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Trimestrale di cultura e pedagogia musicale Organo della Siem Società Italiana per l’Educazione Musicale www.siem-online.it Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 411 del 23.12.1974 – ISSN 0391-4380 Anno XXXV, numero 135 giugno 2005 Direttore responsabile Rosalba Deriu Redazione Luca Bertazzoni, Maria Teresa Lietti, Luca Marconi Impaginazione e grafica Davide Zambelli Comitato di redazione Maurizio Della Casa, Franca Ferrari, Stefania Lucchetti, Walter Pecoraro Segreteria di redazione Via Dell’Unione, 4 – 40126 Bologna Tel. 349-6842783 Fax 051-6143964 e-mail: [email protected] Grafica copertina Raffaello Repossi Preparazione pellicole Cierre Grafica Caselle di Sommacampagna – Verona Tel. 045-8580900, Fax 045-8580907 Stampa Stampatre, Torino Editore EDT srl, 19 Via Alfieri, 10121 Torino Amministrazione Tel. 011-5591816, Fax 011- 2307034 e-mail: [email protected] Promozione, vendite e abbonamenti EDT: tel. 011-5591831, Fax 011- 2307034 e-mail: [email protected] Pubblicità e quote associative Siem Tel. e Fax 011-9364761 cell. 338-6066686 e-mail: [email protected] Un fascicolo Italia e 4,50 – Estero e 6,00 Abbonamenti annuali Italia e 16,00 – Estero e 20,00, comprensivo di quattro fa- scicoli della rivista. Gli abbonamenti possono essere effettua- ti inviando assegno non trasferibile intestato a EDT srl, ver- sando l'importo sul c.c.p. 24809105 intestato a EDT srl, o tramite carta di credito CartaSì, Visa, Mastercard, con l’indi- cazione “Musica Domani”. La rivista è inviata gratuitamen- te ai soci Siem in regola con l’iscrizione. Quote associative Siem per l’anno 2005 Soci ordinari e 36,00 – Studenti e 28,00 – Soci sostenito- ri e 72,00 – Triennali ordinari e blioteche e 100,00 – Triennali sostenitori e 200,00 – Soci giovani e 6,00. Le quo- te associative si ricevono sul c.c.p. 19005404, intestato a So- cietà Italiana per l’Educazione Musicale, Via Dell’Unione, 4 – 40126 Bologna. Per comunicazioni e richieste: tel. e fax 011-9364761 – e-mail: [email protected] Iscrizione all’Isme per l’anno 2005 International Society for Music Education Socio individuale per un anno, senza riviste, US$35; con le riviste US$59. Socio individuale per due anni, senza ri- viste, US$65; con le riviste $113. Le riviste sono: Inter- national Journal for Music Education, 2 numeri l’anno; Music Education International, un numero l’anno. Le quote possono essere versate con carte di credito Visa, American Express, Master Card o chèque bancario a: ISME International Office, PO Box 909, Nedlands, 6909 Western, Australia – fax 00 61-8-9386 2658. Sarebbe opportuno che l’iscrizione e il pagamento con carta di credito venissero accompagnati dal modulo d’iscrizione debitamente compilato e reperibile presso il sito web del- l’ISME: www.isme.org/application. Indice Musica Domani Ricerche e problemi 3 Gotzon Ibarretxe, Manuela Jimeno, Jaime Berrade, Ana Bélen Vergara Il mondo musicale dei bambini spagnoli Strumenti e tecniche 8 Antonio Giacometti Scrivere musica per ragazzi: un’esperienza di formazione 12 Laura Habegger Apprendimenti motori e pratica strumentale Pratiche educative 16 Lavinia Amalia Rizzo Cipì, un gioco per voci, suoni, musiche, ombre 22 Alessandro Padovani Percorsi compositivi nell’educazione musicale di base 26 Ivana Gianmoena Giochi con la voce nella scuola primaria Confronti e dibattiti 30 Luca Bertazzoni (a cura di) DIVULGARE LA MUSICA: ARTE E SCIENZA DELLA MEDIAZIO- NE CULTURALE 32 Duccio Demetrio La funzione pedagogica della diffusione culturale 34 Carlo Delfrati La divulgazione musicale tra didattica e insegnamento 36 Franco Fabbri Divulgare la popular music: un paradigma capovolto 38 Aldo Sisillo Formazione del pubblico: il ruolo degli enti di produ- zione Libri e riviste 40 Alessandra Anceschi Tre condizioni per un ascolto intelligente [su M. Baroni, L’orecchio intelligente. Guida all’ascol- to di musiche non familiari, Lim] 41 Franca Mazzoli, SCHEDE 42 Luca Marconi, DA NON PERDERE 43 Roberto Bolelli Dar senso e valore alle esperienze epidermiche [su M. Spaccazocchi, La musica e la pelle, Franco Angeli] Mariateresa Lietti, SCHEDE 46 Roberto Albarea, RASSEGNA PEDAGOGICA Rubriche 7 Francesco Bellomi, PAROLE CHIAVE: Stecca 14 Susanna Pasticci (a cura di), PROVE DI ANALISI: Game- lan di Mario Baroni 20 Emanuela Perlini, Davide Zambelli, DANZE A SCUOLA: Polska di Dalarna 29 Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Riscopriamo stanze e angoli 48 Annibale Rebaudengo (a cura di), GIORNALE SIEM: Commissioni nazionali di Andrea Paolucci

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Trimestrale di cultura e pedagogia musicale Organo della Siem

Società Italiana per l’Educazione Musicale

www.siem-online.it

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 411del 23.12.1974 – ISSN 0391-4380

Anno XXXV, numero 135 giugno 2005

Direttore responsabile Rosalba Deriu

Redazione Luca Bertazzoni, Maria Teresa Lietti,Luca Marconi

Impaginazione e grafica Davide Zambelli

Comitato di redazione Maurizio Della Casa,Franca Ferrari, Stefania Lucchetti, Walter Pecoraro

Segreteria di redazioneVia Dell’Unione, 4 – 40126 Bologna

Tel. 349-6842783Fax 051-6143964

e-mail: [email protected]

Grafica copertina Raffaello Repossi

Preparazione pellicole Cierre GraficaCaselle di Sommacampagna – VeronaTel. 045-8580900, Fax 045-8580907

Stampa Stampatre, Torino

Editore EDT srl, 19 Via Alfieri, 10121 Torino

AmministrazioneTel. 011-5591816, Fax 011- 2307034

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Pubblicità e quote associative SiemTel. e Fax 011-9364761

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Abbonamenti annualiItalia e 16,00 – Estero e 20,00, comprensivo di quattro fa-scicoli della rivista. Gli abbonamenti possono essere effettua-ti inviando assegno non trasferibile intestato a EDT srl, ver-sando l'importo sul c.c.p. 24809105 intestato a EDT srl, otramite carta di credito CartaSì, Visa, Mastercard, con l’indi-cazione “Musica Domani”. La rivista è inviata gratuitamen-te ai soci Siem in regola con l’iscrizione.

Quote associative Siem per l’anno 2005Soci ordinari e 36,00 – Studenti e 28,00 – Soci sostenito-ri e 72,00 – Triennali ordinari e blioteche e 100,00 –Triennali sostenitori e 200,00 – Soci giovani e 6,00. Le quo-te associative si ricevono sul c.c.p. 19005404, intestato a So-cietà Italiana per l’Educazione Musicale, Via Dell’Unione, 4– 40126 Bologna. Per comunicazioni e richieste: tel. e fax011-9364761 – e-mail: [email protected]

Iscrizione all’Isme per l’anno 2005International Society for Music Education

Socio individuale per un anno, senza riviste, US$35; conle riviste US$59. Socio individuale per due anni, senza ri-viste, US$65; con le riviste $113. Le riviste sono: Inter-national Journal for Music Education, 2 numeri l’anno;Music Education International, un numero l’anno. Lequote possono essere versate con carte di credito Visa,American Express, Master Card o chèque bancario a:ISME International Office, PO Box 909, Nedlands, 6909Western, Australia – fax 00 61-8-9386 2658. Sarebbeopportuno che l’iscrizione e il pagamento con carta dicredito venissero accompagnati dal modulo d’iscrizionedebitamente compilato e reperibile presso il sito web del-l’ISME: www.isme.org/application.

IndiceMusicaDomani Ricerche e problemi

3 Gotzon Ibarretxe, Manuela Jimeno, Jaime Berrade,Ana Bélen VergaraIl mondo musicale dei bambini spagnoli

Strumenti e tecniche8 Antonio Giacometti

Scrivere musica per ragazzi: un’esperienza di formazione12 Laura Habegger

Apprendimenti motori e pratica strumentale

Pratiche educative16 Lavinia Amalia Rizzo

Cipì, un gioco per voci, suoni, musiche, ombre22 Alessandro Padovani

Percorsi compositivi nell’educazione musicale di base26 Ivana Gianmoena

Giochi con la voce nella scuola primaria

Confronti e dibattiti30 Luca Bertazzoni (a cura di)

DIVULGARE LA MUSICA: ARTE E SCIENZA DELLA MEDIAZIO-NE CULTURALE

32 Duccio DemetrioLa funzione pedagogica della diffusione culturale

34 Carlo DelfratiLa divulgazione musicale tra didattica e insegnamento

36 Franco FabbriDivulgare la popular music: un paradigma capovolto

38 Aldo SisilloFormazione del pubblico: il ruolo degli enti di produ-zione

Libri e riviste 40 Alessandra Anceschi

Tre condizioni per un ascolto intelligente[su M. Baroni, L’orecchio intelligente. Guida all’ascol-to di musiche non familiari, Lim]

41 Franca Mazzoli, SCHEDE

42 Luca Marconi, DA NON PERDERE

43 Roberto BolelliDar senso e valore alle esperienze epidermiche[su M. Spaccazocchi, La musica e la pelle, Franco Angeli]Mariateresa Lietti, SCHEDE

46 Roberto Albarea, RASSEGNA PEDAGOGICA

Rubriche7 Francesco Bellomi, PAROLE CHIAVE: Stecca14 Susanna Pasticci (a cura di), PROVE DI ANALISI: Game-

lan di Mario Baroni20 Emanuela Perlini, Davide Zambelli, DANZE A SCUOLA:

Polska di Dalarna29 Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Riscopriamo

stanze e angoli48 Annibale Rebaudengo (a cura di), GIORNALE SIEM:

Commissioni nazionali di Andrea Paolucci

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rato Hanno collaborato a questo numero:

Roberto Albarea docente di Pedagogia all’università di UdineAlessandra Anceschi supervisore del tirocinio, SSIS – indirizzo musica, università di Bologna

Mario Baroni docente di Musicologia all’università di BolognaFrancesco Bellomi docente di Elementi di composizione per Didattica della musica, Milano

Jaime Berrade docente al Conservatorio e nell’università pubblica di NavarraLuca Bertazzoni docente di Pedagogia musicale, Fermo

Roberto Bolelli cantante e musicoterapista, BolognaCarlo Delfrati pedagogista della musica, Milano

Duccio Demetrio docente di Filosofia dell’educ. e di Teorie e pratiche autobiografiche, univ. di Mi-BicoccaFranco Fabbri docente di Popular music all’università di Torino

Antonio Giacometti docente di Composizione, ModenaIvana Gianmoena docente di scuola elementare, Bra

Laura Habegger pedagogista, MilanoGotzon Ibarretxe docente di Direzione di coro all’università dei Paesi BaschiManuela Jimeno docente di Pedagogia musicale all’università pubblica della NavarraMariateresa Lietti docente di Violino, Como

Luca Marconi docente di Pedagogia musicale, ComoFranca Mazzoli pedagogista, Bologna

Alessandro Padovani formatore e ricercatore di Pedagogia musicale, Torino Andrea Paolucci docente di Educazione musicale nella scuola superiore, MilanoSusanna Pasticci ricercatrice all’università di CassinoEmanuela Perlini docente di Educazione musicale nella scuola media, Verona

Annibale Rebaudengo docente di Pianoforte, MilanoLavinia Amalia Rizzo operatrice musicale, Roma

Arianna Sedioli operatrice musicale, RavennaAldo Sisillo direttore artistico del Teatro Comunale, Modena

Ana Bélen Vergara docente di Educazione musicale nella scuola primaria, NavarraDavide Zambelli docente di Educazione musicale nella scuola media, Verona

Via Regina Margherita, 15 – 37060 Mozzecane – VeronaTel. 045 6340500 – Fax 045 6340510

www.amadeusmusica.com

l’evoluzione

della musica

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In ambito internazionale già da vari anni molti pro-getti, politiche educative e modelli curricolari riguar-dano la diversità culturale. In particolare il Canada esoprattutto gli Stati Uniti, che sono un vero e propriocrogiolo di gruppi etnici e di culture, hanno prodottoinnumerevoli ricerche sulla multiculturalità (Banks,Mc Gee Banks 1999; Grant, Sleeter 1989, 1993;Larkin, Sleeter 1995). Sono state avanzate riflessionididattiche di orientamento multiculturale anche nel-l’ambito dell’educazione musicale (Anderson, Camp-bell 1996; Elliot 1989, 1995; Lundquist, Szego 1998;McCarthy 1997; Szego 2002; Volk 1993). I materialididattici che propongono un approccio musicale aorientamento multiculturale sono ancora più nume-rosi. È d’obbligo dunque menzionare la figura diCampbell, autrice di lavori che vanno dalla raccoltadi materiali didattici riassunti sotto l’etichetta diworld music, a etnografie musicali che descrivono gliusi musicali dei bambini in diverse situazioni quoti-diane.

In Spagna, durante tutto il ventesimo secolo, le ri-cerche etnomusicologiche relative a musiche di tradi-zione orale sono state abbondanti. Inoltre, a partiredall’instaurazione delle Autonomie avvenuta durantegli anni ottanta, è possibile trovare diversi progetti dietnomusicologia applicata all’educazione musicaleche si inseriscono nelle politiche di valorizzazionedelle identità culturali locali. È negli anni novanta in-fatti, a seguito della riforma educativa della LOGSE,1

che si sviluppano adattamenti curricolari che vannoin questa direzione. Si incontra perfino un’importan-te produzione di materiali didattici con una ricca pre-senza di musiche tradizionali, fatto che contrasta conla quasi totale mancanza di lavori che includano si-stematicamente popular music, propria del mondomoderno.

Attualmente, le musiche di tradizione orale convi-vono con la presenza massiccia della popular music dicarattere internazionale e origine urbana; in molti ca-si, è possibile addirittura ritrovarle proprio all’internodi queste ultime, che utilizzano elementi provenientidalla tradizione orale all’interno di contesti musicali eculturali del tutto differenti. D’altra parte, le musichedi tradizione orale costituiscono soltanto una piccolaparte dell’insieme delle musiche con le quale i bambi-ni costruiscono la propria esperienza quotidiana, den-tro e fuori la scuola. Per questo, sono in costante au-mento le voci che affermano la necessità di ampliare ilmodo di intendere la musica nell’educazione – unaconcezione che appare oggi eccessivamente restrittiva– per giungere a un modo di capire le culture musicaliche risponda alla effettiva realtà vissuta dai bambininella nostra attuale società. Nello stesso tempo si vor-rebbe promuovere un’idea di società intrinsecamenteinterculturale che renda possibile la convivenza fra lediverse microculture o subculture musicali – con cia-scuna delle quali si identificano tanto i bambini, quan-to i professori e i genitori – esistenti all’interno di unapiù generale cultura musicale.

L’ipotesi e gli obiettivi della ricerca

La ricerca, che è finanziata dalla Sociedad de Estu-dios Vascos, parte dall’ipotesi che la popular musicascoltata dai bambini navarri2 nei contesti quotidianiextrascolastici e comunitari costituisca l’aspetto piùimportante della loro esperienza musicale. I bambinivivono sostanzialmente in due mondi separati: dauna parte c’è la musica che si fa a scuola (spesso deltutto priva d’interesse per loro); dall’altra parte c’è lapopular music che essi ascoltano e vivono fuori dellascuola. Affinché la distanza fra questi due mondi si ri-duca è necessario dunque che i materiali curricolarisiano ripensati in funzione dei tempi e delle necessitàdelle nuove generazioni. Si tratta di condurre innan-zitutto un lavoro di comprensione e conoscenza delmondo musicale infantile da cui potranno successiva-mente scaturire concrete proposte d’azione.

Partendo dalla considerazione che l’indagine suicontesti di trasmissione e apprendimento della popu-lar music costituisce un momento necessario per lasuccessiva messa a punto di indicazioni curricolari ef-ficaci, per la creazione di materiali validi e per l’uti-

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Il mondo musicaledei bambini spagnoli

In questo articolo si presentano i primi risultatidi un progetto di ricerca spagnolo, diretto dalDipartimento di Psicologia e Pedagogiadell’Università Pubblica di Navarra,che analizza gli ambienti di educazionemusicale formale e informale dei bambinida sei a dodici anni.Dall’indagine, condotta su duecento bambininavarri, emergono dati intereressati per capirein quale realtà musicale essi vivano,dentro e fuori la scuola.

GOTZON IBARRETXE, MANUELA JIMENO

JAIME BERRADE, ANA BELÉN VERGARA

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lizzo di strategie didattiche adeguate, abbiamo postoal nostro lavoro di ricerca i seguenti obiettivi:• studiare le proposte curricolari avanzate dalla am-ministrazione spagnola e da quella navarra in materiadi popular music e il loro rapporto coi diversi model-li curricolari presenti a livello internazionale;• esaminare la presenza e il trattamento delle musichedi tradizione orale nei materiali curricolari e nellestrategie didattiche utilizzati nelle scuole navarre:analizzare il tipo di interpretazione del curricolo for-nito dagli autori e dagli editori di libri di testo;• conoscere la reazione dei docenti alle indicazionicurricolari e alle proposte didattiche relative alla po-pular music e verificare la presenza di quest’ultimanei progetti istituzionali e nelle programmazioni di-dattiche;• descrivere e analizzare i modi di fruizione della po-pular music da parte dei bambini navarri dentro efuori l’ambito scolastico: in attività scolastiche ed ex-trascolastiche, durante il tempo libero, nell’ambientefamiliare ecc.

Il contesto teorico e metodologico

Se affrontiamo gli intenti epistemologici dell’etnogra-fia dal punto di vista critico e applicativo, dovremmoevitare di considerare l’istituzione scolastica come l’a-gente privilegiato di trasformazione e cambiamentosociale e, soprattutto, dovremmo presentare le espe-rienze scolastiche in modo che risultino collegate alcontesto culturale globale; dovremo cioè considerareil vissuto dei bambini come una realtà socioculturaleche va al di là di limiti fisici propri del contesto scola-stico. Per questo è necessario ricorrere a molte strate-gie e fare ricorso a diverse prospettive teoriche e di-sciplinari.

Il nostro lavoro di ricerca assume le innovazionietnografiche proposte dal mondo etnomusicologico(Barz, G. e T. J. Cooley 1997) per affrontare le sfideeducative attuali. Non bisogna dimenticare che dalpunto di vista semiotico, ermeneutico e interpretativoche ha proliferato a partire dall’antropologia inter-pretativa di Geertz fino alla cosiddetta “antropologiapostmoderna” (tra cui emergono Clifford, Marcus,Rabinow), i lavori di questi autori hanno fornito i ri-ferimenti utili per configurare modelli di lavoro peretnografi che si occupano della scuola: questo è il ca-so de Velasco e Diaz de Rada (1997) o degli ultimistudi di Woods (1998).

In accordo con questo approccio etnografico all’e-ducazione, abbiamo considerato i diversi contestieducativi in ambito musicale di tipo formale e infor-male nei quali vivono i bambini dai sei ai dodici annie abbiamo usato diverse strategie di indagine: dall’os-servazione non-participante fino ai questionari e alleinterviste semi-strutturate individuali e di gruppo.Abbiamo registrato molto materiale sia in formatovideo che in quello audio con lo scopo di creare ar-chivi sonori e visivi che possano essere custoditi eanalizzati posteriormente.

I primi risultati

Presentiamo qui i primi risultati dei questionari pro-posti nell’aprile 2003 a duecento bambini e bambinedella scuola primaria3 di cinque scuole della Comu-nità di Navarra.4 Queste scuole sono state scelte inmodo da rappresentare la diversità di esperienze e divissuti culturali e socio-economici richiesti dal pro-getto di ricerca (insegnamento pubblico e privato,nord e sud, città e campagna). Il lavoro è stato fattoin collaborazione con gli studenti del terzo anno delcorso di specializzazione in Maestro di EducazioneMusicale della Università Pubblica di Navarra.

Il questionario prevedeva ventuno domande; quidiscuteremo soltanto le risposte alle domande più le-gate al tema musicale.

La domanda sul tempo che i bambini dedicano inun giorno lavorativo e al di fuori dell’orario scolasti-co a ogni tipo di attività (figura 1), rivela che la per-centuale maggiore nella opzione abbastanza (79) vie-ne ottenuta dall’ascolto della musica. Perfino l’opzio-ne molto (64) conquista la terza posizione dietro alleattività all’aria aperta e all’imparare la musica. Que-sto dato rivela che la presenza della musica, nelle for-me del consumo passivo, è veramente importante, pa-ragonabile solo con le attività all’aria aperta qualipasseggiare o praticare uno sport.

L’apprendimento della musica al di fuori dellascuola è praticato quasi dalla metà degli intervistati, sesommiamo le opzioni abbastanza (37) e molto (68).Questo dato è sorprendentemente alto. Possiamo met-terlo in rapporto con il livello di presenza delle scuoledi musica nella Navarra. Oggi ci sono più di cinquan-ta scuole di musiche attive nella maggioranza dei pae-si di una certa importanza demografica, e due conser-vatori a Pamplona. Il numero degli allievi supera i die-cimila con un indice di 1,9 studenti di musica ognicento abitanti. Tenendo conto che la media europea èdi 1,3%, si può dire che l’insegnamento musicale vivenella Navarra un momento molto positivo.

Per quanto riguarda la domanda relativa al tempodedicato a guardare la tv, benché le percentuali di ri-sposte ottenute dalle opzioni abbastanza e molto (56

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Figura 1 - Domanda 2. Quanto tempo dedichi in un giorno lavorativo,con l’esclusione del tempo scolastico a: attività all’aria aperta, ascoltarela musica, guardare la tv, giocare con il computer, imparare la danza.

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e 39) siano importanti, quasi la metà degli intervista-ti ha scelto l’opzione poco (93). Questo è facilmentecomprensibile se si tiene conto della quantità di atti-vità extrascolastiche che i bambini fanno e lo scarsotempo che rimane loro per attività ludiche e di riposoin genere. Inoltre, nella domanda che indaga il tempodedicato a giocare con il computer, l’opzione molto(44) supera leggermente quella ottenuta dalla stessaopzione nella domanda sulla tv: questo indica unaforte concorrenza fra televisione e computer.

Quando abbiamo indagato le preferenze dei bam-bini rispetto ai programmi televisivi (figura 2), abbia-mo scoperto che i programmi musicali presentano va-lori più alti perfino dei programmi sportivi. Tuttoquesto viene confermato dalle risposte alla domanda13 (figura 3), dove quasi la metà dei dieci cantanti in-dicati come preferiti (fra loro David Bisbal, Chenoa,David Bustamante e Beth)5 sono stati promossi dallaAcademia di Operaciòn Triunfo. Questo programmamusicale organizzato come un concorso (che ha i suoiomologhi nei paesi europei e americani) viene tra-smesso sul primo canale della televisione spagnolaTVE. I bambini guardano il programma benchè vengamandato in onda in orari da adulti. Inoltre, i cd regi-strati dai concorrenti sono distribuiti in modo mas-siccio negli ipermercati e sono promossi attraversoconcerti di massa cui i bambini partecipano con i lo-ro genitori. Effettivamente, l’influenza della televisio-ne sui gusti dei bambini è così alta che si può parlaredi prodotti puramente televisivi.

Senza dubbio, le abitudini d’ascolto dei bambiniintervistati (figura 4) concordano pienamente con l’e-lenco di cantanti e gruppi musicali preferiti emersidalle risposte alla domanda 13. Esiste una chiara pre-dilezione per la musica pop e rock più commerciale.

Così, ai cantanti precedentemente citati collegatial programma televisivo Operaciòn Triunfo si ag-giungono La Oreja de Van Gogh, Alex Ubago, Esto-pa ecc.

La domanda 11 conferma la nostra ipotesi che lapopular music che i bambini ascoltano e vivono fuo-ri della scuola costituisce la parte più importante del-la loro esperienza musicale. Basta vedere la posizioneoccupata dalla musica classica, il penultimo posto,prima del jazz e quasi allo stesso livello di musiche et-niche, world music e new age. Il resto delle musichepopular (rock duro, heavy metal, hip-hop, rap, baca-lao, house) superano ampiamente la musica classicanell’ascolto infantile.

È significativo che la scuola (figura 5) sia il luogodove prevalentemente si ascolta la musica classica.Evidentemente, la partecipazione ai cosiddetti con-certi didattici fa sì che l’esperienza musicale legata aiconcerti si inserisca pienamente fra le attività che sifanno dentro la scuola. Insomma, le risposte alla do-manda 12 sono coerenti con quelle fornite alle do-mande 11 e 13, e manifestano chiaramente la separa-zione esistente fra la cultura musicale scolastica (edu-cazione formale) e quella diffusa dai media e dal mer-cato discografico (educazione informale).

Senza dubbio, i risultati ottenuti nelle indagininon sono generalizabili a tutti i contesti educativi eculturali; tuttavia forniscono indicazioni generali chepossono essere facilmente contraddette da dati relati-vi a bambini che vivono in altri luoghi. In ogni caso,possono servire come un punto di riferimento impor-tante, dato che le tendenze che caratterizzano i bam-bini della scuola primaria della Navarra vanno in unadirezione molto definita.

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Figura 2 - Domanda 6. I programmi televisivi che guardo maggiormen-te (film, cartoni animati, telefilm, programmi musicali, sport, programmiculturali, telegiornali).

Figura 3 - Domanda 13. I dieci cantanti o gruppi musicali preferiti.

Figura 4 - Domanda 11. Le musiche che normalmente ascolto.

Figura 5 - Domanda 12. Ascolto musica classica (a scuola, a casa, neiconcerti, in nessun luogo).

Folk, Pop, “rock sinfonico”

Hip-hop, Rap

Bacalao, House

Rock duro, Heavy metal

Etniche, world music, new age

Classica

Jazz

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Conclusioni

I tipi di fruizione e uso della musica che emergono frai bambini si allontanano notevolmente dalla prassi edalle modalità stabilite dal contesto scolastico: c’èuna grande distanza fra le esperienze musicali quoti-diane (extrascolastiche e comunitarie) dei bambini equelle proposte dall’ambito scolastico.

La diversità di esperienze musicali che i bambinidella scuola primaria vivono si distribuisce in mododisuguale nei differenti contesti educativi. Mentre l’e-ducazione musicale formale valuta e predilige il mon-do della musica colta, i contesti educativi informalisono caratterizzati da una massiccia presenza dellapopular music.

L’educazione musicale informale è dominata daimass media e dall’uso delle nuove tecnologie: la tele-visione e il computer. La televisione e i prodotti tele-visivi contraddistinguono nettamente la direzionedelle preferenze musicali dei bambini, che appaionodominate dagli stili musicali e dagli autori più com-merciali del pop e del rock.

Bisognerebbe aggiungere che, se i repertori appar-tenenti alla popular music non sono abbastanza pre-senti nell’ambito scolastico, lo scarto riguarda più imateriali didattici che non i testi legislativi e la prassidocente. Si potrebbe dire che nei curricoli ufficiali(nella LOGSE del 1990 così come nella applicazionefatta dalla Comunità di Navarra nel 1992) non c’èuna opposizione istituzionale esplicita fra il reperto-rio colto e quello popular. Al contrario, è presenteuna apertura e flessibilità verso l’uso di tutti tipi dimusiche, anche se si tende a privilegiare la musicacolta occidentale. Gli stessi maestri introducono sem-pre più brani tratti da repertori diversi nel loro lavo-ro quotidiano. Sembra infatti che ci sia una tendenzagenerale a tenere in considerazione queste musicheper cercare di avvicinare educazione, cultura ed espe-rienza quotidiana dei bambini.

Per questo, si può concludere che i curricoli uffi-ciali così come la prassi didattica quotidiana manife-stano verso i repertori della popular music una tolle-ranza maggiore rispetto agli autori di libri di testo ealle case editrici, i quali invece presentano ancoraqualche inerzia e resistenza nell’introduzione dellapopular music nelle loro proposte editoriali.

Note 1 La LOGSE è una legge nazionale che regola l’intero sistemaeducativo spagnolo, nel quale si trovano sia l’insegnamentomusicale specialistico sia l’insegnamento musicale generale in-serito nell’educazione primaria e secondaria. A seguito di talelegge ogni Comunità Autonoma si è incaricata di effettuarnegli adattamenti curricolari necessari, tenendo in considerazio-ne le caratteristiche socioculturali e educative di ciascun ambi-to territoriale.

2 La Navarra è una delle comunità autonome in cui è suddivi-sa la Spagna. Si trova nella regione nordorientale della Spagna,fra la Francia e le Province Basche, e ha come capoluogo Pam-plona. La sua popolazione è di poco superiore al mezzo milio-ne e, per la metà, si trova concentrata a Pamplona (n.d.r.).3 In Spagna l’educazione primaria si divide in tre cicli di dueanni ciascuno. Il primo ciclo è rivolto a bambini da 6 a 8 anni.Il secondo ciclo va da 8 a 10 anni, e il terzo da 10 a 12 anni. 4 Le scuole considerate dalla ricerca sono state: il Centro Pú-blico Marqués de la Real Defensa de Tafalla (zona rurale, nelsud della Navarra), il Centro Público Hilarión Eslava de Bur-lada (periferia del capoluogo, Pamplona), il Centro Público deBeriaín (zona rurale, nel nord della Navarra), il Centro Públi-co San Pedro de Mutilva Baja (zona rurale, nel nord della Na-varra) e il Centro Privado Santa Teresa (scuola privata cattoli-ca, zona residenziale del capoluogo, Pamplona). 5 I cantanti e i gruppi citati in questo articolo sono molto co-nosciuti in Spagna, ma hanno anche una notevole diffusionenei paesi ispano-americani. Nel 2003, Alex Ubago ha ottenu-to il premio per l’artista emergente in Spagna e David Bisbalha ottenuto il Grammy per il miglior artista emergente di lin-gua spagnola.

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Nel linguaggio comune, stecca vuol dire stonatura,errore evidente e clamoroso di esecuzione. Steccare èuna cosa che capita prima o poi a tutti. Qualche annofa una famosa stecca di Pavarotti alla Scala finì sulleprime pagine dei giornali lasciando stupidamente inombra tutto il resto dell’opera.

Che sia un principiante a steccare è consideratauna cosa comprensibile. Se succede invece in unqualsiasi concorso vi ritroverete fuori gara prima chesi spenga la risonanza del suono incriminato: oggi unprofessionista non stecca.

Questo terrore della stecca è una cosa nuova nellastoria dell’esecuzione musicale, probabilmente colle-gata all’invenzione delle tecniche di registrazione e al-la produzione industriale dei dischi. Se sbagli, inciden-do un brano, ripeti la registrazione, o ti affidi a dellecorrezioni manuali fino a quando tutto fila liscio. Così lamaggior parte delle musiche registrate che ascoltiamonon contiene stecche, è pulita e ineccepibile dal pun-to di vista dell’aderenza alle altezze scritte dall’esecu-tore. La situazione non è sempre stata questa e ci so-no innumerevoli testimonianze storiche di esecuzionicontenenti stecche clamorose. Una delle fonti più ric-che e appassionanti (davvero più intrigante e ben scrit-ta di un romanzo) è Memorie di Hector Berlioz. In que-sto libro, trascinante e irresistibile per la sua tecnicanarrativa, troviamo moltissime informazioni sulla pras-si esecutiva dell’epoca. Ad esempio la descrizione del-l’esecuzione pubblica della sua cantata L’ultima nottedi Sardanapalo si conclude con queste parole: «Cin-quecentomila maledizioni sui musicisti che non conta-no le pause!!! Una parte di corno nella mia partituradava l’attacco ai timpani, i timpani lo davano ai piatti,questi alla grancassa, e il primo colpo di grancassaportava all’esplosione finale. Il mio dannato corno nonsuona la sua nota, i timpani, non sentendolo, non pre-stano attenzione al momento in cui devono attaccare,e, di conseguenza, piatti e gran cassa se ne stanno zit-ti; non attacca nessuno! Nessuno!!! […] Si trattò diun’altra catastrofe musicale, la più crudele di quellech’io avevo provato in precedenza… Almeno fosse sta-ta per me l’ultima!»

Altrove racconta dell’abitudine che avevano i diret-tori d’orchestra dell’epoca di gridare, quando ormail’orchestra era alla deriva in modo irrimediabile, le pa-role “Ultimo accordo!”, al che tutti i suonatori saltava-no a piè pari tutto il brano per suonare solo l’ultimoaccordo.

Ancora, durante la prima esecuzione del suo Re-quiem succede che: «insomma in quell’unica battutanella quale l’azione del direttore d’orchestra è assolu-tamente indispensabile, Habeneck [il direttore cheeseguì la prima del Requiem] abbassa la bacchetta,tira fuori con tutta tranquillità la sua tabacchiera e simette a sniffare una presa di tabacco».

Si trova anche un ragionamento sulla stonatura as-sai interessante: «se è scioccante cantare falso rispet-to al diapason, non lo è di meno cantare falso rispettoall’espressione; che se una nota troppo acuta o trop-po grave ferisce l’orecchio, un passaggio reso fortequando dovrebbe essere invece dolce, o debolequando dovrebbe essere invece energico, o pomposoquando dovrebbe essere semplice, esaspera ben piùdolorosamente la sensibilità degli ascoltatori intelli-genti».

Verso la fine delle sue Memorie, quando raccontacioè gli ultimi anni della sua prestigiosa carriera di di-rettore d’orchestra, Berlioz annota: «Oltre tutto, quelgiorno ero in una forma così straordinaria che dirigen-do ebbi la fortuna di non fare neanche un errore, co-sa che allora mi succedeva assai di rado». Possiamoben immaginare allora qual era lo standard medio del-le esecuzioni con direttori che non erano musicistidelle capacità di Berlioz.

Saltando indietro di un secolo c’è un’altra constata-zione interessante: le parti dei brani del ’700, conser-vate ancora negli archivi, contengono spessissimo er-rori di trascrizione da parte del copista: battute man-canti, pause sbagliate ecc. In certi casi siamo sicuriche quelle sono effettivamente le parti che realmentefurono utilizzate nell’esecuzione del brano in questio-ne. Conoscendo la prassi antica, che spesso prevede-va l’esecuzione leggendo a prima vista o al massimodopo una prova frettolosa, si può ben pensare che lestecche e gli errori fossero piuttosto abbondanti e, leg-gendo i resoconti dell’esecuzione, ben tollerati.

L’orrore della stecca ci porta spesso a investireenormi energie nella ricerca di una correttezza esecu-tiva che forse potrebbero essere meglio impiegate percostruire una lettura personale e originale dell’opera.Compito per giocare: prendere un brano famoso e suo-narlo steccando volutamente. Erik Satie ha fatto qual-cosa di simile con la Sonatina Burocratica e se è veroquello che racconta John Sloboda sullo “studio negati-vo” è probabile che una nostra successiva esecuzionecorretta migliorerà grazie a questo singolare esercizio.

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FRANCESCO BELLOMI

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Tentare, in Italia, una definizione del rapporto tra lafigura professionale del compositore e quella del di-datta musicale in termini di contenuti e di progettua-lità risulta alquanto problematico. Ciò soprattuttoperché tali figure sono storicamente separate da unasorta di terra infertile, dove gli obiettivi estetici del-l’una e dell’altra non riescono a integrarsi in un hu-mus capace di favorire la crescita di un nuovo model-lo di educazione musicale, finalmente centrato sullaproduzione di senso e sulla consapevolezza del suoruolo più ampiamente educativo.

Testimonianza di tale endemica aporia non è sol-tanto la manifesta estraneità dei compositori profes-sionisti al mondo dell’educazione musicale, ma purel’assenza dai programmi di studio dell’aspirante com-positore di qualsiasi contenuto riguardante gli aspettitecnici ed estetici della produzione musicale destinataall’infanzia e all’adolescenza, così che i futuri laureatisono destinati a perpetuare l’eterna spirale dell’igno-ranza e del disinteresse.

In effetti, se si escludono casi, certo nobili, ma an-cora troppo isolati (basterebbe citare il lavoro appas-sionato e innovativo di Porena o di Piazza, oltre a quel-li più recenti di giovani compositori impegnati a colla-borare con insegnanti di scuole di vario livello e speci-ficità), ci rimane la figura, pedagogicamente alquantolimitata, del compositore disponibile a scrivere unatantum opere destinate a un pubblico di bambini su ri-chiesta di editori e impresari che fiutano il buon affare.Nulla da eccepire, naturalmente. La produzione perbambini composta e suonata dagli adulti è sempre esi-stita nella nostra cultura musicale e non di rado ha la-sciato preziose gemme di creatività. Ma la questione sucui riflettere è un’altra, e oggi si ramifica nei due aspet-ti educativo-estetico ed educativo-relazionale. Il primoriguarda essenzialmente i contenuti (musicali e non)

della composizione, che andrebbero mirati a sviluppa-re la consapevolezza dei processi simbolici sottesi allestrutture musicali e alla loro organizzazione spaziale etemporale. La specificità dello scriver musica per gio-vanissimi non si esaurisce certo nei limiti imposti dalcontrollo del livello della tecnica strumentale, dellecomplicazioni ritmiche e delle difficoltà degli incastrid’insieme, ma richiede al compositore il possesso diquelle conoscenze didattiche necessarie a rendere con-gruenti e accessibili i linguaggi, chiaro il disegno for-male, dialettico e coinvolgente il gioco delle parti,avendo coscienza del fatto che la leggibilità stilistica edestetica dell’opera dipenderà in larga misura dal gradod’immedesimazione dei ragazzi con ciò che stanno ese-guendo. Proprio tale osservazione rimanda all’aspettorelazionale implicato dall’atto stesso del fare qualcosainsieme ad altri, che nel caso specifico del suonare in-sieme assume la valenza di un complesso gioco di inte-razioni,1 dove ognuno deve sentirsi responsabile delproprio ruolo all’interno di un tutto, il cui funziona-mento non dipende solo da lui. In questa attività, ilgiovanissimo strumentista acquisisce gradualmente lacapacità di stare alle regole, costruisce la piena auto-nomia organizzativa e decisionale, impara a confron-tarsi con gli altri e a collaborare attivamente per la ri-soluzione di problemi. Un processo di crescita che sem-bra affidato più alle competenze degli insegnanti coor-dinatori e direttori dei gruppi che non a quelle dei com-positori. Eppure le modalità di scrittura di un pezzopossono incidere molto sulla sua efficacia nel persegui-re questo tipo di obiettivi: il riferimento a una teatralitàesplicita o implicita, con il coinvolgimento di gestualitàe voce, la distribuzione intelligente delle parti principa-li e secondarie che eviti il disequilibrio tra i ruoli deisingoli, l’impiego di parti improvvisative o aleatorie ingrado di stimolare il confronto creativo tra piccoli sot-togruppi, un’organizzazione complessiva gestibile di-rettamente dai giovani strumentisti, senza l’interme-diazione di un concertatore, dovrebbero costituire trat-ti fondamentali di ogni opera con finalità didattiche.Questo però richiede conoscenze e abilità, che il corsodi composizione non fornisce.

La sperimentazione, che di seguito viene descrittanelle sue essenziali linee di contenuto metodologico eorganizzativo, è nata proprio con l’intento di fornireun percorso di formazione in grado di colmare tali la-cune e può inserirsi coerentemente nell’attuale rifor-mulazione degli ordinamenti didattici dei conservatori.

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he Scrivere musica per ragazzi:

un’esperienza di formazione

La richiesta di musica d’insieme per ragazzi aiprimi anni degli studi musicali diviene semprepiù pressante, ma i corsi di composizionesembrano non accorgersi delle specifichecaratteristiche che questi repertori devonoavere e delle competenze necessarie aicompositori per affrontarli in modo adeguato.L’Istituto “Orazio Vecchi” di Modena haaffrontato il problema proponendo uninteressante master di composizione didattica.

ANTONIO GIACOMETTI

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Il progetto modenese

Col sostegno di un finanziamento del Miur, l’Istitutomusicale pareggiato “Orazio Vecchi” di Modena haorganizzato, per tutto l’anno accademico 2002-2003,un corso annuale di specializzazione sulla composizio-ne destinata a bambini e ragazzi ai primi anni dellostudio strumentale. Aperto a diplomati in composizio-ne, canto e strumento, il master intendeva offrire aipartecipanti l’opportunità di sviluppare o di rinforzarele competenze tecniche e linguistiche necessarie allacomposizione di brani d’insieme strumentale e diperformance teatrali con musica, curando in particola-re le valenze educative e formative degli eventi musica-li elaborati. In tale prospettiva, è stata predisposta unarete d’insegnamenti atta a integrare conoscenze di tiposcritturale e improvvisativo in contesti scolastici di va-rio livello, affidandoli a docenti impegnati da anni inprogetti didattici per la formazione musicale di base.

Il coordinamento e la supervisione scientifica èstata affidata allo scrivente, in qualità di membroesperto del comitato tecnico-scientifico dell’istituto.

I diversi insegnamenti, che hanno coperto un tota-le di 128 ore di lezione, articolate in due incontrimensili di otto ore ciascuno, da ottobre 2002 a mag-gio 2003, sono stati selezionati individuando dellearee di competenza, ciascuna delle quali doveva con-tribuire alla migliore definizione delle problematichesottese alla finalizzazione didattica del percorso com-positivo e delle strategie atte a risolverle.

Per ragioni di chiarezza espositiva, si riportano diseguito i singoli interventi previsti dalla programma-zione generale (tra parentesi il docente chiamato, lesue competenze e il monte-ore affidatogli),2 mentre icontenuti specifici vengono accorpati nelle pertinentiaree di competenza.1. Gli strumenti, i loro problemi, le loro potenzialità:per un impiego corretto ed espressivo delle articola-zioni e dei colori (docenti di strumento dell’istituto“O. Vecchi” con esperienza nell’insegnamento abambini e preadolescenti; ex allievi dello stesso istitu-to impegnati da anni nei corsi di propedeutica stru-mentale o nelle scuole medie a indirizzo musicale;Francesca Tirale, arpista e didatta impegnata da qua-si un decennio nei Corsi di avviamento strumentaledella Siem bresciana – 30 ore complessive con inter-venti compresi tra le 2 e le 4 ore secondo la tipologiastrumentale);2. Per un approccio creativo allo strumentario Orff(Giovanni Piazza, compositore e didatta – 10 ore);3. La composizione del secondo Novecento nella di-dattica musicale: esempi e proposte (Donatella Barto-lini, docente di pedagogia musicale, ricercatrice, di-datta – 12 ore);4. Il contributo dell’altro: poliritmie, polimetrie, ete-rofonie (Enrico Strobino, docente di scuola media,pubblicista, compositore – 16 ore);5. Minimal music: ripetizione, trasformazione e con-trasto per l’interiorizzazione dei principi compositiviprimari (Mauro Montalbetti, compositore e animato-re musicale – 12 ore);

6. Musica tonale: funzioni, colore e forma. Dalla scrit-tura nota contro nota alla trama sonora areale (Anto-nio Giacometti, compositore e didatta – 16 ore);7. Microjazz (Corrado Guarino, compositore e arran-giatore, docente di Musica jazz – 8 ore);8. La trascrizione e l’arrangiamento (Vincenzo Ma-stropirro, docente di scuola media a indirizzo musi-cale, compositore e trascrittore – 8 ore);9. L’impiego di software per la composizione e la no-tazione. Tecniche di coinvolgimento attivo e creativodei docenti nella realizzazione dei brani (AmedeoGaggiolo, esperto in informatica musicale, didatta epubblicista – 10 ore);10. Uno sguardo all’esistente: analisi di testi e sitiweb italiani e stranieri dedicati all’argomento (Ame-deo Gaggiolo – 5 ore).

Area delle conoscenze strumentali. I docenti di stru-mento intervenuti hanno illustrato le caratteristicheprincipali e le potenzialità timbriche ed espressive de-gli strumenti facenti usualmente parte dei gruppi d’in-sieme scolastici (flauto, oboe, clarinetto, corno, trom-ba, pianoforte, chitarra, arpa celtica, violino, viola evioloncello). Le relazioni hanno sempre mantenuto untaglio operativo ed esemplificativo, spesso avvalendo-si della collaborazione attiva di uno o più giovani al-lievi di diverso livello di preparazione tecnica.

Area delle tecniche e dei linguaggi. Questo gruppod’interventi intendeva fornire ai corsisti un’adeguataconoscenza dei sistemi linguistici, delle tecniche dielaborazione e dei modelli formali/strutturali impie-gabili nella composizione didattica. I docenti hannosempre avuto cura di evitare ogni impostazione acca-demica e tecnicistica, agganciando gli argomenti acontesti operativi concreti e sottolineandone le valen-ze educative e formative. Si è potuta così realizzarequell’unitarietà degli interventi, che ha permesso aicorsisti d’impiegare in modo integrato le conoscenzeacquisite, realizzando brevi composizioni scritte oprogetti creativi destinati a gruppi-classe.

Nello specifico, Donatella Bartolini ha affrontatol’impiego delle strutture e dei gesti sonori della musi-ca colta occidentale dal secondo dopoguerra, ponen-do l’accento sulla possibilità di coinvolgere bambinidi scuola materna ed elementare in attività creativelegate alla ricerca sul suono come categoria signifi-cante. Dall’improvvisazione come esplorazione tim-brica vocale e strumentale alle prime forme di nota-zione grafica non convenzionale, l’intervento ha sem-pre coinvolto i corsisti in attività d’improvvisazione,di elaborazione, di ascolto e di riflessione analitica.

Antonio Giacometti è partito dal concetto generaledi “superficie armonica” (e dalle sue possibili applica-zioni didattiche) per introdurre il tonalismo come si-stema di rapporti armonici funzionali dotato di fortivalenze simboliche a matrice prevalentemente statico-dinamica. Si è quindi dato un “al di qua” e un “al dilà” dell’armonia tonale, nel senso di una riserva limi-tata di suoni in grado di produrre comunque accorda-lità e tonicalizzazione (un suono viene assunto come

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punto di riferimento senza essere per questo il primogrado della scala) o, al contrario, di “riserve” com-plesse, come le scale ottatoniche, esatonali e cromati-che, la cui natura fortemente tensiva tende a offuscareil senso di tonica o a moltiplicarne le possibili angola-zioni percettive. Produzione individuale e collettiva,lavori estemporanei di gruppo e analisi di performan-ce realizzate sulla base di una traccia del docente, han-no costituito le modalità operative più frequentate.

A questi argomenti si è organicamente connesso l’in-tervento sul minimalismo di Mauro Montalbetti, cheha sperimentato l’efficacia didattica dell’applicazionedei principi di ripetizione e di variante minima sia alsuono in sé, sia a contesti armonici di tipo semifunzio-nale e cromatico. Anche qui il coinvolgimento dei cor-sisti è stato garantito dalle esercitazioni creative su con-segna, senza trascurare il momento dell’ascolto analiti-co di brani appartenenti agli autori più significativi del-la corrente minimalista (Steve Reich, Philip Glass, TerryRiley ecc.). Giovanni Piazza e Corrado Guarino hannorispettivamente affrontato il linguaggio pentafonico, le-gato alle esperienze della Orff Schulwerk, e quello jazz-blues, con le sue particolari conformazioni scalari e isuoi manipolabili pattern armonici.

Area dell’improvvisazione. Nelle sue lezioni sull’im-piego compositivo e didattico dei polimetri e dei poli-ritmi africani, Enrico Strobino ha destinato ampiospazio alle pratiche improvvisative su modelli dati,affrontando così un argomento fondamentale perl’integrazione didattica dello specifico lavoro di com-posizione, che pur privilegiando l’elaborazione scrit-ta di forme e strutture, dovrebbe sempre lasciar aper-ta una finestra all’intervento creativo dei giovanissimimusicisti cui è destinato. Non è quindi casuale che, aparte la scontata centralità del momento improvvisa-tivo nella trattazione sul jazz di Guarino, lo stesso ar-gomento sia stato toccato, con approcci diversi, daGiovanni Piazza e da Donatella Bartolini.

Area del teatro musicale. L’allestimento di perfor-mance di teatro musicale per ragazzi richiede al com-positore sia l’approfondimento delle valenze dram-maturgiche delle tecniche e dei linguaggi impiegati,sia le competenze didattiche necessarie per organizza-re un lavoro compiutamente interdisciplinare, in gra-do di toccare gli aspetti fondamentali della formazio-ne del giovane musicista. In tale prospettiva, la pro-grammazione del master ha inteso privilegiare quegliaspetti della teatralità musicale che non implicasserouna rigida separazione dei ruoli (l’attore, il musicista,il corista ecc), ma promuovessero la partecipazioneglobale dell’allievo, sviluppandone in particolare lacapacità di stare sulla scena e la consapevolezza deipropri mezzi creativi e comunicativi. Questa forma di“teatro del ritmo, della parola, del corpo e degli stru-menti” è stata estensivamente trattata da Enrico Stro-bino, tramite uno stage di realizzazione collettiva dieventi e l’analisi in video di alcune produzioni, ed èstata affrontata anche dagli interventi di MauroMontalbetti e Antonio Giacometti.

Area dell’arrangiamento e della trascrizione. Ricono-sciuta l’importanza didattica di condurre i giovanistrumentisti alla conoscenza del più vasto repertoriocolto e popolare, è stata aperta una finestra sulle tec-niche di base per l’adattamento e la trascrizione dibrani originariamente destinati a organici diversi daquelli praticabili in ambito scolastico. Questo partico-lare aspetto del comporre è stato affrontato da Vin-cenzo Mastropirro, da lungo tempo insegnante distrumento e coordinatore dei gruppi d’insieme nellascuola media a indirizzo musicale. Attraverso l’analisidi numerose partiture, già verificate nella loro realiz-zabilità, Mastropirro ha isolato le coordinate fonda-mentali della trascrizione e dell’adattamento, fornen-do preziosi e realistici consigli e proponendo lavori dasvolgere individualmente. Per la natura stessa del ge-nere trattato, Corrado Guarino ha invece svolto per-corsi di arrangiamento estemporaneo di standard jaz-zistici, coinvolgendo i corsisti in elaborazioni di grup-po e suggerendo egli stesso le migliori soluzioni.

Area dell’informatica musicale. Essendo venuta menoall’ultimo momento la presenza di Amedeo Gaggiolo,esperto in informatica musicale che avrebbe dovutotrattare l’impiego dei principali software per la com-posizione e fornire linee guida per la ricerca in rete dimateriali utilizzabili, questo pur importante aspettodella preparazione di un compositore è stato solo par-zialmente affrontato da Antonio Giacometti, che haillustrato in due lezioni le modalità di scrittura musi-cale assistita tramite il diffuso programma Finale.

Il master è stato condotto a termine con profitto da un-dici corsisti, tutti strumentisti con esperienza d’inse-gnamento alle spalle, ma senza una preparazione supe-riore nelle discipline compositive fondamentali (armo-nia, contrappunto, strumentazione, tecniche di scrittu-ra della musica contemporanea). Ciò ha richiesto qual-che aggiustamento da parte dei docenti nelle modalitàdi approccio ai temi disciplinari proposti, dovendopuntare più sulla valorizzazione degli aspetti applicati-vi che sull’approfondimento di contenuti tecnici speci-fici, con apparente incongruenza rispetto alla denomi-nazione stessa del progetto. D’altra parte, l’assenza dicompositori diplomati ha riconfermato una diffusamancanza d’interesse verso questa materia, principal-mente dovuta al fatto che lo studente in composizione,è indotto pregiudizialmente a credersi comunque ingrado di controllare senza ulteriori approfondimentiun lavoro considerato di serie B rispetto alle complesseattività della produzione accademica. I corsisti eranoperaltro consapevoli delle proprie lacune in un settorenevralgico della preparazione professionale dell’inse-gnamento musicale e hanno quindi cercato nel corsoun’occasione di formazione completa e mirata viven-dola con impegno e costanza (tutti hanno abbondante-mente superato l’obbligatoria frequenza del 70% delmonte ore totale), nonostante il notevole sacrificio deltempo personale e le soggettive difficoltà nella com-prensione di alcuni argomenti.

Completato il monte-ore con la lezione conclusiva

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dell’8 giugno 2003, ai corsisti è stato lasciato tempofino alla fine del mese di marzo 2004 per realizzareun brano strumentale o una performance integratamultidisciplinare (teatro musicale), di cui avrebberodovuto poi discutere i tratti compositivi, le caratteri-stiche tecnico-strumentali e i sottesi obiettivi formati-vi davanti a una commissione composta da almenotre dei docenti del master. Oltre alle copie della parti-tura e a una relazione scritta, riguardante gli aspettitecnico-compositivi e le finalità didattiche, i candida-ti erano tenuti a esibire un video con la ripresa del la-voro, eseguito da gruppi costituiti per l’occasione ofacenti parte di qualche realtà scolastica pubblica oprivata. L’età degli interpreti doveva essere coerenterispetto alla destinazione assegnata al brano dal can-didato compositore.

A parte due soggetti, che avevano palesato diffi-coltà nella registrazione delle loro produzioni musica-li con gruppi o classi scolastiche e ai quali è stato ec-cezionalmente permesso di esibire una documentazio-ne su supporto informatico dietro leggera penalizza-zione del punteggio di valutazione, gli altri nove can-didati hanno presentato testimonianze video, alcunedelle quali anche ben curate sul piano tecnico. I lavo-ri, di stile, forma e contenuto alquanto differenziati,erano sostanzialmente riconducibili a tre categorie.

1. Teatro musicale vero e proprio, con suddivisionetradizionale dei ruoli tra esecutori musicali, voci reci-tanti e/o cantanti, danzatori e/o mimi. In questa cate-goria rientrano un’esperienza di “continuità” tra scuo-la elementare e corsi di avviamento strumentale di unascuola di musica basata su un brano del Marcovaldodi Italo Calvino (Il giardino dei gatti ostinati) e unafiaba musicale (Il sarto di Gloucester su testo di Bea-trix Potter) per giovani strumentisti e cori di bambini eadulti con voce recitante: la produzione di questo la-voro, scritto a quattro mani da due corsiste, è il risul-tato di una collaborazione tra diversi corsi musicaliper bambini, adolescenti, adulti e anziani organizzatida un’associazione privata.

2. Teatro musicale integrato, in cui i giovani musicistiassumono contestualmente ruoli diversi, impegnando-si nell’esecuzione strumentale, ma anche nel canto,nella recitazione e nel movimento. Gli esempi di que-sto tipo di teatralità totale comprendono – oltre a unelementare Teatro del ritmo che si ispira alle propostedi Enrico Strobino, destinato ad allievi del primo cor-so di Solfeggio – una micro-opera video (Spot), inter-pretata da bambini di scuola elementare, studenti distrumento e musica d’insieme presso una struttura pri-vata; un’esperienza collettiva di drammatizzazione so-nora per voci e strumentario didattico realizzata inuna scuola materna comunale (Canzone del circo); unlavoro di gestualità strumentale e vocale per bambinidei corsi propedeutici di un istituto musicale (Urlo dimamma, racconto per l’infanzia di Jutta Bauer); unasorta di happening musicale per bambini e adolescen-ti, non necessariamente studenti di strumento tradi-zionale, in cui la composizione nasce estemporanea-

mente da stimoli sonori, grafici o gestuali mirati a sol-lecitare la creatività individuale e collettiva nella pro-spettiva del superamento di rigide divisioni tra com-positore, esecutore e fruitore di eventi musicali (Riso-nanze emotive).

3. Brani di musica pura per ensemble strumentale,destinati a gruppi d’insieme omogenei o misti (anchecon voci e coro) di livelli diversi quanto a competen-za esecutiva: dai semplici Tre pezzi brevi per flauto echitarra, alla più impegnativa Suite per archi princi-pianti, che presenta alcuni problemi d’intonazione, fi-no alle complesse astrazioni linguistiche di Impres-sions musicales per undici esecutori e alla sfida con-certativa di una serie di canzoni per grande organicoe coro, su testi riadattati di Sabina Colloredo (Il bo-sco racconta).

Il livello medio della qualità estetica e didattica si è ri-velato più che sufficiente (la media dei punteggi ac-quisiti è stata di circa 75 su 100), ma va detto che lamaggioranza dei corsisti ha ritenuto di puntare piùsulle implicazioni educative del lavoro che sui suoicontenuti strettamente tecnici e linguistici, evitandod’impiegare tecniche di scrittura e linguaggi di cuinon si sentisse ancora pienamente padrona.

Conclusioni

Si tratta con evidenza di una proposta che necessita diulteriori aggiustamenti, modificazioni e integrazioni (cisi è ad esempio accorti quasi subito di una certa discon-tinuità tematica fra le diverse discipline e, per converso,di alcune inutili sovrapposizioni contenutistiche, per ta-cere delle mancanza di organicità nei criteri di presenta-zione dei singoli strumenti) e che andrà opportunamen-te adattata ai contesti nei quali verrà realizzata. A talproposito, il ruolo che possono giocare gli insegnanti diComposizione e quelli di Elementi di composizione perla didattica all’interno delle rinnovate istituzioni con-servatoriali risulta decisivo, sia nell’opera di sensibiliz-zazione degli allievi verso un ambito professionale de-stinato nei prossimi anni a svilupparsi e specificarsi ul-teriormente, sia nell'ideazione di proposte mirate di for-mazione superiore in costante collaborazione conesperti del settore pedagogico e didattico musicale.

Note1 Questi e altri aspetti della musica d’insieme per ragazzi vengo-no affrontati in una relazione tenuta dallo scrivente al ConvegnoSiem di Perugia (Settembre 2001) dal titolo La musica d’insiemetra scuola e casa, disponibile on-line sul sito www.a-giacometti.itnella sezione Riflessioni.2 Il master è stato introdotto da una relazione del coordinatoredal titolo “Perché” e “come” la musica d’insieme per bambini eragazzi: fondamenti teorici e analisi di alcune esperienze (2 ore),finalizzata a chiarirne il taglio contenutistico e metodologico,nonché ad affrontare i fondamentali problemi del controllo delledinamiche interne ai gruppi e della scelta dei repertori.

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Provate a suonare per un istante il vostro strumento. Ades-so chiudete gli occhi ed elencate tutti i movimenti che ave-te realizzato, da quando avete deciso di suonare a quandoavete riposto lo strumento. L’enorme quantità di movi-menti che realizziamo in un’attività complessa sono statiappresi: dall’alzarsi dalla poltrona al controllo della pres-sione di un dito sulla corda. Quando vediamo muoversiun’altra persona, gran parte dei movimenti necessari per lasua azione rimangono nascosti ai nostri occhi, così comespesso non siamo consapevoli di tutti i piccoli meccanismiinnescati in noi mentre ci muoviamo. Portarli a livello co-sciente per l’analisi o la correzione, è un compito difficile.

Secondo il modello ormai classico di Schmidt1 il movi-mento può essere scomposto in tre momenti: condizioniiniziali, esecuzione e controllo e correzione. Nello stadiopreliminare del movimento, il nostro organismo acquisi-sce un’enorme quantità di dati sulla postura basandosisulle informazioni propriocettive (ossia le percezioni in-terne). Attraverso ricettori disseminati in tutta la pelle ri-leviamo l’asimmetria della nostra posizione e, mediante ilcosì detto senso muscolare, le tensioni in atto che ci man-tengono in quella posizione, alcune delle quali per com-pensare la forza di gravità. Da qui il fatto che essere fermio in movimento così come l’inclinazione della testa, mo-dificano la nostra percezione e di conseguenza la nostraperformance. Dondolandosi sulla sedia (movimento abi-tuale nei musicisti) il passaggio del punto d’appoggio daun lato all’altro del corpo e la conseguente pressione va-riabile tra i glutei e i piedi altera il senso di orientamentodel corpo.2 Altri dati che ci arrivano dall’esterno attraver-so la vista e l’udito, oltre alla posizione nello spazio, cipermettono di rilevare i movimenti intorno a noi e di ac-comodare le nostre azioni di conseguenza. Tutte questeinformazioni sono integrate attraverso le mappe sensoria-li per elaborare un messaggio finale del tipo «io sonoqui». Trovo meraviglioso sapere che dato che gli stimoliluminosi, uditivi e tattili viaggiano a velocità diverse, an-che il nostro sistema nervoso li trasmette e li processa a di-verse velocità, così da avere la sensazione di simultaneità.Questo miracolo si chiama convergenza multisensoriale.

Le informazioni riguardanti la nostra posizione ven-gono confrontate con i dati appresi in situazioni prece-denti. È a questo punto che parte il movimento. Durante

la sua esecuzione il sistema nervoso centrale innesca deicomplessi meccanismi di controllo,3 che coinvolgono lacorteccia motoria, i gangli basali e il cervelletto, consen-tendo l’adattamento del movimento in funzione del risul-tato voluto. È interessante notare che il flusso d’informa-zione ha frequenze diverse per le attività cognitive e perquelle motorie: si pensa a 40 Hz4 e ci si muove a 10 Hz.Questo vuol dire che possiamo interferire con la catena diazioni in un decimo di secondo, ma potremmo aver capi-to l’errore qualche centesimo di secondo prima!

Altra notevole derivazione dei meccanismi di control-lo è quella ipotizzata da Viviani e Flash5 per i quali il si-stema di controllo motorio, prima ancora dell’inizio di unmovimento, dispone già di un piano spaziale, ossia dellecoordinate spaziali di partenza e di conclusione entro lequali eseguire l’azione. Questo spiegherebbe il principiod’isocronismo, per cui la velocità di un movimento au-menta con la distanza da percorrere (pensate alle varia-zioni di velocità nelle arcate brevi e lunghe o nei salti del-la mano sulla tastiera tra posizioni vicine e lontane).

Ma come s’impara un movimento? I meccanismid’apprendimento possono avvenire per reazione, perimitazione o per adattamento. Spesso queste modalitàsono associate tra di loro, come nell’apprendere a cam-minare. In questo movimento la reazione alla gravità inposizione eretta ci porta a eseguire dei passi per non ca-dere, che si adattano al tipo di terreno (e di scarpe), cheassomigliano a quelli che vediamo fare da altri.

Il movimento si appoggia a tipi diversi di memoriache s’integrano fra loro. La memoria muscolare mantie-ne la contrazione dei muscoli coinvolti; la memoria spa-ziale conserva le informazioni sensomotorie; la memoriatopografica conserva le informazioni relative al luogo eagli spostamenti (è quindi una memoria procedurale).Una volta acquisito, il movimento si esegue senza biso-gno di utilizzare tutti i rilevatori sensoriali, passando co-sì a un livello di automatismo. A loro volta, i singoli mo-vimenti si organizzano in sequenze chiamate programmimotori che economizzano ancora di più la nostra atten-zione, giacché basta dare il comando iniziale perché tut-ta una serie di movimenti sia eseguita, come per scende-re le scale o suonare un arpeggio. Però sappiamo beneche possiamo suonare lo stesso passaggio con diteggiatu-re diverse, in funzione del contesto o della fatica. Le con-dizioni che permettono l’apprendimento di programmicontraddittori sono elegantemente spiegate in una ricer-ca realizzata da Shadmehr e Brashers-Krug:6 attraversouna serie di esperimenti, gli autori dimostrano che solose si lascia una finestra temporale superiore alle cinqueore si possono imparare soluzioni motorie diverse per

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he Apprendimenti motori

e pratica strumentale

La pratica strumentale nasce dall’elaborazionesimultanea della rappresentazione mentale delbrano e dei movimenti necessari per la suaesecuzione. Le ricerche condotte dallaneurofisiologia sugli apprendimenti motoriforniscono dati utili per capire le ragionidell’efficacia delle pratiche didattiche.

LAURA HABEGGER

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uno stesso problema, altrimenti (se i diversi programmimotori vengono praticati in tempi ravvicinati) solo l’ulti-mo rimane nella memoria. Quindi le diteggiature alter-native per uno stesso passaggio dovrebbero essere stu-diate in sessioni separate, addirittura in giorni successivi,se si vuole evitare che una soluzione prevalga sull’altra.

Altro problema nell’apprendimento e correzione deimovimenti complessi è dato dai movimenti sussidiari,chiamati programmi occulti. Pensate ad esempio all’ese-cuzione di una scala sulla tastiera: il momento del pas-saggio del pollice è stato sicuramente preparato primadal dito e realizzato poi dal braccio (come quando affer-riamo un bicchiere: la mano anticipa la forma dell’ogget-to ancora prima di toccarlo). Nel suonare la scala a velo-cità diverse il musicista esperto mantiene invariata la ve-locità del movimento preparatorio, mentre il principian-te rallenta o accelera il tutto. Questo dimostra che talepreparazione non è scontata nell’allievo, che deve ese-guirla coscientemente. Generalmente della stessa naturasono i movimenti di gomiti o polsi nell’esecuzione di tut-ti gli strumenti. In uno stadio posteriore dello studio,questi piccoli gesti diventati automatici possono accu-mulare difetti e tensioni difficilmente rilevabili senza uncontrollo esterno, e compromettere seriamente la perfor-mance, anche perché la memoria motoria conserva trac-cia non solo dei movimenti ma addirittura della velocitàcon cui si concatenano. Quindi sebbene eseguire un pas-saggio a diverse velocità ci permette d’individuare parti-colari problemi e, a volte, di risolverli, può altresì inter-ferire con l’acquisizione dei collegamenti tra un fram-mento e il successivo. Per evitare ciò è necessaria la pra-tica nelle varianti di velocità anche dei passaggi di unio-ne tra un frammento e l’altro, sebbene in un primo mo-mento il loro studio possa sembrato “superato”.

Come si diceva all’inizio, la pratica strumentale im-plica l’elaborazione della rappresentazione mentale diun brano e dei movimenti necessari per la sua esecuzio-ne. Tuttavia sembrerebbe che l’acquisizione del modellomentale faciliti quella del modello motorio, e non il con-trario. In una ricerca del 1998 effettuata nel Laborato-rio di Psicologia Sperimentale dell’Università di Parigi7 èstato chiesto a sei studenti intermedi di flauto di studia-re una melodia cantandola e, dopo averla imparata, distudiarla sullo strumento. Ad altri sei con caratteristichesimili per età e livello di preparazione musicale è statochiesto di studiarla sullo strumento e solo dopo di can-tarla. L’accuratezza della seconda versione (strumentaleper il primo gruppo e cantata per il secondo), si è dimo-strata nettamente superiore nel primo gruppo, lasciandosupporre che l’appropriazione del modello mentale faci-lita l’acquisizione del modello motorio, mentre l’ap-prendimento strumentale richiede la messa in atto di fa-coltà motorie complesse che ostacolano la formazionedi un chiaro modello mentale.

Un’ultima considerazione riguarda la relazione tral’età di inizio del percorso di studio e gli accomodamentibiomeccanici operati, accomodamenti di natura anato-mica (il mio mignolo sinistro, essendo io chitarrista, è diben cinque millimetri più lungo del mio pigro mignolodestro), o funzionale (comparate il grado d’indipendenzae velocità di ripetizione dei movimenti che riuscite a farecon i vostri anulari e mignoli da musicisti e gli stessi mo-vimenti nei vostri allievi al primo anno di studio). Una

recentissima ricerca8 dimostra quanto è noto a tutti gliinsegnanti: iniziare lo studio strumentale prima dei seianni, quando il livello di plasticità anatomico e neurofi-siologico è massimo, consente degli adattamenti corporeiche permettono maggior precisione e velocità di reazione(con la conseguente accuratezza ritmica), capacità chegradatamente si perde: iniziando gli studi dopo i 15 anninon si verifica alcuna modifica biomeccanica permanen-te, e sarà necessario un allenamento molto più intensivoper mantenere un buon livello di performance.

Una volta imparato un programma motorio, qual è lamodalità di allenamento più appropriata per mantenerel’abilità acquisita? Esiste ormai una considerevole mole diricerche9 che conferma che l’organizzazione del tempo distudio influenza il rendimento: l’allenamento intensivo,con tempi superiori a due ore per sessione, determina ri-sultati più immediati ma meno accurati a lungo termine,mentre la divisione del tempo di studio in sessioni brevi(da mezz’ora a due ore) produce risultati meno immedia-ti, ma più sicuri nel tempo, probabilmente perché correla-ti ai tempi di attenzione e concentrazione.

Per concludere, vorrei chiamare in causa l’immagi-na-zione. Anche qui numerosi lavori10 dimostrano che ilmovimento solo evocato attiva sia le zone del cervello edel cervelletto coinvolte nella produzione reale del mo-vimento sia le fibre muscolari che dovrebbero realizzar-lo, rafforzando la memorizzazione degli schemi motoriimmaginati, pratica questa molto diffusa nell’allena-mento sportivo di alto livello. Potremmo finalmente stu-diare senza che i vicini si lamentino?

Note1 Schmidt R.A., “A schema theory of discrete motor skill lear-ning” in Psychological Review n. 82, 1975, pp. 225-260.2 Berthoz A., 1998, Il senso del movimento, McGraw-Hill, Mi-lano, p. 96, (ed. or. 1997, Editions Odile Jacob, Paris)3 Per una breve rassegna su modelli e teorie sui meccanismi dicontrollo dei movimenti si veda: Pressing J. Improvisation:methods and models, in Sloboda J. (a cura di), 1987, Genera-tive Processes in Music, Oxford University Press.4 Hertz (Hz) è l’unità di frequenza dei fenomeni periodici: 1 Hzequivale a un periodo al secondo.5 Viviani P., Flash T., “Minimun jerk, two third power law andisochrony. Converging approaches to movement planning” inJournal of Experimental Psychology (Human Perception), 21,1995, pp. 32-53.6 Shadmehr R., Brashers-Krug T., “Functional stages in theformation of human long-term motor memory” in The Jour-nal of Neuroscience, January 1, 17(1), 1997, pp. 409-419.7 Drake C., McAdams S., Berthoz A., “Sing first, play later:singing a novel piece of music facilitates playing it on an in-strument but not the other way round” in Journal of the Acou-stical Society of America, 106, 4 (2), 1999, pp. 2285-2286.8 Ang M., Soh L. P., Kho T. M., “Correlation between pianoperformance ability with respect to biomechanical skills and theage of first instruction on the instrument”, Atti del South Asia’sFirst International Conference on Music Technology in the ThirdMillenium, Mus Tech Asia 2000, Kuala Lumpur, Marzo 2000.9 Un’ottima rassegna su queste ricerche si trova in Magill R.,Hall K., “A review of the contextual interference effect in motorskill acquisition” in Human Movement Science, n. 9, 1990.10 Vedi Jeannerod M., “The representing brain: Neural correla-tes of motor intention and imagery” in Brain Behaviour Scien-ce, n. 17, 1994, pp. 187-245; Ehrsson H., Geyer S., Naito E.,“Imagery of voluntary movement of fingers, toes and tongue ac-tivates corresponding body-part-specific motor representa-tions” in Journal of neurophysiology, 90, 2003, pp. 3304-3316.

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Il pezzo di cui ci occupiamo in questo numero è unesempio di gamelan giavanese, che i lettori possonoascoltare consultando il sito internet della Siem, all’in-dirizzo www.siem-online.it/pubb/gamelan.htm. Lascelta di proporre un’attività di analisi all’ascolto, darealizzarsi senza l’ausilio di una traccia scritta, è legataalla specificità del repertorio. In molti casi, infatti, latrascrizione di una musica di tradizione orale, nel ten-tativo di “addomesticare” strutture grammaticali so-stanzialmente diverse da quelle che la nostra notazio-ne è in grado di descrivere, tende spesso a configurar-si come una “traduzione” assai poco fedele rispetto al-la concreta realtà sonora del pezzo. Al di là del proble-ma della trascrizione, numerose sono le variabili di cuioccorre tener conto nel momento in cui ci si apprestaa organizzare in un contesto didattico un’attività diascolto e analisi di musiche delle tradizioni extraeuro-pee, le cosiddette musiche dell’altrove. Una prima,fondamentale questione è legata alla collocazione con-testuale del repertorio: oltre all’evidente necessità diesplicitare le coordinate geografiche e temporali di unadeterminata produzione musicale, occorrerà infatti ri-cordare che gran parte delle musiche non occidentaliassolve a una funzione sociale che sta alla base dellavita quotidiana della gente comune. Estrapolate dal lo-ro contesto, defunzionalizzate rispetto al tessuto entrocui venivano e vengono usate, ma soprattutto rilevateda un punto di vista estetico che nelle culture extraeu-ropee esiste, ma non come valore primario, tali musi-che sono inevitabilmente destinate ad assumere un si-gnificato “altro”. Conoscere le convenzioni, il sistemadi valori e le funzioni sociali della musica all’interno diun sistema culturale così diverso dal nostro com’èquello che ha dato vita al gamelan giavanese, è dun-que una condizione essenziale per avvicinarsi allacomprensione di questo repertorio.

In che modo «si può cominciare ad ascoltare unamusica con cui si ha scarsa confidenza, come si puòcapirla e magari anche affezionarsi gradualmente adessa?»: è propriamente questa la questione alla basedel volume L’orecchio intelligente. Guida all’ascolto dimusiche non familiari scritto recentemente da MarioBaroni per la LIM (2004) e descritto e analizzato nellesue valenze didattiche nella recensione realizzata perMusica Domani da Alessandra Anceschi, che i lettoripossono trovare alle pagine 40-42 di questo stesso nu-mero.

Oltre ad affrontare le questioni teoriche legate allapossibilità di comprendere un brano musicale, Baronipropone nel suo testo 40 schede d’ascolto relative ad

altrettanti pezzi contenuti nei due cd allegati al volume,appartenenti a diverse epoche, generi, stili e aree geo-grafiche. Nella sezione Repertorio extra-europeo ven-gono presentate e proposte all’ascolto musiche del Ma-rocco, della Repubblica Centro-Africana, dell’India edel Giappone. Abbiamo chiesto all’autore di ampliare ilnovero delle esperienze stilistiche documentate nel suolibro preparando un’ipotetica scheda quarantunesimaper i lettori della nostra rivista. La scelta effettuata cisembra assai felice: il gamelan giavanese si presta astimolanti percorsi didattici che possono sfociare nelsuo confronto con numerosi altri repertori, da Debussyai minimalisti, da tanta popular music che ne ha attin-to a piene mani alle musiche realizzabili con lo stru-mentario Orff. Ma soprattutto si tratta di una musica digrande fascino e suggestione sonora, rispetto alla qua-le neppure l’ascoltatore più tenacemente barricato nel-le sue abitudini, se opportunamente guidato, potrà fa-re a meno di attivare autentiche sintonie.

(Susanna Pasticci)

La cultura musicale delle isole di Giava e di Bali è anti-chissima e composita: ha assimilato contributi prove-nienti dall’India, dalla Cina, dall’Islam, e in secoli piùrecenti anche dalla tradizione europea. Il dominio co-loniale ha rispettato in parte le tradizioni politiche eculturali del paese: ha lasciato che continuassero aesistere principati locali di tradizione para-feudale, eche questi continuassero a conservare nei loro palazzi(come conservano in parte ancor oggi) i loro riti e le lo-ro tradizioni di danza e di musica, antichissimi e assaidiversi da quelli occidentali. La cultura della danza edella musica non esiste solo nei palazzi, ma è diffusaanche nei villaggi.

Originariamente, le musiche giavanesi erano legatea tradizioni religiose e in parte politiche: canti, suoni,danze, o anche spettacoli come il teatro delle ombre,dovevano accompagnare evocazioni della divinità, o ri-tualità dell’anno o delle ore del giorno, e potevano ave-re maggiore o minor forza e prestigio a seconda delluogo in cui avvenivano. Oggi rimane ancora qualcosadell’antica capacità evocativa, e il rapporto con la reli-gione è spesso ancora ben visibile: si tratta però diaspetti che in parte si stanno attenuando, mentre au-mentano le rappresentazioni in forma di spettacolo (al-l’occidentale).

La cultura giavanese ha catalogato e definito teori-camente i vari aspetti strutturali della sua musica, sia inepoche passate, sia soprattutto in epoche più recenti,per l’influsso della musicologia occidentale. Di tutti i

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[GIAVA]MARIO BARONI

Il materiale audiodescritto in questa rubricasi trova nelle pagine Web

della Siem:www.siem-online.it

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termini che bisognerebbe usare per nominare corretta-mente gli aspetti di quella musica, conserviamo in que-sta sede solo quello di gamelan; gli altri li tradurremocon termini occidentali, che in parte possono risultareimpropri, ma che sono più comodi da usare. Per ga-melan si intende qualcosa di simile a quel che noi in-tendiamo per “formazione orchestrale”: il termine è ge-nerico e comprende formazioni molto diverse, a secon-da anche delle possibilità economiche delle differenticomunità che le acquistano e le conservano. In lineagenerale un gamelan è un’orchestra composta di stru-menti a piastre di foggia e dimensioni diverse (da gran-di gong a piccoli oggetti percossi), che nelle occasionipiù ricche e solenni può prevedere l’uso di sessanta osettanta esecutori. Si utilizzano scale che possono es-sere di cinque o di sette note, la cui intonazione non èfissa (può variare a seconda dei diversi tipi di game-lan). Ci sono anche stili diversi di esecuzione, uno più“delicato”, dal suono più sottile e dal ritmo meno deci-so, dotato soprattutto di implicazioni mistiche e asso-ciato a danze di tipo “raffinato”, uno più “forte” e rit-mato, associato piuttosto a danze o spettacoli eroici.Ogni composizione (che prevede sempre aspetti di tra-dizione orale) si realizza sempre per strati di sonoritàsovrapposte. Semplificando molto le cose, si può affer-mare che gli strati siano cinque, ognuno dotato di fun-zioni proprie e di strumenti propri:1. strumenti che eseguono il tema; 2. strumenti (a volte anche a fiato e a corde) che para-

frasano il tema, eseguendolo insieme agli strumentiprecedenti, ma introducendovi variazioni e ornamenti(i musicisti locali li chiamano il “vestito” della compo-sizione);3. strumenti che eseguono “contromelodie” più veloci(sono il “sentimento” della composizione. Anche quipossono intervenire flauti o altro);4. strumenti che eseguono solenni interpunzioni (so-prattutto i gong), sottolineando le regolari separazionifra una frase e l’altra;5. tamburi che guidano il tempo e le sue variazioni (so-no il “respiro” della composizione).

Ogni composizione prevede uno schema, una sortadi scheletro strutturale, che gli esecutori sono chiama-ti a riempire seguendo la loro musicalità.

La sottostante tabella schematizza il frammento re-gistrato dividendolo in due parti: parte I – Introduzione (si tratta della parte finale del-l’Introduzione: alcuni minuti precedenti non sono statiregistrati); parte II – Episodi (a partire dall’ingresso degli stru-menti a fiato).

In ognuna delle due parti gli strumenti sono orga-nizzati in tre strati sovrapposti, qui indicati come “Te-ma”, “Percussioni”, “Fraseggio”. A ciascuno stratocorrispondono gruppi di strumenti che si sovrappon-gono suonando contemporaneamente. La maggioredifficoltà è quella di individuare i diversi strati e, al lorointerno, i diversi gruppi di strumenti.

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Stratificazioni dell’Introduzione (durata circa 1’)

Tema

a) metallofoni, 2 note veloci contigue, ripetute

b) metallofoni, modulo tematico, ripetuto, di 7 note

c) metallofoni, varianti molteplici di a) e di b)

Percussionid) pulsazioni rapide regolari

e) impulsi irregolari a grappoli

Fraseggio f) colpo di gong ogni 8 pulsazioni veloci

Stratificazioni degli Episodi (durata circa 3’25”)

Tutti (frammenti a sonorità densa e compatta)

Tema

a) strumenti a fiato eseguono un modulo tematico

b) metallofoni raddoppiano la parte dei fiati(anche variandola)

c) metallofoni eseguono dei “controtemi” a note rapide

Percussionid) pulsazioni di media velocità

e) pulsazioni rapide

Fraseggio f) colpo di gong ogni 8 unità ritmiche

Soli (frammenti a sonorità più diradata)

Temaa) uno strumento a fiato esegue il modulo tematico

b) un metallofono raddoppia il tema (anche variandolo)

Percussioni c) pulsazione media

Fraseggio d) colpo di gong ogni 8 unità ritmiche

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L’esperienza che sto per descrivere si riferisce a unprogetto realizzato con due seconde classi a modulidella scuola elementare “Gianni Rodari” di Cave(Roma), per costruire un contesto di gioco socio-drammatico che coinvolgesse tutti gli alunni, favo-rendo lo sviluppo delle loro potenzialità logiche,espressive e socio-affettive, attraverso l’utilizzo di di-versi mezzi espressivi (voci, suoni, musiche e teatrodelle ombre). La scelta della drammatizzazione è con-seguente a quella dello sfondo integratore come me-todologia didattica (Zanelli 1986) e alla volontà dicostruire uno spazio scenico immaginario e condivi-so, in cui potessero trovar posto molti dei giochi(simbolici, di costruzione, di esercizio ecc.) che rap-presentano i meccanismi privilegiati di rapporto conla realtà per i bambini di seconda elementare.

Cosa mettere in scena?

Tenendo conto dello specifico momento evolutivo deibambini di sette anni e della loro necessità di ricon-durre ogni evento alla propria esperienza diretta, l’in-segnante della classe ha scelto la storia di Cipì di Ma-rio Lodi come spunto narrativo che, risuonando nelmondo emotivo degli alunni, poteva agire come un«sasso nello stagno» per stimolare una serie di rea-zioni/azioni/suoni che la logica stessa della dramma-tizzazione avrebbe messo in forma compiuta.

Le ragioni di questa scelta sono molteplici. 1. Stimolo all’identificazione. Come in altre storiedello stesso autore, la realtà fantastica è innestata sul-l’osservazione di eventi naturali che appartengono al-l’esperienza dei bambini, i quali, con estrema natura-lezza, si sono identificati e affezionati al piccolo pro-tagonista, seguendo appassionatamente le sue avven-ture in un gioco simbolico ricco di particolari. Leg-gendo la storia, infatti, i bambini hanno riconosciutoin Cipì molte delle loro caratteristiche: l’uccellino èparticolarmente curioso, vuole sempre giocare, diver-

tirsi e stare con gli amici e, soprattutto, prova emo-zioni: è allegro, triste e, a volte, ha tanta paura.2. Consolidamento dei processi logici. La storia,che si svolge in un periodo di tempo limitato e in luo-ghi precisi, ha tutti gli elementi per consentire albambino di cogliere sia il dinamismo temporale chequello spaziale, precisando linguisticamente i concet-ti che gli servono per interpretare l’esperienza. Du-rante l’arco temporale della sua vita, Cipì fa molteesperienze che vengono raccontate in precisa succes-sione cronologica. Il trascorrere del tempo è periodi-camente segnato dal ritorno degli eventi naturali: ilsorgere e il calare del sole, l’alternarsi delle stagioni,il ciclo della vita. Sono anche presentati una serie ditermini che richiamano strutture topologiche e tem-porali; ad esempio alcuni avvenimenti paurosi av-vengono dentro il castello o la gabbia, il nido si tro-va sul palazzo, si gioca sul tetto vicino al nido, si vo-la in alto nel cielo, ci si nasconde dietro i merli delcastello, c’era una volta, tornò il giorno, salì la luna,venne l’autunno e poi l’inverno ecc. Mettere in colle-gamento mezzi e fini secondo un asse temporale, aiu-ta l’alunno anche a dare una dimensione di conti-nuità all’esperienza per cui, mentre nell’esperienzareale molte connessioni tra presente e passato posso-no sfuggire, durante la drammatizzazione di storie ilbambino può cogliere rapporti relazionali di causa-effetto che si riferiscono a un ampio arco di tempo(Cesa Bianchi-Bregani 1980).3. Avvio alla ricerca espressiva. In Cipì, ci sono mol-ti personaggi e molte situazioni che possono varia-mente stimolare la fantasia degli alunni e il loro inve-stimento emotivo ed espressivo. Noi abbiamo sceltodi sviluppare tre livelli espressivi: verbale (recitazio-ne), sonoro-musicale (cori parlati, canzoni, produzio-ne di sonorità con il corpo) e grafico (disegni, sagomeda proiettare sul telo). Il gioco simbolico è stato,quindi, un’occasione per valorizzare e potenziare leabilità “meccaniche” tipiche di questa età coinvol-gendo tutti gli alunni in giochi di esercizio e giochi dicostruzione in cui tutti i bambini hanno avuto con-creti “da farsi”. 4. Promozione dell’attività di gruppo. In ogni faseoperativa utile alla drammatizzazione insegnanti ealunni sono coinvolti insieme in una serie di proble-mi da risolvere: l’interazione è sempre stata finaliz-zata verso apprendimenti specifici intellettuali edemotivi.

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Pra

tich

eeducati

ve Cipì, un gioco per voci,suoni, musiche, ombre

La collaborazione tra un’insegnante di italianoe un’animatrice musicale offre ai bambini didue classi di seconda elementare un contestodi apprendimento capace di connettereemozioni e modalità espressive in un percorsocomune e significativo.

LAVINIA AMALIA RIZZO

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Scelte espressive e organizzative

Dopo la scelta del soggetto, l’esperienza si è articola-ta nelle varie fasi operative, confluite nella realizza-zione dello spettacolo di fine anno. Una prima fase hariguardato l’approccio al testo, letto in classe per in-dividuare contenuto e personaggi, di cui sono stateprese in considerazione anche le intenzioni, i ruoli e lefunzioni all’interno della logica narrativa.

Grande attenzione è stata rivolta all’articolazioneformale del racconto: inizio e fine, struttura interna,successione delle scene, sequenze interne alle variescene (vedi tabella 1). Tutto ciò è stato riprodotto uti-lizzando la lingua scritta e orale, disegni e diagrammidi flusso. L’insegnante di italiano ha naturalmentetratto da questa fase una grande varietà di spunti di-dattici sottolineando ad esempio, il frequente uso del-le metafore e delle similitudini e stimolando la discus-sione e l’espressione di opinioni personali su frasi edepisodi particolarmente significativi.

Selezioni musicali

Naturalmente, non tutte le situazioni vissute da Cipìsono state recepite allo stesso modo dagli alunni chesono stati invitati a scegliere le scene principali traquelle che avevano stimolato un maggior investimen-to emotivo. Il testo è stato così adattato e trasforma-to in una sceneggiatura che teneva conto sia dei vin-coli formali e contenutistici dati dal testo stesso, sia diuna serie di problemi legati alla partecipazione delleclassi ai due momenti della performance finale: la re-citazione espressiva e la produzione delle ombre. Ilnumero delle parti è stato quindi organizzato in mo-do che ogni alunno avesse alcune battute da recitare.

Individuati i punti chiave della sceneggiatura, hoselezionato per ciascuno di essi due ascolti che avrei

proposto ai bambini, per scegliere insieme le musicheda utilizzare come colonna sonora (vedi tabella 2).

Nelle mie intenzioni oltre che sostenere e arricchi-re il clima emotivo suscitato dalla storia, ogni branodoveva avere proprio una funzione coordinatrice deivari interventi previsti all’interno di quella scena. Du-rante la performance, senza sollecitazione alcuna daparte delle insegnanti, ma guidati esclusivamente dal-l’organizzazione sonora, gli alunni avrebbero dovutogestire con sicurezza e autonomia sia il movimentodelle ombre che la recitazione delle frasi.

Da un repertorio di ascolti che naturalmente ap-partiene alla mia storia personale, ho scelto dei braniche oltre favorire il gioco di fantasia e di immagina-zione, siano organizzati in modo tale da permettereagli alunni di entrare dentro la musica riconoscendo-ne elementi timbrici, ritmici, melodici o formali chediventino riferimenti per l’azione.

Per ogni brano, infatti, è possibile ricavare e con-dividere sempre mediante giochi d’ascolto, con unacerta facilità e anche in breve tempo, gli elementi per-cettivi più evidenti: interpunzione o articolazione del-la melodia, variazioni delle dinamiche, dei registri odei timbri, schemi d’alternanza tra le parti e/o tra glistrumenti o le voci, criteri di successione tra le frasi(rapporti di ripetizione/variazione/alternanza), avvi-cendamento suono-silenzio, schemi metrici.

Ogni aspetto della costruzione della musica, filtra-to nel processo di identificazione, può diventare il ri-ferimento caratterizzante l’azione di uno specificopersonaggio. Ad esempio, l’incontro tra Cipì e il fioreMargherì può trovare una stilizzazione musicale sianei due timbri ben distinti e caratterizzati presenti nelCigno, che nel valzer presentato da Cajkovskij.

Ai bambini, già partecipi delle emozioni legate aidiversi momenti della narrazione e desiderosi di con-tribuire alla messa in scena del loro Cipì, i vari abbi-namenti musicali sono stati offerti senza alcuna pre-sentazione, ma sempre agganciati alle varie scene edesplicitando chiaramente la necessità di scegliernesoltanto uno.

Dopo l’ascolto, a volte ripetuto, delle due musichegli alunni sono stati invitati a esprimere verbalmentele proprie idee sulla musica in relazione ai protagoni-

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Tabella 1: la suddivisione in atti e in scene del racconto

I ATTO Scene:I Nascita di Cipì;II Cipì non sa ancora volare: gioca sul tetto e cade nelle

mani di alcuni bambini cattivi, ma riesce a liberarsi;III Cipì e i fratelli imparano a volare e con la mamma

vanno a conoscere il mondo: incontra le api, si tuffanel nastro d’argento e incontra Margherì che diventeràla sua amica del cuore;

IV Cipì scopre che nel mondo ci sono anche i nemici: unuomo ferisce la sua amica Passerì con un fucile;

V Passerì guarisce e costruisce un nido insieme a Cipì.

II ATTOScene:I Scoppia un violento temporale, ma poi torna l’arcoba-

leno;II Nascono i figli di Cipì;III Arriva l’autunno: palla di fuoco diventa pallido;IV Arriva l’inverno: cade la neve, i passeri cercano il cibo;V Nel vecchio castello c’è un pericolo terribile: qualcuno

fa scomparire i passeri;VI Cipì scopre il nemico dei passeri e insieme agli amici e

al vento riesce a cacciarlo.

Tabella 2: Brani proposti per l’abbinamento con le diversefasi del racconto (il brano scelto è segnalato da un asterisco)

• Inizio (I, I), sul telo viene costruito il paese ponendouna casa dopo l’altra: Mattino di Grieg*; Prelude a l’a-près midi d’un faune di Debussy.

• Compare Margherì, l’amica del cuore (I, III): Valzerdalla Bella Addormentata di Ciaikovskji*; Il cigno diC. Saint-Saens.

• Scoppia un violento temporale (II, I): Temporale dallaSuite di Grofé; Sappho di Xenaxis*.

• Scena del pericolo nella torre (II, V): Preludio dal Mac-beth di Verdi*; Toccata in re minore di Bach.

• Al mattino gli uccelli si preparano a fare festa con tuttala natura (II, VII): Clair de lune di Debussy; Allegrodalla Sonata per flauto e pianoforte di Donizetti.

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sti della scena (cfr. Giochi in cui la musica dà da par-lare in Ferrari 2002, p. 52).

Si trattava chiaramente non solo di stimolare l’im-maginazione, ma anche di offrire «occasioni di con-fronto e scambio comunicativo, che alimentano, met-tendola alla prova, la capacità di accoglienza recipro-ca tra pari, nonché la possibilità di esprimersi in pro-duzioni creative, che generino compiacimento di sécome singoli e come gruppo» (Ferrari 2002, pp. 70-71). Dopo ogni dibattito il gruppo era chiamato allavotazione che avrebbe determinato la scelta definitivaindicata in tabella con un asterisco.

Durante tale fase, il mio ruolo è consistito essen-zialmente nel permettere uno svolgimento ordinatodegli interventi evitando che gli alunni si sovrappo-nessero tra loro. L’unica eccezione ha riguardato lamia proposta di utilizzare il Mattino anche nell’ulti-ma scena, ricollegandoci alla prima scena e al ritornodell’atmosfera dell’inizio.

Il teatro delle ombre

L’attività successiva alla scelta delle musiche si ri-chiama ancora ai giochi d’ascolto descritti da FrancaFerrari, in questo caso i giochi con oggetti.

Questi si caratterizzano innanzitutto per l’utilizzodi un «oggetto come facilitatore dell’interazione adue livelli: quella dei partecipanti tra loro e quella diciascun membro del gruppo con le dimensioni e le ca-ratteristiche dello spazio fisico in cui si trova» e an-che per una consegna specifica che consiste nel «di-sporsi tutti insieme intorno a un oggetto grande, co-me un lenzuolo (che) sollecita la comunicazione, an-che solo oculare, con chi sta vicino e motiva l’atten-zione nei confronti delle reciproche posture e dimen-sioni, fino a far modificare postura e atteggiamentopersonali in funzione di quelli altrui» (Ferrari 2002,p. 32 e segg.).

Questa volta, divisi in piccoli gruppi, formati da-gli alunni direttamente interessati alla scena, ci si è ci-mentati a organizzare dietro e davanti al telone delleombre con il supporto della musica prescelta, sia imovimenti delle sagome costruite e animate daglialunni che la recitazione vera e propria.

Nella seconda scena la percezione dello schemametrico tipico del Valzer di Cajkovskij è stata abba-stanza intuitiva e ha subito guidato il movimentodondolante di alcuni elementi della scena (sole, nuvo-lette, arcobaleno) e soprattutto dei due protagonistiche, come danzando, si incontravano in corrispon-denza dell’inizio di ogni semifrase. Non è stato, quin-di, necessario proporre altre attività come invece èsuccesso per la musica della prima scena: Il Mattino.Qui la segmentazione melodica, legata in particolarealla ripetizione della prima frase con strumenti sem-pre diversi, ha guidato la progressiva costruzione delpaese formato da cinque palazzi.

La sagoma di ognuno di essi doveva iniziare a muo-versi nel raggio della fonte luminosa all’inizio di ognifrase e apparire perfettamente a fuoco, quindi appog-

giata sul telo, in corrispondenza della fine. Sulla sestafrase, più forte rispetto alle precedenti, sarebbe inter-venuto il coro parlato dando il via allo spettacolo.

Ricco di partecipazione e interesse è stato anche illavoro di incastro sulla parte iniziale del preludio delMacbeth in quanto, se l’apparizione in sequenza deivari personaggi paurosi, coincidendo con i forte im-provvisi è stata abbastanza semplice da realizzare, piùcomplesso era l’atto recitativo che doveva iniziare su-bito dopo i momenti di sospensione melodica e coin-cidere perfettamente con la durata delle pause. Inizial-mente aiutati dalla mia direzione gestuale (indicativadegli attacchi, del timbro vocale da adottare e dellavelocità dell’eloquio), gli alunni sono diventati auto-nomi in breve tempo riuscendo a “pensare” i vari mo-vimenti e facendoli iniziare al momento giusto.

Il lavoro di costruzione della colonna sonora è sta-to contemporaneo ad altri momenti significativi du-rante i quali, in compresenza con l’insegnante di lin-gua italiana e utilizzando gli spunti descrittivi del te-sto, sono state realizzate due filastrocche (una in me-tro binario e una in metro ternario) e quattro parodiesu musiche note ai bambini. Queste, insieme agli altrioggetti sonori (musiche ed effetti sonori), hanno mar-cato tutti punti chiave della narrazione, cioè le scenepiù importanti, divenendo a tutti gli effetti ausili perrappresentarsi mentalmente il tempo in cui si svolge-va la storia.

La recitazione, il canto, gli effetti sonori

Un tempo abbastanza lungo, due mesi circa, sono sta-ti impiegati per migliorare l’uso della voce, per speri-mentare effetti sonori adeguati ad alcune situazioniespressive, per apprendere il repertorio cantato e reci-tato. Successivamente si sono concatenate le varieparti, organizzando gli intrecci tra recitazione e sfon-do sonoro, laddove questo era presente, e coordinan-do i passaggi tra parti recitate, cantate ed effetti so-nori da eseguire senza incertezze.

Data la necessità degli alunni di spostarsi tra un at-to e l’altro e la difficoltà di dovere gestire gli strumen-ti musicali senza creare confusione, i mezzi espressiviutilizzati sono stati il corpo e soprattutto la voce.

La sperimentazione delle potenzialità della voceparlata è iniziata subito. Sin dal primo appuntamen-to, per gran parte dedicato alla conoscenza reciprocae anche in seguito, ritagliando in ogni incontro unquarto d’ora prezioso e molto gradito a tutti i parte-cipanti, il gruppo è stato coinvolto in attività di im-provvisazione mirate all’acquisizione di una consape-volezza sempre più fine di come le componenti sono-re del materiale verbale possano essere modificatecon una gestione diversa del respiro e delle risonanzecorporee.

A tal fine ci siamo concentrati su alcune situazioniabbinate per contrasto che avevo estrapolato dal re-sto: il formidabile tuono e la musica delle api, il ru-more delle uova che si schiudono e lo spuntare dellaluna nella campagna muta, la buia tana del signore

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della notte e la riunione dei passeri, il disperdersi nelvento delle piume degli uccelli scomparsi e il ritornodella primavera.

Nelle proposte degli alunni hanno inizialmenteprevalso le onomatopee e, in genere, i luoghi comuniper cui le uova che si rompono fanno crac e il tuonofa bum. Mi sono allora posta il problema di guidareil passaggio «dall’imitazione alla stilizzazione» di cuiparla Mario Baroni (Baroni 1997).

Non ho eliminato nulla, ma ho chiesto di realizza-re tutti insieme i suoni proposti concentrandoci mol-to nell’ascolto per capire se fossero veramente rap-presentativi della situazione che ci interessava.

È quindi ripartito il gioco simbolico, abbastanzaspesso propedeutico a una vera e propria attivitàespressiva legata all’iniziativa degli stessi alunni che, adesempio, ha portato a modificare il secco crac delle uo-va in un cric pronunciato in una progressiva costruzio-ne della parola (c c cc, cr, cr, criii, cric!!) con la presen-za di pause e una grande attenzione, pur nel piano, al-la dinamica dei suoni. Per realizzarne un’esecuzionecollettiva, ma precisa negli attacchi e nelle chiuse, sonostati gli stessi alunni a richiedere l’intervento di un di-rettore poi scelto tra i bambini del gruppo.

In altre occasioni, quando il dibattito non riuscivaad ampliare le proposte iniziali, ho ritenuto opportu-no intervenire per arricchire le varie sonorità facendosperimentare variazioni dinamiche o agogiche o an-che particolari effetti come respiri sonorizzati, cori abocca chiusa, vibrati, borbottii ecc., oppure inseren-do delle regole di esecuzione che gestissero i vari in-terventi: cori alterni, entrate sfalsate e processi di ac-cumulazione o diminuzione.

Rispetto alla recitazione, a ogni alunno è statochiesto di memorizzare la propria frase, quella prece-dente e la successiva (per riparare a possibili assenze)e di saperle recitare in modo espressivo modificandoin modo personale o altrimenti su suggerimento del-l’insegnante, vari parametri: timbro, intensità, velo-cità, registro. L’apprendimento dei cori parlati, indi-spensabili per realizzare una recitazione collettiva, èstato tutto basato sull’imitazione a eco di mie propo-ste e ha richiesto tempi veramente brevi in quanto no-tevolmente facilitato dalle strutture ritmiche e dallerime presenti nei testi.

L’unico strumento musicale che abbiamo utilizza-to è stata una tastiera, con cui ho accompagnato l’e-secuzione dei canti, appresi per imitazione.

In un primo tempo recitazione, canto e movimentodelle sagome sono stati provati separatamente, ma èdiventato presto indispensabile unire alle prove sepa-rate la prova dello spettacolo nella sua forma finale, inmodo da curare anche la sincronizzazione generale.

Organizzazione dello spazio

Grande cura è stata dedicata anche all’organizzazio-ne dello spazio.

La sala in cui realizzare il nostro spettacolo con leombre avrebbe dovuto essere oscurabile e sufficiente-

mente ampia da permettere anche ai genitori di assi-stere allo spettacolo. In più doveva essere attrezzatacon un telaio rettangolare su cui fissare un telo bian-co che doveva avere una certa tensione per far risal-tare bene contorni e colori di ogni sagoma. Questo te-lo ha avuto un ruolo centrale nell’organizzazione del-l’evento, non soltanto perché vi venivano proiettate leombre, ma anche perché ha aiutato i bambini a deli-mitare in modo chiaro e rassicurante i tempi e gli spa-zi dell’esperienza. La collocazione davanti o dietro altelo ha comportato una chiara indicazione di ruoloche ha aiutato a realizzare e strutturare i ritmi internialla drammatizzazione.

Alternandosi nei due atti, gli alunni davanti, sedu-ti ai lati del telo in due righe parallele, curavano laparte sonora (recitata e cantata), mentre gli alunnidietro si occupavano di far apparire e muovere le sa-gome sincronizzandosi con attenzione con la musicao con ciò che veniva detto o cantato.

Per sostenere la rappresentazione e la memorizza-zione, nostra e degli alunni, dei vari eventi espressivili abbiamo “scritti” in una partitura informale e mol-to colorata che è stata determinante per chiarire a tut-ti, grandi e piccoli, la struttura narrativa.

Ripetuto due volte per consentire la partecipazio-ne di tutti i genitori, nonni e zii, lo spettacolo è statoun importante momento di verifica sia per noi inse-gnanti che per i bambini che, dopo tanto impegno,hanno vissuto con piacere l’emozione di mostrare ilrisultato del loro lavoro e hanno ricevuto i meritatiapplausi.

Bibliografia BARONI M., 1997, Suoni e significati, Edt, Torino. BONNINO-REFFIEUNA, 1999, Psicologia dello sviluppo e

scuola elementare, Giunti, Firenze.CAPPELLI F., TOSTO I.M., 1993, Geometrie vocali, Ricordi,

Milano.CESA BIANCHI-BREGANI, 1980, Psicologia generale e del-

l’età evolutiva, La Scuola, Brescia.DELALANDE F., 1993, Le condotte musicali, Clueb, Bologna. DELALANDE F., 1984, La musica è un gioco da bambini,

Franco Angeli, Milano.FERRARI F., 2002, Giochi d’ascolto, Franco Angeli, Milano. LODI M., 1972, Cipì, Einaudi Ragazzi, Torino.PIAGET J., 1966, La rappresentazione del mondo nel fanciul-

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studi di psicologia, Einaudi, Torino (ed. orig. 1964).PIAGET J., 1972, La formazione del simbolo nel bambino, La

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La Polska di Dalarna viene qui presentata come unalongdans, in realtà si tratta di una danza di coppia for-mata da figure abbastanza complesse e articolate,eseguita tuttora in Svezia in occasione di feste popola-ri o anche in concorsi di danza.Proposta di movimento. Si esegue la camminata curan-do la scansione ritmica ternaria (in pratica il passo divalzer), quindi si propone la seconda figura e succes-sivamente la prima. Si dividono gli alunni in tre gruppi,a ognuno viene assegnata una della prime tre figuredella danza, a un segnale parte il primo gruppo con laprima figura, a un altro segnale il secondo gruppo ecosì via. Successivamente si possono far lavorare an-che due gruppi assieme o tutti e tre con entrate so-vrapposte.

Consigli per la danza: a volte il contatto stretto dellebraccia può risultare difficile per i ragazzi, si può parti-re tranquillamente con una presa a V.Proposta di gesti suono e strumentale. Questo branopresenta la tipica difficoltà di un tempo composto: l’e-satta suddivisione delle figure all’interno della pulsazio-ne. Può essere utile soffermarsi su qualche aspetto teo-rico, approfondendolo con degli ascolti: da una qualsia-si barcarola – popolare o colta – fino alla Guerra di Pie-ro di De Andrè, passando per Love me tender di ElvisPresley. Ma certamente più coinvolgente può esseregiocare con i gesti suono sulle diverse combinazioni disemiminime e crome in un tempo composto. Prenden-do spunto dalle melodie, si possono tenere le cellule rit-miche presenti nella Polska, come ostinati da eseguire

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la Polska di Dalarna[SVEZIA]

EMANUELA PERLINI – DAVIDE ZAMBELLI

Il materiale graficodi queste pagine(in formato pdf)

e la realizzazione,con strumentazione sintetica,

della partitura(in formato midi)

si possono scaricaredalle pagine Web della Siem:

www.siem-online.it

Posizione di partenza: cerchio aperto,presa delle mani con avambracci vicini

e gomito piegato, direzione oraria,guida il capofila che ha la sinistra libera.

Introduzione: 8 misure

Prima figura: appoggio su sinistro dietro, pausa, ap-poggio su destro davanti, avendo cura di far sempreavanzare il cerchio aperto in direzione oraria.

Seconda figura: passo composto verso l’esterno consx, dx, sx (una misura) e uno verso l’interno con dx, sx,dx (una misura) da alternare muovendo il cerchioaperto sempre verso sinistra.

Terza figura: passeggiata formando una spirale, quan-do il capofila è quasi al centro ripropone la seconda fi-gura; quando la spirale diventa molto stretta si ritornaalla prima figura per ottenere l’effetto di una chiocciolache ondeggia lentamente e ritmicamente.

Quarta figura: il capofila passa sotto il ponte formatodai ballerini della spirale, seguito da tutti per formareuna farandola; una volta svolta tutta la chiocciola il ca-pofila forma un ponte con il secondo per far passaretutta la fila.

Si riprende dalla prima figura.

[le figure hanno una durata libera]

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uno di seguito all’altro, oppure –certamente più interessante dalpunto di vista del risultato musi-cale – costruendo una sovrap-posizione via via più complessa.Riportiamo a fianco alcuniesempi di materiale di lavoro.Un passo ulteriore può essereun’esperienza d’improvvisazio-ne ritmica, magari sulla basedegli ostinati delle piastre o susemplici gesti suono.

Proposta esecutiva. La struttura musicale è articolatanelle due sezioni A e B, sempre ritornellate, ripetute persei volte con un progressivo aumento di densità sonora.

Primo A: melodia 1; primo B: melodia 1 con basso delpianoforte.Secondo A e B: melodia 1 e 2, con piastre basso e bas-so del pianoforte.Terzo A e B: tutti, senza melodia 3 e glockenspiel.Quarto A e B: tutti, senza melodia 3.Quinto A e B: solo le tre melodie.Sesto A e B: tutti.Lo schema degli ingressi delle parti può essere variatoper non diventare troppo meccanico; ad esempio sipuò far entrare nel primo B il basso del pianoforte solonel ritornello, o anticipare la melodia 3 durante il ritor-nello di B nella quarta ripetizione.Non sono previsti accompagnamenti ritmici, che co-munque sono lasciati alla sensibilità dell’insegnante.

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Ritengo che in una corretta impostazione metodolo-gica nel campo della didattica musicale di base, risul-ti impossibile considerare in modo separato l’attivitàd’ascolto e quella di produzione.

La ragione risiede nel fatto che esiste una recipro-ca specularità tra le due attività. Infatti nelle espe-rienze di produzione c’è una componente fruitiva,passiva, che prepara all’esecuzione e all’invenzionesuccessiva. Analogamente le attività definite comeascolto, non hanno solo una componente fruitiva, maattraverso attività d’interpretazione motoria, narrati-va, strumentale e grafico-pittorica, consentono l’inte-riorizzazione delle strutture formali e compositivedella musica. Si può quindi considerare compiuto unpercorso di apprendimento quando i bambini sono ingrado di integrare liberamente il momento d’ascoltocon quello produttivo e viceversa.

In queste pagine vengono presentate alcune esem-plificazioni didattiche che, adottando il principio me-todologico della reciproca integrazione tra produzio-ne e ascolto, intendono proporre spunti di creativitàfinalizzati alla costruzione di brani musicali. I conte-nuti della proposta fanno inizialmente riferimento aquelle strutture primarie della percezione che, emer-gendo dal vissuto, si presentano concretamente sottoforma di contrasti, vere e proprie coppie oppositive.1

In particolare viene indagata la relazione primariasuono/silenzio: «Ciò che il bambino piccolo percepi-sce, ignaro della concezione misurata del tempo, èl’assenza o la presenza di un dato oggetto o di unapersona conosciuta. Il bambino esperisce prima ditutto un contrasto. Prendendo le mosse da questa os-servazione, si può affermare che la prima condizionesonora percepita dal bambino è l’assenza del suono ola sua presenza» (Bottero, Carbone 2003, p. 33).

La coppia suono/silenzio come la relazione figu-ra/sfondo, «è il prodotto di una rete di abitudini cul-turali e percettive, in cui l’esperienza tende a essereorganizzata secondo linee prospettiche che compren-dono un primo piano, uno sfondo e un lontano oriz-zonte» (Schafer 1985, p. 213).

Nel libro Filosofia della musica di Giovanni Pianaho trovato la descrizione di un pensiero che, a partire

dallo studio delle possibilità dell’esperienza musicale,propone una riflessione di ampio respiro sulle questio-ni che stanno alla radice del fenomeno musicale nel suocomplesso. Il testo, muovendosi spesso ai margini delmusicale e richiamando di continuo un terreno che staprima dei linguaggi della musica, si articola come unagrande fenomenologia dell’esperienza musicale, un’e-stetica trascendentale del suono che prende in esameMateria, Spazio, Tempo e Simbolo (Piana 1996, p. 65).

Affascinato da questa lettura, ho deciso di provarea pensare alcune attività didattiche a partire dalle sug-gestioni emerse dai temi esposti nel volume. Il lavorodidattico si articola in due parti: dopo una serie di at-tività di esplorazione finalizzate allo sviluppo dell’e-sperienza percettiva, segue una fase in cui, lavorandosu un piano più razionale e utilizzando alcuni elemen-tari principi costruttivi come il contrasto, l’accumula-zione, la figura/sfondo, si riorganizza il materiale conl’intento di produrre brani musicali dotati di senso.

Perché questi principi costruttivi potessero esserecolti in modo più significativo e concreto, ho pensatodi sostenere l’esperienza abbinando ai momenti diproduzione, esperienze di ascolto di autori contem-poranei. La scelta di proporre musica del Novecentoè dettata dal fatto che, per la varietà e ricchezzaespressiva che la caratterizza, per i modi con cui mo-della la materia sonora, per il tipo di scrittura, per-mette di visualizzare con più immediatezza i vari pro-cedimenti costruttivi.

Il silenzio e il suono

Osservando un foglio bianco si rimane in completosilenzio per 10 secondi. Dopo questo lasso di tempo,tracciamo sul foglio una linea con un pennarello. Ibambini accompagnano il gesto grafico con un suonodella voce. Quindi ritorna il silenzio. Durata com-plessiva 15-20 secondi circa. L’attività viene registra-ta e riascoltata.

Per introdurre il tema del rapporto tra suono e si-lenzio, Giovanni Piana si è servito di una semplice ana-logia visiva, nella quale il silenzio viene prospettatocome una superficie perfettamente omogenea e conti-nua che viene improvvisamente «macchiata», «lacera-ta» dall’apparire del suono (Piana 1996, p. 66). Ascol-tando il frammento iniziale del brano Muro d’orizzon-te di Salvatore Sciarrino, osserviamo come il suono

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ve Percorsi compositivinell’educazione musicale di base

Il rapporto fra il suono e i diversi tipi di silenzioè al centro di un’interessante esperienzainterdisciplinare che prevede percorsi creativinei quali l’ascolto e l’invenzione si integranoreciprocamente.

ALESSANDRO PADOVANI

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“sferzante” di un flauto giunge improvviso a rompereil silenzio iniziale. Il flauto, nei suoi ripetuti interventi,sembra proiettare, proprio come nella descrizione diGiovanni Piana, l’immagine di una macchia, un taglioche lacera una superficie uniforme e omogenea.

La dimensione del silenzio come totale assenza disuono, è una concezione che richiama inevitabilmen-te l’idea del nulla totale, del silenzio profondo. Maesiste un altro aspetto del silenzio: esso può essereconcepito come una sorta di tessitura sonora, di unatrama di piccoli suoni, di un brulichio e un mormoriolontano. È questo il silenzio mormorante (Piana1996, p. 66). Al silenzio vuoto e passivo si contrap-pone quindi un’altra dimensione nella quale il silen-zio è visto come realtà vivente (Piana 1996, p. 67).

Il silenzio mormorante

Il foglio bianco, dopo essere stato leggermente stro-picciato, si ripresenta alla nostra osservazione nonpiù perfettamente omogeneo e liscio, ma pieno di im-purità e increspature.

Il gruppo commenta vocalmente le discontinuitàdel foglio, producendo con la bocca una sorta di tra-ma sonora che si percepisce come un mormorio disfondo. Per ottenere questo effetto, la bocca si muovesenza emettere parole; il suono che si sente è dovutoal movimento della lingua, delle labbra e del palato.2

La ricerca sonora può essere facilitata richiamandoalla mente immagini che stimolino l’articolazione del-la lingua e della bocca. Ciò può avvenire pensando asituazioni come il salto, il colpo, il rimbalzo, oppureimmaginando vibrazioni, ronzii, attriti e fruscii.

Per tentare di cogliere la relazione che intercorretra un silenzio mormorante e un silenzio assoluto sipossono alternare alla fitta trama di suoni momentidi totale silenzio dovuti alla completa interruzionedell’attività con la bocca.

L’esperienza viene registrata e durante il riascoltopuò essere utile formulare al gruppo alcune doman-de. Per esempio: si percepisce la differenza tra il silen-zio assoluto (profondo) e il silenzio mormorante?Questo silenzio composto da una fitta trama di suoniappena udibile è percepito come un silenzio attivo incui qualcosa si muove? A quali immagini e sensazionirimanda la trama sonora ottenuta dal suono con lebocche?

Suoni in rilievo

Il fatto che il nostro foglio sia stropicciato, non impe-disce in realtà la possibilità di cogliere disegni chevengono tracciati su di esso (figura 1).

Si parte dunque da una condizione di silenziomormorante. Da questo brulichio timbricamenteuniforme, emergono a turno voci soliste che presen-tano brevissimi improvvisazioni con la voce o con glistrumenti. Il compito del solista è quello di portare inprimo piano il suono della sua voce che fino a un at-timo prima era mescolata nella massa. Il solista sce-glie un proprio criterio improvvisativo evidenziandogli elementi acustici da mettere in rilievo. Attraversol’adozione dei vari parametri sonori, egli “proietterà”immagini di figure stilizzate, lineari, rotonde o sinu-soidali.3

Nel riascoltare la registrazione del brano, si poneparticolare attenzione ai modi coi quali, in questaesperienza, i suoni indistinti del gruppo si relaziona-no con le figure in rilievo dei solisti. Una delle con-trapposizioni più evidenti è rappresentata dalla pre-senza di una dinamica spaziale che tende ad associarealle voci in primo piano un’idea di vicinanza, richia-mando viceversa il senso del lontano durante il mor-morio del gruppo.4

Nel brano VI Non-senso il compositore GoffredoPetrassi gioca sui due elementi della struttura figu-ra/sfondo. A un coro di voci maschile assegna il com-pito di creare uno fondale che si basa su parole sus-surrate in modo rapidissimo e al canto delle partifemminili il ruolo di primo piano mediante entrate insuccessione.

Silenzio profondo e silenzio mormorante

A questo punto del percorso, tenteremo di cogliere larelazione che intercorre tra i due aspetti del silenziofin qui trattati.

Servendoci ancora dei suggerimenti visivi propostida Giovanni Piana, immaginiamo di trovarci in unteatro e avere dinanzi a noi un fondale che delimita lospazio scenico e sul quale è dipinto un giardino, unpaesaggio o una forma architettonica.

Rispetto a questo fondale, il silenzio mormoranteè come se fosse un secondo fondale sonoro dispostooltre quello visivo. Esso si avverte appena o non siavverte affatto: «Questo secondo fondale, apparen-temente privo di qualunque importanza, realizza in-vece anch’esso, come il fondale visivo, una delimita-zione della scena che è essenziale per conferire a essala sua vitalità interna. Proprio in forza di questo re-moto avvolgimento sonoro ciò che accade sulla sce-na ci appare vivamente presente. Immaginiamo in-fatti che questo sfondo già lontano venga spinto an-cora più lontano. Allora certamente subentra un ra-dicale mutamento: la scena subisce uno svuotamentoinquietante, una singolare sospensione. Potremo di-re: ora il silenzio è divenuto profondo» (Piana 1996,pp. 66-67).

Sul pavimento si tracciano due linee (figura 2, apagina seguente). Il gruppo si distribuisce lungo la li-nea del silenzio mormorante (Posizione A). Posizio-nata circa due metri dietro la prima, si trova la lineadel silenzio profondo (Posizione B).

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Figura 1: Suoni in rilievo

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Figura 2: Silenzio profondo e silenzio mormorante

Il gruppo, stando nella posizione A, produce conla bocca un mormorio appena percepibile. Ad un’in-dicazione gestuale del direttore, il gruppo cominciaad arretrare e oltrepassa la linea del silenzio profon-do (posizione B). Man mano che indietreggia, il mor-morio si riduce fin a sparire una volta raggiunta la li-nea del silenzio profondo. Da qui potrà ripartirecompiendo il tragitto inverso, sempre seguendo le in-dicazioni del direttore.

Questo lavoro, mettendo in rilievo la relazioneesistente tra i due aspetti del silenzio, reintroducenuovamente il tema della spazialità. L’intervallo cheintercorre tra il silenzio mormorante e il silenzioprofondo può essere considerato percettivamente co-me qualcosa di analogo alla distanza spaziale tra dueoggetti. Ma che cosa succede quando il silenzio mor-morante anziché allontanarsi da noi, si avvicina?

Il suono occlusivo

Il gruppo, disposto sulla linea del silenzio mormoran-te, produce con la bocca o con il corpo la solita tramadi piccoli suoni appena percepibili. A un’indicazionegestuale del direttore, il gruppo comincia ad avanza-re aumentando gradualmente l’intensità sonora. Ilcrescendo d’intensità trasforma quello che era il mor-morio lontano in un suono forte e oppressivo che ap-pare come una vera e propria occlusione dell’orizzon-te entro cui non si riconoscono più i suoni.

L’attività evidenzia come il suono che si fa troppopresente, che oltrepassa la soglia della consapevolez-za, finisca per assumere quel carattere di occlusivapienezza che impedisce la chiarezza e la distinzioneattraverso cui i suoni stessi possono prendere rilievo.

Un bell’esempio viene dal brano Gruppen per 3orchestre di Karlheinz Stockhausen. In questo lavoroè possibile osservare il lento ma progressivo trasfor-marsi della materia sonora che, aggregandosi e com-binandosi secondo continui processi d’accumulazio-ne, giunge a uno stadio di massima forza e turbolen-za per poi esplodere. Chi ascolta ha l’impressione diessere investito da un vero e proprio uragano (Sciar-rino 1998, pp. 28-29).

Lo sfondo sonoro e le figure

Occupiamoci ora del fondale che delimita lo spazioscenico su cui, come si diceva, sono dipinti dei pae-

saggi o delle forme. Questo fondale, che sta davantial silenzio mormorante, rappresenta il vero e propriosfondo sonoro che viene chiaramente percepito. Al-l’effetto di sfondo spetta il compito di ambientare lascena nel suo complesso.

Un modo molto efficace e divertente per produr-re una fitta trama di suoni percepibili come sfondo,è rappresentato dall’utilizzo di fogli di carta. Tutti icomponenti del gruppo sono fermi immobili con unfoglio di giornale in mano. Al via dell’insegnante ifogli vengono scossi lievemente attraverso una velo-ce oscillazione della mano. Dopo qualche secondoritorna il silenzio. Al fine di ottenere un effetto tim-bricamente omogeneo, sarà opportuno mantenerepiù regolare e uniforme possibile l’oscillazione deifogli.

Su questo sfondo si stagliano ora delle figure bendelineate. Esse, rimanendo fedeli all’analogia teatralefin qui utilizzata, rappresentano dei personaggi che,entrando in scena, occupano una posizione di primopiano posta direttamente dinanzi al pubblico.

Le figure possono essere costituite da un motivomolto breve ma anche da una singola nota che abbiadelle qualità particolarmente interessanti. Il caratte-re distintivo può essere determinato dall’attacco ed’estinzione, dai cambiamenti dinamici e di velocità,dal timbro, dalla durata e dall’articolazione. Adesempio: un colpo percuote un tasto del metallofo-no. Prima che il suono si esaurisca, la nota viene ri-presa e ribattuta in un crescendo frenetico di alcunisecondi:

Anche se è possibile produrre delle idee interes-santi utilizzando una sola nota, quando ne aggiungia-mo una seconda si aprono molte più possibilità.

L’esecutore A potrebbe dunque proporre un inter-vallo a piacere ascendente o discendente. L’esecutoreB risponde suonando lo stesso intervallo per motocontrario, utilizzando però una figurazione ritmica euno strumento diverso.

O ancora: se si alternano velocemente due note(Paynter 1996, p. 86) si ottengono motivi brillanti econ una forte spinta progressiva:

Progetti compositivi

Dopo aver raccolto diverso materiale, frutto diun’esplorazione che ha portato alla luce alcuni possi-bili campi sonori riguardanti strutture generali dell’e-sperienza percettiva, si passa a comporre.

In questa fase è importante che i ragazzi, prima dipensare all’architettura del brano, si cimentino (ma-gari dividendosi in piccoli gruppi) nella realizzazione

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Silenzio profondo Silenzio mormorantePosizione B Posizione A

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di sequenze nelle quali si rendano nuovamente perce-pibili le sonorità, gli impasti e le mescolanze sonoreconservate nella memoria dalle attività precedenti.Poi si tratta di mettersi d’accordo sul piano da segui-re. Si dovrà scegliere come iniziare e come finire, tro-vare un modo per creare i collegamenti fra le parti,decidere quali strumenti utilizzare. Per mettersi d’ac-cordo e ricordare, la cosa migliore è quella di realiz-zare uno schema, una partitura nella quale indicare leentrate, le durate e gli strumenti.

A questo punto viene l’interpretazione. Dopo averassegnato ai ragazzi gli strumenti con le relative partidel brano, si procede alla prima esecuzione che vieneregistrata e successivamente analizzata. Durante ilriascolto, si commenta insieme il brano e vengonotrascritte sulla partitura le eventuali modifiche. Lecorrezioni possono riguardare la struttura generaledel brano, i collegamenti tra le parti, la durata diqualche silenzio, eventuali cambiamenti di sonoritàe/o intensità. A questa prima versione ne seguirannoaltre che porteranno, attraverso un processo di ap-prossimazione, al raggiungimento di quella che verràgiudicata essere la più soddisfacente.

A titolo esemplificativo propongo due progetticompositivi che ho avuto modo di sperimentare conbambini di età compresa fra otto e dieci anni. Va sot-tolineato che questi progetti sono da intendersi comeproposte aperte che si pongono, con i loro molteplicisviluppi e collegamenti, come punto di partenza perl’organizzazione di attività d’insieme rivolte a ragazzianche più grandi.

Progetto compositivo 1: Turbine

Tutti gli esecutori sono invitati a trovare un modo di produr-re, con la voce o con uno strumento a percussione, suoni dibrevissima durata. Un direttore indica ai bambini quando en-trare e, mediante un codice gestuale prestabilito, li guida viavia che la struttura musicale prende forma.Si parte da una situazione iniziale di silenzio assoluto. Poi po-chi suoni isolati vanno aggregandosi e i gruppi si uniscono emoltiplicano fra loro. Lo spazio si riempie man mano arrivan-do infine a formare un unico suono gigantesco. Un colpo im-provviso di piatto o tamburo interrompe il processo.L’obiettivo è quello di sperimentare il passaggio da una situa-zione iniziale silenziosa e rarefatta a una situazione finale den-sa e satura (come nell’attività Il suono occlusivo). Per far que-sto adottiamo il principio del processo d’accumulazione. Essorappresenta appunto un procedimento costruttivo nel quale auno strato sonoro se ne aggiungono altri in modo da operareun progressivo incremento caotico ed eterogeneo dello spesso-re sonoro (Sciarrino 1998, p. 27).Lo spazio, dilatandosi, crea una tensione crescente. Percettiva-mente si ha l’impressione che l’incremento d’intensità influiscaanche sul tempo. Infatti la sensazione che ne ricaviamo è quel-la di un progressivo accelerando.

Progetto compositivo 2: Figure in trasparenza

Un gruppo si occupa di creare delle brevi figure dal carattereincisivo e fortemente distintivo.Come per l’attività Figure, ogni componente di questo primogruppo sceglie uno o due suoni qualsiasi e gli attribuisce una

caratteristica facilmente riconoscibile: durata, articolazione,timbro, intensità, modalità d’attacco e d’estinzione.Un secondo gruppo, utilizzando piatti oscillanti di varia gran-dezza, predispone uno sfondo sonoro sul quale andranno astagliarsi le varie figure. I piatti suonano in modo continuo eomogeneo cercando di evitare buchi o interruzioni. Per farquesto è necessario suonare in modo piano e con battiti rapidie regolari l’estremità del piatto. L’effetto che viene a crearsi èuna fascia di suono uniforme e sottile, un largo respiro timbri-co dalle sorprendenti potenzialità seduttive. Il brano inizia con un silenzio rotto dopo pochi secondi da unsuono (una delle figure del primo gruppo). Ritorna per qualche istante un silenzio assoluto.I piatti oscillanti, entrando uno dopo l’altro, iniziano a predi-sporre un fondale rappresentato da una fascia uniforme disuono. Su questo fondale si stagliano le varie figure del primo gruppo.Gli ingressi sono liberi.Ultimati tutti gli ingressi rimane per qualche secondo il suonodei piatti.Pochi istanti di assoluto silenzio preparano l’accordo finaledato dall’esecuzione simultanea delle varie figure.Il finale a sorpresa propone un forte e incisivo accordo disso-nante. Su indicazione di un direttore, tutti i componenti delprimo gruppo suonano contemporaneamente in un singolo ge-sto la propria figura. Il risultato è una combinazione di suoniche crea un’idea musicale completa e che ben si adegua comechiusura del brano.

Note1 Il termine coppie oppositive e primarie viene utilizzato in am-bito pedagogico musicale nel recente volume di E. Bottero, A.Padovani, 2000. Il punto di riferimento sono gli studi di A. La-pierre, B. Aucouturier, 1981.2 Per un approfondimento delle modalità espressive del parla-to, cfr. S. Korn, 1989-1992.3 Interessanti esempi di attività improvvisative con la voce so-no proposte in Cappelli, Tosto 1993.4 Esistono naturalmente molti altri modi di rappresentare unsilenzio mormorante. In questa fase del lavoro è importantededicare molto tempo all’esplorazione di materiali sonori frut-to delle intuizioni dei bambini.

BibliografiaADDESSI A. R. (a cura di), 2000, La metamorfosi del suono,

idee per la didattica, Quaderni della Siem, Edt, Torino.BOTTERO E., PADOVANI A., 2000, Pedagogia della musica.

Orientamenti e proposte didattiche per la formazione di ba-se, Guerini Studio, Milano.

BOTTERO E., CARBONE I., 2003, Musica e creatività. Ladidattica di Giordano Bianchi, Franco Angeli, Milano.

CAPPELLI F., TOSTO I. M., 1993, Geometrie vocali. Giochidi improvvisazione tra musica, immagine e poesia, Ricordi,Milano.

LAPIERRE A., AUCOUTURIER B., 1981, I contrasti e la sco-perta delle nozioni fondamentali, Sperling & Kupfer, Milano.

KORN S., 1989-1992, L’uso della voce e l’educazione dell’o-recchio musicale, volumi 1-6, Amadeus, Verona.

PAYNTER J., 1996, Suono e struttura. Creatività e composi-zione musicale nei percorsi educativi. Edt, Torino.

PIANA G., 1996, Filosofia della musica, Guerini e Ass., Milano.SCHAFER R. M., 1985, Il paesaggio sonoro, Ricordi Lim,

Milano.SCIARRINO S., 1998, Le figure della musica da Beethoven a

oggi, Ricordi, Milano.

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È possibile, nella scuola primaria, fare, insegnare e ap-prendere la musica nello stesso modo ricco, vivo e at-tivo con cui si affrontano le altre discipline? È possibi-le, per insegnanti non musicisti ma chiamati a insegna-re la musica senza ingenti competenze specifiche, at-tingere al patrimonio comunemente posseduto di co-noscenze didattiche, strumenti e strategie che normal-mente vengono pensati e applicati in ogni processo diinsegnamento? È possibile far sì che anche la musicavenga vissuta come risorsa e momento di crescita, siaper i bambini che per i docenti? Nella mia esperienzadi insegnante di scuola primaria, impegnata anche nel-l’educazione musicale, la risposta è affermativa.

Nelle pagine che seguono viene documentata un’e-sperienza che vuole essere un esempio di come questiprincipi possano concretizzarsi. La proposta descrittaè un segmento del percorso di educazione musicaleprevisto dalla prima alla quinta, e realizzato in unaseconda (nella scuola elementare “Edoardo Mosca”,di Bra), tra novembre e dicembre.

L’obiettivo primario dell’esperienza descritta è losviluppo delle capacità di esplorazione dei parametriqualitativi del suono e del movimento, attraverso atti-vità di ascolto e di produzione considerate inscindibili.

Attorno a questo grande nodo si organizzano tut-te le operazioni concrete, cognitive e di riflessioneche portano a collegare altri obiettivi:• la scoperta delle possibilità espressive, connotative

e comunicative dei diversi tipi di suono; • l’approccio a forme valutative soggettive e oggettive; • l’acquisizione di modi diversi di organizzare suoni

per inventare e raccontare; • il saper partecipare al gioco della trascrizione per

documentare le esperienze. Una logica ben precisa costituisce fondamento e

orientamento all’intero lavoro:1. l’attenzione a porre il bambino, soggetto attivo ecostruttore di conoscenze, al centro di ogni percorso;2. l’applicazione di un metodo sostanzialmente fon-dato sulla ricerca e sul problem solving, con esperien-ze di classe aperte ad attività di ascolto, formulazionedi ipotesi, discussione, sperimentazione e condivisio-ne che, partendo dalla concretezza di un’esperienza

vissuta e comune, sviluppino giochi di analisi, defini-zione e trasformazione dei dati; 3. la considerazione del sapere come un progredirecontinuo e mai definitivo, ove le conoscenze e le com-petenze che poco alla volta il bambino fa sue cresco-no insieme a lui, costituendo un patrimonio comunee condiviso continuamente modellato e ridefinito; 4. l’uso del linguaggio, della discussione e della meta-cognizione come strumenti privilegiati per capire, perriflettere su esperienze, emozioni, percezioni, pensierie immagini, potenziando gli apprendimenti e ricavan-do molteplici informazioni di carattere valutativo; 5. l’idea che la musica partecipi al potenziamento ditutte le operazioni cognitive la cui promozione è unodei principali obiettivi della scuola;6. la progettazione impostata in una sorta di rete fles-sibile di obiettivi interconnessi, orientati per “fili lun-ghi” verso il raggiungimento dei traguardi finali, conun procedere che si realizza poco alla volta, guidatodal ritmo e dalle necessità dei bambini.

L’avvio dell’esperienza

L’obiettivo di questa prima fase di lavoro è consoli-dare la conoscenza dei concetti di piano, forte, acuto(vocina) e grave (vociona), avviata in prima attraver-so giochi vocali; inoltre si vuole sperimentare una pri-ma forma di interpretazione dei suoni lasciando ibambini liberi di esprimere quello che il gioco sugge-rirà loro. L’insegnante in questo modo raccoglie dati

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ve Giochi con la vocenella scuola primaria

Un percorso didattico, attraverso l’uso el’ascolto della voce, affronta le qualitàparametriche del suono facendo scoprirel’espressività di alcune loro combinazioni.

IVANA GIANMOENA

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su come i bambini agiscono e pensano, utili per svi-luppare le fasi successive. Il materiale predisposto è ilseguente: dei cartoncini colorati con i simboli concor-dati con i bambini corrispondenti a piano, forte, gra-ve, acuto, veloce, lento; un cartellone sul quale sonotracciati i “sentieri” lungo i quali agisce la voce, va-riando la durata dei suoni: molto breve in successio-ne rapida, più lunga e spaziata, lunga e ampia.

I bambini sono disposti in cerchio, seduti per terra;l’insegnante è tra loro, in modo da vedere tutti, un re-gistratore raccoglie quanto verrà detto. I cartoncinivengono combinati in gruppi di tre, incrociando le va-riabili in modi diversi (ad esempio: voce acuta, piano,lento), e costituiscono i comandi che la voce deve ese-guire; i bambini e l’insegnante, che fa da modello, pro-vano con la voce le diverse combinazioni possibili; altermine di ogni sequenza sono liberi di esprimersi e dicomunicare scoperte, osservazioni, sensazioni. È que-sto il momento in cui si esplicitano pensieri e perce-zioni, materiale principe sul quale costruire gli ap-prendimenti e lo sviluppo conseguente dell’esperienza.Tutto viene registrato su audio cassetta e annotato suun cartellone: memoria dell’esperienza per i bambini emateriale di lettura valutativa per l’insegnante.

Ecco i punti più significativi della discussione (lasintesi è riportata al termine):Insegnante: Ecco qui vocione, vocina, forte, e piano, sottovo-

ce; sono dei segnali che abbiamo già usato, ve li ricordate?Oltre questi quattro, c’è una L di lento, cosa vorrà dire?

Alcuni bambini: Lento, calmo; lento, non piano!Insegnante: Ad esempio, sapete battere lentamente le mani?

(Eseguono)Ilaria: È come leggere lenti!Insegnante: Ok; poi ho fatto una V, come veloce… (Battono le

mani). Vi chiederei di fare molta attenzione alla differenzatra lento, piano, forte e veloce.

Ilaria: Dici una frase piano, cioè sottovoce.Simone: Lentamente…Molti bambini lo correggono: No, lento vuol dire con calma!Insegnante: Ora lavoriamo con i segnali e con questi percorsi: use-

remo la voce e seguiremo quei sentieri: i segni neri sono i mo-menti in cui usare la voce; se vediamo la strada A, cosa faremo?

Nicolò: Beh, ci sono dei quadretti, poi c’è vuoto, tipo: lì (indi-ca il quadretto) fai il suono, e poi aspetti un po’, poi di nuo-vo e poi aspetti un po’…

Joey: Lì invece i quadretti sono più lunghi…Altri: Allora sarà più lungo, il suono…Francesco: C è lunghissimo, poi ti fermi e poi di nuovo lun-

ghissimoInsegnante: Davanti alle strade, metteremo i segnali per come

usare la voce: dovremo fare attenzione a segnali e stradine!Useremo delle vocali: quale volete per cominciare? (scelgonola A). D’accordo: i primi segnali che useremo saranno voci-na, lento, cioè calmo, e piano; li mettiamo all’inizio dellastrada, va bene? Ora proviamo! (…)

(I bambini eseguono ed esprimono varie idee, riportate nellatabella conclusiva)

Insegnante: Ora cambio un segnale: Forte; rimangono lento evocina, però forte! (Eseguono)

Simone: Ha il singhiozzo! In A!Giulia: C è difficilissima… devi allungare la voce!Sandra: Sembra un violino, quando è lunga!Giulia: Come quello che abbiamo sentito, che fa iiiii (ricorda

un breve ascolto di un Capriccio di Paganini).Andrea: Sembra che gridi.Laura P: Sembra che quando fai B hai il singhiozzo.Insegnante: In B? sei sicura che sia lì? Lo proviamo insieme?

(Esecuzione)

Laura P: No, è meglio A, perché il singhiozzo è corto!Alice: B mi sembra una nevralgia, quando ti fa male o ti pun-

ge qualcosa.Laila: Anche C, un bambino che fa il vaccino e grida…Fiammetta: A me A sembra uno che batte i denti.Nicolò e Giulia: No, quello è più leggero, non va bene! (Altri concordano; provano a battere i denti e sono tutti d’ac-

cordo che il suono è leggero, mentre ora il comando è forte).Giulia: Ma è anche qualcuno che urla perché ha paura ed è vi-

cino!Insegnante: Questa osservazione di Giulia è importante: prima

Carmen aveva detto che qualcuno gridava, e noi facevamola voce piano; ora Giulia dice la stessa cosa e noi usiamo lavoce forte: cosa ne pensate?

Fiammetta: Ma perché prima era lontano e adesso è vicino! Ècome se c’è uno qui, o su quel tetto… se è lontano, la voce sisente piano!

Giulia: È come vedere con gli occhi una cosa… se è lontana ladisegniamo piccola, se è vicina sembra più grande. (…)

Insegnante: Tutto questo vale con la vocina: poi abbiamo fat-to dei cambiamenti, siamo passati dal lento al veloce e dalpiano al forte.

Fiammetta: E adesso facciamo con la vociona?Tutti: Sìììì!Insegnante: Facciamo il cambio dei segnali: Andrea, vuoi cam-

biarli tu? Quali togli? Cosa cambieresti? (Andrea esegue, ma lascia il simbolo vocina: i compagni gli

suggeriscono il segnale giusto). (…)

Dalla lettura della discussione è possibile racco-gliere numerose informazioni. Alcune riguardanoaspetti relazionali e più generali: le capacità dei bam-bini di capire le modalità del lavoro, la capacità dicorreggersi tra loro e di interagire nel processo dicomprensione; dati sulla qualità esecutiva del gioco,sul rispetto delle regole stabilite, sulla partecipazionee sul gradimento; inoltre, facendo manipolare diretta-mente ai bambini il materiale, è possibile avere un ri-scontro immediato della comprensione dell’esperien-za. Altre informazioni sono più specifiche degli ap-prendimenti musicali e delle modalità di pensiero:

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VocinaForte Piano

Veloce

Galline che cantano, un’a-quila che grida; il verso diuna scimmia; risate; unviolino che suona veloce;cani che abbaiano; un tre-no che fischia

Un picchio lontano; unarisata; prendere in giroqualcuno; un uccello chefischia; una mamma chechiama da lontano; cosepiccole che cadono

Lento

Un violino; il singhiozzo;qualcuno che grida (pervari motivi) da vicino; unospavento; uno che canta

Qualcuno che grida echiama aiuto, è lontano;uno che sta cantando;uno che ha male

VocionaForte Piano

Veloce

Uno che sta per cadere;risate; uno stregone; ungigante che grida

Un cane arrabbiato, cheha sete, vecchio; un si-gnore che ha male; i pas-si di un gigante; una si-gnora che sbadiglia

Lento

Un gigante arrabbiato;un terremoto; tante per-sone arrabbiate; BabboNatale che ride

Uno che trema; un’e-spressione di compren-sione; uno che sta bene;fare yoga; uno arrabbia-to; la musica all’inizio diuno spettacolo

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• la capacità di leggere l’abbozzo di partitura;• le osservazioni sulle modalità d’uso della voce e

sulle difficoltà corrispondenti;• la possibile confusione tra lento e piano;• interpretazioni che i bambini autocorreggono ri-

provando l’esperienza;• un importante collegamento a un’altra esperienza

di educazione all’immagine, in cui lo stesso dato,la lontananza/vicinanza all’oggetto, viene reso conprocedimenti specifici ma riconoscibili (questo ri-sulta essere un punto non programmato che po-trebbe evolvere nell’uso del mezzo forte o nel cre-scendo e diminuendo);

• il ricordo di altre esperienze di ascolto che diven-tano termini di confronto collettivi;

• l’uso da parte di tutti i bambini di rappresentazio-ni concrete, con riferimento a eventi, fatti, perso-ne, animali e situazioni note e formule linguisticheanalogiche, come sembra, è come.Tutti questi dati permettono di approfondire la

conoscenza dei singoli bambini e di indirizzare l’azio-ne successiva.

Proprio sulla base di quanto scaturito, si fissa ilnuovo obiettivo: ridefinire alcuni punti, in particola-re la differenza tra lento e piano e le coppie di qualitàcontrastanti (i bambini non hanno ancora messo afuoco il fatto che le qualità sonore esplorate siano op-poste fra loro), ponendo attenzione al bisogno di con-cretezza manifestato dai bambini, per sviluppare se-quenze di suoni organizzate.

Il lavoro riprende ripercorrendo i risultati dellavolta precedente: viene letta e discussa la tabella cheriporta le osservazioni fatte; i bambini ricordano l’at-tività e le considerazioni scaturite. Mentre giocano aripetere i suoni con le stesse indicazioni, alcuni nota-no le coppie opposte! In un secondo momento i bam-bini sono invitati a scegliere un personaggio o unevento da ogni tabella: vengono scelti l’aquila per la“vocina” e il gigante arrabbiato per la “vociona”. Sa-ranno gli elementi sonori con cui costruire storie mu-sicali, adottando lo stesso procedimento di discussio-ne, verifica concreta e valutazione dell’esperienza. Sirealizzano allora le fasi seguenti:

a) L’aquila che vola. Con i materiali della voltaprecedente si esegue una sequenza di suoni brevi, acu-ti, forti, veloci; dopo l’esecuzione i bambini discutonosull’effetto ottenuto. Simone: Occorrono suoni piùlunghi, altrimenti non sembra davvero l’aquila; Ni-colò: L’aquila quando vola è calma, anche i suoni de-vono essere più calmi, più lenti; Laura: E poi non gri-da così subito; perché grida?

Emerge con forza il pensiero critico verso il pro-dotto ai fini della narrazione; si coglie l’input per av-viare una storia che i bambini narrano mentre l’inse-gnante appunta su cartellone la frase seguente: l’aqui-la è a caccia, i suoi piccoli sono nel nido; lei torna acasa con la preda, è contenta. Viene messo in eviden-za un aspetto importante: la distanza del personaggiocambia durante la storia. I bambini discutono su co-me realizzare l’idea: in particolare, Alice sostiene cheprima dobbiamo fare la voce piano, perché è lontana,

poi sempre più forte, quando arriva al nido.A questo punto si costruisce la partitura, sceglien-

do per ogni momento della storia i suoni della vocepiù adatti: viene aggiunto un nuovo simbolo per defi-nire la voce dell’aquila quando è più forte dell’inizio(mezzo forte). Si esegue più volte la “storia” accom-pagnandola con i movimenti delle braccia che fannole ali dell’aquila.

b) Il gigante arrabbiato: il procedimento è analogoal precedente. I bambini si fermano a discutere sulperché sia arrabbiato. Noemi: Non può essere arrab-biato di colpo! Giulia: Io dico che prima era calmo;Alice: Dormiva, faceva un sonnellino, era in giardino;Fiammetta: E poi è arrivata una formica: e lui si è sve-gliato e ha gridato, perché ha paura, così fa anche ri-dere! Ilaria: Il gigante non smette mica di respirare,no? Dobbiamo far sentire tutte due le voci; Carmen:Sì, ma come facciamo? Non possiamo fare due voci.

Emerge la contemporaneità dei suoni all’arrivodella formica; si decide di eseguire la storia a gruppi:le bambine sono la formica, i bambini il gigante. Lastoria viene anche mimata (Figura 1).

Lettura delle attività

Quanto realizzato, oltre a essere produttivo e coin-volgente, ha permesso di agire nella direzione pro-grammata; si stanno costruendo diversi concetti: ilmovimento e la durata come connotanti; l’idea disuoni intermedi tra piano e forte; l’importanza divariare i parametri pensati per “raccontare meglio”;la contemporaneità di suoni da eseguire (accenno astrutture compositive); la trascrizione delle espe-rienze su una sorta di partitura. Gli apprendimentisono ancora collettivi, e non è interesse dell’inse-gnante, a questo punto del percorso, verificarli inattività individuali o misurarli in prove più struttu-rate. Quello che conta è la globalità dell’esperienzae il suo porsi come una sorta di piattaforma dallaquale impostare successivi approfondimenti e defi-nizioni più precise.La prosecuzione del percorso prevede infatti l’utilizzodi strumenti sostitutivi della voce, con conseguentianalisi di timbri e di effetti sonori, e soprattutto l’a-scolto, l’analisi e l’interpretazione di frammenti dibrani dai quali emergano in modo considerevole pro-prio le caratteristiche sonore sperimentate finora. Ilgioco del riconoscimento e dell’invenzione attraversoforme musicali più complesse è solo all’inizio, mapromette già di farsi fecondo e felice.

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vociona, piano, un po’ lunga, lento

Arriva la formicavocina, piano, veloce

vociona, forte, veloce

Il gigante

Il gigantegrida:

dorme

Figura 1

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Alcuni spazi del nido e della scuola materna possonoessere trasformati in luoghi speciali per giocare con isuoni. Intervenendo con semplici stratagemmi, l’adultopuò renderli particolarmente funzionali all’esperienzamusicale.

Nella stanza delle granaglie, ad esempio, possiamosperimentare come suonano lenticchie, fagioli, fave, ce-ci, miglio. Procurandoci una serie di vaschette uguali,appoggiate a terra o a un tavolo, usiamo i chicchi perpicchiettarne “a pioggia” le superfici: ogni caduta pro-durrà una macchia sonora diversa a seconda della gran-dezza dei semi, della quantità di materiale utilizzato, del-l’intensità del gesto. I semini possono piovere uno allavolta, delicatamente, producendo sonorità tenui e rare-fatte, ma possono essere gettati a manciate con moltaenergia, sprigionando scrosci fragorosi. Si ottengono al-tri effetti facendoli scivolare lentamente o saltellare conritmo. Adagiando sul fondo delle vaschette pezzi di stof-fa, di alluminio, di spugna, di cartone o di plastica sipossono creare altre sfumature timbriche, da combina-re nei più svariati impasti. I giochi si possono ripeteresollevando i contenitori e amplificando così le sonorità.

Anche con le farine si può fare musica. Facendolescivolare dentro barattoli, scatole o pentolini si possonoscoprire gli effetti morbidi e ovattati di quella bianca, lavoce più appuntita di quella gialla, la granulosità sfrangia-ta della crusca. Possiamo anche provare a setacciarle,scuoterle, farle scorrere dentro un tubo. Per dare corpo aquesti colori tenui e impalpabili, a volte quasi invisibili, èefficace l’utilizzo del microfono che i bambini potrannousare come una lente di ingrandimento sonora. È benealternare momenti di manipolazione collettiva a interven-ti individuali nei quali i bambini avranno la possibilità dimettere in primo piano le loro trovate e le loro scoperte.

Nell’esplorazione libera, a volte, i piccoli trasformanoquesti materiali in personaggi: un seme diventa uncompagno di giochi con il quale dialogare inventandostorie, quasi sempre raccontate a bassa voce, in una di-mensione intima e personale. L’adulto dovrà cercare dicogliere questi momenti magici con molta discrezione,assaporandoli in silenzio e cercando di non interrompe-re il flusso narrativo.

Anche il bagno può diventare una cornice straordi-naria per esperienze sonore emozionanti: si può scopri-re l’acqua nelle sue infinite possibilità timbriche. Riem-piamo i lavandini e usiamo le mani per plasmare questomateriale affascinante: i bambini inventeranno tantissi-mi gesti sonori come agitare, battere, schiaffeggiare,picchiettare con le dita, gocciolare. Le esplorazioni ac-quatiche possono continuare con l’utilizzo di semplici

oggetti: cucchiai per mescolare e percuotere, cannuccee tubi per gorgogliare, piccoli contenitori e bottiglietteper travasare, colini e bicchieri di plastica forati percreare fontanelle zampillanti. Se ci procuriamo unaschiumarola e la appoggiamo sul pelo dell’acqua e conuna cannuccia soffiamo sui fori, si produrranno sonoritàsorprendenti! Si potranno fare altre scoperte immergen-do nell’acqua, e contemporaneamente percuotendo,oggetti di metallo di vario tipo, compresi strumenti cometriangoli e piatti: le vibrazioni, a contatto con il liquido, sismorzeranno e creeranno effetti glissati molto interes-santi. E ancora, l’acqua dentro una bacinella può tra-sformarsi in uno stagno dentro al quale tuffare sassolini,palline, tappi di sughero: per ogni materiale un tonfo di-verso da combinare in sequenze ritmiche e melodiche.Per queste attività sarà necessario un abbigliamento aprova di pioggia, come piccoli impermeabili o sacchettidi plastica trasformati in mantelle; i bambini dovrannosentirsi liberi di pasticciare fino a schizzarsi con allegria.

Altre possibilità sonore ci offre l’angolo dei travesti-menti: possiamo arricchire il guardaroba con cappelli,guanti, calzini, scarpe, giacche e gilet sonanti, ornandoquesti indumenti con coperchietti, campanelli, bottoni,perline e gusci di noce, trasformandoli così in veri e pro-pri strumenti musicali a scuotimento. I bambini potran-no esplorarli con le mani ma soprattutto li indosseranno,cercando con i movimenti del corpo di lasciare traccesonore. Le loro piccole danze improvvisate ricorderannorituali primitivi, giullarate medievali, spettacoli circensi eperformance di teatro di strada.

L’angolo morbido è un ambiente ideale per esserearredato con piccoli oggetti pendenti: grappoli di chia-vi o di anelli da tenda, catenine, cucchiaini, perle, maanche materiali naturali come pezzetti di bambù, con-chiglie, noccioline, semi di zucca, foglie. Questi sem-plici arredi-sonagliera, dalle sonorità tintinnanti e im-prevedibili, saranno particolarmente efficaci per i piùpiccoli perché non necessitano di un controllo motoriopreciso: i loro gesti casuali provocheranno sorprese so-nore sempre gratificanti.

Nell’angolo della narrazione l’educatrice può arricchi-re il suo repertorio con storie a tema musicale e propor-ne la sonorizzazione con onomatopee vocali, oggetti estrumenti. Vi si potrebbe attrezzare anche uno scaffalecon libri sonori interattivi, usabili dai bambini autonoma-mente. (cfr. “Pagine di suono” in Musica Domani n. 128e “Mare, rane, pesci, erba” in Musica Domani n. 131).

Ancora: nella stanza del sonno il rituale della prepa-razione per la nanna potrebbe essere cadenzato dall’a-scolto di carillon e di lanterne magiche sonore.

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ARIANNA SEDIOLI

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Music: A Very Short Introduction. È il titolo lapidarioe rassicurante di un piccolo caso editoriale internazio-nale.1 Apparso in formato tascabile nel 1998, in menodi due anni ha venduto oltre dodicimila copie, e sonoapparse, o sono in preparazione, traduzioni in cinese,coreano, spagnolo, polacco, ebraico, turco e italiano.Nel 2000 la casa editrice ha approntato una seconda epiù estesa edizione, mentre nel 2001 si è organizzatosul caso un apposito forum di discussione con la parte-cipazioni dei nomi più illustri della musicologia inter-nazionale. Autore del manualetto è Nicholas Cook,musicologo inglese che, con tono ironico e affabile, ciparla di musica in modo del tutto insolito. Indicandoforse un modo nuovo di affrontare l’argomento.

La divulgazione (dal latino divulgare, derivato davulgus “volgo”, col prefisso dis-) è una pratica nobilee benemerita (anche se spesso sottostimata) ma, cu-riosamente, sembra vivere in una sorta di terra di nes-suno. Con le dovute eccezioni, talvolta anche moltoautorevoli, coloro i quali se ne occupano vi si dedica-no solo saltuariamente e, in genere, fanno qualcos’al-tro per vivere: giornalista, ricercatore, insegnante, or-ganizzatore ecc. I suoi stessi confini operativi e con-cettuali, per così dire, appaiono sfumati e incerti,oscillanti come sono tra i territori più definiti e prati-cati dell’educazione, dell’animazione e dell’intratteni-mento. Eppure mai come oggi – in una civiltà media-tica globalizzata dove una quantità enorme ed etero-genea di prodotti ed eventi culturali è potenzialmentee in ogni momento accessibile a tutti – la divulgazio-ne culturale svolge un ruolo formativo e sociale cosìdecisivo e importante. Quasi un corollario imprescin-dibile di ogni sistema educativo istituzionale.

Nel rendere disponibile a un vasto pubblico un sa-pere altrimenti specialistico, esoterico, la divulgazio-ne opera a larga gittata (e non sempre in modo inten-zionale) attraverso i canali e i contesti di diffusioneculturale più disparati: i media anzitutto (stampa, ra-

dio, televisione, computer, Internet), ma anche l’asso-ciazionismo, i centri di conservazione e di produzioneculturale, gli enti amministrativi ed economici pub-blici e privati, e ovviamente la scuola, agenzia forma-tiva che, pur a latere, svolge un’indubbia funzione di-vulgativa. E proprio sull’individuazione di tipologiedivulgative e sulla distinzione tra divulgazione e ani-mazione si incentra il contributo di Duccio Demetrio,professore di Filosofia dell’educazione e di Teorie epratiche autobiografiche presso l’Università di Mila-no-Bicocca, oltre che autorità indiscussa in tema dieducazione degli adulti. Il nodo cruciale è quello del-la funzione pedagogica dell’offerta culturale, diffe-renziata in base a obiettivi, protagonisti e contesti diriferimento. Anche Carlo Delfrati – uno dei fondato-ri dell’educazione musicale in Italia e tra i protagoni-sti più attivi proprio nel campo della divulgazionemusicale – ci offre col suo intervento le coordinate diriferimento per orientarci fra i termini di didattica,divulgazione e insegnamento, indicando come pro-prio questi due ultimi ambiti siano distinti ma, al con-tempo, correlati e attigui. L’autore ci fornisce poi l’i-dentikit del buon divulgatore, un esperto di settorecon attitudini alla comunicazione e all’insegnamentoper la cui formazione, nel campo specifico della mu-sica, è possibile e auspicabile una vera e propria di-dattica della divulgazione.

Per restare nell’ambito più propriamente musicale, ilproblema centrale della divulgazione sembra esserequello del “parlare” di musica, di riferire cioè senza tec-nicismi di un oggetto immateriale, di un’esperienza deltempo e della memoria che, per alcuni, è intrinseca-mente indicibile. Da qui l’ampio uso, nella letteratura enelle pratiche divulgative, di metafore, sinestesie, glos-sari esplicativi, riferimenti ad altri linguaggi artistici; maanche l’affermazione, negli approcci più tradizionalisti,di un ineludibile e propedeutico percorso di alfabetizza-zione del pubblico inesperto, nella convinzione radicata

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iti Divulgare la musica:

arte e scienza della mediazione culturale

La disponibilità di beni culturali offerta dallaciviltà mediatica impone una diffusione deisaperi anche fuori dal mondo della scuola.È nella terra di confine tra educazione,consumo e produzione che le conoscenzespecialistiche diventano accessibili al grandepubblico. Esperti di settori disciplinari eprofessionali diversi si confrontano sul temadella divulgazione culturale e musicale.

a cura di LUCA BERTAZZONI

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e spesso inconsapevole che conoscere la musica implichinecessariamente saperne leggere la scrittura.2 Al di làcomunque delle soluzioni praticate e possibili, si ritieneormai necessario che anche il pubblico, oltre al divulga-tore, sia messo in grado di parlare, a sua volta, di musi-ca. La divulgazione musicale in passato si è identificatacon la critica giornalistica, esercizio di recensione raffi-nato e di grande tradizione che oggi non gode più deglispazi e, forse, del prestigio d’un tempo: stretta dallaconcorrenza di altri contesti spettacolari (la televisioneanzitutto), soverchiata da una spropositata e spesso ri-petitiva offerta di repertorio (sempre più riprodotto an-ziché eseguito dal vivo), anticipata dai tempi ormai fre-netici della produzione e dell’informazione, la criticamusicale si concentra per lo più sui grandi eventi e sul-la recensione discografica all’interno di periodici e rivi-ste. E se per alcuni il suo ruolo «è dimostrare che la mu-sica colta è viva e moderna» (Foletto 2003, p. 10), peraltri invece «la musica classica è in crisi perché non sarinnovarsi e raccontare se stessa».3

Altro importante settore della divulgazione musi-cale è poi quello della manualistica per non speciali-sti, ambito in cui fino a non molti anni fa l’Italia, ri-spetto ai paesi anglosassoni e a detta degli stessi mu-sicologi nostrani,4 poteva vantare solo un numero esi-guo di contributi rilevanti. A questo “ritardo divulga-tivo” sono state date varie spiegazioni (dalla frattura“didattica” tra teoria e prassi alla scarsa attitudineitalica alla lettura, dalla diffusa delega al professioni-smo delle attività di produzione alla musicologia perlo più accademica e museale), ma è un fatto che, purtra le cautele degli editori e le resistenze di certo esta-blishment culturale, il panorama recente delle pubbli-cazioni musicali si è comunque vivacizzato. E ciò an-che sulla spinta di iniziative di etichette discografichee gruppi editoriali che hanno condotto l’acquisto dimusica riprodotta fuori dai confini dei negozi specia-lizzati, allargando contemporaneamente il mercato el’interesse per la fruizione degli “oggetti sonori”.5 An-che se, è inutile nasconderlo, la cultura musicale ita-liana sconta tuttora una rigidità e un tradizionalismodi fondo, denunciati ormai da tempo e da più parti(Montecchi 2002, pp. 918-929 e Fabbri 2002a, pp.943-951). In ogni caso, l’irruzione dei nuovi media,non esclusi i telefonini, ha imposto forme e canali ine-diti alla diffusione della cultura musicale. Le pratichedi esperienza, ancora una volta, si moltiplicano a di-spetto dell’uniformità delle forme di conoscenza. Inuovi approcci alla fruizione e alla distribuzione mu-sicale, la disponibilità estesa della multimedialità di-gitale, suggeriscono modalità inedite con cui “parla-re” di musica, senza che questa sia, come spesso è ac-caduto in passato, un mero convitato di pietra. E so-no di certo più congeniali al carattere intrinsecamen-te orale dell’esperienza musicale. Del resto, mezzi dicomunicazione anche più tradizionali come la radiohanno già sperimentato vie alternative alla divulga-zione musicale. È il caso della nota e controversaesperienza di Classic FM, un’emittente radiofonicalondinese che tratta la classica come qualsiasi altramusica, scegliendo i brani – tagliati all’occorrenza

senza scrupoli – in base a orecchiabilità, durata e sta-to d’animo (mood) prevalente. Tutto ciò nella consa-pevolezza che le modalità e i contesti di ascolto delpubblico radiofonico non coincidono con quelli degliospiti di una sala da concerto.

Alla ricerca di un pubblico più consapevole, am-pio e diversificato sono anche gli enti di produzionemusicale (orchestre, enti lirici, teatri di tradizione,rassegne, festival), istituzionalmente interessati ecoinvolti nell’opera di divulgazione della musica.Uno spaccato delle loro attività nel settore ci è offer-to da Aldo Sisillo, direttore del Teatro Comunale diModena. Rigettando la classica formula delle reciteper le scuole, considerata addirittura controprodu-cente, l’autore indica nelle produzioni mirate e nelleprogrammazioni innovative e trasversali la soluzioneper una più efficace promozione della musica. E ac-canto a pratiche divulgative consolidate (lezioni-con-certo, incontri, conferenze), pone tutte le iniziative at-traverso cui il pubblico, da dietro le quinte, possa ac-cedere ai segreti della complessa macchina teatrale.

Ad ampliare le fasce di spettatori mirano anche imeccanismi legislativi per il finanziamento pubblicodelle attività di spettacolo. I quali però non sempre rie-scono a incrementare e diversificare il pubblico e i re-pertori e, nel caso della musica cosiddetta contempora-nea, possono addirittura alimentare una fruizione elita-ria e perniciosi meccanismi autoreferenziali (Menger2001, pp. 987-1002).

Con Franco Fabbri, studioso di popular music di fa-ma internazionale, lo sguardo sulla divulgazione si spo-sta dall’ambito colto – dato spesso per scontato nei di-scorsi sulla musica – a quello appunto della popularmusic. Dove un singolare rovesciamento di paradigmaha visto nascere la divulgazione prima dello studio spe-cialistico, che ha dovuto per questo adattarsi parados-salmente al modello dettato dalla letteratura divulgati-va. Creando in questo modo però, non pochi problemidi attendibilità scientifica, per la cui soluzione Fabbriindica «una produzione specialistica che contempora-neamente offra modelli di divulgazione».

Ed è questo forse lo snodo cruciale per concepireun nuovo e più efficace modo per divulgare la musica,ogni tipo di musica. La sfida non è tanto nel trovare leparole giuste per diffondere i saperi di pochi (“parla-re” di musica), quanto forse nel ridiscutere i fonda-menti concettuali della musica stessa, alla luce dellanuova realtà acustica in cui viviamo e degli apporti co-noscitivi delle più diverse discipline di studio. «Ripen-sare» la musica (Cook, Everist 2001), riconsiderare ilrapporto fra testo e contesto, fra oralità e scrittura: so-no gli spunti di alcuni dei più recenti e promettenti ap-procci della ricerca musicologica. Approcci che spin-gono a superare le barriere tra musica colta e non; aipotizzare una pluralità di narrazioni storiche con l’at-tenzione rivolta non più soltanto a opere e autori, maanche al pubblico e agli interpreti6 e, in generale, agliaspetti sociali, ideologici, contestuali dell’esperienzamusicale; a ideare infine un nuovo tipo di divulgazio-ne che riporti sulla terra l’oggetto musica e lo rendapiù vicino e comprensibile a tutto il pubblico.

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Prima di tutto, parlerei di divulga-zioni, nel senso che – se con questotermine ci riferiamo a una moda-lità di diffusione dei saperi – occor-re intendersi se si tratta di saperiper imparare a fare, per imparare aessere (ad assumere cioè qualchecomportamento innovativo, unacondotta, una credenza ecc.), ovve-ro per imparare qualcosa che possariguardare saperi di natura moltodiversa fra loro (pratici, di fruizio-ne e godimento estetico, funzionalia diffondere essi stessi divulgazioneecc.). Inoltre, poiché l’oggetto delladivulgazione implica naturalmenteuna memorizzazione, occorre chie-dersi se sia di breve o di lungo pe-riodo, e se richieda una rapida epronta acquisizione o preveda in-vece un processo di più impegnati-

va e durevole assimilazione. In-somma, le tipologie divulgative so-no tante quanti sono gli obiettividei divulgatori, che si occupano ditrasformare una risorsa del saperein un oggetto (di uso materiale oimmateriale), in un bene di largo omirato consumo intellettuale (davendere attraverso canali e accorgi-menti divulgativi di vario tipo, opiù raramente da far circolare sen-za implicazioni di tal genere; anchese la diffusione della cultura, perfortuna, continua ad avvalersi dimezzi a bassi e a bassissimi costi: ilpassa parola, l’esempio, l’esperien-za condivisa ecc.).Prendiamo ora, a scopo esemplifi-cativo, un libro di media difficoltàdi cui possa accorgersi, essendoneattratto, un lettore debole. Un libro

simile (di contenuto scientifico,storico, letterario ecc.) viene pensa-to dall’autore o dagli autori già infunzione divulgativa, e studiato ap-posta per lasciare qualche tracciavolta a incrementare, oltre alla let-tura di altre opere consimili in unauspicabile effetto alone, l’accosta-mento a testi più difficili.Quindi, una buona divulgazionepuò essere ritenuta tale se si con-duce un’attenta analisi delle carat-teristiche e della domanda poten-ziale del pubblico mirato cui ci sirivolge direttamente o a cui ci siavvicina per tentativi ed errori, inmodo empirico e costoso. Per essosi studiano modalità che lo attrag-gano e avvicinino al prodotto cul-turale, utilizzando artifici e lancipubblicitari, attrattive redaziona-li, vantaggi economici (sconti,gadget, buoni ecc.), che rappre-sentano un fattore di richiamo ca-pace persino di occultare quel chedoveva, ottenendo – a volte – l’ef-fetto di divulgare quel che non vo-levamo o non pensavamo valessela pena di divulgare.Uno stesso libro, non a caso, cono-sce versioni diverse a seconda che ildestinatario sia ritenuto decisa-

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La funzione pedagogicadella diffusione culturale

DUCCIO DEMETRIO

Forse per questo in Music: A Very Short Introduc-tion, Nicholas Cook ha scelto di non partire dallagrammatica, dall’abc della musica, ma di svelare in-vece – passando con disinvoltura da Beethoven alrock alla musica giavanese – come la musica sia pri-ma di tutto pensiero, identità, valori, ideologia. «Mu-sic doesn’t just happen, it is what we make it, andwhat we make of it. People think through music, de-cide who they are through it, express themselves th-rough it».7 È uno dei passi più significativi di questomanualetto divulgativo. Sarà forse anche il segretodel suo successo?

Note1 È prevista nel periodo maggio/giugno 2005 la pubblicazionedella traduzione italiana del testo: Nicholas Cook, Musica.Una breve introduzione, Edt, Torino.2 Al di là della pratica del solfeggio, non pochi manuali divul-gativi sulla musica ribadiscono la centralità della conoscenzadi note e pentagramma. Caso emblematico è quello della no-tissima Grammatica della musica di Otto Karolyi.3 Da una dichiarazione di Alessandro Baricco riportata dalquotidiano “La Repubblica” del 7 giugno 2002. In proposito,

si veda pure il suo pamphlet L’anima di Hegel e le mucche delWisconsin. Una riflessione su musica colta e modernità.4 «Da noi manca ancora una consapevolezza dello stato duplicedella musicologia: scientifico e artistico, musicologico e critico.Oggi all’Università ci sono molti musicologi in grado di fare ri-cerche bellissime, ma poi se gli si chiede di fare un lavoro di sin-tesi, di scrivere 20 cartelle su Mozart non sono in grado di farle:si è perso il rapporto disinvolto con la materia» (Pestelli, 2001)«In Italia sono piuttosto rari i libri che con sobrietà, intelli-genza, spirito d’informazione e di servizio, spieghino all’ama-tore le opere della “grande musica”, diciamo da Monteverdi aNono. Mancano le guide all’ascolto di buon livello che trovia-mo in Inghilterra o in Germania» (Bianconi 2001).5 Il realtà, accanto a iniziative divulgative meditate, il fenome-no delle edizioni economiche vendute in edicola o al super-mercato registra anche operazioni sganciate da qualsiasi seriamotivazione culturale, con proposte di incisioni parziali, ina-scoltabili, di fonte indefinita e incontrollabile, prive del neces-sario corredo di mediazione informativa.6 A questo proposito, è necessario ricordare l’intensa opera di-vulgativa di Piero Rattalino, tra i primi a interessarsi al temadell’interpretazione musicale quasi del tutto estraneo invece acerto mondo accademico italiano.7 «La musica non è una cosa che capita: è una cosa che faccia-mo ed è ciò che ne facciamo. La gente pensa per mezzo dellamusica, decide chi essere con la musica, si esprime attraversola musica» (Cook 2000, pp. IV-V).

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mente non solo colto ma anche raf-finato, ovvero alle prime armi ri-spetto anche ai suoi compiti di tra-smettitore di questa o quella vulga-ta: insegnante, genitore ecc.Insomma, la bontà della divulga-zione è direttamente proporzionalealla plasticità cui il prodotto cultu-rale può essere sottoposto. Ci sonoquindi prodotti da divulgare (davendere) che non possono esseresottoposti più di tanto a questotrattamento, al rischio di venirnesnaturati e traditi profondamente.Cosa che, comunque, viene giusti-ficata se un libro di complessa let-tura può diventare, che so, traspo-sizione teatrale, cinematografica,financo musicale. Il prodotto in talguisa può anche migliorare oltre aessere più appetibile.Ciò che contraddistingue un’effica-ce divulgazione, oltre a quanto giàdetto, è anche la sua capacità di an-ticipare il riconoscimento, la con-cretizzazione di una domanda an-cora latente, indeterminata, di cuisi sentiva un’esigenza ancora nonsufficientemente chiara, e che inve-ce quel libro, quel film, quell’ope-ra, quella canzone (grazie all’intui-zione di un autore che è anche uninconsapevole buon divulgatore)interpreta, raccoglie, rilancia. Il cuisuccesso viene poi imitato da tantialtri, tali da oscurare la preveggen-za dell’antesignano.Ci sono perciò opere che, senza es-sersi poste il compito prioritario didivulgare (di offrirsi e proporsi auna maggior massa di fruitori, dievadere i circuiti elitari), lo sonoper la presa emotiva sul pubblico,per l’induzione di una moda, perl’immediatezza dei linguaggi. Cosìcome esse sono dotate di una carat-teristica divulgativa per il fatto chenon hanno bisogno di studi di mer-cato e di marketing. E, ancora, dache mondo è mondo una caratteri-stica di sostegno al sapere è rappre-sentato dai circuiti, dalle reti, daiservizi stabili che si incaricano diveicolare il prodotto. Questo, co-me già si è detto, potrà poi cono-scere versioni diverse sempre in re-lazioni alle attese che si hanno ri-spetto ai diversi pubblici.Facciamo un altro esempio sconta-to: Giovanni Gentile concepì lariforma della scuola secondaria “a

canne d’organo”, dal momento cheriteneva (e tanti altri con lui) chestudiare filosofia si potesse soltan-to al liceo e non negli istituti tecni-ci. O, ancora, che la Divina Com-media, in questi luoghi destinatiagli uomini faber, potesse esseredissacrata, date le origini umili eanalfabete di quegli alunni.La divulgazione è intrinseca atti-vità esemplificativa e didattica chenon si colloca soltanto negli spaziistituzionali circoscritti della tra-dizione educativa, anche se lascuola e oggi persino l’universitàsono agenzie macroscopiche di di-vulgazione culturale più ancorache di specializzazione. Quest’ulti-ma, infatti, viene demandata a oc-casioni formative sempre più in lànel tempo e nelle situazioni di la-voro, che trasformano ciò che gliex studenti hanno appreso inmansionari cristallizzati e impove-riti culturalmente.Inoltre, se un tempo poteva esserciuna divulgazione popolare (si chia-mava proprio così) attraverso ilgiornalismo, i periodici e le edizio-ni a buon prezzo, il passa parola,gli spettacoli di piazza di cui si par-lava o si leggeva per intere stagioni,nell’epoca dei media, di Internet,della digitalità di ogni genere, la di-vulgazione avviene in tempo reale:ovviamente ciò accade per quantoriguarda le informazioni (le notizie,usiamo dire, abbondantemente giàmanipolate, selezionate, censura-te), mentre è diverso il caso del sa-per fare, di tutto quanto richiedeun impegno, un’implicazione, unminimo di attenzione continuativa,di esercizio e di pratica. La diffe-renza è abissale ragionando a livel-lo musicale: un conto è fruire di undisco che affascina e piace, un altroconto riuscire a collocarlo in un ge-nere, in una storia, in un’apparte-nenza autoriale, e un altro ancora èdecidere di cimentarsi con la suascrittura o addirittura con la tenta-zione di imparare a suonare unostrumento.Si aggiunge quindi alle considera-zioni precedenti il problema dellafunzione pedagogica (la si chiamipure animativa) dell’offerta cultu-rale. Se un tempo poteva esserci più“pedagogicità” nella divulgazione,dal momento che la concorrenza

era assai limitata, oggi le cose sonoprofondamente diverse, a meno diritenere che, cosa smentita dai fatti,tutto ciò che viene divulgato e fattocircolare sia pedagogico. Forse oc-corre intendersi con questa parolasempre così impegnativa, persin fa-stidiosa e imbarazzante.È pedagogico quel che riesce, piùprima che poi, a generare un muta-mento in chi si dispone ad appren-dere volutamente o in chi, quasiper caso, viene influenzato da unasollecitazione. Nel nostro caso, sitratta di una variazione e inversio-ne di una tendenza personale o digruppo, di una fruizione o di unascolto, di un miglioramento co-gnitivo, relazionale o d’opinione,di una domanda ulteriore di beniculturali e intellettuali, da appren-dere per ragioni utilitaristiche, infunzione del successo, della carrie-ra, dello studio, ovvero soltantoper piacere, godimento, svago. Sularga scala, diciamo che quel pro-dotto ha iniziato a far tendenza, acreare comportamenti collettivi, asviluppare nuove richieste anchepiù sofisticate e svagate delle pre-cedenti, secondo una linea di con-taminazione e attrazione di carat-tere decisamente processuale e im-prevedibile.Contrapporre pertanto animazionea divulgazione è opportuno, poichéchi anima si prefigge (o almeno ciauguriamo che sia così) qualcheobiettivo verificabile, fra quellimenzionati, in luoghi e contesti cir-coscritti, con metodi basati sulcoinvolgimento diretto, sulla parte-cipazione della gente, sulla chiama-ta in causa attraverso strumenti chepossano privilegiare l’esperienza, lamemoria, le capacità delle persone.Se l’animazione si dispone a con-trollare i suoi risultati con modalitàdi verifica qualitative, dirette, po-vere (il giro di opinioni, le criticheo le soddisfazioni dichiarate), la di-vulgazione opera su scala più vastae richiede dispositivi valutativi e diriprogrammazione ben più com-plessi e di tono quantitativo.Chiediamoci poi anche: perché ciavvaliamo della parola animazio-ne per intendere qualche cosa che,comunque, ha un sapore che rin-via all’educativo, all’informativo,finanche all’istruttivo? Evidente-

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Divulgazione, insegnamento, di-dattica: c’è chi adopera i tre termi-ni come sinonimi. In fondo, le pa-role sono «troni vacanti», comediceva un illustre linguista, suiquali ognuno ha il diritto di inse-diare i significati che più gli garba-no. Io vorrei insediare in ciascunoun concetto distinto, corrispon-dente ad altrettante istituzioni,che nella pratica quotidiana pos-sono anche facilmente sovrappor-re i loro confini.

Insegnamento versus didattica.L’insegnamento è quello che cono-sciamo meglio. Il luogo esemplareè l’aula chiusa, con organizzazionee orari prefissati, in cattedra l’e-sperto di una disciplina, la musica,la geografia, la chimica ecc., cheha il compito di promuovere lamaturazione dei suoi studenti at-traverso la trasmissione di un cor-pus di competenze disciplinari. C’èl’insegnante di francese, di geogra-fia, di storia. Di musica: qui, re-stringendo il campo, l’insegnantedi pianoforte, di composizione, distoria della musica, di educazionemusicale primaria ecc.

Nella tradizione italiana ognu-no di loro è entrato nell’insegna-

mento forte delle sue competenzedisciplinari, ma privo, nella grandemaggioranza dei casi, di competen-ze relative alla professione di inse-gnante: quell’insieme di competen-ze pedagogiche, psicologiche, e so-prattutto metodologiche, oltre cheorganizzative e normative, che fan-no capo a una disciplina specifica:la didattica. Come ogni altra disci-plina, anche la didattica, o scienzadell’insegnare, è insegnabile. Tantoè vero che esistono, nei nostri con-servatori, insegnanti di didattica.Sono insegnanti che formano gliinsegnanti. E anche questi possonoessere generalisti (per esempio inse-gnanti di didattica dell’educazionemusicale primaria, i formatori de-gli insegnanti di scuola elementaree media), o specialisti, come po-trebbe essere un insegnante di di-dattica della composizione, di di-dattica del violino, di didattica delsolfeggio, di didattica della storiadella musica, di didattica del jazz evia continuando. Insegnanti alquadrato, per così dire. Uso il con-dizionale, perché sappiamo che nelnostro paese queste figure non esi-stono, almeno come professioniistituzionalizzate. L’insegnante diviolino, di composizione eccetera,

da noi non riceve di norma unaformazione didattica. Questo spie-ga la forte carenza in Italia di studie ricerche sui processi didattici ditali discipline. E spiega la volgaremarmellata concettuale che nonriesce a distinguere tra insegna-mento e didattica (caso clamorosoil varo, lustri or sono, di un corsoconservatoriale di Nuova didatticadella composizione, che in realtàcon la didattica non aveva niente ache vedere, limitandosi a essere unNuovo corso di composizione).

Divulgazione versus insegnamento.Con questa premessa l’opposizio-ne che interessa praticamente nonè tra divulgazione e didattica, matra divulgazione e insegnamento.La didattica, vedremo, la faremorientrare alla fine del giro.

Se il luogo esemplare dell’inse-gnamento è l’aula scolastica, i luo-ghi esemplari della divulgazionesono tanti: è la sala delle conferen-ze, dove un pomeriggio vado a gu-starmi Franca Cella che parladell’Elisir d’amore; è il settimana-le, dove mi informo sulla fame nelmondo; è il museo della scienza,dove do un’occhiata alle bachecheche spiegano l’evoluzione dei retti-li; è History Channel, dove una se-ra riesco a sottrarmi alla trash-tv emi riguardo i baffi di Stalin; è la li-breria, dove mi porto a casa l’ulti-mo test d’intelligenza (da speri-mentare lontano da sguardi indi-screti, non si sa mai); è Internet,dove il sito dell’Accademia dellaCrusca mi conduce a passeggio at-traverso le etimologie dall’indoeu-ropeo. È anche la sala da concerto,

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ttiti mente perché pensiamo che l’agire

secondo spirito e arte animativasia senz’altro meno impegnativo,meno scolastico. Ma allora asse-gniamo all’animazione lo stessovalore della divulgazione, che simuove senza grandi pretese. L’ani-mazione è una divulgazione checoinvolge coloro presso i qualivuol far conoscere qualcosa. Ameno che non si tratti di un’ani-mazione alla ClubMed di puro, ef-fimero e voluto intrattenimento. E

sappiamo pure che questa è unaparola che può funzionare perun’improvvisazione artistica, peruna performance poetico lettera-ria e teatrale, i cui obiettivi sonoappunto creare gioia, gusto delcondividere e stare insieme, viverecreativamente gli istanti. Ma nonc’è un’animazione che possa anda-re oltre questo. L’animazione puòattivare processi istruttivi, educa-tivi, divulgativi persino, ma noncoinciderà con questi a meno che

il suo progetto e le sue pratichenon prevedano tempi più lunghidi coinvolgimento e investimentopedagogico. In tal caso l’anima-zione è educazione e l’educazionesi realizzerà attraverso l’animazio-ne, cioè chiedendo quel che l’ani-mazione non commerciale ha sem-pre richiesto: attivazione mentale,riflessione, inclusione della espe-rienza pratica, corporea ecc. In-somma un po’ di impegno e di sa-na fatica.

La divulgazione musicaletra didattica e insegnamento

CARLO DELFRATI

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dove Annibale Rebaudengo mispiega al pianoforte le vicissitudinidella Marsigliese.

Il destinatario dell’insegnamen-to è un coatto (anche se ha scelto diesserlo); il destinatario della divul-gazione è un soggetto a piede libe-ro, che va dove lo porta il cuore,l’interesse del momento, la curio-sità. L’insegnamento è la professio-ne di chi si assume precise respon-sabilità formative, rielabora con-cettualmente e sperimenta strategiee tattiche, metodologie di caratteregenerale e tecniche particolari. So-prattutto si ispira a finalità cheaffondano le radici nell’etica. Al di-vulgatore nessuno chiede di «pla-smare le anime», come voleva Gen-tile. Mentre però l’insegnante agi-sce su un numero circoscritto di in-dividui, il divulgatore ha responsa-bilità maggiori se solo si pensa allapossibile estensione del suo pubbli-co, le migliaia che leggono la rivi-sta, o i milioni che lo seguono in tv.

Tra le due istituzioni c’è piutto-sto continuità che frattura. Ogniesperienza divulgativa si traduce inesperienza educativa, in apprendi-mento. Lo dice in modo brutal-mente radicale la massima latinanon ex schola sed ex vita discimur,non impariamo dalla scuola madalla vita: una massima forse avvi-lente per un insegnante, il qualepuò però recuperare il buon umorese si rende conto della contraddi-zione che la massima tradisce: an-che la schola fa parte della vita.

Didattica della divulgazione.Grazie al proliferare dei media,quindi della varietà e complessitàdi applicazioni, quella del divulga-tore può essere considerata unaprofessione dotata di un propriostatuto disciplinare; una professio-ne alla quale ci si può dunque for-mare. Quali competenze la carat-terizzano? Direi prima di tutto unadiscreta competenza sui contenutidella divulgazione. Nessuno chie-de a un divulgatore di essere unoscienziato o un musicologo; mache sappia di scienza o di musico-logia a livelli sufficientementeavanzati. Un dato scontato, se nonfosse che a volte la divulgazione èintesa come l’abilità di riscrivere inmodo semplice cose di esperti, del-

le quali chi scrive capisce poco oniente: ed è il caso di quel giornali-sta tuttofare che sgalletta nella no-stra stampa quotidiana. Non saniente, ma quel niente lo sa scrive-re bene. Il divulgatore serio è quel-lo che prima di tutto ha una prepa-razione seria sul terreno nel qualeè chiamato a esprimersi.

Il secondo ordine è quello dellecompetenze comunicative. Qui lemetodologie della divulgazionevengono a coincidere almeno inbuona parte con quelle dell’inse-gnamento. La didattica diventa unascienza/arte preziosa anche per undivulgatore. Se ne accorgono quelleistituzioni universitarie o enti scien-tifici che allestiscono corsi di Tecni-ca della divulgazione scientifica,come fa l’Università di Padova, ocorsi di Divulgazione didattica deibeni culturali, come fa l’associazio-ne “Museum – Associazione Vo-lontari nei Musei” (dove “didatti-ca” appare pleonastico, ma lasciaintuire la vocazione formativa del-l’ente, che, sia detto fra parentesi, sioccupa principalmente di disabili).Un buon divulgatore è quello che fai conti con il vissuto del suo pubbli-co, ne conosce il background, gliinteressi, le esigenze, il potenzialecognitivo; che sa allestire il suo per-corso, fosse solo il percorso dellaconferenza o del concerto-lezione,in modo da non svelare tutto all’i-nizio, ma lasciare spazio alla sco-perta personale. Dove la situazionelo consente, il divulgatore è anchequello che sa coinvolgere il suopubblico, attivarlo: e qui diventanopreziose le tecniche dell’animazio-ne culturale. Fondamentale, inutiledirlo, sono le risorse comunicative,quelle di cui è maestro il teatro: l’u-so espressivo della voce e della ge-stualità, le tecniche retoriche, la ca-pacità di sorprendere il pubblicodosando con accortezza gli argo-menti, l’aneddotica, lo humour.Una tecnica è il “disvelamento ina-spettato” della verità, ma una tec-nica è anche l’uso sapiente dellaproiezione, che sia diapositiva o cd-rom. Penso a Piero Angela. Pensoad Alessandro Baricco quando nel-la trasmissione “L’amore è un dar-do” illustra la Traviata. O a PaoloPaolini quando realizza il suo spet-tacolo sul Vajont, e usa le sue risor-

se teatrali per quello che è sì unospettacolo, ma è anche un’opera-zione divulgativa, una ricostruzio-ne storica di quella tragedia. Se èscrittore, usa le tecniche del roman-ziere, con tutti gli artifici stilistici eretorici di cui è capace.

A sua volta, il docente ha tuttoda guadagnare a far sue le tecnichespeciali del divulgatore, per tenerdesto l’interesse dei suoi alunni, eper offrire una adeguata motiva-zione all’apprendimento. Per que-sta ragione credo che una Scuoladi Didattica della musica possacomprendere tra le sue finalità an-che la formazione del divulgatoremusicale: il musicista che preparae allestisce il concerto suo o delsuo ensemble prevedendo momen-ti di dialogo con il suo pubblico; ilmusicologo che prepara e svolge laconferenza magari con il sussidiodel cd, del video, del computer; oche scrive il pezzo per il mensileche va in edicola. E così come in-terviene nella formazione in servi-zio degli insegnanti, mediante isuoi corsi d’aggiornamento, credoche la Siem abbia tutte le carte inregola per promuovere iniziativedi formazione del divulgatore: l’in-segnante che cerca spazi nuovi peruscire dalla routine della sua scuo-la, il giovane musicista che, attrez-zato a essere, perché no? un vir-tuoso della divulgazione, sa farneuna professione fino a inventarsiluoghi inediti nei quali esercitarla.

Divulgazione della didattica.Se posso chiudere con una varia-zione retrograda al tema, dopoaver espresso un convincimentoforte sull’opportunità di una didat-tica della divulgazione, credo sidebba spezzare una lancia a favoredi una divulgazione della didattica.La marmellata concettuale a cui fa-cevo riferimento è il sintomo diquanta poca autonomia, e di con-seguenza autorevolezza, goda an-cora la didattica, come disciplina,nel nostro paese. Solo se si crea unforte movimento d’opinione per-ché l’insegnante o il divulgatoresiano considerati non figure di ri-piego ma professionisti altamentespecializzati, c’è da sperare che lacultura musicale del paese possasalire di qualche grado.

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La popular music è caratterizzatada una specie di rovesciamento delparadigma della divulgazione ri-spetto allo studio specialistico.1

Etimologicamente, la divulga-zione presuppone che un discorsoesoterico venga rivolto a un pub-blico più ampio. Ma per più di unsecolo la popular music non haavuto uno studio specialistico, perla precisa ragione che chi si occu-pava di musica in modo specialisti-co non riteneva che la popular mu-sic (o la musica leggera) ne avessebisogno, o lo giustificasse. Questonon significa, però, che contempo-raneamente non si facessero di-scorsi e non si pubblicassero arti-coli e libri sulla popular music, chehanno contribuito spesso in mododeterminante a fondare l’ideologiadei suoi generi. E non parlo solodel giornalismo musicale più cor-rente, ma anche di opere di consul-tazione come le varie storie ed en-ciclopedie del rock o della canzo-ne, o di saggistica, come i librimonografici sui generi della popu-lar music o le biografie degli artisti(pensiamo, per l’Italia, all’infinitasaggistica sui cantautori e sullacanzone d’autore). Questa lettera-tura, i cui orizzonti e il cui linguag-gio sono inequivocabilmente quel-li della divulgazione, ha fissato deiformati, un tono, un livello di pre-sunta o reale scientificità, delleaspettative, prima che apparisserostudi specialistici, o mentre neuscivano in numero ridottissimo.

In mancanza di un tessuto spe-cialistico accademico (sto parlan-do dell’Italia), gli editori conside-rano specialisti (e appetibili in ter-mini di mercato) i giornalisti musi-cali o aspiranti tali, i dj, i condut-tori radiofonici, i musicisti e pro-duttori discografici, che sono an-che le categorie di provenienza de-gli stessi autori della maggior par-

te di quei libri. Agli specialisti chenon per presunzione definisco “ve-ri”, gli editori indicano come mo-delli di formato e di linguaggioquelli della produzione corrente.In qualsiasi libreria italiana, il li-bro di Middleton Studiare la po-pular music si trova tra un libro dipoesie di Claudio Lolli e una bio-grafia dei Nirvana con tutti i testidelle canzoni. Tutt’altro che libribrutti o inutili, beninteso, ma quel-lo che conta è che si suppone che illettore-modello sia lo stesso.

Nei paesi anglosassoni, soprat-tutto da una decina d’anni, il qua-dro è diverso. È ben vero che gli in-stant-books sulle rockstar sono mi-gliaia, e che di fronte a quelle mi-gliaia di titoli anche serie rigorose eampie come quella dedicata allapopular music da Ashgate sonoun’inezia: ma comunque viene su-perata la soglia della massa critica,esistono collane e addirittura edi-tori specializzati, testi rigorosi co-me la storia della popular musicnegli Usa di Reebee Garofalo (480pagine di grande formato, quasitutte di testo) entrano nel mercatodella scolastica. Resta il fatto cheperfino là il senso comune del let-tore, compreso forse quello specia-listico, presuppone che il vero lin-guaggio con cui parlare di popularmusic sia quello della divulgazione.E questo comunque è un tema deli-cato, che sollevai più di vent’annifa (I generi musicali e i loro meta-linguaggi, intervento a un se-minario Isme a Trento nel 1982,ora in Fabbri 2002b), mettendo indubbio che chiamare “ostinato”un riff potesse essere la strada giu-sta per raggiungere la leggendarialegittimazione accademica deglistudi sul rock. A tanto tempo di di-stanza, riscontro ancora un certodisagio nella ricerca di una termi-nologia che rispetti contempora-

neamente le esigenze di scientificitàe l’autonomia linguistica dei diver-si generi musicali.2 Tra l’altro, unaletteratura specialistica sulla popu-lar music deve avere necessaria-mente un carattere divulgativo ver-so gli specialisti di altre musiche:non si può chiedere a un esperto diBach di sapere come funziona uncampionatore, e che cosa sia unfloor-filler. E la questione non ri-guarda solo la popular music: pen-siamo solo alle infinite confusioniingenerate dall’uso disinvolto deltermine “modale” fra storici dellamusica dell’antichità, studiosi delMedioevo, del Rinascimento, dellamusica barocca, della musica delNovecento, della musica classicaaraba e indiana.

Ma torniamo alla storia. Lapubblicistica non specialistica con-ta, e parecchio, perché spesso co-stituisce (insieme al buco nero diInternet) la fonte più accessibile.Chi non sarebbe tentato, per rico-struire la carriera di Fabrizio DeAndré, di ricorrere alle discografiecompilate con scrupolo maniacalee accuratamente riportate in ap-pendice a ciascuno degli innumere-voli saggi sul cantautore genovese?Ecco un caso davvero tipico. Inter-vistato da uno dei suoi biografi,Fabrizio De André colloca il suoprimo 45 giri, Nuvole barocche,nel 1958. Il biografo trascrive, e,grazie alla supposta certezza dellafonte, ogni altra discografia delcantautore riporta la stessa data.Ma Nuvole barocche è del 1961, eprobabilmente De André lo retro-datava per attenuare o annullare iforti debiti stilistici verso UmbertoBindi che vi appaiono: se avessescritto e cantato quella canzonenel 1958 sarebbe stato il Bindi deIl nostro concerto ad averlo copia-to, non viceversa. Nessuno storicodella musica, popular o no, sa-rebbe caduto in questo tranello: lasua fonte sarebbe stata l’opera ori-ginale (il disco, in questo caso), l’e-dizione musicale (sarebbe bastatochiedere alla Siae), o un’opera diconsultazione accreditata (quantolo sarebbe un catalogo filologica-mente ricostruito, o perlomeno ilGrove o il Deumm). Ma certo latentazione di ricorrere alla pubbli-cistica corrente è forte.

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ttiti Divulgare la popular music:

un paradigma capovolto

FRANCO FABBRI

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ttitiIl caso di Internet, poi, è ancora

più complesso, e richiederebbe lospazio di un intero saggio. Se è bennoto che sulla rete si trova di tutto,da materiali ordinati scrupolo-samente e impeccabili nel loro ri-gore a panzane ignobili, se tuttiquelli che hanno a che fare con l’u-niversità sanno bene che ormaiquasi tutte le tesi hanno come cor-relatore (o come autore) il signorGoogle (come dice un mio amicoetnomusicologo), forse è meno dif-fusa la consapevolezza che moltidegli stessi libri sulla popular mu-sic che vengono pubblicati oggi so-no il frutto di un taglia e incollafrenetico da siti web, le cui fontisono spesso altri libri dello stessotipo, in una deriva infinita di fal-sità e imprecisioni. Non esito, è unobbligo morale, a segnalare alcuniesempi: il Dizionario dei cantauto-ri edito da Garzanti nel 2003, cheavrebbe dovuto sostituire la pro-messa Garzantina della musicaleggera, un guazzabuglio di svario-ni redatto da due soli autori conl’aiuto del web, e il mitico sito diPiero Scaruffi (www.scaruffi.com)dove si può trovare una History ofRock Music (Based on the Truth),insieme a un’infinità di altro mate-riale sulla popular music, che –presupponendo che il curatore eautore abbia ascoltato e recensitopraticamente ogni album mai usci-to negli ultimi cinquant’anni – ov-viamente abbonda (inopinatamen-

te e incontrollabilmente celate inmezzo a informazioni esatte) diimprecisioni o di bufale complete.D’altra parte, Internet può essereuna fonte di informazione prezio-sa, mettendo a disposizione dellostudioso (e del divulgatore) infor-mazioni che fino a qualche anno faerano molto più difficilmente repe-ribili. Penso, tra l’altro, ai siti dellesocietà degli autori, e alla possibi-lità che offrono di controllare rapi-damente autori, editori e anni dipubblicazione di vastissimi reper-tori. La Siae, in questo, potrebbeoffrire molto di più.

Quando ho scritto la parte rela-tiva alla popular music della Storiadella musica Utet (un testo contem-poraneamente specialistico e divul-gativo, per sua natura), ho creatoun database di canzoni e di autoriche ho verificato incrociando nu-merose fonti: in questo lavoro, i si-ti dell’Ascap, della Bmi, della Sa-cem, della Prs, più un certo numerodi siti creati da appassionati e colle-zionisti (dei quali ho valutato l’at-tendibilità) mi hanno permesso diverificare quanto un buon numerodelle fonti normalmente disponibi-li al lettore italiano fossero impre-cise, o presentassero vastissime la-cune ben mascherate.

È chiaro, non si può fermare ilmondo, non si può arrestare laproduzione di saggistica approssi-mativa sulla popular music per farsì che gli studi specialistici ricupe-

rino il tempo perduto, e si possaparlare di una divulgazione seria apartire da fonti e teorie consolida-te. Quindi – ma si può dire che aquesto compito siamo abituati – citoccherà pensare a una produzionespecialistica che contemporanea-mente offra dei modelli di divulga-zione, cioè a testi di ricerca, cheaprano per la prima volta la stradaa nuovi argomenti, ma che con-temporaneamente siano leggibilida parte di un pubblico ampio.Che non sia un problema solo del-la popular music?

Note1 Questo articolo riprende, commenta eamplia parte di una relazione presentatadall’autore in occasione del convegno“La divulgazione musicale in Italia og-gi”, che si è svolto a Parma il 5 e 6 no-vembre 2004, organizzato da LaDiMus– Casa della Musica.2 Il problema è stato sollevato di recenteda Maurizio Agamennone durante unconvegno sull’auspicabile convergenzadegli studi etnomusicologici e di quellisulla popular music (Venezia, Fondazio-ne Cini, gennaio 2005); l’etnomusicolo-go – se ho capito bene – addebitava lareticenza a utilizzare un linguaggio spe-cialistico a uno stadio ancora immaturodei popular music studies (o viceversa).Sicuramente il rapporto fra il metalin-guaggio degli studiosi e quello dei prati-canti costituisce uno degli elementi piùsignificativi e persistenti di differenzatra etnomusicologi e studiosi di popularmusic, che sotto altri aspetti affrontanospesso repertori simili, o identici, conmetodi confrontabili.

La trovate qui.Torino, Beethoven Haus

Milano, MitarotondaVerona, La Rivisteria

Padova, Musica e MusicaCremona, Cremona Books

Bologna, Ut OrpheusFirenze, Ceccherini

Roma, RinascitaRoma, Musicarte

Napoli, SimeoliCosenza, Domus Universitaria

Palermo, Matilde Sacco

e nelleLibrerie Feltrinelli di:Ancona, Bari,Bologna, Brescia,Ferrara, Firenze,Genova, Mestre,Milano, Modena,Napoli, Padova,Pescara, Pisa,Parma, Ravenna,Roma, Salerno,Siena e Torino

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Non essendo un esperto di didatti-ca, assumo i termini di educazionee divulgazione così come possonoessere vissuti in un’istituzione cheproduce o ospita attività di spetta-colo dal vivo, come può essere unteatro di tradizione. Nell’accezio-ne più diffusa dei due concetti, di-rei senz’altro che il primo riguardal’attività primaria di una istituzio-ne scolastica, il cui compito è diorganizzare e proporre percorsi si-stematici che implicano apprendi-mento graduale di tecniche o sape-ri. Per coloro il cui compito princi-pale invece è la produzione cultu-rale musicale, la divulgazione di-venta fine istituzionale, soprattut-to se questa attività è finanziataprevalentemente con risorse pub-bliche. Naturalmente questo nonvuol dire che i due ambiti non ab-biano momenti di incrocio, poten-do diventare l’uno parte dell’altro.

Ritengo, come tanti, che l’edu-cazione musicale nei diversi gradiscolastici dovrebbe essere conside-rata materia formativa come le al-tre discipline (come lo è stato inepoche passate, e come lo è nellescuole di tanti altri paesi del mon-do). Purtroppo ci allontaniamosempre di più, e inspiegabilmente,da questa prospettiva; qualche mi-nistro ci spiegherà prima o poiperché il disegno (geometrico o fi-gurativo come si diceva una volta)o lo scrivere temi o diari o riassun-ti siano “formativi” e contribui-scano alla crescita culturale di unindividuo, e invece comporre mu-sica o suonare o cantare in corofaccia parte del superfluo. A que-sto proposito vorrei sottolinearequanto sia sottovalutata, anchenella scuola dell’obbligo (purtrop-po a favore dell’abusato flautodolce), l’attività compositiva, inte-sa come organizzazione di suoniche abitua ad analizzare e sistema-

re materiali, oltre che a eseguirli ingruppo.

Ma quello che interessa mag-giormente noi organizzatori e mu-sicisti è, come si suole dire, “for-mare” un pubblico più consape-vole, che sviluppi capacità di di-scernimento e di critica davanti aun prodotto musicale e che sia ingrado anche di difendersi dall’of-ferta indiscriminata e spesso ves-satoria dei media di oggi. Dunqueun pubblico che acquisisca stru-menti per destrutturare un branoma anche per avere una minimacapacità di giudicare un’esecuzio-ne. Naturalmente oltre che forma-re un pubblico più educato, abbia-mo l’esigenza e il compito di am-pliare le fasce di utenza. L’allarga-mento e l’articolazione della pla-tea dovrebbe essere un obiettivoben più coerente con le finalitàpubbliche, rispetto alla semplicestabilizzazione dell’audience.

Ma che cosa si può fare, inproposito, all’interno dell’attivitàdi una istituzione che produce? In-nanzitutto, nel campo della lirica,produrre spettacoli mirati. E mispiego: non sempre la classica re-cita (dell’opera già programmatain cartellone) indirizzata alle scuo-le è lo strumento più efficace adavvicinare nuovo pubblico allanostra grande tradizione. Mi chie-do anzi quanto danno abbianofatto le offerte indiscriminate direcite per le scuole prive di unapreparazione graduale e specifica,e quanti giovanissimi ne abbianoriportato traumi indelebili, magariallontanandosi per sempre dai tea-tri d’opera. I tempi di percezione, iritmi di vita e di fruizione di unprodotto musicale sono talmentediversi da quelli in cui si è svilup-pata la grande tradizione del me-lodramma, che, se oggi vogliamoche nuove fasce di pubblico vi si

avvicinino e la apprezzino, come ègiusto che sia, non possiamo nonpartire da quella che è l’esperienzacontemporanea, anche dal puntodi vista visivo e gestuale.

La nuova produzione musicaledeve tener conto di quanto, neilinguaggi musicali, è successo ne-gli ultimi cinquant’anni: dal musi-cal, al rock, alla canzone d’autore,alle ricerche etnomusicologiche,all’improvvisazione. Dunque pen-so che sia importante commissio-nare opere anche piccole ad autoriche cerchino un linguaggio capacedi comunicare con il grande pub-blico, pur senza rinunciare al lorobagaglio accademico che forniscesenz’altro spessore al loro mododi esprimersi.

Gli altri strumenti, ormai con-solidati, come le lezioni-concerto,gli incontri coi musicisti, le confe-renze di esperti, sono importantima secondo me vanno affiancatida itinerari didattici finalizzati al-la conoscenza più approfonditadell’attività produttiva di un tea-tro. Nell’allestimento di un’operalirica, può essere uno stimolo allacuriosità su questo strano mondofar assistere a momenti di prove diregia e di sala e poi prove di lettu-ra con orchestra e di assieme, gui-dati dagli stessi protagonisti dellaproduzione (regista, direttore, sce-nografo). Così come sarebbe im-portante sviluppare laboratori dipratica musicale collettiva (pensoalle sempre attualissime esperien-ze di Boris Porena, valide pergrandi e piccini): il primo modoper conoscere la musica è farla,praticarla con qualsiasi mezzo elinguaggio.

La programmazione stessa puòessere pensata in funzione di unprogetto, che il pubblico anchenon esperto sia in grado di ricono-scere; la caduta progressiva dellebarriere fra i generi a cui si è assi-stito in questi ultimi anni aiuta acreare percorsi trasversali tra di-verse aeree geo-culturali. Così co-me la flessibilità degli abbona-menti, con formule a incrocio frarassegne diverse, permette allospettatore di costruirsi un propriopercorso senza essere legato alleformule rigide di fidelizzazionetradizionale.

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ttiti Formazione del pubblico:

il ruolo degli enti di produzione

ALDO SISILLO

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Se spostiamo l’attenzione sulfronte legislativo, il recente regola-mento per i criteri di erogazione dicontributi in favore delle attivitàmusicali, emanato dal Ministeroper i beni e attività culturali, preve-de incentivi alla diffusione della cul-tura musicale all’interno della valu-tazione qualitativa dei progetti.Questi i riferimenti nel testo di leg-ge: «Opere mai rappresentate, in-novazione del linguaggio, promo-zione della musica contemporanea,creazione di rapporti con le scuole,

attuando momenti di informazionee preparazione all’evento, idonei afavorire l’accrescimento della cultu-ra musicale». Il problema è che, co-me al solito, il risultato del lavorodi valutazione non è verificabilecon riscontri certi da parte di chi èstato valutato: da un lato infatti vi èuna eccessiva discrezionalità, dal-l’altro, a uno sguardo generale sulleassegnazioni ministeriali, apparechiaro che viene data ancora troppapoca importanza a una program-mazione più rischiosa che tenda ad

allargare repertorio e pubblico. Sa-rebbe importante valutare peresempio il grado di rinnovamentodel pubblico, oltre alla quantità; ilrapporto tra numero abbonati e bi-glietti venduti, l’incremento di pub-blico giovane pagante; il trend dellamedia degli spettatori e dell’indicedi saturazione dei posti per spetta-colo. E tutto questo visto in rappor-to al tipo di programmazione: se sifanno solo vedove allegre e traviatesi faranno dei pienoni ancora perqualche anno, e poi?

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L’orecchio intelligente è l’ultimafatica pubblicata presso la LIM diLucca da Mario Baroni, uno tra imusicologi italiani più poliedriciper interessi ed esperienze. Il volu-me prende la forma di un articola-to percorso che illustra le condi-zioni necessarie alla comprensionedel significato musicale. Il testonasce in ambito scolastico, piùprecisamente universitario, ma sipone come strumento per condur-re tutti coloro che sentano l’esi-genza di uscire dalle consuetudinid’ascolto e di acquisire strumentipiù consapevoli per la compren-sione della condotta percettiva.

Per incentivare una sorta di at-titudine al musicale, vi sono tredimensioni che tutti siamo in gra-do di sviluppare. Il gusto per ilsuono (vale a dire una certa sensi-bilità per le sonorità), una dimen-sione immaginativa della musica(provocata da stati affettivi e davalori simbolici che vi si rifletto-no), e il piacere per la sua organiz-zazione (la capacità di fruire dellamusica scindendo e incastrandopezzi, come in un puzzle). Questatripartizione è quella che FrançoisDelalande ci illustra in La musi-que est un jeu d’enfant (1984), e ciauguriamo non apparirà immoti-vato il confronto che proveremo atracciare con l’organizzazione cheBaroni ci presenta invece in que-st’opera, costruita in forma di gui-da a un ascolto consapevole dimusiche non familiari, come reci-ta il sottotitolo.

Analogamente alla tripartizio-ne delalandiana, Baroni individuatre livelli che scompongono e ri-compongono l’atto d’ascolto. Co-me Delalande (attento a conside-rare la pratica musicale nella suainterezza attraverso una prospetti-va antropologica), anche Baroni,pur non abbandonando una posi-

zione di studio e di osservazioneculturalmente collocata nell’ambi-to della musica colta europea, èattento a definire i percorsi appog-giandosi ai più recenti contributiforniti dalla sociologia e dall’etno-musicologia.

Il primo livello (per enuncia-zione e non certo per ordine ge-rarchico), è il piano che potrem-mo definire affettivo; è il livelloche consente di entrare in sintoniacon l’opera musicale. Esso prendeforma, a sua volta, attraverso treattitudini alla ricezione. La primasi attua con la descrizione o spie-gazione a se stessi e agli altri del-l’opera musicale percepita; l’ope-razione di descrizione è di tipometalinguistico, nel senso che sirende necessario articolare unasorta di trasposizione (non nelsenso di traduzione) del linguag-gio musicale in un altro linguag-gio. È certo il linguaggio verbalequello con il quale più frequente-mente avviene questa sorta dispiegazione dell’atto di ascolto,ma lo stesso tipo di processo puòprendere forma attraverso il lin-guaggio figurativo (segnico, grafi-co, pittorico ecc.), il linguaggiogestuale, quello filmico ecc.

La seconda attitudine all’ascol-to è caratterizzata da un’immede-simazione con la musica di tipoempatico, che avviene quando l’i-dentificazione dell’oggetto sonoro(che può appunto coincidere con ilprocesso metalinguistico poc’anzidescritto) fa riverberare dentro disé un piacere di tipo estetico; è ciòche Eggebrecht chiama, in Che co-s’è la musica, «l’esistenza del sen-so per i sensi».

Il livello affettivo si completainfine attuando uno sforzo creati-vo (inteso come atteggiamentoaperto al confronto e alla discus-sione) che consenta di compiere

un’azione sia introspettiva percomprendere le qualità emotivedella musica ascoltata, sia di ester-nazione per rendere comunicabilitali qualità.

L’articolazione di questo primopercorso ha dunque affinità inparte con la prima, ma soprattuttocon la seconda dimensione presen-tata da Delalande. Baroni ne com-pleta in modo approfondito l’e-nunciazione.

La seconda condizione neces-saria alla comprensione del signi-ficato in musica è quella che pren-de forma attraverso l’articolazio-ne di un livello percettivo. Questoconsente di individuare i tratti di-stintivi di cui una musica è costi-tuita e si definisce attraverso l’a-nalisi delle dimensioni del suono.Il testo, tuttavia, è ben lontano dalproporne il canonico e consuetoelenco; ne fornisce piuttosto un’e-splorazione che tende a una defi-nizione delle strutture musicali al-largata e al tempo stesso rigorosae flessibile, e per questo utile all’a-nalisi di qualsiasi repertorio. Lecategorie alle quali si fa riferimen-to sono:• il ritmo, analizzato nelle dimen-sioni quali pulsazione, metro, ago-gica;• la tonalità, analizzata nelle di-mensioni quali scala, intervallo,profilo melodico, melodia, proso-dia, tonalità, armonia, polifonia;• la sonorità, analizzata nelle di-mensioni quali suono, dinamica,timbro, inflessioni intonative, arti-colazione, registro, tessitura;• la forma, analizzata nelle dimen-sioni quali ripetizione, somiglian-za, contrasto, gerarchia, retorica,narratività.

Per Baroni sono questi gli ele-menti che consentono di convali-dare in modo più attendibile l’in-terpretazione di un brano ascolta-to e di confrontare la scelta di si-gnificato dell’ascoltatore conquella del compositore; gli stessielementi costituiscono invece, perDelalande, il piano sul quale pren-de corpo il piacere per la dimen-sione organizzativa della musica.

Un ultimo livello sul quale Ba-roni insiste e che non viene presen-tato da Delalande (ma – a dire ilvero – lì la prospettiva è da legge-

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ste Tre condizioni

per un ascolto intelligente

ALESSANDRA ANCESCHI

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re all’interno del concetto com-plesso e affascinante della pedago-gia del risveglio elaborata in ambi-to infantile, in una dimensionemusicale che non separa l’atto del-la ricezione da quello della produ-zione – e chi ne avesse voglia puòandarsi a leggere la pagina 24 del-la traduzione italiana del libro del2001), è quello che potremmochiamare contestuale e che con-sente di collocare gli indizi affetti-vi e percettivi all’interno di con-cetti, idee, abitudini, usanze, im-magini, fantasie, sentimenti e va-lori di una comunità. Anche que-sto livello si individua dall’indagi-ne e dall’intersezione di più piani.Eccoli, in estrema sintesi.

Vi è dapprima un piano che in-daga i valori e le legittimazionidella musica che emergono dallarelazione dell’identità di ciascunoin rapporto all’identità di una so-cietà e di una cultura.

Non discosto da questo si col-loca il piano delle funzioni dellamusica, che consiste nell’identifi-cazione della musica come utile aqualcosa. Le funzioni che Baroniindividua come principali vengo-no elencate in musiche d’intratte-nimento, musiche rituali e musi-che estetiche.

Intrinsecamente legato ai duepiani precedenti vi è l’indagine deigruppi sociali all’interno dei qualiuna musica acquisisce un certo va-lore e una certa legittimazione inrelazione a specifiche funzioni;Baroni fornisce alcuni esempi dicategorizzazioni che possono ri-guardare le musiche per il popolo,le musiche per la corte, le musiche«sul mercato» (che cessano cioè diessere «al servizio di») e le musi-che della produzione industriale.

Infine, è proposta l’analisi de-gli stili attraverso cui identificarein quale posizione collocare unamusica; il percorso che conducealla scoperta di un’identità stilisti-ca si attua attraverso il riconosci-mento dei tratti strutturali che so-no stati segnalati come importantie significativi da una comunità diproduttori/ascoltatori.

La seconda parte del testo sicompone di una sezione altrettantosignificativa nella quale sono pre-sentate 40 schede d’ascolto (i due

cd allegati contengono tutti i reper-tori di cui si fornisce la guida) chehanno l’intento di condurre il let-tore/ascoltatore ad appropriarsidelle musiche ascoltate attraversoil percorso appena descritto. I re-pertori proposti nel primo discosono una sapiente selezione del pa-

trimonio della cultura colta occi-dentale (organizzati con criteriocronologico). Il secondo contieneopere delle avanguardie del Nove-cento, repertori della cultura afro-americana, musiche europee di tra-dizione orale, alcuni brani extraeu-ropei e del repertorio di massa.

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Un’utile raccolta di numerosissime attività di produzione e di ascol-to per esplorare e conoscere le molte potenzialità della voce, facil-mente realizzabili a scuola anche grazie ad alcuni apparati didatticiforniti nel cd allegato: La voce espressiva, Manuale di educazioneall’oralità e alla lettura di Carlo Delfrati, è certamente uno strumentodestinato a essere apprezzato dagli insegnanti per le sue molteplicipossibilità di utilizzo. Trentotto progetti individuano altrettanti ambitidi indagine, ciascuno dei quali finalizzato a sviluppare un obiettivoparticolare, ma che nell’insieme concorrono a costruire più atten-zione e consapevolezza nell’ascolto e nell’utilizzo della voce.

Ogni progetto è costruito secondo uno schema comune: l’espli-citazione dell’obiettivo specifico e un brevissimo testo introduttivo, acui seguono le indicazioni relative a numerose attività, spesso corre-date da testi e grafici per l’esecuzione.

La struttura editoriale del libro lascia libero il lettore di seguire cri-teri personali, scegliendo ambiti di indagine legati ai temi della pro-pria progettazione educativa, o farsi guidare dai molti collegamentiindicati a fine di ogni progetto, per seguire percorsi di approfondi-mento evidenziati dall’autore.

Numerosi progetti cercano di legare il doppio registro della voce,strumento comune ai linguaggi verbali e musicali, anche se forse iriferimenti alla letteratura tendono a superare quelli musicali e sem-bra che le moltissime attività che invitano a indagare le capacità vo-cali – applicandole a diversi ambiti espressivi e a migliorarle – ten-dano più a sottolineare quanto di musicale c’è nel linguaggio verba-le che non ad analizzare in modo specifico forme musicali che uti-lizzano la voce. Manca inoltre qualche progetto specificamente de-dicato a forme vocali oggi molto significative nell’esperienza di bam-bini e ragazzi, come ad esempio le possibilità ritmiche ed espressi-ve in uso nel rap e free-style, o le particolari modalità di doppiaggiodei cartoni televisivi.

Il manuale offre comunque la possibilità di un piacevole viaggioattorno alle potenzialità della voce, ancora poco indagate a scuo-la, organizzato secondo chiari riferimenti metodologici che rende-ranno più facile tradurre gli spunti in attività in viva voce. (FrancaMazzoli)

SCHEDE

Carlo Delfrati, La voce espressiva, Manuale di educazione all’o-ralità e alla lettura, Principato, Milano, 2001, pp. 192, con cd, 7 12,00.

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Pur non dichiarandole aperta-mente, Baroni ci fa intuire che leintenzioni di una efficace educa-zione all’ascolto hanno molto incomune con l’idea di condottamusicale che Delalande ci ha fattoconoscere in questi anni. Spostan-do l’attenzione sulle competenzenecessarie a soddisfare la com-prensione di un’opera musicale,Baroni non ci guida allo sviluppodi capacità utili a svolgere un tipodi ascolto particolare (quale atteg-giamento adottare, ad esempio,per l’ascolto di musica colta, qua-le per l’ascolto di musica popola-re, di musica popular e così via),bensì sollecita delle attitudini chepossano servire per diversi tipi diapproccio.

Un testo, dunque, che si pre-senta di sicuro orientamento siaper lo studente universitario nonavvezzo alle tecniche e al linguag-gio specifico della musica, sia perlo studente o l’insegnante musical-mente più esperto. Grazie all’e-semplare chiarezza e organicitàcon la quale Baroni conduce spes-so i suoi lettori, il libro diviene an-che sussidio accattivante per chivolesse – da curioso o appassiona-to che fosse – riuscire a verbalizza-re con agilità ed efficacia la musi-ca. Se i saperi scientifici si possono

esporre più o meno comodamentea parole, la musica, ci dice Baroni,è invece disagevole, scomoda,ostica. Insegnare a parlare di mu-sica è perciò uno degli intenti di-chiarati di questo libro.

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DA NON PERDERE di Luca Marconi

È opportuno realizzare interventi di educazione musicale nei con-fronti di soggetti anziani? Quali principi li fondano e quali metodi van-no utilizzati? Chi si pone domande di tal genere può trovare utili ri-sposte in questi due saggi dello psicologo della musica tedesco Her-bert Bruhn, che riassume numerose ricerche empiriche sull’argo-mento, e dello psicologo giapponese Toshio Iritani, che suggeriscecome impostare l’educazione strumentale sulla base della propriaesperienza di studio del pianoforte iniziato a 60 anni.

Ulteriori spunti si possono poi trovare negli altri articoli contenutiin questo numero monografico, interamente dedicato a una brancadella psicologia della musica sviluppatasi in questi ultimi anni, la“psychogeromusicology”, dedicata allo studio psicologico della rela-zione degli anziani con la musica.

Herbert Bruhn, “Musical development of elderly people”, e ToshioIritani, “Learning to play music in later adulthood: a personal per-spective focusing on piano”, Psychomusicology, vol. 18, Spring/Fall2002, numero monografico “The Psychology of music and aging:psychogeromusicology”.

MARIO BARONI, L’orecchio in-telligente. Guida all’ascolto dimusiche non familiari, EdizioniLim, Lucca, 2004, pp. 268, con2 cd allegati, 7 20,00.

PUBBLICAZIONI SIEM – OFFERTE 2005

Quaderni della Siem – È data l'opportunità ai soci triennali iscritti alla Siem dall'anno 2004e a coloro che si iscriveranno entro marzo per il triennio 2005/2007 di richiedere le copiearretrate dei Quaderni della Siem disponibili in archivio, al costo di �8,00 (�6,50 + �1,50spese postali).I soci che si sono già iscritti presso una sezione territoriale possono richiedere le pubbli-cazioni ed effettuare un versamento integrativo alla sede centrale.

Musica Domani e Quaderni della Siem – A tutti i soci sono offerte le annate arretrate del-la rivista Musica Domani e dei Quaderni della Siem disponibili in archivio:fino al 1999: �16,00 4 numeri di Musica Domani a � 2,00 ciascuno

+ �6,50 Quaderno della Siem + � 1,50 spese postali

dal 2000: � 21,00 4 numeri di Musica Domani a � 3,00 ciascuno+ � 7,50 Quaderno della Siem + � 1,50 spese postali

Per informazioni: tel. 011-9364761-338-6066686

controlla neri box

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«Tante sono le volte in cui ognu-no di noi vive sensazioni che nonriesce a spiegare a se stesso e aglialtri in modo chiaro, esplicito,corretto; eppure siamo sicuri diavere a che fare con percezionimolto reali, sentite, partecipate atal punto da lasciare tracceprofonde nella nostra pelle e nellanostra memoria. Sono le sensa-zioni di pelle, di una pelle che in-contra la musica, di un contattoche entra e rimane in noi perchélo desideriamo istintivamente, losentiamo come un primario biso-gno: il farci toccare dai suoni edalla musica per dar vita a un in-contro ricco, acceso, pieno d’e-mozione».

Così esordisce Maurizio Spac-cazocchi nel suo volume La musi-ca e la pelle, chiarendo da subitola rotta della sua indagine, e co-minciando a infonderci quello sti-le di lettura “di pelle” che non ciabbandonerà più fino alla fine dellibro.

Maurizio Spaccazocchi, peda-gogista, insegnante in Conserva-torio, in Università e in diversicorsi di musicoterapia, è tra queimusicologi che si sono occupatidel problema del “senso in musi-ca” (due nomi su tutti: FrançoisDelalande e Gino Stefani) dalpunto di vista dei cosiddetti studimusicali umano-centrici, facendoriferimento soprattutto alla quo-tidianità dell’esperienza sonora.Non è un caso che il volume chequi presentiamo venga pubblicatonella collana Idee e materiali mu-sicali del Centro Studi Musicali eSociali Maurizio Di Benedetto(per i tipi di Franco Angeli), cheproprio a quell’indirizzo musico-logico fa riferimento.

E non è neanche casuale cheproprio Spaccazocchi, con la suaparticolare curiosità nei confronti

della musicalità umana, abbia ri-tenuto di dover dedicare un interolibro al rapporto tra i suoni e l’e-lemento protagonista della senso-rialità tattile, la pelle appunto.Diverse tra le più recenti pubbli-cazioni dell’autore marchigiano sicollocano in àmbito musicotera-pico, e proprio il rapporto tra isuoni e la sensorialità è uno deipresupposti su cui la musicotera-pia fonda le proprie teorie e i pro-pri modelli operativi: apparechiaro come ciò vada a saldarsicol suddetto problema del sensoin musica, stabilendo anche uncurioso gioco di parole; peraltroquesto aspetto ludico legato al li-vello fonetico del linguaggio ver-bale ha un ruolo ricorrente nel ta-glio attribuito da Spaccazocchi al-la propria ricerca, e avremo mododi tornarci più volte.

Tatto, olfatto e gusto costitui-scono un trittico sensoriale pri-mordiale. Nella zona dei recettoridel gusto e dell’olfatto i tre sensiin questione esprimono la loromaggiore contiguità, dal momen-to che proprio lì la pelle confina,sfuma, quasi si confonde con lemucose del cavo orale e delle na-rici, stabilendo un’ideale alleanzatra questi antichi e nobili sensi.Oggi, in un’epoca in cui domina-no i mezzi di comunicazione au-diovisi, con tutte le conseguenze alivello massmediologico ma ancheideologico-culturale, quel tritticorisulta letteralmente mortificato,e ciò si misura anche nelle moda-lità che ai nostri giorni caratteriz-zano l’approccio al cibo: al super-mercato è la vista l’unico organodi senso che utilizziamo per distri-carci tra alimenti inscatolati e cel-lophanati; per attivare tatto, gu-sto e olfatto dobbiamo aspettare,semmai, il pasto. In generale misembra comunque che odori e sa-

pori tendano a una triste, asetticaomologazione. E a quanto pare,la mortificazione di quegli organisensoriali non avviene solo nel-l’attività percettiva di tutti i gior-ni ma conosce una ricaduta nega-tiva negli studi scientifici, ancheper quanto riguarda gli aspetti si-nestesici legati al suono.

Le ultime riflessioni con ognievidenza chiamano in causa anco-ra una volta la musicoterapia, ed èoramai chiaro come il presente vo-lume possa valere come un inte-ressante stimolo proprio per i mu-sicoterapisti. Tuttavia la musicote-rapia o la psicologia della musicanon sono certo gli unici riferimen-ti di questo volume, prova ne sia ilfatto che Spaccazocchi esplicita dasubito l’approccio pluridisciplina-re della sua indagine, attingendo apiene mani a «pizzichi di psicoa-nalisi, di pedagogia, di biologia, dichimica, di antropologia, di zoo-logia, di semiologia, di linguistica,di musica, di etnomusicologia, dimusicoterapia, di terapia alterna-tiva, di arte e di percezione in ge-nere, di biografia e di narrativa,ecc.» (pp. 9-10). Ed è anche un si-mile approccio culturale a trecen-tosessanta gradi che fa di questostudio uno strumento valido e sti-molante per insegnanti e animato-ri musicali, oltre che per i terapi-sti. La presenza dell’elemento so-noro-musicale nei curricula didat-tici, oltre che dal livello quantitati-vamente scarso, ai limiti della fati-scenza, in passato è stata a lungocaratterizzata da una sorta di au-to-referenzialità, che l’ha omolo-gata al carattere prevalentementenozionistico dei percorsi scolastici(si tratta peraltro di una proble-matica che deriva da vecchie con-cezioni storico-musicologiche).Viceversa, l’allargamento degliorizzonti ad altri campi del sapereconsente di inscrivere in manierapiù adeguata le esperienze sonoro-musicali nel vissuto degli indivi-dui. Anzi, lo stesso concetto diesperienza sonoro-musicale nonavrebbe alcun senso se non fossecollocato nel suo contesto sociale,culturale, artistico, biologico, psi-cologico.

Bisogna naturalmente precisa-re che il libro di Spaccazocchi

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steDar senso e valore

alle esperienze epidermiche

ROBERTO BOLELLI

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rappresenta la traccia di un per-corso finalmente intrapreso, al-l’interno di un terreno che qual-cuno si è preso la briga di comin-ciare a dissodare, ma che avrà bi-sogno di ulteriori cure per dare ifrutti più maturi. E le future ricer-che sull’argomento è auspicabileche si muovano proprio in dire-zione pluridisciplinare, magari inmaniera più sistematica e artico-lata di quanto abbia fatto Spacca-zocchi in questo suo primo ap-proccio all’argomento.

Il libro è diviso in quattro ca-pitoli, ciascuno funzionale all’im-pianto globale della trattazione,tanto che le varie parti risultanotutt’altro che compartimenti sta-gni, con frequenti rimandi da uncapitolo all’altro. I primi due ca-pitoli sono quasi complementari:nel primo, “Pelle per la musica”,vengono indagate tutte le caratte-ristiche della pelle, in relazione aelementi bio-fisiologici, sensoria-li, cognitivi, affetivo-emotivi, perpoi valutarne l’incidenza nelle va-rie esperienze sonoro-musicali de-gli individui. Nel secondo capito-lo, “Musica per la pelle”, si cercadi ribadire e rafforzare quanto de-scritto nel primo, semplicementeruotando il punto di vista e cen-trandolo di più sulle varie espe-rienze musicali descritte. Proprioquesta sorta di disarticolazionedel volume, se da un lato gli con-ferisce un tono quasi informaleche favorisce l’accostamento dellettore a un tema così particolaree nuovo, dall’altro ne limita l’e-ventuale vocazione scientifica, at-tesa a ben altre formalizzazioniparadigmatiche.

Spaccazocchi sin dalle primepagine del libro cita in modo ricor-rente lo studioso francese DidierAnzieu, che ha scritto quel L’iopelle che in questo caso, anche so-lo dal titolo, si può immaginarequale prezioso riferimento possacostituire. Infatti proprio Anzieu ciricorda che la pelle rappresenta il20% del peso totale del neonato, eil 18% dell’adulto, e ovviamenteoccupa una superficie nettamentemaggiore di tutti gli altri organi disenso; inoltre è proprio il tatto ilprimo senso che si sviluppa nel fe-to, precedendo l’olfatto e il gusto.

Proprio partendo da queglielementi quantitativi, Spaccazoc-chi prova a convincerci dell’im-portanza della pelle, e la rilevanzadella dimensione tattile nell’espe-rienza sonoro-musicale viene deli-neata soprattutto nel paragrafo“Pelle: orecchio diffuso”, nel qua-le, fissando questa efficace imma-gine sinestesica, prova ad attri-buire a tutto il “corpo-pelle” lecaratteristiche di un grande orec-chio capace di sentire i suoni (acorredo di ciò, anche un’opportu-na e tempestiva citazione di alcu-

ne sperimentazioni condotte daTomatis). Coerentemente con leteorie che prova a tracciare, l’au-tore usa nel suo studio una termi-nologia che definirei globalizzan-te: egli, partendo dal concetto se-condo cui la pelle ha tutte le ca-ratteristiche di un sistema multi-sensoriale (oltre alla percezionestrettamente tattile, esercita an-che quella della pressione, dellavalutazione del dolore, del calore,ecc.), ricorre sin dalle prime pagi-ne a espressioni del tipo “corpo-pelle”, “senso-azioni di pelle”, fi-

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Anche in Italia ci si è finalmente convinti che le attività di musicad’insieme e orchestrali sono fondamentali, fin dai primi anni di stu-dio, per imparare a suonare.

Assistiamo oggi a un fiorire di iniziative in tutte le scuole mediead indirizzo musicale, ma anche in molte scuole private e, a volte,perfino in qualche conservatorio. Anche le case editrici se ne stan-no accorgendo e cominciano a pubblicare materiali appositi.

È il caso della Carisch che ha recentemente proposto due collanedal titolo: Ensemble e Small Ensemble & Chorus. La prima presentatrentadue titoli di musiche molto note appartenenti a diversi generimusicali. Si va da canzoni quali We are the world o Bésame muchoa estratti da sinfonie di Haydn o Mozart, da celebri colonne sonore anoti brani di musica classica quali Farandole di Bizet o Te Deum diCharpentier o Alla turca di Mozart. Gli arrangiamenti e le orchestra-zioni sono di Andrea Cappellari e, in tre casi, di Roberto Fabbri e pro-pongono la formula funzionale, già sperimentata da case editrici in-glesi e americane, del kit utilizzabile con diversi organici.

È previsto un numero minimo di cinque/otto esecutori, più lepercussioni e il pianoforte a quattro mani ad libitum. Le diverse par-ti presentano differenti livelli di difficoltà, in modo da consentirne l’e-secuzione anche ad allievi al primo anno di studio e sono propostein diverse tonalità in modo da poter essere utilizzate con strumentiin do, in sib e in mib. Questo semplifica molto, anche se non lo eli-mina, il lavoro di orchestrazione che i docenti devono fare per adat-tare i materiali agli strumenti esistenti nelle loro realtà.

La seconda collana, sempre curata da Andrea Cappellari, con-tiene quattro titoli e prevede un organico più ridotto: si va dal duo, altrio, al quartetto, fino ad organici più ampi. È inoltre possibile ag-giungere il coro per il quale è predisposta una parte con un’esten-sione di poco più di un’ottava.

(Mariateresa Lietti)

SCHEDE

Ensemble e Small Ensembre & Chorus, collane di pubblicazionidi Musica d’insieme a cura di Andrea Cappellari, Carish, Milano.L’elenco completo dei testi delle due collane può essere consulta-to sul sito www.carisch.com

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no a fissare le caratteristiche dellamusica-corpo, che può essere divolta in volta globale o più o me-no articolata. Cioè, le sensazionidi pelle vissute attraverso la musi-ca sembrano dimostrarci che que-sta si presenta all’individuo come«l’immagine psicologica di uncorpo fisico che cerchiamo di raf-figurare» (p. 79); e certi gesti rit-mico-musicali che il corpo-sono-ro realizza finiscono per apparirequasi come delle imitazioni tattilidelle dita, del palmo, del pugno,delle labbra, della lingua, direttequindi ad attivarsi sia su una zonaspecifica del corpo e sia in tutta lasua interezza.

Alla luce di queste considera-zioni, possiamo dire che quel“grande orecchio” descritto daSpaccazocchi non è solo un’im-magine suggestiva, ma effettiva-mente la pelle è uno strumentopercettivo la cui importanza vaben al di là di quella che apparen-temente ha voluto assegnargli l’u-manità nel corso dei secoli, sepensiamo alla tendenza culturalea coprirsi fisicamente con gli abi-ti, e psicologicamente con altrogenere d’indumenti: bisogna im-parare a riappropriarsi della pro-pria pelle per poter vivere global-mente la musica-corpo.

Dunque appare chiaro cheSpaccazocchi non formula para-digmi, non elabora griglie. Egli silimita a enunciare dei postulati e aricercarne tracce nella realtà quo-tidiana, e per un argomento cheper la prima volta viene trattato inmodo così esteso non è certo pocacosa. Tale prudenza scientificanon impedisce all’autore di fissarequa e là alcuni paletti concettuali:uno di questi è rappresentato dal-la distinzione tra una percezionesensibile-corporea e una percezio-ne mentale-sociale, che caratteriz-zano anche i vissuti sulla musica esulla pelle (e ancora una voltaemerge la propensione pluridisci-plinare dell’indagine, col riferi-mento trasversale alle condottesenso-percettive e alle logiche so-ciali).

Si tratta «di due diverse mo-dalità di vivere e di percepire ilmondo: un tempo quasi poeticoper l’attivazione di tutti i sensi,

che permette di distinguere unarealtà molto complessa e vivaceche contrasta con una percezionelogica connessa a uno spazio-tempo che tende ad annullare tut-ta una ricchezza sensoriale all’in-terno di poche limitate stagionidel sentire» (p. 51).

Con analogo meccanismo, nelparagrafo “Musica pelle dei po-poli” Spaccazocchi sottolinea co-me le differenze di pelle davverosignificative tra le varie etnie delmondo (più che quelle di colore,foriere di sciagurate discrimina-zioni) siano da rintracciare nelladiversa propensione del corpoverso la terra o verso l’aria, percui, ad esempio, a occidente lacultura musicale ha prodotto i rit-mi delle marce militari scanditedagli ottoni, con le quali una sor-ta di «marciante corporeità»spinge verso il terreno la sua azio-ne «prensile», facendo gravareverso terra le principali percezionipsicofisiche di un individuo e fa-cendo sì che la sensibilità più raf-finata della pelle sia quasi rinne-gata. Al contrario, in alcune pra-tiche sonoro-musicali della cultu-ra orientale, per esempio le for-mule scalari dei raga o la ritualitàdei mantra, il corpo rivela una piùraffinata propensione aerea. An-che a occidente un tempo la spiri-tualità esprimeva qualcosa del ge-nere, attraverso la pratica del can-to gregoriano, oggi pressoché de-funzionalizzato.

Partendo da qui, l’autore asso-cia la sua trattazione a una chiaraposizione ideologica contro il mi-litarismo e contro la guerra: que-sta non deve e non può apparirecome una digressione pretestuo-sa, ma a mio parere rappresentauna legittima contestualizzazioneculturale, senza la quale l’aspettotrattato potrebbe sembrare scien-tificamente freddo e (in questo ca-so sì) persino pretestuoso. Oltre-tutto si tratta, purtroppo, di temidi grande attualità: i molti inse-gnanti che proprio in questo pe-riodo stanno proponendo nelleproprie classi percorsi sonoro-musicali per la pace, potranno ar-ricchirne i contenuti con le argo-mentazioni di Spaccazocchi inchiave tattile.

Nel terzo capitolo, “Contattimusicali”, certamente la parte piùtecnica del volume, vengono ana-lizzati alcuni brani musicali, siavocali che strumentali, che evi-denziano specifici vissuti di pelleconnessi ai due tipi di musica-cor-po (globale-articolato) appena in-dividuati nel capitolo precedente.Si fa fatica a rintracciare un branotra quelli presi in esame dall’auto-re, che meriti più di un altro unaparticolare menzione, tanto il ca-pitolo è denso di riflessioni checonsentono di connotare in chia-ve tattile le varie esperienze sono-re descritte: si va dal suono dei fo-nemi (il sibilo del serpente del Li-bro della giungla, la ruvida r, lapungente i) ai gesti melodici ditanti brani, o ai gesti vocali diparticolari intervalli. Come si puòintuire, le metodologie d’analisifanno ampio riferimento agli stu-di di Imberty e Delalande, ma so-prattutto a volumi come La melo-dia (G. Stefani, L. Marconi, Bom-piani, Milano, 1992) o Gli inter-valli musicali (G. Stefani, F. Ferra-ri, L. Marconi, Bompiani, Mila-no, 1990). E in tutto questo si ve-de come la vocalità abbia unospazio preminente, per cui dal re-spiro, al parlato, fino al canto so-no proprio (anche e soprattutto)sensazioni di pelle che connotanoquel genere di esperienze, quellapelle negata, occultata da abiti fi-sici e metafisici, della quale il cor-po sonoro tenta di riappropriarsiper altre strade, isomorfiche e si-nestesiche.

Ovviamente l’indagine è con-dotta in modo del tutto trasversa-le ai generi, come si conviene al-l’indirizzo musicologico descrittoall’inizio. E allora si spazia daVerdi a Besame mucho, da Pucci-ni a Eduardo De Crescenzo, daMonteverdi a Pino Calvi, dal jazza Rossini, da Elvis a Elton John,fino alle musiche dei cartoni ani-mati. Come si vede, e come è giu-sto che sia in uno studio condottosoprattutto sulle esperienze sono-re di tutti i giorni, il repertorio diriferimento comprende una cospi-cua dose di brani di popular mu-sic. Mi sembra il caso in questasede di segnalare come un musi-cologo italiano, Vincenzo Capo-

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raletti, da qualche anno propon-ga di definire questo genere musi-cale proprio “musica audiotatti-le” (V. Caporaletti, La definizio-ne dello Swing. I fondamenti este-tici del jazz e delle musiche audio-tattili, Ideasuoni Edizioni, Tera-mo 2000). Lo segnaliamo solo dipassaggio, come semplice sugge-stione, senza scendere nel detta-glio delle ragioni che hanno spin-to Caporaletti a proporre questotermine, semmai limitandoci adubitare dell’effettiva, immediatacomprensibilità di questa deno-minazione.

Il quarto, “Portare la pellea…”, è il capitolo operativo del li-bro, con tutta una serie di stru-menti concreti per esercizi, giochi,ecc., che insegnanti, animatori eoperatori vari potrebbero util-mente proporre nella propria atti-vità professionale. Al di là dellaprovvisorietà delle teorie presen-tate in quello che, con ogni evi-denza, si deve intendere uno stu-dio in progress, gli esercizi quipresentati possono costituire unaprima verifica sul campo, offren-do la possibilità di sperimentaredirettamente sulla pelle degli sco-lari e degli allievi dei conservatoriquel “grande orecchio diffuso”postulato da Spaccazocchi. E allo-ra: pronti, via! con l’esercizio delsuono-profumo, o con tutta unaserie di giochi nei quali i ragazzivengono bendati, per arginarel’invadenza dell’analizzatore visi-vo, e naturalmente con gli esercizisul carattere sonoro del linguag-gio verbale.

L’autore continua a pescare adampio raggio dai più svariati cam-pi del sapere, della cultura e del-l’arte: così troviamo la propostadi una trasposizione sonoro-musi-cale di uno degli Esercizi di stile diQueneau, consistente nella versio-ne tattile della recitazione di unbrano letterario. Oppure, pren-dendo spunto dal Manifesto Futu-rista sul Tattilismo, che viene quiriportato (pp. 128-132), l’autoresuggerisce l’organizzazione di unamostra tattile, corredata di«ascolti sonoro musicali e di ese-cuzioni di suoni e rumori in sinto-nia con le azioni di pelle da far vi-vere al pubblico» (p. 132). A Bo-

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RASSEGNA PEDAGOGICA di Roberto Albarea

Il tema della mediazione culturale rappresenta un importante ambitodi studio e di ricerca all’interno del più vasto campo della pedagogia in-terculturale. Molto spesso, però, con l’espressione “mediazione cultu-rale” si fa unicamente riferimento a quell’ambito professionale in cuisono impegnati i soggetti immigrati nella veste di mediatori linguistico-culturali, nel senso di figure che svolgono un’azione di tutoring e di col-legamento tra immigrati e servizi, istituzioni e strutture sociali della so-cietà di accoglienza. Il rischio che si corre nel considerare la questionesolo in questi termini, afferma Francesco Susi nella Prefazione al testo,è quello di una prospettiva riduttivista che pone l’attenzione soltanto suun aspetto, per quanto centrale, di una realtà ampia e composita.

Il volume curato da Massimiliano Fiorucci costituisce un primo esignificativo tentativo di allargare il campo di riflessione e di indagine,attraverso un approccio multidisciplinare e pluriprospettico del pro-blema, opponendosi a facili slogan e stereotipi ormai diffusi.

Nel saggio introduttivo il curatore illustra tale impostazione mostran-do i differenti livelli in cui si colloca e si attua la mediazione intercultura-le. È interessante notare come i processi e le attitudini di mediazione sirichiamino alla necessità di fondare una relazione educativa fatta disensi e significati, vissuti ed esperienze, dinamismi personali e perce-zioni di sé e degli altri. Un primo livello è quello della mediazione in sen-so ampio, di una mediazione in alcuni casi anche non intenzionale mache comunque avviene: è il livello della comunicazione. Si pensi al ruo-lo dei mass media, dell’azione politica, delle politiche istituzionali, dellachiesa, delle associazioni, dell’espressione artistica. La letteratura e lamusica rappresentano, in tal senso, uno straordinario territorio di co-municazione culturale e interculturale. Un secondo livello è quello dellamediazione interculturale: si tratta in questo caso di mediare tra i sape-ri, di far sorgere consapevolezza nei confronti di una rilettura di testi efenomeni, pervenendo così a una mediazone autenticamente pedago-gica in cui la scuola e la formazione hanno un ruolo centrale. Un terzolivello è costituito dalla mediazione linguistico-culturale, che non si ridu-ce a una attività di interpretariato, ma procede verso una politica di em-powerment e si collega alle varie espressioni della cittadinanza e ai suoisignificati in contesti, sempre situati. Il mediatore culturale non è quindi«l’esperto o il tecnico dell’educazione interculturale cui si demandano lequestioni dell’intercultura e dell’integrazione dei bambini stranieri», maesso rientra in un progetto educativo intenzionale «che taglia trasversal-mente tutte le discipline nella scuola e che si propone di modificare lepercezioni e gli abiti cognitivi con cui generalmente ci rappresentiamosia gli stranieri sia il nuovo mondo delle interdipendenze» (pp. 25-26).E allora si indagano i tempi e i luoghi della mediazione e dell’incontro.

Il primo dei saggi raccolti nel volume affronta il tema attraverso unaprospettiva di tipo letterario: la categoria della mediazione è centraleper comprendere il significato e il messaggio di un’opera letteraria. Sipotrebbe affermare (da parte di chi scrive) che occorrono «interpretati-ve framework», i quali fanno ricorso all’uso dell’intelligenza critica, allacapacità di penetrazione di eventi e contesti, al rapporto con la storia ela tradizione culturale, a una sensibilità percettiva che sappia leggereattraverso le pieghe dei fenomeni. Il secondo saggio affronta il tema delrapporto tra i mezzi di informazione e di comunicazione e l’immigrazio-

M. Fiorucci (a cura di), Incontri. Spazi e luoghi della mediazioneinterculturale, Armando, Roma 2004, pp. 256, 7 22,00.

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logna c’è già qualcosa del genere:si tratta proprio di una mostra tat-tile, allestita presso un istituto pernon vedenti, consistente in una se-rie di sculture, per le quali l’unicotipo di approccio proposto ai visi-tatori è appunto quello tattile. Ov-viamente, sarebbe interessante, se-guendo le indicazioni di Spacca-zocchi, associare una colonna so-nora a tale percorso.

La prima parte del capitolocontiene una vera e propria orgiadi elenchi di parole incolonnate,attraverso i quali, oltre che sul li-vello semantico del linguaggio,l’autore sembra voler concentrareancora una volta l’attenzione dellettore sulla dimensione sensorialedei fonemi, quasi a rinforzarequello stile di lettura sinestesico,dunque anche tattile (e ciò è fun-zionale alla proposta di giochi edesercizi basati sul suono delle pa-role). E sembra anche voler realiz-zare quanto auspicato all’inizio, ecioè che la lettura del libro si rive-li davvero «una calda carezza o unsimpatico pizzicotto». E a propo-sito della naturale propensionedell’autore verso la dimensionemultisensoriale e sinestesica, ilconsiglio è di andare a sentire unalezione di Maurizio Spaccazocchi:potrebbe capitarvi di sentirlo can-tare (e si tratta di un’eperienzasensoriale di tutto rispetto!) Em-braceable you o I’ve got you un-der my skin, brani che nel libro so-no forzatamente documentati soloattraverso il testo letterario e lanotazione musicale.

Poi è auspicabile che Spacca-zocchi torni ad approfondire l’ar-gomento audiotattile appena in-trapreso, magari estendendo l’in-dagine agli altri sistemi sensorialitrascurati, per il nostro piacere si-nestesico.

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Maurizio Spaccazocchi, La musi-ca e la pelle, Franco Angeli, Mila-no, 2004, pp. 144, 7 14,00

ne: emerge il concetto di comunicazione filtrata, di schemi sottintesiprecostituiti, che riportano il discorso sulla necessità di intraprendereun confronto civile, in base a reali conoscenze e non a indebite gene-ralizzazioni, fonti di pregiudizi e di rappresentazioni stereotipate.

Il terzo saggio, ricostruisce le origini e il percorso storico-socialedel jazz che, per sua stessa natura ed evoluzione, si caratterizza co-me genere musicale interculturale. Si esaminano i rapporti tra l’esi-genza di sopravvivenza e di autoaffermazione delle culture africaned’origine rispetto alle culture europee imposte; ne risulta un com-plesso processo di acculturazione che trova nel jazz e nelle sue ca-ratteristiche (poliritmia, vocalità, call-response, improvvisazione, pra-tica del signifying, materialità e spiritualità) una realtà da indagare,uno stimolo di riflessione, di stampo pluralistico e multiculturale.Non viene trascurata, inoltre, la vicenda del Sudafrica, in cui il jazz simanifesta come musica urbana, interetnica, internazionale e antia-partheid, per giungere a una affascinante ipotesi: la musica intesacome metafora di una società interculturale possibile.

Interessante risulta l’intervista di Fiorucci e Santarone ad AlessandroPortelli, che con i suoi studi ha svolto un vero e proprio ruolo di media-zione contribuendo a far conoscere agli italiani gli Stati Uniti nella lorocomplessa configurazione. Molte cose scritte a proposito sono centralinel campo degli studi interculturali e delle pratiche educative che sipropongono relazioni più civili e ricche tra italiani e immigrati. Negli stu-di di Portelli si focalizza l’attenzione sui dialoghi, sulla ricerca sul cam-po, sulla trascrizione, sull’ascolto, sullo sguardo e sullo specchio, sulmodo in cui le identità si costruiscono, non dentro gli spazi racchiusi daiconfini, ma sulle frontiere perennemente rinegoziate, negate, scavalca-te e rinnovate, che essi istituiscono (cfr. Rassegna Pedagogica del n.132). Non vengono sottaciuti neppure i «conflitti, le contraddizioni, glisdoppiamenti e le ambiguità che sorgono impreviste dentro spazi che sivolevano chiusi e omogenei, lacerando l’identità dei neri come dei bian-chi, sdoppiando al loro interno la voce e la scrittura, articolando nellamemoria storica e autobiografica la differenza fra l’io narrante e l’io nar-rato» (pp. 158-159). C’è però un rischio che si corre assumendo inmodo acritico la prospettiva del meticciato: in questa modifica di ap-partenenze, infatti, i soggetti sono quasi sempre collocati in una dimen-sione culturale non sempre correttamente intrecciata alle appartenen-ze sociali, alle condizioni economiche, alle condizioni di vita, ai fattori didisturbo e di esclusione, alla gestione dei diritti di cittadinanza, alle de-terminazioni storiche di classe (p. 165), (cfr. anche: R. Albarea, D. Izzo,Manuale di pedagogia interculturale, Ets, Pisa, 2002).

Gli ultimi saggi si concentrano maggiormente sugli aspetti didatti-ci e scolastici: così lo stesso Fiorucci si sofferma sulla mediazione di-dattica nella scuola offrendo indicazioni per compiere il necessariopassaggio (mediazione?) tra la pedagogia e la didattica intercultura-le. Paolo Balboni analizza gli aspetti inconsapevoli della comunica-zione contribuendo a porre in evidenza sia i problemi di tipo lingui-stico sia quelli di tipo non verbale che caratterizzano i rapporti e le re-lazioni tra persone di diversa origine culturale.

Gli ultimi due saggi si interessano, rispettivamente, dell’apprendi-mento e dell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua e dellerisorse didattiche sull’educazione interculturale disponibili sulla reteInternet.

Il volume si inserisce nelle linee di ricerca in cui si è impegnato ilCreifos (Centro di Ricerca sull’Educazione Interculturale e sulla For-mazione allo Sviluppo) operante presso il Dipartimento di Scienzedell’Educazione dell’Università di Roma Tre.

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Andrea Paolucci è il responsabile delle commissioni dilavoro della Siem. Gli abbiamo chiesto di tracciare unamappa che raffiguri i molteplici interessi della nostraassociazione e che testimoni quanta energiaintellettuale è messa in gioco al fine della diffusionedella musica in funzione educativa. Le difficoltà dipenetrazione della musica nella scuola sono note a tutti,a maggior ragione siamo riconoscenti a quanti dedicanoil loro tempo e la loro intelligenza a questo non facilecompito. (Annibale Rebaudengo)

Diverse sono le forme attraverso le quali si esplica la vi-vacità di un’associazione. Un ruolo strategico per la vi-ta associativa della Siem è rivestito dalle commissioninazionali, gruppi di lavoro che hanno il compito di esa-minare problematiche particolari connesse con le fina-lità statutarie, formulare indicazioni e proposte al Con-siglio direttivo nazionale e supportare i rappresentantidell’associazione nel lavoro dei gruppi interassociativie ministeriali. Le commissioni nazionali, pur non esclu-dendo la possibilità di apporti di membri esterni all’as-sociazione, sono costituite principalmente da soci, va-lorizzando in questo modo risorse, competenze, espe-rienze culturali e professionali.

L’istituzione e la durata della vita delle commissionipuò dipendere di volta in volta da esigenze organizzativeo di riflessione e ricerca interne all’associazione, ma an-che da stimoli esterni dettati da rapporti con altri enti erealtà associative, o, ancora, da istanze socio-culturali edi divulgazione scientifica. In qualche caso, le commis-sioni devono soddisfare necessità molto pragmatiche,come la commissione economica, che ha il compito diindividuare canali di finanziamento pubblici e privati perle attività nazionali dell’associazione.

Anche la commissione scientifica per i corsi nazionalidi formazione e aggiornamento è nata con finalità moltoconcrete. Il primo tra i suoi obiettivi – progettare e coordi-nare le iniziative di formazione e aggiornamento a caratte-re nazionale – costituisce ancora oggi per la Siem uno deimaggiori punti di forza sia in termini di realizzazione degliscopi statutari, sia di riconoscimento esterno (la Siem èente riconosciuto per la formazione in servizio da parte delMinistero dell’Istruzione) sia per le numerose occasioni diaggregazione e di scambio che offre ai soci. Questa con-solidata attività della commissione, supportata nel suo la-voro da comitati tecnico-scientifici di volta in volta costitui-ti per le singole iniziative, si sta oggi indirizzando ancheverso altre e più complesse funzioni di ricerca, come quel-la di far emergere e soddisfare bisogni formativi di soci chesempre più spesso provengono da esperienze professio-

nali e di formazione differenziate. Del resto, l’importanza,all’interno dell’associazione, della riflessione sulla forma-zione nel campo musicale ha dato vita anche ad altri duegruppi di lavoro: la commissione per la formazione on-li-ne, che, oltre a interessarsi dei rapporti con INDIRE, si oc-cupa di individuare forme e metodi per iniziative nel cam-po della formazione a distanza, e la commissione Conser-vatorio/Università, che, ultima nata in seguito ai cambia-menti delle norme sulla formazione dei docenti di musicanella scuola, ha il compito di proporre documenti e inizia-tive per avviare un confronto tra le due istituzioni e avvici-narne le posizioni al fine di trovare un percorso formativointegrato per i futuri docenti di musica.

La complessità e l’attualità delle problematiche relati-ve alle riforme scolastiche e alla presenza dell’educazio-ne musicale nei diversi segmenti e indirizzi dell’istruzione– un ambito nel quale la Siem ha svolto da sempre unruolo, anche fattivo, di primo piano - è l’oggetto dei man-dati di tre distinte commissioni: la commissione scuoladell’infanzia, primaria e secondaria, che, suddivisa a suavolta in tre sottocommissioni corrispondenti ai tre ordinidi scuola, si occupa di seguire il riordino del sistema sco-lastico e fornire indicazioni curricolari e operative per i di-versi ordini di scuola nel quadro dell’applicazione dellariforma; la commissione scuole a indirizzo musicale, allaquale è deputato il compito di avanzare proposte in me-rito agli obiettivi specifici d’apprendimento della scuola aindirizzo musicale, compresi i futuri licei musicali; lacommissione conservatorio, il cui mandato consiste neldefinire i tratti della formazione degli insegnanti di stru-mento per la scuola primaria e secondaria.

L’attività di divulgazione svolta dalla Siem sugli aspettididattici ed educativi della musica è, invece, legata a duespecifiche commissioni che si occupano di editoria: lacommissione editoriale sulla didattica della musica, chesi interessa alla progettazione di temi che curatori, tradut-tori e autori svilupperanno nelle pubblicazioni in collabo-razione con Edt e Carocci, e la commissione editorialesulla letteratura del primo approccio strumentale, che hail compito di proporre la traduzione e la pubblicazione ditesti di letteratura musicale per il primo approccio allostrumento e di elaborare un progetto editoriale basato suuna metodologia unitaria per tutti gli strumenti.

Ci sono infine, all’interno della Siem, commissioni co-me quella denominata Progetto UE, che, avendo l’incari-co di seguire la realizzazione del progetto di cooperazioneinternazionale tra la Siem, la Scuola “Donna Olimpia” diRoma e il Conservatorio di Gerusalemme, opera affinchél’associazione possa varcare i confini dettati dalle cartegeografiche e dagli insensati scontri etnici e religiosi.

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em Commissioni nazionali

ANDREA PAOLUCCI