Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro...

26

Transcript of Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro...

Page 1: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio
Page 2: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Nassi Giuseppe

Ricordi di un prigioniero di guerra Introduzione di don Luigi Del Torchio

Hoc volebam ne nescius esses Perché anche tu sappia

A tutti i miei compagni di prigionia morti nei campi di concentramento

Edizione originale giugno 1996

Edizione ebook a cura di Luciano Folpini

Gavirate - Kairòs febbraio 2017

Page 3: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

1

Presentazione della versione in ebook

Conobbi il protagonista della storia raccontata dal nipote nel libretto: Ricordi di un prigioniero di guerra. Era un uomo alto e magro sempre sorridente, che incontravo spesso quando faceva un giretto proprio davanti a casa mia. Quando mi chiesero di scrivere un libro per il centenario della casa di riposo lo incontrai e mi diede il suo li-bretto. Lo lessi con grande curiosità perché pur essendo nato quando l’Italia entrò in guerra e pur ancora ricordando gli incubi e le scene drammatiche di quei primi anni, io della vita dei soldati non sapevo nulla.

Ricordavo solo quelli che suonavano al nostro cancello per chiedere abiti civili e poi lasciavano divise e pistole nella nostra cantina, e quelli che piantonavano alcuni edi-fici, ma della loro vita sotto le armi non sapevo quasi nulla, per cui lessi con molta curiosità quel libretto e mi sembrò raccontare una storia del Medio Evo, tanto mi sembrava lontana.

Noi oggi non ci rendiamo conto dei sacrifici fatti dai tanti che per tenere unita la no-stra nazione (chiamiamola così perché la parola Patria oggi molti provano quasi ver-gona a pronunciarla a causa dell’abuso che ne hanno fatto alcuni) malgrado che fos-se gente normale, costretta malvolentieri ad andare in guerra, difese la dignità degli italiani mentre quelli che comandavano e avevano determinato il disastro, erano fuggiti e li avevano abbandonati. Siamo noi oggi i loro degni eredi?

Io sono convinto che questi esempi e queste testimonianze non vadano dimenticati perché possono indicarci che per vivere da cittadini bisogna che tutti diano il loro contributo al bene comune.

Luciano Folpini

Page 4: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

2

Introduzione

Nassi Giuseppe, per noi nipoti zio Pino, il protagonista dell'avventura, prima dramma poi tragedia (per fortuna finita bene), che queste pagine raccontano, è fratello di mia madre.

A lui sono legato da parentela carnale e spirituale in quanto è padrino della mia Cre-sima. Inoltre, unico tra i nipoti, io sono stato testimone dell'epilogo della dolorosa vicenda che egli stesso qui narra. Infatti, quel mattino di fine settembre 1945, ai piedi della salita di Via Do-menico Bernacchi a Fignano di Gavirate, io c'ero, quando lui e sua madre, mia nonna Margherita, posero fine con un lungo e commovente ab-braccio a un'attesa disperata durata quasi quattro anni, gli anni del suo servizio militare prima e della sua prigionia poi.

Momento questo che si è scolpito per sempre, nella mente e più ancora nel cuo-re di me fanciullo, di appena cinque anni.

Non so come ci ero arrivato all'appuntamento storico di quell'incontro: è possibile che, sfuggendo alla sorveglianza di mia nonna paterna Rachele, avevo seguito mia madre che era corsa a portare a nonna Margherita, sua madre, la notizia, rimbalzata da via Gerli Arioli, la principale di Fignano, a via Mentana, dove noi abitavamo, del ritorno in paese del figlio.

Anche se non lo avevo mai visto prima, zio Pino aveva visitato i miei sogni da bambino perché la mamma prima di coricarci parlava di lui a me e a mio fratello maggiore Antonio, e ci faceva pregare affinché potesse uscire sano e salvo da quei brutti posti (nel tempo sapemmo essere i campi di concentramento nazisti) in cui era finito.

Facevamo intervenire la mediazione oltre che

Page 5: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

3

dell'Addolorata di Gavirate di cui la mamma, come ogni gaviratese, era grandemen-te devota, anche di zia Irma, Suor Margherita Romana, che, altra vittima innocente della guerra, era da poco morta (15 ottobre 1943), in quel di Pinerolo, terrorizzata dai terribili bombardamenti di Torino.

L'incubo dei campi di concentramento durò più di mezzo secolo nella psiche scon-volta di zio Pino, tanto è l'arco di tempo che separa quell'esperienza devastante dal giorno in cui egli si è deciso a registrarne la cronaca.

Una volta aperta la pietra tombale dell'inconscio, che i meccanismi di difesa ha tenu-to sigillato per così tanti anni, ecco gli avvenimenti fluire, nitidi e freschi, come quando furono sepolti. Il tempo non li ha per nulla deturpati, anzi li ha liberati di quel veleno che, il panico e la rabbia comprensibili di quei giorni "calamitosi assai", avevano iniettato.

La cronaca inizia il giorno in cui lo zio riceve la cartolina del servizio di leva e si con-clude alla fontana di Fignano dove, nella sua memoria, incontrò sua madre (ma l'in-contro, come ho detto sopra, avvenne qualche decina di metri più avanti ai piedi della salita "del Bernacchi" di fronte al negozio della "Lisetta").

Il "ricordo" è ormai "spassionato" però ordinato e preciso mai maggiorato per ragio-ne di protagonismo. Siamo davanti ad un racconto "oggettivo" in cui il "fatto" ha la precedenza sul sentimento. Un "ricordo" che è come un dovere di coscienza: perché non ci si lasci sottrarre la memoria; perché tutta una generazione di gioventù ita-liana, che ha preparato col suo sa-crificio un futuro di democrazia non sia privata del diritto alla ri-conoscenza e alla preghiera.

Il valore di testimonianza è indub-bio e assoluto, per cui ritengo che queste pagine, pur nella loro bre-vità, costituiscano una tessera, piccola sì ma non trascurabile, di un più ampio e significativo frammento di storia dell'Europa del XX secolo.

I punti salienti di questa "testimo-nianza"? Ne colgo e ne segnalo tre che mi sembrano importanti:

1. L'alto senso di amore di patria che si è manifestato quando tutto il contingente militare italiano caduto nelle mani dei tedeschi si è rifiutato, decisamente e

Page 6: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

4

unanimemente di collaborare col nemico anche a costo della vita. Dobbiamo a questo punto rendere i più alti onori a quegli ufficiali, sotto ufficiali e soldati che la vita la dettero per davvero là sulla brulla collina di Progradec in Albania; e tra questi un figlio di Gavirate tal Bogni Vittorio di Groppello.

2. Il ruolo positivo della formazione religiosa che soprattutto con le virtù della speranza e della fede nella Provvidenza ha aiutato i nostri soldati a superare l'esperienza aspra e debilitante di ana prigionia disumana al punto di arrivare a calpestare i più elementari diritti civili.

3. Il senso di solidarietà tra tutti i prigionieri politici appartenenti a qualsiasi grup-po etnico o religioso, che nella prova hanno individuato nella comune natura umana quel valore basilare che innanzitutto ci affratella al di là di categorie na-turali o sociali che spesso sono pretesto di divisione.

Non può mancare un confronto con la storia del dopo-guerra se non altro per chie-dersi: ma è servito a qualcosa il sacrificio di tanti "martiri"? Anche alla luce delle re-centi vicende nazionali vien voglia di rispondere: poco o nulla. Ma poi guardando più in profondità si scopre che la loro testimonianza di sangue e di lacrime ... e di fame (tanta fame) ha fornito a un'intera generazione il supporto per superare il dramma della violenza più inutile che ci sia, quella determinata, dalla guerra e, peggio ancora, dalla guerra civile; che il loro sacrificio è servito a non temere la morte e a ricordare che l'avvenire va for-giato con il dolore dell'era pre-sente; che la loro resistenza pro-clama non esistere oppressione invincibile per l'uomo che ha alti ideali, e soprattutto per l'uomo che ha fede.

Prima di proporre il documento a chi vuol sapere, ritengo utile of-frire alcune brevi notizie della famiglia Nassi.

Nassi Romano, cavaliere di Vitto-rio Veneto era nato a Fimon-Mulini di Arcugnano, in provincia di Vicenza, il 28 febbraio 1885. Morì il 19 giugno 1980 a Gavira-te, dove è sepolto. Di professione prima fu mugnaio poi carrettiere Romano e Margherita

Page 7: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

5

di cantieri edili.

Si sposò con Casarotto Margherita nella Chiesa Parrocchiale Santa Maria di Fimon, al fonte battesimale Liduina, nata a Fimon-Villa di Arcugnano, provincia di Vicenza, il 27 settembre 1890.

Morì l'1 marzo 1969 a Gavirate, dove è sepolta.

Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio 1922, che fu il sesto e sposò Colombo Miranda, la barcaiola, da cui ebbe sei figli.

Giuseppe e Miranda nel 1941

Miranda giovane barcaiola

Page 8: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

6

Ricordi di un prigioniero di guerra

La cartolina del servizio militare mi è arrivata allo scadere del 1941.

Abitavo con la mia famiglia (composta allora di papà Romano, mamma Margherita e i miei tre fratelli: Guido, il maggiore, Aronne e Luigi. Le mie quattro sorelle avevano già lasciato la casa; Lucinda, Maria e Guerrrina, andate in sposa, Lucinda a Maran Mario e domiciliata a Arcugnano nei pressi di Monte Berico a pochi chilometri da Vi-cenza; Maria a Del Torchio Battista; Guerrina a Panosetti Enrico, entrambe do-miciliate a Gavirate; Irma, invece, era entrata in religione dalle suore del Cottolengo di Torino e aveva preso il nome di Margherita Romana) in via Domenico Bernacchi 6 a Fignano, rione di Gavirate, ridente cittadina sulle rive del lago di Varese.

Ai primi di gennaio del '42 mi sono presentato al Distretto Militare di Varese con i coscritti del '22. Di Gavirate eravamo una trentina.

Dopo la "visita" al Distretto ci hanno assegnato il "corpo": chi negli alpini, chi nell'ar-tiglieria, chi nell'aviazione.

Fui assegnato all'artiglieria di campagna, 343 Reggimento (costituito in tempo di guerra), Divisione Forlì. La sera stessa il mio gruppo si era radunato alla stazione Centrale di Milano e a mezzanotte con la tradotta Milano-Reggio Calabria; siamo partiti per Cosenza dove c'era il Comando del nostro reggimento.

Dopo una giornata e mezza di viaggio sfamo giunti a destinazione. Di Gavirate era-vamo soltanto due: io e tal Bogni Vittorio di Groppello.

Lì ci hanno fatto un'altra "visita" e ci hanno dato la divisa grigio-verde con le mostri-ne bianco-azzurre della divisione Forlì. Poi il nostro battaglione è stato destinato a Rogliano, un paese di circa quattro-cinquemila abitanti in provincia di Cosenza.

Io appartenevo al terzo Battaglione, dodicesima Compagnia mortai. Il mio amico Vit-torio, invece, era alla Divisione comando, I Compagnia comando. Lì iniziammo la normale routine della vita militare: esercitazioni, marce ecc. ecc. Così per quattro mesi; poi ci hanno trasferiti a Carolei dove sostammo pochi mesi prima di passare a Cutro in provincia di Catanzaro.

Eravamo attendati negli oliveti. Anche a Cutro rimanemmo pochi mesi, poi altro tra-sferimento a Crotone e infine a Capo Rizzuto, sempre in provincia di Catanzaro e sempre negli oliveti.

Per il Natale del '42 ho avuto la prima licenza: 10 + 2.

Ero tutto contento perché per la prima volta ritornavo in paese da militare.

Terminata la licenza ritornai al mio campo di Calabria.

Durante il viaggio di rientro, alla stazione di Roma incontrai mio fratello Guido, che prestava servizio, col compaesano Margarini Domenico, nei Granatieri di Sardegna di stanza nella capitale.

Page 9: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

7

Alla caserma di Capo Rizzuto mi attendeva però una brutta notizia: tutto il reggi-mento doveva andare in Albania a presidiare quella terra che allora era italiana.

Infatti ci portarono a Bari per le visite di controllo in attesa di traghettare in Albania. Del mio Battaglione, ottava Compagnia, faceva parte anche un mio conterraneo, certo Del Vitto Carlo di Cocquio Trevisago, che restò con me fino a Bari; poi, però, per ragioni di salute non poté imbarcarsi. Era un richiamato.

Dopo tre giorni, a mezzanotte del 7 gennaio del '43, ci imbarcammo sulla nave Ro-sandra.

Sbarcammo a Durazzo verso mezzogiorno del giorno dopo. Lì ci hanno divisi in tre battaglioni per il presidio di tre zone diverse: il mio battaglione fu mandato nell'in-

Cutro

Rosandra

Page 10: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

8

terno a presidiare la zona di Tirana-Elbasan.

Incombeva costantemente su di noi il pericolo di morte perché eravamo di posta-zione lungo le strade o di pattuglia sulle montagne che pullulavano di partigiani o, come si diceva, di ribelli.

Lì restammo tre-quattro mesi; in seguito ci trasferirono a Progradec dove c'era un bel lago: il lago di Progradec o di Ochrida.

Eravamo ospitati finalmente nelle caserme di muratura, delle speci di chalet. Ma il pericolo era comunque costante perché il nostro compito era sempre quello: posta-zioni di vedetta lungo le strade e pattugliamenti nei punti critici; anche il nostro ne-

mico era sempre quello: i ribelli albanesi.

Arrivò il fatidico 8 settembre 1943 che salutammo con manifestazioni di gioia, anzi di euforia. Si pensava che tutto fosse finito: "Adesso - ci dicevamo - ci porteranno in Italia; la guerra è finita: che cosa stiamo qua a fare?

Invece per noi tutto incominciava.

Il 12 di settembre, così mi pare di ricordare, pochi tedeschi su tre o quattro camio-nette, entrati nella nostra caserma, che ospitava due o tre migliaia di soldati anche di altri corpi, ci hanno fatto prigionieri come dei poveri fessi obbligandoci a gettare le armi in mezzo al cortile della caserma stessa.

Progradec

Page 11: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

9

Il 15 di settembre, questa data la ricordo bene - perché coincideva con la festa della "Madonna di Gavirate", ci hanno portato al campo di aviazione di Progradec, e lì un ufficiale tedesco ci ha fatto uno strano discorso in cui ci invitava ad andare volontari con loro che ci avrebbero portato in Italia a liberarla: erano infatti da poco (10 luglio 1943) sbarcati gli americani in Sicilia. Insomma tante e tante promesse: ma nessuno di noi ha aderito.

Concluse dicendo che se non fossimo passati dalla loro parte ci avrebbero portati in Germania a lavorare nelle miniere e altre minacce ancora per intimorirci. Ma nessu-no di noi si lasciò convincere.

Era ormai sera. A quel punto sono intervenuti alcuni ufficiali tedeschi che prelevaro-no alcuni nostri ufficiali, sottoufficiali e soldati; ci dissero che la mattina seguente avremmo saputo la fine che avrebbero fatto.

In quel gruppo c'era anche l’amico Bogni Vittorio.

La mattina seguente li hanno fucilati sulla Collina di Progradec.

Dopo tre giorni che eravamo nel campo di aviazione di Progradec, a marce forzate abbiamo raggiunto la Grecia perché in Albania non c'erano mezzi di comunicazione con la Germania. Dopo una giornata di cammino siamo arrivati a Giannina, la prima stazione in territorio ellenico. Da lì su carri bestiami piombati, quaranta uomini per carrozza, ci hanno trasferiti in Germania via Bulgaria.

In Bulgaria c'erano le bandiere a mezz'asta in segno di lutto. Infatti il 28 agosto era morto il re di Bul-garia Boris III (1894-1943).

Per onorare la memoria del de-funto re suo marito, l`italiana principessa Giovanna di Savoia volle che, a ogni prigioniero italia-no che si trovasse a passare in quei giorni dalla Bulgaria, fosse dato un pasto caldo.

Così è stato anche per noi! Nessun pasto fu mai più benedetto per-ché già da troppo tempo i nostri stomaci dovevano accontentarsi di solo poco pane per l'unico pa-sto della giornata.

Dopo un mese di viaggio per mez-za Europa, finalmente siamo arri-

Principessa Giovanna

Page 12: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

10

vati nella città tedesca di Königsberg sul Mar Baltico, che dicevano essere stata la capitale della Prussia orientale.

Alla periferia della città c'era un campo d'aviazione che fungeva da campo di smi-stamento dei prigionieri. Ci mescolammo ai trenta-quarantamila prigionieri di tutte le razze che affollavano quel campo.

Lì ci fecero lo spoglio: la prima cosa che ci tolsero fu la gavetta, la "cara" gavetta; in seguito ci presero le impronte digitali, ci consegnarono quindi una piastrina di ferro dove erano incise le parole: Gefangener Italiener (Prigioniero italiano) col relativo numero di matricola che si doveva sempre portare al colla per mezzo di una cordi-cella, infine ci assegnarono le baracche.

A me è toccata una baracca abitata in prevalenza da francesi e belgi con i quali subi-to familiarizzai. Noi italiani eravamo solo una cinquantina.

Iniziai così la mia vita di prigioniero di guerra. Il rancio di mezzogiorno consisteva in acqua, barbabietole e patate (Wasser, roten Riiben und Kartofele).

Al mattino invece un mescolo di thè e a sera un filone di pane da dividere in dieci e da condire con margarina, o marmellata.

I francesi e belgi avevano di tanto in tanto il controllo medico e due-tre volte al me-se ricevevano dei "pacchi" della Croce Rossa; noi italiani non avevamo un bel niente perché l'Italia era fuori dalla Convenzione di Ginevra.

Questa la nostra giornata normale: la mat-tina venivano a prelevarci dei contadini che ci portavano a lavorare nelle campagne e la sera ci riportavano alle nostre baracche.

La vita era dura quando si andava a lavora-re e noiosa quando non si poteva uscire a causa del tempo perturbato perché si stava in ozio tutto il giorno sdraiati sui tavolacci come delle bestie.

Durante una malattia di sette o otto giorni ho conosciuto un belga, un caro amico, che mi cura va; prima di essere trasferito in un altro campo , mi ha lasciato come ricordo una croce, che conservo gelosamente, che lui stesso aveva fabbricato con la carta di cioccolato dei pacchi-dono che riceveva.

Con essa mi ha dato anche la sua foto con una scritta su retro.

Page 13: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

11

Fu proprio a Kónigsberg che successe un fat-to sconvolgente: tre prigionieri francesi, già condannati al lavoro delle miniere nella Saar per un anno, tentarono la fuga scavando una galleria che partiva da sotto la predella dell'altare della Cappella e doveva arrivare fin oltre il terzo reticolato di filo spinato.

A poche decine di metri da lì c'era il bosco e quindi la libertà.

Arrivati con fatica fino all'altezza del primo reticolato per le piogge abbondanti di quei

giorni e forse anche per la qualità del terreno non adatto a simili lavori, la galleria cedette e fu così scoperto il tentativo di fuga. Ma non si scoprirono subito gli autori.

Naturalmente punizione per tutti quelli la cui baracca confinava tramite una paratia di legno con la Cappella.

Era la mia. Una giornata senza cibo. Per porre fine a questa punizione i tre respon-sabili si fecero avanti; furono prelevati e di loro non si seppe più nulla.

Dopo un mese e mezzo, anch'io, con cinquecento italiani, dovetti lasciare il campo di Kónigsberg per un piccolo campo di concentramento al confine con la Lituania.

Lì abbiamo passato tutto l'inverno '43-44 a pulire i boschi e a far legna: si tagliavano i pini e se ne misuravano i fusti poi i contadini del posto venivano a prelevarli.

Un giorno ebbi una brutta avventura da cui mi salvai per miracolo.

Si era ormai al termine quasi della giornata lavorativa. Il capogruppo mi ordinò di aiutare i contadini a caricare i fusti di pini tagliati in precedenza. Protraendosi il lavo-ro oltre l'orario, mi comandò di restare con loro fino alla fine ma di raggiungere i compagni al più presto possibile. Così feci. Nel frattempo però era cominciato a ne-vicare.

La neve veniva giù così fitta che ben presto le orme dei miei compagni furono total-mente cancellate e il paesaggio diventò tutto uguale. La foresta si era trasformata in un vero labirinto ... e per me in una trappola.

La sera incombeva. Tutt'intorno era silenzio. Preso dalla paura incominciai a gridare

Sempre ricordo il buon compagno Giuseppe (Joseph). Questo il mio piccolo ricordo che ti posso dare Robert Leboutte, 23 rue Hellinckx, Ganshoren - Belgique.

Page 14: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

12

ma il mio grido d'aiuto non aveva risposta. Già immaginavo di rimanere tutta notte nella foresta in preda ai più cupi pen-sieri con la prospettiva tutt'altro che irreale di morire assiderato, quan-do udii, prima in lonta-nanza poi sempre più vi-cino, il suono di campa-nellini.

Erano quelli dei cavalli che trascinavano le ulti-me slitte. Corsi in dire-zione di quel suono e nei trovai, appena fuori della foresta, sulla pista maestra. Fer-mai una di quelle slitte, mi feci capire più coi gesti che con le parole, e raggiunsi così il mio campo. La paura non mi inaridì del tutto i sentimenti così che potei emozio-narmi per quella corsa sulla slitta attraverso il paesaggio baltico reso fatato dalla ab-bondante nevicata.

Quella volta non mi castigarono perché era del tutto manifesto che il mio ritardo non era dovuto né a indisciplina né a tentativo di fuga.

Finita la stagione ci hanno trasferiti ancora: eravamo come zingari. Siamo così finiti in Polonia, nel campo di concentramento di Stammlager, di tremila prigionieri, nei pressi di Bromberg (Bydgoszcz): una bella città a circa trecento chilometri a nord-ovest di Varsavia.

Nostro compito era quello di costruire una pista nuova di cemento armato del cam-po di aviazione situato dalla parte opposta della città. Ogni mattina per recarci al la-voro dovevamo quindi attraversare Bromberg.

Devo ringraziare i polacchi perché quando passavamo per le vie ci facevano trovare dei cartocci con qualcosa da mangiare, di solito pane e burro o pane e lardo, che na-scondevano nei piccoli anfratti dei muretti.

Noi, senza farci sorprendere, li prendevamo e la sera li dividevamo tra di noi. Era possibile far questo perché si andava al lavoro in gruppi di quindici sorvegliati da una sola guardia e il gruppo era abbastanza allungato.

Non tutte le guardie però erano uguali. C'era anche chi ci trattava con umanità.

Ricordo un certo Franz, padre di due figli dispersi in Russia che non aveva con noi la severità delle altre guardie. Al mattino ci dava regolarmente il "guten Tag" (buon-

Page 15: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

13

giorno), e a mezzogiorno divideva con qualcuno di noi, ogni giorno diverso, il suo rancio.

La sera poi quando si rientrava al Campo preferiva restare in fondo alla fila, perché sul nostro tragitto c'era un negozio di fornaio; egli con uno stratagemma, per non farsi sorprendere dai suoi compagni, vi entrava e usciva con qualche filone di pane che poi ci dava da dividere tra noi del suo gruppo.

A Bromberg ebbi la gioia di partecipare, dopo tanto tempo, alla santa Messa. La ce-lebrò un cappellano italiano il quale prima di lasciarci ci fece dono di un "santino".

A me toccò San Giuseppe, il mio protetto-re. Mi ci affezionai subito e lo affissi alla travatura del mio giaciglio.

La cosa però non piacque alla guardia che mi ordinò di toglierla; alle mie rimostranze rispose con una sferzata di frustino sul viso che mi procurò una ferita la cui cicatrice mi rimase per parecchio tempo.

Non potei fare altro che prendere il mio San Giuseppe e nasconderlo sotto il giaci-glio.

Un bel giorno, anzi un brutto giorno, dal campo di aviazione passò un carro che tra-sportava patate; in due o tre, ci siamo av-vicinati per prenderne un po', un chilo al massimo. Lì per lì non successe, niente, ma la sera l'ufficiale del Campo ci diede una severa punizione: un giorno intero, senza

mangiare, in cella,-cioè dentro una buca scavata sotto terra con un'unica apertura verso l'alto giusto per respirare. È stata una giornata d'inferno. Ho capito perché il massimo della punizione consisteva in tre giornate di cella: di più non si poteva resi-stere.

Questo però non era l'unico tipo di punizione. Per chi tentava la fuga ce n'era un al-tro: il malcapitato veniva legato ad un palo in mezzo al cortile del Campo e lì restava per diverse ore a consumare oltre alla sofferenza anche l'umiliazione.

Sempre a Bromberg ricevetti la prima lettera dai miei dopo più di un anno in cui non avevo nessuna notizia di casa mia.

Mittente era mio padre Nassi Romano ma a scriverla era il cognato Battista, marito

Page 16: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

14

di mia sorella Maria. L'ho conservata per cui la posso far conoscere nel testo integra-le:

Gavirate, 18.5.1944.

Carissimo, non preoccuparti che tua mamma sta bene, come pure tutti gli altri tuoi fratelli, parenti e cognati.

Tua sorella Irma ha subito una grave malattia e ora si trova in cielo e non fa altro che pregare per te che tu possa ritornare fra i tuoi cari.

(la sorella Irma in religione Suor Margherita Romana, in seguito ai bombar-damenti di Torino era stata colta da un brutta forma di T.B.C. ed era morta il 15 ottobre 1943 a Pinerolo, dove fu sepolta).

Baci forti!

Un mese dopo ricevetti una seconda lettera sempre di mio padre e sempre scritta dal cognato Battista:

Gavirate, 7-6-'44.

Carissimo figlio,

siamo contenti che dopo un lungo silenzio, abbiamo ricevuto un tuo scritto. Non dubitare che la mamma sta molto bene, come noi tutti in famiglia.

Abbiamo ricevuto il modulo per spedirti il pacco, non dubitare che sarà fatto tutto al più presto. Il pensiero è sempre rivolto a te che sei molto lontano.

Tanti baci forti di tua mamma che ti pensa sempre. Scrivi!.

Page 17: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

15

Una settimana dopo ancora un'altra lettera questa volta di un mio caro amico di Oratorio, Nino Realini, il quale mi informava circa le ultime novità della nostra par-rocchia, in particolare dell'imminente ingresso del nuovo Prevosto don Carlo Baj che prendeva il posto del prevosto don Vittorio Brunetti morto nel novembre 1943, e dell'arrivo del nuovo Coadiutore nella persona di don Emilio Sangalli, sacerdote no-vello 1944, che rilevava don Luigi Cazzaniga trasferito a Lasnigo in Valassina.

Ai primi di settembre ricevetti quella chi sarà l'ultima lettera della mia prigionia. A scriverla, questa volta a nome proprio, sempre da Gavirate, era il cognato- Battista; portava il timbro del 31 agosto 1944. Diceva:

Caro cognato,

domenica ho ricevuto le tue notizie. Non puoi immaginare che conten-tezza nel sapere che sei ancora al mondo.

Noi pensiamo sempre a te, e i piccoli (sono i miei nipoti Antonio e Luigi) do-mandano sempre dello zio Pino. Per i pacchi te li hanno già spediti: tre con quelli della sorella Lucinda (nei Ricordi è il pacco del cognato Mario).

Noi stiamo bene tutti, anche la tua famiglia sta bene, non pensare. La mamma sta benone. (...). Pensa di venire a casa sano e salvo che tanto ti desideriamo di vederti e farti vedere la piccola Maria Grazia (è mia nipote nata il 29.6. 1943) che è tanto bella. Guerrina attende anche lei novità e speriamo che sia un maschio (sarà il primogenito Carlo).

Tanti saluti da me e Maria.

Tanti bacioni dai bambini e dalla tua famiglia.

Tuo cognato Del Torchio) Battista. Tanti baci dalla tua mamma che tanto ti pensa.

Qualche giorno dopo ricevetti il primo pacco mandatomi dal cognato Maran Mario, marito di mia sorella Lucinda di Arcugnano.

C'era dentro ogni ben di Dio. Per quanto fosse un po' sfasciato tuttavia ho potuto ri-cuperare abbastanza.

Al campo di concentramento di Stammlager siamo stati fino all'avanzata dei Russi nel gennaio -1945.

Era impressionante sentire le cannonate dell'Armata Rossa che si avvicinava sempre più al nostro campo. Fin che un bel giorno ci hanno portati via perché non volevano consegnarci nelle mani dei Russi per paura che questi ci armassero e ci facessero combattere contro di loro.

Abbiamo camminato, con tappe di trenta-quaranta chilometri al giorno, per un inte-ro mese.

La sera ci si fermava in grandi fattorie e lì ci davano quattro o- cinque patate cotte e

Page 18: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

16

ci facevano riposare nei fienili o sotto i portici fino alla mattina seguente quando si riprendeva la marcia.

Ma, a volte, nel mezzo della notte, ci svegliavano di soprassalto e via! per-ché il nemico si era avvi-cinato troppo.

In quelle congiunture alcuni dei miei compagni, di prigionia pensarono alla fuga e per sottrarsi al controllo delle sentinelle si nascondevano sotto il fieno.

La cosa riuscì all'inizio, ma quando i tedeschi sospettarono qualcosa, prima di met-tersi in marcia raggiungevano il fienile e sparavano ripetuti colpi di fucile, così a ca-saccio, nel mucchio di fieno: a volte uscivano lamenti di chi era stato colpito.

Quella fu una marcia veramente drammatica perché con noi si univa la popolazione civile che abbandonava i propri paesi e, con le poche cose che poteva portare con sé, cercava di mettersi al sicuro nell'interno.

E l'Armata Rossa sempre alle calcagna!

A circa due giorni di marcia da Berlino ci hanno fatto fermare in un piccolo Campo di concentramento già abbandonato, e sistemati per la notte. Notai come la paglia che copriva il terreno fosse ben triturata segno che in tanti vi erano passati.

Nel pieno della notte un ufficiale in perlustrazione passò con una pila per i normali controlli. Arrivato a me che ero in fondo alla baracca notò per terra un escremento e in pochi istanti io fui coinvolto e accusato di aver sporcato. Cercai di difendermi co-me potei ma non volle sentire ragioni. Con la pistola puntata mi ordinò chi mettermi in ginocchio e col tallone dello stivale mi spinse col viso direttamente nello sporco.

Quando mi alzai e mi vide insudiciato scoppiò in una fragorosa quanto diabolica risa-ta.

Nella mia umiliante-impotenza piansi di rabbia. Fu questo però l'ultimo triste episo-dio di quella tragica odissea!

Ma per capire come potessero succedere certe cose come quella di cui sopra, devo riferire un altro episodio che mi vide questa volta protagonista fortunato. Sempre durante quella -tremenda ritirata, come al solito sostammo in una grande fattoria del nord per passare la notte.

Nel cortile c'era un carretto carico di viveri.

Ad un certo punto scendo nel cortile per i miei bisogni fisiologici. Naturalmente sono

Page 19: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

17

fermato dalla guardia che, pensando forse che, con quella scusa, avrei preso qualco-sa da mangiare dal carretto, mi spedì immediatamente indietro.

Qualche minuto dopo un mio compagno si presentò per lo stesso motivo. Credendo che fossi io, (non era facile riconoscerci perché per il freddo dormivamo con una specie di passamontagna), sentendosi preso in giro, quella guardia non ci pensò su due volte e gli sparò uccidendolo.

Un'abbondante nevicata caduta nella notte lo seppellì senza lasciare di lui al mattino seguente la benché minima traccia. Era un amico di Pavia, sposato con due figli.

Siamo finalmente arrivati alla periferia di Berlino; lì siamo stati meno di quindici giorni.

La mia fortuna fu che non ho mai subito bombardamenti nella mia prigionia: fame tanta, botte tante.

Ad esempio quando ero al Campo, tutti i pomeriggi passava dal campo di aviazione un contadino con un carretto trainato da un cavallo bianco. Sul carretto c'erano gli avanzi della mensa degli avieri, resti che davano ai maiali ma che facevano gola an-che a noi.

La fame, era tanta che io regolarmente rincorrevo quel carretto per prelevare, dal mastello dei rifiuti, con la mia scodella di ferro, almeno un po' di quel "ben di Dio!", naturalmente beccandomi la mia regolare razione di percosse.

Page 20: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

18

Ma - come ho detto - mai bombardamenti pesanti.

Quei pochi bombardamenti, peraltro non pericolosi, li ho subiti nei pochi giorni di permanenza nei pressi di Berlino.

Da lì ci siamo trasferiti, quasi subito, sempre "pedibus calcantibus", in una grande fattoria a Wismar, una città del Golfo di Lubecca.

Una bella mattina di fine aprile 1945, svegliandoci, con grande sorpresa, ci siamo trovati senza guardie né sentinelle. Eravamo liberi.

La guerra era veramente finita! Dopo un momento di comprensibile confusione e sbandamento ci siamo organizzati: così è incominciato l'esodo da quella fattoria.

A gruppetti si scappava nella direzione che si preferiva. Io mi sono messo in un gruppetto che comprendeva prigionieri di Treviso, di Gallarate e di Milano.

Il fattore ci aveva consigliato di andare in una certa direzione che avremmo incon-trato gli Americani e di non prendere la direzione opposta che ci avrebbe portato in braccio ai Russi, i quali, a suo dire, ci avrebbero trattenuti prigionieri. Lo ascoltam-mo.

Preso un carretto con un cavallo-siamo saliti noi sette o otto e abbiamo cominciato il viaggio che nelle nostre intenzioni doveva portarci in patria. Si andava nelle famiglie a cercare la carità di un pezzo di pane perché ormai non avevamo neanche quel po-co che la prigionia ci assicurava.

Al fiume Elba abbiamo incontrato gli Americani: erano sul ponte di barche, costruito

Page 21: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

19

da loro dopo la distruzione del ponte di ferro, quasi ad aspettarci.

Ci hanno fermato e ci hanno chiesto: "Dove andate?" "Andiamo in Italia".

Si sono messi a ridere. Poi: "Che in Italia! No, di qui non si passa.

Andate piuttosto al vicino campo di smistamento dove avrete tutte le istruzioni del caso.

Un americano gentilmente ci ha accompagnati. Era un campo di raccolta sterminato: pullulava di un numero enorme e imprecisato di prigionieri. Siamo rimasti lì fin quando gli Americani ci hanno portato in un altro campo di raccolta solo per italiani a venti chilometri da Amburgo. Qui la prima cosa che hanno fatto fu quella di toglie-re i reticolati di filo spinato intorno al campo, segno concreto della libertà ritrovata.

Quelli furono giorni di pacchia: basti dire che da meno cinquanta chili che ero (il mio peso forma era 90 Kg.) in poco tempo sono diventato come un porcellino.

Si doveva fare ognuno la pulizia personale e della propria baracca, poi basta! Si era liberi tutto il giorno: solo ci si presentava per il rancio a mezzogiorno e a sera. Alle 22 era fissato il "silenzio" e non si poteva più uscire.

Ho avuto l'occasione in quei giorni di visitare Amburgo perché gli Americani, quando vi si dovevano recare, ci invitavano, a gruppi, ad andare con loro. Ci andai anch'io!

Sono rimasto in quel campo fin verso il 20 di settembre del '45.

Poi una sera l'ordine tanto atteso: "Domani si parte per l'Italia!"

Difatti la mattina seguente ci hanno caricato su camion americani e ci hanno portato alla stazione di Amburgo. Ci hanno fatti salire su vagoni bestiame, ma non sigillati, in numero di venti per vagone, e siamo partiti, via Austria, per l'Italia.

Siamo entrati in patria dal passo del Brennero. Durante una breve sosta, ormai in Italia, ebbi la sorpresa di incontrare un mio compaesano che viaggiava sullo stesso treno, tal Mattioni Vittorio "del Gadasc".

Potete immaginare la gioia di entrambi, ma il mio pensiero è andato subito a quell'altro Vittorio di Groppello, caduto martire sulla collina di Trogradec in Albania.

Era destino che partissi con un Vittorio e tornassi con un Vittorio.

Passammo Trento, passammo Rovereto, scendemmo la valle dell'Adige fino a Pe-scantina dove c'era un grande campo di smistamento in cui confluivano tutti i pri-gionieri della, Germania.

Da qui ogni mattina partivano, colonne di camion americani che portavano a varie destinazione i tanti gruppi di prigionieri. Ci fermammo a Pescantina un solo giorno. Poi su camion ci trasportarono a Milano in piazza della Stazione Centrale.

Delle crocerossine addette all'accoglienza ci dissero di andare in Arcivescovado per-ché il Cardinale Schuster, oggi beato, dava ad ogni prigioniero un pacco viveri o in-

Page 22: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

20

dumenti.

Siamo andati anche noi, ma non c'era più niente. Non abbiamo sofferto più di tanto.

Ormai solo sessanta chilometri ci separavano dal nostro paese e dalle nostre fami-glie.

Abbiamo preso, Vittorio ed io, il treno dello Stato alla Stazione Garibaldi e siamo scesi a Varese. Qui con la Corriera della S.A.T.O.V. abbiamo raggiunto Gavirate.

Non è mancato un ultimo contrattempo: al controllo del biglietto noi risultammo na-turalmente sprovvisti; alle rimostranze del controllore ci fu una vera sollevazione dei passeggeri:

Non ha vergogna a chiedere il biglietto a due poveri prigionieri?

La cosa finì lì.

Siamo scesi alla fermata di Corso Roma, oggi Via XXV Aprile. Eravamo emozionati nel mettere piede nella nostra bella Gavirate. Vittorio aveva le lacrime agli occhi. Ci sa-lutammo, e mentre lui per via Cavallotti scendeva a casa sua che si trovava nei pressi delle Scuole Elementari di piazza Carducci, io mi avviai verso Fignano.

In piazza della Libertà incontrai mio padre intento al suo lavoro di carrettiere: lascio

Page 23: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

21

immaginare l’emozione di quell'incontro e di quell'abbraccio. Sono cose che non si possono esprimere.

Intanto qualcuno aveva avvisato mia madre, che lasciate le faccende domestiche, scese di corsa via Bernacchi.

L'incontro avvenne alla fontana di Fignano.

Era presente, con una piccola folla di curiosi, un bambino di appena cinque anni, mio nipote Luigino, oggi Don Luigi Del Torchio, che però afferma, e forse a ragione, che la sua memoria ha archiviato lo storico fatto dell'incontro mio con mia madre, sua

nonna materna, poco più avanti della Fontana, ai piedi della salita del Bernacchi, di fronte al negozio della "Lisetta".

Lì in quell'abbraccio irrorato di lacrime di gioia e di commozione è terminata la mia odissea durata quasi quattro anni.

Da quel giorno fino a ora ho continuato a ringraziare il buon Dio, l'Addolorata di Ga-virate, San Giuseppe mio patrono, che mi hanno preservato da pericoli veramente mortali e mi hanno aiutato a superare momenti difficili di scoramento e dì avvili-mento fino a riportarmi dai miei cari familiari e a consegnarmi alla mia bella Gavira-te.

Page 24: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

22

Il percorso della mia odissea

Page 25: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

23

Page 26: Nassi Giuseppe - Luciano Folpini di un prigioniero...Ebbero otto figli, quattro maschi e quattro femmine tra cui zio Giuseppe, l'autore dei Ricordi nato a Gazzo Padovano il 14 febbraio

Ricordi di un prigioniero di guerra

24

Appendice I pensieri poetici di Colombo Miranda

Nell’uliveto

È pace e silenzio sotto gli ulivi

Con frutti quasi maturi

A grappoli sempre pendenti

Sfiorati dalla brezza

Che dal mare spira

E invita a meditare

Desiderio di un mondo Migliore

Vorrei un mondo sereno

Pieno di pace, sorrisi e bontà.

Donare gioia, lenire dolori,

dire grazie a chi crede.

Vorrei donare un fiore

Ad ogni mamma