza di un lavoro di decenni coi sionisti, decisero di usare la loro ambizione per uno stato ebraico per fermare l'immigrazione illegale. Essi sapevano che la WZO sperava di arrivare alla conferenza di pace dopo la guerra avendo conseguito dei risultati, così l'intelligence inglese escogitò un piano ingegnoso. Il Mossad499, l'organizzazione che era dietro l'immigrazione per la WZO, possedeva una nave, il Darien II. Nel 1940, era stato stabilito che l'imbarcazione fosse inviata lungo il Danubio per raccogliere alcuni profughi bloccati in Jugoslavia. Gli inglesi proposero invece che la nave fosse caricata con rottami di ferro ed esplosivi. Le navi di rifugiati ebrei erano divenuti parte della vita del Danubio, e nessuno avrebbe sospettato del Darien. Quando fosse giunta in una strettoia del fiume, sarebbe saltata in aria, con il conseguente blocco delle forniture verso il Reich dell'olio e del grano romeni. Corollario di ciò era che le navi dei profughi non avrebbero più potuto navigare il Danubio, e i nazisti, che avevano cooperato con il Mossad nell'allestire dei campi di addestramento sionisti, si sarebbero infuriati con loro per l'attentato. Nonostante la feroce vendetta che i nazisti avrebbero messo in atto, la WZO decise di accettare che il

496 In AA.VV., The Jews of Czechoslovakia: historical studies and surveys, 1968 497 Bernard Wasserstein, Britain and the Jews of Europe 1939 – 1945, 1979 498 ibidem 499 Mossad LeAliyah Bet (Istituto per l’immigrazione B, ovvero quella illegale). Fu creato come branca dell’Haganah nel

1938 per assistere l’immigrazione illegale per conto della WZO. Da non confondere con il servizio segreto israeliano (Ha-

Mossad le-Modi'in ule-Tafkidim Meyuchadim), fondato nel 1949.

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piano venisse attuato. Tuttavia vi fu un intoppo. Alcuni membri del Mossad si rifiutarono di collaborare. La nave era registrata a nome di uno di loro, un americano, ed egli si rifiutò di cedere la proprietà della nave agli inglesi. David HaCohen, membro dell'esecutivo dell'Agenzia Ebraica, fu inviato a Istanbul per convincere il gruppo a collaborare. Ruth Kluger, che era presente per conto del Mossad, riportò il discorso di HaCohen nelle sue memorie, The Last Escape:

"Sono latore di un ordine. Da Shertok in persona (il segretario politico dell'Agenzia Ebraica, n.d.a.)...Shertok non avrebbe dedicato al Darien così tanto tempo e impegno se non pensasse che la cosa rientra nel suo ambito di lavoro. Egli ritiene, tutti noi riteniamo, che il piano proposto per il Darien senza dubbio porterà presto alla fine della guerra. E quanto prima la guerra finisce, tante più vite saranno salvate. Incluse vite ebraiche. Inoltre - e su questo punto non posso soffermarmi abbastanza - se noi cooperiamo con l'intelligence inglese in questo caso, che per loro è di importanza vitale, noi abbiamo ogni ragione di credere (ripetè le parole lentamente: "ogni ragione di credere") che essi coopereranno con noi in casi che sono per noi di vitale importanza. Arazi ha parlato di una brigata ebraica nell'esercito inglese...Ci sono molte altre cose che non posso rivelare in questo momento. Ma io posso dire questo, Zameret, che la questione del Darien potrà pesare sul nostro futuro dopo la guerra. Se noi ebrei potremo o no avere uno stato è nella parola di Dio. Ma di certo è nelle mani degli inglesi. Se noi ci rimangiamo le promesse nei loro confronti e usiamo la nave in diretta contrapposizione alla legge inglese, se vedono che l'uomo che potrebbe essere il nostro primo ministro non ha il controllo suoi suoi cittadini in una questione così importante"...HaCohen sciorinò la frase come un cappio intorno al nostro collo.500

Gli agenti del Mossad non vollero collaborare, e la WZO usò il Darien per un altro viaggio di

soccorso a propri membri. Tuttavia, quel viaggio fu l'ultima spedizione illegale coronata da successo durante la guerra. William Perl è fortemente convinto che la proposta sul Darien era pensata per portare la WZO in una situazione per cui il traffico di rifugiati sarebbe stato interrotto dai nazisti501. Di certo HaCohen non avrebbe potuto chiarire meglio la questione: "la questione del Darien potrà pesare sul nostro futuro dopo la guerra". L'intelligence inglese aveva colto una semplice verità, ovvero che la WZO avrebbe messo in discussione le sue operazioni di salvataggio se ciò avesse significato un importante passo avanti verso la sua massima aspirazione (lo stato ebraico).

I viaggi delle navi di immigrati illegali terminarono il 24 febbraio 1942 quando il barcone Struma, carico di 767 ebrei, fu riportato indietro nel Mar Nero dai turchi, su pressione inglese, e affondato, e un solo passeggero sopravvisse. Dalia Ofer, una studiosa israeliana, afferma: “Non vi era ancora la consapevolezza di ciò che accadeva nell'Europa occupata dai nazisti, e sulle prime non vi furono tentativi di riorganizzare le spedizioni"502. I tentativi di salvataggio non ripresero prima del 1943, quando l'Olocausto era già nel pieno della sua furia.

Cane contro cane, ma tutti uniti contro il lupo

Finchè l'America fu neutrale, sarebbe stato possibile raccogliere larghe somme tra gli ebrei americani per il soccorso e il sostegno ai loro fratelli nell'Europa occupata, ma una tale raccolta fondi poteva essere fatta su una base rigorosamente aperta e umanitaria. Invece la WZO, attraverso il suo Comitato di Emergenza per le questioni sioniste e altri organismi, attaccò il coinvolgimento dei revisionisti nell'immigrazione illegale. Essi criticavano i loro rivali e le loro tendenze fasciste e li accusavano di non fare selezione tra chi veniva ammesso a bordo delle navi. Ma in realtà i revisionisti nascondevano i criteri politici e anche militari in base ai quali selezionavano i passeggeri, perciò i dirigenti della WZO furono tratti in inganno. Il pamphlet del Comitato di Emergenza del 1940 accusava i revisionisti di un "incorreggibile amore per le gesta drammatiche":

500 Ruth Kluger – Peggy Mann, The Last Escape, 1973 501 William Perl, The Four-Front War: From the Holocaust to the Promised Land, 1979 502 In AA.VV., Rescue Attempts during the Holocaust, 1974

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Tra le altre cose, per i revisionisti è un punto di orgoglio il fatto che i loro immigrati non siano "selezionati". Essi accolgono tutti, il vecchio, il debole, chi è psicologicamente inadatto a essere un pioniere, mentre un Aliyah responsabile richiede una selezione503.

Ma con che faccia la WZO poteva denunciare qualcuno perchè provava a salvare vecchi, malati

o individui inadatti a essere pionieri? Se l'apparato della WZO in America avesse proposto un'attività unitaria coi revisionisti per delle sincere operazioni di soccorso, i revisionisti avrebbero dovuto essere all'altezza della loro propaganda o rischiare di essere smascherati. Ma la WZO non era interessata a compiere soccorsi umanitari. I suoi leader facevano sempre una rigorosa selezione sulla base degli interessi del sionismo.

503 Revisionism: A Destructive Force, opuscolo, 1940, p. 24

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24. IL FALLIMENTO DELLE OPERAZIONI DI SOCCORSO

L'aiuto agli ebrei europei durante la Seconda guerra mondiale può essere compreso solo nel

contesto degli scopi complessivi degli Alleati nella guerra. All'epoca la preoccupazione principale di Gran Bretagna e Francia, e poi degli Stati Uniti, era la conservazione dei propri imperi e del sistema capitalistico. L'Unione Sovietica non aveva queste mire, se si eccettua il fatto che le sue truppe si erano spinte nell'Europa Centrale. Londra e Parigi entrarono in guerra sulla difensiva, temendo sia la vittoria che la sconfitta: la Prima guerra mondiale aveva portato al collasso di quattro imperi e all'ascesa del comunismo.

L'atteggiamento del governo britannico verso il soccorso agli ebrei oppressi dalla furia nazista fu attentamente descritto da Harry Hopkins, intimo di Roosevelt. Egli parlò di un incontro il 27 marzo 1943 tra il Presidente, Anthony Eden e altri, nel quale era stata sollevata la questione della salvezza. almeno, degli ebrei di Bulgaria. Eden disse:

Dovremmo muoverci molto attentamente sul fatto di prendere tutti gli ebrei di un paese come la Bulgaria. Se lo facciamo, allora gli ebrei del mondo vorranno farci proposte simili per Polonia e Germania. Hitler potrebbe accettare una tale offerta, e semplicemente non ci sono abbastanza navi e mezzi di trasporto nel mondo per trasportarli.504

La prima preoccupazione degli inglesi era che salvare gli ebrei avrebbe creato problemi con gli

arabi, che temevano che l'immigrazione ebraica in Palestina avrebbe portato a uno stato ebraico dopo la guerra. Naturalmente, il premuroso riguardo per la sensibilità degli arabi a questo proposito era basato solo su un calcolo imperialistico; secondo Churchill, gli arabi erano nulla più che "un popolo arretrato, che non mangia altro che sterco di cammello".505 Gli inglesi capivano che anche i sionisti vedevano la guerra e il salvataggio attraverso il prisma palestinese. I sionisti sapevano che gli arabi si sarebbero opposti ai loro padroni inglesi, e speravano di ottenere il favore degli inglesi mostrandosi leali nei loro confronti. Il loro principale obiettivo in tempo di guerra fu la creazione di una Legione ebraica, con la quale speravano di istituire una presenza militare che avrebbe indotto la Gran Bretagna a garantire loro la statualità dopo la guerra come ricompensa. Essi pensavano innanzitutto a come volgere la guerra a proprio vantaggio in Palestina. Yoav Gelber del Yad Vashem Institute dà bene conto di questa posizione tra i sionisti laburisti nel settembre 1939.

La maggior parte dei leader tendevano a vedere la Palestina e i suoi problemi come

pietra di paragone del loro atteggiamento verso la guerra. Essi erano inclini a trascurare la linea del fronte se non era connessa alla Palestina, agli ebrei della diaspora.506

Hashomer Hatzair aveva la stessa posizione, e ostacolava ogni arruolamento che comportasse

l'uscita dalla Palestina. Come uno dei suoi redattori, Richard Weintraub, scrisse il 28 settembre 1939: "Sarebbe politicamente inopportuno voler rivivere una versione riciclata delle "missioni" ebraiche nel mondo e fare sacrifici per la sicurezza altrui".507

Durante il 1940 e 1941 l'Esecutivo dell'Agenzia Ebraica raramente discusse degli ebrei dell'Europa occupata e, a parte i timidi sforzi per l'immigrazione clandestina, l'Agenzia non fece nulla per loro.508 Nè furono più utili i suoi omologhi nella neutrale America, nonostante il fatto che Goldmann fosse giunto là durante il 1940 e sia Ben Gurion che Weizmann vi si recarono per diverse lunghe visite nel 1940 e nel 1941. Per di più, la dirigenza sionista americana fece una campagna contro quegli ebrei che provavano a inviare aiuti a chi ne aveva bisogno. Aryeh Tartakower, che era incaricato per il

504 Robert Sherwood, Roosevelt and Hopkins: an intimate history, 1948 505 New York Times Book Review, 16 settembre 1979, p.37 506 Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979 507 Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979 508 ibidem

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Congresso Mondiale Ebraico del lavoro di assistenza in America nel 1940, ha raccontato parte della vicenda in un’intervista con l’insigne storico israeliano Shabatei Beit-Zvi:

Ricevemmo una chiamata dal Governo Americano, dal Dipartimento di Stato, e loro ci

fecero notare che inviare aiuti agli ebrei in Polonia non era nell’interesse degli Alleati…Il primo a dirci di interrompere immediatamente fu il dottor Stephen Wise…Egli disse: “Dobbiamo smettere per il bene dell’Inghilterra”.509

Gli inglesi decisero che era “compito” dei tedeschi in quanto belligeranti nutrire le popolazioni dei

territori che occupavano. I pacchi di viveri inviati dall’estero erano solo un aiuto agli sforzi bellici tedeschi. L’apparato del WJC-AJC (Congresso Mondiale Ebraico – American Jewish Congress) non solo smise di inviare cibo, ma fece pressioni sulle associazioni caritatevoli ebraiche non sioniste affinchè cessassero a loro volta di farlo, e quasi tutte accettarono eccetto l’Aguda. Essi replicarono ai sionisti che la Gran Bretagna non aveva l’autorità di decidere cos’era meglio per gli ebrei e aumentarono le spedizioni. Questo indispettì Joseph Tanenbaum, sionista e dirigente dell’ormai ristrettissimo movimento di boicottaggio antinazista. Prima egli non aveva inviato pacchi di viveri, in ottemperanza a quanto indicato dal Dipartimento di Stato. Ora attaccò gli agudisti sul quotidiano sionista Der Tog510, nel luglio e agosto 1941:

Perché mai gli inglesi mandano viveri, o i rappresentanti jugoslavi raccolgono fondi per mandare cibo ai “prigionieri-di-guerra”? Quello è un caso completamente diverso. I prigionieri di guerra sono protetti dalla convenzione della Croce Rossa Internazionale, che ha una lunga tradizione.511

Ma i “tradizionalisti” dell’Aguda continuarono a sfidare Tanenbaum, e il suo Joint Boycott Council

e il Jewish Labor Committee, e alla fine gli inglesi si resero conto che non avrebbero mai potuto fermare gli agudisti, i quali inviavano 10.000 pacchi di viveri al mese. L’antisemitismo della politica inglese emerse successivamente quando essi sostennero con grano canadese la Grecia occupata, dal 1942 fino alla sua liberazione. I greci erano alleati sconfitti; gli ebrei no.

Wise nasconde le notizie sullo sterminio degli ebrei

Quando l’establishment ebraico in Occidente e gli Alleati scoprirono che Hitler stava sistematicamente uccidendo gli ebrei? Resoconti di massacri in Ucraina iniziarono a raggiungere la stampa occidentale nell’ottobre del 1941, e nel gennaio 1942 i sovietici approntarono un dettagliato rapporto, il “Molotov Announcement”, che analizzava le azioni delle Einsatzgruppen. Il rapporto fu snobbato dalla WZO in Palestina come “propaganda bolscevica”.512 Nel febbraio 1942 Bertrand Jacobson, ex rappresentante del Joint Distribution Committee in Ungheria, organizzò una conferenza stampa al suo ritorno negli USA e fornì le informazioni dai contatti ungheresi sul massacro di 250.000 ebrei in Ucraina. Nel maggio 1942 il Bund inviò via radio a Londra il messaggio che in Polonia il numero degli ebrei sterminati era già arrivato a 700.000, e il 2 luglio la BBC trasmise una sintesi della situazione in Europa. Il governo polacco in esilio utilizzò il messaggio del Bund nella propria stampa propagandistica in lingua inglese. Ancora il 7 luglio 1942 Yitzhak Gruenbaum, che allora dirigeva il Vaad Hazalah (Comitato di Soccorso) dell’Agenzia Ebraica, rifiutò di credere ad analoghi racconti di massacri in Lituania, perché il numero ipotetico dei morti era maggiore della popolazione ebraica sita nel paese prima della guerra.513 Il 15 agosto Richard Lichtheim in Svizzera inviò un rapporto a Gerusalemme, basato su fonti tedesche, sugli scopi e i metodi dello sterminio. Ricevette la risposta di Gruenbaum, datata 28 settembre:

Francamente non sono incline ad accettare tutto il contenuto alla lettera…Come uno deve imparare ad accettare anche le storie più incredibili se corrispondono a fatti reali,

509 Shabatei Beit-Zvi, Post-Ugandan Zionism During the Holocaust, 1977 510 Il Giorno, quotidiano in lingua yiddish pubblicato a New York tra il 1914 e il 1971 511 Der Tog, 10 agosto 1941. 512 Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979 513 Midstream, aprile 1968, p.51

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così uno deve imparare dall’esperienza a distinguere tra la realtà, per quanto dura essa sia, e l’immaginazione che produce idee distorte per un giustificato timore.514

Gruenbaum e il suo Comitato di Soccorso sapevano che stavano accadendo cose terribili, ma

egli le minimizzava come se si trattasse “soltanto” di pogrom. L’8 agosto Gerhart Riegner dell’ufficio di Ginevra del WJC ottenne un resoconto dettagliato del

programma di soppressione col gas da fonti tedesche affidabili, e lo inoltrò alle sezioni WJC di Londra e New York attraverso diplomatici inglesi e americani. Il WJC di Londra ricevette il materiale, ma Washington evitò di consegnarlo al rabbino Wise. Il 28 agosto la sezione inglese inviò a Wise un’altra copia, ed egli chiamò il Dipartimento di Stato e scoprì che avevano rispedito indietro il dossier. Quindi gli chiesero di non rendere pubbliche le notizie poiché le stavano ancora verificando; egli acconsentì e non disse nulla fino al 24 novembre – 88 giorni dopo – quando il Dipartimento Stato finalmente riconobbe come autentico il rapporto. Solo allora Wise rese pubblico il piano nazista di sterminio degli ebrei. Il 2 dicembre egli scrisse una lettera al “caro Boss”, Franklin Roosevelt, chiedendo un incontro urgente e informandolo che:

Ho avuto cablogrammi e informazioni riservate per diversi mesi, che riportavano questi fatti. D’accordo con i capi di altre organizzazioni ebraiche, ho stabilito di non informare la stampa.515

Wise e Goldmann, che era negli Stati Uniti durante la guerra, non dubitavano che il rapporto di

Riegner fosse vero. Secondo Walter Laqueur, essi temevano che dare le notizie avrebbe accresciuto la disperazione delle vittime.516 Yehuda Bauer è sicuro che i dirigenti ebrei americani erano già al corrente del rapporto del Bund.517

“Non c’è alcun bisogno di renderle pubbliche”

Nel novembre 1942 78 ebrei con documenti palestinesi arrivarono dalla Polonia, in cambio del ritorno in Europa di alcuni templari518. L’Agenzia Ebraica non poteva più dubitare dei rapporti che le erano arrivati per mesi e, come Wise, finalmente dichiarò che i nazisti stavano sistematicamente sterminando gli ebrei. Ma, come Wise, alcuni leader della WZO in Palestina si erano convinti della veridicità dei resoconti ben prima di decidersi a renderli pubblici. Il 17 aprile 1942, anche prima della trasmissione del Bund, Moshe Shertok scrisse al generale Claude Auckinleck, comandante dell’Ottava armata inglese in Nord Africa. Egli era preoccupato per ciò che sarebbe potuto accadere agli ebrei palestinesi se l’Africa Korps avesse sfondato in Egitto.

La distruzione della razza ebraica è uno dei principi fondamentali della dottrina nazista. Gli autorevoli rapporti (sottolineatura mia) pubblicati recentemente mostrano che questa politica è portata avanti con indescrivibile spietatezza…C’è da temere che una distruzione anche più rapida possa colpire gli ebrei della Palestina.519

In altre parole, mentre Gruenbaum, l’incaricato ufficiale delle operazioni di soccorso della WZO,

era scettico sulla veridicità dei resoconti sui massacri di coloro ai quali avrebbe dovuto provvedere, il capo del Dipartimento Politico dell’Agenzia Ebraica stava utilizzando gli stessi resoconti per convincere gli inglesi ad armare il movimento sionista in Palestina.

Con gli annunci di Wise e dell’Agenzia Ebraica, l’attenzione fu spostata su ciò che si poteva fare. L’annuncio dell’Agenzia Ebraica innescò uno spontaneo sentimento di colpa nell’Yishuv, ora che

514 Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979 515 Eliyahu Matzozky, The Response of American Jewry and Its Representative Organizations to Mass Killing of Jews in

Europe, 1979 516 Commentary, dicembre 1979, p. 46 517 Midstream, aprile 1968, p.53 518 Nell’Ottocento una piccola comunità di luterani messianici tedeschi (i templari appunto) era arrivata in Palestina.

Costoro negli anni ‘30 diventarono nazisti e combatterono nell’esercito del Reich, perciò vennero espulsi dalla Palestina

dagli inglesi nel 1944-1945, e andarono a vivere in maggioranza in Australia. 519 Commentary, dicembre 1979, p. 53

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erano coscienti dell’orrore posto di fronte ai loro cari. Tuttavia, non vi furono cambiamenti nella linea politica tra i sionisti. Uno stato ebraico dopo la guerra rimaneva la loro priorità, e l’Olocausto non l’avrebbe messo a repentaglio. Di conseguenza, quando la locale unione dei giornalisti contattò organizzazioni simili all’estero chiedendo loro di parlare dei massacri, Dov Joseph, il direttore operativo del Dipartimento Politico dell’Agenzia Ebraica, li ammonì:

Se pubblichiamo dati in cui si esagera in numero delle vittime ebree, ovvero se annunciamo che milioni di ebrei sono stati massacrati dai nazisti, ragionevolmente ci chiederanno dove sono i milioni di ebrei per i quali noi dichiariamo di avere bisogno di una patria in Eretz Israel dopo la guerra.520

Yoav Gelber ci parla dell’immediato effetto dell’intervento di Dov Joseph: “Le vibranti proteste

vennero sopite e al loro posto si cercarono modi di intervenire più ‘costruttivamente’ ”.521 Ben-Gurion parlò di “richieste” affinchè gli Alleati minacciassero castighi e provassero a salvare gli ebrei, in particolare i bambini, o a scambiare i tedeschi con gli ebrei etc. Nello stesso tempo, continuava a chiedere uno sforzo nel costruire un sostegno alla proposta di una Legione Ebraica.522 Gruenbaum ebbe una serie di altri incarichi oltre a quello di dirigere il Comitato di Soccorso. Il professor Bauer ha dato una valutazione storica molto chiara della condotta di Gruenbaum:

Sulla base di ricerche fatte all’Istituto per l’Ebraismo Contemporaneo all’Univeristà Ebraica, io direi…la condotta di alcuni leader, specialmente Gruenbaum…fu all’insegna della totale demoralizzazione. Lui e alcuni dei suoi più stretti collaboratori pensavano che non si potesse far nulla per salvare gli ebrei europei, e che il denaro inviato in Europa per la fuga, la resistenza, o la salvezza, sarebbe andato perduto. Ma loro ritenevano che lo sforzo fosse utile in quanto avrebbe consentito dopo la guerra di dire che era stato fatto tutto il possibile. Si dovrebbe sottolineare che essi non dicevano che lo sforzo non andava fatto; ma ritenevano che non sarebbe servito a nulla.523

Ma fece davvero qualcosa Gruenbaum? Molti in Palestina erano inorriditi per il disfattismo della

WZO e la sua continua preoccupazione per gli scopi del sionismo mentre i loro parenti venivano massacrati, e chiedevano delle azioni. Non erano una minaccia diretta alla leadership dei leader della WZO, ma costoro sentivano la pressione. La maggior parte di essa era diretta contro Gruenbaum, che finalmente indisse una riunione dell’esecutivo sionista il 18 febbraio 1943. Egli accusò i suoi critici e i suoi amici di lasciarlo solo a subire l’onta, mentre loro non facevano nulla. Più tardi egli riportò il suo incredibile discorso nel suo libro uscito dopo la guerra, Bi-mei Hurban ve Sho’ah (Nei giorni della distruzione e dell’Olocausto).

Comunque per noi – permettetemi di parlare da questo punto di vista – c’è una soluzione che va sempre bene di fronte ogni disgrazia, a ogni Olocausto. Prima di tutto si criticano i leader, essi devono essere biasimati…avessimo protestato, avessimo domandato, sarebbe stato fatto tutto il possibile per salvare, per aiutare. Se nulla è stato fatto, è perché non abbiamo protestato o domandato…

Io voglio contestare questo punto di vista…rispetto al salvare, al portare via la gente dai paesi occupati dai nazisti…sarebbe stato necessario che i paesi neutrali accogliessero i rifugiati, che le nazioni in guerra aprissero i loro confini per far passare i rifugiati. E quando noi suggerimmo questo, chiedendo l’aiuto dei nostri amici…ecco quello che dissero: ‘Non toccate questo argomento; sapete che non lasceranno passare gli ebrei in Nord Africa, o negli Stati Uniti, non mettete i nostri alleati in questa situazione. L’opinione pubblica non è in grado di accettare queste considerazioni, non le capiscono, nè le vogliono capire’…

Nel frattempo si sviluppò una tendenza in Terra d’Israele, che io penso sia molto pericolosa per il sionismo, per i nostri sforzi di redenzione, per la nostra guerra d’indipendenza. Non voglio ferire nessuno, ma non posso capire come una cosa simile possa accadere in Eretz Israel, qualcosa che non era mai accaduto altrove. Com’è possibile che in un meeting a Gerusalemme la gente invochi: “Se non avete abbastanza

520 Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979 521 ibidem 522 ibidem 523 Yehuda Bauer, From Diplomacy to Resistance: A History of Jewish Palestine 1939-1945, 1970

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denaro dovreste prenderlo dal Keren Hayesod, dovreste prendere il denaro dalla banca, c’è del denaro lì”. Io pensai fosse doveroso opporsi a questa tendenza…

E in questo periodo in Eretz Israel ci sono commenti del tipo: ‘Non mettete Israele davanti a tutto, in questi tempi difficili, nel momento della distruzione degli ebrei europei’. Io non accetto queste parole. E quando qualcuno mi ha chiesto: ‘Puoi prendere il denaro dal Keren Hayesod per salvare gli ebrei della Diaspora?’ Io ho detto: ‘No! E ancora dico no!’ So che la gente si meraviglia ma l’ho dovuto dire. Gli amici mi dicono che, anche se questi fatti sono veri, non c’è alcun bisogno di renderli pubblici, in un’epoca di dolore e disperazione. Io non sono d’accordo (a destinare quei soldi alla salvezza degli ebrei n.d.t.). Penso che dobbiamo levarci contro questa tendenza che sta mettendo l’attività sionista in secondo piano. Ho forse detto ciò per motivi personali? Per questo la gente mi ha chiamato antisemita, e ha pensato che sbaglio, perché non diamo la priorità alle azioni di salvataggio.

Non ho intenzione di difendere me stesso. Allo stesso modo non mi giustificherei o difenderei se fossi biasimato per aver ucciso mia madre, così non mi difenderò in questo caso. Ma i miei amici non dovevano abbandonarmi in questa battaglia e poi portarmi conforto dopo: “Se tu fossi stato collegato a un partito politico non ti avremmo abbandonato”. Penso che sia necessario dire che il sionismo è sopra ogni cosa…

Vorrei concludere con dei suggerimenti. Naturalmente, è incombente per noi continuare tutte le azioni per la riuscita dei soccorsi e non trascurare alcuna possibilità di far cessare il massacro…Allo stesso tempo dobbiamo guardare al sionismo. Ci sono coloro che pensano che ciò non dovrebbe essere detto mentre è in corso l’Olocausto, ma credetemi, ultimamente vediamo manifestazioni preoccupanti da questo punto di vista. Il sionismo è sopra tutto – è necessario ribadirlo nel momento in cui l’Olocausto ci distrae dalla nostra guerra di liberazione nel sionismo. La nostra guerra di liberazione non scaturisce direttamente dall’evento dell’Olocausto e non si intreccia con il benessere della diaspora in questo momento, e ciò a nostro svantaggio. Noi abbiamo due aree di azione, che sono connesse e intrecciate, ma in realtà sono due aree di intervento separate, benché ogni tanto si tocchino. E dobbiamo guardare – specialmente in questo periodo – alla superiorità della guerra di redenzione.524

Nel 1944 un sionista ungherese, Joel Brand, arrivò a Gerusalemme per una missione speciale.

La missione verrà descritta dettagliatamente nel prossimo capitolo. Per ora è sufficiente sapere che fino al 1944 la Germania non aveva occupato l’Ungheria e che essa divenuta un rifugio per chi fuggiva dai territori nazisti. Brand era stato una figura di spicco nel Comitato di Soccorso sionista di Budapest. Egli raccontò di uno dei suoi patetici incontri con il direttore delle operazioni di soccorso della WZO:

Egli mi disse subito: “Perché non avete salvato mio figlio, Herr Brand? Avreste potuto portarlo dalla Polonia in Ungheria.” Replicai: “Abitualmente non portiamo soccorso a singoli individui” Ma avreste dovuto pensare a mio figlio, Herr Brand. Era vostro compito fare questo”. Io ebbi rispetto per i suoi capelli grigi, e non dissi altro.525

“Perché solo col sangue avremo la terra”

I nazisti iniziarono a fare prigionieri gli ebrei in Slovacchia nel marzo 1942. Il rabbino Michael Dov-Ber Weissmandel, un agudista, pensò di impiegare la tradizionale arma contro l’antisemitismo: il denaro. Egli contattò Dieter Wisliceny, rappresentante di Eichmann, e gli disse che era in contatto con i leader dell’ebraismo mondiale. Voleva Wisliceny ricevere il loro denaro in cambio delle vite degli ebrei slovacchi? Wisliceny acconsentì per 50.000 dollari, a patto che il denaro provenisse dall’esterno del paese. Il denaro fu pagato, ma esso in realtà era stato raccolto a livello locale, e i 30.000 ebrei sopravvissuti furono risparmiati fino al 1944, quando furono catturati in conseguenza della furiosa ma fallita rivolta partigiana slovacca.

Weissmandel, che era studente di filosofia all’università di Oxford, si era offerto volontario il 1 settembre 1939 per tornare in Slovacchia come agente dell’Aguda. Divenne una delle figure ebraiche

524 Yitzhak Gruenbaum, In Days of Holocaust and Destruction, 1946 525 Alex Weissberg, La storia di Joel Brand, 1958

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preminenti durante l’Olocausto, in quanto fu lui il primo a chiedere agli alleati di bombardare Auschwitz. Alla fine fu catturato, ma riuscì a fuggire da un treno in corsa segando le sbarre con un filo smerigliato; saltò giù, si ruppe una gamba, sopravvisse e continuò il suo lavoro di salvare ebrei. L’importante libro di Weissmandel successivo alla guerra, Min HaMaitzer (Dal profondo), scritto in ebraico talmudico, sfortunatamente non è stato ancora tradotto in inglese526. E’ uno dei più forti atti d’accusa nei confronti del sionismo e dell’establishment ebraico. Esso aiuta a collocare nella giusta prospettiva la non volontà di Gruenbaum di inviare soldi nell’Europa occupata. Weissmandel si rese conto di una cosa: “Il denaro serve qui – a noi e non a loro. E con il denaro qui, si possono formulare nuove idee”.527 Weissmandel stava pensando a qualcosa di più delle tangenti. Egli capì subito che con il denaro sarebbe stato possibile mobilitare i partigiani slovacchi. Comunque, la questione fondamentale per lui era se tutti i vertici delle SS o del regime nazista potessero essere corrotti con tangenti. Solo se essi avessero voluto fare un accordo con gli ebrei occidentali o gli Alleati, i pagamenti avrebbero avuto un impatto efficace. Egli vedeva che l’esito della guerra stava mutando, con alcuni nazisti che pensavano ancora di vincere e speravano di usare gli ebrei per far pressione sugli Alleati, ma altri che cominciavano a temere le future rappresaglie alleate. La sua preoccupazione era semplicemente che i nazisti cominciassero a considerare il fatto che gli ebrei fossero più utili da vivi che da morti. Il suo pensiero non va confuso con quello dei collaborazionisti dello Judenrat. Egli non stava provando a salvare alcuni ebrei, ma pensava chiaramente in termini di negoziati per la salvezza degli ebrei di tutta Europa. Egli ammonì gli ebrei ungheresi che stava per arrivare il loro turno: non lasciate che vi ghettizzino! Ribellatevi, nascondetevi, fate che debbano trascinarvi là in catene! Voi entrate pacificamente nel ghetto e andrete ad Auschwitz! Weissmandel fu attento a non farsi mai manovrare dai tedeschi per chiedere concessioni agli Alleati. Denaro per ebrei fu l’unica esca che egli adoperò con loro.

Nel novembre 1942 Wisliceny fu contattato di nuovo. Quanto denaro occorreva per salvare gli ebrei di tutta Europa? Egli andò a Berlino, e all’inizio del 1943 arrivarono notizie a Bratislava. Per 2 milioni di dollari potevano avere tutti gli ebrei nell’Europa occidentale e nei Balcani. Weissmandel inviò un corriere in Svizzera per provare a ottenere il denaro dalle associazioni assistenziali ebraiche. Saly Mayer, un industriale sionista e rappresentante a Zurigo del Joint Distribution Committee, rifiutò di dare qualunque cifra al “gruppo di lavoro” di Bratislava, anche solo un pagamento preliminare per testare la proposta, perché il “Joint” non avrebbe infranto le leggi americane che proibivano di inviare denaro verso i paesi nemici. Di fatto Mayer inviò a Weissmandel un deliberato insulto: “Le lettere che avete raccolto dai rifugiati slovacchi in Polonia sono storie esagerate, questo è il metodo degli “Ost-Juden” che chiedono sempre soldi”.528

Il corriere che portò la risposta di Mayer aveva con sé un'altra lettera da parte di Nathan Schwalb, rappresentante di HeChalutz in Svizzera. Weissmandel descrisse il documento:

C’era un’altra lettera nella busta, scritta in una strana lingua straniera e all’inizio non riuscivo assolutamente a capire che lingua fosse, finchè non capii che si trattava di ebraico scritto in lettere romane e destinato agli amici di Schwalb a Bratislava…E’ancora davanti ai miei occhi, come se l’avessi guardata per cento volte e più. Questo era il contenuto della lettera: “Dal momento che abbiamo l’opportunità di questo corriere, noi scriviamo al gruppo che deve avere costantemente presente che alla fine gli Alleati vinceranno. Dopo la vittoria essi divideranno ancora una volta il mondo tra le nazioni, come hanno fatto alla fine della Prima Guerra Mondiale. Allora il piano era solo all’inizio e ora, alla fine della guerra, dobbiamo fare ogni cosa affinchè Eretz Israel diventi lo Stato di Israele, e importanti passi avanti sono già stati fatti in questa direzione. A proposito delle proteste che arrivano dal vostro paese, bisogna tenere presente che le nazioni alleate stanno pagando un grande tributo di sangue, e se noi non ne sacrifichiamo quale diritto potremo accampare al tavolo delle contrattazioni quando si divideranno le stati e i territori alla fine della guerra? E’ dunque sciocco, addirittura impudente, da parte nostra chiedere a queste nazioni che stanno pagando il loro tributo di sangue di lasciar entrare del denaro in paesi nemici per proteggere il nostro sangue – perché solo col sangue avremo la terra. Ma per quanto

526 Il libro è stato pubblicato postumo in ebraico nel 1960. La raccolta a cura di Lucy Dawidowicz A Holocaust Reader del

1976 contiene un capitolo di Weissmandel intitolato Letters from the Depths. 527 Michael Weissmandel, Min HaMeitzer, 1960 528 ibidem

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riguarda voi, atem taylu, e a tale scopo vi invio illegalmente del denaro con questo messaggero”.529

Rabbi Weissmandel riflettè sulla sorprendente lettera:

Dopo che ebbi ragionato su questo strano scritto, tremai comprendendo il senso delle

parole “solo col sangue avremo la terra”. Ma i giorni e le settimane passarono, e non comprendevo il significato delle altre due parole. Finchè mi accorsi che le parole atem taylu derivavano da tiyul (camminare) che era il termine da loro usato per “salvezza”. In altre parole: voi, miei compagni, miei 19 o 20 amici stretti, lasciate la Slovacchia e salvatevi e con il sangue di chi rimane – il sangue di uomini, donne, giovani e neonati – la terra sarà nostra. Dunque è un crimine inviare denaro in territori nemici per salvare vite altrui – ma per salvare voi, miei amati amici, ecco del denaro ottenuto sottobanco.

Si capisce che io non possiedo queste lettere, poiché rimasero là e furono distrutte con tutto il resto che andò perduto.530

Weissmandel assicura che Gisi Fleischmann e altri gli altri soccorritori sionisti impegnati nel

gruppo di lavoro furono inorriditi dalla lettera di Schwalb, ma essa esprimeva i pensieri perversi dei peggiori elementi della dirigenza WZO. Il sionismo era arrivato a un capovolgimento: invece di essere la speranza degli ebrei, doveva la propria sopravvivenza politica al loro sangue.

Minime reazioni allo sterminio

Anche dopo il tardivo annuncio di Wise della campagna di sterminio, la risposta dell’establishment ebraico americano fu minima. Essi aderirono all’appello di un rabbino capo sionista in Palestina per una giornata di lutto, che indissero per il 2 dicembre 1942, e il Jewish Labor Committee, antisionista, vi aggiunse un’astensione dal lavoro di dieci minuti. Ma ben più dovette essere fatto prima che l’amministrazione Roosevelt prendesse qualche provvedimento concreto. Roosevelt dovette essere fortemente sollecitato per decidersi a fare qualcosa per gli ebrei d’Europa.

Il presidente USA aveva un atteggiamento ambivalente verso gli ebrei. Ne aveva uno nel suo Gabinetto531 e ne aveva nominato un altro alla Corte Suprema532, e diversi erano suoi consiglieri privati. Ma egli non fece mai il minimo accenno, negli anni ’30, a modificare le leggi antisemite sull’immigrazione. Sebbene gli ebrei fossero preminenti negli apparati democratici del nord e dell’est, c’erano alcuni antisemiti dichiarati nella fazione democratica al Congresso, e Roosevelt non avrebbe mai pensato di separarsi da loro. Non espresse mai pubblicamente sentimenti antisemiti, ma non c’è dubbio che ne nutriva. Anni dopo, il governo degli Stati Uniti pubblicò gli atti della Conferenza di Casablanca, tenutasi nel gennaio 1943, e fu rivelato che egli aveva detto ai francesi:

Il numero degli ebrei impiegati nelle attività professionali (legge, medicina etc.) dovrebbe essere limitato a una percentuale corrispondente alla percentuale della popolazione ebraica in Nord Africa sul totale della popolazione nordafricana…Il Presidente affermò che il suo piano voleva eliminare le specifiche e comprensibili critiche che i tedeschi avevano nei confronti degli ebrei in Germania, cioè che mentre rappresentavano una piccola parte della popolazione, più del 50% degli avvocati, medici, insegnanti, professori universitari etc. erano ebrei.533

L’inadeguatezza della reazione dell’establishment ebraico fu così evidente da suscitare la

furiosa denuncia del veterano sionista laburista Chaim Greenberg, nel numero di febbraio 1943 del periodico Yiddishe Kemfer:

529 ibidem 530 ibidem 531 Henry Morgenthau junior (1891 – 1967), segretario del Tesoro 532 Felix Frankfurter (1882 – 1965) 533 Bernard Wasserstein, Britain and the Jews of Europe 1939 – 1945, 1979

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Le poche comunità ebraiche nel mondo che sono ancora libere far sentire la loro voce e di pregare in pubblico dovrebbero proclamare un giorno di digiuno e preghiera per gli ebrei americani…questa comunità ebraica americana è caduta in basso come forse non era ancora accaduto in tempi recenti…Non abbiamo dimostrato la capacità di istituire (temporaneamente, solo per la durata dell’emergenza) una sorta di gruppo di coordinamento che dovrebbe incontrarsi ogni giorno e riflettere e consultarsi e definire i modi per ottenere l’aiuto delle persone che sono, forse, nella posizione di aiutarci…Ogni gruppetto cerca di superare in strategia l’altro – sionisti e antisionisti…cosa c’entra il lavoro di salvataggio con le differenze politiche e con lo sproloquio ideologico che abbiamo prodotto nelle due passate generazioni?534

Il forte attacco di Greenberg ai leader ebrei americani non risparmiò nessuno, tantomeno i suoi

compagni sionisti, che stavano diventando la forza più consistente nella comunità. Senza fare nomi, egli denunciò il disfattismo e l’ossessione per la Palestina che si notava nei principali circoli sionisti.

Sono appena apparsi dei sionisti, tra noi, che si sono abituati all’idea che non si può fermare la mano dell’assassino e dunque, dicono, è necessario “utilizzare questa opportunità” per sensibilizzare il mondo sulla tragedia dell’assenza di una patria per gli ebrei e di intensificare la richiesta di una Casa Nazionale Ebraica in Palestina (Una casa per chi? Per i milioni di morti che riposano in cimiteri improvvisati in Europa?).

Egli attaccò L’American Jewish Congress di Wise:

In un’epoca in cui l’Angelo della Morte usa gli aeroplani, l’AJ-Congress impiega un carro

trainato da buoi…ha delegato il lavoro di salvataggio in Europa a un comitato apposito…questo comitato si permette il lusso di non incontrarsi per settimane…ha dimostrato la mancanza di quel coraggio della disperazione, di quella “aggressività di spirito” che caratterizza i momenti tragici, della capacità di agire per un determinato scopo o di attirare persone da altri ambiti e mobilitarli per una causa così rilevante come il salvataggio di coloro che possono ancora essere salvati.

Greenberg si scagliò contro il Comitato dei revisionisti per una Legione Ebraica per i costosi

annunci pubblicitari che promuovevano una Legione Ebraica per 200.000 ebrei senza patria: “ben sapendo che questo è un qualcosa di irrealistico…tutti gli ebrei in Europa, fino all’ultimo, saranno uccisi ben prima che una tale forza possa essere reclutata, organizzata e preparata”.535

Il Comitato di Emergenza

Solo uno dei gruppi sionisti comprese che il salvataggio doveva diventare l’obiettivo prioritario. Un piccolo gruppo di irgunisti si era recato negli USA per raccogliere fondi per l’immigrazione illegale, e quando iniziò la guerra essi aggiunsero la richiesta di una Legione Ebraica che essi, come la WZO, vedevano come l’obiettivo immediato del sionismo. Nell’aprile 1941 essi notarono alcuni articoli di Ben Hecht, uno dei più famosi giornalisti d’America, su PM, un quotidiano liberale newyorchese; Hecht deplorava il silenzio delle personalità sociali, culturali e politiche ebraiche sulla situazione degli ebrei in Europa. Gli irgunisti convinsero Hecht ad aiutarli a istituire un “Comitato per una Legione Armata di Ebrei senza patria e palestinesi”. Hecht approvò l’idea, perché vedeva che si trattava di combattenti ed era ciò che lui cercava: una legione ebraica che avrebbe giustiziato tedeschi per vendicare gli ebrei che Hitler umiliava e uccideva. Finora gli irgunisti avevano giocato un ruolo molto minore nella scena politica ebraica; tuttavia, con Hecht nel loro comitato i revisionisti divennero una forza semiseria. Egli conosceva tutti a Hollywood e nel mondo dell’editoria. Con i loro annunci pubblicati sui maggior quotidiani essi apparivano avere una parte attiva nella politica dell’epoca bellica.

Benchè agli irgunisti fosse sfuggito il pieno significato dei primi resoconti dei massacri, l’annuncio di Wise convinse il loro leader, Peter Bergson, che dovevano insistere per un’azione del governo americano volta specificamente al salvataggio degli ebrei. Essi programmarono di portare

534 Riportato sulla rivista ebraica newyorchese Midstream, marzo 1964, pp.5-8 535 ibidem

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uno spettacolo, They Shall Never Die, al Madison Square Garden il 9 marzo 1943. Alcuni dei più famosi attori teatrali dell’epoca – Kurt Weill, Billy Rose e Edward G.Robinson tra i molti altri – iniziarono a prepararlo insieme. Questo era troppo per Wise, che non voleva farsi rubare la scena da nessun intruso fascista. L’establishment ebraico annunciò subito una propria adunata al Garden per il 1 marzo. Il Comitato per una Legione Ebraica provò a cercare l’unità offrendo di ritirarsi da unico promotore dell’evento del 9 marzo, se l’establishment voleva essere co-promotore, ma quest’ultimo rifiutò. Il risultato fu che due adunate separate sulla medesima tragedia ebraica ebbero luogo al Garden a soli nove giorni di distanza. Entrambe furono molto partecipate; lo spettacolo di Hecht e Weill riempì l’arena due volte nella stessa sera. La vera differenza era che la cerchia di seguaci di Wise era mossa soprattutto dalla sua ostilità verso gli irgunisti e non aveva un piano di mobilitazione continua, mentre il Comitato per una Legione Ebraica girò le maggiori città americane con il suo spettacolo. L’American Jewish Congress di Wise, infuriato per il loro successo, ordinò alle sue sezioni locali nel paese di provare a non far svolgere lo spettacolo nei teatri se potevano, e questo accadde almeno a Pittsburgh, Baltimora e Buffalo.536

Ma cosa abbiamo veramente ottenuto, chiedeva Kurt Weill? “Allo spettacolo non è seguito nulla. So che Bergson lo definisce un punto di svolta nella storia ebraica, ma è preso dalla foga teatrale. In verità ciò che abbiamo fatto è stato far piangere molti ebrei, il che non è un risultato unico”.537 Di fatto lo spettacolo affermò il Comitato per una Legione Ebraica come una forza con la quale fare i conti. Tuttavia, gli apologeti dell’ultima ora dell’establishment ebraico, come Bernard Wasserstein della Brandeis University, ancora sostengono che:

Il Congresso americano, e la maggioranza dell’opinione pubblica insieme erano entrambe decisamente contrarie a prendere in considerazione una qualunque deroga alle restrizioni sulle quote di ingresso degli immigrati…Ci vuole una vivida immaginazione per essere convinti che una campagna di “attivismo” ebraico avrebbe modificato questa dura realtà. Le conseguenze più probabili sarebbero state l’incremento dell’antipatia verso gli ebrei…i leader ebraici erano preoccupati soltanto di ciò: di qui il loro essere scettici verso l’efficacia dell’attivismo.538

Non c’è nessuna evidenza che suggerisca che l’antisemitismo aumentò come risultato delle

attività del comitato. Piuttosto il contrario: lo slancio spinse il Congresso all’azione. Gli irgunisti, incluso il profondamente coinvolto Weill, capirono che se avessero puntato tutti gli sforzi ed energie nel salvataggio avrebbero spinto il governo a fare qualcosa. Dalla primavera 1943 alla fine dell’anno il comitato – ora ribattezzato Comitato di Emergenza per Salvare gli Ebrei d’Europa – ebbe il campo libero, visto che l’establishment ebraico non faceva nulla o addirittura provava a sabotarne il lavoro.

L’esperienza pratica della mobilitazione indusse in comitato ad accantonare l’obiettivo della Palestina. Dal 1943 le simpatie verso i sionisti stavano rapidamente crescendo tra gli ebrei, ma gli antisionisti erano ancora forti e i non-ebrei non avevano il minimo interesse a creare guai ai loro alleati inglesi in Medio Oriente, mentre molti americani erano convinti che il governo avrebbe dovuto provare a salvare gli ebrei. A questo punto Wise e Goldmann lanciarono un nuovo attacco al Comitato di Emergenza: esso aveva tradito la sacra causa della Palestina. Bergson provò a ragionare con Wise: Se tu fossi dentro una casa che brucia, vorresti che la gente fuori gridasse “salvateli” o “salvateli portandoli al Waldorf Astoria”? Non servì a nulla; Wise non sarebbe mai stato d’accordo.539

Il Comitato mobilitò 450 rabbini ortodossi in una marcia alla Casa Bianca nel mese di ottobre, ma Roosevelt non li volle ricevere; quel giorno aveva la cerimonia di consegna di quattro bombardieri alle forze armate jugoslave in esilio. Tuttavia la campagna continuò. Peter Bergson sottolinea: “Gli ebrei ricchi, l’establishment, ci ostacolarono sempre. Erano sempre gli ebrei poveri – e i gentili – che mandavano il denaro per i nostri annunci540”. Sentendo che ora vi era abbastanza sostegno pubblico alla causa, i loro principali referenti al Congresso, il senatore Guy Gillette e i deputati Will Rogers jr. e Joseph Baldwin, presentarono un disegno di legge per una commissione di salvataggio. Essi sottolinearono chiaramente che la loro proposta non aveva nulla a che fare con il sionismo. Le audizioni in Senato a settembre furono positive, ma alla Commissione Esteri della Camera il presidente, Sol Bloom, un ebreo democratico di Tammany, di Brooklin, attaccò aspramente Bergson e

536 Journal of Contemporary History, aprile 1980, p.374 537 Ben Hecht, A Child of the Century, 1954 538 Midstream, agosto 1980, p.14 539 Journal of Contemporary History, aprile 1980, p.384 540 Intervista dell’auotre a Peter Bergson, 27 febbraio 1981

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le audizioni ebbero esito negativo. Per buona misura, il principale esponente del sionismo americano, Stephen Wise, andò a Washington per prendere posizione contro il disegno di legge perché non menzionava la Palestina.

Il Congress Weekly di Wise vantò che le audizioni erano state “utilizzate dal dottor Wise per spostare la discussione dal piano dei programmi astratti alle misure immediate e pratiche di salvataggio, e soprattutto alla questione della Palestina”. Ma c’è di più; l’articolo criticava il Comitato di Emergenza “per la totale indifferenza verso tutte le organizzazioni ebraiche esistenti e i loro anni di sforzi attraverso e con le agenzie governative per affrontare il problema del salvataggio”. Per anni la stampa e i politici avevano riverito Wise come il leader dell’ebraismo americano. Ora un novellino, Ben Hecht, e un gruppo di odiati revisionisti stavano provando a dire a Roosevelt come salvare gli ebrei.

L’azione di Bloom contro il disegno di legge non potè fermare la pressione per un comitato di salvataggio. Prima che il Comitato di Emergenza potesse fare un altro tentativo, il Segretario al Tesoro, Henry Morgenthau jr., portò a Roosevelt il rapporto su un complotto di funzionari del Dipartimento di Stato per occultare le prove dei massacri. Si era scoperto che Breckenridge Long, ex-ambasciatore in Italia, ammiratore di Mussolini prima della guerra, che il Dipartimento aveva incaricato di occuparsi del problema dei rifugiati durante l’Olocausto, aveva alterato un documento fondamentale, allo scopo di ostacolare la campagna mediatica. Alle audizioni congressuali Lodge era stato il principale esponente dell’amministrazione contro la proposta della commissione di salvataggio, e ora Morgenthau avvertiva il Presidente che la situazione avrebbe potuto facilmente “degenerare in un terribile scandalo”541. Rooosevelt era battuto, e il 22 gennaio 1944 annunciò la costituzione di un War Refugee Board.

I meriti sulla costituzione del Refugee Board sono stati dibattuti dagli storici dell’Olocausto. Coloro che li attribuiscono all’establishment sionista trascurano il lavoro del Comitato di Emergenza e argomentano che il Board fu interamente opera di Morgenthau. Così Bernard Wasserstein insiste che l’attivismo non portò e non poteva portare risultati per gli ebrei. Il Board fu il risultato dell’intervento di Morgenthau e nient’altro: “Le proteste di Morgenthau ottennero dei risultati…E’ un esempio di cosa era possibile con un’energica azione dietro le quinte dei leader ebrei”542. Comunque Nahum Goldmann ammise che John Pehle, che aveva redatto il rapporto Morgenthau e divenne il direttore del WRB, “si era fatto l’opinione che il Comitato di Emergenza di Bergson avesse ispirato l’introduzione della risoluzione Gillette-Rogers, la quale a sua volta aveva portato alla creazione del War Refugee Board”543. E ancora Goldmann e Wise continuarono la loro campagna personale contro Bergson. Goldmann andò al Dipartimento di Stato il 19 maggio 1944 e, stando al memorandum di quell’audizione, egli “alludeva al fatto che Bergson e i suoi associati erano negli USA con il visto di visitatori temporanei…aggiungeva che non capiva come mai questo governo non lo allontanasse oppure lo chiamasse alle armi”. Nello stesso memorandum il reporter annotò che Wise “era arrivato a informare mr. Pehle che egli considerava Bergson un nemico degli ebrei al pari di Hitler, per la ragione che le sue attività potevano solo portare all’aumento dell’antisemitismo”.544

Il Board si rivelò essere di minimo aiuto per gli ebrei. Arthur Morse scrisse nel suo libro, While Six Million Died (Mentre ne morivano sei milioni), che direttamente furono salvati 50.000 romeni e indirettamente, attraverso pressioni su Croce Rossa, paesi neutrali, clero e organizzazioni clandestine, il Board ne portò in salvo alcune centinaia di migliaia.545 Calcoli più recenti ridimensionano questa cifra a circa 100.000.546 Il Board non fu mai un’istituzione potente. Non ebbe mai più di trenta addetti, e non poteva aggirare il Dipartimento di Stato nel relazionarsi con i paesi neutrali o quelli occupati dai nazisti. Non aveva il potere di garantire che gli ebrei rifugiati avrebbero ottenuto l’asilo in America, dove moltissimi avevano parenti. Shmuel Merlin, che si occupava degli aspetti relativi alle pubbliche relazioni del Comitato di Emergenza, ha spiegato perché il Board fosse così debole:

Capimmo di essere stati sconfitti quando le organizzazioni ebraiche si offrirono di raccogliere fondi per il Board. Naturalmente avevamo immaginato un programma serio da parte dell’amministrazione. Che voleva dire che il governo doveva destinare del denaro esattamente come fa per qualunque altro progetto. Invece Roosevelt e il Congresso

541 Arthur Morse, While Six Millions Died, 1967 542 Midstream, agosto 1980, p.14 543 Attitude of Zionists Toward Peter Bergson, memorandum Dipartimento di Stato USA, 19 maggio 1944 544 ibidem 545 Arthur Morse, While Six Millions Died, 1967 546 Midstream, marzo 1982, p.44

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lasciarono che l’establishment ebraico togliesse loro le castagne dal fuoco. Esso si offrì di pagare le spese base del Board. Misero circa 4 milioni di dollari di capitale di avviamento e un totale di 15 milioni durante l’intera esistenza del Board. La somma era così meschina che essi poterono sempre sorridere e dire “prima aspettiamo che gli ebrei raccolgano una somma tangibile”.547

Il Joint Distribution Committee fornì 15 dei 20 milioni di dollari spesi complessivamente dal

Board. Altri gruppi ebraici aggiunsero 1,3 milioni. Se il Board avesse avuto più denaro, avrebbe potuto fare molto di più. Se l’establishment ebraico si fosse unito con gli irgunisti in una ulteriore campagna di finanziamento del governo, è molto probabile che il denaro sarebbe arrivato. Prima che il Board fosse istituito, il governo rifiutava le richieste di una tale commissione sulla base del fatto che altri enti stavano facendo tutto ciò che si poteva fare. Una volta che fu formato il Board, vi era un ente governativo formale per il salvataggio; eppure l’establishment ebraico si oppose implacabilmente agli attivisti dell’Irgun e continuò a richiedere la deportazione di Bergson, invece di unirsi con il Comitato di Emergenza.

Nel 1946 i revisionisti rientrarono nella WZO, e alla fine alcune delle inimicizie svanirono, ma Bergson, Merlin, Ben-Ami e gli altri veterani del comitato non poterono mai prestare ascolto alle personalità che dominarono Israele fino al 1977 senza rivangare la loro passata ostilità. In anni recenti, essi hanno potuto provare il perfido ruolo svolto dietro le quinte da Wise, Goldmann e altri attraverso documenti un tempo segreti, ottenuti grazie al Freedom of Information Act548; di conseguenza la controversia sugli sforzi per il salvataggio non è mai davvero terminata. E Wasserstein insiste che il silenzio dei leader è un “mito”:

Non è un caso che questa leggenda sia nata. Al contrario, è un’accusa lanciata per la prima volta durante e immediatamente dopo la guerra da un gruppo preciso: i sionisti revisionisti e le loro svariate propaggini…Questo era il loro grido di battaglia, che usarono nei loro tentativi di mobilitare la gioventù ebraica in una fuorviante e immorale campagna di invettive e terrore.549

In realtà la prima spiegazione del perché l’establishment non faceva nulla venne dalla rivista

trotckista Militant il 12 dicembre 1942.

A dire la verità, queste organizzazioni, come il Joint Distribution Board e il Jewish Congress, e il Jewish Labor Committee, avevano paura a farsi sentire perchè temevano di provocare una crescita dell’antisemitismo come risultato. Essi temevano per la loro tranquillità, tanto da non volersi mettere in gioco per le vite dei milioni di ebrei all’estero.550

Certamente i primi leader del Comitato di Emergenza hanno provato a smascherare i loro vecchi

nemici, ma dopo la guerra essi sono stati criticati per i loro stessi sforzi e hanno ammesso di aver iniziato troppo tardi. Non compresero il significato dei resoconti sui massacri prima dell’annuncio di Wise nel novembre 1942. E comunque un’ulteriore critica va rivolta al Comitato per la sua iniziale richiesta di una Legione Ebraica. Essa era puro sionismo, senza alcuna rilevanza né per la situazione degli ebrei né per la lotta al nazismo. Una seconda critica riguarda il loro fallimento nel portare direttamente in strada gli ebrei. Una manifestazione di massa all’ufficio immigrazione di New York da parte di molte migliaia di ebrei avrebbe destato molto più effetto della mobilitazione di 450 rabbini. Uno sciopero della fame organizzato dal comitato avrebbe dato una spinta in avanti al movimento. Oggi gli attivisti fanno autocritica per non avere fatto queste cose, e spiegano queste mancanze in termini di incapacità politica personale. Essi erano in America come rappresentanti dell’Irgun, un’organizzazione militare che aveva sempre osteggiato il “ghandismo ebraico”.

547 Intervista a Shmuel Mertin, 16 settembre 1980 548 Legge sulla libertà di informazione, emanata negli Stati Uniti il 4 luglio 1966 durante il mandato del presidente Lyndon

B. Johnson. Ha aperto a giornalisti e studiosi l'accesso agli archivi di Stato statunitensi, a molti documenti riservati e coperti

da segreto di Stato, di carattere storico o di attualità. 549 Midstream, agosto 1980, p. 15 550 Militant, 12 dicembre 1942, p. 3

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La rivolta dell’Irgun nel 1944

Gli irgunisti americani dovevano commettere molti e peggiori errori quando l’Irgun iniziò la sua rivolta in Palestina nel gennaio 1944. Dopo essere giunto in Palestina nel maggio del 1942, Begin trovò il revisionismo in completo disarmo. Egli invocò la riorganizzazione dell’Irgun e alla fine fu nominato suo comandante. A quel tempo l’Irgun non rappresentava che una piccola minoranza degli ebrei in Palestina. Molti ebrei palestinesi vedevano gli irgunisti come dei pazzi fascisti, che portavano danno alla causa sionista attaccando la Gran Bretagna mentre questa combatteva contro Hitler. Ed erano ripudiati anche dall’apparato revisionista tradizionale. Erano una piccola forza: alcuni membri a tempo pieno e qualche centinaio part-time. L’Haganah, che li considerava fascisti, iniziò ad attaccarli in collaborazione con gli inglesi, benché essi evitassero di scontrarsi con l’Haganah poiché sapevano che dopo la guerra avrebbero dovuto unirsi per scacciare gli inglesi. Essi inoltre non attaccavano obiettivi militari, cosi da non apparire come un intralcio allo sforzo bellico.

Per molti aspetti la rivolta fu soprattutto simbolica, ma negli Stati Uniti e in Gran Bretagna essa spostò l’attenzione dagli ebrei in Europa agli ebrei in Palestina. Wise ebbe una chance per riacquistare credibilità, e accusò il Comitato di Emergenza di fiancheggiare il terrorismo. Tuttavia gli irgunisti americani – ora rinominatisi Comitato Ebraico di Liberazione Nazionale – così come il Comitato di Emergenza, non vedevano la rivolta come fattore che distoglieva l’attenzione dall’Europa, ma piuttosto come un segno di maggiore consapevolezza della difficile situazione degli ebrei. Peter Bergson difende ancora strenuamente la rivolta e le relazione del Comitato con essa:

So che ci sono degli storici che sostengono che alla fine non eravamo meglio dell’establishment, che anche noi distoglievamo le energie dal lavoro di salvataggio anteponendo la causa dell’Irgun. Essi si sbagliano. La rivolta è la conseguenza logica se gli inglesi non stanno salvando i tuoi parenti in Europa. Mi sarei vergognato degli ebrei di Palestina, come popolo, se non vi fosse stato nessuno nel paese pronto a ribellarsi.551

Shmuel Merlin sostiene che la rivolta sconvolse alcuni ebrei più di quanto non turbò i gentili.552

Solo gli ebrei, infatti, leggevano la stampa ebraica ed erano più influenzati dalla propaganda contro l’Irgun portata avanti dall’establishment. Tuttavia, quando l’Irgun incominciò la rivolta, il Comitato iniziò a percorrere la strada del fanatismo politico. Hecht e altri iniziarono a strepitare contro tutti i tedeschi sulle colonne del loro organo, The Answer: “Quando un tedesco siede o si alza, quando piange o ride, in ogni caso è un abominio. Gli anni non lo cambieranno mai.”553 Il patetico A Guide of the Bedeviled di Hecht divenne fonte d’ispirazione:

Considero il governo nazista non solo adatto ai tedeschi, ma ideale, dal punto di vista del resto del mondo, per un governo tedesco. Glielo si dovrebbe lasciare, dopo la sconfitta, come un dono di Tantalo. Essi dovrebbero essere lasciati all’aria aperta, con una bella recinzione di filo spinato intorno, come si usa negli zoo. Dentro questo zoo nazista, governato dal mondo per lo svago del filosofi, i tedeschi potrebbero ascoltare Beethoven e sognare ammazzamenti senza nuocere a nessuno…Chiusi nel mezzo dell’Europa, con tutto l’apparato nazista (con truppe d’assalto, campi di concentramento, boia e Gestapo) i tedeschi potrebbero risolvere per conto loro i problemi di sterminio. Il loro massacri non resterebbero sulla nostra coscienza…ma simili cose non accadranno mai nel mondo. I nostri governanti insistono…che i nemici appartengono comunque alla razza umana. Così come ricompensa per la vittoria otterremo di lasciare che i tedeschi si facciano di nuovo beffe di noi.554

Che gli irgunisti americani abbiano fatto più di tutti gli altri sionisti per aiutare gli ebrei nell’Europa

occupata, è chiaro. Che la rivolta di Begin non servì assolutamente a nulla per aiutare quegli stessi ebrei, è altrettanto chiaro. Gli irgunisti americani spinsero Begin a iniziare la sua campagna; qui sta la loro forza e la loro debolezza. Non si aspettavano che gli inglesi dessero loro la Palestina; avevano rotto con loro prima della guerra e non vedevano l’ora di affrontarli durante e dopo la guerra. Si

551 Intervista dell’autore a Bergson. 552 Intervista dell’autore a Merlin. 553 The Answer, 1 maggio 1944, p. 7 554 Ben Hecht, A Guide for the Bedeviled, 1944

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vedevano costretti a strappare ciò che volevano dalle mani degli imperialisti, e quell’atteggiamento lo mettevano anche rispetto al salvataggio. Essi superarono Stephen Wise perché rappresentavano gli “ebrei poveri”. Gli ebrei comuni volevano “azione, non compassione” e sostennero il Comitato di Emergenza in quanto rappresentava la loro indignazione per ciò che stava accadendo agli ebrei d’Europa. Ma in Palestina Begin non aveva la simpatia degli ebrei comuni. Se l’Irgun avesse mobilitato le masse ebraiche in una sfida diretta a Gruenbaum, è possibile che sarebbero riusciti a ribaltare l’egemonia della WZO. Così com’era, la causa della Palestina fu soltanto, ancora una volta, un problema.

“Non dover disturbare lo sforzo bellico…con proteste sediziose”

E’ impossibile perdonare il ritardo col quale i leader della WZO riconobbero pubblicamente lo sterminio nazista, sebbene Wasserstein abbia tentato ancora una volta di difenderli:

Data la natura e l’estensione di quella terribile realtà, è difficile sorprendersi che fu solo quando i primi, incerti e incompleti rapporti furono confermati al di là di ogni dubbio, solo allora gli ebrei in Occidente poterono rendersi conto dell’orribile verità.555

Altri erano arrivati a prevedere la possibilità dello sterminio di milioni di ebrei già prima della

guerra. Dopo la Notte dei Cristalli, il 19 novembre del 1938, una parola d’ordine fu lanciata dal Comitato Nazionale del Partito Socialista dei Lavoratori (SWP). “Lasciate entrare i rifugiati negli USA! – diceva – I mostri in camicia bruna non si preoccuperanno di nascondere il loro scopo: l’eliminazione fisica di ogni ebreo nella Grande Germania”556. Ancora, il 22 dicembre 1938, Trockij previde l’annientamento degli ebrei.

E’ possibile immaginare senza difficoltà cosa aspetta gli ebrei non appena scoppierà la prossima guerra. Ma anche senza guerra, lo sviluppo prossimo della reazione mondiale implica quasi certamente l’eliminazione fisica degli ebrei…Solo una forte mobilitazione dei lavoratori contro la reazione, la creazione di milizie operaie, la resistenza diretta, fisica, contro le bande fasciste, aumentando la fiducia, l’attivismo e l’audacia da parte di tutti gli oppressi, può provocare un mutamento dei rapporti di forza, fermare l’onda del fascismo globale, e aprire un nuovo capitolo nella storia dell’umanità.557

Mentre il Jewish American Congress stava collaborando con il Dipartimento di Stato

nell’occultare il rapporto Reigner, esso fu diffuso dall’ufficio di Stephen Wise e il 19 settembre 1942 il trockista Militant pubblicò un articolo evidentemente basato su quella fonte.

Il Dipartimento di Stato nel frattempo – così ci risulta – ha occultato informazioni ricevute dal proprio consolato in Svizzera. Queste informazioni riguardano il trattamento degli ebrei nel ghetto di Varsavia. Sono emerse le prove di grandi atrocità, in relazione alla campagna di sterminio di tutti gli ebrei. Corre anche voce che il ghetto non esista più e che tutti gli ebrei ne siano stati evacuati. La ragione per cui tale rapporto non è stato divulgato dal Dipartimento di Stato è che esso teme proteste di massa che potrebbero condizionarne le scelte politiche.558

Non era solo il Dipartimento di Stato che stava nascondendo il rapporto, e non era solo il

Dipartimento di Stato che non voleva proteste di massa in America. Il verdetto finale sulla condotta dei sionisti nel salvataggio degli ebrei europei andrebbe lasciato a Nahum Goldmann. Nel suo articolo Jewish Heroism in Siege, pubblicato nel 1963, egli confessò che:

Noi tutti abbiamo fallito. Non mi riferisco solo ai risultati attuali – questi non dipendono dalle capacità o volontà degli attori, e costoro non possono essere ritenuti responsabili di

555 Midstream, agosto 1980, p.10 556 Socialist Appeal, 19 novembre 1938, p. 1. 557 Lev Trockij, Appeal to the American Jews Menaced by Fascism and Antisemitism, 1938 558 Militant, 19 settembre 1942, p. 3

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fallimenti dipendenti da condizioni obiettive. Il nostro fallimento fu nella nostra mancanza di determinazione a prendere dei provvedimenti adatti alle esigenze dei terribili eventi di quegli anni. Tutto quello che fu fatto dagli ebrei del mondo, e in particolare da quelli degli Stati Uniti, dove c’erano molte più opportunità di azione che altrove, non andò oltre i limiti della politica ebraica svolta in tempi normali. Vennero inviate delegazioni ai primi ministri, furono fatte richieste di intervento, e fummo soddisfatti dalla debole e platonica risposta che i poteri democratici erano pronti ad agire.

Egli andò anche oltre:

Non ho dubbi (e allora ero molto aggiornato sulla nostra lotta e sugli eventi, in tempo reale), che migliaia e decine di migliaia di ebrei avrebbero potuto essere salvati da una reazione più attiva e vigorosa da parte dei governi democratici. Ma, come ho detto, la responsabilità maggiore rimane a noi, perché non siamo andati oltre la routine di petizioni e richieste, e perché le comunità ebraiche non hanno avuto il coraggio e l’audacia di far pressione sui governi democratici con mezzi drastici, e di costringerli a prendere provvedimenti drastici. Non dimenticherò mai il giorno in cui ricevetti un cablo dal Ghetto di Varsavia, indirizzato al rabbino Stephen Wise e a me, che ci chiedeva come mai i leader ebrei negli Stati Uniti non si erano decisi a lanciare una veglia giorno e notte sui gradini della Casa Bianca finchè il Presidente non si fosse deciso a bombardare i campi di sterminio o i treni della morte. Noi rinunciammo a farlo perché la maggioranza della leadership ebraica era dell’opinione di non dover disturbare lo sforzo bellico del mondo libero contro il nazismo attraverso proteste sediziose.559

559 Nahum Goldmann, Jewish Heroism in Siege, 1963

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25. UNGHERIA: IL CRIMINE DENTRO UN CRIMINE

La distruzione degli ebrei ungheresi è uno dei capitoli più tragici dell’Olocausto. Quando i tedeschi occuparono l’Ungheria, il 19 marzo 1944, i leader della comunità ebraica sapevano cosa aspettarsi dai nazisti, poiché l’Ungheria era stata rifugio per migliaia di ebrei polacchi e slovacchi, ed erano stati avvisati dal gruppo di lavoro di Bratislava che Wisliceny aveva assicurato che 700.000 ebrei ungheresi sarebbero stati deportati.

I nazisti riunirono i leader della comunità ebraica e dissero loro di non preoccuparsi, che le cose non sarebbero andate così male se gli ebrei avessero collaborato. Come ha scritto Randolph Braham, “La storia e gli storici dell’Olocausto non sono stati benevoli con i leader dell’ebraismo ungherese”560. Poiché, come ammette Braham, molti “provarono a ottenere permessi speciali e protezione per le loro famiglie”561. Alcuni non dovettero indossare la stella gialla e, più tardi, poterono vivere fuori dai ghetti e fu permesso loro di curare le loro proprietà. Negli anni dopo la guerra il ruolo di due sionisti laburisti ungheresi – Rezso Kasztner e Joel Brand, leader del Budapest Rescue Committee – furono oggetto di esami dettagliati nei tribunali israeliani. Kasztner era stato accusato di tradimento delle masse ebraiche ungheresi.

“Essi…li pregarono di sorvolare sulla questione”

Il 29 marzo 1944 questi due sionisti incontrarono Wisliceny e si accordarono per pagargli i due milioni di dollari che egli aveva precedentemente proposto a Weissmandel per non deportare o mettere nei ghetti gli ebrei ungheresi. Essi chiesero inoltre di poter trasportare lungo il Danubio “alcune centinaia di persone” con documenti palestinesi, dicendo che sarebbe stato più facile per loro raccogliere il denaro all’estero.562 Wisliceny acconsentì a prendere la loro tangente e permise il trasporto, ma si preoccupò che questo avvenisse segretamente per non avere contrasti con il Mufti che non voleva ebrei liberati. Le prime rate della tangente furono pagate, ma i nazisti tuttavia istituirono dei ghetti nelle province. Quindi, il 25 aprile, Eichmann incontrò Brand e gli disse che aveva l’incarico di negoziare con la WZO e gli Alleati. I nazisti avrebbero permesso a un milione di ebrei di partire verso la Spagna in cambio di 10mila camion, saponette, caffè e altri beni. I camion sarebbero stati usati esclusivamente sul fronte orientale. Come segno della buona fede dei nazisti, Eichmann avrebbe consentito ai sionisti la partenza di un convoglio di 600 rifugiati verso la Palestina.

Brand fu confermato come referente del Budapest Rescue Committee e i tedeschi lo inviarono in aereo a Istanbul il 19 maggio in compagnia di un altro ebreo, Bandi Grosz, che aveva altri contatti con vari servizi segreti alleati. Grosz aveva il compito di condurre propri negoziati coi servizi segreti alleati sulla possibilità di una pace separata. Al suo arrivo a Istanbul, Brand incontrò i rappresentanti locali del Rescue Committee della WZO e chiese un incontro urgente con un leader dell'Agenzia Ebraica. I turchi, però, rifiutarono di concedere il visto a Moshe Shertok, capo del Dipartimento Politico dell'Agenzia, e il comitato di Istanbul alla fine consigliò a Brand di conferire con lui ad Aleppo, in territorio siriano, che era sotto controllo inglese. Il 5 giugno, quando il treno di Brand passò da Ankara, due ebrei - un revisionista e un agudista - lo avvertirono che stava per essere attirato in una trappola e che sarebbe stato arrestato. Brand fu rassicurato da Echud Avriel, esponente di spicco della WZO, che l'avvertimento era fasullo e motivato dal dissidio tra le correnti sioniste. Ma di fatto Brand fu arrestato dagli inglesi.

Shertok parlò con Brand il 10 giugno ad Aleppo. Brand descrisse l'incontro nel suo libro, Desperate Mission (nel resoconto di Alex Weissberg):

Moshe Shertok si appartò in un angolo con loro (gli inglesi), e parlarono tra loro, a bassa voce ma in toni veementi. Quindi tornò da me e mi mise una mano sulla spalla..."Ora devi

560 Randolph Braham, The Official Jewish Leadership of Wartime Hungary, 1979 561 Randolph Braham, The Role of the Jewish Council in Hungary: A Tentative Assessment, 1974 562 Alex Weissberg, Desperate Mission (La storia di Joel Brand), 1958

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andare a sud...E' un ordine...Io non posso farci nulla"..."Non capisci cosa stai facendo?" gridai "Questo è un piano di sterminio! Sterminio di massa!...Non hai il diritto di sequestrare un emissario. Io non sono un emissario del nemico...Sono qui come delegato di un milione di persone condannate a morte."563

Shertok si appartò con gli inglesi e tornò di nuovo: "Non avrò pace finchè non sarai di nuovo

libero...sarai liberato". Brand fu scortato da un ufficiale inglese fino a una prigione in Egitto. Fecero tappa ad Haifa, dove Brand fece una passeggiata lungo il porto:

Considerai anche la possibilità di scappare. Ma solo quelli che hanno fatto parte di un partito tenuto insieme da stretti vincoli ideologici capiranno...ero un sionista, membro di partito...ero vincolato alla disciplina di partito...Mi sentivo piccolo, insignificante - un uomo gettato dal caso nel calderone bollente della storia - tanto da non riuscire a portare sulle spalle la responsabilità del destino di centomila persone. Non ebbi il coraggio di infrangere la disciplina, e qui sta la mia vera colpa storica.564

Brand non ebbe mai l'illusione che la proposta di Eichmann sarebbe stata accettata dagli alleati

occidentali. Tuttavia egli credeva che, come con i primi negoziati con Wisliceny, alcuni importanti ufficiali SS volessero investire sul proprio futuro. La vita degli ebrei ora era una valuta spendibile. Brand sperava che sarebbe stato possibile negoziare per un accordo più realistico o, almeno, indurre i nazisti a credere che si potesse arrivare a un'intesa. Forse il programma di sterminio sarebbe stato rallentato o anche interrotto qualora fossero stati in corso tentativi di accordo. Tuttavia gli inglesi non erano interessati a prendere in considerazione le possibilità della proposta di Eichmann e misero Mosca al corrente della missione di Brand; Stalin naturalmente insistette affinchè l’offerta fosse rifiutata. La vicenda raggiunse la stampa e il 19 luglio gli inglesi dichiararono pubblicamente che l'offerta era un trucco per dividere gli Alleati.

Il 5 ottobre a Brand fu finalmente permesso di lasciare il Cairo e si recò a Gerusalemme. Provò ad andare in Svizzera, dove Rezso Kasztner e il colonnello SS Kurt Becher erano stati inviati per ulteriori negoziati con Saly Mayer del Joint Distribution Committee. Gli svizzeri erano disposti a lasciarlo entrare, a condizione che fosse presentato dall'Agenzia Ebraica. Gli inglesi gli diedero un documento di viaggio con il nome di Eugen Band, il nome che Eichmann gli aveva assegnato per ragioni di segretezza. Egli andò da Eliahu Dobkin, capo del Dipartimento Immigrazione dell'Agenzia Ebraica, che doveva rappresentare la WZO nei negoziati, per avere un documento di presentazione. Dobkin rifutò:

"Capirete, Joel" - disse - "che io non posso garantire per un uomo che si chiama Eugen Band, mentre il vostro nome è Joel Brand" "Vi rendete conto, Eliahu, che molti ebrei nell'Europa Centrale sono stati mandati alle camere a gas semplicemente perchè dei funzionari si sono rifiutati di siglare dei documenti che non erano perfettamente in ordine”?565

Alla fine del 1944, a un raduno dell’Histadrut a Tel Aviv, Brand fu presentato come “Joel Brand, il

leader del movimento dei lavoratori ebrei in Ungheria. Egli porta i saluti degli ebrei d’Ungheria”…Egli si appellò agli astanti:

“Voi eravate l’ultima speranza di centinaia di migliaia di condannati a morte. Voi avete fallito. Io ero l’emissario di quelle persone ma mi avete lasciato rinchiudere in una prigione al Cairo…avete rifiutato di dichiarare uno sciopero generale. In mancanza di altre soluzioni, avreste dovuto usare la forza”…Essi accorsero dai reporter presenti e li pregarono di sorvolare sulla questione.566

Per accontentare Brand fu rapidamente istituita una commissione di inchiesta, ma si riunì solo

una volta e non decise nulla. Weizmann giunse in Palestina e Brand chiese un incontro urgente. Weizmann ci mise quindici giorni a rispondere:

563 ibidem 564 ibidem 565 ibidem 566 ibidem

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29 dicembre 1944. Caro mr. Brand:…Come forse avrà visto dalla stampa, ho una serie di

impegni e praticamente non ho avuto un momento libero dal mio arrivo qui. Ho letto la sua lettera e il suo memorandum e sarò lieto di incontrarla la settimana dopo la prossima – intorno al 10 gennaio.567

Essi alla fine si incontrarono, e Weizmann promise di aiutarlo a rientrare in Europa. Brand non

ebbe più notizie da parte sua.

“Poco probabile che permetta di raggiungere la salvezza delle vittime”

L’approccio della WZO alla crisi in Ungheria era stato del tutto debole. Il 16 maggio 1944 il rabbino Weissmandel aveva inviato piantine dettagliate di Auschwitz e mappe delle strade ferrate in Slovacchia e Slesia alle organizzazioni ebraiche in Svizzera, chiedendo “assolutamente, nei termini più forti”, che essi facessero appello agli Alleati per bombardare il campo di sterminio e le ferrovie.568 La sua proposta raggiunse Weizmann a Londra, il quale avvicinò il Ministro degli esteri britannico, Anthony Eden, in maniera estremamente esitante. Eden scrisse al Segretario per l’Aria il 7 luglio:

Il dottor Weizmann ha ammesso che sembra essere ben poco per poter far cessare questi orrori, ma ha suggerito che qualcosa potrebbe essere fatto per fermare le operazioni nei campi di sterminio attraverso il bombardamento delle ferrovie…e degli stessi campi.569

Un memorandum di Moshe Shertok al Foreign Office inglese, scritto quattro giorni dopo,

trasmette lo stesso tremebondo scetticismo:

Il bombardamento dei campi di sterminio è…poco probabile che permetta di raggiungere apprezzabili risultati nella salvezza delle vittime. I suoi effetti pratici possono essere soltanto la distruzione di impianti e personale, e forse l’accelerazione della fine per coloro che sono già condannati. Il conseguente trasferimento della macchina di sterminio tedesca potrebbe forse causare un ritardo nell’esecuzione di coloro che ancora si trovano in Ungheria (circa 300.000 persone a Budapest e intorno alla città). Ciò è degno di nota, finchè dura. Ma potrebbe non durare a lungo, poiché molti altri mezzi di sterminio possono essere rapidamente approntati.570

Dopo aver esposto tutte le ragioni per cui i bombardamenti non sarebbero serviti, Shertok

passò ad argomentare che “lo scopo principale dei bombardamenti potrebbe essere un effetto psicologico vasto e diversificato”.571

Gli ebrei dell’Europa occupata, attraverso Weissmandel e Brand, imploravano un’azione immediata. Il bombardamento di Auschwitz non solo era possibile, ma avvenne per errore. Il 13 settembre 1944 piloti americani, che miravano a una vicina fabbrica di gomma nitrilica, colpirono il campo e uccisero 40 prigionieri e 45 tedeschi. A luglio, quando a Eden era stato chiesto se la questione poteva essere discussa nel Gabinetto di Guerra, Churchill aveva risposto: “C’è qualche ragione di portare queste questioni nel Gabinetto di Guerra? Lei e io siamo in completo accordo. Faccia quello che può con l’Air Force e mi chiami se necessario”.572 Non successe nulla. Si ritenne che i costi dei piani di attacco fossero troppo alti. Weizmann e Shertok continuarono a chiedere al governo inglese di bombardare i campi, ma senza insistere.573

Anche la leadership sionista inglese esitò nella sua reazione alla crisi ungherese. Quando i tedeschi occuparono Budapest Alex Easterman, Segretario Politico della sezione inglese del WJC, andò al ministero degli esteri; i funzionari del governo lo esortarono a fare si che l’establishment

567 Moshe Shonfeld, Holocaust Victims Accuse, 1977 568Michael Weissmandel, Min HaMeitzer, 1960 569 Bernard Wasserstein, Britain and the Jews of Europe 1939 – 1945, 1979 570 ibidem 571 ibidem 572 ibidem 573 ibidem

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ebraico non organizzasse nessuna manifestazione di piazza, ed egli ovviamente acconsentì. Ancora, l’11 luglio 1944 Selig Brodetsky, membro dell’esecutivo della WZO e presidente del Board dei Deputati ebrei, rifiutò un appello del Vaad Leumi (Consiglio Nazionale) palestinese a organizzare una manifestazione di massa a Londra.574 Eva Mond, moglie del marchese di Reading, presidente della sezione inglese del WJC, si scrollò di dosso quel “fastidio”: “Non fateci scivolare nelle abitudini degli ebrei del continente”, affermò il 23 maggio, quando i treni della morte stavano ancora sferragliando.575

“Egli fu d’accordo a collaborare per dissuadere gli ebrei dal resistere alla deportazione”

La distruzione degli ebrei ungheresi ebbe luogo in una fase in cui la macchina nazista stava già dando molti segni di cedimento; essa iniziava a trattare con l’intelligence occidentale, un ruolo che sarebbe stato svolto dalla SD576. La bomba del conte Klaus von Stauffenberg il 20 luglio 1944577 esplose nel pieno della crisi ungherese, e quasi distrusse la struttura nazista. I tedeschi avevano invaso il paese perché sapevano che l’ammiraglio Milos Horty stava pianificando l’uscita dell’Ungheria dalla guerra. I paesi neutrali, sotto l’egida del War Refugee Board, protestarono contro le nuove stragi, e alcuni tentarono di estendere la protezione diplomatica ad alcuni ebrei. Fin dall’inizio Eichmann, che aveva la responsabilità della deportazione degli ebrei ungheresi, era preoccupato che la resistenza degli ebrei o i tentativi di fuga oltre il confine della Romania, che non era disposta a consegnare gli ebrei ai nazisti, potessero innescare contraccolpi politici e rallentare le operazioni.

Quando Eichmann andò per la prima volta a lavorare con von Mildenstein, il fervente filosionista gli diede Lo stato ebraico di Herzl. Egli lo apprezzò. Conosceva anche Die Zionistische Bewegung (Il movimento sionista) di Adolf Bohm e una volta, a Vienna, ne recitò appassionatamente un’intera pagina durante un incontro con alcuni leader ebraici, tra i quali l’imbarazzato Bohm. Aveva anche studiato l’ebraico per due anni e mezzo benché, ammetteva, non l’avesse mai parlato bene. Aveva avuto molti contatti coi sionisti prima della Seconda guerra mondiale. Nel 1937 aveva negoziato con un rappresentante dell’Haganah, Feivel Polkes, e ne era stato ospite in Palestina. Aveva anche stretti legami coi sionisti cechi. Ora, ancora una volta, avrebbe negoziato con i sionisti.

Nel 1953 il governo di Ben Gurion mandò a processo un anziano pubblicista, Malchiel Gruenwald, per avere diffamato Rezso Kasztner definendolo collaborazionista per i suoi contatti con Eichmann nel 1944. Il processo ebbe un certo seguito internazionale nel corso del 1954. Eichmann dovette averlo seguito attraverso la stampa, perché descrisse le sue relazioni con Kasztner in interviste registrate che recapitò a un giornalista nazista olandese, Willem Sassen, nel 1955, parte delle quali furono poi pubblicate in due articoli sulla rivista Life dopo la sua cattura nel 1960. Gruenwald aveva attaccato Kasztner per aver taciuto sulle menzogne dei tedeschi secondo le quali gli ebrei ungheresi erano stati non deportati ma soltanto trasferiti a Keynermezo. In cambio, gli fu permesso di organizzare un convoglio speciale, che alla fine divenne un treno per la Svizzera, con a bordo la sua famiglia e i suoi amici. Per di più, affermò Gruenwald, Kasztner poi protesse il colonnello SS Becher dall’impiccagione per crimini di guerra dichiarando che aveva fatto tutto il possibile per salvare la vita degli ebrei. Eichmann descrisse Kasztner come segue:

Questo dottor Kastner (nome inglesizzato di Kasztner, n.d.a.) era giovane in confronto a me, un cinico uomo di legge e fanatico sionista. Egli fu d’accordo a collaborare per dissuadere gli ebrei dal resistere alla deportazione (e anche per mantenere l’ordine nei campi di concentramento) se io avessi chiuso un occhio e avessi permesso a qualche centinaio o qualche migliaio di giovani ebrei di emigrare illegalmente in Palestina. Era un buon affare. Per mantenere ordine nei campi, il prezzo di 15 o 20 mila ebrei – alla fine forse furono di più – non era troppo alto per me. A parte forse i primi incontri, Kastner non venne mai con il timore per l’uomo della Gestapo. Noi negoziammo del tutto alla pari. La

574 Meir Sompolinsky, The Anglo-Jewish Leadership, the British Government and the Holocaust, 1977 575 ibidem 576 SicherheitsDienst, il servizio segreto delle SS. 577 Il 20 luglio 1944 alcuni politici e militari tedeschi della Wehrmacht tentarono di assassinare Adolf Hitler e di rovesciare

il governo del Reich (Operazione Valchiria). Il conte Klaus von Stauffenberg introdusse e fece esplodere una bomba

all’interno del quartier generale hitleriano a Rastenburg, nella Prussia Orientale, ma il Fuehrer fu solo lievemente ferito

dalla deflagrazione, che uccise tre ufficiali. La congiura fu poi stroncata.

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gente dimentica ciò. Eravamo avversari politici che provavano ad arrivare a un accordo, e ci intendevamo alla perfezione. Quando era con me, Kastner fumava sigarette come se fossimo in una caffetteria. Mentre parlavamo fumava una sigaretta aromatica dopo l’altra, prendendole da un portasigarette d’argento e accendendole con un piccolo accendino d’argento. Con la sua lucidità e il suo riserbo, sarebbe potuto essere un perfetto funzionario della Gestapo.

Lo scopo principale del dottor Kastner era far sì che un gruppo selezionato di ebrei ungheresi emigrasse in Israele…

Di fatto, c’era una somiglianza molto forte tra la nostra disciplina nelle SS e la mentalità di questi capi sionisti, profondamente idealisti, che combattevano quella che poteva essere l’ultima battaglia. Dissi a Kastner: “Anche noi siamo idealisti, e anche noi abbiamo dovuto sacrificare il nostro sangue prima di arrivare al potere”.

Credo che Kastner avrebbe sacrificato mille o centomila suoi consanguinei per raggiungere il suo obiettivo politico. Non era interessato agli ebrei anziani o a quelli assimilati nella società ungherese. Ma era incredibilmente insistente nel provare a salvare il sangue ebraico biologicamente utile – cioè, materiale umano capace di riprodursi e di lavorare duro. “Potete avere gli altri” mi diceva “ma lasciatemi questo gruppo”. E poiché Kastner mi rendeva un grande servigio aiutando a mantenere la pace nei campi di deportazione, io lasciai andare i suoi gruppi. Dopo tutto, piccoli gruppi di circa mille ebrei non erano fonte di preoccupazione.578

Andre Biss, cugino di Joel Brand, che lavorò con Kasztner a Budapest e lo aiutò nella sua

attività, cionondimeno confermò in parte le affermazioni di Eichmann nel suo libro, A Million Jews to Save, quando descrisse chi era a bordo del famoso treno che raggiunse la Svizzera il 6 dicembre 1944:

Quindi giunse il gruppo più numeroso, orgoglio di Kasztner – la gioventù sionista. Costoro erano membri di varie organizzazioni di pionieri agricoli, revisionisti dell’estrema “ala destra” che già possedevano certificati di immigrazione, e un certo numero di orfani…Infine venivano coloro che avevano potuto pagare per il viaggio, per i quali avevamo raccolto la somma che i tedeschi chiedevano. Ma di 1684 su quel treno, 300 al massimo erano di questa categoria…

La madre di Kasztner, i suoi fratelli, sorelle e altri membri della sua famiglia, provenienti da Klausenburg (Kluj), erano a bordo…I membri delle famiglie di coloro che avevano organizzato il convoglio erano al massimo un gruppo di 40 o 50 persone…Nella confusione che montava circa 380 persone riuscirono a saltare sul treno mentre lasciava Budapest, non con 1300 passeggeri come previsto, ma stracolmo di più di 1700 viaggiatori.579

Il partito laburista israeliano fece più di quanto ci si aspettava quando si espose in difesa di

Kasztner. Shmuel Tamir, un ex irgunista, brillante contro esaminatore, difendeva Gruenwald. Più tardi, nel 1961, Ben Hecht scrisse il suo libro, Perfidy, una notevole ricostruzione dello scandalo Kasztner, e riportò molte pagine della magistrale demolizione della difesa di Kasztner da parte di Tamir:

Tamir: Come spiega il fatto che la maggior parte delle persone da salvare provenivano da Kluj piuttosto che da altre città ungheresi? Kasztner: La cosa non dipese assolutamente da me Tamir: Le ricordo che lei chiese specificamente favori per la sua gente di Kluj ad Eichmann. Kasztner: Sì, lo feci. Kasztner: …Tutti i comitati di salvataggio locali erano sotto il mio controllo. Tamir: Comitati! Lei parla al plurale. Kasztner: Sì, dove esistevano. Tamir: Dove altro, a parte Kluj, vi era un comitato?

578 Life, 5 dicembre 1960, p. 146 579 Andre Biss, A Million Jews to Save, 1973

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Kasztner: Beh, penso che il comitato di Kluj fosse il solo in Ungheria. Tamir: Dottor Kasztner, avrebbe potuto telefonare alle altre città, così come telefonò a Kluj? Kasztner: Certo, è vero. Tamir: Allora perché lei non contattò al telefono gli ebrei di tutte queste città per avvisarli? Kasztner: Non lo feci perché non ne ebbi il tempo.580

C’erano 20mila ebrei a Kluj e solo un limitato numero di posti su quel treno. Il giudice Benjamin

Halevi iniziò a incalzare Kasztner ed egli rivelò i suoi criteri per scegliere chi salvare:

Kasztner:…I testimoni di Kluj che hanno deposto qui – a mio parere – non penso che rappresentino i veri ebrei di Kluj. Non è una coincidenza che non vi sia una sola figura importante tra loro.

Levi Blum, anche lui di Kluj, era stato presente a un pranzo con Kasztner nel 1948, che era stato

organizzato dai passeggeri del treno; aveva colto quell’occasione per alzarsi improvvisamente e accusare l’ospite d’onore di essere un collaborazionista e sfidandolo a portare lui, il suo accusatore, in tribunale:

Blum:…Gli chiesi: Perché distribuiste cartoline scritte da ebrei che si credeva fossero a Keynermezo?” Qualcuno gridò “Fu fatto da Kohani, uno degli uomini di Kasztner”. Anche Kohani era nel salone. Saltò su e gridò “Sì ho mandato quelle cartoline” Gli chiesi “Da dove venivano?” Rispose “Non è affar suo. Non devo dare a voi le spiegazioni di quello che faccio. Judge Halevi: Tutto ciò accadde in pubblico? Blum: Sì, c’erano alcune centinaia di persone.

Kasztner fu anche implicato nella vicenda di Hannah Szenes, come emerse al processo. La

Szenes era una giovane e coraggiosa sionista ungherese, che gli inglesi si decisero a paracadutare insieme a 31 compagni nell’Europa occupata per organizzare il salvataggio e la resistenza degli ebrei. Atterrò in Jugoslavia il 18 marzo, un giorno prima dell’invasione tedesca dell’Ungheria; ritornò clandestinamente in Ungheria in giugno e fu subito catturata dalla polizia di Horthy. Peretz Goldstein e Joel Nussbecher-Palgi, due suoi compagni, contattarono Kasztner, che li ingannò, consegnandoli entrambi ai tedeschi e agli ungheresi per salvare il suo treno. Entrambi vennero inviati ad Auschwitz, anche se Nussbecher-Palgi riuscì a segare le sbarre del treno e a scappare.581 La Szenes fu fucilata da un plotone d’esecuzione ungherese. Kasztner ammise davanti alla corte di non aver avvisato gli svizzeri, che rappresentavano gli interessi britannici a Budapest, della cattura di un’ufficiale e spia inglese da parte degli ungheresi (“Pensai di avere le mie ragioni”), e questo indignò il pubblico israeliano, che aveva letto le poesie della giovane e appreso del suo coraggio nelle prigioni ungheresi.582

“Dobbiamo dunque essere chiamati traditori?”

Il 21 giugno 1955 il giudice Halevi rilevò che non c’era stata diffamazione di Kasztner, a parte il fatto che egli non era motivato da considerazioni relative al guadagno economico. La sua collaborazione aveva principalmente appoggiato i nazisti nell’uccisione di 450.000 ebrei e, dopo la guerra, aveva aggravato la sua colpa venendo in difesa di Becher.

La protezione nazista verso Kastner, e il loro accordo nel lasciare che egli salvasse seicento ebrei selezionati, erano parte del piano di sterminio degli ebrei. Kastner aveva una possibilità di diminuire di poco quel numero. L’esca lo attirò. L’opportunità di salvare

580 Ben Hecht, Perfidy, 1961 581 Alex Weissberg, Desperate Mission (La storia di Joel Brand), 1958. 582 Ben Hecht, Perfidy, 1961

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persone selezionate lo interessava molto. Considerò il salvataggio degli ebrei più importanti un grosso successo personale, e un successo per il sionismo.583

I governanti laburisti israeliani rimasero leali al loro compagno di partito e il caso andò in appello.

Il General Attorney (Avvocato dello Stato, n.d.t.) Chaim Cohen toccò il cuore della questione davanti alla Corte Suprema con questi argomenti:

Kastner non fece nulla più e nulla meno di ciò che noi facemmo nel salvare gli ebrei e portarli in Palestina…E’ concesso di rischiare di perdere i più per salvare una minoranza…E’ sempre stata nostra tradizione sionista selezionare una minoranza tra molti nel gestire l’immigrazione in Palestina. Dobbiamo quindi essere chiamati traditori?

Cohen ammesse tranquillamente che:

Eichmann il capo sterminatore, sapeva che gli ebrei non avrebbero reagito né resistito se

avesse lasciato andare via quei piccoli gruppi di prescelti tra loro, tanto che il “treno dei prescelti” fu organizzato per ordine di Eichmann per facilitare lo sterminio dell’intero popolo. E aggiunse:

Non c’era possibilità di alcuna resistenza ai tedeschi in Ungheria e quindi Kastner fu spinto alla conclusione che se tutti gli ebrei di Ungheria dovevano essere mandati a morte, egli aveva il diritto di organizzare un treno per la salvezza di 600 persone. Egli era legittimato a farlo, e dovette agire di conseguenza.584

Il 3 marzo del 1957 Kasztner fu ucciso a colpi di pistola. Zeev Eckstein fu condannato per

l’omicidio, e Joseph Menkes e Dan Shemer furono giudicati colpevoli di complicità in base a una confessione di Eckstein. L’assassino affermò di essere un agente governativo che aveva infiltrato un gruppo terroristico di estrema destra guidato da Israel Sheib (Eldad), un noto estremista di destra585. Ma la vicenda non si concluse con la morte di Kasztner. Il 17 gennaio 1958 la Corte Suprema emise la sentenza sul caso Kasztner – Gruenwald.

La Corte stabilì, per cinque voti a zero, che Kasztner era colpevole di spergiuro per l’aiuto al colonnello Becher. Quindi decise, per tre voti a due, che quello che aveva fatto durante la guerra non poteva essere a ragione considerato collaborazionismo. L’argomento più forte della maggioranza fu espresso dal giudice Shlomo Chesin:

Egli non avvisò gli ebrei ungheresi del pericolo che avevano di fronte perché non pensava che fosse utile, e perché pensava che qualunque decisione fosse uscita delle informazioni ricevute avrebbe provocato più danno che aiuto…Kastner parlò dettagliatamente della situazione, dicendo: “L’ebreo ungherese era un ramo già da tempo seccatosi sull’albero”. Questa vivida descrizione coincide con la deposizione di un altro testimone sugli ebrei ungheresi: “Quella ungherese era una grande comunità ebraica, ma senza un’ossatura ideologica ebraica”…la questione non è se un uomo possa ucciderne molti per salvarne pochi, o viceversa. La questione è tutta su un altro piano e potrebbe essere posta come segue: un uomo è conscio che un’intera comunità è condannata. Gli è permesso di tentare di salvarne pochi, anche se parte di questi tentativi consistono nel nascondere la verità ai più? O dovrebbe svelare la verità ai più, anche se a suo parere in questo modo tutti quanti periranno? Perso che la risposta sia chiara. Quale beneficio può portare il sacrificio di pochi, se tutti sono destinati a perire?586

Buona parte dell’opinione pubblica israeliana rifiutò di accettare il nuovo verdetto. Se Kasztner

fosse stato vivo, il governo sarebbe stato in difficoltà. Non solo egli aveva commesso spergiuro per Becher ma, tra il processo e la decisone della Corte Suprema, Tamir aveva scoperto prove di

583 ibidem 584 ibidem 585 Middle East and the West, 31 gennaio 1958, p. 3 586 Ben Hecht, Perfidy, 1961

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un’ulteriore intervento di Kasztner nel caso del colonnello nazista Hermann Krumey. A costui, imputato al processo di Norimberga, Kasztner aveva inviato una deposizione scritta che diceva: “Krumey commise le sue colpe in un lodevole spirito di buona volontà, in un momento in cui la vita e la morte di molti dipendevano da lui”587.

Successivamente, negli anni ’60, durante il processo ad Eichmann, Andre Biss si offrì di testimoniare. A causa del suo coinvolgimento con Kasztner egli aveva avuto più contatti con Eichmann di ogni altro testimone ebraico – 90 su 102 non l’avevano mai visto – e sembrava che la sua testimonianza sarebbe stata importante. Fu fissata una data ma poi il pubblico ministero, Gideon Hausner, scoprì che Biss intendeva difendere l’attività di Kasztner. Hausner sapeva che, nonostante la decisione della Corte Suprema, se Biss avesse provato a difendere Kasztner ci sarebbe stato grande clamore. Hausner sapeva, dalle interviste registrate di Eichmann e inviate a Sassen, come Eichmann poteva coinvolgere Kasztner. Israele aveva acquisito grande prestigio dalla cattura di Eichmann e il governo non voleva che l’attenzione sul processo si spostasse da Eichmann verso una rivisitazione della condotta dei sionisti durante l’Olocausto. Secondo quanto riferisce Biss, Hausner “mi chiese di omettere dalla mia testimonianza ogni riferimento a quanto facemmo a Budapest, e specialmente di passare sotto silenzio tutto quello che in Israele era noto come “l’affare Kasztner”588. Biss rifiutò, e fu cancellato dalla lista dei testimoni.

Chi aiutò a uccidere 450.000 ebrei?

Se un sionista tradì gli ebrei non significa che ciò accada sistematicamente; un movimento non è responsabile delle azioni dei suoi rinnegati. Tuttavia, Kasztner non fu mai considerato un traditore dai sionisti laburisti. Al contrario essi insistettero nel dire che se lui era colpevole, lo erano anche loro. Certamente Kasztner tradì gli ebrei, che lo vedevano come uno dei loro leader, a dispetto dell’opinione del giudice Chesin:

Non c’è nessun giudizio, nazionale o internazionale, che possa assolvere un dirigente dalle sue colpe, in un momento tragico, nei confronti di coloro che riconoscono la sua leadership e sono sotto le sue direttive.589

In sintesi, il più importante aspetto della vicenda Kasztner-Gruenwald è la sua chiara

esemplificazione della filosofia del lavoro dell’Organizzazione Sionista Mondiale durante tutta l’epoca nazista: la giustificazione del tradimento dei più nell’interesse di un’immigrazione selezionata verso la Palestina.

587 ibidem 588 Andre Biss, A Million Jews to Save, 1973 589 Ben Hecht, Perfidy, 1961

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26. LA BANDA STERN

Fino alla vittoria elettorale di Begin del 1977, la maggior parte degli storici filosionisti hanno

ridotto il revisionismo al rango di frangia estremista del sionismo; certamente la iper-estremista Banda Stern, come i suoi nemici chiamavano i Combattenti per la Libertà di Israele di Avraham Stern, erano guardati con più interesse dagli psichiatri che dagli studiosi di politica. Ma l’opinione nei confronti di Begin dovette cambiare quando egli arrivò al potere, e la nomina di Yitzhak Shamir a ministro degli esteri fu accettata senza rumore, sebbene Shamir fosse stato comandante operativo della Banda Stern.

“Lo stato ebraico storico su base nazionalista e totalitaria”

La notte tra il 31 agosto e il 1 settembre 1939 l’intero stato maggiore dell’Irgun, compreso Stern, fu arrestato dal CID inglese. Quando fu risasciato, nel giugno 1940, Stern formò una corrente politica completamente nuova. Jabotinsky aveva sospeso le operazioni militari contro gli inglesi per tutta la durata della guerra. Anche Stern era dell’idea di allearsi con gli inglesi allorquando Londra avesse riconosciuto la sovranità di uno stato ebraico su entrambe le rive del Giordano; ma nell’attesa la lotta contro gli inglesi doveva proseguire. Jabotinsky sapeva che nulla avrebbe indotto gli inglesi a concedere uno stato ebraico nel 1940, e vedeva la creazione di una nuova legione ebraica entro l’esercito inglese come l’obiettivo principale. Le due posizioni erano inconciliabili e nel settembre 1940 l’Irgun si divise: la maggioranza dei comandanti e dei membri di base seguirono Stern fuori dal movimento revisionista.

All’inizio il nuovo gruppo fu al massimo della propria espansione in quanto, come le posizioni di Stern si fecero più chiare, molti militanti iniziarono a fare ritorno nell’Irgun o si unirono all’esercito inglese. Stern, o “Yair”, come si faceva chiamare (da Eleazer ben Yair, il comandante di Masada durante la rivolta contro i romani), iniziò a definire i propri obiettivi. I suoi diciotto principi includevano uno stato ebraico con i confini corrispondenti a quanto scritto nella Genesi, 15:18 (“dal rivo d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate”); un “cambio di popolazione”, eufemismo per indicare l’espulsione degli arabi; e infine la costruzione del Terzo Tempio di Gerusalemme590. Il gruppo di Stern rappresentava la netta maggioranza dell’ala militare del revisionismo ma non era affatto rappresentativo degli ebrei medio-borghesi di Palestina che avevano voltato le spalle a Jabotinsky. Ancor meno attraente per i sionisti tradizionali era l’invito a costruire un nuovo tempio.

La guerra e le sue conseguenze erano nella mente di ognuno e la Banda Stern iniziò a spiegare la sua singolare posizione in una serie di trasmissioni radio clandestine:

C’è differenza tra un persecutore e un nemico. I persecutori si sono accaniti su Israele in tutte le generazioni e i periodi della nostra diaspora, da Amàn591 a Hitler…L’origine di tutte le nostre disgrazie è il nostro essere in esilio, e l’assenza di una patria e di uno stato. Dunque, il nostro nemico è lo straniero, colui che governa il nostro paese e impedisce il ritorno del nostro popolo. Il nemico sono gli inglesi, che hanno conquistato il paese col nostro aiuto e sono rimasti qui alla nostra partenza, e ci hanno tradito gettando i nostri fratelli in Europa nelle mani del persecutore592.

Stern rinunciò a qualunque idea di lotta contro Hitler e iniziò anche a ipotizzare di mandare un

gruppo di guerriglieri in India in appoggio ai nazionalisti contro gli inglesi593. Egli attaccava i revisionisti perché incoraggiavano gli ebrei a unirsi all’esercito inglese, dove sarebbero stati trattati come truppe coloniali, anche “al punto da non poter usare le docce riservate ai soldati europei”594.

590 Geula Cohen, Woman of Violence: Memoirs of a Young Terrorist, 1943-1948, 1966 591 Amàn era il potente consigliere del Re degli Assiri, che secondo la Bibbia tramò per sterminare il popolo ebraico. 592 American Zionist, febbraio 1972, p. 32-33 593 In AA.VV., Germany and the Middle East, 1835–1939, 1975 594 Zionews, 27 marzo 1942, p. 11

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Il chiodo fisso di Stern, ovvero che la sola soluzione alla catastrofe ebraica in Europa fosse la fine del dominio inglese sulla Palestina, aveva una logica conseguenza. Poiché l’Inghilterra non poteva essere sconfitta dalle scarse forze sioniste, essi si rivolsero ai loro nemici. Entrarono in contatto con un agente italiano a Gerusalemme, un ebreo che lavorava per la polizia inglese, e nel settembre 1940 stipularono un accordo in base al quale Mussolini avrebbe riconosciuto uno stato sionista in cambio di una collaborazione fra gli sternisti e l’esercito italiano in caso di invasione della Palestina. Quanto questi colloqui fossero presi sul serio da entrambe le parti, è oggetto di dibattito. Stern temeva che l’accordo fosse parte di una provocazione inglese595. Per precauzione Stern inviò Naftali Lubentschik a Beirut, che era sotto il controllo della Francia di Vichy, per negoziare direttamente con l’Asse. Nulla è noto dei suoi accordi con Vichy o con gli italiani, ma nel gennaio 1941 Lubentschik incontrò due tedeschi – Rudolf Rosen e Otto von Hentig, il filosionista, allora a capo del Dipartimento orientale del Ministero degli esteri tedesco. Dopo la guerra una copia della proposta di Stern per un’alleanza tra il suo movimento e il Terzo Reich fu scoperta tra i documenti dell’ambasciata tedesca in Turchia. Il documento di Ankara era intitolato “Proposta dell’Organizzazione Nazionale Militare (Irgun Zvei Leumi) di una soluzione della questione ebraica in Europa e di partecipazione della NMO alla guerra al fianco della Germania”. Il documento è datato 11 gennaio 1941. All’epoca gli sternisti si riferivano a se stessi come al “vero” Irgun, e fu soltanto dopo che adottarono il nome di Fighters for the Freedom of Israel (Lohamei Herut Yisrael). In esso il gruppo di Stern diceva ai nazisti:

L’evacuazione delle masse ebraiche dall’Europa è una precondizione per la soluzione della questione ebraica; ma ciò può essere possibile soltanto attraverso la collocazione di queste masse nella patria del popolo ebraico, la Palestina, e attraverso l’istituzione di uno stato ebraico entro i suoi confini storici…

La NMO, che conosce bene la disponibilità del governo del Reich tedesco e dei suoi organismi verso l’attività sionista all’interno della Germania e verso i piani sionisti di emigrazione, è dell’opinione che:

1.Vi possono essere interessi comuni tra l’istituzione di un Nuovo Ordine in Europa, in conformità con la concezione tedesca, e le sincere aspirazioni nazionali del popolo ebraico per come sono rappresentate dalla NMO.

2. E’ possibile la cooperazione tra la nuova Germania e un nuovo ebraismo di stampo nazional-popolare.

3. L’istituzione di uno stato ebraico storico su base nazionale e totalitaria, vincolata da un trattato con il Reich tedesco, è nell’interesse di una futura, consolidata e forte posizione di potere della Germania nel Vicino Oriente.

In base a tali considerazioni la NMO in Palestina, a condizione che le succitate aspirazioni nazionali del movimento israeliano di liberazione siano riconosciute da parte del Reich tedesco, si offre di prendere parte attivamente alla guerra a fianco della Germania.

Questa offerta della NMO…sarebbe collegata all’addestramento e inquadramento militare del popolo ebraico in Europa, sotto il comando della NMO. Queste unità militari prenderebbero parte alla battaglia per la conquista della Palestina, qualora venisse aperto un tale fronte.

La partecipazione indiretta del movimento israeliano di liberazione al Nuovo Ordine in Europa, fin dalla fase preliminare, sarebbe legata a una soluzione positiva e radicale del problema ebraico europeo, in conformità con le succitate aspirazioni nazionali del popolo ebraico. Ciò rafforzerebbe straordinariamente le basi morali del Nuovo Ordine agli occhi di tutta l’umanità.

Gli sternisti ribadivano poi: “La NMO è molto vicina ai movimenti totalitari in Europa nella sua

ideologia e nella sua struttura”596. Lubentschik disse a von Hentig che se i nazisti non avessero voluto istituire subito uno stato

sionista in Palestina, gli sternisti sarebbero stati disponibili a lavorare temporaneamente intorno al “Piano Madagascar”. L’idea di colonie ebraiche sull’isola africana era una delle più esotiche concezioni degli antisemiti europei prima della guerra, e con la sconfitta della Francia nel 1940 i tedeschi vi ritornarono come parte del progetto di un impero tedesco in Africa. Stern e il suo

595 Intervista dell’autore a Baruch Nadel, 17 febbraio 1981 596 In AA.VV., The Palestine Problem in German Politics, 1889 – 1945, 1974

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movimento avevano discusso il progetto nazista in Madagascar e avevano concluso che poteva essere appoggiato, proprio come Herzl inizialmente aveva seguito l’offerta inglese, nel 1903, di una colonia ebraica provvisoria nelle Highlands del Kenya.597

Nessun tedesco seguì queste incredibili proposte, ma gli sternisti non persero la speranza. Nel dicembre 1941, dopo che gli inglesi avevano preso il Libano, Stern mandò Nathan Yalin-Mor per provare a prendere contatto coi nazisti nella neutrale Turchia, ma questi fu arrestato durante il tragitto. Non vi furono altri tentativi di contattare i nazisti.

Comunque il piano di Stern non era realistico. Uno dei fondamenti dell’alleanza italo-tedesca era che la costa del Mediterraneo orientale fosse inclusa nella sfera d’influenza italiana. Inoltre, il 21 novembre 1941 Hitler incontrò il Mufti e gli disse che, sebbene la Germania non potesse parlare apertamente di indipendenza di ciascun possedimento arabo degli inglesi e dei francesi (anche per non contrastare il governo di Vichy che ancora controllava il Nord Africa), quando i tedeschi avessero oltrepassato il Caucaso sarebbero rapidamente scesi verso la Palestina, distruggendo gli insediamenti sionisti.

Vi era più sostanza nell’autorappresentazione di Stern come un totalitario. Alla fine degli anni ’30 Stern divenne uno dei catalizzatori dei revisionisti delusi, che vedevano Jabotinsky come un liberale, con troppe remore morali verso l’attività terroristica dell’Irgun contro gli arabi. Stern pensava che l’unica salvezza per gli ebrei fosse di produrre la loro propria forma di totalitarismo e di rompere una buona volta con l’Inghilterra che, in ogni caso, con il Libro Bianco del 1939 aveva abbandonato il sionismo. Aveva visto la WZO fare i propri accordi coi nazisti con l’Ha’avara; aveva visto Jabotinsky dialogare con l’Italia; ed egli personalmente era stato profondamente coinvolto nei negoziati dei revisionisti con gli antisemiti polacchi. Tuttavia Stern pensava che tutte queste fossero solo mezze misure.

Stern era uno dei revisionisti che pensavano che i sionisti e gli ebrei avessero tradito Mussolini, e non il contrario. Il sionismo avrebbe dovuto mostrare all’Asse di voler fare sul serio, entrando direttamente in un conflitto militare contro gli inglesi, cosicchè i totalitari vedessero un potenziale vantaggio militare in un’alleanza col sionismo. Per vincere, sosteneva Stern, sarebbe stato necessario allearsi con i fascisti e i nazisti insieme: non si poteva fare intese con Petljura o Mussolini e poi voltare le spalle a Hitler.

Yitzhak Yzertinsky (rabbi Shamir, per usare il suo nome di battaglia clandestino), ora Primo ministro di Israele598, seppe che il suo movimento aveva proposto un’alleanza con Hitler? In anni recenti le attività della Banda Stern durante la guerra sono state ricostruite da uno dei giovani che si unì ad essa nel dopoguerra, quando non era più filonazista. Baruch Nadel è assolutamente certo che Yzertinsky-Shamir era del tutto al corrente del piano di Stern: “Tutti loro lo conoscevano”599.

Quando Shamir fu nominato Ministro degli esteri, l’opinione pubblica mondiale si concentrò sul fatto che Begin avesse scelto l’organizzatore di due celebri omicidi: quello di Lord Moyne, Alto Commissario inglese per il Medio Oriente il 6 novembre 1944; e quello del conte Folke Bernadotte, inviato speciale dell’ONU per la Palestina, il 17 settembre 1948. La preoccupazione per il suo passato terroristico fu usata per oscurare l’ancor più grottesca idea che un potenziale alleato di Adolf Hitler potesse assurgere alla guida dello stato sionista. Quando Begin nominò Shamir, e onorò Stern facendo emettere francobolli con il suo ritratto, lo fece ben conoscendo tutto il loro passato. Ciò non può essere prova migliore del fatto che l’eredità della collusione coi fascisti e coi nazisti, e la filosofia che vi è sottesa, conducono all’Israele contemporaneo.

597 In AA.VV., Germany and the Middle East, 1835–1939, 1975 598 Nel 1983. Shamir fu premier fino al 1984 e poi dal 1986 al 1992. 599 Intervista a Baruch Nadel

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principali organizzazioni ebraiche e sioniste

Agudas Israel. Unione di Israele, movimento di ebrei ortodossi, antisionisti.

American Jewish Committee. Ebrei americani, conservatori e assimilazionisti.

American Jewish Congress. Ebrei americani, guidato dai sionisti e in particolare dal rabbino Stephen Wise.

Betar. Movimento giovanile revisionista, filofascista.

Board of Deputies of British Jews. Ufficio dei Deputati ebrei al parlamento inglese.

Brit HaBiryonim. Unione dei Terroristi, organismo paramilitare revisionista in Palestina.

Brit Hashomrim. Unione delle Sentinelle, gruppo revisionista in Germania.

Bund. Unione Generale dei Lavoratori Ebrei, ebrei socialisti russi e polacchi, antisionisti.

Haganah. La Difesa, milizia sionista fondata da Jabotinsky e successivamente controllata in Palestina dai

sionisti laburisti, embrione del futuro esercito israeliano.

Hashomer Hatzair. Giovani Sentinelle, movimento giovanile sionista di sinistra.

HeChalutz. I Pionieri, movimento giovanile dei sionisti laburisti.

Histadrut. Associazione dei lavoratori ebrei in Palestina.

Irgun Zvei Leumi. Organizzazione Nazionale Militare (NMO), milizia revisionista.

Jewish Agency. Agenzia Ebraica, di fatto la sezione dell’Organizzazione Sionista Mondiale in Palestina.

Jewish Fighting Organization. Organizzazione Ebraica di Combattimento, organismo di autodifesa degli ebrei

nel Ghetto di Varsavia, composto da sionisti di sinistra, bundisti e comunisti.

Lohamei Herut Israel. Combattenti per la Libertà di Israele, detti Banda Stern, paramilitari revisionisti.

New Zionist Organization (NZO). Nuova Organizzazione Sionista internazionale, fondata nel 1935 dai

revisionisti fuoriusciti dalla WZO

Non-Sectarian Anti-Nazi League. Fondata da alcuni ebrei americani per il boicottaggio della Germania nazista.

Poale Zion. Lavoratori di Sion, Associazione dei lavoratori sionisti.

World Jewish Congress. Congresso Mondiale Ebraico, organismo mondiale per la difesa degli ebrei; filo

sionista.

World Zionist Organization (WZO). Organizzazione Sionista Mondiale, fondata nel 1897, dagli anni ’20 vide

al suo interno una corrente centrista (generale), una di “sinistra” (laburista) e una di “destra” (revisionista).

Quest’ultima si staccò nel 1933 e rientrò nel 1946.

ZentralVerein (ZV). Unione degli ebrei tedeschi, assimilazionista.

Zionistische Vereinigung fur Deutschland (ZVD). Federazione Sionista Tedesca.