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Quaderno Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma N 2/2014

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In copertina: Palazzina residenziale privata a Roma

Foto di: Copyright © Moreno Maggi

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GLI EDITORIALI

Il saluto del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5di Carla Cappiello

L’Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7di Francesco Marinuzzi

GLI ARTICOLI

D. Lgs. n. 35/2011: nuovi criteri e procedure da adottare per ottenere infrastrutture più sicure . . . . . . . 8di A. Griffa, G. Malgeri

Tecniche “estensive” per il trattamento di acque reflue: la fitodepurazioneAccenni di teoria e applicazioni in Italia e all’estero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16di G. Cigarini

Sistemi di accumulo e fotovoltaico: analisi costi-benefici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26di M. M. D’Erme, A. R. Giancipoli, R. Undi

Reti Wi-Fi mesh . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34di A. Furlan, M. Castelli, G. Massimi

L’utilizzo delle tecniche no-dig nelle posa in opera delle reti di servizi interrate . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42di C. Catinari

La valutazione della sicurezza sismica delle costruzioni esistenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50di G. Monti

Salute e sicurezza sul lavoro: il percorso verso la cultura della prevenzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56di M. Tancioni

Cloud computing, sicurezza nelle applicazioni e problematiche contrattuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60di L. Prinzi, F. Arcieri

La qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68di S. Barbanera, A. Coppola, M. Di Pasquale

Le camere riverberanti e le verifiche acustiche in campo aeraulico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74di D. Giordano, L. Quaranta

Centri storici antisismici. Una strategia possibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80di G. Monti, G. Scalora

Controllo vocale e disabilità: un’applicazione concreta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88di L. Di Stefano

Indagine sull’utilizzo degli strumenti finanziari nell’area nordica del continente africano . . . . . . . . . . . . 94di D. Morea, A. Pirone, E. Farinelli, M. Salerni

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La formazione dei lavoratori e la “collaborazione” con gli organismi paritetici e gli enti bilaterali 100di G. Degl’Innocenti, M. Di Pasquale, E. Grimaldi

Un’applicazione delle tecniche di Project Management allo sviluppo prodotto nell’automotive . . 108di A. Calisti

Perdite reali nelle reti acquedottistiche e nei gasdotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114di P. Reale

Asili nido: strutture dedicate allo sviluppo psico-fisico dei bambini da 0 a 3 anni . . . . . . . . . . . . 122di M. Bergamini

L’AREA WEB DELLA RIVISTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .128

Arch. Z. Hadid - Museo Maxxi (Roma) Copyright © Moreno Maggi þ

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Direttore responsabileStefano Giovenali

Direttore editorialeFrancesco Marinuzzi

Comitato di redazione

Sezione ACarla Cappiello Manuel CasalboniFilippo Cascone Lucia CoticoniAlessandro Caffarelli Giuseppe CarluccioCarlo Fascinelli Francesco FulviGioacchino Giomi Maurizio LucchiniLorenzo Quaresima Tullio Russo

Sezione BGiorgio Mancurti

Amministrazione e redazioneVia Vittorio Emanuele Orlando, 83 - 00185 RomaTel. 06 4879311 - Fax 06 487931223

Direzione Artistica e Progetto graficoTiziana Primavera

StampaPress Up

Ordine degli Ingegneri della Provincia di RomaVia Vittorio Emanuele Orlando, 83 - 00185 [email protected]

Finito di stampare: settembre 2014

Il Quaderno IOROMA è un allegato alla rivista IOROMA

La Direzione rende noto che i contenuti, i pareri e le opinioni espresse negli articoli pubblicati rappresentano l’esclusivo pensierodegli autori, senza per questo aderire ad esse.La Direzione declina ogni qualsiasi responsabilità derivante dalle affermazioni o dai contenuti forniti dagli autori, presenti nei suddettiarticoli.

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Il Quaderno dell'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma rappresentauno spunto di riflessione sul mondo dell'ingegneria.

Dopo l'esito positivo del primo numero, confermato dall'attenzione che la ca-tegoria ha riservato a questo strumento di informazione professionale, si è de-ciso di stamparlo periodicamente con l'obiettivo di fornire un'occasione diapprofondimento.

L'innovazione tecnologica porta quotidianamente a nuove sfide, che presup-pongono un impegno importante nel settore della formazione. Tale tema è par-ticolarmente sentito nello svolgersi del nostro operato, poiché si è rafforzatal'idea che le discipline tecniche devono essere supportate da processi di for-mazione permanente.

Il progetto editoriale del Quaderno nasce da questa premessa. Si pone comepunto di incontro e di condivisione di esperienze scientifiche, di tecniche etecnologie all'avanguardia, un mezzo utile per avere uno stato dell'arte sempreaggiornato sulle più varie argomentazioni. Gli argomenti trattati, infatti, sononumerosi e diversi: domotica, sistemi idraulici complessi, fotovoltaico, ProjectManagement, costruzioni, sicurezza sul lavoro, infrastrutture stradali, eGover-ment e molto altro.

Il Quaderno, raccogliendo i contributi dei colleghi ingegneri, desidera creareun collegamento costante tra aggiornamento e professione. Allo stesso tempovuole fornire notizie di rilievo a enti e soggetti istituzionali (poiché distribuitoanche a loro) su come si svolgono le molteplici attività collegate all'ingegneria,per individuare possibili collaborazioni e soddisfare esigenze di collettività edaziende.

Vorrei ringraziare personalmente tutti gli autori degli articoli, in quanto sonoriusciti a comunicare valide opinioni e a instaurare un discorso fruttifero su te-matiche interessanti.Il mio auspicio è che il Quaderno possa continuare il suo percorso di crescitacon il supporto e il contributo fattivo di tutti.

Carla CappielloPresidente Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma

Il saluto del PresidenteDott. Ing. Carla Cappiello

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Care Colleghe, cari Colleghi,La prima uscita di questo Quaderno inatteso ha incontrato un grandeapprezzamento testimoniato dalle tante richieste che hanno prestoesaurito le copie messe a disposizione.La veste grafica e la qualità dei contenuti, spesso articolati, complessi especialistici hanno suscitato interesse ed indotto molti a pubblicare nuovicontributi.Per tutto questo vi siamo molto grati.D'altra parte la qualità dei contenuti pervenuti è tale che merita unapropria valorizzazione in sé oltre a quella del Quaderno che vive neltempo di pubblicazione.Per questo motivo abbiamo molto curato che gli articoli fosserocorrettamente indicizzati in rete dai motori di ricerca ed alcuni hanno giàconquistato le prime posizioni nelle ricerche per parola chiave.Il portale http://rivista.ording.roma.it ha velocemente acquistato credibilitàed è attualmente oggetto di riflessione per una sua riorganizzazione piùefficiente e funzionale con soluzioni innovative e personalizzate.Il singolo articolo online, con il tempo, aumenta visibilità, indicizzazioneed autorevolezza e può prestarsi ad essere inserito in selezionipersonalizzate che, grazie alla tecnologia di "stampa su richiesta"possono generare soluzioni economiche e di qualità.A tal fine è importante, però, la condivisione degli stessi che è giàpermessa a vari livelli dalle soluzioni tecnologiche implementate nelportale. Si va dal semplice "like", tweet o post sul social network finoall'inserimento di uno o più articoli o dell'intero Quaderno sul proprio sito(embedding). La redazione è a vostra disposizione per darvi supporto enella sezione delle Domande Frequenti (FAQ) del portale potrete trovaremolte delle risposte.Infine stiamo valutando come valorizzare i contributi pervenuti più corposi,talvolta di 40 o 50 pagine che, una volta validati e pubblicati, possonoessere la base migliore per proporsi alla pubblicazione di un libro.Gli ingegneri sono esperti “del fare e del saper fare” ma riuscire anchea “far sapere” è vitale per la propria credibilità e tutte le nostre iniziativesono pensate in questa ottica di servizio.Un grazie a tutti voi, che ogni giorno ci rinnovate la fiducia.

Francesco MarinuzziDirettore Editoriale

L’EditorialeIng. Francesco Marinuzzi

ÿ Arch. M.Fuksas - Housing Project (Mainz, Germany) Copyright © Moreno Maggi

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D. LGS. N. 35/2011: NUOVI CRITERIE PROCEDURE DA ADOTTARE

PER OTTENERE INFRASTRUTTUREPIÙ SICURE

Il recepimento della dir. 2008/96/CE in Italia in tema di gestionedella sicurezza stradale

a cura di

Ing. A. GriffaIng. G. Malgeri

commissione

Infrastrutture stradali

visto da:

Ing. A. Fuschiotto

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Quadro di riferimentoLa sicurezza rappresenta da sempre l’obiettivoa cui tende la progettazione e l’esercizio delleinfrastrutture stradali; nonostante negli ultimidecenni i veicoli si siano equipaggiati dei mi-gliori sistemi di sicurezza di guida il fenomenodell’incidentalità stradale non riesce ad arre-starsi, tant’è che alcuni studi hanno pronostica-to purtroppo che nel 2020 “la strada” potrebbeoccupare il terzo posto tra tutte le cause dimorte, comprese quelle legate alle malattie.Gli elementi che concorrono alla possibilità diaccadimento di un incidente sono sicuramente

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legati al cosiddetto “fattore umano”, (ossia allecondizioni psicofisiche del conducente quali laprontezza di riflessi e le capacità motorie), allecondizioni meteorologiche, all’efficienza delveicolo (impianto frenante) e non ultima allecondizioni dell’infrastruttura stradale. Va dettoche la confusione amministrativa degli ultimianni ha prodotto un decadimento dello statodelle infrastrutture esistenti, in particolare perquanto riguarda le strade provinciali e localiper le quali si sono trascurati anche interventidi manutenzione ordinaria: ciò sicuramente haricoperto e ricopre tuttora un peso fondamenta-le tra le cause dell’elevata incidentalità. I margi-ni di miglioramento sono evidenti ed importanti:su tutti va sottolineata l’incapacità delle stradeesistenti di assorbire il traffico in continua cre-scita, la presenza anche su infrastrutture dinuova realizzazione di tratti in cui si vanno con-centrando gli incidenti, la presenza di segnali,segnaletica ed elementi stradali eterogenei edincoerenti anche all’interno di uno stesso itine-rario. Ciò premesso ha portato da parte dei re-sponsabili di governo e degli enti proprietaridelle strade la presa in carico del problema:per la prima volta in Europa l’obiettivo dellagestione della sicurezza delle infrastrutturestradali è stato tradotto in una procedura for-malizzata al fine di garantire gli elevati stan-dard di sicurezza che la rete stradale, sia at-tuale che di futura realizzazione, dovrebbe es-sere in grado di offrire.La Commissione Europea nel decennio che siè concluso nel 2010 ha avviato politiche, stra-tegie, campagne di informazione per promuo-vere la Sicurezza Stradale fino all’emanazionedi molteplici documenti (su tutti la pubblicazio-ne nel 2001 del “Libro Bianco sui Trasporti”),che hanno ridotto il numero di vittime dal 2001al 2011 del 43% nei 27 Paese membri. Dopo ilraggiungimento di questo importante risultatola Commissione Europea si è prefissa, comeobiettivo del prossimo decennio 2011-2020,un’ulteriore riduzione del 50% delle vittime del-la strada rispetto al 2010. In quest’ottica nel no-vembre 2008 è stata emanata la Direttiva co-munitaria 2008/96/CE riguardante il tema dellaGestione della Sicurezza delle Infrastrutturestradali e attraverso la legge comunitaria 4 giu-gno 2010, n. 96 è stata conferita delega al Go-verno per il recepimento della direttiva stessa(come per tutti i 27 Stati Membri). Tale Direttivasi prefigge l’obiettivo di migliorare il livello di si-curezza delle strade inizialmente appartenentialla rete stradale Transeuropea (TEN), median-te l’introduzione di una serie di procedure attea migliorare la sicurezza delle infrastrutturestradali nelle diverse fasi di pianificazione, pro-gettazione, realizzazione e gestione. In Italia il

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D.Lgs. n.35/11 di recepimento della Direttiva2008/96/CE, entrato in vigore il 23 aprile 2011,introduce una serie di procedure, in capo aduna pluralità di soggetti, finalizzate al migliora-mento della sicurezza delle infrastrutture stra-dali, che costituiscono una novità per l’ordina-mento preesistente, costituito dal Codice dellaStrada (D.Lgs. n.285/92) e dal relativo Regola-mento di Esecuzione (D.P.R. 495/92), nonchéda altre specifiche disposizioni attuative, cheponevano specifici adempimenti in capo ai soliEnti proprietari e gestori delle strade.L’art. 12, c.5 del D.Lgs. n.35/11 ha previsto chenella fase transitoria le “Linee guida per le anali-si di sicurezza delle strade”, di cui alla Circolaredel Ministero dei Lavori Pubblici n. 3699 dell'8giugno 2001, costituissero la norma di riferimen-to per l'analisi di sicurezza delle strade, nei limitidi compatibilità delle disposizioni riportate nelmedesimo decreto. Nel delineare il quadro di ri-ferimento normativo si evidenzia che il D.Lgs.n.35/11 ha previsto una serie di decreti attuativi(Tabella 1), che devono essere necessariamen-te concepiti secondo una logica unitaria e coor-dinata per non incorrere in difetti di apprendi-mento da parte dei professionisti interessati.Il quadro normativo si compone inoltre, conparticolare riferimento alle attività più stretta-mente tecniche, delle analisi di sicurezza, del-le disposizioni del Codice della Strada e delrelativo Regolamento di attuazione ma anchedelle prescrizioni delle norme tecniche di pro-gettazione stradale e da tutte le altre norme,riguardanti elementi funzionali o di arredo del-la strada (segnaletica, dispositivi di ritenutastradale, pavimentazione stradale, impianti,ecc..).

Novità introdotte dal decreto n. 35/2011Il Decreto Legislativo n.35 di recepimento allaDirettiva 2008/96/CE in Italia è cogente dal 23

aprile 2011 e si basa su provvedimenti che ri-guardano in special modo la focalizzazionenelle diverse fasi di progettazione del tema del-la sicurezza stradale, anche attraverso l’ado-zione di strumenti o soluzioni in grado di indur-re i guidatori a mantenere la velocità dei veicolientro i limiti di sicurezza previsti e ad adottareun comportamento di guida responsabile. Unaparticolare attenzione alla sicurezza stradale èposta in fase di gestione della rete esistente,attraverso analisi di condizioni di sicurezza edinterventi di manutenzione ordinaria e straordi-naria mirati al tema in questione. Le principalinovità introdotte si possono riassumere nell’in-troduzione di controlli durante la fase di proget-tazione ed ispezioni durante la fase di eserciziodell’infrastruttura, nonché di una nuova classifi-cazione e gestione della rete in esercizio e nonultima l’introduzione della VISS (Valutazione diImpatto Sicurezza Stradale) nell’ambito dellapianificazione degli interventi. Per la prima vol-ta il tema della Sicurezza Stradale ricopre unpeso importante nella valutazione degli investi-menti per le infrastrutture stradali alla pari di al-tri criteri quali la tutela dell’ambiente, i costi direalizzazione delle opere e il consumo di suolo.Valutando nello specifico gli articoli del Decretosi evince che controlli e ispezioni dell’Infrastrut-tura non devono essere intesi come fasi auto-nome e avulse dall’intero processo gestionale,pur rappresentando le attività tecniche più rile-vanti, ma devono far parte di un ciclo di attivitàconsequenziali e iterative volte tutte a perse-guire un miglioramento della sicurezza attraver-so una gestione ottimizzata della rete stradale.Nella figura seguente si rappresentano le atti-vità dei controlli e delle ispezioni inserite nel ci-clo complessivo delle attività (Fig.1).Le risultanze dei controlli della sicurezza stra-dale costituiscono parte integrante della docu-mentazione per tutti i livelli di progettazione esono da ritenersi elementi necessari ai fini della

modalità, contenuti e documenti Valutazione di Impattosulla Sicurezza Stradale (VISS) art. 3, c.2 --- ---classificazione tratti stradali ad elevata concentrazionedi incidenti e classificazione della sicurezza dellarete esistente art. 5, c.1 --- ---“Misure di sicurezza temporanee da applicare a tratti art. 6, c.2 n. 420 G.U. n. 297interessati da lavori stradali ai sensi dell’articolo 6 del 12/12/11 del 22/12/11del decreto legislativo n. 35/2011”“Programma di formazione per i controllori della art. 9, c.1 n. 436 G.U. n. 35sicurezza stradale ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo del 23/12/11 del 11/02/1215 marzo 2011, n. 35”definizione contributo corsi di formazione art. 9, c.6 --- ---individuazione tariffe e modalità versamento art. 10, c.2 --- ---aggiornamento allegati art. 12, c.1 --- ---

Decreti attuativi previsti dal art. di riferimento numero decreto numero G.U.D.Lgs. n.35/11 D.Lgs. n.35/11 data di data di

emanazione pubblicazione

Tabella 1 - Decretiattuativi previsti

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sive modificazioni, non comprese nella retestradale transeuropea”, a decorrere dal 1° gen-naio 2016, ed è altresì prevista la possibilità diprorogare tale decorrenza, non oltre il 1° gen-naio 2021. Per la rete stradale di competenzadelle regioni, delle province autonome e deglienti locali, è previsto che le disposizioni delD.Lgs. n.35/2011 costituiscano norme di princi-pio e che, entro il 31 dicembre 2020, le regionie le province autonome dettino, nel rispetto deiprincipi stabiliti dal decreto, la disciplina riguar-dante la gestione della sicurezza delle infra-strutture stradali di competenza, con particola-re riferimento alle strade finanziate a totale oparziale carico dell’Unione Europea.Sebbene le condizioni di sicurezza della reteTEN (fig.2) siano mediamente più elevate ri-spetto alle altre strade di interesse nazionale,regionale e locale (e quindi nella consapevo-lezza che l’applicazione delle misure introdottedalla Direttiva 2008/96/CE avrebbe avuto mag-giore efficacia sulla rete stradale ordinaria), si èoptato per un approccio di tipo graduale, par-tendo dall’ambito indicato nella Direttiva:– dal 2011: solo rete stradale transeuropea– dal 2016: intera rete stradale di interesse

nazionale (D. Lgs. n.461/99 e s.m.i)

http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=12878

Figura 1 - Linee Guidaallegate al D.M.182

approvazione dei progetti da parte degli organipreposti e della successiva realizzazione del-l'opera, fino all'emissione del certificato di col-laudo. Nello specifico la relazione di controllodefinirà, per ciascun livello di progettazione, gliaspetti che possono rivelarsi critici ai fini dellasicurezza stradale e le relative raccomandazio-ni. Nel caso in cui la progettazione non doves-se essere adeguata ai fini del superamento de-gli aspetti critici rilevati dalla relazione di con-trollo, l'ente gestore giustifica tale scelta all'or-gano competente, il quale, laddove ritenga am-missibili le giustificazioni addotte, dispone chesiano allegate alla relazione di controllo, altri-menti dispone l'adeguamento della progetta-zione alle raccomandazioni.Per quanto concerne l’ambito di applicazionedel D.Lgs. 35/2011 esso è limitato fino al 2016per le strade ricadenti nella rete stradale tran-seuropea (Rete Ten), siano esse in fase di pia-nificazione, di progettazione, in costruzione ogià aperte al traffico, mentre per tutte le altrestrade i contenuti del decreto costituiscononorme di principio. E’ stato previsto che taleambito debba essere esteso “alle strade ap-partenenti alla rete di interesse nazionale, indi-viduata dal D.Lgs. 29/10/1999 n.461 e succes-

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– entro il 2020: tutte le altre strade (le Regionidetteranno la disciplina).

Ciò premesso occorre specificare che dal01/01/2014 la nuova Rete TEN è stata suddivi-sa in due livelli:• rete “core” (orizzonte 2030)• rete “comprehensive” (orizzonte 2050)

Ognuna di esse è stata suddivisa in:• completed• to be upgraded• planned.

Alla vigente TEN “esistente” corrisponde sia larete “completed” sia parte della rete “to be up-graded” intesa come insieme delle infrastruttu-re in esercizio aventi già i requisiti minimi perl’appartenenza alla TEN, ma che comunquedevono essere potenziate (es. realizzazioni 3ae/o 4a corsia). Analogamente alla vigente TEN“pianificata” corrisponde parte della rete “to beupgraded” e la rete “planned” comprendente asua volta sia le infrastrutture in esercizio nonaventi ancora i requisiti minimi per l’apparte-nenza alla TEN, ma per le quali sono previstidei progetti di adeguamento, sia le nuove infra-strutture. Si rimanda alle stesse Linee Guida(D.M. n.137/2012) per il dettaglio delle attivitànecessarie in funzione della tipologia di infra-struttura.

Pertanto, per verificare quali attività siano ne-cessarie ai sensi del D.Lgs. n.35/11, si deve fa-re riferimento alla ”tipologia effettiva di infra-struttura”, nella quale si trova la corrispondenzatra le tipologie di infrastruttura individuate nellaTEN attualmente vigente (Dec. 884/04/CE) enella proposta della CE del 19.10.11.

VISSLa Valutazione di Impatto sulla Sicurezza Stra-dale rappresenta sicuramente una delle mag-giori innovazioni apportate dal D.Lgs.35/2011. Per tutti i “progetti di infrastruttura”,quindi anche per gli interventi di adeguamen-to di strade esistenti che comportano effettisui flussi di traffico, è necessaria la realizza-zione della VISS durante lo studio di fattibilitàe comunque prima o durante la redazione delprogetto preliminare, ai fini dell’approvazionedi quest’ultimo.Tale Valutazione, che rappresenta un’innova-zione nel nostro ordinamento e che consentedi analizzare gli effetti sulla sicurezza stradaledelle diverse soluzioni possibili per un proget-to di infrastruttura, è uno studio condottodall’ente gestore in fase di pianificazione e co-munque anteriormente all’approvazione delprogetto preliminare, intendendo con ciò chela VISS sia analizzata dall’OC o nell’ambitodella fattibilità o nel primo livello di progetta-zione. L’introduzione della VISS permette didefinire il quadro di riferimento per le futurevalutazioni e verifiche connesse ai progetti (tracui i controlli) che attueranno il piano o il pro-gramma facendo sì che la fase pianificatoriaassuma finalmente le forme e la dignità checompete ad un organico ed efficiente assettodi sviluppo infrastrutturale: gli obiettivi di sicu-rezza stradale, sviluppo sostenibile e di tuteladell’ambiente possono essere meglio perse-guiti indirizzando i processi decisionali me-diante un’analisi multicriteria, come già avvie-ne nei paesi europei più modernizzati. Tra ledifferenti opzioni viene sempre analizzata l’i-potesi di non intervento attraverso l’applica-zione dell’analisi costi/benefici per una corret-ta scelta della miglior soluzione.Il Decreto n.35 appare piuttosto chiaro riguardola struttura, le tematiche e le modalità procedu-rali: si riporta di seguito l’estratto dell’Allegato 1del Decreto dal quale si evincono le componentie gli elementi da tenere in considerazione.Componenti della Valutazione di Impatto sullaSicurezza Stradale:a) definizione del problema;b) identificazione degli obiettivi di sicurezza

stradale;c) analisi della situazione attuale e opzione

dello status quo;d) individuazione delle differenti opzioni;

http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=07983

Figura 2 - Rete TEN inItalia (fonte MIT)

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e) analisi dell’impatto delle opzioni propostesulla sicurezza stradale;

f) confronto delle opzioni (attraverso l’analisicosti/benefici);

g) scelta delle possibili soluzioni;h) individuazione della miglior soluzione.

Ciò premesso gli elementi da prendere in con-siderazione sono i seguenti:

a) caratteristiche plano altimetriche dell’infra-struttura stradale;

b) analisi dell’incidentalità;c) obiettivi di riduzione dell’incidentalità e con-

fronto con l’opzione dello status quo;d) individuazione delle tipologie degli utenti

della strada, compresi gli utenti deboli (pe-doni e ciclisti) e vulnerabili (motociclisti);

e) individuazione dei volumi e delle tipologiedi traffico.

In merito agli elementi da prendere in conside-razione preme sottolineare che già dalla fase dipianificazione viene richiesta la disponibilità suidati di incidentalità: tuttavia nel nostro Paesenon esiste tuttora un’autorità in grado di garan-tire una raccolta sistematica, ordinata e com-pleta dei dati tecnici relativi agli eventi inciden-tali. Pertanto tale aspetto rende necessaria lacreazione di una banca dati organica e com-pleta, per la cui realizzazione occorrono le si-nergie di tutti i soggetti a vario titolo coinvoltinella gestione e nel controllo dell’intera retestradale di carattere nazionale, regionale e pro-vinciale non solo quale ausilio all’esercizio, maanche come cardine in base al quale valutareed indirizzare l’ideazione di una infrastrutturagià dalla fase pianificatoria.

Riflessi sull’iter proceduraleIl D.L. 35/2011 di recepimento alla Direttiva Eu-ropea andrà ad operare in un quadro normati-vo delle opere pubbliche molto complesso e incontinua evoluzione: il nobile obiettivo di rag-giungere un elevato livello di sicurezza stradalecomune a tutte le strade appartenenti alla reteeuropea può incombere tuttavia nella possibi-lità di complicare se non confondere i tecnicioperanti nel settore.Il quadro normativo tutt’oggi si compone in par-ticolare di:• D. Lgs. n. 163/2006 “Codice dei contratti

pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” es.m.i.

• D.P.R. n. 207/2010 “Regolamento di esecu-zione ed attuazione del D. Lgs. n.163/2006“

• D.Lgs. n. 152/2006 “Norme in materia am-bientale” e s.m.i.

Il rischio non ancora scongiurato da parte delLegislatore con l’introduzione del presente de-

creto n.35 è quello di aggiungere un ulteriorefattore di complessità al processo di progetta-zione, incrementando gli oneri gestionali e fi-nanziari per la predisposizione di nuovi elabo-rati. Di conseguenza si potrebbero appesanti-re e non poco le procedure autorizzative e iltutto potrebbe compromettere il raggiungi-mento degli obiettivi più concreti propri dellepolitiche europee.Nel 1985 l’allora Comunità Europea promulgòla prima Direttiva sulla Valutazione di ImpattoAmbientale e fu quella l’occasione di unaprofonda e radicale revisione dell’approccio aiprogetti di infrastrutture; da allora non è piùpossibile prescindere dall’analisi delle compo-nenti ambientali e neanche dalla faticosa,seppur preziosa, fase di concertazione dellescelte, propria della procedura VIA. Tuttavial’introduzione di tali elementi da parte delD.Lgs. 35/2011, fondati su obiettivi di miglio-ramento della sicurezza stradale, porterà mol-to probabilmente una contrapposizione con levalutazioni incentrate sull’inserimento paesag-gistico-ambientale e sulla riduzione del consu-mo di suolo. Tale criticità non è da sottovaluta-re in tema di valutazione delle diverse alterna-tive e la scelta della soluzione migliore. Inoltredato il precario equilibrio tra le attività di pro-gettazione e le fasi di controllo si potrebbe in-combere in prescrizioni ed inutili rallentamentidell’iter autorizzativo con un conseguente in-cremento di oneri e tempi per l’approvazionedei progetti.In merito a quest’ultimo aspetto occorre tutta-via porre l’attenzione su di un fattore di imme-diata ripercussione per il gestore: le ricadutein termini di oneri gestionali. Infatti il dotarsi dimoderne procedure atte a discernere le situa-zioni di potenziali pericolosità sulla rete senzaavere la disponibilità delle adeguate risorse fi-nanziarie necessarie a sanarle produrrebbesolo l’effetto di accrescere i già pesanti profilidi responsabilità dei soggetti gestori che, inalcuni casi, data l’indisponibilità di fondi, po-trebbero essere costretti ad adottare soluzioni“obbligate”, quali l’interdizione al traffico di undeterminato tratto di strada, determinando, difatto, un aggravio delle condizioni di circola-zione, e quindi di sicurezza, della restante re-te.Tutto ciò premesso palesa la necessità di unreale sforzo da parte del Legislatore nella re-dazione dei successivi decreti attuativi in mo-do che gli indirizzi del Decreto n.35 si tramuti-no in procedure che siano in grado di fornireun reale valore aggiunto alla progettazione enon si traducano, nella pratica applicazione,solo in un ulteriore appesantimento del pro-cesso di progettazione ed autorizzazione del-le opere stradali. ÿ

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Arch. E. Ambasz - Ospedale e Banca dell'occhio (Mestre)

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Quaderno

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TECNICHE “ESTENSIVE” PER IL TRATTAMENTO DIACQUE REFLUE: LA FITODEPURAZIONE.

ACCENNI DI TEORIA E APPLICAZIONEIN ITALIA E ALL’ESTERO

a cura di

Ing. G. Cigarini

commissione

Sistemi idraulicicomplessi

visto da:

Ing. F. Napolitano

IntroduzioneLa “fitodepurazione” costituisce una valida alternativa “naturale” ai sistemi convenzionali di tratta-mento delle acque reflue civili ed industriali. Fino a pochi decenni fa i sistemi di fitodepurazioneerano considerati fattibili per sole piccole Comunità o case isolate a ridotta o comunque sia limi-tata efficacia. Oggi questi sistemi hanno acquisito una robusta base scientifica e possono sosti-tuire completamente un trattamento convenzionale per comunità fino a 30,000 abitanti ovvero pertrattare reflui caratterizzati da un alto carico organico quali ad esempio quelli prodotti dalle indu-strie agroalimentari; senza trascurare le molteplici applicazioni dei sistemi naturali come tratta-mento terziario di affinamento, per il miglioramento della qualità delle acque di sfioratori fognaridi rete mista o di reti meteoriche, fino alla disidratazione e stabilizzazione dei fanghi di depurazio-ne.

I meccanismi di depurazioneLa fitodepurazione si basa su processi di tipo biologico in cui le piante (cosiddette macrofite), adimora in corpi idrici artificiali a lungo tempo di ritenzione idraulica o in terreni saturi d’acqua (zo-

Si ringrazia per lacollaborazione il collegaIng. Riccardo Bresciani

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ne umide artificiali ovvero “constructed we-tlands”), contribuiscono alla depurazione di ac-que reflue. La depurazione è il risultato dell’a-zione concomitante delle piante, dei batteri chesi sviluppano sui loro apparati radicali e rizo-matosi e dei batteri che trovano un ambientead essi idoneo nell’ecosistema formato dallepiante (Bonomo & Pastorelli, 1996). I sistemi ditrattamento che sfruttano zone umide artificialiriproducono, quindi, i processi di depurazionedegli ecosistemi naturali (Wetzel, 1993).I meccanismi di depurazione che si attuanonelle zone umide artificiali, sono i seguenti:• Meccanismi fisici:

– filtrazione attraverso strati porosi e appa-rati radicali (cfr. meccanismi a colture fis-se);

– sedimentazione dei solidi sospesi e deicolloidi nelle lagune o nei terreni paludosi(cfr. meccanismi a colture libere).

• Meccanismi chimici:– precipitazione di composti insolubili o co-

precipitazione con composti insolubili (N,P);

– assorbimento all’interno del substrato, inbase alle caratteristiche del supportoscelto o tramite le piante (N, P, metalli);

– decomposizione tramite fenomeni di ra-diazione U.V. (virus), di ossidazione e diriduzione (metalli).

• Meccanismi biologici:– lo sviluppo di batteri in colture fisse o libe-

re dà luogo a meccanismi biologici qualila degradazione della materia organica, lanitrificazione nelle zone aerobiche e la de-nitrificazione nelle zone anaerobiche;

– lo sviluppo di alghe fisse o sospese nel-l’acqua (fitoplancton) comporta, tramitefotosintesi, la produzione dell’ossigenonecessario ai batteri aerobici e contribui-sce a fissare una parte delle sostanze nu-tritive (effetto “lagunaggio”).

I due meccanismi principali di depurazione so-no, quindi, la filtrazione superficiale per cui i so-lidi sospesi vengono trattenuti sulla superficiedella massa filtrante e così anche una parte del-le sostanze organiche inquinanti (COD) e l’ossi-dazione per cui il materiale granulare costituisceun reattore biologico, un supporto di superficiespecifica estesa sul quale si stabiliscono e sisviluppano i batteri aerobici responsabili dell’os-sidazione dell’inquinamento dissolto (COD dis-solta, azoto organico e ammoniacale).

Le configurazioni più noteCon riferimento alle modalità di deflusso all’in-terno del terreno filtrante, le tecnologie estensi-ve possono suddividersi in diverse categorie:• Sistemi a flusso superficiale (FWS):

caratterizzati dall’alternanza di zone a pelolibero con diversa profondità in cui si ricrea-no habitat altamente biodiversificati. Dalpunto di vista visivo sono i sistemi che piùassomigliano, una volta a regime, ad un’a-rea umida naturale (wetland).

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Schema di sistema a flusso superficiale FWS(Bresciani e Masi, 2013)

• Sistemi a flusso sommerso;– orizzontale (HF):L’acqua scorre in senso orizzontale attra-verso un medium costantemente saturo.Come trattamento secondario a se stante,dipendentemente dagli obiettivi da conse-guire, la superficie utile necessaria varia nelrange di 3÷4 m2/a.e. I costi di realizzazionedi questi sistemi variano tra 100 e 150 €

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/m2 a seconda del design, dell estensione,della regione, della presenza di materialefiltrante adatto nelle vicinanze; circa il30÷40% del costo è adducibile agli inerti. Icosti di manutenzione sono di 10÷15 €

/a.e. compreso lo smaltimento dei fanghidei sistemi primari.– verticale (VF):L’acqua scorre in senso verticale in modointermittente attraverso un medium non sa-turo o parzialmente saturo. Come tratta-mento secondario a se stante, la superficierichiesta è di 2÷4 m2/a.e. (Hoffmann et al.2010). I costi di costruzione variano tra i110 e i 170 € /m2 in funzione delle variabiligià citate. I costi di manutenzione sono di11÷16 € /a.e. compreso lo smaltimento deifanghi dei sistemi primari.

• Sistemi alla francese (FRB)Sono sistemi ibridi composti da un doppiostadio a flusso sommerso verticale, in cui ilprimo stadio è conformato in maniera taleda poter ricevere, in modo alternato e di-scontinuo, direttamente il liquame non sot-toposto a una fase di sedimentazione pri-maria. Le superfici utili sono dell’ordine di2.0÷2.5 m2/a.e. I costi al m2 sono legger-mente maggiori rispetto ai sistemi a flussoverticale, per via della maggiore comples-sità del sistema di alimentazione e della ne-cessità di prevedere un maggior numero divasche per permettere l’alternanza di ali-mentazione.

Schema di sistema a flusso sommerso orizzontale HF(Masi e Bresciani, 2013)

Schema classico del primo stadiodei sistemi alla francese (Bresciani, 2013)

Schema di sistema aerato AEW(ARM group Ltd., 2011)

Schema di sistema a flusso sommerso verticale VF(Masi e Bresciani, 2013)

• Sistemi ibridi e multistadio:L’applicazione in serie delle due tecniche aflusso sommerso orizzontale (HF) e vertica-le (VF) si definisce multistadio ed è indicatoper il trattamento di grosse quantità di re-fluo e per l’abbattimento delle sostanzeazotate, a fronte di superfici totali richiestenettamente minori rispetto a sistemi mono-stadio. Le aree necessarie possono ridursianche a 2 m2/a.e. (Langergraber et al,2010).I sistemi ibridi che prevedono l’inserimentodi una fase con tecnologia convenzionale(biodischi o fanghi attivi) presentano lemaggiori capacità di rimozione complessi-ve su un ampio spettro di inquinanti e pos-sono essere utilizzati per raggiungere i piùstringenti limiti depurativi per lo scarico sulsuolo o per consentire il riutilizzo delle ac-que reflue depurate.

• Sistemi aerati (AEW)L’introduzione di sistemi di aerazione nellevasche di fitodepurazione costituisce unapproccio introdotto circa 15 anni fa negliUSA da Scott D. Wallace, uno dei massimiesperti internazionali di fitodepurazione, enel corso degli anni ha registrato diversisuccessi sia nell’aumento delle performan-ce per quanto riguarda la degradazione deicomposti organici e dell’azoto ammoniaca-le, sia nell’applicazione a diversi tipi di refluiindustriali. Tali sistemi permettono di au-mentare la quantità di ossigeno presentenel sistema rispetto a sistemi a flusso som-merso passivi e quindi di ridurre le aree ne-

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cessarie al trattamento fino a 0.5÷1.0m2/a.e. per quanto riguarda reflui civili. I co-sti al m2 di tali sistemi oscillano tra i 150 e i250 € /m2 a seconda dei noti parametri.

Le applicazioni in ItaliaLa diffusione della fitodepurazione in Italia èstata aiutata dal D.Lgs. 152/99 che, recependola Direttiva europea 91/271, ha individuato la fi-todepurazione come una delle tecniche da uti-lizzare come trattamento appropriato e per ilpost-trattamento di impianti tecnologici di gran-di dimensioni.Seppur a livello internazionale tali sistemi han-no un solido riconoscimento scientifico già da-gli anni ‘80, in Italia risale solamente al 2005 lapubblicazione delle prime linee guida sulla fi-todepurazione (Apat-Arpat, recentemente ri-pubblicate in una versione aggiornata daISPRA).Attualmente gli impianti presenti sul territorioItaliano sono diverse migliaia, essendosi que-sta tecnica enormemente diffusa soprattuttoper case sparse e piccoli agglomerati. I sistemia flusso libero sono stati prevalentemente im-piegati come trattamento terziario o post-tratta-mento per impianti biologici esistenti (fanghi at-tivi, biodischi, etc.), o come stadio finale in si-stemi di fitodepurazione ibridi (quindi insiemealle tipologie a flusso sommerso) (Masi, 2002,2003).Sono presenti in Italia anche alcune importantiesperienze prevalentemente per la rimozionedi nutrienti nella Regione Veneto, come tratta-mento a “tecnologia leggera” dell’inquinamentodiffuso di origine agricola (Boz et al, 2004, Ma-si, 2006).Attualmente il sistema di trattamento seconda-rio più grande d’Italia continua ad essere quel-lo di Dicomano (Fi), al servizio di una popola-zione di 3,500 a.e. Esso è un sistema ibrido percomplessivi 6,080 m2 utili, occupante un’areadi circa 1.5 ha, costituito da una sezione di trat-tamenti preliminari e primari (grigliatura auto-matica, Vasca Imhoff) seguita da un sistema difitodepurazione HF+VF+HF+FWS. Grazie allaconcezione multistadio, il sistema consente dirispettare i limiti di Tabella 1 e 3 del D.L.152/06operando una efficace nitro-denitro grazie ai si-stemi VF seguiti da sistemi HF e FWS in serie;anche la capacità di disinfezione è buona, percui l’impianto non è dotato di un sistema di di-sinfezione di tipo chimico-fisico finale (comepermesso d’altronde dal D.L. 152/06 nel casodi ricorso a sistemi di fitodepurazione). I rendi-menti ottenuti sono stati nei primi 13 anni difunzionamento pari a oltre l’80% per quanto ri-guarda il carico organico ed i solidi sospesi edel 75% per la nitrificazione; la denitrificazione

è tale da mantenere l’azoto totale costantemen-te al di sotto di 10÷20 mg/l (Masi et al, 2013).Nell’Aprile 2014 è stato completato l’up-gra-ding del sistema attraverso l’introduzione di undisco biologico, in modo da far fronte agli au-mentati carichi in ingresso nel corso degli annie consentire un processo di nitrificazione e de-nitrificazione ancora più efficace nei sistemi na-turali di valle.

Impianto di fitodepurazione di Dicomano(Masi et al, 2013)

Tra le numerose applicazioni, si può citare larecente realizzazione dell’impianto di depura-zione naturale al servizio di Castelluccio di Nor-cia nel Parco dei Monti Sibillini ad una quota dicirca 1500 m s.l.m., capace di trattare fino a1,000 a.e. tramite un sistema con schema allafrancese (FRB+VF) di circa 2,000 m2, seguito

Impianto di fitodepurazione di Castelluccio di Norcia(a fine lavori e dopo un anno di funzionamento)

e rese depurative su gentile concessione della Regione Umbria

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da dei laghetti a flusso libero con funzione disperimentazione e osservazione naturalisticadello sviluppo di essenze acquatiche di altaquota.Numerosi inoltre sono gli esempi di post-tratta-mento di reflui provenienti da impianti civili (adesempio il Depuratore Consortile di Jesi, di po-tenzialità 60,000a.e., da diversi anni dotato diun post-trattamento a flusso sommerso e liberodi circa 6 ha) ed industriali (uno su tutti la im-mensa zona umida di Fusina realizzata per ildisinquinamento delle acque in uscita dal de-puratore industriale di Porto Marghera, oltre150 ha a flusso libero in riva alla laguna di Ve-nezia).Il sistema di post-trattamento di Jesi fu svilup-pato agli inizi degli anni 2000 congiuntamenteall’upgrading del depuratore a fanghi attivi, incui è stata ridotta la capacità utile ai processidi denitrificazione e la disinfezione è presentesolo a scopo di emergenza; il ruolo di affina-mento, tamponamento di eventuali malfunzio-namenti o picchi di carico, denitrificazione, di-sinfezione è svolto dal sistema naturale, costi-tuito da circa 1 ha di sistemi a flusso sommersoorizzontale e da 5 ha di sistemi a flusso libero,armonicamente inseriti in riva del Fiume Esinoe contribuendo a riqualificare un’area vessatain passato da cave estrattive ora non più per-messe. Il post-trattamento consente il riutilizzodelle acque reflue per uso industriale, garan-tendo una capacità di rimozione dei nitrati va-riabile dal 25% al 98%; tale capacità viene rag-giunta dopo un periodo di avvio piuttosto lungoe pari a circa 18 mesi, necessari per lo svilup-po della zona umida (Masi, 2008).

Esempi di applicazioni all’esteroCome già accennato, la diffusione della fitode-purazione nel mondo è stata maggiore rispettoa quanto avvenuto in Italia, sia in alcuni paesida sempre riconosciuti all’avanguardia nelcampo delle tecnologie ambientali (come Ger-mania, Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia,Francia, Austria, Danimarca, Belgio), sia in di-versi paesi in via di sviluppo grazie anche allapromozione di tali sistemi da parte delle mag-giori agenzie legate alla cooperazione interna-zionale.Attualmente, in Europa, sono operativi decinedi migliaia di impianti di fitodepurazione, di cuila maggior parte è localizzata in Germania, do-ve si è scelto, già da molti anni, di utilizzare ascala nazionale tecniche a flusso sommerso (aflusso orizzontale ed in gran parte a flusso ver-ticale) per il trattamento delle piccole e medieutenze.Tra gli impianti europei, i più diffusi (più del75%) sono proprio i sistemi a flusso sommerso,

utilizzati prevalentemente per il trattamento se-condario di acque reflue domestiche e civili.Per il trattamento terziario (o post-trattamento)di depuratori esistenti si annoverano, invece,numerose esperienze con sistemi a flusso su-perficiale FWS, che si configurano spesso co-me una buona scelta quando si devono affina-re ingenti quantità di acque con ridotto gradodi inquinamento.In Germania si stima ci siano più di 100,000 si-stemi di fitodepurazione, molti dei quali per ca-se sparse e piccole comunità; in Austria se necontano più di 1,600 (Mitterer-Reichmann,2012).I sistemi “alla francese” hanno avuto una grandediffusione in Francia negli ultimi 15 anni, tantoche ad oggi si ritiene ci siano più di 2,500 im-pianti in funzione con tale conformazione perpiccole e medie comunità (dai 200 ai 2,000 a.e.).In America settentrionale i primi esempi di zoneumide artificiali risalgono al 1973 (Kadlec,

Impianto di Orhei: filtri primo stadio(Start up phase, G. Cigarini-JV SWS P&P IRIDRA

HYDEA, 2013)

Impianto di Orhei a Dicembre 2013(Start up phase, G. Cigarini-JV SWS P&P IRIDRA

HYDEA, 2014)

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2009). Negli ultimi 20 anni sono stati realizzatinumerosi sistemi a flusso libero di notevoli di-mensioni: il primato va alla Florida con 2 siste-mi a flusso libero (FWS) da circa 500 ha cia-scuno per il post-trattamento di reflui civili nelleEverglades e diverse zone umide (per una su-perficie totale di 16,000 ha) per il trattamentodelle acque di pioggia.In Australia i sistemi di fitodepurazione sonolargamente utilizzati anche per il trattamentodelle acque di pioggia, mentre in Nuova Zelan-da si è registrata una notevole diffusione siacome trattamento secondario che come tratta-mento terziario di reflui civili e non mancanoapplicazioni per l’industria agro-alimentare.Nel continente Africano si trovano numerosiesempi di applicazione delle tecniche di fitode-purazione sia nei Paesi che si affacciano sulMediterraneo (Egitto, Tunisia, Marocco) che inquelli dell’Africa centrale e meridionale dovesono presenti numerosi impianti che trattanosia reflui civili, industriali che le acque di dre-naggio delle miniere.In Asia è molto recente lo sviluppo delle tecni-che di depurazione naturale (S. Kantawani-chkul, 2010). Ad oggi si contano più di 350esempi nell’Asia del Sud per utenze oscillantitra 1.5 a 615 m3/g di produzione di acque re-flue, di cui circa 30 in India.Il più grande sistema di trattamento secondariodel mondo esclusivamente con fitodepurazioneè stato realizzato ed avviato a fine 2013 per lacittà di Orhei, in Moldavia, per circa 25,000 a.e,sulla base della progettazione e della DirezioneLavori di una JV italo Austriaca: SWS Consul-ting Engineering Srl (Roma)-Posh & PartnersGmbH (Innsbruck)- Iridra Srl e Hydea SpA (Fi-renze).

L’impianto di Orhei, MoldovaIl nuovo impianto di Orhei avviato a fine 2013copre una superficie complessiva di 5 ha, èsviluppato su due stadi con schema alla fran-cese (FRB+VF) e non prevede quindi lo smalti-mento dei fanghi presso altri depuratori. Il co-sto dell’impianto è stato di circa 3,5 milioni €

finanziati in buona parte dalla Comunità Euro-pea, mentre il costo di gestione atteso è in cir-ca 75,000 € /anno.Lo schema depurativo adottato è il seguente:• grigliatura automatica e dissabbiatura;• equalizzazione delle portate in ingresso

equipaggiata con mixers e aeratori tipoflowjets;

• sistema di fitodepurazione costituita da duestadi in serie, VF alla francese e tradiziona-le;

• disinfezione di emergenza tramite ipocloritodi sodio.

I carichi idraulici ed inquinanti di progetto sonocosì sintetizzabili:

Vista dei letti filtranti, 1° e 2° stadio(Start up phase, G. Cigarini-JV SWS P&P IRIDRA

HYDEA, 2014)

2015 2.637 791 3.4282020 3.586 1.040 4.6252025 4.132 1.198 5.3302030 4.856 1.214 6.070Carichi idraulici

Anno Portata reflui civili Portata reflui industriali Totale(m3/d) (m3/d) (m3/d)

BOD5 270 550 330COD 585 1.192 715Ntot 60 20 51Ptot 5 1 4SS 400 1.050 550Carichi inquinanti

Inquinante Civile Industriale Totale, mix(mg/l) (mg/l) (mg/l)

Estensione dell’impianto 5,0 HaArea utile primo stadio 1,8 HaN.ro settori per linea (4 linee) 3Area utile per ogni settore 1500 m2

Lunghezza x Larghezza 14x112 mAltezza media del filtro 1,00 mArea utile secondo stadio 1,7 HaN.ro settori per linea (4 linee) 2Area utile per ogni settore 2125 m2

Lunghezza x Larghezza 18x118 mAltezza media del filtro 0,9 mEssenze vegetali Phragmites AustralisCaratteristiche del sistema alla Francese

Il sistema naturale “alla francese” funge da trat-tamento secondario dei reflui ed è sintetizzatonella seguente tabella:

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La scelta del sistema alla francese viene detta-ta fondamentalmente dal problema di smalti-mento dei fanghi di un sistema di trattamentoprimario per cui il fango raccolto sulla superfi-cie verrà tolto ogni 8-10 anni e riutilizzato inagricoltura, se le analisi chimiche lo consenti-ranno.Inoltre, il sistema naturale è stato previsto con-siderando il minor costo di investimento richie-sto (3,5 milioni € ) e quello necessario alla ma-nutenzione atteso in 100 mila USD ogni anno:

mantenga le volute condizioni aerobiche.E’ stato previsto un programma di realizzazionedi pre-trattamenti locali per le industrie al finedi far rispettare i limiti fissati dalla comunità Eu-ropea per lo scarico in fognatura già dal 2015,per poi rendere sufficienti gli ulteriori 10 ha giàoggi previsti per coprire le necessità del tratta-mento secondario dopo il 2020, anno in cui so-no attesi circa 7.000 m3/giorno di refluo.Per quanto riguarda le difficili condizioni clima-tiche invernali, molte soluzioni adottate deriva-no da un’indagine sugli impianti di fitodepura-zione funzionanti in climi rigidi, che ha eviden-ziato come i sistemi a flusso sommerso bene siadattano in presenza di copertura nevosa e dighiaccio dei letti filtranti. Si consideri che letemperature minime raggiunte durante i mesiinvernali possono raggiungere anche i -20° C emantenersi a tali livelli per periodi prolungati.Uno SCADA (Supervisory Control And Data Ac-quisition) è stato inserito per gestire necessa-riamente l’alimentazione alternata e discontinuadei letti “alla francesce”.L’impianto avviato ad Ottobre 2013 è stato su-bito monitorato sia per quanto riguarda l’effi-cienza idraulica che quella depurativa.L’impianto è al momento soggetto ad una porta-ta idraulica media di circa 1,500 m3/giorno e leanalisi dei primi mesi di attività dimostrano unottimo comportamento nonostante le rigide tem-perature (T minima raggiunta a Febbraio 2014, -27°C) e lo stato attuale delle praghmites austra-lis che risultano ancora in fase di sviluppo. Il lo-ro contributo attuale all’efficienza del trattamen-to può essere considerato ancora nullo.I risultati delle analisi indicano una rimozionedel BOD già maggiore dell’85% con concentra-zioni medie in uscita di 17 mg/l ed una nitrifica-zione pari al 24% nei letti RBF e al 38% nei lettiVF nonostante le basse temperature. Infine, ladenitrificazione è efficiente in ambedue gli sta-di di trattamento.Nella seguente tabella vengono riportate l’effi-cienza di rimozione in % e la concentrazionedei principali inquinanti e nutrienti misurati traNovembre 2013 e Febbraio 2014 (4 mesi dimonitoraggio):

Impianto di Orhei: planimetria generale(Final Design, G. Cigarini-JV SWS P&P IRIDRA HYDEA, 2010)

0.13 USD/m3, contro i 0.23 USD/m3 del vecchioimpianto dismesso e i 0.7 USD/m3 attesi da unipotetico impianto a fanghi attivi.Il refluo in entrata al nuovo impianto è trattatoda una unità di pretrattamento meccanica co-stituita da una griglia a nastro a pulizia automa-tica con spaziatura 5 mm ed un dissabbiatorelongitudinale. Una grigliatura meccanica piùgrossolana è già effettuata preliminarmentenella stazione di pompaggio situata nella cittàdi Orhei da cui parte la premente lunga 3 km inentrata al nuovo impianto.L’equalizzazione è stata concepita come po-tenziale comparto di pre-aerazione che in futu-ro, attraverso un sistema di ricircolo, potrebberidurre le concentrazioni di carico organico e ri-durre le possibilità che si rendano necessarieulteriori aree per il trattamento in vista di mag-giori carichi idraulici e/o organici. Tale unità ècostituita da due vasche fuori terra in acciaioall’interno della quale mixers e aeratori del tipo“flowjet” sono istallati per mantenere in sospen-sione i solidi sospesi e garantire che il refluo

BOD5 85% 17 25COD 73% 61 125MS 96% 21 35N-NH4 53% 18 –N-NO3 – 2 –Ntot 48% 20 –Ptot 56% 1 –Efficienza di impianti(medie su 4 mesi di monitoraggio)

Parametro Efficienza Concentrazione Limiti EUtotale effluente (mg/l) (mg/l)

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Per quanto riguarda la qualità batteriologicadell’effluente, non sono presenti ancora dati re-gistrati.I consumi elettrici medi registrati, che rispec-chiano quelli attesi, è pari a circa 0.5 KWh/m3.

Pregi e limiti dei sistemi estensiviUno dei maggiori pregi dei sistemi estensiviconsiste nella possibilità di rimuovere con ununico trattamento la maggior parte degli inqui-nanti contenuti in un refluo di origine civile e/oindustriale, anche se molto diversi tra loro, gra-zie all’effetto concomitante dei diversi processiintrinseci alla propria configurazione: la sepa-razione della fase solida da quella liquida (il si-stema agisce meccanicamente come filtro e larizosfera assorbe parte degli inquinanti), la tra-sformazione degli inquinanti tramite processibiologici (il sistema agisce chimicamente favo-rendo le reazioni di degradazione) e, anche sein misura meno consistente, l’assorbimento de-gli inquinanti da parte delle piante.Nei sistemi di fitodepurazione si innescano glistessi processi naturali di degradazione e diassorbimento dei nutrienti che comunementeavvengono nei classici sistemi di ossidazione omeglio ancora nei sistemi cosiddetti a “biomas-sa adesa”; è quindi possibile, combinando dif-ferenti tipologie di vasche a seconda della loromaggiore efficienza in uno specifico processo,avere buone rese in termini di nitrificazione edenitrificazione.Un altro vantaggio è la ridotta quantità di fan-ghi in eccesso, da dover poi rimuovere, poichévi è un equilibrio tra la crescita della biomassae la sua decomposizione all’interno del sistemadi fitodepurazione; per cui gli unici fanghi da ri-muovere sono quelli a carico della sedimenta-zione primaria, ove richiesta.I sistemi di fitodepurazione non richiedono pro-dotti chimici e non consumano energia, adesclusione di quella necessaria per eventualipompaggi; i processi ossidativi avvengono na-turalmente, senza la necessità di un sistema diinsufflazione di aria, grazie alle piante che tra-

sferiscono ossigeno agli strati saturi del me-dium di supporto (come nel caso dei sistemi aflusso sommerso orizzontale e a flusso libero) osfruttando l’aria naturalmente presente all’inter-no del materiale filtrante non saturo (come neisistemi a flusso sommerso verticale). Questapeculiarità, assieme ai minori fanghi prodotti ela minore manutenzione specializzata richiesta,costituisce la ragione principale dei bassi costidi gestione, che possono arrivare anche al20% rispetto ad un sistema a fanghi attivi.L’applicazione delle tecniche estensive, tutta-via, è fortemente limitata soprattutto se si con-siderano:• le grandi superfici richieste (3.5÷5 m2/A.E.

vs. 0.1÷0.3 m2/A.E. richiesti da sistemi in-tensivi);

• il potenziale impatto ambientale dato dai li-quami non trattati esposti all’atmosfera suampie superfici liquide nel caso di utilizzo disistemi a superficie libera; tale problemanon esiste invece in sistemi a flusso sub-su-perficiale che infatti rappresentano la sceltaprevalente in trattamento di tipo secondario;

• le difficoltà in sistemi di fitodepurazionesemplici e non complessi nel conseguireequivalenti rimozioni dei nutrienti in confron-to alle tecnologie intensive.

Per queste ultime ragioni, la possibilità di im-piego di un sistema estensivo come alternativaagli impianti di depurazione convenzionali è ri-masta sempre limitata al caso di piccole comu-nità sia in Europa che negli USA.Laddove però la disponibilità di ampie superfi-ci a costi contenuti tali da rendere positive leanalisi costi-benefici, ovvero per le quali i livellidi depurazione richiesti e i vincoli territoriali sia-no meno stringenti, allora il sistema estensivodiviene un’alternativa di indubbio interesse. Ipaesi in via di sviluppo sono al momento quelliche hanno l’opportunità di inserire come alter-nativa nei loro studi di fattibilità un trattamentoestensivo anche per elevate potenzialità in ter-mini di A.E. e di carico organico, non solo diprovenienza civile ma anche industriale. ÿ

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Arch. Z.Hadid - Museo Maxxi (Roma) Copyright © Moreno Maggi ÿ

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Quaderno

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SISTEMI DI ACCUMULOE FOTOVOLTAICO:

ANALISICOSTI-BENEFICI

I sistemi di accumulopossono creare nuove

opportunitànel settore fotovoltaico.

Il ruolo degli accumuli per una gestioneintelligente della rete elettrica e dei sistemi

di generazione distribuita.

a cura di

Ing. M. M. D’ErmeIng. A. R. GiancipoliIng. R. Undi

commissione

Fotovoltaico

visto da:

Ing. A. PignatelliIng. G. De Simone

La forte crescita della produzione di energiaelettrica da fonti rinnovabili, considerata la suanatura di non prevedibilità, causa squilibri ecomplessità per il sistema elettrico nazionale,realizzato con le caratteristiche di un modello agenerazione centralizzata.L’evoluzione del sistema elettrico, che integri laproduzione distribuita e non pianificabile, èdiventata la priorità di sviluppo della rete elettrica,al fine di permettere la fruizione dell’energiaelettrica in modo efficiente, sostenibile e sicuro.In tale contesto di evoluzione della rete (“SmartGrid”) vi è una cresciuta attenzione verso i sistemidi accumulo di energia elettrica (“Energy Storage”),considerata la loro capacità di incrementare la

flessibilità e l’affidabilità della rete, fornendospecifici servizi e contribuendo al consolidamentodei sistemi di generazione distribuita.Nel settore fotovoltaico in particolare, si delineanonuove opportunità con benefici sia per gli utentifinali che per i gestori di rete.L’uso di sistemi di accumulo permette dimassimizzare l’autoconsumo, immagazzinandol’energia nel momento in cui la produzione supera iconsumi, garantisce il funzionamento dell’impiantoanche in caso di sospensione della fornituraenergetica da parte del gestore di rete, ne agevolala gestione per una pianificazione dell'immissionein rete, e assicura un adeguato ritornodell'investimento.

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Gli accumuli e l’evoluzione della rete elettrica(verso la “Smart Grid”)La liberalizzazione del mercato dell’elettricità,unita agli obblighi internazionali di ridurre l’ani-dride carbonica, sta portando le reti elettricheverso nuove architetture anche a fronte di unagrande penetrazione dei sistemi di generazio-ne distribuita, in particolare degli impianti diproduzione basati sulle fonti rinnovabili.L’evoluzione della rete è guidata da due fattorichiave: l’integrazione dei sistemi di generazio-ne distribuita comprendenti i flussi bi-direziona-li sia di energia che di informazione, e la sepa-razione (“Unbundling”) delle reti per effetto del-la liberalizzazione, dove i produttori, gli opera-tori dei sistemi di trasmissione e gli operatoridei sistemi di distribuzione sono soggetti diffe-renti ed indipendenti. In aggiunta sta cambian-do da passivo ad attivo il ruolo dell’utente neiconfronti della rete, sia in termini di produzione

che di controllo della domanda.In tale contesto di evoluzione della rete vi èuna cresciuta attenzione verso i sistemi di ac-cumulo di energia elettrica (“Energy Storage”),considerata la loro capacità di incrementare laflessibilità e l’affidabilità della rete, fornendospecifici servizi e contribuendo al consolida-mento dei sistemi di generazione distribuita.Una prima classificazione degli accumuli sibasa sui servizi che essi possono fornire: a) si-stemi per servizi di potenza, in grado di scam-biare elevate potenze per tempi brevi, da fra-zioni di secondo a qualche decina di secondi,b) sistemi per servizi di energia, in grado discambiare continuamente potenza per diverseore. Inoltre, analogamente alla distinzione tragenerazione centralizzata e distribuita, è possi-bile distinguere i sistemi di accumulo centraliz-zati (“Bulk Storage”), ovvero sistemi di grandetaglia a partire da decine di MW, installati in AT

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per applicazioni a livello della rete di trasmis-sione, e i sistemi di tipo distribuito, di taglia ri-dotta, dal KW fino a qualche MW, installati inprossimità dell’utenza.Le principali caratteristiche tecniche di un si-stema di accumulo riguardano essenzialmentele proprietà intrinseche dell’accumulo e le mo-dalità strettamente operative, quali: densità dienergia e di potenza, efficienza energetica incarica e scarica, autoscarica, tempi di carica escarica, comportamento in diverse condizionidi stato di carica, vita utile (in anni e cicli), rap-porto tra la potenza nominale e l’energia estrai-bile (parametro che quantifica l’attitudine delsistema a lavorare in potenza o in energia),tempi di realizzazione, affidabilità, materiali uti-lizzati, costo e sicurezza nell’uso, nella realizza-zione e nell’eventuale smaltimento.

Tecnologie disponibili per accumuliLe modalità di classificazione dei sistemi di ac-cumulo elettrico sono molteplici. La più imme-diata è la classificazione sul metodo di conver-sione utilizzato: l’energia elettrica infatti nonpuò essere accumulata direttamente, ma deve

essere prima convertita inun’altra forma di ener-

gia.

Accumuli meccaniciGli accumuli P.S.H. (Pumped Storage Hydroe-lectricity) e C.A.E.S. (Compressed Air EnergyStorage) costituiscono i principali sistemi centra-lizzati di grande taglia dell’ordine tipicamentedelle centinaia di MW, lavorano per servizi dienergia. Gli accumuli F.E.S. (Flywheel EnergyStorage) lavorano prevalentemente in potenza,con tempi di risposta molto rapidi con brevi au-tonomie da decine di secondi a 15 minuti, e vitaattesa molto lunga, oltre 500.000 cicli di scarica.

Accumuli elettrostaticiL’energia elettrica si accumula sotto forma dicarica elettrostatica in un condensatore. Sonodispositivi di accumulo elettrico idonei per ser-vizi di potenza, con autonomie molto brevi eper un numero elevato di cicli di carica e scari-ca (Condensatori, Supercondensatori).

Accumuli elettrochimiciGli accumuli elettrochimici, detti anche batte-rie, si basano su reazioni chimiche che genera-no una corrente elettrica, si differenziano dallecomuni pile primarie perché in essi la reazionedi conversione dell’energia è reversibile, sonodenominati anche pile secondarie.Le tecnologie presenti sul mercato sono molte-plici e con prestazioni differenti, in alcuni casipiù adatte per servizi in potenza in altri per ser-vizi in energia:• Accumulatori piombo acido: aperti VLA, er-

metici VRLA-GEL, ermetici VRLA-AGM• Accumulatori nichel/cadmio, nichel cloruri

metallici• Accumulatori ad alta temperatura:

sodio/zolfo e sodio/cloruro di nichel (ZE-BRA)

• Accumulatori a circolazione di elettrolita:zinco-bromo, sali di vanadio (VRB)

• Accumulatori litio-ioniSull’evoluzione delle tecnologie elettrochimichesi stanno concentrando gli sforzi sia dell’indu-stria che dei ricercatori in quanto ritenute po-tenzialmente idonee per soddisfare le nuoveesigenze, sia nel sistema elettrico sia nei siste-mi di generazione distribuita.

Principali fornitori di sistemi di accumuloLe diverse tecnologie di accumulo sono ogget-to di importanti sforzi di ricerca e di innovazio-ne, con l’obiettivo di superare i limiti in terminidi costo e dimensioni che ad oggi ancora ca-ratterizzano queste soluzioni. I principali forni-tori di sistemi di accumulo per applicazioni nelsistema elettrico sono:• Accumuli elettrochimici: produttori tradizio-

nali di batterie per altre applicazioni, sia na-

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zionali (FAM, FIAMM) che esteri (BYD, FullRiver, Toshiba, Sanyo)

• Accumuli di energia potenziale: player cherealizzano tradizionali impianti idroelettrici abacino

• Accumuli meccanici ad aria compressa:non esiste una filiera matura. I prototipi aoggi realizzati in Italia si caratterizzano perla presenza di un soggetto (Enel, E.On, Stu-dio Santi) che realizza l’impianto per usoproprio o di terzi, attingendo le diverse«componenti» da fornitori specializzati (adesempio, General Electric, Atlas, Copco perle turbine, – Atlas, Copco per i compressori,NolTec Europe, Simic per i serbatoi di stoc-caggio di aria compressa)

• Accumuli di energia cinetica/Volani: rappre-sentano una tecnologia ancora in fase disperimentazione.

I vantaggi derivanti dall'uso di sistemi diaccumulo per l’utenza fotovoltaicaPer parlare di vantaggi dell'installazione dei si-stemi di accumulo in impianti fotovoltaici (FV),occorre prima effettuare un corretto dimensio-namento dello stesso in base ai servizi, di po-tenza e/o di energia, richiesti all’accumulo stes-so. Di seguito si analizzano i vantaggi associa-

ti all’installazione del sistema di accumulo per isoggetti che vengono direttamente influenzatida questa soluzione progettuale: l’utenza e ildistributore; nel caso di piccole utenze dome-stiche, vista la forma esponenziale dellacurva di carico cumulata, l’obiettivo principaledi gestione richiesto all’accumulo è quello dievitare i picchi di assorbimento, alimentando ilcarico quando richieda una potenza superioread una data soglia; in secondo luogo fornireuna riserva disponibile di energia e inoltre ga-rantire una certa continuità del servizio; in que-sto modo, il sistema complessivo costituitodall’insieme accumulo-carico, appare comeun unico carico aggregato avente un diagram-ma di carico con ordinata massima pari alla so-glia scelta per l’intervento dell’accumulo.Andando ad analizzare gli effetti che una talegestione ha sull’utenza passiva, si identificacome primo vantaggio anche la riduzionedella potenza contrattuale necessaria nelpunto di consegna (come potenza disponibileho la somma della potenza contrattuale e diquella fornita dall'accumulo), ovvero un aumen-to della potenza disponibile a pari soglia con-trattuale; tutto ciò si traduce in un vantaggioeconomico in relazione alla posizione tariffariadel consumatore (passare dalla tariffa D3 allatariffa D2 per es.) ottenendo un risparmio

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consistente in bolletta oltre a un maggior in-troito dato dalla tariffa incentivante per l’au-mento dell’autoconsumo (nel caso di impiantiin V° CE) , e per il risparmio (mancato esborso)non avendo prelevato dalla Rete al quale con-tribuisce anche il sistema di accumulo.Con punte di assorbimento diurne, una secon-da conseguenza che si ottiene indirettamenteda questo tipo di gestione dell’accumulo èlo spostamento del consumo di energia dalleore di picco (ore piene) a quelle fuori picco(ore vuote), ovvero il “time shift”.Ciò avviene perché il sistema di stoccaggio in-terviene nei momenti di maggior richiesta e siricarica in quelli in cui l’utenza non supera il va-lore di soglia. Il trasferimento di energia da orepiene a ore vuote, a pari consumo complessi-vo, si traduce in una minore spesa nel caso diapplicazione di tariffe biorarie. Infine, con op-portuni accorgimenti sulla gestione e investen-do maggiormente sul sistema di controllo, sipossono ottenere vantaggi sulla continuità dialimentazione, in quanto il sistema di accumulopuò fare da gruppo di continuità, per periodi lacui durata è legata alla capacità del sistema distoccaggio.

I vantaggi derivanti dall'uso di sistemi diaccumulo per il distributoreSe si analizzano gli effetti che l’installazionedi un accumulo ha per il distributore, si os-serva, per prima cosa, una riduzione delle

perdite nella rete a monte della sezione diprelievo e una riduzione dei costi di impianto.Infatti, analizzando il sistema complessivo ac-cumulo-carico, si osserva una diminuzionedella potenza massima impegnata, attuandocosì il “Peak Shaving”. Ciò si traduce in minoriperdite (proporzionali al quadrato della potenzarichiesta) e in una minore capacità (“Capability”)richiesta al sistema di alimentazione a monte.Altri aspetti legati all’installazione del sistemad’accumulo, d’interesse per il distributore, so-no il miglioramento della qualità del vettore elet-trico e la funzione di bilanciamento della retecon conseguente aumento della sua stabilità.

Attuali realizzazioni di grandi sistemi diaccumulo in ItaliaAttualmente due delle principali Società cheoperano in Italia nel Settore dell’Energia Elettri-ca, Enel e Terna, hanno già avviato progetti perla realizzazione di Impianti per l’Accumulo diEnergia Elettrica con interconnessione alla Re-te Elettrica italiana.Per quanto riguarda la Società Enel la situazio-ne è la seguente:• possiede già un Sistema di Accumulo; tale

Sistema è l’unico attualmente in esercizio inItalia e parte di un progetto denominato“Isernia”;

• inoltre sta installando altri tre Sistemi di Ac-cumulo.

I suddetti Sistemi di Accumulo rientrano in unpiano che prevede investimenti per 8 milioni diEuro (finanziati al 50% dal Ministero dello Svi-luppo Economico e per il restante 50% da Fon-di Comunitari).Per quanto riguarda la Società Terna, la situa-

zione è la seguente:• ha già ottenuto le autorizzazioni per due

progetti, per i quali è stato previsto un inve-stimento totale di 150 milioni di Euro e cheprevedono l’applicazione della tecnologiagiapponese "Energy Intensive” (tecnologiaottenuta tramite batterie realizzate con salidi sodio e zolfo e che si caratterizza per lapossibilità di poter accumulare una grandequantità di energia elettrica da rilasciaresuccessivamente sul lungo periodo)

• il primo Sistema previsto avrà una potenzada 12 MW, entrerà in esercizio nel 2015 edil cantiere per la realizzazione è stato avvia-to recentemente.

Quadro normativo dei sistemi di accumulo inItaliaL’accumulo è un settore in rapida trasformazio-ne e sviluppo a livello mondiale, e l'Italia è oggiin una fase tecnologicamente avanzata; diver-

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samente, nell'ambito normativo è ancora in cor-so la definizione delle regole, che necessitanoquindi di un consolidamento necessario peruna crescita del settore.Nel settembre 2013 il GSE si è espresso in me-rito con una nota in cui dichiara di non consen-tire, per gli impianti incentivati, "alcuna variazio-ne di configurazione impiantistica che possamodificare i flussi dell’energia prodotta e im-messa in rete dal medesimo impianto", penal'esclusione dagli incentivi, vietando di fatto l'in-tegrazione di sistemi di accumulo.Nel dicembre del 2013 l'Autorità per l'energiaelettrica e il gas (AEEG) ha emesso un docu-mento di consultazione (613/2013/R/EEL – Pri-me disposizioni relative ai sistemi di accumulo– orientamenti), con il quale ci si avvia al con-solidamento delle attese regole per i sistemi diaccumulo per gli utenti attivi. Il documento trat-ta anche il tema della compatibilità con gli in-centivi (pagina 11, punto 3.5), che è stata tem-poraneamente esclusa dal GSE. “Nel caso diimpianti di produzione che accedono ai certifi-cati verdi ovvero al conto energia fotovoltaicoovvero al conto energia solare termodinamico,ai fini della corretta erogazione dei predetti in-centivi la misura dell’energia elettrica assorbitae rilasciata dai sistemi di accumulo si rendenecessaria solo nel caso di sistemi di accumu-lo lato produzione”. Sembra quindi ci sia unaapertura da parte dell'Autorità anche per i si-stemi FV incentivati (escluso il primo contoenergia), a patto che sia presente il misuratoredi produzione e il sistema di accumulo sia atte-stato a valle dello stesso (quindi senza poterincidere sulla sua misurazione). Purtroppo, te-nendo conto dei necessari adeguamenti deisistemi informatici e flussi informativi che Terna,GSE e gestori di rete dovranno attuare entro il31 dicembre 2014, si dovrà attendere probabil-mente fino a marzo del 2015 per l'avvio dellemodalità transitorie per l'applicazione della de-libera in oggetto.Contemporaneamente, per quanto concerne lanormativa tecnica, il Comitato ElettrotecnicoItaliano, a seguito del processo di inchiestapubblica e recependo le deliberazioni dell'Au-torità in merito, ha nel dicembre 2013 aggior-nato le Norme CEI 0-16 – Ed. III (riferita alleconnessioni alle reti di distribuzione di media ealta tensione) con la pubblicazione della Va-riante 1, e CEI 0-21 Ed. II (riferita alle connes-sioni alle reti di distribuzione di bassa tensio-ne) con la pubblicazione della Variante 2. Talivarianti hanno l’obiettivo di evidenziare le di-verse modalità e configurazioni secondo cuipossono essere installati i sistemi di accumulopresso un impianto di produzione di energiaelettrica e di definire gli schemi di installazionedelle apparecchiature di misura nel caso in cui

si rendesse necessario misurare separatamen-te l’energia elettrica prodotta dagli altri gruppidi generazione di energia elettrica e l’energiaelettrica prelevata, accumulata, rilasciata enuovamente immessa in rete dai sistemi di ac-cumulo.

Confronto economico per impianto FV da 4kWp in SSP, con e senza accumuloAbbiamo simulato, per un impianto FV domesti-co in scambio su posto, il bilancio economicocon e senza il sistema di accumulo: l’impiantoFV preso in considerazione ha una potenza di4 kWp, un consumo energetico annuo di 6.000kWh ed è situato nell’Italia centrale. L’analisieconomica tiene conto dell’attuale detrazionefiscale al 50% e di un prezzo dell’energia pari aeuro 0,29 per KWh, con Caso 1 di aumentoenergia annuo del 2% , ipotesi prudente, e Ca-so 2 di aumento dell'energia annuo pari all'8%.L’accumulo scelto è costituito da accumulatoriermetici al piombo acido VRLA con elettrolita alGEL, attualmente la tecnologia più matura edeconomica sul mercato, con capacità energeti-ca pari a 6,9 kWh reali .Il costo chiavi in mano e IVA compresa dell’im-pianto FV senza accumulo è stato stimato pari a9.900€, mentre quello con accumulo pari a17.000€. L’analisi economica, estesa nell’arcodi 20 anni, prevede la sostituzione dell’invertere degli accumulatori, oltre che le spese di ma-nutenzione e di esercizio. Si è previsto inoltre

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un autoconsumo pari al 70% per l’impianto FVcon accumulo rispetto al 30% dell’impianto sen-za accumulo. I risultati ottenuti esprimono con-ferme positive sulle aspettative previste, infattirivelano un valore di payback pari a 9 anni perl’impianto FV con accumulo, rispetto a 7 anniottenuto senza accumulo per il Caso 1; e dipayback pari a 7 anni per l’impianto FV con ac-cumulo rispetto a 6 anni ottenuto senza accu-mulo per il Caso 2.Caso 1) aumento energia 2%. Per l’impianto conaccumulo si ha un risparmio in 20 anni di22.140€ con un ritorno dell’investimento annuodel 4,03%, un TIR del 10,41%, e un VAN pari a17.180€ al tasso di attualizzazione del 2%. Perl’impianto senza accumulo si ha un risparmio in20 anni di 19.500€ con un ritorno dell’investimen-to annuo del 5,33%, un TIR del 14,52% e un VANpari a 14.340€ al tasso di attualizzazione del 2%.Caso 2) aumento energia 8%. Per l’impianto conaccumulo si ha un risparmio in 20 anni di circa51.787€ con un ritorno dell’investimento annuodel 6,88%, un TIR del 15,51%, e un VAN pari a37.377€ al tasso di attualizzazione del 2%. Perl’impianto senza accumulo si ha un risparmio in20 anni di 42.705€ con un ritorno dell’investimen-to annuo del 8,28%, un TIR del 19,63% e un VANpari a 31.520€ al tasso di attualizzazione del 2%.

ConclusioniNell'ambito dell'analisi sono state documentate

sia le tecnologie attualmente disponibili perl'accumulo, che le soluzioni in fase di studio esperimentazione, evidenziandone gli aspettitecnici e i relativi costi.Contemporaneamente è stato considerato lostato normativo, sia tecnico che legislativo, chedisciplina le stazioni di accumulo attestate sullarete elettrica in concomitanza con impianti diproduzione da fonti rinnovabili.Attualmente, valutando i piani economici sugliesempi di impianti residenziali nella valutazionedei benefici economici, si stima che il costo delsistema di accumulo aumenti il costo dell'im-pianto fotovoltaico di circa il 70%, allontanandoil payback time di altri 2 anni circa, ma nellostesso tempo aumentando il tasso interno direndimento di circa 4 punti percentuali e il valo-re attuale netto del 20%.A fronte di un maggior investimento, e conside-rando i flussi economici nel lungo periodo, l'u-so di sistemi di accumulo può quindi risultaregià da oggi più conveniente.Nel prossimo futuro, in concomitanza a un con-solidamento del quadro normativo, un fisiologi-co decremento dei costi dei sistemi di accumu-lo e un presumibile aumento del costo dell'e-nergia prelevata dalla rete, sarà sempre piùvantaggiosa l'installazione di tali sistemi di ac-cumulo integrati a impianti di produzione daenergie rinnovabili, a beneficio dell'utente e delsistema rete nazionale. ÿ

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Copyright © Moreno Maggi Arch. E. Ambasz - Ospedale e Banca dell'occhio (Mestre)

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Quaderno

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RETI WI-FI MESHSmart City è un concetto di cui si sente sempre più spesso parlare.Ma cos’è una smart city? Innanzi tutto essa rappresenta un modellourbano volto a garantire un’elevata qualità della vita ed una crescitapersonale e sociale sia delle singole persone che delle imprese. Per

ottenere tale obiettivo è necessario che lo spazio metropolitano consentauna forte interconnessione tra i sistemi che lo compongono e la

cittadinanza stessa. È in questo scenario che trovano spazio ed interessetecnologico le reti Wi-Fi mesh, facilmente installabili e scalabili sia per

copertura che per capacità di traffico.

a cura di

Ing. A. FurlanIng. M. CastelliIng. G. Massimi

commissione

Sistemi ditelecomunicazioni

visto da:

Ing. D.F. PrincipeIng. G. D’Agnese

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inoltrare pacchetti attreverso uno specifico per-corso calcolato e selezionato come il miglioreper arrivare dal punto A al punto B di destina-zione. Inoltre sono facilmente scalabili sia percopertura che per capacità di traffico.

Le reti mesh Wi-FiNelle reti wireless WLAN di tipo mesh ogni no-do (access-point Wi-Fi) non solo fornisce ac-cesso per gli utenti collegati, ma instrada il traf-fico generato dagli altri nodi adiacenti, agendocosì come un router.Dal punto di vista applicativo, la funzionalità dirouting implementata in ogni singolo accesspoint, permette di inoltrare il traffico dati (pac-chetti TCP/IP) secondo tabelle statiche o dina-miche configurate negli apparati di rete. Que-sta caratteristica permette una migliore effi-cienza della rete, garantendo una ridondanzadei collegamenti dal punto di vista logico (inte-so come instradamento dei pacchetti TCP/IP)ed una migliore gestione del traffico di rete.La topologia a maglia consente poi a sua voltanotevoli vantaggi sia nella gestione dei guastiche nell’ampliamento della rete. Alcuni di que-sti vantaggi sono ad esempio:• l’eliminazione delle interruzioni di servizio,

dovute alla caduta di un collegamento o diun nodo, attraverso l’uso di algoritmi adatta-tivi di routing e funzionalità di auto-configu-razione;

• l’ampliamento delle aree di copurtura gra-zie all’aggregazione degli hot-spot che, conla soluzione mesh si ha tramite le funziona-lità di auto-discovery in caso di aggiuntadei nodi con conseguente riorganizzazionedella rete stessa in maniera dinamica.

Devono però essere previste nei nodi mesh lefunzionalità di sicurezza per autenticare l’utentee proteggerne il traffico. La soluzione mesh mi-nimizza poi i costi nell’infrastruttura e d’installa-zione grazie alle citate funzionalità di auto-con-

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IntroduzioneIl mondo e la società sono in continua evoluzio-ne ed emergono nuovi bisogni, un tempo nonesistenti o non ritenuti fondamentali. Il fulcro ditale cambiamento si fonda su due “driver”: laconnettività in continua diffusione e pervasivaed un forte incremento del mix socio demogra-fico mondiale.La connettività sempre più diffusa ed onnipre-sente sta facendo evolvere le modalità di rela-zione e socialità (effetto ‘community’) ed uncambiamento della rilevanza delle distanze fisi-che e temporali. I nuovi bisogni sono quindi le-gati ai concetti di:• Crescente urbanizzazione• Longevità• Crescente scarsità delle risorse naturali• Accelerazione e crescente complessità del-

la società e dell’economia• MobilitàLo spazio metropolitano è l’ambiente che perprimo sfrutta le nuove opportunità tecnologichee l’innovazione tecnologica è un elemento abili-tante per lo sviluppo e la crescita delle città.Tecnologie, sistemi e infrastrutture urbane de-vono essere adattate alle esigenze dei cittadi-ni. Fissando tale obiettivo non si può negarel’enorme vantaggio introdotto dalle trasmissioniwireless – senza fili – le quali sono riuscite asuperare i limiti fisici imposti dai mezzi cablati.Da un punto di vista fisico (livello 1 della pilaISO-OSI) si possono identificare tre macro ca-tegorie di trasmissioni wireless:1) punto-punto: il collegamento avviene tra

due nodi;2) punto-multipunto: il collegamento avviene

da un nodo centro stella (detto anche ac-cess point) e una serie di nodi remoti (sub-scribers) che colloquiano con/tramite esso.Cosa succede se si verifica un fault nel col-legamento tra un nodo ed il centro stella?;

3) maglia (mesh): i nodi in questo caso sonocollegati tra loro attraverso una maglia dipercorsi molteplici tali per cui i nodi hannoallo stesso tempo il ruolo di ricevitori, di tra-smettitori ma anche di ripetitori. Ogni nodoè in grado di raggiungere un altro qualsiasinodo della maglia o direttamente (full mesh)o attraverso altri nodi (partial mesh). Quan-to più la maglia è fitta e costituita da percor-si ridondanti tanto più conferirà affidabilitàalla rete assicurando al tempo stesso unpiù efficiente instradamento del traffico.

Le reti mesh Wi-Fi wireless sono uno dei mezzipossibili in grado di garantire un facile accessoalla rete da parte dei cittadini con un ottimorapporto qualità/prezzo e tempi di installazionecontenuti, infatti possiedono la caratteristicaprincipale di avere nodi “intelligenti” in grado di

Figura 1: Pricipio basedelle reti MESH

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figurazione, che consentono di renderla rapi-damente operativa e meno costosa nella ge-stione.

Sicurezza: lo standard IEEE 802.11sLa soluzione di rete Wi-Fi mesh 802.11s si basasugli standard attuali (802.11a/b/g/i) e sulle pre-stazioni aggiuntive, che permettono ad ogni no-do di collegarsi ad un altro nodo di rete, autenti-carsi e stabilire quindi una connessione. In que-sto caso la rete utilizza un routing dinamico peraumentare l'efficienza e le prestazioni in base al-le condizioni di traffico e alla loro evoluzione.Recentemente è stato presentata da Intel unanuova proposta per lo standard l’802.11s checomprende tra le prestazioni aggiuntive anchel’implementazione del QoS (Quality of Service).Tramite l’implementazione del QoS, una rete me-sh fornisce migliori prestazioni grazie alla ge-stione delle priorità nei servizi, che sono offertinei tempi stabiliti anche in caso di congestione.Tornando all’analisi dello standard 802.11s, unconcetto innovativo introdotto è legato alle so-luzioni “mesh portals” che sono apparati confunzionalità di gateway in grado di connetterereti wireless Wi-Fi tradizionali, basate suglistandard attuali, con le reti mesh dell'802.11s.Possiamo individuare due tipologie di reti mesh:1) una rete mesh ad hoc, in cui ogni terminale

wireless con a bordo un client specificopartecipa alla gestione della comunicazio-ne come se fosse un nodo della rete. I ter-minali in questo caso possono comportarsianche come se fossero dei router;

2) una rete mesh a standard Wi-Fi, i cui nodisono fissi e collegati a maglia (mesh) ed icollegamenti tra i nodi avvengono tramiteconnessioni wireless 802.11a/h/g in moda-lità LOS (Line Of Sight). Tale soluzione con-sente di utilizzare un link radio (ad es802.11h) per il “backhauling”, cioè per con-nettere i nodi, invece dei collegamenti a lar-ga banda tradizionali (ad esempio, ADSL,HDSL) come avviene attualmente per colle-gare gli Hot Spot.

Mesh securityNon ci sono ruoli definiti in una maglia: nessunclient e server, nessun chiamante e nessun ri-sponditore. I protocolli di sicurezza utilizzati inuna rete devono, quindi, essere veri protocollipeer-to-peer in cui entrambi nodi possono av-viare una comunicazione verso l'altro o entram-bi avviarla simultaneamente .

Metodi di autenticazione dei peerL’802.11s definisce tra i peer una autenticazio-ne basata su password sicura e un protocollodi impostazione della chiave denominato "Si-

multaneous Authentication of Equals" (SAE) . IlSAE è basato sullo scambio di chiavi Diffie-Hel-lman utilizzando gruppi ciclici che possono es-sere un gruppo ciclico primario o una curva el-littica. Il problema dell'utilizzo del Diffie-Hell-man è che non ha un meccanismo di autenti-cazione. Quindi la chiave risultante, per risolve-re il problema di autenticazione, è influenzatada una chiave pre-condivisa e dagli indirizziMAC dei due peer.Quando i peer si scoprono a vicenda (e la sicu-rezza è abilitata) prendono parte ad uno scam-bio SAE. Se il SAE è completato correttamente,ogni peer sa che l'altra parte possiede la pas-sword di rete e, come risultato dello scambioSAE, i due peer definiscono una chiave di crit-tografia forte. Questa chiave viene utilizzata conil "Authenticated Mesh peering Exchange" (AM-PE) per stabilire un peering sicuro e derivareuna chiave di sessione per proteggere il trafficomesh, compreso quello di routing.I client che desiderano semplicemente inviaree ricevere pacchetti senza instradarli ad altripossono usare approcci più semplici comel'autenticazione 802.11u che evita la pre- au-tenticazione. Questo meccanismo tuttavia nonè parte della specifica della rete mesh stessa.L’802.11s è una proposta di modifica dellostandard di rete wireless 802.11 in grado di for-nire una modalità indipendente dalle specificheproprietarie dei vendor per costruire reti wire-less mesh su una Wireless LAN (WLAN). L’esi-genza di uno standard specifico, l’802.11s ap-punto, si fa sempre piu’ forte vista la rapidacrescita e diffusione delle reti mesh, soprattuttoalla luce del fatto che le varie soluzioni meshenterprise si basano su protocolli proprietari, ilche non gioca a favore dell’interoperabilitá econseguente scalabilitá.Lo standard di rete mesh 802.11s fornisce unmodo per realizzare reti wireless completamen-te magliate che consentono ai client non solodi collegarsi ad altri nodi mesh, ma anche diservire come punti di accesso wireless, instra-dando il traffico al nodo più vicino con unaconnessione di rete.Per costruire una rete mesh, lo standard802.11s aggiunge al protocollo wireless 802.11le funzionalità di mesh node discovery e di rou-ting basate su MAC address. Queste aggiunteforniscono ai dispositivi wireless la capacità divedere gli altri nodi mesh, così come la capa-cità di “spingere” il traffico al peer più vicinonella rete.Lo standard richiede inoltre che ogni nodo del-la rete mesh sia classificato a seconda di comeandrà a interagire con gli altri nodi. In una con-figurazione 802.11s, i dispositivi di rete colle-gati alla rete dichiarano le loro capacità alla

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mesh, o come dispositivo client che richiedel'accesso o come un nodo di rete in grado diespandere la rete mesh e gestire traffico per al-tri client e nodi. Uno smartphone, per esempio,sarebbe probabilmente classificato come di-spositivo di solo accesso a causa dell'impattodi una connessione wireless always-on sulladurata della batteria. Un PC desktop con unadattatore wireless, d'altra parte, potrebbe ri-coprire il ruolo di client e nodo mesh.L’802.11s comprende anche strategie per sfrut-tare tutti i protocolli di sicurezza wireless all'in-terno delle specifiche 802.11, assicurando chegli utenti che implementano una rete meshpossano farlo senza un cambiamento radicalenei loro schemi di cifratura e autenticazione.

Tipologia reti MeshTali sono i vantaggi delle reti mesh che la lorodiffusione è stata rapida ed è tutt’ora in cresci-ta. Queste reti si differenziano tra di loro perbanda disponibile, frequenza utilizzata, tipolo-gia di hardware impiegato e soprattutto campodi applicazione. Fondamentalmente, la mag-gior parte degli apparati mesh possono esseresuddivisi in due principali categorie, ovvero 1)Mesh Network per voce/video/dati nelle bande2,4 GHz e 5 GHz e 2) Sensor Networks.

Le reti MANET (Mobile ad hoc network)La MANET (Mobile Ad hoc NETwork) è una retedi tipo mesh con topologia dinamica che utiliz-za tra i nodi una soluzione radio omogenea(IEEE 802.11b/g/a/h o Bluetooth). I nodi sonomobili ed i collegamenti sono di tipo dinamico.I terminali (PDA, computer o altri dispostivi)hanno un client software a bordo in grado dicreare e configurare la rete a maglia (mesh) eabilitare la funzione di routing tra i dispositiviche entrano in contatto. I terminali si colleganotra loro direttamente o in modalità wireless mul-ti-hop. Risulta pertanto indispensabile che al-meno un terminale operi come gateway, colle-gandosi alla rete fissa o mobile per instradare iltraffico in uscita della mesh network.Le principali applicazioni delle reti MANET so-no per lo più relative a:• gestione delle comunicazioni in situazione

d’emergenza al fine di garantire un collega-mento in rete a tutti i terminali o ad almenouna lista prioritaria di utenti (per sicurezza onecessità operative);

• estensione in ambito locale della rete mobi-le (mancanza di copertura interna ai locali)e della WLAN (non è possibile installare ac-cess point in tempi ridotti);

• collegamento di gruppi di lavoratori in areeindustriali;

• collegamento per scopi militari, sia nel

campo di battaglia tra mezzi e unità di com-battimento in movimento sia nei campi mili-tari stessi che per le loro caratteristiche so-no mobili e necessitano di rapide configura-zioni.

A loro volta le reti mesh MANET si prestano an-che alla creazione di soluzioni ad hoc, come lemostre, i centri congressi, i villaggi turistici, perlo sviluppo di applicazioni di video sorveglian-za o, come abbiamo accennato sopra, per lesituazioni d’emergenza in cui appunto i vari di-spostivi multimediali vengono collegati senzauna configurazione predefinita ed in modalitàdinamica. Altre situazioni in cui si applicano lereti mesh MANET riguardano le coperture dicampus universitari: questo perché una retemesh si presta bene alla copertura di aree an-che estese in tempi ridotti e può essere usatacome rete d’emergenza o back-up dell’infra-struttura sia fissa che mobile.Se pensiamo ad un’applicazione di emergenzanella rete aziendale per un guasto, dove gli ap-parati come PDA o PC tentano di instauraredelle connessioni attraverso la rete mesh, siforma quindi una costellazione di apparati at-traverso la quale i PC interessati dal guastodella rete aziendale tentano di ripristinare alme-no la connettività per i servizi essenziale (e-mail, web browsing e VoIP), che vengono poi aloro volta instradati tramite alcuni punti di usci-ta della mesh verso la rete mobile o fissa. Ov-viamente solo se almeno un PC è ancora con-nesso.Questa rapidità e capacità di auto configurarsidegli apparati è l’elemento di maggior interes-se della soluzione mesh per le reti ad hoc.Affinando il concetto delle reti MANET è possi-bile immaginare che più PC possano collegarsitra loro tramite una LAN realizzata in modalitàMANET (tramite la connessione di almeno unPC ad una delle reti 2.5/3G/Wi-Fi/WiMax), in-stradare il traffico in uscita verso l’esterno e for-nire l’accesso alla rete dell’azienda in VPN (Vir-tual Private Network) per utilizzare i servizi diOffice quali e-mail, browsing internet, IPCen-trex.Come requisiti realizzativi è necessario avereovviamente dei client MANET su tutti i terminali.Peraltro alcuni di essi, fungendo da gatewayverso la rete IP, potrebbero essere anche delleCPE WiMax (apparati dual radio Wi-Fi e Wi-Max) mentre altri possono avere una schedaUMTS per instradare parte del traffico in condi-zioni di emergenza verso la rete mobile. Quindianche in condizioni d’emergenza è possibileutilizzare servizi di mobile office (mail, Internetbrowsing, …), pur se in modalità ridotta, con-nettendosi ad altri terminali in modalità MANET.Tutto ciò permette una realizzazione veloce di

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sedi aziendali o campus/mostre con soluzioniintegrate IP PBX-Wi-Fi con applicazioni cheprevedono anche servizi di security ed un’e-stensione dell’offerta di Desktop Management.

I Wireless Sensor NetworkI sensor network sono delle reti mesh a tutti glieffetti, ma il loro campo di applicazione è, adoggi, maggiormente legato al mondo della ri-cerca accademica. Di fatto rappresentano unadelle aree applicative di maggiore diffusionenell’ambito della progettazione di sistemi distri-buiti per smart grid e smart cities.Una Wireless Sensor Network (WSN) può esse-re definita come una rete wireless, composta dadispositivi autonomi. Questi dispositivi hanno lafunzione di realizzare il sensing di grandezze fi-siche che variano in funzione dello spazio (col-locazione geografica del nodo) e del tempo. Inodi di un Wireless Sensor Network hanno ca-ratteristiche specifiche che li rendono in gradodi effettuare misurazioni. Si tratta infatti di dispo-sitivi caratterizzati da una capacità computazio-nale e definiti a volte smart sensor (o sensori in-telligenti ) per la loro attitudine a collaborare inrete per espletare il proprio compito.Rispetto ai sistemi tradizionali di misurazione, leWSN offrono molti vantaggi. In primo luogo sitratta di sistemi che assicurano un’elevata per-vasività di monitoraggio, creando reti in grado dicoprire aree operative molto ampie. In secondoluogo le WSN presentano un’intrinseca tolleran-za ai guasti. Il punto di forza più significativo diquesto tipo di reti wireless è però la loro versati-lità, dal momento che esse sono in grado disupportare applicazioni molto diverse tra loro.Dal punto di vista dei parametri fisici sottopostia controllo, una WSN può monitorare la tempe-ratura, la pressione, il movimento, la vibrazio-ne, l’inquinamento, ecc. Ciò fa sì che i campi diapplicazione di sensor network siano numerosi,spaziando dalle applicazioni militari - in effetti èproprio in ambito militare che nascono le sen-sor network, impiegate inizialmente per il rileva-mento ed il tracciamento di unitá nemiche - alleapplicazioni industriali, sanitarie e domestiche.Un sempre più ampio utilizzo delle WSN è regi-strabile nelle applicazioni idrauliche ed elettri-che, allo scopo di monitorare i flussi veicolatidalle reti per individuare anomalie.L’alimentazione solo a batteria dei sensori è in-dubbiamente la maggiore sfida tecnologica sucui stanno lavorando numerosi centri di ricercatra cui i principali sono il Computer Scienceand Artificial Intelligence Laboratory (CSAIL)del MIT, il Laboratorio di Ricerca di Intel aBerkeley, in California, e la stessa Universitàdella California, a Berkeley.

Casi reali1) A Portsmouth (UK), dal 2004 i servizi di

pubblica utilità sono offerti alla popolazionedalla “Portsmouth Real-Time Travel Informa-tion System” (PORTAL) che utilizza una reteWi-Fi mesh. Il sistema fornisce informazionisulla mobilità in tempo reale ai passeggerie viene utilizzato per gestire la congestionenei trasporti, controllare l’inquinamento emigliorare il servizio di trasporto e sicurez-za. Grazie ad una rete Wi-Fi mesh cittadinaviene gestita una flotta di 300 bus ed i pas-seggeri sono aggiornati, in tempo reale, su-gli arrivi e ritardi del servizio di trasportopubblico mediante totem dotati di videotouchscreen in 40 locations, qualora fosse-ro sprovvisti di terminali Wi-Fi.

2) Nel febbraio 2006 The Cloud, la maggiorerete Wi-Fi nel nord Europa (Uk, Svezia eGermania), ha concluso un importante ac-

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cordo con Tropos, uno dei principali fornito-ri di soluzioni Wi-Fi mesh, per la fornitura direti metropolitane di tale tipo in tutta Euro-pa. In Italia dopo l’approvazione del decre-to Landolfi, si sono attivati consorzi con al-cune municipalità e anche Telecom Italia hagià in corso alcune sperimentazioni Wi-Fimesh integrate nelle soluzioni ICT.

3) L’Amministrazione comunale di Venezia èstata la prima in Italia a riconoscere l’acces-so ad Internet come un diritto fondamentaledel cittadino, “diritto di cittadinanza digita-le”, a tal punto che ha deciso di inserirlo nelproprio Statuto. Il Comune di Venezia, giàcon deliberazione del Consiglio Comunalen.161 del 28.11.2007, ha affidato alla Venis,società strumentale del Comune per l’inno-vazione a Venezia, la realizzazione delleopere relative al progetto “Venezia città tec-nologica: infrastrutture e servizi per la città”

che si basa su soluzioni a larga banda e wi-reless. La disponibilità di una rete a bandalarga costituisce il fattore abilitante per l’e-voluzione di Venezia verso un modello di“smart city” orientato ai requisiti per l’inno-vazione. La realizzazione e gestione dellarete rappresenta non solo uno strumento diammodernamento della Pubblica Ammini-strazione e di miglioramento dei servizi alcittadino nei rapporti con la stessa PA, maanche un fattore di arricchimento, promo-zione e competitività dell’intero territorio. Larete a Banda Larga oltre ad interconnetterele sedi comunali ed a consentire l’erogazio-ne del servizio Wi-Fi (215 hotspot) a cittadi-ni e turisti, viene quindi utilizzata:

• per l’interconnessione delle 34 sedi univer-sitarie e scientifiche (integrazione con ReteGARR);

• per l’ampliamento della “bolla Wi-Fi” dedi-cata agli studenti universitari che possonoaccedere con le password della rete univer-sitaria agli hotspot della città;

• per la connessione in rete delle sedi e degliimbarcaderi ACTV (Azienda di trasportopubblico a Venezia) ;

• per la gestione dei servizi di videosorve-glianza;

• per servizi Wi-Fi in favore della Biennale diVenezia (Mostra del Cinema);

• per l’implementazione di strumenti innovati-vi: si segnala che a fine 2012 risultano in-stallati oltre 700 apparecchi VoIP in 20 sedicomunali e oltre 600 nelle due sedi dellaMagistratura (Corte d'Appello e Cittadelladella Giustizia);

• per la valorizzazione degli investimenti insoftware e hardware centralizzato tramitel’erogazione di servizi di hosting e di serviziapplicativi in favore di altri enti/istituzioni co-me Software as a Services (SaaS).

ConclusioniLe reti mesh, nate negli anni Sessanta per scopimilitari, stanno oggi vivendo un periodo di cre-scita e diffusione costante, grazie alla diffusionedei servizi collegati alle Smart Cities e deigrandi vantaggi intrinsechi della sua configura-zione, che possono essere riassunti con affida-bilitá (elevata fault tollerance) e costi ridotti.Che lo sviluppo di queste reti non avrá un’inter-ruzione continuando così il proprio percorso dicrescita, lo si può facilmente capire dai nuovistandard proposti dalla IEEE, come l’802.16ache unisce il WiMAX alle reti mesh. Senza con-siderare anche il mondo delle sensor networkche, con una diffusione nel mercato di massa,agevolerà il monitoraggio di moltissime reti in-frastrutturali. ÿ

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Arch.G. De Carlo - Palazzo di Giustizia (Rimini)

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Quaderno

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L’UTILIZZO DELLETECNICHE NO-DIG

NELLA POSA INOPERA DELLE RETI

DI SERVIZIINTERRATE

a cura di

Ing. C. Catinari

commissione

Sistemi idraulicicomplessi

visto da:

Ing. G. CigariniIng. F. Napolitano

PremesseLa continua urbanizzazione che riguarda unaparte sempre più crescente del territorio e laconseguente esigenza di aumentare l’accessi-bilità ai servizi di ogni genere da parte di unmaggior numero di utenti possibili, rende parti-colarmente difficile la posa in opera delle reti diservizi in un territorio già sfruttato da opere civi-li. Nello specifico, le reti di servizi che riguarda-no diversi settori strategici (il trasporto e la di-stribuzione dell’acqua, il trasporto e la distribu-zione di gas e combustibili, il sistema fognario,il sistema elettrico, la telecomunicazione via ca-vo, il teleriscaldamento, ecc.) interessano prin-cipalmente il sottosuolo e talvolta devono anchesuperare degli ostacoli naturali quali fiumi ependii. Sia nelle città che nelle aree non urba-nizzate, la posa e gli interventi sulle reti tecnolo-giche realizzate attraverso scavi a cielo aperto,comportano la presenza di pesanti interferenzein superficie, in particolare con la viabilità.Al fine di minimizzare tali interferenze, negli ulti-mi anni si è fatto sempre più affidamento alletecnologie “trenchless” che, a differenza deltradizionale scavo a cielo aperto, assicuranominor impatto ambientale e maggiore efficienzadi realizzazione. Tali tecnologie, denominateanche no-dig, letteralmente “senza scavo”,consentono allo stesso tempo anche un decisoabbattimento dei rischi per la sicurezza deglioperatori (seppellimento) nelle aree di scavo.Inoltre, mediante l’utilizzo di tecniche tradizio-nali di scavo, si trascurano le conseguenze sul-l’impatto ambientale e sociale che lo scavo acielo aperto può comportare, quali ad esempioil danno sul traffico pedonale e veicolare, lamaggiore usura del manto stradale, l’aumentodi emissioni di polveri nocive e l’incremento diinquinamento acustico, il maggiore disturbocreato alle attività commerciali in prossimità dei

cantieri, etc. Tutto ciò si traduce in realtà in uncosto economico-sociale raramente calcolatoche ricade sulla collettività. Al contrario, l’im-piego di tecnologie no-dig permette di esegui-re opere di posa e sostituzione di reti di servi-zio in zone urbane riducendo al minimo le ope-razioni di scavo e di conseguenza lo smantella-mento delle sedi stradali, diminuendo anche ivolumi del materiale di risulta delle operazionidi demolizione destinati a discarica. Schemati-camente le tecniche “trenchless” vengono sud-divise secondo la tipologia di intervento da ef-fettuare:• nuove installazioni di tubazioni (directional

drilling, microtunnelling, impact moling)• riabilitazione/risanamento di tubi esistenti

(loose-fit lining, close fit lining, cured in pla-ce pipe, cement mortar lining)

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• sostituzione (pipe bursting, pipe splitting)• individuazione e mappatura di servizi inter-

rati (telecamere, sistemi radar per la map-patura, cerca perdite)

Nel presente articolo si vuole dare al lettoreun’indicazione sulle tecnologie no-dig più co-muni in modo da renderlo autonomo nella valu-tazione delle potenzialità di ognuna confrontan-dole con le tecniche di scavo in tradizionale.

Tecnologie no-dig: descrizioni delle prinicipalitecnicheNuove installazioniLa Trivellazione Orizzontale Controllata (T.O.C.)o Horizontal Directional Drilling (H.D.D.) è unatecnica di trivellazione con controllo attivo dellatraiettoria per la posa in opera di nuove cana-

lizzazioni per qualsiasivoglia servizio (energiaelettrica, fognature, comunicazioni, gas e ac-qua), soprattutto quando si debbano superareostacoli naturali (fiumi, canali) e artificiali (stra-de di grande comunicazione, ferrovie). La tec-nica prevede la creazione di un foro pilota me-diante l’introduzione da un pozzo di ingresso diuna colonna di aste con una lancia di perfora-zione posta in testa, che vengono guidate nelladirezione e alla quota di progetto. La testa rag-giunge un pozzetto di arrivo dove viene colle-gata ad un utensile alesatore che ha la funzio-ne di allargamento del foro, fino ad arrivare adun diametro circa pari al 20-30% in più della di-mensione del tubo da posare. Dal pozzo di in-gresso viene quindi ritirata e smontata l’interacolonna, che trascina con sé la nuova tubazio-ne che viene agganciata all’alesatore stesso eviene trainata fino ad occupare l’intera lun-ghezza della perforazione.L’impianto di perforazione (‘rig’, di derivazionepetrolifera) è costituito da una rampa inclinatasulla quale trasla un carrello mobile avente lafunzione di trasmettere la rotazione e la spintaalle aste. Se la perforazione viene svolta a“umido”, l’avanzamento della testa fresante ècoadiuvato da un getto fluido costituito princi-palmente da fango bentonitico. Talvolta lo sca-vo può essere effettuato “a secco”, ovvero tra-mite un martello demolitore che durante l’avan-zamento comprime il terreno lungo le pareti delforo, utilizzando comunque una miscela lubrifi-cante a base di acqua solo per il raffredda-mento dell’utensile di scavo. Con questa tecno-logia vengono installate tubazioni in PEAD e inacciaio sino a 1200 mm di diametro.La tecnica del Microtunnelling permette la po-sa in opera in sotterraneo di condotte rigidemediante perforazione a spinta monitorata e di-rezionabile. Viene adottata per l’installazione dicondotte fino a grandi diametri (3000mm) inmateriale fragile, grès o calcestruzzo, ma puòessere utilizzata anche per acciaio e PRFV. Latecnica di posa “microtunneling” prevede larealizzazione di un foro tra due pozzi, uno nellazona di partenza, detto pozzo di spinta e un al-tro nella zona di arrivo, necessari per la mano-

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Figura 1 - Interferenzestradali prodotte dauno scavo a cieloaperto (da U.Sanfilippo,“L’evoluzione delletecnologie per lamanutenzione dellereti”)

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vra degli elementi della tubazione. La perfora-zione orizzontale è realizzata dal pozzo di spin-ta, dopo l’installazione nel pozzo stesso di tuttele attrezzature di spinta e di controllo, tramiteuna testa d’avanzamento a ruota fresante effet-tuata attraverso l’utilizzo di una serie di marti-netti idraulici montati su un telaio meccanico e

cato su un carrello rigido e viene fatto avanzaremediante un sistema ad aria compressa, con-trollando la direzione di progressione. Una vol-ta che il foro è stato completato, la tubazioneviene inserita conseguentemente all’estrazionedell’utensile di scavo. Le dimensioni del foroguida sono tipicamente il 15-25 per cento piùgrandi rispetto al tubo da inserire.

Riabilitazione/risanamento di tubi esistentiLa tecnologia Loose-fit Lining di riabilitazionesenza scavo a cielo aperto permette l’inseri-mento, entro la tubazione da riabilitare, di unanuova tubazione le cui pareti esterne non ade-riscono perfettamente alle pareti interne del tu-bo ospite. Lo spazio esistente tra parete ester-na del nuovo tubo e parete interna del tuboospite, chiamata tecnicamente anulus, haun’ampiezza che può variare da pochi millime-tri a qualche centimetro, a seconda della tecni-ca utilizzata. A livello progettuale tutto ciò è su-bordinato alla possibilità che la rete distributivaconsenta la riduzione della sezione netta dipassaggio del fluido di una certa percentualedeterminata dalla differenza tra D

intdella vec-

chia tubazione e Dest

della nuova.Generalmente la diminuzione della sezione ècompensata in buona parte dalla drastica ridu-zione delle perdite di carico ottenuta in seguitoall’uso delle nuove tubazioni, nonché dal fattoche la tubazione originale si presenta usual-mente deteriorata e con depositi interni di variogenere estensivi o localizzati. È una tecnologiadi facile e immediata messa in opera ed il co-sto di applicazione, il più delle volte, risultaestremamente conveniente (anche inferiore al50% della sostituzione con metodi tradizionali).Le tecnologie di riabilitazione di tipo Close-fitlining si basano sull’inserimento nella tubazioneda riabilitare di un tubo nuovo temporanea-mente deformato, successivamente riportatoalla forma e dimensioni originali in modo daaderire perfettamente alle pareti interne del tu-bo ospite. La deformazione temporanea delnuovo tubo serve a ridurne la sezione trasver-sale in modo da facilitarne l’inserimento delnuovo tubo in quello da riabilitare. È tempora-nea perché, una volta che il nuovo tubo è statoposizionato in quello da risanare, esso viene ri-portato alla dimensione e forma originali. Èpossibile distinguere due classi di tecnologiedi close-fit lining, le tecnologie basate sulla ri-duzione temporanea di diametro, dette RDP oswaged liners, o le tecnologie basate sulladeformazione temporanea di forma, dette MFPo folded liners. Nelle tipologie di tipo RDP, la ri-duzione temporanea del diametro del liner siottiene facendo passare la nuova tubazione at-traverso una matrice di riduzione del diametro.

Figura 2 - Perforazionepilota nella tecnica

HDD (daM.V.Cordeschi,

“Dimensionamento everifica di un collettore

fognario in ambitourbano in

microtunnelling”)

interconnessi fra loro per avere la stessa spintada parte di ciascuno. La testa fresante è segui-ta dall’avanzamento simultaneo di conci di tu-bazione che costituiranno la linea. Il recuperodel materiale disgregato può essere effettuatomediante un sistema a smarino meccanico, incui una coclea trasporta il materiale scavato efrantumato verso il pozzo di spinta, oppure me-diante un sistema a smarino idraulico, in cui ilmateriale viene allontanato tramite circolazionedi fango bentonitico (slurry system).Con questa tecnica si possono realizzare lun-ghezze di perforazione considerevoli grazie al-la possibilità di inserire una o più stazioni dispinta intermedie; al contempo ciò comporta lanecessità di avere a disposizione aree esteseper l’installazione dei cantieri, oltre che da con-siderazioni di convenienza economica legataalle dimensioni dell’opera da realizzare.L’Impact Moling è una delle tecnologie trench-less più semplici e antiche poiché facilmenteapplicabili per installazioni di tubazioni di pic-colo diametro in terreni comprimibili per brevidistanze. La tecnica di scavo è costituita da unutensile di scavo a percussione, in genere ali-mentato pneumaticamente, dotato di un siste-ma di avanzamento guidato, che consente laposa per traino di tubi in ferro e materie plasti-che. L’utensile di scavo, detto “siluro”, è collo-

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Questa operazione può essere condotta a fred-do o a caldo, non superando mai la temperatu-ra alla quale è stato originariamente estruso iltubo plastico. Nelle tecnologie di tipo MFP, in-vece, la deformazione temporanea di formaviene invece ottenuta ripiegando il tubo in duefalde, che vengono quindi serrate mediante fa-scette di contenimento generalmente in mate-riale plastico. Il tubo nuovo così ripiegato, vie-ne quindi inserito nella tubazione ospite, equindi per effetto della pressione riportato allaforma originaria.Viene prevalentemente impiegata per il rinno-vamento di reti idriche o fognarie ed è adattaper arginare perdite o corrosioni, mentre, es-sendo la condotta di spessore ridotto “interacti-ve folding”, è la condotta esistente a sopporta-re la pressione del carico idraulico del fluidotrasportato all’interno.Il Cement Mortar Lining, CML (cementazione) èuna tecnologia di riabilitazione no-dig specificaper il risanamento di tubazioni metalliche (ac-ciaio e ghisa) affette da lesioni o ossidazionisia in ambito urbano che in ambito extra-urba-no destinate al trasporto di acqua (potabile, in-dustriale, marina). Consente il rivestimento diuna condotta esistente di tratte fino a 150 mper diametri inferiori a 600 mm e di tratte di250- 300 m per diametri superiori, mediante l’u-tilizzo di malta cementizia spruzzata, con ap-positi robot, all’interno della condotta, permet-tendone l’allungamento della vita utile di oltre50 anni. Il procedimento consiste nell’applicareun rivestimento in malta cementizia, a spessorecostante, sulla superficie interna della tubazio-ne da risanare, tramite una proiezione centrifu-ga ad alta velocità e nella lisciatura meccanicadella superficie dello strato di malta. Lo spes-sore dello strato di malta può variare indicativa-mente da 6 mm a 14 mm, a seconda delle ne-cessità.Una derivazione di questa tecnica è il PipeCoating, che consente di rivestire una condottaesistente mediante l’utilizzo di resine epossidi-che spruzzate.Con il termine CIPP – Cured In Place Pipe – vie-ne identificata una metodica di riabilitazione dicondotte interrate ed aeree che consiste nel-l’inserire all’interno del tubo ospite, un tubolareflessibile impregnato di resina che viene quindigonfiato per aderire alle pareti del tubo ospite,ed infine fatto indurire per reticolazione dellaresina. Le diverse tecniche di riabilitazioneCIPP oggi disponibili vengono riunite in duegrandi gruppi in base al metodo di indurimentoutilizzato: i metodi di indurimento a caldo, dettiThermal CIPP, con liner in feltro poliestere im-pregnati con resina poliestere, vinilestere oepossidica ed i metodi di indurimento per irrag-

giamento con raggi ultravioletti, detti UV CIPP,con liner in tessuto multistrato di fibra di vetroimpregnati con resine foto polimerizzanti. Que-ste tecnologie sono nate e si sono evolute perottemperare alla risoluzione dei problemi di ri-sanamento delle fognature, o comunque dellecondotte a gravità in genere. Deve esserequindi attentamente valutato l’impiego di talitecnologie nel campo del risanamento/rinnova-mento delle condotte in pressione quali acque-dotti e gasdotti.

Sostituzione di tubazioniLa tecnologia Pipe Bursting consente la demo-lizione di una tubazione esistente attraversofrantumazione. I materiali che possono esserefrantumati sono quelli fragili (gres, ghisa, calce-

Figura 3 - Sistema consmarino a coclea (daM.V.Cordeschi,“Dimensionamento everifica di un collettorefognario in ambitourbano inmicrotunnelling”)

Figura 4 - Sistema consmarino idraulico (daM.V.Cordeschi,“Dimensionamento everifica di un collettorefognario in ambitourbano inmicrotunnelling”)

Figura 5 - Schema dilavoro per la tecnologialoose-fit lining ( da R.Chirulli, “Introduzionealle Tecnologie NO-DIG)

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struzzo, cemento-amianto) e questo costituisceil naturale ambito di applicazione delle tecnolo-gie pipe bursting. La caratteristica comune deitubi costruiti con questi materiali è che se ven-gono sottoposti a un’azione di tipo percussivo,oppure ad un’espansione meccanica del dia-metro, tendono a frantumarsi in piccoli fram-menti.Le tecnologie di pipe bursting più conosciute e

diffuse sono: il Pipe bursting di tipo statico, nelquale si utilizzano semplici coni o cunei diespansione detti espansori o il Pipe bursting ditipo dinamico, nel quale si utilizzano utensili ditipo percussivo, alimentati ad aria o a liquido.Lo schema esecutivo tipo non cambia passan-do dal pipe bursting dinamico a quello statico:due scavi vengono realizzati alle estremità deitratti, di cui il primo è utilizzato come camera dilancio su cui è collocata una slitta contenentela testa idraulica di spinta ed estrazione delleaste. Una volta completata l’inserzione, all’e-stremità delle aste, dalla parte della camera diarrivo, viene collegato il dispositivo destinato afrantumare la vecchia condotta durante la fasedi estrazione delle aste. Il dispositivo di frantu-mazione è costituito da un utensile tagliente aforma di freccia che permette di aprire la vec-chia condotta con azione continua. Man manoche le aste vengono estratte viene così creatoil foro di diametro maggiorato che costituisce lasede di posa per la nuova tubazione di PE. Leoperazioni di pipe bursting possono determina-re effetti di superficie ed effetti sui sottoservizipreesistenti. Occorre perciò, durante l’applica-zione di questa tecnica, operare alcuni accor-gimenti sulle modalità di esecuzione.La tecnologia del Pipe Splitting è del tutto simi-le alla tecnologia precedente del pipe burstingdel quale rappresenta la naturale estensione ai

Figura 6 - Particolaredella piegatura di un

tubo ( da AA.VV.,“Tecnologie alternative

allo scavo, SEI editrice,2012)

Figura 7 - Robotall’interno di unatubazione per la

proiezione della maltacementizia ( da AA.VV.,“Tecnologie alternative

allo scavo, SEI editrice,2012)

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Figura 8 -Frantumazione dellacondotta esistente permezzo dell’azioneespansiva esercitatadalla testa fresante (daM.V.Cordeschi,“Dimensionamento everifica di un collettorefognario in ambitourbano inmicrotunnelling”)

materiali ferrosi duttili ed ai materiali plastici(acciaio, ferro dolce, ghisa malleabile, rame,piombo, PVC, PE, PRFV). La differenza sostan-ziale rispetto al pipe bursting consiste nel fattoche invece di utilizzare teste dirompenti perfrantumare il tubo preesistente si utilizzanospeciali teste taglianti, denominate splitter, do-tate di lame affilate, capaci di tagliare con faci-lità tubi in materiale duttile. Poiché non vi è al-cuna frantumazione della condotta preesisten-te, è necessario che i lembi tagliati della con-dotta stessa siano allontanati sia per creare lospazio necessario ad alloggiare il nuovo tubo,che viene tirato contemporaneamente al tagliodella vecchia condotta, sia per evitare che ilembi taglianti della vecchia condotta possanodanneggiare la nuova.

Tecniche non invasive per la mappatura e laricerca di sottoservizi nel sottosuoloIn un progetto in cui si sia deciso di utilizzaretecniche NO-DIG, è senz’altro di elevata rile-vanza la fase relativa all’individuazione di pos-sibili interferenze con i servizi già esistenti esullo stato della canalizzazione eventualmenteda riabilitare. Anche se tali tecnologie sono uti-lizzate nelle tecniche di scavo tradizionali, moltiautori ritengono che, pur non essendo tecnolo-gie di scavo/posa in opera ma soltanto indaginiconoscitive, esse vengano incluse nella fami-glia delle tecnologie trenchless. La localizza-zione e mappatura dei servizi interrati preesi-stenti (incluse canalizzazioni da riabilitare), pro-pedeutica all’impiego di ogni tecnologia potràessere condotta con:• Telecamere (CCTV)• Radar• Cercatubi e CercaperditeLe tecnologie con Telecamere (CCTV) vengonoimpiegate per la verifica dello stato reale dellecondotte esistenti, indispensabile alla succes-siva applicazione delle tecniche NO-DIG di ria-bilitazione. Si montano su un apposito carrellofilo-guidato (robot) dotato di potenti luci per l’il-luminazione dell’interno della condotta e dellastrumentazione necessaria a registrare la di-stanza dal punto di ingresso e la pendenza diposa della canalizzazione esistente. Tramite unpc portatile o un qualunque supporto magneti-co è possibile registrare in continuo il precorsodella telecamera all’interno della tubazione inmodo da constatare puntualmente lo stato diconservazione delle stesse.La tecnologia del Georadar viene impiegataprima di procedere all’istallazione di nuovi ser-vizi con tecnologie no-dig al fine di riconoscerela presenza di altre canalizzazioni e il loro svi-luppo nel sottosuolo. L’apparecchiatura è costi-tuita da un emettitore di segnali a radiofrequen-

za dotato di una o più antenne montato su uncarrello che viene fatto scorrere sull’area da in-dagare a terra. Il georadar sfrutta le proprietàelettromagnetiche dei corpi presenti nel sotto-suolo che, investiti dal segnale emesso dall’an-tenna trasmittente, rispondono con un segnalevariabile in funzione del materiale di cui sonocostituiti. I dati raccolti vengono interpretati edelaborati attraverso opportuni software che re-stituiscono una mappa dei servizi presenti nelsottosuolo.I sistemi per l’individuazione di perdite localiz-zate nelle tubazioni interrate prendono il nomedi cerca perdite. Esistono cerca perdite dedi-cati alle reti in pressione basati sull’impiego diidrofoni che vengono collocati su due sezionidistinte del tubo da esaminare. Un’opportunaelaborazione del segnale ricevuto permette dirisalire alla posizione precisa della perdita.

ConclusioniLe tecnologie NO-DIG, soprattutto se destinateall’ambito urbano, costituiscono una valida al-ternativa alle tecniche tradizionali per la posain opera delle reti dei servizi mantenendo il giu-sto rispetto per l’ambiente. La scelta dell’utiliz-zo di tecniche “trenchless” in opposizione all’u-tilizzo delle tecniche tradizionali deve esserefatta di volta in volta, calata sulle singole situa-zioni puntuali, tenendo anche conto dei costiindiretti, che comunque ricadono sulla societàcivile e a cui l’amministrazione dovrebbe porrela giusta attenzione. In molte situazioni e conte-sti realizzativi quali attraversamenti stradali, fer-roviari, di corsi d’acqua, di centri storici, fian-cheggiamenti di strade urbane a traffico eleva-to o sezione modesta, risanamento dei serviziinterrati, riabilitazione senza asportazioni delle

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vecchie canalizzazioni, le tecnologie no-dig ri-sultano nettamente vantaggiose, soprattutto sesi è nella impossibilità tecnico-economica didotarsi di un cunicolo intelligente. L’attuale legi-slazione, pur muovendosi nella stessa direzio-ne delle tecnologie innovative (riuso, recupero,ripristino, mantenimento, minor impatto, ecc.)non è ancora chiara e incisiva da permettere la

loro affermazione. D’alta parte, però, la quanti-ficazione dei danni ambientali, soprattutto daparte delle amministrazioni, avrà sempre piùpeso nella valutazione e scelta delle alternativeprogettuali, ed è auspicabile che il divario eco-nomico tra tecniche tradizionali e NO-DIG dimi-nuirà fino a che queste ultime risultino più van-taggiose anche in termini economici. ÿ

BibliografiaAA.VV, Tecnologie altermative allo scavo, SEI editrice, 2012AA.VV, REGIONE LOMBARDIA, “Tecnologie a basso impatto ambientale”, Allegato 1 al PUGSS, Piano Ur-bano Generale dei Servizi del Sottosuolo, 2012E. CARUSO, F. GERI, G. PINO, S.VENGA, “Utilizzo di tecnologie NO-DIG per la riduzione dell’impatto am-bientale in ambito urbano durante interventi di controllo, manutenzione e sostituzione dei servizi interrati” .R. CHIRULLI, “Tecnologie NO-DIG: Condotte fognarie a gravità. Installazione mediante pilot tubing e riabili-tazione mediante UV-CIPP, 2011R. CHIRULLI, “Tecnologie NO-DIG: La sostituzione senza scavi a cielo aperto delle tubazioni interrate”,2012R. CHIRULLI, “Introduzione alle Tecnologie NO-DIG”, 2005M.V. CORDESCHI, “Dimensionamento e verifica di un collettore fognario in ambito urbano in microtunne-ling”, Tesi di laurea magistrale, Università di Cassino , 2012.D. GALAZZO, “ Caratterizzazione dei fluidi di perforazione per l’impiego nella Horizontal Directional Drilling”Tesi di laurea, Università Alma mater studiorum di Bologna, 2008PATO PERFORAZIONI, “Brochure”, 2013U. SANFILIPPO, “L’evoluzione delle tecnologie per la manutenzione delle reti”, 2012.C. TORRE, “Possibili effetti delle operazioni di relining e di posa NO-DIG sulle tubazioni in PEAD.

Figura 9 - Schemadella tecnica di pipe

splitting

www.nordsoluzionistradali.it

Arch. Z. Hadid - Museo Maxxi (Roma) Copyright © Moreno Maggi ÿ

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LA VALUTAZIONE DELLA SICUREZZASISMICA DELLE COSTRUZIONI

ESISTENTI

a cura di

Ing. G. Monti

commissione

Interventi sullecostruzioni esistenti

visto da:

Ing. A. Bozzetti

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nella forma ed efficace nella sostanza.Quando si opera sulle costruzioni, incluse per-tanto quelle esistenti, è bene che il progettistasia consapevole che non esiste una definizioneassoluta di sicurezza sismica. Questa si valutainfatti con riferimento ad uno o più livelli presta-zionali, o Stati Limite (SL), identificati dalla NTC-08 come: operatività (SLO), contenimento deldanno (SLD), salvaguardia della vita umana(SLV), prevenzione del collasso (SLC), cui corri-spondono valori crescenti dell’intensità dell’azio-ne sismica e per i quali si ammettono valori de-

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L’ingegnere che deve eseguire la valutazionedell’adeguatezza sismica di una costruzione esi-stente organizzerà la propria attività in tre fasi,che riguarderanno: la valutazione della sicurez-za corrente, la concezione e progettazionedell’eventuale intervento di miglioramento o ade-guamento sismico e infine la verifica dell’effica-cia di tale intervento. Ogni fase sarà nel seguitoesaminata criticamente, evidenziando alcunecriticità che è bene aver presenti per affrontareadeguatamente il proprio percorso e giungereallo sviluppo di un progetto che risulti corretto

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crescenti della probabilità di superamento. Siala valutazione dello stato di fatto sia l’eventualeprogetto di rafforzamento sismico si configuranoquindi come processi multi-obiettivo, nei quali sicontrollano tre proprietà fondamentali di ognistruttura: la rigidezza, la resistenza e la duttilità.Queste proprietà sono tutte ugualmente impor-tanti e inscindibilmente legate per ottenere uncomportamento ottimale in condizioni sismiche.La rigidezza deve esser tale che, per terremotifrequenti, quindi di bassa intensità, gli sposta-menti massimi attinti dalla struttura, che è previ-sto debba rimanere in campo sostanzialmenteelastico, non diano luogo a significativi danneg-giamenti della stessa né di elementi di caratteresecondario, quali a titolo di esempio le tampo-nature (SLD).La resistenza deve consentire alla struttura disopportare terremoti più rari, quindi di alta inten-sità, sviluppando meccanismi a danneggiamen-to controllato, salvaguardando però la costruzio-ne (SLV); infine, la duttilità deve consentire allastruttura di sopravvivere ad eventi sismici moltorari, quindi di altissima intensità, deformandosiin maniera anche significativa senza tuttavia col-lassare (SLC).Si osservi che, poiché ad ognuno di questi StatiLimite citati corrisponde una diversa probabilità

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di superamento, il progetto ottimale producestrutture le cui tre proprietà fondamentali oraelencate (rigidezza, resistenza, duttilità) hannodiverse probabilità di “non funzionare” corretta-mente nel periodo di riferimento. In particolare,ad esempio nel corso di un anno, in una struttu-ra convenzionale (quindi con V

N≥50 e C

U=1,0)

“ben progettata” le probabilità che dette pro-prietà “non funzionino” sono, rispettivamente,del 2%, dello 0,21% e dello 0,10%, cioè l’inversodei periodi di ritorno associati a ciascuno SL. Lasicurezza sismica è quindi inevitabilmente diffe-renziata sui vari livelli prestazionali.In aggiunta, nelle costruzioni esistenti, poiché siriconosce l’impossibilità di ottenere un compor-tamento ottimale, il committente e il progettista,congiuntamente, decidono quali e quanti SL va-dano rispettati, ma sempre comprendendo fraquesti lo SLV. Sugli altri, è possibile derogare. Siavranno quindi, per gli SL non trattati nel proget-to di intervento, valori di probabilità di fallimentoannuali, oltre che diversi, anche maggiori deivalori sopra riportati.Nella fase successiva di progettazione dell’inter-vento, il progettista, sempre di comune accordocon il committente, deve prendere una decisio-ne riguardo l’obiettivo che intende perseguire:se l’adeguamento o il miglioramento della co-

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struzione. E’ forse superfluo ricordare che unatale decisione riguarda unicamente il comporta-mento sismico, mentre per i carichi verticali l’u-nica scelta ragionevolmente possibile è quelladell’adeguamento. In genere si sceglie il miglio-ramento sismico se l’adeguamento non è attua-bile, vuoi perché richiederebbe interventi struttu-rali troppo invasivi, vuoi perché il costo potrebbeessere superiore al budget disponibile.Sebbene la Normativa vigente consenta, fattesalve alcune condizioni, ciascuna delle duescelte, essa trascura di chiarire un’importanteconseguenza che potrebbe sfuggire al progetti-sta meno accorto: la scelta della strategia delmiglioramento implica un rischio maggiore perla costruzione in esame, rispetto a quella dell’a-deguamento.Infatti, utilizzando nel progetto di miglioramentoun’azione sismica di intensità minore, la proba-bilità che, nel periodo di riferimento adottato siverifichi un evento sismico più forte di quello diprogetto è, ovviamente, maggiore e, di conse-guenza, maggiore è anche la probabilità di su-perare lo SL corrispondente.Ad esempio, la Normativa stabilisce per le co-struzioni convenzionali (senza particolare valen-za strategica; vedi le caratteristiche precedente-mente indicate in termini di V

Ne C

U) che il terre-

moto con cui eseguire il controllo del requisito disalvaguardia della vita (SLV) sia quello che hauna probabilità del 10% di essere superato in in-tensità in un arco di tempo di 50 anni.Si ha quindi che un qualsiasi progetto ottimaledi adeguamento allo SLV ha una probabilità del10% di eccedere il valore nominale dello SLV al-meno una volta in 50 anni. Si osservi che il pro-getto di adeguamento, essendo eseguito con ivalori medi delle resistenze, implica una proba-bilità di fallimento (condizionata al terremoto diSLV) pari al 50%, per cui la sua probabilità totale(scondizionata dal terremoto di SLV) di fallimen-to è pari al 5% in 50 anni. Si noti l’implicita as-sunzione che non è possibile ottenere una pro-tezione totale rispetto ai terremoti: quel 5% rap-presenta il rischio accettato dalla Normativa – equindi dalla Collettività – rispetto alla salvaguar-dia delle vite umane, nel periodo di riferimento.E’ utile ripetere anche che il rischio annuale ac-cettato è 0,10%.Quando si esegue invece un progetto di miglio-ramento sismico, si adotta un’intensità ridottadell’azione sismica e quindi si fa riferimento adun valore inferiore del periodo di ritorno; questaoperazione implica però un aumento del rischioannuale. Se si riduce, ad esempio, l’accelerazio-ne al suolo (PGA) al 60% rispetto a quella di rife-rimento di legge, si ha che il rischio annuale au-menta da 0,10% a circa 0,13%, con un incre-mento di quasi il 25%. Infatti, definita la frazione

αPGA

della PGA di domanda, l’incremento di ri-schio annuale è dato in media sul territorio na-zionale da: ∆

α=α-0,41

PGA. Un tale progetto di migliora-

mento al 60% ha dunque una probabilità annua-le di fallimento di quasi il 25% più grande di unodi adeguamento. Questa è una ragionevole con-seguenza dell’approccio seguito, però è beneche il progettista, ma soprattutto il committente,abbia piena consapevolezza di ciò.Per quanto riguarda le strategie d’intervento,queste sono di due tipi: selettive, in cui si operasu un numero limitato di elementi strutturali, eglobali, in cui si modifica l’impianto strutturalenel suo insieme, ad esempio inserendo nuovi edulteriori elementi strutturali.Ad esempio, per gli edifici in calcestruzzo arma-to, i principi ispiratori delle strategie d’interventoselettive sono:• Eliminazione di tutti i meccanismi di collasso

di tipo fragile: si deve intervenire rinforzandoa taglio gli elementi che presentano tale pro-blema; in genere sono le travi tozze, i pilastriin corrispondenza dei mezzanini delle scale,i nodi trave-pilastro;

• Eliminazione di tutti i meccanismi di collassodi piano (“piano soffice”): questo è uno deiproblemi più sentiti nel nostro parco edifici.Molte costruzioni presentano, infatti, unaconfigurazione a piano pilotis, che, perquanto appetibile dal punto di vista architet-tonico, presenta purtroppo un’elevatissimavulnerabilità nei confronti dei terremoti. E’d’obbligo ricordare che non si deve interve-nire sui pilastri del piano pilotis con l’intentodi incrementarne la capacità deformativa:ciò porta a collassi rovinosi per effetto P-del-ta;

• Aumento della capacità deformativa globa-le (duttilità) della strut-tura. Questa, ne-gli edifici incemen-to ar-

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mato, opera sulle cosiddette cerniere pla-stiche (o, più propriamente, zone dissipati-ve) che sono quelle zone di estremità deglielementi dove si dissipa, attraverso il dan-neggiamento, l’energia immessa nella co-struzione dal terremoto. Sono zone dove learmature trasversali (staffe) giocano unruolo fondamentale per assicurare un cor-retto comportamento dissipativo. Questastrategia è conseguibile in uno dei seguen-ti modi:- Incrementando la capacità rotazionale del-

le potenziali cerniere plastiche, senza va-riarne la posizione: in tal modo si mantienel’assetto strutturale esistente, conferendopiù capacità deformativa agli elementi chesi danneggiano per primi, siano essi travio pilastri. E’ una strategia di minor costo,ma richiede la verifica puntuale del com-portamento di ogni elemento in condizionisismiche;

- Rilocalizzando le potenziali cerniere plasti-che nel rispetto del criterio della gerarchiadelle resistenze: in tal modo si perseguel’obiettivo di rendere la struttura un mecca-nismo stabile ad elevata dissipazione dienergia, facendo sì che il danno si con-centri solo nelle travi e non nei pilastri,

che, notoriamente, sono dotati di minoreduttilità. E’ una strategia di maggior costo,ma richiede solo la verifica a priori del ri-spetto della gerarchia delle resistenze.

Le strategie d’intervento globali si riferisconoinvece alla modifica del comportamento d’in-sieme della costruzione. In genere, esse impli-cano interventi di una certa complessità e inva-sività, quali ad esempio l’inserimento di nuovielementi strutturali o la trasformazione di ele-menti non strutturali, quali le tamponature, inelementi strutturali. In tutti questi casi è beneessere consapevoli che l’equilibrio complessi-vo della costruzione è alterato, come anche iltrasferimento dei carichi al terreno: ognuno de-gli interventi sopra citato non potrà, infatti, pre-scindere da un’attenta verifica dell’impianto difondazione, che potrebbe divenire a sua voltaoggetto di ulteriori e più pesanti interventi dirafforzamento.Il passo finale di validazione dell’efficacia dell’in-tervento deve comprendere le seguenti attività:• Scelta motivata del tipo di intervento;• Scelta delle tecniche e/o dei materiali;• Dimensionamento preliminare dei rinforzi;• Analisi strutturale che tenga conto delle ca-

ratteristiche della struttura post-intervento.Quest’ultimo punto è di particolare importanzapoiché la valutazione della sicurezza pre e po-st-intervento è un processo quantitativo, che ri-chiede l’emissione di un giudizio sulla sicurez-za basato su dei numeri che provengono dal-l’analisi della costruzione in condizioni sismi-che. Questi numeri sono in genere misure dicapacità e misure di domanda. Si osservi co-me oggi si preferisca parlare di capacità e didomanda, piuttosto che di resistenza e di cari-chi. Si è infatti detto che la “resistenza” non èsufficiente, da sola, a descrivere la triade diproprietà che una costruzione deve avere (an-cora: rigidezza, resistenza, duttilità), mentre ladizione “carichi” esclude dal novero delle do-mande su una costruzione tutta una serie diazioni che vanno dall’accelerazione impostadal terremoto, alle varie deformazioni, sposta-menti e rotazioni che si presentano in condizio-ni sismiche. E’ bene perciò che i professionistisi abituino a definire ogni loro progetto come larealizzazione di un confronto positivo fra capa-cità e domanda.Per quanto riguarda le tecniche d’intervento chepossono essere utilizzate, la scelta di quella piùadeguata a ricondurre la costruzione in sicurez-za è a carico del professionista. E’ bene sottoli-neare che non esiste una soluzione unica perogni problema, ma un ventaglio di possibili tec-niche fra le quali scegliere quella che soddisfa ilcriterio di massimizzazione di un dato rapportobeneficio/costo. ÿ

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Copyright © Moreno Maggi Arch.G. De Carlo - Palazzo di Giustizia (Rimini)

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Quaderno

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SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO:IL PERCORSO VERSO LA CULTURA

DELLA PREVENZIONEa cura di

Ing. M. Tancioni

commissione

L’ingegneria neisistemi di gestioneintegrati

visto da:

Ing. E. Amodeo

L’andamento della Certificazione OHSAS 18001 in ItaliaNella situazione attuale di crisi che il mondo imprenditoriale sta vivendo, il rilancio della competitivitàdelle imprese non può non fare leva sugli aspetti relativi alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro(SSL). Secondo la banca dati Accredia a gennaio 2014 le aziende pubbliche e private in possessodi un sistema di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) certificato conforme alla normaOHSAS 18001 sono 11.516 (+53% rispetto a marzo 2012). In particolare preme evidenziare che taletrend positivo ha interessato specialmente le aziende localizzate nelle regioni Lombardia, Veneto,Emilia Romagna e Piemonte ed i settori IAF 31A (Logistica: trasporti, magazzinaggio e spedizioni) e28 (costruzioni). Tale incremento, rilevante, ma non certo esaustivo del sistema impresa, evidenziacome la diffusione della cultura della sicurezza, al fine di promuovere l’innovazione e di generareuna vera trasformazione del mondo del lavoro, è ormai al centro della sensibilità e dell’attenzione ditutte le parti interessate. La diffusione dei SGSL può ricondursi a due aspetti principali: l’efficacia ditali modelli nella prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e l’introduzione dei reati le-gati alla sicurezza sul lavoro nel novero di quelli punibili ai sensi del D.Lgs. 231/01.

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L’aproccio alla ssl del sistema impresa ItaliaPer analizzare l’approccio alla SSL delle impre-se italiane è utile richiamare alcuni elementiemersi dall’indagine condotta dal Censis e Ac-credia su un campione di 1.000 imprese rap-presentative dei comparti manifatturiero, edilee trasporti e magazzinaggio, all’interno delquale 352 imprese sono in possesso di un SG-SL certificato OHSAS 18001 (cfr. OsservatorioAccredia 1/2012). L’indagine evidenzia che lamaggioranza delle imprese concorda sull’asso-luta necessità di un forte Commitment dei verti-ci aziendali nei confronti del tema, ma esisteuna differenza di approccio generale tra leaziende certificate OHSAS 18001 e le aziendeche non lo sono:• le aziende che hanno implementato un per-

corso finalizzato all’ottenimento della certifi-cazione sembrano accettare maggiormenteil costo e la complessità legata alle normein materia di SSL;

• le aziende con SGSL risultano avere un at-teggiamento più critico, costruttivo e attentonei confronti del miglioramento del sistemasicurezza;

• le aziende che non operano secondo unoschema OHSAS hanno dichiarato che lascelta di non procedere alla certificazione èriconducibile principalmente al fatto chenon la ritengano adeguata all’organizzazio-ne e solo secondariamente ad aspetti di ti-po economico;

• le aziende con SGSL certificato hanno di-chiarato che le motivazioni principali dellascelta intrapresa sono legate a: competiti-vità, richieste dei clienti, possibilità di usu-fruire di sconti sui premi assicurativi INAIL elimitazioni di responsabilità (art. 30 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.).

Punti di attenzione nel percorso delmiglioramentoPer poter proseguire nel percorso verso la cul-tura della prevenzione è necessario che leaziende dotate di un SGSL riconoscano il ruolofondamentale degli Organismi di certificazione,in grado di effettuare un’attenta analisi delle mi-sure messe in atto ed indicare eventuali criti-cità. Per tale ragione preme evidenziare qualisiano le principali criticità che emergono du-rante le attività di audit effettuate dagli organi-smi di certificazione:• Incompletezza del DVR;• Mancata individuazione dei rischi specifici

per mansione e congruenza con la sorve-glianza sanitaria;

• Inadeguatezza di impianti e infrastrutture;• Organigramma della Sicurezza spesso non

coerente con la realtà;

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Per quanto riguarda il primo (cfr. OsservatorioAccredia 1/2012) l’INAIL ha effettuato un atten-to confronto, nel triennio 2007-2009, tra gli indi-ci infortunistici delle aziende che hanno adotta-to un SGSL accreditato Accredia con le omolo-ghe per settore produttivo e territorio di appar-tenenza (banca dati INAIL). In tutti i gruppi incui il campione di imprese certificate risulta es-sere statisticamente rappresentativo è stato ri-scontrato un generalizzato abbattimento degliindici infortunistici a dimostrazione dell’effica-cia che i SGSL hanno nella prevenzione di talieventi.

0 Attività varie - 21 - 151 Lavorazioni agricole - -2 Chimica - 26 - 453 Costruzioni - 33 - 424 Energia, acqua e gas - 32 - 335 Legno - 34 - 736 Metallurgia - 6 - 187 Mineraria - 43 - 518 Industrie tessili - 64 - 409 Trasporti - 13 - 32

Dati in complesso - 27 - 35*Osservatorio Accredia 1/2012 – Dati INAIL

GG Settori Indice di Indice diTariffa frequenza gravità

(%) (%)

Per il secondo l’estensione della “responsabi-lità amministrativa” ai reati legati alla SSL hadestato l’attenzione da parte delle imprese so-prattutto con riferimento alle pesanti sanzionipreviste. Per non esporsi a tali sanzioni la for-mulazione dell’art. 30 D.Lgs. 81/08, che ha in-dicato la BS OHSAS 18001 e le Linee GuidaUNI-INAIL come modelli che, per le parti corri-spondenti, sono presunti conformi ai requisiti ri-chiesti dal modello di organizzazione, gestionee controllo (MOG) idoneo a prevenire reati rela-tivi alla SSL, ha indotto le aziende ad intrapren-dere il percorso dell’adozione di un SGSL. Im-plementare ed attuare efficacemente un SGSL,integrato con un sistema disciplinare e un or-ganismo di vigilanza, significa disporre, quindi,di un modello organizzativo che può “usufrui-re”, in occasione di un infortunio grave, dell’ef-ficacia esimente, ossia la non punibilità dell’en-te interessato dall’evento. Dopo sei anni dall’in-troduzione di questa norma sono state pronun-ciate le prime sentenze che hanno ulteriormen-te indirizzato l’operato degli addetti ai lavori erisvegliato l’attenzione del mondo imprendito-rial: sentenza Corte di Assise di Torino (Thys-senKrupp) del 15/04/11 e sentenza Tribunale diCagliari n.1188/11 del 4/07/11.

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• Incompletezza di Politica/Obiettivi e Pro-grammi per la SSL;

• Scarsa applicazione della documentazionedi Sistema.

Come si evince la maggior parte degli aspettiriscontrati, oltre ad evidenziare ancora lacunesugli aspetti cogenti, pone l’attenzione sullascarsa congruenza tra l’operatività della singo-la impresa e quanto rappresentato dalla struttu-ra documentale del Sistema. Occorre, pertan-to, che le imprese concentrino la propria atten-zione su azioni che mirino ad eseguire uncheck up sugli aspetti cogenti, coinvolgere ilpersonale aziendale nella predisposizione del-la documentazione di sistema, predisporre do-cumenti di sistema snelli e flessibili e utilizzarel’audit come strumento di monitoraggio del si-stema.

Incentivi per il percorso verso la cultura dellaprevenzionePer proseguire nel percorso che porta alla cul-tura della prevenzione in un periodo di crisieconomica, dove ogni investimento giudicatonon urgente alla produzione (o all’erogazionedel servizio) è troppo spesso posto in secondoordine, è necessario fornire al sistema impresadegli strumenti che diano un ulteriore slancioallo sviluppo della sicurezza, supportando leimprese che hanno adottato uno schema OH-SAS 18001 nel percorso di miglioramento e fa-cilitando i percorsi di accesso all’applicazionedelle norme e alla predisposizione di un siste-ma di sicurezza certificato da parte di quelleimprese che ritengono il percorso della certifi-cazione non adeguato per la propria organiz-zazione.In quest’ottica è necessario segnalare l’impe-

gno da parte dell’INAIL che negli ultimi anni haposto in essere due strumenti per sostenere gliinvestimenti in materia di prevenzione: lo scon-to sul premio assicurativo e il sostegno econo-mico alle imprese.Il primo di questi strumenti è costituito dalla ri-duzione del premio assicurativo INAIL. Questosconto sul premio assicurativo è riservato alleaziende, attive da almeno due anni, che abbia-no realizzato, nell’anno precedente alla richie-sta, iniziative volte a migliorare i livelli di salute,sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro aggiunti-vi rispetto a quelli minimi previsti dalla normati-va in materia.Si tratta dello sconto per prevenzione denomi-nato “Oscillazione del tasso per prevenzione”(OT24) e viene riconosciuto in misura propor-zionale, in relazione alla dimensione dell’azien-da e più in particolare al numero dilavoratori/anno del periodo, secondo i criteristabiliti dal decreto ministeriale 3/12/10, che hariscritto il testo dell’articolo 24 del decreto mini-steriale 12/12/00 (da un 7% fino al 30 % per leaziende con un numero di lavoratori/anno infe-riore a 10). Tra gli interventi previsti dall’INAILun percorso preferenziale è riservato all’adozio-ne di un SGSL.Il secondo strumento consiste nel finanziare,parzialmente a fondo perduto, le imprese perl’implementazione di progetti che comportano ilmiglioramento della SSL. Tale azione intrapresadall’INAIL è ormai giunta nel 2014 alla 4° edi-zione con il bando ISI 2013 aumentando le ri-sorse messe a disposizione a 307 milioni. An-che nel 2014 l’adozione e la certificazione di unSGSL, e l’adozione di un MOG ex D.Lgs. n.231/01 sono stati inseriti tra i progetti finanzia-bili. ÿ

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Copyright © Moreno Maggi Arch. Massimiliano e Doriana Fuksas - Fiera di Milano - Rho-Pero (Milano)

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CLOUD COMPUTING,SICUREZZA NELLE APPLICAZIONI

E PROBLEMATICHE CONTRATTUALI

a cura di

Ing. L. PrinziIng. F. Arcieri

commissione

eGovernment

visto da:

Ing. C. FanigliuloIng. G. D’Agnese

CLOUD Computing

Principali modelli originari.Il CLOUD Computing, caratteristico oggi del mondo delle imprese, è dal punto di vista tecnologi-co, l’evoluzione di concetti e tecnologie sviluppati in progetti di aggregazione di centri di supercal-colo con accesso tramite tecnologie web ed uso di tecniche di virtualizzazione (modello GridComputing) e, dal punto di vista dell’accessibilità per gli utilizzatori alle risorse di calcolo e di me-moria, è il modello di business che risponde alle loro istanze rendendo disponibili dette risorseinformatiche in modo distribuito come commodities, alla stregua delle Utilities telefonica, elettricae così via (modello detto Utility Computing).Il principale fattore abilitante del CLOUD computing, oltre alla disponibilità di collegamenti a ban-da larga ed ultralarga, è la virtualizzazione, in quanto consente al provider del CLOUD compu-ting la necessaria flessibilità per spostare ed allocare le risorse del computer richieste dall’utente,dovunque le risorse fisiche siano disponibili.

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MODELLI DI SERVIZIO NEL CLOUDMODELLI DI EROGAZIONE NEL CLOUD

Problemi di sicurezza informatica e impattosul CLOUD computingGli organismi internazionali sia degli USA checomunitari (v. l’E-Government Act degli USA ei documenti di ENISA, European Network andInformation Security Agency) definiscono la si-curezza come la capacità di proteggere leinformazioni e il sistema da accessi, utilizzi, co-

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La virtualizzazione consiste nell’uso di macchi-ne virtuali, VM, ossia di server, computer virtua-li che eseguono programmi come server, com-puter fisici, in virtù dell’implementazione di unsoftware (ipervisore) unico per una molteplicitàdi esse. Ogni VM include il proprio sistemaoperativo, librerie di supporto ed applicazioni.Il disaccoppiamento della VM, ossia l’astrazio-ne dall’hardware sottostante consente alla stes-sa VM di iniziare il funzionamento su differentimacchine fisiche.Gli outsourcer, ai quali le imprese e la PA si ri-volgono, sono fornitori che si avvalgono di unlimitato numero di Data Center, ma di ampiacapacità, in cui c’è una concentrazione di risor-se IT, accessibili via Internet (od Intranet nelcaso di Private CLOUD), che costituisconoquel paradigma di erogazione di servizi ICTuniversalmente denominato CLOUD.La flessibilità e la semplicità con cui è possibileconfigurare i sistemi in CLOUD ne rende possi-bile un dimensionamento "elastico", ossia ade-guato alle esigenze specifiche secondo un ap-proccio basato sull'utilizzo. Esistono vari mo-delli di erogazione del servizio CLOUD richie-sto da un utilizzatore, come mostra la tabella ri-portata sopra.A seconda poi delle esigenze dell'utente in ordi-ne al tipo di servizio informatico richiesto, sulmercato sono disponibili varie soluzioni diCLOUD computing, sia in ambiente CLOUD pri-vata che pubblica, che ricadono in linea di mas-sima in tre categorie, o "modelli di servizio", dicui si dà di seguito una sintetica descrizione.

Private cloud: un'infrastruttura ICT dedicata aiservizi richiesti da una singola organizzazione. Sitratta quindi in sostanza di un tradizionale centrodi elaborazione dati (data center), nel quale perògrazie a tecniche di virtualizzazione si conseguelʼottimizzazione in fatto di uso delle risorse disponi-bili.Public cloud, l'infrastruttura, invece, è di pro-prietà di un fornitore specializzato nella fornituradi servizi, il quale mette a disposizione di consu-matori finali le relative risorse informatiche, chevengono quindi condivise tra loro. La veicolazionedi tali servizi avviene tramite la rete Internet e im-plica il trasferimento delle operazioni di trattamen-to dei dati ai sistemi del fornitore del servizio, ilquale assume pertanto un ruolo importante in or-dine all'efficacia della protezione dei dati che glisono stati affidati. Insieme ai dati, l'utente cedeuna parte importante del controllo esercitabile sudi essi.Hybrid cloud, dove i servizi erogati da infrastruttu-re private coesistono con servizi acquisiti da cloudpubblici.

Software as a Service, ossia SaaS. Un fornitorecloud può fornire lʼaccesso a proprie applicazionisoftware, quali E-mail, backup, o strumenti di pro-duttività nellʼufficio (ad esempio elaborazione di fo-gli di calcolo o di testi, gestione del protocollo), nelqual caso si parla di modello di servizio SaaS. Lafornitura, via web, si configura per il cliente cloudcome alternativa ai tradizionali software applicativiinstallati sui propri sistemi locali di traffico.Al cliente non compete, né sarebbe possibile ri-spettivamente la gestione ed il controllo dellʼinfra-struttura cloud, sia per quanto riguarda lʼhardwareche il software a tutti i livelli, da quello base a quel-lo applicativo.Google Mail è un buon esempio di SaaS, che con-sente allʼutente di accedere, attraverso il browser,al servizio di E-mail reso disponibile da Google inmaniera condiviso come un servizio di cui tuttipossono fruire, senza la necessità di disporre diun programma di posta elettronica installato sulproprio PC.

Platform as a Service, ossia PaaS. Oppure il for-nitore può mettere a disposizione dei clienti cloudvia Internet un ambiente costituito da linguaggi diprogrammazione e software intermedi (middlewa-re) nel quale essi possano sviluppare, far funzio-nare e gestire propri programmi applicativi, e sitratta allora del modello PaaS. Il cliente non ha po-tere sulla gestione e sul controllo dellʼinfrastrutturacloud (rete, server, sistemi operativi, memorie dimassa) sottesa dalla piattaforma software resaglidisponibile, ma mantiene il controllo sulle applica-zioni software da lui sviluppate e possibilmentesulle configurazioni dellʼambiente che ospita le ap-plicazioni.

Infrastructure as a Service, ossia IaaS. Infinepuò fornire ai clienti accesso di rete, solitamentevia Internet, alle funzioni di elaborazione dati, diarchiviazione su memorie di massa, alle reti e adaltre fondamentali risorse informatiche, quale al-ternativa ai loro sistemi computazionali aziendali.Si tratta del modello IaaS e grazie alla disponibi-lità, in termini di servizio fruito, delle suddette infra-strutture, il cliente cloud è in grado di sviluppare efar girare, sulla macchina virtuale fornitagli,software di ogni tipo, dai sistemi operativi ad ap-plicazioni software.Il cliente cloud in questo caso non può né gestire,né controllare lʼinfrastruttura fisica del cloud sotto-stante, ma ha il controllo sui propri sistemi operati-vi, sullʼarchiviazione dei dati e sui software appli-cativi da lui sviluppati, e talora il controllo seppurelimitato sui componenti selezionati del networking,tra cui ad esempio gli host firewall.

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municazioni, modifiche o distruzioni non auto-rizzati e di gestire la risposta e il recupero incaso di guasti o incidenti.Resilienza[1]e[2] è la capacità di un sistema (re-te, servizio, infrastruttura, ecc.) di fornire e dimantenere un accettabile livello di servizio ri-spetto a vari incidenti e problemi che possonoavvenire nel corso delle normali operazioni.I danni di incidenti legati alla mancanza di si-curezza possono essere notevoli e, nell’ambitodei servizi di CLOUD computing, non una nuo-va tecnologia, bensì un nuovo modo di erogareservizi IT con modalità web based, la sfida del-la cybersecurity, volta a garantire la sicurezzadei sistemi ICT e dell’informazione, è ancorapiù complessa a causa della natura distribuitadelle risorse informatiche in ambiente CLOUD.Sul fronte inoltre della privacy, in ambienteCLOUD risulta più complicata la tutela normati-va della persona interessata, essendo innanzi-tutto spesso controversa la fissazione della legi-slazione competente e l’accertamento del ruolodi “controller” (responsabile del trattamento) o di“processor” (incaricato del trattamento) ai sensidell’art. 2 della direttiva 95/46/CE, svolti, in lineagenerale, rispettivamente dal cliente CLOUD edal provider CLOUD.Secondo l’ENISA le maggiori preoccupazioniper l’adozione dei servizi CLOUD Computing,specialmente per quanto riguarda i modelli dierogazione di Public od Hybrid CLOUD nutritedalle PMI, riguardano gli aspetti della sicurezzain ordine a perdita di riservatezza, disponibilità,integrità e perdita di controllo sui dati, nonchéquelli legati alla protezione dei dati personalied alla disomogeneità dei requisiti legali impo-sti dalla normativa della privacy comunitaria edextra-europea.Invero la distribuzione delle risorse informati-che in ambiente CLOUD su più siti e la loro al-locazione dinamica a seconda delle richiestedei clienti CLOUD che le condividono e deiconseguenti carichi di lavoro, genera problemidi security nuovi rispetto a quelli che comporta-no i tradizionali sistemi informativi.E’ pur vero, peraltro, che il CLOUD Provider

può garantire standard di sicurezza superiorigrazie ad investimenti ingenti, rispetto ai tradi-zionali Data Center, con ricorso ad architettureridondate e geograficamente distribuite e piùsofisticati sistemi di monitoraggio automatizzatidella regolarità e disponibilità degli accessi al-le risorse rese disponibili agli utenti.

Clausole contrattuali tra provider e cliente

ContrattiIn ambito contrattuale occorre considerare laspecificità del CLOUD Computing, che consi-ste nella fornitura di servizi, piuttosto che diprodotti ICT o licenze software, nonché i diffe-renti tipi di erogazione e modello di servizio edinfine il tipo dei dati che migrano nella nuvola.L’Accordo di servizio regola il rapporto contrat-tuale tra provider CLOUD e Cliente CLOUD econtiene clausole e regole che trattano i se-guenti aspetti:• SLA (Service Level Agreement): un accor-

do formale tra il provider ed il cliente, in cuisono riportati parametri ed obiettivi concor-dati tra le parti, denominati SLA (es. massi-mo tempo di latenza, disponibilità e cosìvia) e relative modalità di misurazione, stru-menti di reporting e penali.

• Modello di pricing applicato, del tipo“pay as you go” con conseguente con-versione da costi del tipo CAPEX a costiOPEX sostenuti dal cliente CLOUD, moda-lità di pagamento e fatturazione.

• Aspetti regolatori: policy di sicurezza. Ilcliente CLOUD deve accertarsi che il provi-der offra garanzie di tutela dei dati conformia quanto previsto dal diritto comunitario, nelcaso di migrazione del patrimonio dei datipersonali consegnatogli in un paese chenon offra un livello di protezione adeguatoalle norme comunitarie.

• Business Continuity e Disaster recovery.Il cliente dovrebbe far includere nell’Accor-do misure protettive nei confronti di eventua-li rischi per la business continuity, tra cui:- la predisposizione di un sito geografica-

mente separato con transizione senza di-scontinuità nell’eventualità di un disasterrecovery.

- capacità di intervento del provider adesempio con dispositivi di Uninterrupti-ble Power Supply e generatori di back-up.

• Lock- in ed exit. Oltre al rischio di un’in-sufficiente governance dei processi, tipicadell’ambiente CLOUD, il cliente corre il co-siddetto rischio di lock-in, ossia di “impri-gionamento della domanda” (la sua), non

Figura 1 - CLOUDComputing:

schematizzazione

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solo per effetto di vincoli contrattuali, maanche del sostenimento di costi eccessivi,nel caso egli scelga di abbandonare l'am-biente CLOUD e tornare ai servizi “in hou-se”, oppure cambiare fornitore CLOUD.

• Processi e procedure previsti in fase diterminazione del contratto e restituzionedei dati all’uscita. Deve essere prevista laclausola di recesso dal contratto nel caso ilprovider (termination for default) non sia ingrado di soddisfare i requisiti fondamentalidi servizio riportati nell’Accordo.

• Sub-appaltatori. Nel caso il provider su-bappalti la fornitura del servizio CLOUD adaltri soggetti, investendoli ad esempio difunzioni di sub-trattamento dati, il cliente, aifini della protezione dei propri dati informati-vi, deve concordare nell’Accordo una clau-sola che preveda che detti soggetti si obbli-ghino contrattualmente con quest’ultimo asoddisfare gli stessi requisiti, nel settoredella sicurezza, del provider.

L’ingegnere dell’informazioneper il CLOUDLa complessità dei sistemi CLOUD che abbia-mo sinteticamente descritto si riflette in mododeterminante sulla necessità che le attività dianalisi dei requisiti, di scelta dei modelli di ser-vizio, di definizione dei requisiti contrattuali, diprogettazione delle soluzioni, di verifica sull’e-secuzione progettuale siano in carico a profes-sionisti dotati sia delle conoscenze tenciche,sia della capacità di calare il progetto nell’am-

bito del quadro socio-economico e normativocontingente.Queste professionalità sono tipiche della figuradell’ingegnere dell’informazione (fig 2), per laquale l’Ordine degli Ingegneri della Provincia diRoma ha un rappresentante dedicato nel Con-siglio e ha costituito commissioni specifichecon l’obiettivo primario di diffondere e promuo-vere la professione dell’Ingegnere dell’Informa-zione e delle professionalità legate alle attivitànell’ambito ICT sia a livello provinciale, che re-gionale e nazionale. Ciò attraverso l'aggiorna-mento professionale non solo tecnico ma an-che relativo alla normativa ed agli istituti e allemetodologie giuridiche ed economiche nelcampo dell'ICT, in modo che i soggetti operantiin tali attività forniscano adeguate garanzie intermini di competenza, di formazione, di se-rietà morale e professionale. ÿ

1 The ability to reduce the magnitude and/or duration ofdisruptive events to critical infrastructure. The effec-tiveness of a resilient infrastructure or enterprise de-pends upon its ability to anticipate, absorb, adapt to,and/or rapidly recover from a potentially disruptiveevent.[SOURCE: National Infrastructure AdvisoryCouncil, “Critical Infrastructure Resilience Final Reportand Recommendations, September 8, 2009 ].

2 The ability of a system to provide and maintain an ac-ceptable level of service in the face of faults (uninten-tional, intentional, or naturally caused) [Source: ENISA,“Benefits, risks and recommendations for informationsecurity”, novembre 2009].Si parla “multi-tenant model” per i servizi CLOUD, ba-sato sulla condivisione di dati tra diversi clientiCLOUD, che rendendo non fisica, bensì virtuale la se-parazione dei rispettivi ambienti può dar luogo a criti-cità circa la riservatezza dei dati di ciascuno di loro.

Figura 2 - La figuradell’ingegneredell’informazione per ilCLOUD a tutela dellastabilità/efficacia delsistema

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Quaderno

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Generalità e riferimenti normativiL’esigenza di introdurre criteri finalizzati alla valutazione del grado di affidabilità delle imprese edei lavoratori autonomi, in ordine alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, tema peraltro diconsiderevole rilevanza economica e sociale, trova specifica attuazione con l’entrata in vigore delTesto Unico per la Sicurezza (D.Lgs. 81 del 09/04/2008) nella cui originale stesura, di seguito ri--

LA QUALIFICAZIONE DELLE IMPRESEE DEI LAVORATORI AUTONOMI

Excursus legislativo sulla “Patente a Punti” in edilizia

a cura di

Ing. S. BarbaneraIng. A. CoppolaIng. M. Di Pasquale

commissione

Sicurezza nei cantieritemporanei e mobili

visto da:

Ing. M. InnocentiIng. M. Cerri

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quale è stato così riformulato (evidenziate le par-ti oggetto di modifica e integrazione):

Art. 27 – Sistema di qualificazione delle imprese edei lavoratori autonomi1. Nell’ambito della Commissione di cui all’articolo

6, anche tenendo conto delle indicazioni prove-nienti da organismi paritetici, vengono individuatisettori, ivi compreso il settore della sanificazio-ne del tessile e dello strumentario chirurgico, ecriteri finalizzati alla definizione di un sistema diqualificazione delle imprese e dei lavoratori auto-nomi, con riferimento alla tutela della salute e si-curezza sul lavoro, fondato sulla base della spe-cifica esperienza, competenza e conoscenza,acquisite anche attraverso percorsi formativi mi-rati, e sulla base delle attività di cui all’articolo21, comma 2, nonché sulla applicazione di de-terminati standard contrattuali e organizzativinell’impiego della manodopera, anche in rela-zione agli appalti e alle tipologie di lavoro flessi-bile, certificati ai sensi del titolo VIII, capo I, deldecreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

1-bis. Con riferimento all’edilizia, il sistema di quali-ficazione delle imprese e dei lavoratori autono-mi si realizza almeno attraverso la adozione ediffusione, nei termini e alle condizioni indivi-duati dal decreto del Presidente della Repubbli-ca di cui all’articolo 6, comma 8, lettera g), diuno strumento che consenta la continua verifi-ca della idoneità delle imprese e dei lavoratoriautonomi, in assenza di violazioni alle disposi-zioni di legge e con riferimento ai requisiti previ-sti, tra cui la formazione in materia di salute esicurezza sul lavoro e i provvedimenti impartitidagli organi di vigilanza. Tale strumento operaper mezzo della attribuzione alle imprese ed ailavoratori autonomi di un punteggio iniziale chemisuri tale idoneità, soggetto a decurtazione aseguito di accertate violazioni in materia di sa-lute e sicurezza sul lavoro. L’azzeramento delpunteggio per la ripetizione di violazioni in ma-teria di salute e sicurezza sul lavoro determinal’impossibilità per l’impresa o per il lavoratoreautonomo di svolgere attività nel settore edile.

2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1-bis, che potrà, con le modalità ivi previste, es-sere esteso ad altri settori di attività individuaticon uno o più accordi interconfederali stipulatia livello nazionale dalle organizzazioni sindacalidei datori di lavoro e dei lavoratori comparati-vamente più rappresentative, il possesso dei re-quisiti per ottenere la qualificazione di cui alcomma 1 costituisce elemento preferenziale perla partecipazione alle gare relative agli appalti esubappalti pubblici e per l’accesso ad agevola-zioni, finanziamenti e contributi a carico della fi-nanza pubblica, sempre se correlati ai medesimiappalti o subappalti.

2-bis. Sono fatte salve le disposizioni in materia diqualificazione previste dal decreto legislativo 12aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni.

È dunque con il D.Lgs. 106/2009 che viene in-trodotto per la prima volta, seppur limitatamen-

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portata, l’argomento è disciplinato dall’art. 6,comma 8, lettera g), con il quale il legislatoredemanda alla Commissione consultiva perma-nente per la salute e sicurezza sul lavoro ilcompito di definire un siffatto sistema di qualifi-cazione, da rendere effettivo con Decreto delPresidente della Repubblica; mentre con l’art.27 ne delinea sommariamente contenuti e am-biti di applicazione.

Art. 6 – Commissione consultiva permanente per lasalute e sicurezza sul lavoro8. La Commissione consultiva permanente per la sa-lute e sicurezza sul lavoro ha il compito di:(…)g) definire criteri finalizzati alla definizione del siste-

ma di qualificazione delle imprese e dei lavorato-ri autonomi di cui all’articolo 27. Il sistema di qua-lificazione delle imprese è disciplinato con decre-to del Presidente della Repubblica, acquisito ilparere della Conferenza per i rapporti permanen-ti tra lo Stato, le regioni e le province autonome diTrento e di Bolzano, da emanarsi entro dodicimesi dalla data di entrata in vigore del presentedecreto;

(...)

Art. 27 – Sistema di qualificazione delle imprese edei lavoratori autonomi1. Nell’ambito della Commissione di cui all’articolo

6, anche tenendo conto delle indicazioni prove-nienti da organismi paritetici, vengono individuatisettori e criteri finalizzati alla definizione di un si-stema di qualificazione delle imprese e dei lavo-ratori autonomi, con riferimento alla tutela dellasalute e sicurezza sul lavoro, fondato sulla basedella specifica esperienza, competenza e cono-scenza, acquisite anche attraverso percorsi for-mativi mirati.

2. Il possesso dei requisiti per ottenere la qualifica-zione di cui al comma 1 costituisce elemento vin-colante per la partecipazione alle gare relativeagli appalti e subappalti pubblici e per l’accessoad agevolazioni, finanziamenti e contributi a cari-co della finanza pubblica, sempre se correlati aimedesimi appalti o subappalti.

In sintesi, dunque, il D.Lgs. 81/2008 stabilisceil principio che le imprese e i lavoratori autono-mi che partecipino a gare per l’affidamento diappalti pubblici o che intendano accedere a fi-nanziamenti o agevolazioni debbano dimostra-re il possesso di requisiti in materia di salute esicurezza sul lavoro in conformità a quanto sta-bilito da specifico D.P.R. che si sarebbe dovutoemanare nei dodici mesi dall’entrata in vigoredel il D.Lgs. 81/2008.Tuttavia, nelle more e oltre il termine dei dodicimesi previsto, sono intervenute le disposizioniintegrative e correttive del D.Lgs. 81/2008, ema-nate il 03/08/2009 con il D.Lgs. 106, che hannomodificato sostanzialmente l’art. 27 succitato, il

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te al settore edile, il concetto di “attribuzione diun punteggio iniziale” alle imprese “soggettoa decurtazione a seguito di accertate viola-zioni in materia di salute e sicurezza sul lavo-ro” e il cui azzeramento determina per il sog-getto interessato l’impossibilità di svolgere atti-vità in detto settore.Il sistema descritto, la cd. Patente a punti, hapoi preso forma nel recente schema del regola-mento per la qualificazione delle imprese, piùavanti trattato.È peraltro interessante notare come, in settoridiversi dall’edile, il possesso dei requisiti d’ido-neità non costituisca più ora elemento vinco-lante per la partecipazione alle gare relativeagli appalti e subappalti pubblici e per l’acces-so ad agevolazioni, finanziamenti e contributipubblici, ma soltanto preferenziale.Ulteriori, importanti modifiche in ordine all’attri-buzione di competenze ed in un’ottica di sem-plificazione, sono state infine apportate dallaLegge 98 del 09/08/2013 (conversione in leggedel D.L. 69/2013, cd. “decreto del fare”) ai cita-ti artt. 6 e 27 (evidenziate le parti oggetto dimodifica e integrazione):

Art. 6 – Commissione consultiva permanente per lasalute e sicurezza sul lavoro8. La Commissione consultiva permanente per la

salute e sicurezza sul lavoro ha il compito di:(…)g) discutere in ordine ai criteri finalizzati alla defini-

zione del sistema di qualificazione delle impresee dei lavoratori autonomi di cui all’articolo 27. Ilsistema di qualificazione delle imprese è discipli-nato con decreto del Presidente della Repubbli-ca su proposta del Ministro del lavoro e dellepolitiche sociali, acquisito il parere della Confe-renza per i rapporti permanenti tra lo Stato, le re-gioni e le province autonome di Trento e di Bolza-no, da emanarsi entro dodici mesi dalla data dientrata in vigore del presente decreto;

(...)

Art. 27 – Sistema di qualificazione delle imprese edei lavoratori autonomi1. Con il decreto del Presidente della Repubblica

di cui all’articolo 6, comma 8, lettera g), sono in-dividuati settori, ivi compreso il settore della sani-ficazione del tessile e dello strumentario chirurgi-co, e criteri finalizzati alla definizione di un siste-ma di qualificazione delle imprese e dei lavorato-ri autonomi, con riferimento alla tutela della salutee sicurezza sul lavoro, fondato sulla base dellaspecifica esperienza, competenza e conoscen-za, acquisite anche attraverso percorsi formativimirati, e sulla base delle attività di cui all’articolo21, comma 2, nonché sulla applicazione di deter-minati standard contrattuali e organizzativi nel-l’impiego della manodopera, anche in relazioneagli appalti e alle tipologie di lavoro flessibile,certificati ai sensi del titolo VIII, capo I, del decre-

to legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e suc-cessive modificazioni.

(...)

Si è voluto in tal modo rafforzare il ruolo del Mi-nistero del Lavoro, alleggerendo quello dellaCommissione consultiva, la cui inerzia decisio-nale sul punto in questione ha di fatto impedito,per circa quattro anni, di giungere alla defini-zione dei criteri inizialmente ad essa demanda-ti.In tale quadro normativo in continua evoluzio-ne, si è giunti finalmente nel novembre 2013 alrilascio dello schema di Regolamento che, almomento della stesura del presente articolo, sitrova all’esame degli organi competenti in vistadella sua emanazione.

Lavori in ambienti sospetti di inquinamento oconfinatiPrima però di esaminare più in dettaglio loschema di Regolamento, occorre ricordare chenel settore di cui al titolo del presente para-grafo, l’esigenza di determinare uno strumentoidoneo a qualificare le imprese e i lavoratori au-tonomi, ha portato all’emanazione del D.P.R177 del 14/09/2011 recante “Norme per laqualificazione delle imprese e dei lavoratoriautonomi operanti in ambienti sospetti di in-quinamento o confinati”, fissando i requisitidei soggetti coinvolti:

Art. 1 - Finalità e ambito di applicazione1. In attesa della definizione di un complessivo si-

stema di qualificazione delle imprese e dei lavo-ratori autonomi, come previsto dagli articoli 6,comma 8, lettera g), e 27 del decreto legislativo9 aprile 2008, n. 81, il presente regolamento di-sciplina il sistema di qualificazione delle impresee dei lavoratori autonomi destinati ad operare nelsettore degli ambienti sospetti di inquinamento oconfinati, quale di seguito individuato.

(…)

Art. 2 – Qualificazione nel settore degli ambientisospetti di inquinamento o confinati1. Qualsiasi attività lavorativa nel settore degli am-

bienti sospetti di inquinamento o confinati puòessere svolta unicamente da imprese o lavoratoriautonomi qualificati in ragione del possesso deiseguenti requisiti:

a) integrale applicazione delle vigenti disposizioniin materia di valutazione dei rischi, sorveglianzasanitaria e misure di gestione delle emergenze;

b) integrale e vincolante applicazione anche delcomma 2 dell'articolo 21 del decreto legislativo 9aprile 2008, n. 81, nel caso di imprese familiari elavoratori autonomi;

c) presenza di personale, in percentuale non infe-riore al 30 per cento della forza lavoro, con espe-rienza almeno triennale relativa a lavori in am-

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bienti sospetti di inquinamento o confinati, assun-ta con contratto di lavoro subordinato a tempo in-determinato ovvero anche con altre tipologiecontrattuali o di appalto, a condizione, in questaseconda ipotesi, che i relativi contratti siano statipreventivamente certificati ai sensi del Titolo VIII,Capo I, del decreto legislativo 10 settembre2003, n. 276. Tale esperienza deve essere ne-cessariamente in possesso dei lavoratori chesvolgono le funzioni di preposto;

d) avvenuta effettuazione di attività di informazionee formazione di tutto il personale, ivi compreso ildatore di lavoro ove impiegato per attività lavora-tive in ambienti sospetti di inquinamento o confi-nati, specificamente mirato alla conoscenza deifattori di rischio propri di tali attività, oggetto diverifica di apprendimento e aggiornamento. Icontenuti e le modalità della formazione di cui alperiodo che precede sono individuati, compati-bilmente con le previsioni di cui agli articoli 34 e37 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, en-tro e non oltre 90 giorni dall'entrata in vigore delpresente decreto, con accordo in Conferenzapermanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni ele province autonome di Trento e di Bolzano, sen-tite le parti sociali;

e) possesso di dispositivi di protezione individuale,strumentazione e attrezzature di lavoro idonei allaprevenzione dei rischi propri delle attività lavora-tive in ambienti sospetti di inquinamento o confi-nati e avvenuta effettuazione di attività di adde-stramento all'uso corretto di tali dispositivi, stru-mentazione e attrezzature, coerentemente con leprevisioni di cui agli articoli 66 e 121 e all'allega-to IV, punto 3, del decreto legislativo 9 aprile2008, n. 81;

f) avvenuta effettuazione di attività di addestramen-to di tutto il personale impiegato per le attività la-vorative in ambienti sospetti di inquinamento oconfinati, ivi compreso il datore di lavoro, relativa-mente alla applicazione di procedure di sicurez-za coerenti con le previsioni di cui agli articoli 66e 121 e dell'allegato IV, punto 3, del decreto legi-slativo 9 aprile 2008, n. 81;

g) rispetto delle vigenti previsioni, ove applicabili, inmateria di Documento unico di regolarità contri-butiva;

h) integrale applicazione della parte economica enormativa della contrattazione collettiva di setto-re, compreso il versamento della contribuzioneall'eventuale ente bilaterale di riferimento, ove laprestazione sia di tipo retributivo, con riferimentoai contratti e accordi collettivi di settore sottoscrit-ti da organizzazioni dei datori di lavoro e dei la-voratori comparativamente più rappresentativesul piano nazionale.

(…)

Lo schema di regolamento della patente apuntiCome accennato, nel novembre del 2013 ilPresidente della Repubblica ha emanato loschema di Regolamento, finalizzato alla defini-zione delle modalità di funzionamento della pa-

tente a punti e di attribuzione di un punteggioiniziale per imprese e lavoratori autonomi ope-ranti nei vari settori tra cui quello edile.Vediamo le caratteristiche principali della pa-tente a punti, come previsto dal citato schemadi regolamento.Il punteggio, inserito in un apposito riquadrodel DURC, attesterà l’idoneità di un’impresa odi un lavoratore autonomo a svolgere l’attivitàedilizia. Eventuali sanzioni per violazioni com-porteranno una decurtazione del punteggio, dicui le Amministrazioni aggiudicatrici dovrannotenere conto nell’affidamento dei lavori o degliincarichi.La patente verrà rilasciata automaticamente adimprese e lavoratori autonomi iscritti alla Came-ra di Commercio, in possesso dell’attestazioneSoa e in regola con la regolarità contributiva.Con Decreto da emanare dal Ministero del La-voro e delle politiche sociali verranno indivi-duati i seguenti elementi della qualificazioneedilizia:a) iscrizione nella Sezione Speciale per l’edili-

zia, individuato tenendo conto del numerodi lavoratori impegnati per le attività di cuial comma 1, riferito all’organico medio an-nuo;

b) I criteri di individuazione della base di com-puto dei lavoratori per le finalità di cui alpresente regolamento, i quali considerino ilpersonale effettivamente impiegato nelle at-tività;

c) Il punteggio da attribuire alle imprese giàcostituite da almeno 12 mesi al momentodella pubblicazione del presente regola-mento;

d) L’individuazione di un meccanismo di de-curtazione dei punti che tenga conto deiseguenti elementi con rifermento alla impre-sa: reiterazione delle violazioni di cui all’al-legato I del d, lgs. n. 81/2008, il quale ope-ra secondo criteri di ragionevolezza riferitialle violazioni constatate, al numero e allagravità delle violazioni irrogate dagli organidi vigilanza, alla esistenza di condanne de-finitive per violazione delle disposizioni in

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speciale dell’edilizia”, istituita presso la Came-ra di commercio e composta da un rappresen-tante di ognuno dei seguenti organismi: Came-ra di commercio, INAIL, AUSL, DpL e di tutte leorganizzazioni sindacali e datoriali del campoedile a livello nazionale.La sezione sarà coadiuvata da un Comitatocomposto da rappresentanti delle Casse Edilicompetenti.La Sezione, sentita la Cassa edile territoriale,entro dieci giorni dalla ricezione della doman-da rilascerà la patente a punti, già comprensi-va del punteggio iniziale oppure comunicherà ildiniego. Le Sezioni saranno interconnesse conle AUSL, le Direzioni Provinciali del lavoro e l’I-NAIL attraverso un rete predisposta da Union-camere.L’attribuzione del punteggio a ogni impresasarà effettuato in base alle dimensioni dell’or-ganico:• minimo di 25 punti per i lavoratori autonomi,• max 120 punti per imprese con 200 dipen-

denti.Ulteriori punti saranno attribuiti, sempre in pro-porzione alle dimensioni dell’impresa, in virtù dispecifiche certificazioni possedute e allo sca-dere di ogni anno trascorso senza la reiterazio-ne di violazioni di cui all’allegato 1 del D.Lgs.81/08 e s.m.i..Il punteggio iniziale diminuisce nel caso di san-zioni per violazioni in materia di salute e sicu-rezza sul lavoro.In caso di perdita di tutti i punti scatta la chiu-sura del cantiere ed il divieto alla partecipazio-ne a gare d’appalto e all’ottenimento di finan-ziamenti pubblici nei 24 mesi successivi.La perdita di tutti i punti comporterà anche lanegazione del DURC.In caso di violazioni:• della normativa antinfortunistica, segnalate

da Asl e dal DpL;• in materia di infortuni, segnalati dall’Inail, la

sezione speciale edilizia provvederà alladecurtazione dei punti che varierà a secon-da della violazione rilevata.

I punti decurtati potranno essere reintegrati aseguito della frequenza da parte del datore dilavoro e del responsabile o direttore tecnico diappositi corsi di formazione, della durata di120 ore al cui termine è prevista una verifica diapprendimento.In caso di esaurimento dei punti la SezioneSpeciale dell'edilizia provvederà alla revocadella patente, con l’impossibilità per l’impresanei 24 mesi successivi di partecipare ad appal-ti pubblici e portare a termine lavori avviati “fat-to salvo in caso in cui i lavori avviati sono supe-riori al 75% del valore del contratto”.Trascorso il periodo l’impresa dovrà ripeterel’intera pratica di iscrizione. ÿ

materia di salute e sicurezza sul lavoro, allaesistenza di condanne per violazione delledisposizioni in materia di salute e sicurezzasul lavoro in presenza di infortuni o malattieprofessionali.

e) La previsione di un procedimento di sospen-sione della patente professionale la qualeproduca i suoi effetti in relazione alla capa-cità dell’impresa o dei lavoratori autonomidi contrarre con la pubblica amministrazio-ne o di ottenere finanziamenti pubblici –ove la Sezione Speciale per l’edilizia accertiil difetto nel possesso di uno o più requisitiche preveda la indicazione all’impresa o ailavoratori autonomi della possibilità di dimo-strare il possesso dei relativi requisiti e, co-munque, indichi un termine per tale dimo-strazione;

f) La previsione di una procedura di verificaperiodica del punteggio;

g) La previsione di azioni promozionali a favo-re della impresa o del lavoratore autonomoin possesso dei requisiti relativi alla patentea punti in edilizia, quali sconti sulle tariffeINAIL e crediti di imposta per le attività diformazione.

I requisiti che daranno diritto al rilascio dellapatente sono:a) la nomina di un responsabile tecnico in

possesso di adeguate competenze in mate-ria di salute e sicurezza sul lavoro;

b) il possesso, da parte dei lavoratori autono-mi, di idonee competenze sulla salute e si-curezza sul lavoro;

c) l’assenza di procedimenti in corso per l’ap-plicazione delle misure di prevenzione;

d) l’assenza di condanne per reati come rici-claggio, insolvenza fraudolenta o usura;

e) il possesso di un’adeguata attrezzatura tec-nica;

f) lo svolgimento di un addestramento specifi-co per il suo utilizzo.

Il valore minimo dell’attrezzatura dovrà essere:• 30 mila euro per le imprese;• 15 mila euro per i lavoratori autonomi.

La gestione della patente, dalla verifica dei re-quisiti al rilascio, sarà affidata a una “Sezione

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Quaderno

LE CAMERE RIVERBERANTIE LE VERIFICHE ACUSTICHE

IN CAMPO AERAULICO

a cura di

Ing. D. Giordano - Ing. L. Quaranta

commissione

Acustica

visto da

Ing. G. Fascinelli - Ing. M. Pasca

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Test acustici su componenti per impianti dicondizionamentoLa progettazione degli impianti di condiziona-mento dell’aria implica l’impiego dei principi difisica tecnica, delle caratteristiche delle pro-prietà dell’aria e delle caratteristiche fisiche edacustiche degli impianti tecnici da istallare. La

branca dell’ingegneria che tiene conto in ma-niera sinergica di tali nozioni è l’aeraulica (paro-la greca che deriva da aer = aria, e aulos = tu-bo). In tale disciplina si tiene conto dei metodiper canalizzare e diffondere l’aria negli ambientida climatizzare per mezzo di una serie di tratta-menti, con una bassa emissione di rumore.Per l’individuazione delle caratteristiche acusti-che delle varie parti costituenti un impianto diaria condizionata, vengono effettuate delle veri-fiche sperimentali, secondo norme UNI-EN-ISOed Ashrae Standard, per la caratterizzazionedelle prestazioni di lancio e di rumore, che do-vranno poi essere riportate nelle schede tecni-che descrittive di tali componenti. Al fine di po-ter eseguire tali prove sperimentali è necessa-rio disporre di camere acustiche appositamen-te ideate per ospitare i componenti aeraulici daesaminare nell’ambito dell’intero campo diesercizio, in condizioni di prevalenza e portataassegnate. Le camere acustiche utilizzate per isopra menzionati test sono del tipo riverberan-te, per consentire di realizzare un suono omo-geneamente diffuso e per ridurre i costi realiz-zativi della sala stessa.

Le camere riverberantiLe camere riverberanti a pareti rigide sonoconcepite per consentire l’effettuazione di pro-ve acustiche in condizione di riflessione multi-pla del suono, senza che sia possibile indivi-duare l’origine o la direzione della sorgente so-nora. Si adotta inoltre, l’uso di tali camere incampo aeraulico in quanto i componenti delcondizionamento hanno un volume inferiore al10% dell’ambiente che li ospita (UNI 27341) edin esse può essere assicurata una precisionedi misura con un margine di errore pari a 3 dB.Il tempo di riverbero rappresenta il lasso tem-porale compreso tra l’istante in cui l’energia so-nora emessa è pari ad uno e l’istante in cui lastessa si riduce sino a 10^-6 (60 dB di decre-scita). Le camere acustiche si differenziano traloro per i diversi tempi di riverbero. Nel caso dicamera riverberante o semiriverberante tale va-lore è maggiore di 0,75 (per volume maggioredi 100 mc). Nel caso di camera anecoica iltempo di attenuazione del suono è inferiore aldecimo di secondo. Nel caso di parete riflet-tente (caso in trattazione) si approssima talelasso temporale con la formula di Sabine :

Tr = 0,16 V/Adove V indica il volume della sala acustica edA è l’assorbimento della stessa, pari alla som-matoria dei coefficienti di assorbimento dellesingole superfici per le superfici stesse: A=∑n

i=1

aiS

i.

Per ottenere una persistenza del suono in talicamere è necessario che il pavimento sia assai

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rigido (tipicamente realizzato con pavimenti dicalcestruzzo armato), le pareti ed il soffitto de-vono essere realizzati con materiale liscio e ri-gido. La dimensione della base, dell’altezza edella larghezza della camera non devono esse-re proporzionali tra loro, per evitare che si ge-nerino onde stazionarie e conseguenti fenome-ni di risonanza acustica e battimenti; la dimen-sione massima (diagonale) deve essere inferio-re ai 15 metri per evitare fenomeni di eco. Il vo-lume della stessa camera non deve essere su-periore ad una certa cubatura per evitare l’atte-nuazione delle alte frequenze e non deve esserinferiore ad un certo valore per consentire chepossano essere effettuati test anche sulle bas-se frequenze.Pertanto le verifiche acustiche per i componen-ti impiegati nel settore del condizionamentodell’aria sono spesso eseguite con tali configu-razioni sperimentali, per la necessità di ricreareun ambiente caratterizzato da un suono omo-geneamente diffuso, analogamente a moltecondizioni operative e di esercizio degli stessi.

Le camere per prove aeraulicheLe verifiche acustiche in argomento, per poteressere effettuate senza che siano influenzatedalle condizioni fluidodinamiche di immissioneed estrazione dell’aria, dovranno essere ese-guite anche secondo altri requisiti progettualiche tengono conto delle scie e turbolenze chesi innescano a monte ed a valle dei componen-ti che devono essere sottoposti a verifica. Taliultimi accorgimenti assicurano standard quali-tativi del flusso dell’aria tali da poter considera-re il moto dell’aria del tipo “indisturbato”, senzaquindi che si verifichino effetti di bloccaggio

aerodinamico o di interazione con le pareti cir-costanti.L’ordine di grandezza della velocità dell’aria inuscita nei condotti aeraulici deve essere tenutoin considerazione e limitato entro campi presta-biliti, per evitare la generazione di un rumoreindesiderato all’interno delle tubature o dellasala prove. Si riporta in tal senso uno schemaprogettuale, con la specifica delle distribuzionidei prodotti del condizionamento all’interno dellaboratorio di prova, in funzione della classe diappartenenza di questi ultimi.

Schema esecutivo e applicazioneLo schema esemplificativo riportato (fig.1) rap-presenta la configurazione di un struttura tipoper la realizzazione di un laboratorio per l’ese-cuzione delle verifiche acustiche in argomento,con un rapporto tra le dimensioni della sala (l

R=

lunghezza, bR

= larghezza ed hR= altezza)

conforme a quanto previsto nella norma UNIEN 3741.Nel caso applicativo della camera riverberanterealizzata presso la Ieca Italia Srl (del quale si ri-portano alcune immagini di dettaglio nelle figure2,3,4), con un volume della sala pari a 89 mc econ un rapporto tra i lati pari a b

R/l

R= 0,62 ed

hR/l

R=0,42, si è ottenuto un tempo di riverbero

medio pari a 0,75 sec. Il laboratorio in esempioè stato realizzato secondo le normative tecnichevigenti (riassunte in tabella di figura 6) con unambiente interno ideato acusticamente per assi-curare una propagazione del suono in assenzadi distorsioni o fenomeni di battimento. In ag-giunta sono state adottate delle predisposizionilungo le pareti della camera e sul soffitto checonsentono di effettuare prove sulle varie classi

Figura 1 - Schemaesecutivo di camera

riverberante perverifiche aerauliche

(UNI 23741)

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Figg. 2a-2b - Set-updel condotto incondizioni di prova

Figura 3 - Particolaredella porta d’ingresso

Figura 4 - Condotto diimmissione in sala eoblò d’ispezione

Figura 5 - Particolaredell’UTA

Figura 6 - Schemagenerale esecutivo,ideato secondo lenorme tecniche vigenti

a b

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di accessori per la diffusione o ripresa nel cam-po del condizionamento dell’aria.Sono inoltre stati adottati alcuni accorgimentiesecutivi impiegati per ottenere l’abbattimentodi un eventuale rumore esterno. Le regioni adi-bite all’osservazione dall’esterno sono inoltre,ridotte al massimo (oblò di figura 2 e 4). La por-

Bibliografia- Architectural Acoustics: Principles and Practice a cura di William J. Cavanaugh,Gregory C. Tocci, Joseph

A. Wilkes; 13 Settembre 2009, Casa Editrice Sheridan Books- Nuovo Colombo: Manuale dell’Ingegnere, Casa Editrice Hoepli, 1991- Norme di riferimento UNI EN ISO 5167, UNI EN 20354, UNI EN 25135, UNI EN 3741, UNI 8728, UNI

23741, ISO 3743-1/2, ISO 3745, ASHRAE 70-91

ta di accesso deve essere opportunamente di-segnata per attenuare e riflettere il rumore conil minimo trafilamento dell’aria stessa. L’unità ditrattamento dell’aria U.T.A. (fig.5) dovrà esseresilenziata ed ideata per generare il minimo ru-more nei condotti di mandata e di ripresa del-l’aria. ÿ

Ringraziamenti

Si ringraziano il Dr Livio Fabi ed il Sig Augusto Raganelli per aver consentito sia la realizzazionedi una camera riverberante presso la Ieca Italia Srl sia l’esecuzione di prove acustiche in cam-po aeraulico.

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CENTRI STORICI ANTISISMICI.UNA STRATEGIA POSSIBILE

a cura di

Ing. G. MontiIng. G. Scalora

commissione

Interventi sullecostruzioni esistenti

visto da:

Ing. A. Bozzetti

C’è urgente necessità di sviluppare un itinerario metodologico e operativo per intervenire con ade-guata consapevolezza nei nostri centri storici per proteggerli da futuri eventi sismici che potrebbe-ro letteralmente trasformarli in città fantasma, come purtroppo in molti casi, anche in tempi recenti,abbiamo osservato con tristezza mista a rassegnazione.L’idea è di proporre un approccio conoscitivo integrato (e ripercorribile da tutti) che permetta alprogettista, al di là dagli approcci puramente tecnico-scientifici, di riconoscere i valori storici, cul-

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Per aiutarlo in questo processo, l’Autorità com-petente dovrebbe fornire al professionista tuttele informazioni necessarie a cogliere ciò che èrilevante nel processo di formazione e trasfor-mazione del centro storico in cui si opera.Partendo, infatti, dalla sua struttura originale in-sediativa (se si vuole: l’archetipo), la sua formaattuale è il risultato di una continua interazionefra la natura e l’uomo, ossia fra l’azione distrut-trice della natura e la reazione (ri)costruttricedell’uomo. Nel guardare un edificio o un aggre-gato, è evidente come il ruolo dell’uomo nelprocesso di cambiamento sia stato determi-nante. I bisogni primari (sole, acqua, aria, ter-ra) hanno guidato i primi insediamenti ed han-no posto un segno univoco e permanente. Ciòche è avvenuto in epoche successive rappre-senta invece il frutto di aggiustamenti, di rea-zioni agli eventi naturali (crolli, sismi, inondazio-ni, etc.), di desiderio di ordine e di produzionedi spazio e di relazioni.Esistono quindi insiemi di regole imposte dal-l’uomo e dalla natura che occorre saper ricono-scere. Ci sono regole che sono insite nell’esse-re umano e che si trovano immutate a tutte lelatitudini, ma ci sono anche regole “locali” le-gate alla storia, alla tecnica, ai materiali, al cli-ma, all’organizzazione sociale, all’economia, al-la religione.E allora bisogna sapersi dotare di strumenti dilettura del costruito, che si aggiungano e com-pletino quelli crudamente tecnicistici, che con-sentano di oscillare fra regole generali e regoleparticolari, con la consapevolezza che non sistanno cercando formule matematiche di tra-sformazione di stato, bensì si sta leggendo nelcuore degli uomini che hanno camminato inquelle strade e abitato quelle case.L’esercizio non è ovviamente privo di rischi, mapuò giovarsi di un insieme di regole per le ana-lisi che guardano ai diversi livelli di lettura, piùampi di quelli riguardanti il singolo sistema edi-lizio, ma che dovrebbero spaziare su scala piùampia fino a includere l’ambito, il tessuto e ad-dirittura la scala urbana.Il punto di partenza non deve quindi esserel’oggetto dell’intervento, quale, ad esempio, laparticella di un isolato. È bensì necessario in-terpretare criticamente le profonde affinità chesussistono ad esempio tra orditura viaria e di-sposizione degli isolati, tra sviluppo della ma-glia aggregativa e moduli urbanistici, tra tessutie spazi aperti, tra ampliamenti urbani e direttri-ci strutturali. Il professionista si accorgerà, constupore, della quantità e qualità di informazioni,utili allo sviluppo del proprio modello di calcoloe del proprio progetto di rafforzamento sismico,che riuscirà ad ottenere dallo studio di questerelazioni.

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turali, morfologici ed estetici del centro storicoin cui si trova ad operare e che al contempo siconfiguri come strumento progettuale per gliinterventi di conservazione e restauro degli edi-fici e per lo sviluppo di politiche di riqualifica-zione urbana.Ogni professionista, ad esempio, dovrebbe in-terrogarsi sul ruolo che il “suo” singolo edificio(o aggregato di edifici) ha nell’ambito comples-sivo del contesto circostante, così come ancheil rapporto – spaziale e temporale – tra ciò cheappare oggi e ciò che, nel passato, lo ha gene-rato.

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Questo ragionamento si traduce nel passaggioda un approccio puramente esplicativo, rivoltoalla spiegazione materiale e costruttiva dellecose, ad uno caratterizzato da uno sguardocapace di leggere gli elementi e le relazionispaziali in profondità e in una visione d’insie-me.Ne deriva che il progetto non è più solo l’e-spressione di un eventuale atto di miglioramen-to, adeguamento o riparazione dell’oggetto, madi per sé contiene anche una possibile evolu-zione delle relazioni funzionali, estetiche emorfologiche tra i diversi elementi, e sistemi dielementi, presenti nell’ambiente.In questa prospettiva il progetto deve essereogni volta una nuova esperienza per ciascunprogettista, in quanto tentativo di ricerca dellesoluzioni più adeguate al caso particolare.In questo senso, la forma degli oggetti costitui-sce il referente base anche per il progetto dimiglioramento strutturale. Le limitazioni geome-triche imposte dalla normativa tecnica (spesso-ri murari, distanze tra muri di controvento, ec-cetera) possono trovare una risoluzione attra-verso l’attivazione di risorse materiali in unaporzione di tessuto più ampia di quella relativaal singolo edificio, ovvero coinvolgendo nelladistribuzione delle forze sismiche un maggiornumero di cellule.Anche una rigida idea di rafforzamento sismi-co, se si confronta con uno studio critico dellastruttura fisica degli edifici, può prevedere al-l’interno delle sue possibilità operative interven-ti quali la ricostruzione di pareti oppure la ri-qualificazione formale di cellule murarie o lademolizione di volumi provvisori ed incongrui,indirizzando i propri sforzi alla comprensionecritica di qualcosa di più complesso e mag-giormente dotato di significato.All’interno di questo quadro teorico-metodolo-gico, gli interventi nelle città storiche vanno arti-colati e organizzati secondo un possibile ordi-ne “appropriato” e “conveniente”, di comfort edi sicurezza sismica.

La qualità del progetto non deriverà da capa-cità innate o trascendentali del progettista in-caricato, e neppure dall’applicazione meccani-ca di dati tecnici (i codici di pratica!), ma da unesercizio critico di riconoscimento, incessante-mente applicato al costruito della città per ge-nerare un’opera di qualità.La parola progetto sottolinea il senso delle re-sponsabilità culturali ed etiche dell’individuoprogettista, ma anche del committente, pubbli-co o privato.L’obiettivo principale del progetto è quindiquello di incrementare il valore del luogo, ren-dendolo, allo stesso tempo, più funzionale aimodelli abitativi odierni. E’ possibile, all’internodelle fabbriche, riconfigurare i vuoti residualidei cortili/recinti, ricostruire o riqualificare paretie cellule murarie, perfino demolire i volumiprovvisori ed incongrui (le sopraelevazioni e lesuperfetazioni).L’individuazione e la selezione degli interventideve quindi implicare un’analisi del tessuto ur-bano che va oltre i singoli volumi edilizi. L’interoaggregato deve essere il referente base ancheper il progetto strutturale che, per i diversi statilimite e le differenti modalità di collasso, può at-tivare risorse materiali nell’ambito del contestofisico di pertinenza, coinvolgendo nella distri-buzione delle forze sismiche l’insieme spazialedelle cellule.Volendo favorire questa consapevolezza, lanormativa vigente mira a identificare, comeambito minimo di studio e d’intervento, la co-siddetta Unità Strutturale (US), alla quale devo-no essere estese tutte le fasi di diagnostica,modellazione, analisi e, se necessario, inter-vento. Comunemente, l’US comprende piùunità immobiliari.Esiste purtroppo, fra i professionisti, un’eviden-te – e forse comprensibile – resistenza culturalea cimentarsi in analisi che si estendano “al difuori” dell’unità immobiliare oggetto dell’incari-co. Essi giustificano questa loro ritrosia con l’o-biettiva difficoltà ad acquisire tutte le informa-

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zioni necessarie a realizzare un modello affida-bile (per tacere dei costi aggiuntivi che questeoperazioni richiedono). In pochi commendevolicasi lo studio può arrivare a comprendere l’in-terazione, pre e post intervento, con le zonecontermini. In altri rari(ssimi) casi, più profes-sionisti si possono “aggregare” attorno adun’US con l’ambizioso obiettivo di condividereinformazioni, modelli, strategie e risultati, conl’intento di ottimizzare i costi della diagnosticae dell’intervento stesso.E’ quest’ultimo, ad esempio, il caso degli ag-gregati aquilani, per i quali si sta tentando diseguire, fra non poche difficoltà, questa strada.Va da sé che, se le Autorità competenti svilup-passero piani urbanistici prestazionali, il compi-to dei professionisti sarebbe grandementesemplificato, poiché ognuno di essi si trovereb-be a operare nell’ambito di una griglia prestabi-lita, proveniente da uno studio di livello supe-riore, che detta linguaggi, regole e criteri ope-rativi. In tal modo, professionisti differenti, an-che in tempi differenti, si troverebbero ad ope-rare all’interno di una coordinata azione proget-tuale estesa a tutta la città storica. Sotto la gui-da del Piano, si giungerebbe a conferire a tutto

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Paganica. Edificio in via dellʼOlivo. Riconoscimento delle fasi evolutive con particolare riguardoalla successione delle stratificazioni tettoniche.

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il tessuto una qualità e una prestazione sismicasufficientemente uniforme (Scalora e Monti2013).Nella maggioranza dei casi, tuttavia, si può fa-re riferimento alle mappe catastali, in generesempre disponibili, oppure, in mancanza diqueste, ad un rilievo visivo dei prospetti ester-ni. Già, comunque, da queste due fonti d’infor-mazione – e dall’interpretazione della formadell’aggregato in rapporto al tessuto circostan-te – è possibile ricavare indizi utili alla realizza-zione di un modello di calcolo che si estendaben oltre l’unità immobiliare oggetto dell’incari-co (Scalora e Monti 2010).Al tecnico è quindi richiesta una particolaresensibilità critica che va oltre la semplice cono-scenza delle regole applicative: il processodella conoscenza, e ancora di più quello dellaprogettazione dell’intervento, ha un andamentonecessariamente iterativo, fra continui rimandie affinamenti, alla ricerca della soluzione otti-male.In questo quadro s’inseriscono gli studi appli-cativi eseguiti recentemente (ad es., Monti e

Vailati 2009, 2013), con l’obiettivo di sviluppareun quadro teorico solido, ma anche uno stru-mento pratico per l’analisi degli aggregati edili-zi, affidabile e al tempo stesso di semplice im-piego.Seguendo, infatti, i dettami della NTC-08, si tie-ne conto del fatto che “l’analisi di un’US secon-do i metodi utilizzati per edifici isolati, senzaun’adeguata modellazione oppure con una mo-dellazione approssimata dell’interazione con icorpi di fabbrica adiacenti”, assume un signifi-cato convenzionale. Di conseguenza, si am-mette che l’analisi della capacità sismica glo-bale dell’US possa essere verificata attraversometodologie semplificate.In particolare, si riconosce che la verifica con-venzionale di un’US può essere svolta, ancheper edifici con più di due piani, mediante l’a-nalisi statica non lineare analizzando e verifi-cando separatamente ciascun interpianodell’edificio, e trascurando la variazione dellaforza assiale nei maschi murari dovuta all’ef-fetto dell’azione sismica. Dopo un periodo divalidazione dei risultati in ambito accademico,

Percorso metodologicod’intervento.

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si è giunti a contribuire allo sviluppo di un pro-gramma di calcolo, denominato VENUS (VEri-fica Nonlineare delle Unità Strutturali), dedica-to alla valutazione sismica degli aggregati,

con l’obiettivo di fornire ai professionisti unostrumento di facile impiego, rapido nell’esecu-zione delle verifiche, di uso intuitivo e solidodal punto di vista teorico. ÿ

Bibliografia

Monti G., Vailati M., Procedura di analisi non linea-re statica per la valutazione sismica degli edifici inaggregato, XIII convegno ANIDIS “L’ingegneriaSismica in Italia”, Bologna, 2009.

Monti G., Vailati M., Analisi di vulnerabilità sismicadi edifici in aggregato: un caso di studio, XIII con-vegno ANIDIS “L’ingegneria Sismica in Italia”, Bo-logna, 2009.

Monti G., Vailati M., VENUS: Un programma perl’analisi non lineare semplificata di aggregati edili-zi, XV convegno ANIDIS “L’ingegneria Sismica inItalia”, Padova, 2013.

Scalora G., Monti G., La conservazione dei centristorici in zona sismica. Un metodo operativo di re-stauro urbano. Academia Universa Press, Milano,2010, ISBN: 978-88-6444-0019.

Scalora G., Monti G., Città storiche e rischio sismi-co. Il caso studio di Crotone. LetteraVentidue Edi-zioni, Siracusa, 2013, ISBN: 978-88-6242-0785.

Studio ABDR - Stazione Tiburtina (Roma) Copyright © Moreno Maggi ÿ

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Quaderno

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CONTROLLOVOCALE E

DISABILITÀ:UN’APPLICAZIONE

CONCRETA

a cura di

Ing. L. Distefano

commissione

IngegneriaBiomedica

visto da:

Ing. S. SilvestriIng. S. Sciuto

DomoticaLa Domotica è la disciplina progettuale che sioccupa di studiare le tecnologie destinate amigliorare la qualità della vita degli ambientiabitativi.Grazie all’integrazione di elettronica e informati-ca, la domotica introduce nuovi sistemi perl’automazione, l’illuminazione, la climatizzazio-ne degli ambienti e la safety and security. Lesue finalità risiedono quindi nel miglioramentodel benessere percepito, grazie all’alleggeri-mento di molte operazioni quotidiane, insiemeal risparmio energetico e al miglioramento dellasicurezza degli impianti.Oggi, nell’immaginario collettivo, il termine “Do-motica” o “Home Automation” è associato prin-cipalmente alla comodità di utilizzo del propriohabitat, legata a un pronunciato utilizzo dellatecnologia e a soluzioni che possono ottenereun risparmio energetico. Tuttavia, le conoscen-ze alla base di questa nuova disciplina posso-no essere messe molto vantaggiosamente alservizio di coloro che ne hanno più bisogno:persone con ridotta capacità motoria, disabili,anziani.E’ in questi casi che la figura dell’ ingegnerebiomedico può svolgere un ruolo importante,mettendo a disposizione le proprie competen-ze metodologiche e tecnologiche per com-prendere e risolvere problematiche di caratteremedico-biologico.

Disabilità: alcuni datiLa disabilità in Italia, purtroppo, interessa unaparte non trascurabile della popolazione ecomprende un’ampia varietà di condizioni.In base alle stime ottenute dall’indagine sullecondizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitaridel 2004-2005, emerge che in Italia le personecon disabilità sono 2milioni 600mila, pari al4,8% circa della popolazione di 6 anni e piùche vive in famiglia. Considerando anche le

190.134 persone disabili residenti nei presidisocio-sanitari si giunge ad una stima comples-siva di poco meno di 2 milioni 800mila personecon disabilità.Per interpretare queste cifre bisogna tener pre-sente che dall’indagine sulle condizioni di salu-te è possibile identificare 4 tipologie di disabi-lità: confinamento individuale (costrizione a let-to, su una sedia non a rotelle o in casa), disabi-lità nelle funzioni (difficoltà nel vestirsi, nel la-varsi, nel fare il bagno, nel mangiare), disabilitànel movimento (difficoltà nel camminare, nelsalire le scale, nel chinarsi, nel coricarsi, nelsedersi), disabilità sensoriali (difficoltà a senti-re, vedere o parlare).Considerando i diversi livelli di disabilità, quellopiù grave è rappresentato dal confinamento,che implica la costrizione permanente in un let-to o su una sedia, con livelli di autonomia nelmovimento pressoché nulli, nonché il confina-

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mento in casa per impedimento fisico o psichi-co. Risulta “confinato” il 2,1% della popolazio-ne di 6 anni e più e tra le persone di 80 anni epiù la quota raggiunge circa il 22,3% (16,1%maschi e 25,5% femmine).

Riconoscimento vocaleLa domotica, come abbiamo visto, si presta afacilitare le attività quotidiane di persone chepresentano diverse tipologie di disabilità. Asso-ciando alla domotica le tecnologie per il ricono-scimento vocale è possibile realizzare soluzionicapaci di aiutare anche le persone che convi-vono con le disabilità più gravi.Il riconoscimento vocale è il processo medianteil quale il linguaggio orale umano viene ricono-sciuto e successivamente elaborato attraversoun computer. Il funzionamento dei programmi diriconoscimento vocale è basato su algoritmiadattativi di tipo statistico inferenziale, che rico-

struiscono il linguaggio in base alla frequenzadelle associazioni fra parole e possiedono unvocabolario fonetico con le pronunce base dinumerose parole nella lingua selezionata.I primi tentativi di riconoscimento vocale ven-nero effettuati negli anni ‘50 negli Stati Uniti,con lo scopo di realizzare sistemi controllabilicon la voce. Negli anni ‘80 comparvero i primidispositivi commerciali per il riconoscimentovocale per Commodore 64 e successivamenteper PC, in grado di realizzare una rudimentalesintesi vocale e un riconoscimento a parola sin-gola in base ad un dizionario ristretto.Oggi gli impieghi di questa tecnologia sonomolteplici: è possibile dettare il testo di unaemail o di un qualsiasi documento parlando inmodo naturale, comandare con la voce il pro-prio PC, il telefono cellulare, il computer di bor-do di un auto, etc. Trascorso un periodo di ad-destramento sulla voce dell’utente i software peril riconoscimento vocale possono raggiungereuna precisione nel riconoscimento del 95- 98%.Il riconoscimento vocale si basa sulla compa-razione dell’audio in ingresso, opportunamenteelaborato, con un database creato in fase diaddestramento del sistema. In pratica l’appli-cativo software cerca di individuare la parolapronunciata cercando nel database un suonosimile e verificando a che parola corrisponde.Si tratta di un’operazione molto complessa chenon viene fatta sulle parole intere, ma sui fone-mi che le compongono. Grazie al training sullavoce dell’utente, un normale PC è in grado dieffettuare questa operazione in tempo reale, inbackground, e consentire all’utente di dettareun testo.Il riconoscimento vocale automatico è basatosu una sequenza di processi che si può cosìriassumere:1) Trasformazione dei dati audio dal dominio

del tempo al dominio della frequenza trami-te FFT (Fast Fourier Transform);

2) Organizzazione dei dati ottenuti (tramitel’applicazione delle regole e del dizionariofonetico di una lingua);

3) Riconoscimento dei singoli fonemi;4) Composizione dei fonemi in parole e appli-

cazione di un modello linguistico caratteri-stico della lingua in uso.

Viene così realizzata un’analisi di spettro delsegnale, considerando una finestra di pochicampioni per volta e applicando la trasformatadi Fourier. In questo modo è possibile identifi-care le frequenze che compongono il suono inesame e l’ampiezza di ogni singola componen-te. La FFT viene applicata tipicamente a unsegmento di audio della durata di un centesi-mo di secondo, dal quale si ricava un ipotetico

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grafico con l’ampiezza di ogni frequenza checompone il suono. Il riconoscitore vocale ha undatabase costituito da molte migliaia di questi“grafici” ognuno dei quali rappresenta l’enormequantità di suoni diversi che la voce umanapuò produrre.Il “grafico” del suono in analisi viene confronta-to con tutto il database fino a quando il sistemaindividua quello più simile. In realtà il sistemadalla FFT ricava dei valori in base ai quali, perogni centesimo di secondo, viene calcolato unfeature number. Il feature number è quindi unnumero che rappresenta il suono nel centesimodi secondo in esame. Anche il database con-tiene i grafici o pattern di riferimento sotto for-ma di numeri.Allo stesso tempo, durante la fase di training, ilsoftware apprende anche una serie di dati sta-tistici. Il dato più importante è costituito daquante probabilità ci sono che un determinatofonema generi una certa sequenza di feature.Per mettere in pratica quanto esposto, i com-puter si affidano a strumenti matematici com-

plessi. Tra i più usati a questo scopo c’è “l’Hid-den Markov Model” HMM. In questo casol’HMM viene usato per modellizzare una grossamatrice di fonemi, collegati tra di loro da “pon-ti” più o meno larghi, in base alle probabilitàche un fonema sia correlato a un altro.

Il software per il controllo vocaleIl caso che esamineremo riguarda l’installazio-ne di un impianto domotico a comando vocalenell’abitazione di un disabile che ha perso l’usodegli arti inferiori e superiori. Il sistema realiz-zato permette l’accensione/spegnimento luci,l’apertura della porta d’ingresso, l’apertura delcancello e la gestione dei telecomandi Televi-sore e Decoder satellitare. L’ utente quindi, puòcontrollare questi dispositivi attraverso coman-di azionati semplicemente dalla voce.Per la gestione del suddetto impianto è statasviluppata un’interfaccia personalizzata delsoftware per il controllo vocale. In essa è possi-bile selezionare l’ambiente o il telecomando sulquale si desidera agire: “Camera”, “Televisore”,ecc., richiamabili pronunciando il nome dellapagina desiderata (Fig.1, Fig.2, Fig.3). In ognischermata sono visibili i comandi implementaticon indicata la frase (o la parola) che l’utentedeve pronunciare per azionare il relativo co-mando. Come è visibile anche nelle figure 1 e2, nelle quali sono stati riprodotti tutti i pulsantidei telecomandi dello specifico televisore e deltelecomando del decoder satellitare, è possibi-le arrivare a un livello di customizzazione moltominuzioso dei singoli comandi. Per assicurareun controllo efficace dei comandi impartiti edelle operazioni in corso, a seguito del coman-do si avrà un feedback sia visivo che sonoro,che permetterà all’ utente di verificare se la fra-se (o parola) pronunciata sia stata riconosciutadal software.Il flusso d’ informazioni che permette l’ attiva-zione del comando può essere schematizzatonel seguente modo:1) l’utente impartisce il comando attraverso il

microfono;2) il software confronta la frase (o parola) pro-

nunciata con quelle memorizzate all’internodel proprio database per il riconoscimento;

3) il PC comunica via TCP/IP con un’unità dicontrollo inviandole il comando riconosciu-to;

4) l’unità di controllo comunica via BUS con unattuatore per azionare il comando relativo.

In base alla richiesta ricevuta, l’unità di control-lo seleziona il contatto dell’attuatore sul qualeagire, ottenendo i seguenti effetti:• accensione/spegnimento della luce: la

chiusura/apertura del contatto riproduce ilcomportamento di un interruttore;

Figura 1 - Schermatainiziale del software

con i comandi relativiall’ambiente “Camera”

Figura 2 - Secondaschermata del softwarecon i comandi relativi al

telecomando deltelevisore

Figura 3 - Terzaschermata del softwarecon i comandi relativi al

telecomando di Sky

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BibliografiaA tutorial on Hidden Markov Models and selected applications in speech recognition, L. Rabiner, 1989, Proc.IEEE 77(2):257-286.What HMMs can do, Jeff Bilmes, U. Washington Tech Report, Feb 2002Markovian Models for Sequential Data, Y. Bengio, Neural Computing Surveys 2, 129--162, 1999.Acoustic Modelling - Microsoft Reseach www.http://research.microsoft.com/srg/acoustic-modeling.aspxThe most comprehensive site on Artificial Intelligence on the net http://www.genera-tion5.org/Dati Istat: “La disabilità in Italia-Il quadro della statistica ufficiale”Dati Istat: “Indagine sulle Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”

• apertura della porta d’ingresso: la chiusuradel contatto comporta l’eccitazione dellabobina dell’elettroserratura;

• apertura del cancello: la chiusura del con-tatto comporta l’azionamento del motore.

Per quanto riguarda i segnali dei telecomandi,invece, l’unità di controllo agisce attraverso unemettitore IR che replica i segnali dei teleco-mandi.Una volta installato il software è necessario ef-fettuare il training del sistema: viene richiestoall’utente di leggere un testo noto, in modo taleche il software apprenda le caratteristiche vo-cali e di pronuncia dell’utilizzatore. In realtà, ilsoftware riesce a riconoscere i fonemi indipen-dentemente da chi parla, ma questa fase d’ap-prendimento consente di ottenere migliori risul-tati in termini di precisione (arrivando anche avalori del 99%). Il software di volta in volta otti-mizza l’interpretazione, imparando a riconosce-re le sequenze che hanno più probabilità di ri-petersi.Oltre alla gestione dell’impianto domotico, ilsoftware permette anche il controllo del PC: l’u-

tente potrà quindi gestire i pro-pri file, dettare email, na-

vigare su internetecc. con la sola

accortezza dimettere in pau-

sa il microfo-

no (utilizzando una frase pre-impostata), perevitare che si possa azionare erroneamente uncomando in quel momento non desiderato.Per l’installazione del software i requisiti minimisono: processore Intel® Pentium® o equivalen-te e memoria di almeno 1 GB. Il software quindinon richiede un PC particolarmente performan-te e il sistema è scalabile in caso di richiestefuture (gestione tapparelle, antifurto, climatiz-zazione ecc).Come si vede, la persona disabile grazie aquesto sistema può gestire diversi ambienti,sia domestici che lavorativi, utilizzare il PC eriacquistare autonomia e capacità di espressio-ne individuale in una serie di attività quotidianeimportantissime e molto frequenti.

Il caso presentato dimostra quale importanzapossa rivestire la figura di un professionista ca-pace di abbinare le competenze in ambito elet-trotecnico e informatico con la sensibilità nelcapire le concrete difficoltà di persone con gra-vi scompensi motori: il lavoro dell’ingegnerebiomedico infatti si inserisce a pieno titolo nellaprogettazione e realizzazione di ausili che pos-sono migliorare la qualità della vita di anziani epersone disabili e, spesso, permettergli di ef-fettuare operazioni che altrimenti risulterebberoprecluse.In tale contesto, la Commissione d’IngegneriaBiomedica può essere veicolo di promozione

della figura dell’IngegnereBiomedico, non solo all’inter-no di strutture sanitarie maanche di aziende che non so-no legate in maniera priorita-ria all’ambito medico. L’Inge-gnere Biomedico può quindientrare a far parte di diversitipi di realtà aziendali e dareun contributo allo sviluppo ditecnologie che, pur non na-scendo “biomediche”, posso-no trovare interessanti appli-cazioni in questo settore. ÿ

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Copyright © Moreno Maggi

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Quaderno

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INDAGINE SULL’UTILIZZO DEGLISTRUMENTI FINANZIARI NELL’AREA

NORDICA DEL CONTINENTE AFRICANO

CONTINENTE AFRICANO:

una possibilità di utilizzo di nuove forme di Project Financing

a cura di

Ing. D. MoreaIng. A. PironeIng. E. FarinelliIng. M. Salerni

commissione

Project Financing

visto da:

Ing. G. Boschi

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IntroduzioneI paesi del Nord Africa, rientranti nell’area de-nominata MENA (Middle East and North Afri-ca), fanno ormai parte integrante ed attiva delmondo globalizzato, non soltanto alla luce delleconnessioni energetiche, finanziarie e comuni-cative (e, purtroppo, anche dei conflitti armati),ma altresì per quanto riguarda i processi di svi-luppo economico [1]. Quanto predetto è diver-gente rispetto alle posizioni che rilevano l’in-compatibilità teorica e di struttura tra Islam (re-ligione prevalente) e capitalismo di libero mer-cato [8][13][17].L’economia dei Paesi del Nord Africa è stata inpassato, ed è tuttora, influenzata dagli interven-ti diretti di Paesi investitori esteri: l’African De-velopment Bank (ADB) ha stimato che nel 2014gli investimenti esteri nel continente africanoraggiungeranno gli 80 miliardi di dollari, con unimportante incremento nei progetti greenfield[10].La crescita economica dell’intero continentenel 2013 ha registrato un tasso medio del 4%(l’area sub sahariana ha avuto una crescita delPIL del 5% ed è prevista una crescita del 5,8%nel 2014). Tale crescita è stata sostenuta, es-senzialmente, dai flussi finanziari legati agli in-vestimenti esteri, dal contributo delle Istituzioniassistenziali allo sviluppo di matrice sovrana-zionale e dalle rimesse degli emigranti. Gli in-vestimenti privati, in particolare, hanno costitui-to il 71% dei flussi finanziari dall’estero nel pe-riodo 2010-2014; la loro destinazione principa-le è costituita dall’incremento della capacitàproduttiva e dalla rimozione dei vincoli infra-strutturali (reti di trasporto ed energia, princi-palmente). Il Marocco è uno dei principali Pae-si del Nord Africa oggetto d’investimenti esteri(4,8 miliardi di dollari).Non sempre gli investimenti dei gruppi indu-striali esteri sono legati, come in passato, allosfruttamento delle risorse energetiche(oil&gas), ma anche (come, ad esempio in Ni-geria), all’agricoltura, all’Information and Tele-communication nonché al commercio. A tale ri-guardo, si evidenzia che l’Italia è il primo part-ner commerciale dell’Area Nord Africana (1°importatore e 2° esportatore).Negli ultimi anni, per i progetti infrastrutturali, iGoverni africani hanno prediletto l’affidamentoa società cinesi, indiane o coreane, le quali sipresentano con copertura finanziaria predefini-ta: nel periodo 2007-2012, gli investimenti di-retti in Africa, da parte dei Paesi occidentali,sono cresciuti dell’8,4%, mentre quelli da partedei Paesi emergenti sono cresciuti del 20,7%[4].L’ADB ha lanciato il fondo Africa 50, il qualeservirà ad accelerare la realizzazione di infra-

strutture (ferrovie, scuole, autostrade a pedag-gio, energie rinnovabili) in tutto il continente; ilfondo, gestito separatamente dal bilancio dellaBanca, investirà sia nel settore pubblico che inquello privato con una dotazione di 10 miliardi.Questa iniziativa vuole costituire un argine all’“invasione” dei Paesi orientali ed una fonte au-tonoma che si aggiunge ai tradizionali interven-ti delle Istituzioni finanziarie internazionali (Ban-ca Mondiale, Banca Europea per gli Investi-menti).Nei Paesi del Nord Africa, di particolare inte-resse è stato lo sviluppo della cosiddetta eco-nomia e finanza dei Paesi del Golfo (finanzaislamica). Sebbene la stessa sia ancora minori-taria rispetto agli operatori tradizionali, la finan-za dei Paesi del Golfo ha accelerato notevol-mente la propria diffusione nei centri del Golfoe dei Paesi MENA, con il conseguente affina-mento dei propri strumenti finanziari [7][16].La diffusione di nuove forme di strumenti finan-ziari consente anche la possibilità di analizzarenuove possibili forme di Project Financingadottabili, partendo dall’approfondimento diquelle utilizzate tradizionalmente [5][9].

Gli strumenti finanziari nel Nord AfricaNel Nord Africa, gli strumenti finanziari sonocorrelati sia agli operatori tradizionali (stan-dard) sia a quelli dei Paesi del Golfo.Di fatto, la finanza dei Paesi del Golfo nasceproprio in uno dei Paesi del Nord Africa, con lacreazione, nel 1963 in Egitto, della “Mit GhamrSaving Bank” (quale prima banca). All’anno2012, circa il 4,9% degli attivi finanziari in Egit-to sono legati alla finanza dei Paesi del Golfomedesima, il 2,2% in Tunisia e l’1,1% in Algeria.In Marocco ed in Libia, non sono presenti ban-che del predetto tipo [15].

Le motivazioni del ritardo dello sviluppo dellafinanza dei Paesi del Golfo nei Paesi del NordAfrica afferiscono, sostanzialmente, alla man-canza di conoscenza della predetta finanza neiPaesi medesimi, alla mancata messa in atto -da parte dei Governi locali - di azioni finalizzatead uno sviluppo concreto della stessa, all’insuf-ficienza/assenza della normativa sui prodotti

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12 Egitto 7 144 4,9

20 Algeria 1 90 1,1

23 Tunisia 0,8 36 2,2

Incidenza, nel Nord Africa, dei prodotti Shari’ah Compliant della finanza dei Pae-si del Golfo

Rank Paese Shari’ah compliant Attivi totali % attivi bancariattivi (miliardi di dollari) shar’ah

(miliardi di dollari) compliant

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bancari offerti, ai regimi fiscali in taluni casi di-sincentivanti la diffusione di prodotti Shari’ahcompliant (principi della legge-giurisprudenzaislamica) ed all’assenza di remunerazione deidepositi, costituente un fattore di svantaggiocompetitivo importante in Paesi dove la com-petizione per la raccolta è alta, anche in virtùdella presenza di molte Istituzioni europee (conparticolare importanza circa la presenza dellebanche Francesi in Tunisia, Algeria e Maroc-co). Il Marocco e la Tunisia hanno autorizzato leprime istituzioni di finanza dei Paesi del Golfosolo nel 2007, al fine di incentivare ed intercet-tare flussi di investimenti provenienti dai Paesidel Golfo medesimi, dove la predetta finanzarappresenta più del 40% della quota di merca-to di attivi bancari. In riferimento a ciò, è impor-tante il progetto, per un controvalore di circa 3miliardi di dollari, per la costruzione di un cen-tro finanziario in Tunisia, finanziato dalla BancaIslamica del Bahrain [14].Le maggiori banche islamiche giocano un ruo-lo modesto nel panorama bancario Nord Afri-cano. Infatti, Faisal Islamic Bank è al 43° postonella classifica delle banche locali in Egitto,con attivi modesti rispetto a quelli della princi-pale banca locale [15].

Forme di project financing adottabiliIn Africa, la maggior parte dei progetti realizza-ti non ha ricevuto il supporto della tecnica delProject Financing. Le cause di questo deficitsono da ascriversi alla carenza di finanziamentibancari “non recorse”, i quali costituiscono, in-sieme all’equity, la struttura finanziaria del pro-getto [3][6]. Inoltre, analoghe limitazioni riguar-dano la possibilità, per i progetti di rilevanti di-mensioni, di emettere project bonds, non esi-stendo un mercato per tale tipo di obbligazioni[12].Le cause della suddetta carenza sono da attri-buire:• ad insufficienti rating del debito sovrano per

la maggior parte dei Paesi del continente;• all’inesistenza di mercati finanziari locali (ad

eccezione del Sud Africa) capaci di fornirecredito a lungo termine in assenza di robu-ste garanzie (da cui il ricorso alle Istituzioniinternazionali);

• al fatto che la tipologia dei progetti da fi-nanziare comportano tempi di realizzazionee payback period molto elevati rendendolialtamente sensibili ai rischi di interferenzepolitiche ed a repentini cambiamenti dellenormative di riferimento.

Per i suddetti motivi, taluni progetti di minori di-mensioni, che in altri Paesi si sarebbero potutistrutturare ricorrendo alla tecnica del Project Fi-nancing, sono stati realizzati interamente conequity.In linea teorica, quindi, il Project Financing po-trebbe essere incentivato adottando sistemi in-ternazionali di garanzia contro i rischi di naturanormativa, ma, soprattutto, incentivando la cre-scita dei sistemi bancari locali e dei mercati deicapitali in grado di generare autonomamentefondi in valuta locale, anche facendo ricorso al-la raccolta a medio termine (tipicamente fondipensione).Standard & Poor’s Ratings Services, in un rap-porto del febbraio 2014, sostiene che un’acce-lerazione verso il Project Financing, quale stru-mento di crescita per le regioni del Nord Africa,potrebbe venire dalla finanza islamica. Inoltre,sostiene che il supporto delle Istituzioni finan-ziarie internazionali allo sviluppo delle infra-strutture non è sufficiente e che, quindi, occor-re incentivare altre fonti finanziarie [11].Infatti, sono programmati numerosi investimentiin energie rinnovabili, infrastrutture di trasportoe telecomunicazioni: utilizzare i sukuk islamiciper alcuni di questi progetti faciliterebbe l’am-pliamento della platea degli investitori aggiun-gendo risorse per lo sviluppo [5].Islamic Development Bank ed Arab Bank forEconomic Development, in Africa, hanno inizia-

Faisal Islamic 43 5,087 National Bank 46,380Bank of Egypt of Egypt

Al Baraka Bank, 81 2,135 Banque Misr 28,899Egitto

Al Baraka Bank, 116 1,015 Crédit Populaire 6,856Algeria d’Algérie

Al Baraka Bank, 163 418 Banque International 4,719Tunisia Arabe de Tunisie

Le maggiori banche islamiche dei Paesi del Nord Africa

Banca Rank Attivi Banca locale Attivi bancaislamica banca islamica leader locale leader

(milioni di dollari) (milioni di dollari)

Focus Erogazione del prestito Investimento

Board Management Shari’ah Board

Profit and Loss Sharing No Si

Utilizzo di garanzie Si No

Garanzia del valore nominaledei conti correnti d’investimento Si No

Remunerazione dei conti correnti Stabilita Funzione deglicontrattualmente utili della banca

Banca convenzionale e banca islamica a confronto

Caratteristica Banca convenzionale Banca islamica

Le caratteristiche distintive delle banche con-venzionali e di quelle islamiche sono quelle ri-portate nella tabella seguente.

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to a collaborare co-finanziando 59 operazioniper un totale di 4,8 miliardi di dollari in diversiPaesi africani, principalmente in progetti relativia trasporti ed agricoltura.Fino ad ora lo sviluppo della finanza islamicanei Paesi del Nord Africa è stato modesto, mala stessa potrebbe essere concretamente pre-sa in considerazione dai Paesi protagonisti del-la Primavera Araba, attualmente oggetto di forticambiamenti normativi.Il processo di islamizzazione del sistema ban-cario e quello di occidentalizzazione nei Paesidel Maghreb si ostacolano a vicenda e questedifficoltà sono molto evidenti soprattutto in Pae-si come la Libia, la Tunisia, l’Algeria ed il Ma-rocco, preoccupati di alterare i propri rapporticon i partner occidentali; ciononostante, se-gnali positivi provengono da alcuni di questiPaesi che già in passato avevano avviato pro-cessi di islamizzazione del sistema bancario,pur non assumendo posizioni contrarie ai criteribancari tradizionali.La Tunisia e l’Egitto hanno, infatti, implementa-to, alla fine del 2013, nuovi criteri per le emis-sioni di sukuk islamici; a gennaio 2014, il go-verno del Marocco ha emanato le norme cheregolano le attività di finanza islamica nel Pae-se, autorizzate anche dalla Banca Centrale.

La Tunisia è lo Stato che appare avere maggioresperienza nel predetto settore, data la neces-sità di fondi per modernizzare il Paese. Peral-tro, la Tunisia si era già mostrata anticipatricedella possibilità di coinvolgimento della finanzaislamica in operazioni di Project Financing, gra-zie ad un’iniziativa nel settore dei fertilizzantirealizzata nel 2008 in cui due partner strategici,un gruppo tunisino (produttore di fosfati) eduno indiano (produttore di fertilizzanti), hannorealizzato un impianto nel sud della Tunisia ca-pace di produrre 360.000 tons/a di acido fosfo-rico [2]. I promotori si sono impegnati a finan-ziare il progetto con il 35% di capitale mentre il65% è costituito da fondi esterni su base finan-za di progetto a garanzia limitata, forniti dallaBanca Europea per gli Investimenti (BEI) e dal-la Banca di Sviluppo Islamica (BSI): la BEI haaccordato un prestito classico (tradizionale)mentre la BSI la parte finanziaria islamica, in uncontesto normativo basato sul diritto francese.

ConclusioniNei Paesi del Nord Africa, in coesistenza con lebanche convenzionali, ha trovato sviluppo,seppure in forma modesta, l’economia e la fi-nanza dei Paesi del Golfo (finanza islamica).L’assenza di un giusto grado d’informazione,

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unitamente alla messa in atto, da parte dei Go-verni locali, di concrete azioni per uno sviluppodella finanza dei Paesi del Golfo medesima, ol-tre che la presenza di taluni elementi di disin-centivazione alla diffusione dei prodotti dellapredetta finanza (assenza della normativa suiprodotti bancari, particolari regimi fiscali, as-senza della remunerazione dei depositi), nehanno ritardato il suo sviluppo.L’ostacolarsi del processo d’islamizzazione delsistema bancario e di quello d’occidentalizza-zione nei Paesi del Maghreb ha creato difficoltàe preoccupazione, in taluni Paesi del Nord Afri-ca, in ordine all’alterazione dei propri rapporticon i partner occidentali, non impedendo,però, agli stessi l’avvio di processi d’islamizza-zione del sistema bancario senza l’assunzionedi posizioni contrarie ai criteri bancari tradizio-nali.La maggior parte dei progetti realizzati non haricevuto il supporto della tecnica del Project Fi-nancing per carenza di finanziamenti bancari“non recorse” (per insufficienti rating del debitosovrano, l’inesistenza di mercati finanziari locali

capaci di fornire credito a lungo termine in as-senza di robuste garanzie, la presenza di tempidi realizzazione e di payback period dei pro-getti da finanziare molto elevati, l’impossibilitàdi emettere project bonds), e si è ricorso allarealizzazione interamente con equity.L’incentivazione del Project Financing potrebbeavvenire mediante l’adozione di sistemi interna-zionali di garanzia contro i rischi di natura nor-mativa, ma, principalmente, mediante l’incenti-vazione della crescita dei sistemi bancari localie dei mercati dei capitali in grado di generareautonomamente fondi in valuta locale.Stante l’insufficienza del supporto delle Istitu-zioni finanziarie internazionali allo sviluppo del-le infrastrutture, l’incentivazione di altre fonti fi-nanziarie, quale la finanza dei Paesi del Golfo,faciliterebbe l’ampliamento della platea degliinvestitori, incrementando risorse per lo svilup-po, e consentirebbe l’utilizzazione del ProjectFinancing quale strumento di crescita per le re-gioni del Nord Africa. Ciò potrebbe esseremesso in atto nei Paesi del Nord Africa oggettod’importanti cambiamenti normativi. ÿ

Bibliografia[1] Aita S., Bini E., Lawson F.H., Sorbera L., Trentin M. (2014), introduzione e cura di Paggi L., Linee di svi-luppo economico in Medio Oriente e Nord Africa. Una prospettiva storica, in: Le rivolte arabe e le replichedella storia. Le economie di rendita, i soggetti politici, I condizionamenti internazionali, Ombre Corte[2] Banca Europea per gli Investimenti, Info n. 137, n. 1/2010[3] Campisi D., Costa R. (2008), Economia Applicata all’Ingegneria - Analisi degli investimenti e Project Fi-nancing, Carocci[4] Cavestri L. (2013), Decollo entro il 2013, opportunità per le imprese italiane per progetti di taglio medio,Edilizia e Territorio - Il Sole 24 Ore[5] Farinelli E., Marini F., Morea D., Morea M.C., Pento C., Pirone A., Salerni M. (2014), “Un modello diproject financing a sostegno degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili”, I.O. Roma, n. 1/2014,pp. 1-4, on-line: http://rivista.ording.roma.it/un-modello-di-project-financing-a-sostegno-degli-investimenti-nel-settore-delle-energie/, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma[6] Gatti S. (2012), Project Finance in Theory and Practice - Designing, Structuring and Financing Privateand Public Projects, second edition, Academic Press Elsevier[7] Hamaui R., Mauri M. (2009), Economia e finanza islamica, il Mulino[8] Kuran T. (2012), The Long Divergence: How Islamic Law Held Back the Middle East, Princeton Universi-ty Press[9] Morea D. (2014), Project Financing ed energie rinnovabili, nel Seminario: Applicazione del Project Finan-cing nell’ambito delle energie rinnovabili, Commissione Project Financing, Ordine degli Ingegneri della Pro-vincia di Roma[10] Out-Law.com (2014), Foreign investment in Africa set to reach record in 2014[11] Out-Law.com (2014), Islamic Finance set to grow in North Africa[12] Public Private Infrastructure Advisory Facility (PPIAF) - The World Bank - September 2006[13] Rodinson M. (1966), Islam et capitalisme, Seuil[14] Santoni A. (2012), La finanza islamica nel mondo. Un business profittevole per l’Europa?, Banca Montedei Paschi di Siena[15] The Banker (2010), Top 500 Islamic Financial Institutions, FT Business[16] Tripp C. (2006), a cura di, Islam and the Moral Economy. The Challenge of Capitalism, Cambridge Uni-versity Press[17] Vezzadini E. (2012), Islam and Capitalism. Considerations on the Construction of the Idea of a Western‘Modernity’, Storicamente, vol. 8, n. 1

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Quaderno

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LA FORMAZIONE DEI LAVORATORIE LA “COLLABORAZIONE” CON

GLI ORGANISMI PARITETICI E GLIENTI BILATERALI

a cura di

Ing. G. Degl’InnocentiIng. M. Di Pasquale - Ing. E. Grimaldi

commissione

Sicurezza nei cantieri temporanei emobili

visto da:

Ing. M. Innocenti - Ing. M. Cerri

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inoltre cooperare all'educazione dei soci edelle loro famiglie; dare aiuto ai soci perl'acquisto degli attrezzi del loro mestiere, edesercitare altri uffici propri delle istituzioni diprevidenza economica. Però in questi casideve specificarsi la spesa e il modo di farvifronte nell'annuo bilancio. Eccettuate lespese di amministrazione, il danaro socialenon può essere erogato a fini diversi daquelli indicati in questo articolo e nel prece-dente.

Le Casse edili nascono agli inizi del 1900, sisviluppano inizialmente sulla mutualità e assi-stenza dei lavoratori per modificarsi dal secon-do dopoguerra in poi in veri e propri enti bilate-rali.Il concetto di “bilateralità” rappresenta una pra-tica secondo la quale le parti si impegnano asottrarre al conflitto alcune tematiche ed obiet-tivi che ritengono di comune interesse e su cuidecidono di poter operare congiuntamente.Necessitano pertanto regole condivise e defini-te di comune accordo con sedi apposite peroperare congiuntamente: gli organismi pariteti-ci bilaterali, “che sono il mezzo, gli strumenticoncreti attraverso cui mettere in atto, praticarela scelta partecipativa in relazione a quelle par-ticolari tematiche e a quegli specifici obiettivi,riconosciuti in modo paritetico e reciproco, tan-to dai lavoratori che dagli imprenditori attraver-so le loro rappresentanze”.

Gli Organismi Paritetici e gli Enti BilateraliIn questi anni l’Unione Europea ha spinto versola bilateralità e il dialogo sociale, parimenti laLegge n.123/2007, delega per il riassetto dellenormativa antinfortunistica, auspica una rivisi-tazione e potenziamento delle funzioni degli or-ganismi paritetici, anche quali strumento di aiu-to alle imprese nell’individuazione di soluzionitecniche e organizzative dirette a garantire emigliorare la tutela della salute e sicurezza sullavoro.Gli Organismi Paritetici e gli Enti Bilaterali costi-tuiscono quindi un punto di incontro tra i diversibisogni di parti sociali normalmente in conflittoquali datori di lavoro e lavoratori (da cui appun-to la “bilateralità”). Essi si pongono, in questoambito, quali enti terzi aventi lo scopo di aiuta-re le varie parti a trovare le migliori soluzioni inmateria di sicurezza sul lavoro e tutela della sa-lute.La definizione di Organismo Paritetico la si tro-va nella D.lgs. n° 626 del 1994 dove al comma1 dell’art. 20 si legge:

“A livello territoriale sono costituiti organismiparitetici tra le organizzazioni sindacali deidatori di lavoro e dei lavoratori, con funzionidi orientamento e di promozione di iniziative

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L’articolo 2 del D.lgs. n.81/08 e s.m.i. definiscegli Organismi Paritetici come organismi “costi-tuiti a iniziativa di una o più associazioni deidatori e dei prestatori di lavoro comparativa-mente più rappresentative sul piano nazionale,quali sedi privilegiate per: la programmazionedi attività formative e l’elaborazione e la raccol-ta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo svi-luppo di azioni inerenti alla salute e alla sicu-rezza sul lavoro; l’assistenza alle imprese fina-lizzata all’attuazione degli adempimenti in ma-teria; ogni altra attività o funzione assegnata lo-ro dalla legge o dai contratti collettivi di riferi-mento”.All’art. 51 si evidenzia il ruolo di supporto di taliorganismi nei confronti delle imprese “… nel-l’individuazione di soluzioni tecniche e organiz-zative dirette a garantire e migliorare la tuteladella salute e sicurezza sul lavoro” , per l’asse-verazione sull’adozione di sistemi di gestionedella sicurezza e nel campo della formazione.Gli organismi paritetici svolgono o promuovonoattività di formazione, anche attraverso l’impie-go dei fondi interprofessionali di cui all’articolo118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e2003, n. 276, nonché, su richiesta delle impre-se, rilasciano una attestazione dello svolgimen-to delle attività e dei servizi di supporto al siste-ma delle imprese, tra cui l’asseverazione dellaadozione e della efficace attuazione dei model-li di organizzazione e gestione della sicurezzadi cui all’articolo 30, della quale gli organi di vi-gilanza possono tener conto ai fini della pro-grammazione delle proprie attività.

Dal Mutuo Soccorso alla BilateralitàLa Bilateralità si ispira alle Società Operaie diMutuo Soccorso nate intorno alla secondametà dell’Ottocento, allo scopo di supplire allemancanze dello stato sociale dell’epoca. La lo-ro diffusione, dapprima osteggiata dal climapoliziesco della Restaurazione, subisce un no-tevole incremento dopo l'ondata rivoluzionariadel 1848.La prima legge in Italia a disciplinare il funzio-namento delle S.O.M.S. è stata la legge 15aprile 1886, n.3818 che ai primi due articoli neesplicita i fini:

Art. 1Possono conseguire la personalità giuridi-ca, nei modi stabiliti da questa legge, le So-cietà operaie di mutuo soccorso che sipropongono tutti od alcuno dei fini seguen-ti: assicurare ai soci un sussidio, nei casi dimalattia, d'impotenza al lavoro o di vec-chiaia; venire in aiuto alle famiglie dei socidefunti.Art. 2Le Società di mutuo soccorso potranno

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formative nei confronti dei lavoratori. Tali or-ganismi sono inoltre prima istanza di riferi-mento in merito a controversie sorte sull'ap-plicazione dei diritti di rappresentanza,informazione e formazione, previsti dallenorme vigenti.”

E ancora al comma 6 dell’art. 22 del citato De-creto si precisa che:

“La formazione dei lavoratori e quella deiloro rappresentanti di cui al comma 4 deveavvenire, in collaborazione con gli organi-smi paritetici di cui all’art. 20, durante l'ora-rio di lavoro e non può comportare onerieconomici a carico dei lavoratori”.

La definizione di Ente Bilaterale è riportatanell’art. 2, comma 1, lettera h della Leggen°276 del 2003 , (Legge Biagi):

“h) «enti bilaterali»: organismi costituiti a ini-ziativa di una o più associazioni dei datori edei prestatori di lavoro comparativamentepiù rappresentative, quali sedi privilegiateper la regolazione del mercato del lavoroattraverso: la promozione di una occupazio-ne regolare e di qualità; l'intermediazionenell'incontro tra domanda e offerta di lavo-

ro; la programmazione di attività formative ela determinazione di modalità di attuazionedella formazione professionale in azienda;la promozione di buone pratiche contro ladiscriminazione e per la inclusione dei sog-getti più svantaggiati; la gestione mutualisti-ca di fondi per la formazione e l'integrazio-ne del reddito; la certificazione dei contrattidi lavoro e di regolarità o congruità contri-butiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salutee la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività ofunzione assegnata loro dalla legge o daicontratti collettivi di riferimento.

È con tale Legge che si ha un vero e propriopasso in avanti nell’evoluzione che riguarda la“storia” degli Organismi paritetici. All’ art 1,comma 2, lettera h infatti si legge:

“Art 2. I decreti di cui al comma 1 sonoadottati, realizzando il necessario coordina-mento con le disposizioni vigenti, nel rispet-to dei seguenti principi e criteri direttivi ge-nerali:……..h) rivisitazione e potenziamento delle fun-zioni degli organismi paritetici, anche quali

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strumento di aiuto alle imprese nell'indivi-duazione di soluzioni tecniche e organizza-tive dirette a garantire e migliorare la tuteladella salute e sicurezza sul lavoro.”

Gli Organismi paritetici vengono quindi chia-mati a svolgere un ruolo ulteriore rispetto aicompiti loro attribuiti dalla Legge 626 del 1994,ossia essere strumento di aiuto alle imprese.Con il D.Lgs n° 81 del 9 aprile 2008 e con lemodifiche ad esso apportate dal D.Lgs. n° 109del 3 agosto 2006 continua l’evoluzione norma-tiva di questi Enti.

Gli obblighi del datore di lavoro per laformazione dei lavoratori e dei lororappresentantiL’art. 37 del D.Lgs. n. 81/2008, inerente la For-mazione dei lavoratori e dei loro rappresentan-ti, descrive gli adempimenti fondamentali, san-zionando come reati contravvenzionali (penali)i commi che definiscono i capisaldi dell'obbligoformativo:1. Il datore di lavoro assicura che ciascun la-

voratore riceva una formazione sufficiente

ed adeguata in materia di salute e sicurez-za, anche rispetto alle conoscenze linguisti-che, con particolare riferimento a:a) concetti di rischio, danno, prevenzione,

protezione, organizzazione della pre-venzione aziendale, diritti e doveri deivari soggetti aziendali, organi di vigilan-za, controllo, assistenza;

b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibilidanni e alle conseguenti misure e pro-cedure di prevenzione e protezione ca-ratteristici del settore o comparto di ap-partenenza dell’azienda.

2. La durata, i contenuti minimi e le modalitàdella formazione di cui al comma 1 sonodefiniti mediante accordo in sede di Confe-renza permanente per i rapporti tra lo Stato,le regioni e le province autonome di Trentoe di Bolzano adottato, previa consultazionedelle parti sociali, entro il termine di dodicimesi dalla data di entrata in vigore del pre-sente decreto legislativo.

3. Il datore di lavoro assicura, altresì, che cia-scun lavoratore riceva una formazione suffi-

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ciente ed adeguata in merito ai rischi speci-fici di cui ai titoli del presente decreto suc-cessivi al I. Ferme restando le disposizionigià in vigore in materia, la formazione di cuial periodo che precede è definita mediantel’accordo di cui al comma 2.

(…)Mentre al comma 12 è previsto che “La forma-zione dei lavoratori e quella dei loro rappresen-tanti deve avvenire, in collaborazione con gliorganismi paritetici, ove presenti nel settore enel territorio in cui si svolge l’attività del datoredi lavoro durante l’orario di lavoro e non può

comportare oneri economici a carico dei lavo-ratori.”Inoltre l’art. 71 del D.lgs. n.81/08 e s.m.i. preve-de una formazione specifica aggiuntiva per glioperatori di determinate attrezzature, che ri-chiedono per il loro impiego conoscenze o re-sponsabilità particolari in relazione ai loro rischispecifici. Nello specifico il datore di lavoroprende le misure necessarie affinché:a) l’uso dell’attrezzatura di lavoro sia riservato

ai lavoratori allo scopo incaricati che abbia-no ricevuto una informazione, formazioneed addestramento adeguati;

b) in caso di riparazione, di trasformazione omanutenzione, i lavoratori interessati sianoqualificati in maniera specifica per svolgeredetti compiti.

L’elenco delle attrezzature per le quali, fermerestando le abilitazioni già previste dalle vigentidisposizioni legislative, è richiesta una specifi-ca abilitazione è stabilito nell’Allegato A del-l’Accordo Stato Regioni del 22 febbraio 2012.

La “richiesta di collaborazione” nellaformazione dei lavoratoriCon l’Accordo Stato Regione del 21 dicembre2011 vengono fornite le indicazioni per la for-mazione dei lavoratori ai sensi dell'articolo 37,comma 2 del D. Lgs 9 aprile 2008 n° 81, es.m.i., in particolare la collaborazione con gliEnti bilaterali e gli Organismi paritetici vieneesplicitata nella Nota alla premessa dell’Allega-to A, dove si legge:

“ in coerenza con le previsioni di cui all'arti-colo 37, comma 12, del D.Lgs. n. 81/08, icorsi di formazione per i lavoratori vannorealizzati previa richiesta di collaborazioneagli enti bilaterali, quali definiti all'articolo 2,comma 1, lettera h), del D.Lgs. 10 settembre2003, n. 276, e successive modifiche e inte-grazioni e agli organismi paritetici, cosi' co-me definiti all'articolo 2, comma 1, letteraee), del D.Lgs. 81/08, ove esistenti sia nelterritorio che nel settore nel quale opera l'a-zienda. In mancanza, il datore di lavoro pro-cede alla pianificazione e realizzazione delleattivita' di formazione. Ove la richiesta ricevariscontro da parte dell'ente bilaterale o del-l'organismo paritetico, delle relative indica-zioni occorre tener conto nella pianificazionee realizzazione delle attivita' di formazione,anche ove tale realizzazione non sia affidataagli enti bilaterali o agli organismi paritetici.Ove la richiesta di cui al precedente periodonon riceva riscontro dall'ente bilaterale odall'organismo paritetico entro quindici gior-ni dal suo invio, il datore di lavoro procedeautonomamente alla pianificazione e realiz-zazione delle attivita' di formazione”.

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Il necessario coinvolgimento degli OrganismiParitetici non si traduce dunque nell’obbligodatoriale di affidare la formazione ad essi, nétotalmente, né in parte, in linea con la nuovaprevisione dell’art. 51, comma 3 bis, che, purattribuendo agli stessi un ruolo più operativo inmateria, non ne fa esclusivi depositari dellecompetenze formative.È da evidenziare, inoltre, che eventuali indica-zioni da parte degli Organismi Paritetici non as-sumono carattere di vincolo per il datore di la-voro, che deve limitarsi a “tenerne conto”. D’al-tra parte è solo il datore a dover rispondere,penalmente, circa la sufficienza ed adeguatez-za della formazione ai sensi degli artt. 37, com-ma 1, e 55, comma 5, lett. c.Conferma di ciò si trova nell’Accordo Stato Re-gioni del 25 luglio 2012: “Della risposta dell’or-ganismo paritetico il datore di lavoro tiene con-to, senza che, tuttavia, ciò significhi che la for-mazione debba essere svolta necessariamentecon l’organismo paritetico, qualora la rispostadi quest’ultimo comprenda una proposta disvolgimento presso l’organismo della attività diformazione né che le indicazioni degli organi-smi paritetici debbano essere obbligatoriamen-te seguite nella realizzazione dell’attività forma-tiva”.Il Ministero del lavoro e delle politiche socialicon la circolare n. 20 del 29 luglio 2011 ha ri-badito che la norma citata non impone al dato-re di lavoro di effettuare la formazione necessa-riamente con gli organismi paritetici quanto,piuttosto, di mettere i medesimi a conoscenzadella volontà di svolgere una attività formativa;ciò in modo che essi possano, se del caso,svolgere efficacemente la funzione che il “testounico” attribuisce loro, attraverso proprie pro-poste al riguardo.Quanto alle modalità di richiesta di collabora-zione agli organismi paritetici, la nota alla “Pre-messa” dell’accordo ex articolo 37, puntualizzache: “Ove la richiesta riceva riscontro da partedell’ente bilaterale o dell’organismo paritetico,delle relative indicazioni occorre tener contonella pianificazione e realizzazione delle attivitàdi formazione, anche ove tale realizzazione nonsia affidata agli enti bilaterali o agli organismiparitetici. Ove la richiesta di cui al precedenteperiodo non riceva riscontro dall’ente bilateraleo dall’organismo paritetico entro quindici giornidal suo invio, il datore di lavoro procede auto-nomamente alla pianificazione e realizzazionedelle attività di formazione”.Al riguardo, si puntualizza che la richiesta inparola può essere avanzata anche ad uno solo(ove ve ne siano diversi) di organismi pariteticiin possesso dei requisiti sin qui richiamati, inqualunque modo idoneo allo scopo (ad esem-

pio, anche con semplice comunicazione perposta elettronica, purché contenga indicazionisufficienti a poter permettere all’organismo pa-ritetico di comprendere il tipo di intervento for-mativo di riferimento e, quindi, mettendolo nellecondizioni di potere supportare il datore di la-voro al riguardo).

L’assolvimento dell’obbligo della“collaborazione”L’obbligo della collaborazione si deve ritenereassolto portando gli Organismi Paritetici, com-petenti per settore e per territorio, semplice-

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mente a conoscenza del percorso formativoche si intende avviare per i lavoratori e per irappresentanti dei lavoratori e fornendo aglistessi alcune informazioni che riguardano lemodalità di svolgimento della formazione stes-sa (programma, durata, contenuti, sede, nu-mero di lavoratori da formare, nome e qualifica-zione dei docenti, ecc.).Relativamente alle aziende con più sedi in dif-ferenti contesti territoriali, l’organismo di riferi-mento può essere individuato avendo riguardoalla sede legale dell’impresa.

Sulla sanzionabilità della mancata“collaborazione” con gli Organismi pariteticiDall’esame delle disposizioni penali riportatenei tre decreti legislativi che si sono succeduti(D.lgs. n.626/94, D.lgs. n.81/08 e D.lgs.n.106/09 che ha modificato ed integrato il pre-cedente) si osserva che nessuno di essi haprovveduto a corredare tale “dovere di collabo-razione” di una relativa sanzione per gli ina-dempienti né penale né amministrativa.Anche su tale aspetto è intervenuto il Ministerocon la citata circolare del 2010, precisandoche nell’ambito del D. Lgs. n. 81/2008 non ècomminata alcuna sanzione per la formazionedei rappresentanti dei lavoratori per la sicurez-za realizzata senza avvalersi della collabora-zione degli organismi paritetici. In tal sensovanno le proposte di modifica del D. Lgs. n.81/2008 approvate dal Governo nella sedutadel 27 marzo 2009, nell’ambito della quale èstata avanzata la proposta di sostituire l’e-spressione “deve avvenire in collaborazionecon gli organismi paritetici” con quella “può av-venire in collaborazione con gli organismi pari-tetici”. Riassumendo, nell’attuale quadro nor-mativo è previsto il coinvolgimento degli orga-nismi paritetici per la formazione dei lavoratorie dei loro rappresentanti, mentre è una facoltànel caso della formazione di dirigenti e prepo-sti.E’ opportuno evidenziare che il comma 12dell’art. 37, nella sua formulazione, impone uni-camente un obbligo di collaborazione che, ra-gionevolmente, può intendersi ottemperatoprevia necessaria informazione all’organismoparitetico, che sia in possesso dei requisiti dirappresentanza.Dunque la mancata richiesta di collaborazionedegli organismi paritetici non è sanzionabilenel D. Lgs. n. 81/2008 e non costituisce per-tanto contravvenzione alle norme di sicurezza

sul lavoro, essendo quest’ultima definita, se-condo quanto indicato nell’art. 19 comma 1 let-tera a) del D. Lgs. n. 758/1994, un reato in ma-teria di sicurezza e di igiene del lavoro punitocon la pena alternativa dell’arresto o dell’am-menda e, a partire dal 20/8/2009 ed in applica-zione dell’art. 301 del D. Lgs n. 81/2008, cosìcome modificato dal D. Lgs. n. 106/2009, an-che con la sola pena dell’ammenda. Il citatoinadempimento, pertanto, non può essere og-getto di un provvedimento di prescrizione che,in virtù dell’art. 20 dello stesso D. Lgs. n.758/1994, è finalizzato ad eliminare una con-travvenzione accertata.Su tale aspetto si evidenzia una interpretazionedifferente, seppure minoritaria e priva di riscon-tri Istituzionali, che, partendo dall’assunto chetrattasi di una “norma giuridica imperfetta”, chesancisce un dovere ma non la corrispondentesanzione, intende la mancata collaborazionequale violazione dell’art.37 e quindi come fatti-specie sanzionabile secondo il disposto del-l'art. 55, comma 5, lett. c), punto terzo, sanzio-ne alternativa dell'arresto da due a quattro me-si o con l'ammenda da 1.200 a 5.200 euro.

Il mancato recepimento delle indicazioni degliOrganismi PariteticiLe eventuali indicazioni fornite dagli OrganismiParitetici non sono vincolanti e condizionanti aifini dell’attuazione da parte dei datori di lavorodel programma di formazione né tanto menoconvalidanti della formazione stessa.Si può dire che in questa circostanza il “deve”del legislatore assume il valore di un mero con-siglio (in una delle bozze che hanno precedutola pubblicazione del D. Lgs. n. 106/2009 il “de-ve” era stato sostituito dalla espressione“può”).

La “collaborazione” per la formazione deglioperatori delle attrezzatureNell’ambito dell’Accordo del 22/02/2012 sullaformazione degli operatori della attrezzature dicui all’art.71 del D.lgs. n.81/08 e s.m.i., la Con-ferenza Stato-Regioni contrariamente a quantoaveva fatto nell’Accordo del 21/12/2011 sullaformazione dei lavoratori, dei dirigenti e deipreposti, non fa riferimento ad alcun obbligo dirichiesta preventiva di collaborazione agli Or-ganismi paritetici e/o Enti bilaterali nella orga-nizzazione di tali corsi di formazione ed abilita-zione. ÿ

Arch.M.Fuksas - Stabilimento De Cecco (Pescara) Copyright © Moreno Maggi ÿ

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Premessa: il contesto di riferimentoQuando si parla di Project Management, sipensa generalmente alle grandi infrastruttureo ai grandi impianti, come ad esempio :ponti, strade, linee ferroviarie;aeroporti, porti;grandi impianti industriali (del settore chimicooppure Oil & Gas);sistemi di telecomunicazione.Tuttavia le metodologie e le tecniche delProject Management possono essere utilizzateanche per la gestione di progetti riguardantiprodotti e sistemi apparentemente meno com-plessi, che hanno però contenuti ad alto valo-re tecnologico e coinvolgono aspetti relativi al-lo sviluppo di prodotto e di processo. Parliamoad esempio del cosiddetto “materiale rotabile”per l’industria ferroviaria (i treni per capirci)oppure, considerando un bene di consumo or-mai presente nella vita di tutti noi, degli auto-veicoli e delle relative componenti meccani-che, quale è ad esempio il motore.Questa breve dissertazione si pone comeobiettivo di fornire al lettore un’idea della appli-cazione del Project Management alla progetta-zione ed allo sviluppo di un motore automobili-stico, evidenziando come tale metodologia –applicata in un Gruppo Industriale leader nelsettore – abbia richiesto una revisione della or-ganizzazione aziendale, che si è tuttavia per-fettamente integrata nelle logiche aziendali enella normativa di riferimento per il Sistema diGestione Aziendale.A questo proposito, la normativa applicata a li-

Quaderno

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UN’APPLICAZIONE DELLE TECNICHE DI PROJECTMANAGEMENT ALLO SVILUPPO PRODOTTO

NELL’AUTOMOTIVE

a cura di

Ing. A. Calisti

commissione

Project Management Industriale

visto da:

Ing. W. Reali - Ing. G. Boschi

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mi di Gestione Qualità già riconosciuti dalle ca-se produttrici americane ed europee, come adesempio Qs 9000, Avsq ‘94, Vda 6.1, Eaqf.La struttura della ISO/TS16949, ricalcando laNorma Iso 9001, rilegge i sistemi di gestioneaziendali secondo una logica per processi.Dalla semplice logica di conformità allo stan-dard, l’enfasi si concentra sull’attenzione alcliente ed il miglioramento continuo.Tale approccio coinvolge anche le attività disviluppo del prodotto e dei processi produttivi,

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vello mondiale nell’automotive è la SpecificaTecnica ISO/TS 16949, elaborata dall’IATF (In-ternational Automotive Task Force), che rag-gruppa le maggiori case costruttrici mondiali,specifica che si è ormai affermata come stan-dard universalmente riconosciuto. Tale norma,nata per la gestione della qualità delle forniturenel settore automobilistico, è diventata un pun-to di riferimento per l’intero comparto, poichérappresenta una sorta di “convergenza” dischemi e regole per la certificazione dei Siste-

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un cambio di organizzazione (e di riflesso dimentalità) piuttosto deciso e – per certi versi -“epocale”. Si è passati infatti da una organizza-zione “per funzioni” ad una organizzazione“per processi”.Mentre nel primo caso l’Azienda si considerasuddivisa in strutture “verticali” e “verticistiche”ben distinte, ciascuna delle quali ha un proprioruolo e – soprattutto – un proprio ambito diazione ben definito (il che crea spesso proble-mi di comunicazione trasversale e di coordina-mento), nel secondo caso viene applicata unastruttura di tipo “matriciale” dove ai legami ge-rarchici si aggiungono anche legami di tipofunzionale.E’ il caso delle “Piattaforme di Prodotto” cherappresentano il “cuore” organizzativo della no-stra applicazione del Project Management.Nella Piattaforma di Prodotto, il Responsabileha un Team di collaboratori, alcuni full-time, al-tri part-time provenienti da tutte le FunzioniAziendali. Con queste risorse il Responsabiledi Piattaforma ha un legame di tipo “funziona-le”. Ciascuna di esse ha infatti un proprio re-sponsabile gerarchico, con il quale il Respon-sabile di Piattaforma dialoga costantemente edecide sia le modalità di impiego della risorsa,sia la definizione degli obiettivi e la valutazionedei risultati del lavoro svolto in relazione alleperformances del progetto.La figura 2, di seguito riportata, rappresenta loschema “tipico” di una Piattaforma di Prodotto.

per la corretta gestione delle quali le regole dibase del Project Management rappresentanoun “tool” veramente efficace. Esse infatti con-sentono di mantenere il controllo di tutte le atti-vità di definizione del prodotto e dei processiper la sua realizzazione, fornendo degli outputche si sposano perfettamente con la logica del“Miglioramento Continuo” teorizzata da Demingnel famoso cico P-D-C-A (Plan-Do-Check-Act).Ma le regole del Project Management consen-tono anche di soddisfare un altro, forse più im-portante requisito dell’industria moderna (nonsolo automobilistica): il Time to Market.In generale il tempo che intercorre tra “l’idea”del prodotto e la sua disponibilità sul mercato èsempre un fattore di competitività rispetto allaconcorrenza, ma la sua incidenza assume unruolo fondamentale se si parla di prodotti cherientrano nei cosiddetti “beni di consumo”. Ap-plicando le regole del Project Management, iltempo di sviluppo dei prodotti da noi conside-rati si è ridotto di circa il 25%, passando dauna media di 24-28 mesi a circa 18 mesi.

Applicazione del PM: le Piattaforme diProdotto e lo Schema di ProcessoVolendo quindi analizzare con un minimo didettaglio l’applicazione del Project Manage-ment al contesto automotive in esame, è ne-cessario partire dalla organizzazione azienda-le. Nel nostro caso infatti si è dovuto operare

Figura 1 - ContinuousImprovement

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Nel Team di Piattaforma siedono tutte le figure“chiave” per il processo, “prestate”, anzi dele-gate al progetto dalle varie Funzioni Aziendali.Alcune di queste figure, come detto, partecipa-no a tempo pieno alle attività, altre solo “oncall”.I Responsabili di Piattaforma rappresentano inpratica i Project Managers dell’Azienda e sonoinseriti al massimo livello nell’organizzazione(figura 3).In una logica di “Lean Organization” rispondo-no direttamente all’Amministratore Delegato o,al massimo, ad un coordinatore che gestiscepiattaforme di prodotto simili (ad esempio mo-tori a benzina, motori diesel, CNG, ibridi, ecc.)al fine di sviluppare correttamente le sinergietra le risorse.La figura 4, di seguito riportata, rappresenta unesempio della organizzazione aziendale sopradescritta.Come sopra accennato, il Responsabile diPiattaforma esercita di fatto il ruolo di ProjectManager. Volendo sviluppare alcune conside-razioni di massima sulle competenze e sullecapacità che il P.M. deve dimostrare, non sipuò non fare riferimento a quanto “recitano” leteorie ed a quanto suggerisce il buon senso.Alcune interpretazioni del Project Managementvedono infatti il P.M. come una figura di tipoeminentemente gestionale, che deve fungereda “coordinatore di competenze”, senza ne-cessariamente entrare in profondità negli

aspetti tecnici. Sono quindi enfatizzate le capa-cità di tipo gestionale, come il lavoro in team, lacapacità di ascolto, la tendenza a smorzare iconflitti, l’attitudine alla negoziazione, ecc. Tuttociò è profondamente vero, tuttavia è sicura-mente un vantaggio per il P.M. possedere an-che delle nozioni tecniche e la capacità di ela-borare e seguire schemi razionali, come unaformazione di tipo ingegneristico è in grado digarantire. Importante è anche la capacità didelega verso i collaboratori. Un individualista,anche se ottimo tecnico ed efficace mediatore,difficilmente potrà essere un P.M. di successo.Tornando al processo di Sviluppo del Prodottoapplicato, questo prevede delle fasi distinte(ciascuna delle quali può essere vista come uninsieme di “work packages”), secondo lo sche-ma di seguito riportato.Nella Fase 1 “Selezione del Concept” viene de-cisa la soluzione tecnica da adottare sulla basedelle alternative disponibili definite normalmen-te in sede di R.&D. (es. numero e disposizionedei cilindri, tipo di combustibile, alimentazione,sovralimentazione, ecc.). Viene anche avviatal’attività di selezione per i fornitori di compo-nenti o attrezzature critiche, nonché le attivitàdi “Simultaneous Engineering”.Nella Fase 2 “Verifica Preliminare” vengonoanalizzati i risultati delle prove di durabilità edaffidabilità dei primi prototipi e vengono defini-te le prove successive, si procede ad una revi-sione/conferma dei target di prodotto e viene

Figura 2 - Schematipico di unaPiattaforma di prodotto

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Figura 3 - Projectmanagers aziendali:

Responsabili diPiattaforma

Figura 4 -Organizzazione

aziendale

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avviata la progettazione delle linee di produzio-ne.Nella Fase 3 “Validazione Finale” viene com-pletata la sperimentazione sui prototipi e la ve-rifica delle prestazioni ottenute utilizzandocomponenti allo stato definitivo di progettazio-ne e modalità di realizzazione rispetto agliobiettivi pianificati, si procede con la validazio-ne dei processi produttivi interni ed esterni (for-nitori).Nella Fase 4 “Pre-serie Prodotto” si completa lavalidazione dei processi e delle performancesdi prodotto.Nella Fase 5 “Pre-serie Produzione” si testano isistemi produttivi realizzando una pre-serie concomponenti ed attrezzature definitive. Si dàl’”ok” formale all’avvio produttivo.L’ultima fase rappresenta la salita dei volumidopo l’avvio produttivo, durante la quale si pro-cede con eventuali attività di “affinamento” nel-la gestione dei processi, su un prodotto ormaicompletamente e definitivamente stabilito nellecaratteristiche.Ciascuna fase è composta da una serie diazioni che coinvolgono esponenti di diversefunzioni aziendali, il cui regolare svolgimentoed i cui risultati – rispetto agli obiettivi previsti –sono costantemente ed attentamente monitora-ti dal Responsabile di Piattaforma.Le prime fasi del processo di sviluppo non so-no concepite come perfettamente sequenziali,ma sono ammesse delle sovrapposizioni di atti-vità. L’entità della sovrapposizione dipendedalle specificità delle attività, ma anche dal Ti-me To Market e dalle tempistiche definite dalcliente (che nel nostro caso è rappresentatodal produttore del veicolo che dovrà montare ilmotore oggetto del progetto).Il rischio connesso al rapporto di sovrapposi-zione deve essere costantemente monitorato egestito dal Team di Piattaforma e dal suo Re-sponsabile, informando tempestivamente i li-velli aziendali superiori in caso di criticità bloc-canti.Durante lo sviluppo del processo sono previstedelle “Management Review” (vedi rombi giallinella figura) durante le quali il Team di Piattafor-ma procede ad una disamina completa dell’a-

vanzamento delle attività e delle eventuali criti-cità ed azioni conseguenti, informando il restodella organizzazione aziendale.Tutto il processo infine è “fasato” temporalmen-te rispetto all’analogo processo di sviluppo pro-dotto del cliente (il produttore di veicoli) in mo-do che all’avvio produttivo si realizzi un “mat-ching” perfetto tra veicolo e motore.

Un esempio di tool informatico per agevolarela gestione delle problematicheFondamentale per il corretto funzionamentodel processo sopra descritto e per il rispettodelle tempistiche è che lo scambio di informa-zioni avvenga velocemente e coinvolga effet-tivamente tutti gli attori interessati, soprattuttonel momento in cui vi è un problema da risol-vere o un “ok” da dare obbligatoriamente perpassare alla fase successiva. E’ inoltre utilepoter disporre di una “biblioteca” di casiaziendali relativi a progetti precedenti o chesi sviluppano in parallelo per poter confronta-re le soluzioni ipotizzate ed evitare di percor-rere strade già “battute” e compiere errori giàcommessi. Per questa ragione, a margine delprocesso sopra descritto si è schematizzatoun “workflow” e si è creato un sistema infor-matico per la segnalazione delle criticità e laraccolta/validazione delle azioni correttive. Intale sistema ciascun componente del Team diPiattaforma risulta identificato nel ruolo e nel-le prerogative di intervento nel workflow. Tuttele informazioni sono “canalizzate” e riportatecon una terminologia condivisa che evita er-rori di interpretazione e ciascuno ha chiari icompiti da svolgere, ai quali il sistema lo ri-chiama automaticamente inviando dei solleci-ti che consentono il rispetto delle tempistichedefinite.Ovviamente tutte le informazioni sono archivia-te su server in modo sicuro e non restano vice-versa sul pc del singolo tecnico a costituire un“patrimonio personale” di conoscenza da cu-stodire gelosamente, ma che rischia di perder-si nel momento in cui la persona cambia incari-co o lascia l’azienda. ÿ

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PERDITE REALI NELLE RETIACQUEDOTTISTICHE E NEI

GASDOTTI

a cura di

Ing. P. Reale

commissione

Sistemi idraulicicomplessi

visto da

Ing. G. CigariniIng. F. Napolitano

PremesseNel campo della gestione dei servizi di acquae gas riveste particolare importanza il tema cheriguarda le perdite. Come è noto, dentro il ter-mine più generale di perdite dei sistemi vi sonocomprese le perdite reali che generalmentenelle reti idriche costituiscono una notevolecomponente. Le perdite reali, siano esse su retiidriche o su reti gas, causano un danno econo-mico in termini di:• maggiori costi di produzione o di acquisto

della risorsa;

Nel campo della gestione dei servizi

di acqua e gas riveste particolare

importanza il tema che riguarda le

perdite.

Come è noto, dentro il termine più

generale di perdite dei sistemi vi

sono comprese le perdite reali che

generalmente nelle reti idriche

costituiscono una notevole

componente.

Le perdite reali, siano esse su reti

idriche o su reti gas,

causano un danno economico

in termini di:

• maggiori costi di produzione o di

acquisto della risorsa;

• spreco di risorsa;

• disservizi alle utenze.

• spreco di risorsa;• disservizi alle utenze.Inoltre, nel caso delle reti gas sussiste il proble-ma della pericolosità associata alle perdite rea-li. Infatti, dalle perdite (o fughe) di gas possonoscaturire seri problemi per la sicurezza dellacollettività o per la stabilità dei fabbricati o infra-strutture adiacenti alle tubazioni danneggiate.Da un rapporto ISTAT, relativamente all'anno2012, risulta che le perdite idriche (qui compre-se anche le perdite apparenti) caratteristichedei nostri acquedotti sono in media del 34%. Il

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quali, solamente lo 0,02% è effettivamente ri-conducibile alle fughe attraverso condotte, odispersioni nelle stazioni di decompressione.È quindi evidente l'enorme differenza tra i duesistemi, così tecnologicamente simili apparen-temente, ma così diversi in termini di efficienzanell'esercizio. Naturalmente, si tratta di due be-ni con valori economici ben diversi. Si tengapresente che analizzando i prezzi medi all'u-tente abbiamo 0,85 €/m3 per l'acqua e 90 €/m3

per il gas, fattore questo,che incide in maniera

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rilevamento delle stesse pubblicato dall' OCSEe relativo all'anno 2013 riporta un dato medionazionale pari al 36%. Diversi altri studi e rap-porti di settore confermano che le perdite negliultimi anni si sono attestate tra il 35% e il 40% emettono in evidenza l'assenza di apprezzabilisegnali di miglioramento.Diversa è la situazione per i sistemi di trasportoe distribuzione delle reti gas. Snam Rete Gasstimava per il quinquennio 2004-2008 perditemedie annue dell'ordine dello 0,08%, delle

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Figura 1 - Schemi tipodei due sistemi di

adduzione-distribuzione

Figura 2 - Schemafunzionale valvola di

riduzione dellapressione (con

controllo da pilota)

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determinante sull'attenzione posta dai gestori edal Legislatore al contenimento delle perditereali.Nel contrasto alle perdite reali un contributomolto importante è da associarsi alle tecnichee alle tecnologie di buona posa in opera dellecondotte, ai materiali impiegati ed alle tecnichedi protezione delle condotte stesse.Analoga importanza è da attribuire ai sistemi dimonitoraggio e controllo, alla disciplina in ma-teria di sorveglianza e protezione delle reti,ecc.Si tratteranno di seguito alcuni aspetti, ritenuti ipiù salienti, dei due sistemi tecnologici, dallaadduzione alla distribuzione, dei due differentifluidi. Principale obiettivo è mettere in evidenzadifferenze, analogie e criticità o “comportamen-ti virtuosi” che possano essere conveniente-mente applicati alla tecnologia di distribuzionemaggiormente deficitaria.

Acquedotti e gasdotti – tecniche e tecnologie aconfrontoSulla base delle considerazioni precedente-mente espresse, si riportano sotto le principalianalogie, differenze e peculiarità individuate aseguito di un confronto tra i due tipi di reti.

AdduzioneAlcune peculiarità relative alle adduzioni gas:• le cabine di salto - utilizzate per effettuare

la riduzione della pressione via via che dall’adduzione ci si sposta verso la distribuzio-ne (cabine di 1°salto, 2°salto,...). Questesono tra gli impianti tecnologicamente piùimportanti per la corretta gestione del tra-sporto e della distribuzione, su scala nazio-nale. Infatti, sulle reti gas non sono general-mente presenti tra distribuzione e adduzio-ne elementi di disconnessione o di com-penso. Le variazioni di domanda all'utenza,per via della compressibilità del fluido sonoassorbite dalle condotte stesse, che svol-gono una funzione di compensazione.

• Sezionamenti e dispositivi di scarico lungole adduzioni finalizzati allo scarico di sicu-rezza delle condotte nel caso si superi lapressione massima di esercizio caratteristi-ca prevista per la tubazione stessa.

DistribuzioneAnalizzando le due differenti tipologie di retipreposte alla distribuzione, come prima impor-tante differenza si rileva:• un diverso approccio alle magliature (o alle

chiusure ad anello), nelle reti di distribuzio-ne idrica la magliatura è da sempre consi-derata un elemento di “sicurezza”o di ga-ranzia, in quanto un'eventuale rottura, inter-ruzione o guasto di un tronco non compor-

ta la sospensione del servizio all'utenza .Diversamente, per motivi di sicurezza, nellereti di distribuzione gas (che avvengono aBassa Pressione) vale il principio “meglioniente gas che poco” e si tende a predili-gere le reti di tipo ramificate cosicché incaso di guasto in una tubazione il flussoviene completamente interrotto, evitando inquesto modo di lasciare una residua, limi-tata e pericolosa pressione agli utenti.

Materiali utilizzatiAlcune analogie si ritrovano sui materiali in usocorrente. Con riferimento, infatti, ai materialiusati per la realizzazione delle condotte, reti gase reti idriche hanno in comune ben tre tipologiedi materiali. Vengono utilizzati nella realizzazio-ne delle canalizzazioni per acquedotti e gasdot-ti: Acciaio, Ghisa Sferoidale e Polietilene (PE).Com’è noto, oltre ai suddetti materiali, per il tra-sporto e la distribuzione d'acqua ne sono di-sponibili altri (PVC, CA, CAP, PRFV).In particolare, però, per il trasporto e la distri-buzione Gas si impiega prevalentemente l'Ac-ciaio per le notevoli caratteristiche di resistenzameccanica. La Ghisa sferoidale ed il Polietilenesi adottano principalmente per le condotte didistribuzione in media e bassa pressione (P <5bar).

Particolari costruttiviSistemi di giunzione, apparecchiature, pezzispeciali, sfiati e scarichi, tecniche di posa e diprotezione.I giunti, nelle condotte in ghisa sferoidale perreti gas distribuzioni in media e bassa pressio-ne (P < 5bar) sono in genere del tipo a bicchie-re, come nelle condotte idriche, ma con unaguarnizione in gomma nitriloacrilica compressada una flangia collegata al bicchiere con bullo-ni a martello. I giunti lungo grosse adduttricigas in acciaio (condotte in alta pressione) sonogeneralmente realizzati mediante saldatura perfusione. Sono ammessi anche giunti a flange ofilettati a condizione che siano soddisfatte leesigenze di resistenza e tenuta.Per le condotte idriche i sistemi di giunzione piùcomunemente adottati sono del tipo a bicchiere,a flangia, a manicotti, rapidi, express, ecc.Riguardo alle apparecchiature per l’intercetta-zione del fluido, le più usate nel campo delgas sono le valvole a sfera, normalmente inacciaio. Le valvole sono generalmente colle-gate mediante giunti a flange o, nel caso del-l'acciaio, mediante saldatura. Dal un punto divista tecnico-costruttivo questo tipo di appa-recchiature è molto simile per i due sistemi didistribuzione in esame, ovvero reti gas e retiidriche.

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Inoltre, con riferimento alle apparecchiaturepreposte alla riduzione di pressione, è possibi-le evidenziare una ulteriore analogia. Infatti, perle valvole di riduzione della pressione il princi-pio di funzionamento è identico per i due diffe-renti fluidi. Le tipologie più diffuse per entram-be le reti sono del tipo a membrana, regolate amolla o da pilota idraulico, tecnologie comuniper due sistemi di distribuzione.Per quanto riguarda i pezzi speciali adottati neidue differenti sistemi, generalmente realizzati inmateriali metallici (acciai normali e speciali,ghisa grigia o sferoidale, ecc...), non si hannosostanziali differenze. Si adottano comunemen-te per entrambi i tipi di rete Tee, croci, riduzioni,tazze, ecc.Anche per questi dispositivi esiste un perfettoparallelismo tra i due sistemi di trasporto e di-stribuzione. Per entrambi vanno previsti sfiatinei punti di massimo e scarichi nei punti di mi-nimo.Nel caso di trasporto o distribuzione di gas loscarico ha la finalità di consentire l'espulsionedi eventuali acque introdottesi nelle condotte aseguito di lavori o da infiltrazioni o da falda oda acque meteoriche.Inoltre, sempre nel trasporto gas, i dispositivi disfiato sono realizzati per motivi di sicurezza eopportunamente dislocati con la finalità di con-sentire lo scarico delle condotte nel caso in cuile pressioni dovessero superare di una certaentità la pressione massima di esercizio carat-teristica della condotta stessa.A livello di tecniche di posa in opera delle con-dotte (trincee, letti di posa, rinterri, rinfianchi)non vi sono sostanziali differenze per i due dif-ferenti sistemi di trasporto e distribuzione. An-che la profondità minima di posa tipica è moltosimile:• 0,6-0,9 m per le tubazioni gas (0,6 per la di-

stribuzione, 0,9 per l'adduzione e il trasporto);• 1-1,5 m per le tubazioni idriche.

Una peculiarità importantissima delle reti adibi-te al trasporto e alla distribuzione di gas riguar-da l’attenzione che viene posta (dal Legislatoree dai Gestori) nella protezione catodica delletubazioni interrate. Allo stato attuale, dal rap-porto annuale dell'A.E.E.G. risulta che, al 2012,il 98,6% della rete nazionale gas è protetta dal-la corrosione mediante sistemi di protezionecatodica.

Prove di tenuta in fase di collaudoCon riferimento alle prove di collaudo, le con-dotte idriche vengono sottoposte alla pressionedi collaudo pari a 1,5 volte la pressione massi-ma di esercizio prevista per la tubazione, man-tenuta per un tempo pari a circa 4-5 ore.Nelle reti gas, la prova di tenuta delle condottealla pressione di collaudo, diversa per ciascu-na specie, ha una durata di almeno 24 ore. Siconsiderano addirittura 48 ore nel caso dellecondotte di adduzione (1a, 2a e 3a specie –pressioni di esercizio > 5 bar).

Impianti, postazioni e dispositivi di controlloAnche a livello di impianti sussistono delle simi-litudini e analogie, per esempio tra serbatoi(d'acqua) e stoccaggi (di gas), postazioni di ri-duzione della pressione e apparecchiature dimisura e controllo. Tuttavia, gli stoccaggi gascon finalità di compenso sono oramai sostan-zialmente in disuso, ad eccezione di quelli convalenza strategica nazionale.Un’altra differenza tra le due reti di distribuzio-ne sta nel diverso modo di collegare l'adduzio-ne con la distribuzione. In particolare, negli ac-quedotti viene generalmente interposto un ele-mento idraulico che funge da disconnessioneidraulica, tipicamente effettuate tramite torrinipiezometrici, o serbatoi. Il fine è quello di “as-sorbire” nell'elemento di disconnessione le piùo meno importanti variazioni giornaliere e/o sta-gionali dei consumi sfruttando la capacità dicompenso del serbatoio e, quindi, di evitareche le perturbazioni dei carichi dovuti alla va-riabilità temporale della domanda all'utenza sipossano propagare nella condotta adduttrice,come avverrebbe se la rete fosse collegata peresempio con un partitore in pressione.Una volta, in maniera del tutta analoga agli ac-quedotti, le reti gas venivano dotate di serbatoidi compenso a monte della distribuzione. Oggi,nelle reti gas, tra adduzione (che avviene adalta e media pressione) e distribuzione (cheavviene a bassa pressione) sono interposte lecentrali di riduzione delle pressioni, che hannola finalità di dissipare parte dell'energia poten-ziale del gas compresso. La compensazionealla variabilità dei consumi viene affidata allacomprimibilità del fluido e all'opportuno sovra-

Figura 3 - Impianto diodorizzazione del gas

naturale

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dimensionamento delle condotte, sfruttandoquindi anche le centrali di decompressioneche devono essere idoneamente dislocate al-l'interno di una rete.Odorizzazione del gas.Un'importante precauzione ai fini della sicurez-za nella distribuzione del gas è quella che pre-vede l'odorizzazione del gas naturale distribui-to, in quanto, di per sé esso sarebbe inodore.Con tale tecnica si rende il gas rilevabile all'ol-fatto, potendo quindi in questo modo ricono-scere con maggiore facilità fughe, rotture, ecc.consentendo tempestivi interventi di riparazio-ne.

Considerazioni ed aspetti normativiA titolo non esaustivo, si riportano di seguito iprincipali documenti normativi, con l'aggiuntain qualche caso di un commento sintetico-de-scrittivo, che hanno posto le basi della regola-mentazione dei sistemi idrici di distribuzione eche contengono disposizioni specifiche di indi-rizzo verso l'efficientamento dei sistemi stessi.

• La legge n. 183 del 1989 - Norme per ilriassetto organizzativo e funzionale della di-fesa del suolo - ha permesso di coordinarele politiche settoriali per l’uso delle acque.

• La legge Galli, n.36 del 1994 - Disposizioniin materia di risorse idriche - ha permessodi ridurre la frammentazione territoriale deiservizi idrici ed ha istituito il Comitato di Vi-gilanza delle Risorse Idriche (CO.VI.R.I.).

• DPCM del 4 marzo 1996 - Disposizioni inmateria di risorse idriche - detta le direttivegenerali e di settore per il censimento dellerisorse idriche e per la disciplina dell’eco-nomia idrica nonché le metodologie ed i cri-teri generali per la revisione e l’aggiorna-mento del Piano regolatore generale degliacquedotti.

• DM 99/1997 - Regolamento sui criteri e sulmetodo in base ai quali valutare le perditedegli acquedotti e delle fognature.

• D.L. 152/1999 - Disposizioni sulla tuteladelle acque dall'inquinamento e recepi-mento della direttiva 91/271/CEE concer-

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nente il trattamento delle acque reflue ur-bane e della direttiva 91/676/CEE relativaalla protezione delle acque dall'inquina-mento provocato dai nitrati provenienti dafonti agricole.

• Direttiva Quadro sulle Acque dell’UnioneEuropea, recepita attraverso il D.Lgs.152/2006 – Norme in materia ambientale.

Analogamente, si riportano di seguito le princi-pali direttive di indirizzo rivolte all'efficienta-mento ed alla sicurezza dei sistemi di trasportoe distribuzione gas.• La delibera ARG/gas n. 40 del 2004 (e

s.m.i.) – Adozione del regolamento delle at-tività di accertamento della sicurezza degliimpianti di utenza a gas – Disciplina gli ac-certamenti della sicurezza degli impianti diutenza a gas.

• La delibera ARG/gas n. 120 del 2008 - Te-sto Unico della regolazione della qualità edelle tariffe dei servizi di distribuzione e mi-sura del gas per il periodo di regolazione2009-2012 (TUDG): approvazione della Par-te I "Regolazione della qualità dei servizi didistribuzione e di misura del gas per il pe-riodo di regolazione 2009-2012 (RQDG)” -disciplina alcune attività rilevanti per la si-curezza del servizio di distribuzione del gastra cui: il pronto intervento, l’ispezione della

rete di distribuzione, l’attività di localizzazio-ne delle dispersioni a seguito sia di ispezio-ne sia di segnalazione da parte di terzi el’odorizzazione del gas.

• La delibera 1 ottobre 2009, ARG/gas141/09 – Testo Unico della regolazione del-la qualità e delle tariffe dei servizi di tra-sporto e dispacciamento del gas naturaleper il periodo di regolazione 2010-2013(TUTG): approvazione della Parte I “Rego-lazione della qualità del servizio di trasportodel gas naturale per il periodo di regolazio-ne 2010-2013 (RQTG)” - definisce la rego-lamentazione della qualità del servizio ditrasporto del gas naturale in materia di si-curezza. In particolare disciplina: sorve-glianza ed ispezione della rete, protezionecatodica della rete.

Dall'impianto normativo sopra citato, riassuntoper le linee principali, emergono alcuni aspettiche incidono in maniera sostanziale sul contra-sto delle perdite reali nelle reti gas. Uno di que-sti è sicuramente relativo alla disciplina delleattività dei gestori quali: il pronto intervento, l’i-spezione della rete di distribuzione, l’attività dilocalizzazione delle dispersioni, a seguito sia diispezione sia di segnalazione da parte di terzie l’odorizzazione del gas (delibera ARG/gas120/08).

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1 Le perdite idriche sono da essere considerate com-poste dei due termini: perdite reali o fisiche (perditenelle condotte, perdite e sfiori ai serbatoi, perditeagli allacci d'utenza, ecc.) e perdite apparenti (con-sumi non autorizzati, errori di misura, ecc.)

2 Anche se, si osserva attualmente una tendenza deigestori delle reti di distribuzione acquedottistiche,nell'intento di contrastare il fenomeno delle perdite, adisaggregare le grandi reti magliate in sottoreti il piùpossibile indipendenti, anche rinunciando parzial-mente al beneficio delle reti fortemente magliate edequilibrate, per passare alle reti distrettualizzate (di-strict metering, waste metering, ecc.).

BibliografiaAA. VV. - AUTORITA' PER L’ENERGIA ELETTRICAE IL GAS, Relazione annuale sullo stato dei servizie sull’attività svolta, anno 2013.AA. VV. - Rapporti dell’OCSE sulle performanceambientali - Italia, anno 2013.AA. VV. - REGIONE LOMBARDIA, Reti, servizi dipubblica utilità e sviluppo sostenibile, Manualeper la posa razionale delle reti tecnologiche nelsottosuolo urbano, B.U.R.L. n. 45 del 2007.AA. VV. - ISTAT, Eco management e servizi am-bientali nelle città: rifiuti, acqua, energia - anno2012, pubblicata nel 2013.B. BRUNONE, M. FERRANTE, S. MENICONI, Ri-cerca e controllo delle perdite nelle reti di condot-te, Manuale per una moderna gestione degli ac-quedotti, Città Studi edizioni 2008.G. M. GHELLI, G. GHELLI, Tecnica delle reti e de-gli impianti acqua e gas, Maggioli Editore 2010P. VIGO, F. ARPINO, G. FICCO, Determinazionedel gas non contabilizzato nelle reti di trasporto:studi, analisi e verifiche inerenti gli impianti di mi-sura, Rapporto Tecnico di Ricerca Fase III, Uni-versità degli Studi di Cassino, Convenzione di ri-cerca con l'Autorità per l'Energia Elettrica ed ilGas, anno 2010.V. BEARZI, P. LICHERI, Manuale degli impianti agas, Tecniche nuove 2007.V. MILANO, Acquedotti, Hoepli 2012.

L'obiettivo primario del legislatore è ovviamen-te quello di minimizzazione del rischio di esplo-sioni, di scoppi e di incendi provocati dal gasdistribuito e, dunque, la salvaguardia delle per-sone e delle cose da danni derivanti da esplo-sioni, da scoppi e da incendi provocati dal gasdistribuito. In particolare, con riferimento all'ob-bligo dei gestori di procedere all'ispezione me-todica della rete, risulta che dell'intera rete na-zionale, estesa al 2012 per ben 33,400 km cir-ca, è stata ispezionata per oltre il 55% dellasua estensione.

ConclusioniIn conclusione, con riferimento agli aspetti edalle peculiarità tecnologiche dei due sistemianalizzati, è possibile individuare alcune tecni-che virtuose che rendono le reti gas particolar-mente efficienti nel trasporto e nella distribuzio-ne del gas. Queste possono essere riassuntenei seguenti punti:• la tecnica dell'odorizzazione del gas che fa-

cilita fortemente il rilevamento delle fughedi gas rendendole rilevabili all'olfatto;

• le differenti prove di tenuta delle tubazioniin fase di collaudo, che sottopongono igiunti delle tubazioni a condizioni più seve-re;

• le tecniche di giunzione delle tubazioni cheprediligono l’uso delle saldature che, di fat-to, rendono monolitiche le tubazioni;

• l'obbligo normativo per i gestori di eseguireispezioni e sorveglianza sulle reti adibite altrasporto;

• l'obbligo normativo per i gestori di sottopor-re a protezione catodica la totalità delle tu-bazioni in acciaio interrate e adibite al tra-sporto.

È comprensibile come nelle reti gas notevolisiano gli accorgimenti tecnici e tecnologici,nonché gli specifici indirizzi normativi per ga-rantire la sicurezza nell'esercizio delle stesse.La sensibilità al problema delle perdite nei duetipi di distribuzione è di gran lunga superiorenelle reti gas, dato che esse possono esserecausa di gravi incidenti e compromettere lapubblica incolumità.Come spunto di riflessione, ci si domanda senon sarebbe il caso, per favorire la tutela dellarisorsa idrica, ridurre i costi di produzione e tra-sporto, ridurre i disservizi alle utenze, ed esten-dere alcune delle soluzioni tecniche e tecnolo-giche adottate per il gas all’acqua.Del resto, diversi rapporti e studi di settore, co-me conferma anche l’ultimo condotto dell'Auto-rità per l'Energia Elettrica e il Gas, segnalano lanecessità di sviluppare e modernizzare le infra-

strutture idriche per compensare il ritardo strut-turale creatosi nel corso degli anni.È evidente, quindi, che occorrerà dare ulterioriimpulsi normativi relativamente agli aspetti tec-nico-gestionali, cogliendo l'occasione per ese-guire un utile riassetto organico delle normativedi settore per la distribuzione idrica. Ciò tenen-do come obiettivo finale l’aggiornamento ba-sato sulle nuove tecniche e tecnologie e d il mi-glioramento delle modalità costruttive e dei li-velli prestazionali attesi. ÿ

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Quaderno

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ASILI NIDO:STRUTTURE DEDICATEALLO SVILUPPO PSICO-FISICO DEI BAMBINI

DA 0 A 3 ANNIa cura di

Ing. M. Bergamini

commissione

Antincendio: ediliziacivile/aree a rischio

visto da

Ing. M. BabudriIng L. Liolli

Con l’emanazione del Decreto del Presidente della Repubblica 1°Agosto2011, n.151, gli asili nido entrano a far parte delle attività soggette agliadempimenti di prevenzione incendi cosi come indicato nell’allegato I,trovando collocazione al punto 67 “scuole di ogni ordine, grado,e tipo,

collegi, accademie con oltre 100 persone presenti. Asili nido con oltre 30persone presenti”ed in classe B, segno evidente che il legislatore ha

ritenuto l’attività in oggetto come mediamente complessa i cui rischi vannodunque valutati attraverso un progetto condiviso tra professionista e

pubblica amministrazione.

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sioni massime dei compartimenti, individuazio-ne delle uscite di sicurezza e dei percorsi diemergenza. Influisce altresì sulle protezioni an-tincendio da realizzare quali, impianti di rivela-zione, impianti idrici antincendio, ecc..A conclusione di tale processo, in data 29 lu-glio 2014, è stato pubblicato il Decreto Ministe-riale 16 Luglio 2014 contenente “Regola tecni-ca di prevenzione incendi per la progettazione,costruzione ed esercizio degli asili nido” finoalla emanazione del quale, a fronte della as-senza di una norma verticale di riferimento, ilsolo strumento di supporto alla progettazioneera costituito dal Decreto Ministeriale 10 Marzo1998 “Criteri generali di sicurezza antincendioe per la gestione dell'emergenza nei luoghi dilavoro”.

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Quadro normativo di riferimentoCon l’emanazione del Decreto del Presidentedella Repubblica 1°Agosto 2011, n.151, gliasili nido entrano a far parte delle attività sog-gette agli adempimenti di prevenzione incendicosi come indicato nell’allegato I, trovandocollocazione al punto 67 “scuole di ogni ordi-ne, grado,e tipo, collegi, accademie con oltre100 persone presenti. Asili nido con oltre 30persone presenti”ed in classe B, segno evi-dente che il legislatore ha ritenuto l’attività inoggetto come mediamente complessa i cui ri-schi vanno dunque valutati attraverso un pro-getto condiviso tra professionista e pubblicaamministrazione.Prima della emanazione del nuovo Regolamen-to di prevenzione incendi, gli asili nido non ri-sultavano assoggettabili agli adempimenti daesso disposti in quanto il Comitato CentraleTecnico-Scientifico (C.N.VV.F.) con Lettera Cir-colare del 23 settembre 1997, aveva ritenutoche essi non potessero essere ricompresi né alpunto 85 dell’elenco allegato al D.M.16/02/1982, non trattandosi di attività scolasti-ca, prevista quest’ultima solamente a partire da3 anni (scuola materna, elementare ecc.), né alpunto 86 dello stesso, considerato che, pur es-sendo i fruitori non autosufficienti e bisognevolidi assistenza, il parametro preso in considera-zione per determinare l’assoggettabilità adospedali, case di cura e simili (ovvero il numerodi posti letto), non trovasse riscontro nel casodegli asili nido.Le motivazioni che hanno indotto a questa de-cisione, frutto di una lettura di parametri di rife-rimento squisitamente legislativi, non potevanodisattendere le attenzioni di una società sem-pre più attenta al tema della sicurezza, dal rite-nere che un asilo nido, per sua natura e per iltipo di fruitori che lo occupano, dovesse esse-re considerato una attività di tipo sensibile eche, come tale, necessitasse di tutte le valuta-zioni proprie di simili luoghi, non ultimo unaidonea progettazione in materia di prevenzio-ne incendi.Da qui l’impegno a definire una regola tecnicaspecifica, calibrata sull’aspetto che maggior-mente caratterizza la valutazione dei rischi ne-gli asili nido. I piccoli utenti non sono capaci diprovvedere alla loro stessa incolumità, di muo-versi e di essere indipendenti, il che, influiscepesantemente su tutti i fattori che entrano ingioco nella difesa contro l'incendio, quali scelteprogettuali, delle strutture, degli elementi co-struttivi e degli allestimenti, del lay-out, esten-

Come garantire la sicurezza dei piccoli utenti: rischi, misure preventive eprotettive, modalità di adeguamento

Figura 1 - Strutturadella Regola Tecnica

I punti essenziali della regola tecnicaL’adeguamento antincendio degli asili nido sicolloca a metà tra quello delle scuole (att. 67)soggette alle disposizioni di cui al D.M. 26 ago-sto 1992 “Norme di prevenzione incendi perl'edilizia scolastica”, trattandosi di bambini, e aquello delle Strutture sanitarie (att.68) soggettealle disposizioni di cui al D.M. 18 Settembre2002 “Approvazione della regola tecnica diprevenzione incendi per la progettazione, lacostruzione e l'esercizio delle strutture sanita-rie, pubbliche e private ”, trattandosi, come ri-cordato, di persone il cui comportamento risul-ta particolarmente critico e di non semplice ge-stione se non adeguatamente pianificato.In effetti il legislatore ha previsto, per il raggiun-gimento di un livello accettabile della sicurezza

D.M.16/07/2014

Regola Tecnica

Titolo IDisposizioni comuni

per tuttigli asili nido

Titolo IIAsili nido di nuovarealizzazione conpiù di 30 persone

presenti

Titolo IIIAsili nido esistenti

con più di 30persone presenti

Titolo IVAsili nido

con meno di 30persone presenti

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antincendio, l’adozione di misure riconducibiliai sei principali gruppi di requisiti di seguito ri-portati.

UbicazioneGli asili nido possono essere ubicati in edifici ditipo isolato o misto purché il sistema di vie diesodo sia ad uso esclusivo e comunque sianoseparati dalle altre parti dell’edificio con ele-menti di resistenza al fuoco prefissata. L’ubica-zione deve consentire l’esodo verso luogo si-curo tramite percorso orizzontale o tramite l’uti-lizzo di rampa con pendenza non superioreall’8% al fine di consentire ad una attrezzaturadi ausilio (ad esempio strutture carrellate per iltrasporto di neonati) di superarla.In alternativa, deve essere garantito il principiodella difesa in sito degli utenti attraverso la piani-ficazione di procedure di esodo orizzontale pro-gressivo, quale sistema di protezione capace didifendere innanzitutto i fruitori, quindi i beni.Conformemente alle altre regole tecniche disettore, anche per i nidi è prevista la possibilitàdi comunicazione con attività pertinenti nonsoggette agli adempimenti di cui al D.P.R.n.151/2011 tramite porte REI60; con le attivitàpertinenti soggette agli adempimenti di cui alDPR 151/2011, tramite filtro a prova di fumo ospazio scoperto.

E’ invece ammessa la diretta comunicazionecon ambienti destinati a scuola di infanzia an-che soggetti agli adempimenti di cui al D.P.R.151/2011 purché vengano adottate adeguatemisure di organizzazione e gestione della sicu-rezza antincendio.Infine, aspetto da prevedere in fase progettua-le, è l’accessibilità ai mezzi di soccorso e lapossibilità di accostamento delle autoscale deiVigili del Fuoco per i nidi ubicati a partire dalprimo piano.

Caratteristiche costruttiveE’ necessario garantire una resistenza al fuococommisurata al carico di incendio previsto ilquale, comunque, deve risultare q

f≤ 300 MJ/m2

e qf≤ 450 MJ/m2 per le aree a rischio specifico.

In ogni caso le strutture portanti e gli elementidi compartimentazione, ivi compresi quelli dieventuali piani interrati, devono garantire ri-spettivamente requisiti di resistenza al fuoco Re REI/EI non inferiori a:• 45 per edifici con altezza antincendi inferio-

re a 12 m;• 60 per edifici con altezza antincendi com-

presa tra 12 m e 32 m;• 90 per edifici con altezza antincendi oltre i

32 m.

Le strutture per bambini da tre mesi a tre anni prevedono attività educative e ludico-ricreative atte allosviluppo cognitivo e relazionale; sono generalmente organizzate in sezioni suddivise per fasce di età:

Lattanti/piccoli: 0-12 mesi – Semidivezzi/medi:12-24mesi – Divezzi/grandi: 24-36 mesi.

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Per le attività isolate, ubicate in edifici mono-piano, è ammessa una classe di resistenza alfuoco R e REI/EI pari a 30.Per i requisiti di reazione al fuoco dei prodottida costruzione si fa riferimento al sistema diclassificazione europeo di cui ai Decreti Mini-steriali 10 marzo 2005 e 15 marzo 2005 secon-do prescrizioni e limitazioni indicate in appositetabelle.Circostanza riscontrabile in molte strutture, ri-guarda l’impiego di tendaggi ed altri materialidi arredo cui sovente si ricorre, anche per ra-gioni di natura pedagogico-educativa, al fine diricreare ambienti confortevoli e a misura dibambino.Molto spesso tali elementi di arredo sono di ti-po non certificato dunque, privi di quei requisitiessenziali che consentirebbero di scongiurareo quanto meno ridurre la probabilità, che nellamalaugurata ipotesi vengano innescati, sianosoggetti a rapida propagazione delle fiamme,anche in virtù della posizione verticale dei ten-daggi, e possano rappresentare una fonte diinnesco di ulteriori materiali adiacenti.In tal senso il legislatore stabilisce che tendag-gi, coperte, nonché poltrone, divani, guancialied altri materiali imbottiti siano rispettivamentein classe 1 e 1IM; in sostanza i requisiti di rea-zione al fuoco previsti per materiali e prodottida costruzione, sono quelli finalizzati ad evitaregocciolamenti e produzione di fumi negli am-bienti frequentati dai bambini.Aspetto rilevante introdotto dalla Regola tecni-ca, è il principio della Tutela in sito dei bambini,disponendo, analogamente a quanto previstoper le strutture ospedaliere, la suddivisione del-l’attività in due o più compartimenti (superficiemax di ognuno pari a 600 m2 per quelli misti,1000 m2 per quelli di tipo isolato).

EsodoNella delineazione dei requisiti del sistema divie di esodo, la regola tecnica, oltre ad imporrela presenza di uscite alternative da ogni pia-no/compartimento (in numero almeno pari a 2),prevede la necessità di predisporre le condi-zioni più idonee a garantire l’esodo organizzatodei piccoli utenti anche attraverso misure diesodo orizzontale progressivo atte a scongiura-re il pericolo immediato dovuto all’incendioeventualmente divampato in una sezione, tra-mite trasferimento presso altro compartimento,cui seguirà l’avvio delle operazioni di evacua-zione.Nel dimensionamento dei compartimenti deveessere considerata una superficie media di0,70 m2 /persona. Per consentire al personaleeducatore di compiere con efficacia le opera-zioni di evacuazione in emergenza è ammesso Figura 2 - Alcuni tendaggi negli asili nido

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il ricorso all’utilizzo di attrezzature di ausilio al-l’esodo (carrelli) per il trasporto di neonati ebimbi nelle prime fasi di sviluppo motorio aven-ti caratteristiche e dimensioni da valutare inmodo specifico in funzione del compartimentodestinato all’esodo orizzontale progressivo; inquesto caso, deve essere considerata una su-perficie media di 1.50 m2/persona.Le densità di affollamento previste per le diver-se aree sono:• sezioni: numero persone effettivamente pre-

senti;• atrio e zone comuni: 0,4 pers/m2;• uffici e servizi: 20% delle persone previste

nelle sezioni.La capacità di deflusso non deve essere supe-riore a 50 per ogni piano.Il percorso effettivo per raggiungere un luogo si-curo da ogni punto dell’attività non può esseresuperiore a 30 m, ed a 45 m quando nei percor-si interessati dall’esodo sono impiegati solo ma-teriali incombustibili. Eventuali corridoi ciechinon possono avere lunghezza superiore a 15 m.

Aree e impianti a rischio specificoGli impianti a rischio specifico non devono alte-rare compartimentazioni o favorire propagazio-ne di fumi e fiamme negli ambienti serviti. Inparticolare:• i locali cucina non possono comunicare con

altri ambienti se non quelli destinati allaconsumazione dei pasti; cucine e impiantidi produzione di calore, anche se di poten-zialità inferiore a 35 Kw, devono essere ubi-

cati in locali aventi strutture ed elementiportanti e separanti di tipo R/REI conforme-mente al carico di incendio ed alla classeprevista per l’intero edificio.

• i depositi di materiale necessario alle atti-vità svolte, di superficie ≤ 10m2 devonopossedere strutture di separazione confor-mi alla classe prevista per l’intero edificio,aerazione pari ad 1/40 della superficie,(non necessaria se il carico di incendio è ≤100 Mj/m2), carico di incendio ≤ 450 Mj/m2 epresenza di estintore di capacità estinguen-te non inferiore a 34A 144 B C.In caso di deposito di superficie > 10 m2

non è ammessa la comunicazione con l’asi-lo nido.

• i locali per lavaggio e deposito biancheria,devono garantire i medesimi requisiti dei de-positi con esclusione dei limiti di superficie.

Rilevazione, allarme e gestione delle emergenzeL’efficacia delle protezioni antincendio nel ri-durre la magnitudo dei danni è subordinata allapossibilità di rilevare tempestivamente un prin-cipio di incendio consentendo di dare tempe-stivo avvio al trasferimento degli occupanti.Perché tali misure risultino efficaci, esse devo-no essere compatibili alle capacità percettivedei bambini; in questo senso il legislatore haprevisto la possibilità di ricorrere a sistemi di al-larme a diversa percezione sensoriale ed inparticolare:• segnali acustici, eventualmente accompa-

gnati da messaggi vocali;• segnali ottici e/o messaggi visivi.Secondo lo stesso criterio, anche la segnaleticadi sicurezza dovrà essere tale da consentire,per quanto possibile, idonea percepibilità daparte dei piccoli utenti attraverso il ricorso a:• segnaletica di tipo luminoso atta ad eviden-

ziare percorsi di esodo e uscite di sicurezzanonché segnaletica a pavimento;

• idonea cartellonistica presso gli spazi conpresenza di bambini, atta ad evidenziare ilpercorso di esodo ed eventuali ostacoli lun-go di esso, realizzabile tramite misure alter-

In data 29 Luglio 2014è stato pubblicato in

Gazzetta ufficialen.174, il D.M. 16

Luglio 2014contenente “Regola

tecnica diprevenzione incendiper la progettazione,

costruzione edesercizio degli asilinido”, in vigore adecorrere dal 28

Agosto 2014.

I punti cardine della regola tecnica

Attività

Ubicazione

Caratteristiche costruttive

Esodo

Rilevazione, allarme e gestione emergenza

Aree e impianti a rischio specifico

Estinzione

Figura 3 -I requisiti principali

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Entro il 7 ottobre 2014

Entro il 7 ottobre 2016

Entro il 7 ottobre 2019

roma

ORDINE DEGLI INGEGNERI DELLA PROVINCIA DI ROMA

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native alla segnaletica standard ed ottenibi-le a mezzo di:

• realizzazione di superfici con riferimenti tat-tili;

• contrasti cromatici sul piano di calpestiopercepibili nelle varie condizioni di illumina-mento.

La scelta adeguata e mirata dei suddetti stru-menti, rappresenta l’elemento determinante perla tempestiva rilevazione e segnalazione del-l’incendio, e costituisce parte integrante delpiano di emergenza che il gestore dell’attivitàdovrà predisporre pianificando modalità di eva-cuazione dei piccoli anche tramite ricorso adattrezzature di ausilio all’esodo, (carrelli etc.)E’ evidente come, affinché si possa garantireefficacia alle procedure di evacuazione ed as-sicurare un idoneo margine di sicurezza al tem-po necessario ad esse, sia fondamentale unaaccorta gestione della emergenza, che con-senta, attraverso l’identificazione dei probabiliscenari di incendio, il ricorso a soluzioni pro-gettuali e misure di protezione più consapevolie mirate, capaci di curare adeguatamente pro-prio l’aspetto dell’evacuazione dei piccoli, pernon lasciare nulla di lacunoso che possa evi-denziarsi proprio sulla gestione del momentotopico dell’emergenza.Da qui l’importanza di una adeguata formazio-ne del personale educatore e periodicità nelleprove pratiche di evacuazione.In tal senso il legislatore prevede, oltre alla for-mazione ed informazione secondo i criteri dicui al D.M. 10/03/1998 per attività a rischio me-dio, che un’aliquota di 4 persone presenti ogni50 bambini, acquisisca il relativo attestato diidoneità tecnica.

EstinzioneI sistemi di estinzione previsti sono costituiti daestintori portatili in numero e distribuzione co-me disposto dal D.M. 10/03/1998 per attività arischio incendio “medio”.Qualora presso gli asili, sia prevista la presen-za di un numero di persone superiore a 100, èprevista l’installazione di un impianto idrico an-tincendio da realizzarsi secondo le disposizionidi cui al D.M. 20 Dicembre 2012 avente comeriferimento i seguenti parametri ai fini dell’utiliz-zo della norma UNI 10779:• Livello di pericolosità: 1;• Protezione esterna: no;• Caratteristiche di alimentazione idrica se-

condo norma UNI 12845: singola.

Cronoprogramma per l’adeguamento delpatrimonio esistenteIl nuovo Regolamento di prevenzione incendidi cui al DPR 1° Agosto 2011, n.151, prevedeper le nuove attività divenute soggette agli

adempimenti di prevenzione incendi riportatenell’allegato I, la data ultima del 7 Ottobre 2014per la presentazione dei progetti presso i Co-mandi Provinciali.A fronte di un sempre più esteso patrimonioedilizio destinato a nidi, sia essi comunali, pri-vati, convenzionati etc, la Regola tecnica pre-vede tempi e modalità di adeguamento distintiper i due grandi comparti del panorama edili-zio: attività esistenti e di nuova realizzazioneproponendo per queste ultime standards quali-tativamente eccellenti dal punto di vista antin-cendio; diversamente, al fine di consentire l’a-deguamento delle attività esistenti, prevede il

Lʼesistente: il Cronoprogramma degli Interventi

• separazioni e comunicazioni• resistenza al fuoco• scale• numero di uscite• impianti di sollevamento• impianti elettrici orinari e di sicurezza• estintori• sistemi di allarme• segnaletica di sicurezza

• reazione al fuoco• impianto idrico antincendio• impianto rivelazione, segnalazione ed allarme

• ubicazione• accesso all’area e accostamento dei mezzi di soccorso• compartimentazione• sistemi di vie di esodo• densità di affollamento, capacità di deflusso• lunghezza e larghezza dei percorsi di esodo• esodo orizzontale progressivo• aree ed impianti a rischio specifico

ricorso a piani di adeguamento programmatobasati sostanzialmente su un cronoprogrammadi misure da attuarsi con interventi differiti a piùsteps come meglio evidenziato nello schema diseguito riportato (fig.4).Ciò dovrà consentire il completo adeguamentoalle misure di prevenzione incendi delle attivitàesistenti. ÿ

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Tel. 06.487.93.11 - Fax: 06.487.931.223Cod.Fisc. 80201950583Orari di apertura al pubblico degli ufficiLunedì 09:30-12:30 14:30-17:30Martedì 09:30-12:30 14:30-17:30Mercoledì 09:30-12:30 14:30-17:30Giovedì 09:30-12:30 14:30-17:30Venerdì 09:30-12:30 chiusoSabato chiusoLa Segreteria dell’Ordine chiude alle 16.00

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In copertina: Palazzina residenziale privata a Roma

Foto di: Copyright © Moreno Maggi

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