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LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM Corso di Laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità MILANO L’arte di raccontare. L’evoluzione dello Storytelling, il suo utilizzo nella pubblicità e la case history HBO Docente che ha assegnato l’argomento della prova finale Chiar.mo Prof. Guido Cornara Prova finale di: Francesca Luglio Matr. N. 1003684 Anno Accademico 2011 / 2012

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LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE

IULM

Corso di Laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità

MILANO

L’arte di raccontare.

L’evoluzione dello Storytelling, il suo utilizzo

nella pubblicità e la case history HBO

Docente che ha assegnato l’argomento della prova finale

Chiar.mo Prof. Guido Cornara

Prova finale di:

Francesca Luglio

Matr. N. 1003684

Anno Accademico 2011 / 2012

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L’arte di raccontare.

L’evoluzione dello storytelling, il suo utilizzo nella pubblicità e la case

history HBO.

Introduzione: Come nascono le storie?.…………………………………………….5

1 Storia dello Storytelling. C’era una volta un cantastorie

1.1 L’uomo dall’oralità alla scrittura.……………………………………..7

1.2 La narrazione e i mille modi di raccontare una storia.………….....9

1.3 Gli studi che hanno portato dalla narrazione allo Storytelling.….11

2 L’evoluzione dello Storytelling dagli anni Novanta a Oggi

2.1 Il boom degli anni Novanta…………………………………………15

2.2 Ogni marchio crea la sua storia…………………………………….18

2.3Due casi famosi di Storytelling

2.2.1 La Apple…………………………………………………..22

2.2.2 La Campagna Politica di Obama………………………31

3 Una televisione differente: la case history HBO

3.1 La nascita di una TV che non si definisce tale…………………...37

3.2 Le serie che hanno reso HBO una garanzia di qualità………….40

3.3 There are stories and there are HBO stories……………………..46

3.3.1 Sinossi……………………………………………………48

3.4 Conclusione……………………………………………....................63

Ringraziamenti………………………………………………………………65

Bibliografia…………………………………………………………………...67

Sitografia……………………………………………………………………..69

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Introduzione: Come nascono le storie?

Due persone, la voglia di conoscersi, di scambiarsi esperienze, pezzi di vita:

così nascono le storie.

Fin dalle origini l’uomo sente la necessità di raccontarsi e di tramandare ciò che

gli viene raccontato, come se si sentisse responsabile di un’eventuale

scomparsa del passato. Col tempo sono nati i cantastorie che andavano in giro

per le città a raccontare storie, a volte vere a volte inventate, a seconda

dell’occasione, del pubblico e dello scopo che si voleva raggiungere. I

cantastorie erano ciò che ora sono i giornali, la televisione e gli scrittori, perché

infondo non fanno altro che raccontarci storie più o meno vere in maniera più

realistica e convincente, forse, sulla vita e sul mondo che ci circonda.

Da piccoli ci vengono raccontate delle favole che ai nostri genitori raccontavano

da piccoli i nostri nonni, che i nostri nonni avevano imparato dai nostri bisnonni

e così via; queste favole sono insegnamenti per il nostro futuro. Cappuccetto

Rosso ci insegna che non dobbiamo parlare o fidarci degli sconosciuti,

Cenerentola che dobbiamo inseguire i nostri desideri per essere felici, Aladdin

che è più importante la ricchezza interiore di quella materiale e Pinocchio che

non dobbiamo dire le bugie. Per non parlare dei miti, delle leggende e delle

religioni, perché nonostante tutto anche la Bibbia e il Corano sono soltanto una

raccolta di storie, storie che ci devono ispirare e guidare nella vita e alle quali ci

viene chiesto di credere ciecamente. Alla fine di tutto, quindi, ogni storia che ci

viene raccontata e che raccontiamo è programmata per scatenare una

determinata reazione nell’ascoltatore.

È da qui che nasce il mio interesse nello Storytelling, che mi ha portata a

scrivere questa tesi. Lo Storytelling o, in Italiano, il Narrare è il modo più

semplice che abbiamo per raccontare noi stessi, per spiegare qualcosa che

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abbia un determinato fine, una morale. Per molti studiosi e specialisti del settore

lo Storytelling è un modo subdolo di arrivare a parlarci di un prodotto; per altri, e

anche per me, è il modo più ingenuo e sincero che abbiamo per comunicare. La

mia tesi, dunque, partirà da questo punto di vista differente e si articolerà in tre

capitoli. Il primo verterà principalmente sulla storia dello Storytelling e sulla sua

evoluzione di pari passo a quella dell’uomo. Il secondo sarà incentrato sullo

sviluppo dello Storytelling nella pubblicità e nel marketing dal boom degli anni

‘80-‘90 a oggi, con vari esempi di campagne pubblicitarie a confermare il potere

del raccontare una storia. Nel terzo capitolo mi concentrerò sulla case-history

HBO e sulla sua campagna pubblicitaria “there are stories and there are HBO’s

stories”, farò un’analisi della campagna nel dettaglio, dei vari sentimenti che va

a toccare con le storie che racconta e di come essa funzioni sul pubblico. Infine,

nella conclusione, spiegherò come la campagna HBO sia un esempio lampante

di Storytelling.

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1 Storia dello Storytelling. C’era una volta un Cantastorie.

1.1 L’uomo dall’oralità alla scrittura

L’uomo può essere definito un “animale narrante”1 sia che racconti a voce una

storia sia che la scriva. Il primo passo per analizzare l’evoluzione dello

Storytelling, più in generale della narrativa, avvenuta nel corso della storia è

spiegare il passaggio tra oralità e scrittura. A questo proposito è necessario

citare il lavoro fatto da Walter Jackson Ong2, il quale distingue tra due tipi di

culture: quelle a “oralità primaria” e quelle basate sulla scrittura. La differenza

basilare sta nel fatto che l’oralità è una caratteristica intrinseca del linguaggio e

della natura umana, mentre la scrittura è una vera e propria tecnologia. Le

conseguenze maggiormente rilevanti sono che le culture a “oralità primaria”

sono estremamente vincolate dai limiti della memoria, invece con la scrittura

vengono superate la variabilità e la non permanenza dell’oralità e nascono le

culture chirografiche. La scrittura è dunque vista come la tecnologia più

importante nella storia dell’umanità poiché «Senza la scrittura un individuo

alfabetizzato non saprebbe e non potrebbe pensare nel modo in cui lo fa»

(Walter J. Ong, 1986). La scrittura raggiunge il suo massimo con l’invenzione

della stampa, primo mezzo di massa per la diffusione della conoscenza e della

narrativa. Con l’avvento di nuove tecnologie come la radio, il cinema, la

1 Andrea Fontana, Manuale di Storytelling. Raccontare con efficacia prodotti, marchi e identità di

impresa, Etas, 2009, p.3. 22

Walter Jackson Ong (1912-2003) era un prete americano, professore di letteratura Inglese, filosofo e storico, il cui maggiore interesse era lo studio di come il passaggio dall’oralità alla scrittura influenzava la cultura e i cambiamenti nella coscienza umana. Nel 1982 scrisse Orality and Literacy: The Technologizing of the Word.

La narrazione è comunicazione

d’esperienza che allo stesso

tempo è anche comunicazione di

senso. Ma di quale senso? Il

senso della nostra stessa vita.

D’Ambrosio Angelillo

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televisione e il computer si arriva a quella che Ong chiama “oralità secondaria”.

Vi è quindi un ritorno a un mondo orale mediato però tramite l’esperienza

alfabetica precedente. La nuova oralità si differenzia dalla vecchia per la vastità

di pubblico che riesce a raggiungere. In questo processo di ri-mediazione la

scrittura e l’oralità acquisiscono una le caratteristiche dell’altra ed entrambe

vengono utilizzate dalle nuove tecnologie a seconda delle necessità e degli

scopi che si vogliono raggiungere. La narrazione dunque, ha subito diversi

cambiamenti. Quando le storie erano orali, la narrazione includeva sia il

narratore che l’ascoltatore. Era il narratore in persona che creava l’esperienza

di ascolto mentre gli altri recepivano il messaggio ed elaboravano delle

immagini proprie basandosi sulle parole ascoltate e sui gesti del narratore. Con

l’avvento della scrittura questo legame si spezzò; il racconto veniva prima

elaborato e solo successivamente letto e quindi appreso. Oggi invece, con la

nascita di nuovi media e, come affermato prima, con l’avvicinamento tra

scrittura e oralità, le storie sono diventate multimediali e cross mediali. Ovunque

volgiamo la nostra attenzione troviamo narrazioni visive, musicali, iper-testuali e

aziende che ci chiedono di raccontarci e cercano di coinvolgerci nella

costruzione dei prodotti che pensano per noi. Prima le aziende e il consumatore

erano distaccati, l’una creava la pubblicità accattivante per convincere l’altro ad

acquistare il proprio prodotto; ora invece con la convergenza di tutti i media il

consumatore diventa prosumer, cioè produce e consuma i prodotti. In questo

scenario, dove il consumatore sembra non avere più bisogno della pubblicità e

di chi gli dice cosa e come deve comprare, i pubblicitari per ristabilire un

equilibrio e per tornare a una divisione tra produttore e consumatore decidono

di tornare alle nostre origini, e come faceva il cantastorie ci raccontano una

storia credibile, giocando non più sul sedurre e convincere, ma sul produrre un

effetto di credenza.

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1.2 La narrazione e i mille modi di raccontare una storia

La narrazione è un atto comunicativo che assume forme diverse in base a ciò

che racconta e a seconda del mezzo che si sceglie. Si possono raccontare

storie, fiabe, romanzi, novelle, gossip, etc. attraverso un film, un fumetto, una

mail, un fotoromanzo, un ciclo di affreschi, la radio, l’esperienza teatrale e via

dicendo (Umberto Eco, 2000). Una storia può essere raccontata in diversi modi

e in base a come si sceglie di narrarla essa assume sfumature diverse. Nella

narrazione cinematografica e televisiva, ad esempio, la scelta del montaggio è

fondamentale per la resa della narrazione. Svariati esempi a sostegno di questa

affermazione si possono trovare su YouTube dove alcuni trailer di film celebri

sono stati rifatti usando le stesse immagini, montandole però in modo diverso e

ribaltando il senso originario, creando così un “metaverso filmico” in cui gli

stessi elementi (scene, musica, grafica), secondo un giochino del tutto simile al

quasi secolare “effetto Kulešov”3, assumono una valenza narrativa opposta:

The Shining (Shining, 1980) di Stanley Kubrick diventa la storia di una

famigliola felice in vacanza, mentre Mary Poppins (Id., 1964) di Robert

Stevenson un sinistro horror.4

Per costruire una narrazione di qualunque genere bisogna prima di tutto

chiedersi che storia si vuole raccontare e a chi. Il “chi” è fondamentale perché

già nel target a cui ci si vuole rivolgere risiedono molti indizi di una eventuale

storia da raccontare, anche se non si bisogna sempre delegare agli altri la

responsabilità di ciò che viene narrato. Le prime domande, quindi, che un

narratore si deve porre sono: di cosa voglio parlare? Quali azioni, ambienti,

personaggi, tempi, eventi devo prendere in considerazione?

3 L’effetto Kulešov consiste nell’accostamento di due inquadrature in sequenza attraverso l’uso della

stessa immagine neutra di partenza, generando sensi e associazioni differenti nella mente dello spettatore a seconda di ciò che è montato successivamente. Tale procedimento è stato sperimentato nei primi anni Venti da Lev Kulešov al VGIK, la scuola cinematografica di Mosca. 4 Serafino Murri, Liberazione dello sguardo e trasmigrazioni di identità. L’orizzonte espressivo del web

2.0, in Drammaturgie Multimediali, a cura di Gianni Canova, Edizioni Unicopli, 2009, Milano, p.26.

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Dopo aver risposto a queste domande si passa alla seconda cosa da fare

altrettanto importante, poiché da essa derivano l’esito e l’efficacia di un nostro

eventuale impatto comunicativo: considerare la storia in termini di discorso e

capire quali strutture usare per la trasmissione narrativa e quali media

scegliere. I livelli della trasmissione narrativa fondamentali sono:

La soggettività del narratore, che può essere autore, narratore e

personaggio all’interno della storia. Questi tre soggetti a volte coincidono

e altre sono distinti, ma in ogni caso sono sempre una costruzione

funzionale che non va confusa con l’autore reale della storia.

Gli atti di parola, quindi la scelta della trama e la conseguente

assegnazione di un genere, ma anche l’espressione gergale utilizzata

nella storia che ne caratterizza il luogo dove essa si svolge.

Il rapporto fra tempo della storia e tempo del discorso. Per tempo della

storia si intende quello dello svolgimento dei fatti nella realtà, la loro reale

durata, la loro sequenza cronologica. Il tempo del racconto si riferisce

invece alla distanza tra i fatti narrati e il momento in cui essi si narrano, e

l’ordine con cui essi vengono raccontati, rispettando quindi la loro

sequenza cronologica o utilizzando artifici come il flashback

(retrospezione) o il flashforward (anticipazione)

La scelta fisica dei media, cioè la decisione su che mezzo utilizzare per

raccontare una storia. Una storia può anche essere narrata su più

piattaforme (da libro a film), ma sarà sempre percepita in maniera

diversa in base al media scelto per narrarla.

È evidente come la narrazione sia parte della nostra vita da sempre e per quale

motivo essa sia stata studiata sin dall’antichità da filosofi, scienziati e anche

politici contemporanei che si sono dovuti confrontare con il problema e lo studio

della narrazione, non solo in quanto questione epistemologica, ma anche come

questione ontologica. La narrazione se è costruita correttamente può

influenzare l’identità e la percezione delle cose, diventando anche parte della

tradizione e della cultura di alcuni gruppi sociali. È grazie al suo potere sulle

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masse che la narrazione viene utilizzata in pubblicità per vendere un prodotto,

sia che esso sia un telefono o un politico (la campagna pubblicitaria della Apple

e la campagna elettorale di Barack Obama di cui parlerò nel prossimo capitolo).

1.3 Gli studi che hanno portato dalla narrazione allo Storytelling

Come anticipato nel paragrafo precedente molti filosofi, scienziati e studiosi

hanno studiato la narrazione e i suoi influssi sull’agire umano. È molto difficile

stabilire un inizio di questi studi poiché da sempre si è cercato di affrontare il

problema della narrazione. La cultura greca ha sicuramente influito tantissimo

su questi studi come Omero che ha creato la narrazione occidentale definendo

il ciclo narrativo dell’eroica del potere. Da Omero in poi tutta la storia narrativa

occidentale si è basata sull’eroe che va alla ricerca di sé stesso, vive

esperienze avventurose e a volte drammatiche, affronta mostri pericolosi, viene

aiutato da qualcuno, si perde e cerca di tornare nella propria patria dove lo

attendono i suoi famigliari e le persone care.

Negli ultimi duecento anni la “questione narrativa” è esplosa portando alla

nascita di nuove discipline quali l’analisi del discorso, la narratologia, la

semiotica, che hanno cercato, da punti di vista differenti, di rispondere alla

domanda sul come dire le cose. Grazie a queste indagini disciplinari, di cui

vanno ricordate alcune correnti fondamentali come il formalismo russo, il neo-

criticismo statunitense, lo strutturalismo francese, la storiografia e la semiotica

italiana, l’ermeneutica tedesca, oggi si può parlare di storytelling. Queste

correnti hanno messo in evidenza che ogni cultura umana ha delle strutture

narrative profonde che ricorrono nell’organizzazione e nella costruzione della

vita quotidiana. La narratologia contemporanea è interessata soprattutto a

capire le somiglianze e le differenze dei racconti sociali, politici, economici e

organizzativi.

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La narrazione è uno dei modi tramite cui pensiamo, costruiamo la nostra

identità e ci autosperimentiamo a livello sociale e organizzativo. La narrazione è

così importante nella nostra vita non solo perché è un processo compreso nella

nostra memoria biologica, ma anche perché ogni cultura umana si fonda su

alcuni schemi narrativi permanenti che interessano il dibattito psicologico

contemporaneo. Gli schemi narrativi sopracitati sono dei propulsori biografici di

senso sui quali costruiamo i nostri percorsi di vita personale, istituzionale e

organizzativa. Senza i propulsori biografici non riusciremmo a riconoscerci e a

decidere come comportarci. Spesso nelle nostre narrazioni personali o

professionali ricorrono dei propulsori riconducibili a determinati elementi, quali

l’eroe, l’antieroe, il conflitto etc. elementi che, come scritto all’inizio del

paragrafo derivano dalle narrazioni di Omero. Questo schema narrativo è

definito dalla scienza del linguaggio, dall’ermeneutica e dalla semiotica

contemporanea lo “schema narrativo canonico”. Anche se non lo utilizziamo

esplicitamente, questo schema ci aiuta a spiegare meglio a noi stessi e agli altri

perché ognuno di noi non fa altro che raccontarsi e raccontare per tutta la

durata della propria vita una storia di sé stesso nel mondo.

Con l’avvento degli anni Settanta e Ottanta del Novecento le scienze

narratologiche si specializzano e si diffondono trasversalmente in molte

discipline scientifiche, alcuni esempi sono: nelle scienze psicologiche, mettendo

in luce il problema narrazione-identità, alcuni psicoterapeuti come Bruner

arrivano a evidenziare che la nostra personalità sia solo un prodotto

metastorico delle narrazioni che abbiamo incontrato e che abbiamo reso nostre;

nelle scienze politiche Fischer e Salmon pongono il tema della narrazione come

elemento fondamentale del dibattito politico grazie al suo alto potere persuasivo

ormai evidente; nelle scienze economiche in cui si apre l’era delle economie

dell’esperienza, del desiderio e dei life styles, a causa dell’ingresso nel mercato

di elementi simbolici e irrazionali, le quali suscitano diversi dibattiti e studi sulle

componenti immaginarie e funzionali-narrative nei prodotti come fossero parti

integranti dei processi produttivi. Alcuni studiosi parlano di acquistosfera come

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insieme di luoghi fisici, virtuali e psicologici di consumo. Più recentemente se ne

è discusso anche nelle scienze militari che dopo la fine della guerra fredda e

l’inizio di guerre con supremazia di potere multipolare diventa fondamentale la

capacità di gestire la percezione sociale e l’opinione pubblica. Nascono così

molti sistemi di media-menagement e si sviluppano le teorie delle psychological

operations, le PsyOps, tese a portare avanti un perception management.

Negli ultimi decenni, quindi, c’è stato un progressivo interesse per i meccanismi

della narrazione e per i suoi influssi sulla società. In una società complessa la

narrazione è un mezzo retorico sofisticato di garanzia e scambio del potere, un

modo per gestire la massa che diventa sempre più difficile da conquistare. Oggi

si sono moltiplicati gli studi sulla narrazione e si è espansa la loro influenza su

diversi ambiti, arrivando anche all’impresa e al modo di fare pubblicità, facendo

così nascere il significato contemporaneo che si attribuisce al termine

Storytelling. Ai giorni nostri acquistare un prodotto di un determinato brand

significa acquistare sempre una storia, un mondo in cui immedesimarsi nella

società contemporanea e raccontarsi con una forza persuasiva maggiore alle

altre persone che sono ormai abituate ai codici della comunicazione

pubblicitaria e massmediologica permanente che da tempo funziona secondo i

parametri utilizzati dalla fiction. Un’impresa che sceglie di utilizzare lo

storytelling come tecnica pubblicitaria non è solamente attenta allo share of

wallet, ma desidera soprattutto conquistare il cuore dell’interlocutore e stabilire

così un legame affettivo e solido, diventando per i consumatori un lovemark.

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2 L’evoluzione dello Storytelling dagli anni Novanta a oggi.

2.1 Il boom degli anni Novanta

Dalla metà degli anni Novanta, soprattutto negli Stati Uniti, lo Storytelling fa la

sua grande entrata nel mondo della pubblicità.

Lo Storytelling era sempre stato considerato come una forma di comunicazione

riservata solamente ai bambini, gli unici che si pensava credessero alle favole,

o utilizzata dagli adulti soltanto nelle ore di svago. Al suo ingresso nella

pubblicità esso ebbe un gran successo e venne definito come un trionfo e una

rivoluzione nel modo di fare pubblicità.

Lo Storytelling è una forma di discorso che si colloca in tutti i settori della

società, trascendendo i confini politici, culturali o professionali, realizzando il

narrative turn, definito così dai sociologi per evidenziare l’ingresso in una nuova

epoca: l’epoca narrativa.

Il racconto è presente in tutti i

tempi, in tutti i luoghi, in tutte le

società; il racconto comincia con la

storia stessa dell’umanità; non

esiste, non è mai esistito in alcun

luogo un popolo senza racconti;

tutte le classi, tutti i gruppi umani

hanno i loro racconti e spesso

questi racconti sono fruiti in

comune da uomini di culture

diverse, talora opposte; il racconto

si fa gioco della buon e della

cattiva letteratura; internazionale,

trans-storico, transculturale, il

racconto è là come la vita.

Roland Barthes

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Di fatto lo Storytelling, come affermato nel capitolo precedente, è sempre

esistito e l’uomo se l’ha sempre utilizzato. La storia americana è piena di

esempi di impiego dello Storytelling come mezzo per comunicare un

determinato messaggio; Ronald Reagan a volte durante i suoi discorsi evocava

episodi di film di guerra come se essi fossero reali e facessero parte della storia

degli Stati Uniti. Lo storytelling si è però modificato nel tempo espandendosi in

diversi campi come scrive Lynn Smith5 nel 2001 nell’articolo intitolato “Not the

Same Old Story”:

Si può sempre far risalire l’arte dello storytelling alle pitture rupestri

degli uomini delle caverne. […] Ma dal movimento letterario

postmoderno degli anni Sessanta, venuto dalle università e diffusosi

in una cultura più larga, il pensiero narrativo si è esteso ad altri

campi: gli storici, i giuristi, i fisici, gli economisti e gli psicologi hanno

riscoperto il potere delle storie di costruire una realtà. E lo Storytelling

è giunto a rivaleggiare con il pensiero logico per comprendere la

giurisprudenza, la geografia, la malattia o la guerra. […] Le storie

sono divenute così convincenti che alcuni critici temono che diventino

un sostituto pericoloso dei fatti e degli argomenti razionali. […] Storie

seducenti possono essere volte in menzogne o in propaganda. Le

persone mentono a sé stesse con le proprie storie. Una storia che

offre una spiegazione rassicurante degli avvenimenti può anche

ingannare, tacendo le contraddizioni e le complicazioni. […] Una

volta, si diceva sempre: «È solo una storia, dammi i fatti», aggiunge

Paul Costello6. Ora molti cominciano a realizzare che le storie

possono avere degli effetti reali che devono essere presi sul serio.7

Nella metà degli anni Novanta la svolta narrativa nelle scienze sociali e in tutti

gli altri campi è coinciso con l’esplosione di Internet e i progressi delle Nuove

Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, che hanno creato le

5 Lynn Smith era un editorialista del Los Angeles Times.

6 Paul Costello è il cofondatore del Centro di studi narrativi a Washington, creato nel 1995 per analizzare

i nuovi impieghi del racconto. 7 Lynn Smith, “Not the Same Old Story”, in «The Los Angeles Times», 11 Novembre 2001

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condizioni per l’utilizzo dello Storytelling e gli hanno permesso una diffusione

estremamente rapida. In questo modo sempre più agenzie governative e grandi

aziende hanno scoperto l’efficacia dello Storytelling, come constatava Lori L.

Silverman, consulente americana in management, nel 2006 affermando che:

«La NASA, Verizon, Nike e Lands End considerano lo Storytelling come

l’approccio oggi più efficace negli affari»8. Lo Storytelling management è ormai

diventato fondamentale per chi svolge un ruolo decisionale in politica, in

economia, nelle nuove tecnologie, nell’università o in diplomazia.

Con l’avvento dello Storytelling si passa dal focus sulla brand image a quello

sulla brand story. Una volta il prestigio di una marca veniva dal prodotto; la

gente che amava la marca Ford guidava una sua macchina per tutta la vita; la

Singer doveva il proprio successo alla macchina da cucire che fungeva allo

stesso tempo da mobile e da utensile. Alla fine degli anni Quaranta si diffuse

l’idea che un marchio non era soltanto una mascotte, uno slogan, una figurina

stampata sull’etichetta del prodotto di una certa azienda, bensì l’azienda poteva

incentrare sul marchio una forte identità e una coscienza aziendale. All’inizio

degli anni Ottanta, nonostante alcune pubblicità raccontassero già delle storie,

la pubblicità restava incentrata sul prodotto, sul suo uso e sulle sue qualità,

mentre alcune imprese come Nike, Microsoft, Tommy Hilfiger e Intel se ne

allontanavano già per produrre non più oggetti, ma immagini della propria

marca. Negli anni Novanta i marchi cominciarono ad esprimersi attraverso

segni grafici, loghi che dovevano imprimersi nella mente del consumatore: la

mela della Apple, il baffo della Nike, la M di McDonald’s, la conchiglia della

Shell, etc. Nel Duemila, nonostante i marchi siano diventati forti e quotati in

borsa per decine di miliardi di dollari, i consumatori sono diventati meno fedeli

passando da una marca all’altra. Questa instabilità rende fragili le marche

affermate, dando allo stesso tempo una possibilità alle new entry. Un esempio

lampante è la Nokia, che nel 2002 era al sesto posto nella classifica mondiale

8 Silverman L.L. (a cura di) (2006), Wake me up when the Data is Over. How Organizations Use Stories to

Drive Results, Jossey-Bass, San Francisco.

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delle marche, e l’anno dopo ha visto le sue vendite crollare con una perdita di

sei miliardi di dollari.

2.2 Ogni marchio crea la sua storia

Dal Duemila i responsabili dei grandi gruppi americani si lanciarono in imprese

ambiziose di ricostruzione narrativa delle proprie marche a causa di scandali

avvenuti negli anni precedenti ad alcune aziende come Nike e Disney , dove

era stato esposto un lato delle marche fino a quel momento sconosciuto,

raccontando purtroppo delle brutte storie di sfruttamento dei lavoratori. I teorici

del branding che consigliavano queste aziende si convertono allo Storytelling.

Ashraf Ramzy, che si definisce come un fabbricante di

miti, ha aperto nel 2002 un’agenzia di consulenza in

marketing che si chiama Narratività, con base ad

Amsterdam. Lui sostiene che la gente non compra più i

prodotti, ma le storie che questi prodotti rappresentano;

così come, non comprano marche, ma i miti e gli

archetipi che queste marche simboleggiano. Un esempio

che Ramzy dà a sostegno della sua tesi è quello del

produttore di whisky Chivas Brothers, marca che

aveva perduto il suo prestigio alla fine degli anni

Novanta. Il marchio era conosciuto, ma per la

gente aveva perso ogni significato. Il direttore

commerciale, Han Zantingh, spiega: «Noi

volevamo rinforzare e nutrire l’essenza del nostro

marchio, ricca e generosa. I fratelli Chivas

avevano creato una bevanda ricca e generosa,

perché avevano un atteggiamento ricco e

generoso nei confronti della vita»9. Non c’è

9 Ashraf Ramzy, “What’s in a name?”, cit., pp. 170-184

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niente di meglio che una buona storia. Gli analisti di mercato della Chivas

decidono di riscrivere la storia della marca. Viene creato “The Chivas Legend”,

un racconto nel quale si inquadrano dodici episodi della vita plurisecolare del

whisky invecchiato dodici anni. La storia inizia con la concessione dell’etichetta

regale nel XIX secolo, in occasione di una visita della regina a Balmoral, la culla

della marca, quando Chivas Brothers diviene il fornitore ufficiale della corona

d’Inghilterra; prosegue poi con altre storie che hanno reso il marchio ciò che è

oggi. Ora “The Chivas Legend” circola nei bar e nelle discoteche, divulgata da

storytellers, chiamati ambasciatori della marca, che come ai vecchi tempi la

narrano ai consumatori. In tal modo la Chivas Brothers è riuscita a riconnettere

la loro tradizione con il pubblico, invertendo la tendenza negativa che stava

caratterizzando gli ultimi anni, tornando così a cavalcare il mercato.

Per gli esperti di marketing non basta più rendere una marca famosa o

conosciuta per una massa di consumatori anonimi, è necessario invece creare

una relazione singolare, emozionale, tra una marca e i suoi consumatori. Per

fare ciò è necessario che la marca ritrovi un’identità coerente e forte, che parli

sia ai consumatori sia ai collaboratori dell’azienda e condensi in un racconto

logico tutti gli elementi costitutivi dell’azienda, come la sua storia, la natura dei

prodotti che vende e la qualità del servizio che offre.

Le merci e i marchi, però, non sono spariti, anzi sono sempre presenti alla

stessa maniera, ma hanno perso il loro status di oggetti o di immagini

“retificate”. Ora ci parlano e ci rapiscono, ci raccontano storie che

corrispondono alle nostre aspettative e alla nostra visione del mondo. Quando

vengono utilizzate sul web trasformano anche noi in storytellers, poiché il

fascino che suscitano, se ci raccontano una bella storia, ci spinge a ripeterla.

Oggi, nei paesi industrializzati, i consumatori sono esposti a circa tremila

messaggi commerciali al giorno. Le marche che vogliono emergere e

sopravvivere in questo mare di pubblicità devono necessariamente distinguersi

e costruirsi sulla base di una storia onesta, autentica e che richiami ai valori

personali del compratore. Purtroppo alcune di queste storie sono create senza

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alcun fondo di verità e vengono utilizzate solo per abbindolare il consumatore.

Un esempio di questo comportamento “scorretto” è quello dei video educativi

della Disney intitolati “Baby Einstein”, destinati a stimolare le capacità cognitive

dei neonati, che dovrebbero assicurare loro un vantaggio competitivo sugli altri

bambini trasformandoli, come afferma il titolo, in piccoli Einstein. Questi video

hanno avuto un grande successo, facendo guadagnare alla Disney quattordici

milioni di dollari, nonostante la loro efficacia fosse più che discutibile. Il loro

successo era dovuto al fatto che la pubblicità era rivolta alle mamme e non ai

bambini, rispondendo alle ambizioni intellettuali più che legittime che esse

avevano per i propri figli. Comprando quei video, quindi, le madri compravano

una storia di successo per il neonato e partecipavano così alla narrazione delle

storie prodotte dalla Disney.

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L’ambizione del marketing negli anni Duemila si espande fino ad abbracciare

tutto il mondo. Esso non ha più la sola ambizione di promuovere i benefici della

società dei consumi, ma vuole produrre una nuova società, un altro mondo.

Rolf Jensen, futurologo danese, direttore del Copenhagen Institute for Futures

Studies e autore di “The Dream Society” ha fondato nel 2001 la Dream

Company Ltd, dove dirige il servizio immaginazione. L’obiettivo che si è posto è

persuadere la maggior parte delle aziende di tutto il mondo che stiamo

passando da una società a un’altra. Secondo lui, da qui al 2020, il prossimo

stadio fondamentale della società sarà: l’era dei sogni. Rolf Jensen afferma

che: «La società dei sogni mostra come una cultura del consumo, come la

nostra, racconti storie attraverso i prodotti che compriamo, i trasporti, i

divertimenti, le vacanze, gli interni delle nostre case. […] Nella società dei

sogni, il nostro lavoro sarà guidato dalle storie e dalle emozioni»10.

Lo scopo del marketing narrativo non è più semplicemente convincere il

consumatore a comprare un determinato prodotto, ma anche immergerlo in un

universo narrativo coinvolgendolo in una storia credibile. Non si tratta più quindi

di sedurre o convincere, bensì di produrre un effetto di credenza. Le aziende

offrono allora un racconto di vita che propone dei modelli di comportamento

integrati, che comprendono, a loro volta, atti di acquisto, attraverso veri e propri

ingranaggi narrativi. Il punto cruciale è che chiunque tu sia, tu sei l’eroe, tu sei

la storia.

10

Jensen R. (2001), The Dream Society. How the Coming Shift from Information to Imagination Will Trasform Your Business, Londra, McGraw-Hill.

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2.3 Due casi famosi di Storytelling

2.3.1 La Apple

Il 12 giugno 2005, davanti ai laureandi della Stanford University, Steve Jobs

iniziò il suo discorso dicendo: «Sono molto onorato di essere oggi tra voi per la

consegna dei vostri diplomi, in una delle più belle università del mondo. Non mi

sono mai laureato in alcuna università. A dire il vero, è la prima volta che

assisto a una consegna dei diplomi. Oggi, vi racconterò tre storie della mia vita.

Senza grandi discorsi. Solo tre storie»11. La prima storia è sull’unire i puntini, è il

romanzo di formazione del fondatore della Apple: la storia di un bambino

povero che viene adottato da una famiglia di classe media, la quale promette

alla madre biologica di farlo andare all’università. Una volta diplomato, quindi, si

iscrive all’università, ma dopo pochi mesi decide che questa non fa per lui e

finisce per iscriversi, quasi casualmente, ad un corso di calligrafia, grazie al

quale il Macintosh sarà il primo personal computer dotato di diversi fonts,

caratteri. Steve Jobs conclude questa prima storia affermando che: «se non

avessi mai mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare il corso di

calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità

di tipografia che invece hanno. Certamente all’epoca in cui ero all’università era

impossibile unire i puntini guardando il futuro, ma è diventato molto chiaro dieci

anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro. Ancora: non potete unire i

puntini guardando al futuro; potete solo unirli guardandovi indietro. Così dovete

aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete

credere in qualcosa – il vostro intuito, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa

– perché credendo che i puntini si uniranno lungo la strada vi darà il coraggio di

seguire il cuore portandovi sulla strada giusta e questo farà tutta la differenza».

La seconda storia è una storia d’amore e di perdita. Narra della leggenda della

creazione del primo Macintosh nel garage dei suoi genitori, poi, in due anni, la

storia di successo della Apple e l’incontro con quella che poi diventerà sua

11

Steve Jobs, “You’ve got to find what you love”, Università di Stanford, 2005 <http://www.youtube.com/watch?v=xmMU1OuWJao>

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moglie, con la quale costruirà una famiglia. Ma appena conquistato il successo

Steve Jobs, l’eroe di queste tre storie, viene tagliato fuori e viene costretto a

lasciare l’azienda che lui stesso ha fondato. «Fui molto fortunato – Ho scoperto

molto in fretta ciò che mi sarebbe piaciuto fare nella vita – Woz ed io fondammo

la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo

lavorato duramente, e nel giro di dieci anni la Apple è cresciuta da noi due soli

in un garage in una società da due miliardi di dollari con oltre quattromila

dipendenti. Avevamo lanciato la nostra migliore creazione – il Macintosh – solo

un anno prima, ed io avevo appena compiuto trent’anni quando venni licenziato.

Come si può essere licenziati da una società che hai fondato? Beh, quando

Apple era cresciuta assumemmo una persona che pensavo fosse dotata di

grande talento perché gestisse la società con me, e per il primo anno le cose

andarono bene, poi le nostre visioni sul futuro iniziarono a divergere finché non

ci scontrammo. Quando successe, il nostro consiglio di amministrazione si

schierò dalla sua parte. Così, a trent’anni, ero fuori. E in maniera plateale. Ciò

che era stato il centro della mia vita adulta se ne era andato e io ero devastato.

Non sapevo davvero cosa fare per alcuni mesi. Mi sentivo come se avessi

tradito la generazione di imprenditori prima di me, come se avessi lasciato

cadere la fiaccola che mi era stata passata. Mi incontrai con David Packard e

Bob Noyce [co-fondatore di Intel] e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto

così malamente. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in

considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley, ma qualcosa

lentamente iniziò a crescere in me: amavo ancora quello che avevo fatto. La

successione di eventi alla Apple non avevano affatto cambiato quello che

provavo. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. E così decisi di

ricominciare. Allora non me ne accorsi, ma venne fuori che l’essere licenziato

dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe mai potuta capitare. La

pesantezza del successo fu sostituita dalla leggerezza di essere di nuovo un

debuttante, senza alcun tipo di certezze. Mi rese libero di entrare in uno dei

periodi più creativi della mia vita. Nei cinque anni successivi fondai una società

chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna

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meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. La Pixar arrivò a creare il primo

film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, e ora è lo studio

di maggior successo nel mondo. In una straordinaria successione di eventi,

Apple comprò NeXT, io ritornai alla Apple e la tecnologia che avevamo

sviluppato alla NeXT è al cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E io e

Laurene abbiamo una splendida famiglia. Sono abbastanza certo che nulla di

tutto questo sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. E’ stata

una medicina molta amara, ma credo che il paziente ne avesse bisogno. Ogni

tanto la vita vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però.

Sono convito che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato

l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni. E questo vale sia

per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro occuperà una grande

parte della vostra vita, e l’unico modo per essere veramente soddisfatti è fare

quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è

amare quello che fate. Se non l’avete ancora trovato continuate a cercare. Non

accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete.

E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre meglio con il passare degli

anni. Perciò continuate a cercare e non accontentatevi». La terza è una storia di

morte e resurrezione: una diagnosi di cancro al pancreas, al quale Steve Jobs

sopravvive per miracolo. Alla fine della storia l’eroe ritrova la salute e l’azienda

che aveva fondato, guidandola verso nuovi successi. «Quando avevo

diciassette anni lessi una citazione che diceva: “Se vivrai ogni giorno come se

fosse l’ultimo, sicuramente prima o poi avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora,

per gli ultimi trentatre anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio

chiedendomi: “Se fosse l’ultimo giorno della mia vita vorrei fare quello che sto

per fare oggi?” e ogni qualvolta la risposta è “no” per troppi giorni di fila, capisco

che c’è qualcosa che deve cambiare. Ricordarmi che morirò presto è il più

importante strumento che io abbia mai utilizzato per fare le grandi scelte della

mia vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative, tutto l’orgoglio, tutti gli

imbarazzi e i timori di fallire – semplicemente svaniscono di fronte all’idea della

morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che

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dobbiamo morire è il miglior modo che io conosca per evitare di cadere nella

trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è

ragione per non seguire il vostro cuore. Più o meno un anno fa, mi è stato

diagnosticato un cancro. […] I dottori mi dissero che quasi sicuramente era

incurabile e che avrei avuto un’aspettativa di vita non superiore ai tre o sei

mesi. Il mio dottore mi consigliò di andare a casa e di mettere ordine tra i miei

affari, che è il loro codice per dirti di prepararti a morire. Questo significa che

devi provare a dire ai tuoi figli ogni cosa che pensavi di dirgli nei prossimi dieci

anni, in pochi mesi. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato

in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo

significa prepararsi a dire ai tuoi “addio”. Ho vissuto con il responso di quella

diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato

dell’analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso il

mio stomaco sino all’intestino per inserire un ago nel mio pancreas e catturare

qualche cellula del tumore. Ero sotto anestesia, ma mia moglie – che era là –

mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto al microscopio

hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro

molto raro e curabile tramite intervento chirurgico. Ho fatto l’intervento e ora

fortunatamente sto bene. Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino

alla morte e spero sia anche la più vicina per qualche decennio. Essendoci

passato, posso parlarvi adesso con un po’ più di cognizione di causa di quando

la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi: nessuno vuole morire.

Neanche le persone che vogliono andare in Paradiso non vogliono morire per

andarci. E nonostante tutto, la morte è la destinazione che condividiamo.

Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così che deve essere perché la morte è con

tutta probabilità la più grande invenzione della vita. È l’agente di cambiamento

della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete

voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e

sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico, ma è la pura verità. Il

vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro.

Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del

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pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi

la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il

vostro cuore e la vostra intuizione; in qualche modo loro sanno che cosa volete

realmente diventare. Tutto il resto è secondario.» Steve Jobs concluse questo

suo discorso con una esortazione che aveva letto da bambino su “The Whole

Earth Catalog” «Stay hungry, stay foolish [siate affamati, siate folli]».

Steve Jobs è stato definito genio, visionario, artista, brand di se stesso, ma

anche grande comunicatore, perché sapeva raccontare storie. Gli stessi

keynote12, che per lui vennero soprannominati Stevenote, poiché Steve Jobs

trasformava semplici presentazioni di nuovi prodotti a rappresentazioni testuali.

La Apple si fonda sul principio che, il primo passo per vendere un prodotto è

rendere partecipi i consumatori del sogno, della visione del futuro,

coinvolgendoli emotivamente. In tal modo si crea un legame solido con il

venditore/narratore e il consumatore attraverso le immagini che il racconto

evoca ascoltandolo. Tutti i video di presentazione venivano montati con l’uso di

una regia razionale che non lasciava nulla al caso. La relazione con il

pubblico/consumatore si instaurava in un contesto basato sulla semplicità, dove

tutto veniva calibrato per celebrare un’armonia minimalista. Tutto doveva

essere semplice: il palcoscenico, il linguaggio usato, il prodotto presentato.

Poiché un grande prodotto non viene creato tenendo in considerazione solo il

punto di vista della tecnologia, ma anche quello del consumatore, lo Stevenote,

cioè la presentazione del prodotto fatte direttamente da Steve Jobs, diventa un 12

Keynote è un’applicazione che permette di creare presentazioni sviluppata dalla Apple.

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primo test in cui si offre il privilegio di provare l’esperienza d’uso del prodotto

stesso. Il docente di Storytelling e Narrazione d’Impresa all’Università di Pavia

nonché autore di diversi libri sull’utilizzo dello Storytelling, Andrea Fontana,

sostiene che la narrazione aiuta a riflettere meglio sulla realtà e a raccontarla

meglio. Farlo ai giorni nostri significa costruire un racconto che diventi un

dispositivo di connessione tra i prodotti e i consumatori. Il passo successivo non

è solo fare storie che emozionino, ma racconti molto simili alle storie di vita

delle persone in modo da far immedesimare il consumatore. In questo modo,

all’Università di Stanford, Steve Jobs diventa il protagonista del proprio

racconto, indossando le vesti dell’eroe che affronta senza perdere la fede le

difficoltà che la vita gli presenta, proprio come nella più classica delle storie.

Ogni esperienza negativa diviene una possibilità di evoluzione: la caduta si

trasforma quindi in salita, il fallimento in successo. La sua storia diviene la storia

di ognuno di noi. Riesce ad emozionarci attraverso l’immedesimazione.

Un secondo esempio straordinario di Storytelling, nato sempre dalla Apple, è

quello che parla della campagna pubblicitaria “Think Different”, che tradotto in

italiano significa: pensa diversamente.

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Durante il periodo in cui Steve Jobs era stato licenziato, la Apple si rivolse a

una delle agenzie pubblicitarie più importanti del mondo, la BBDO (Batten,

Barton, Durstine & Osborn), più in linea con il nuovo orientamento che l’azienda

aveva adottato. Fecero delle pubblicità in cui si massificavano i prodotti della

Apple soffermandosi solo sulle loro caratteristiche tecniche e il loro prezzo,

invece che sulla loro brand identity come avrebbe fatto Steve Jobs. Quando

quest’ultimo venne riassunto e tornò a dirigere la Apple, per il suo rilancio,

conosciuto anche come suo rinascimento, si ascoltarono le preposte di tre

agenzie pubblicitarie. La Apple scelse la TWBA Chiat-Day, nata dalla fusione

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dell’agenzia di Lee Clow e della TWBA WorldWide, che propose un nuovo

slogan e una nuova immagine per far rinascere con successo la Apple: “Think

Different”. Questa fu probabilmente scelta per andare contro lo slogan “Think”

della IBM. Lo sviluppo dell’intera campagna pubblicitaria, sia televisiva che

cartacea, fu seguita interamente da Steve Jobs, che concesse solo diciassette

giorni di tempo per la sua realizzazione, un tempo veramente limitato. Il

concetto fondamentale che andava focalizzato era quello di “risvegliare” il

marchio Apple, insistendo ancora una volta sull’esperienza d’uso del

consumatore, su ciò che può fare con il suo prodotto e non tanto su ciò che il

prodotto può o non può fare. È proprio per questo motivo che i protagonisti della

campagna, provenienti sia dal presente sia dal passato, furono scelti tra artisti,

pensatori, geni; insomma, tra gente creativa che avrebbe trovato un modo

altrettanto creativo e differente di usare il computer. Lo spot televisivo veniva

accompagnato da un poema scritto da Craig Tanimoto, l’art director della

TWBA, intitolato “To the Crazy Ones”, che nella versione originale fu recitato da

Richard Dreyfuss, un attore americano; mentre in quella italiana da Dario Fo. Il

poema recitava:

Questo film lo dedichiamo ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai

piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro

non amano le regole, specie i regolamenti e non hanno alcun rispetto per lo

status quo. Potete citarli o essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o

denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli. Perché

riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre

qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro

che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo

cambiano davvero.

L’identità della stessa Apple era folle, anticonformista, ribelle e piantagrane.

Essa avrebbe venduto i suoi prodotti alla gente che voleva cambiare il mondo.

La campagna pubblicitaria “Think Different”, pur non mostrando mai i prodotti

della Apple, è stata la campagna pubblicitaria che maggiormente si è avvicinata

alla funzione narrativa di uno Storyteller. “Think Different” ha coinvolto

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emotivamente lo spettatore facendolo immedesimare con i personaggi che gli

venivano proposti. Tutto ciò permise ai consumatori di vedere il personal

computer, in particolare il Macintosh, come un dispositivo realmente alla portata

di tutti e con differenti finalità d’uso, cosa che fino a quel momento non si era

pensato di un personal computer. L’alto livello di comunicazione e di narrazione

di questa campagna è stato il trampolino di lancio da cui far ripartire l’identità

dell’azienda, facendo capire tanto agli acquirenti quanto ai propri dipendenti che

la vena ribelle e contro-culturale della Apple continuava a pulsare. La forza del

brand, in realtà, non aveva mai ceduto, nemmeno nel momento in cui, come

disse Fred Anderson, amministratore delegato della Apple, «La società era in

una spirale di morte».

Quello che faceva la Apple, in fin dei conti, non era vendere prodotti, ma

vendere sogni. La Apple è un brand che definisce uno stile di vita, e questo

perché pensa differente. La cosa che forse ha aiutato di più a creare il culto

della Apple è stata la sua dimensione “emotiva”. Tutto ciò le ha permesso di

avvicinarsi sempre di più ai suoi utenti/consumatori, mettendosi al loro livello,

creando prodotti che avessero la loro esperienza d’uso come obiettivo da

raggiungere. Si può asserire che Apple è l’azienda in cui la brand identity e la

brand image corrispondono maggiormente. La Apple è come se fosse una di

noi. Apparteniamo allo stesso mondo, abbiamo gli stessi valori; ciò si nota sin

dagli inizi, poiché la sua cultura controcorrente che è stata l’input per il suo

essere e “pensare differente”, è diventata la spinta per concretizzare la visione

di un futuro informatico diverso e positivo. Il fatto di prendere di mira la IBM, sia

negli slogan che nelle pubblicità, è stato un modo per far urlare alla Apple: «Noi

siamo liberi, siamo creativi e non ci omologhiamo perché non siamo ancorati al

passato ma guardiamo al futuro. Ognuno di voi è un artista a cui noi diamo la

possibilità di creare la propria arte». Steve Jobs è stato il folle genio carismatico

che, nel bene e nel male, ha reso la Apple ciò che è, grazie alle sue creature

definite dai suoi stessi colleghi «insanely great [follemente grandiose]». La sua

passione, la sua mania per il dettaglio e la sua ossessione per il controllo del

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prodotto devono essere intesi come il desiderio di guidare i propri utenti verso la

giusta direzione perché, come dice il giornalista americano Leander Kahney,

appassionato della Apple: «La gente non sa cosa vuole, lui sì». Tutto ciò ha

reso la Apple uno tra i più grandi love mark, cioè un marchio a cui ci si lega

innanzitutto a livello affettivo, creando un gruppo di “fedeli” che aumenta ogni

giorno.

La Apple, quindi, attraverso l’utilizzo dello Storytelling è riuscita a trasformare il

prodotto che vuole vendere; non vende più semplici oggetti, bensì emozioni e

sogni con cui poter cambiare il mondo.

2.3.2 La Campagna di Obama

Il 4 Novembre 2008 Barack Obama è stato eletto quarantaquattresimo

Presidente degli Stati Uniti d’America. La sua vittoria è stata possibile grazie ad

una campagna elettorale basata sull’interazione con i propri elettori tramite le

nuove piattaforme multimediali come, i Social Network, Facebook e Twitter, ma

anche grazie alle storie che Obama ha raccontato al popolo americano

coinvolgendolo emotivamente. Il rapporto che ha creato Obama con i suoi

elettori è come quello che la Apple ha instaurato con i propri consumatori; un

rapporto di reciproca fiducia, nato grazie ad un legame emotivo e di

immedesimazione.

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Lo scopo principale di Obama era apparire differente dagli altri candidati del

passato. Il messaggio che doveva arrivare a tutto il popolo americano era:

«Questa non è una campagna elettorale qualsiasi, ma è la campagna di un

intero movimento e solo un vasto movimento può cambiare l’America». Questo

messaggio e tutta la campagna elettorale dovevano essere supportati e

rinforzati da storie e fatti reali. La cosa ancora più importante è che queste

storie non vengano raccontate solo a pochi attivisti, ma che siano rese note

all’intero corpo elettorale, quindi potenzialmente all’intera nazione. Obama,

quindi, scelse come strategia comunicativa quella di compiere alcune azioni

simboliche, registrarle e trasmettere questi video sui social media come

YouTube, successivamente creò un sito chiamato ObamaTV (www.barack-

obama.tv) dove pubblicare i video della sua vita da condividere con gli elettori.

In tal modo Obama riuscì, con un investimento ridotto di tempo, a dimostrare a

tutti chi era realmente. Visto che la strategia era vincente la utilizzò più e più

volte pubblicando video di cene e telefonate con i suoi sostenitori, facendo così

vedere a tutti la straordinaria umanità che lui emanava. Nonostante ciò, il vero

punto forte della sua campagna non erano le sue storie, bensì quelle dei suoi

sostenitori. Obama aveva capito che c’erano centinaia e centinaia di attivisti che

avevano delle storie commoventi e interessanti da raccontare. La strategia della

campagna era, quindi, quella di dare massimo risalto alle storie del movimento

sul suo blog, ObamaTV e sui Social Network. Solo in questo modo tutta

l’America avrebbe capito che dietro Obama non c’era una lobby del petrolio o

delle sigarette, ma c’erano persone comuni proprio come loro. Il blog veniva

aggiornato quotidianamente in modo da far tornare i lettori/elettori più volte sul

sito con le storie di chi partecipava sul campo alla campagna elettorale. Tramite

queste storie si capivano le diverse motivazioni che avevano spinto le persone

a votare per Obama; c’era chi aveva deciso di sostenerlo perché rappresentava

una speranza per il futuro, chi lo sosteneva perché aveva trovato finalmente un

politico sincero, chi aveva perso il posto di lavoro e in lui vedeva un futuro

migliore. La differenza con le campagne degli altri candidati era che questi

gruppi di persone, volontari, non venivano tenuti dietro le quinte, ma erano

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ammessi a esibirsi sul palco, davanti al pubblico. La dimostrazione che dietro il

candidato ci fossero dei volontari composti da gente comune era la migliore

forma di pubblicità che Obama potesse farsi. La sua campagna era arrivata

talmente in profondità nel cuore e negli animi degli elettori da non essere più

considerata semplicemente la campagna di Obama, ma divenne la campagna

degli Americani. Per la prima volta nella storia politica americana l’enfasi non

veniva posta sul candidato, ma sui suoi sostenitori.

Questa campagna, però, non avrebbe avuto lo stesso effetto se non ci fosse

stato l’utilizzo di una tecnologia fondamentale: il video. Il video era lo strumento

perfetto per questa campagna perché faceva leva su quelle che sono le

capacità oratorie del candidato, mettendone in luce il suo profondo fascino. I

sostenitori di Obama erano invitati a creare dei video con le loro storie dei

momenti vissuti nel periodo della campagna elettorale. Il canale di Obama di

YouTube aveva accumulato alla fine della campagna ben 1500 video con un

totale di visite superiore ai 20 milioni. Ogni video non doveva durare più di

cinque minuti, per non appesantire il messaggio, e gli utenti venivano invitati a

rispondere con dei video di risposta, una pratica molto comune su YouTube.

Il team di collaboratori di Obama non mise il copyright sui video in modo tale da

permettere agli utenti di remixarne il contenuto e creare dei nuovi video da

diffondere nella Rete. Il video più famoso tra quelli remixati fu quello del

cantante Will.i.am che prese

il video del discorso di

Obama “Yes we Can” e lo

remixò integrandolo con una

sua canzone, coinvolgendo

moltissimi personaggi

famosi quali: Scarlett

Johansson, John Legend,

Herbie Hancock, Kate

Walsh, Kareem Abdul

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Jabbar, Adam Rodriquez, Kelly Hu, Adam Rodriquez, Amber Valetta, and Nick

Cannon. Questo video ricevette 17 milioni di visualizzazioni.

Oltre a YouTube, Facebook, Twitter e ObamaTV nacquero anche:

My.BarackObama.com, il sito ufficiale della campagna, con 15 milioni di

membri circa. Il sito rinominato MyBO ha consentito ai simpatizzanti di

Obama di entrare in contatto tra loro e di organizzarsi autonomamente

per gestire degli eventi nelle loro rispettive città in favore di Obama.

Vote for Change, un’iniziativa di registrazione al voto operante in tutti gli

Stati Americani.

Obama Organizing Fellows, un’organizzazione di volontariato nata per

formare gli studenti del college nelle tattiche di mobilitazione a favore

della campagna elettorale.

Centralized Funding Technology, un sistema di donazioni centralizzato e

computerizzato che ha permesso di generare un gigantesco database

completo di nomi, indirizzi, dati anagrafici e occupazione dei donatori.

Poco dopo le elezioni Robert Putman, professore di politica ad Harvard, disse:

«Mentre ci avvicinavamo alla stagione delle presidenziali 2008, i giovani

americani mostravano di essere, in effetti, pronti all’azione civica. […] Le

competizioni per la nomina presidenziale eccezionalmente vivaci di quest’anno

hanno acceso di una fiammata incandescente un’esca giovanile che era stata

accatastata ed era pronta a divampare da oltre sei anni.» Obama riuscì a

coinvolgere i giovani come nessun altro leader politico avesse fatto prima. Il

legame tra Obama e i suoi giovani elettori fu talmente forte che per indicare i

suoi sostenitori più giovani si usava l’espressione Greatest Generation o

Generazione Obama.

In conclusione Obama creò un nuovo modo di fare una campagna elettorale

rendendo partecipi attivamente i suoi elettori tramite l’utilizzo del Web 2.0 e

raccontando e facendo raccontare storie. In ogni suo discorso Obama

menzionava la speranza e il cambiamento; i suoi discorsi esaltavano lo spirito

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americano e lo portarono a divenire un modello da seguire per gli Americani

che erano tornati a nutrire speranza verso il futuro e voglia di cambiare. Tutto

questo portò Barack Obama a diventare il primo Presidente afroamericano nella

storia degli Stati Uniti.

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3 Una televisione differente: la case history HBO

3.1 La nascita di una TV che non si definisce tale

A metà degli anni Settanta, in un periodo di grandi rivoluzioni economiche e

tecnologiche, Charles Dolan, proprietario della Sterling Manhattan Cable,

propose la sua idea di creare un nuovo canale via cavo alla Time Life Channel

(Time Inc.) chiamato Green Channel. Con l’aiuto di Gerald Levin, avvocato di

Wall Street e Tony Thompson, trasforma questo progetto in HBO, Home Box

Office, concependo un canale a pagamento che si basava sull’offerta di eventi

sportivi e film in prima visione. HBO a differenza di CBS, NBC e ABC, i tre

maggiori canali degli Stati Uniti, modifica fin dalle origini il rapporto tra

marketing e audience. I tre networks devono proporre programmi che piacciano

alla maggioranza del pubblico, dato che vivono del sostentamento derivato

dalla pubblicità, mentre HBO ha come unico referente colui il quale sottoscrive

l’abbonamento e che vuole vedere qualcosa di diverso, paga per vedere quello

che gli altri canali non possono offrire.

HBO inizia le sue trasmissioni l’8 Novembre del 1972 con un film uscito al

cinema l’anno prima, Sfida senza paura (Sometimes a Great Notions) diretto e

interpretato da Paul Newman, e con una partita della Lega Nazionale di

Hockey. In questo primo periodo gli abbonati a HBO sono solamente 365, tutti

limitati in una zona della Pennsylvania. Poco tempo dopo la Time Inc. licenzia

HBO is more than a place; it’s an

idea… I’ve even tought about this:

in certain cases, it’s like Medicis,

we’re patrons of the arts

Chris Albrecht

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Charles Dolan mettendo al suo posto Gerald Levin. Grazie a Levin HBO firma

un contratto per lo sfruttamento del satellite Satcom 1. HBO manda inizia così a

diffondersi in tutto il paese. Il primo programma via satellite risale all’ottobre del

1975 e fu un incontro di boxe tra Muhammad Ali e Joe Frazier. L’incontro

riscuote un grande successo tra il pubblico e dopo tre anni dalla sua nascita

HBO entra a pieno titolo nel sistema televisivo e inizia la sua scalata verso il

successo. Con il passaggio di HBO al satellite si entrò in una seconda era della

televisione statunitense. La prima, quella precedente, andava dal 1948 al 1975

e venne definita l’Era dei Networks poiché la televisione era divisa, quasi in un

oligopolio, da i tre networks storici. La seconda, quella che appunto inizia nel

1975 con il passaggio al digitale di HBO, è definita Era del Digitale e si

concluderà solo nel 1994. Questa nuova Era è caratterizzata dalle nuove

tecnologie. Sull’esempio del grande salto di HBO dal cavo terrestre al satellite,

molte emittenti come la WTBB di Ted Turner, la WGN, l’appena nata Showtime,

la CBN, la Usa Network, la ESPN, la CNN, la Nickelodeon e MTV compiono lo

stesso passaggio. Il successo di HBO la rende il canale portante di questo

cambiamento e trasforma l’idea stessa della televisione satellitare,

trasformandola da mezzo utilizzato esclusivamente per raggiungere luoghi non

servibili via cavo, a mezzo di distribuzione di una segnale pulito e virtualmente

infinito quanto a offerta.

Oggi HBO è sinonimo di qualità, come solo pochi altri networks riescono a

essere. Questa associazione tra HBO e televisione di qualità è stata

paradossalmente raggiunta attraverso il distacco del network dalla televisione,

dagli altri canali. Il claim più famoso di HBO è infatti: “It’s not TV. It’s HBO”. Il

fatto che un network si emancipi dalla sua reale natura può sembrare ironico e

addirittura ipocrita, ma è anche indicativo dell’atteggiamento assunto dalla

compagnia verso il tipo di programmi che si vuole offrire, dei programmi diversi,

spesso audaci che altri network non avrebbero mai mandato in onda. HBO crea

un suo stile specifico facilmente riconoscibile scegliendo un tipo di programmi,

soprattutto tra quelli seriali, che rappresentano il prodotto per eccellenza nella

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contesa competitiva dei networks, differenti. HBO è riuscita a modificare la

percezione che il pubblico ha dei suoi prodotti. Se gli eventi sportivi e i film fatti

per la TV sono stati, per tutti i networks, la prima fonte di contenuti, HBO e

Showtime invece, in questi ultimi anni, si sono distinte producendo in proprio

film, serie, serial e sit-com. Lo spettatore quindi decide di sottoscrivere il

contratto di abbonamento solo se ottiene prodotti differenti da quelli che può

vedere nella TV gratuita; e con HBO sa di avere un prodotto di qualità con

programmi differenti. Basandosi su questa regola di essere differente, HBO nel

1990 iniziò la propria produzione seriale con Dream On, una sit-com per adulti

con frequenti scene di nudo che fu tra le prime in America ad adoperare le

parolacce senza l’utilizzo della censura. Iniziò così la produzione di prodotti

altamente ricercati per contenuti, messa in scena e scrittura. A oggi possiamo

affermare che la produzione media di HBO, nel panorama della TV seriale

contemporanea, è sicuramente quella più simile al panorama cinematografico.

La strategia produttiva di HBO si basa sul tentare di percorrere sempre nuove

strade nel creare una televisione differente, una “non TV”. Un esempio della

creazione di un prodotto originale e differente è la serie “Six Feet Under”13. Per

Jane Feuer14 “Six Feet Under” nonostante sia una serie costruita puntando sulla

lunga serializzazione, su un cast molto ampio e sulla presenza di più stoylines,

tutti elementi comuni alla serie tv “normale”, ha un legame estetico più diretto

con l’art cinema e con il teatro modernista, rendendola strutturalmente più

simile al cinema non mainstream. HBO, quindi, può essere definita una “non

TV” perché fa tesoro delle strutture della televisione, le assimila e le rielabora

creando un prodotto nuovo, seppur fortemente radicato nella tradizione del

mezzo. Anche nella ridefinizione dei generi televisivi, come nota Al Auster, HBO

si distacca dai comuni trend della televisione contemporanea, sia discostandosi

da quelli usualmente praticati dai networks, sia ripescando generi classici ormai

13

Six Feet Under è una serie TV andata in onda dal 3 Giugno 2001 al 21 Agosto 2005 diretta da Alan Ball, autore che dirigerà anche True Blood, una serie TV sempre prodotta dall’emittente televisiva HBO. 14

Jane Feuer è una Professoressa di cinema all’Università di Pittsburgh, USA. Autrice di diversi libri tra cui MTM: Quality Television.

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quasi dimenticati. HBO ha creato un sotto-genere, un genere ibrido, facendo si

che un prodotto solo essendo di HBO sia un prodotto, a prescindere, di qualità.

3.2 Le serie che hanno reso HBO una garanzia di qualità

La lista delle serie televisive offerte da HBO è davvero impressionante: dalle

storiche “Sex and the City” e “I Soprano” alle più innovative “In Treatment” e

“Curb your Enthusiasm”, fino a capolavori del piccolo schermo come

“Deadwood” e “Six Feet Under”. E poi “Big Love”, “The Wire”, “Rome”, “Angels

in America”, “True Blood” e molte altre ancora. Tutte queste serie hanno

riscosso molto successo rendendo HBO uno dei pochi canali che può vantare

una tradizione così lunga di qualità, sperimentazione e originalità.

Come accennato nel paragrafo precedente, la produzione seriale di HBO inizia

nel 1990 con la sit-com “Dream On”, scritta dal duo Crane-Kauffman, che dopo

pochi anni crearono la serie di enorme successo “Friends”, e prodotta da John

Landis, che appare anche come regista in diversi episodi. La strategia

produttiva del network sui prodotti seriali si presenta inusuale fin da subito,

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poiché invece di privilegiare la quantità, per coprire un maggior arco di

palinsesto, HBO punta su alti investimenti, arrivando ai quattro milioni di dollari,

sulla realizzazione di pochi episodi per stagione e non ponendo limiti sul genere

e sul formato. Nel passaggio dalla messa in onda di film hollywoodiani alla

creazione di prodotti originali, HBO ottenne lo status di “fenomeno culturale”15

con programmi destinati ad un pubblico di cultura medio-alta. Per raggiungere

questa validazione HBO applicò la strategia del riconoscimento dell’autorialità,

incoraggiando il pubblico a conoscere gli autori e i retroscena delle proprie serie

TV. Nel sito web dell’emittente è infatti possibile accedere a moltissime ore di

contenuti extra, realizzati tra interviste, backstages e documentari. HBO

legittimando l’autorialità dei propri autori riesce a legittimare sé stessa. Il

passaggio naturale che deriva da questo bisogno di distinguersi

qualitativamente, porta alla realizzazione in proprio di programmi seriali, dato

che l’acquisto di prodotti da compagnie esterne non è sufficiente a garantire

quella qualità e quella quantità necessarie a costruire un palinsesto degno del

canale HBO.

La prima produzione da un’ora avvenne nel 1997 con la serie “Oz”. Questa

serie è ambientata in un carcere e, sin dalle prime immagini, si distingue per

durezza e realismo. “Oz” si svolge esclusivamente in un carcere e la vita

all’interno di esso è messa in scena senza alcun tipo di censura. La serie creata

da Tom Fontana, presenta un cast ampio nel quale manca un personaggio in

cui identificarsi. Tra guardie e detenuti nessuno è completamente innocente e

tutti i personaggi, nel corso delle sei stagioni, spariscono, mutano o muoiono.

La maggior parte delle scene si svolgono nello spiazzo che raccoglie le celle dei

detenuti, le quali non consentono alcun tipo di privacy o isolamento. Tutto

accade sotto gli occhi di tutti e di conseguenza del pubblico: stupri, omicidi e

iniziazioni. “Oz” è strutturato come una scena teatrale dove tutto è visibile e non

si può nascondere niente all’occhio dello spettatore. L’unico tipo di fuga verso

l’esterno del carcere è dato dai flashback che, in forma didascalica, presentano

15

Christopher Anderson, Drama Overview, p.34, in The Essential HBO Reader, a cura di Gary R. Edgerton e Jeffrey P. Jones, University Press of Kentucky, 2008.

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uno ad uno i detenuti indicandone i crimini commessi. “Oz” racchiude in sé tutti i

tratti distintivi di un tipico prodotto di HBO: è originale, provocatorio, non

risparmia la violenza verbale e visuale. È qualcosa di mai visto fino a quel

momento.

L’anno successivo HBO produce uno dei più grandi successi nella storia della

TV: “Sex and the City”, che dal punto di vista comedy rappresenta l’altro lato di

HBO. La serie fu realizzata da Darren Star, autore di “Beverly Hills 90210”,

programma che aveva ridefinito esteticamente e narratologicamente i termini

della soap opera prime-time. In “Sex and the City” il tema centrale è un post-

femminismo virato sul glamour e sulle nuove tendenze, dove le donne parlano

liberamente di sesso, proprio come facevano gli uomini, e dove per la prima

volta anche la città è una viva protagonista. Poche serie Tv hanno avuto come

“Sex and the City” un impatto sulla cultura contemporanea tale da influenzare le

mode del tempo. HBO comincia così a definire un suo stile riconoscibile. HBO

raggiunge il suo apice con le serie successive: “I Soprano” nel 1999, “Six Feet

Under” nel 2001 e “Deadwood” nel 2004. Queste produzioni ribaltano il

panorama televisivo in tre forme diverse. “I Soprano” è opera di David Chase,

che con esso porta in primo piano un genere poco frequente in televisione, ma

con una salda e autoriale tradizione al cinema: il mob drama. La serie diventa

subito il prodotto di punta di HBO e pone solide basi per consolidare lo stile

dell’emittente. “Six Feet Under”, pur aggirandosi nell’ambito del drama, propone

una forma narrativa originale e sofisticata. La serie firmata Alan Ball affronta un

realismo che fa del sogno una parte rilevante della sua narrazione. Infine

“Deadwood” prende spunto dal più classico dei generi, il western, che aveva

dominato il piccolo schermo fino agli anni Cinquanta. Con “Deadwood” David

Milch realizza un western adulto che non lesina in violenza, sia verbale che

fisica. Tra le serie di punta “Deadwood” è quella che ottiene meno successo per

il pubblico, ma il testo di Milch incarna perfettamente i limiti di ciò che si può, o

non si può mostrare in televisione.

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Nel 2005 esce la serie “Rome” prodotta da HBO in collaborazione con BBC e

Rai Fiction, con un budget dichiarato di cento milioni di dollari e girata in digitale

con una risoluzione pari all’alta definizione. “Rome” si pone come un

Blockbuster del piccolo schermo e rinnova una cooperazione tra HBO e BBC

che unisce due modi diversi di interpretare la televisione entrambi votati alla

qualità. La coproduzione tra HBO e BBC aveva già creato “Band of Brothers”

nel 2001, una miniserie che prende spunto da “Salvate il Soldato Ryan” e che

vede anche la collaborazione della Dreamworks e di Steven Spielberg. La

collaborazione HBO-BBC è fruttuosa e lo confermano anche i loro prodotti, due

miniserie, del 2008 intitolati “House of Saddam”, che parla della vita privata del

dittatore Iracheno, e “Generation Kill”. La miniserie è frutto della ricostruzione

dei racconti e delle testimonianze di un reporter e di diversi Marines americani

che hanno vissuto in prima linea la guerra d'Iraq; è prodotta e diretta da Ed

Burns e David Simon, già artefici di un altro successo di HBO, “The Wire”, che è

un racconto duro, realistico e spietato della società americana nel suo rapporto

con il crimine legato al traffico della droga. In “Generation Kill” non ci sono

scene spettacolari, attacchi eroici o ostentazione della virilità, come in molti film

sulla guerra. Il punto focale narrativo è incentrato sui militari, sulla loro

quotidianità e sulle problematiche che devono affrontare. L’occhio esterno è

dato dal reporter del “Rolling Stones”, interpretato da Lee Tergesen, che segue

la truppa e annota scrupolosamente tutto quello che succede. Uno sguardo più

neutrale è quello delle telecamere che i soldati utilizzano nelle loro azioni per

documentare le loro imprese. La serie presenta molte affinità, di stile e

ideologia, con recenti film come “Jarhed”, di Sam Mendes del 2005 e

“Redacted”, di Brian de Palma del 2007 e si pone all’avanguardia rispetto ad

un’altra serie sull’argomento intitolata “Over There” della Fox.

HBO sempre in collaborazione con BBC produce una serie comedy chiamata

“Extras”, di Ricky Gervais, una divertente satira e critica dell’ambiente televisivo

che, in forma autoriflessiva, mette in scena le fatiche di un attore per entrare nel

mondo dello spettacolo.

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Sul tema meta riflessivo del mondo dello spettacolo, già nel 2004 HBO aveva

prodotto la serie “Entourage”, creata da Mark Wahlberg, che punta l’obiettivo

sui successi e fallimenti di un attore che cerca di farsi strada a Hollywood. Pur

mostrando le ipocrisie del mondo dello spettacolo, la serie mantiene comunque

i toni della commedia. Nel mondo ovattato delle celebrità il gruppo ricrea le

dinamiche familiari tradizionali. La caratterizzazione dei personaggi è accurata

e realistica anche se spesso eccessiva. I protagonisti passano le loro giornate

tra feste di “Playboy” e locali esclusivi, mentre i loro unici pensieri ruotano

intorno alla prossima conquista. La vita da Star è messa in primo piano con le

stesse contraddizioni che essa porta con sé, ma la serie non perde occasione

di criticare il mondo di cui è un prodotto. Nonostante il tono apparentemente

leggero, anche in questa occasione è evidente la complessità dello stile firmato

HBO, basti notare che, se la critica definisce la serie come «dramedy»16, nelle

competizioni per i premi televisivi, come dimostrano le candidature agli Emmy

Awards del 2008, essa viene etichettata come “comica”.

Ancora in coproduzione con la BBC è il progetto che ha portato alla versione

statunitense di “Little Britain”, acclamata sit-com creata da David Walliams e

Matt Lucas. La serie intitolata in America “Little Britain USA” si pone la sfida di

presentare al pubblico statunitense un’opera fortemente radicata nella cultura

britannica. Essa è composta da una serie di mini episodi che mostrano i pregi,

ma soprattutto i difetti del popolo britannico. “Little Britain USA” riesce

comunque a declinare il suo stile originale d’oltreoceano grazie a una

rielaborazione del testo, che in parte ripropone personaggi già visti e in altra

parte di nuovi. All’interno di un formato normalmente dedicato ai prodotti

leggeri, va notato il meccanismo narrativo ideato dagli autori, fa della critica

sociale e politica il principale obiettivo.

Risulta ormai chiaro che HBO ha allargato i confini della televisione e,

nonostante non sia una “non TV”, è un’emittente differente, con un canone

16

M. Ryan, Entourage gets some of its bite back, in Chicago Tribune, 5 Settembre 2008.

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molto più alto di qualità rispetto agli altri canali TV e con un coraggio di rischiare

attribuibile a pochi.

Lo spirito di HBO si ritrova, ovviamente, anche nella produzione di documentari,

eventi musicali, sportivi e special comedy. Lo scopo imperativo dell’emittente,

più volte dichiarato anche dai vertici della compagnia, è quello di far si che uno

spettatore, facendo zapping, possa esclamare «Questo è un prodotto HBO». I

prodotti HBO sono riconoscibili perché altamente di qualità e perché si pone

come autore a tutti gli effetti dei suoi prodotti. Più di ogni altro network, HBO

infonde uno stile comune alle sue produzioni proprio per il fatto di non dover

vendere spazi pubblicitari e, quindi, di non dover modellare la sua produzione

solo per un determinato target di vendita. Anche la collaborazione con la BBC è

indice della continua ricerca qualitativa e di un’apertura europea che può

garantire un mercato differente.

Lo stile di HBO è un esempio lampante di come la televisione americana e

inglese siano diventate, negli ultimi quindici anni, migliori del cinema. I motivi

che hanno portato a questo sviluppo sono svariati: i fattori economici e

produttivi, la maggior consapevolezza degli spettatori, una maturità finalmente

completa degli sceneggiatori televisivi, la legittimazione del mezzo televisivo

non più visto come “idiot box”.

La tattica adoperata da HBO sembra funzionare: dopo anni di investimenti il

network ha ormai raggiunto un livello di penetrazione negli Stati Uniti molto alto.

In alcuni casi i rating di ascolto delle serie di HBO si avvicinano a quelli dei

programmi trasmessi in chiaro, un risultato certamente premiante. Per

l’immediato futuro, HBO punta alla fidelizzazione del pubblico già acquisito,

rinnovando serie che hanno riscosso dei buoni ascolti nelle stagioni precedenti,

“True Blood” ne è l’esempio più lampante, la conferma di serie storiche e

l’ingresso di alcune interessanti novità, come “Treme”, la nuova creatura di

David Simon, già creatore di “The Wire”, ambientata nella New Orleans post-

Katrina. I presupposti per continuare una consolidata tradizione di qualità ci

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sono tutti, anche se la concorrenza dei canali via cavo, Showtime e AMC in

testa, è agguerritissima. Questa stagione sarà cruciale nel ridisegnare o

confermare gli equilibri di questo canale e per comprendere se HBO sarà

riuscita ad assorbire in maniera costruttiva la scomparsa dagli schermi del suo

programma di punta: “I Soprano”.

3.3 There are stories and there are HBO stories

HBO pubblicizza il suo essere differente tramite diverse campagne pubblicitarie,

tutte caratterizzate dalla messa in evidenza di storie all’apparenza semplici che

poi prendono una piega inaspettata.

La campagna pubblicitaria che impiega maggiormente la tecnica dello

Storytelling evidenziando le capacità narrative degli storitellers di HBO, i quali

rendono il canale unico e di qualità superiore, è quella intitolata “There are

stories and there are HBO stories”. Questa campagna si articola in una serie di

video che raccontano diverse storie. Ogni video narra prima una storia, poi con

l’emblematico “fruscio” caratteristico del marchio HBO si arriva ad un cambio di

scenario: la storia ricomincia, ma questa volta va in modo diverso e prende una

piega del tutto inaspettata, elevando così l’arte dello Storytelling oltre l’ordinario.

La differenza tra una storia e una storia di HBO è che della seconda se ne

parla; e solo una storia di cui poi si parla vale la pena di essere raccontata.

Questa campagna pubblicitaria è stata sviluppata dalla BBDO di New York dai

capi dell’ufficio creativo David Lubars e Bill Bruce, dal direttore creativo Don

Schneider, dall’art director Matt Vescovo e dal copywriter Colin Nissan. Il

regista della campagna che ha realizzato i video è Sam Mendes della RSA

Films di New York e il direttore della fotografia è John Mathieson.

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La campagna pubblicitaria di HBO ha vinto il Leone d’Oro al Festival

Internazionale della Pubblicità a Cannes.

La campagna è divisa in quattro video che raccontano quattro storie differenti.

La prima narra di un uomo che entra in una caffetteria e ordina la colazione a

una giovane cameriera, c’è lo stacco con il brusio grigio e l’uomo spiega che ha

ritrovato sua figlia dopo quattordici anni e ogni volta che la vede l’unica cosa

che riesce a dirle è che cosa vuole per colazione. La prima, quindi, si basa sul

farci emozionare, ci fa commuovere e ci cambia la prospettiva inizialmente

banale di come potrebbe andare a finire la storia.

La seconda racconta di una coppia di anziani che sta cenando, ad un certo

punto il marito si sente male e l’anziana signora chiama l’ambulanza. Brusio

grigio, stesso scenario, ma la signora quando compone il numero attacca senza

farsi vedere e fa finta di parlare con l’ambulanza. Questa pubblicità gioca sulla

psicologia per la quale un’associazione differente di immagini riesce a

scatenare in noi sentimenti totalmente differenti. Le scene sono identiche, ma

se nella prima parte interpretiamo lo sguardo della vecchietta come un gesto di

apprensione, nella seconda lo vediamo come uno sguardo malvagio. Lo

sguardo è esattamente lo stesso, ma è bastato un minimo gesto a farci

cambiare l’opinione che ci eravamo fatti sulla signora e a farci rivalutare ogni

gesto precedente come malvagio.

La terza storia gioca sul farci ridere e sul tempismo. Un uomo sta tornando a

casa dal lavoro, è il suo compleanno e gli amici, la fidanzata e i parenti gli

hanno organizzato una festa a sorpresa. Lui entra dal portone, prende la posta

ed entra in casa. Suona il telefono, ma non risponde perché viene accolto con

l’urlo: «Sorpresa!» e dalla fidanzata con la torta. Brusio grigio, stesso scenario

solo che gli cade la posta e nel raccogliere ritarda ad entrare in casa, il telefono

squilla, parte la segreteria telefonica; è il suo capo che lo chiama per dirgli che

hanno trovato un video della sorveglianza in cui lui si masturba nella sala

riunioni e che l’indomani vuole vederlo nel suo ufficio. Questa notizia

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naturalmente crea stupore ed enorme imbarazzo nelle persone che lo stanno

aspettando nascoste e al suo arrivo si alzano facendo un urlo un po’ forzato

accompagnato da sorrisi falsi e imbarazzati. Vista dall’esterno questa storia

provoca ilarità in chi la guarda, ma allo stesso tempo crea imbarazzo perché

ognuno di noi ha dei segreti di cui gli altri non sono a conoscenza e l’idea che

vengano svelati ci terrorizza facendoci immedesimare nel festeggiato, il quale

non verrà più guardato nello stesso modo da parenti e amici.

La quarta storia si svolge su un aereo. Ci sono un uomo e una donna che fanno

l’amore nel bagno, poi uno alla volta escono, si siedono al loro posto, uno

accanto all’altra, e si danno la mano: sono marito e moglie. Brusio grigio, la

coppia nel bagno è la stessa, ma quando tornano ai loro posti lui si siede

accanto a un’altra, sua moglie, mentre la donna con cui ha fatto sesso è una

sconosciuta del sedile accanto. Mentre nella prima parte pensavamo fosse una

coppia appassionata e felicemente sposata, nella seconda vediamo l’ipocrisia e

le falsità che si celano dietro ad una coppia apparentemente felice, entrando nel

tema molto discusso del tradimento. Anche in questo caso i creatori giocano

con i nostri sentimenti, facendo leva da una parte sull’intrigo di fare una cosa

proibita di nascosto e dall’altra sull’immedesimazione delle donne nella moglie

tradita, con conseguente odio verso l’uomo visto come “maiale fedifrago”,

mentre per gli uomini con l’uomo che si destreggia tra la moglie e l’amante,

facendo scaturire una sorta di ammirazione nei suoi confronti.

Ognuna di queste storie è abilmente raccontata e ci fa capire come HBO sia

capace di raccontare storie fuori dal comune e allo stesso tempo di farci

immedesimare con i personaggi di cui racconta. Questa campagna pubblicitaria

racchiude alla perfezione le caratteristiche dello Storytelling e che una storia

deve avere per essere una buona storia da raccontare. Una storia deve essere

capace di far nascere in noi un’emozione, un sentimento che ci commuova, che

ci faccia arrabbiare, che ci coinvolga, che ci faccia riflettere sulla realtà e che ci

faccia sognare. HBO è un canale capace di far sognare i propri telespettatori, di

emozionarli, di far nascere in loro un sentimento, anche negativo, ma pur

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sempre un sentimento. I suoi programmi riescono a catturare lo spettatore,

rendendolo fedele al canale.

3.3.1 Sinossi

Qui di seguito riporto la sinossi delle quattro pubblicità con i relativi fotogrammi.

La prima intitolata “Dinner”:

Un uomo con capelli e barba bianca

entra in una classica caffetteria

americana.

Cammina e si siede ad un tavolo in

fondo.

Parte una sinfonia col pianoforte e c’è

un primo piano sul viso dell’uomo, che

dall’espressione risulta triste e turbato.

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Arriva la cameriera, una giovane

ragazza, lui alza lo sguardo e

facendole un sorriso le dice: «Posso

avere due uova grandi con bacon,

toast e caffè per favore?» e lei con un

sorriso gli risponde: «Certamente» e

si allontana. Lui la guarda allontanarsi

e il suo sguardo torna triste.

C’è l’interruzione con il white noise.

Ricomincia la storia con l’uomo che

entra nella caffetteria.

Parte la musica e lui inizia a

raccontare la sua storia: «Ci sono

voluti quattordici anni, sei mesi e otto

giorni per trovare mia figlia; e ogni

mattina da quel momento tutto quello

che riesco a dirle è: Posso avere due

uova grandi con bacon, toast e caffè

per favore?»

Lei con un sorriso gli risponde:

«Certamente».

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La figlia si allontana e come tutte le

mattine non sa che quell’uomo che le

ha appena chiesto la colazione è suo

padre.

Lui la guarda allontanarsi con uno

sguardo triste. Anche questa mattina

non è riuscito a dire la verità a sua

figlia.

Schermata nera. Sulla sinistra dello

schermo compare la scritta “There are

stories” poi si dissolve e compare

dall’altro lato dello schermo la scritta

“and there are HBO stories”. Si

dissolve anche questa.

Schermo nero e la scritta “It’s not TV.

It’s HBO.”

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La seconda intitolata “Heart Attack”:

Rumore di posate.

Una coppia di due anziani a cena

seduti ai capi opposti del tavolo.

Senza tovaglia, in una casa cupa.

Un’ambientazione che trasmette

tristezza e noia.

Lui tossisce e si capisce che qualcosa

non va.

Lei lo guarda e preoccupata esclama

ripetutamente il suo nome: «Arold,

Arold, Arold!».

Lui si accascia sul tavolo ed è

evidente che si tratta di un infarto.

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Lei si alza esclamando: «Oh mio Dio!»

Va verso il telefono e compone il 911.

Dall’altra parte risponde una voce di

donna che dice: «911 Emergenza».

La signora risponde: «Mio marito sta

avendo un attacco di cuore»

La signorina:«Qual è il suo indirizzo

signora?»

Lei risponde:«Meaple Drive numero

54 e fate in fretta per favore»

Infine la signorina risponde: «Siamo

già per strada».

La signora attacca il telefono e guarda

con sguardo preoccupato il marito.

C’è l’interruzione con il white noise.

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La scena ricomincia esattamente

come la precedente, solo che nel

momento in cui la signora si alza per

telefonare invece di comporre il

numero attacca il telefono e fa finta di

parlare con la signorina del 911

rispondendo alle sue domande: «Si,

mio marito sta avendo un attacco di

cuore. Meaple Drive numero 54 e

sbrigatevi per favore». Attacca il

telefono, si volta verso il marito come

nella scena precedente e si rigira con

la medesima faccia di prima; solo che

ora non la interpretiamo come

preoccupata, bensì come malvagia.

Schermo nero e sulla sinistra compare

la scritta “There are stories” poi si

dissolve e dall’altro lato dello schermo

compare la scritta “and there are HBO

stories”. Si dissolve anche questa.

Schermata nera e la scritta “It’s not

TV. It’s HBO.”

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La terza si intitola “Surprise”:

Un uomo sta camminando verso casa

sua.

Si vedono due donne che stanno

guardando dalla finestra e vedendolo

esclamano:«È qui! È qui! Shh! Shh!

Nascondetevi, nascondetevi!»

Tutti si accovacciano e si legge la

scritta “Tanti auguri Dan” facendo

capire così all’osservatore che è una

festa a sorpresa.

Lui entra dal portone e prende la

posta.

In casa sono tutti nascosti e c’è la

fidanzata con la torta con le candeline

accese che lo attende.

Suona il telefono mentre entra in

casa, parte la segreteria: «È la

segreteria di Dan lasciate un

messaggio» e il messaggio dice: «Ehi

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Dan sono Alex…».

Si gira e tutti si alzano urlandogli:

«Sorpresa!» sovrastando il suono del

messaggio in segreteria.

Tutti sono allegri.

C’è l’interruzione con il white noise.

La situazione è la stessa fino al punto

in cui lui prende la posta.

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Gli scivola la posta dalle mani e

ritarda a entrare in casa per

raccoglierla.

Suona il telefono. Sono tutti in attesa.

Parte la segreteria e il messaggio

dice: «Ehi Dan sono Alex dal lavoro.

Dobbiamo parlare. Ho appena visto il

video della telecamera di sicurezza

dove ti si vede chiaramente mentre ti

masturbi nella sala conferenze. Vieni

nel mio ufficio domani mattina per

favore».

Mentre si sente il messaggio sono tutti

schifati e allibiti.

L’imbarazzo cresce e nessuno è più

felice di essere lì a fare la festa a

sorpresa a Dan.

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Dan entra in casa e tutti titubanti si

alzano dicendo: «Sorpresa!», ma con

un tono ancora sconvolto dal

messaggio in segreteria appena

ascoltato.

Lui non si rende conto di niente ed

esulta contento della sorpresa.

Schermo nero e sulla sinistra compare

la scritta “There are stories” poi si

dissolve e dall’altro lato dello schermo

compare la scritta “and there are HBO

stories”. Si dissolve anche questa.

Schermata nera e la scritta “It’s not

TV. It’s HBO.”

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La quarta si intitola “Airplane”:

Siamo su un aereo. Dei rumori

provengono dal bagno.

Un uomo e una donna stanno

facendo sesso nel bagno dell’aereo.

Si baciano appassionatamente.

Lei è una donna giovane mora, lui un

uomo coetaneo. Ridono e si baciano,

complici in questa situazione.

Alla fine si rivestono frettolosamente

cercando di ricomporsi prima di

uscire dal bagno.

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Esce prima lei, poi lui. Entrambi si

guardano attorno per controllare che

nessuno li veda.

Lui si siede e scopriamo che lei è la

sua vicina sull’aereo.

Capiamo poi che i due sono in realtà

felicemente sposati.

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Finisce la storia con loro due felici e

la vicina che legge un libro ignara di

quello che è successo in bagno.

C’è l’interruzione con il white noise.

Ricomincia la storia. Stessa

situazione. Lei e lui che fanno

l’amore in bagno.

Ma c’è una differenza, lui quando

torna a sedersi è vicino ad una

donna bionda.

La donna bionda lo guarda

sorridendo e lo spettatore percepisce

che qualcosa non va in questo

quadro.

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La donna gli prende la mano e

vediamo l’anello. Lei è sua moglie.

L’inquadratura ruota verso la vicina

dell’altro sedile. È la donna del

bagno che guarda dritta in camera

con sguardo ammiccante.

Schermo nero e sulla sinistra

compare la scritta “There are stories”

poi si dissolve e dall’altro lato dello

schermo compare la scritta “and

there are HBO stories”. Si dissolve

anche questa. Schermata nera e la

scritta “It’s not TV. It’s HBO.”

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3.4 Conclusione

Ho scelto di analizzare la case history HBO perché racchiude il significato che

lo Storytelling ha e la sua importanza nella pubblicità. Lo Storytelling viene

utilizzato per raccontare una storia che riesca a coinvolgerci, ad emozionarci, a

farci sentire legati sentimentalmente al marchio che ha fatto quella determinata

pubblicità, ed HBO ci riesce meravigliosamente. La campagna pubblicitaria

“There are stories and there are HBO stories” è l’emblema dello Storytelling:

inizialmente ti racconta una storia che è banale e che non ti coinvolge, mentre

successivamente, cambiando semplicemente qualche dettaglio, la storia

cambia e si evolve in maniera inaspettata, innescando in noi un sentimento,

facendoci convincere che HBO è un canale differente, con storie diverse dal

comune, interessanti e originali.

Spesso lo Storytelling viene utilizzato in maniera “subdola” per vendere un

prodotto, ma in questo caso la situazione è differente: HBO vuole si vendere un

prodotto, ma il prodotto che vende sono delle storie. È vero anche che vuole

vendere i suoi abbonamenti, ma per quello che il canale mostra, per i

programmi che trasmette. HBO punta sulla qualità, l’ha sempre fatto e sempre

lo farà. È un canale come pochi in America e come nessun canale in Italia, i

nostri canali si basano sull’uomo medio, sul banale e non sull’originale; HBO,

invece, si basa sul crearsi un pubblico che apprezzi il suo lavoro, i suoi

programmi, un pubblico che sia in cerca di qualcosa di unico, di diverso e non

del banale. Lo Storytelling è il modo di comunicare per eccellenza, ogni giorno

della nostra vita raccontiamo storie agli altri e a noi stessi, così HBO fa dello

Storytelling la propria ragione di vita, il proprio punto di forza per distinguersi,

per uscire fuori dal mucchio.

Lo Storytelling è, e resterà, il modo più semplice per comunicare e come HBO

tanti altri marchi lo utilizzeranno per le proprie campagne pubblicitarie.

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Ringraziamenti

Innanzitutto vorrei ringraziare il Professore Guido Cornara che mi ha seguita

durante la stesura di questa tesi e che, grazie al suo corso, mi ha fatto

capire che lavoro avrei voluto fare nella vita.

Ringrazio i miei genitori perché senza di loro tutto questo non sarebbe stato

possibile. Mi hanno permesso di studiare in una città lontana da casa,

spronandomi ad andare avanti. Vi voglio bene.

Un grazie va a tutti i miei amici nuovi e vecchi senza i quali questa

esperienza non sarebbe stata la stessa. Un grazie particolare a Michela che

mi è stata vicina nonostante la distanza e a Gloria con cui ho passato

giornate intere a studiare e ripetere e con la quale ci siamo sempre

spalleggiate. Abbiamo passato tre anni insieme, vivendo mano nella mano

quest’esperienza.

Infine, ma non per importanza, ringrazio il mio ragazzo che mi ha spronata e

sopportata in questi ultimi anni, che ha studiato con me spagnolo e che mi è

stato vicino quando credevo di non farcela. Ha vissuto ogni esame con me,

calmandomi e facendomi sorridere. Mi ha tenuto la mano nei momenti più

importanti e mi ha aiutata a rialzarmi quando ero in difficoltà.

Grazie a tutti per far parte della mia vita e per aver reso questa esperienza

unica.

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