N. 28 Periodico Culturale dell’Associazione Onlus Italia ... · Via Dei Gracchi, 278 - 00192 Roma...

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N. 28 Periodico Culturale dell’Associazione Onlus Italia Eritrea dicembre 2016 Foto Lusci

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N. 28 Periodico Culturale dell’Associazione Onlus Italia Eritrea dicembre 2016

Foto Lusci

PERIODICO CULTURALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIA ERITREA ONLUSTrimestrale - Reg. Trib. di Roma 87/2005 del 9/03/2005Via Dei Gracchi, 278 - 00192 RomaTel. 0039 366 52 47 448 - Fax 06 32 43 823www.assiter.org - e.mail: [email protected]

Direttore responsabile: Lidia CorbezzoloRedazione: Lidia Corbezzolo, Pier Luigi Manocchio, FrancoPiredda

In collaborazione:

eritreaeritrea.com

Istituto di Cultura Eritrea

SOMMARIOpag.

Iter

Editoriale: Veronica Inglese ...................... 3Lidia Corbezzolo

Africa e Libertà

Samia .......................................................... 4Franco Piredda

Eritrea

Appuntamento ai marinai di Ariam Teklè tra Milano e l’Eritrea ............................. 6

Marilena Dolce

Eritrea agli occhi dei principali media italiani .......................................... 10

Billion Temesghen

Archivio fotografico: Antioco LusciProgetto grafico e Stampa: Arti Grafiche San Marcello S.r.l. Viale Regina Margherita, 176 - 00198 RomaAbbonamento annuale euro 10,00Ass.Iter Onlus c/c postale n. 84275023Finito di stampare: dicembre 2016In copertina: Cattedrale Cattolica (foto Lusci)Copertina di fondo: jacarande in fiore (foto Lusci)Hanno collaborato a questo numero: Lidia Corbezzolo,Franco Piredda, Marilena Dolce, Billion Temesghen

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EDITORIALE: VERONICA INGLESEdi Lidia Corbezzolo

Un grande piacere aver conosciutol’atleta italiana VERONICA INGLE-SE, un grande onore che abbia deciso

di venire ad allenarsi in Asmara.Veronica in carriera vanta dodici titoli italianidi cui tre assoluti, uno universitario, e nove gio-vanili.Una ragazza carina, dai modi gentili, con duebellissimi occhi, con un corpo minuto chediventa possente quando comincia a correre.Il suo allenatore è Massimo Magnani, allenato-

re specialista di IV livello europeo, come atletaha partecipato due volte ai Giochi Olimpicinella Maratona. L’Associazione Italia Eritrea èorgogliosa di avere tra i propri Volontari il sig.Massimo Magnani per i progetti che riguarda-no lo sport in Eritrea.Con Veronica e Massimo ho condiviso il viag-gio di andata e ritorno in Asmara a novembre2016, ho avuto spesso l’incarico di preparare ipasti a casa mia ed è stato bellissimo guardareVeronica mentre gradiva tantissimo la fruttalocale: papaie, annone e banane.Il 22 novembre ha festeggiato il suo complean-no in Asmara, Le abbiamo organizzato una pic-cola festa e donato piccoli ricordi perdimostrarLe la nostra ammirazione, la nostraamicizia ed il nostro affetto:

BRAVA VERONICA, SEI UN ORGOGLIONAZIONALE!

Ed ora Care Amiche e Cari Amici con questa recente e bellissima esperienza in Asmara , colgol’occasione per ringraziare i DONORS 2016 e a VOI TUTTI AUGURO

BUON NATALE E FELICE ANNO 2017

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La storia di SamiaYusuf Omar è lastoria dei sogni e

delle speranze dei giovaniche si infrangono controuna realtà crudele, spietata.Fino ad aprile 2012, quan-do ne parlarono i giornali ditutto il mondo, di Samia sisapeva pochissimo, solo chela sua passione per la corsal’aveva portata a qualificar-

si per le Olimpiadi di Pechino e che il suo sognoera di raggiungerel’Europa per potersi allenare e prepararsi inmodo da competere per vincere alle Olimpiadidi Londra.Samia è una ragazzina di Mogadiscio che hala corsa nel sangue.Ogni giorno divide i suoi sogni con Alì, suogrande amico e suo allenatore. Mentre inSomalia si afferma l’irrigidimento politico e

religioso e le armi dettano legge, lei crede che lesue gambe veloci porteranno un destino diriscatto per il suo paese e per le donnesomale. Si allena di notte, nonostante il copri-fuoco, in uno stadio deserto e fatiscente. Corree vince.Vince per il suo Paese fino a riuscire, a 17 anni,a qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino dove,pur arrivando ultima, diventa un simbolo per ledonne musulmane di tutto il mondo. Il suosogno è però vincere e dovrà farlo alleOlimpiadi di Londra nel 2012.Ma in Somalia tutto diventa difficile, gli inte-gralisti hanno sempre più potere, la violenzarende invivibile Mogadiscio, suo padre vieneassassinato e il suo amico Alì si allontana perentrare in un gruppo integralista: non ha piùsenso rimanere lì e non potrà maicompetere con le altre atlete se sarà semprecostretta ad allenarsi nascosta in un burqa.Sola, parte da clandestina per raggiungere suasorella in Finlandia, è un viaggio di ottomila

SAMIAdi Franco Piredda

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chilometri e otto mesi, è “Il Viaggio” deimigranti attraverso l’Etiopia, il Sudan, ilSahara, la Libia per arrivare al Mediterraneo eraggiungere la meta finale, è l’odissea che lepersone disperate affrontano in condizioni allimite della sopravvivenza, mettendosi nellemani di trafficanti di uomini senza scrupoli edi poliziotti corrotti, sottocontinui ricatti e maltrattamenti.Riesce a imbarcarsi ma viene inghiottita dalmare proprio mentre stava per essere salvata.Samia è una persona vera, che non ha maismesso di sognare, da quando era ancora bam-bina e iniziava a correre tra le bombe fino all’ul-timo istante della sua vita, quando immaginaancora di poter partecipare a un’altraOlimpiade.Ha un proprio ideale e non si ferma davanti anulla, non demorde nonostante la miseria, leumiliazioni, i morsi della fame, le bombe che lecadono accanto. Ha un ideale altissimo: la pro-pria libertà e il riscatto del suo paese e delle

donne che vi abitano. Giovane musulmanafiglia di un paese povero, è convinta che taleideale può essere raggiunto con la sua afferma-zione alle Olimpiadi di Londra. Questa ragazza“extracomunitaria” non è diversa dai ragazzioccidentali, con i loro sogni e le loro speranze,e forse in questo caso è anche tra i migliori diloro per gli ideali che coltiva e la caparbietà chemette nel perseguirli. La vita di Samia chiamain causa tutti noi, ci dà lo spunto per riflettere eci spinge a documentarsi maggiormente sullarealtà che vivono ragazzi come i nostri a cuiviene negata ogni opportunità: siamo tuttiresponsabili della guerra e della conseguentericerca di un rifugio e di una nuova vita,dellamancanza di libertà e della disperata ricerca diuna dignità, della fine nelle acque delMediterraneo .. La sua storia sta per diventareun film ed è raccontata nel libro “NONDIRMI CHE HAI PAURA” di GiuseppeCatozzella.

Franco Piredda: nel Comitato di Redazione dal 1998 della Rivista mensile “Vita Ospedaliera”, fondatoredel SeAMI onlus che opera per i Paesi dell’Africa Subsahariana, collaboratore dell’AFMAL ong in pro-getti sanitari.

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Eritrea Live intervistaAriam Tekle, una giovanedonna tra Eritrea e Italia,autrice e regista diAppuntamento ai Marinai,work in progress, docu-mentario su ragazzi eritreidi seconda generazione.

Ariam, eritrea di secondagenerazione. Studi aBruxelles in sociologia eantropologia, un saggio inRelazioni Internazionali

sul movimento dei giovani eritrei (YPFDJ) ciracconti di te e del tuo progetto. Come nasce ildocumentario in preparazione, Appuntamentoai Marinai ?Ho 28 anni e sono nata e cresciuta a Milano.Appuntamento ai Marinai è il mio sogno. Il pro-getto di un documentario sulle seconde genera-zioni di eritrei. Ragazzi nati o cresciuti qua, trafine anni’70 e inizio anni’80.

Come mai sei nata in Italia?I miei genitori sono arrivati a Milano dall’Eritrea,negli anni Settanta. Scappavano dalla guerra(ndr, l’Eritrea nel 1961 inizia a combattere contro l’an-

APPUNTAMENTO AI MARINAI, DI ARIAMTEKLE, TRA MILANO E L’ERITREAdi Marilena Dolce

EritreaLive intervista Ariam Tekle (nella foto) autrice e regista diAppuntamento ai Marinai, documentario sulle seconde generazioni eritree a

Milano

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nessione all’Etiopia. La lotta durerà trent’anni). Miopadre scappa prima, poi scapperà anche miamamma.Per Asmara l’anno peggiore è stato il 1974. Cisono stati anche bombardamenti.Mio padre, pur non essendo al fronte, sostenevala lotta.L’Eritrea per lui era diventata pericolosa. Leautorità etiopiche l’avevano scoperto. Miamamma invece è arrivata in Italia con l’aiuto diuna zia. Lei, come molte altre donne eritree, èriuscita ad arrivare qui perché aveva un contrat-to di lavoro come domestica.

Grazie a una famiglia italiana?Sì, è arrivata in modo tranquillo. Ha scelto l’Italiaperché c’erano i suoi familiari. Molte personevenivano in Italia perché conoscevano la lingua.Le donne, spesso, già in Eritrea, lavoravano perfamiglie italiane.

Un collegamento storico…Sì. Le donne in Italia si sentivano a loro agio,conoscevano cultura e abitudini.Per mia mamma la prima tappa è stata Torino,poi Milano. Il papà e la mamma si sono incontra-ti in Italia, durante le assemblee per sostenere lalotta in Eritrea. Nel 1980 si sposano, nasce miasorella Ruth, poi nel 1988 nasco io.I miei genitori continuano, anche dall’Italia, asostenere la lotta per l’indipendenza eritrea (ndr,1991). Raccolgono e inviano medicinali, aiutanoin molti modi l’organizzazione che la sostiene. Ladiaspora è stata fondamentale per raggiungerel’indipendenza.Appena arrivati a Milano i miei genitori abitanoin caseggiati dove ci sono molti eritrei. Cosìnascono le amicizie.A tenere uniti gli eritrei sono due aspetti: politicae religione.

La nostra è una cultura forte che i genitori cer-cano di trasmettere ai figli. Più difficile è tra-smettere la lingua. La cultura, invece, si vive incasa. E anche la religione. Qualche anno fa èmancato Padre Marino che, con suor Cesarina,ha aiutato moltissimi eritrei.

In cosa consisteva l’aiuto?Molti gli chiedevano una mano per i documenti,il lavoro, l’alloggio.

La comunità eritrea di Milano è molto unita.Tra quelle straniere non è la più numerosa,senz’altro però la più organizzata.Le donne hanno sempre partecipato alla vitapolitica, sia al fronte sia nell’organizzazione delladiaspora. Non si sono mai limitate alla famiglia,hanno sempre avuto un ruolo nella società. Ladonna eritrea è una donna forte, impegnata. InItalia le donne eritree sono molto organizzate.

Qual è il tuo legame con l’Eritrea?In Eritrea ho ancora parenti. Ci vivono mianonna, la mamma di mia mamma, qualche cugi-no e alcuni zii. Mio papà, ora in pensione, vive unpo’ in Italia un po’ in Eritrea.

Avete una casa?Sì, un po’ fuori Asmara. Purtroppo non ci sonoancora stata, non ho ancora visto la casa. Pensoentro un anno di riuscire ad andarci.

Come è stato presentato Appuntamento aiMarinai ?Abbiamo presentato il progetto con un teaser perlanciare la campagna di crowdfundingCon me stanno lavorando diverse persone, video-maker, montaggio…Il documentario parla, senza retorica, di secon-de generazioni, di figli d’immigrati che si sen-tono italiani e rivendicano il diritto all’italiani-tà. Anche se, ormai, non per tutti è così. Non più.Nel documentario si parla di Milano. Raccontosoprattutto le storie di quarantenni eritrei chevivono qua. Storie tra loro molto differenti.Il percorso individuale è importante ma il conte-sto sociale ancora di più. Se cresci come figliad’immigrati, tra pochi altri, cresci in modo diver-so rispetto a chi cresce con tanti altri.

Tu sei cresciuta tra molti? Che ricordi hai?Non ho ricordi particolari, solo un compagnouna volta, penso fossimo alle elementari, mi hachiesto se mi sentivo più italiana o eritrea. A quelpunto me lo sono chiesta anch’io.

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Nella mia esperienza, però, non sono mai statal’unica a essere figlia d’immigrati, eravamo sem-pre tanti.

Milano cominciava a essere multietnica?Sì. Le esperienze di chi ha più anni di me sonodiverse. Tra me e mia sorella la differenza la fa lasocietà in cui viviamo.Nel caso di mia sorella non veniva preso in con-siderazione il fatto che anche loro fossero italiani.Erano considerati diversi, punto. Non per questola loro vita e le loro esperienze erano per forzanegative…Interiorizzavano il razzismo, tutto qui. Era nor-male. Succedeva che a 12-13 anni fossero ferma-ti dalla polizia per controlli. Era normale, così lodiventava anche per loro.

Mentre oggi?Oggi la discriminazione ha cambiato rotta. Nonc’è quasi più tra le persone ma c’è a livello buro-cratico. Io, genitori stranieri, nata e vissuta aMilano, fino a 18 anni non sono italiana. Sonodiscriminata. Magari le persone non mi vedonodiversa, però sono trattata diversamente.

Il problema è la cittadinanza italiana?La cittadinanza è un diritto. Che però non miobbliga a sentirmi italiana.Come dicevo prima, bisogna evitare la retorica.

Ottenuta la cittadinanza posso sentirmi italia-na, posso sentirmi italiana e qualcosa d’altro,posso sentirmi altro.Torniamo al documentario, cosa significaAppuntamento ai Marinai?Appuntamento ai Marinai perché è un dei luoghidove i ragazzi eritrei si incontravano per stareinsieme.I ragazzini milanesi si incontrano sotto casa, inzona. Chi si dava Appuntamento ai Marinai inve-ce, attraversava tutta la città per arrivarci. Primadei Marinai, il punto d’incontro era via Kramerdove suor Cesarina aveva ottenuto uno spazio.Per il documentario, tra l’altro ho ritrovato eintervistato suor Cesarina, ormai molto anziana.

Chi è suor Cesarina?

Una donna speciale, molto amata dagli eritrei.Era riuscita ad avere uno spazio, una specie dioratorio dove si incontravano le nostre mamme.Quando poi hanno avuto figli, lei le ha aiutate aportarli in Italia, con “l’invito”.Il problema, però, era la casa. Le donne eritreelavoravano e vivevano nelle case italiane. È suorCesarina che, attraverso la Caritas di Bergamo,riesce a trovare per i bambini sistemazioni neivari collegi. Mentre in via Kramer, grazie all’aiu-to dei volontari, sono seguiti nei compiti.Così la mattina vanno a scuola, il pomeriggiofanno i compiti in oratorio. E, soprattutto, siincontrano, stanno insieme. Giocano a calcio.Via Kramer è stato un luogo molto importante, aldi là della religione. Per molti è stata un’alterna-tiva sana alla strada.

L’oratorio, anche per i bambini italiani, è stataun’alternativa all’assistenza che mancava…Tutte le persone che ho intervistato sono passa-te per via Kramer e tutte hanno conservato unricordo affettuoso di suor Cesarina, anche senon avevano più sue notizie. Ci ha aiutatomolto. Purtroppo però a metà anni ‘90 viaKramer chiude.

Quindi, dove vi ritrovate?Il luogo d’incontro diventa Largo Marinaid’Italia, perché è vicino. Ma anche perché è unodei pochi parchi milanesi sempre aperto, senzacancelli.Ci si incontrava lì anche senza appuntamento,c’era sempre qualcuno.Lì si passavano i pomeriggi e anche le serate.Non tutti potevano permettersi la discoteca. Sistava insieme “Ai Marinai”.

Appuntamento ai Marinai è nato dalla miacuriosità. Volevo capire com’era stato crescereper la generazione prima di me. Quando anco-ra non si parlava di seconde generazioni.Il titolo Appuntamento ai Marinai è perché ricor-davo mia sorella che al telefono si dava appunta-mento con le amiche dicendo: “ci vediamo aiMarinai”.Da piccola immaginavo questo posto come unbar con i marinai. Ero curiosa. Poi, crescendo, ho

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scoperto che era un luogo, “Largo Marinaid’Italia”…

Appuntamento ai Marinai ora è un appunta-mento simbolico. Per scoprire, attraverso questoluogo, le storie del passato. Storie che, secondome, dovrebbero essere conosciute da tutti, eritreie milanesi.Cominciando dai luoghi che sono riconoscibiliper i milanesi, la fontana del parco, Porta Veneziae molti altri. Luoghi condivisi che narrano storiedi oggi e del passato.

Appuntamento Ai Marinai vorrei fosse questo,un punto d’incontro fra storie, persone e luo-ghi. A che punto è il progetto?Il lavoro è ancora tanto. Siamo a metà, forse unpo’ di più. Sono tante le testimonianze. Tante lepersone e i luoghi che hanno avuto un ruolo.Alcune inimmaginabili. Per esempio il CollegioSan Marco in via San Marco, zona Brera. Lìc’era una scuola d’italiano per stranieri sostenutadalla famiglia Pernigotti, quella dei cioccolatini.Ho incontrato il signor Stefano Pernigotti cheora ha 94 anni. Hanno deciso di dare quest’aiutodopo la morte dei loro due figli. (ndr nel 1980 i duefigli di Stefano e Attilia Pernigotti, Paolo di 17 anni eLorenzo di 13, muoiono in un incidente d’auto inUruguay. Senza eredi diretti i coniugi Pernigotti fonda-no un’associazione, una comunità alloggio nei pressidella Chiesa di Piazza San Marco). La signoraPernigotti contatta la parrocchia, così fondano ilCollegio San Marco per ragazzi bisognosi.Molti erano eritrei. Vivevano lì per due o treanni. C’erano anche insegnanti in pensione che sioccupavano di loro.

Una bella cosa ma come mai ragazzi eritrei?Perché il parroco di San Marco era in contattocon suor Cesarina e Padre Marino.Per me sono tutte esperienze nuove. Le sto sco-prendo con la ricerca per questo lavoro.

Chi sono i ragazzi che intervisti?Molti sono amici e conoscenti di mia sorella. Poic’è stato il classico passa parola. Quasi tutti

hanno voglia di raccontarsi. Poi magari davantialla videocamera, un po’ meno…Però ne abbiamo un buon numero. C’è entusia-smo.

Nel gruppo storico che si dava Appuntamentoai Marinai i ragazzi erano tutti eritrei o ancheetiopici?C’erano ragazzi con genitori l’uno eritreo l’altroetiopico. Io però mi sto focalizzando sugli eritrei.Secondo me, al di là delle questioni storiche, se siparla di comunità,bisogna distinguere, se no si faun documentario diverso. Ovvio che ci sia unlegame ma io parlo di eritrei.

Diversamente da “Asmarina”, dove si raccontauna comunità eritrea-etiopica?Asmarina è un documentario molto bello, che hovisto, fatto molto bene. Il loro lavoro di ricerca èincredibile. La parte storica bellissima. Loro rac-contano un’altra comunità. Io mi focalizzosull’Eritrea e gli eritrei.

Cosa pensano dell’Eritrea i giovani eritrei natiin Italia?I ragazzi nati qua hanno un’idea complessa dellapolitica eritrea. É complicato. C’è aggressivitàquando se ne parla. Questo è il motivo per cuimolti preferiscono non parlarne o non parlarnepubblicamente, solo in circoli chiusi. Così però,secondo me, non ci si ascolta. Ci si accusa dellestesse cose. Per esempio ho intervistato sia iragazzi del YPFDJ, Young People’s Front forDemocracy and Justice sia quelli che non nefanno parte, per convinzione o disinteresse. Leaccuse che gli uni lanciavano agli altri erano lestesse…è così se non c’è dialogo.

Qual’è il tuo futuro prossimo?Un dottorato in Germania, spero.

E in Eritrea andrai?Certo. Voglio andare in Eritrea per vedere ilpaese con i miei occhi.Di questo l’Eritrea recentemente ha fatto il pro-prio motto,“come and see”…

Marilena Dolce, Giornalista e Autore Eritrea Live.

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Il numero di articoli che descrivonol’Eritrea come “lucchettata” sembranoessere numerosi come le stelle nel cielo. Il

fatto che lo Stato di Eritrea scelga di avere ungiornalismo “responsabile” verso questioninazionali, non acclami eccessivamente i piani ei progetti nazionali attraverso le reti di informa-zione internazionali, ed eviti di suscitare emo-zioni che potrebbero compromettere il naziona-lismo, ha portato ad un vasto numero di sogget-ti che descrivono il paese come blindato e pocodiplomatico, dove all’interno avvengono solocose brutte.La realtà, però, è molto diversa da ciò che vienedetto, e ci sono alcuni (anche se pochi) giorna-listi stranieri e scrittori che forniscono un reso-conto più vero del paese. Esplorando“Askanews” - un sito italiano- e altre voci sottol’hashtag Eritrea sui social media , se ne ricava-no esempi utili.Parlando con Askanews circa la recente confe-renza CIEM e gli studi archeologici condotti dauniversità e professori italiani in collaborazionecon le istituzioni eritree e professionisti locali, ilsignor Diego Solinas dell’Ambasciata italianain Eritrea, spiega l’importanza di “ridurre ilgrado di emarginazione nel settorescientifico/accademico, dando ulteriori impulsiper migliorare la qualità al settore dell’istruzio-ne dell’Eritrea”.Inoltre, Solinas ha espresso notevole orgoglionel parlare del gran numero di professori italia-ni che prendono parte alla conferenza CIEMalla fine di luglio, e ha notato tentativi incorag-gianti dell’Eritrea per aprire le porte ai ricerca-tori stranieri per valutare le questioni eritree inambienti più versatili.Secondo Askanews, studiosi archeologici italia-ni sono da tempo impegnati in Eritrea, tra cui il

professor Alfredo Coppa, un paleontologo dallaSapienza, così come Andrea Manzo, CaterinaGiostra, Serena Massa, e Susanna Bortolotto.Dal 2011, gli studiosi sono stati impegnati in unprogetto emozionante di scavo e riscoperta dell’antica città portuale di Adulis. In particolare,diversi mesi fa, il Professor Coppa, che ha con-dotto un significativo e ampio lavoro esploran-do la Dankalia, ha rivelato il ritrovamento difossili “importanti” che risalgono a circa 800mila anni. Inoltre, il professor Castiglioni haspiegato che gli scavi dell’antico porto di Adulisè stato intrapreso dopo un “invito del governoeritreo, con gli obiettivi di condivisione delpatrimonio culturale eritreo con il mondo, lapromozione del turismo internazionale, e l’inco-raggiamento dei giovani locali in quel campo.”Inoltre, eccitata parlando del suo lavoro inEritrea al fianco di professionisti italiani ed eri-trei, Susanna Bortolotto, descrive Adulis come“la Pompei africana”, prima di rivelare che, “ilPolitecnico è stato convocato dall’Eritrea perrealizzare un parco archeologico che sarà ilprimo del suo genere in Africa sub-sahariana”.Che emozione!Mentre notizie e rapporti tradizionali circal’Eritrea sono generalmente pieni di morte edistruzione, Askanews ha anche annunciato unconsiderevole numero di accordi significativi epartenariati tra università e istituti di istruzio-ne superiore eritrei ed italiani. Ad esempio,dopo anni di relazioni bilaterali forti e feconde,La Sapienza di Roma, il Politecnico di Milano,e l’Ateneo di Pavia hanno ribadito gli impegnie l’intenzione di intraprendere nuove collabo-razioni con le istituzioni eritree di istruzionesuperiore, in particolare nel settore dell’ar-cheologia.Così, anche se è stato generalmente ignorato da

ERITREA AGLI OCCHI DEI PRINCIPALIMEDIA ITALIANIdi Billion Temesghen

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molte agenzie di informazione e osservatori,Askanews ha offerto la copertura della recentecandidatura di Asmara come sito del patrimo-nio mondiale dell’UNESCO. In particolare,l’agenzia ha sottolineato il ricco, colorato signi-ficato storico della città, prima di descrivereAsmara come un “gioiello” e affermando chesarebbe una legittima aspettativa l’aggiuntaalla prestigiosa lista dell’UNESCO.Sorprendentemente, Askanews nota anchecome i prodotti di Asmara abbiano fatto la lorostrada verso l’Italia. In particolare, si parladella birra locale molto apprezzata - la Melotti.La fabbrica di birra di Asmara è stata fondatanel 1941 da Luigi Melotti nella capitale. Sotto ilnome del suo fondatore e ancora utilizzando lestesse bottiglie dal design originale, Melotticontinua a produrre i suoi prodotti di ampiogradimento. È importante notare, in particola-re nel contesto delle ripetute affermazioni circal’economia “decadente” dell’Eritrea, che la fab-brica di birra produce sia per i consumatorilocali che per l’estero esportando anche unaquantità significativa.A raggiungere i mercati internazionali sotto iltag “made in Eritrea” ci sono anche i prodottitessili di alta qualità della Dolce Vita. DolceVita è la filiale del Gruppo Zambaiti (Za.Er), dibase alla periferia della capitale. L’azienda èconosciuta soprattutto per i suoi designs accat-tivanti, l’abbigliamento in tessuto di cotone100%, e la biancheria per la casa.Accanto ai prodotti di esportazione, Dolce Vitaha filiali in tre città eritree oltre quelli nellacapitale (Dekemhare, Keren e Mendefera).

Secondo una recente dichiarazione il CEOdella società, Pietro Zambaiti, l’azienda è forte-mente focalizzata sullo sviluppo di professiona-lità e competenze dei dipendenti, oltre a stabili-re diversi nuovi siti, che dovrebbero esseremolto attraente per i potenziali investitori.Da molto tempo gli osservatori dell’Eritreasono consapevoli della forte difesa del paese perl’autosufficienza e l’uso sostenibile delle risorsenaturali. L’energia solare, in particolare, è spes-so pubblicizzata come una risposta alle sfidepotenziali del Paese nel fornire una alimenta-zione elettrica equilibrata alle varie regioni.Asmara in questo caso potrebbe essere al cen-tro dell’attenzione, dal momento che la politicadel governo tende a prestare grande attenzionealle aree remote, in linea con il suo principio didiffondere gli stessi vantaggi, i servizi sociali e idiritti sia alle persone vicine che quelle lontane.Di conseguenza, Askanews ha presentato unacopertura utile su questo argomento all’inizio diquest’anno, rivelando gli sforzi del paese adistribuire l’alimentazione elettrica sostenibilein tutto il paese. Antonio Bonanni, responsabi-le del progetto di Enertronica, una società elet-trica attualmente impegnata nella realizzazionedi impianti in Eritrea, rileva il potenziale peruna generazione giornaliera di 6 kilowatt dienergia solare per metro quadrato. Nella terradel sole, le possibilità sono infinite.In contrasto con le immagini tradizionalidell’Eritrea ritratte da molti media, Askanewsfornisce un nuovo approccio. Questo è moltoper essere un paese “blindato” ... non credete?

Billion Temesghen, giornalista Eritrea Profile.

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