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Collana diretta da Maria Concetta Di Natale

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Maria Concetta Di NataleMaurizio Vitella

Il Tesoro della Cattedraledi Palermo

saggio introduttivoLina Bellanca e Guido Meli

fotografieEnzo Brai

FLACCOVIO EDITORE

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Grafica Dario Taormina

Proprietà artistica e letteraria riservata all’Editore a norma della Legge22 aprile 1941, n. 633. È vietata qualsiasi riproduzione totale o parziale anche a mezzo di fotoriproduzione, Legge 22 maggio 1993, n. 159.

ISBN 978-88-7804-485-2

www.flaccovio.com [email protected]

© 2010 copyright by S. F. Flaccovio s.a.s. - Palermo, via Ruggero Settimo, 37

Stampato in Italia - Printed in Italy

Comitato scientifico:Francesco Abbate, Vincenzo Abbate, Maria Andaloro, Maria GiuliaAurigemma, Geneviéve Bresc Bautier, Antonino Buttitta, Maurizio Calvesi,Rosanna Cioffi, Maria Concetta Di Natale, Pierfrancesco Palazzotto, Mons.Giuseppe Randazzo, Massimiliano Rossi, Mons. Giancarlo Santi, Gianni CarloSciolla, Carlo Sisi, Mons. Timothy Verdon, Maurizio Vitella, AlessandroZuccari.

Si ringraziano per la cortese disponibilità il sig. Emilio Mulinelli, il sig.Vincenzo Licciardi, il sig. Gioacchino Angileri e tutto il personale dei custodiadella Cattedrale.Un ringraziamento per i preziosi consigli al prof. Pierfrancesco Palazzotto e alprof. Giovanni Travagliato.Si ringraziano, inoltre, per l’attenzione ai lavori di allestimento la dott.ssa AdeleMormino, Soprintendente ai Beni Culturali di Palermo, e l’arch. MatteoScognamiglio, Dirigente dell’Unità Operativa Beni Architettonici.Un sentito ringraziamento, infine, al Parroco della Cattedrale Mons. Gino LoGalbo, al Direttore dell’Ufficio dei Beni Culturali della Curia Arcivescovile diPalermo Mons. Giuseppe Randazzo, al Vescovo Ausiliare S.E. Mons. CarmeloCuttitta e all’Arcivescovo dell’Arcidiocesi di Palermo S.E. Mons. Paolo Romeo.

Le immagini fotografiche da pag. 9 a pag. 34 sono state fornite dagli autori.

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Premessa

La visita di Sua Santità Benedetto XVI nella nostra Città di Palermo è provviden-ziale occasione per la realizzazione di questo prezioso volume che vede organica-mente e criticamente studiati i luoghi e le opere del Tesoro della Cattedrale. La variegata raccolta di capolavori, da secoli custodita prima nella sacrestia nuova(sino al 1941), poi nella sacrestia dei beneficiali, dal 2006 trova spazio negliambienti dell’ex sacrestia dei Canonici e in altri locali attigui, appositamenterestaurati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali. Il nuovo allestimento ha permesso la creazione di un percorso di visita che, oltrea valorizzare le splendide suppellettili liturgiche, i sontuosi parati sacri e le rareoreficerie della dinastia normanno-sveva, consente di fruire di ambienti riscoper-ti, come il diaconicon e la cripta.Questa monografia, dovuta alla competenza di Maria Concetta Di Natale e diMaurizio Vitella, documenta le numerose opere d’arte che compongono il “Teso-ro” della nostra Chiesa Metropolitana, una collezione arricchitasi negli anni con ledonazioni dei Vescovi che si sono succeduti nel governo della Diocesi, ed accre-sciuta, nel 1781, della magnifica corona dell’Imperatrice Costanza d’Aragona,moglie di Federico II di Svevia, manufatto rinvenuto, insieme ad altri, all’internodei Sepolcri Reali. Tutte queste opere sono oggi esposte nei suggestivi locali restaurati sotto la dire-zione dell’arch. Guido Meli, collocate nelle vetrine progettate dall’arch. Lina Bel-lanca. L’allestimento, realizzato secondo una progressione cronologica, documen-ta circa sette secoli di produzioni orafe e tessili legate in parte ai fasti della corteimperiale, ma soprattutto alla celebrazione del Culto Divino.I calici, le pissidi, i reliquiari, gli ostensori, le sacre vesti e i paliotti, studiati in que-sto volume, sono l’evidente attestazione di come, nei secoli, si è voluto celebrare ilMistero attraverso l’uso di manufatti liturgici che sono anche creazioni artistiche ecome tali manifestazioni di quella bellezza che, come afferma il Pontefice, “proprio

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per la sua caratteristica di aprire e allargare gli orizzonti della coscienza umana, dirimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’Infinito, può diventare unavia verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio” (Discorso rivolto daBenedetto XVI il 21 novembre 2009, nella Cappella Sistina, agli artisti).La contemplazione delle opere d’arte qui presentate porta a comprendere quel-l’armonioso cammino che arte e fede hanno compiuto con sincronia nei secoli,consentendoci di comprendere, insieme al valore estetico, anche la loro dimensio-ne simbolica e la loro collocazione funzionale e spirituale di cui sono parte inte-grante. Attingiamo, dunque, alla ricchezza e alla bellezza di questo “Tesoro”, con-vinti che, come ci ricorda il Santo Padre, “la via della bellezza ci conduce a coglie-re il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità”.

� Paolo RomeoArcivescovo Metropolita di Palermo

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Il Tesoro della Cattedraledi Palermo

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I LUOGHI DEL TESORO

Lina Bellanca - Guido Meli

Restauri nell’area museale della Cattedraledi Palermo

Difficile trovare un altro edificio così com-plesso e stratificato come la Chiesa Cattedraledi Palermo, un vero e proprio palinsesto dellamemoria, per le vicende costruttive della suafabbrica che attraversa l’intero percorso del-l’età cristiana, testimone dei mutamenti politi-ci, religiosi e culturali che hanno interessato laSicilia e la città di Palermo in particolare.Intorno alla costruzione del Duomo si è svi-luppata una ricca e dotta ricerca storiografi-ca, suscitando negli studiosi di varie epocheun profondo interessamento perché, comepochi edifici, questo monumento è statosempre strettamente correlato alla storiadella città e di questa ne è stata testimone, intempo di pace ed in tempo di guerra, intempo di dolore ed in tempo di gioia, entrole sue mura hanno riecheggiato i pianti didolore e le grida di gioia del popolo, chenella Cattedrale ha riconosciuto il centro diaggregazione della Città.Molti documenti sono andati dispersi, l’Ar-chivio della Maramma, la Fabbriceria dellaCattedrale, andò distrutto durante un incen-dio nel 1860, a causa delle bombe borboni-che, durante gli scontri con le truppe gari-baldine; altri scritti di illustri studiosi sonorimasti e, pervenuti ai nostri giorni, risulta-no importanti non solo per la descrizionedella fabbrica al loro tempo coevo, maanche perché hanno potuto attingere a que-gli archivi, oggi perduti, riportando notizie etrascrivendone documenti, altrimenti ogginon più consultabili.

Non tutte le notizie riportate dagli storio-grafi risultano comunque attendibili, perchéalcune trascritte o tradotte in manieraimperfetta, altri dati sono stati riportati,avendone prima interpretato, in modo per-sonale, le informazioni, altre ancora sonostate addirittura travisate o modificate perdimostrare tesi contrarie o a favore di certiindirizzi culturali o politici. La lettura di questi documenti deve essereperciò condotta con molta attenzione edanalisi critica, ripercorrendo l’analisi dellefonti e rileggendo, ove possibile i documen-ti trascritti, anche in lingua originale, nonfidandosi delle traduzioni effettuate.È questo il caso di uno dei più interessantied accreditati storiografi, che hanno effet-tuato le loro ricerche intorno al Duomopalermitano, il padre gesuita GiovanniMaria Amato che, sul finire del XVIII seco-lo, scrive il “De Principe templo panormita-no”, miscellanea di notizie, racconti, docu-menti e tradizioni riportate che hannocomunque il grande pregio di una ricca rac-colta di dati e rimandi, trascrivendo ancheparecchi diplomi, oggi perduti e riportandoinsieme a notizie attendibili anche astrazionio deduzioni basate su supposizioni persona-li o trascritte da altri autori.Il tema principale della ricerca degli storici èstato incentrato sulle origini del tempio e lasua presunta riedificazione, collocata nellaseconda metà del XII secolo, ed attribuitaall’opera dell’Arcivescovo palermitanoGualtiero Offamilio, indicato di origineinglese, regnante il re normanno Guglielmoil Buono. Per prima cosa va chiarito l’esatto nome diGualtiero: la presunta origine inglese delVescovo, Of the mill, deriva da una letturadistorta del termine Offamilio, collegato al

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nome dell’Arcivescovo e riportato in tutti idocumenti. In effetti, così come sapiente-mente osservato da Mons. Benedetto Rocco,non si tratta di un cognome ma di un attri-buto, leggendosi correttamente nelle perga-mene Gualtierus Qfamili°is Regni…, si èscambiato, in pratica, la lettera Q teta del-l’alfabeto greco, posta a capoverso e usata indiplomatica per abbreviare il termine proto,con una O, in effetti la frase si legge: Gual-tiero Protofamiliare del Regno, cioè primofamiglio del regno, attributo di dignitario,così come riportato nelle cronache delloscrittore coevo Ugone Falcando.La seconda questione riguarda i tempi dellacosiddetta riedificazione della fabbrica, cer-tamente dedicata e consacrata all’Assuntanel 1185 come risulta da documenti, le cuicronache tramandate, in assenza di atti certi,la indicano ricostruita in soli due anni, tra il1183 e il 1185, dopo avere demolito la pree-sistente Moschea e in più traslandola dal suosedime di una decina di metri.Tutti gli studiosi che seguono l’opera dell’A-mato fanno riferimento ai suoi scritti ed aquelli di altri famosi storiografi – Auria,Pirri, Mongitore, Morso, Villabianca – stu-diosi comunque vissuti dal cinquecento inpoi, e quindi lontani dal potere interpretarecorrettamente le vicende costruttive prece-denti, in mancanza di precisi documenti aciò dedicati, o non avendo l’interesse speci-fico a consultarli, trattandosi per lo più diatti contabili da cui potere dedurre le coserealmente fatte; atteggiamento, peraltro,culturalmente lontano dall’odierna storio-grafia e dalla ricerca scientifica così comeoggi è comunemente intesa.Certamente un decisivo contributo puòvenire dalla ricerca sul campo, condotta consistemi scientifici, integrata dalle ricerche

d’archivio e la rilettura dei testi cartacei ori-ginari, superstiti, finalizzata a ben preciseindicazioni che provengono dalla lettura deidocumenti lapidei. Purtroppo i passatiinterventi di restauro nel monumento, con-siderata anche la temperie culturale in cui sisvolgevano, non hanno perseguito tale fine,portando di fatto alla perdita ed alla cancel-lazione di alcuni importanti dati di lettura o,ancora peggio, cambiando i connotati adalcune parti del testo architettonico, impe-dendone ogni rilettura e portando in equi-voco lo studioso che, con strumenti piùadatti, ne avrebbe potuto trarre conclusionidiverse.Sotto questo profilo certamente la granderestaurazione della fabbrica, avvenuta sulfinire del XVIII secolo, ha prodotto i guastipiù irrimediabili, ma sono stati altrettantocritici i più importanti interventi di restauroeffettuati nella Cattedrale negli anni trenta ecinquanta del XX secolo, certamente oggicriticabili ma frutto dell’indirizzo culturaledi quel periodo.Sulla scorta di approfondite indagini e larilettura dei testi ha preso avvio l’ultimointervento di restauro della Cattedrale, conla finalità, tra le altre, di apportare ulterioritasselli alla conoscenza della fabbrica, spe-cialmente per quel che riguarda la sua fon-dazione, avvolta in questo alone di leggen-da, come il rinvenimento di un tesoro pres-so l’abbazia di S. Spirito, con il quale sicominciò ad edificare il Tempio, le cui noti-zie si sono basate sulla lettura distorta diparti di documenti e sul tramandarsi di tra-dizioni non supportate da alcuna fonte sto-riografica attendibile; va in particolare rife-rito come apparisse assolutamente incon-gruo e singolare il fatto più volte riportato,ma mai suffragato da prove certe, dell’ab-

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battimento dell’antica Cattedrale e la riedi-ficazione della nuova, per poi spostarla dipochi metri, cosa assolutamente insolita,nella storia delle fabbriche antiche, cheinvece con molto buon senso hanno subitovariazioni ed ampliamenti sempre avendocome base di partenza l’originaria costru-zione.La Cattedrale di Palermo è stata oggetto, inquesti ultimi venti anni, di un complesso edarticolato lavoro di restauro1, condottoattraverso un’attenta analisi del manufattoed uno studio di tutte le sue membratureoriginarie.L’intervento è stato suddiviso in due fasiparallele, denominate: il cantiere della con-servazione ed il cantiere della conoscenza. Ilprimo, destinato ad apportare alla grandefabbrica le opere necessarie alla riparazioneed al restauro dei guasti che il tempo e l’in-curia degli uomini hanno incessantementeprovocato; il secondo, dedicato ad acquisireuna conoscenza fondamentale del manufat-

to e dei materiali che costituiscono la com-plessa fabbrica del Duomo palermitano, perun doveroso contributo alla ricerca sullastratigrafia architettonica che lo componeed alla sua storia di fondazione (fig. 1).L’opera di restauro che si è condotta nellaCattedrale, oltre che mirata alla conserva-zione del monumento, ha avuto infatti il finedi documentare la storia del manufatto,attraverso le modifiche operate nel tempo.Si è proceduto seguendo la metodologiapropria dell’archeologia, lasciando testimo-nianza di tutto ciò che si è incontrato, racco-gliendo e mantenendo ogni frammento edogni parte utile per una esatta lettura deltesto architettonico, conservando così la tes-situra di tutti quegli elementi, strutturali efigurativi, che sono testimonianza dellacostruzione della grande fabbrica nei secoli.Prima di mettere mano ai lavori e durante ilcorso degli stessi, presa visione di ogni sin-gola parte della Cattedrale, studiati gli spazi,ci si è posti nella condizione di poter legge-

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Fig. 1 - Pianta della Cattedrale antecedente ai lavoridel Fuga (1781-1801). Particolare dell’area del Presbi-terio.

Fig. 2 - Pianta della Cattedrale dopo le trasformazio-ni. Particolare (da: Nino Basile, La Cattedrale di Paler-mo, Milano 1926).

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re la fabbrica attraverso ciò che le stesse pie-tre raccontavano, approfondendo così glistudi finora condotti da storici ed eruditi,che nel tempo si sono occupati del Duomopalermitano ed in particolare l’opera, tantocontrastata, del padre Giovanni MariaAmato, De principe tempio panormitano2. Si sono potuti così riscontrare sui luoghimolti elementi descritti, solo ipotizzati oanche completamente alienati, pervenendoalla composizione di una sorta di palinsestodella storia e ritrovando quella Cattedraledella memoria creduta per anni completa-mente scomparsa.Si può oggi affermare, con certezza su basiscientifiche, che la cattedrale di Palermo,nella sua originaria composizione plano volu-metrica di impianto bizantino, rimase presso-ché immutata nei secoli, fin dal suo completa-mento formale avvenuto nel XIII secolo, tran-ne che per alcune aggiunte quattrocentesche ecinquecentesche, fino allo scadere del XVIIIsecolo, quando, su progetto del regio architet-to Ferdinando Fuga, il monumento subì,secondo il gusto dell’epoca, profonde trasfor-mazioni che in parte annullarono, ed in parteoccultarono, zone della precedente fabbrica.

La trasformazione più evidente riguardò l’a-rea presbiterale, eliminando l’originale Tituloed Antititulo della basilica normanna (fig. 2).La creazione del transetto con al centro unagrande cupola, la realizzazione delle cappel-le del Santissimo Sacramento e di SantaRosalia, il maggiore prolungamento del corofino all’abside maggiore con un nuovo cap-pellone centrale, scomposero la spazialitàoriginaria della zona dell’Antititulo.Questo era costituito da uno spazio traver-

so rispetto all’assialità della chiesa e divide-va l’area del Titulo, comprendente il coro, letombe dei vescovi e le tombe regie, dal siste-ma triabsidato, fungendo da ambulacro nel-l’area del santuario. La creazione del grandecappellone del coro, che attraverso grossimuri saldò l’originario titulo con l’absidemaggiore, interruppe lo spazio dell’antititu-lo isolandone le due parti terminali, rispetti-vamente la Prothesis a settentrione ed il Dia-conicon a meridione, che insieme alle absidiminori furono abbandonate e ristrutturateper usi non congrui.L’Antititulo era originariamente copertocon un tetto a padiglione, a causa dei lavoridi trasformazione subiti dalla fabbrica nelXVIII secolo, venne interrotto nella sua uni-cità, anche nelle parti terminali, realizzandodue tetti ad una falda con imposta superiorealla quota originaria.Con l’intervento di restauro sono stati rea-lizzati due piccoli tetti a padiglione, a coper-tura delle due zone, residue dell’Antititulo(fig. 3). I nuovi tetti sono stati reimpostatisulla ritrovata quota originaria, in modo taleda liberare le merlature ed il passetto dironda. I lavori del XVIII secolo hanno inoltre pro-fondamente trasformato tutto il tetto dellanavata centrale, che venne innalzato di circa

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Fig. 3 - Copertura della Prothesis, il tetto a padiglionedopo i restauri.

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tre metri dal piano di imposta originario,provocando altresì la scomparsa delle deco-razioni e dei fregi terminali, riusando barba-ramente tutti i conci intagliati in manieraimpropria all’interno della muratura occorsaall’innalzamento della fabbrica. Ne dà testi-monianza un concio intarsiato ritrovato,mischiato al materiale lapideo che compone-va la muratura di sopraelevazione (fig. 4)3.L’abside maggiore in origine terminava con lacalotta del catino estradossata, coronata da ungiro di merlature, cui era addossato un passet-to di ronda. Nei lavori di restauro settecente-schi fu smembrata la grande tribuna marmo-rea, realizzata nel primo trentennio del XVIsecolo ad opera di Antonello Gagini, cheimpreziosiva il catino absidale, e demolita lacalotta emisferica; furono realizzati un nuovo

muro, che rettificò all’interno la curvatura delcatino, e una nuova calotta emisferica. Lasituazione venutasi a creare nella parte termi-nale esterna risultava assai incongrua, prefe-rendo così coprire l’abside con un tetto ligneoad orditura tronco-conica.Il restauro ha permesso di conoscere edocumentare le trasformazioni primadescritte, procedendo al consolidamentodel coronamento; è stato eliminato il tettoposticcio, lasciando a vista la coperturaestradossata della calotta settecentesca; sonostate liberate le merlature, che venivanoaffogate dall’orditura lignea a queste addos-sata; è stato ritrovato e conservato l’origina-rio passetto di ronda. Il restauro, oggi definito, presenta una lettu-ra composta delle varie parti, assicurando alcontempo la conservazione di tale ambito.I lavori di bonifica, manutenzione e consoli-damento hanno permesso di andare oltre lamateria, di riuscire a guardare al di là dellepietre, tralasciando per un momento i pro-blemi della loro conservazione per potersichiedere qual era la loro funzione, chi e per-ché le ha collocate così, quale messaggio eraracchiuso nella maglia della loro tessitura;per poter riuscire a cogliere il significato diquel testo non scritto che, labile diaframmatra materia e forma, connota ogni opera del-l’uomo, quando questi ha voluto trasferirenei manufatti la propria storia, la conoscen-za e la devozione.Si è così sviluppato parallelamente un can-tiere della conoscenza, che ha permesso diriaprire le indagini sulla storia del Duomoche, con l’occasione dei lavori di restauro,potesse chiarire tutti quegli interrogativi emisteri che gli storici si sono posti e ai qualile pietre interrogate non hanno potuto ovoluto dare risposta.

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Fig. 4 - Concio in pietra ad intarsio, rinvenuto duran-te i lavori di rifacimento delle coperture.

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1. DIACONICON

Di grande rilevanza sul piano storico escientifico è la ricerca che, attraverso irestauri, si è svolta nell’area del massiccioorientale della cattedrale e più propriamen-te nelle fabbriche che ne compongono ilfronte meridonale del Santuario e cioè nellaparte residua dell’Antititulo in fregio all’ab-side laterale destra chiamata Diaconicon.Occorre qui richiamare quanto primadescritto riguardo alla grande restaurazionedel XVIII secolo, che ha operato una pro-fonda e radicale trasformazione della chiesacattedrale di Palermo, secondo un’imposta-zione neoclassica degli spazi interni.La nuova progettazione riformulò la piantadella cattedrale a croce latina, realizzando ilnuovo transetto in posizione avanzatarispetto all’abside originario, creando le duenuove cappelle del Santissimo Sacramento edi Santa Rosalia, rispettivamente in fregioalla navata laterale sinistra ed alla navatalaterale destra, restringendo pertanto la pro-fondità originaria dell’aula chiesastica delduomo normanno.Le due cappelle laterali, così realizzate,occultarono le originarie absidi della Prothe-sis, a sinistra e del Diaconicon, a destra che,prive della loro funzione e spazialità, servi-rono come spazi di risulta e di servizio.Dell’originario antititulo rimasero così duepiccoli vani pressoché regolari, di formaquadrata, dalle dimensioni di circa trentaseimetri quadri, oggi visibili nel retro dellecitate cappelle. Entrambi gli spazi, conglo-banti i vani delle due absidi minori, furonoammezzati e soppalcati in altezza, fino a ren-derne irriconoscibile il sito che, in origine,dovette essere uno degli ambienti più affa-scinanti e preziosi della cattedrale norman-

na. L’antititulo era unitariamente concepitoe coronato in sommità, per tutto il suosviluppo, da un loggiato che correva peri-metralmente ai muri d’ambito, terminandosulle pareti del coro4.La parte meridionale del residuo antititulodel duomo, in corrispondenza dell’absidedel Diaconicon, è stata oggetto di un com-plesso intervento di restauro che ha permes-so la riappropriazione all’interno della catte-drale di un brano della struttura originaria.I lavori di restauro hanno consentito direstituire la primigenia continuità verticaledi tale spazio, mettendo in vista l’intero cati-no absidale e ponendo in correlazione il log-giato di coronamento superiore direttamen-te con lo spazio di fruizione interno (fig. 5).Il loggiato terminale presentava un avanzatostato di degrado, causato principalmentedalle infiltrazioni d’acqua provenienti dallafatiscente copertura. In questa zona lecolonne ed i capitelli conservano una mini-ma parte di una ritrovata decorazione poli-croma, presente invece in quantità maggiorenella parte settentrionale dello stesso antiti-tulo. Nella zona meridionale sono stateritrovate vaste decorazioni di età barocca,

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Fig. 5 - Diaconicon, dopo i lavori di restauro.

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realizzate a ‘fresco’, con festoni e fasce dicolore verde e rosso (fig. 6).L’opera di restauro ha permesso di recupe-rare sul fronte esterno parte dell’originariaiconografia della cattedrale. E stato riapertoil grande oculo di meridione (fig. 7) che,liberato dalla posticcia tompagnatura edopportunamente consolidato, è stato defini-to con un grande infisso ligneo, disegnatosecondo lo schema a scacchiera presentenelle antiche iconografie, ricevendo confer-ma nei ritrovati fori di alloggio dell’infissooriginario, che ne hanno indicato l’esattacollocazione e partitura. Anche all’interno siè così recuperata parte dell’originaria luce,nell’area sacra del santuario, che illuminava

a mezzogiorno la parte centrale dell’antititu-lo in corrispondenza dell’abside maggiore;luce che oggi si infrange contro il muro set-tecentesco che ne ha ridotto lo spazio.Nel Diaconicon i lavori di restauro hannointeressato, infine, l’approfondimento del-l’indagine stratigrafica dei livelli sottostantila pavimentazione, dove è stato messo inluce un cunicolo afferente all’angolo SWdella cripta. Tale passaggio, che transita sotto il pavimen-to dell’antititulo quasi a ridosso del grandeportale di accesso alla sacrestia dei canonicie che scende tuttora con sette gradini nellacripta, era coperto, al momento del rinveni-mento, da una volta a sesto ribassato costi-tuita da conci di riuso malamente assembla-ti sul sottostante riempimento. Era statocolmato, infatti, con ossa e terreno di risultaintorno alla metà del 1800 ed utilizzatocome ossario5, dal momento che le fondazio-ni dell’attuale muro SW del Diaconicon (dariferirsi ai lavori tardo-settecenteschi perl’imposta della cupola del Fuga) ne avevanointerrotto il percorso. Anche l’accesso dal lato della cripta erastato impedito mediante un muro di tampo-namento spesso più di un metro. Eliminatoil muro e completato lo svuotamento del

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Fig. 6 - Diaconicon, decorazioni di età barocca.

Fig. 7 - Diaconicon, fronte esterno prima del restauro.

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riempimento, si è messo a vista il pavimentodel cunicolo: esso è costituito da mattoni dicotto disposti a spina di pesce in buonostato di conservazione6.Nel settore NW del suddetto locale è com-parso un brandello di piano pavimentale7

(fig. 8) costituito da mattoni quadrati dicotto (dim. 0.31 x 0.31 x h 0.04/ 0.05 m),disposti a giunti alternati ed allettati in unamalta di calce di buona qualità con presen-za di ghiaia di fiume e di carbone8. Neglistrati di terreno coperti dal livello pavimen-tale si sono recuperati reperti ceramici che,solo in via dubitativa potrebbe scendere ladatazione del pavimento ad un momentocompreso nella prima metà del secolo X,vista la presenza in tali strati di alcune pare-ti di anforette con dipinture rosso-brune alarghe bande verticali alternate a un trattosinuoso, decorazione particolarmente diffu-sa a Palermo appunto nella prima metà delX secolo9.Si tratta di un pavimento che va riferito adun edificio di ampie dimensioni che preesi-ste all’impianto gualteriano della Cattedralee la cui quota, ovviamente, non è compatibi-le con quella delle pavimentazioni ascrivibi-

li alla chiesa del 1185. Le notizie riportatedalla tradizione, riguardo la Sanctae MariaeBasilica, trasformata nella grande moschea,per essere poi restituita al culto cristianodalla Pietas normanna, hanno acquistatoben altra valenza storica, grazie al rinveni-mento della citata pavimentazione.Parte della pavimentazione originale dellaCattedrale gualteriana si è conservata, infat-ti, nella zona centrale dell’antititulo e sap-piamo da G. M. Amato10, che il pavimentodi tutto l’antititulo era unitario: il pavimen-to di mattoni di cotto sopra citato si trova,invece, ca. 0.60 m al di sotto di tale pavi-mentazione.Sempre la medesima fonte (Amato 1728) ciinforma che il dislivello tra il pavimento del-l’ala meridionale dell’antititulo e quello del-l’abside laterale corrispondente era scanditoda due gradini. Quest’ultimo pavimento,formato da mattoni di cotto (dim. 0.34 x0.24 x 0.03 m) disposti a spina di pesce e cir-coscritti all’intorno da una fascia rettilineadei medesimi mattoni, è ancora in situ e sitrova ben 1.02 m al di sopra della pavimen-tazione riportata alla luce dagli scavi archeo-logici, dislivello assolutamente non compati-bile con i due gradini ricordati dall’Amato. Il ripristino della quota della pavimentazio-ne della Cattedrale gualteriana e al contem-po la necessità di definire il collegamentoverticale di accesso alla cripta, avendo ripri-stinato il passaggio occultato, ha comporta-to l’esecuzione di una serie di opere pergarantire da un lato la salvaguardia dellestrutture archeologiche rinvenute, offrendoanche permanentemente la possibilità dellaloro visibilità, e per ricreare dall’altro unorizzontamento staticamente affidabile. Per-tanto, rimossa la precaria volta di coperturadel cunicolo, la si è ricostruita in mattoni

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Fig. 8 - Diaconicon, il pavimento della moschea.

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pressati, raccordando opportunamente lequote dell’intradosso a quelle del preesi-stente cunicolo11. La superficie pavimentale del Diaconicon èstata rifinita con un battuto di coccio-pestoche ha consentito di ripristinarne le quoteoriginarie; si è escluso volutamente il “rifa-cimento” dell’antico pavimento, rimossodurante la fase delle trasformazioni sette-centesche ed il cui disegno si sarebbe potu-to ricostruire in analogia alla pavimentazio-ne che ancora si conserva nella parte centra-le dell’antititulo, residuo dell’originariopiano pavimentale a mosaico, commesso diporfido, di verde antico e di altre pietredure. La scelta del coccio-pesto è coerentecon la tecnica di restauro adottata nel Diaco-nicon negli interventi in elevato, e ripropo-

ne, come nell’affresco, il trattamento neutrodella lacuna. Il battuto di coccio-pesto corri-sponde, seppure in fattura più fine, al tipodi pavimentazione rinvenuta nella cripta. Il percorso di discesa alla cripta è stato rea-lizzato senza manomettere le evidenzearcheologiche messe in luce dallo scavo,anzi tende a marcare, nello sviluppo dei gra-dini e dei pianerottoli, le quote più significa-tive emerse. In particolare il primo pianerottolo è posto

alla quota del pavimento di cotto preesisten-te all’impianto gualteriano, di cui è statolasciato a vista un brandello, mentre il disli-vello tra il pavimento dell’antititulo e quellodel cunicolo è stato superato con una scalain ferro, removibile, posizionata nella parteterminale della condotta sicuramente già inantico priva di copertura a volta (figg. 9-10).

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Fig. 10 - Sezione trasversale, livello del pavimento dellamoschea.

Fig. 9 - Cunicolo riaperto di accesso alla cripta.

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2. PROTHESIS

Nella zona settentrionale dell’Antititulo, ilrestauro ha riguardato soltanto la parte ter-minale; si è proceduto al restauro del para-mento murario interno, mantenendo e con-solidando i dormienti e le catene lignee dellafabbrica normanna. Sono stati restaurati gliappoggi dove alloggiavano le testate dellastruttura del grande tetto ligneo, decorato aMudejar, non più esistente perché distruttoalla fine del Settecento. Anche in questazona gli intonaci del periodo barocco, con ledecorazioni realizzate a fresco, sono statioggetto di un particolare intervento restau-rativo. E stata rinvenuta e restaurata l’origi-

naria partitura policroma del colonnato,realizzata con stucco colorato. L’ossaturadelle colonne e degli archi risulta realizzatacon mattoni di cotto di fattura normanna,così come alcuni elementi rinvenuti a pavi-mento dalle dimensioni del ‘sesquipedale’.Lo stucco che ricopre gli archi risulta colo-rato, ad imitazione della sottostante strut-tura, con la giuntura marcata, con la calcebianca in perfetta rispondenza dei giuntistrutturali. Lo stucco che ricopre le colonneed i capitelli gigliati è pigmentato con alter-nanza cromatica tra fusti e capitelli, di colo-re verde-bluastro e rosso cinabro, ad imita-zione dei materiali più nobili del porfido edel serpentino, impiegati nelle aree sacre delsantuario, quale riferimento iconologico alladivinità (rosso) ed all’umanità (blu) (fig. 11).

3. LA SACRESTIA VECCHIA O DEI CANONICI

La parte meridionale della cattedrale raccon-ta una fase interessante della sua storia e rac-chiude ancora oggi molti enigmi da svelare.L’angolo di sud-est del duomo, oggi in parteesplorato, si compone dell’originario Antititu-lo, o solea, in corrispondenza dell’absidedestro, o Diaconicon, e delle residue mem-brature del muro esterno del Titulo, che sulfronte meridionale si apre oggi con tre delleprimigenie quattro grandi monofore che neilluminavano lo spazio. In questa parte si ritro-va, inoltre, una delle quattro torrette angolaricontigua al muro dell’antititulo che ne delimi-ta il risvolto sulle absidi. Questa torre è dettadell’orologio, per la presenza della macchinaivi installata in epoca successiva (fig. 12).La cortina muraria che, verso mezzogiorno,denuncia ancora oggi le antiche aree deltitulo e dell’antititulo denota, da una attenta

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Fig. 11 - Prothesis, colonne dipinte del loggiato.

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analisi metrica e planimetrica della strutturadella fabbrica, un diverso orientamentorispetto alle altre cortine murarie e rispettoalla composizione degli spazi interni primi-geni; ciò è rilevabile sia da riscontri odierni,sia da rilievi e raffronti fatti sulle anticheplanimetrie dell’impianto. Ne consegue chela porzione dell’antititulo della cattedralenormanna, delimitata verso meridione daquesta cortina muraria, risulta dimensional-mente ridotta rispetto agli stessi spazicorrispondenti al fronte settentrionaleÈ questo un ‘muro storto’ che ha fatto arro-vellare gli storici per cercare di capire il segre-to magistero della sua esecuzione ed è riferi-to da taluni come forzata necessità costrutti-va, dovuta alle preesistenti fabbriche, ed inparticolare alla grande moschea di età islami-ca. Ancora sul fronte meridionale, addossatapressoché interamente, per la sua lunghezza,

alla cortina muraria del titulo e dell’antititulo,si erge la cosiddetta Sacrestia Vecchia o deiCanonici ed, in proseguo a questa, versooriente, l’odierna Sacrestia Nuova, primige-nia sede del Tesoro della Cattedrale. Verso occidente, invece, la compaginemuraria si allunga, contenendo una serie dilocali costruiti alla fine del XVIII secolo,durante la grande riforma della Cattedrale,fino a raggiungere il lato orientale del porti-co meridionale, nella sua odierna posizione.Unico elemento di stacco architettonico, inquesta cortina muraria verso occidente, ècostituito da una colonna, oggi incassatanella muratura, che appare invece posta innicchia, ad angolo di un piccolo pronao,nella stampa del Bova (XVIII sec.), dovesembra essere tutt’uno con la sagoma dellacosiddetta sacrestia vecchia (figg. 13-14).Parimenti, un’altra colonna di analoga fattu-ra e dimensione si nota annicchiata, questavolta ad angolo, nella parte estrema dell’a-vancorpo che, verso oriente, delimita lasacrestia nuova o ex tesoro.

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Fig. 12 - I volumi della Sacrestia Vecchia e Nuovaaddossati al Titulo e all’Antititulo.

Fig. 13 - I volumi della Sacrestia Vecchia e Nuovanella stampa del Bova (XVIII sec.).

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L’insieme di queste fabbriche, addossate almuro meridionale della Cattedrale, oc-cludono la vista di quest’ultimo a storici ederuditi sin dal XV secolo, datazione attribui-ta al corpo della Sacrestia Vecchia, e poiancora, nel XVI secolo, quando fu realizza-to il vano del tesoro a questa contiguo, comeprima descritto, verso oriente.L’insieme di tali ambienti ha costituito peranni, per molti storici, un rompicapo che siè tentato di risolvere con osservazioni gra-tuite, riporti, paragoni od interpretazionimolto personali, senza alcun riscontro sulpiano della ricerca scientifica.E pur vero che sono mancati da più di unsecolo i documenti e gli atti che oggi avreb-

bero potuto in qualche modo fornire ele-menti più certi sulla storia della cattedrale;ma è anche vero che la lettura di quei pochiatti residui, o di quelli in parte descritti daglistoriografi che li hanno potuti leggere,accompagnati da frettolose e semplicisticherisoluzioni, non ha certamente contribuito adipanare i dubbi, ma al contrario a compli-carli. Prova ne sia il fatto che – nei restaurieseguiti dall’allora Soprintendenza aiMonumenti per la Sicilia occidentale, nel1957, in occasione degli interventi sugliambiti murari prima descritti – allorquandoil solerte restauratore si ritrovò dinanzi adue vani aperti sul muro meridionale del-l’antititulo e posti sotto il grande oculo,chiuso in occasione dei restauri della finedel Settecento, e lasciato chiuso anche inquella occasione, li interpretò quali apertureaccidentali, perpetrate nella compaginemuraria per dar luce a quei locali interni cheerano stati ricavati, in spregio ad ogni rego-la, ammezzando in altezza il residuo spaziodell’antititulo meridionale, proprio in corri-spondenza del Diaconicon. Il restauro alloracompiuto sottolineò con orgoglio l’impieto-sa presenza di tali finestre, lasciando adimperitura memoria gli imbotti laterali conl’ammorsatura della tessitura muraria aper-ta, nel fedele sforzo di dimostrare ai posteriquella che era stata una certezza del restau-ratore dell’epoca, e cioè: che tali vani, inopi-natamente aperti nella compagine muraria,tali dovevano restare, per uno sventuratoutilizzo, ma che in effetti sarebbe stata cosaopportuna richiuderne la breccia. In effetti,tali aperture corrispondono, sul fronteesterno, al piano di calpestio del terrazzo,posto a copertura della cosiddetta sacrestiadei canonici o canonica e, nella tradizionedelle osservazioni superficiali o esterne, o

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Fig. 14 - A seguito delle trasformazioni il portico vieneinglobato nell’ampliamento verso ovest della sacrestia,rimane visibile la colonna rannicchiata.

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ancora poco approfondite, nulla poteva fareimmaginare che le ritrovate brecce altro nonerano che due preziosissime monofore che,assieme al grande oculo, nella più fedele tra-dizione nordica, costituivano una triade diluci sul braccio destro dell’antititulo dell’an-tica cattedrale.Il restauro, attraverso l’osservazione strati-grafica delle murature e delle successivesuperfici architettoniche, ha permesso diricostituire dall’interno la geometria, la spa-zialità e la composizione dell’originario siste-ma; si sono così ritrovati gli imbotti, le basi,le soglie, nonché i fori delle originarie vetra-te che chiudevano le due monofore.Non poche difficoltà ha comportato il rico-noscimento del sesto arcuato che le deli-mitava, pesantemente trasformato da treinterventi successivi. Il primo, che sacrifi-candone l’originaria configurazione, ripro-poneva il sesto ribassato, in ossequio allelinee geometriche del XV secolo; il secondo,che ne impellicciava gli imbotti con de-corazioni tardo barocche, delle quali sonostate rinvenute le tracce; il terzo, che ne alie-nava la memoria stilistica, riquadrandone leforme, e così consegnandole al solerte re-stauratore degli anni Cinquanta.L’osservazione attenta della tessitura mura-ria ha permesso oggi di riconoscere i conciancora appartenenti al primigenio impiantoe definiti con la stessa tecnica di listaturadella pietra; erano questi i conci di spallaall’imposta dell’arco che hanno potuto fareda guida per la ricostruzione dell’originariosesto, frantumato in chiave dagli interventisubiti nel tempo.All’interno del duomo sono così riemersiquasi per incanto questi due oblunghi stralidi luce, che però non possono oggi, comedel resto da oltre cinque secoli, fare permea-

re tutta la luce che, attraverso essi, primainvadeva l’antico antititulo. Oggi infatti laloro metà inferiore è occlusa dalla presenzadella parte superiore della canonica.Una prima osservazione semplice sembre-rebbe dar ragione a tutti coloro che, inmodo superficiale, hanno datato la canonicain epoca molto più tarda della cattedrale,confutando le tesi dell’Amato che la reputacoeva alla costruzione gualteriana, o quelledel Di Bartolo e del Perricone12 e non perultimo gli studi dello Zanca e del Bellafioreche la inquadrano in periodi diversi, macomunque sempre in epoca successivaall’intervento gualteriano. In effetti, le ritrovate finestre, almeno dal1400, non sono più visibili dall’esterno dellacattedrale, e dallo stesso periodo al suointerno erano state così trasformate da per-dere i connotati stilistici originali. Risultaessenziale, a questo punto, continuare adescrivere questo interessante paramentoche nel suo verso interno, attraverso irestauri, rivela altre sorprese.Vanno sottolineate alcune osservazioni sulladefinizione dell’apparecchio murario, cherivelano almeno in un’unica fase costruttivala stessa finitura composta da una lisciaturadei giunti con la tecnica della pietra rasa,ingentilita da una bordatura a calce posta afresco, in corrispondenza dei piani di allet-tamento dei conci. E questa una tecnica didecorazione semplice, coeva ad altri impian-ti medievali anche nell’Europa centrale, chenon può definirsi quale decorazione ultimaall’interno della cattedrale, ma che, seppurein una fase provvisoria della sua fabbrica, leconferiva una certa dignità decorativa13. Talesistema è stato anche ritrovato nelle parti delcatino absidale del Diaconicon ed in altreparti interne degli stessi ambienti esplorati.

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La definizione di tale schema decorativo hapermesso senza dubbio la identificazione ditutte quelle parti contestualmente così defi-nite e ciò, in particolare, per gli imbotti ed iconci di spalla degli archi delle monofore eper il riconoscimento delle parti costruttiva-mente definite, nell’intero muro meridiona-le dell’ antititulo.Seguendo nel corso dei restauri le tracce ditale primigenia decorazione semplice, pro-prio al di sotto delle due monofore ritrovate,ma in posizione eccentrica, è stato rinvenutoun vuoto nella muratura, il cui tompagno dichiusura era chiaramente dissonante rispettoalle finiture prima descritte. Si è così avuta lasorte di riscoprire una interessante loggetta,ricavata all’interno del dorso murario, il cuiaffaccio è definito da una semplice biforacon archetti a tutto sesto che, nella compagi-ne muraria, si aprono come semplici bucatu-re senza alcuna decorazione di rilievo. Il soloelemento che le fa datare coeve alla costru-zione del muro in cui sono inserite è la cita-ta definizione a pietra rasa degli esterni, ed iltaglio degli archetti perfettamente inseritonella tessitura.È il caso di soffermarsi ulteriormente su talepiccolo ambito, mai citato nelle fonti storio-grafiche descrittive della cattedrale, perl’importanza che esso può assumere, in-sieme agli altri dati raccolti, quale elementodi connessione e chiave di lettura di questomisterioso diaframma che separa l’internodell’antico Antititulo dalle altre fabbriche aquesto contigue. Al di sotto delle citate fine-strelle si colloca il prezioso portale lapideo aghiere incassate, che nobilita il vano di pas-saggio che conduceva dall’antica aula chie-sastica alla sacrestia. Il portale è compostoad arco acuto e tre ghiere tortili alternate dafasce piane decorate, che poggiano su altret-

tante colonnine intagliate. Una prima os-servazione porta ad un raffronto per analo-gia stilistica con gli altri due eminenti esem-pi di portali della stessa cattedrale, anche sedi questo, di dimensioni più modeste edecorazioni meno fastose, non se ne cono-sce l’esatta datazione (fig. 15).Il grande portale di ingresso sulla via MatteoBonello venne realizzato, secondo le crona-che, tra il 1352 ed il 1353 dall’arcivescovoOttavio De Labro e denota la sua apparte-nenza stilistica al felice periodo dell’archi-tettura trecentesca a Palermo, denominata“chiaromontana”. L’altro portale, che con ilprimo ha forti analogie stilistiche, è quelloche sorge sotto il portico meridionale, e cheè datato 1426. Il portale prima detto, quello

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Fig. 15 - Portale trecentesco fra il Diaconicon e laSacrestia.

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appunto posto fra l’antititulo e la sacrestia, èstilisticamente riportabile al compendio del-l’architettura trecentesca. L’analisi di tale manufatto è altresì impor-tante per fornire un ulteriore tassello allaricerca in corso. Lo Zanca, nel suo saggiosulla Cattedrale14, reputa che tale portalepotesse essere stato collocato al di sotto delportico meridionale, invece dell’attuale, epoi qui spostato. Una attenta osservazionedel manufatto fa vedere che esso è realizza-to in tufo molto resistente, e successivamen-te scialbato con calce bianca ad imitazionedel marmo; operazione che dovette essereeseguita più volte per la complessa stratigra-fia che si rinviene. Ma, nelle parti in cui loscialbo si è consumato, si nota come ilmanufatto lapideo sia stato esposto perlungo tempo alle intemperie ed alla erosioneda parte degli agenti atmosferici, per leampie zone di dilavamento e conseguenterimodellamento riscontrate. Anche l’osser-vazione fatta sulla sua geometria descrittivane rivela una primigenia collocazione all’e-sterno; la ghiera terminale dell’arco è infattisgusciata all’interno ed è protetta da unacornice liscia verso l’esterno. La questioneche il portale fosse stato realizzato per unaltro luogo, o già in altro sito collocato, e poiqui rimontato, è cosa già precedentementeriportata, come anche dallo stesso Amato,che lo indica costruito per la chiesa di S.Cristina la Vetere. Il dato nuovo, emerso nelcorso dei restauri, è che, oltre a confermarequanto prima detto, senza alcun dubbioquesto portale fu qui collocato, presumibil-mente, per maggior decoro, ma venne inse-rito in un vano preesistente, le cui residuetracce, visibili oggi nella muratura e definitedalla cuspide di un arco, denunciano chetale vano di passaggio fu realizzato coeva-

mente alla costruzione del muro meridiona-le dell’antititulo della cattedrale. E questo ilterzo elemento di nuova conoscenza che ilrestauro ha fornito su tale ambito, seppureparziale, del duomo normanno; è l’insiemedi tali acquisizioni che determina una nuovalettura e pone nuovi interrogativi sulla esat-ta datazione della complessa fabbrica.Per sintesi vanno ripresi e confrontati inuovi dati: le due monofore ritrovate e ria-perte sotto il grande oculo, nel muro meri-dionale dell’antititulo, confermano che sutale fronte esterno, fino all’imposta dellemonofore, non vi erano al tempo della suacostruzione altre fabbriche addossate; laritrovata ammezzatura e conseguente riela-borazione delle due monofore ci fa capireche le due finestre, seppure mortificate nellaloro luce dall’addossamento della partesuperiore della sacrestia dei canonici, data-bile stilisticamente nella seconda metà delXV secolo, continuarono a svolgere la lorofunzione anche in periodo successivo, comedenotano le tracce di decorazione baroccaritrovata. I due vani, comunque, a partiredal XV secolo furono resi irriconoscibilidalle trasformazioni e non più ricollegatiall’originaria partitura architettonica. Ilritrovato semplice portale originario, coevoalla fabbrica normanna, nel cui vano è statoinserito il citato portale trecentesco, certa-mente doveva comunicare con altroambiente esterno alla cattedrale. Non si hanotizia di un accesso esterno alla cattedralein questa posizione, per cui tale vano dove-va immettere in altro locale adiacente la cat-tedrale, e sicuramente chiuso, come inseguito meglio si specificherà, coperto aduna altezza tale da venire a trovarsi al disotto delle due grandi monofore che, comeprima specificato, erano a tutta luce. Oc-

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corre qui riallacciare il discorso con il terzoelemento di conoscenza acquisito, e cioè ledue piccole finestre ritrovate al di sopra delportale, per comporre con questo un unicoragionamento logico.La piccola bifora, che possiamo definire unaloggetta, si trova collocata ad una distanzapressoché mediana, tra la soglia inferioredelle grandi monofore e la sommità dell’arcodel portale, in posizione eccentrica sia rispet-to al partito superiore formato dal grandeoculo e dalle due monofore, sia rispetto alportale, anch’esso asimmetrico rispetto alla

composizione superiore del prospetto. C’èda rilevare infatti che, mentre tutta la partesuperiore del prospetto interno del muromeridionale dell’antititulo è perfettamentecaratterizzato da una simmetria geometrica,la parte inferiore risulta squilibrata ed appa-rentemente casuale. Entrambi gli elementi,piccola bifora e portale, sono spostati versooriente rispetto all’asse; più le finestrelle cheil portale (fig. 16).Durante i restauri è stato dismesso il tompa-gno posticcio che occultava le finestrelle esvuotato il vano interno da sfabbricidi eriporti. E stato così possibile osservare talepiccolo vano, di minime dimensioni in lar-ghezza, e realizzato ad altezza d’uomo. Essosi presenta con le pareti ed il soffitto intera-mente lisciate ad intonaco bianco, ed il pavi-mento realizzato con un battuto di colorerosso cupo; la larghezza è di dimensioniuguali al dorso murario, e l’unico accessopossibile poteva essere dato dalla parete difondo, opposta alle finestrelle. L’osservazio-ne attenta di tale parete rileva che trattasi diun tompagno posto in epoca certamentesuccessiva, e testimonianza peculiare di ciòne è anche la sfrangiatura terminale dellepareti laterali e del soffitto, che danno ilsegno tangibile di una diversa definizione ditale limite e, certamente, di una continuazio-ne o di uno sbocco.Un’altra interessante notazione deriva dal-l’osservazione della compagine muraria checompone il vano del diaconico e la partemeridionale dell’antititulo: nella parte bassadel muro di quest’ultimo, fino all’altezzadelle due monofore, le pietre della costru-zione, calcarenite a grana compatta di colo-re grigio chiaro, risultano certamente estrat-te da un’unica cava, così come i risvolti dellostesso muro, mentre le parti superiori del

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Fig. 16 - Diaconicon, parete meridionale dopo ilrestaro.

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muro, fino alla base della galleria traforata,nonché tutta la costruzione dell’abside deldiaconico, risultano composte, senza regolada diversi conci di calcarenite provenientida cave diverse, infatti sono posti alla rinfu-sa i conci di colore grigio chiaro insieme adaltri di colore giallo tufaceo, particolare danon sottovalutare è che l’intera calotta emi-sferica tessuta a falsa corona, è interamentecostituita da conci di calcarenite gialla.La prima deduzione che ne deriva è la nettasensazione che mentre la parte bassa delmuro meridionale dell’antititulo risale ad unimpianto precedente, la rimanente partedella costruzione sia stata rimaneggiata suc-

cessivamente, riusando i conci smontati erecuperabili dalla fabbrica precedente, spe-cialmente per costruire l’abside al posto diun muro retto, la cui fondazione si ritrovanella parte basamentale visibile al pianodella cripta.Altra osservazione interessante è rivolta alsistema costruttivo dell’apparecchio mura-rio, dove tutti i vani in esso creati sono rea-lizzati a regola d’arte e cioè componendo, inuno alla costruzione, gli archi a succielo deivani, e ciò vale sia per il vano oblungo termi-nato a muqarnas (fig. 17) che l’originarioportale; stranamente i due piccoli vani dellaloggetta, ora ritrovata, sono stati ritagliatinella muratura senza aver creato gli archi adiscarica sui vani, proprio come se inseritisuccessivamente in un paramento, origina-riamente composto da conci con filari rego-lari, orizzontali.Le murature che compongono la Sacrestiavecchia o dei Canonici sono risultate tuttedifferenti fra loro: nella parete orientale, dalfronte interno, è oggi inserito il portale mar-moreo del Gagini, di accesso alla Cappelladel Tesoro che, addossata alla costruzioneoriginaria tra la fine del XV e gli inizi delXVI secolo, ne divenne il naturale prolunga-mento, eliminando all’esterno la colonnaangolare del risvolto ed occultandone lacimasa decorata che, ben visibile sul frontemeridionale, venne abbandonata nell’inser-to fra le due fabbriche. Sempre sullo stessofronte, con un risvolto esterno a torretta, ècollocata la scaletta circolare che collega ilpiano rialzato della sacrestia con la sotto-stante cripta e che, in origine, immettevaanche nel piccolo vano della torretta il cuiaffaccio sommitale interno è ancora visibilenella zona alta della parete; in effetti l’in-gresso alla scala avveniva sullo stesso fronte

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Fig. 17 - Diaconicon, nicchia con copertura a muqarnas.

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del vano della torretta e cioè sul muro orien-tale, nell’angolo di nord-est all’interno dellasacrestia; abbandonata la sua funzione pri-maria, il vano di accesso venne spostato nel-l’intercapedine creatasi fra la Sacrestia deiCanonici e la Cappella del Tesoro, determi-nando l’ablazione del tronco centrale e deirelativi gradoni della scaletta, dal piano diarrivo verso l’alto, sicché oggi è impossibileaccedere al vano superiore.La parete interna, ablato l’intonaco di fattu-ra recente, non presenta caratteristiche dirilievo, essendo stata più volte rimaneggiatanel tempo, e non ha fornito ulteriori indica-zioni utili alla ricerca, anche se è da conside-rare, almeno nella parte bassa, originariadella primigenia fabbrica.Nella muratura meridionale, sul fronteinterno, durante i restauri, sono stati riaper-ti i vani di quattro finestre quadrate, colloca-te nella parte inferiore del muro, un tempoaperte anche all’esterno, realizzate certa-mente nel XVI secolo, allorquando la sacre-stia dei canonici venne ammezzata in altezzacon un solaio ligneo15, per ricavarne alcuniambienti di servizio, a prescindere dellascelta operata di mantenere tale testimo-nianza delle trasformazioni della fabbrica, èstato interessante potere osservare la com-posizione di tale muratura sia sul frontecompatto del prospetto interno, sia nellasezione della muratura osservabile dagliimbotti delle ritrovate finestre; infatti si èosservato come il muro sia stato ringrossatoall’interno, con un contromuro, perfetta-mente aderente a quello esterno, che ha difatto ringrossato lo spessore murario, certa-mente eccessivo per una piccola fabbrica,ma prudenzialmente suggerito per far fron-te alla spinta delle costolonature delle voltea crociera, soprammesse alla originaria fab-

brica, che con questo muro si compongonoin un’unica facies costruttiva.Si è inoltre notato che il contromuro ha dis-turbato la parte sommitale dei fornici strom-bati delle due finestre che illuminano la sot-tostante cripta, infatti durante la costruzio-ne si è fatto ricorso ad una tavolatura chefungesse da impalcato a sostegno dellamuratura, per attraversare il vuoto delle duefinestrelle sottostanti.La parete occidentale, nella quale è collocatol’altro portale marmoreo del Gagini, che oggiimmette verso il disimpegno antistante il teso-ro e verso l’aula chiesastica, non denota alcunsegno particolare ad eccezione degli incastridelle costolonature della volta, martoriati intutti i precedenti interventi di ristrutturazio-ne, ma oggi riscoperti ed ancora visibili nellaloro elegante snellezza, che si componevanocon le volte con un lungo risvolto terminatoda basette pendule; anche questa muratureapparteneva alla fabbrica originaria, potendo-si osservare l’incastro prodotto nel muro dalprolungamento dei costoloni.Certamente la parete settentrionale dellasacrestia è la più interessante, essa fa partedella grande fabbrica della Cattedrale ecostituisce la parte bassa del muro del Titu-lo e dell’Antititulo esposto a mezzogiorno, èquesto in origine il muro perimetrale delDuomo, prima che su questo fronte venisseaddossato un altro ambiente, oggi identifi-cabile con la Sacrestia dei Canonici; elimina-to lo strato superficiale di intonaco di recen-te fattura, si è messo in luce il paramentomurario originario, finemente definito a pie-tra rasa, in maniera similare all’interno, coni resti di una porta con sesto ad arco acuto ela rimarcata reseca che divide all’esterno illimite fra Titulo ed Antititulo, nella partebassa del muro del Titulo, sbiadita dal

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tempo, si intravede una parte di scritta, incaratteri gotici, dove si legge: sepulcr...Panormitan..., di colore rosso cinabro.Interessante è stato rilevare al piede di que-sto muro la presenza di un’apertura, impo-stata al piano del pavimento della sacrestiaall’interno di un riquadro, che si collega conil pozzo, sito nella sottostante cripta, la cuipresenza era già documentata16.È stato riaperto il muro di tompagno chechiudeva, verso la sacrestia, il piccolo vanodella loggetta affacciata sul diaconico, rile-vando che la sua quota di calpestio corri-sponde con la stessa quota originaria dellasoglia del vano terminale la torretta conscala circolare, posta nell’angolo di Nord-Est, e prima descritta. Le prime conclusioni portano ad affermarepertanto che la Cattedrale di Palermo è statasempre allo stesso posto, ingrandita, rima-neggiata, trasformata, ma sempre quell’anti-ca basilica dei primi secoli costruita sulletombe dei martiri; è questa la Cattedrale delVescovo Vittorio, è questo il terzo tempiocitato dall’Amato e dallo Zanca, è questa labasilica profanata dagli arabi e trasformatain moschea e poi restituita al culto cristianodai Normanni. È questa la basilica riconsa-crata dal vescovo Nicodemo e che ha vistol’incoronazione di Ruggero a Re di Sicilia edancora l’odierno tempio, ancorché profon-damente trasformato dalla restaurazionesettecentesca, è lo stesso ampliato da Gual-tiero che lo ha soltanto ingrandito e ridefini-to ma non certo abbattuto e ricostruito.Si può allora avanzare l’ipotesi sostenibiledai riscontri fin qui effettuati, che le mem-brature originarie della fabbrica normanna,oggi recuperate con i recenti restauri, appar-tengono alla cattedrale ruggeriana, di cuinon va tralasciato il confronto con Cefalù,

per l’interessante camminamento traforatodell’antititulo, impropriamente chiamato davari autori clerestorio o matroneo, funzioneassolutamente incompatibile con il nostro,che invece non risulta nella presunta coevafabbrica del Duomo di Monreale.La parete opposta, esterna a tale tompagno,corrisponde al fronte meridionale dell’anti-titulo, oggi osservabile all’interno dell’auladella sacrestia o canonica. Di fatto, ad oggila vista di tale parete non denota alcun ele-mento di quanto denunziato all’interno.L’ambiente, rimaneggiato e restaurato neltempo, ha avuto una sua ultima definizioneintorno agli anni Cinquanta con un restauroche ha esaltato la datazione ufficiale di talecostruzione, e cioè il XV secolo. Ritornandoall’osservazione sulla piccola loggetta, sisono ritrovati, all’interno del vano, i forinella muratura che servivano da alloggio perun infisso a due ante che chiudeva la picco-la bifora. Sono stati altresì ritrovati i fori cheaccoglievano i fermi dell’infisso e residuetracce di legno ancora aggrappate all’intona-co. Risulta così ovvio che questa piccolamonofora costituiva un affaccio all’internodella chiesa e che in tale loggetta, chiusa conun infisso, si accedeva dal fronte esterno delmuro meridionale dell’antititulo; si accede-va cioè da un altro ambiente, contiguo eaddossato a detta parte già presente nellacattedrale normanna. Allo stesso ambientesi accedeva anche dal portale prima descrit-to. E stato prima osservato come la residuaparte del portale originario risulta realizzatocoevamente al muro meridionale dell’antiti-tulo, o quanto meno alla parte inferiore diquesto; mentre la loggetta è stata inseritasuccessivamente; resta ora da stabilire qualecorpo esisteva addossato all’esterno, e qualefunzione potesse avere la piccola loggetta,

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nonché la simmetria di questa e del portalerispetto al prospetto interno.Il corpo che oggi esiste addossato al frontedel Titulo e dell’Antititulo, chiamato Sa-crestia Vecchia o dei Canonici, è stato consi-derato nel suo complesso dagli storici comeappartenente a quella serie di costruzioniche, alla metà del XV secolo, trasformaronoil fronte meridionale della Cattedrale. Talefabbrica è composta da una parte in elevatoe da un piano seminterrato. La parte in ele-vato è caratterizzata in prospetto da dueparti distinte, l’una basamentale di muratu-ra piena, conclusa verso l’alto da una cimasadi colonnine ed archetti trilobati, e l’altrasuperiore, stilisticamente determinata, checertamente è databile alla metà del Quattro-cento per il riconoscibile gusto gotico cata-lano delle sue decorazioni, all’interno, stili-sticamente in armonia con l’esterno, duevolte a crociera costolonate coprono l’am-biente. L’ambiente del seminterrato si com-pone di due parti, divise da un muro, sulquale scaricano le imposte delle volte abotte che coprono i due locali. Per la suacaratteristica di ambiente non completa-mente al di sotto del piano di campagna,anche dall’esterno si può osservare come lamuratura che lo delimita non abbia soluzio-ne di continuità con la parte superiore checostituisce l’elevato.Relativamente al complesso di parti checostituiscono la canonica si fa rilevare an-cora che nella tessitura muraria della volta abotte, che copre il primo ambiente del se-minterrato, si nota l’inserimento di lastre dipietra che delimitano il perimetro di unaimboccatura, di forma rettangolare e dimen-sioni simili alle lastre tombali da pavimento.Si osserva ancora che, per accedere alla zonadel seminterrato, si fa uso di una scala a

chiocciola, composta da materiale lapideo,che appare coeva, per la sua realizzazione edimpianto, sia alla parte inferiore che allaparte dello spiccato costituita dalla sala ca-nonica; vi è da aggiungere che la scala achiocciola, posta esternamente all’aula, epiù precisamente nello spigolo di nord-est,in origine continuava a salire verso l’alto eaveva il suo accesso da una porticina, oggitompagnata, posta sul muro orientale del-l’aula canonica. Allo stato attuale manca unaparte dell’inserto di scala che dal piano dellacanonica sale verso l’alto; così si osserva,immettendosi nel piccolo vano in cui sitrova la scala a chiocciola, che questa rego-larmente continua a svolgere il suo compitodi accesso al seminterrato, ma che è mutila-ta nella sua funzione di ascesa.Proseguendo le osservazioni sul muro orien-tale che delimita la canonica, si nota comenella sua parte esterna, oggi parzialmenteoccultata dall’aula del tesoro, addossataglinel Cinquecento, si conserva la decorazionecon colonnine ed archetti pensili, in con-tinuazione del risvolto così decorato sul pro-spetto meridionale della stessa sacrestia;mentre la partitura architettonica di tipogotico-catalano, che connota la parte supe-riore della sacrestia, nel suo risvolto orienta-le, si attesta su una risega muraria che, perfattura dei conci e disegno dei piccoli vani,risulta di epoca antecedente a tale partitoarchitettonico. Tale muratura, evidenziataall’esterno dalla reseca prima detta, è laparte elevata che delimita il vano della scalaa chiocciola prima descritta.Tutte queste osservazioni contribuisconoalla dimostrazione di un elemento assaiimportante per la datazione di tali ambientidella cattedrale e, per essi, di parte dellostesso duomo.

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4. LA CAPPELLA DI SANTA MARIA MADDA-LENA

Le osservazioni a sostegno di tale tesi trova-no riscontro in tutte le incongruenze di fab-brica e stilistiche prima descritte, e nel dato,storicamente determinato, della presenzanello stesso sito di una antica cappella, fattacostruire addossata alla cattedrale in epocaruggeriana.Le cronache ed i documenti di archivio citestimoniano che, nel 1130, Albiria, mogliedi Ruggero, fece costruire la cappella diSanta Maria Maddalena, addossata all’e-sterno del muro meridionale della cattedra-le, per custodire le tombe della famigliareale. La cappella fu realizzata l’anno dopol’incoronazione di Ruggero, re di Sicilia, cheavvenne nella cattedrale il 15 maggio 1129.Bisogna a tal proposito, seppure brevemen-te, ripercorrere le fasi costruttive del duomoper capire, e correlare, il susseguirsi degliavvenimenti.E certo che esisteva una Cattedrale di gran-di dimensioni in epoca bizantina, lo te-stimoniano le fonti archivistiche e le crona-che, e si ha notizia che l’arcivescovo Vittoriopresule della città, durante il pontificato diSan Gregorio Magno, il 3 settembre 590cominciò ad erigere il tempio o ad ampliar-lo, conglobando in esso terreni appartenen-ti alla vicina sinagoga ebraica. Questa Catte-drale fu certamente ristrutturata ed amplia-ta, per essere adibita a moschea, durante illungo periodo della dominazione araba.Quando nel 1071 i Normanni occuparonoPalermo, riconsacrarono al culto cristianol’antica cattedrale usata a moschea, vi inse-diarono in cattedra il vescovo Nicodemoche esercitava il culto cristiano in clandesti-nità, durante la dominazione araba. Cer-

tamente dal 1071, anno della conquista nor-manna di Palermo, al 1129, anno dell’inco-ronazione di Ruggero re di Sicilia, la catte-drale ha subito trasformazioni edabbellimenti, tant’è che, prima della suaincoronazione, Ruggero fece costruire unacappella dedicata alla Madre di Dio incoro-nata, ed ancora nel 1130, come già primacitato, la regina Albiria ne fece edificareun’altra a questa contrapposta17.La Cattedrale di Palermo, in epoca rugge-riana, doveva essere una grande fabbrica,non solo per le descrizioni riportate dallecronache degli studiosi, ma anche in rappor-to a quell’altra possente struttura che lostesso Ruggero fece costruire a Cefalù, qualeduomo ed al contempo regale sacrario,destinato ad accoglierne le sue spoglie. Biso-gna far trascorrere altri cinquant’anni per-ché sotto il regno di Guglielmo Il, essendoarcivescovo della città Gualtiero, si debbaavere notizia di una nuova grande trasfor-mazione della Cattedrale.Le cronache riportano enfaticamente chel’arcivescovo Gualtiero rase al suolo l’anticafabbrica e ne costruì una nuova e più gran-de; questa cattedrale fu consacrata nel 1185.Esiste una supplica dell’arcivescovo Gual-tiero, datata nel mese di marzo del 1187 ededicata al re Guglielmo, affinché si potes-sero spostare le spoglie della famiglia reale,che riposavano nella citata cappella di SantaMaria Maddalena, in un’altra cappella dacostruire appositamente poco distante, per-ché tale fabbrica era di impedimento all’uf-ficio divino18. Da queste note gli storici tras-sero la convinzione che l’arcivescovo Gual-tiero avesse demolito la cappella della Mad-dalena, perché di intralcio al proseguo deilavori della Cattedrale e all’area presbiteraledi questa, tant’è che una nuova cappella,

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ancora oggi esistente e dedicata a SantaMaria Maddalena, fu realizzata poco oltre ilpiano della Cattedrale, prossima al regiopalazzo, affidandone il titolo alla chiesa diSan Pietro, regia Cappella Palatina. Ma ineffetti una inesatta lettura del documento hapotuto far incorrere nell’errore. La supplicadell’arcivescovo Gualtiero bene chiarisceche la regia cappella di Santa Maria Madda-lena era adiacente al muro della chiesamadre, ma la locuzione in lingua latina, con-cederet removenda, si riferisce ai pretiosa cor-pora degli illustri duchi e regine, che: «inaliam cappellam, paulo remotius, ipsa corporacollocanda», e non già alla stessa cappella.Questa, in effetti, contigua alla madre chie-sa, era tutt’uno con la costruzione dell’edifi-

cio e intralciava la sacra funzione. Conti-nuando la lettura del testo si evince come ineffetti la richiesta non è quella di demolire lacappella, ma che questa possa essere desti-nata ai chierici della Cattedrale. Le osserva-zioni per le quali l’antica cappella era diimpedimento allo svolgimento delle funzio-ni sacre e poteva essere meglio usata a servi-zio dei chierici della cattedrale, nonché lastessa posizione così come tramandata, nelsecondo arco dal lato dell’epistola, e cioèvicino all’abside del Diaconicon, e l’esserequesta cappella unita alla chiesa madre,costituiscono una serie di elementi tali dapotere identificare il sito dell’antica cappel-la di Santa Maria Maddalena con quellodove oggi sorge la Sacrestia dei Canonici. Inpiù si può avanzare la fondata ipotesi cheproprio il piano seminterrato e la partebasamentale dei muri d’ambito, fino allacornice decorata, sono gli stessi che costitui-vano parti della fabbrica della Maddalena.Ciò giustificherebbe e darebbe spiegazionea tutte le anomalie e le osservazioni primafatte, ma in particolare fornirebbe un datoassolutamente inedito, e cioè che buona par-te della cattedrale, ed in particolare le fab-briche dell’area presbiterale, sono afferentialla cattedrale ruggeriana e non, come dasempre riportato, alla nuova costruzione chel’arcivescovo Gualtiero fece erigere, avendodemolito ogni opera precedente.E se è pur vero che i muri perimetrali dellaMaddalena, sia degli ambienti di seminter-rato che di elevato, sono ancora al loroposto, così pure le membrature murariedella parte basamentale del titulo e dell’an-tititulo apparterrebbero alla chiesa ruggeria-na. Sono questi allora i muri ‘storti’ chetanto hanno fatto pensare gli storici, e che aqualcuno hanno fatto avanzare l’ipotesi di

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Fig. 17 - Parete settentrionale della Sacrestia Vecchia,loggetta della regina Albiria.

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una necessità di costruzione dovuta alla per-sistenza di più antiche fabbriche, ed in par-ticolare proprio della cappella di SantaMaria Maddalena, poi data per demolita edinvece ancora oggi esistente. Si spieghereb-be così la presenza del vano di passaggio tral’antititulo e l’odierna sacrestia, identificatacon la Maddalena, vano asimmetrico rispet-to al partito architettonico dell’interno, maobbligato dalla presenza del muro esternosul lato orientale della cappella a cui davaaccesso. Così pure si potrebbe giustificare lapresenza delle due piccole finestre che dal-l’interno della cappella si affacciavano versol’interno dell’antititulo ed il loro posiziona-mento, apparentemente casuale (fig. 17).Sarebbe questo l’affaccio del matroneo dellaregina Albiria, moglie di Ruggero, che quel-la cappella fece costruire.Dai dati oggi rilevati si può dedurre che pro-prio le due finestrelle consentivano la liberavisuale verso l’altare maggiore e l’area sacradel tempio, dove era collocato il trono reale,ma dove il re poteva accedere solo perchédiacono e, quindi, come raffigurato neimosaici, con la stola posta di traverso. Intale ambito era interdetto l’accesso alla regi-na, che poteva invece essere spiritualmentevicina al re seguendo le funzioni proprio dalmatroneo. Tramite la citata scala a chioccio-la, che scendeva anche nella cripta, e attra-verso il vano oggi visibile sul muro orientaledella cappella, tramite una passerella lignea,si accedeva al matroneo.Situazione simile, descritta ma non del tuttoindagata, si ritrova negli stessi ambientidella ruggeriana Cattedrale di Cefalù.E possibile così ipotizzare che la cappelladella Maddalena fosse destinata a sepoltura,non già nella sua aula, ma proprio in quellacripta il cui accesso era dato dalla scala a

chiocciola, e nelle cui volte è stata rinvenutala traccia di una botola perché con le funi visi calassero i feretri. Ancora stilisticamente si può spiegare la pre-senza della colonna angolare, posta sul muroesterno, che delimita il risvolto del piccolopronao, e l’analoga finitura con un’altracolonna originariamente posta nello spigolosud orientale della cappella, e che oggi sitrova spostata più avanti, a causa delle tra-sformazioni ed aggiunte cinquecentesche.Ancora si può ipotizzare l’altezza dellacappella, che doveva essere compresa fra laparte alta del vano del matroneo e la sogliadelle due grandi monofore dell’antititulo (fig.18). Le trasformazioni quattrocentesche, purlasciando inalterata la cripta, hanno profon-damente cambiato l’originaria fabbrica; fuinfatti certamente demolita la copertura eparte della sommità dei muri perimetrali. Al loro posto furono innalzati i nuovi muri,decorati secondo l’architettura del tempo,realizzando all’interno una vasta aula con-clusa da volte a crociera. La cimasa di arca-telle trilobate cieche e colonnine a chiodointramezzata da antefisse, ancora oggi visibi-le all’esterno sul muro meridionale della

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Fig. 18 - Cappella di S. Maria Maddalena.

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sacrestia, non è pertanto elemento decorati-vo realizzato nel Quattrocento, a imitazionedell’architettura normanna, e posto qualebasamento dello spiccato superiore, ma èproprio invece il coronamento dei murid’ambito della cappella, sul quale certamen-te doveva scorrere una teoria di merli, operadell’architettura normanna di età ruggeria-na, i cui immediati riscontri operativi e pla-stici si possono ritrovare nelle decorazionidelle fasce dei primi ordini delle torri scala-rie originariamente a tale quota terminate.Osservazioni tutte che contribuiscono a unanuova lettura della storia della Cattedrale edalla ridefinizione cronologica della sua fab-brica. Prima ed inevitabile conseguenza ne èla certa collocazione di quella che fu chia-mata cappella dell’Incoronazione che, poi-ché costruita al lato opposto della Maddale-na, non può certamente identificarsi con lapiccola cappella che sorge sul fronte setten-trionale della Cattedrale, ma in posizionediametralmente opposta a quella che dovevaessere verosimilmente. La cappelladell’Incoronata doveva infatti ergersi conti-gua al muro settentrionale del titulo e del-l’antititulo, nel secondo arco del vangelo, ecioè prossima all’abside della Prothesis. Quella che oggi è identificata quale Incoro-nata sorge distante circa dodici metri dalmuro della cattedrale, e vicina al prospettooccidentale. A questa cappella è addossatoun atrio scoperto, delimitato da colonne e daun’alta balaustra che, proprio perché conti-guo alla cappella erroneamente identificataquale Incoronata, oggi viene definito impro-priamente loggia dell’Incoronazione. È que-sto l’ennesimo travisamento delle notizie edelle fonti storiografiche, basato su erroneipresupposti. Di certo si può affermare cheRuggero fece costruire la cappella dedicata

alla Madre di Dio Incoronata in posizione delsecondo arco del vangelo, e pertanto addos-sata alla stessa Cattedrale. I re normannivenivano incoronati nella Cattedrale e le fun-zioni dovevano avvenire in una cappella dellostesso duomo, realizzata in modo tale chepotesse sembrare che i principi ricevessero lacorona proprio dalle mani della Madre diDio, raffigurata nel catino absidale. Ed è purvero che il re, così incoronato uscisse dallaCattedrale per ricevere i trionfi della folla. Le cronache riportano che il Re si affacciavada una loggia, ma questa era, verosimilmen-te, l’antico portico a forma di loggia esisten-te sul fronte meridionale della cattedrale edaperto verso il piano ad esso antistante, dalquale usciva il Re dopo l’incoronazione.Cosa diversa di quell’atrio scoperto, addos-sato alla piccola cappella, entrambi inade-guati per la fastosa cerimonia di una incoro-nazione, ed in più prospicienti non già versol’interno della città, ma verso l’estremo limi-te settentrionale, prossimo al muro di confi-ne, oltre il quale si estendevano le paludi delfiume Papireto; luoghi questi certamentenon consoni né adeguati ad una cerimoniadi primaria importanza.La continuazione dei lavori di restauro,potrà fornire ulteriori dati conoscitivi, echiarire definitivamente una parte fonda-mentale della storia della Cattedrale rugge-riana di Palermo, o ancora meglio della fab-brica che fu anche Moschea e che potrebbegiustificare allora il grande vuoto urbano delpiazzale antistante, oggi delimitato da unabalaustra ma in origine, e fino al XVI seco-lo, chiuso da un porticato per tre lati; leattuali fontane poste al centro del piazzalemantengono la memoria di antiche fonti diacqua in quel luogo, e per finire il citatomuro storto della Cattedrale, nel quale è

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inserita la nicchia con decorazioni a mou-quarnas è orientato verso la Mecca. Sono ingredienti tutti di grande interesseper definire questo spazio sacro, quale per-manente luogo di culto; in effetti una confi-gurazione architettonica di tale impiantoriporta immediatamente all’idea della gran-de Moschea del Venerdì, Masjid Jami, cosìtramandata dalle cronache, in effetti il gran-de piazzale posto sul fronte meridionalecosa potrebbe essere se non il cortile delleabluzioni della Moschea? Molto simile stili-sticamente alla grande Moschea degliOmmaidi di Damasco, citata ad esempio edimitata nell’impianto in molte altre costru-zioni dell’Islam.

5. L’ALLESTIMENTO MUSEALE DEL TESORO

Con la realizzazione del nuovo allestimentodel Tesoro della Cattedrale, inaugurato il 5aprile 2006, si è definita una prima fase delcomplesso ed articolato lavoro di restauro,condotto dalla Soprintendenza Beni Cultu-rali ed Ambientali di Palermo nel corso dioltre venti anni19.Il restauro del monumento ha contribuito adare leggibilità alle trasformazioni subitedalla fabbrica in modo da distinguere le fasistoriche, creando all’interno della chiesa unitinerario che valorizza l’architettura e lavisibilità delle opere d’arte in essa custodite.Il cantiere di restauro, attraverso la rimozio-ne di superfetazioni ed il ripristino di antichipassaggi obliterati, ha consentito unamigliore fruibilità di quella parte dell’anticaCattedrale che ancora oggi si conserva. Si ècreato attraverso questi ambienti – tesoro,sacrestia, Diaconicon, cripta e Prothesis – unpercorso museale indipendente ed aperto al

pubblico, che non interferisce con la funzio-ne primaria religiosa del luogo sacro. La metodologia di restauro adottata, all’in-segna della conservazione di qualunque resi-dua traccia delle tecniche costruttive di ogniepoca, fa sì che questi ambienti racchiudanoil palinsesto delle trasformazioni subite neltempo dal duomo palermitano, che in que-sto senso diviene “museo” di se stesso. Prima della nuova e recente sistemazionemuseale il Tesoro della Cattedrale era custo-dito in un’unica sala, nella sacrestia deiPadri Beneficiali, secondo un allestimentovoluto dal Cardinale Ruffini negli anni cin-quanta. Tale sistemazione era stata realizza-ta occludendo, nella parete occidentale, ilvano porta esistente di collegamento conl’ambiente attiguo, destinato agli arredisacri, per collocarvi una vetrina centrale aparete, in cui esporre la Corona di Costan-za, visibile frontalmente in fondo alla sala. Grandi vetrine, a nastro continuo lungo lepareti, ospitavano i paramenti sacri e le sup-pellettili di grande dimensione, mentre indue vetrine a doppio leggio, poste al centrodella sala, erano esposti gli oggetti di valoredi ridotta dimensione. Questo spazio è apparso nel tempo angustorispetto alla consistenza del patrimonio daesporre e non sufficiente a valorizzare leopere d’arte custodite.Il progetto di musealizzazione ha previsto didestinare a Sacrestia dei Canonici lo spaziofino ad ora occupato dal Tesoro, in modo darecuperare ambienti più ampi per esporre leopere all’interno della Sacrestia Vecchia enella Cappella del Tesoro, includendo nelpercorso di visita le aree attigue interessatedai restauri: la Cripta e il Diaconicon. Il com-pletamento del percorso, nelle previsioni diprogetto, non ancora attuate, comprendereb-

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be, a conclusione della visita alla cripta, l’u-scita dalla Prothesis, in via Incoronazione20. Il progetto di restauro della Cripta e delTesoro ha riguardato in un primo momentoil recupero per la fruizione della cripta.Nel 1989, una prima fase di indagini archeo-logiche aveva interessato la Cripta della Cat-tedrale, dove, al di sotto della più recentepavimentazione di cotto era stato rinvenutol’originario livello pavimentale in battuto dicoccio pesto. In una zona che presentavauna vistosa lacuna nella pavimentazione dicoccio pesto, lo scavo aveva messo in lucel’imboccatura di un pozzo, intagliato nelbanco di calcarenite. Realizzato per captareuna falda d’acqua il pozzo, fin dall’età roma-na sembra sia stato utilizzato come butto.Negli strati più profondi del riempimento si

sono rinvenuti materiali databili fra il Vsecolo a. C. ed il I secolo d.C.21. Nel corso dei lavori di restauro condottinella cripta, rimosso l’ammattonato, sonostate conservate le parti residue dell’origina-rio pavimento in battuto di coccio pesto,ripristinando le parti mancanti in modo darealizzare a raso un nuovo strato unitario dicoccio pesto di fattura analoga a quello ori-ginario, mantenendo la visibilità dell’imboc-catura del pozzo, protetto a quota pavimen-to da una robusta griglia di ferro. Nell’ambito di tali lavori è stato realizzatoun nuovo impianto di illuminazione e lavisita alla cripta è stata inserita nel percorsomuseale di valorizzazione all’interno dellaCattedrale, grazie all’accesso diretto recupe-rato dal Diaconicon, dopo lo scavo archeolo-gico eseguito nel 199922. La nuova esposizione del Tesoro occupa ledue grandi sale contigue della Sacrestia Vec-chia e della Cappella del Tesoro, con ingressodal vestibolo, raggiungibile dall’interno dellachiesa al termine della navata laterale destra, afianco della Cappella di Santa Rosalia. Il vesti-bolo di ingresso al Tesoro, originariamenteluogo del Reliquiario, è accessibile anche dalpiazzale esterno, e disimpegna il Tesoro dagliambienti oggi destinati alla Sacrestia deiCanonici e all’ufficio del Parroco. Alla prima sala del Tesoro si accede attraver-so uno dei due portali in marmo di Vincen-zo Gagini posti in asse, lungo i lati brevidella Canonica (fig. 19).La Sacrestia Vecchia, liberata nell’ambitodella prima tranche dei lavori di restauro,dalle tele raffiguranti i rettori della cattedra-le e dagli arredi lignei che ne coprivano inbasso le pareti23, ha assunto un aspettoaustero e monumentale, in uno spazio carat-terizzato dalle due alte volte a crociera

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Fig. 19 - L’allestimento del Tesoro nella Sacrestia Vecchia.

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costolonate, dai portali in marmo scolpitiattribuiti a Vincenzo Gagini, chiusi dalledue porte di legno intarsiato, dove lo straor-dinario valore artistico e spaziale dell’archi-tettura impone interventi di musealizzazio-ne improntati a grande sobrietà.Nella parete meridionale è stata realizzatauna contro-parete in cartongesso, raccorda-ta a sguincio alla muratura poco al di sottodelle strombature delle quattro alte finestre,consentendo di creare vetrine ad incasso sudue livelli, senza intaccare la parete origina-ria, schermando all’interno gli impianti.Questa nuova sistemazione, che lascia perfet-tamente leggibile le forme architettonichedella sala, ha consentito di creare nel primolivello cinque vetrine ad incasso, illuminateall’interno con fibre ottiche, di cui quella cen-trale dimensionata ad hoc per la collocazionedel Pallio d’altare dell’Arcivescovo Carando-let. Nel secondo livello della parete attrezza-ta sono state create quattro nicchie, poste incorrispondenza delle quattro finestre realiz-zate nel XIX secolo e poi murate, in cui sonoesposte alcune statue d’argento. Al centro della sala è stata collocata una vetri-na isolata che custodisce la Corona di Costan-za, in modo che il visitatore possa osservarlada tutti i punti di vista, girandovi attorno.Secondo lo stesso criterio espositivo, anchenella parete opposta, si è scelto di mantene-re perfettamente leggibile l’antico paramen-to murario, emerso dai lavori di restauro,realizzando due vetrine ad incasso per utiliz-zare i vani preesistenti.Il percorso espositivo prosegue nella sala atti-gua, la Cappella del Tesoro, dove, analoga-mente, si è scelto di mantenere inalterato lostato dei luoghi, inserendo i nuovi spazi espo-sitivi all’interno degli armadi a parete esisten-ti, riadattati in modo da creare dieci nuove

vetrine lungo le due pareti che si fronteggia-no. Sono state smontate le ante di chiusura dialcuni degli armadi esistenti, sostituite convetrine incassate, munite di illuminazione afibre ottiche. L’intervento, perfettamentereversibile, conferma la destinazione origina-ria degli armadi che continuano a custodiregli argenti e gli oggetti di valore del Tesoro24.È stato rimosso il mobile in legno centrale acassettone, di fattura recente, che custodiva iparamenti sacri ed al centro è stata realizza-ta una base in legno di appoggio per il gran-de repositorio d’argento. Due vetrine isolatein prossimità dell’arco trionfale custodisconodue ostensori rilucenti di gemme e smalti. Il percorso espositivo prosegue nel Diaconi-con, dove sono state collocate due grandivetrine per l’esposizione di paramenti sacri esuppellettili, e quindi attraverso la scala inferro si conclude nella Cripta.Nella sala dei Padri Beneficiali, che ha fino-ra ospitato il Tesoro, ed ora destinata aSacrestia dei Canonici, è stato ripristinato ilcollegamento preesistente con l’attiguoambiente, utilizzato come ufficio del Parro-co, cui si accede anche direttamente dallanavata laterale destra. In questa sala, mantenendo il grande arma-dio in legno esistente sono stati ricavatiambienti di servizio, sia per il Parroco, cheper i Canonici, disimpegnati ed accessibilisia dalla chiesa che dalla sacrestia. La nuovaSacrestia dei Canonici, è stata arredata conquattro nuovi grandi armadi, con cassettoni,utili alla custodia dei paramenti sacri. in usoai Canonici, che prima erano riposti all’in-terno della Cappella del Tesoro. All’internodella sala sono state collocate altre tre vetri-ne nelle quali sono esposte suppellettili eparamenti sacri di epoca più recente, chenon hanno trovato spazio nel Tesoro.

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NOTE:

1 I restauri, svolti nella Chiesa Cattedrale di Palermodal 1982 al 1999, sono stati finanziati dall’AssessoratoRegionale per i Beni Culturali ed Ambientali e dellaPubblica Istruzione; ha condotto gli studi, elaborato ilprogetto e diretto i lavori l’architetto Guido Meli, giàDirettore della Sezione per i Beni Paesaggistici Archi-tettonici ed Urbanistici, della SoprintendenzaBB.CC.AA. di Palermo, oggi Direttore del CentroRegionale per la Progettazione ed il Restauro.Dal 1994 al 1999, il Progetto e la Direzione dei lavorisono stati condotti insieme all’Arch. Lina Bellanca,Dirigente in servizio alla stessa Soprintendenza.2 G.M. Amato, De principe tempio panormitano,Panormus 1728.3 Il concio, riemerso in occasione dei restauri, mantie-ne intatta la lavorazione ad intarsio e la finitura cro-matica originale, composta da grassello di calce a stuc-co bianco per le parti piane esterne all’intarsio, e diuna malta colorata di rosso posta all’interno delladecorazione intagliata; straordinaria è la somiglianzafra questo concio, parte di un più vasto fregio decora-tivo, e la famosa decorazione che termina il palazzonormanno della Cuba a Palermo, recante una lungaiscrizione araba, nonché le frequenti decorazioni diepoca fatimita, presenti al Cairo.4 A. Zanca, L’antico clerestorio della Cattedrale diPalermo, in «Scienza e Umanità» 11(1946), 5 6, pp.97-109.5 A. Casano, Del sotterraneo della chiesa cattedrale diPalermo, Palermo 1849.6 È importante rilevare che il disegno del pavimento fuconcepito per terminare in corrispondenza di un ele-mento visibile nell’angolo SW del corridoio, elementoche può essere interpretato come resti di una porta adoppio battente. I mattoni sono allettati in una maltadi calce di buona qualità con presenza di pochi fran-tumi di laterizi, ciottoli di fiume neri, carbone. 7 In via Incoronazione, quasi all’angolo con P.zza Set-t’Angeli, in un’area che prima delle trasformazionitardo-settecentesche si trovava in corrispondenza del-l’antititulo, più precisamente della Prothesis, si sonosvolte le operazioni di scavo nei primi mesi del 1998.Sebbene la zona fosse stata disturbata da scavi recen-ti per la posa di condutture di servizi, è stato possibi-le individuare: una interessante sezione stratigraficacostituita da una serie di piani di calpestio l’uno all’al-tro sovrapposti. In particolare il crollo di materiale

laterizio copriva un pregevole pavimento costituito damattoni quadrati di cotto (dim. 0.31 x 0.31 x0.04/0.05 m) disposti a giunti alternati ed allettati inuna malta di calce di buona qualità. I mattoni, dicolore giallo ocra e rosso scuro, presentano tutti inclu-si vegetali. Nelle due aree di scavo – nel Diaconicon enel saggio su via Incoronazione – le unità stratigrafi-che indagate sono risultate assolutamente omologhe,oltre che poste alla medesima quota. Si tratta di unpavimento che va riferito ad un edificio di ampiedimensioni che preesiste all’impianto gualterianodella Cattedrale e la cui quota, ovviamente, non ècompatibile con quella delle pavimentazioni ascrivibi-li alla chiesa del 1185.8 I mattoni sono impastati valendosi di un tipo parti-colare di argilla che permette, a seconda dei tempi dicottura, di ottenere mattoni di colore giallo ocra orosso scuro ed utilizzando come dimagrante vegetalela Posidonia oceanica, un’alga a foglie nastriformi chesi accumula dopo le mareggiate sulle spiagge (F.D’Angelo Malta per tegole, in Sicilia Archeologica,XXII (1989), 69-70, pp. 55-59).9 L. Arcifa, E. Lesnes, Primi dati sulle produzioni paler-mitane dal X al XV secolo, in Actes du VIe congrès del’AIECM2, Aix - en - Provence 1997, pp.405-418.10 G.M. Amato, De principe templo panormitano libriXIII, Panormi 1728, p. 144.11 Le aree di scavo sono state ricoperte con materialiinerti e sistemi di pavimentazione aerata e sospesaautoportante, che consentono di realizzare orizzonta-menti di ottima portanza senza minimamente intacca-re le murature d’ambito. Gli strati di interesse archeo-logico sono stati protetti prima del ricolmo.12 Cfr. S. Di Bartolo, Monografia sulla cattedrale diPalermo, Palermo 1903; E. Perricone, La tomba por-firea di Ruggero Il primo re di Sicilia che si custodiscenel sepolcreto reale ed imperiale della cattedrale diPalermo, Palermo 1916; Idem, La cappella di San Pie-tro e Sant’Agata esistente nella cattedrale di Palermo,Palermo 1916.13 Le considerazioni sulle finiture interne, a confermadegli studi fin qui condotti, sono frutto di un primocontributo dello studioso tedesco Peter Autenrieth,emerse in occasione della visita sopralluogo «effettua-ta durante il Convegno di studi sull’ottavo centenariodella cattedrale, promosso dalla Curia Arcivescoviledi Palermo.14 A. Zanca, La cattedrale di Palermo, Palermo 1952.15 “Nella parete meridionale della tribuna dell’Eucare-

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stia c’è una porta di marmo … la quale immette nellasagrestia e nella stanza del Tesoro; queste stanze, fattea volta, furono costruite nel 1185 dall’ArcivescovoGualterio Ofamilio e ricevevano luce nella parte meri-dionale da quattro finestre; la parte più alta dellasagrestia fu divisa in due piani dai Marammari nel1580 …” (G.M. Amato, De principe templo panormi-tano, libri XII, Panormi 1728, p. 189).16 Verificato lo stato di conservazione della volte dellacripta sottostante l’antica sacrestia, si è mantenuto ilpavimento esistente di marmo Carrara misto a bardi-glio, che è stato integrato nelle parti in cui mancava,alla base degli armadi a parete dismessi. È emerso inprossimità del collegamento al Diaconicon, al di sottodella quota attuale di pavimentazione, un preesistenteammattonato di cotto e l’apertura nella volta di colle-gamento con un pozzo esistente nella cripta, che èstato lasciato a vista, proteggendo l’imboccatura delpozzo con una grata metallica.17 G.M. Amato, op. cit., Caput Sextum, Deipara coronata.18 G.M. Amato, op. cit., Caput Septimum, S. Maria Mag-dalena, pp. 50-51: «In nomine Domini Salvatoris nostriJesu Christi anno ejusdem incarnationis(..) ad perennita-tis memoriam, recordationis perpetuae firmamentum,Ego Gualterius, indignus ecclesiae Panormitanae ministercum universo capitulo, presenti scripto publico declaro,quod sacra regia majestate postulavimus deprecantes, utcappellam regiam S. Mariae Magdalenae, muro matricisecclesiae adiacentem, in qua pretiosa corpora illustrissimo-rum Ducum, Reginarum recolendae memoriae quiesce-bant, concederet removenda, in aliam cappellam, pauloremotius, ipsa corpora collocanda, pro eo, quod jam dictaregia cappella, sicut praediximus, ecclesiae (…) matricicontigue, opus fabrice simul, divinum impediebat offi-cium, quod cum ad preces humilitatis nostre regia vestrasublimitas annuisset, in voto promisimus nostras apudDeum animas obligantes, quod cappella ubi jam dicta cor-pora requiescunt, per clericos nostros serviri cum omnireverentia faciemus ita quod gratum erit Deo, animabusipsis profìciet ad salutem: clericos autem, qui hactenusimpredicta serviebant cappella(…).19 Per un approfondimento sugli esiti dei restauri vedi:G. Meli, Il restauro della cattedrale di Palermo, in AA.VV., La cattedrale di Palermo, Firenze 1994, pp. 43-96;G. Villari, G. Meli, Il tempio dei re, Palermo 2001, pp.85/88.20 L’intervento, progettato dall’arch. Guido Meli, per ilavori di sistemazione museografica della cripta e teso-ro della Cattedrale, per l’importo complessivo di £

599.702.200, è stato diretto dagli architetti GuidoMeli e Lina Bellanca dal 1996 al 2000; fra le somme adisposizione della perizia era previsto il nuovo allesti-mento del Tesoro, realizzato su progetto e direzionedei lavori dall’arch. Lina Bellanca nel 2005. I tempi diesecuzione dei lavori di allestimento sono stati con-cordati con il Parroco e la Fabbriceria della Cattedra-le, per limitare al massimo gli inconvenienti connessialla temporanea chiusura del Tesoro, oggetto di flussicontinui di visitatori, e per evitare le interferenze conle funzioni religiose. La nuova diversa distribuzionedelle funzioni negli ambienti meridionali della Catte-drale attigui all’antititulo offre spazi adeguati ai Cano-nici, oggi in numero sicuramente inferiore rispetto alpassato, ed al Parroco, proponendo un unico percor-so di visita attraverso ambienti fra di loro contigui. Ilavori di sistemazione di questo ambiente sono statieseguiti dall’Impresa Palumbo Silvestre per un impor-to di £ 15.127,31 La sistemazione museografica e lafornitura di arredi è stata realizzata dall’ImpresaRedar mobili per un importo di £ 69.450,00.21 C. Angela Di Stefano, Indagini archeologiche nellacattedrale di Palermo, in AA.VV., La cattedrale diPalermo, Firenze 1994, pp.29-41; idem, Il contributodelle indagini archeologiche, in G. Villari, G. Meli, Iltempio dei re, Palermo 2001, pp. 79/84.22 Lo scavo archeologico, nell’ambito del cantiere direstauro è stato seguito dalla dott.ssa Irina Garofano,vedi Il contributo delle indagini archeologiche, in G.Villari, G. Meli, Il tempio dei re, Palermo 2001, pp.85/88.23 Nella Sagrestia dei Canonici, nel muro della quale siosservano disposti in giro i ritratti di tutti quei Canoni-ci che si sono segnalati colle loro opere nella letteratura,o che per la santità, o per le cariche si sono resi merite-voli di conservarsene la memoria … Stanno sotto questiritratti degli armadi di noce, ove i Canonici conservanoi loro abiti canonicati. (G. Di Marzo Ferro, Guidaistruttiva per Palermo e i suoi dintorni, riprodotta suquella del Cav. D. Gaspare Palermo, Palermo 1858, pp.665/666)24 Si passa indi nel tesoro, la di cui porta è ornata dimarmi ad arabesco e nel quale si parano a messa i Cano-nici” … “Serve questo luogo di stanza per li congressicapitolari. Negli armadi che si osservano nelle mura, siconservano le sacre suppellettili e le reliquie …” (G. DiMarzo Ferro, Guida istruttiva per Palermo e i suoi din-torni, riprodotta su quella del Cav. D. Gaspare Palermo,Palermo 1858, pp. 665-666).

I luoghi del Tesoro

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ORI E ARGENTI DEL TESORO DELLA

CATTEDRALE DI PALERMO

Maria Concetta Di Natale

1. I MONILI DELL’IMPERATRICE COSTANZA

Nel tesoro della Cattedrale di Palermo sonoraccolte e custodite preziose opere di variogenere perlopiù provenienti dalla MaggiorChiesa metropolitana o comunque ad essapertinenti, che idealmente racchiudono unvasto arco di tempo, dall’età normanna esveva fino al XX secolo, comprendendoanche capolavori d’arte unici al mondo,come la corona dell’imperatrice Costanza,moglie di Federico II, raffinata opera pro-dotta nell’ergasterion del Palazzo Reale diPalermo esposta significativamente al centrodella prima sala del nuovo percorso musea-le, l’ex sagrestia dei canonici.Il tesoro si apre significativamente con i pre-ziosi monili facenti parte del corredo fune-bre dell’imperatrice Costanza. Questa, figliadi Alfonso II d’Aragona, sorella di Pietro IId’Aragona, vedova di Re Emerico I diUngheria e prima moglie di Federico II diSvevia, moriva a Catania nel 1222 e il suocorpo era trasferito a Palermo e sepoltonella Cattedrale in un sarcofago del III seco-lo d. C., che dovette essere rielaborato per lacircostanza1.Costanza d’Aragona era giunta a Palermonel 1209 per le seconde nozze e, su esplicitarichiesta di Federico, era stata incoronatanel 1220 imperatrice da Papa Onorio III, aRoma, insieme al sovrano. I gioielli per que-sta incoronazione potrebbero essere statirealizzati da orafi spagnoli, ungheresi otedeschi. È tuttavia più probabile che per

l’occasione venisse riutilizzato, con esplicitovalore simbolico, parte del tesoro dei Renormanni, fatto trasferire da Enrico VI inGermania, e che nuovi monili fossero realiz-zati appositamente nello stesso opificio delPalazzo Reale di Palermo, come sembrereb-bero peraltro indicare quelli superstiti chefacevano parte del corredo funebre dell’im-peratrice.Il sarcofago di Costanza fu aperto per laprima volta in occasione della ricognizioneufficiale delle tombe reali della Cattedrale diPalermo nel 1491, per volontà del viceréFerdinando de Acuña. Il corpo risultavaancora coperto dalla coltre funebre eaccompagnato dal disco con l’iscrizioneidentifìcativa, definita dalle fonti, che sonostate rivisitate da Claudia Guastella, in occa-sione della mostra del 1994-1995, tenutasi aPalermo, Federico e la Sicilia dalla terra allacorona, la cui sezione delle Arti figurative esuntuarie era curata da Maria Andaloro,come patena con “lu epitaphiu”2. L’iscrizio-ne è la seguente: HOC EST CORPUSD(OMI)NE CO(N)ST(A)NCIE ILLU-STRIS ROMANOR(UM) IMPERATRICISSE(M)PER AUGUSTE ET REGINE SICI-L(IE) UXSORIS D(OMI)NI I(M)P(ER)A-TORIS FREDERICI ET FILIE REGISARAGONU(M) OBIIT AUT(EM) ANNOD(OMI)NICE INCARNA-CIO(N)IS MIL-L(ESIM)O CCXXII XXIII IUNII XINDIC(IONIS) IN CIVITATE CATANIE.Tale placca è oggi esposta in una vetrinadella prima sala del Tesoro (fig. 1).Entro il sarcofago era anche unu scrignu fir-rato. Furono rilevati cinque anelli, cincoanelli d’oro con cinco petri pretiusi, una col-lana, un cullaro de oro cum petri preciusi etperni. Il capo dell’imperatrice era incorona-to da una cuffia, cuppula, come la definisce

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l’atto senatorio del 14913, o meglio da unacorona, come recita il transunto trattone daCesare Imperatore nel 1549, che specifica:«Costantia Imperatrix... inventa cum coro-na reali ornata multis lapidibus pretiosis etpernis magnis et parvis et auro masiczo». Ilcorredo funebre, dopo la prima apertura del1491, fu trasferito nel tesoro della Cattedra-le, per poi essere nuovamente posto nel sar-cofago per il malcontento popolare.Nel 1781, in occasione dell’infausta ristrut-turazione della Cattedrale di Palermo pro-gettata da Ferdinando Fuga, si aprirononuovamente le tombe reali, che venneroperaltro spostate nell’attuale non felice ubi-cazione. Dovette presiedere alle operazioniGabriele Lancillotto Castelli principe di Tor-remuzza, regio custode delle Antichità delVal di Mazara4; Rosario Gregorio ebbe ilcompito di redigere una relazione analiticadelle operazioni5. Il rilievo del sarcofagomarmoreo di Costanza fu realizzato da SantiGardini, mentre tutti gli altri da CamilloManganaro, il primo direttore del Disegnodell’Opera dei mosaici della Cappella Palati-

na e il secondo ingegnere militare suo colla-boratore. Le incisioni di Melchiorre dellaBella, incisore della stamperia reale di Paler-mo, furono inviate a Napoli allo storiograforegio Francesco Daniele, e pubblicate nel1784 dalla stamperia reale6. In questa se-conda ispezione i gioielli non furono più tro-vati sul corpo dell’imperatrice, ma conserva-ti in una cassetta lignea ai suoi piedi, comepure la corona. Si legge nel testo del Danie-le: «Il teschio era coperto di cuffia: alla qualenel disfarsi il capo s’erano attaccati lunghicapelli di colore biondo»7. Il Daniele cosìriferisce della descrizione della corona trova-ta entro la cassetta di legno: «diadema for-mato di drappo, ornato di ogni intorno d’as-saissime perle, e di pietre incastrate in oro edisposte in laminette pure di oro smaltate avari colori, verde, torchino e rosso. Le pietreson tutte grezze, e senza artifizio niuno natu-ralmente lisciate; se eccettuar ne vorrai ungranato grossetto anzi che no, tagliato a fac-cette, e due altre, in una delle quali è intaglia-to il capo di un delfino, e nell’altra veggonsiincisi (in) caratteri cufici... (gli augusti vene-randi nomi di Dio, di Gesù e di Maria) malpulite diseguali, insomma simili affatto allenostre son anche le pietre ond’è adorno ilglobo, che tra le altre insegne imperiali inNorimberga si serba»8.Maria Accascina, pionieristica studiosa dioreficeria siciliana, ritiene che il globo chesostiene la croce gigliata, oggi a Vienna,fosse stato realizzato nell’opificio del Palaz-zo Reale di Palermo per l’incoronazione diEnrico VI a Roma nel 1191 o per quella diPalermo nel 1194, o che fosse appartenuto,anche più significativamente, in origine aTancredi9.Nella relazione della ricognizione settecen-tesca il collare non era più citato, mentre si

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Fig. 1 - Argenterie del regio ergasterium di Palermo,Disco con iscrizione identificativa dell’imperatriceCostanza, 1222, argento.

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segnalavano vari frammenti di gioielli. IlDaniele riferisce in proposito: «Quivi eranoriposti cinque anelli e un gioiello vagamentelavorato a rabeschi di fogliami e di animalicon molte pietre grezze come le altre edassai mal legate, cioè fermate nei loro ca-stoni con uncinetti che d’ogni lato le strin-gono»10.Sia il Daniele che il Gregorio rilevano inter-venti nella corona, che venne ulteriormenterestaurata nel 1848, come già rilevava PadreLa Grua dall’inventario n. 521 della Catte-drale di Palermo, redatto il 28 ottobre189811, e come hanno puntualizzato le ricer-che della Guastella12. Dal 1784 al 1848,quando i gioielli passarono al Tesoro dellastessa Cattedrale, con la loro prima “esposi-zione museografica”, dettata dai criterimuseologici dell’epoca, vennero a mancaredue anelli, dei frammenti di monili e del col-lare, forse alienati per le ingenti spese soste-nute per la ristrutturazione dello stessoDuomo.Se nella corona si può ancora evidenziare lalavorazione dell’opificio del Palazzo Realedi Palermo tra la tarda età normanna e laprima sveva (fig. 2), secondo quelle peculia-rità che spingono Maria Accascina alla defi-nizione di “stile Palazzo Reale”, nel perdutoframmento di gioiello si può rilevare, siapure attraverso la sola incisione pubblicatadal Daniele (fig. 3), anche l’influenza dell’o-reficeria tedesca, che dovette verosimilmen-te entrare nella produzione orafa d’età fede-riciana, oggi tuttavia poco documentabileper la dispersione del tesoro svevo13.Maria Accascina, sottolineando la generaleconvinzione degli studiosi della realizzazio-ne della corona nell’opificio del PalazzoReale di Palermo, nota che l’opera «presen-ta infatti la tecnica della filigrana con tipico

avvolgersi a spirale in modo da formare unamaglia d’oro che si sovrappone a smorzarelo splendore dell’oro e sulle quali regolar-mente distanziate stanno le gemme poste incestelli; presenta la bordura a fili di perle;l’ampio gallone composto da quadrilobi consmalti; gemma al centro che circonda la basee incrociandosi sulla cupola la spartisce inquattro spicchi, secondo modelli in uso nel-l’Oriente cristiano, testimoniato nei mosaicie nelle miniature del XII secolo; presentaanche il motivo del giglio che si può vederea mosaico sulle pareti della Basilica di Mon-reale e altrove»14. Proprio la presenza dellafiligrana è ormai generalmente consideratadagli studiosi come caratteristica dell’opifi-cio del Palazzo Reale di Palermo. Gli orafid’età normanna la preferivano alla nudalamina aurea, prediletta dalla produzionebizantina, poiché, tramite la creazione dipieni e di vuoti, consentiva di smorzare l’ef-fetto luminoso della materia e di creare raf-finati giuochi luministico-chiaroscurali.Il Deer, cui si devono fondamentali studisulla corona, ritiene che questa sia giuntanella sua forma originale, non considerandosignificativa la palese differenza tra l’incisio-ne pubblicata dal Daniele (fig. 4) e l’attualeforma15 (cfr. fig. 2). Le fonti avevano peral-tro rilevato, come riporta il Daniele, che «ildrappo logoro e guasto, fu allora quando sidischiuse quest’urna nel 1491, con altrodrappo racconciato; e gli ornamenti di gioje,di perle, di laminette d’oro smaltate vi furo-no rapportate confusamente e senza labuona disposizione di prima»16.L’orafo Matteo Serretta nel 1848 curò ilrestauro ottocentesco della stessa, che ce laconsegna nella forma attuale17. Poté fornireindicazioni al Serretta lo stesso Rosario Gre-gorio, promotore della “valorizzazione”

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Fig. 2 - Orafi del regio ergasterium di Palermo, Corona dell’imperatrice Costanza, 1220, oro, filigrana d’oro, perle,gemme e smalti.

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della preziosa opera, secondo la culturaantiquaria degli eruditi dell’epoca, che,come ritiene la Guastella, potrebbe avereagevolato l’ipotesi di diversi studiosi tede-schi, come il Deer ad individuarvi un Kau-melaukion, una corona maschile come quel-le utilizzate a Bisanzio per le feste religiose apartire dai Commeni, ritenendo, attraversodiversi esempi, la tipologia di corona chiusaspecifica per i sovrani, mentre aperta per leregine18. Non è opportuno in questa sededilungarsi su tale ampia problematica, cheha visto il Lipinsky individuare nell’opera laCorona Regni Siciliae, già di Ruggero II erisalente, pertanto, agli anni 1130-113319, fa-cendo osservare a Padre La Grua che Rug-gero nel mosaico della Martorana indossauna corona aperta, che Federico possedevadiverse corone e che le Coronae Regni sole-vano terminare con una croce e non con unagemma, come quella, per altro versotipologicamente affine, di Budapest, la coro-na Regni Hungariae o di Santo Stefano20.Il restauro del 1491 non dovette intervenire

necessariamente sugli elementi della corona,ma trattandosi di un “racconcio”, comerecitano le fonti, poté limitarsi all’aggiuntadi nuova stoffa, senza tuttavia che fossesostituita quella originaria. Il disegno delManganaro del 1781, trasformato in incisio-ne a Palermo dal Della Bella (cfr. fig. 4), seviene considerato come puntuale “rilievografico”, come ritiene la Guastella, parreb-be denunciare invece il successivo interven-to ottocentesco quale “smontaggio totale”21.In occasione di quest’ultimo vennero rifattigli «ultimi pezzi di abbasso di forma rettan-gola», «duodeci pezzi formati a rosoni», duedelle piastre smaltate «a forma mistilinea» ela «striscia frontale di ristauro, che è ricama-ta in oro, con numero nove gigli d’oro» equattro perle e «una granata falsa supplitaper restauro, incastrata nel rosone di ristau-ro». Claudia Guastella ritiene che «l’esecu-zione di nuovi pezzi dovette derivare dallaintenzione di ottenere una calotta a simme-tria radiale divisa ortogonalmente dagliarchi in quattro fusi uguali, quale è oggi lacorona, dagli elementi che componevanoinvece un mezzo ovoide a simmetria bilate-rale, con l’incrocio degli archi spostato inavanti in funzione di una sua collocazioneall’apice della testa..., quale era la strutturadella corona, rimaneggiata ma non ancorasmontata, al momento della ricognizionesettecentesca, puntualmente rilevata dalManganaro»22. La corona in origine dovevaavere una struttura rigida, come risulta dallafascia metallica filigranata di base dell’in-cisione pubblicata dal Daniele, ornata dagemme e perle e chiusa da un elemento aperno, che veniva indossata su una “calottaserica”, la cuffia ricordata dalle fonti (cfr. fig.4). L’opera tuttavia per impostazione ti-pologica e decorazione risulta particolar-

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Fig. 3 - Orafi del regio ergasterium di Palermo, Anel-li e frammento di monile dell’imperatrice Costanza,rilievo di Camillo Manganaro, incisione di MelchiorreDella Bella pubblicata nel volume del Daniele, 1784.

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mente simile, tra le altre corone dell’epoca,non casualmente, a quella donata nel 1236da Federico II come reliquiario di Santa Eli-sabetta, in occasione della rimozione deiresti della Santa che era parente propriodella sua prima moglie Costanza d’Aragona,oggi al Museo di Stoccolma23. È pertantopossibile che il restauro ottocentesco nonfosse proprio di smontaggio totale e che ildisegno trasferito in incisione creasse unavisione prospettica che potesse sia pur par-zialmente falsarne la reale forma, anche serisulta puntuale nei dettagli della decorazio-ne, che evidenziano come gli interventi direstauro siano stati concentrati maggior-mente alla base (fig. 5). Proprio alla origina-

ria fascia di base poteva riferirsi la citatafrase del Daniele24.Dei pendilia della corona solo uno è rilevatodal Manganaro e presentato nelle due faccedecorate da un lato con smalti cloisonné (adalveolo formato), e dall’altro con filigrana ecastoni con granati (figg. 6-7); il secondodovette essere stato rifatto nel restauro del1848. Padre La Grua rileva infatti nell’in-ventario del 1898 «il rifacimento completoin argento dorato dell’infula sinistra», non-ché interventi sull’altra, e sottolinea signifi-cativamente che «questi ultimi restauri,come quelli degli smalti, sono fatti così beneche senza l’aiuto dell’inventario passanoinosservati»25.

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Fig. 4 - Orafi del regio ergasterium di Palermo, Corona dell’imperatrice Costanza, rilievo di Camillo Manganaro,incisione di Melchiorre Della Bella pubblicata nel volume del Daniele, 1784.

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I rombi dei pendagli, che fanno parte deidiversi elementi di oreficeria che venivanorealizzati, per così dire, in serie nell’opificiodel Palazzo Reale di Palermo, si riscontranoanche nel verso della Croce di Cosenza26.Elementi realizzati in serie dovevano essere,peraltro, gli zaffiri oblunghi forati, che ritor-nano nella corona del 1236 di Sant’Elisabet-ta, nonché le incastonature a cestello per leperline, analoghe a quelle della spada impe-riale oggi a Vienna e della croce di Velletri27.L’uso delle perle a contorno delle placchesmaltate viene ripreso nel modo di circonda-re con bianchi tondini taluni medaglioni deicodici miniati normanni come quelli con ivolti degli Apostoli della c. 1r dell’Epistola-rio (ms. 10) della Biblioteca Painiana diMessina, proveniente dallo scriptorium nor-manno della Cattedrale al tempo dell’arcive-scovo Riccardo Palmer, da datare alla finedel XII secolo28 (fig. 8). Angela Daneu Lat-tanzi in proposito notava: «gli spazi tra i me-daglioni incorniciati dai nastri che s’aggan-ciano ricorrenti entro le aste sono riempitida piccole foglie o spirali e contornati da filedi perline bianche, le quali ultime richiama-no le perline a rilievo in filigrana, talorasostituite ma talora anche rinforzate da filedi perline bianche cucite che ne seguono ilprofilo, che incorniciano tante placche e

medaglioni smaltati applicati sul vestiario daincoronazione» dei Re normanni29.Maria Accascina analizza la corona dall’alto«per cogliere al loro incrocio i due galloniche spartiscono la calotta di lamina d’oro,rosseggiante come il fulgore del sole, inquattro perfetti triangoli» ed esclama«vederla così fu vedere l’opera del tuttonuova, e riconoscerla un autentico capola-voro: all’incrocio, sul sommesso mormorioperlaceo, si staccano le gemme più alte, piùbasse, graduate nei loro colori opachi, tene-ri, squillanti ametiste, rubini, corniole, ac-colgono la luce, la filtrano, la respingono, inuna vibrazione che alla filigrana da vita»30.Proprio la parte superiore della corona diCostanza (fig. 9) è quella più strettamenteraffrontabile all’altra ricordata di Sant’Elisa-betta, analogamente articolata dall’incrociodi due fasce d’oro impreziosite da gemmeche formano quattro triangoli. Il bordo chedefinisce la base, analogamente aureo e pre-ziosamente decorato e ingemmato, è peral-tro sormontato da elementi gigliati ti-pologicamente affini a quelli in analogaposizione presentati nell’incisione del volu-me del Daniele e verosimilmente poi ripro-posti in basso nel restauro ottocentescodella corona di Costanza. Maria Accascinanota che «la corona gigliata di questo reli-quiario di Stoccolma presenta... affinità ditecnica: gemme racchiuse in castoni a ce-stelli e fili di perle, motivi di gigli» che, «purpresentando una certa vistosità apparente,potrebbero far pensare, come luogo diproduzione, al laboratorio del Palazzo Realedi Palermo»31. Mergoli gigliati caratterizze-ranno peraltro a lungo le corone propriodagli anni immediatamente successivi.La corona di Costanza nell’attuale esposi-zione museografica del tesoro della Catte-

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Fig. 5 - Orafi del regio ergasterium di Palermo, Coro-na dell’imperatrice Costanza, 1220, oro, filigranad’oro, perle, gemme e smalti (part.).

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drale è posta in una vetrina che consente digirarle intorno al centro della sala e di pote-re, pertanto, fruire di una globale visione.Sono stati affiancati secondo specifici criterimuseologici alla corona di Costanza pannel-li fotografici esplicativi a fine didattico, chenarrano sinteticamente le vicende storiche,riportano le incisioni tratte dal volume delDaniele e le informazioni essenziali per unamigliore fruizione e una più chiara com-prensione.Nel tesoro della Cattedrale di Palermo sonoesposti pure i frammenti della fodera dellacorona, due frammenti di galloni della tu-nica e del manto, ornati da placche filigrana-te e placche smaltate e perline. Placche fili-granate realizzate in serie nell’opificiopalermitano si riscontrano già nel manto diRuggero del 1133 e, tra l’altro, nella spadadi Vienna, nonché nei pendilia della stessacorona di Costanza, prodotti in età sveva

secondo le tradizionali tecniche normanne32.Nella attuale esposizione sono stati oppor-tunamente riuniti tutti i monili e i frammen-ti superstiti del corredo funebre dell’impe-ratrice. Dei cinque anelli che ne facevanoparte, solo tre sono nel tesoro della Catte-drale di Palermo, già due risultavano man-canti nel ricordato inventario del tesoro del184833. Gli anelli perduti sono quelli inbasso dell’incisione del volume del Daniele34

(cfr. fig. 3). Uno dei due perduti si caratte-rizzava per la presenza di due teste di ani-mali con orecchie ricurve, realizzate con latecnica della granulazione. Potrebbero forserimandare alle teste delle figure di cani o diquelle di draghi dalla criniera leonina pre-senti nelle miniature di età sveva, non ultimala Bibbia di Palermo (I.C. 13), oggi allaBiblioteca Centrale della Regione Siciliana,proveniente dall’Abbazia di San Martinodelle Scale, opera del 1258 circa che si inse-

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Figg. 6-7 - Orafi del regio ergasterium di Palermo, Pendilia della corona dell’imperatrice Costanza, 1220, oro, fili-grana d’oro, perle, gemme e smalti, recto e verso (part.).

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risce nella produzione delle Bibbie manfre-diane35 (fig. 10). Si segnalano in particolare icani che addentano spirali nastriformi dellacarta 199v e quelli della carta 390v del codi-ce di Palermo, peraltro strettamente raffron-tabili a quelli della carta 224r della BibbiaVaticana di Manfredi (Cod. Vat. Lat. 36), dadatare prima del 125836. Le figure di dragopoi sono peraltro uno degli elementi piùcaratteristici della miniatura di età sveva, giànon a caso presenti in quella normanna. Siricordano quelli della carta 4r della Bibbia

manfrediana di Palermo (cfr. fig. 10) e quel-lo della carta 48r del ricordato Epistolario dietà normanna (ms. 10) della Biblioteca Pai-niana di Messina37.I castoni degli anelli sopravvissuti sonosimili a taluni della stessa corona, il primodal castone trapezoidale con l’orlo ribattutocon pietra rettangolare (fig. 11) e maggior-mente il secondo dall’incastonatura rettan-golare a forma troncopiramidale (fig. 12),che al ripiegamento dell’orlo aggiungequattro uncini, raffrontabile anche ai casto-ni del gioiello perduto, come mostra la stes-sa incisione del testo del Daniele che pre-senta gli anelli38 (cfr. fig. 3). Questi castonisiciliani si distinguono da quelli nordici perl’altezza dell’incastonatura che non si ponesullo stesso piano della pietra lasciandolasporgere. Il terzo anello è decorato nel cer-chio da due serie di fogliette con all’internoornati in filigrana, immancabili nelle operedell’opificio normanno di Palermo, concastone troncoconico ad orlo ribattuto (fig.13). La decorazione a fogliette si rileva inoreficerie del XIII secolo della Germaniadel Nord ed è presente nella ricordata coro-na di Stoccolma, dove contorna la montatu-ra dei castoni, come peraltro nel perdutogioiello di Costanza. L’orafo siciliano dovet-te risentire influenze tedesche, più esplicitenel perduto gioiello. Questo doveva essereparte del collare ricordato dalla trascrizionedell’atto come uno collaro d’oro con petripretiusi e perni, piuttosto che parte di unacintura, come ritiene Torremuzza39. Questogioiello non è citato nell’inventario del184840. Il Daniele lo descrive come «ungioiello vagamente lavorato a rabeschi difogliami e di animali con molte pietre grez-ze... forse questo prezioso gioiello ornavagià il petto dell’imperatrice, siccome gli

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Fig. 8 - Miniatore dello scriptorium della cattedrale diMessina della tarda età normanna, Epistolarium (ms.10), c. 1r, fine XII sec., Messina biblioteca Painiana.

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Fig. 9 - Orafi del regio ergasterium di Palermo, Corona dell’imperatrice Costanza, 1220, oro, filigrana d’oro, perle,gemme e smalti (part.).

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anelli le dita, prima che fosse altra voltariaperta quest’arca»41. Il Torremuzza preci-sa che era di «filigrana d’oro»42. Vannonotati nel frammento di monile, grazieall’incisione del volume del Daniele43 (cfr.fig. 3), i due leoni addorsati in alto e i duevolatili affrontati in basso, elementi decora-tivi tipici dell’arte normanna.Il tema degli uccelli affrontati e in particola-re quello dei pavoni, cui parrebbero propriorimandare i volatili del perduto gioiello diCostanza, era caro al repertorio decorativonormanno, presente ad esempio nei notimosaici della cosiddetta sala di Ruggero delPalazzo Reale di Palermo, in quelli dellaZisa, di tarda età normanna, ma anche incodici miniati, come la carta 411r, della

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Fig. 10 - Miniatore dello scriptorium di Palermo del-l’età sveva, Bibbia di Palermo (I.C. 13), c. 4r, 1258 c.,Palermo biblioteca Centrale della Regione Siciliana“A. Bombace”.

ricordata Bibbia manfrediana di Palermo44

(cfr. fig. 10). Le teste dei leoni dovevanoessere realizzate a granulazione, come quelledelle figure di animali di uno dei perdutianelli. Aurei leoni compaiono nei codiciminiati prodotti negli scriptoria di età nor-manna, come ad esempio nella carta 1r delricordato Epistolario della Biblioteca Painia-na di Messina45 (cfr. fig. 8). I leoni, simbolodel potere dei re normanni, cui fortementeFederico II radica le sue origini, sono peral-tro raffrontabili a quelli dei mosaici della saladetta di Ruggero del Palazzo Reale di Paler-mo e riconducibili agli altri splendidamenteraffigurati nel manto di Ruggero, oggi aVienna, o ancora più significativamente aquelli del sarcofago dello stesso Federico II,non a caso, già destinato a Ruggero46.Nel perduto monile castoni con ganci trat-tengono le pietre come nella corona. Ilgioiello pertanto, piuttosto che a orafoungherese, come ipotizzato dalla Kurras47, oveneto, come ritenuto dalla Hueck48, varicondotto ad un orafo siciliano di etàsveva, che, tuttavia, come nota la Guastella,poteva lavorare a contatto con un orafo diStrasburgo49.Nella nuova esposizione museale di questeopere facenti parte del corredo funebre del-l’imperatrice, opportunamente riunite nellastessa vetrina sono stati ancora una voltaaffiancati pannelli didattici con le relativenotizie storiche, le specifiche incisioni trattedal volume del Daniele, e i raffronti checonsentono al visitatore di immergersi nel-l’arte normanna presente a Palermo attra-verso le più varie espressioni artistiche, dalmosaico alla miniatura.Nella stessa vetrina che accoglie gli anelli diCostanza è anche la pisside cilindrica ebur-nea da datare alla seconda metà del XIII -

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prima metà XIV secolo. Il cofanetto figura-to è ornato da motivi geometrici fitomorfi ezoomorfi raffrontabili alle decorazioni musi-ve e miniate dei secoli XII e XIV50. L’operadi manifattura siciliana o comunque italianaè stata donata dall’arcivescovo di PalermoGiovanni Battista Naselli Montaperto eMorso (1853-1870) della Congregazione diSan Filippo Neri51.

NOTE:

1 M.A. Mastelloni, II sarcofago antico di Costanza d’A-ragona, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona,sezione delle Arti figurative e suntuarie, catalogo dellamostra a cura di M. Andaloro, Siracusa-Palermo1995, pp. 47-52.2 C. Guastella, La placca di Costanza d’Aragona, inFederico e la Sicilia…, 1995, p. 91; M.C. Di Natale, Igioielli dell’imperatrice Costanza e la nuova esposizionedella corona nel tesoro della Cattedrale di Palermo, inL’oreficeria d’Oltralpe in Italia, Atti della giornata distudio (Trento, 18 aprile 2005) a cura di D. Floris,Trento 2007, p. 13. 3 Individuato da C. Guastella, Vicende storiche e testi-monianze documentarie, in Federico e la Sicilia…,1995, pp. 59-62.4 G.L. Castelli di Torremuzza, Giornale Istorico, ms.del sec. XVIII della Biblioteca Comunale di Palermo,ai segni QqH2a. Cfr. pure C. Guastella, Vicende stori-che..., in Federico e la Sicilia…, 1995, pp. 59-62.5 R. Gregorio, Relazione dei Cadaveri Regali osservatinel giugno e luglio 1781, prima di trasferirsi i loro tumu-li per la riedificazione della Maggiore Chiesa di Palermo,ms. del sec. XVIII della Biblioteca Comunale di Paler-mo, ai segni QqF63. Cfr. pure C. Guastella, Vicende sto-riche..., in Federico e la Sicilia…, 1995, pp. 59-62.6 Cfr. F. Daniele, I regali sepolcri del Duomo di Paler-mo riconosciuti e illustrati, Napoli 1784, II ed. 1859.7 F. Daniele, I regali sepolcri…, 1784, pp. 81-85. Cfr.pure M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIXsecolo, Palermo 1974, p. 78 e C. Guastella, Vicendestoriche..., in Federico e la Sicilia…, 1995, pp. 59-62. 8 Ibidem.9 M. Accascina, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 92.Mons. Benedetto Rocco traduce l’iscrizione della

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Figg. 11-12-13 - Orafi del regio ergasterium di Paler-mo, Anelli dell’imperatrice Costanza, ante 1222, oro egemme.

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gemma: «In Dio Isa, figlio di Gabir, s’affida» e PadreLa Grua individua nell’altro granato un grifone o undelfino, cfr. B. Rocco in G. La Grua, La corona diCostanza di Aragona regina di Sicilia, premessa di R.Giuffrida, “Atti dell’Accademia di Scienze Lettere edArti di Palermo”, Palermo 1988, p. 28 e p. 17.10 F. Daniele, I regali sepolcri…, 1784, pp. 81-85. Cfr.pure M. Accascina, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 78.11 F. Daniele, I regali sepolcri…, 1784, pp. 81-85. R.Gregorio, Relazione dei Cadaveri…, in G. La Grua,La corona di Costanza…, 1988, p. 25.12 C. Guastella, La corona di Costanza…, in Federico ela Sicilia…, 1995, pp. 63-74, che riporta la precedentebibliografia. Si veda anche Eadem, La corona diCostanza d’Aragona, in Nobiles officinae. Perle, filigra-ne e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, catalo-go della Mostra a cura di M. Andaloro, Catania 2006,pp. 371-377; M.C. Di Natale, I gioielli dell’imperatri-ce…, in L’oreficeria d’Oltralpe…, 2007, pp. 13-27; A.Von Gladiss, in Kaiser Friedrich II (1194-1250). Weltund kultur des Mittelmeerraums, catalogo dellaMostra a cura di M. Fansa e K. Ermete, Mainz amRhein 2007; G. Szabados, Costança d’Aragó, reinad’Hongria, in Princeses de terres llunyanes. Catalunya iHongria a l’edat mitjana, catalogo della Mostra, Bar-cellona 2009, pp. 164-177.13 M. Accascina, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 78.14 Ibidem.15 J. Deér, Der Kaiserornat Friedrichs II., Berna 1952,p. 11; Idem, The dynastic porphyry tombs of the Nor-man period in Sicily, Traslated from the Germany byG. A. Gillhoff, Dumbarton Oaks Studies, v, HarvardUniversity Press, Cambridge, Massachussett, 1959;Idem, Das Grab Friedrichs II., in Probleme um Frie-drich II., (Vortrage und Forschungen Bd. 16), a curadi J. Von Flekkenstein, Sigmaringen 1974, Studies undQuellen zur Welt Kaiser Friedrichs II., 4, pp. 361-383.16 F. Daniele, I regali sepolcri…, 1784, pp. 81-85. Cfr.pure C. Guastella, La corona di Costanza…, in Federico ela Sicilia…, 1995, pp. 63-74; Eadem, La corona di Costan-za…, in Nobiles officinae…, 2006, pp. 371-377; M.C. DiNatale, I gioielli dell’imperatrice…, in L’oreficeria d’Ol-tralpe…, 2007, pp. 13-27; A. Von Gladiss, in Kaiser Frie-drich II…, 2007; G. Szabados, Costança d’Aragó…, inPrinceses de terres llunyanes…, 2009, pp. 164-177.17 C. Guastella, Per l’edizione critica della corona diCostanza, in La Cattedrale di Palermo, Studi per l’VIIIcentenario della fondazione a cura di L. Urbani,Palermo 1993, pp. 265-286.

18 Cfr. C. Guastella, La corona di Costanza…, in Fede-rico e la Sicilia…, 1995, pp. 63-74; Eadem, La coronadi Costanza…, in Nobiles officinae…, 2006, pp. 371-377; M.C. Di Natale, I gioielli dell’imperatrice…, inL’oreficeria d’Oltralpe…, 2007, pp. 13-27; A. Von Gla-diss, in Kaiser Friedrich II…, 2007; G. Szabados,Costança d’Aragó…, in Princeses de terres llunyanes…,2009, pp. 164-177.19 A. Lipinsky, Sicaniae Regni Corona. Il Kamelaukiondetto cuffia di Costanza nel tesoro del Duomo di Paler-mo, in Bizantino-Sicula II, Miscellanea di scritti inonore di Rossi Taibbi, Palermo 1975, pp. 347-370.20 G. La Grua, La corona di Costanza…, 1988, pp. 7-29.21 Cfr. C. Guastella, La corona di Costanza, in Federico ela Sicilia…, 1995, pp. 63-74; Eadem La corona di Costan-za…, in Nobiles officinae…, 2006, pp. 371-377; M.C. DiNatale, I gioielli dell’imperatrice…, in L’oreficeria d’Ol-tralpe…, 2007, pp. 13-27; A. Von Gladiss, in Kaiser Frie-drich II…, 2007; G. Szabados, Costança d’Aragó…, inPrinceses de terres llunyanes…, 2009, pp. 164-177.22 Ibidem.23 H. T. Heuser, Oberrheinische Goldschmiedekunst imHochmittelalter, Berlin 1974.24 F. Daniele, I regali sepolcri…, 1784, pp. 81-85.25 G. La Grua, La corona di Costanza…, 1988, p. 27.26 L. Dolcini, La croce stauroteca di Cosenza: da Bisanzioa Palermo, in Federico e la Sicilia…, 1995, pp. 109-114.27 R. Farioli Campanati, La cultura artistica nelle regio-ni bizantine d’Italia dal VI all’XI secolo, in I Bizantiniin Italia, Milano 1982, pp. 139-406, che riporta la pre-cedente bibliografia. 28 M. C. Di Natale, I codici latini, L’Epistolario di Mes-sina, L’Evangelario di Messina, in Federico e laSicilia…, 1995, pp. 357-362, che riporta la precedentebibliografia. Cfr. pure M.C. Di Natale, Angela DaneuLattanzi e la storia della miniatura in Sicilia, in Storia earte nella scrittura. L’Archivio Storico Diocesano diPalermo a 10 anni dalla riapertura al pubblico (1997-2007), Atti del Convegno Internazionale di Studi(Palermo, Palazzo Arcivescovile - Palazzo Alliata diVillafranca 9 e 10 novembre 2007) a cura di G. Trava-gliato, Santa Flavia 2008, pp. 325-337.29 A. Daneu Lattanzi, Lineamenti di Storia della minia-tura in Sicilia, Firenze 1966, p. 30.30 M. Accascina, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 79.31 M. Accascina, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 99.32 M. Andaloro, Federico e la Sicilia fra continuità e dis-continuità, in Federico e la Sicilia…, 1995, pp. 3-30.33 C. Guastella, Gli anelli di Costanza d’Aragona, I

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gioielli perduti del corredo di Costanza d’Aragona, inFederico e la Sicilia…, 1995, pp. 85-89, che riporta laprecedente bibliografia. Si veda anche B. Päffgen,scheda IV.64, in Heiliges Römisches Reich DeutscherNation (962 bis 1806) von Otto dem Grossen bis zumAusgang des Mittelalters, catalogo della Mostra a curadi M. Puhle e C.P. Hasse, Dresden 2006, II, pp. 267-269; M.C. Di Natale, I gioielli dell’imperatrice…, inL’oreficeria d’Oltralpe…, 2007, pp. 13-27; A. Von Gla-diss, in Kaiser Friedrich II…, 2007; G. Szabados,Costança d’Aragó…, in Princeses de terres llunyanes…,2009, pp. 164-177; M.C. Di Natale – G. Travagliato,Corredo funebre di Costanza d’Aragona, in Die Stauferund Italien..., catalogo della mostra, (Mannheim, Reiss- Engelhorn - Museen, 2010-2011) in corso di stampa.34 E Daniele, I regali sepolcri…, 1784, pp. 81-85. Cfr.pure C. Guastella, Gli anelli di Costanza…, in Federi-co e la Sicilia…, 1995, pp. 85-89.35 M.C. Di Natale, La miniatura d’età sveva tra Napo-li e Palermo, La Bibbia di Manfredi della Bibliotecavaticana, La Bibbia sveva di Palermo, in Federico e laSicilia…, 1995, pp. 393-412, che riporta la preceden-te bibliografia. Cfr. pure Catalogo dei manoscrittiliturgici della Biblioteca Centrale della Regione sicilia-na “A. Bombace”, a cura di M.M. Milazzo e G. Sina-gra, Palermo 2006 e A. Rullo, Alcune novità sulla Bib-bia di Manfredi della Biblioteca Apostolica Vaticana(Ms. Vat. Lat. 36), in «Arte medievale», n. s. a. VI,2007, 2, pp. 133-140.36 Ibidem.37 Ibidem e M.C. Di Natale, I codici latini…, in Federi-co e la Sicilia…, 1995, pp. 357-362.38 F. Daniele, I regali sepolcri…, 1784, pp. 81-85.39 G.L. Castelli di Torremuzza, Giornale istorico, ms.,del sec. XVIII della Biblioteca Comunale di Palermoai segni QqH2a.40 C. Guastella, Gli anelli di Costanza…, in Federico e laSicilia…, 1995, pp. 85-89. Si veda anche B. Päffgen,scheda IV.64, in Heiliges Römisches…, 2006, II, pp.267-269; M.C. Di Natale, I gioielli dell’imperatrice…, inL’oreficeria d’Oltralpe…, 2007, pp. 13-27; A. Von Gla-diss, in Kaiser Friedrich II…, 2007; G. Szabados,Costança d’Aragó…, in Princeses de terres llunyanes…,2009, pp. 164-177; M.C. Di Natale – G. Travagliato,Corredo funebre…, in Die Staufer…, 2010-2011 inc.d.s..41 F. Daniele, I regali sepolcri…, 1784, pp. 81-85. Cfr.pure C. Guastella, Gli anelli di Costanza…, in Fede-rico e la Sicilia…, 1995, pp. 85-89; B. Päffgen, sche-

da IV.64, in Heiliges Römisches…, 2006, II, pp. 267-269; M.C. Di Natale, I gioielli dell’imperatrice…, inL’oreficeria d’Oltralpe…, 2007, pp. 13-27; A. VonGladiss, in Kaiser Friedrich II…, 2007; G. Szabados,Costança d’Aragó…, in Princeses de terresllunyanes…, 2009, pp. 164-177; M.C. Di Natale – G.Travagliato, Corredo funebre…, in Die Staufer…,2010-2011 in c.d.s..42 G.L. Castelli di Torremuzza, Giornale Istorico, ms.sec. XVIII della Biblioteca Comunale di Palermo, aisegni QqH2a.43 E. Daniele, I regali sepolcri…, 1784, pp. 81-85.44 V. Pace, Pittura bizantina nell’Italia meridionale, in IBizantini…, 1982, pp. 427-592. Cfr. pure M.C. DiNatale, La miniatura d’età sveva…, in Federico e laSicilia…, 1995, pp. 393-412.45 M.C. Di Natale, I codici latini, L’Epistolario di Mes-sina, L’Evangelario di Messina, in Federico e laSicilia…, 1995, pp. 357-362.46 Cfr. M. Andaloro, Federico e la Sicilia…, in Federicoe la Sicilia…, 1995, pp. 3-30; E. Bassan, I sarcofagi inporfido della Cattedrale, II sarcofago di Federico II, inFederico e la Sicilia…, pp. 33-35 e pp. 39-41.47 L. Kurras, Das Kronenkreuz im Krakauer Dom-schatz, Nurnberg 1963, pp. 90-93.48 I. Hueck, De opere duplici venetico, in “Mitteilungendes Kunsthistorischen Institut in Florenz”, 12, 1965-66, pp. 1-30.49 Cfr. C. Guastella, Gli anelli di Costanza…, in Fede-rico e la Sicilia…, 1995, pp. 85-89; Eadem La corona diCostanza…, in Nobiles officinae…, 2006, pp. 371-377;B. Päffgen, scheda IV.64, in Heiliges Römisches…,2006, II, pp. 267-269; M.C. Di Natale, I gioielli del-l’imperatrice…, in L’oreficeria d’Oltralpe…, 2007, pp.13-27; A. Von Gladiss, in Kaiser Friedrich II…, 2007;G. Szabados, Costança d’Aragó…, in Princeses de ter-res llunyanes…, 2009, pp. 164-177; M.C. Di Natale –G. Travagliato, Corredo funebre…, in Die Staufer…,2010-2011 in c.d.s..50 L’opera è stata studiata per la prima volta da L.Biagi, I tesori della Cappella Palatina e della Cattedra-le di Palermo, in “Dedalo”, 8-9, 1927-1928, pp. 542-570. Cfr. G. Travagliato, scheda n. 178, in Sicilia. Artee archeologia dalla presistoria all’Unità d’Italia, catalo-go della Mostra a cura di J. Frings, Cinisello Balsamo-Palermo 2008, pp. 314-315, che riporta la precedentebibliografia; Idem, Cofanetto / Pisside figurata, in DieStaufer…, 2010-2011 in c.d.s..51 Ibidem.

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2. LE SUPPELLETTILI LITURGICHE D’ARGENTO

L’esposizione delle suppellettili liturgichenel tesoro di qualsivoglia Duomo non pre-giudica il fatto che esse possano venire uti-lizzate per le celebrazioni di particolareimportanza, qualora le condizioni di conser-vazione dell’opera stessa lo permettano, econsente che i reliquiari mantengano la lorofunzione devozionale, pur dando spazio alcontestuale valore artistico. Le opere posso-no così non solo mantenere ma anche tra-mandare l’originaria funzione per cui eranostate volute da colti committenti e realizzateda raffinati artifici.Segnano gli angoli della sacrestia dei canoni-ci quattro leggii lignei in stile neogotico rea-lizzati su disegno dell’architetto FrancescoPaolo Palazzotto (1849-1915) nei primi annidel Novecento per uso del coro e destinati afungere da supporto per testi esplicativinella attuale sistemazione nella prima saladel Tesoro.Sono esposte ancora nella prima sala, l’exsacrestia dei canonici, opere del XIV seco-lo d’importazione toscana in Sicilia, comeil reliquiario dei Santi Cosma e Damiano,d’argento e rame dorato, che reca l’iscrizio-ne: Hoc tabernaculum faitum fuit temporePresbiteri Iacobi ser Nicola De Calençano(fig. 1)1. L’opera è citata nel manoscritto diAntonino Mongitore sulla Cattedrale diPalermo2 come “SS. Cosma e Damiano:della reliquia dei SS. Cosma si fa menzionenell’inventario del 1555 in questa maniera:Item una reliquia d’argento con suo pedi e...in capo della cassetta d’argento nominata diSan Cosma e Damiano intro la quale casset-ta vi sono reliquie di detti Santi, di peso contutti li reliquii lib(re) 2. Se ne fa menzionenella visita del Pozzo nel 1583. La reliquia

è degli ossi delle braccia. Nel nodo delpiede di esso reliquiario, di lavoro antico, silegge a lettere gotiche: Hoc tabernacu-lum...”. Il De Ciocchis nelle sue SacraeRegiae Visitationis per Siciliam3 del 1743ricorda “due statuette piccole dei SS.Cosma e Damiano di argento dorato che

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Fig. 1 - Orafo toscano, Reliquiario dei Santi Cosma eDamiano, XIV sec., argento e argento dorato, sbalza-to, cesellato, fuso e smalto.

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sono collocate nel reliquiario di rame dora-to fatto all’antica a sei facciate con suoi cri-stalli, dentro del quale sono le reliquie deidetti Santi”. Tra le numerose opere d’im-portazione pisana del XIV secolo presentiin Sicilia e, nello specifico, tra le sup-pellettili liturgiche, si ricorda, quale signifi-cativo esempio, il reliquiario di Piero diMartino da Pisa esposto nel tesoro dellaChiesa Madre di Geraci Siculo4.Una piccola icona con una Madonna bizan-tina, verosimilmente una Haghiosoritissadel XII secolo, una tempera su tavola possi-bilmente ridipinta nel XIV, reca una coper-ta d’argento del XII secolo, dovuta ad orafo

bizantino, caratterizzata da quegli elementidecorativi cuoriformi, che dal repertoriodecorativo bizantino passarono a quellonormanno (fig. 2). L’opera venne trasforma-ta in pace da un argentiere siciliano dellafine del XVI secolo, che trasse ispirazioneda modelli gaginiani, peraltro raffrontabili aquelli delle paci della fine del XVI, inizio delXVII secolo di scuola gaginiana dello stessotesoro e alla serie perduta della CappellaPalatina di Palermo5. Dell’icona il Padregesuita Ottavio Caietano, nel suo volumettosui Ragguagli delli ritratti della SantissimaVergine Nostra Signora più celebri, che siriveriscono in varie Chiese nell’Isola di Sici-lia, edito nel 1644, scrive: “Nell’anno dinostra salute 1219 si conservava in Alessan-dria nella chiesa di San Giovanni Battista ...una piccola Imagine della Gloriosa Madredi Dio dipinta da San Luca per molta e divo-ta istanza fattagli da S. Tecla discepola del-l’Apostolo S. Paolo” e narra tutte le vicendeche la portarono in Sicilia considerandolauna delle “gioie più pretiose nella Chiesacattedrale” di Palermo6.Antonino Mongitore, nel suo ricordatomanoscritto scrive dell’opera: “Dopo lastanza Capitolare siegue il Reliquiario divisodalla detta stanza da una grata di legno... Siconserva l’immagine della SS. Verginedipinta da S. Luca, di cui ho scritto l’origi-ne, e la sua venuta in Palermo nel Palermodiv(oto) di M(aria) V(ergine)” e, riprenden-do la narrazione del Caietano, precisa che:“è dipinta sopra tavola a forma greca” e “siconservava nella chiesa di Alessandria inEgitto e con divina rivelazione fu nel 1219consegnata dal Patriarca di quella chiesa...Atanasio Chiaramonte palermitano a San-t’Angelo Carmelitano, affine di portarla conaltre reliquie in Palermo, Italia. S. Angelo

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Fig. 2 - Maestri bizantini e siciliani, Pace con icona dellaMadonna orante, XII, XIV e XVI secc., tempera sutavola e argento, argento dorato, sbalzato e cesellato.

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portolla al Somm(o) Pontef(ice) Onorio IIIche la diede a Federico Chiaramonte Cava-lier Palermitano; e questi fece trasportarla inPalermo dallo stesso S. Angelo. Ogn’annoalla Domenica in Albis e giorni seguenti, staesposta per un’intiera novena sopra l’altarmaggiore, celebrandosi la novena ordinatadal Re Filippo IV con sue lettere a 30 Mag-gio 1643 per impetrar dalla celeste Regina lapace ai suoi Regni. Ogni giorno in questanovena si porta processionalmente ai pièdella Vergine un degli Ordini Regolari cheper la strada va cantando la litania dellaGran Regina, portando sotto ricco baldac-chino un’immagine della Vergine. Mattina esera v’ha sermone delle lodi della Sovrana

Signora. Termina la novena con solenneprocessione, portandosi la SacratissimaImmagine per la città accompagnata dagliOrdini Regolari, clero e capitolo della Catte-drale, seguita dal Senato. Con questa imma-gine si dava, prima, la pace nelle messesolenni agli Arcivescovi e nelle processionisi portava in petto dell’(Arcivescovo), comes’ha dalla lettera spedita dall’Arcivescovo D.Diego Haedo per la Corte Arcivescovile al13 marzo 1595 da D. Gio(vanni) Batt(ist)aLa Rosa nella vita di Sant’Angelo Carmelita-no... Ma poi se ne fece altra simile in cui sidà la pace a viceré, Senato e ministri, e siporta nelle processioni in petto dell’(Arcive-scovo), vestito di piviale e questa pur si con-serva in questo luogo. Quella però dipintada San Luca non esce che nella sola accen-nata novena”7. Oggi è conservata nel tesoroverosimilmente solo la più antica delle duepaci con icona della Madonna citate dalMongitore. L’icona risulta, dunque, già tra-sformata in pace nel 1593, data che si ponecome termine ante quem per la realizzazionedella cornice argentea di tipologia gaginia-na, verosimilmente realizzata proprio infunzione del nuovo uso liturgico dell’opera.L’ispirazione gaginiana di questa parte del-l’opera bene si accorda con il periodo ipo-tizzato di trasformazione. L’opera reca allabase due aquile bicipiti, simbolo dellaMaramma, la fabbriceria della Cattedrale diPalermo e ripropone anche l’impostazionearchitettonica dei due portali di VincenzoGagini, uno documentato del 1568-69, dellastessa sagrestia riutilizzando analoghi ele-menti decorativi8 (fig. 3). Tra i calici di derivazione barcellonese, cheper le foglie di cardo sotto la coppa vengo-no definiti da Maria Accascina “madoniti”,data la presenza di diversi esemplari in quel-

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Fig. 3 - Vincenzo Gagini, Portale dell’ex Sagrestia deiCanonici, 1568-69, marmo.

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l’area della Sicilia, è anche il calice del Teso-ro della Cattedrale di Palermo9 (fig. 4).Tra gli esemplari di tale tipologia da dataredalla seconda metà del XV secolo all’iniziodel XVI, Maria Accascina10 ricorda quellod’argento dorato della chiesa Madre diPolizzi, la cui datazione è stata precisata daVincenzo Abbate11 negli anni 1503-1511;quello della chiesa Madre di Petralia Sopra-na che reca il marchio di Palermo, quellod’argento dorato della chiesa Madre diPetralia Sottana, l’altro del Tesoro dellachiesa Madre di Castelbuono e quello dellachiesa Madre di Isnello. Si inseriscono inquesta serie anche quelli della Chiesa Madredi Geraci Siculo12 tra cui l’esemplare del

1506, recentemente individuato come operadell’argentiere di origine napoletana Jacopode Landi13 e l’altro pure dell’inizio del XVIsecolo del Museo Diocesano di Palermo,dono del Cardinale Salvatore Pappalardo14.Il calice del Tesoro del Duomo di Palermopresenta le caratteristiche evidenziate dal-l’Accascina15, dalla base mistilinea al grossonodo, ove compaiono grani di rosario, allefoglie di cardo sotto la coppa. Il calice recaalla base il marchio con lo stemma di Paler-mo, l’aquila a volo basso e la sigla RUP(Regia Urbs Panormi). Si tratta di una dellerare opere marchiate Palermo della secondametà inoltrata del XV secolo.Dello stesso periodo è il reliquiario architet-tonico del Tesoro che, su base mistilinea tra-forata, presenta il fusto ornato da tre nodi,quello centrale con merlature (fig. 5)16. Lateca in argento dorato, traforato è caratteriz-zata dal motivo a baldacchino con cuspidi epinnacoli di derivazione gotico-iberica, chesi riscontra sia nell’architettura che in altrisettori delle arti decorative del periodo aPalermo, come nel portico meridionale dellastessa Cattedrale17, emblematico esempio,iniziato al tempo di Ubertino de Marinis,arcivescovo di Palermo negli anni 1440 al1445, e ultimato dall’arcivescovo NicolòPujades (1465-1467), di origini barcellonesi,con baldacchino a tre arcate, come gli archidi stile moresco dell’Alhambra di Granada.Analoga tipologia di ispirazione catalana delperiodo presenta, nello stesso Duomo, ilcoro ligneo, che proprio l’arcivescovo Nico-lò Pujades volle esemplato su quello dellaCattedrale di Barcellona (fig. 6)18. Il reliquia-rio, che reca alla base la sigla RUP del mar-chio della città di Palermo, si può dunqueinserire tra i diversi prodotti di artisti sici-liani di derivazione spagnola, anche se

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Fig. 4 - Argentiere palermitano, Calice, fine del XVsec., argento sbalzato e cesellato.

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Fig. 5 - Argentiere palermitano, Reliquiario della cin-tura della Madonna, fine del XV sec., argento dorato.

Fig. 6 - Maestro catalano o siciliano spagnoleggiante,Stallo corale, 1465-67, legno intagliato.

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potrebbe essere dovuto ad uno di quegliargentieri spagnoli attivi a Palermo, e inseri-ti nella maestranza come Pietro di Spagna,di cui restano tanti nomi e poche opere19. Ilreliquiario è raffrontabile, ad esempio, agliostensori architettonici della Chiesa di SantaMaria Maggiore di Randazzo e della Chiesadi Maria SS.ma Conadomini di Caltagirone,anch’essi di ispirazione catalana20. Il raf-fronto può estendersi ai turiboli architetto-nici dalle stesse caratteristiche stilistiche etipologiche, di analoga derivazione culturalee della stessa epoca, come ad esempio quel-li della Chiesa Madre di Corleone, dellaChiesa di Santa Maria di Randazzo, dellaChiesa Madre di Assoro e del tesoro delDuomo di Messina21. Relativamente alle reli-quie contenute nell’opera il Regio VisitatoreFilippo Jordio nel 1604 tra le “Sacre reli-quie” ricorda che “in un reliquiario d’argen-to dorato trovò la cintura della Santa Vergi-ne Maria e, in un cristallo posto sopra que-sto reliquiario trovò anche il latte dellaBeata Vergine Maria”22. Il reliquiario è cita-to nel manoscritto sulla Cattedrale di Paler-mo da Antonino Mongitore23 come “Cingo-lo di Maria Vergine. Si conservò questo cin-golo della Vergine in Costantinopoli, onde sitrovava sermone di S. Germano de ZonaVirginis ... e molte cose di essa di S. Giusep-pe Innografo.... In oggi parte di essa si con-serva nella nostra Cattedrale, parte in SantaMaria Maggiore di Roma, come scrive D.Nicolo Alberti... Si fa menzione di essa nel-l’inventario del 1555 con queste parole:Item la custodia d’argento dorato fatta a fine-stra, in la quale ci è dentro la cintura diNostra Donna. Il Reliquiario è di lavoro anti-co fatto a piramide e la Santa Cintura che visi conserva è ricoperta di drappo verde tes-suto d’oro: ne appare solo una punta, che

lasciaron gli antichi in maniera che si potes-se vedere e si conosce essere di coiro. S’e-spone il Reliquiario nella festa principaledella SS. Vergine sull’altare maggiore e siporta in processione per la chiesa...”. Segueancora al n. 16 “Latte di Maria Vergine. Siconserva nello stesso Reliquiario, in cui è lacintura, come s’ha dall’inventario del 1555,in un cannello di cristallo, come s’ha puredalla Visita del 1583 di Don Francesco delPozzo” e al n. 17 “Capelli di M(aria) V(ergi-ne) nello stesso Reliquiario della cintura.Prima erano in Reliquiario separato: onde indetta visita del Pozzo si legge: In quadamReliquia curri duobus Angelorum imaginibusex argento, in qua sunt ex capillis S. Virgi-nis”. Nella citata relazione di Filippo Jordiodel 1604 si legge infatti: “in un reliquiariocon due angeli d’argento posati ai lati dellostesso trovò la reliquia dei Santi Luca, Simo-ne, Giacomo e i capelli della Beata VergineMaria”. Il Mongitore riporta inoltre la rela-zione del 1650 di Don Camillo Barbavara:“A maggior chiarezza qui trascrivo la rela-zione che si trova registrata nella cortearcivescovile in questa forma: 1650 a 7 Feb-braio p(rima) ind. s’hanno pesato la Reli-quia infrascritta dello Tesauro della MatriceEcclesia di questa felice Città di Palermocon l’assistenza delli Sig(no)ri Canonico D.Francesco Denti deputato dell’on(revo)leCapitolo a detto effetto, e dal detto fu elettoil Sac(erdo)te D. Camillo Barbavara acciodesse sua relazione”, e a c. 610v annota“Item diversi fili di capelli della MadonnaSS.ma, non si pesano per essere di pochissi-mo peso, quali si posero per mano di D.Camillo in un cristallo di sopra lo Reliquia-rio della cintura di detta Signora”24. Fu,dunque, Don Camillo Barbavara ad inserirequeste ultime reliquie nello stesso reliquia-

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rio architettonico. Nell’inventario del DeCiocchis si legge: “un reliquiario d’argentoall’antica fatto a Gonfalone dorato a sei fac-ciate con suoi mergoli di sopra, con alcunipezzetti mancanti, dentro il quale vi è la cin-tura della Madonna SS.ma, e di sopra vi èuna guglia di cristallo di rocca colla reliquiadel Latte e dei capelli di Nostra Signora”25.Tale reliquiario è pure analogamente citatoin due inventari della Cattedrale, il primodel 1801 e l’altro del 184826.Fra le opere d’importazione esposte nellaprima sala del tesoro è anche la pace, dovu-ta ad artista lombardo dell’inizio del XVIsecolo, raffigurante la Pietà in argento su unfondo di diaspro, con in basso la Natività, erecante nel verso un angelo cariatidiforme

con funzione di manico che poggia su unadrolerie (figg. 7-8)27. È tuttavia possibile chel’opera venisse realizzata a Palermo da unargentiere lombardo, la cui presenza vienesempre più documentata da recenti ricerchearchivistiche28. L’opera è così ricordata dalDe Ciocchis: “una pace d’argento con rab-bischi e gruttischi all’antica, dorata, suomanico di dietro, fatto ad arpia, ed in testacon il Padre Eterno, e nel mezzo una pietradi diaspro giallo e rosso in mezzo della qualevi è Nostra Signora della Pietà, d’oro digisello con due gruppi di angioli di soprapure d’oro con alcuni pezzetti mancanti,cioè quattro pezzetti d’oro e due di dietro diargento”29. L’opera è stata attribuita da LuigiBiagi a Jacopo Sansovino30. Maria Accascina

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Figg. 7-8 - Argentiere lombardo, Pace con Pietà, inizio XVI sec., oro, argento sbalzato, cesellato e fuso, diaspro(recto e verso).

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propende per un riferimento a “oreficerialombarda verso quei contatti CaradossoCellini”31.Verosimilmente legata all’importazionedalla penisola iberica o dovuta ad artistaspagnolo o siciliano spagnoleggiante, peral-tro l’attività di tali maestri che si trasferisco-no nel periodo a Palermo risulta sempre piùnota, è l’altra pace con l’Incoronazione dellaVergine, ancora legata a schemi e tipologietardo-gotiche catalane, che erano peraltroancora diffusi e presenti in numerose sup-pellettili liturgiche dell’epoca in Sicilia enella stessa Cattedrale di Palermo (fig. 9).L’opera reca nel verso lo stemma di Giovan-ni Paternò e Moncada, Arcivescovo diPalermo dal 1490 al 1511, periodo che benesi adatta al suo stile e che dovette, dunque,

essere realizzata su committenza dell’altoprelato per la Cattedrale (fig. 10)32.Tra le più importanti opere inserite in que-st’ultima esposizione museale del tesorodella Cattedrale è anche il reliquiario abraccio di Sant’Agata, già nella cappelladelle reliquie, ricordato dal Mongitore e inseguito studiato dal Di Marzo e dall’Acca-scina, la cui base è caratterizzata da elemen-ti decorativi goticheggianti, che fu realizza-to nel 1532 da Paolo e Giovanni Gili e daBattista Ramundo (fig. 11)33. A quest’ultimosi doveva in particolare la realizzazione delbraccio, come osserva Maurizio Vitella chene suppone la sostituzione con l’attuale,“eseguito da un ignoto argentiere palermi-tano in occasione della traslazione dellareliquia di sant’Agata all’interno dell’urnain argento e cristalli… custodia approntataper conservare le spoglie di Santa Rosalia,custodite dal 1631 in un’altra urna monu-mentale”, poiché vi nota “nella trattazioneanatomica della mano e dei decori cesellatinella manica” l’influenza del gusto secente-

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Fig. 9 - Argentiere catalano o siciliano spagnoleggian-te, Pace con Incoronazione della Vergine, 1490-1511,argento, argento dorato, sbalzato e cesellato (recto).

Fig. 10 - Argentiere catalano o siciliano spagnoleg-giante, Pace con Incoronazione della Vergine, 1490-1511, argento, argento dorato, sbalzato e cesellato(verso, part.).

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sco34. Nel tesoro è, peraltro, pure epostonella stessa sala, un inedito braccio reliquia-rio dalla più piccola base d’argento di ana-logo stile goticheggiante, pure databile allaprima metà del XVI secolo, che è statoposto su un basamento ligneo all’inizio delXIX secolo, che Maurizio Vitella ritiene, siapure come ipotesi di studio, che possa esse-re quello originario del Ramundo (fig. 12). La base del reliquiario a braccio di Sant’A-gata parrebbe peraltro volutamente allunga-ta tramite due elementi d’argento a forma diparallelepipede forse per adattarla al nuovo

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Fig. 11 - Paolo e Giovanni Gili, Battista Ramundo eargentiere siciliano, Reliquiario a braccio di S. Agata,1532 e inizi del XVII sec., argento e argento dorato.

Fig. 12 - Battista Ramundo (?), Reliquiario a braccio,inizi del XVI sec., argento e legno.

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braccio seicentesco più grande. La presenzadel Gili, personalità di spicco tra gli argen-tieri palermitani del XVI secolo, in Catte-drale si rileva ancora nel 1540 quando gliviene commissionata la nuova arca reliquia-ria di Santa Cristina ultimata nel 1556 con lacollaborazione di Andrea di Peri e ScipioneCaselli, opera nel corso dei secoli più volterestaurata, nel 1667 da Giulio Raguseo, nel1716 da Antonino Mollo e ancora nel 1787,che è esposta nella cappella delle reliquiedel Duomo palermitano (fig. 13)35.Ad argentiere spagnolo della fine del XVIsecolo è da riferire il calice d’argento doratoe smalti donato da Carlo II di Spagna nel1667 (fig. 14). L’opera reca lo stemma del

sovrano e l’iscrizione: Carolo II HispanieRex Rexinae Piphaniae Sacro SummoxpoDDD Anno 1667 e D. Illdefonso Perez DeGuzman Eleemosinis Regis Praefecto. IlMongitore nel capitolo dedicato alle Suppel-lettili della Chiesa d’argento del citatomanoscritto ricorda “un calice mandato dalRe Cattolico Carlo II in cui sta scritto:D(omino) Idelphonso Perez De Guzman(Elemosinis) Regiis Prefecto”; il De Cioc-chis lo ricorda come “un calice alla spa-gnuola e sottorosa di rame dorato con la suacoppa senza bolla e la patena con bolla vec-chia”36. Negli inventari della Cattedrale del1848 e 1898 viene citato come “un calicealla spagnola con coppa e patena di argento

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Fig. 13 - Paolo Gili, Andrea Di Peri e Scipione Casel-li, Urna reliquiaria di S. Cristina, 1556, argento, sbal-zato, cesellato e fuso, legno.

Fig. 14 - Argentiere spagnolo, Calice, fine XVI sec.,argento e rame dorato, sbalzato e cesellato, smalto.

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dorato con quattordici pezzetti di smaltodecorato turchino. La detta patena è sicilla-ta con la figura di Nostra Signora della Con-cezione”37. Il calice è raffrontabile con quel-li di Viñuelas e di Pezzuela de la Torres38.Un altro reliquiario architettonico, con l’i-scrizione Ecce lignum Crucis, dovuto a

argentiere siciliano della fine del XVI seco-lo, è esposto nella prima sala e presenta unabase mistilinea ornata con decori fitomorfi efloreali, un nodo dagli influssi classicheg-gianti nelle nicchie, con archi a tutto sesto eornati conchiliformi, anche se con remine-scenze gotiche nei pinnacoli (fig. 15)39. Laparte principale dell’opera è la teca reliquia-ria a forma di edicola, ancora di derivazionegotica, ma ormai priva di guglie svettanti.L’opera presenta al centro una croce di cri-stallo di rocca entro cui è inserita la reliquiadel legno della Sacra Croce, come viene spe-cificato dalla relativa iscrizione. Diversisono infatti i reliquiari di tale materiale, chesimbolicamente per la sua purezza si riferi-sce a Cristo40. L’opera rimanda da un lato adaltre del secolo precedente, come il reli-quiario della cintura della Madonna dellostesso Tesoro della Cattedrale di Palermo41

(cfr. fig. 5), mentre, per taluni elementi piùclassicheggianti e la parte terminale, a custo-die processionali come quella di Caltabellot-ta, dello stesso momento di transizione dellafine del XVI secolo42. Stretta analogia pre-senta poi con la base del reliquiario dellaChiesa Madre di Termini Imerese di SanGerardo del 157243, favorendo una datazio-ne vicina, in un momento immediatamentesuccessivo, verso la fine del secolo, per lenuove impostazioni classiche già notate.Queste si andavano manifestando parallela-mente nei famosi ostensori monumentali diNibilio Gagini e della sua scuola dalle piùimponenti dimensioni e dalla più maturaconcezione spaziale44.Reliquie del legno della Sacra Croce indivi-duava in Cattedrale nel 1604 il Regio Visita-tore Filippo Jordio, che annotava tra le“Sacre Reliquie”, che “prima di tutto in unacroce argentea, trovò alcune parti del legno

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Fig. 15 - Argentiere siciliano, Stauroteca, fine XVI sec.,argento, sbalzato, cesellato e traforato, cristallo di rocca.

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della Santissima Croce e nel piede della stes-sa croce trovò una reliquia senza iscrizionee, poiché la croce non era salda, ordinò chefosse aggiustata e appesa comodamente”45.Antonino Mongitore nello stesso manoscrit-to sulla Cattedrale di Palermo annota a pro-posito del “Legno della Croce” che “nell’in-ventario del 1555 si vede che vi erano alloradue Reliquiari col legno della S. Croce. Diuno si dice: Item una crocetta d’argento dora-ta con pietre di diversi colori con lo piede diun cannalo di cristallo, entro lo quale vi è unareliquia imbogliata con... perni, la quale sisuole mettere sopra li detti angeli, quali petrisu di un (supporto) et in... detta croce del

legno vero della Croce di Nostro Signore IesuCristo, di peso con tutta la reliquia lib(re)4.11. Dell’altra si legge: Item una crocettad’argento in la quale è ingastato un pezzo dellegno della vera croce di Nostro Signore IesuCristo con suo frustolo di legno, che si demo-stra al popolo lo Venerdì Santo con tutto lodetto legno oncia 2.2. D’un di questi si famenzione nella visita del 1583 fatta da D.Francesco del Pozzo, Item crus argentea, inqua est inclusum frustulum ex ligno vere cru-cis. In oggi si vede il legno della Santa Crocedonato dal Card. Doria nel 1642 alla chiesaentro una croce di cristallo… Il piè dellacroce di cristallo è d’argento nei cui latisono due cornucopie con tre angeli”46. Inrealtà oltre quest’ultimo, di cui si dirà a pro-posito del Cardinale Giannettino Doria,un’altra reliquia della Sacra Croce è conser-vata in questo reliquiario architettonico tar-docinquecentesco, sopravvivendone quindidue, come ricordato dalle fonti.Si inserisce nella tipologia dei reliquiariarchitettonici della fine del XVI, inizi delXVII secolo, quello in argento sbalzato ecesellato, donato dalle monache dell’Origlio-ne, pertanto proveniente dal Monastero diSan Giovanni all’Origlione, che ha ormaiabbandonato gli stilemi gotici, ispirandosi aquelli rinascimentali italiani (fig. 16). L’ope-ra, esposta nella successiva sala, già sacrestia,verosimilmente di maestro palermitano, pre-senta infatti la base circolare e non più poli-lobata e la cupoletta di forma classica, senzaparti cuspidate né guglie, né pinnacoli47.Presentano una moderna tipologia, chedall’ispirazione rinascimentale e manieristapassa a quella barocca, i calici della Sole-dad48, esposti nella seconda sala del Tesoro.La cappella della Soledad era sita nel Con-vento di San Demetrio dei Canonici regola-

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Fig. 16 - Argentiere siciliano, Reliquiario architettonico,fine XVI - inizi XVII sec., argento sbalzato e cesellato.

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ri della SS. Trinità e, come scrive GasparePalermo, venne fondata nel 1590 dalla“nazione Spagnuola”, “governado da viceréla Sicilia il Conte di Albadalista”49. Il Paler-mo informa che “Havvi in questa cappellauna Confraternita sotto lo stesso titolo dellaSoledad, anticamente di soli Spagnoli, maoggi di Signori e Nobili Siciliani, di militarie altre civili e oneste persone, sotto l’imme-diata protezione del governo”50. I bombar-damenti dell’ultima guerra mondiale causa-rono la distruzione della Chiesa di SanDemetrio e danni alla Cappella della Sole-dad, per cui la Confraternita si spostò nellaChiesa di Sant’Anna in Rua Formaggi, dove

tutt’oggi risiede51. Il primo dei due calicidella Soledad, oggi esposto nel Tesoro dellaCattedrale di Palermo, di tipologia seicente-sca, reca nella coppa il marchio della mae-stranza di Palermo, l’aquila a volo alto e leiniziali del console MGC e dell’argentiereDOR e nel sottocoppa, non omogeneo atutte le altri parti dell’opera, di nuovo l’a-quila ad ali spiegate verso l’alto e le sigleNL719, del console 1719 Nicola Lugaro, eFM dell’argentiere che lo realizzò (fig. 17)52.Si tratta per la coppa del console MicheleGulotta, che ricoprì la più importante cari-ca della maestranza palermitana nell’anno175053. La coppa, risulta, dunque, non omo-

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Fig. 17 - Argentiere palermitano, Calice, 1719 e 1750,argento sbalzato e cesellato.

Fig. 18 - Antonino La Motta, Calice, 1658, argentosbalzato e cesellato.

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genea al resto del calice, o perché smontatoin qualche pulitura insieme ad altri e nonrimontato correttamente o perché rovinatoin questa parte che venne di conseguenzarifatta. L’altro calice, tipologicamente affine,leggermente più grande, reca sotto la baseincisa la figura dell’Immacolata con i simbo-li mariani e l’iscrizione, relativa ai commit-tenti o donatori: Ma.r Dom. Da.so Almo. Syr.Ma. Dom. Dg. D. Falses Ma.r Do.m Df.c G.coMorro. L’opera, che dovette essere indicatacome modello dell’altra, si può datare al1658 poiché reca le iniziali del consoleFA58, da riferire a Francesco Avagnali, chericoprì in quell’anno tale carica, e presentainoltre l’aquila volo basso e le iniziali dell’ar-

gentiere ALM, possibilmente Antonino LaMotta, la cui attività è documentata dal1628 al 1669 (fig. 18)54.Questi calici sono strettamente raffrontabilia quelli che Pietro Rizzo realizzò per l’Ab-bazia di San Martino delle Scale negli anni1603 e 161055, a quello del tesoro della Cap-pella Palatina56 e a quello già della collezio-ne dell’Ing. Antonio Virga di Palermo57.Ancora a tipologie gaginiane si legano lepaci dell’inizio del XVII secolo raffigurantil’Immacolata con i simboli mariani, la Pietàe la Sacra Famiglia58 (figg. 19-21). La pacecon l’Immacolata potrebbe essere quellaricordata dal De Ciocchis come “pace diargento con suo manico di argento di dietro

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Fig. 19 - Argentiere palermitano, Pace con Immacola-ta, inizio XVII sec., argento sbalzato e cesellato.

Fig. 20 - Argentiere palermitano, Pace con Pietà, inizioXVII sec., argento sbalzato e cesellato.

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con l’immagine di Nostra Signora dellaConcezione” e quella con la Sacra Famiglia“altra pace di argento con suo manico didietro con l’immagine di Gesù Maria e Giu-seppe”59.I simboli mariani raffigurati nella primapace traggono ispirazione per l’iconografìadell’Immacolata dall’Apocalisse di Giovanni(12,1): “poi apparve un gran segno nel cielo.Una Donna intorniata da sole, sotto i cuipiedi era la luna e sopra la cui testa era unacorona di dodici stelle”, per gli altri dal Can-tico dei Cantici, come (4.12) : “Tu sei un ortoserrato, una fonte chiusa, una fontana sugel-lata” e (4-15) “o fonte degli orti, o pozzod’acque vive o ruscelli correnti giù dal Liba-

no” e ancora (6-10) “Chi è Costei che appa-risce simile all’alba, bella come la luna, puracome il sole”, o dal Libro del Siracide (24,13-15): “Sono cresciuta come un cedro delLibano, come un cipresso nei monti dell’Er-mon e come una palma di Engaddi. Come lepiante di rose a Gerico, come un ulivo rigo-glioso nelle campagne e come un platanosono cresciuta. Ho profumato tutto, come lacannella e il balsamo aromatico, come unapianta di mirra finissima”60. Queste pacisono strettamente raffrontabili a quelle per-dute del tesoro della Cappella Palatina diPalermo61. Alla maestria dell’abile argentiere palermita-no Michele Ricca è da riferire la pisside inargento dorato che reca il marchio del con-sole MCC e dell’argentiere MR (fig. 22)62. Sitratta del console Melchiorre Curiale, chericoprì tale carica negli anni 1633, 1645,165063. Una pisside pressoché identica, chereca le iniziali dello stesso abile maestropalermitano, Michele Ricca, si trova nellaChiesa di Sant’Antonio Abate64.Un’altra pisside che riprende l’originaleforma di questa della prima metà del Seicen-to venne realizzata nel XVIII secolo per lastessa Cattedrale, reca infatti il marchio diPalermo, l’aquila a volo alto con la siglaRUP, le iniziali del console AG734 e quelledell’argentiere GD* (fig. 23)65. Il console del1734 della maestranza degli orafi e argentie-ri di Palermo era Antonio Gulotta66,l’argentiere che marchia con le iniziali delsuo nome GD seguite da un asteriscopotrebbe essere Giovanni Duro, docu-mentato dal 1729 al 1762, anno di morte67.Tra i più interessanti arcivescovi della Arci-diocesi di Palermo fu certamente Giannetti-no Doria, il Cardinale che, rispecchiando lamentalità della sua epoca, accolse “l’inven-

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Fig. 21 - Argentiere palermitano, Pace con Sacra Fami-glia, inizio XVII sec., argento sbalzato e cesellato.

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zione delle sacre ossa di Santa Rosalia”, nelluglio del 1624. Scrive il Mancusi in proposi-to che “il Cardinale adunque, convocata lanobiltà e il Senato di Palermo, secondo lamaniera prescritta dai sacri canoni, dichiaròquelle essere le vere ossa della loro Santa cit-tadina... Poi colle sue proprie mani consegnòin loro potere di parte in parte il corpo di S.Rosalia; che per allora non essendo speditaquell’arca maestosissima di centocinquantalibre di finissimo argento, dove al presente sicustodisce, fu in una cassetta di velluto trina-to d’oro e questa in un’altra piccola d’argen-to collocato, ma quando si portarono in pro-

cessione, comparirono dentro un’Arca dicristalli finissimi di lucido argento vagamen-te adorni”68. Si tratta della prima cassa diSanta Rosalia custodita nella cappella delleReliquie della Cattedrale, commissionata dalSenato di Palermo il 3 marzo 1625. La baselignea è dovuta ai maestri intagliatori Apol-lonio Mancuso e Nicola Viviano, quello stes-so Giancola Viviano che lavorò alla secondamonumentale vara d’argento, artista di cuiviene sempre più chiarita la poliedrica attivi-tà, quella in cristallo a Desiderio Pillitteri eGiovanni Di Pietro, quella d’argento a Fran-cesco Licco (fig. 24)69.

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Fig. 22 - Michele Ricca, Pisside, 1633-1650, argentodorato, sbalzato e cesellato.

Fig. 23 - Giovanni Duro, Pisside, 1734, argento sbal-zato e cesellato.

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A Giordano Cascini, illuminata figura dipadre Gesuita, si deve l’agiografia dellaSanta e la sua variegata e articolata icono-grafia ed è particolarmente significativo ilfatto che il suo primo testo, De vita et inven-tione S. Rosaliae, del 1631, scritto in latino,fosse conservato nella seconda cassa reli-quiaria della Santa, oggi nella attuale cap-pella di Santa Rosalia della Cattedrale, conla firma autografa del Cardinale Giannetti-no Doria, dove si trova ancora oggi70. È,dunque, il Cascini ad indicare temi e sceneper la seconda sontuosa “vara” di SantaRosalia, voluta dal Senato palermitano erealizzata tra il 1631 e il 1637 su disegno del-l’architetto del senato Mariano Smiriglio,dagli abili maestri argentieri, Giuseppe Oli-

veri, Francesco Ruvolo, Giancola Viviano,Matteo Lo Castro e Michele Ferruccio, lecui parti si vanno sempre più distinguendo ele personalità degli artisti chiarendo in studirecenti (fig. 25)71.È possibile che proprio l’arcivescovo Gian-nettino Doria avesse già affidato l’incaricodi redigere l’inventario degli argenti dellaCattedrale di Palermo a Don Camillo Bar-bavara che, su richiesta del canonico Fran-cesco Denti, consegnava la sua relazione il14 settembre 1650. A proposito della vara diSanta Rosalia, questi annotava i nomi deiprincipali artefici, con specifiche notazionitecniche, come peraltro poteva fare proprioun orafo esperto come lui: “opera di piastretirate con figure da mastro Giuseppe Olive-

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Fig. 24 - Apollonio Mancuso, Nicola Viviano, Deside-rio Pillitteri, Giovanni Di Pietro e Francesco Licco,Urna di S. Rosalia, 1625, legno, cristallo e argento.

Fig. 25 - Giuseppe Oliveri, Francesco Ruvolo, Gianco-la Viviano, Matteo Lo Castro, Michele Ferruccio, Varadi S. Rosalia, 1637, argento sbalzato, cesellato e fuso.

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ri, opera di gettito e rilievo consignata damastro Francesco Rivelo (Ruvolo), opera digettito e rilievo consignata da maestro Gio.Cola (Giancola) Viviano... Matteo LoCastro...”72. Gioacchino Di Marzo nota inproposito: “Sicché, secondo questa relazio-ne, è tutto il prezzo dell’argento e fatica dellavor onze 7383. 13.14, che sono scudi18459.4.14. Alla qual somma dee aggiunger-si il prezzo delle libre 110.5.3 di rame emastria. Onde non senza ragione il P. Amatoscrisse il valore di questa cassa essere 20.000scudi, aureorum 20.000 librarum 1750”73.All’opera dovette collaborare anche Miche-le (Farruggia) Ferruccio, come si rileva dagliAtti del Senato del 27 gennaio 1631 (cc.183-184) relativi ai Capitoli dello staglio del-l’opera di rilievo di cera et getto delle figure etornamenti della cascia della Gloriosa SantaRosalia di argento cesellati e finiti auguettatidi ogni cosa per potersi mettere in opera alloloco”74.Orafo di fiducia di Giannettino Doria fuDon Camillo Barbavara, al quale spetta unposto di primo piano tra i maestri abili nellalavorazione dello smalto in Sicilia nellaprima metà del XVII secolo. Origini messi-nesi avevano i parenti del Barbavara Flavia e

Giuseppe Ferro, quest’ultimo è quell’abileargentiere che realizza per la Cappella Pala-tina di Palermo il repositorio, su disegno diPietro Novelli, mandato da Messina e con-segnato proprio a Don Camillo nel 164475. IlBarbavara realizzava nel 1627 il reliquiarioper i capelli della Vergine della Cattedrale diPiazza Armerina, caratterizzato da una raffi-nata profusione di smalti policromi, com-missionatogli dal tesoriere della chiesa DonVincenzo Inguardiola, come si rileva dall’i-scrizione che l’opera reca alla base76. Nelreliquiario tempestato di smalti policromiricorre ancora la tipologia architettonica, siapure ormai con la cupoletta ribassata digusto manieristico e con ai lati due figure diangeli cariatidiformi, che tipologicamenterimandano a quelli delle ricordate paci gagi-niane, e non certamente a caso quella conl’Ascensione della Cattedrale di PiazzaArmerina del 1608, attribuita a GiuseppeGagini e commissionata dagli eredi diMarco Trigona77, e a edicole della fine delCinquecento, inizi del Seicento dei corallaritrapanesi, come le acquasantiere con il Bat-tesimo di Gesù e l’Immacolata, già della col-lezione Whitaker78. Stimarono il reliquiariodel Barbavara gli importanti argentieri Mar-

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Fig. 26 - Don Camillo Barbavara, Corona della manta della Madonna del Vessillo, 1632, oro, smalti e gemme, PiazzaArmerina, Cattedrale (part.).

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zio Cazzola, Paolo Pusateri, Pietro Rizzo eFrancesco Facciolo79.Il capolavoro di Don Camillo Barbavararesta, comunque, la Manta della Madonnadel Vessillo della Cattedrale di Piazza Arme-rina, commissionatagli dopo il miracolodella pioggia del 1628 e consegnata nel163280. Particolarmente interessante si èrivelato il ritrovamento del disegno dellaManta da parte di Giovanni Travagliato81.La copertina d’immagine sacra ricoperta disfavillanti smalti e castoni di rilucentigemme reca al centro l’immagine del ReRuggero vincitore sugli infedeli grazie alvessillo della Madonna, da una parte unaveduta della città di Piazza Armerina e dal-l’altra il miracolo della pioggia che cadde lastessa notte del 24 febbraio in cui stava peressere portata in processione la venerataicona della Madonna. La corona dellacopertina dell’immagine sacra (fig. 26) sipone quasi come una riproposizione in chia-ve barocca proprio di quella di Costanza,del tesoro della Cattedrale di Palermo, pro-dotto di opificio normanno, che l’orafo nondovette poter vedere perché ancora serratanella tomba dell’imperatrice, per cui potéispirarsi ad altre opere similari, come verosi-milmente quella della Madonna della Perla,di età normanna, descritta dalle fonti, di cuisopravvive la tavola al Museo Diocesano diPalermo, ma tutti i preziosi ornamenti digemme, perle e oro sono andati perduti82.Poté anche ispirarsi ad una precedentemanta della stessa icona della Madonna delVessillo, di cui non si hanno notizie. Si notinon solo la riproposizione della forma a mo’di calotta, ma anche come alla fitta e minutadecorazione della filigrana aurea della coro-na di Costanza, che permette di infrangerela luminosità del fondo d’oro, corrisponda

nella corona della manta del Barbavara unricco e variegato gioco di smalti policromiintersecantisi tra loro, che finisce per creareun similare effetto di chiaro-scuro, anche seormai secondo il dichiarato gusto per i forticontrasti di colore cari all’arte sicilianabarocca.Da ulteriori acquisizioni documentarie sirileva la commissione per la stessa Cattedra-le di Piazza Armerina, al Barbavara, proprionell’anno 1632 in cui consegnava la manta,“di dodici figure di corallo o d’argentodorato e smaltato, con piedistallo d’argentoe d’oro”83. Doveva verosimilmente trattarsidelle dodici figure degli apostoli, particolar-mente significativa diviene comunque que-sta notizia che lascia supporre analoga lavo-razione da parte di uno stesso orafo deglismalti che ornavano sia opere di corallo siad’oro. È proprio tale grande affinità compo-sitiva uno degli elementi che hanno indicatoe consentito per tanti aspetti l’individuazio-ne degli smalti dalle peculiari caratteristicherealizzative siciliane84. Ornati di corallocompaiono peraltro anche in talune cornicidecorative della manta stessa della Madon-na del Vessillo. Un’altra notizia, sempre nel1632 è relativa alla commissione al Barbava-ra della grande “gioia” posta al centro dellacorona, che dovette realizzare, sia pur senzagli smeraldi citati nell’atto. Questa mantavenne stimata nel 1632 dall’orafo messineseGianpaolo Ciranna per il valore di mille equattrocento once, e già nello stesso annorivela qualche aggiunta da parte degli orafiGiacomo Capra e Scipione Catania85. AGiuseppe Capra, argentiere originario diCaltagirone, era stata commissionata nel1621 la grande custodia d’argento dellaMadonna del Vessillo, ideata da Giandome-nico Gagini, con il quale collaborarono il

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Fig. 27 - Don Camillo Barbavara, Calice, ante 1637, oro, argento, smalti e gemme.

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figlio Giacomo e Domenico Salti; l’operavenne stimata da Pietro Rizzo nel 162686.Le opere del Barbavara del tesoro della Cat-tedrale di Palermo sono state raggruppatenella prima sala espositiva del Museo. Il pre-zioso calice, ornato di smalti e gemme, cheho avuto già modo di riferirgli, reca l’iscri-zione relativa al committente, il ricordatoDon Giovanni Battista La Rosa e Spatafora,canonico della Cattedrale di Palermo dal1594, tesoriere e protonotario apostolico(fig. 27)87. Il Mongitore nel ricordato mano-scritto tra le “suppellettili della chiesa,argento”, al capitolo 62 ricorda: “Un caliced’oro con l’iscrizione G.B. La Rosa et Spata-fora Canonico V.I.D. Protonotario ApostolicoDecano et Th.ro questa Santa Chiesa, havarie pietre preziose di tre mila scudi”. Il DeCiocchis lo ricorda come “un calice d’oro

con l’anima del piede sottorosa di argentodorato ingastato detto piede e sottorosa coningasto d’oro smalti e di molte sorta di pie-tre di berilli, granati, torchine, topazi edaltre pietre; la coppa e patena di detto cali-ce tutte d’oro sotto la qual patena vi sono learmi della maramma”88. Dello stesso Cano-nico è esposta nel tesoro della Cattedrale diPalermo una pisside che reca, come il calice,l’iscrizione relativa al nome del committen-te, ed è da riferire verosimilmente ad orafotrapanese e da datare analogamente al cali-ce, prima del 1637, anno di morte del sacer-dote89 (fig. 28). Di questa il Mongitore scri-ve: “Una pisside tutta d’oro stimata 166lasciata alla Cattedrale dal decano D.Gio(vanni) Bat(ist)a La Rosa, ad effetto checon essa comunicasse il Prelato nel GiovedìSanto il Capitolo e clero. E dare il viatico acanonici infermi Palermitani”90.Don Camillo Barbavara viene nominato nel1632 cappellano dell’Unione dei Miseremi-ni della Chiesa di San Matteo e gli è stataconfermata da altre acquisizioni documen-tarie l’attribuzione, che avevo già avanzato,della splendida raggiera, ultima parte super-stite di un ostensorio, oggi nei depositi diPalazzo Abatellis, proveniente da quellachiesa91. Dalle ricerche documentarie diGiovanni Mendola si è rilevato infatti che ilBarbavara lasciava, nel suo testamento del1657, che venne aperto nel 1662, all’Unionedei Miseremini “una custodia per exponereil Santissimo Sacramento di Gioij oro argen-to rami dorati con un angelo di sotto loquale tiene la raja et la sua caxa di allaccarossa”, opera che era costata ben duemilascudi. Avevo ipotizzato di ricondurre allarealizzazione dell’ostensorio di San Matteol’acquisto da parte del Barbavara di dia-manti il 6 maggio 1637, ancora un altro

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Fig. 28 - Argentiere siciliano, Pisside, ante 1637, argen-to dorato sbalzato e cesellato.

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Fig. 29 - Don Camillo Barbavara e maestri siciliani, Mitria, 1608-1642, oro, argento, smalti, gemme e perle.

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ritrovamento documentario informa che l’o-rafo due anni dopo paga tali gemme92.Alla ricostruzione dell’attività di DonCamillo Barbavara ho pure già ricondotto lamitra del tesoro della Cattedrale di Palermotradizionalmente riferita all’ArcivescovoCarandolet (1520-1544) (fig. 29)93. Un’atten-ta analisi degli smalti affiancata e conferma-ta dalla lettura tecnica del tessuto, che spo-sta l’opera alla prima metà del XVII secolo,mi ha spinto a riferire la lavorazione dei raf-finati ornati di smalto a traforo a DonCamillo Barbavara e di ritenere che si trattidella mitria del Cardinale GiannettinoDoria (1608-1642), per il quale specificata-mente l’abile maestro dovette ornarla. Lerecenti ricerche di Giovanni Travagliatohanno, peraltro, informato che il Barbavarafosse richiamato più volte da Piazza Armeri-na a Palermo proprio dal Cardinale Doria94.Straordinaria appare l’affinità compositivadegli smalti che impreziosiscono la mitriadel Cardinale Doria e quelli che il Barbava-ra pone sulla manta aurea della Madonnadel Vessillo di Piazza Armerina.Don Camillo Barbavara avrebbe dovutosostituire Padre Giuseppe Gambacorta dellaCompagnia dell’oratorio di San Filippo Neri,qualora questi fosse stato impossibilitato, perla stima della corona della Madonna dellaVisitazione di Enna realizzata nel 1653 dagliorafi e abili smaltatori Leonardo e GiuseppeMontalbano e Michele Castellani95.Don Camillo Barbavara moriva a Palermonel 1662 e veniva sepolto nella chiesa di SanMatteo ove lo ricorda l’epigrafe “Barbava-ga”, dizione che talora, peraltro, comparenei documenti, e in un più tardo busto96.Antonino Mongitore nel ricordato mano-scritto sulla Cattedrale di Palermo parla del“Reliquiario” che “nell’inventario fatto a 14

settembre 1650 per atti della Corte Arcive-scovile, fu pesato e stimato da D(on) Camil-lo Barbavaria e ritrovato di peso lib(re)598.9 fu stimato scudi 609.11.10 e per...scudi 2000”97. Il Mongitore così descrive l’o-pera ancora esistente al suo tempo e oggiandata perduta: “una custodia d’argento,che chiama gonfalone, con varie piramidi eimmagini d’argento dorato: di lavoro antico,all’altezza di quattro palmi, largo 6”. IlCanonico specifica inoltre che “fu data allachiesa questa custodia per riporvi dentroalla pubblica adorazione la SS. Eucaristiadal Re Ruggero nel 1136, come scrive Ago-stino Inveges nel Pal(ermo) Nob(ile) ... o nel1142 come vuole Baronio De Majest(ate)Pan(ormitana) .... Era collocata nell’altaremaggiore in tempo d’esposizione e nellasolennità del SS. Sagramento era portata da24 sacerdoti sopra una bara, ma il CardinalDoria nel 1620 decretò che il SS. fosse por-tato colla sfera in mano....”98. Dovette essereproprio questa disposizione a decretarel’abbandono e spesso la conseguente perdi-ta di capolavori di argenteria siciliana, comequesto della Cattedrale di Palermo, di tipo-logia tardogotica quali gli ostensori monu-mentali, favorendo d’altra parte la diffusio-ne e l’uso del più leggero e maneggevoleostensorio raggiato, solare, che rimandasimbolicamente al Cristo.Tra le altre notevoli suppellettili liturgiched’argento andate perdute del CardinaleDoria ancora il Mongitore ricorda “due grancandelironi d’argento dell’altezza di palmi 12del valore di cinque mila scudi, de’ quali famenzione con gran lodi il Baronio DeMajest(ate) Panor(mitana)... con questa iscri-zione in essi scolpita Uni summo trinoqueDeo, Deipareque semper Virgini... ulla prorsuspeccati labe concepte Ioannettini Doria S.R.E.

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Cardinalis Amplissimi Archiepiscopi Panormi-tani Principis Optimi Maximi de sua Ecclesiaenemerentissimi Honori, Glorie, NominisImmortalitati D(ominus) Ioannes AntoniusGelosus Abbas S(anti) Luce... Antonius Ali-mena Marchio Alimene Ecclesie Marammerissumptibus fabrice D.D. Anno 1628”99. Vienecosì ancora evidenziato l’importante ruolosvolto dal Cardinale anche in rapporto all’at-tenzione al tesoro della Cattedrale di Paler-mo. Non poteva poi mancare tra i doni allaMadonna di Trapani quello offerto dal Cardi-nale Doria nel 1610: “un lampieri d’argentogrande, lavorato straforato… con l’armi del-l’Illustrissimo Cardinale”100.

Da individuare invece con quello ancora esi-stente è il già ricordato “legno della SantaCroce donato dal Card(inal) Doria nel 1642alla chiesa, entro una croce di cristallo... Ilpiè della croce di cristallo è d’argento, neicui lati son due cornucopie con tre angeli”(fig. 30)101. In realtà si tratta di due cornuco-pie che reggono due angeli come è diffuso indiversi reliquiari della croce di tipologiatardo-gotica, nonché in croci gonfalonilignee e persino in croci dipinte102. Il DeCiocchis, nelle citate Sacrae Regiae Visitatio-nis del 1743, ricorda: “un piede d’argentocon due cornucopi, sopra dei quali vi sonodue angioli, quale piede sostiene una croce

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Fig. 31 - Argentiere palermitano, Reliquiario a statua diS. Pietro, 1638, argento sbalzato, cesellato e fuso.

Fig. 30 - Argentiere palermitano, Stauroteca, 1642,argento, argento dorato, sbalzato e cesellato, cristallo.

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d’argento con suoi cristalli innanti e dietro edentro vi è il legno della S. Croce”, senzafare riferimento al Cardinale Doria103.Tra i reliquiari d’argento del legno dellaCroce dall’analoga tipologia di derivazionespagnola si ricorda quello del Tesoro dellaChiesa Madre di Geraci Siculo, opera diargentiere palermitano che lo realizzò primadel 1567, anno in cui risulta citato in uninventario delle suppellettili liturgiche dellaChiesa104. Nei due bracci laterali, a mo’ dicandelabra, trovano posto la Madonna eSan Giovanni, le due usuali figure dei dolen-ti ai lati del Crocifisso. La croce reliquiariadi Geraci Siculo presenta la rara tipologia atronco d’albero di derivazione spagnola,come quella di Hernan Gonzales del 1530circa, della chiesa di San Pedro Apostol diVillamondrin e quella di Andres Rodriquezdel 1562 della chiesa di Santa Marina diLeon105. Analoga impostazione presenta ilreliquiario della Madonna dello stesso teso-ro di Geraci Siculo, che ha come termineante quem il 1584, che reca sulle usuali can-delabra due figure di devoti adoranti106. Siricordano ancora la croce reliquiaria dellaSacra Spina e il reliquiario della mammelladi Sant’Agata, opera del 1628 di maestripalermitani che ha subito nel tempo rima-neggiamenti, del tesoro del Duomo di Cata-nia, che presenta ai lati della croce due ange-li reggi-cartigli107. A queste si aggiunge anco-ra il reliquiario della Santa Croce in ramedorato della Chiesa Madre di Cammarata,dell’inizio del XVII secolo, con due angeliadoranti nei bracci laterali, che reca allabase l’iscrizione della nobile committenteDonna Giovanna Branciforti, esponentedella famiglia dei signori della città fino al1669108. Non certo casualmente a Cammara-ta ripropone la stessa tipologia la croce gon-

falone lignea del 1571 della chiesa di SantaCaterina109. Un gonfalone ligneo pressochéidentico si ritrova anche a Bivona, nellaChiesa del Carmine proveniente dalla Chie-sa di San Bartolomeo110. Analoga tipologiacaratterizza inoltre la macchina lignea dellaChiesa Madre di Collesano del 1555 chepresenta la figura del Crocifisso in misturarecante su due grandi candelabra le sculturelignee della Madonna e di San Giovanni enel verso una croce dipinta con al centro ilRisorto e nei capicroce profeti e padri dellaChiesa. La parte dipinta è datata e firmatadal Sillaro, artista della cerchia di Vincenzoda Pavia, quella scultorea, riferita dal DiMarzo in poi a Vincenzo Pernaci, presentastretta derivazione dai modelli in misturadiffusi anche nella Sicilia occidentale dagliabili maestri messinesi della famiglia deiMatinati111. Tipologie compositive analoghevengono così riproposte in opere dalla fun-zione diversa in un arco di tempo tra laseconda metà del XVI secolo e la prima delXVII, consentendo di poter sottolinearecome variamente si intreccino pur nella rea-lizzazione artistica con materiali dissimili daparte di maestri specializzati in differentiarti.Altra opera superstite del Cardinale Gian-nettino Doria è il reliquiario a statua di SanPietro, che venne restaurata per volontà del-l’alto prelato verosimilmente da argentierepalermitano del 1638 ed è un altro recenteinserimento nel tesoro proveniente dallaCappella delle Reliquie (fig. 31). L’operareca infatti alla base la seguente iscrizione:Moderante Emin.o D. D. Iannetino CardinaliDoria Archiep.o Pan.o argentum hoc vetusta-te iam deformatum in varios usus dispertitumadautum in meliorem formam redigi iusseruntet ex eo signum S. Petro Dicarunt fabricae

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ispensis D. Iannas Angulo et Riunoso HuiusMetr. Eccl. Archidiaconus et thesaurrius et U.I. D. Franciscus Giardino Marameriis AnnoMDCXXXVIII112. Il Mongitore riporta delleiscrizioni analoghe a quella che ho riscon-trato nella statua reliquiaria di San Pietro inaltri reliquiari antropomorfi che dovevanoessere simili e che sono andati perduti, tutticon lo stesso riferimento al Cardinale Gian-nettino Doria: Santo Stefano Protomar-tire, San Girolamo Dottore della Santa Chie-sa, San Sebastiano Martire, San Biagio Mar-tire Vescovo, San Leonardo Confessore, SanFilareto Palermitano, una delle undicimilacompagne Vergini di Sant’Orsola113. Strana-

mente invece proprio del reliquiario a statuadi San Pietro non riporta l’iscrizione, mascrive: “S. Pietro apostolo ha statua d’argen-to dell’altezza di 4 palmi e di peso 25.9essendosi ripulita a 6 ottobre... vi si trovarondentro quattro pezzetti d’ossa, uno di S. Pie-tro, l’altro di S. Paolo, altro di S. AndreaApostoli: e queste erano con iscritto, nelquarto non vi era scritto; l’osso di S. Paolopare che fosse di dito, l’altre sono frammen-ti di cannelle. Di queste reliquie si fa menzio-ne nella visita della chiesa fatta nel 1583 dalRegio Visitatore D. Francesco del Pozzo”114.Onofrio Manganante ricorda solo la “sta-tuetta di argento di palmi 3, di peso di libri25 et 5, dentro la quale vi è il capo di SanLeonardo dato alla Chiesa Maggiore diPalermo dalla Eccellentissima famiglia Vinti-miglia, come si legge e si vede nel pedistallodi ditta statua con suoi armi” e riporta “l’in-scrittione alla sancta reliquia: Caput divi Leo-nardi confessoris a Ioanne ex comitibus vigin-timiliis e normannorum prosapia metropolita-nae huic aedi argentea apside dedicatum,quam vetustate detritam eminentissimus car-dinalis Doria archiepiscopus refecit et instanteberilcherio ex eadem familia pronepote insi-gnia restauravit 1638”115.La più antica notizia della mazza del capito-lo della Cattedrale (fig. 32), esposta nellagrande vetrina dell’antititulo, suggestivoambiente in cui sono inserite due bachecheper l’esposizione delle opere del Tesoro, èfornita da Onofrio Manganante che scrive:“Un masca d’argento indorata in diverseparti nel giro della quale vi sono le cinqueSante Vergini palermitane e sopra una sta-tuetta di Nostra Signora della Concettionecon due angioletti sotto. Intorno così stascritto: Capitulo Sanctae Panormitanaeecclesiae”116. Antonino Mongitore in propo-

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Fig. 32 - Argentiere palermitano, Mazza capitolare, 1648,argento sbalzato, cesellato e fuso.

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Fig. 33 - Vincenzo Pernaci, Porte, 1569 c., legno intar-siato.

Fig. 34 - Argentiere palermitano, Repositorio, 1683-84,argento sbalzato, cesellato e fuso.

sito annota: “una mazza d’argento doratonel cui giro son le cinque Vergini panormi-tane e in cima la Concezione di M(aria)V(ergine) in cui si legge Capitolo S(ante)Pan(ormitane) Ecclesie lunga 3 palmi: laporta il bidello nelle funzioni capitolarivestito di toga violata”117.La mazza è pure citata nell’inventario delDe Ciocchis: “Una mazza d’argento delCapitolo con cinque SS.me Vergini intornodel pomo e di Nostra Signora con dueangioli nel lato, dorata in alcune parti consua anima di legno senza bolla, sodata inqualche parte con stagno”118. In un inventa-rio del 1801 è specificato a proposito delle

figure delle sante Vergini palermitane che“alle dette sante mancano tutti i geroglifici”,cioè i simboli, i segni distintivi, gli attributiiconografici; un altro inventario del 1848ripete quanto detto nel precedente119.Le sante protettrici di Palermo sono Agata,Cristina, Ninfa, Oliva e Rosalia. I loro gero-glifici, in questo caso segni iconograficidistintivi, sono: il piatto con le mammellerecise e la tenaglia per Sant’Agata, la macinae la freccia per Santa Cristina, la fiaccola perSanta Ninfa, il ramoscello d’olivo per SantaOliva, la corona di rose, il teschio e il Croci-fisso per Santa Rosalia. Talora portanoanche la palma del martirio, talune il libro120.L’opera reca il marchio con lo stemma diPalermo, l’aquila a volo basso, e le inizialidel console PV(C), Placido Veca documen-tato al 1648121. L’opera si presenta come uninteressante prodotto di argentiere palermi-tano del 1648.Reca lo stemma dell’arcivescovo Martino de

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Leon e Cardenas, che resse l’arcidiocesi diPalermo dal 1650 al 1655, la piccola pissideportatile di forma circolare, priva di marchi,da datare in questi anni e riferire a maestroverosimilmente palermitano122, esposta nellaseconda sala.Separano il primo dal secondo ambiente leporte lignee, magistralmente intarsiate nel1569 circa da Vincenzo Pernaci (fig. 33)123,che era anche un abile scultore e intagliato-re, inserite nel secondo portale gaginianodell’ex sagrestia dei Canonici.In questa sala è esposto il grande repositorioin argento, l’urna che ancora oggi vieneusata per il Santo Sepolcro in Cattedrale(fig. 34). L’inedita opera reca il marchioFGC del console della maestranza di Paler-mo Francesco Gargano (1683-1684), la sigladell’argentiere PAC* seguita da un segnodistintivo a forma di stella e l’aquila diPalermo con le ali rivolte verso il basso e lasigla RUP.Tre grandi, maestosi vasi per gli oli santisono stati posti sull’altare della Madonnadella Scala (fig. 35), opera del 1503 di Anto-nello Gagini, della sagrestia, oggi la secondasala espositiva del Tesoro, a memoria dell’o-riginario utilizzo124. I vasi recano specifichescritte, inserite entro l’aquila bicipite emble-ma della “Maramma”, la fabbriceria dellaCattedrale di Palermo, Oleum ad SanctumChrisma, Oleum Cathecumenorum, OleumInfirmorum. I vasi, pur non portando mar-chi, sono da riferire a maestranza paler-mitana della seconda metà del XVII seco-lo125. Essi risultano già citati da OnofrioManganante: “Tre vasi grandi ove si ponel’olio santo” e si incontrano elencati nell’in-ventario del De Ciocchis del 1743: “tre vasigrandi di argento lisci con suoi coverchi emanichi quali servono per gli oli santi”126.

Vengono ancora ricordati in due citatiinventari, uno del 1801 e l’altro del 1848127.I vasi oggi risultano cinque poiché recente-mente ne sono stati fatti realizzare altri due,copie degli originali128.Opera d’importazione spagnola è il calice inargento, rame dorato e smalti della secondametà del XVII secolo (fig. 36), esposto inuna vetrina della seconda sala del tesoro,dalla tipologia diffusa nella penisola ibericae nei domini spagnoli, come attestano gliesemplari della prima metà del XVII secolodelle Cattedrali di Almeria e di SantoDomingo129.Nello stesso ambiente è esposto il sonaglinod’argento con campanelli dal valore apotro-paico130 che reca il marchio di Palermo, l’a-quila a volo basso e le iniziali del consoleGGS74, da riferire a Giovanni Giorgio Stel-la, che ricoprì tale carica dal 26 giugno 1674al 1 luglio 1675131.II Mongitore al n. 11 nel suo manoscrittonota, a proposito di diversi reliquiari a sta-tua, che: “Vi sono altre tre statue d’argento,che non hanno Reliquie una è l’ImmacolataConcezione di Monsignor Vescovo Alfon-so... un tempo beneficiale di questa Catte-drale, e poi Canonico della Real Cappella diS. Pietro per suo testamento rogato danot(aio) Antonino Schifano a p(rim)oNov(embr)e 1673. Lasciò erede al Monaste-ro della Martorana col peso di fare tre statued’argento dell’Immacolata Signora col prez-zo di 750 scudi: una per detto Monastero;altra per detta Real cappella di S. Pietro e laterza per la nostra Cattedrale, conforme ese-guì puntualmente il Monastero che la conse-gnò alla nostra chiesa”132. Entrambe le sta-tuine d’argento dell’Immacolata, quella deltesoro della Cappella Palatina (fig. 37) equesta della Cattedrale di Palermo, volute

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Fig. 35 - Altare della Madonna della Scala.

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dal prelato Alfonso Saud, potrebbero iden-tificarsi con quelle tuttora esistenti133.La statuina d’argento dell’Immacolata, pas-sata dalla Cappella delle Reliquie della Cat-tedrale di Palermo alla prima sala espositivadel tesoro, reca nel manto l’aquila di Paler-mo a volo basso con la sigla RUP e le inizia-li del console degli argentieri palermitaniGMC, da identificare con Giuseppe Marchi-si che ricoprì tale carica nel 1669 (fig. 38). Labase più tarda reca le iniziali G0709 del con-sole della stessa maestranza palermitana del1709, Giuseppe Omodei, e dell’argentiereAM, verosimilmente Antonino Mollo134.Alla committenza dell’Arcivescovo diPalermo Ferdinando de Bazan, che resse la

Arcidiocesi dal 1686 al 1702, si devono dueteche porta-particole, una inedita di mag-giori dimensioni dell’altra, la più piccola,esposta nel tesoro (fig. 39), reca la seguen-te iscrizione: Ill.mo Rev.mo D.no D. Ferdi-nando De Bazan Archep.o Pan.o Can.o D.Isidoro Navarro et D. Ignatio TermineFabricae Praefectis 1688135. L’opera reca ilmarchio di Palermo, l’aquila a volo bassocon la sigla RUP, le iniziali del console FBCe il punzone dell’argentiere CLA, scritto inverticale. Il console della maestranza degliargentieri palermitani del 1688 era France-sco Bracco136.Verosimilmente ad un piviale dello stessoarcivescovo doveva servire da preziosa chiu-sura la fibula floreale con smeraldi della finedel Seicento, (fig. 40) recante lo stemma delpiù tardo arcivescovo Francesco Ferdinan-do Sanseverino, che resse l’Arcidiocesi dal1776 al 1793137. Quest’ultimo prelato dovet-te fare apporre il suo stemma sulla chiusuradell’opera tardo seicentesca verosimilmentegià in Cattedrale al tempo dell’arcivescovoBazan, o comunque sulla fibula più antica egià in suo possesso. Il monile risulta, infatti,molto vicino ad altri due che vennero dona-ti dalla viceregina Duchessa di Uzeda neglianni 1695 alla Madonna della Lettera diMessina e 1696 alla Madonna di Trapani. Laviceregina era moglie di Giovanni France-sco Paceco, Duca di Uzeda, che fu viceré diSicilia dal 1687 al 1696138. Datando neglistessi anni novanta del XVII secolo la fibuladella Cattedrale di Palermo, si rimandaall’arcivescovo Ferdinando De Bazan, incarica proprio in quel periodo. Il monile è aforma di mazzo di fiori, con in basso unnastro che, formando un fiocco, raccogliegli steli. I fiori ripropongono i tulipani, tantodiffusi nell’arte del XVII secolo. Simile

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Fig. 36 - Argentiere spagnolo, Calice, seconda metàXVII sec., argento, rame dorato e smalti.

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doveva essere il monile citato nell’inventariodelle “Gioie dell’eccellentissima SignoraDonna Felice Ventimiglia Barberini Princi-pessa di Palestrina, stimate da FrancescoBracco in Palermo il 25 agosto 1653”, “unagioia da petto o ramettiglio di diamanti esmeraldi fatti a rosetta con doi tulipani dabasso tutt’ornato di diamantini”139.Dell’Arcivescovo Sanseverino è espostanella seconda sala pure l’inedita croce pet-torale, opera di orafo siciliano che dovetterealizzarla negli anni 1776-1793. La croced’oro è ornata da zaffiri circondati da bril-lanti (fig. 41).Tra le opere che sono state esposte nellaseconda sala del tesoro diverse sono dedica-

te a Santa Rosalia e provengono dalla piùantica cappella della Santa. Si ricorda l’ine-dita patena con al centro incisa la sua figurain piedi con i caratteristici attributi icono-grafici, che reca il marchio di Palermo, l’a-quila con le ali a volo basso e la sigla RUP, ele iniziali del console PC 710 riferentesi aPlacido Caruso che ricoprì la prestigiosacarica negli anni 1710-11. La patena d’ar-gento reca la seguente iscrizione: SacelliSanctae Rosaliae Metropolitanae Ecclesiaeanno MDCCXII XI januarii.Il reliquiario floreale con busto di SantaRosalia (fig. 42) reca il marchio di Palermocaratterizzato ancora dalle ali a volo basso,che consente così una datazione dell’opera

Restauri nell’area museale della Cattedrale di Palermo

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Fig. 37 - Argentieri palermitani e Andrea Mamingari,Immacolata, 1673, 1695 e 1766, argento sbalzato, cesel-lato e fuso, Palermo Cappella Palatina.

Fig. 38 - Argentiere palermitano e Antonino Mollo,Immacolata, 1699 e 1709, argento sbalzato, cesellato efuso.

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immediatamente precedente al 1715140. L’o-pera dovette costituire il modello per quelloanalogo dell’Alto Lario, della Diocesi diComo, dove la palmetta floreale si erge suun’aquila. Quest’ultimo reliquiario florealedi Santa Rosalia, presenta alla base la datadel 1734 e l’iscrizione Scola D. Panormi,oltre alla figura del vescovo Donato, titolaredella parrocchia cui veniva inviato. Presentainoltre il marchio del console della mae-stranza degli argentieri palermitani GCR,Giuseppe Cristadoro, che ricoprì tale caricadal 25 giugno 1733 all’8 luglio 1734. Argen-tieri Lombardi attivi a Palermo erano solitiaggregarsi e designarsi con il nome ScolaPanormi141.Rientra nella stessa tipologia l’altro reliquia-rio floreale di Santa Rosalia, che non presen-ta però il busto della Santa Vergine palermi-tana, ma è ornato da gemme (fig. 43). L’ope-ra, recante il marchio del console della mae-stranza degli orafi e argentieri di PalermoSP30, da riferire a Salvatore Pipi, che rico-prì tale carica anche dal 28 giugno 1730 al 4luglio 1731, ha sotto la base, di tipologiaancora seicentesca, l’iscrizione SacellumDivae Rosaliae MDCCXXX142. Potrebbe

trattarsi di uno dei dieci “reliquiari di fioridi argento con piedi sicillati”, realizzati daDidaco Guttadauro, che, secondo una regi-strazione archivistica, veniva già pagato il 2gennaio 1731 per averne consegnati quattro,di cui un’altro potrebbe forse identificarsicon quello conservato tra le suppellettililiturgiche in argento del Museo Diocesanodi Palermo, che reca la stessa iscrizione,Sacellum divae Rosoliae anno MLCCXXX,sotto l’identica base e che presenta il mar-chio del console Tommaso Cipolla del 1729(TC 29), che ricoprì tale carica dal 25 giu-gno 1729 al 28 giugno 1730143. Il De Cioc-chis annota che “una gioia consistente indodici brillanti dieci rotondi e due più gran-

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Fig. 39 - Argentiere palermitano, Teca porta particole,1688, argento sbalzato, cesellato e inciso.

Fig. 40 - Orafo palermitano, Fibula di piviale, fine XVIIsec., oro e smeraldi.

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di ingasto in argento in aria, fu donata adetta Cappella (di Santa Rosalia) da monar-ca Carlo III”144. La stessa “gioia” è ricordatanegli inventari della Cattedrale del XIXsecolo, come “una gioia con numero dodicibrillanti di concia inglese donata dal sovra-no Carlo III quando si coronò in questaPalermo due delle quali sono a mandorlapiù grandi”145. Questo dono di Carlo III diSpagna, nell’anno della sua incoronazione aRe di Sicilia, 1735, dovette essere inserito inquesto reliquiario del 1730 e costituirne laparte centrale intorno alla reliquia.Nella prima sala del tesoro della Cattedraledi Palermo è anche un reliquiario a statuadi Santa Rosalia, che reca il marchio di

Palermo, l’aquila a volo alto e le iniziali delconsole GC24, da riferire a Giuseppe Cri-stadoro che ricoprì tale carica nel 1724 (fig.44)146. Il reliquiario si distingue da quelli piùusuali raffiguranti la parte del corpo delsanto che si conserva, trattandosi di unavera e propria scultura a tutto tondo raffi-gurante l’intera figura della Santa. Il Mon-gitore nel suo manoscritto sulla Cattedraleannota la “Statua di S. Rosalia d’argento diquattro palmi senza reliquia, scrive il P.Amato..., perché mentre scrivea non l’ave-va, ma oggi l’ha. L’autentica di questa reli-quia fu spedita per la Corte Arcivescovile a30 Ott(obr)e 1628 al Protomedico delRegno D. Giuseppe Pizzuto: passò poi aglieredi, e finalmente da D. Angela Pizzuto fudonata a D. Giovanna La Mammana, chene fece donazione al Canonico D. Alessan-dro Guarrasi per atto rogato da notaioCarlo Salvatore Piscione a 3 agosto 1724. Aquesti fece spedire altra autentica per laCorte Arcivescovile a 3 Agosto 1724. Mortoil Guarrasi, la sorella Anna Rosalia Guarra-si, ne fece donazione alla chiesa e per essa aD. Alfonso Femandez Ciantro e Tesorieredella chiesa affine di conservarla ed esperiaalla pubblica adorazione come per attorogato da not(aio) Antonio Terranova a 23Dicembre 1726. Il Ciantro Femandez acco-modò la Reliquia in petto della statua dellaSanta. Il suo peso è lib(re) 20.9”147. La sta-tua viene ricordata nell’inventario del DeCiocchis, che scrive: “Una statua di santaRosalia con ghirlanda di fiori d’argento,croce e crocifìsso in mano con pere diargento” e successivamente nei due inven-tari, del 1801 e del 1848148.Più tardo è l’altro reliquiario a palmetta con igrani del rosario di Santa Rosalia, espostocon gli altri due della stessa tipologia, nella

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Fig. 41 - Orafo palermitano, Croce pettorale, 1776-1793,oro, brillanti e zaffiri.

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seconda sala del tesoro, che reca il marchio diPalermo, le iniziali dell’argentiere DLVA, chelo realizzò e del console (S)C802, che lo vidi-mò (fig. 45). Quest’argentiere palermitanorisulta attivo all’inizio del XIX secolo anchealla Cappella Palatina di Palermo, dove si tro-vano diverse opere con la sua sigla; il marchiodel console è da riferire a Salvatore Calasci-betta che ricoprì tale carica anche nel 1802149.L’opera presenta alla base la seguente iscri-zione: “Donato dalle Monache di S. Cateri-na”, da cui si rileva la provenienza dalla Chie-sa di Santa Caterina d’Alessandria.È stato inserito tra i paliotti esposti nellaseconda sala anche quello dipinto su teladella fine del XVII secolo raffigurante Santa

Rosalia nell’usuale postura sdraiata entro lagrotta del Monte Pellegrino ornata damarmi mischi. Questo veniva posto davantila vara quando si chiudeva la cancellata finoa quando nel 1803 non venne realizzato perla nuova cappella di Santa Rosalia della Cat-tedrale anche un altare tutto in lamina d’ar-gento su anima lignea con davanti un paliot-to dello stesso metallo in cui è raffigurata laSanta Patrona di Palermo150. Tra gli altripaliotti d’argento della Cattedrale con SantaRosalia erano “un palio d’argento cesellatodi bassorilievo d’argento” con “l’armi del-l’Ill.mo D. Stefano Riggio Principe di Iaci” eun altro “palio di lamina d’argento cesellatocon l’immagine di Santa Rosalia e n. quattro

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Fig. 42 - Agentiere palermitano, Reliquiario di S. Rosa-lia, ante 1715, argento sbalzato, cesellato e fuso.

Fig. 43 - Didaco Guttadauro, Reliquiario di S. Rosalia,1730-31, argento sbalzato, cesellato e fuso, brillanti.

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pottini cesellati con sua cornice d’argentoliscia lunga pal. otto e larga pal. quattro”151. Dei due piccoli reliquiari a busto di bronzodorato dei Santi Filippo Neri e Carlo Borro-meo (figg. 46-47), Antonino Mongitorericorda le reliquie: “33 De’ precordi di S.Filippo Neri, reliquia donata dal CanonicoD... Antonio Ramirez, da questi avuta inRoma, come per autentica a 2 Nov(embre)1718 e da esso donata alla chiesa. 34 Telatinta del sangue di S. Carlo Borromeo di cuifa menzione P. Amato”152. Il reliquiario diSan Carlo reca l’iscrizione Ex Carne S. Caro-li Borromei. I due reliquiari a busto vengonocitati negli inventari della Cattedrale deglianni 1848 e 1898, tra le opere relative alla

Cappella del Sacramento, come “due sta-tuette di bronzo dorato con sui piedistallidorati, una di San Filippo Neri e una di SanCarlo Borromeo”153. Le opere, già nella cap-pella del Santissimo Sacramento, parrebbe-ro da riferire a maestri italiani, verosimil-mente romani, da dove vengono le reliquie,piuttosto che siciliani.Tra le suppellettili liturgiche del primo Set-tecento del tesoro della Cattedrale di Paler-mo, esposte nella seconda sala del Tesoro,sono l’ostensorio e le ampolline di filigranad’argento e pietre policrome (figg. 48-49)154.L’ostensorio è strettamente raffrontabile aquello della Chiesa del Gesù a Casa Profes-sa del 1699 e a quello della Chiesa del Con-

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Fig. 44 - Argentiere palermitano, Reliquiario a statua diS. Rosalia, 1724, argento sbalzato, cesellato e fuso.

Fig. 45 - Argentiere palermitano, Reliquiario di S. Rosa-lia, 1802, argento sbalzato e cesellato.

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vento francescano di San Biagio di Acireale,opera del 1702 dell’argentiere messineseGiuseppe Muscolino155. Tali affinità spingo-no a riferire i due ostensori di Palermo amaestri messinesi e forse proprio alla stessabottega del maestro Giuseppe Muscolino156.Le ampolline, simili a quelle già della colle-zione dell’Ing. Antonio Virga di Palermo, dadatare analogamente all’inizio del XVIIIsecolo e riferire a maestri siciliani, sono citatenegli inventari della Cattedrale degli anni1848 e 1898 tra le suppellettili liturgiche rela-tive alla cappella di Santa Rosalia, come “dueampolline di vetro foderate di filigrana condiverse pietre false ingastate”157. Le ampolline

trovano raffronto in quelle del Monastero diSan Lorenzo de El Escorial, riferite ad argen-tiere palermitano e datate al 1689158. Anchequeste sono caratterizzate da un ricco decorodi filigrana d’argento e di pietre policrome.Raffinati decori fitomorfi di filigrana d’ar-gento e pietre colorate caratterizzano anco-ra un’altra gioia del tesoro, la fibula di pivia-le, che attesta la predilezione per questatipologia di opere all’inizio del XVIII secoloda parte degli alti prelati anche del Duomodi Palermo (fig. 50)159.Reca il marchio del console Antonio Gulot-ta, oltre la ricordata pisside che vidimò nel1734, anche l’ostensorio con la fenice del

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Fig. 46 - Agentiere romano, Reliquiario a busto di S.Carlo Borromeo, 1718 c., argento dorato, sbalzato, cesel-lato e fuso.

Fig. 47 - Agentiere romano, Reliquiario a busto di S.Filippo Neri, 1718 c., argento dorato, sbalzato, cesellatoe fuso.

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1735 (fig. 51)160. Antonio Gulotta ricoprì lacarica di console della maestranza degliargentieri di Palermo dall’8 luglio 1734 al 26giugno 1736, marchiando le opere AG734prima e AG735 dopo161. La fenice, che risor-ge dalle fiamme, è un noto simbolo cristolo-gico, come il pellicano, che non a caso siritrova in un altro ostensorio della stessa Cat-tedrale, più tardo, recante il marchio delconsole AB76 e dell’argentiere SLV. Si trattadel console degli argentieri di Palermo del1776 Antonio Lo Bianco162. Un altro osten-sorio del tesoro è caratterizzato dalla presen-za sotto la raggiera di una simbolica aquila ereca l’usuale stemma di Palermo e le iniziali

del console GCA38, relative a GiovanniCostanza, che ricoprì tale carica dal 21 luglio1738 al 13 luglio 1739 e venne riconfermatonell’anno successivo163 (fig. 52).L’ostensorio con la fenice, già nella Cappelladella Madonna Libera Inferni, potrebbe esse-re quello citato negli inventari della Cattedra-le degli anni 1848 e 1898 come una “sferad’argento con sua fenice sotto e diversi raggidorati, di peso libbre cinque e once sei”164.Reca lo stesso marchio del 1738 la teca por-taparticole dell’arcivescovo DomenicoRosso, che guidò la Diocesi di Palermo dal1737 al 1741165. L’opera presenta pure ilmarchio con le iniziali dell’argentiere GR ela seguente iscrizione: Exc.mo DominicoRosso Archiep.o Palermit.o Can.cus D.r D.Laurentius Migliaccio et Baro D. IoannesZappino Fabricae Praefecti.Dono dello stesso arcivescovo, di cui reca lostemma, è il calice d’argento sbalzato, cesel-lato, traforato e con parti fuse che presenta i

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Fig. 48 - Giuseppe Muscolino, Ostensorio, fine XVII -inizi XVIII sec., argento dorato e filigrana d’argento,pietre policrome.

Fig. 49 - Agentiere siciliano, Ampolline, inizi XVIIIsec., argento dorato e filigrana d’argento, pietre poli-crome.

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simboli della passione di Cristo alla base eretti da angeli nel nodo e sotto la coppa (fig.53)166. L’opera, di tipologia seicentesca, èverisimilmente da riferire a siciliano pur nonrecando marchi, come l’altro calice, (cheporta incisi sotto la base i numeri 15 e 18),con nel nodo angeli-putti che reggevanosimboli della passione, similmente disposti,ma più movimentati167.Il calice parrebbe confuso negli inventaridella Cattedrale degli anni 1848 e 1898 “uncalice di argento dorato del fu MonsignorRosso, tutto cisillato e nel piede vi sononumero tre statuette della Fede, Speranza eCarità”, con altro da ricondurre invece adaltro prelato. Quest’ultima opera con levirtù teologali reca il marchio di Palermo,aquila a volo alto, le iniziali del consoleFDF69, da riferire a Felice Di Filippo chericoprì la più alta carica della maestranza dal1 luglio 1769 al 3 luglio 1770 (fig. 54)168.Queste date confermano che l’opera nonpoté essere stata commissionata dall’Arcive-scovo Rosso.Un’altra opera che reca alla base le virtù teo-logali è un prezioso ostensorio, recente donodi Mons. Giuseppe Pecoraro, esposto nellevetrine dell’attuale sacrestia della Cattedrale(fig. 55). L’opera, inedita, è ornata da dia-

manti e rubini, intorno alla lente, verosimil-mente non omogenee, aggiunte all’ostenso-rio d’argento dorato per impreziosirlo ulte-riormente. L’opera, verosimilmente dovutaad argentiere siciliano, reca marchi non chia-ramente visibili.Venne donato dall’Arcivescovo GiuseppeMelendez, che resse l’arcidiocesi dal 1748 al1753, il calice d’argento dorato ornato dapietre policrome (fig. 56)169. Questo vienecitato negli inventari della Cattedrale deglianni 1848 e 1898 come “un calice di argen-to dorato del fu Monsignor Melendez sicil-lato con sui armi nel piede che tiene moltepietre false cominciando dalla rosetta sino al

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Fig. 50 - Agentiere siciliano, Fibula, inizi XVIII sec.,filigrana d’argento e pietre policrome.

Fig. 51 - Argentiere palermitano, Ostensorio, 1735,argento sbalzato e cesellato.

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piede con numero di sette di dette pietremancanti”170. Reca lo stemma dello stessoArcivescovo con emblema francescano unacopertina di messale del tesoro che, puressendo priva di marchi, è possibile ricon-durre al periodo del suo vescovado (fig.57)171. Nei primi anni dell’episcopato diGiuseppe Melendez si ebbe l’incoronazionedella statua marmorea della Madonna Libe-ra Inferni di Francesco Laurana con le coro-ne d’oro del Capitolo Vaticano. Queste,destinate ad ornare il capo della Madonna edel Bambino, sono esposte in una vetrinadell’attuale sagrestia e recano entrambe l’u-suale iscrizione: Ex Capi S. Petri De Urbe-

Hanc Coronam Auream Ex legato ill. Com.Alexandri Sfortiae huic B.M.V. D.D.D. 1749.Tra le opere di gusto ormai rococò, caratte-rizzate da linee flessuose e motivi a spirale,è il calice che reca il marchio ADF54 delconsole degli argentieri di Palermo Agosti-no di Filippo, che ricoprì tale carica dal 25giugno 1754 al 21 giugno 1755172 edell’argentiere NGR, che lo realizzò173 e lapisside, che reca la sigla del console dellastessa maestranza NG62, Nunzio Gino, incarica dopo Don Giuseppe Cipolla dal 1762fino al 10 luglio 1764174, e dell’argentiereDLV, da identificare con Domenico La Villa,abile maestro palermitano, già noto soprat-

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Fig. 52 - Argentiere palermitano, Ostensorio, 1738,argento sbalzato e cesellato.

Fig. 53 - Argentiere palermitano, Calice, fine XVII sec.,argento sbalzato, cesellato e fuso.

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tutto per le sue opere della Maggior Chiesadi Termini Imerese175. Tra le altre opere distile rococò del tesoro si ricordano ancora ilcalice che porta il marchio del console degliargentieri di Palermo SCC72, SimoneChiapparo, 1772, in carica dall’8 luglio 1772al 10 luglio 1773, e quello non più chiara-mente leggibile dell’argentiere176 e l’altro,pressoché identico, che reca il marchio diPalermo e la sigla consolare DCA, 74, relati-va a Don Cosma Amari, console dal 6 luglio1774 al 7 luglio 1775, e quella dell’argentie-re che si può verosimilmente ricomporrecome (A)N*, da riferire verosimilmente adAntonino Nicchi177.Tra le più significative opere del Tesorodella Cattedrale di Palermo è l’ostensorio diargento dorato e oro, ornato da smalti e

gemme, rubini e diamanti (fig. 58)178. Neiraggi d’oro si rileva il marchio del consoledegli orafi AC74 e nelle parti d’argento diquello degli argentieri (D)CA74 della stessamaestranza palermitana. Il console degliorafi era Andrea Cipolla e quello degliargentieri Don Cosma Amari179. Tale com-presenza dei due marchi dei due consolidella maestranza degli orafi e argentieri di

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Fig. 54 - Argentiere palermitano, Calice, 1769, argentosbalzato, cesellato e fuso.

Fig. 55 - Argentiere siciliano, Ostensorio, XVIII sec.,argento dorato, sbalzato, cesellato e fuso, diamanti erubini.

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Palermo del 1774 (dal 6 luglio 1774 al 7luglio 1775) accresce l’interesse e la raritàdell’opera. Come due furono i consoli che lavidimarono così due poterono essere i mae-stri che la realizzarono: un argentiere, quel-lo che sigla le parti d’argento di cui si leggeancora un’altra volta il marchio incompleto,una N seguita da un segno distintivo similead un asterisco, e verosimilmente un orafoche potrebbe essere identificato con Salva-tore Mercurio, fino ad oggi generalmenteritenuto l’autore dell’opera. Quest’ostenso-rio proprio per la lavorazione degli smalti edelle gemme è infatti molto simile a quellodocumentato come opera di Salvatore Mer-curio della Chiesa Madre di Enna oggi espo-sto al Museo Alessi. Salvatore Mercurio, lacui attività è documentata dal 1749 al 1778,

realizzò quell’opera in collaborazione con ilfratello Giuseppe (1751-1778). Essi avevanogià eseguito l’ostensorio per la Chiesa diSanta Maria del Cancelliere di Palermo, chel’aveva commissionato nel 1767, ma non l’a-vevano mai consegnato e lo vendettero nel1772 al Barone Francesco Rosso Grimaldi,esponente di quella nobile famiglia Grimal-di che era stata già dal XVII secolo prodigadi doni in particolare nei confronti del simu-lacro della Madonna della Visitazione diEnna e della Chiesa Madre in genere180. Sal-vatore Mercurio dovette però impegnarsicon il Barone “a terminarlo di smalto di varicolori e con farvi fare spighe e viti con fogliee grappoli di racina... con dover parimentegemmare il tronco con ponervi quelle pietregemme che gli saranno consignati dal...

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Fig. 56 - Argentiere palermitano, Calice, 1748-1753,argento sbalzato, cesellato e pietre policrome.

Fig. 57 - Argentiere palermitano, Copertina di testo litur-gico, 1748-1753, argento sbalzato, cesellato e velluto.

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Rosso Grimaldi”181. Da un altro documentodel 14 dicembre del 1772 risulta che l’osten-sorio venne ornato con “duecento settanta-tre robbini ingastati e... seicentosessanta-

tre... diamanti... diciassette zaffiri... uno gia-cinto”182. Maria Accascina sottolinea comel’opera fosse “interessante per la tecnicadello smalto sovrapposto alle superfici, oraracchiuso in alveoli contornati da un doppiofilo d’oro su disegno a squame, ora sovrap-posto in piccole croci bianche e verdi a rilie-vo sullo sfondo smaltato di altro colore”183.Altri ostensori molto simili sono pure quel-lo della Chiesa di San Giorgio di Ragusa del-l’argentiere Giuseppe Vella e quello deidepositi di Palazzo Abatellis, entrambi del1776, che attestano la diffusione di tale pre-ziosa tipologia di opere184. Un esemplareaffine però nella prima versione dell’opera,priva di smalti, è quello di argentiere paler-mitano, già nell’oratorio di San Lorenzodella Compagnia di San Francesco e oggi indeposito al Museo Diocesano di Palermo,che presenta il marchio del console France-sco Mercurio del 1764185. Simile è l’imposta-zione della figura dell’angelo di quest’osten-sorio e di quella del Mercurio di Enna, chemostrano entrambi una certa derivazionedagli stucchi serpotteschi, che non a casoadornano proprio l’oratorio di San Lorenzo.Un’altra variante, sempre di ostensoriosenza smalti, che ripete la stessa tipologia digusto tardo-barocco negli elementi decorati-vi a rocaille, riproponendo anche il motivo asquama di pesce, è quello del 1773 del teso-ro della Chiesa Madre di Caccamo, dovutoad argentiere palermitano e vidimato dalconsole della maestranza Don CosmaAmari186. Alla ricchezza di gemme, smalti emossi ornati, profusa negli ostensori di fat-tura palermitana, non ultimi quelli del Mer-curio, corrisponde, nell’univoco momentoculturale che vede dilagare l’ultimo Rococò,anche una leziosa espressione pittorica cheripropone analoghi elementi decorativi ad

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Fig. 58 - Antonino Nicchi e Salvatore Mercurio, Osten-sorio, 1774, oro, argento sbalzato e cesellato, smalti,rubini e diamanti.

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Insieme alla gioia del Santo Costato del Cro-cifisso gotico doloroso della Cattedrale siconservano nel tesoro tre copri chiodi dellacroce in argento e pietre colorate191. I chiodi,che recano l’aquila di Palermo a volo alto ela sigla del console GC 24 da riferire a Giu-seppe Cristadoro che ricoprì la carica neglianni 1735-1736, sono citati negli inventaridella Cattedrale degli anni 1848 e 1898come “tre chiodi di argento del SantissimoCrocifisso, due nelle mani e uno neipiedi”192.Recano il marchio del console della mae-stranza degli orafi e argentieri di PalermoDon Gioacchino Garraffa, che ricoprì lacarica nel 1778 (DGG78), il calice di stilerococò con il marchio dell’argentiere DVA193

e la copertina di messale con gli ornati d’ar-gento sovrapposti a velluto rosso194 conemblema teatino, realizzata dall’argentierepalermitano dalle iniziali AB da riferireverosimilmente a Antonino Barrile, docu-mentato dal 1776 al 1792195 (fig. 60).Un’altra copertina di messale, più tarda, consimbolo domenicano e stemma araldico delcommittente della nobile famiglia Alliata,reca il marchio di Palermo e la sigla del con-sole PM807, relativa a Paolo Maddalena,che ricoprì tale carica nel 1807 (fig. 61)196.Di stile tardo-settecentesco è il calice, daimodi semplici ed essenziali197, donato dal-l’arcivescovo Raffaele Mormile che fu allaguida dell’Arcidiocesi dal 1803 al 1813,ricordato negli inventari degli anni 1848 e1898 come “un calice e sua patena di argen-to dorata con le armi di Mons Mormile”198.Si passa alle opere neoclassiche con la seriedei quattro vasi con frasche, di maestripalermitani che recano il marchio di Paler-mo, l’aquila a volo alto con RUP e la sigladel console DDM89, riferentisi a Diego Di

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opera di raffinati frescanti in volte di chiesee palazzi nobiliari.L’ostensorio della Cattedrale di Palermopotrebbe, dunque, essere dovuto all’argen-tiere dal cognome N seguito da un asteriscoda identificare verosimilmente con Antoni-no Nicchi, documentato dal 1727 al 1781,possibilmente l’autore dell’ostensorio conSant’Ignazio della Chiesa del Gesù di CasaProfessa187, analogamente ornato da unaricca profusione di smalti e gemme, e all’o-rafo e argentiere Salvatore Mercurio.Raggi, ingemmati di diamanti, tipologica-mente affini a quelli degli ostensori del Mer-curio, reca la gioia del Santo Costato delTesoro della Cattedrale di Palermo, dalla cuiiscrizione ho già potuto rilevare il nome del-l’orafo che la realizzò nella seconda metà delXVIII secolo: “Franciscus Burgarellofecit”188 (fig. 59). Francesco Burgarellonasceva a Palermo nel 1752 e vi moriva nel1782. Agostino Gallo nota che “fu uno deiprimi artefici a Palermo” che “riceveva daParigi i disegni delle mode per gli intrecci dicollane e di gioie”189. Nel XVIII secolo,come è ormai noto, le indicazioni dellamoda venivano dalla Francia e non più dallaSpagna, come era stato fino al XVII secolo.Gli orafi siciliani, sebbene adusi a lavorarenel tempo ora su modelli iberici, ora france-si, riescono tuttavia a rielaborarli producen-do opere spesso del tutto originali rispettoalla fonte d’ispirazione. Negli inventari dellaCattedrale degli anni 1848 e 1898 l’opera èricordata come “una gioia del Santissimocostato del Crocifisso, ingastata sopraargento indorato, con numero trecento dia-manti, cioè numero quarantotto grossi difondo nel giro del costato e numero trecen-to-dudeci tra grossi e minuti di fondo”190. Lagemma centrale rossa è un grosso rubino.

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Fig. 59 - Francesco Burgarello, Gioia del Santo Costato, ante 1782, oro, rubino e diamanti.

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Maggio che ricoprì la carica negli anni 1789-1790 e quella dell’argentiere ACN199 (cfr. fig.35), che ripropongono con nuovo rigoregeometrico le tipologie di vasi già diffuse inperiodo barocco, di cui quelli della Cappel-la Palatina di Palermo costituiscono unsignificativo esempio200. I vasi sono citatinegli inventari della Cattedrale degli anni1848 e 1898 come “numero quattro ramazzidi fiori alla naturale di argento di cappellacon spillone di ferro dalla parte di dietro escocche di rame dorate”201. Non soltanto latipologia dei fiori e delle frasche ma anche ilmotivo del fiocco rimanda a modelli tardo-seicenteschi. I vasi sono posti ad ornamentodell’altare già ricordato della Madonna dellaScala, dove, tra i già citati grandi vasi per glioli santi è inserito l’Ostensorio di Papa

Leone XIII di argento, rame e pietre poli-crome, opera di argentiere dell’Italia centra-le del 1887 (cfr. fig. 35).Si ricordano poi tra le opere di stile neoclas-sico dello stesso tesoro la pisside marchiatacon l’aquila di Palermo a volo alto e l’iscri-zione relativa all’argentiere palermitanoGiuseppe Calderone, che la realizzò nel1807. Mag. G. Calderone fi. 1807 e il calicedetto della Religione che reca lo stemma diCatania, la A di Sant’Agata con l’elefante, leiniziali del console della maestranza degliorafi e argentieri di Catania GSC20 e del-l’argentiere catanese SPC, che lo realizzò nel1820 (fig. 62)202. L’opera è citata negli inven-tari del 1848 e 1898 come un “calice con suapatena di argento con una figura denotantela Religione in sostegno della coppa con

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Fig. 60 - Antonio Barrile, Copertina di testo liturgico,1778, argento sbalzato, cesellato e velluto.

Fig. 61 - Argentiere palermitano, Copertina di testoliturgico, 1807, argento sbalzato e cesellato.

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numero quattro simboli degli evangelistiintorno al piede ed un agnello con nelmezzo... di Mons. Trigona”, arcivescovo,non a caso di origini catanesi, il che spiega lapresenza di quest’unica opera di quella mae-stranza nel tesoro della Cattedrale di Paler-mo, che resse l’Arcidiocesi dal 1833 al1837203.L’altro calice ornato di smalti con putti e sim-boli della Passione, donato dall’arcivescovoPietro Gravina, che resse l’Arcidiocesi neglianni 1816-1830204, è ricordato negli inventaridel 1848 e 1898 come un “calice con sua pa-tena di argento dorata con tre puttini e tre

smalti nel detto piede, con le armi della fami-glia Gravina”205.Un tripudio di argento dorato smalti egemme offre poi l’ostensorio di stile neo-classico di argentiere palermitano dell’ini-zio del XIX secolo (fig. 63)206. L’usuale poli-cromia del periodo barocco viene ormai

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Fig. 62 - Argentiere catanese, Calice, 1820, argentosbalzato, cesellato e fuso.

Fig. 63 - Argentiere palermitano, Ostensorio, iniziXIX sec., argento dorato, smalti e diamanti.

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sostituita dagli unici colori dello smaltoverde per i simbolici pampini di vite e deidiamanti per le gemme, secondo il nuovogusto.Si ricordano, infine, i quattro vasi per gli olisanti, donati dall’arcivescovo MichelangeloCelesia, che resse l’Arcidiocesi di Palermodal 1871 al 1904 con il quale la Cattedrale diPalermo si affaccia all’ultimo secolo delsecondo millennio207.Completano il tesoro della Cattedrale alcu-ni monili donati come ex voto e numerosianelli vescovili e croci pettorali, espostinella seconda sala del tesoro e nell’attualesagrestia, donati nei secoli dagli arcivescoviche si sono succeduti alla guida dell’arci-diocesi di Palermo. Tale tradizione è conti-nuata fino ai giorni d’oggi con i pregevolidoni del compianto cardinale SalvatorePappalardo e del cardinale Salvatore DeGiorgi.

NOTE

1 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale di Palermodal Rinascimento al Neoclassicismo, Accademia Nazio-nale di Scienze Lettere e Arti già del Buon Gusto diPalermo, Palermo 2001, p. 5. Cfr. pure G. Travaglia-to, L’orafo Piero di Martino e il reliquiario di San Bar-tolo di Geraci, in Alla corte dei Ventimiglia. Storia ecommittenza artistica, convegno di studi (27-28 giugno2009, Geraci Siculo-Gangi), Palermo 2010.2 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, cap. 61, n. 24, c. 599.3 G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis per Sici-liam... Acta decretaque omnia, (1743), ed. Palermo1836, vol. I, p. 71.4 M.C. Di Natale, I tesori nella Contea dei Ventimiglia.Oreficeria a Geraci Siculo, Caltanissetta 1995, II ed.2006, p. 14. Per precisazioni sull’autore del manufat-to si veda G. Travagliato, Piero di Martino... in Alla

corte..., 2010, pp. 43-49. Cfr. pure M.C. Di Natale – R.Vadalà, Il tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castellodi Castelbuono, appendice documentaria di R.F. Mar-giotta, “Collana Vigintimilia”, “Quaderni del MuseoCivico di Castelbuono”, diretta da A. Scancarello, n.1, Palermo 2010.5 Cfr. M. Andaloro, Note sui temi iconografici dellaDeesis e dell’Haghiosoritissa, in “Rivista dell’IstitutoNazionale dell’Archeologia e Storia dell’Arte” n.s. aXVII, Roma 1970, pp. 85-153; M.C. Di Natale, IlTesoro della Cattedrale…, 2001, p. 6. Per le paci dellaCappella Palatina cfr. M.C. Di Natale, Le suppellettililiturgiche d’argento del tesoro della Cappella Palatinadi Palermo, Prolusione all’inaugurazione dell’annoAccademico 1998-1999 dell’Accademia Nazionale diScienze Lettere ed Arti, Palermo 1998.6 O. Caietano, Ragguagli delli ritratti della SantissimaVergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono invarie Chiese nell’Isola di Sicilia. Aggiuntavi una breverelazione dell’origine e miracoli di quelli. Opera postu-ma del R.P. Ottavio Caietano della Compagnia di Giesu.Trasportata in lingua volgare da un devoto servo dellamedesima Santissima Vergine. E accresciuta con alcunepie meditazioni sopra ciascun passo della vita dellamedesima, Palermo 1664. Cfr. pure M.C. Di Natale,“Cammini” mariani per i Tesori di Sicilia, parte I, in“OADI” Rivista dell’Osservatorio per le arti decorati-ve in Italia, n. 1, 2010, (www.unipa.it/oadi/rivista).7 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, cap. 61, c. 581r.8 G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia, nei seco-li XV e XVI, 3 voll., Palermo 1880-1883, rist. del1980, vol. III pp. 570-71. Cfr. pure H. Kruft, Antonel-lo Gagini und seine Söhne, München 1980.9 M. Accascina, Oreficeria di Sicilia..., 1974, p. 146 efigg. 85-86. Per il calice della Cattedrale cfr. M.C. DiNatale, scheda n. II, 3, in Ori e argenti di Sicilia dalQuattrocento al Settecento, catalogo della Mostra acura di M.C. Di Natale, Milano 1989, pp. 179-180,che riporta la precedente bibliografia. Si veda ancheEadem, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001, p. 7;Eadem, scheda n. 5, in Splendori di Sicilia. Arti deco-rative dal Rinascimento al Barocco, Catalogo dellaMostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2001, p.356; Eadem, scheda 18, in Il tesoro dell’Isola. Capola-vori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII seco-lo, catalogo della Mostra a cura di S. Rizzo, vol. II,Catania 2008, pp. 787-788.

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10 M. Accascina, Oreficeria di Sicilia..., 1974, p. 146 efigg. 85-86.11 V. Abbate, Polizzi i grandi momenti dell’arte, PolizziGenerosa 1997, p. 79. Si veda anche S. Anselmo,Dalla Spagna alla Sicilia: le foglie di cardo sui calici“madoniti”. Un fortunato epiteto coniato da MariaAccascina, in Estudios de Platería. San Eloy 2008, acura di J. Rivas Carmona, Murcia 2008, pp. 39-54;Idem, Influenze spagnole nelle suppellettili liturgichesiciliane del Quattro e del Cinquecento, in Estudios dePlatería. San Eloy 2009, a cura di J. Rivas Carmona,Murcia 2009, pp. 83-104.12 M.C. Di Natale, I tesori nella contea..., 1995, p. 14,tavv. IV-VII.13 G. Travagliato, Gli archivi delle arti decorative dellechiese di Geraci, in Forme d’arte a Geraci Siculo, dallapietra al decoro, a cura di M.C. Di Natale, Palermo1997, p. 143.14 M. Vitella, scheda n. 3, in Capolavori d’arte delMuseo Diocesano. Ex sacris imaginibus magnum fruc-tum..., a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1998, p.107; M.C. Di Natale, La raccolta di argenteria sacra nelMuseo Diocesano di Palermo, in Arti decorative nelMuseo Diocesano di Palermo. Dalla città al Museo dalMuseo alla città, a cura di M.C. Di Natale, Palermo1999, p. 107; Eadem, Il Museo Diocesano di Palermo,Palermo 2006, pp. 57-58 II ed. 2009, “Musei” collanadiretta da M.C. Di Natale, n. 1.15 M. Accascina, Oreficeria..., 1974, p. 146, fig. 86, a-d.16 M.C. Di Natale, scheda n. II, 7, in Ori e argenti...,1989, p. 184; Eadem, Oro, argento, corallo tra commit-tenza ecclesiastica e devozione laica e scheda 6, in Splen-dori di Sicilia…, 2001, pp. 22-73, 357; Eadem, Il teso-ro della Cattedrale…, 2001, pp. 7-8; M.C. Di Natale,scheda 17, in Il tesoro dell’isola…, 2008, p. 787.17 F. Meli, Matteo Carnalivari e l’architettura del Quat-trocento e del Cinquecento a Palermo, Roma 1958, fig.XXVI. Cfr. pure S. La Barbera-D. Malignaggi,Aggiunte e metamorfosi quattrocentesche all’esternodella Cattedrale di Palermo, in La cultura del Quattro-cento in Sicilia, Roma 1984 e S. La Barbera, Il Porticomeridionale della Cattedrale di Palermo: immagini esimboli, in “Studi in onore di Maurizio Calvesi”, in“Storia dell’Arte”, 1998.18 V. Di Piazza, Note sui cori lignei di Sicilia dal XV alXVI secolo, in In Epiphania Domini. L’adorazione deiMagi nell’arte siciliana, catalogo della Mostra a cura diM.C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1992, p. 187,che riporta la precedente bibliografia.

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19 Cfr. G. Bresc Bautier, Artistes, patriciens et confre-ries. Production et consommation de l’oeuvre d’art aPalermo et en Sicile occidentale (1348-1460), Roma1979, pp. 184-199.20 M.C. Di Natale, scheda n. II, 8, in Ori e argenti...,1989, p. 185; Eadem, Oro, argento, corallo..., e M.Vitella, scheda 31, in Splendori di Sicilia..., 2001, pp.26-27, 373-374. Si veda anche M.C. Di Natale, Orefi-ceria siciliana dal Rinascimento al Barocco e M. Vitella,scheda 28, in Il tesoro dell’isola…, 2008, vol. I e II, pp.40, 796-797. 21 M.C. Di Natale, Oro, argento, corallo..., in Splendo-ri di Sicilia..., 2001, pp. 25-27; Eadem, Oreficeria sici-liana…, in Il tesoro dell’isola…, 2008, vol. I, p. 40.22 F. Jordio, Sacrae Regiae Visitationis, 1604, in Archi-vio di Stato di Palermo (da ora in poi A.S.P.), Conser-vatoria del registro, vol. 1330, f. 5 e segg.23 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, cap. 61, n. 15, c. 592v.24 A. Mongitore, La Cattedrale..., ms. della prima metàdel XVIII secolo della Biblioteca Comunale di Paler-mo ai segni QqE3, cap. 61, c. 608v.25 G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis..., 1743,ed. 1836, p. 66.26 Cfr. i due inventari della Cattedrale, il primo del1801 (A. S. P., Conservatoria del Registro, anno 1772-1801, vol. 1839, cc. 5-6v) e l’altro del 1848 (A.S.P.,Miscellanea archivistica 443, inventario della Magior[sic] Chiesa 1848, e. 4v.). L’inventario del 1848 venneredatto dal Canonico tesoriere Salvatore Mancino.27 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 9.28 A. Giuffrida, Memoriale di lo argento e di lo oro, inSplendori di Sicilia..., 2001.29 G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis..., 1743,ed. 1836, p. 71.30 L. Biagi, I tesori..., Palermo 1928, p. 560.31 M. Accascina, Oreficeria di Sicilia,1974, p. 111.32 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 9-10. Ringrazio Giovanni Travagliato per l’indivi-duazione dello stemma dell’Arcivescovo. Si rileva nelverso un marchio con corona non chiaramente deci-frabile. Potrebbe forse trattarsi della corona che sor-monta il marchio NAP di Napoli di quel periodo.Anche Napoli era centro di circolazione di culturaartistica iberica.33 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII sec. della Biblioteca Comunale

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di Palermo ai segni QqE3. G. Di Marzo, Notizie dialcuni argentieri che lavoravan pel duomo di Palermonel sec. XVI, in “Archivio Storico Siciliano”, n. s. a.III, 1878 (stampa 1879), pp. 364-370; Idem, I Gagi-ni..., 1880-83, rist. 1985, vol. III, p. 621; M. Accasci-na, Oreficeria di Sicilia..., 1974, p. 158. Cfr. pure M.C.Di Natale, Oreficeria e argenteria nella Sicilia occiden-tale al tempo di Carlo V, in Vincenzo degli Azani daPavia e la cultura figurativa in Sicilia nell’età di CarloV, catalogo della Mostra a cura di T. Viscuso, Palermo1999, p. 79, che riporta la precedente bibliografia.34 M. Vitella, Arti decorative per Sant’Agata e scheda n.146, in Agata Santa. Storia, arte, devozione, catalogodella Mostra (Catania Museo Diocesano, chiesa di SanFrancesco Borgia, Chiesa di San Placido, 29 gennaio 4maggio 2008), Firenze 2008, pp. 210-211, 373.35 M.C. Di Natale, Oreficeria e argenteria…, in Vincen-zo degli Azani…, 1999, p. 79, che riporta la preceden-te bibliografia.36 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comuna-le di Palermo ai segni QqE3, cap. 62, “Suppellettili dellaChiesa. Argento”, c. 608v. G.A. De Ciocchis, SacraeRegine Visitationis..., 1743, ed. 1836, p. 71. Cfr. pureM.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001, p. 10.37 Cfr. i due inventari della Cattedrale, il primo del1801, (A. S. P., Conservatoria del Registro, anno 1772-1801, vol. 1839, cc. 5-6v) e l’altro del 1848 (A. S. P.,Miscellanea archivistica 443, inventario della Magior[sic] Chiesa 1848, c. 4v.).38 M. Del Carmen Heredia Moreno, A. Lopez-YartoElizalde, La edad de oro de la Platería complutense1500-1650, Madrid 2001, fig. 72, pp. 100-101 e fig.153, pp. 141-142..39 M.C. Di Natale, scheda II, 27, in Ori e argenti…,1989, p. 201; Eadem, Il Tesoro della Cattedrale…,2001, pp. 10-11; Eadem, scheda 40, in Splendori diSicilia…, 2001, p. 381.40 Cfr. M.C. Di Natale, scheda n. II,6, in Ori e argen-ti..., 1989, p. 184.41 Cfr. M.C. Di Natale, scheda II, 7, in Ori e argenti...,1989, p. 184; Eadem, Oro, argento, corallo..., e sche-da 6, in Splendori di Sicilia…, 2001, pp. 22-73, 357;Eadem, Il tesoro della Cattedrale…, 2001, pp. 7-8;Eadem, scheda 17, in Il tesoro dell’isola…, 2008, p.787.42 Cfr. M.C. Di Natale, scheda II, 32, in Ori e argenti...,1989, pp. 205-206; G. Ingaglio, scheda IV.3, in Venicreator spiritus, catalogo della Mostra a cura di G.

Ingaglio, Agrigento 2001, pp. 113-114; E. De Castro,scheda 27, in Il tesoro dell’isola…, vol. II, 2008, pp.795-796.43 M. Vitella, scheda n. 2, in Gli argenti della MaggiorChiesa di Termini Imerese, Palermo 1996, p. 63.44 Cfr. M.C. Di Natale, scheda II, 35, in Ori e argenti...,1989, p. 209.45 F. Jordio, Sacrae Regiae..., 1604, in A. S. P., Conser-vatoria del registro, vol. n. 1330, f. 5 e segg.46 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, n. 18, c. 593r.47 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 12.48 Ibidem.49 G. Palermo, Guida istruttiva per Palermo e i suoi din-torni, riprodotta su quella del Cav. D. Gaspare Paler-mo dal Beneficiale Girolamo Di Marzo Ferro, Paler-mo 1858, p. 523.50 Ibidem.51 R. Sinagra, scheda n. I,10 in Le Confraternite del-l’Arcidiocesi di Palermo. Storia e Arte, catalogo dellaMostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1993, pp.77-78.52 S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Paler-mo, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Milano1996, pp. 73-76.53 Ibidem.54 S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 65. Cfr. pure S. Bar-raja, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i mano-scritti della maestranza, in Splendori di Sicilia..., 2001,p. 673.55 M.C. Di Natale, Dallo splendore della suppellettileall’aurea cromia della miniatura e R. Vadalà, schedenn. 7 e 10, in L’eredità di Angelo Sinisio. L’Abbazia diSan Martino delle Scale dal XIV al XIX secolo, catalogodella Mostra a cura di M.C. Di Natale e F. MessinaCicchetti, Palermo 1997, pp. 156, 165 e 167. Si vedaanche M.C. Di Natale, Oreficeria siciliana…, in Il teso-ro dell’isola…, 2008, vol. I, p. 58. 56 M.C. Di Natale, Le suppellettili liturgiche d’argen-to..., 1998, p. 44.57 Cfr. M.C. Di Natale, scheda II,36 in Ori e argenti...,1989, p. 210, fig. 36 a.58 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 12-13.59 G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis..., 1743,ed. 1836, pp. 66-67.60 Per l’iconografia dell’Immacolata in Sicilia cfr. Bella

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come la luna, pura come il sole. L’Immacolata nell’Artein Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. DiNatale e M. Vitella, Palermo 2004, che riporta la spe-cifica bibliografia precedente.61 M. C. Di Natale, Le suppellettili liturgiche d’argen-to..., 1998, pp. 19-20, figg. 2-4.62 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 13-14.63 S. Barraja, I marchi..., 1996, pp. 64-65.64 M.C. Di Natale, Il tesoro della Cattedrale..., 2001,pp. 13-14.65 Ibidem.66 S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 74.67 S. Barraja, Gli orafi e argentieri..., in Splendori diSicilia..., 2001, p. 672. Cfr. pure Idem, ad vocem Gio-vanni Duro, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti sici-liani, vol. IV, Arti applicate, a cura di M.C. Di Natale,ed. Novecento, in corso di stampa. 68 A.I. Mancusi, Istoria dell’ammirabile vita di S. Rosa-lia vergine romita palermitana, Palermo 1704, pp. 198-199.69 Cfr. M.C. Di Natale, Santa Rosalia nelle arti decora-tive, introduzione di A. Buttitta, contributi di P. Col-lura e M.C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1991, p. 24, cheriporta la precedente bibliografia. Cfr. pure P. Collu-ra, Santa Rosalia nella storia e nell’arte, Palermo 1977;P. Palazzotto, Da Santa Rosalia a Santa Rosalia. Opered’arte restaurate del Museo Diocesano di Palermo dalXVII al XIX secolo, Palermo, 2003, pp. 11-13; M.Vitella, scheda n. 153, in Agata Santa..., 2008, p. 377.Per la figura di Giancola Viviano cfr. G. Mendola, Tralegni e metalli l’attività documentata di Giancola Vivia-no, in Splendori di Sicilia..., 2001, p. 646.70 G. Cascini, Di Santa Rosalia Vergine palermitana,libri tre, Palermo 1651, p. 336. Cfr. pure M.C. DiNatale, S. Rosaliae Patriae..., con contributi di M.Vitella, Palermo 1994, p. 20.71 Per la “vara” di S. Rosalia della Cattedrale di Paler-mo cfr. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia...., 1974; F.Pottino, La prima processione delle sacre reliquie e l’ar-ca argentea di S. Rosalia, in Festino 1948, p. 11; P. Col-lura, Santa Rosalia…, 1977, pp. 79-82; M.C. Di Nata-le, Santa Rosalia nelle arti..., 1991, p. 24; Eadem, S.Rosaliae Patriae..., 1994, p. 69; Eadem, I maestriargentieri e la Santa “Patrona”, in Il Seicento e il primofestino di Santa Rosalia. Fonti documentarie, a cura diE. Calandra. Palermo 1996, p.42. Per Giancola Vivia-no cfr. pure G. Mendola, Tra legni e metalli... in Splen-dori di Sicilia..., 2001, p. 646.

72 La relazione è riportata da A. Mongitore, La Catte-drale di Palermo. ms. della prima metà del XVIIIsecolo della Biblioteca Comunale di Palermo ai segniQqE3. cap. XXXVIIl, f. 311; cfr. pure M.C. Di Nata-le, S. Rosaliae Patriae…, 1994, p. 69 e Eadem, I moni-li della Madonna della Visitazione di Enna, con uncontributo di S. Barraja, appendice documentaria diR. Lombardo e O. Trovato, Enna 1996, pp. 53-54.73 Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIXpubblicati sui manoscritti della Biblioteca Comunalepreceduti da una introduzione e corredati di note percura di G. Di Marzo, in Biblioteca Storica e Letterariadi Sicilia, per cura di G. Di Marzo, vol. II, Palermo1869, p. 278, nota I di G. Di Marzo. Cfr. pure G.M.Amato, De principe templo panormitano, libri XIII,Panormi 1728, p. 250. Si veda anche G. Villari - G.Meli, Il tempio dei re con la ristampa anastatica compat-tata del De Principe templo panormitano (1728) diG.M. Amato, traduzione a fronte di A. Morreale, con-tributi di R. Di Natale, A. Lombardo e G. M. Spanò,Palermo 2001.74 F. Pottino, La prima processione..., 1948, p. 11. M.C.Di Natale, I maestri argentieri..., in Il Seicento e ilprimo festino..., 1996, p. 4275 Il documento relativo a tale notizia è stato ritrovatoda G. Mendola, cfr. M.C. Di Natale, Oro argento ecorallo..., in Splendori di Sicilia...., 2001, pp. 22-73. Siveda anche Eadem, Montalbano, Barbavara e la produ-zione orafa a Palermo nella prima metà del Seicento, inLa sfera d’oro. Il recupero di un capolavoro dell’orefice-ria palermitana, catalogo della Mostra a cura di V.Abbate e C. Innocenti, Napoli 2003, p. 61. Per il repo-sitorio cfr. pure M.C. Di Natale, Le suppellettili litur-giche..., 1998, p. 46.76 M.C. Di Natale, Don Camillo Barbavara e gli orafi esmaltatori nella Sicilia barocca, e scheda 29, in LaMadonna delle Vittorie a Piazza Armerina dal GranConte Ruggero al Settecento, catalogo della Mostra acura di M.K. Guida, Napoli 2009, pp. 124-125, 164,che riporta la precedente bibliografia. Per il Barbava-ra si veda anche G. Travagliato, Appendice documenta-ria. Nuovi documenti a completamento della biografiadi don Camillo Barbavara, in La Madonna delle Vitto-rie…, 2009, pp. 130-132.77 M.C. Di Natale, scheda n. II, 39, in Ori e argenti...,1989, pp. 213 - 214.78 Per le acquasantiere già della collezione Whitakercfr. E. Tartamella, schede nn. 10-11, in L’arte del coral-lo..., 1986, pp. 160-161. Cfr. pure M.C. Di Natale, Oro

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argento e corallo..., e R. Vadalà, scheda n.6, in Splendo-ri di Sicilia..., 2001, p. 471.79 Il documento relativo a tale notizia è stato ritrovatoda G. Mendola, cfr. M.C. Di Natale, Oro argento ecorallo..., in Splendori di Sicilia..., 2001, pp. 22-73.80 M.C. Di Natale, I monili della Madonna..., 1996, p.47 e nota 64, p. 85, che riporta la precedente biblio-grafia.81 G. Travagliato, Appendice documentaria..., in LaMadonna delle Vittorie..., 2009, pp. 130-132.82 Per l’inventario relativo alla manta e alla coronadella Madonna della perla cfr. P. Collura, La Madonnadella Perla di Matteo d’Aiello (1171), in “BCA Sicilia”,a. V, nn. 3-4, 1984. Cfr. pure M.C. Di Natale, Gioiellidi Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008. Non ci sonoparole per ricordare con sgomento il furto dellaManta della Madonna del Vessillo di Piazza Armerinache ci ha privato della fruizione di un capolavoro diinestimabile pregio artistico. Non si finirà mai diauspicare il suo fortuito ritrovamento.83 Il documento relativo a tale notizia è stato ritrovatoda G. Mendola, cfr. M. C. Di Natale, Oro argento ecorallo..., in Splendori di Sicilia..., 2001, pp. 22-73.84 M.C. Di Natale, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p.129.85 M.C. Di Natale, I monili della Madonna..., 1996, p.47, che riporta la precedente bibliografia.86 Ibidem.87 Cfr. M.C. Di Natale, scheda n. 68, in Splendori diSicilia..., 2001, p. 403, che riporta precedente biblio-grafia. Si veda anche Eadem, Il Tesoro della Cattedra-le…, 2001, p. 17.88 G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis..., 1743,ed. 1836, p. 69.89 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 17; M.C. Di Natale, Oro argento e corallo..., inSplendori di Sicilia..., 2001, pp. 22-73,90 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, c. 622v. Giovanni Bat-tista La Rosa Spatafora è Canonico della Cattedrale diPalermo dal 1594, Protonotario apostolico e tesoriere.Il vicedirettore dell’Archivio Diocesano, dott. Gio-vanni Travagliato mi segnala gentilmente un suo ine-dito manoscritto (n. 35 quater), già dell’Archivio Capi-tolare, dove raccolse diverse scritture sulla Cattedrale:Libro di alcune scritture notande del capitolo palermita-no et altre cose, che alla giornata ponno servire al dettocapitolo, et alcun canonico, copiate per mi D. Giovanni

Battista La Rosa canonico, da molt’altri scritturi, che horaccolti per ligarli in un libro grande per servitio di essocapitolo et dignità et canonaci, ms. del 1580 e segg. Perulteriori notizie sul canonico si rimanda a A. Mongito-re, Biblioteca Sicula, 1708, tomo I, p. 336.91 M.C. Di Natale, I monili della Madonna..., 1996, cheriporta la precedente bibliografia. Hanno confermatola mia ipotesi di attribuzione dell’opera a Don Camil-lo Barbavara i documenti ritrovati da G. Mendola, cfr.M.C. Di Natale, Oro argento e corallo..., in Splendoridi Sicilia..., 2001, pp. 22-73.92 M.C. Di Natale, Oro argento e corallo..., in Splendo-ri di Sicilia..., 2001.93 M.C. Di Natale, Gioielli…, 2000 e Eadem, Oroargento e corallo... in Splendori di Sicilia..., 2001. Lalettura tecnica del tessuto è stata effettuata da Rober-ta Civiletto in occasione della mostra Splendori di Sici-lia..., 2001. Cfr. pure M.C. Di Natale, Il tesoro dellaCattedrale..., 2001, p. 18.94 Cfr. G. Travagliato, Appendice documentaria... in LaMadonna delle Vittorie..., 2009, pp. 130-132.95 M. Accascina, Oreficeria siciliana. Il tesoro di Enna,in “Dedalo”, fasc. III, a. XI, Agosto 1930; cfr. pureM.C. Di Natale, I monili della Madonna..., 1996, cheriporta la precedente bibliografia.96 M.C. Di Natale, I monili della Madonna..., 1996, p.54. Per il busto cfr. V. Abbate, Contesti palermitani diprima metà Seicento: La Congregazione dell’Oratoriotra maestranze e mercanti “forestieri”, in Splendori diSicilia..., 2001, p. 140.97 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, cap. 61, c. 580v.98 Ibidem.99 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, cap. 62, c. 620v.100 La notizia è riportata nell’inventario dei beni mobi-li della Madonna di Trapani del 1619, cfr. M.C. DiNatale, Coll’entrar di Maria entrarono tutti i beni nellacittà, in Il tesoro nascosto, Gioie e argenti per laMadonna di Trapani, catalogo della Mostra a cura diM.C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, p. 22.101 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comuna-le di Palermo ai segni QqE3, cap. 61, c. 593r., come giàricordato, a proposito del “Legno della Santa Croce”annota che “nell’inventario del 1555 si vede che vi eranoallora due Reliquiari col Legno della S(anta) Croce”.

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102 M.C. Di Natale, Le croci dipinte in Sicilia. L’areaoccidentale dal XIV al XVI secolo, Palermo 1992.103 G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis...,1743, ed. 1836, p. 66.104 M.C. Di Natale, I tesori nella contea..., 1995, p. 18.Cfr. pure Eadem, Arte a Geraci Siculo tra decorazionee devozione, e G. Travagliato, Gli Archivi..., che ripor-ta l’inventario del 1567 con la relativa citazione, inForme d’arte..., 1997, pp. 20 e 144-145.105 M.V. Herraer Ortega, Arte de Rinascimento enLeon. Orfebrerie, Leon 1997, n. 12, p. 109, n. 17, p.115.106 M.C. Di Natale, I tesori nella contea..., 1995, p. 18.Cfr. pure Eadem, Arte a Geraci..., e G. Travagliato, GliArchivi..., che riporta l’inventario del 1567 con la rela-tiva citazione, in Forme d’arte..., 1997, pp. 20 e 144-145.107 M. Accascina, Oreficeria..., 1974, p. 215, figg. 193 e155, attribuisce il Reliquiario della Sacra Spina adAntonio Archifel, attivo nella prima metà del XVIsecolo. Ritengo che sia piuttosto da datare al primoSeicento per la presenza delle testine dei cherubinialati fortemente aggettanti nel nodo, secondo modidiffusi proprio nella prima metà del XVII secolo inSicilia. Cfr. pure M.C. Di Natale, Le arti decorative inSicilia dal Quattrocento al Seicento, in Storia della Sici-lia, vol. IX, Catania-Roma 1999, p. 555, nota 84. Peril reliquiario della mammella di Sant’Agata si veda M.Vitella, Le sacre immagini e le opere d’arte decorativatra fonti e committenti, in La Cattedrale di Catania,Catania 2009, p. 192.108 M.C. Di Natale, Oro, argento e corallo..., in Splendo-ri di Sicilia..., 2001, p. 40. Cfr. pure G. Ingaglio, sche-da n. 53, in Splendori di Sicilia..., 2001, p. 391.109 M.C. Di Natale, Le arti decorative..., in Storia dellaSicilia, vol. IX, 1999, p. 512. Cfr. pure A. Cuccia, Scul-tura lignea del Rinascimento in Sicilia. La Sicilia Occi-dentale, in Splendori di Sicilia..., 2001, p. 124.110 M.C. Di Natale, Le arti decorative..., in Storia dellaSicilia, vol. IX, 1999, p. 512.111 M.C. Di Natale, Le croci dipinte in Sicilia..., 1992,che riporta la precedente bibliografia. Cfr. pureEadem, Il Crocifisso del Museo Diocesano di Palermo.Una singolarità tecnica nel panorama siciliano tra crocidipinte e lignee, in M.C. Di Natale, M. Sebastianelli, Ilrestauro del cinquecentesco Crocifisso in cartapesta delMuseo Diocesano di Palermo, “Museo Diocesano diPalermo. Studi e restauri”, n. 3, collana diretta da P.Palazzotto, Palermo 2010, pp. 11-23.

112 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 20. 113 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, cc. 582v, 583r, 584v,585r, 586v, 587r, 588v.114 Ibidem.115 Cfr. O. Manganante, Thesaurum Aureum, ms. delXVII secolo (post 1692, con aggiunte post 1721), tra-scrizione, note e commento a cura di G. Travagliato,in corso di pubblicazione, p. 1287. La stessa notiziaviene riportata anche da G.M. Amato, De PrincipeTempio…,1728, pp. 365-366. Si veda anche G. Villari- G. Meli, Il tempio dei re…, 2001.116 O. Manganante, Notamenti del Duomo novo diPalermo, ms. del XVII secolo (1673) della BibliotecaComunale di Palermo ai segni QqD17, f. 418.117 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Pa ai segni QqE3, c. 623v,118 G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis...,1743, ed. 1836, p. 69.119 Inventario della Cattedrale, in A.S.P., Conservatoriadel registro, 1772, 1801, vol. 1839, c. 122 e Inventariodella Cattedrale, in A.S.P., Miscellanea Archivistica443. Inventario della Magior [sic] Chiesa 1848.120 Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien, Parigi1958.121 M.C. Di Natale, scheda n. II, 56, in Ori e argenti...,1989, pp. 227-228; S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 65;M. Vitella, scheda n. 159, in Agata Santa..., 2008, p.379.122 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 22.123 G. Di Marzo, I Gagini..., 1880-83. 124 G. Di Marzo, I Gagini..., 1880-83. 125 M.C. Di Natale, scheda n. II, 97, in Ori e argenti...,1989, p. 251.126 Cfr. O. Manganante, Notamenti...., ms. del XVIIsecolo (1673) della Biblioteca Comunale di Palermo aisegni QqD17, f. 422 e G.A. De Ciocchis, Sacrae Regi-ne Visitationis..., 1743, ed. 1836, p. 72.127 Inventari della Cattedrale, in A.S.P, Conservatoriadel Registro, 1772, 1801, vol. 1839, e. 122 e in A.S.P.,Miscellanea Archivistica 443, Inventario della Magior[sic] Chiesa 1848.128 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 22. I due nuovi vasi sono stati realizzati dall’argen-tiere palermitano Antonino Amato.

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129 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 22. Per i raffronti con le opere spagnole cfr. M. DelMar Nicolás Martínez, El ajuar de plata de la Catedralde Almería. Historia de su formación, in Estudios dePlatería San Eloy 2007, a cura di J. Rivas Carmona,Murcia 2007, pp. 484-502, lamina 2; J. M. Cruz Val-dovinos, A. Escalera Ureña, La Platería de la Catedralde Santo Domingo, primada de America, Santo Domin-go 1993, nn. 11-12, pp. 90-92.130 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 22.131 S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 68.132 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, c. 589r.133 Cfr. M. Vitella, schede n. 93 e 96, in Splendori di Sici-lia...., 2001, pp. 421 e 423, che riporta la precedentebibliografia. Si veda anche M.C. Di Natale, Il Tesorodella Cattedrale…, 2001, p. 23. Le opere sono stateesposte e riunite in una stessa vetrina in occasione dellaricordata Mostra del 2000-2001 Splendori di Sicilia....134 Ibidem.135 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 23.136 S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 69.137 Cfr. M.C. Di Natale, scheda n. 59, in Splendori diSicilia…, 2001, p. 347, che riporta la precedentebibliografia. Si veda anche Eadem, Il Tesoro della Cat-tedrale…, 2001, pp. 23-24; Eadem, Gioielli…, 2000,p. 196. L’individuazione dello stemma dell’Arcivesco-vo Ferdinando Sanseverino è di Giovanni Travagliato,che ringrazio per la gentile segnalazione.138 Ibidem.139 Ibidem. Cfr. pure L. Bertolino, Argenti e gioie in uninventario seicentesco della famiglia Ventimiglia, in Orie argenti..., 1989, p. 390 e R. F. Margiotta, Appendicedocumentaria, in M. C. Di Natale, R. Vadalà, Il Tesorodi Sant’Anna..., 2010, pp. 96-106.140 M.C. Di Natale, Santa Rosalia nelle arti…, 1991, p.49. Si veda anche Eadem, Il Tesoro della Cattedrale…,2001, p. 24. La sigla del console non è chiaramenteleggibile.141 Ibidem.142 Ibidem. Per il marchio del console cfr. S. Barraja, Imarchi…, 1996 p. 74.143 Ringrazio il dott. Giovanni Travagliato per avermigentilmente segnalato la notizia relativa all’argentiereDidaco Guttadauro: Archivio Storico Diocesano diPalermo, Documenti relativi a Santa Rosalia e altre

Vergini palermitane, in Capitolo, volume di scritturediverse spettanti alla venerabile cappella della gloriosaVergine Santa Rosalia esistente dentro la MaggiorePanormitana Chiesa, n. 736, anni 1625-1805 cc. 81r -85r. Per il reliquario analogo del Museo Diocesanocfr. M.C. Di Natale, La raccolta di argenteria sacra ...,in Arti decorative nel Museo Diocesano di Palermo...,1999, pp. 114-115. Alcuni fiori di quest’ultimo reli-quiario presentano marchi diversi: CDNC, relativo alconsole Carlo Di Napoli, che ricopriva tale caricanegli anni 1663, 1668, 1672, 1673, e FM70, del conso-le del 1670 Francesco Mercurio. Questi fiori dovette-ro dunque essere più volte riutilizzati e variamentecompletati da Didaco Guttadauro che vi appose pureil suo marchio. Didaco (Diego) Guttadoro in alcunidocumenti viene nominato “Guttadauro”. Dovrebbetrattarsi di quel Diego Guttadauro (1745-46) ricorda-to nei manoscritti della maestranza, cfr. S. Barraja, Gliorafi e argentieri..., in Splendori di Sicilia..., 2001, p.673. Per i marchi dei consoli cfr. S. Barraja, I mar-chi...,1996, p. 74.144 G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis...,1743, ed. 1836, p. 72.145 Inventari della Cattedrale, in A.S.P., Conservatoriadel registro, 1772, 1801, vol. 1839, c. 122 e in A.S.P.,Miscellanea Archivistica 443, Inventario della Magior[sic] Chiesa 1848.146 S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 73. Cfr. pure M.C. DiNatale, scheda n. II,136, in Ori e argenti..., 1989, p.277.147 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del secolo XVIII secolo della BibliotecaComunale di Palermo ai segni QqE3, c. 588v, n. 10.148 G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis...,1743, ed. 1836, p. 65. Inventari della Cattedrale, inA.S.P., Conservatoria di registro, anno 1772-1801, vol.1839, f. 5r. e in A.S.P., Miscellanea archivistica 443Inventario della Magior [sic] Chiesa 1848; cfr. pureM.C. Di Natale, scheda n. II,136 in Ori e argenti...,1989, p. 277.149 Per l’argentiere cfr. M.C. Di Natale, Le suppellettililiturgiche d’argento..., 1998, pp. 70-77; per il consolecfr. S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 83.150 Cfr. M.C. Di Natale, Santa Rosalia nelle Arti...,1991, p. 150. Cfr. pure M.C. Ruggieri Tricoli, Il Teatrodella Vergine: immaginario architettonico e tradizionesconografica nei paliotti di Santa Rosalia, in M.C. DiNatale, Santa Rosalia nelle Arti..., 1991, p. 93, cheriporta la precedente bibliografia.

Ori e argenti del Tesoro della Cattedrale di Palermo

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151 Ibidem. Cfr. G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visita-tionis..., 1743, ed. 1836, p. 120; Inventari della Catte-drale in A.S.P. Conservatoria di Registro, anno 1772-1801, vol. 1839.152 A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. dellaprima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comu-nale di Palermo ai segni QqE3, c. 602v, n. 33.153 Inventari della Cattedrale, in A.S.P., Miscellaneaarchivistica 443 Inventario della Magior [sic] Chiesa1848. Cfr. pure M.C. Di Natale, Il Tesoro della Catte-drale…, 2001, pp. 26, 28.154 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 27-28.155 M.C. Di Natale, scheda n. II, 98, in Ori e argenti...,1989, p. 252.156 Ibidem.157 M.C. Di Natale, scheda n. II, 115, in Ori e argenti...,1989, pp. 263-64. Inventari della Cattedrale, in A.S.P.,Miscellanea archivistica 443 Inventario della Magior[sic] Chiesa 1848.158 J. M. Cruz Valdovinos, Platería europea en España.1300-1700, Madrid 1997, p. 24 e Idem, scheda n. 107,in Splendori di Sicilia…, 2001, p. 429.159 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 27-28. 160 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 27-28.161 S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 75.162 S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 79.163 S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 75. L’opera parrebberecare anche le iniziali PC e un giglio relative all’argen-tiere e non chiaramente leggibili. Potrebbe, pertanto,trattarsi di Placido Carini, cfr. S. Barraja, I marchi di bot-tega degli argentieri palermitani, in Storia, critica e tuteladell’Arte del Novecento. Un’esperienza siciliana a con-fronto con il dibattito nazionale, Atti del convegno inter-nazionale di Studi in onore di Maria Accascina, a curadi M.C. Di Natale, Caltanissetta 2007, pp. 521-529.164 Inventari della Cattedrale, in A.S.P., Miscellaneaarchivistica 443 Inventario della Magior [sic] Chiesa1848.165 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 29 166 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 28-29.167 Ibidem. 168 S.Barraja, I marchi..., 1996, p. 79.169 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 29-30.

170 Inventari della Cattedrale, in A.S.P., Miscellaneaarchivistica 443 Inventario della Magior [sic] Chiesa1848.171 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 30. L’individuazione dello stemma del vescovo è diGiovanni Travagliato che ringrazio per la gentilesegnalazione.172 S. Barraja, I marchi..., 1996, p.77.173 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 29-30. 174 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 29-30. Per i marchi si veda anche S. Barraja, I mar-chi..., 1996, p. 78.175 M. Vitella, Gli argenti della Maggior Chiesa..., 1996,p. 102.176 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…,2001, p. 30. La sigla dell’argentiere parrabbe A°Mda ascrivere, pertanto, a Antonino Mercurio cfr. S.Barraja in L. Sarullo, Dizionario..., vol. IV, in corsodi stampa.177 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 29-30. Per i marchi cfr. S. Barraja, I marchi...,1996, p. 79.178 M. Gulisano, scheda n. II, 221, in Ori e argenti...,1989, pp. 337-338. Cfr. pure M.C. Di Natale, Il Teso-ro della Cattedrale…, 2001, p. 30; M.C. Di Natale,Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 232. M.C. Di Natale,scheda 106, in Il tesoro dell’isola…,vol. II, 2008, pp.874-875; M. De Luca, scheda 84, in Argenti e culturarococò nella Sicilia centro-occidentale 1735-1789, cata-logo della Mostra cura di S. Grasso e M.C. Gulisano,Palermo 2008, pp. 378-379.179 S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 79.180 M.C. Di Natale, Gioielli…, 2000, che riporta laprecedente bibliografia. Per le date dell’attività di Sal-vatore e Giuseppe Mercurio, figli di Orazio, cfr. S.Barraja, Gli orafi e argentieri…, in Splendori di Sici-lia..., 2001, p. 674.181 M.C. Di Natale, I monili della Madonna..., 1996, p.70. 182 Ibidem.183 M. Accascina, Oreficeria..., 1974, p. 390.184 M.C. Di Natale, Gioielli…, 2000, che riporta laprecedente bibliografia. L. Ragusa, La “sfera d’oro” diSan Giorgio a Ragusa. La commissione del canonicoSortino a Giuseppe Vella e la donazione alla “Ven.Madrice Ecclesia”, in Fate questo in memoria di me.L’Eucaristia nell’esperienza delle chiese di Sicilia, a curadi G. Ingaglio, Agrigento 2005, pp. 67-71. Si veda

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anche E. D’Amico, Aggiunte alle arti applicate sicilia-ne. Bartolomeo Sanseverino e Vito Coppolino per leargenterie settecentesche, in Il tesoro dell’isola…, vol.I, 2008, p. 109.185 M. Vitella, scheda n. 13, in Capolavori d’arte...,1998, p. 119, che riporta la precedente bibliografia.186 M. C. Di Natale, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, cheriporta la precedente bibliografia.187 M. C. Di Natale, scheda n. II, 153, in Ori e argen-ti..., 1989, pp. 289-290. Per le date di attività di Anto-nino Nicchi, che muore nel 1781, cfr. S. Barraja, Gliorafi argentieri..., in Splendori di Sicilia....2001, p.675.188 M.C. Di Natale, Gioielli…, 2000, p. 238; Si vedaanche M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…,2001, pp. 31-32. 189 A. Gallo, Notizie di pittori e mosaicisti, parte II, ms.del XIX sec. della Biblioteca Centrale della RegioneSiciliana ai segni XVH19.190 A.S.P., Miscellanea archivistica 443 Inventario dellaMagior [sic] Chiesa 1848.191 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 33.192 A.S.P., Miscellanea archivistica 443 Inventario dellaMagior [sic] Chiesa 1848.193 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 33. Si veda anche S. Barraja, I marchi..., 1996, p. 80. 194 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 33.

195 S. Barraja, Gli orafi argentieri..., in Splendori di Sici-lia ..., 2001, p. 669.196 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 33. Per il marchio del console si veda S. Barraja, Imarchi..., 1996, p. 83. L’individuazione dello stemmanobiliare è di Giovanni Travagliato che ringrazio perla gentile segnalazione.197 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 33.198 A.S.P., Miscellanea archivistica 443 Inventario dellaMagior [sic] Chiesa 1848.199 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 32-33.200 M.C. Di Natale, Le suppellettili liturgiche d’argen-to..., 1998, n. 41, p. 67.201 A.S.P., Miscellanea archivistica 443 Inventario dellaMagior [sic] Chiesa 1848.202 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 33.203 A.S.P., Miscellanea archivistica 443 Inventario dellaMagior [sic] Chiesa 1848.204 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 32-33.205A.S.P., Miscellanea archivistica 443 Inventario dellaMagior [sic] Chiesa 1848. 206 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,pp. 32-33.207 M.C. Di Natale, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001,p. 33.

Ori e argenti del Tesoro della Cattedrale di Palermo

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I MANUFATTI TESSILI DELLA CATTEDRALE DI

PALERMO

Maurizio Vitella

Tra le arti suntuarie, quelle della tessitura edel ricamo sono tra le più presenti per ilfasto delle sacre celebrazioni. I paramentisacri, infatti, per l’intrinseco linguaggiosimbolico fatto di colori, che scandiscono ilcalendario liturgico, e di fogge sartoriali,che identificano le gerarchie ecclesiastiche,sono espressione del ruolo esercitato da chipresenzia ad un’azione liturgica, ricordan-do “agli altri ed a se stessi quello che sono eciò che in essi dovrebbe apparire”1. La col-lezione di sacre vesti custodite nella Catte-drale di Palermo, di cui solo una minimaparte è oggi esibita al pubblico nelle saleche ospitano il nuovo allestimento del Teso-ro, ha suscitato l’interesse di molti studiosisoltanto per i manufatti legati alle dinastieNormanna e Sveva. Tutto il resto della rac-colta, tolte le notazioni inventariali redatteda Regi Visitatori, non è mai stata oggettodi studi sino al 20012 quando, in occasionedella mostra Splendori di Sicilia. Arti decora-tive dal Rinascimento al Barocco3, un cospi-cuo numero di paramenti venne schedatosecondo le metodologie catalografiche delCentre Iternational d’Etude des TextilesAnciens (C.I.E.T.A) di Lione. Grazie allanuova sistemazione museografica dei pre-ziosi manufatti serici e d’oreficeria custodi-ti nel Duomo palermitano, si ha l’opportu-nità di poter ammirare un’importante colle-zione di frammenti serici e paramenti sacriche ricopre un arco cronologico che dalXIII secolo si estende sino al XVIII, atte-stando circa cinque secoli di produzioni

tessili. Le opere vengono presentate attra-verso un itinerario cronologico, localizzan-do di volta in volta i diversi manufatti nelleteche e nelle vetrine che li ospitano. Talerassegna di sacri abiti liturgici farà com-prendere che niente è troppo bello, né trop-po prezioso per celebrare il culto: i para-menti sono strumenti al servizio della cele-brazione in cui si manifesta il Mistero dellanostra salvezza.Il manufatto tessile più antico conservatonel Tesoro della Cattedrale di Palermo è ilframmento di lampasso (fig. 1), in seta e filod’oro, prelevato dal sarcofago di Enrico VI,morto nel 1197. Allorquando fu effettuata,nel 1781, l’apertura dei sepolcri imperiali,vennero asportate dalle Tombe Reali alcuneopere, oggi esposte, e l’accurata ispezionedel contenuto delle sepolture venne docu-mentata da Francesco Daniele che, nel suovolume I regali sepolcri del Duomo di Paler-mo riconosciuti e illustrati, pubblicato nel1784, riporta interessantissimi rilievi graficirealizzati da Camillo Manganaro4, utili acomprendere, soprattutto, i moduli di deco-ro delle preziose stoffe ritrovate. Il fram-

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Fig. 1 - Manifattura del regio ergasterium di Palermo,Frammento di tessuto dal sarcofago di Enrico VI, fineXII sec., lampasso in seta e filo d’oro.

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mento della Cattedrale (cm. 15,4x14,6),insieme a quello più ampio (cm. 24x19) con-servato al British Museum di Londra,anch’esso proveniente dalle reali tombepalermitane e venduto al museo londinesenel 1878 dal rev. Greville Chester5, è parte diuna veste, o semplicemente la bordura diessa, indossata dall’imperatore, della qualenon si è a conoscenza se fu posta nel sepol-cro contestualmente all’inumazione deldefunto oppure nel 1215, quando FedericoII fece trasferire la salma del padre nell’at-tuale sarcofago6. Particolarmente conosciu-to tra i tessuti di epoca normanna e riferitoa produzione dell’officina del Regio Ergaste-rium di Palermo, il frammento ha destatol’interesse degli studiosi per il singolaremodulo decorativo raffigurante teorie oriz-zontali di cerbiatti (o gazzelle) e pappagallirispettivamente affrontati e addossati. Sitratta di un particolare disegno che DonataDevoti considera “dominante” nell’ambitodella produzione dell’officina palermitana e

che suggerisce di identificare con quei tessu-ti indicati dalle fonti con il nome di diaspri7:con questo termine, infatti, venivano indivi-duati tessuti ritenuti assai pregiati contrad-distinti da un disegno a uccelli e animali,spesso con alcune parti broccate in oro eargento. L’intreccio usato per la tessitura diqueste stoffe è il lampasso e, secondo la stu-diosa, deriva dallo sciamito e permette larealizzazione di tessuti con disegni partico-larmente ricchi per l’impiego di numerosetrame, ma soprattutto la creazione di stoffemonocrome in quanto il disegno si può dif-ferenziare dal fondo per effetto di duediversi tipi di armature8. Pertanto il termine“diaspro” non solo dovrebbe indicare untessuto monocromo, ma avrebbe anche atti-nenza con il modulo di disegno rappresenta-to, ossia quell’impostazione compositivacon teorie di animali, uccelli ed elementivegetali che trova corrispondenza nei tessu-ti dell’Egitto fatimita del XII secolo e che,probabilmente, si irradiò nei paesi occiden-tali, passando per la Sicilia, giungendo aLucca e in Spagna. E a proposito di opereseriche prodotte in Toscana nel XIII secolo,si notano stringenti analogie compositive trail nostro frammento e il lampasso con cui èstato confezionato il piviale del Museo diPalazzo Venezia di Roma attribuito a mani-fattura lucchese della seconda metà del1200.Altro documento tessile proveniente dai sar-cofagi imperiali sono i frammenti della fode-ra della corona di Costanza d’Aragona (fig.2). Recentemente sottoposti ad un interven-to di restauro conservativo effettuato dall’I-stituto Centrale del Restauro di Roma, ven-nero asportati dalla preziosa opera d’orefi-ceria agli inizi del XIX secolo. Individuatida Claudia Guastella come “supporti tessili

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Fig. 2 - Manifattura del regio ergasterium di Palermo,Frammenti della fodera della corona di Costanza d’Ara-gona, ante 1222, sciamito di seta.

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di fissaggio immediatamente sottostanti aglielementi costitutivi della corona”9, sono ciòche rimane del “drappo logoro e guasto” giàosservato da coloro che presenziarono all’a-pertura del sarcofago nel 1491: in quellaoccasione, come raccontano le cronache, fuposta a protezione del tessuto degradatoun’altra stoffa con l’intento di “racconciare”quanto ancora superstite10. I frammenti, insciamito di seta, non presentano alcunmodulo disegnativo. Le analisi a cui sonostati sottoposti e il rilievo metrico che di essi

è stato effettuato contestualmente a quellodella corona di cui erano parte integrante,come notato dalla Varoli Piazza, hanno per-messo di “giungere alla ricostruzione graficadelle forme originarie dei due oggetti e adun loro puntuale confronto, senza sottopor-re gli oggetti stessi ad alcuna possibile usurao deterioramento da manipolazione”11. Dal-l’attenta comparazione dei dati emersi si èpotuto confermare l’avvenuta manomissio-ne della struttura originaria della coronaeffettuata dai radicali restauri a cui l’operafu sottoposta all’inizio del XIX secolo.Molte integrazioni e riparazioni dell’aureocopricapo sono dettagliatamente descritte inun inventario stilato con la consulenza del-l’orafo Matteo Serretta reperito da ClaudiaGuastella presso l’Archivio di Stato diPalermo e pubblicato nel 199312.All’interno della stessa bacheca in cui sonoesposti i frammenti della fodera della coro-na, è possibile ammirare due brevi galloni(fig. 3) provenienti dal sarcofago di Costan-za d’Aragona. Ascritti, erroneamente, dal-l’Accascina come pertinenti al corredo diEnrico VI13, sono riferiti dalla studiosa allaproduzione dell’opificio del Palazzo Realedi Palermo. Anche questi reperti hannosubito radicali trasformazioni durante l’in-tervento di restauro effettuato agli inizi del-l’Ottocento. Infatti, oltre a rimanere benpoco dell’originario tessuto di supporto14, ladisposizione lineare delle placchette smalta-te che decorano queste bordure, non corri-sponde a quanto rilevato dal Manganaronell’incisione che si accompagna al testo delDaniele15, dove i galloni sono presentati conuna loro conformazione sartoriale tale da farritenere che fossero uno parte finale dellascollatura, forse della tunica, l’altro partedell’ornato perimetrale del manto superio-

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Fig. 3 - Manifattura del regio ergasterium di Palermo,Due galloni provenienti dal sarcofago di Costanza d’A-ragona, 1220-1222, saia 2 lega 1, smalti cloisonnés, orofiligranato.

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re16. Nel loro aspetto odierno, le due bordu-re si presentano rispettivamente composteuna da dieci, l’altra da nove placchette qua-drilobe, impreziosite da smalti cloisonnés,intramezzate da coppie di piastrine di formatrapezoidale in oro filigranato incorniciateda cordonetto. I recenti approfonditi studicondotti da Claudia Guastella in occasionedell’esposizione Nobiles Officinae, manife-stazione che ha consentito di mostrare con-testualmente molti manufatti realizzati nelregio Ergasterium palermitano, hanno per-messo la comparazione delle placchettesmaltate dei galloni del tesoro con quelleche ornano il fodero della spada imperialecustodito nella Schatzkammer di Vienna lacui configurazione, che la studiosa ritienetipica della produzione di età sveva, risultaessere analoga : “tali elementi inducono aconfermare l’esecuzione di questi galloniverso la fine dell’arco cronologico del regnodella stessa Costanza (1209-1222)”17.Altro capolavoro del tesoro della Cattedraleè il paliotto detto, impropriamente, dell’ar-civescovo Carandolet18 (fig. 4). La denomi-nazione del sacro arredo deriva dall’equivo-ca deduzione che fece Giovanni Angelo De

Ciocchis, regio visitatore per conto di CarloIII di Borbone, di quanto riferito da Gio-vanni Maria Amato nel monumentale scrittosulla Maggior Chiesa del capoluogo isolano,De Principe Templo Panormitano, pubblica-to nel 172819. Il De Ciocchis, che nel 1741stilò un dettagliato inventario dei beni dellaCattedrale di Palermo, così descrisse il sacroarredo: “In primis un palio ricamato con ilfricio di perle sopra velluto piano cremesinocoll’immagine di Nra Signora, con alcuniangioli di piancia di argento dorato, ed ilPatre Eterno di sopra con alcune aquile, egioiette di argento dorate, e smaltate fra-mezzate di pietre false: vi sono otto colonnedi ricamo di perle, ed altri sette pezzi di rica-mo d’oro, con frinzone d’oro a canotti-glio”20. Composto da una fascia superiore divelluto ricamato con perline e smalti e settepannelli inferiori ricamati in oro intercalatida otto fasce a volute con perline, come haevidenziato Claudia Guastella, il paliotto è“un pezzo molto composito, esito dellacombinazione, variamente articolata emodificata nel tempo, di diversi nuclei dioggetti, di tecniche, cronologie e provenien-ze differenti”21. Il sacro arredo è frutto del-

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Fig. 4 - Manifattura siciliana, Paliotto detto dell’arcivescovo Carandolet, seconda metà XIII sec., prima metà XVIsec., 1680 ca., velluto e tela ricamati.

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l’unione di due parti già singolarmente indi-viduate dalla studiosa in un documento del1606: l’unione del pallium ex brocato riczocon il frontale incarnatum raccamatum perlisavvenne intorno agli anni ’80 del XVII seco-lo, quando Giacomo Palafox Cardona, arci-vescovo di Palermo dal 1677 al 1684, pro-mosse il restauro e l’accorpamento delle dueopere affidandone l’esecuzione alle mona-che del monastero di San Vito22. Si è di fron-te ad “una situazione di riutilizzo e ricompo-sizione di elementi più antichi” e la disani-ma critica effettuata dalla Guastella ha per-messo di “determinare l’originaria pertinen-za e consistenza dei vari nuclei che lo com-pongono”23. Il fregio superiore, censito negliinventari con il nome di “frontale”, ossia

una balza che pendeva dalla mensa dell’alta-re, è la porzione che ha destato l’attenzionedi tanti studiosi. Il ricamo consiste in unintreccio di tralci vegetali nel cui andamen-to orizzontale si intercalano coppie di leoniaffrontati alternate ad altrettante coppieaddossate di mezze figure maschili concopricapo all’orientale. La lunga fascia (317cm) è completata da due scudi campiti dal-l’aquila bicipite (fig. 5), emblema dellaMaramma della Cattedrale. Al centro è inse-rita la figura, in lamina d’oro, di Maria SS.Assunta, titolare della Maggior Chiesapalermitana, circondata da sei angeli e sor-montata dalla figura dell’Eterno (fig. 6).L’articolato andamento del tralcio ricamatocrea degli spazi campiti, con una cadenzaregolare ed equilibrata, da sei aquile inargento dorato sbalzato, granulato e filigra-nato arricchite nelle ali e nella coda da pastevitree; da cinquantuno placche smaltate divario formato; da quattro medaglioni poli-gonali raffiguranti la Vergine, un Angelo,San Matteo e San Bartolomeo24. Riconosciu-ta da molti studiosi la datazione al XIII

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Fig. 5 - Manifattura siciliana, Paliotto detto dell’arcive-scovo Carandolet (part.), seconda metà XIII sec.,prima metà XVI sec., 1680 ca., velluto e tela ricamati.

Fig. 6 - Manifattura siciliana, Paliotto detto dell’arcive-scovo Carandolet (part.), seconda metà XIII sec.,prima metà XVI sec., 1680 ca., velluto e tela ricamati.

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secolo dei medaglioni, delle aquile e delleplacche smaltate, di queste ultime AngeloLipinsky25 affermava la provenienza dallatomba di Costanza da cui i vari oggettisarebbero stati asportati in occasione dell’a-pertura del 149126. Le attente indagini docu-mentarie di Claudia Guastella27, a cui sirimanda per un puntuale approfondimento,hanno invece dimostrato che si tratta dimateriali preesistenti, già utilizzati per orna-re altre sacre vesti probabilmente logoratesinel tempo. A proposito dei medaglioni conle figure della Vergine e dei Santi, di cuil’Accascina scriveva che “l’interesse deglismalti è dato dal fatto che la loro tecnicanon è né quella bizantina ad alveolo forma-to né quella limosina o mosana ad alveoloincavato, ma è la tecnica della pittura subasso rilievo, cioè una tecnica in quegli anniassolutamente moderna, che traduce figurecon l’iconografia tradizionale bizantina”28, èstata avanzata l’ipotesi, del tutto convincen-te, che trattasi di alcuni elementi superstitidi un più ampio ciclo iconografico, proba-bilmente una deesis comprendente le figuredegli apostoli. La produzione di tutti questielementi decorativi è stata riferita al labora-torio del palazzo reale di Palermo, ascriven-dola alla fase tardo sveva.

I sette pannelli che compongono la parteinferiore del paliotto presentano un ricamo inoro filato che ripropone un repertorio attintodai tessuti a grandi rapporti prodotti in Italiatra la fine del XV secolo e l’inizio del succes-sivo: si nota, infatti, la riproduzione di unmodulo a maglia chiusa campito da stilizza-zioni vegetali che sembrano erompere da unelemento sferico. Gran parte del ricamo sidistingue per l’aspetto fortemente aggettantecreato dall’imbottitura sottostante. Guardan-do soltanto alla formulazione stilistica deiricami che ornano i sette pannelli, si propen-de ad un inserimento cronologico entro ilprimo trentennio del XVI secolo, datazionesuggerita dall’analogia che si riscontra con ilmodulo di disegno che caratterizza un telo daparato in lampasso con trame broccate custo-dito al Museo Nazionale del Bargello diFirenze29. Anche se la realizzazione del paliot-to del Tesoro procede dal riuso di manufattipreesistenti, l’esito raggiunto è di generalearmonia e indiscutibile splendore: a ragione,insieme alla corona dell’Imperatrice Costan-za può essere considerato un capolavoroassoluto delle arti decorative.Nella stessa vetrina in cui è collocato ilpaliotto detto Carandolet, è esposta unabalza di tovaglia d’altare (fig. 7) in filet. Da

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Fig. 7 - Manifattura siciliana, Balza di tovaglia d’altare, metà XVI sec., filet.

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datare alla metà del XVI secolo, è da indivi-duare nella “rete di filo per sopra l’avantialtare, o palio30” segnalata dal De Ciocchistra i paramenti pertinenti alla cappella delSS. Crocifisso. Il pregevole ricamo presentaun disegno a sviluppo orizzontale che vedescandite coppie di cornucopie alternata-mente presentate ora in basso, ora in alto,intramezzate da figure zoomorfe addossate.Il manufatto è una rara attestazione di rica-mo in bianco, per buona sorte sopravvissu-to, che testimonia quanto sia antica in Siciliala tecnica della lavorazione ad ago conosciu-ta con il termine Cinquecento31. L’elementodecorativo qui riscontrato rientra in unrepertorio di vasta circolazione nell’interapenisola: ne sono prova i vari esempi, pub-blicati da Marina Carmignani32, custoditi

presso il Poldi Pezzoli di Milano, il MuseoNazionale del Bargello di Firenze e il Museodel Tessuto di Prato che, come il nostro rica-mo, presentano la cornucopia e gli animalifantastici nel modulo di disegno.La pianeta in lampasso lanciato espostanella prima vetrina di destra (fig. 8) è ele-mento di un parato composto da un piviale,una cortina, due pianete, cinque tonacelle,quattro stole, un manipolo e una borsa33.Alcuni esemplari del completo liturgicopotrebbero corrispondere al “piviale dibroccato d’argento fatto dalla coltra diCarlo II, guarnito di gallone d’oro con trebottoni al cappuccio con sua frinza largafoderata di terzanello torchino, e con croc-chetti d’argento ... Due pianete di argentolavorato della coltra di Carlo II con gallonelargo alle colonne, all’intorno guarnite difrinze d’oro fino con manipoli e stole fode-rate di terzanello torchino ... Quattro toni-celle con due manipoli, e due stole fattedalla coltra di Carlo II, guarnite di galloned’oro, foderate di terzanello torchino ... Unadalmatica, ed una tonicella di armisino dellacoltra del Delfino con guarnizione grande inmezzo, e picciola all’estremi, con stola emanipoli due”, sacre vesti segnalate dal DeCiocchis34. Carlo II di Sicilia altri non è chel’Imperatore Carlo V, entrato trionfalmentea Palermo nel 1535 in seguito alla vittoriasui turchi35. La “coltra” a cui fa riferimentoil De Ciocchis potrebbe essere individuatain un tessuto che, come per ogni trionfalisti-ca cerimonia, addobbava la Cattedrale delcapoluogo isolano, oppure nella stoffa concui venne confezionato l’enorme baldacchi-no sotto il quale l’imperatore attraversò ilCassaro36. Se è troppo azzardato ricondurreil nostro tessuto agli addobbi festivi per l’in-gresso di Carlo V si può allora considerare

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Fig. 8 - Manifattura siciliana, Pianeta, prima metà XVIsec., lampasso lanciato.

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l’ipotesi che possa trattarsi della coltre fune-bre con cui si ricoprì il cenotafio allestitonella cattedrale di Palermo il 5 maggio del1559 a commemorazione del defunto. Leesequie del grande imperatore vennero dap-prima celebrate a Catania in quanto il viceréduca di Medinaceli il 21 settembre del 1558,data del trapasso del sovrano, si trovava contutta la corte nella città etnea37. Queste lededuzioni tratte in occasione dell’analisi delparato effettuate nel 1998 in occasione dellapresentazione del prezioso tessuto al conve-gno internazionale organizzato dal Comitatoper la conservazione dei tessili antichi dell’I-COM (International Council of Museum)38.Tuttavia, alla luce di una revisione comples-siva del patrimonio tessile della Cattedrale

di Palermo, il parato che potrebbe esserestato realizzato adoperando una preziosastoffa confezionata per un grande eventolegato a cerimonie imperiali, si suppone chesia quello composto da otto pianete e tretonacelle in lampasso lanciato di colore gial-lo39 (fig. 9). Si è giunti a questa conclusionein quanto il modulo di disegno che contrad-distingue il tessuto è caratterizzato da unmotivo a grandi maglie con, nei punti di tan-genza, la presenza di una corona a fastigiochiuso con crocetta apicale, tipica insegnaaraldica legata alla regalità. Tornando a descrivere la pianeta esposta,ciò che interessa sottolineare è l’inserimen-to, e la consequenziale sopravvivenza, nel-l’impostazione del disegno di arcaici motiviaviformi, rappresentati dai pavoni addossatie dai pappagalli (fig. 10). Altri elementinaturalistici, quali le piccole farfalle e legrandi specie floreali, contribuiscono ad

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Fig. 9 - Manifattura siciliana, Pianeta, 1535 ca., lam-passo lanciato.

Fig. 10 - Manifattura siciliana, Piviale (part.), primametà XVI sec., lampasso lanciato.

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affollare la composizione, facendo propen-dere per un inquadramento cronologicodell’opera entro il primo quarantennio delXVI secolo. Tale datazione è suffragata dallecorrispondenze che si notano con quantoelaborato per altre stoffe della prima metàdel XVI secolo, soprattutto per i tessuti darivestimento. Il lontano riecheggiamento deimotivi zoomorfi, ispirato dai prodotti dellaPersia sasanide e diffuso tra il X e il XIVsecolo40, particolarmente attestato nelle stof-fe del regio ergasterion di Palermo di cui siricorda il frammento di Hannover41, è unanotevole attestazione della duratura soprav-vivenza di teorie ornamentali proprie dellatradizione decorativa locale, inserita però inun contesto più aggiornato. Il parato, di cui

si suppone la realizzazione palermitana, perle soluzioni disegnative può essere accostatoal broccatello della chiesa di Santa MariaCorteorlandini di Lucca del XVI secolo incui, all’interno di una impostazione cinque-centesca “si reintroduce il motivo arcaico(tardotrecentesco) degli animali che si fron-teggiano”42. Infine, a conferma dell’inqua-dramento cronologico alla prima metà delCinquecento del nostro paramento, sisegnala la presenza di un’elegante fibbiaargentea posta nel piviale, caratterizzata daun mascherone manierista e punzonata conil marchio della maestranza degli argentieridi Palermo con l’aquila a volo basso. Nella vetrina posta in fondo alla sala è espo-sto un altro interessante paramento sacro. Èuna pianeta in gros de Tours ricamata conperline di corallo (fig. 11). Nel censimentoeffettuato dal De Ciocchis risultano inventa-riate una “pianeta di lama bianca ricamatad’oro, e coralli, foderata di terzanello cremi-si con sopracalice, borza, e palla, stola, emanipolo, dell’istessa lama e ricamo” eun’“Altra pianeta di lama a color di perlaricamata d’oro e d’argento con coralli, fode-rata di terzanello torchino, con stola, mani-polo, sopracalice, e palla uguali”. Entrambele pianete43, già esposte nel precedente alle-stimento museale del tesoro e ancora oggimostrate, presentano un’evidente analogiacompositiva distinguendosi solo per l’effettoaggettante che ha il ricamo della sacra veste,posta in una vetrina dell’attuale sacrestia(vedi fig. 17), dovuto ad un’imbottitura incartone del ricamo. Ambedue sono caratte-rizzate dal medesimo modulo ornamentale,ricamato con oro e argento filati e perline dicorallo. L’ornato eseguito ad ago si sviluppasu tutta la superficie del parato con un anda-mento verticale e speculare estendendosi

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Fig. 11 - Manifattura siciliana, Pianeta, primi decenniXVIII sec., gros de Tours ricamato.

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nelle tre colonne segnate dal finto gallone,anch’esso ricamato. L’andamento a giralirincorrenti del decoro richiama soluzionicompositive seicentesche, rinnovate dall’in-serimento di elementi semi vegetali pocorealistici, vicini ai temi decorativi di primoSettecento, veicolati dalle stoffe definitebizarre. Pertanto alla luce di queste conside-razioni si è propensi a datare le pianete deltesoro della Cattedrale ai primi decenni delXVIII secolo: a conferma di questo inqua-dramento cronologico si veda l’analogia conil decoro che arricchisce il parato custoditonella Chiesa Madre di Enna ricamato, tra il1704 e il 1724, da Anna Bellotti Grimaldi,baronessa di Sant’Antonino44. Simile orga-nizzazione dell’ornato si nota anche nellapianeta della Chiesa Madre di Erice45, ulte-riore esempio di sacra veste datata agli inizidel XVIII secolo che vede inserite nell’orna-to perline di prezioso materiale marino.Nell’ambiente successivo, un tempo chia-mato Sacrestia Nuova, dove gli armadi otto-centeschi sono stati adattati a contenere,

rendendole visibili, numerose e splendidesuppellettili ecclesiastiche, l’unico manufat-to tessile esposto è un prezioso paliotto46

(fig. 12). Censito nell’inventario del DeCiocchis come pertinente agli arredi dellacappella del Crocifisso è descritto come“un palio ricamato con coralli di ricamo, efrinza”47. Realizzato in oro filato, applicatocon la tecnica del punto steso, in esso l’or-nato campisce l’intera superficie del tessutodi fondo. Il modulo di disegno origina daun grande fiocco centrale e si sviluppa inorizzontale con plastici tralci floreali impre-ziositi da perline di corallo (fig. 13). Unasottile fascia, nella parte medio alta, crea ilmotivo del frontale, qui proposto con un’o-riginale soluzione disegnativa che vede svi-luppare l’ornato come se fosse un tralciorampicante, in modo da non segnare unanetta cesura tra la parte alta e la sottostante.Su questo ante altare si nota la tecnica dellacucitura di grani di corallo, ampiamentediffusa nel trapanese e nel messinese, concui sono stati eseguiti splendidi esemplari.

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Fig. 12 - Manifattura siciliana, Paliotto, prima metà XVII sec., tela ricamata.

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L’uso del corallo quale ornamento di paratie arredi liturgici non è soltanto dettato dal-l’orientamento del gusto, piuttosto dallasimbologia attribuita al prezioso elementomarino che la cultura tardo antica interpre-tò, secondo principi cristologici, quale pre-figurazione del Sangue del Redentore48.Ancora, attraverso i trattati di gemmologiadel Seicento, il corallo si carica di valenzetaumaturgiche e apotropaiche, consideratala capacità di proteggere dalle ferite e dalleemorragie e di reprimere la lussuria e allon-tanare gli spettri demoniaci49. Inoltre laRuggieri Tricoli, nei parati liturgici, nota unaccostamento costante del corallo assiemeall’oro, unione tipica di una certa sensibili-tà barocca, ma anche in questo caso rispon-dente a precise simbologie. “Per la filosofiadei colori, così come nel Seicento essa è for-mulata, l’oro ed il colore appartengono adue distinte sfere dell’essere: l’uno – ploti-nianamente – pura luce incontaminata,monda da ogni riflesso, l’altro soltanto evo-cazione della luce... La relazione dialetticasi traduce, simbolicamente, in un oro trop-po celeste per essere visto, in un coloretroppo terrestre per essere usato da solo

nella iconografia a carattere sacro: la sintesidi entrambi è una rappresentazione, nelSeicento facilmente intelligibile, della tra-smutazione radicale connessa alla funzioneliturgica, dall’opaco al luminoso”50.L’ornato del paliotto del tesoro della Catte-drale di Palermo per tridimensionalità e ric-chezza dei filati ricorda il motivo floreale didue fasce ricamate provenienti da PalazzoButera e oggi in Collezione Privata di Mila-no51. Inoltre l’impostazione del disegnorisulta analoga a quella del paliotto dellaCappella Palatina di Castelbuono dedicata aSant’Anna52 anch’esso con tralci ondulati efioriti originati da un fiocco centrale.La rassegna di manufatti tessili nel nuovoallestimento espositivo del tesoro continuanell’antititulo, vano recentemente sgombra-to da superfetazioni che ne occultavano l’i-dentità architettonica, corrispondenteall’abside della navata destra della basilicanormanna. In questo ambiente è possibileammirare un altro paliotto53 (fig. 14) che,secondo quanto riportato da Giovanni DeCiocchis, faceva parte degli arredi della cap-pella di Santa Rosalia. Il Regio Visitatorecosì descrive l’opera: “palio di tela d’argen-to ondiato a color di perla, ricamato d’oronel mezzo di ricamo largo, ed all’intorno, edalle costure di ricamo stretto, foderato ditela bianca, con coverta di tela bianca”54.Realizzato in taffetas laminato e ricamatocon fili di seta policromi e granati, diviso indue zone da una fascia mediana che ricordai frontali delle tovaglie d’altare, il paliotto èascrivibile tra quelle opere d’arte decorativasiciliane in cui concorrono armoniosamente,e con proporzionata partecipazione, mani-fattura serica e creatività orafa confluendo,insieme, in un’elegante espressione barocca.La realizzazione del paliotto del tesoro è da

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Fig. 13 - Manifattura siciliana, Paliotto (part.), primametà XVII sec., tela ricamata.

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riferire al tempo del vescovato di Giannetti-no Doria, anni segnati dalla triste epidemiapestilenziale che colpì la città, ma anche dalmiracoloso ritrovamento delle reliquie disanta Rosalia, evento salutato con festosamagnificenza e solenne cerimonia che cul-minò nell’organizzazione del primo Festi-no55, espressione scenografica del clima“barocco” per i cui fasti erano chiamate aconcorrere tutte le arti. Ecco, dunque, chenell’opera del tesoro della Cattedrale si puòcogliere quella tradizione polimaterica dellearti decorative siciliane che non individuagrande differenza tra un’opera di oreficeriae un manufatto tessile. Pertanto il paliottorientra pienamente in “quella sorta di recrea-tio espansa che coinvolge tutta l’arte baroc-ca, non ignorando l’arte del ricamo, trasfor-mandola spesso in un raffinato bricolage: ipaliotti vengono volentieri realizzati con tec-niche miste che immaginano l’applicazionedi ogni sorta di materiali eterogenei”56. Aconferma dell’influenza esercitata dai coevimanufatti di oreficeria si notano stringentiaffinità tra le corolle (fig. 15) che campisco-

no la fascia apicale dell’opera e il pendentein diamanti e smalti datato alla metà delXVII secolo proveniente dal Tesoro del San-tuario dell’Annunziata di Trapani e oggi alMuseo Pepoli57. Inoltre, il motivo dei tralciondulati, che crea un sistema di maglie irre-golari, rimanda a soluzioni disegnative tardocinquecentesche, qui però inspessitesi ecariche di gemme, ricordando, soprattuttonella fascia alta, il motivo a candelabbra asviluppo orizzontale riscontrato nel fram-mentario ricamo superstite attribuito all’ori-ginario paliotto di Nibilio Gagini, datato alprimo decennio del XVII secolo, dell’Abba-zia benedettina di San Martino delle Scale58. Proseguendo con la descrizione dei manu-fatti tessili del Tesoro della Cattedrale diPalermo, in un’altra vetrina dell’antititulo sipuò ammirare lo splendido piviale detto diSanta Ninfa59 (fig. 16). Realizzato in rasoricamato con fili di seta policromi, è caratte-rizzato da un fastoso disegno dalla resanaturalistica che si sviluppa, su tutta lasuperficie del manto, con un arioso intrec-cio di girali vegetali e tralci sinuosi campiti

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Fig. 14 - Manifattura siciliana, Paliotto, metà XVII sec., taffetas laminato à liage rèpris ricamato.

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da diverse varietà floreali tra cui si ricono-scono le rose, i tulipani, i gladioli, i garofani,le campanule, e fiori di campo. Inoltre, tra itanti elementi botanici, si scorgono anche ipavoncelli, allegoriche presenze a cui la sim-bologia cristiana attribuisce un significatoche rimanda alla resurrezione e all’incorrut-tibilità della carne, metaforicamente legateal continuo rinnovamento del piumaggio60.La confezione dello splendido piviale si farisalire a una sontuosa cerimonia officiata il6 ottobre del 1658 in occasione dell’arrivo aPalermo delle reliquie di San Mamiliano.Antonino Mongitore racconta che “ricevet-te Palermo con festiva magnificenza, conpompe di sontuosi apparati ed archi trionfa-li il capo del suo santo Arcivescovo Mami-

liano Martire, impetrato da Alessandro VIIsommo pontefice ad istanza dell’Arcivesco-vo di Palermo D. Pietro Martinez Rubio eda esso qui trasferito dalla chiesa di SantaMaria in Monticelli di Roma”61. Venne cele-brata una grande processione che si svilup-pò attraverso la città accompagnando le reli-quie del santo vescovo dalla chiesa di SanNicolò alla Kalsa, dove sostarono le sacrespoglie dopo l’arrivo del 22 settembre, sinoalla cattedrale attraversando il Cassaro epassando sotto Porta Felice che “tutta difuori fu adornata di carta d’argento e dicolor bronzino, con intermezzi d’imprese, eritratti della vita, e martirio di san Mamilia-no”62. Le cronache coeve all’avvenimentotramandano dettagliatamente il percorso egli addobbi effimeri allestiti, lungo il tragit-to, dai vari ordini religiosi, scenografie pre-disposte secondo una prassi già in uso daitempi del primo Festino tributato a santaRosalia63. Dalla lettura di tali ragguagli, col-pisce la ricchezza dell’apparato del duomodove “erano le dette ali della detta nave etsue cappelle apparate di velluto cremisinocon freggi ricamati ricchissimi di sopra lequali vi erano tabelle incartocciate convaghe, e belle imprese, ed eloggi in honoredel Santo glorioso; erano li terzi delle colon-ne intagliati d’argento e tutto l’intagliod’oro, et sopra l’altezza di dette colonne viera pure intaglio d’argento sotto colore cre-misino”64. E tra tante sontuose parature eccoprocedere l’Arcivescovo Pietro Martinez yRubio ammantato nel sontuoso piviale rossosul cui cappuccio è ricamata una scena cheritrae san Mamiliano nell’atto di battezzaresanta Ninfa assistita dai santi Procolo,Eustozio e Golbodeo, tutti santi martiripalermitani le cui reliquie furono traslate daRoma tra il 1593, anno dell’arrivo del capo

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Fig. 15 - Manifattura siciliana, Paliotto (part.), metàXVII sec., taffetas laminato à liage rèpris ricamato.

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Fig. 16 - Manifattura siciliana, Piviale, 1658 ca., raso ricamato.

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di santa Ninfa, e il 1658. Il paramentoindossato in quella particolare solennità èun’importante opera serica che documentala qualità dei ricami siciliani del XVII seco-lo. La pienezza dell’ornato, la presenza dimotivi fitomorfi, floreali e aviformi confer-mano l’esistenza di un repertorio decorativodalla resa naturalistica riscontrabile anche inaltri parati isolani come, per esempio, nellapianeta dell’abbazia benedettina di SanMartino delle Scale65, anch’esso con pavon-celli variopinti inseriti tra sinuosi tralci. Nonè quindi casuale ricamare sui parati sacriquesto elegante volatile che entra a far partedi un’allegorica semiotica il cui senso,

recondito per i fedeli, spesso non era nean-che compreso dagli stessi prelati. Il nuovo percorso espositivo del Tesorodella Cattedrale si conclude in un vano, untempo sacrestia dei beneficiali, che ha ospi-tato il precedente allestimento dalla metàdel XX secolo sino al 200666. In questoambiente, dove attualmente trova spazio lasacrestia, sono esposte, oltre alle opere direcente acquisizione, tre pianete di partico-lare interesse. Una è la sacra veste ricamatacon perline di corallo (fig. 17) analogaall’altra esposta nella prima sala67. Un’altra(fig. 18) è quella registrata nell’inventariodel De Ciocchis, descritta come: “Una pia-neta ricamata d’oro di passato sopra rasocremisino colle armi di Monsignor Fra. D.Martino foderata con sua stola e manipolodi terzanello cremisino”68. È un’opera sericadi notevole interesse “sia per l’eleganzadella soluzione ornamentale sia per la qua-lità tecnica del ricamo. Questo, realizzatosolo con l’impiego di due varietà di filatimetallici, interpreta forme marcatamentestilizzate e dalla resa grafica, riuscendo conefficacia a raggiungere effetti di forte impat-to decorativo, grazie anche al deciso contra-sto cromatico stabilito tra il fondo, in luci-do raso rosso, e i bagliori creati dai preziosimateriali del ricamo in primo piano, a cui siaggiunge la plasticità delle profilature incordonetto”69. Sulla pianeta si riscontranodue differenti moduli d’ornato: uno centra-le, fitto e minuto, che copre l’intera colon-na; l’altro creato da motivi a bouquet stiliz-zati, più ampi rispetto al decoro del centro,che ricoprono l’intera superficie laterale. Lastrutturazione di quest’ultimo ornato èripresa dall’organizzazione modulare di unaparticolare tipologia di decoro tessile defi-nita a motivo “isolato”, soluzione derivata

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Fig. 17 - Manifattura siciliana, Pianeta, primi decenniXVIII sec., gros de Tours ricamato.

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dalla precedente tipologia disegnativa “amazze”, che si attestò largamente, nella pro-duzione tessile, a partire dal terzo decenniodel Seicento70. Essa è caratterizzata dallapresenza di poche varianti decorative: infio-rescenze stilizzate, semplici corolle o bou-quet floreali resi con linearismo, dispostisecondo un’ordinata impaginazione a scac-chiera. Questo tipo di organizzazione dise-gnativa influenzò anche i repertori deidecori realizzati ad ago, ed il ricamo dellapianeta del tesoro della Cattedrale ne èun’evidente attestazione. Sull’opera si rileval’insegna araldica di Mons. Martino Leon etCardines, arcivescovo di Palermo dal 1650al 1655, anni a cui si fa risalire la confezio-ne della sacra veste. Il repertorio decorativo

che caratterizza il nostro parato lo si ritrovacon un’impostazione similare in un addob-bo da statua della Chiesa Madre di Calasci-betta71.Il terzo parato esposto nell’attuale sacrestiaè un’inedita pianeta in raso (fig. 19), conapplicazioni in trina argentata ricamata inargento filato e in ciniglia policroma, su cuisi rileva lo stemma di Mons. DomenicoRosso e Colonna, arcivescovo di Palermodal 1736 al 1747. La singolare veste presen-ta un’originale impostazione di disegno chenasce dalla tripartizione del fondo, compiu-ta dai finti galloni operati ad ago che, oltre adelimitare la colonna centrale, segnano lezone perimetrali. Le decorazioni intercalateai galloni sono ricamate su una trina a rete di

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Fig. 18 - Manifattura siciliana, Pianeta, 1650-1655,raso ricamato.

Fig. 19 - Manifattura siciliana, Pianeta, 1736-1747,raso ricamato con applicazioni in trina.

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fondo e sono costituite, nella colonna dicentro, da elementi stilizzati a sviluppo con-tinuo, che sembrano dar vita a delle cartelle,a cui si alternano motivi floreali; nelle zonelaterali, invece, l’ornato si sviluppa con unandamento ondulato ed è caratterizzato datralci floreali dalle corolle e dagli steli messiin evidenza dal filato di ciniglia. L’opera, chespicca per originalità tecnica e compositiva,non essendo segnalata nell’inventario stilatonel 1743 dal Regio Visitatore GiovanniAngelo De Chiocchis, va datata tra il 1744 eil 1747, anno di morte dell’arcivescovoRosso. Tra i parati già censiti in Sicilia sinota un’analoga impostazione dei tralciondulati nella pianeta in raso ricamatocustodita a Mazzarino, sacra veste datataalla prima metà del XVIII secolo72. Quanto illustrato sinora ed esposto nelnuovo allestimento museografico del Teso-ro è solo una parte della collezione di para-menti sacri della Cattedrale, selezione chenon rende contezza del cospicuo numero divesti liturgiche ancora oggi custodite negliarmadi di sacrestia. Si auspica, quindi, che

possano essere recuperati altri spazi, comegli ambienti del Prothesis dietro la cappelladel Santissimo, per poter esporre altre sin-golari testimonianze tessili. Potrebbero cosìtrovare collocazione, per un’esposizionepermanente, due piviali73, uno rosso, l’altroviola in taffetas ricamato appartenuti all’ar-civescovo Martino De Leon et Cardines,che prese possesso della diocesi palermita-na il primo settembre del 1650 (figg. 20-21).I due sacri manti presentano un fittissimodecoro, realizzato in filo d’oro con la tecni-ca del punto steso, disposto seguendo unmodulo disegnativo che sembra costituireuna scacchiera di maglie a losanghe geome-trizzanti alternate a garofani. Le due operesono state prodotte da maestranze siciliane,e questa certezza deriva dalla strettissimaaffinità che si nota con il ricamo di una pia-neta di Delia, in provincia di Caltanissetta,datata al 1658 e attribuita a maestranze

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Fig. 20 - Manifattura siciliana, Coppia di piviali, 1650-1655, taffetas ricamato.

Fig. 21 - Manifattura siciliana, Coppia di piviali (part.),1650-1655, taffetas ricamato.

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Fig. 22 - Manifattura italiana o spagnola, Piviale, 1656-1667 ca., raso broccato a liage rèpris.

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locali74. Questo motivo decorativo si riscon-tra anche in Spagna: un “repostero”75 in vel-luto rosso operato del convento di SantoDomingo el antiguo di Toledo, datato all’ul-timo trentennio del XVI secolo, presentaun ornato con compartimenti polilobati,simili alle nostre maglie ricamate, alternateora a croci di Santiago, a calici, a palmecoronate e a motivi floreali76. È dunque pro-babile che le maestranze siciliane si sianoispirate a tessuti operati di provenienza ibe-rica, magari forniti dallo stesso committen-te77. Si segnala, inoltre, che un’impaginazio-ne del ricamo simile a quella dei nostripiviali si riscontra in una casula in rasorosso datata al 1650 custodita presso ilMuseo dei Tessuti e delle Arti Decorative diLione78.Altro singolare parato, già esposto nel pre-cedente allestimento, che merita una pub-blica fruizione è il piviale in raso broccatoa liage rèpris (fig. 22) confezionato conun’unica pezza di tessuto79. Censito nell’in-ventario del De Ciocchis come un “pivialedi tela d’oro murato, tessuto tutto un pezzocon sua stola, foderato di terzanello mura-to, e crocchi di rame argentati”80, sino adoggi l’opera, per tecnica sartoriale, risultaessere, in Sicilia, l’unica attestazione di talgenere. Infatti nell’Isola non sono docu-mentate manifatture attrezzate con telaicosì grandi da poter supportare una strut-tura tessile di tale ampiezza, né sono staticensiti esemplari simili al nostro. Quandol’opera venne studiata in occasione dellasua esposizione alla mostra Splendori diSicilia. Arti decorative dal Rinascimento alBarocco81 si volle avanzare l’ipotesi chefosse un esemplare della rinomata “fabbri-ca” di Toledo della famiglia Molerospecializzata in questo tipo di produzioni82,

sebbene quest’opificio cominciasse a pro-durre opere seriche dal 1714. E alla luce diqueste contingenze cronologiche si pensòche il paramento fosse giunto in città tra-mite l’arcivescovo Giuseppe Gasch, vicarioe visitatore generale in Spagna, originariodi Valenza, a capo della diocesi paler-mitana dal 1703 al 172983. Contestualmen-te, però, era stato notato che il modulodisegnativo degli ornati del piviale riman-dava a soluzioni ornamentali diffuse in Ita-lia nella seconda metà del Seicento, e perquanto le manifatture spagnole fosseroattardate nel recepire e veicolare le novitàstilistiche nel campo delle decorazioni tes-sili, non si ragionava con convinzione sulladatazione al XVIII secolo del piviale. Oggi,un attento esame dei moduli di disegno, hafatto emergere che il decoro posto all’inter-no del finto cappuccio, raffigurante un’in-segna araldica con una corona gigliata cheinclude tre lilium aperti a palmizio84, altronon è che la stilizzazione del cuore del bla-sone dell’Arcivescovo Pietro Martinez yRubio (1656-1667) che riproduce l’emble-ma dell’Ordine dei Servi di Maria, a cuil’alto prelato potrebbe essere stato affilia-to85. Mons. Martinez nacque a Teruel capo-luogo dell’omonima provincia in Aragona;fu vicario generale a Xativa, vicario genera-le dell’arcivescovo di Valencia e visitatoredel Real Patrimonio, e quindi Viceré e Pre-sidente del Regno di Sardegna86.Chiarita dunque la cronologia del parato,bisogna valutarne l’ambito manifatturiero.E’ risaputo che questo tipo di produzione siè affermata in Spagna nel XVIII secolo, maebbe inizio sul finire del secolo precedentegrazie all’attività di un importante maestrotessitore residente a Toledo, Alfonso Severi-no Medrano, autore, tra l’altro, del parato

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di Mateo Zapata datato 1730 e conservatopresso la chiesa parrocchiale di San Nicoladi Bari di Murcia87. Sembra che la tecnicadella confezione sartoriale dei paramentisacri ad unica pezza, attraverso il montag-gio di speciali telai, sia stata importata nellapenisola iberica da tessitori genovesi e fio-rentini che, sin dal ’400, specializzati nellafabbricazioni di tessuti con disegni a grandirapporti, iniziarono anche a sperimentare i“grandi formati” mettendo in opera dei

telai la cui portata fosse in grado di suppor-tare la produzione di stoffe oltre il metro dialtezza. Proprio a Toledo nella Catedral Pri-mada si conserva un paliotto in broccatellobouclé in oro filato datato alla fine del XVsecolo e realizzato con un’unica pezza ditessuto dal modulo di disegno che richiamale coeve produzioni a grandi maglie diambito toscano88. La presenza, dunque, ditessitori italiani in Spagna oltre a permette-re la circolazione dei repertori di ornatopropri dei principali centri manifatturieridella nostra penisola, ha permesso anche lasperimentazione di nuove metodologie pro-duttive, di cui il piviale del tesoro della cat-tedrale di Palermo potrebbe essere unadelle prime testimonianze. Tuttavia, consi-derati gli alti incarichi assolti da Mons.Martinez, il parato potrebbe essere statoacquisito in Sardegna dove il nostro prelatosi recò prima di assumere l’incarico digovernare la diocesi palermitana e dove èprobabile che ci fossero manifatture sericheguidate da tessitori genovesi.Altra opera tessile che potrebbe essereoggetto di valorizzazione in un futuroampliamento espositivo del Tesoro dellaCattedrale è il prezioso manto da statua89

(fig. 23) in velluto ricamato un tempo postosul capo della Madonna Libera Inferni. Ilsimulacro mariano, scolpito nel 1469 daFrancesco Laurana, veniva allestito in parti-colari solennità arricchendo la fastosa cap-pella in marmi mischi, venduta ai padri cap-puccini del Santuario di Gibilmanna nel1785, progettata da Paolo Amato e realizza-ta da Baldassarre Pampillonia nel 1684 sucommissione dell’Arcivescovo GiacomoPalafox90. Stampe settecentesche che ripro-ducono l’intera macchina d’altare, comequella contenuta all’interno del manoscritto

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Fig. 23 - Manifattura siciliana, Manto da statua, metàXVII sec., velluto unito tagliato a un corpo ricamato.

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del canonico Antonino Mongitore sullaCattedrale di Palermo91, mostrano il simula-cro completamente ammantato con unaveste che, fermata dalla corona, scendeverso il basso sbuffando all’altezza delleginocchia chiudendosi ai piedi con unandamento conico, seguendo un taglio sar-toriale che non corrisponde a quello delnostro manto. L’opera serica, ancora oggicustodita in Cattedrale di cui si propone l’e-sposizione, venne probabilmente eseguitaprima dell’allestimento della barocca mac-china marmorea. Si presenta di forma ret-tangolare ed il ricamo occupa soltanto dueporzioni triangolari. La presenza di cordel-le interne fa ipotizzare un’esposizione “acaduta” del manto che, scendendo dal capodella Vergine, incorniciava l’intero corpocreando una ideale piramide, adempiendocosì ad una doppia funzione: non solo dicopertura, ma anche di scenografico appa-rato. E proprio quest’ultimo intento emergedall’ornato ricamato che spicca per l’aspet-to fortemente aggettante donato dall’im-bottitura che ricolma di possente plastici-smo l’esuberante andamento dei tralciondulati e fioriti tra cui compaiono boccidalle carnose corolle ancora chiuse. Il

modulo del ricamo sintetizza, quindi, un’af-follata composizione che sembra riprenderei motivi vegetali spesso presenti sulle colon-ne tortili delle strutture marmoree baroc-che. Simile organizzazione disegnativa siriscontra nella balza di tovaglia d’altare diMussomeli datata alla seconda metà delXVII secolo92.Dalla cospicua collezione di parati dellacattedrale di Palermo, per un futuro incre-mento del percorso espositivo, potrebberoanche essere selezionate altre sacre vesti:non soltanto quelle appartenute ai diversiarcivescovi che negli anni si sono succedu-ti, ma anche quelle fatte realizzare su com-missione della Maramma, ossia dalla “Fab-briceria” ecclesiastica che un tempo sovrin-tendeva alla costruzione e manutenzionedelle opere della grande chiesa93. Simbolodi tale Ente era un’aquila bicipite, figura-zione zoomorfa che ritroviamo riprodottasu parecchie opere del duomo: per citarnequalcuna si vedano la decorazione plasticadel portico meridionale e i portali marmo-rei dell’ex sacrestia dei Canonici. Ritrovia-mo il volatile a due teste sul paliotto dettodella Pentecoste, della fine del XVI inizidel XVII secolo, in lampasso lanciato rica-

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Fig. 24 - Manifattura siciliana, Paliotto, fine XVI inizi XVII sec., lampasso lanciato ricamato ad ago e ad appli-qué con inserti in velluto.

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mato ad ago e ad appliquè con inserti invelluto e arricchito da placche di ramedipinte con scene della vita di Cristo94 (fig.24). Nell’opera, citata nell’inventario delDe Ciocchis come “un palio di broccatogiallo ricamato di velluto piano cremisinodi strataglio con una istoria nel mezzo,dipinta sopra rami dorati, della venutadello Spirito Santo con frigio, con altre cin-que istorie dipinte sopra piancia di ramedorata con sua frinza larga, d’oro in mezzo,e foderata di tela rossa”95, l’ornato centraleè racchiuso da una cornice trilatera conangoli campiti da tondi dipinti. L’emblemaaraldico della Maramma diventa modulodecorativo disposto a scacchiera. “L’opera,nata per decorare l’altare maggiore della

Cattedrale di Palermo, è un manufatto disingolare pregio per ricchezza di materialie tecnica esecutiva. Esso costituisce uninteressante esempio dell’intenso e vivacerapporto tra i vari settori delle arti applica-te, che fin dagli inizi del Seicento caratte-rizzò la cultura decorativa siciliana”96.Altra opera serica dovuta alla committenzadella Maramma, di cui si auspica una futu-ra esposizione, è il parato in terzo sontuosa-mente ricamato con fili di seta policromi efili d’oro e d’argento con l’aquila bicipiteinserita nella parte bassa del verso delle trevesti97 (figg. 25-26). Il parato censito nellaRegia Visita è descritto come composto diuna “pianeta, due dalmatiche, ed una tona-cella di raso bianco di Firenze, ricamata a

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Fig. 25 - Manifattura palermitana, Pianeta, 1724, rasoricamato.

Fig. 26 - Manifattura palermitana, Pianeta (part.),1724, raso ricamato.

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fiori di seta, oro, ed argento, con tre stole, emanipoli, borsa, e palla dello stesso lavorofatte dalla Maramma, coll’aquila d’oro adue teste, fatte dal Marammiere CanonicoD. Giovanni Montoya colla spesa di onzecentocinquanta, nell’anno 1724”98. Il datodocumentario permette dunque di conosce-re con certezza l’anno di esecuzione dell’o-pera tessile fornendo così un preciso ambi-to cronologico a cui riferirsi per poter data-re altri parati ricamati dalle analoghe impo-stazioni disegnative o con simili soluzionicoloristiche e formali. Chiara la committen-za ecclesiastica del parato, esplicitata anchedalla presenza di simbolici elementi decora-tivi quali i grappoli d’uva, i garofani e i tuli-pani, allegorica menzione del Sangue diCristo, della sua Crocifissione e della Gra-zia salvifica. Notevole lo squillante effettopolicromo dei filati da cui spicca un solarecromatismo accentuato dagli inserti aureitipico di molti ricami siciliani. Peculiaritàche emerge in una tonacella (fig. 27),anch’essa patrimonio della Cattedrale, ingros de Tours ricamato datata al primo ven-

tennio del XVIII secolo99. La fastosa com-posizione che caratterizza la veste diacona-le è eseguita con raffinata maestria e docu-menta l’esistenza di un cartone preparato-rio che, con piccole varianti decorative,veniva applicato a paramenti liturgici com-missionati da diversi acquirenti. Si riscon-tra, infatti, un’evidente analogia con loschema compositivo delle due tonacelleprovenienti dal Collegio Massimo deiGesuiti di Palermo e oggi alla GalleriaRegionale della Sicilia di Palazzo Abatel-lis100. Anche se i parati dell’Abatellis sonoarricchiti da ricami in fili d’oro, mentre nelnostro è l’argento a rendere più “lunare”l’efficace senso luministico, si nota la stessatrattazione del dato naturalistico che risultaessere identico nella parte centrale dove,accanto alla grande infiorescenza circonda-ta da minuti fiorellini, compaiono gruppi ditre melegrane, il tutto entro una triplicecornice semi cuspidata. Medesimo anda-mento presentano i tralci stilizzati, chedanno vita a volute di raccordo, e gli ele-menti astratti, ancora una volta attinti daicoevi tessuti bizarre, palesi nelle carnosefoglie ricurve perimetrate da rocailles chedonano il caratteristico effetto piumato101.Alla medesima temperie culturale, contrad-distinta da estrose soluzioni decorative,rimanda un’altra pianeta (fig. 28) della Cat-tedrale di Palermo, ancora oggi usata per lesacre funzioni102. La sacra veste è arricchitada un tipico esempio di ricamo sicilianoche, anche in questo caso, prende in presti-to i moduli disegnativi dei tessuti bizarre.Le foglie piumate, le infiorescenze fantasti-che, i decori astratti a mò di fungo, altronon sono che ornati propri della produzio-ne tessile degli anni ’20 del Settecento, quiperò riproposti con raffinata maestria attra-

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Fig. 27 - Manifattura palermitana, Tonacella, primoventennio XVIII sec., gros de Tours ricamato.

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verso la tecnica del ricamo. La fantasiosacomposizione è ulteriormente arricchitadall’esclusivo uso di filati metallici il cuicontrasto dona un forte effetto luministico.La produzione di ricami siciliani dai decoriattinti dal repertorio tessile è abbastanzadocumentata. Giuseppe Cantelli, ad esem-pio, ha notato in una pianeta di manifatturasiciliana custodita al Metropolitan Museumdi New York l’esistenza di una composizio-ne decorativa che “mescola con fantasia ele-menti floreali e vegetali naturalistici con altriseminaturalistici di pura fantasia ma chesanno convivere in quell’armonia del bizzar-ro che caratterizza l’arte tessile” degli inizidel Settecento103. Tuttavia ciò che rendeesclusiva la pianeta della Cattedrale è la

totale riproposizione del modulo disegnati-vo bizarre che si estende su tutta l’ampiezza,senza intercedere alla presenza di composi-zioni naturalistiche spesso presenti nelledeclinazioni siciliane di questa specificaproduzione ad ago. Tra le opere seriche cen-site nell’Isola che presentano caratteristichedecorative simili al nostro parato si ricorda-no il piviale e la pianeta dell’arcivescovoPietro Galletti, a capo della diocesi di Cata-nia dal 1729 al 1757, esposti al Museo Dio-cesano della città etnea104. Concludiamo questa rassegna di paramentisacri attualmente esposti al Tesoro, e diquelli che in futuro potranno essere oggettodi valorizzazione, con la convinzione cheessi sono indubitabili testimonianze artisti-che che palesano circa otto secoli di storiadelle arti decorative. Nondimeno sono,soprattutto, la conferma della cura, dell’at-tenzione e della sollecitudine che nel temposi è avuta per celebrare il Mistero, cioè ilmistero nascosto da secoli e da generazioni,ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Diovolle far conoscere la gloriosa ricchezza diquesto mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristoin voi, speranza della gloria (Col 1,24).

NOTE

1 A. G. Martimort, La Chiesa in preghiera, I, Brescia1987, pp. 217-218. 2 La ricognizione, la quantificazione, la verifica dellostato di conservazione e l’inventariazione di tutti iparamenti sacri della Cattedrale di Palermo fu curatada chi scrive insieme a Roberta Civiletto nel 1998, sol-lecitata da don Salvatore Napoleone alla cui memoriadedico questo studio.3 Si vedano le schede nn. 4, 6, 7, 14, 20, 29, 35, 37, 38,42, 44, 46, 54, 63, 75, 82, 83, redatte da R. Civiletto eM. Vitella in Splendori di Sicilia. Arti decorative dalRinascimento al Barocco, catalogo della Mostra (Paler-

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Fig. 28 - Manifattura palermitana, Pianeta, primo ven-tennio XVIII sec., gros de Tours ricamato (ricamoriportato).

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mo, Real Albergo dei Poveri, 10 dicembre 2000 – 30aprile 2001) a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001,pp. 546-613.4 Cfr. I. Bruno, 1781-1801: dall’apertura dei sarcofagiimperiali alla loro ricollocazione nella Cattedrale rinno-vata. Cronache e cronisti, in Il sarcofago dell’Imperato-re. Studi, ricerche e indagini sulla tomba di Federico IInella Cattedrale di Palermo. 1994-1999, Palermo 2002,pp. 173-211; Eadem, III.2, VI.1, VI.8, in Nobiles Offi-cinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Realedi Palermo, catalogo della Mostra (Palermo, Palazzodei Normanni, 17 dicembre 2003 – 10 marzo 2004) acura di M. Andaloro, Catania 2006, pp. 168-169, 356-359, 386-389.5 Cfr. H. Granger-Taylor, VI.4, in Nobiles Officinae…,2006, pp. 367-368.6 Cfr. R. Varoli Piazza, VI.3, in Nobiles Officinae…,2006, pp. 364-365.7 Cfr. D. Devoti, L’arte del tessuto in Europa, Milano1993, p. 13.8 Eadem, p. 14.9 C. Guastella, VI.5, in Nobiles Officinae…, 2006, p.371.10 Cfr. R. Varoli Piazza, VI.6, in Nobiles Officinae…,2006, pp. 378-379, che cita R. Gregorio, Relazione deiCadaveri Regali osservati nel giugno e luglio 1781 primadi trasferirsi i loro tumoli per la riedificazione della Mag-gior Chiesa di Palermo, Ms. del XVIII secolo presso laBiblioteca comunale di Palermo ai segni QqF63.11 R. Varoli Piazza, VI.6, in Nobiles Officinae…, 2006,p. 379.12 Cfr. C. Guastella, Per l’edizione critica della corona diCostanza, in La Cattedrale di Palermo. Studi per l’otta-vo centenario dalla fondazione, a cura di L. Urbani,Palermo 1993, pp. 265 – 285.13 Cfr. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia, Palermo1974, p. 38, fig. 17.14 Dalle analisi condotte prima dell’intervento direstauro effettuato nel 2005 è emerso che il tessuto difondo è in seta giallo oro ad intreccio saia 2.1, cfr. C.Kusch, VI.7, in Nobiles Officinae…, 2006, p. 384.15 “Lacera veste di drappo color chermisi, all’estremi-tà adorno di alcuni fregi ricamati o tessuti con piccoleperle, e laminette sottilissime di oro, per lo disegno, epiù per l’esecuzione bellissimi”; F. Daniele, I RegaliSepolcri del Duomo di Palermo riconosciuti e illustrati,Napoli 1784 (ed. cons. 1859), pp. 79-80.16 Cfr. C. Guastella, VI.7, in Nobiles Officinae…, 2006,p. 380.

17 Eadem, p. 381; in un precedente studio la Gua-stella notava che “le placche smaltate dei gallonihanno motivi decorativi tracciati con la stessa rapi-dità sommaria che è stata notata in quella del fode-ro viennese e assunta quale simbolo di una decaden-za tecnica in età sveva … ma che probabilmenteattiene al minore impegno della loro destinazionefunzionale”, cfr. I frammenti del manto di Costanza,in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona. Artifigurative e suntuarie, catalogo della mostra (Paler-mo, Real Albergo dei Poveri, 16 dicembre 1994 – 30maggio 1995) a cura di M. Andaloro, Siracusa-Palermo 1995, p. 84.18 Mons. Giovanni Carandolet fu a capo della diocesidi Palermo dal 1520 al 1544, “il quale eletto Arcive-scovo di questa Chiesa, morì senza mai venirvi”, cfr.G. Palermo – G. Di Marzo Ferro, Guida istruttiva perPalermo e i suoi dintorni, Palermo 1858, rist. anast.Palermo 1984, p. 667.19 “Due dalmatiche e pianete intessute di seta e di oro,e quattro piviali interamente intessuti d’oro, con fascedi seta rossa, che furono tolti al pontefice ClementeVII nel sacco di Roma del 6 maggio 1527 e donati dal-l’imperatore Carlo V all’arcivescovo Carondeleto”,G.M. Amato, De Principe Templo Panormitano libri13, Palermo 1728, rist. anast. Il Tempio dei Re, a curadi G. Villari e G. Meli, traduzione a fronte di A. Mor-reale, Siracusa-Palermo 2001, p. CXCI. 20 J.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis per Sici-liam, Palermo 1836, p. 72.21 C. Guastella, Tre serie di smalti applicati al paliottodetto dell’arcivescovo Carandolet, in Federico e la Sici-lia…, 1995, p. 123.22 Eadem, p. 125.23 Eadem, p. 123.24 Due placchette del tutto simili a quelle presenti nelfregio ricamato raffiguranti San Pietro e San Giacomosono esposte nella vetrina che raccoglie le oreficeriemedievali. Nello stesso espositore sono custoditi duesmalti esalobati e uno ad andamento stellare analoghia quelli del paliotto. Altri due smalti esalobati sonomontati su fregi argentei, probabilmente fibule dipiviale.25 Cfr. A. Lipinsky, L’arte orafa alla corte di Federico IIdi Svevia, in Dante e la cultura sveva, atti del convegno(Menfi 1969), Firenze 1970, pp. 97-128; Idem, Ori egioielli della Sicilia normanna, in “Atti dell’Accademiadi Scienze Lettere e Arti di Palermo”, p. II, 33, 1973-1974.

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26 Come raccontano le fonti e come ha confermato laricognizione dei sepolcri imperiali del 1781, in occa-sione dell’ispezione del sepolcro di Costanza del 1491,in seguito a forti mormorazioni popolari, nulla fuasportato.27 Cfr. C. Guastella, scheda VII.7, in Nobiles Offici-nae…, 2006, pp. 471-477.28 M. Accascina, Oreficeria…, 1974, p. 111.29 Cfr. M. Carmignani, Tessuti ricami e merletti in Ita-lia dal Rinascimento al Liberty, Milano 2005, p. 57.30 J.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae..., 1836, p. 119.31 Cfr. J. Vibaek, Sfilato siciliano, in La mano di Pene-lope. Lavori femminili a Caccamo, Quaderni del “Ser-vizio Museografico” della Facoltà di Lettere e Filoso-fia dell’Università degli studi di Palermo, Palermo1986, p. 90.32 Cfr. M. Carmignani, Tessuti ricami..., 2005, p. 69-71.33 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 14, in Splen-dori di …, 2001, pp. 555-556.34 Cfr. J.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae..., 1836, p. 84.35 Voler eventualmente riferire il tessuto ritrovato allacoltre funebre per le esequie di Carlo II di Spagna,celebrate con un novenario che cominciò il 10dicembre del 1700, contrasta con i moduli dise-gnativi propri di quel periodo. Alla fine del XVIIsecolo sono i tessuti definiti a pizzo che si impongo-no sul mercato, e le soluzioni a grandi rapporti configurazioni zoomorfe sono soltanto un lontano ricor-do. Tra l’altro la solenne commemorazione vennetenuta nella Cappella Palatina dove “s’alzò in mezzola chiesa un mausoleo, alto circa cinque canne, tuttovestito di nero trinato di galloni d’argento, con novescalini tutti colmi di centinaia di lumi, e in cima ilcenotafio, coperto di coltre di lama d’oro, sopra delquale si collocò la corona e lo scettro reale” cfr. A.Mongitore, Diario palermitano, Ms. del XVIII secolopresso la Biblioteca comunale di Palermo ai segniQqC65-66, in Biblioteca Storico e Letteraria dellaSicilia, a cura di G. Di Marzo, vol. III, Palermo 1871,p. 205. La frammentaria notazione del De Ciocchisnon aiuta a individuare con certezza la datazione deltessuto, qui avanzata solo per coincidenze storiche eanalisi critica.36 Come tramandano le fonti: “in hac Caesar, parum-per moratus Sacerdotibus hymnos, psalmosque subin-de concinentibus, egrediens, equum rursus insiluit,sub serico, auroque intertexto velamine incedens,quod hastis suspensum a Juratis urbis Gubernatori-bus gestabatur”; F. De Carrecto, Historia de Bello

Africano, in Opuscoli di autori siciliani, tomo I, Cata-nia 1758, p. 79.37 Cfr. F. Paruta – N. Palmerino, Diari, Ms. del XVIIsecolo presso la Biblioteca Comunale di Palermo aisegni QqF4, in Biblioteca Storico e Letteraria della Sici-lia, a cura di G. Di Marzo, vol. I, Palermo 1869, p. 22.38 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, An unknown liturgicalvestment from the Palermo cathedral, in Interdiscipli-nary Approaches about Study and Conservation ofMedieval Textiles, Atti del Convegno organizzato dal-l’International Council of Museum - Committee forConservation - Texiles Working Group, a cura diRosalia Varoli Piazza, Roma 1998, p. 175.39 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 20, in Splen-dori di …, 2001, pp. 562-563.40 Cfr. G. de Parnykel, Intorno alla tecnica e alla deco-razione dei tessuti, Venezia 1930, pp. 15-17.41 Cfr. R. Varoli Piazza, scheda 13, in Federico e la Sici-lia …, 1995, pp. 98-99.42 D. Devoti, L’arte del …, 1974, pp. 25-26, fig. 109.43 J. A. De Ciocchis, Sacrae Regiae..., 1836, p. 94.Entrambe le pianete sono state pubblicate da B. Mac-chiarella, Cultura decorativa ed evoluzione baroccanella produzione tessile e nel ricamo in corallo a Messi-na (sec. XVII e XVIII), Messina 1985, pp. 121-122.44 Cfr. R. Civiletto – C. Guastella, scheda n. 139, inMagnificenza nell’arte tessile della Sicilia centro-meri-dionale. Ricami, sete e broccati delle Diocesi di Calta-nissetta e Piazza Armerina, catalogo della Mostra (Cal-tanissetta, Museo Diocesano, 12 dicembre 1998 – 28febbraio 1999) a cura di G. Cantelli con la collabora-zione di E. D’Amico e S. Rizzo, Catania 2000, pp.658-661.45 Cfr. M. Vitella, Il Tesoro della Chiesa Madre di Erice,Trapani 2004, p. 127.46 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 6, in Splen-dori di …, 2001, pp. 548-549.47 Cfr. J. A. De Ciocchis, Sacrae Regiae…, 1836, p. 119.48 Cfr. M. C. Di Natale, Il corallo da mito a simbolonelle espressioni pittoriche e decorative della Sicilia, inL’arte del corallo in Sicilia, catalogo della Mostra acura di C. Maltese e M.C. Di Natale, Palermo 1986,pp. 79 – 107.49 Cfr. M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro e l’altare. Paliot-ti d’architettura in Sicilia, Palermo 1992, p. 45.50 Eadem, pp. 50-51. Per la simbologia dei paliotti incorallo si veda anche R. Civiletto, Architetture del sub-lime. Paliotti ricamati in corallo a soggetto architettoni-co tra il XVII e il XIX secolo in Sicilia, in Architetture

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barocche in argento e corallo, catalogo della Mostra(Lubecca, chiesa di Santa Caterina, 15 luglio – 26 ago-sto 2007) a cura di S. Rizzo, Catania 2008, pp. 43-55.51 Cfr. M.C. Di Natale, scheda n. 129, in L’arte del …,1986, pp. 304-305.52 Cfr. M. C. Di Natale, scheda n. 172, in L’arte del…,1986, pp. 366-367.53 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 7, in Splen-dori di …, 2001, pp. 549-550.54 Cfr. J. A. De Ciocchis, Sacrae Regiae…, 1836, p. 121.55 Cfr. M. Vitella, Il Primo Festino, in M. C. Di NataleS. Rosaliae Patriae Servatrici, Palermo 1994, pp. 81-124.56 M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro..., 1992, p. 45.57 Cfr. M.C. Di Natale, scheda I,55, in Il Tesoro Nasco-sto. Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, catalo-go della Mostra (Trapani, Museo Regionale A. Pepoli,2 dicembre 1995 – 3 marzo 1996), a cura di V. Abba-te e M.C. Di Natale, Palermo 1995, pp. 151-152.58 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 3, in L’eredi-tà di Angelo Sinisio. L’Abbazia di San Martino delleScale dal XIV al XX secolo, catalogo della Mostra (SanMartino della Scale (Pa), Abbazia Benedettina 23novembre 1997 – 13 gennaio 1998) a cura di M.C. DiNatale e F. Messina Cicchetti, Palermo 1997, p. 209.59 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 44, in Splen-dori di …, 2001, pp. 582-583.60 Cfr. J.C. Cooper, Dizionario degli animali mitologicie simbolici, Vicenza 1997, pp. 251-253.61 A. Mongitore, Palermo santificato dalla vita dei suoicittadini ossia vite dei Santi e Beati palermitani, II edi-zione riveduta e ordinata dal Sac. Prof. Michel. Civi-letti, Palermo 1888, p. 72.62 V. Auria, Relazione di alcune trionfali dimostrazionifatte nell’anno 1658 in Palermo per la venuta del capodi S. Mamiliano Arcivescovo di Palermo, Ms. del XVIIsecolo presso la Biblioteca Centrale della RegioneSiciliana “A. Bombace” ai segni Mss.XI.B.1.2.A. 63 Cfr. M. Vitella, Il Primo..., in M. C. Di Natale S.Rosaliae..., 1994, pp. 81-124.64 Relatione delle solenni feste fatte in Palermo per lavenuta della Testa di S. Mamiliano cittadino, et Arcive-scovo di Palermo A’ di’ 6 d’ottobre 1658, Ms. del 1658presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana“A. Bombace” ai segni Mss.XI.B.1.2.C. 65 Cfr. R. Civiletto – S. Lanuzza, scheda n. 52, in Splen-dori di…, 2001, pp. 589-590.66 Sulle diverse collocazioni del tesoro all’interno dellaCattedrale di Palermo cfr. L. Calamia, Peregrinatio

Thesauri. Il Tesoro della Cattedrale di Palermo dalperiodo normanno al barocco. Pietre, ori ed argenti in650 MB, tesi di laurea, relatore Pro.ssa M.C. Di Nata-le, anno accademico 2003-2004.67 Cfr. Supra, nota 43.68 Cfr. J.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae..., 1836, p. 84.69 R. Civiletto, scheda n. 38, in Splendori di…, 2001,pp. 576-577.70 Cfr. T. Boccherini, Il motivo “isolato”. Lineamentitecnico-stilistici di una nuova tipologia tessile, in “Sopraogni sorte di drapperia…”. Tipologie decorative e tecni-che tessili nella produzione fiorentina del Cinquecentoe del Seicento, catalogo della Mostra a cura di T. Boc-cherini e P. Marabelli, Firenze 1993, pp. 77-88.71 Cfr. R. Civiletto – G. Cantelli, scheda n. 125, inMagnificenza nell’arte…, 2000, pp. 622-627.72 Cfr. R. Civiletto – S. Lanuzza, scheda n. 154, inMagnificenza nell’arte …, 2000, pp. 696-697; R. Civi-letto, Lo spreco funzionale. Il tessuto d’arte come segnodi suprema distinzione, in Percorsi di Archeologia e Sto-ria dell’Arte. Centro culturale “Carlo Maria Carafa”Mazzarino, a cura di S. Rizzo, Caltanissetta 2009, p. 67e p. 178.73 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 37, in Splen-dori di…, 2001, pp. 575 – 576. Nell’inventario del DeCiocchis sono segnalati separatamente e così descritti:“un piviale di tabì cremesino ricamato tutto d’oro pas-sato, guarnito attorno di guarnizionetta piccola concappuccio ricamato della medesima maniera con suastola del fu Monsignor Fra D. Martino foderato di ter-zanello cremesino con crocchetti di rame inargentato... un piviale di armisino murato, ricamato, tuttod’oro, guarnito attorno con guarnizionetta piccolad’oro, colle armi del fu Monsignor Fra D. Martinofoderato di terzanello murato con crocchetti di rameargentato”; Cfr. J.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae...,1836, pp. 83-84.74 Cfr. R. Civiletto – G. Cantelli, scheda n. 117, inMagnificenza nell’arte …,2000, pp. 600 - 603.75 Trattasi di un drappo particolarmente decorato concui si soleva ornare i balconi delle case in particolaricerimonie, come, ad esempio, il passaggio di una pro-cessione.76 Cfr. A. De La Mota Gomez-Acebo, Tejidos artisticosde Toledo (Siglos XVI al XVIII), Toledo 1980, p. 28,fig. 10.77 Il vescovo De Leon fu uomo colto e particolarmen-te sensibile all’arte. Celebrò un sinodo diocesano nel1652 le cui costituzioni furono pubblicate l’anno suc-

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cessivo. Tra il 1651 e il 1652 fece realizzare una mas-siccia trasformazione dell’interno della cattedraledove furono “interamente rivestiti di intonaco e distucco i quattro pilastroni del coro, furono chiuse lefinestre minori della navata principale e ridotte agrandi monofore quelle maggiori, furono tamponatele finestre delle navate minori e quella della facciataprincipale, fu tirata un’alta trabeazione in stucco sullearcate della navata maggiore e furono ornati di men-sole i piedritti delle arcate stesse” (cfr. G. Bellafiore,La Cattedrale di Palermo, Palermo 1976, p. 108). Inol-tre a sue spese fece eseguire “la Custodia tutta di lapis-lazzoli, ed anche l’altare di ricercato disegno, e forma-to delle migliori tra la classe delle pietre dure... aven-do nel 1653 fatto levar via quella di marmo bianco,travagliata dal Gagino, per collocarvi questa. ...È divi-sa in tre ordini ornati di colonnette, di fregi di ramedorato, e di statuette anche di rame. Il disegno fu delCav. Cosmo Fonsego celebre architetto, e scultore.L’Arcivescovo de Leon vi spese 15 mila scudi, e fuperfezionata dal Senato palermitano nel 1656 dopo lamorte del detto Prelato, avendone ottenuto il permes-so dal Re Filippo IV” (G. Palermo – G. Di MarzoFerro, Guida istruttiva …, 1858, rist. anast. Palermo1984, p. 645). A lui si devono, ancora, le statue pro-spicienti il Cassaro realizzate tra il 1655 e il 1656 raf-figuranti sant’Agatone, santa Silvia, san Sergio e san-t’Agata di Carlo D’Aprile, santa Ninfa, sant’Oliva,santa Rosalia e santa Cristina di Gaspare Guercio (cfr.G. Salvo Barcellona, Gli scultori del Cassaro, Palermo1971). Da quanto emerge dalle fonti e dal riscontrocon le opere ancora esistenti appare evidente una figu-ra di prelato sicuramente facoltosa e di gusto assai raf-finato: il superbo tabernacolo di lapislazzuli esprimechiaramente l’aulica committenza pienamente inseritaentro quell’ideale barocco di lusso e meraviglia intra-preso dalla Chiesa controriformata che si manifestavaanche nelle liturgie e soprattutto nelle cerimonie pro-cessionali solennemente celebrate nella Capitale delRegno.78 Cfr. A. Fau, Histoire des tissus en France, Tours2006, p. 102.79 Cfr. R. Civiletto, scheda n. 63, in Splendori di…,2001, pp. 597 – 598.80 Cfr. J.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae..., 1836, p. 84.81 Cfr. M. Vitella, Paramenti sacri di committenza vesco-vile: analisi storico-critica di alcuni manufatti tessilidella Sicilia occidentale, in Splendori di…, 2001, p.231.

82 Cfr. M.J. Martin-Peñato Labaro, Fabbrica Toledanade Ornamentos Sagrados de Miguel Gregorio Molero,Toledo s.d., e in particolare il cap. II, pp. 33-61; A. DeLa Mota Gomez-Acebo, Tejidos artisticos …, 1980,pp. 59-61.83 Cfr. R. Pirro, Sicilia Sacra, Palermo 1733, p. 266.All’arcivescovo Gash si deve la committenza della ele-gante cappella in marmi mischi dedicata a San Fran-cesco di Paola all’interno del duomo.84 Ringrazio il prof. Giovanni Travagliato per l’amiche-vole segnalazione e la cortese consulenza.85 L’emblema è realizzato dalla sovrapposizione di “S”(Servi) e “M” (Maria) sotto la corona dal fastigio consette gigli, che indicano i Sette Santi fondatori, cfr. G.M. Roschini osm., Galleria Servitana, Roma 1976.86 Cfr. R. Pirro, Sicilia…, 1733, col. 244.87 Cfr. M. Pérez Sánchez, “…Todo a moda y primor”, inSalzillo, testigo de un siglo, catalogo della Mostra(Murcia, Museo Salzillo, chiesa del Gesù, chiesa diSant’Andrea, Marzo-Luglio 2007), Murcia 2007, pp.303-315.88 Ringrazio il prof. Manuel Pérez Sánchez per la gen-tile segnalazione e per l’amichevole consulenza.89 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 42, in Splen-dori di…, 2001, p. 579-580.90 Cfr. M.C. Ruggieri Tricoli, Amato Paolo, in L. Sarul-lo, Dizionario degli artisti siciliani. Architettura, vol. Ia cura di M.C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1993, p. 17.91 Manoscritto presso la Biblioteca Comunale di Paler-mo, ai segni QqE3.92 Cfr. R. Civiletto, scheda n. 126, in Magnificenza nel-l’arte…, 2000, pp. 628-629.93 Oggi organo prefettizio ancora esistente compostoda laici ed ecclesiastici cui spetta la tutela del grandemonumento normanno e l’approvazione e la supervi-sione degli interventi di restauro, di ammodernamentoo l’eventuale inserimento di nuovi manufatti artistici.94 Cfr. R. Civiletto, scheda n. 4, in Splendori di…, 2001,pp. 546-547. Le scene rappresentate nelle placche dirame sono: l’Annunciazione, la Resurrezione, la Trinità,l’Ascensione, la Visitazione e, al centro la Pentecoste.95 Cfr. J.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae..., 1836, p. 95.96 R. Civiletto, scheda n. 4, in Splendori di…, 2001, p.546.97 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 82, in Splen-dori di…, 2001, p. 613.98 Cfr. J.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae..., 1836, p. 95.99 Cfr. R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 83, in Splen-dori di…, 2001, pp. 613-614.

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100 Cfr. E. D’Amico Del Rosso, I paramenti sacri, Paler-mo 1997, p. 60, scheda 7.101 La presenza di questa tonacella tra le sacre vestidella Cattedrale di Palermo conferma l’esistenza nelcapoluogo isolano di botteghe di abili ricamatori,avvalorando l’ipotesi della D’Amico Del Rosso circa“l’apporto esterno da parte di ottime maestranze spe-cializzate nell’arte del ricamo” (cfr. E. D’Amico DelRosso, I paramenti…, 1997, p. 58) e non l’esclusivarealizzazione “autarchica” da parte degli stessi padriGesuiti di parati sacri, che pare confezionassero auto-nomamente, come la studiosa ha avuto modo di evin-cere dalla lettura di carte d’archivio (cfr. Ibidem). È

dunque probabile che alla stessa bottega si siano rivol-ti sia i padri dell’Ordine del Gesù che i marammieridella Cattedrale.102 R. Civiletto – M. Vitella, scheda n. 75, in Splendoridi…, 2001, pp. 607-608. La pianeta ha subito un’ope-razione di riporto su nuovo supporto tessile dei ricami.103 G. Cantelli, Un ricamo siciliano al MetropolitanMuseum di New York, in Scritti in onore di AlessandroMarabottini, Roma 1997, p. 272.104 Cfr. M. Vitella, Le immagini sacre e le opere d’artedecorativa tra fonti e committenti, in La Cattedrale diCatania, a cura dell’Ufficio per i Beni Culturali dell’Ar-cidiocesi di Catania, Catania 2009, pp. 183-189.

Restauri nell’area museale della Cattedrale di Palermo

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Rosalia Francesca Margiotta

ManoscrittiLibro di alcune scritture notande del capitolo palermita-

no et altre cose, che alla giornata ponno servire aldetto capitolo, et alcun canonico, copiate per mi D.Giovanni Battista La Rosa canonico, da molt’altriscritturi, che ho raccolti per ligarli in un libro gran-de per servitio di esso capitolo et dignità et canona-ci, ms. del 1580 e seguenti presso l’Archivio Stori-co Diocesano di Palermo, Capitolo, ai segni n. 35quater.

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MARGIOTTA R.F., Appendice documentaria, in M.C. DiNatale – R. Vadalà, Il tesoro di Sant’Anna nelMuseo del Castello di Castelbuono, appendicedocumentaria di R.F. Margiotta, “Collana Viginti-milia”, “Quaderni del Museo Civico di Castelbuo-no”, collana a cura di A. Scancarello, n. 1, Paler-mo 2010.

TRAVAGLIATO G., L’orafo Piero di Martino e il reliquia-rio di San Bartolo di Geraci, in Alla corte dei Venti-miglia. Storia e committenza artistica, convegno di

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MARTIN-PEÑATO LABARO M.J., Fabbrica Toledana deOrnamentos Sagrados de Miguel Gregorio Molero,Toledo s.d.

In corso di stampaDI NATALE M.C. - TRAVAGLIATO G., Corredo funebre

di Costanza d’Aragona, in Die Staufer und Italien.Drei innovationsregionen in mittelalterlichenEuropa, catalogo della mostra, (Mannheim, Reiss -Engelhorn - Museen, 2010-2011).

L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani, vol. IV,Arti applicate, a cura di M.C. Di Natale, ed. Nove-cento.

MANGANANTE O., Thesaurum Aureum, ms. del XVIIsecolo (post 1692, con aggiunte post 1721), tra-scrizione, note e commento a cura di G. Travaglia-to.

TRAVAGLIATO G., Cofanetto / Pisside figurata, in DieStaufer und Italien. Drei innovationsregionen inmittelalterlichen Europa, catalogo della mostra,(Mannheim, Reiss - Engelhorn - Museen, 2010-2011).

DattiloscrittiCALAMIA L., Peregrinatio Thesauri. Il Tesoro della Cat-

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Il Tesoro della Cattedrale di Palermo

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 5S.E. Mons. Paolo Romeo

I LUOGHI DEL TESORO » 9Lina Bellanca - Guido Meli

ORI E ARGENTI DEL TESORO DELLA CATTEDRALE DI PALERMO » 39Maria Concetta Di Natale

I MANUFATTI TESSILI DELLA CATTEDRALE DI PALERMO » 109Maurizio Vitella

BIBLIOGRAFIA » 139Rosalia Francesca Margiotta

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Finito di stamparepresso Eurografica s.r.l. Palermo

nel mese di settembre 2010per conto della

Flaccovio Editore

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