Nel nome della madre

1
Le mani L a figura della madre oggi è al centro di molti dibattiti culturali. La filosofa Elizabeth Badinter ha ripercorso nel suo ultimo libro mezzo secolo di emancipazione femminile per individuare, nella società contemporanea, una retorica della maternità che intrappola le donne; il film Quando la not- te di Cristina Comencini, è stato vietato ai minori di 14 anni perché il rifiuto e la violenza di una madre sul fi- glio, al centro del racconto, è considerato un fatto trop- po innaturale e perturbante. Eppure basterebbe la lette- ratura a ricordarci che la madre perfetta non esiste. Quel gorgo di desiderio, amore incondizionato, mancanza, frustrazione che trascina con sé molti rapporti madre-fi- glio (soprattutto madre-figlia) ha nutrito e continua a nu- trire la poetica dei narratori, a cominciare da Simone de Beauvoir che scriveva: «Non ci sono madri snaturate per- ché l’amore materno non ha nulla di naturale». In quello che può essere considerato un vero e pro- prio filone si trovano toni e prospettive diverse a secon- da del soggetto che si prende in carico la narrazione. A volte sono le madri a raccontare le figlie e allora sembra prevalere un tono percorso dal senso di colpa o di inade- guatezza, dalla paura di una vera o presunta propria inet- titudine. È così nel nuovo libro di Joan Didion Blue Ni- ghts, appena uscito in America, ideale seguito (e finale) de L’anno del pensiero magico che ha un precedente di- retto in Paula, il romanzo che Isabel Allende ha dedicato alla figlia morta per una malattia rara. Il romanzo della Didion è su Quintana, la figlia adottata con il marito John Gregory Dunne, scomparsa nel 2005 a 39 anni, ven- ti mesi dopo il padre, ed è un momento di ricordo ma anche di dubbio e interrogazione su se stessa. La Didion, ha scritto la critica Michiko Kakutani sul «New York Ti- mes», gira continuamente intorno ai temi che la turba- no: la paura di non aver capito i timori di abbandono che Quintana, in quanto figlia adottiva, aveva; la preoccu- pazione di averle imposto le sue aspettative quando era piccola e anche il timore che Quintana la vedesse come una donna fragile e bisognosa di attenzione, di cui pren- dersi cura piuttosto che come una madre in grado di da- re cura. Senso di colpa, paura della propria inettitudine, la ma- ternità come vera e propria conquista, sono anche gli ele- menti de L’amore imperfetto di Irene Di Caccamo con cui Benedetta Centovalli ha segnato il suo esordio come editor della casa editrice Nutrimenti. È la storia di una donna che perde il suo uomo in un incidente stradale e pochi giorni dopo scopre di aspettare un figlio. Potreb- be essere un nuovo inizio, all’insegna della speranza, ma per la protagonista, che non si sente pronta a quella ma- ternità arrivata per caso, è la presa di coscienza della sua incapacità a occuparsene. Per una madre che si nega alla maternità (o meglio al figlio) ce n’è un’altra, una ragazza dell’Est, separata dal suo bambino, che la accoglie e se ne fa carico, in una sorta di relazione surrogata. Altre volte (ma più raramente) sono i figli maschi a raccontare le madri, come ha fatto Tahar Ben Jelloun nel 2007 (Mia madre, la mia bambina sulla madre malata di Alzheimer) o come ha appena fatto Emanuele Tonon (La luce prima) che ha intessuto un lamento di dolore e di amore intorno alla madre scomparsa improvvisamente in uno dei libri italiani più intensi degli ultimi tempi. Un romanzo senza grazia, espressivo, un’autofiction dove il centro di tutto è questa «madre piccola», che non viene quasi mai evocata direttamente. La sua storia di giovane donna del Sud che rimane incinta e tuttavia decide di tenere il figlio, viene raccontata attraverso frammenti. Il libro ha ispirato ad Antonio Moresco una lettera-recen- sione (pubblicata da «Affari italiani») dove chiama in causa il suo di rapporto con la madre: «Tu porti sulle tue spalle il fardello e il trauma di un’accettazione totale — scrive Moresco —. Io porto sulle mie spalle il fardello e il trauma di un abbandono. Tu hai cercato di fuggire da questo terribile vincolo, da questo buco nero e da que- sto destino. Io non ne ho avuto bisogno perché sono sta- to scacciato e abbandonato nel bosco. Tu sei stato ama- to. Io no. Avrei preferito il contrario? Che cosa è meglio? Qual è la madre migliore? Quella infinitamente buona o quella folle e feroce? Forse, tra noi due, sono stato io ad avere il dono più grande». La domanda di Moresco investe non solo l’ambito let- terario, dove, peraltro, è evidente che è sopratutto il se- condo modello — la madre folle, insufficiente, anaffetti- va — quello più fecondo e più praticato. Sono perlopiù storie raccontate dalle figlie come quella di Donatella Di Pietrantonio che lo scorso anno ha esordito nella narrati- va con il racconto (Mia madre è un fiume) di un rappor- to madre-figlia aspro come il paesaggio d’Abruzzo in cui è ambientato. La madre insufficiente e tuttavia «luce pri- ma», per citare l’espressione di Tonon, che attrae le fi- glie nel continuo sforzo di venirne illuminate è il centro di tutta l’opera di autrici di epoca e provenienza diversa come Irène Némirovsky e Joyce Carol Oates. La loro nar- rativa si nutre, in maniera continuata e non occasionale, di una relazione basata su una supremazia materna che si fa tanto più invadente quanto più la figura è mancan- te. Così Iréne, amata dal padre e detestata dalla madre, un’ebrea russa emancipata figlia di un ricco commer- ciante di Odessa, donna colta, inquieta e un po’ isterica, portata a un certo decadentismo cosmopolita, che vede- va nella figlia la fine della sua giovinezza (temeva che i suoi baci le rovinassero il trucco), riversa nei suoi roman- zi (Jezabel e Il vino della solitudine soprattutto, ma an- che Come le mosche d’autunno, La nemica, Il ballo), tut- to l’irrisolto di quel rapporto in cui si sentiva come una barriera tra i piaceri della vita e i doveri della maternità. Per lei, come per la Oates con le sue madri nevrotiche (i padri non esistono quasi nei suoi libri), i romanzi so- no una sorta di camera di compensazione, un’infinita e mai quieta seduta di psicoanalisi come se quel centro infuocato, quel grumo di odio e risentimento che riveste ogni brandello di un rapporto tirannico non potesse che trovare uno scioglimento nel racconto e nella condivisio- ne. © RIPRODUZIONE RISERVATA di Eugenio Baroncelli C he cosa fa della sua mano Edgardo da quando non scrive più ad Alida? La stringe alla maniglia perché apra lo stipo salvato da traslochi e inondazioni, guarda il passato che c’è dentro e lo richiude. La piega perché ricami i giorni di merletti da niente come una sartina. Che cosa fa della sua mano Alida da quando non gli scrive più? La copre per pietà con un guanto di raso prezioso. La lava dal peccato dell’oblio. La imbriglia con quell’altra per nascondere il pittoresco tremito che poi le fa rovesciare lo smalto per le unghie sul loro tappeto antico. © RIPRODUZIONE RISERVATA Un romanzo di cento parole Tendenze Oates e Didion, Tonon e Di Pietrantonio: la declinazione di un nuovo lessico famigliare Questa discendenza non s’ha da dire. Nella biografia di Nicola Brunialti, autore de Il mummificatore (Newton Compton), non si fa cenno alla parentela con Alessandro Manzoni (mentre si ricorda la paternità di un popolare spot tv). Teme il confronto? Scelta di marketing di non associare al ricordo scolastico dell’antenato la prosa brillante del pronipote? L’illustre avo davanti a una storia di fantasmi con humour nero si rivolterebbe nella tomba? Caratteri L’INEDITO di Severino Colombo Manzoni, pronipote segreto R RR La bella appisolata nel bosco di CRISTINA TAGLIETTI Tarli Un anno fa la critica si entusiasmò per la nuova traduzione della ormai datata Montagna incantata di Thomas Mann, svecchiata con una applaudita operazione di ingegneria filologica e ripresentata nei Meridiani con il titolo La montagna magica. I lettori aspettano con ansia per Natale i nuovi capolavori della prestigiosa collana Mondadori: Alla ricerca del tempo smarrito, Cime burrascose, L’anziano e il mare, La bella appisolata nel bosco. Pierenrico Ratto Nel nome della madre Eugenio Baroncelli (1944) vive a Ravenna. Da Sellerio ha pubblicato «Libro di candele. 267 vite in due o tre pose» (2008), fulminanti biografie di uomini più o meno noti. Tiromancino Dall’alto: Joan Didion, (ha pubblicato «Blue Night»), Joyce Carol Oates e Donatella Di Pietrantonio, autrice di «Mia madre è un fiume» ELLIOTT ERWITT, «MADRE E FIGLIA», 1953 Punti di vista A volte le mamme raccontano le figlie, ma più spesso è il contrario. La madre è tanto più invadente nella narrativa quanto più inadeguata nella realtà, come per Irène Némirovsky R RR R RR Amore o conflitti: un rapporto fecondo narrato (soprattutto) dalle figlie { I libri: narrativa, poesia, saggistica, classifiche 13 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011 Codice cliente:

description

Nel nome della madre Amore o conflitti: un rapporto fecondo narrato (soprattutto) dalle figlie

Transcript of Nel nome della madre

Page 1: Nel nome della madre

Le mani

La figura della madre oggi è al centro di moltidibattiti culturali. La filosofa Elizabeth Badinterha ripercorso nel suo ultimo libro mezzo secolodi emancipazione femminile per individuare,nella società contemporanea, una retorica della

maternità che intrappola le donne; il film Quando la not-te di Cristina Comencini, è stato vietato ai minori di 14anni perché il rifiuto e la violenza di una madre sul fi-glio, al centro del racconto, è considerato un fatto trop-po innaturale e perturbante. Eppure basterebbe la lette-ratura a ricordarci che la madre perfetta non esiste. Quelgorgo di desiderio, amore incondizionato, mancanza,frustrazione che trascina con sé molti rapporti madre-fi-glio (soprattutto madre-figlia) ha nutrito e continua a nu-trire la poetica dei narratori, a cominciare da Simone deBeauvoir che scriveva: «Non ci sono madri snaturate per-ché l’amore materno non ha nulla di naturale».

In quello che può essere considerato un vero e pro-prio filone si trovano toni e prospettive diverse a secon-da del soggetto che si prende in carico la narrazione. Avolte sono le madri a raccontare le figlie e allora sembraprevalere un tono percorso dal senso di colpa o di inade-guatezza, dalla paura di una vera o presunta propria inet-titudine. È così nel nuovo libro di Joan Didion Blue Ni-ghts, appena uscito in America, ideale seguito (e finale)de L’anno del pensiero magico che ha un precedente di-retto in Paula, il romanzo che Isabel Allende ha dedicatoalla figlia morta per una malattia rara. Il romanzo della

Didion è su Quintana, la figlia adottata con il maritoJohn Gregory Dunne, scomparsa nel 2005 a 39 anni, ven-ti mesi dopo il padre, ed è un momento di ricordo maanche di dubbio e interrogazione su se stessa. La Didion,ha scritto la critica Michiko Kakutani sul «New York Ti-mes», gira continuamente intorno ai temi che la turba-no: la paura di non aver capito i timori di abbandonoche Quintana, in quanto figlia adottiva, aveva; la preoccu-pazione di averle imposto le sue aspettative quando erapiccola e anche il timore che Quintana la vedesse comeuna donna fragile e bisognosa di attenzione, di cui pren-dersi cura piuttosto che come una madre in grado di da-re cura.

Senso di colpa, paura della propria inettitudine, la ma-ternità come vera e propria conquista, sono anche gli ele-menti de L’amore imperfetto di Irene Di Caccamo concui Benedetta Centovalli ha segnato il suo esordio comeeditor della casa editrice Nutrimenti. È la storia di unadonna che perde il suo uomo in un incidente stradale epochi giorni dopo scopre di aspettare un figlio. Potreb-be essere un nuovo inizio, all’insegna della speranza, maper la protagonista, che non si sente pronta a quella ma-ternità arrivata per caso, è la presa di coscienza della suaincapacità a occuparsene. Per una madre che si nega allamaternità (o meglio al figlio) ce n’è un’altra, una ragazzadell’Est, separata dal suo bambino, che la accoglie e se

ne fa carico, in una sorta di relazione surrogata.Altre volte (ma più raramente) sono i figli maschi a

raccontare le madri, come ha fatto Tahar Ben Jelloun nel2007 (Mia madre, la mia bambina sulla madre malata diAlzheimer) o come ha appena fatto Emanuele Tonon (Laluce prima) che ha intessuto un lamento di dolore e diamore intorno alla madre scomparsa improvvisamentein uno dei libri italiani più intensi degli ultimi tempi. Unromanzo senza grazia, espressivo, un’autofiction dove ilcentro di tutto è questa «madre piccola», che non vienequasi mai evocata direttamente. La sua storia di giovanedonna del Sud che rimane incinta e tuttavia decide ditenere il figlio, viene raccontata attraverso frammenti. Illibro ha ispirato ad Antonio Moresco una lettera-recen-sione (pubblicata da «Affari italiani») dove chiama incausa il suo di rapporto con la madre: «Tu porti sulle tuespalle il fardello e il trauma di un’accettazione totale —scrive Moresco —. Io porto sulle mie spalle il fardello e iltrauma di un abbandono. Tu hai cercato di fuggire daquesto terribile vincolo, da questo buco nero e da que-sto destino. Io non ne ho avuto bisogno perché sono sta-to scacciato e abbandonato nel bosco. Tu sei stato ama-to. Io no. Avrei preferito il contrario? Che cosa è meglio?

Qual è la madre migliore? Quella infinitamente buona oquella folle e feroce? Forse, tra noi due, sono stato io adavere il dono più grande».

La domanda di Moresco investe non solo l’ambito let-terario, dove, peraltro, è evidente che è sopratutto il se-condo modello — la madre folle, insufficiente, anaffetti-va — quello più fecondo e più praticato. Sono perlopiùstorie raccontate dalle figlie come quella di Donatella DiPietrantonio che lo scorso anno ha esordito nella narrati-va con il racconto (Mia madre è un fiume) di un rappor-to madre-figlia aspro come il paesaggio d’Abruzzo in cuiè ambientato. La madre insufficiente e tuttavia «luce pri-ma», per citare l’espressione di Tonon, che attrae le fi-glie nel continuo sforzo di venirne illuminate è il centrodi tutta l’opera di autrici di epoca e provenienza diversacome Irène Némirovsky e Joyce Carol Oates. La loro nar-rativa si nutre, in maniera continuata e non occasionale,di una relazione basata su una supremazia materna chesi fa tanto più invadente quanto più la figura è mancan-te. Così Iréne, amata dal padre e detestata dalla madre,un’ebrea russa emancipata figlia di un ricco commer-ciante di Odessa, donna colta, inquieta e un po’ isterica,portata a un certo decadentismo cosmopolita, che vede-va nella figlia la fine della sua giovinezza (temeva che isuoi baci le rovinassero il trucco), riversa nei suoi roman-zi (Jezabel e Il vino della solitudine soprattutto, ma an-che Come le mosche d’autunno, La nemica, Il ballo), tut-to l’irrisolto di quel rapporto in cui si sentiva come unabarriera tra i piaceri della vita e i doveri della maternità.

Per lei, come per la Oates con le sue madri nevrotiche(i padri non esistono quasi nei suoi libri), i romanzi so-no una sorta di camera di compensazione, un’infinita emai quieta seduta di psicoanalisi come se quel centroinfuocato, quel grumo di odio e risentimento che rivesteogni brandello di un rapporto tirannico non potesse chetrovare uno scioglimento nel racconto e nella condivisio-ne.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Eugenio Baroncelli Che cosa fa della sua mano Edgardoda quando non scrive più ad Alida?La stringe alla maniglia perchéapra lo stipo salvato da traslochi e

inondazioni, guarda il passato che c’èdentro e lo richiude. La piega perchéricami i giorni di merletti da niente comeuna sartina. Che cosa fa della sua mano

Alida da quando non gli scrive più? Lacopre per pietà con un guanto di rasoprezioso. La lava dal peccato dell’oblio. Laimbriglia con quell’altra per nascondere ilpittoresco tremito che poi le fa rovesciarelo smalto per le unghie sul loro tappetoantico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un romanzodi cento parole

Tendenze Oates e Didion, Tonon e Di Pietrantonio: la declinazione di un nuovo lessico famigliare

Questa discendenza non s’ha da dire. Nellabiografia di Nicola Brunialti, autore de Ilmummificatore (Newton Compton), non si facenno alla parentela con Alessandro Manzoni(mentre si ricorda la paternità di un popolarespot tv). Teme il confronto? Scelta di marketingdi non associare al ricordo scolasticodell’antenato la prosa brillante del pronipote?L’illustre avo davanti a una storia di fantasmicon humour nero si rivolterebbe nella tomba?

Caratteri

L’INEDITO

di Severino Colombo

Manzoni, pronipote segreto

RRR

La bella appisolata nel bosco

di CRISTINA TAGLIETTI

Tarli

Un anno fa la critica si entusiasmò per la nuova traduzionedella ormai datata Montagna incantata di Thomas Mann,svecchiata con una applaudita operazione di ingegneria filologicae ripresentata nei Meridiani con il titolo La montagna magica.I lettori aspettano con ansia per Natale i nuovi capolavoridella prestigiosa collana Mondadori: Alla ricercadel tempo smarrito, Cime burrascose, L’anziano e il mare,La bella appisolata nel bosco.

Pierenrico Ratto

Nel nome della madre

Eugenio Baroncelli (1944)vive a Ravenna. DaSellerio ha pubblicato«Libro di candele. 267 vitein due o tre pose» (2008),fulminanti biografie diuomini più o meno noti.

Tiromancino

Dall’alto: Joan Didion, (hapubblicato «Blue Night»),Joyce Carol Oates e DonatellaDi Pietrantonio, autricedi «Mia madre è un fiume»

ELLI

OTT

ERW

ITT,

«MAD

REE

FIGL

IA»,

1953

Punti di vistaA volte le mamme raccontano

le figlie, ma più spesso è il contrario.La madre è tanto più invadente nella

narrativa quanto più inadeguata nellarealtà, come per Irène Némirovsky

RRR

RRR

Amore o conflitti: un rapporto fecondo narrato (soprattutto) dalle figlie

{I libri: narrativa, poesia, saggistica, classifiche

13LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

Codice cliente: