Murzi - Valenti - Seconde Bozze

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Teoria Circoscrizionista della Scienza

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Direttore di Collana: Mauro MurziDirettore editoriale: Lorena Panzeri

Collana DOXA: XX

ISBN: 978 - 88 - 98496 - XX - X

Finito di stampare nel mese di XXXXXXXXX 2014------------------------------------------------------------------Copyright © 2014 Casa Editrice Limina Mentis di Lorena Panzeri, Villasanta (MB).Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, meccanico, digitale - se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore.

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Mauro Murzi Alberto Valenti

STRUTTURA E LIMITI DELLA SCIENZA

PER UNA TEORIA CIRCOSCRIZIONISTA DELLA SCIENZA

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RiconoscimentiLe illustrazioni della figura 1 sono adattamenti di immagini prove-

nienti da <commons.wikimedia.org>, licenza Creative Commons Attri-bution 2.5 Generic e Creative Commons Attribution-Share Alike 2.5 Ge-neric.

L’immagine superiore della figura 2 è degli autori. L’immagine in-feriore della medesima figura, che rappresenta la molecola di metano, è stata realizzata con il software Avogadro: an open-source molecular builder and visualization tool, versione 1.1.0, <http://avogadro.openmo-lecules.net>.

La fotografia della Torre Eiffel colpita da un fulmine (2 giugno 1902, autore M. G. Loppé), nella figura 3, è di pubblico dominio. L’origine è il sito NOAA Photo Library, <http://www.photolib.noaa.gov>. Le altre due immagini nella medesima figura, in alto a destra, provengono da <uplo-ad.wikimedia.org> (licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, autore JabberWok at the English language Wikipedia) e <commons.wikimedia.org>, (licenza Creative Commons Attribution 2.5 Generic).

Le mappe della figura 4 provengono da <upload.wikimedia.org>, li-cenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported.

Le due immagini della figura 5, che rappresentano la molecola dell’acqua, sono state realizzate con il software Avogadro, cit. La foto della Terra è stata scattata dagli astronauti dell’Apollo 17 ed è di pubblico dominio. La fotografia del bicchiere d’acqua è di Derek Jensen ed è di pubblico dominio.

URL delle immagini (13 maggio 2014)commons.wikimedia.org/wiki/File:Idealgas_and_Brownian_motion.jpgcommons.wikimedia.org/wiki/File:Entropie.pngwww.photolib.noaa.gov/htmls/wea00602.htmen.wikipedia.org/wiki/File:Bohr-atom-PAR.svgen.wikipedia.org/wiki/File:Mercator_projection_SW.jpgen.wikipedia.org/wiki/File:Gall%E2%80%93Peters_projection_SW.jpgwww.nasa.gov/images/content/115334main_image_feature_329_ys_full.jpgcommons.wikimedia.org/wiki/File:Glass-of-water.jpg

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1. PREFAZIONE

Il nostro obiettivo è di esporre e difendere la teoria circoscri-zionista della scienza. In estrema sintesi, la teoria circoscrizionista della scienza afferma, di là di quello che possono ritenere gli scien-ziati, che:

a) ogni teoria scientifica è, sin dall’inizio, circoscritta a un campo limitato;

b) un obiettivo della ricerca scientifica è di individuare i con-fini del campo di validità delle teorie scientifiche.

Lo scienziato, per individuare i limiti del campo di validità di una teoria, applica le stesse strategie che userebbe se tentasse di falsificare la teoria. Lo scienziato, tuttavia, non cerca di falsificare né di confermare la teoria, ma di delimitare il suo campo di validi-tà. Lo scienziato può impiegare la teoria in modo ragionevolmente sicuro e affidabile solo dopo averne circoscritto il campo di vali-dità. L’apparente falsificazione è la condizione necessaria affinché lo scienziato possa usare la teoria in maniera affidabile. Una volta delimitato il campo di validità, lo scienziato:

i) conosce in quali condizioni la teoria funziona;ii) è in grado di stimare l’errore che commetterebbe se impie-

gasse la teoria al di fuori del proprio campo di validità.Non possiamo affermare che la teoria circoscrizionista sia un

nostro prodotto originale. Altri studiosi, prima di noi, ne hanno de-lineato alcuni aspetti importanti1. Costoro, tuttavia, si sono limitati a un’esposizione sommaria, senza soffermarsi sulle motivazioni

1 Heisenberg [1978 (1959)], Ageno [1987], Agazzi, Minazzi, Geymonat [1989].

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logiche ed epistemologiche a sostegno della teoria circoscrizioni-sta. Un esempio di questo atteggiamento è offerto da J. Woodward che, in modo quasi casuale, asserisce che le leggi scientifiche note sono «generalizzazioni che valgono all’interno di certi domini o regimi e decadono al di fuori di questi»2. Vogliamo riprendere ed espandere il punto di vista dei precursori della teoria circoscrizio-nista, argomentando a favore di tale teoria e spiegando perché altre posizioni filosofiche (quali il falsificazionismo, lo strumentalismo e il finzionalismo) non sono accettabili. Faremo ciò affrontando nel-lo stesso tempo un aspetto fondamentale delle teorie scientifiche, strettamente legato al punto di vista circoscrizionista: il ruolo dei modelli nella scienza. Faremo anche qualcosa che i precursori della teoria circoscrizionista non hanno fatto, ossia mostreremo come il punto di vista circoscrizionista possa gettare nuova luce su alcuni problemi tradizionali della filosofia della scienza, quali il dibattito tra realismo e anti-realismo, il (vero o presunto) progresso della scienza, l’apparente inconsistenza di alcune teorie scientifiche e l’importanza delle strutture matematiche nella fisica moderna.

Alcune parti di questo volume sono state già pubblicate3. Qui sono presentate in forma rielaborata e adattata al nuovo ambito. Ci auguriamo che la teoria circoscrizionista possa ricevere l’attenzio-ne che merita dagli studiosi di filosofia della scienza, che fino ad oggi sembrano averla ignorata.

2 Woodward [2014], p. 93 (tr. it. nostra).3 Murzi [2010, 2011, 2012], Valenti [2012, 2014].

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2. INTRODUZIONE

Il concetto di scienza non è né assoluto né eterno.

Jacob Bronowski

Potremmo partire proprio dalla frase di Jacob Bronowski: «il concetto di scienza non è né assoluto né eterno». Cosa significa questo? Che cosa vuole dirci Bronowski? Come minimo, significa che il concetto di scienza può subire dei cambiamenti, anche radi-cali, nel corso della storia. Significa che la scienza è una creazione umana e, pertanto, perfettibile e migliorabile, ma anche soggetta alla caducità tipica delle cose umane.

Questo ha una ricaduta immediata sull’intenzione di occuparsi della scienza: perché occuparsi, anzi preoccuparsi, di qualcosa che può anche in futuro sparire o subire modificazioni inimmaginabili?

Perché occuparsi della scienza? Perché preoccuparsene? Non è forse vero che la scienza (e con essa la tecnologia) marciano sulle proprie gambe, senza sforzo, ed anzi sempre più speditamente?

Che senso ha, poi, per un individuo, volersi occupare della scienza? Nessun individuo può, al giorno d’oggi, maneggiare spe-ditamente tutto lo scibile umano prodotto dalla scienza. Neppure il più coraggioso degli specialisti potrebbe avvicinarsi a ciò. Allora, che può fare un individuo?

Dobbiamo dirlo a chiare lettere: esiste un problema di control-lo politico della scienza. Tale problema andrà, nei prossimi anni e decenni, assumendo caratteri sempre più inquietanti ed ostici. Infat-ti, con la specializzazione crescente, già oggi (per fare un esempio) un fisico dello stato solido fatica a capire quello che dice, del suo mestiere, un fisico delle particelle o un biofisico. Come avverrà la

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comunicazione tra questi specialisti ed i politici incaricati di ripartire i fondi? Come verrà informato il grande pubblico delle scelte fatte? Che possibilità avrà ciascuno di occuparsi di questi problemi?4

Questo è rilevante, che si sia o no interessati alla democrazia. Vogliamo dire: una persona può anche non essere democratica. Per quanto sia un atteggiamento ufficialmente poco diffuso, abbiamo sentito varie persone dichiararsi in tal senso. Eppure anche queste persone dovrebbero chiedersi: possiamo affidare tutte le decisio-ni scientifiche esclusivamente agli esperti? È questa una decisione saggia? Se la guerra è una cosa troppo importante per lasciarla fare ai generali, che dire della scienza?

Bisogna comunque occuparsi della scienza: se solamente siamo interessati, non diciamo alla democrazia, ma all’andamento della cosa pubblica. Infatti anche chi non è democratico deve interessarsi alla cosa pubblica, alla politica, allo stato: per il solo fatto di essere uomo. Interessarsi alla cosa pubblica significa (tra l’altro) cercare di capire che cos’è la scienza. Soltanto in questo modo potremo ve-dere in chiarezza il rilievo e la portata di problemi quali: la comuni-cazione tra specialisti di scienze diverse o (ciò che forse è lo stesso) tra specialisti diversi di una stessa scienza; la comunicazione tra scienziati e uomini politici in grado di prendere decisioni rilevanti per la comunità umana; la capacità di controllo della popolazione di queste forme di comunicazione; la comprensione da parte della gente comune o (se questo non è possibile) da parte della intelli-ghentsia illuminata (ossia, della classe dirigente), del significato che rivestono le scoperte e le ricerche delle varie scienze; infine, la capacità di individuare i legami tra le varie scienze ed i loro ambiti tematici.

4 Non pare sostenibile una posizione come quella di Mario Capanna, sia pure limitatamente ad un preciso ambito della ricerca-pratica scientifica, secondo cui le decisioni di un comitato popolare sarebbero vincolanti per la ricerca. Come verrebbe composto un tal comitato? Forse un assortimento di operai, massaie, impiegati, barboni, ciclisti e studenti. Questo comitato avrebbe il preciso compito di pronunciarsi se una certa scoperta è buona, se una qualche ricerca può essere utile, o sull’eventualità che un programma di ricerca sembri essere promettente, oppure no. M. Capanna, Intervento del 26 Luglio 2011, sugli OGM. L’intervento è seguibile su YouTube.

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Ma è il potere connesso alla scienza l’aspetto più inquietante. Infatti il potere, connesso alla scienza, è andato sempre più cre-scendo negli ultimi decenni. Basti pensare a quello che sta acca-dendo nel resto del mondo, dove la scienza sta cambiando, letteral-mente, il volto del pianeta. Come ha fatto notare Gianfranco Basti5, è stata decisiva, per innescare tale cambiamento, l’apertura di tanti popoli ai paradigmi e ai linguaggi della scienza; ciò rende possibile oggi a quei popoli capire la scienza, senza il passaggio attraverso la comprensione di due o tre lingue europee.

Non si può mancare di osservare che finora le discussioni sulla scienza hanno mancato l’obiettivo di una descrizione completa ed esauriente di che cosa sia la scienza. Il neopositivismo ha creduto (e fatto di tutto per accreditare quest’idea) che la scienza cresces-se come semplice accumulo di conoscenze a partire da asserzioni empiriche indubitabili; Sir Karl Raimund Popper ha descritto la scienza come un seguito di congetture e falsificazioni; Imre Laka-tos ha criticato questo modo di vedere poiché riduceva la scienza ad una sorta di cimitero di teorie, ed ha introdotto il concetto di programma di ricerca; Larry Laudan ha modificato il concetto in quello di tradizioni di ricerca, accentuando ancora di più l’idea già presente in Lakatos, che fosse possibile operare una comprensione storica della scienza; Thomas Samuel Kuhn ha parlato di paradig-mi, di periodi di scienza normale alternati a brevi fiammate rivolu-zionarie; ma tutti questi epistemologi, ed anche tanti altri nel corso di due secoli, hanno mancato di dare una descrizione compiuta ed esauriente di che cosa è, realmente, la scienza.

Allora diremo così: solamente fornendo un quadro completo ed esaustivo, potremo avere le idee più chiare e quindi sapere che cosa è possibile fare e che cosa no. È in questa direzione, di un progres-sivo chiarimento delle idee riguardo alla scienza, che è rivolto il saggio che segue.

Ci pare anche necessario illustrare il metodo che intendiamo se-guire. Per cominciare, intendiamo dichiarare qual è il cammino, il metodo che seguiremo. Deve essere chiaro, intanto, qual è il signifi-cato della parola: ‘metodo’ significa, letteralmente, μετά-(τον)-οδον,

5 Basti [2012].

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attraverso il cammino; è chiaro quindi che solamente percorrendo il cammino ci renderemo conto pienamente di che cosa si tratta, ed anche ci aspetta. Quindi le parole che seguiranno saranno una pura e semplice indicazione di ciò che seguirà, senza pretendere di esaurire la comprensione di ciò che stiamo dicendo.

Nel seguito vogliamo attenerci al modo tipico di procedere di un fisico, Carl Friedrich von Weizsäcker6. Il noto fisico tedesco, per spiegare il suo metodo, usava le parole: cavalcata in tondo [Rundtritt]. Con questa espressione egli intendeva significare che, per addentrarci in un argomento, occorre avvicinarsi al centro pro-gressivamente e lentamente, attraverso un cammino che prevede di ritornare, circolarmente, sui vari argomenti toccati in precedenza, rivedendoli dopo essersi arricchiti degli altri. Ad ogni giro, è chia-ro, si sanno più cose che nel giro precedente, quindi si possono affrontare argomenti che prima erano ostici. Inoltre ci pare che von Weizsäcker ci suggerisca, con la proposta di questo suo metodo, che solamente addentrandoci in profondità in un argomento si pos-sa giungere ad una qualche comprensione: che, insomma, anche qui si possa dire, in tutta franchezza, con Ludwig Wittgenstein, che «In filosofia ci si deve calare nell’antico caos e sentircisi a proprio agio»7.

6 von Weizsäcker [1994].7 Wittgenstein [1980b], p. 121.

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3. SCIENZA E MODELLI

3.1. Importanza deI modellI per la prassI scIentIfIca

Per il senso comune (perlomeno per quello filosoficamente orientato) esistono tre modi in cui si può esprimere la conoscenza cui si è pervenuti8.

Innanzitutto c’è la visione onnicomprensiva, sistemante ed or-dinata, che viene offerta dalle teorie (il termine trae il suo signifi-cato proprio da una parola – theorein – che significa vedere-tutto) ipotetico-deduttive9. È il modo generalmente tipico della scienza, sottoposto a rigorosi vincoli logici, a regole ferree; una sua variante è anche nota come metodo galileiano o, tout court, scientifico10. È questo il metodo, per fare un esempio che tutti conoscono, che incontriamo in un libro liceale di geometria euclidea. Ma questo metodo non è il solo.

C’è anche il metodo dialettico, che fa uso di una tesi, per poi contrapporle un’antitesi; entrambe vengono poi risolte ad un livel-lo superiore da una sintesi. In fondo, anche le dimostrazioni per assurdo usate nei testi di geometria analitica o euclidea sono, in un certo senso, dialettiche. È il metodo riconosciuto come proprio della filosofia da alcuni autori11.

8 Non ci addentriamo, qui, nella questione di come si arrivi a questa conoscen-za. Sarebbe troppo complicato parlare di ispirazione, di Gestalt, e così via. È per noi sufficiente cercare di risolvere qualche problema, non intendiamo certamente cercare di risolverli tutti quanti.

9 Una variante di questo, è il cosiddetto metodo anipotetico-deduttivo: si veda Faggiotto [1989].

10 É esposto in qualunque libro di fisica, alla voce metodo galileiano, solitamen-te all’inizio del testo.

11 Ad esempio da Berti [1989]. Anche San Tommaso fa uso di questo metodo o modo di argomentare.

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Infine c’è il metodo detto del circolo ermeneutico. Possiamo pensare ad autori come Heidegger e Gadamer, oppure riferirci pro-prio al metodo della cavalcata in tondo di von Weizsäcker.

Si badi bene: non stiamo dicendo che ogni articolo, libro o for-ma di divulgazione scientifica debba per forza essere collocato in una o nell’altra di queste tre tipologie schematiche. Tutti quanti, o quasi, fanno largamente uso di due oppure di tutte e tre le tipologie. Anche nel libro più assiomatico-deduttivo si incontrano talvolta dimostrazioni per assurdo, che altro non sono che l’applicazione nel modo più stringato del metodo dialettico. Per non dire delle frasi, che si trovano anche nei testi di geometria, che costituiscono dei rimandi ad altre parti del testo. Questi rimandi interni sarebbero da etichettare come appartenenti alla cavalcata in tondo, al circolo ermeneutico. Tutta la scienza (e tutta la filosofia) sono costruite a partire da questi tre tipi di approccio: ipotetico-deduttivo, dialetti-co, del circolo ermeneutico. Generalmente, troviamo tutti e tre que-sti tipi di approccio in qualunque testo di filosofia, o di scienza, ecc.

Eppure per la scienza vera e propria c’è qualcosa d’altro. Che cosa serve, ad uno scienziato, per addentrarsi nella cono-

scenza e per comunicare ad altri quanto ha trovato? Di che cosa fa uso, egli, per arrivare ad un qualche risultato? È qualcosa di estra-neo a questo schema, che ha un innegabile e riconosciuto ruolo: il modello.

Non è semplice chiarire qual è questo ruolo: potremmo forse dirlo (visti i molteplici usi che abitualmente vengono fatti dei mo-delli scientifici) ruolo paradigmatico-euristico-analogico. Paradig-matico: lo diciamo nel senso in cui parla di paradigma T. Kuhn nel suo [1962]; è, insomma, una guida per il ricercatore, un esempio vincolante cui attenersi nelle sue indagini. Euristico: in quanto aiu-ta lo scienziato a trovare nuove idee e soluzioni; in questo senso, è ciò che gli permette di trovare quello che gli serve. Analogico: in quanto gli permette di pensare degli utilissimi come... allora...; ciò gli sarà utile anche in fase di illustrazione agli altri della sua idea.

Basti pensare a quei casi (numerosissimi in verità) in cui uno scienziato, per addentrarsi in un problema, deve innanzitutto di-sporre di un modello del medesimo. Questo si dice appunto, con

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un brutto neologismo, modellizzare un problema. È generalmente riconosciuta, dagli scienziati, l’importanza dei modelli nella prati-ca della ricerca. Meno presente è questa tematica in filosofia del-la scienza. Solo recentemente alcuni autori12 si sono addentrati in considerazioni relative a questo argomento.

Esistono vari modi o significati per cui si può parlare di model-lo. Non solo: tutti questi modi sono presenti nella scienza e sempre utilizzati in un tal senso analogico/allusivo.

3.2. lImItI deI modellI per l’ermeneutIca

La scienza usa continuamente modelli, in uno o più dei sensi che può assumere la parola (vedremo tra poco quali sono questi sensi). Non si deve però credere, per questa onnipresenza dei mo-delli nella pratica scientifica, che quella del modello sia una sorta di via regia della scienza. Ci fa rapidamente rinunciare a questa idea la dinamica dello sviluppo delle teorie, della competizione tra teorie, del rapporto tra teorie e modelli.

Vediamo, innanzitutto, perché un modello non sempre è attendi-bile quanto all’interpretazione che suggerisce. Si consideri un gas in un contenitore come sistema fisico di interesse. Consideriamo il gas in condizioni iniziali di non equilibrio. Ciò vuol dire che, per esem-pio, la maggior parte delle molecole del gas si troverà, inizialmente, concentrata in una zona particolare del contenitore. Come studia-re questo sistema? A quali leggi della fisica affidarsi? Vedremo che la risposta a questa domanda non è scontata, ed apre scenari molto diversi tra loro. Immaginiamo che un fisico voglia studiare questo sistema, con buona approssimazione isolato, costituito da un certo numero N (molto grande, probabilmente) di particelle mutuamen-te interagenti secondo una legge nota. Le condizioni iniziali siano note, pur non formulando nessuna ipotesi aggiuntiva sullo stato del sistema al tempo t=0, salvo che, poniamo, tutte le particelle siano confinate nella parte sinistra del contenitore. Supponiamo che questo

12 Suppes [1961, 1962], Suppe [1977, 1989], Van Frassen [1980], Ageno [1987, 1992], Giere [1988], Fano [2005], Murzi [2011].

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fisico immaginario non debba fare i conti con l’impossibilità pratica di risolvere esattamente il moto del sistema secondo la fisica clas-sica, se N non è piccolo, il che rende in pratica impossibile questo tipo di trattazione. Si può anche supporre che egli studi il gas con l’aiuto di un computer, il che gli permetterebbe di avere a dispo-sizione un complesso modello computistico del gas in esame. Egli potrebbe allora scrivere le equazioni differenziali corrispondenti ai gradi di libertà del sistema. Le previsioni ottenute in questo modo corrisponderebbero ai dati sperimentali (stiamo supponendo le con-dizioni iniziali note con precisione arbitraria). La conclusione cui il fisico perverrebbe sarebbe che l’evoluzione del sistema è descritta rigorosamente da una legge di causalità.

Dato che il fisico ha a disposizione un computer, potrebbe deci-dere di seguire il percorso di una particolare particella sullo scher-mo del computer: allora giungerebbe alla conclusione che il caso governa il comportamento del sistema in esame. Alla medesima conclusione arriverebbe se si servisse della teoria statistica, per ra-gionare con le quantità fornite da tale teoria per studiare il sistema in esame.

Egli potrebbe però decidere di servirsi, anziché di questi due modelli, di equazioni variazionali. Allora avrebbe l’impressione che la natura si comporti in modo tale da raggiungere determinati fini, in modo cioè da massimizzare determinati parametri. Gli sem-brerebbe cioè che la natura abbia uno scopo, al quale si uniformino i fenomeni osservati, che sarebbero comunque in accordo con le sue previsioni.

Quindi vediamo che al variare della nostra impostazione (mo-dellistica, modellizzante) del problema abbiamo un responso di-verso: se seguo ogni particella, vedo il caso; se seguo l’evoluzione come descritta da un’equazione di marcia verso l’equilibrio, ho l’impressione che il sistema sia deterministico; se calcolo le fun-zioni in base al calcolo variazionale, ho l’impressione che il gas segua dei principi teleologici ovvero persegua delle finalità.

Il sistema ci appare ora, a posteriori, come intrinsecamente am-biguo: ci sembra, non appena ci solleviamo ad un livello superiore, che esso possa essere descritto da ben tre modelli intrinsecamente

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differenti. Siamo forse capitati in uno di quei casi in cui abbiamo a che fare con un’ambiguità intrinseca, irrisolvibile, insomma con una di quelle figure interpretabili a piacere come moglie/suocera o anatra/coniglio13?

Passando dal gas che abbiamo considerato ad un qualunque si-stema fisico, avremo la domanda: di quale sistema di indagine si è servito il fisico? Il suo modello interpretativo è tale da suggerire una visione del mondo deterministica, oppure finalistica? Oppure dobbiamo pensare che alla base di tutto ci sia il caso?

Quindi abbiamo raggiunto questa importante conclusione: l’in-terpretazione della dinamica del sistema è strettamente legata alla tecnica di calcolo che si utilizza.

Lo stesso problema si presenta anche in Teoria Quantistica. Consideriamo un sistema (s) assoggettato ad una misura, rappre-sentata nel nostro caso dall’operatore A; As=s0. Qui s (come anche s0) rappresenta lo stato del sistema. Quando scriviamo As intendia-mo significare che il sistema s è assoggettato ad un procedimento di misura, rappresentata dall’operatore A.

Se pensiamo che tutto il sistema, compreso l’apparato (a) di mi-sura, deve obbedire alle regole della meccanica quantistica, abbia-mo che il “nuovo” sistema (s+a) deve evolvere nel tempo secondo l’equazione di Schrödinger. Quindi si ha qui un paradosso: quello di un sistema che evolve in modo non-causale, quando assoggetta-to ad una misura; e un sistema allargato (vecchio sistema + appara-to di misura) che evolve in modo prevedibile (secondo l’equazione di Schrödinger).

13 Kuhn [1962].

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Il moto delle molecole di un gas in un contenitore è determinato dagli urti tra le molecole e tra le molecole e le pareti del contenitore. Gli urti seguono le leggi della meccanica classica, che sono deterministiche. L’evoluzione del sistema è descritta da una legge di causalità.

Se il fisico seguisse il percorso di una singola particella, osserverebbe un tipico moto browniano, del tutto casuale. L’evoluzione del sistema è governata dal caso.

Le molecole del gas si dispongono nel contenitore in modo da massimizzare l’entropia. L’evoluzione del sistema tende a un determinato stato finale.

Figura 1. L’interpretazione della dinamica di un sistema dipende dal modello usato per la sua descrizione.

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Ritorniamo a quello che stavamo dicendo. Abbiamo detto: a seconda dell’interpretazione che scegliamo di utilizzare per analiz-zare il nostro sistema, anzi proprio a seconda del modello interpre-tativo che adottiamo a questo scopo, abbiamo una diversa visione dei fenomeni in gioco. Questo, tra l’altro, toglie molta vigoria a chi dichiara solennemente di seguire la visione scientifica del mondo. Infatti: quale visione è, quella che egli dichiara scientifica? Quale tra le tante? Da quale modello la trae? Il fatto innegabile che il modello possa essere molto utile per effettuare calcoli, avere idee ingegnose, poter ottenere una visione d’insieme del fenomeno, non ci autorizza ad estrarne considerazioni relative a presunte visioni scientifiche del mondo.

3.3. I varI sIgnIfIcatI del modello In scIenza

In “L’analogia come concetto analogico”, A. Olmi14 affronta il concetto di modello, cercando di esplicitarne i vari significati. L’autore esamina i modelli ed i loro usi in fisica, chimica, biolo-gia generale, ecologia, geografia umana, insomma in quasi tutte le scienze fisiche o in qualche modo imparentate alla fisica.

Esistono vari modi o significati per cui si può parlare di “mo-dello”.

Innanzitutto ne parliamo come di un esempio paradigmatico, qualcosa di singolarmente rappresentativo. Per esempio quando diciamo di qualcuno: è un modello di dedizione, o di coraggio, o di efficienza.

Come secondo esempio, vi è quello di un oggetto da cui si parte e cui si fa riferimento per la realizzazione di qualcosa: schizzo o disegno da cui cavare un dipinto o una statua. Possiamo riferirci a tale caso come a un modello in senso euristico o causale: euristi-co, nel senso che spesso la mente, per creare qualcosa, ha bisogno di uno schizzo o qualcosa di simile, proprio per riuscire a trovare delle soluzioni accettabili15; causale, nel senso che la costruzione

14 Olmi, in Bertelé, Olmi, Salucci, Strumia [1999].15 Cellucci [2005].

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dell’opera avverrà proprio secondo indicazioni fornite, per così dire, dal modello.

Riproduzione bi- o tri-dimensionale di qualcosa che è o sarà, come quella fornita da una carta geografica, il Colosseo in miniatu-ra, un modello in scala 1:20 di un palazzo che si intende costruire, ecc. Abbiamo in questo caso una mappa di certe caratteristiche, non tutte, dell’oggetto che vogliamo rappresentare.

Raffigurazione analogica di qualcosa. Volendo fare un esem-pio, pensiamo ad un modellino a stecchini di legno e pongo di una molecola.

Modello planare della molecola di metano

Modello tri-dimensionale, realizzato mediante biglie e

bastoncini, della molecola di metano

Figura 2. Modelli della molecola di metano.

Un tal modello sarà topografico o topologico (a seconda che sia planare o in tre dimensioni, e a seconda dei rapporti tra le “distan-ze” raffigurate tra i vari atomi che compongono la molecola).

La proprietà più importante o se vogliamo caratteristica di tale

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raffigurazione è quello che si può ben definire isomorfismo opera-zionale. Riguardo a questa proprietà è bene dire brevemente che cosa si intende con essa: l’isomorfismo è come noto una proprie-tà matematica. Iso=uguale, morfé=forma. Quindi il termine dice, all’ingrosso, che c’è una somiglianza di forma tra due insiemi. Più precisamente, per isomorfismo si intende una corrispondenza biunivoca tra due strutture algebriche che conserva le operazio-ni. Quindi dire “isomorfismo operazionale” è superfluo. Abbiamo però voluto mettere in risalto (tramite una endiadi) la natura non statica dell’isomorfismo. Il modello si comporta rispetto ad una certa operazione in modo analogo a quello della natura rispetto ad un’altra (corrispondente) operazione. Facciamo un esempio di que-sto fatto, relativamente semplice. Supponiamo di avere realizzato un modellino di una molecola complessa, con stecchini di legno e palline di pongo; se rompiamo uno di questi stecchini, otteniamo due strutture, generalmente diverse, con diverse proprietà. La stes-sa cosa accadrà se rompiamo il legame corrispondente, nella mole-cola vera e propria. Ecco quindi realizzato un tipo un poco speciale di isomorfismo, in cui si fa uso del concetto di analogia.

Parliamo ancora di modello a proposito di una ipotesi più o meno ragionevole e semplificatrice per capire il comportamento di un sistema. In matematica, ma anche in fisica, per esempio, si chiama usualmente modello una equazione (con una leggera di-storsione linguistica). Notiamo che, anche in questo caso, può es-sere mantenuto l’isomorfismo operazionale.

In logica matematica, per modello si intende l’interpretazione di un formalismo. Dato un formalismo coerente ci sono più mo-delli, tra loro anche non isomorfi. Data una teoria (formale) ci sono più interpretazioni-modelli di essa.

Vediamo quindi che il “modello” può avere più significati: rap-presentativo, esemplare paradigmatico, mappatura (parziale), to-pografico-topologico con isomorfismo operazionale, ipotesi espli-cativa, interpretazione. Comunque ci pare che la prima distinzione da fare, a proposito del modello, sia la seguente.

Innanzitutto il modello può essere inteso come la raffigurazione di un processo, un sistema, ecc., che lo scienziato si fa tra sé, nella

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sua mente. Diciamo che in questo senso è una visione della mente. Tommaso parlava in proposito di phantasmata.

Ancora più importante, se possibile, almeno sul piano dell’ope-ratività, è la seconda interpretazione: quella secondo cui il modello è inteso come disegno, schizzo, schema, oppure un oggetto fisico, sul quale lo scienziato può operare16. Con quest’ultimo significato del termine tutto ciò che abbiamo detto sull’isomorfismo acquista veramente significato e validità.

Negli ultimi anni il modello è stato riconsiderato da molti autori come fondamentale nel dare un’interpretazione valida del cammino della scienza. Siamo tuttavia convinti, contro la cosiddetta visione semantica della scienza17, che una teoria scientifica non possa es-sere considerata semplicemente come una collezione di modelli. È vero che la teoria è in corrispondenza con una collezione (che può anche essere infinita) di modelli, tuttavia essa non va pensata come qualcosa di diverso da quello che è: un insieme di proposizioni, di segni, che ovviamente richiedono un’interpretazione. In ogni caso, consideriamo questa esagerazione come significativa: anche per i sostenitori della visione semantica, la considerazione dei modelli è importante. L’importanza dei modelli è significata anche dal fatto che quei filosofi ne hanno esagerato il ruolo nel definire che cosa sia una teoria scientifica.

Il fatto che una teoria sia in corrispondenza con un insieme di modelli, può aiutarci a spiegare la sopravvivenza di qualche mo-dello al cambio di teoria. Infatti, come ad una teoria corrispondono più modelli, così un modello può corrispondere a più di una teoria. Per non stupirci troppo di questa affermazione, conviene riferirci a qualche esempio.

Così, ad esempio, l’equazione di Laplace si applica alla dina-mica dei fluidi ed alla diffusione del calore; ritroviamo la seconda legge di Ohm (sostanzialmente) tutte le volte che si ha a che fare con fenomeni di trasporto in presenza di un gradiente e di un’im-pedenza.

16 Cellucci [2005].17 Giere [1988], Fano [2005], Fano-Macchia [2009].

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Equazione di LaplaceL’equazione di Laplace è l’equazione differenziale ∇2f=0, ove ∇2 (si legge nabla quadrato) è l’operatore tale che, in coordinate cartesiane:

∇2f = ∂2f + ∂2f + ∂2f ∂x2 ∂y2 ∂z2

La funzione f è una funzione reale incognita. Il significato fisico dell’equazione di Laplace dipende dalla funzione f. Secondo la natura di f, l’equazione di Laplace descrive problemi di fluidodinamica, conduzione del calore ed elettrostatica.

Le cose stanno insomma proprio come dice Basti:La teoria maxwelliana dell’elettromagnetismo, altro non è che un particolare modello applicativo di una certa classe di equazioni alla rappresentazione del moto delle cariche elettriche in un campo di forze. Il medesimo tipo di equazioni può essere applicato anche alla rappresentazione del moto delle particelle in un fluido, secon-do un altro modello o «interpretazione» del medesimo sistema for-male. Anzi, storicamente, Maxwell mutuò la sua teoria (modello) elettro-magnetica proprio da un tale modello idrodinamico e solo dopo fu definito il sistema formale da cui e l’uno e l’altro modello derivavano.18

3.4. la teorIa arIstotelIco-tomIsta della scIenza

La scienza ci appare oggi come un’immensa, complicata im-presa in cui confluiscono le più svariate competenze tecnologiche, matematiche, statistiche, ecc. Non è più il risultato dell’opera di un solo uomo, delle sue intuizioni geniali, ma del lavoro di molte persone, ciascuna con un proprio bagaglio, da immettere nel com-plesso, enorme e non sempre conosciuto, dal singolo ricercatore, altrimenti che in modo molto approssimativo.

È scienza-industria, insomma. Si ponga mente ad un accelera-tore di particelle, o ad un laboratorio di ricerca sui raggi cosmici, e

18 Basti [2002], p. 237.

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si capirà facilmente cosa intendiamo. Questo complica oppure no il lavoro dell’epistemologo, cioè di

colui che cerca di ricostruire razionalmente il lavoro dello scienzia-to? Il lavoro matematico è spesso compiuto da esperti che riman-gono sostanzialmente all’esterno del gruppo di ricerca; lo stesso può dirsi degli ingegneri che progettano certe parti del macchinario utilizzato ed assemblano il tutto. Quali e quanti modelli entrano nel lavoro del fisico che deve trarre le conclusioni dal comportamento del sistema? Come possiamo essere certi di poter applicare al lavo-ro di questi fisici, oggi, le categorie, i paradigmi, le intuizioni di un Popper, un Kuhn, oppure di Duhem, Koyré, ecc.? È ancora la stes-sa scienza di cui si occuparono queste persone, o è un’altra cosa?

A parte il fatto che crediamo profondamente alla frase di Bro-nowski citata all’inizio, preferiamo però pensarla e riferirla al lun-go periodo. Siamo insomma convinti che il lavoro dello scienzia-to, oggigiorno, non sia sostanzialmente cambiato rispetto a quello svolto fino alla fine del secolo scorso. Anche se le condizioni di lavoro sono mutate, per molti scienziati, in modo significativo (an-che dal punto di vista delle interazioni con i colleghi – matematici, ingegneri, ecc. –), riteniamo che tutti, più o meno, lavorino nello stesso modo. Specifichiamo meglio quello che intendiamo.

Riteniamo che, per adesso, i cambiamenti sociologici cui è an-data incontro la scienza, i mutamenti di scelte metodologiche, l’ac-cresciuta interazione tra scienziati delle più varie specializzazioni, non ne abbiano cambiato la natura in modo sostanziale. La scienza è sempre la stessa, sostanzialmente, in quanto ci sembra sempre necessaria la mediazione del soggetto. Certamente, il soggetto (lo scienziato) deve fare un affidamento aumentato a dismisura sul la-voro altrui. È così che il fisico si affida al matematico, entrambi si affidano all’ingegnere, il quale si fida di quanto gli viene detto dal matematico, ecc. Diciamo che il lavoro del fisico si è arricchito, negli anni, di fiducia negli altri, nell’altrui lavoro, negli altrui ri-sultati. Ma questa dimensione di affidamento, di fiducia, di dare credito a quello che altri fanno, fa parte da sempre del lavoro dello scienziato.

Da sempre lo scienziato è costretto a fidarsi dei colleghi, non

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può controllare di persona tutte le teorie matematiche che usa, spesso è costretto a prendere per buoni dei risultati di cui non co-nosce neppure la provenienza.

Basti pensare (per rendersi conto appieno di questa situazio-ne) al fatto che, anche nella più rigorosa teoria assiomatica (non formalizzata), ci sono sempre dei postulati nascosti, senza che noi ce ne accorgiamo. Sempre il lavoro dello scienziato può nascere solamente da una fede negli altri e nel lavoro degli altri.

Quindi, il lavoro dello scienziato è sempre stato caratterizzato da una tale forma di fiducia in altri: nelle altrui teorie, ipotesi, con-getture di lavoro.

Pertanto, riteniamo si possa ancora accordare fiducia alla filo-sofia della scienza tradizionale, e precisamente a quella aristote-lico-tomista. Secondo questa filosofia, ogni scienza è definita dai propri oggetti. Oggetto non è semplicemente la cosa, perché ogni scienza considera le cose secondo un particolare punto di vista. Ogni scienza si ritaglia un particolare aspetto delle cose, di cui essa fa il proprio oggetto. Questo oggetto della scienza non va quin-di assolutamente confuso con la cosa. Insomma, è (decisamente) cosa ≠ oggetto. Consideriamo, per fare un esempio, un gatto in caduta libera. Come si sa, un gatto generalmente riesce, mentre cade, ruotando attorno alla propria coda (mantenuta tesa e lontana dal corpo), a toccare terra a quattro zampe, qualunque sia la sua posizione iniziale. Questo fenomeno, la caduta a quattro zampe del gatto, può essere studiato da varie scienze. Cinematica e dinamica dei corpi in caduta con accelerazione non costante, dinamica dei corpi in rotazione, neurologia, scienza dei riflessi: sono solamente alcuni esempi. Altri se ne possono fare: come di scienze che studi-no l’andamento dei battiti cardiaci o la circolazione sanguigna del gatto mentre cade; oppure una che si interessi delle onde cerebrali del gatto e delle loro variazioni mentre è in caduta.

La distinzione tra la cosa (l’ente a noi esterno) e l’oggetto (il modello dell’ente) è essenziale per aiutarci a risolvere alcuni pa-radossi della teoria quantistica. Consideriamo il noto esempio del gatto di Schrödinger. Un gatto è chiuso in un contenitore ermeti-co, al cui interno si trova un’ampolla di gas velenoso. Il gas sarà

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rilasciato nel contenitore, provocando la morte del gatto, se e solo se un contatore Geiger registrerà la presenza di particelle prodot-te del decadimento di una sostanza radioattiva, presente anch’essa nel contenitore. Secondo la teoria quantistica, il gatto si trova in una sovrapposizione di stati “gatto vivo” e “gatto morto”, la cui evoluzione segue le equazioni di Schrödinger. Il gatto non è mai definitivamente morto né definitivamente vivo, ma oscilla tra uno stato e l’altro. Quando lo scienziato apre il contenitore e osserva il gatto, fa collassare la funzione d’onda, congelando il gatto nello stato “vivo” o “morto”. Questa descrizione è incomprensibile: noi tutti sappiamo che il gatto non è mai nella sovrapposizione di stati “vivo” e “morto”, ma è l’uno o l’altro (e, ovviamente, quando il gatto è nello stato “morto”, non tornerà mai più in quello “vivo”). Il paradosso si può risolvere osservando che stiamo confondendo il gatto come cosa (noumeno, direbbe Kant) e il gatto come og-getto scientifico (fenomeno). La meccanica quantistica descrive il gatto usando un particolare modello, adatto alle proprie esigenze. L’oggetto della teoria dei quanti non è il gatto in sé (il gatto-cosa-noumeno) ma il modello di gatto (il gatto-oggetto-fenomeno). La teoria dei quanti si sofferma su alcuni aspetti del gatto-nel-conte-nitore, tralasciandone altri. Quando noi parliamo del gatto come di un essere vivente macroscopico che è vivo o morto, ma non entrambi, stiamo parlando di un modello di gatto (il modello usato dal senso comune e dalla biologia), non del gatto-cosa. I modelli di gatto della teoria dei quanti e del senso comune (o della biologia) sono tra loro incompatibili. Questo fatto non deve sorprenderci: se ritagliamo aspetti diversi della realtà, possiamo ottenere descrizio-ni tra loro contraddittorie.

Quando consideriamo uno scienziato o un gruppo di scienziati che svolge qualcuna delle loro indagini, abbiamo sempre a che fare con persone che si affidano, nelle loro ricerche, a una o più teorie.

Ora possiamo chiederci: che cosa è caratteristico di tutte queste scienze? Che cosa è caratteristico di tutte queste teorie? È, come abbiamo visto, la circostanza che ogni cosa è considerata secondo un particolare aspetto. Quindi ognuna di tali scienze, già dall’ini-zio e – si può dire – per definizione, stabilisce, accetta, di avere

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dei limiti. Questi limiti possono avere per uno o più aspetti carat-teristiche d’infinità – possono cioè riguardare, almeno all’inizio, un’infinità di casi.

Asseriamo che la filosofia aristotelico-tomista può fornire una valida sistemazione ai vari problemi su cui da alcuni anni si acca-niscono i filosofi e gli epistemologi. Questa affermazione è per-lomeno sorprendente, poiché sappiamo che né in Aristotele né in Tommaso si trovano trattazioni estese di che cosa è una scienza o una teoria scientifica. Sappiamo anche che per entrambi questi pensatori la scienza aveva una struttura fondamentalmente fatta di induzione e solo successivamente di deduzione19 da principi primi; Aristotele si è preoccupato, negli Analitici Secondi, di esplorare tutte le possibili versioni di una buona dimostrazione da principi primi ritenuti indubitabili; è parimenti noto che la logica aristote-lica è stata trovata mancante in talune sue parti nel secolo scorso. Anche Tommaso d’Aquino, nel secolo XIII, aveva un’idea piutto-sto ridotta di cosa è una scienza.

Per la sensibilità dei tomisti moderni è piuttosto facile indivi-duare il campo proprio della fisica-matematica attuale in quelle che Tommaso chiama scientiae mediae. Tommaso ne parla ad esempio nel Commento al «De Trinitate» di Boezio (Lettura II, questione I, art. 3, risposta alla sesta obiezione):

Ci sono tre categorie di scienze per quanto riguarda gli oggetti della fisica e della matematica:- Quelle della prima categoria sono puramente fisiche: esse

considerano le proprietà delle realtà naturali come tali e sono la fisica, la scienza agraria, ecc.

- Quelle della seconda categoria sono puramente matematiche: esse si occupano delle quantità come tali, come la geometria si occupa dell’estensione e l’aritmetica del numero.

- Quelle della terza categoria sono intermedie, dal momento che applicano i principi della matematica alle realtà natura-li, e sono la musica, l’astronomia, ecc. Esse sono più vicine alle matematiche, perché nella loro considerazione ciò che è fisico gioca il ruolo di materia, mentre ciò che è matematico

19 Basti [2002].

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gioca il ruolo di forma; così la musica non considera i suoni in quanto sono suoni, ma in quanto stanno in una proporzione numerica; similmente le altre scienze di questo tipo. Di conse-guenza conducono delle dimostrazioni riguardanti gli oggetti fisici, ma con metodi matematici. E così nulla impedisce loro di trattare della materia sensibile, in quanto sono scienze di tipo fisico; nel contempo sono scienze astratte in quanto ma-tematizzate.

Per Tommaso erano esempi di scienze medie l’astronomia, l’ot-tica (geometrica), la musicologia. Tutte queste scienze (Tommaso non aveva a disposizione l’enorme varietà che sta oggi dinanzi ai nostri occhi), o, come oggi potremmo dire, tutta la scienza matema-tizzata, utilizzano in vari modi la matematica, i suoi procedimenti, i suoi concetti, per capire la natura, il mondo che ci circonda.

Tra i tomisti contemporanei è diffusa l’idea che questo concetto tommasiano, quello di scienza media, sia la chiave giusta per ac-cedere alla comprensione della scienza contemporanea20. Notiamo che già in questo concetto, quello di scienza media, si annida un altro concetto cui faremo robustamente ricorso: quello di analogia.

Avremo occasione di discutere, più avanti, perché ci sembrano del tutto inadatte a descrivere l’attività scientifica: il falsificazioni-smo, il finzionalismo, la teoria evoluzionista della conoscenza, lo strumentalismo21. Per ora vogliamo solamente presentare almeno approssimativamente la teoria circoscrizionista della scienza.

3.5. analogIa con le proIezIonI geografIche

Ma che cos’è che dà luogo alla corrispondenza-similitudine-analogia con la realtà: la teoria o il modello? È, senza ombra di dubbio, il modello. Per questo, siamo costretti a concentrarci sui modelli, sul loro ruolo nell’indagine scientifica. Siamo per così dire condotti a proporre questo schema: teoria ↔ modello ↔ (par-te di) realtà.

20 Verneaux [1966].21 Valenti [2012].

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Figura 3. Le teorie (a sinistra) corrispondono a più modelli (a destra). Un modello è in corrispondenza con più teorie. Il modello corrisponde a una parte circoscritta della realtà, rappresentabile da diversi modelli.

La corrispondenza teoria ↔ modello è assolutamente non ba-nale: basti pensare che, data una teoria, ci sono generalmente molti modelli, tra loro isomorfi e, nella maggior parte delle teorie interes-santi, anche non isomorfi. Il modello (qualunque esso sia) è inol-tre in corrispondenza con una parte soltanto della realtà. Basti qui

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richiamare alcuni esempi di modelli usati in fisica, per chiarire il senso di questa affermazione. La legge di dilatazione lineare (usata in termologia), pur valida con buona approssimazione in un vasto intervallo di temperature, non è perfettamente in accordo con i dati sperimentali. Essa è molto utile per le applicazioni pratiche, ma comunque va considerata niente più che un’approssimazione, in un ambito di fenomeni piuttosto ristretto. È, per usare le parole di un diffuso testo di fisica, “un modello”22. Oppure potremmo citare il modello a vasi comunicanti, che vale ovviamente per diametri non troppo piccoli dei vasi, in modo da non dar luogo al fenomeno della capillarità. È sempre così che lavora un fisico: accettando fin dall’inizio di porre limitazioni al proprio lavoro, nel senso che si occuperà di una parte soltanto dei casi possibili; inoltre restringerà sempre le ipotesi del modello che utilizza.

La corrispondenza detta: teoria ↔ modello ↔ (parte di) realtà, trova una piena e soddisfacente analogia con la corrispondenza tra parti della superficie terrestre e carte piane (bidimensionali). Per quanto rappresentazioni di aree relativamente piccole (come una provincia italiana) diano sostanzialmente un’idea veritiera di quan-to rappresentato, le cose cambiano e di molto quando dobbiamo rappresentare, ad esempio, interi continenti.

Nel proporre questa teoria della scienza, intendiamo quindi far ricorso alla nozione di analogia23, precisamente alla analogia di proporzionalità. Diremo che la scienza, meglio la teoria scientifica sta (attraverso i suoi modelli) alla realtà come le carte geografiche

22 Amaldi [2012], p. 302.23 Tommaso D’Aquino, 1 Sententiarum, d.19, q.5, a.2, ad 1; De Veritate,

q.2, a.11; Summa Theologica I, q.13, a.5 <www.corpusthomisticum.org>; Bertelé, Olmi, Salucci, Strumia [1999]; Basti, Testi [2004]; Strumia [1992, 2006] (in particolare, di Strumia [1992], Capitolo VI, La metafisica, alla voce L’Analogia: Analogia e scienza galileiana, Analogia e matematiche, Logica e analogia, alle pp. 229-242). Anche Berselli-Testi [2005], riconoscono che «Aristotele e Tommaso […] affermano […] la necessaria incompletezza della conoscenza umana [...] e una reale pluralità di approcci scientifici alla mede-sima realtà» (p. 25). Più avanti sostengono che la prospettiva epistemologica tomista «riesce quindi a rendere ragione […] della diversità e autonomia delle varie scienze; sia della loro unità, ultimamente fondata in quella realtà da cui tutte le scienze […] trovano la loro origine ed il loro termine» (p. 91).

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stanno al globo terrestre (o, più precisamente, a parti di esso). La superficie terrestre reale può essere pensata come tridimen-

sionale liscia, se si trascurano rilievi o avvallamenti del suolo. Come tutti sappiamo, non è una superficie sferica ma schiacciata ai poli. Un’approssimazione di essa è l’ellissoide di rotazione. La raffigurazione su carta (piana) di una superficie così fatta (o sferi-ca, o che sia un ellissoide di rotazione) o di sue parti è operazione inscrivibile nel problema della proiezione geografica24.

Come si sa, non è possibile ottenere una raffigurazione di tutta una superficie sferica (o circa sferica: l’ellissoide di rotazione ed il geoide, per esempio) su di un piano rispettando (simultaneamente) distanze, angoli, aree della superficie reale.

Corrispondentemente, ed analogicamente, possiamo avanzare l’ipotesi che non ci sia una (sola) teoria in grado di descrivere tutta la realtà: ma che ogni teoria abbia un dominio limitato (ovvero un ambito di realtà, o anche campo di applicazione), DE.

La situazione è analoga alla definizione di una funzione mate-matica. Come per le funzioni matematiche la definizione, per es-sere completa, deve specificare anche il dominio della funzione (ossia l’insieme di valori della variabile indipendente accettabili), così anche una teoria scientifica può dirsi conosciuta, esplorata, quando si conosce il dominio in cui la teoria vale, ossia il suo am-bito di validità.

Torniamo al problema della proiezione.La carta piana ottenuta con le regole di proiezione viene in ge-

nerale detta reticolato. Assegnata una certa suddivisione secondo certe geodetiche e linee curve del geoide, ad esempio attraverso meridiani e paralleli, il reticolato rappresenta su di una superficie piana i punti corrispondenti a quelli appartenenti alle geodetiche e alle linee curve. Questa costruzione (modello) è quindi sufficiente a trovare i punti corrispondenti sul piano di un qualunque punto sul geoide. Le leggi che stabiliscono la proiezione, ossia i tipi di proiezione, possono essere raggruppati: infatti, scegliendo oppor-tunamente la proiezione, è possibile conservare senza errori certi

24 Sestini [1967].

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angoli, oppure certe distanze, o ancora certe aree della superficie sferica. Una suddivisione primitiva potrebbe essere in: proiezioni isogoniche (che conservano inalterati gli angoli), proiezioni equi-valenti (conservano le proporzioni tra aree corrispondenti sulla carta e sulla Terra), proiezioni equidistanti (mantengono la propor-zionalità tra distanze corrispondenti sulla carta e sulla Terra, lungo certe linee).

Figura 4. La medesima regione del globo terrestre (Europa, Africa e parte dell’Asia) rappresentata a sinistra tramite proiezione isogonica e a destra tramite proiezione equivalente. Le due mappe sono modelli del globo terrestre che catturano soltanto alcune proprietà. La proiezione isogonica è utile per la navigazione, perché rappresenta una rotta costante mediante linee rette. La proiezione equivalente conserva i rapporti tra le aree: nella mappa, l’area dell’Africa sta all’area dell’Europa come l’area reale dell’Africa sta all’area reale dell’Europa.

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3.6. modellI e realIsmo plurale

Quanto detto fin qui contribuisce a ridimensionare (e di molto) l’argomento no-miracle di H. Putnam, come anche tutte le discus-sioni che ne sono seguite. Ricordiamo brevemente l’argomento di H. Putnam. Secondo questo filosofo americano, il realismo è l’u-nica filosofia che non renda il successo della scienza un autentico miracolo. L’argomentare di Putnam25 prende le mosse proprio dal successo straordinario che hanno avuto le nostre teorie scientifiche: esse permettono previsioni empiriche, retrodizioni, una quantità enorme di calcoli, applicazioni delle più svariate specie. Come è possibile una tale cosa? Putnam si pronuncia per una scelta realista proprio per evitare di dovere per forza pensare di trovarsi alla pre-senza di un miracolo.

Non intendiamo entrare in una discussione vera e propria né con Putnam né con i suoi (numerosi) detrattori. Rimandiamo in tal senso alla bibliografia26. Ci limitiamo a osservare quanto segue.

Dovremmo tenere presente quanto siamo venuti dicendo; che ogni modello ha un dominio limitato, un (ristretto o larghissimo, ma sempre) limitato campo di applicazione. Se teniamo questo pre-sente, allora ci sarà chiaro perché anche la teoria avrà giurisdizione solo su di una parte di realtà, non su tutto il reale. Ci sembra che anche tante (recenti) polemiche e discussioni su realismo ed anti-realismo perdano vigore ed importanza27. In proposito, una breve ma, crediamo, significativa osservazione. Ci pare che verità, realtà e termini dello stesso significato siano sempre rivolti al tutto; è chiaro che le cose cambiano se ci si rende conto della natura regio-nale dei nostri discorsi sul mondo.

Che cosa diremo, ora, della realtà della seggiola su cui sono seduto? Di che cosa è realmente fatta? Di legno di castagno e di vimini? Di protoni, neutroni, elettroni? O di quark? Di tutte queste cose!

Tutto dipende da quale punto di vista desidero descrivere la se-

25 Putnam [1975], p.73.26 Boyd [1989], Psillos [1999], Barnes [2002].27 Ladyman [2009]; Chakravartty [2011].

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dia: qual è la scala cui desidero fornire una descrizione reale della cosa sedia. Se pensiamo a come descrivere questo pensiero, l’e-spressione che si affaccia alla nostra mente è quella di realismo plurale. Pensiamo cioè che oggi tante difficoltà possano essere su-perate se ci si affida ad un pensiero realista ma non riduzionista, insomma una forma di realismo non esclusivo ed esclusivista, ma, per dirlo con una sola parola, plurale. Anche tante discussioni ri-guardanti il problema mente-corpo si dissolverebbero, allora, come neve al sole28. Tra l’altro, l’idea (diffusissima) che il più grande (la sedia) possa essere spiegato dal più piccolo (l’atomo? il protone? il quark?) è stata messa in discussione da B. d’Espagnat29. Questi ha dimostrato che alla base di questa idea vi sono assunti teorici in-compatibili con i fondamenti concettuali alla base della meccanica quantistica.

Posizioni filosofiche simili alla concezione che sosteniamo, il realismo plurale, non mancano nell’ambito della filosofia del-la scienza. Ci limitiamo a qualche cenno, per evidenziare come il punto di vista pluralista vada sempre più diffondendosi.

Troviamo esempi di pluralismo nella biologia contemporanea. John Beatty sostiene che per spiegare i fenomeni biologici è neces-sario ricorrere a una pluralità di teorie scientifiche.

Non esiste un’unica teoria o meccanismo – e neanche un’unica te-oria o meccanismo multi-causale – che possa spiegare ogni aspetto del dominio [della biologia]. Non è un problema di evidenza insuf-ficiente per una singola teoria; al contrario, vi è evidenza che sono richiesti più meccanismi di spiegazione.30

L’importanza del pluralismo è quanto mai evidente nel dibattito sulle specie biologiche. Una lunga tradizione, risalente almeno ad Aristotele, considera le specie biologiche come il tipico esempio di genere naturale. Il ben noto albero di Porfirio, che rappresenta gra-ficamente la modalità di definizione dei generi naturali tramite il genere e la differenza specifica, è originariamente costruito sull’e-sempio del genere naturale homo (la specie biologica degli esseri

28 Basti [2012].29 d’Espagnat [1980].30 Beatty [1995], in Sober [2006], p. 229 (tr. it. nostra).

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umani). In tempi recenti, la visione delle specie biologiche come generi naturali è stata contestata. Hull, nel suo seminale lavoro “A matter of individuality”31, ha argomentato che le specie biologiche non sono generi ma individui. Esiste una pluralità di approcci teo-rici al tema della natura delle specie biologiche. Vi è il tradizionale approccio basato sulla fertilità: una specie è composta degli indi-vidui che possono generare prole fertile. Vi è l’ancora più tradizio-nale approccio morfologico, che individua le specie ricorrendo ad alcune caratteristiche fisiche comuni. Accanto a questi, si sono svi-luppati punti di vista alternativi, che individuano le specie tramite caratteristiche (non necessariamente fisiche, ma anche etologiche) comuni, o che ricorrono a considerazioni genealogiche o evolutive, puntando sulle relazioni di parentela o di similitudine del DNA. Qual è il punto di vista corretto? La risposta è che non esiste un unico punto di vista corretto, ma che ciascuno di questi approcci ha un proprio campo di validità, nel quale esercita il proprio ruolo. Non esiste un concetto univoco di specie biologica, bensì esistono diversi modelli scientifici validi in opportune circostanze.

Il ruolo fondamentale svolto dal «livello di astrazione» per de-scrive un oggetto è sottolineato da Floridi:

la ricerca di conseguire una conoscenza incondizionata è equiva-lente al tentativo, naturale ma profondamente errato, di analizzare un sistema […] indipendentemente da qualsiasi (specificazione del) livello di astrazione al quale si conduce l’analisi, si pongono le domande e si offrono le risposte, in vista di uno specifico obiet-tivo […] Supponendo, per semplicità, che un livello di astrazione sia comparabile a un’interfaccia, non ha senso chiedersi se il siste-ma sotto osservazione sia finito nel tempo, nello spazio e nella gra-nularità in se stesso, indipendentemente dal livello di astrazione al quale è analizzato, poiché questa è una caratteristica dell’interfac-cia, e interfacce differenti possono essere adottate a seconda delle necessità e dei requisiti.32

Deve essere sottolineato che una chiara individuazione del livello di astrazione con cui il sistema è analizzato consente il pluralismo

31 Hull [1978].32 Floridi [2011], p. 59 (tr. it. nostra).

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senza cadere nel relativismo.33

Un’analoga forma di pluralismo, chiamata dal suo autore «rea-lismo promiscuo», è sostenuta da John Dupré.

La mia tesi è che ci sono innumerevoli modi legittimi, oggettiva-mente fondati, per classificare gli oggetti nel mondo. […] Quindi, mentre non nego che, in un certo senso, i generi naturali esistono, desidero inserirli in una metafisica di radicale pluralismo ontologi-co, alla quale mi riferisco come “realismo promiscuo”.34

La mia posizione è realista, perché sostengo che esiste qualcosa che legittima una buona classificazione […]. Ma la mia posizione riconosce anche un ruolo ineliminabile al classificatore umano nel selezionare un particolare schema di classificazione […]. Questa selezione dipenderà naturalmente, in maniera cruciale, dallo scopo per il quale la classificazione è costruita.35

33 Ivi p. 72 (tr. it. nostra).34 Dupré [1993], p. 18 (tr. it. nostra).35 Dupré [2002], p. 54 (tr. it. nostra).

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4. LA STRUTTURA DELLA SCIENZA

La scienza non posa su un solido strato

di roccia.Sir Karl Raimund Popper

4.1. fIlosofIa e scIenza

A differenza delle scienze puramente matematiche, quelle fisi-che e, del tutto in generale, quelle cosiddette empiriche (chimica, biologia, geologia, ecc.) non si limitano a verificare la loro coeren-za interna, ma vanno in cerca di corrispondenze (di natura e gradi diversi) con la realtà.

Lo scienziato fisico fa ampio uso della matematica. Anzi, spes-so egli interpella i matematici perché questi gli forniscano nuovi e più potenti mezzi logici e di calcolo, oppure qualche volta egli stesso inventa della matematica. Il suo lavoro è radicalmente di-verso da quello dei suoi colleghi matematici proprio perché egli deve, quanto più spesso è possibile, interpellare la natura, la mate-ria, per avere un responso sperimentale su quanto egli ha ottenuto attraverso la speculazione ed il calcolo. Non importa quanto pic-cola sia la frazione di tempo che egli dedica a escogitare controlli sperimentali. Non importa neppure quanto piccola sia la frazione delle teorie che parlano degli esperimenti (o cui gli esperimenti si possano riferire).

Quelle parti, di tempo e di teoria, sono essenziali perché carat-terizzano il lavoro dello scienziato fisico. Esse sono per così dire il “cuore” del suo lavoro. Esse caratterizzano il complesso delle sue attività e contribuiscono in modo insostituibile a dare un aspetto particolare al prodotto del suo lavoro, ossia le teorie che la fisica va proponendo, intorno alla materia ed al mondo che ci circonda.

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Questa ricerca di una corrispondenza con la realtà non è caratte-ristica solamente del lavoro del fisico: ma anche del chimico, del biologo, del geologo, ecc. Essa non è legata a vincoli particolari, non segue regole fisse. Anzi, gli stessi criteri che vi sovrintendono hanno subito una continua evoluzione (quasi una continua rivolu-zione) per opera degli stessi scienziati, nel corso del loro lavoro.

Ai suoi inizi, la scienza moderna era concepita come volta alla riproduzione del mondo esterno. Ciò sarebbe dovuto avvenire con l’ausilio delle esperienze di laboratorio e del ragionamento mate-matico (cioè con le sensate esperienze e le certe dimostrazioni di cui parlava Galileo). Il mondo “esterno” a sua volta era scritto in caratteri matematici, opera di un Creatore razionale.

A questo realismo immediato ed ottimista si sono sovrapposte filosofie della natura più complesse e problematiche. Così si è pas-sati dalla metodologia galileiana e dalle Regulae philosophandi di Isaac Newton alla grande crisi legata all’avvento della termodina-mica36. Questa grande rivoluzione scientifica, avvenuta due secoli fa, ci ha lasciato la consapevolezza che l’universo non è un Grande Orologio perfettamente prevedibile (come pensava il determini-smo). Inoltre è emerso sempre più che l’universo non è studiabile con rigore per mezzo della semplice applicazione di regulae, per mezzo di una metodologia immutabile ed astorica (com’era im-plicitamente sostenuto dalla metodologia galileiana e newtoniana).

Le due grandi rivoluzioni del secolo scorso, la meccanica dei quan-ti e la relatività einsteiniana, hanno acuito la consapevolezza degli scienziati della problematicità del realismo e della storicità della co-noscenza. Nel complesso è andata sempre più rafforzandosi una con-cezione fallibilista della conoscenza umana, cui è stata riconosciuta la difficoltà di pervenire ad un quadro unitario ed organico.

Qualcuno ha cantato vittoria, alla notizia di queste crisi della scien-za, del modello realista, dei canoni epistemologici galileiani e newto-niani. In particolare si è detto: il disegno di una ‘grande unificazione’ (Newton, Laplace, Einstein) si è dissolto come neve al sole. Forse, il timore di un imperialismo culturale della scienza e della filosofia scien-tista era così grande da oscurare il vero significato filosofico di queste

36 Bellone [1976].

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crisi. Qual è questo significato? Su che cosa occorre, filosoficamente,

interrogarsi?Una traccia di lavoro, certamente una sola tra le tante possibili,

potrebbe essere la seguente.Le scienze empiriche, che potremmo anche chiamare scienze

positive, pongono una serie di problemi che sono raggruppabili sot-to la voce di problema del realismo. Certamente, questa è solo una lettura possibile, non necessaria e forse non la più importante né la più interessante, della vicenda conoscitiva legata al progresso della scienza. Si potrebbe argomentare, con A. Eddington, sulla diversa rilevanza che la scienza contemporanea attribuisce al conoscere a priori, o su quanto abbiamo acquisito sui rapporti tra le varie teorie, o su altre problematiche interne all’epistemologia scientifica.

Per la filosofia nel suo complesso, tuttavia, la questione della rilevanza della scienza nel suo sollevare il problema del realismo è centrale ed ineludibile.

Il problema del realismo si è già manifestato in filosofia: l’in-terrogativo gnoseologico tradizionale comprende al suo interno il problema del realismo. Infatti accanto ai quesiti: Cos’è il conosce-re? Che cosa posso dire di conoscere? Esiste una conoscenza certa (epistème)? È questa conoscenza alla portata dell’uomo, è raggiun-gibile? La questione gnoseologica comprende anche il quesito: che cosa nel conoscere corrisponde alla realtà? Quali elementi della conoscenza hanno una corrispondenza con la realtà? Pensiamo, per capirci, alle varie teorie della verità, da Platone ed Aristotele fino a Russell e Tarski.

Pertanto, dobbiamo dire: il dibattito epistemologico sulla scienza è parte dell’interrogativo gnoseologico. Ciò in quanto esso verte su natura, ambito, portata e legittimità delle scienze naturali. Infine, in quanto esso verte sul problema del realismo, in riferimento a questa particolare forma di conoscenza, costituita dalle scienze positive.

Il modo dell’inserimento, nell’interrogativo gnoseologico e, at-traverso questo, nella filosofia, del dibattito sulle scienze naturali ha però connotati particolari, legati alla caratteristica di intersog-gettività goduta dal pensiero scientifico. Semplificando di molto,

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potremmo dire: l’individuazione dell’intersoggettività scientifica è operativamente equivalente alla messa in esecuzione del metodo della scienza.

Potremmo cioè immaginare un esperimento, consistente in que-sto: portare un comune cittadino, ignaro di questioni scientifiche, in un laboratorio scientifico e tentare di introdurlo in una qualche scienza. Se egli volesse farci delle domande, il titolare del labora-torio dovrebbe rispondergli, spiegandogli tutto quanto nel detta-glio: apparecchiature, tecniche di misura, teoria fisica sottostante, particolari accorgimenti. Insomma, proprio tutto.

Potremmo considerare questo comune cittadino un rappresen-tante, per così dire, del senso comune. Allora sarà possibile dire sensatamente quanto segue. Il senso comune, condotto nei labora-tori scientifici, o lascia i suoi preconcetti a favore delle asserzioni e delle problematiche scientifiche, o rinnega se stesso.

Questo rinnegare se stesso avrebbe l’aspetto (la prerogativa) di negare i suoi stessi presupposti, non solo le sue credenze. Presup-posti sull’evidenza, sul fatto che due più due faccia quattro, ecc. Questo ipotetico cambiamento indotto nel senso comune a causa della scienza non ha il significato di un adeguamento pieno o di un uniformarsi in tutto e per tutto alla scienza da parte del senso comune. Non sta a significare, se si vuole esprimersi così, un’assi-milazione alla scienza del senso comune. Sta piuttosto a significare la costante vittoria della scienza sul senso comune.

La scienza interroga la filosofia: i suoi problemi sono tali che gli scienziati (A. Einstein, N. Bohr, M. Planck, E. Schrödinger, F. von Weizsäcker, R. Feynman, B. d’Espagnat, …) si fanno filosofi. É praticamente infinita la lista di scienziati che si sono affaticati a filosofare: ricordiamo, oltre a quelli menzionati, anche i nomi di M. Born, P. A. M. Dirac, F. Selleri, W. Pauli, P. Jordan, W. Heisenberg, L. de Broglie, A. Eddington, … Né va considerata una scusante il fatto di poterli etichettare come kantiani, spinoziani, idealisti, ecc. Neppure va fatto troppo caso al fatto che qualcuno di essi fa filoso-fia negando di farla: per esempio Feynman.

Veramente il processo era già avviato da quando la fisica era detta filosofia naturale, dai tempi di Galileo, per intenderci. Si potrebbe a

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questo proposito argomentare sulla volontà di Galileo di proporsi, non solo come filosofo naturale, ma come filosofo tout court. Quel che è certo è che, anche qualche secolo dopo che è avvenuto quello che potremmo definire il Grande Divorzio (tra filosofia e scienza), il mondo è pieno di scienziati che sottolineano che quello che loro di-cono, scoprono, ricercano è sovrassaturo di idee, suggestioni, sugge-rimenti che dovrebbero interessare alla filosofia (in quanto rilevanti per la filosofia stessa).

Si è detto: la scienza si ripiega filosoficamente su se stessa. Si potrebbe argomentare (anche storicamente) sul carattere provviso-rio, palliativo di tale ripiegamento. Dato che la scienza interroga la filosofia, i problemi della scienza sono tali da interpellare la fi-losofia, suscitano interrogativi filosofici negli scienziati. Eppure la filosofia, quella dei filosofi “professionisti” non se ne cura. Quindi gli scienziati si arrangiano come possono.

Il porre problemi alla filosofia da parte della scienza non è un fatto esclusivamente interno, però, alla scienza stessa, trascurabile dai filosofi di professione. Ci si potrebbe chiedere quanto pesi, nel-la decisione di trascurare tale problema, la pigrizia intellettuale di persone che non vogliono dedicarsi allo studio della scienza, dopo tanta fatica intorno alle discipline filosofiche.

Ripetiamo: è un problema che tocca alla filosofia affrontare e dipanare. Ciò almeno perché l’intersoggettività scientifica non è ri-stretta alla scienza, non è un “fatto privato” della comunità scientifi-ca, come abbiamo visto. Sia l’uomo comune, armato di senso comu-ne, sia il filosofo devono essere consapevoli di questa non-trascura-bilità della scienza, dei suoi risultati e del successo dei suoi metodi. Devono, possiamo dire, riconoscere il traballare delle loro certezze. Sarà poi il filosofo, che non voglia cambiar mestiere, a dover capire, addentrarsi nei problemi, impadronirsi degli strumenti, ecc.

Bisognerà invece ammettere che l’epistemologia è parte della gnoseologia e che, quindi, lo gnoseologo deve ascoltare l’episte-mologo.

Ogni discorso filosofico, e, ad esempio, anche ogni protologia metafisica, almeno nella misura in cui fa appello ad assunti gnoseo-logici, deve tener conto della scienza e della filosofia della scienza,

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per i motivi seguenti. I principi primi di una metafisica sono soggetti o assoggettabili

a esame di ragione da parte della logica e della matematica. Cono-sciamo enti di ragione oggetto della matematica non visti dal sen-so comune, che estrapola erroneamente dal suo dominio limitato all’universale. Per esempio, che “il tutto sia maggiore di ogni sua parte”, vero per insiemi finiti, dominio del senso comune, viene eretto a principio universale. Eppure tale principio cessa di vale-re quando si considera il campo dei numeri reali (che è infinito). Sicuramente le proprietà di questi ultimi non sembrano definibili come verità di fatto e non di ragione.

La scienza ha scoperto leggi fisiche contrarie al senso comune, ad esempio in meccanica quantistica e teoria della relatività. Queste leggi non sono d’altronde limitate o relegabili a quanto accade nei laboratori, al microcosmo, a effetti “fini” osservabili in circostanze eccezionali. Sono leggi che manifestano sempre più i loro effetti su scala “umana”. Si può dire, in modo sostanzialmente poco preciso ma suggestivo, che questi effetti “strani” invadono il mesocosmo.

Il senso comune non ha più un “suo” terreno dove battere in ritirata. É la stessa Natura che, interrogata scientificamente, nega il senso comune (almeno “localmente”).

Si potrebbe dire, per inciso, che se un tal terreno del senso co-mune ci fosse, la filosofia potrebbe insistere a confrontarsi con il senso comune stesso, ignorando la scienza. Con ciò, beninteso, sa-rebbero drasticamente ridimensionate le sue passate pretese di uni-versalità e onnicomprensione37. La filosofia, limitandosi a questo terreno, condiviso col senso comune, sarebbe, comunque, qualcosa di molto diverso da una philosophia perennis. E saremmo di fron-te a una curiosa forma di schizofrenia culturale, almeno nel caso dell’uomo di scienza che voglia occuparsi di filosofia.

Fatto sta che sono preoccupazioni inesistenti: un tal terreno non c’è.Esiste poi il problema delle perturbazioni indotte nella realtà

dalla conoscenza, dagli atti conoscitivi. La scienza attesta, almeno da Heisenberg38, che il crollo del realismo ingenuo non è, per tale

37 Maritain [1932].38 Heisenberg [1991], p. 128.

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motivo, più ignorabile. A questo proposito, l’esame critico dei me-todi scientifici mostra che essi individuano le deformazioni indotte dai processi conoscitivi e ne tengono (criticamente) conto. Dunque la scienza è incamminata sulla strada (forse senza fine: si vedano in proposito K. R. Popper39 e C. Borghi40) della sua auto-correzione. Questo significa che la scienza è implicitamente tale da fornirci ga-ranzie della sua capacità di contribuire in futuro sempre più alla sua auto-correzione? La scienza può garantirci questo? No, ma essa può fornirci come minimo speranze in tale senso.

Mentre questa possibilità offerta dai metodi scientifici lascia aperto uno spiraglio per miglioramenti continui della scienza, il linguaggio comune è, per parte sua, intrinsecamente ambiguo: quindi, per ciò stesso, potenzialmente contraddittorio e perciò non correggibile. Costatiamo, si può dire, tutti i giorni, non appena ci soffermiamo a riflettervi, come il linguaggio comune non sia auto-correggentesi.

La logica può curare se stessa: in quanto deve curare se stessa41, essa può farlo. La logica può curare se stessa, il linguaggio comune no. Intendiamo dire che il linguaggio comune non può assogget-tarsi ad una cura severa e rigorosa che lo guarisca sicuramente dai suoi mali. Insomma non può assoggettarsi ad una cura logica, se-condo i canoni della logica. Potrà subire solamente cure palliative: piccoli aggiustamenti qua e là.

La scienza prende le mosse dal linguaggio comune, può par-zialmente ri-formularsi in quel linguaggio, ma ne evolve essen-zialmente. Si considerino, per capirci, il problema della matema-tizzazione delle scienze ed anche il problema di Wittgenstein sui rapporti tra linguaggio e matematica42.

La scienza è in grado di correggere se stessa: qui si trova la prova del progresso scientifico. Ciò è perlomeno vero in quanto si consi-dera il progresso da. È problematico e non intersoggettivo che sia o possa esservi un progresso verso, ossia che sia inscritto un finalismo

39 Popper [1976b]40 Borghi [1976a], [1976b].41 Wittgenstein [1980a (1921)]; proposizione 5.473.42 Wittgenstein [1971 (1956)].

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nella logica e nel cammino della scienza. Il senso comune è in grado di compiere, al massimo, uno ed un solo passo avanti: la sua tra-sformazione, indotta dalla scienza e dai suoi metodi. Localmente, si tratta sempre di un auto-abbandono, di una revisione completa delle proprie passate credenze. Ogni passo è possibile solamente in quanto segue quelli della scienza. Da solo, il senso comune non cammine-rebbe (o perlomeno non andrebbe molto lontano).

La ragione scientifica riconosce le deformazioni indotte nel re-ale dal processo conoscitivo e riconosce che non è in suo potere adattarvi i sensi. Di conseguenza non vi si può adattare il senso comune, nella misura in cui esso è tenacemente, invincibilmente legato ai sensi. Si badi: non si è detto, qui, che il legame tra senso comune e sensi sia banale, immediato, non bisognoso, a sua volta, di schemi teorici, deduttivi, astratti.

In sintesi: la ragione ha delle ragioni che il senso comune non sa capire.

Quando si ammette questo, si ammette la fine del realismo in-genuo.

La crisi del realismo ingenuo può essere vista come il distacco tra ragione e senso comune. Essa è operativamente equivalente al distacco tra ragione e senso comune. Ciò vuol dire: se si è d’ac-cordo con quanto si è detto finora, non si può continuare ad esse-re realisti ingenui e simultaneamente a voler usare la ragione. Al massimo si può rinunciare a tutte e due le cose: ma guai a chi lo facesse! L’unica soluzione possibile, a parte gli scherzi, è quella di abbandonare il senso comune.

Vediamo quindi che questa non è una crisi della ragione, né della razionalità scientifica, ma solamente del senso comune. Nella rimozione di questo equivoco, tra l’altro, sta una risposta (indiret-ta?) al pensiero ‘debole’ di G. Vattimo 43.

La filosofia non può dunque trascurare la scienza e la filosofia della scienza. Ancor meno può considerare quest’ultima come una disciplina particulare e marginale. Ciò in quanto da questa deci-sione ne va della sua propria storia, del suo destino. La filosofia deve confrontarsi (anche) con la scienza, non più (solamente) con

43 Vattimo, Rovatti [1983], Barzaghi [1998].

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il senso comune. Due protagonisti, due scuole, due tendenze si contendono anco-

ra oggi, qualche decennio dopo la loro scomparsa, il campo della filosofia della scienza: parliamo (naturalmente) di K. R. Popper e T. Kuhn.

A partire dalla sociologia della scienza di Kuhn non si pervie-ne ad un criterio di demarcazione o (richiesta, almeno apparente-mente, più debole) ad una descrizione caratterizzante ed univoca della scienza. Ci sarebbero inoltre argomenti logici-epistemologici per sostenere che, delle due teorie (falsificazionismo popperiano e Gestalt kuhniana), l’unica filosofia della scienza effettiva è quella di Popper: perché tratta dello status logico delle teorie, dei loro rapporti reciproci e nei confronti delle asserzioni-base e dei termini osservativi.

Consistentemente con ciò, i metafisici fanno poggiare il loro ‘ri-fiuto’ del dialogo con la scienza sul falsificazionismo. L’asserzione di G. Bontadini, per esempio, che il sapere scientifico è “struttural-mente” falsificabile, dovrebbe a rigore stare a significare che siamo di fronte ad una controvertibilità intrinseca, necessaria, non di na-tura contingente o in via di risoluzione. Tale asserzione può dun-que essere interpretata come il riconoscimento di una falsificabilità logica. Una confutabilità “sociologica” (o anche “psicologica”), posto che tale espressione possa avere un significato, sarebbe di carattere convenzionale, del tutto contingente e non strutturale, non intrinseca. Questa scelta di campo epistemologica si rivela dunque essere pienamente sensata, ma il “gran rifiuto” di cui si è detto è comunque criticabile, anche posto che le premesse epistemologi-che siano valide, ovvero se si condivide in pieno l’approccio pop-periano.

Criticabile oppure nutrito di una certa dose d’imprudenza? Una certa imprudenza è documentabile non solamente in forza dei punti detti, ma è rilevabile in base a quanto segue.

Anche se un positivo non sopprime un altro positivo (Bontadi-ni), può indurne delle modificazioni. Accettiamo il positivo della metafisica, ed anche quello della scienza. Come nella protologia

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di Bontadini44 il positivo del divenire pone in questione, senza mi-sconoscerne la natura di positività, il positivo dell’essere – ed il positivo dell’essere chiede la rimozione delle contraddizioni del divenire. E come in quella protologia la sintesi creazionista getta nuova luce e sulla tesi (essere) e sull’antitesi (divenire), pervenen-do ad un diverso, superiore, arricchito concetto di essere; non sarà il positivo della metafisica intaccato, messo in questione dalla sua “antitesi” scienza? Per trovare, come diceva G. Melzi45, una tesi-sintesi ad un livello superiore?

Posto che la metafisica non può mettere la scienza in un com-partimento stagno, che rapporto dovrà provare a instaurare tra i discorsi scientifici e le sue protologie “inconcusse”? Se dei due positivi (metafisica e scienza), la metafisica pretende di spiegare il tutto, di essere onnicomprensiva e onnisistemante, non è forse quel “tutto” ad andare a gambe all’aria, quando non spiega più la “parte” (scienza)? E che succede se la scienza per conto suo fun-ziona, ha successo, progredisce? La metafisica si occupa dell’esse-re: e dell’essere non fa parte la scienza? Exceptio probat regulam. Probat: la mette alla prova, la mette in discussione, la porta allo scoperto … È la parte a mettere alla prova, a interrogare il tutto: non viceversa.

È “pertinente” la chiusura in sé della scienza46? Ovvero, è au-spicabile? Cioè, sono auspicabili: le due culture47, il processo a Ga-lileo (esagerando), la schizofrenia intellettuale?

È pertinente la chiusura in sé della scienza? Ovvero: è fattibile? Attenzione: da parte della scienza, la chiusura non può essere com-pleta; il che è come dire che non può essere.

La scienza non trova in se stessa i suoi fondamenti, la sua giusti-ficazione. Ciò è vero almeno della matematica 48, ma è rilevante per

44 Bontadini [1982].45 Melzi [1983].46 Bontadini [1982].47 Riferisce in proposito il Corriere della sera del 9 Settembre 2012, a proposito

di una tesi esposta da Telmo Pievani, che auspica la netta separazione tra le due culture: sarebbe questa la garanzia del progresso di entrambe, se ognuna di esse potesse dedicarsi ai suoi metodi, in piena libertà ed indipendenza.

48 Melzi [1983].

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tutta la scienza, se si pensa alla matematizzazione di tutte le scien-ze, ed in particolare della fisica. Occorre poi porre mente al fatto che chimica, bio-chimica, ecc. non sono indipendenti (potremmo dire: non sono diverse) dalla fisica (teorema di Lichtenberg-Feyn-man-Roman49 sulla struttura di gruppo delle leggi fisiche).

Poste come comunque pertinenti queste obiezioni (ai metafisi-ci), e in particolare fermo restando che non è vero che la scienza non può intaccare le verità di ragione della metafisica, resta aperta la questione: è proprio vero che il sapere scientifico è struttural-mente (cioè logicamente) controvertibile? È proprio vero che il sapere scientifico è strutturalmente falsificabile? O è vero – in altri termini – che il falsificazionismo ci dà un criterio di demarcazione del sapere scientifico? Oppure: davvero il falsificazionismo ci offre una descrizione esaustiva e caratterizzante della scienza?

Se la risposta fosse negativa, si aggiungerebbe un ulteriore motivo perché la metafisica riveda il suo “agnosticismo”, il suo disinteresse nei confronti della scienza. Ogni difficoltà del falsi-ficazionismo nella sua descrizione della scienza si traduce in una domanda pressante (in aggiunta a quelle di cui già si è detto) alla metafisica: sul suo persistente atteggiamento di non-curanza per le scienze naturali e matematiche, e sulla legittimità di tale atteggia-mento.

4.2. la struttura della scIenza

Ogni scienza è fatta di teorie. Ogni indagine scientifica consta di uno o più assunti teorici che ne ispirano gli esperimenti, i pro-blemi insegnati agli studenti, le prime pratiche di laboratorio, tutta la successiva attività sperimentale … almeno sino a quando non subentra un’altra teoria al posto di quella attualmente in auge.

Questa sembra un’affermazione banale: eppure non lo è, se la consideriamo un poco a fondo. Abbiamo detto: ogni discorso scientifico poggia, trae fondamento da una o più teorie. Pertanto,

49 Borghi [1976a], [1976b]

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prima di cercare attorno alle teorie, quali siano i loro rapporti reci-proci, i loro rapporti con le asserzioni osservative, ecc., dovremo stabilire, preliminarmente, che cosa sia una scienza.

La risposta può essere facilmente rinvenuta nella filosofia ari-stotelico-tomista. Secondo questa filosofia, una scienza è definita dai propri oggetti. Oggetto non è semplicemente la cosa, perché ogni scienza considera le cose secondo un particolare punto di vi-sta.

Ogni scienza si ritaglia, per così dire, quell’aspetto delle cose che intende studiare, di cui intende fare il proprio oggetto. Quindi questo objectum della scienza non è e non va assolutamente con-fuso con la res.

Consideriamo, dunque, qualche altro esempio, oltre a quello del gatto in caduta libera e del gatto di Schrödinger (§3.4). Un altro esempio possibile è costituito da un branco di cavalli che vive li-bero su qualche altipiano erboso e ricco di pascoli. Un etologo ne studierà la struttura sociale, i legami nel gruppo tra le varie fami-glie, il comportamento dello stallone dominante; un nutrizionista gli effetti benefici dell’alimentazione di montagna sulla salute dei cavalli; un entomologo le popolazioni di parassiti locali; e così via. Ogni scienziato avrà di fronte un diverso oggetto.

Quando consideriamo uno scienziato o un gruppo di scienziati che svolge qualcuna delle loro indagini, abbiamo sempre a che fare con persone che si affidano, nelle loro ricerche, a una o più teorie.

Ora possiamo chiederci: che cosa è caratteristica di (tutte) que-ste scienze (teorie)? È, come abbiamo visto, la circostanza che ogni cosa viene considerata secondo un particolare aspetto. Quindi ognuna di tali scienze, già dall’inizio e – si può dire – per defini-zione, stabilisce, accetta, di avere dei limiti. Questi limiti possono avere per uno o più aspetti caratteristiche di infinità – possono cioè riguardare, almeno all’inizio, un’infinità di casi. Ciò nonostante, le teorie (e scienze) che vi corrispondono saranno ugualmente limi-tate, per qualche aspetto. In caso contrario non sarebbe possibile immaginare una situazione in cui ci si senta di dire, ad uno specia-lista qualsiasi, di rimanere nell’ambito della sua specializzazione (situazione, questa, comunissima).

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È anche questo aspetto, indubitabile ed apparentemente “inno-cuo” delle scienze, il loro essere “fin dall’inizio” limitate e circo-scritte, che ci fa dire: il destino delle teorie scientifiche non è la falsificazione, ma la loro circoscrizione.

Una teoria è demarcata, nel senso preciso che si occupa sola-mente di certi oggetti (quelli che sono gli oggetti della scienza cui appartiene). Una teoria è demarcata (circoscritta) nel senso che i suoi oggetti sono diversi, il suo campo d’azione è diverso rispetto a quello di altre teorie (magari si tratta di teorie rivali di quella presa in considerazione).

Ogni teoria scientifica è definita quando è definito il suo domi-nio, ovverosia il campo d’oggetti per cui essa è valida.

La storia della scienza non è fatta di teorie falsificate, ma di teorie circoscritte.

Resta vero che lo scienziato che cerca i limiti di validità della sua teoria mette in atto procedure, strategie, apparati sperimentali che sono esattamente gli stessi che egli userebbe nel caso cercasse di falsificare la teoria. Il falsificazionismo è, comunque, da rigetta-re. Questo è quanto vorremmo (argomentando) provare.

4.3. analogIa e epIstemologIa nella contemporaneItà

Qualunque cosa tu faccia, un buon angelo sarà

sempre necessario.Ludwig Wittgenstein

La filosofia della scienza sembra vivere oggi una strana stagio-ne.

Da un canto si assiste, tra gli scienziati, al diffondersi di un atteggiamento agnostico per quanto riguarda i problemi gnoseo-logici ed epistemologici. Sono diffusissime ed inespresse (per lo più) opinioni strumentaliste, o magari anche finzionaliste,50 sulla

50 Vaihinger [1967 (1911)]. Le tesi finzionaliste di Vaihinger sono sostenute da Boniolo [1988]. Per una presentazione chiara ed esauriente del finzionalismo

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scienza. Qualche scienziato, se interrogato in proposito, si dichiara a favore di una generica teoria evoluzionista della scienza (o del-la conoscenza). Del tutto in generale, sembra di poter dire quanto segue. Si direbbe proprio che gli scienziati siano, per la maggior parte, realisti tutti i giorni della settimana (quando devono lavorare e non possono riflettere troppo su quello che stanno facendo) e finzionalisti (o strumentalisti, o evoluzionisti) nei fine settimana, quando si fermano a rifletterci un poco sopra.

Dall’altro, si hanno filosofi della scienza come Larry Laudan51, che rinunciando espressamente al programma popperiano di indi-viduare un criterio di demarcazione tra scienza e metafisica, attua invece una sorta di Aufhebung (nel senso di indebolimento, me-scolanza che indebolisce) tra le teorie di Popper, Lakatos, Kuhn e Feyerabend52. C’è poi da dire che i filosofi (tout court, intendo dire non filosofi-di …) sembrano avere all’ingrosso abbracciato le tesi di K. Popper. Ad esempio segnala il carattere ipotetico-deduttivo della scienza E. Severino53, mentre G. Bontadini asseriva che il sapere scientifico è “strutturalmente” falsificabile54. Vedremo di stabilire che peso sia da assegnare a queste prese di posizione dei filosofi.

Oltre a discutere approfonditamente perché la visione strumen-talista della scienza sia assolutamente sterile, intendiamo criticare la teoria evoluzionista della conoscenza. Inoltre vorremmo argomen-tare a favore dell’impossibilità del falsificazionismo di demarcare

si può vedere Chalmers [1979]. Per capire perché diciamo che finzionalismo e strumentalismo sono vicini ai limiti della confusione, si veda alle pp. 126-127, in cui Chalmers dice cose che mostrano chiaramente come, anche per lui, stru-mentalismo e finzionalismo sono una sola e medesima cosa. Infatti egli parla dello strumentalismo, ma gli fa asserire tesi chiaramente finzionaliste. Contro i finzionalisti, vorremmo sostenere una prospettiva realista della conoscenza. Per una discussione seria ed approfondita delle caratteristiche del realismo, si veda ad esempio Molinaro [1998]. Si veda anche Scheffler [1972], pp. 195-234.

51 Laudan [1979].52 Popper [1970, 1976b, 1984a, 1984b, 1989]; Kuhn [1969, 1972, 1985];

Feyerabend [1979, 1983]; Lakatos-Musgrave [1976].53 Severino, Introduzione a Soncini-Munari [1996].54 Bontadini [1982]. Più precisamente dice, a p. 155: «il responso scientifico,

come si sa, è strutturalmente controvertibile, falsificabile di diritto».

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scienza e non-scienza.Oltre a fare ciò, proporremo (e difenderemo dai falsificazio-

nisti) una ‘nostra’ teoria della scienza. Secondo questa teoria, o, come dovrebbe dirsi, meta-teoria, ogni teoria scientifica ha un de-limitato campo di applicabilità, o ambito di validità, o dominio, entro cui essa trova corrispondenza; al di fuori di tale dominio la corrispondenza non è più garantita. Ogni teoria scientifica avrebbe dunque signoria su di un aspetto limitato della realtà.

Questa (meta-)teoria, veramente, è già stata presentata e difesa da W. Heisenberg ed E. Agazzi55. È stato Heisenberg, in partico-lare, a sottolineare il carattere di definitiva non modificabilità di una teoria scientifica, tenuto conto della sua completezza e delle numerose conferme sperimentali ricevute. Le successive smenti-te sperimentali cui una qualunque teoria può andare incontro non avrebbero, secondo Heisenberg, il carattere di falsificazione della teoria, quanto piuttosto quello di infirmare una delle sue ipotesi. Contro Popper, Heisenberg cita in proposito, ed a suo favore, anche il parere di C. F. von Weizsäcker. Inoltre, per Heisenberg, ciascuna di queste teorie possiede un ambito di applicazione limitato. Sem-pre secondo quest’autore, ogni teoria non è un’esatta rappresenta-zione della natura nell’ambito che si prende in esame. Ciò ricorda quanto dice E. Agazzi:

[…] la teoria vera, ossia la presunta teoria che dovrebbe abbraccia-re simultaneamente tutte le enciclopedie e tutti i dizionari, è solo uno spaventapasseri immaginario […] non esiste una presunta te-oria della totalità del reale.

Agazzi prosegue dicendo che la fisica newtoniana non è stata falsificata dalla relatività, ma piuttosto “esaurita” nella sua possi-bilità di studiare il proprio campo di oggetti; in questo campo la meccanica newtoniana è ancora vera per i suoi oggetti, quelli la cui

55 Per quanto riguarda Heisenberg, si vedano, dello scienziato tedesco, [1978 (1959)], p.58; [1982 (1977)], pp.138-142; [2003 (1958)], p. 207. Per Agazzi, si veda Agazzi, Minazzi, Geymonat [1989]. Le citazioni successive di Agazzi sono riferite alle pp. 146, 147 e 192 di quel testo.

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determinazione e misurazione avviene utilizzando certi strumenti di misura. Quindi è corretto dire non che la relatività ha falsificato la meccanica newtoniana, ma che essa ha piuttosto chiarito non tanto la sua falsità, quanto la sua limitatezza.

L’errore (e non solo nella scienza) è molto spesso (non sempre) la scoperta che ciò che si pensava valere per il tutto vale soltanto per una parte, e ciò conferma sempre meglio la natura del sapere scientifico, che è un sapere esatto proprio perché si istituisce entro limiti precisi, entro confini determinati, e quando una scienza rie-sce a chiarire bene i propri confini allora raggiunge, relativamen-te a quel ben delimitato ambito di realtà, una situazione di verità praticamente stabile, nel senso che tale verità è stabilita al di là di ogni dubbio ragionevole, pur restando, in linea puramente teorica e ipotetica, sempre soggetta a revisione.

Quindi, secondo Agazzi, le teorie possono venir dette vere o false solamente in senso analogico: come una fotografia non è in sé né vera né falsa, ma si può parlare per essa soltanto della relativa fedeltà rispetto al soggetto o modello, così la cosiddetta verità o falsità di una teoria non può essere stabilita soltanto con strumenti logico-empirici; sarà invece necessario ricorrere a strumenti di na-tura ermeneutica (ovvero interpretativa) più o meno complessi, che solo “analogicamente”, appunto, possono essere ricondotti al cri-terio della verità e falsità. E Agazzi conclude, significativamente:

Questo spiega, da un canto, come sia possibile cambiare le teo-rie tenendo ferma la “verità” scientifica delle leggi e, nello stesso tempo, indica come questo cambiamento delle teorie consenta di “comprendere” meglio la stessa verità delle leggi, ossia di rendersi conto delle sue condizioni, dei suoi limiti, oltre che dei rapporti che intrattiene con quadri concettuali più ampi e addirittura con altre leggi.

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Quindi da un lato Agazzi critica il falsificazionismo perché que-sto presuppone che ci sia (e debba essere cercata) una ed una sola teoria scientifica che riesce a descrivere la realtà (potremmo dire olismo teorico questo atteggiamento dei falsificazionisti); dall’al-tro Heisenberg riconosce che le teorie scientifiche possono preten-dere di avere validità in un loro dominio di applicabilità limitato. Nessuno dei due, tuttavia, ritiene di dover spendere molte parole sui motivi logici che stanno sotto questa scelta di campo episte-mologica.

Vorremmo riprendere il loro punto di vista, fornendone motiva-zioni logiche ed epistemologiche, mettendo in chiaro nello stesso tempo perché altre posizioni (falsificazionismo, strumentalismo, finzionalismo, …) non ci sembrano accettabili.

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5. IL MODELLO SINTATTICO

Crediamo che l’unione del modello sintattico e del modello se-mantico consenta un’adeguata descrizione delle teorie scientifiche. Molti filosofi della scienza ritengono che il modello sintattico e quello semantico siano l’uno in alternativa all’altro. Secondo noi è possibile fondere il modello sintattico e il modello semantico in un unico modello capace di descrivere le teorie scientifiche. Esponia-mo il modello sintattico in questo capitolo. Il modello semantico sarà oggetto del capitolo 6.

5.1. Il lInguaggIo delle teorIe scIentIfIche

Il modello sintattico, sviluppato principalmente da Rudolf Car-nap56, rappresenta una teoria scientifica come un insieme P di pro-posizioni chiuso rispetto alle regole di deduzione. In prima appros-simazione, identifichiamo una teoria scientifica T con la coppia (P, M), ove P è un insieme di proposizioni ed M è una collezione di interpretazioni.

Le proposizioni appartenenti a P sono espresse in un linguaggio formale L, definito nel modo seguente.

1) Il vocabolario V di L comprende i simboli elencati (usiamo k ed n per indicare numeri interi positivi).

1.1) Simboli logici: ∧ (congiunzione), ∨ (disgiunzione), ¬ (negazione), → (implicazione), ↔ (equivalenza), ∀ (quantificato-re universale), ∃ (quantificatore esistenziale).

1.2) Simboli matematici funzionali: simboli fnk che rappresen-

tano funzioni matematiche di k argomenti. Usiamo i simboli usuali

56 Nell’esporre il modello sintattico seguiamo Carnap [1956, 1958, 1966].

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per le più comuni funzioni, come le operazioni + - ∙ /, l’elevamento a potenza xy, l’estrazione di radice √x, la derivata dx/dy e l’integrale ∫dx.

1.3) Simboli matematici predicativi: simboli Pnk che rappre-

sentano relazioni tra k argomenti. Nel caso k=1, si è soliti dire che Pn

k è una proprietà. Usiamo gli usuali simboli per le comuni rela-zioni matematiche, quali maggiore >, minore <, uguale = e diverso ≠.

1.4) Simboli osservativi funzionali: simboli onk che rappresen-

tano funzioni osservabili di k argomenti. Una funzione è osserva-bile quando rappresenta un evento, un processo o una grandezza direttamente osservabile. L’ambito di applicazione del termine ‘direttamente osservabile’ non è ben circoscritto. I fisici, tuttavia, sono di solito d’accordo su quali eventi, processi e grandezze sia-no osservabili in una data teoria. Il medesimo evento, processo o grandezza può essere osservabile in una teoria e non osservabile in un’altra teoria.

1.5) Simboli osservativi predicativi: simboli Onk che rappre-

sentano relazioni osservabili con k argomenti. Se k=1, è consuetu-dine dire che On

k è una proprietà osservabile. Una relazione o una proprietà è osservabile quando rappresenta un evento, un processo o una grandezza direttamente osservabile. Anche nel caso delle re-lazioni e delle proprietà, l’ambito di applicazione di ‘direttamente osservabile’ non è chiaramente circoscritto. Tuttavia, i fisici solita-mente raggiungono il consenso sulle relazioni e le proprietà diret-tamente osservabili. La medesima relazione o proprietà può essere osservabile rispetto a una teoria e non osservabile rispetto a una diversa teoria.

1.6) Simboli teorici funzionali: simboli tnk che rappresentano

funzioni teoriche di k argomenti. Una funzione è teorica quando rappresenta un evento, un processo o una grandezza non diretta-mente osservabile.

1.7) Simboli teorici predicativi: simboli Tnk che rappresentano

relazioni teoriche di k argomenti. Quando k=1, parliamo di proprie-tà teoriche. Una relazione o una proprietà è teorica quando non è

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direttamente osservabile.

1.8) Simboli delle variabili e delle costanti: xn e cn.

1.9) Simboli ausiliari: le parentesi e la virgola.

2) Definizione dei termini di L. 2.1) I simboli xn e cn sono termini.

2.2) Se s1...sk sono termini e gnk è un simbolo funzionale mate-

matico, osservativo o teorico, allora gnk(s1,...,sk) è un termine.

3) Definizione delle formule di L. 3.1) Se s1...sk sono termini e Qn

k è un simbolo predicativo ma-tematico, osservativo o teorico, allora Qn

k(s1,...,sk) è una formula atomica.

3.2) Ogni formula atomica è una formula.

3.3) Se A e B sono formule, allora (A∧B), (A∨B), (A→B), (A↔B), (¬A) sono formule.

4) Se A(x) è una formula nella quale la variabile x non è vinco-lata, allora ∀xA(x) e ∃xA(x) sono formule nelle quali la variabile x è vincolata.

Spieghiamo le precedenti definizioni. Il linguaggio di una teoria comprendente vari tipi di simboli:• i simboli matematici, che esprimono le ordinarie funzioni ma-tematiche;• i simboli logici, che consentono di formare proposizioni com-poste di proposizioni più semplici;• i simboli teorici, che rappresentano eventi, processi o grandezze non direttamente osservabili;• i simboli osservativi, che rappresentano eventi, processi o gran-dezze direttamente osservabili.

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Le formule atomiche sono le formule più semplici, che espri-mono una relazione o una proprietà. Esempi di formule atomiche sono 1>2, 7+5=12, massa(Giove)=1,9∙1027 kg. Combinando tra loro le formule atomiche si ottengono formule composte, come:

• (1>2) ∧ (7+5=12), “uno è maggiore di due e sette più cinque è uguale a dodici”;• (1>2) ∨ (7+5=12), “uno è maggiore di due o sette più cinque è uguale a dodici”;• (massa(Giove)=1,9∙1027 kg) → (1>2), “se la massa di Giove è uguale a 1,9∙1027 kg allora uno è maggiore di due”.

I quantificatori consentono di produrre formule gene-ralizzate, quali:• ∀x(pianeta(x)→massa(x)≤1,9∙1027 kg), “tutti i pia-neti hanno massa non superiore a 1,9∙1027 kg”;• ∃x(pianeta(x)∧massa(x)=1,9∙1027 kg), “esiste un pianeta di massa 1,9∙1027 kg”.

Possiamo distinguere diversi tipi di formule del linguaggio L. Le formule logico-matematiche contengono soltanto simboli logici e matematici. Le formule osservative contengono anche simboli osservativi, ma nessun simbolo teorico. Le formule teoriche con-tengono simboli teorici. Esse sono di due tipi: formule teoriche pure, che non contengono simboli osservativi, e formule teoriche miste, che contengono anche simboli osservativi.

Formule teoricheFormule logico-

matematicheFormule

osservativeTeoriche pure Teoriche

misteSimboli logici e

matematiciSimboli logici, matematici e osservativi

Simboli logici, matematici e

teorici

Simboli logici,

matematici, osservativi e

teoriciFormule di una teoria scientifica (Carnap, 1966)

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Le formule teoriche pure corrispondono agli asserti teorici, os-sia a proposizioni scientifiche non controllabili tramite l’osserva-zione. La valutazione degli asserti teorici avviene tramite la dedu-zione di leggi empiriche confrontabili con l’osservazione. Le leggi empiriche sono formule osservative universali, schematicamente rappresentabili come ∀x(P(x,y,...)→Q(x,y,...)) o ∀x(U(f(x,y,...))→V(g(x,y,...))), ove P e Q sono simboli osservativi predicativi, f e g simboli osservativi funzionali, U e V simboli matematici predicati-vi. Una legge empirica è una proposizione che afferma l’esistenza di una relazione universale tra eventi, processi o grandezze osser-vabili.

Non è possibile dedurre leggi empiriche da sole formule teori-che pure. Le formule che esprimono leggi empiriche contengono simboli osservativi che sono assenti nelle formule teoriche pure. Da un punto di vista logico, non è possibile dedurre formule che contengono simboli che non compaiono nelle premesse, salvo casi banali nei quali le formule dedotte sono logicamente vere o la clas-se delle premesse è contraddittoria. Quindi, le leggi empiriche non possono essere dedotte da premesse che includono soltanto formu-le teoriche pure. È necessario che le premesse includano formule nelle quali occorrono sia simboli osservativi sia simboli teorici. La classe delle premesse deve quindi includere formule teoriche pure e formule teoriche miste. Le formule teoriche miste, che conten-gono simboli osservativi e simboli teorici, esprimono i postulati di corrispondenza. Esse mettono in relazione i simboli teorici con quelli osservativi. I postulati di corrispondenza danno un significa-to empirico parziale ai simboli teorici.

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5.2. assIomI e apparato deduttIvo

Le asserzioni di una teoria scientifica non sono logicamente in-dipendenti, ma hanno determinate relazioni logiche. Alcuni esempi di relazioni logiche tra due asserzioni A e B sono:• se A è vera allora B è vera;• A e B non sono entrambe vere;• A e B non sono entrambe false.

Una teoria scientifica non è un complesso statico di asserzioni. Le relazioni logiche tra le asserzioni della teoria tendono a crescere con il progresso della scienza. Due asserzioni A e B, che in deter-minato momento della ricerca scientifica sono indipendenti, posso-no risultare connesse da relazioni logiche scoperte in un momento successivo. Un esempio è offerto dall’elettromagnetismo e dall’ot-tica. Fino alla metà circa dell’Ottocento, non esistevano relazioni logiche non banali tra l’elettromagnetismo e l’ottica. In seguito, i fisici dimostrarono che la luce è un fenomeno elettromagnetico. L’ottica divenne derivabile dall’elettromagnetismo. I fenomeni elettromagnetici e quelli luminosi, inizialmente indipendenti, sono stati ricondotti a un’unica teoria. In tal modo, i fisici hanno potuto stabilire relazioni logiche tra asserti che ritenevano indipendenti.

Per rappresentare la struttura deduttiva di una teoria scientifica è opportuno cristallizzare la teoria, ossia considerarla come un in-sieme statico di proposizioni legate da relazioni logiche. Si tratta di un’idealizzazione estrema, poiché una teoria scientifica non è statica, ma è in continua trasformazione. La struttura deduttiva di una teoria è rappresentabile mediante una coppia (A, R), ove A è un insieme decidibile di proposizioni (gli assiomi) e R è un insieme decidibile di regole di deduzione. Una regola di deduzione consta di un insieme di premesse e di una conclusione. Schematicamente, una regola di deduzione è rappresentabile come

P1 … Pn

P

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Le proposizioni P1,...,Pn sono le premesse. La proposizione P è la conclusione.

Una dimostrazione di una formula P è un albero tale che:• i suoi nodi sono formule;• la radice dell’albero è la formula P; • le foglie dell’albero sono assiomi;• se un nodo N è il successore immediato dei nodi P1,...,Pn allora esiste una regola di deduzione avente P1,...,Pn come premesse e P come conclusione.

Abbiamo detto che possiamo identificare una teoria scientifica con la coppia (P, M), costituita di un insieme P di proposizioni e di una collezione M di interpretazioni. Le proposizioni di P sono espresse in un linguaggio L. Possiamo adesso migliorare la rappre-sentazione delle teorie scientifiche sostituendo l’insieme P con la tripla (L, A, R), ove L è il linguaggio, A è l’insieme degli assiomi e R è l’insieme delle regole di deduzione. Quindi, in seconda ap-prossimazione, una teoria scientifica è identificata con l’ennupla (L, A, R, M), costituita di un linguaggio L, di un insieme di assiomi A, di un insieme di regole di deduzione R e di una collezione di interpretazioni M.

Una presentazione formale di una teoria richiederebbe la pre-cisa formulazione degli assiomi e delle regole di deduzione. Per i nostri fini, è sufficiente una presentazione informale, basata su considerazioni intuitive. L’insieme R delle regole di deduzione comprende sia regole logiche sia regole matematiche. Un esempio di regola logica è quella che consente di dedurre la proposizione (A∧B) dalle premesse A e B. La regola è rappresentabile come

A , B(A∧B)

Rimandiamo ai comuni manuali di logica per una più completa esposizione57.

57 Vedi, per esempio, Rogers [1971], Borga [1995].

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Le regole matematiche consentono di dedurre una conclusione da un insieme di premesse sfruttando la capacità deduttiva della matematica. A titolo d’esempio, supponiamo che una teoria impie-ghi frequentemente la formula sin 2α = 2∙sin α∙cos α. Potrebbe es-sere più utile avere una regola che consenta di sostituire il termine sin 2α con 2∙sin α∙cos α, invece di dedurre dagli assiomi la formula sin 2α = 2∙sin α∙cos α, ogni volta che la si debba usare. Possiamo supporre la teoria contenga un numero ristretto di assiomi e un va-sto insieme di regole matematiche, in modo da non dover dedurre i teoremi matematici necessari. Possiamo immaginare che le regole matematiche siano espresse come regole di sostituzione, che con-sentono di sostituire termini matematici con altri termini. In questo modo l’insieme degli assiomi si riduce in modo considerevole.

Possiamo ipotizzare che gli assiomi siano in numero finito e che esprimano esclusivamente i principi fisici della teoria. Questa ipo-tesi è falsa, perché non è in genere possibile esprimere una teoria scientifica tramite un numero finito di assiomi. Non siamo tuttavia interessati a fornire una rappresentazione fedele di una qualsiasi teoria, bensì desideriamo esporre un modello che sia utile per stu-diare alcune (ma non tutte) le proprietà delle teorie.

Adottiamo dunque l’ipotesi che una teoria sia formulata tramite un insieme finito di assiomi, composto di formule teoriche pure e di regole di corrispondenza. Sia T la congiunzione degli assiomi teorici puri e C la congiunzione delle regole di corrispondenza. La congiunzione di T e C (indicata con TC) può svolgere il ruolo di unico assioma della teoria. È dunque possibile identificare una teoria con (L, TC, R, M), ove L è il linguaggio, TC è la congiun-zione degli assiomi teorici puri e delle regole di corrispondenza, R è l’insieme di regole di deduzione e M è una collezione di inter-pretazioni.

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5.3. enuncIato dI ramsey

La particolare formulazione delle teorie scientifiche nota come ‘enunciato di Ramsey’ è stata proposta in Ramsey [1929]. Presto dimenticata, fu riscoperta da Carnap intorno al 1950. Carl Gustav Hempel, conosciuti gli studi di Carnap, lo informò che Ramsey lo aveva preceduto di alcuni decenni. Carnap riconobbe la prio-rità di Ramsey e si riferì all’enunciato con il nome ‘enunciato di Ramsey’, con cui oggi è universalmente conosciuto.

Ricordiamo che qualsiasi funzione f di n argomenti può essere espressa mediante una relazione R di n+1 argomenti. Si conside-rino n oggetti x1...xn per i quali la funzione f è definita. Esiste un unico oggetto y tale che y=f(x1,...,xn). È possibile definire una rela-zione R tale che R(x1,...,xn,y) se e solo se y=f(x1,...,xn). La funzione f è rappresentata dalla relazione R. Ciò consente di formulare una qualsiasi teoria scientifica senza usare i simboli funzionali, ma ri-correndo solo ai simboli predicativi. Supponiamo, dunque, che TC non contenga simboli funzionali. L’enunciato di Ramsey RTC corri-spondente a TC è così definito:

• i simboli teorici di TC sono sostituiti con variabili libere diver-se;• per ogni variabile libera inserita nel passo precedente, si pre-mette alla formula un quantificatore esistenziale.

Come esempio, si consideri un assioma TC in cui occorro-no i simboli teorici T1,...,Tn e i simboli osservativi O1,...,Ok. In-dicando esplicitamente tali simboli, TC può essere scritto come TC(T1,...,Tn, O1,...,Ok). L’enunciato di Ramsey RTC corrispondente a TC è ∃x1,...,∃xnTC(x1,...,xn, O1,...,Ok).

Valgono le seguenti proprietà58.• Rispetto alle formule del primo ordine, TC è equivalente alla congiunzione di RTC e RTC→TC.• Le formule osservative del primo ordine che sono conseguenza

58 Psillos [2006].

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di TC sono le stesse formule che sono conseguenza di RTC. Ossia, RTC esprime il contenuto empirico della teoria TC.• Tutti gli enunciati osservativi del primo ordine che sono con-seguenza di RTC→TC sono logicamente veri. Ossia, RTC→TC è priva di contenuto empirico.

Carnap, al fine di definire rigorosamente sia la nozione di conte-nuto empirico di una teoria sia la distinzione tra enunciati analitici e sintetici, ha avanzato le seguenti proposte:• Il contenuto osservativo di una teoria è espresso dal proprio enunciato di Ramsey.• Gli enunciati analitici della teoria coincidono con le conseguen-ze di RTC→TC.• Gli enunciati sintetici sono quelli non analitici.

5.4. le IpotesI ausIlIarIe

La deduzione di teoremi che hanno rilevanza scientifica è (di solito) possibile solo se si aggiungono alle premesse alcune ipotesi ausiliarie. Tra le ipotesi ausiliarie vi sono sia i principi e i teoremi di altre teorie scientifiche, sia le condizioni iniziali e al contorno. La responsabilità di un’eventuale incongruenza tra previsione e os-servazione non è (di solito) attribuita alle ipotesi ausiliarie, ma è posta a carico dei principi della teoria.

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6. IL MODELLO SEMANTICO

6.1. InterpretazIone e soddIsfacImento

Intuitivamente, l’interpretazione di una teoria indica il signifi-cato dei simboli del linguaggio, facendo corrispondere a ciascun termine e a ciascun simbolo predicativo di L rispettivamente un oggetto di un certo dominio e un insieme di oggetti del dominio. Come abbiamo spiegato, i simboli funzionali possono essere so-stituiti con i simboli predicativi. Ci limitiamo quindi a considerare l’interpretazione dei simboli predicativi, omettendo quella dei sim-boli funzionali.

Presentiamo un’esposizione formale della nozione di interpre-tazione, basata sulla teoria della verità di Tarski59. Un’interpreta-zione I del linguaggio L consiste dei seguenti elementi:

1) Un insieme non vuoto D.

2) Una funzione i che assegna:

2.1) a ogni costante cn, un oggetto i(cn)∈D;

2.2) a ogni simbolo predicativo Pnk, un insieme i(Pn

k) di k-ple ordinate, ciascuna delle quali è costituita di k oggetti appartenenti a D; ossia, i(Pn

k)∈Dk.

Si definisce una sequenza s di individui come una successione infinita di oggetti di D, posti in qualsiasi ordine, eventualmente ripetuti quante volte si desidera. Si associa la variabile xn all’enne-simo oggetto della successione s. In questo modo, ogni variabile xn corrisponde a un oggetto s(xn)∈D. Data una sequenza s, si definisce una funzione s(I,t), ove t è un termine, nel modo seguente.

59 Seguiamo l’esposizione di Rogers [1971].

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3) Se t è una costante cn, allora s(I,t)=i(cn).

4) Se t è una variabile xn, allora s(I,t)=s(xn).

Sia x una qualsiasi variabile individuale. Si definisce x-variante di una sequenza s di individui una qualsiasi sequenza di individui che differisce da s al più per l’individuo che corrisponde a x. Ogni sequenza di individui è una x-variante di se stessa.

Si definisce la nozione di formula soddisfatta rispetto a un’in-terpretazione I e a una sequenza s di individui nel modo seguente.

5) La formula atomica Pnk(t1,…,tk) è soddisfatta rispetto

all’interpretazione I e alla successione s se e solo se (s(I,t1),…,s(I,tk))∈i(Pn

k). In modo informale, si può dire che se gli oggetti che corrispondono ai termini t1,…,tk hanno tra loro la relazione cor-rispondente a Pn

k, allora la formula è soddisfatta, rispetto a una data interpretazione e a una certa sequenza di individui.

6) La formula (¬A) è soddisfatta (rispetto a I ed s) se e solo se A non è soddisfatta.

7) La formula (A∧B) è soddisfatta (rispetto a I ed s) se e solo se lo sono anche A e B.

8) La formula (A∨B) è soddisfatta (rispetto a I ed s) se e solo se lo è almeno una tra A e B.

9) La formula (A→B) è soddisfatta (rispetto a I ed s) se e solo se B è soddisfatta o A non è soddisfatta.

10) La formula (A↔B) è soddisfatta (rispetto a I ed s) se e solo se A e B sono entrambe soddisfatte o entrambe non soddisfatte.

11) La formula ∀xA(x) è soddisfatta (rispetto a I ed s) se e solo se A(x) è soddisfatta rispetto a I e a ogni x-variante di s.

12) La formula ∃xA(x) è soddisfatta (rispetto a I ed s) se e solo se A(x) è soddisfatta rispetto a I e ad almeno una x-variante di s.

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Si definisce la nozione di formula soddisfatta in un’interpreta-zione I nel modo seguente.

13) Una formula F è soddisfatta in un’interpretazione I se e solo se F è soddisfatta rispetto a I e a ogni sequenza s.

14) Una formula F è non soddisfatta (si dice anche ‘confutata’) in un’interpretazione I se e solo se F non è soddisfatta rispetto a I da nessuna sequenza s. Usiamo le due espressioni “la formula F è soddisfatta nell’interpretazione I” e “l’interpretazione I soddisfa la formula F” come sinonimi.

6.2. InterpretazIonI delle teorIe scIentIfIche

Abbiamo detto che si può identificare una teoria T con (L, TC, R, M), ove L è il linguaggio, TC è la congiunzione degli assiomi teorici puri e delle regole di corrispondenza, R è l’insieme di regole di deduzione ed M è una collezione di interpretazioni. Nei capitoli precedenti abbiamo spiegato cosa siano L, TC ed R. Avendo pre-sentato la nozione di interpretazione di L, siamo adesso in grado di spiegare cosa sia la collezione M di interpretazioni: M è una qualsiasi raccolta di interpretazioni del linguaggio L. In particola-re, noi non richiediamo che TC sia soddisfatta nelle interpretazioni I di M. É possibile che M includa interpretazioni nelle quali TC non è soddisfatta. Secondo noi, gli scienziati usano interpretazioni delle teorie scientifiche che non soddisfano gli assiomi delle teorie. Questo aspetto differenzia il modello che proponiamo dal modello semantico ordinario.

Il modello semantico è stato proposto e sviluppato nella seconda metà del ventesimo secolo da diversi autori, tra i quali si possono ricordare Patrick Suppes, Frederick Suppe e Bas van Frassen60. Se-condo il modello semantico, una teoria scientifica è rappresentabile come una collezione di modelli. Esistono diversi significati distinti di ‘modello’, ognuno dei quali può essere legittimamente impiegato

60 Suppes [1961, 1962], Suppe [1977, 1989], van Frassen [1980, 1987].

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proprio nel nostro ambito. È perciò importante distinguere tali si-gnificati, limitandoci all’ambito della filosofia della scienza.

Il modello è una descrizione scientifica di un sistema, nella quale si studiano soltanto alcuni aspetti, ignorandone volutamen-te altri. Tali aspetti sono trattati in modo semplificato, usando si-stemi noti e già studiati. Un esempio è il modello di Bohr dell’a-tomo dell’idrogeno, che tratta l’atomo come un sistema solare in miniatura. In questo modello, il protone e l’elettrone sono trattati come punti, soggetti alle ordinarie leggi della meccanica e dell’e-lettromagnetismo, con l’aggiunta dell’ipotesi della quantizzazione dell’energia e della stabilità della prima orbita atomica. In questo modo, il fisico può applicare teorie scientifiche ben note alla de-scrizione delle orbite degli elettroni. Un altro modello è quello di Boltzmann, che descrive un gas contenuto in un recipiente come composto di palline sferiche che si muovono in tutte le direzioni. La temperatura e la pressione del gas sono espresse rispettivamente tramite la velocità delle sfere e la forza degli urti contro le pareti del contenitore. I problemi termodinamici sono ricondotti, in tal modo, alla meccanica statistica. Il terzo esempio di modello di un sistema fisico è costituito dalla rappresentazione delle molecole dei composti chimici tramite palline (che rappresentano i singoli atomi) connessi da bastoncini (che rappresentano i legami chimici tra gli atomi). Questa rappresentazione può essere realizzata mate-rialmente, usando palline e bastoncini di plastica, oppure generata virtualmente mediante software.

Un particolare tipo di modello di un sistema fisico è il modello matematico, che descrive il sistema ricorrendo quasi esclusivamen-te a teorie matematiche, di solito già impiegate nella descrizione di altri sistemi. Le equazioni del moto armonico, ad esempio, sono impiegate nella descrizione di vari sistemi fisici, quali:

• il movimento della proiezione sul diametro di un punto che per-corre una circonferenza con velocità angolare costante;• il movimento del pendolo;• il movimento di una massa collegata a una molla;• la vibrazione libera;

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• una particella atomica intrappolata in una buca di potenziale.

Tutti questi sistemi, così differenti tra loro, sono descrivibili mediante uno stesso modello matematico che impiega le medesi-me equazioni.

Il sistema di cui si costruisce il modello è spesso un sistema fisico, come abbiamo visto negli esempi precedenti. Può tuttavia essere un sistema di natura non fisica. In questo senso si può par-lare del modello sintattico e del modello semantico delle teorie scientifiche. La teoria scientifica è un’entità astratta, che possiamo rappresentare in diversi modi. Nell’ambito del modello sintattico, una teoria è rappresentata come un linguaggio formale con assiomi e regole di deduzione. Il modello semantico preferisce rappresen-tare le teorie come collezioni di modelli.

Nell’ambito della logica e della matematica, il termine ‘model-lo’ ha (per quello che qui ci interessa) due significati distinti, che talvolta sono confusi.

Il primo significato è analogo a quello dell’interpretazione di un linguaggio: il modello associa ai simboli del linguaggio un uni-verso di oggetti e di relazioni tra questi oggetti. Il modello di un sistema formale è l’interpretazione del linguaggio del sistema. Nel caso di una teoria scientifica, concepita come un sistema formale astratto, un modello è un’interpretazione del linguaggio della teo-ria. In questo senso, una qualsiasi interpretazione del linguaggio di una teoria è un modello della teoria.

Il secondo significato identifica i modelli di un sistema formale con le interpretazioni che soddisfano gli assiomi del sistema. In questo senso, un’interpretazione del linguaggio di una teoria è un modello della teoria se e solo se gli assiomi della teoria sono sod-disfatti. La differenza tra i due significati logici della nozione di ‘modello di una teoria’ sta nel fatto che in un caso per ‘modello’ s’intende una qualsiasi interpretazione del linguaggio della teoria, mentre nell’altro caso per ‘modello’ s’intende un’interpretazione del linguaggio della teoria che soddisfi gli assiomi della teoria stes-sa. In altri termini, la nozione di ‘modello di una teoria’ oscilla tra due significati:

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• il modello di una teoria è una qualsiasi interpretazione del lin-guaggio della teoria;• il modello di una teoria è un’interpretazione del linguaggio del-la teoria, tale che la teoria è vera.

Questa oscillazione del significato di ‘modello’ affligge il mo-dello semantico delle teorie scientifiche. In alcuni casi i suoi fautori rappresentano una teoria come una collezione di modelli qualsiasi (assumendo tacitamente che la teoria possa essere falsa in qualche modello); in altri casi rappresentano una teoria come una colle-zione di modelli che la soddisfano (assumendo tacitamente che la teoria sia vera in ogni modello).

In questo paragrafo, nel quale parliamo dell’interpretazione delle teorie scientifiche, è necessaria un’estrema precisione lingui-stica. Identifichiamo una teoria T con la quadrupla (L, TC, R, M), ove L è il linguaggio, TC è la congiunzione degli assiomi teorici puri e delle regole di corrispondenza, R è l’insieme di regole di deduzione e M è una collezione di interpretazioni I del linguag-gio L, senza richiedere che ogni interpretazione I soddisfi TC. Le interpretazione del linguaggio di una teoria potrebbero confutare la teoria stessa. Usiamo il termine ‘modello di una teoria T’ unica-mente nell’accezione di “interpretazione I del linguaggio L della teoria, tale che l’assioma TC è soddisfatto rispetto a I”. Il modello è un’interpretazione che soddisfa la teoria.

Secondo noi, in accordo con Ageno61, gli scienziati usano in-terpretazioni della teoria in cui la teoria è confutata. Per descrivere il comportamento di un sistema fisico, lo scienziato formula una teoria, costruendo quello che Ageno chiama un «sistema ideale»62. «Il sistema ideale immaginato dallo scienziato è generalmente tale da non consentire facili elaborazioni concettuali». Di solito, è im-possibile risolvere le equazioni matematiche del sistema ideale. Ageno propone l’esempio del modello a sfere rigide utilizzato da

61 Mario Ageno è stato il maggiore biofisico italiano del ventesimo secolo. Uno di noi (Mauro Murzi) ha avuto la fortuna di seguire il corso di Fisica per filo-sofi tenuto da Ageno nell’anno accademico 1980-81.

62 Ageno [1992], p. 10. Le successive citazione provengono da questa stessa pagina.

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Boltzmann per descrivere il comportamento di un gas. Secondo la teoria (il «sistema ideale»), le molecole del gas si comportano come sfere rigide seguendo le leggi della meccanica classica. La velocità e la traiettoria di ciascuna sfera sono determinate dagli urti tra le sfere e con le pareti del contenitore. La velocità delle sfere determina la temperatura del gas. La forza degli urti contro le pareti del contenitore determina la pressione del gas. Da un punto di vista matematico, si dovrebbero risolvere le equazioni del moto delle sfere rigide. Questo problema non è risolubile. Non esiste una soluzione esplicita di un così complesso sistema di equazioni. Lo scienziato deve procedere in modo diverso. Lo fa costruendo quello che Ageno chiama il «sistema schematizzato». Lo scienzia-to adatta «il sistema ideale, così che in esso siano in qualche modo soddisfatti i postulati di una qualche teoria matematica». In questo modo il sistema schematizzato diventa un modello di una teoria matematica. La capacità deduttiva della teoria matematica e i suoi teoremi noti possono essere utilizzati per lo sviluppo del sistema schematizzato. Lo scienziato trasferisce i risultati così ottenuti nel sistema ideale. Questa procedura non è priva di pericoli. Il sistema schematizzato è diverso, dal punto di vista matematico, dal sistema ideale. Infatti, mentre il sistema schematizzato soddisfa gli assiomi di una certa teoria matematica, il sistema ideale non li soddisfa (è proprio questo il motivo per cui lo scienziato ha introdotto il siste-ma schematizzato). Quindi, se lo scienziato trasferisce nel sistema ideale i risultati ottenuti usando il sistema schematizzato può cade-re in grossolani errori. Un teorema matematico soddisfatto nel si-stema schematizzato potrebbe essere confutato nel sistema ideale. È compito dello scienziato controllare, volta per volta, che la so-stituzione del sistema ideale con quello schematizzato non produca cambiamenti essenziali nei limiti del problema allo studio in quel momento. Cerchiamo adesso di esprimere queste idee di Ageno in maniera formale.

Sia T una teoria scientifica, rappresentata dalla quadrupla (L, TC, R, M), ove L è il linguaggio, TC è la congiunzione degli as-siomi teorici puri e delle regole di corrispondenza, R è l’insieme di regole di deduzione e M è una collezione di interpretazioni I

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del linguaggio L. Lo scienziato desidera applicare T a un sistema fisico S. La complessità matematica di T non consente di risolvere le equazioni che descrivono il comportamento di S.

Lo scienziato modifica T, costruendo una nuova teoria T*, rap-presentata dalla quadrupla (L*, TC*, R*, M*) ove M* è una col-lezione di interpretazioni del linguaggio L* tali che TC* è soddi-sfatta. Ogni interpretazione appartenente a M* è un modello di T*.

La teoria T* è scelta in modo tale che essa stessa sia un modello di un’opportuna teoria matematica K. Più precisamente, esiste un modello della teoria matematica K che appartiene a M*. In altri termini, almeno uno dei modelli della nuova teoria T* è un model-lo della teoria matematica K. La teoria K è di solito una teoria ben sviluppata. I teoremi di K, che sono ben noti, sono soddisfatti in ogni modello di K. Sono quindi soddisfatti anche nel modello che K e T* hanno in comune. La teoria T* può sfruttare tutta la potenza matematica di K. Quando lo scienziato incontra in K un teorema H interessante, lo può trasportare in T* con la certezza che esso valga anche lì. Questo fatto consente allo scienziato di semplificare i problemi matematici posti dall’originaria teoria T.

A questo punto, con un passo non giustificabile dal punto di vista logico, lo scienziato usa il teorema H anche in T, supponendo che H sia valido anche nella teoria originaria T. Tuttavia, T e T* sono teorie strutturalmente diverse. In caso contrario, lo scienziato non avrebbe dovuto costruire una diversa teoria T*, ma avrebbe potuto usare direttamente la stessa T. Quindi, le teorie T e T* non possono avere i medesimi teoremi. È dunque possibile che il te-orema H non valga in T. Lo scienziato dovrebbe controllare che l’utilizzo di H, nella teoria T, sia legittimo, almeno nel caso dello specifico sistema studiato.

Non esiste un metodo con il quale lo scienziato possa assicu-rarsi di non aver introdotto teoremi errati nella teoria originale T. Il controllo è rimesso alla sua attenzione, alla sua sensibilità e al suo autonomo giudizio. Il rischio di introdurre errori sostanziali è sempre presente e ineliminabile, e lo scienziato dovrebbe eseguire un’attenta verifica, prima di mutuare teoremi dalla teoria T*.

Al cambiare del sistema fisico studiato, lo scienziato si trova

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spesso nella condizione di dover adoperare una teoria schematiz-zata diversa. In corrispondenza dei sistemi fisici S n, lo scienziato potrebbe dover utilizzare teorie schematizzate T n, tra loro diverse. Ciascuna teoria T n è rappresentabile con la quadrupla (L n, TC n, R n, M n). Ci troviamo di fronte alla serie di teorie T,T 1,...,T n. Vo-gliamo spiegare come, a nostro giudizio, si costruisce la collezione M delle interpretazioni di T.

Inizialmente, quando lo scienziato propone la teoria ideale T, la collezione M è composta di una sola interpretazione, che è an-che un modello (in senso logico) di T. In questa interpretazione la teoria è soddisfatta (l’esistenza di tale interpretazione è garanti-ta a condizione che la teoria sia coerente). Essa ha la funzione di modello standard della teoria. È un’interpretazione astratta, il cui dominio è costituito di entità matematiche, e i simboli della teo-ria sono interpretati tramite relazioni e funzioni matematiche. Nel corso della propria attività, lo scienziato formula diverse versioni schematizzate di T, che applica allo studio dei vari sistemi cui è interessato. Lo scienziato costruisce dunque, con il progredire del-la ricerca, la serie T n di teorie schematizzate. Ciascuna di queste teorie schematizzate ha una propria collezione di interpretazioni M n. Almeno una delle interpretazioni appartenenti a M n è un mo-dello di una teoria matematica K n, che lo scienziato impiega per descrivere il sistema studiato. Per semplicità, ma senza perdita di generalità, ipotizziamo che ogni collezione di interpretazioni M n contenga esattamente un’interpretazione di T n che sia anche un modello di K n. Designiamo questa interpretazione con IK n. L’in-terpretazione IK n è:

• un’interpretazione, ma non è un modello, della teoria ide-ale T ;• un modello della teoria schematizzata T n;• un modello della teoria matematica K n.

Ciascuna interpretazione IK n si aggiunge alla collezione M delle interpretazioni della teoria ideale T. Le interpretazioni della teoria ideale sono dunque costituite di:

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1) L’interpretazione iniziale astratta, che è anche un modello della teoria ideale.

2) Un’interpretazione di ciascuna teoria schematizzata, che è sia un modello della teoria schematizzata, sia un modello della teo-ria matematica che lo scienziato usa per descrivere il sistema fisico. Tale interpretazione non è un modello della teoria ideale.

Tranne l’interpretazione iniziale astratta, le successive interpre-tazioni, provenienti dalle teorie schematizzate, non sono modelli della teoria ideale. Ciò consente allo scienziato di applicare la te-oria a diversi sistemi, risolvendo le difficoltà matematiche che na-scevano dalla teoria ideale. A fronte di questo vantaggio, lo scien-ziato incorre in alcuni problemi.

In primo luogo, si deve osservare che non ha più senso parlare di verità o falsità della teoria. La verità e la falsità di una formula sono definite soltanto rispetto a una qualche interpretazione. Una formula può essere vera in un’interpretazione e falsa in un’altra. La nozione di soddisfacimento di una formula, definita nel precedente paragra-fo, è relativa a una data interpretazione. L’assioma TC, che esprime la teoria T, non è vero o falso di per sé, ma è vero o falso rispetto a un’interpretazione. Le interpretazioni di T, facenti parte della colle-zione M, sono modelli (tranne l’interpretazione standard) di teorie matematiche che non corrispondono a T. Quindi, la formula TC non è soddisfatta nelle interpretazioni di M (con l’eccezione dell’inter-pretazione standard). Dunque, la teoria è vera nel proprio modello standard astratto e falsa nelle interpretazioni usate per descrivere i sistemi di concreto interesse scientifico. La teoria è vera nel proprio modello (ma questo è banale, perché ogni teoria non contraddittoria, anche la più bislacca, è vera in qualche interpretazione) ma è falsa in ogni applicazione a un qualche sistema fisico. Si potrebbe descrivere questa situazione dicendo che la teoria è vera in astratto, ma è falsa in concreto. Riteniamo sia meglio abbandonare il concetto di verità applicato alle teorie scientifiche. Le teorie non sono né vere né false.

In secondo luogo, una teoria scientifica non ammette alcun model-lo realizzato da un’interpretazione completa e uniforme. Definiamo i concetti di interpretazione completa e di interpretazione uniforme.

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Un’interpretazione completa associa tutti i simboli del linguaggio della teoria con qualche elemento del dominio dell’interpretazione o con qualche relazione tra elementi del dominio. Un’interpreta-zione completa fornisce un significato a tutti i simboli della teoria, associando ciascun simbolo a qualche aspetto del sistema studiato. Un’interpretazione non completa trascura l’interpretazione di qual-che simbolo del linguaggio della teoria. Un’interpretazione uniforme è un’interpretazione della teoria che, in ogni contesto sperimentale, associa il medesimo elemento (o relazione tra gli elementi) a ciascun simbolo. Un’interpretazione uniforme fornisce lo stesso significato ai simboli della teoria, indipendentemente dal contesto sperimentale. Un’interpretazione non uniforme fornisce significati diversi al me-desimo simbolo della teoria, in dipendenza dei diversi allestimenti sperimentali. Osserviamo che le interpretazioni della teoria sono di due tipi: il modello standard e le interpretazioni addizionali basate sulle teorie schematizzate. Le interpretazioni addizionali non sono modelli della teoria. Il solo modello della teoria è l’interpretazione standard, che dunque è l’unico candidato ad essere un modello com-pleto e uniforme della teoria. L’interpretazione standard è completa (altrimenti non sarebbe un modello della teoria). E anche uniforme? Se lo fosse, potrebbe essere usata in ogni contesto sperimentale. In questo caso, non sarebbe necessario ricorrere a teorie schematizzate. Se lo scienziato (come noi sosteniamo) deve usare le teorie sche-matizzate, allora il modello standard non può essere usato in ogni contesto sperimentale. Quindi, non è un’interpretazione uniforme.

In terzo luogo, non è possibile costruire, partendo dalle interpreta-zioni della teoria, una nuova interpretazione che soddisfi la teoria in ogni contesto sperimentale descritto da una teoria schematizzata. In-fatti, una tale interpretazione sarebbe un modello completo e uniforme che, come appena visto, non può esistere. Non è dunque possibile inte-grare le diverse interpretazioni della teoria in un’unica interpretazione coerente. L’insieme delle formule soddisfatte in almeno una delle inter-pretazioni della teoria è contraddittorio. Se quindi tentassimo di iden-tificare la teoria (o i suoi teoremi) con le formule che sono soddisfatte in almeno un’interpretazione, la teoria (o l’insieme dei suoi teoremi) sarebbe contraddittoria.

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6.3. matematIca e fIsIca

Il rapporto tra la teoria matematica e la teoria fisica è, per noi, l’opposto di quello previsto dai sostenitori del modello semantico. Secondo il modello semantico, la teoria matematica è un modello della teoria fisica. Secondo noi, la teoria fisica schematizzata (la te-oria T*) è un modello di una teoria matematica. Secondo il model-lo semantico, lo scienziato dovrebbe cercare un modello matemati-co della teoria fisica. Secondo noi, lo scienziato costruisce la teoria fisica schematizzata in modo che essa stessa sia un modello di una teoria matematica. Secondo il modello semantico, la matematica è utilizzabile nella scienza perché esistono strutture matematiche che possono essere impiegate per interpretare le teorie fisiche. Secondo noi, la matematica è utilizzabile nella scienza perché lo scienzia-to modifica opportunamente la teoria fisica originale per costruire una nuova teoria fisica che soddisfi gli assiomi di una determinata teoria matematica.

Siano così in grado di dare una nuova risposta alla domanda «Perché è possibile usare la matematica nella descrizione della realtà?» Lo scienziato può usare la matematica nella descrizione della realtà perché egli sostituisce il «sistema ideale» con un «si-stema schematizzato» scelto tra i modelli di una teoria matematica. La possibilità di descrivere matematicamente la realtà fisica non dipende né da conoscenze sintetiche a priori, come sosteneva la filosofia kantiana, né da particolari proprietà della natura, che sa-rebbe intrinsecamente matematica, come pensava Galileo quando affermava che il libro della natura è scritto in lingua matematica. La possibilità di descrivere matematicamente la realtà fisica dipen-de da una precisa scelta dello scienziato, che decide di costruire le proprie teorie in modo che esse siano modelli della matematica.

Nella pratica scientifica, sostiene Ageno, si verifica spesso una «scarsa rispondenza tra la concreta realtà dei fatti empirici e le rappresentazioni matematiche, faticosamente e un po’ goffamente schematizzate, che riusciamo a darne»63.

63 Ageno [1992], p. 66.

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Questa scarsa rispondenza tra la realtà e la sua descrizione matematica può essere illustrata con alcuni esempi, il primo dei quali riguarda le funzioni matematiche usate per rappresentare le grandezze fisiche. Benché i risultati delle misurazioni fisiche siano sempre numeri razionali – osserva Ageno – lo scienziato assume che le grandezze fisiche siano continue nel campo dei numeri re-ali. In particolare, per consentire l’applicazione del calcolo infi-nitesimale, lo scienziato suppone esplicitamente che le funzioni matematiche rappresentative di grandezze fisiche siano continue e derivabili: tale supposizione non ha tuttavia alcun senso dal punto di vista operativo. Per esempio, la velocità istantanea è di solito definita come il limite della velocità media quando l’intervallo nel quale si misura la velocità media tende a zero. Si tenta così di giu-stificare l’introduzione della velocità istantanea come il risultato del passaggio al limite di un’operazione fisicamente possibile. Ma questa presunta giustificazione è errata:

se ci si riferisce a intervallini di tempo via via sempre più brevi, i valori che si ottengono per il rapporto incrementale non tendono affatto a un limite ben definito, ma al contrario variano erratica-mente tra limiti sempre più ampi.64

La velocità istantanea è un’astrazione che non corrisponde ad alcuna operazione fisicamente possibile; anzi, è fisicamente priva di senso. A proposito della continuità delle funzioni matematiche che rappresentano grandezze fisiche, Ageno scrive:

l’ipotesi della continuità non ha alcun senso, dal punto di vista fisico-operativo […]. L’ipotesi della continuità appartiene alla me-tafisica scientifica, e serve solo a rendere possibile l’uso di teorie matematiche semplici e potenti. È un’ipotesi di schematizzazione, generalmente (ma non sempre) innocua.65

64 Ivi p. 15.65 Ibid.

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Un secondo esempio della discrepanza tra la realtà e la sua de-scrizione matematica è offerto – sostiene Ageno – dal fatto che le formule matematiche sono risolvibili rispetto a una grandezza qualsiasi, mentre dal punto di vista operativo le grandezze indipen-denti e quelle dipendenti sono sempre ben distinte. Ageno discute l’esempio della formula che collega il periodo di oscillazione T di un pendolo alla sua lunghezza l: T = 2π√(l/g), ove g è l’accelerazio-ne di gravità. È matematicamente possibile risolvere tale formula rispetto a una qualsiasi variabile, per esempio rispetto alla lunghez-za l, facendo quindi dipendere matematicamente la lunghezza l dal periodo T. Da un punto di vista fisico, ciò non ha senso. Il periodo T dipende dalla lunghezza l (se lo scienziato modifica la lunghezza l, per esempio accorciando il filo, il periodo T cambia) mentre la lunghezza l è fisicamente indipendente dal periodo T (se lo scien-ziato modifica il periodo T, per esempio spostando il pendolo a una diversa altezza dal suolo, la lunghezza l del pendolo non cam-bia). Un terzo esempio della discrepanza tra la matematica e la realtà fisica è rintracciabile – secondo Ageno – nella sostituzione delle frequenze effettivamente osservate nel sistema studiato con le equivalenti probabilità. In questo caso, lo scienziato sostituisce implicitamente un singolo sistema fisico con una famiglia astratta, potenzialmente infinita, di sistemi fisici analoghi. Se lo scienzia-to non tiene costantemente presente questa sostituzione, rischia di incorrere in una situazione di grande confusione, ad esempio attri-buendo una probabilità a eventi singoli.

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7. SULLA NOZIONE DI VERITÀ

7.1. le asserzIonI deI fattI

Una classe fondamentale di asserti scientifici è quella delle as-serzioni dei fatti. Il punto di vista sulle asserzioni dei fatti che pre-sentiamo è quello esposto da Mario Ageno66. L’asserzione di un fatto è un tipo particolare di asserzione-base. È una proposizione singolare, formulata in un determinato linguaggio secondo regole date, del tipo “Questo determinato oggetto ha questa determinata proprietà osservabile”. Possiamo dire che l’asserzione di un fatto è l’immagine del fatto e un modello della realtà67.

Un esempio di asserzione di un fatto è la proposizione “Questo libro è giallo”, affermata indicando un determinato libro. La propo-sizione “Questo libro è giallo” è il resoconto di un confronto, che avviene internamente al soggetto, tra la rappresentazione attuale del fatto percepito e un complesso di rappresentazioni memoriz-zate nella mente (o nel cervello o nell’anima – ciò è indifferen-te per la nostra teoria). Il soggetto ha appreso le rappresentazioni memorizzate tramite le cure parentali, l’istruzione e i contatti con i membri della società nella quale vive. Chi afferma “Questo libro è giallo” comunica l’esito del confronto tra la rappresentazione at-tuale del fatto percepito e le proprie rappresentazioni dei libri e dei colori che ha appreso in famiglia, a scuola e nella società. La verità dell’asserzione di un fatto non dipende dalla corrispondenza tra le rappresentazioni interne del soggetto e lo stato delle cose esterne, bensì dipende dall’esito del confronto tra rappresentazioni

66 Ageno [1987].67 Wittgenstein [1921]: «2.1 Wir machen uns Bilder der Tatsachen» (Noi ci fac-

ciamo immagini dei fatti) e «2.12 Das Bild ist ein Modell der Wirklichkeit» (L’immagine è un modello della realtà).

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interne al soggetto. L’asserzione di un fatto, tuttavia, non è sog-gettiva, ma è oggettiva, affidabile e riproducibile, perché i membri di una stessa società hanno appreso le medesime rappresentazioni standard. Esiste un elevato grado di uniformità di giudizio tra i membri della medesima società. Una tale concordanza di giudizio dipende dall’avere appreso le medesime rappresentazioni standard e dall’impiego della medesima lingua.

Un caso interessante, nel quale si può osservare discordanza di giudizio, accade quando sono coinvolte persone che parlano lingue diverse. La copertina di un libro può essere di colore orange per un inglese e di colore giallo per un italiano68. È ragionevole sup-porre che la percezione del colore sia la medesima per un inglese e un italiano. Costoro, tuttavia, usano un diverso schema per de-nominare i colori. Ciò che un italiano denominerebbe giallo può essere denominato orange da un inglese. Un italiano e un inglese potrebbero non concordare sulla verità della proposizione “Questo libro è giallo”. In questo caso, non ha senso porsi la domanda se il libro sia veramente giallo o arancione. La persona italiana e quella inglese asseriscono entrambe il vero. L’esito del confronto tra la rappresentazione percepita del libro e le rappresentazioni appre-se dei colori è diverso per l’inglese (che asserirà “Questo libro è arancione”) e per l’italiano (che asserirà “Questo libro è giallo”). Entrambe le proposizioni sono vere, perché la loro verità non di-pende dalla corrispondenza tra ciò che è asserito e ciò che esiste. La verità delle due asserzioni dipende dall’esito di un confronto interno al soggetto.

Le asserzioni dei fatti sono espresse, nel linguaggio L, trami-te formule osservative singolari, schematizzabili come O(a,b,...) o M(o(a,b,...)), ove O è un simbolo osservativo predicativo, M è un simbolo matematico predicativo, o è un simbolo osservativo funzionale, a b … sono costanti. Ad esempio, se b è una costante che identifica un determinato libro e G è il predicato ‘giallo’, la formula che asserisce “Questo libro è giallo” è G(b).

68 Vincent [1983].

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7.2. ha senso parlare dI verItà delle teorIe scIentIfIche?

Le seguenti osservazioni sulla limitata applicabilità della no-zione di verità alle teorie scientifiche seguono quanto esposto da Ageno [1987].

Sosteniamo che la nozione di verità non è applicabile alle teorie scientifiche. Il concetto di “verità di una teoria” deve essere sosti-tuito con quello di “validità di una teoria in un campo definito da un insieme di asserzioni ausiliarie”. Il significato del concetto di validità sarà chiarito in seguito.

Solo le asserzioni dei fatti possono essere vere o false. Le asser-zioni dei fatti sono espresse tramite formule osservative singolari. L’asserzione di un fatto è una proposizione del tipo “Questo libro è giallo”. In quali circostanze la proposizione “Questo libro è giallo” è vera?

Una nota interpretazione del concetto di verità è quella che fa riferimento alla corrispondenza tra quanto asserito e la realtà. Ad esempio, la proposizione “La neve è bianca” è vera se e solo se la neve è bianca. In tale interpretazione, la verità della proposizione “Questo libro è giallo” dipenderebbe dall’esistenza di un libro di colore giallo. Se il libro indicato da chi afferma “Questo libro è giallo” è giallo, allora la proposizione è vera, altrimenti è falsa.

La teoria che la verità di una proposizione risiede nella sua cor-rispondenza con la realtà risale a San Tommaso d’Aquino. Il passo in cui San Tommaso formula la teoria della corrispondenza è famo-so: «veritas est adaequatio rei et intellectus» (San Tommaso d’A-quino, De veritate, q. 1 a. 1 co). Questa concezione prende il nome di ‘teoria della corrispondenza’, perché asserisce che la verità è la corrispondenza (adaequatio) tra realtà (rei) e pensiero (intellec-tus). Per una precisa formulazione logico-matematica della teoria della corrispondenza si è dovuto attendere il ventesimo secolo. È stato il logico e matematico polacco Alfred Tarski a formalizzare la teoria della corrispondenza nell’ambito della logica matematica. Ci sia occupati della teoria di Tarski nel paragrafo 6.1.

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La posizione da noi sostenuta, in pieno accordo con quanto as-serito da Ageno, è che non c’è alcun confronto tra quanto asserito e la realtà.

[Chi] asserisce un fatto, altro non fa che rendere noto attraverso la mediazione del linguaggio il risultato di un confronto introspettivo tra una sua rappresentazione privata del momento e sue rappresen-tazioni d’archivio […] altrettanto private69

Chi afferma “Questo libro è giallo” lo fa perché ha confrontato la sua rappresentazione del libro percepito con le sue rappresenta-zioni standard dei libri e dei colori, costatando la corrispondenza delle une con le altre. L’esito positivo di questo confronto, che è interamente interno al soggetto, è espresso mediante la proposi-zione “Questo libro è giallo”. La proposizione è vera non perché asserisce qualcosa corrispondente alla realtà, ma perché esiste una corrispondenza tra rappresentazioni interne al soggetto.

Questa posizione, che attribuisce la verità di un’asserzione alla corrispondenza tra rappresentazioni interne al soggetto, riecheggia alcuni aspetti della concezione di Locke della conoscenza. In par-ticolare:

La conoscenza è la percezione dell’accordo o del disaccordo di due idee. La conoscenza, dunque, mi sembra essere nient’altro che la percezione della connessione e dell’accordo, o del disaccordo e della contrapposizione di qualcuna delle nostre idee. In questo soltanto consiste.

La conoscenza […] è soltanto la percezione dell’accordo o del di-saccordo delle nostre proprie idee. 70

A questo punto, è legittimo chiedersi se si corra il rischio di cadere nel solipsismo. Come risolvere il problema del solipsismo,

69 Ageno [1987], p. 129.70 Locke [1700], IV.i.2 e IV.iv.1 (tr. it. nostra)

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nell’approccio da noi seguito? Come possiamo controllare la verità di un’asserzione, se essa dipende dalla corrispondenza tra le rap-presentazioni nella mente di un’altra persona? La risposta è che i membri di una stessa società condividono le rappresentazioni stan-dard, perché le hanno apprese in condizioni simili, frequentando le stesse scuole e apprendendo la medesima lingua.

Ciò di cui […] possiamo parlare, non sono quindi mai cose «là fuori», ma risultati di confronti introspettivi. L’affidabilità dell’e-sito dell’intero processo si basa da un lato sull’efficacia delle cure parentali e dall’altro lato sull’impiego di messaggi linguistici se-condo codici o regole concordati. Così, la conferma intersogget-tiva delle asserzioni riesce a constatare […] determinate coerenze tra stati interni degli interlocutori.71

Si evita il solipsismo perché i membri della medesima società usano la medesima lingua, frequentano le stesse scuole e ricevono lo stesso insegnamento, con il risultato di condividere le rappresen-tazioni standard.

7.3. Il ruolo della verIfIca sperImentale

Secondo il punto di vista verificazionista, con cui non concor-diamo, il controllo della teoria avviene nel modo seguente. Sia O la congiunzione delle formule osservative che descrivono le condi-zioni iniziali e al contorno. Da TC e O si deducono alcune formule osservative P che prevedono il comportamento che il sistema avrà nelle condizioni descritte da O. Lo scienziato verifica se, nelle con-dizioni O, il sistema si comporta secondo le previsioni P. In caso affermativo, la teoria è confermata; altrimenti, è confutata. L’obiet-tivo della ricerca scientifica è verificare le teorie, valutando i casi di conferma e di confutazione.

71 Ageno [1987], p. 130.

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Il falsificazionismo, con cui non concordiamo, enfatizza l’im-portanza della confutazione delle teorie. Esiste una differenza logi-ca tra la confutazione e la conferma. Se le previsioni P sono false quando il sistema si trova nelle condizioni descritte da O, allora TC è falsa. Se invece le previsioni P sono vere, allora TC può essere vera o falsa. La confutazione di una teoria è concludente, perché dimostra che la teoria è falsa. La conferma di una teoria è inconclu-dente, perché la teoria può essere sia vera sia falsa.

Sosteniamo che il verificazionismo e il falsificazionismo sono in errore. Asserisce Ageno:

Avviene di solito che una generalizzazione sia valida sotto certe condizioni e non valida sotto altre. Il concetto di verità, predicabile per le asserzioni dei fatti, non è quindi adeguato nel caso di genera-lizzazioni […]. Le generalizzazioni, le cosiddette leggi naturali, le teorie scientifiche, non sono dunque mai né vere né false.72

È giunto il momento di spiegare il concetto di validità della teoria; questo concetto, come già detto, sostituisce il concetto di verità della teoria.

Per dedurre le asserzioni dei fatti da una teoria è necessario usa-re come premesse addizionali le asserzioni ausiliarie, che esprimo-no sia le condizioni iniziali e al contorno sia i teoremi di altre teorie scientifiche. Dalla teoria e dalle asserzioni ausiliarie lo scienziato può dedurre determinate asserzioni dei fatti. Per stabilire se esse si-ano vere, è necessario realizzare un contesto sperimentale nel quale valgono le asserzioni ausiliarie. Se, in tale contesto sperimentale, le asserzioni dei fatti sono vere, la teoria è valida nel campo definito dalle asserzioni ausiliarie. Se invece sono false, la teoria non è vali-da in quel campo. Nel caso in cui le asserzioni dei fatti siano false, contrariamente a quanto sostiene il falsificazionismo, lo scienziato non deve abbandonare la teoria, ma deve modificare le asserzioni ausiliarie per definire altri campi nei quali controllare le asserzioni dei fatti. Quando lo scienziato riconosce che le asserzioni dei fatti

72 Ivi p. 131.

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sono false, si accorge di aver oltrepassato il limite del campo di va-lidità della teoria. L’obiettivo dello scienziato è individuare i con-fini del campo di validità della teoria. Solo dopo aver circoscritto il campo di validità della teoria, lo scienziato la può impiegare in modo ragionevolmente sicuro e affidabile.

È essenziale determinare per ogni importante teoria scientifica i limiti del suo campo di validità: solo quando questi limiti sono perfettamente conosciuti (solo quando, in altre parole, la teoria è stata sufficientemente «falsificata»), una teoria può essere usata con sicurezza, nel suo campo.73

Perciò dobbiamo riconoscere che un obiettivo della verifica sperimentale di una teoria è individuare i confini del campo di va-lidità della teoria. Quando tali confini sono tracciati, lo scienziato può usare la teoria in maniera affidabile, perché sa quando la teoria fornisce previsioni attendibili. Lo scienziato, una volta scoperti i confini del campo di validità, può stimare l’errore che commette-rebbe applicando la teoria a un dato sistema. È quindi nella condi-zione ideale di poter decidere in quali casi l’errore che commette-rebbe è accettabile. Il metodo della ricerca scientifica consiste nel ricercare i casi di apparente falsificazione delle teorie, allo scopo di sapere in quali circostanze le teorie siano affidabili. Lo scienziato usa una teoria tanto più tranquillamente quanto più conosce i limiti del campo di validità, perché la teoria è applicabile con relativa sicurezza all’interno del proprio campo di validità. Citiamo ancora Ageno:

È da ribadire esplicitamente, con forza, che la prova non consiste nel determinare se la teoria è vera, e quindi da accettare, o falsa e quindi da rifiutare e sostituire con un’altra, ma nel trovare i limiti del suo campo di validità.74

73 Ivi p. 132.74 Ivi p. 133.

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Ricostruendo a memoria alcune osservazioni di Ageno nel cor-so di Fisica per filosofi, che uno di noi (Murzi) ha seguito nell’anno accademico 1980-81, quand’era studente di filosofia alla Sapienza di Roma, possiamo proporre alcuni esempi. Rivolgiamo l’attenzio-ne alle tre leggi di Keplero.

Prima legge. L’orbita che il pianeta percorre intorno al Sole è un’ellisse in cui il Sole occupa uno dei due fuochi.

Seconda legge. Il segmento che unisce il pianeta con il Sole percorre aree uguali in tempi uguali.

Terza legge. Il quadrato del periodo di rivoluzione del pianeta è proporzionale al cubo del semiasse maggiore dell’orbita.

Le leggi di Keplero sono state falsificate. Ad esempio, il Sole non occupa esattamente il fuoco dell’ellisse, ma ruota intorno al centro di massa del sistema. I fisici dovrebbero abbandonare le tre leggi di Keplero? Se continuassero a usarle, sarebbero irrazionali? In realtà, l’obiettivo della ricerca scientifica non è stabilire se le leggi di Keplero siano vere o false. Il vero obiettivo è trovare i confini del loro campo di validità. I fisici possono usare le leggi di Keplero in maniera affidabile, perché ne conoscono esattamente limiti e margini di errore. Possono impiegarle per alcuni calcoli, perché conoscono l’errore che commetterebbero. Possono impie-garle per scopi didattici. Possono estenderle alle stelle doppie, per-ché l’errore che commetterebbero affidandosi alle leggi di Keplero è inferiore all’incertezza dei parametri orbitali. Le leggi di Keplero continuano ad avere un valore, pur essendo falsificate, perché sono ben noti i confini del loro campo di validità. Le falsificazioni delle leggi di Keplero non hanno portato al loro abbandono, ma hanno consentito ai fisici di conoscere molto bene le condizioni in cui tali leggi sono affidabili.

Qualcuno potrebbe ritenere che le leggi di Keplero siano utiliz-zabili perché approssimativamente vere. In realtà, le leggi di Ke-plero sono utilizzabili perché, tramite le successive falsificazioni osservative e teoriche, i fisici hanno imparato a stimare l’errore che deriverebbe dal loro utilizzo. I fisici possono quindi stabilire se, in un dato sistema, con determinate incertezze dei valori iniziali, di fronte a certe esigenze di precisione, sia possibile impiegare le

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leggi di Keplero.Consideriamo un altro esempio: la meccanica classica. Anch’es-

sa è falsificata. Tuttavia, gli scienziati la utilizzano continuamente, non solo per scopi pratici ma anche per scopi teorici. Concetti fisi-ci fondamentali, quali lavoro, energia potenziale, energia cinetica, momento e impulso, sono definiti nella meccanica classica. La te-oria della relatività e la meccanica dei quanti richiedono il ricorso a metodi e risultati della meccanica classica. Com’è possibile che nella fisica si utilizzi una teoria falsificata?

Le ripetute falsificazioni della meccanica classica hanno circo-scritto esattamente il suo campo di validità. Di conseguenza, quan-do uno scienziato impiega la meccanica classica in un caso speci-fico, sa se otterrà un risultato affidabile. Il campo di validità della meccanica classica è oggi così ben noto che essa è applicata tran-quillamente, nel proprio campo di validità, senza ricorrere a teorie alternative. È solo al di fuori del campo di validità della meccanica classica che si devono usare teorie alternative, quali la teoria della relatività, le geometrie non euclidee e la meccanica dei quanti. La meccanica classica, dunque, ha un campo di validità nel quale non è stata sostituita da teorie più recenti. Citiamo Ageno:

Le generalizzazioni, le cosiddette leggi naturali, le teorie scientifi-che, non sono dunque né vere né false. Verificazionismo e falsifi-cazionismo, valutazioni del grado di conferma, o di verisimilitudi-ne, o di corroborazione... rappresentano vie senza uscita, discorsi privi di senso. Ogni generalizzazione ha un suo campo di validità più o meno ampio: in molti casi, si può anche dimostrare che tale campo è nullo. È essenziale determinare per ogni importante teoria scientifica i limiti del suo campo di validità: solo quando questi li-miti sono perfettamente conosciuti (solo quando, in altre parole, la teoria è stata sufficientemente «falsificata»), una teoria può essere usata con sicurezza, come strumento di pensiero e di indagine, per prevedere e agire in vista di scopi. […] È dunque soprattutto inge-nuo parlare di rivoluzioni scientifiche, di falsificazione e rigetto di grandi teorie scientifiche per sostituirle con altre.75

75 Ivi pp. 131-132.

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La verifica sperimentale aiuta lo scienziato a determinare il campo di validità delle teorie. Al contrario di quanto sostenuto dal-le principali correnti di filosofia della scienza, seconde le quali il compito della verifica sperimentale sarebbe quello di verificare o falsificare la teoria per indurci ad adottarla in via provvisoria o a respingerla definitivamente, il compito della verifica sperimentale è tracciare i confini del campo di validità della teoria.

Quando lo scienziato usa una teoria il cui campo di validità non è stato determinato, non può sapere se, in un nuovo contesto speri-mentale, la teoria darà risultati affidabili. Non è in grado di stimare l’errore che commetterà applicando la teoria. Non sa, quindi, se commetterà un errore accettabile.

L’approccio che proponiamo, seguendo la teoria di Ageno, ha il vantaggio di aiutarci a capire perché talvolta gli scienziati trascuri-no le falsificazioni cui va incontro una certa teoria, come se fossero irrilevanti, mentre altre volte se ne interessano fortemente. In alcu-ni casi, la falsificazione è di scarso interesse, perché avviene all’in-terno del campo di validità noto. In tal caso, è molto probabile che si tratti di un’apparente falsificazione. Non si dovrebbero verificare falsificazioni della teoria all’interno del campo di validità. È dun-que credibile che si sia incorsi in un errato allestimento sperimen-tale. Lo scienziato è dunque giustificato nell’ignorare la presunta falsificazione. Se invece la falsificazione accade in una situazione sperimentale che si trova ai limiti del campo di validità conosciuto, è possibile che essa sia reale. Se lo fosse, indicherebbe che è stato superato il confine del campo di validità della teoria. Potrebbe dun-que segnalare la possibilità di scoprire nuovi fenomeni. È quindi possibile distinguere tra falsificazioni interessanti (quelle che sono scoperte ai limiti del campo di validità) e falsificazioni trascurabili (interne al campo di validità). Ciò consente di comprendere il com-portamento degli scienziati di fronte alle falsificazioni, e di capire perché a volte le trascurino perché le giudicano irrilevanti, mentre altre volte ne sono fortemente interessati.

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8. CRITICA DI ALCUNE FILOSOFIE

8.1. Il falsIfIcazIonIsmo non fornIsce un crI-terIo dI demarcazIone

La filosofia seppellisce sempre i suoi becchini.

Étienne Gilson

Nel seguito verrà discusso:

1) come il falsificazionismo non riesca, anche se vero, a trovare un criterio di demarcazione tra scienza e non-scienza;

2) la nota posizione, dei popperiani e post-popperiani, sulla metafisica come “male necessario” – ed il suo ruolo nella teoria complessiva di Popper;

3) motivi di perplessità suscitate sul piano logico dalla teoria evoluzionista della conoscenza;

4) lo strumentalismo ed il finzionalismo, la loro “vicinanza” e le obiezioni che, ancora su un piano logico, possono essere mosse loro;

5) qualche obiezione al behaviourismo.

Ci si potrebbe chiedere se davvero il criterio popperiano di demarcazione (la falsificabilità) è tale da separare scienza e non-scienza (metafisiche, pseudo-scienze), ossia se davvero esso sia in grado di trovare (ovvero costituisca o istituisca) una linea di de-marcazione.

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Popper ha inteso proprio di trovare o magari istituire una tal li-nea di demarcazione. Il lavoro di Popper è venuto dopo la stagione del “Positivismo logico” del Wiener Kreis: egli ha dimostrato che non esistono asserzioni protocollari, a partire dalle quali erigere per induzione le scienze. Il confronto tra le proposizioni delle te-orie scientifiche (proposizioni universali) e proposizioni derivan-ti da esperimenti (proposizioni particolari) non può quindi essere di tipo induttivo, ma soltanto di conferma (provvisoria, instabile, tale da non superare lo status ipotetico della legge scientifica) o di negazione (questa sì definitiva). Infatti Popper accosta la leg-ge scientifica alla legge giuridica in quanto collezione di divieti. La “legge” scientifica può appropriatamente chiamarsi così, dice Popper, perché vieta dei fatti, certi fatti. É importante capire questo argomento. La scienza secondo Popper pronuncia tanti “non”. Essa è costituita da una collezione di divieti. É chiaro che se io enuncio una legge scientifica del tipo “non esiste una mucca più alta di un metro senza avere delle macchie”, chiunque può falsificare una tal legge, semplicemente mostrandomi una mucca che sia più alta di un metro e che non abbia macchie. Così, si prende un impegno maggiore chi pretende di dimostrare che un certo individuo, fatto così e così, non esiste, perché può essere smentito, mentre chi dice che esiste un individuo, dotato di certe caratteristiche, può sempre rimandare la prova decisiva.

É chiaro così che ha un senso l’errore di traduzione di A. Stru-mia che traduce «un sistema negativo deve poter essere confuta-to dall’esperienza» anziché «un sistema empirico […]».76 Popper aveva scritto, poco prima: «da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di essere scelto, in senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso nega-tivo: un sistema empirico […]» 77.

Pertanto, Popper ha concluso, non è possibile verificare ma so-lamente falsificare una legge scientifica. Potremmo riferirci alla sua posizione come al negativismo logico. Il lavoro di Popper è

76 Strumia [1992], p. 97.77 Popper [1970 (1935)], p. 22.

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stato ispirato dall’urgenza di ridimensionare, di azzerare le pretese di scientificità di marxismo e freudismo. Queste due dottrine sono capaci di riadattarsi ad hoc in modo da trasformare ogni smentita in una corroborazione. Resta da chiedersi: è così di tutte le pseudo-scienze, di tutte le ideologie, di tutte le metafisiche? Se la risposta è sì, allora sarà davvero un tratto distintivo delle scienze positive quello di offrirsi alla confutazione, alle smentite sperimentali. Que-sto tratto sarà allora sufficiente alla demarcazione della scienza ri-spetto alla non-scienza. Ma è davvero così? Davvero non esistono, né possono esistere metafisiche falsificabili?

A svantaggio della posizione di Popper, dobbiamo citare: l’e-videnziazione, operata dalla logica, della scorrettezza ideologica di alcune filosofie; la falsificazione da parte della scienza di me-tafisiche ermeneutiche (totalizzanti) per le morali proposte; i pro-cessi alle metafisiche istituiti dalla meta-matematica e dalla logica matematica78. Inoltre, dobbiamo fare anche questa osservazione, sulle basi logiche della falsificabilità, individuate da Popper (so-stanzialmente) nella fondamentale asimmetria tra verificazione e falsificazione. Si può mostrare che tale asimmetria non è presente solo nei risultati teorici delle scienze naturali: vale, ad esempio, anche per le metafisiche ermeneutiche.

Infatti ogni metafisica ermeneutica partorisce una morale, la quale è, per così dire, in attesa di falsificazione. In generale, però, ad un’etica corrispondono infinite ermeneutiche che conducono a quell’unico sistema morale. Dunque dalla vivibilità (praticabilità) di un cartello etico non segue la verità (la verificazione) della er-meneutica che lo propone, mentre dalla falsificazione (logica, em-pirica, …) del cartello di regole segue la confutazione di tutte le ermeneutiche che gli corrispondono. È innegabile che la picture popperiana delle teorie scientifiche come inscritte in una logica ne-gativa ha una corrispondenza esatta e ampia nello svolgimento ef-fettivo dell’impresa scientifica. Ciò anche in campi fondamentali. Si pensi alla fisica delle particelle fondamentali, in cui si è visto che tutto ciò che non è vietato dai principi di base può effettivamente accadere. Le leggi fisiche sembrano agire come una maglia di di-

78 Ajdukiewicz [1989]; Russell [1927].

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vieti attraverso cui la natura “fluisce”, rispettando rigorosamente tali divieti79.

La filosofia popperiana della scienza si configura pertanto come basata sulla assunzione che le teorie scientifiche obbediscono ad una logica negativa. Per teorie scientifiche intendiamo quelle della fisica, chimica, biologia, e tutte quelle teorie che appartengono alle scienze derivate da queste (si pensi alla biofisica, biochimica, ec-cetera). È certo invece che la lettera della scienza non è conforme a ciò, data l’esistenza di molte teorie scientifiche che obbediscono sia ad una logica positiva sia ad una logica negativa. Logica po-sitiva o assertoria è quella ricavabile dalle leggi di Newton per la dinamica. Se vogliamo un esempio di logica negativa, dobbiamo considerare casi in cui un certo processo, un evento, una situazione sono dichiarati impossibili. Pensiamo per esempio alla termodina-mica, e agli enunciati di R. Clausius e di Kelvin. Dovremo allora formulare un’ipotesi: che tutte le teorie scientifiche siano tradu-cibili, senza impoverimento semantico, in formulazioni basate su logica negativa.

Secondo principio della termodinamicaEsistono diverse formulazioni equivalenti del secondo principio della termodinamica. Molto note sono le formulazioni di Clausius e Kelvin, sia per la loro importanza storica, sia perché esprimono in maniera chiara il significato del secondo principio. Entrambe le formulazioni sono espresse come divieti. L’enunciato di Clausius asserisce: “È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno più caldo senza l’apporto di lavoro esterno.” L’enunciato di Kelvin afferma: “È impossibile realizzare una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il calore assorbito da una sorgente omogenea.”

79 Ford [1965].

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A questo punto si aprono due problemi, legati al fatto che le teorie possono, generalmente parlando, essere formalizzate; esse tendono, per così dire, alla formalizzazione.

Consideriamo pertanto separatamente il caso di teorie formaliz-zate e non formalizzate.

Prima di fare ciò, dobbiamo porci una domanda. Tale domanda è: le teorie formalizzate obbediscono ad una logica puramente ne-gativa o anche affermativa? Sono traducibili (perfettamente, cioè senza perdite di contenuto di verità, ovverosia di contenuto seman-tico) in logica negativa? Se la risposta è no, il quadro falsificazio-nista non può descrivere l’impresa scientifica per la tendenza alla formalizzazione di cui si è detto. Anche se la risposta è sì, abbiamo il seguente problema. La scienza nel suo corso storico è, nella ri-cerca, non formalizzata; più precisamente è auto-referenziale. Un discorso auto-referenziale non è formalizzabile. Le teorie forma-lizzate in logica negativa sarebbero prive di qualunque contenuto operativo: sarebbero vere e proprie statue di sale. Questo significa che dal carattere negativo delle leggi scientifiche non si può ottene-re una comprensione del carattere predittivo della scienza.

È proprio questa caratteristica della scienza, caratteristica uni-versalmente ammessa, di predicibilità, di computabilità degli ef-fetti, non è ricavabile nel quadro del ‘negativismo logico’, anzi è incompatibile con esso.

Questo può essere mostrato anche sulla base delle considera-zioni seguenti. Esamineremo separatamente i problemi posti dal-le teorie formalizzate e non formalizzate (che sono la stragrande maggioranza). Cominciamo dalle teorie non formalizzate.

Innanzitutto mostriamo come vi è un isomorfismo tra la parte operativo-sperimentale (anche matematico-linguistica) delle teorie scientifiche e un subset dei sistemi morali (cartelli di regole). Si vuole con ciò dire semplicemente che il lavoro dello scienziato è descrivibile come se ogni sua azione fosse l’esecuzione obbediente di un comando appartenente ad un dato cartello (insieme) di pre-scrizioni.

Immaginiamoci uno scienziato qualunque nel suo laboratorio (nel suo studio, ecc.). Qualunque cosa egli faccia, non è forse come

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se obbedisse ad un preciso sistema morale? E poiché ad un sistema morale è richiesto solo di essere coerente e di non violare leggi ma-teriali (fisiche, chimiche, …) e matematiche, siamo assicurati della descrivibilità detta. È pertanto un fatto semplice, questa possibilità di descrizione del lavoro dello scienziato, ma pregna di conseguen-ze.

La richiesta di non-contraddittorietà, per il cartello etico equi-valente, corrisponde alla non-contraddittorietà delle teorie scienti-fiche: se una teoria T asserisce p e non-p, non solo è incapace di fare previsioni, ma se ne può dedurre tutto e il contrario di tutto. Dunque è infalsificabile. L’ampiezza del concetto di cartello (la non obbligatoria “talmudicità” 80 di esso) corrisponde alla non to-tale deducibilità di una qualunque teoria da una teoria prima e al fatto che, in genere, di due qualunque teorie T1 e T2 non si sa, e non si saprà probabilmente mai81, che relazioni vi intercorrano. L’iso-morfismo tra i due insiemi garantisce:

• se da due proposizioni a e b della generica teoria T è de-ducibile una proposizione c, dai loro precetti corrispondenti a’ e b’ è ricavabile un precetto c’ che è il corrispondente di c (coerenza della rappresentazione);• è arbitraria la corrispondenza individuabile tra un sottoin-sieme a, b, c, d , … contenuto in T e un sottoinsieme a’, b’, c’, d’, … contenuto in C, da cui dedurre e la teoria e il car-tello (rispettivamente).

Così, ogni “riaggiustamento” delle fondamenta di una teoria T non intacca la corrispondenza detta con C.

80 Diciamo “talmudico” un cartello di regole rigorosamente dedotto a partire dai principi primi (i Dieci Comandamenti). Ciò è legato al fatto che gli studiosi del Talmud ritenevano che Dio abbia detto abbastanza da poter dedurre le istruzioni relative ad ogni comportamento umano possibile. Questa convin-zione imponeva ai ‘dottori della Legge’ un fittissimo lavoro di esame ed inter-pretazione delle Scritture.

81 Per esempio, deriva dei continenti e quantumcromodynamics; oppure biologia molecolare e teoria BCS, oppure due qualunque teorie prese a caso nel pano-rama scientifico.

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Con queste premesse, possiamo dire sensatamente che uno scienziato che compia una qualunque misura o calcolo, o cerchi di condurre a termine un ragionamento, ecc., usa un insieme di regole interno al cartello C.

Dall’equivalenza così mostrata, si può dedurre che un sottoin-sieme di T, costituito dai fondamenti di T, da cui ogni proposizione appartenente a T sia deducibile, non può consistere di sole negazio-ni. Infatti da quanto detto segue che a proposizioni della teoria che negano (o vietano) qualcosa, corrisponderà in C uno o più divieti. E, come si sa, nessun precetto o ordine positivo può essere dedotto da uno o più divieti, ossia da un insieme arbitrario di divieti (coe-renti).

Ciò equivale a dire che in un cartello etico non possono esser-ci unicamente divieti, se il cartello deve effettivamente dirmi che cosa devo fare.

Dato che nella scienza – ed anche secondo la picture popperiana di essa – è cruciale il controllo con l’esperimento, sarebbe pertanto una parte essenziale del lavoro scientifico quella che si lascia fuori della logica scientifica in una sua formulazione in logica negativa. Si è visto infatti come il negativismo logico non descrive i contenu-ti operativi della scienza: la capacità di fare predizioni e l’operare effettivo, attivo dello scienziato.

Le teorie scientifiche non sono quindi rappresentabili secondo una logica negativa, senza un pesantissimo ed essenziale impove-rimento semantico, una sostanziale riduzione all’impotenza, una vera e propria reductio ad nihil, almeno nella loro operatività ef-fettiva.

Veniamo adesso alle teorie formalizzate. Per quanto riguarda queste ultime, mostriamo in maniera succinta come si può illustra-re l’inadeguatezza della logica negativa, in un caso particolare ma generalissimo. È il caso delle funzioni ricorsive e del problema della decisione (Entscheidungsproblem).

Si sa che sia le funzioni sia le relazioni ricorsive sono tutte cal-colabili. Vi sono inoltre buone ragioni per considerare vero anche il teorema reciproco, ossia che tutte le funzioni e le relazioni effet-tivamente calcolabili siano ricorsive (tesi di Church). Per questo il

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caso ha validità generale. Calcolabile o computabile significa calcolabile da parte di una

Macchina di Turing: una macchina (ideale) capace di un numero finito di configurazioni, che legge e scrive su di un nastro, scorre-vole in entrambi i sensi, diviso in riquadri e infinito. Il problema della decisione è stabilire, per una teoria arbitraria T, se esiste un procedimento o algoritmo, noto o no che sia a noi, che permetta di decidere in un numero finito di passi se una data formula della teoria è o no dimostrabile, ossia se è o no un teorema di T.

Una teoria formalizzata può essere “gödelizzata”, ossia arit-metizzata: associamo un numero naturale ad ogni simbolo del lin-guaggio, ad ogni formula o successione di formule.

Allora i problemi di decidibilità possono essere riformulati come problemi di decidibilità per la classe dei numeri di Gödel delle sue formule, quella dei suoi assiomi, dei suoi teoremi, ecc. Per la tesi di Church, questi problemi di decidibilità sono risolvibili con una macchina di Turing 82. Per tutte le teorie assiomatizzate e decidibili, la macchina di Turing mostrerà, in un tempo finito, che una formula A è un teorema della teoria, o che non lo è: dirà sia sì sia no (secondo i casi).

Il caso di una risposta affermativa non è riducibile ad un insie-me finito di negazioni, per una classe numerabile infinita di asserti (cioè di numeri). La macchina, d’altronde, deve decidere in un tem-po finito. Essa non può, pertanto, dire solo “no”. Quindi la logica negativa (il negativismo logico) non può descrivere questi ambiti. La cosa si fa (se possibile) anche più seria se si considerano teorie indecidibili, cioè quelle in cui non si possono dimostrare tutte le formule vere83. La macchina di Turing debba decidere se il numero di Gödel di un’asserzione A è il numero di Gödel di un teorema di una teoria T (indecidibile). Come può farlo in logica negativa?

Siano N, M, …, Q, … i numeri di Gödel dei teoremi della teoria. Se la risposta è A≠N, A≠M, A≠P, A≠S, …: posso concludere che è A=Q? No! Ricordiamo che la teoria è indecidibile. Pertanto non

82 Per una ottima discussione di questi (ed altri) problemi, si può vedere Hofstadter [1984].

83 Gödel [1931], pp. 173-198 e Nagel-Newman [1974].

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possiamo distinguere tra tanti “no”, per dire che la risposta man-cante, relativa ad un certo numero Q di Gödel, è “sì”. No, perché se la teoria è indecidibile, la risposta può non esserci!

Se una formula è un teorema della teoria, la macchina non può dirmelo in logica negativa. E data l’equivalenza tra computabilità ‘secondo Turing’ e computabilità, si può concludere che anche le teorie formalizzate non sono riducibili o traducibili in logica pura-mente negativa.

Riguardo al falsificazionismo come sviluppato da Popper e dal-la sua ‘scuola’, riguardo al ‘negativismo logico’, dobbiamo dire: esso non descrive la logica della scienza. Dunque esso non potrà neppure produrre un adeguato criterio di demarcazione.

8.2. metafIsIca e scIenza

Penso […] che la buona filosofia ci possa davvero illuminare, e questa illuminazione può provenire da qualunque tipo di filosofia.

Hilary Putnam

È nota la posizione ambivalente di Popper e dei post-popperiani circa la rilevanza della metafisica per il cammino della scienza. Ad esempio, J. Agassi, J. Watkins, D. Antiseri e G. Boniolo84 hanno proposto in vari lavori la loro concezione del ruolo della metafisica nella scienza: quello che ne risulta può essere definito come un “male necessario”. La concezione popperiana e post-popperiana della metafisica nei suoi rapporti con la scienza è del tutto analoga alla concezione pragmatista della metafisica.

Secondo la concezione pragmatista della metafisica, questa non è altro che un insieme di regole per costruire una macchina compu-tatrice. Per i popperiani, basta sostituire “teoria scientifica” a “mac-china computatrice”.

Questi studiosi asseriscono infatti: una metafisica altro non è che un insieme d’istruzioni per costruire una scienza (un programma di

84 Antiseri [1980], Agassi [1983], Watkins [1983], Boniolo [1988].

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ricerca), per quanto camuffata da teoria sul reale o interpretazione del senso del mondo. Per questo dobbiamo continuare a produrre metafisiche, e buone metafisiche: perché sono utili alla scienza, e la scienza ci serve per sopravvivere.

Alla scienza è dunque necessaria una buona metafisica. Dobbia-mo però stare attenti a non prendere troppo sul serio le metafisiche, a non accordare loro il significato di interpretazioni del senso del mondo. Altrimenti non serviranno più alla scienza, per questo, ed avremo fra le mani una causa in più di discordia, uno di quei pretesi assoluti e sedicenti universali, non per questo utili alla scienza ma dannosi alla religione.

Ai popperiani, tuttavia, si può chiedere: se la metafisica non è che un set di istruzioni per impiantare una ricerca scientifica, e se la scienza così costruita è falsificabile, non è falsificabile anche il pacchetto di istruzioni per la sua costruzione?

Quindi sembra che, nel quadro popperiano che individua nella falsificabilità il criterio di demarcazione tra scienza e metafisica, la metafisica e la sua influenza sui programmi di ricerca scientifici funzionino come un “cavallo di Troia”.

8.3. sulla teorIa evoluzIonIstIca della cono-scenza

Dimostrazione e confutazione: sono termini,questi, che in filosofia vanno scomparendo, quantunque ancora un G. E. Moore abbia ‘dimostrato’a un mondo perplesso che esso esiste. Che cosa si

può dire a tanto, se non forse che egli è un grande dimostratore al cospetto del Signore?

Friedrich Waismann

Popper, com’è noto, verso la fine della sua vita ha sempre più piegato verso la teoria evoluzionista della conoscenza85.

Quali sono i due assunti fondamentali di una teoria siffatta?

85 Popper [1975].

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Sono, naturalmente, gli stessi che costituiscono l’ossatura del darwinismo propriamente detto, ossia quello valido in campo bio-logico:

1) l’origine delle variazioni (biologiche o culturali) sono as-solutamente casuali e non connesse all’ambiente circostante;

2) il secondo elemento coautore della selezione è l’intervento selettivo che l’ambiente opera imparzialmente su di esse, favoren-do le più adatte alla sopravvivenza.

È il punto 1) ad essere alquanto vecchiotto. L’intravedere un parallelismo tra la generazione di idee nella

mente umana e il sorgere di mutamenti organici, non è altro che l’idea di Popper, secondo la quale gli scienziati hanno illumina-zioni, scoperte improvvise. In seguito è l’ambiente circostante che s’incarica di stabilire selettivamente se un’ispirazione era davvero una scoperta scientifica. Come le mutazioni sono casuali, così le ipotesi, le congetture, i tentativi di soluzione dei problemi, formu-lati dagli scienziati, sarebbero ‘alla cieca’.

Tale idea popperiana non rispetta il reale svolgimento del lavo-ro dello scienziato, neppure la storia della scienza, perché una tale immagine dell’attività scientifica ne è una grossolana caricatura. In realtà, le cose stanno come dice Feynman: «le […] teorie […] sono sottili e profonde. Arrivare a un’ipotesi così sottile e profonda non è facile: bisogna essere molto astuti per questo, e non lo si può fare alla cieca con una macchina».86

Il punto 1) può essere abbandonato (uscendo con ciò dall’am-bito del darwinismo, perlomeno di quello ortodosso). È stato fatto, ad esempio, da S.E. Toulmin87, che è stato criticato da J. Cohen88, che ha mostrato la insostenibilità delle analogie viste da Toulmin tra evoluzione organica e mutamenti nella scienza.

86 Si vedano Feynman [1970] e [1971-1976]. Il passo citato è a p. 181 dell’edi-zione italiana dell’ultimo testo citato.

87 Toulmin [1972].88 J. Cohen alle pp. 105-120 di E. Agazzi [1976]. Si può vedere parimenti,

Salazar [1988].

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Vediamo ora un altro motivo per non prendere molto sul serio le teorie evoluzioniste della conoscenza. Una qualunque di esse può servire agevolmente per descrivere, non solo quanto avviene nella scienza, ma anche quanto avviene nella filosofia della scienza. In-somma una teoria evoluzionista può essere usata anche nel piano meta-teorico immediatamente superiore, quello che ha per oggetti non le teorie scientifiche, ma le teorie sulle teorie scientifiche. Essa potrebbe benissimo servirci, al ‘piano superiore’, per descrivere ciò che non riesce più a descrivere al ‘piano inferiore’ (diremmo semplicemente che è stata superata da una teoria più adatta).

È facile vedere che una tale teoria evoluzionista può sempre sopravvivere, anche se relegata a piani via via sempre superiori. Il suo dominio sui vari piani meta-meta- …-teorici arretrando sempre più, ma restando comunque infinito. A che serve una teoria di tal tipo?

8.4. perché non sIamo strumentalIstI

La scienza spiega i particolari riconducendoli nell’ambito di principi generali. I principi sono esplicativi

solo se sono intelligibili, e sono scientifici solo se possono essere confrontati con l’esperienza.

Israel Scheffler

Veniamo ora a parlare dello strumentalismo ovvero del fin-zionalismo. È abbastanza facile dimostrare che le due teorie sono equivalenti.

La filosofia finzionalista o filosofia ‘del come se’ si configura, presa alla lettera, come una precisazione quanto al contenuto del-le asserzioni ed osservazioni umane. La precisazione consiste nel preporre alle proposizioni la dicitura: “tutto va come se …”.

Il finzionalismo è una teoria su tutte le attività intellettuali umane. Dunque è anche una teoria sulla scienza. Tale teoria asserisce del-la scienza la sostanziale ‘finzionalità’ (come di tutte le altre attività

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conoscitive).89 D’altro canto, il finzionalismo asserisce che la scien-za stessa è finzionalista, ne asserisce cioè il ‘finzionalismo’, oltre alla ‘finzionalità’. Per fare un esempio, il secondo aspetto si ha quando un finzionalista corregge le asserzioni di un fisico precisando che si deve dire non “l’energia si conserva” ma “tutto va come se l’energia si conservasse”. Chi asserisce invece il finzionalismo della scienza, attribuisce (tout court) al fisico l’idea, il profondo convincimento che, al mondo, “tutto va come se l’energia si conservasse”. È chiaro che queste due tesi (entrambe finzionaliste) sono distinte, ma pos-sono essere trattate congiuntamente. Per quanto riguarda il discorso scientifico, il finzionalismo si presenta in una duplice veste, ma en-trambi gli atteggiamenti sono chiaramente finzionalisti.

Prima di fare ciò, puntualizziamo perché la filosofia ‘del come se’ è un attentato al realismo.

Sia a una proposizione scientifica. È chiaro che la correzione di a consistente in b: “tutto va come se a”, può essere applicata anche a b, ottenendo c: “tutto va come se tutto andasse come a” … e così via. Non si dà nessun criterio per fermarsi, per qualunque proposizione a scientifica, a b, anziché a c, d, ecc. Insomma non si dà nessun criterio per preferire il finzionalismo (diciamo) di primo o di secondo o di terzo … livello. Se volete, tutto va come se non ci fosse alcun criterio per preferire il finzionalismo di un qualunque livello rispetto agli altri. Non si vede, d’altra parte, perché accettare singole proposizioni finzionaliste, relative a singole proposizioni scientifiche, invece di ricapitolare il tutto dicendo: tutto va come se tutto andasse così. Insomma, quel che in “tutto va come se l’e-nergia si conservasse” mette in sospetto è quel “tutto”. La frase, a rigore, è ambigua perché non è chiaro se significhi:• che l’apparenza è a favore della conservazione dell’energia, ma non sappiamo in proposito nulla riguardo alla realtà (finzionalismo forte), oppure• che l’insieme dei fatti conosciuti è tale che l’asserzione che l’e-nergia si conserva è una schematizzazione che ne rende giustizia, sia pure in modo arbitrario ma sostanziale (finzionalismo debole).

Quindi il finzionalismo, come approccio teorico al problema

89 Vaihinger [1967 (1911)].

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della conoscenza, palesa capacità di regresso all’infinito, capacità di autodescrizione (tutto va come se il finzionalismo funzionasse) e ambiguità interpretative pesanti: e questi non sono certamente dei buoni titoli, agli occhi dei logici.

La possibilità di totalizzarlo (tutto va come se tutto andasse così) e interpretarlo in senso forte (tutto va come se la realtà ci fos-se davvero, ma non ne deduco che sia così) ne mostrano senz’altro la portata quanto a far vacillare il realismo. È (anche) il realismo a (poter) essere messo in discussione, in ambito finzionalista. Per quanto riguarda la scienza, ed il suo preteso finzionalismo, comin-ciamo ad osservare che la lettera (se non addirittura lo spirito) della scienza non è finzionalista. Gli articoli scientifici non sono zeppi di “tutto va come se …”. Questa locuzione è usata perlopiù per quei casi dubbi, che richiedono ancora sperimentazioni e calco-li, ed enuncia un’ipotesi di lavoro, sottolinea che quanto segue è verosimile e probabile, ma non ancora certo (allo stato dell’arte). Salvo questo caso, gli scienziati non seguono generalmente il dik-tat finzionalista.

Qualche scienziato finzionalista qua e là si trova. Però attua la precisazione finzionalista tra sé e sé, non solo per quanto attiene la sua professione, l’ambito scientifico, ma in tutti gli ambiti umani, per tutto ciò che incontrano nella loro vita civile, morale, affettiva, ….

8.5. I dIecI comandamentI come astuzIa bIologIca

Il Signore è sottile, non maligno.Albert Einstein

La tentazione di esplicitare come scientifico il trattamento fin-zionalista anche ad altri ambiti umani consiste nella tentazione di provare a ‘dimostrare’ che una qualunque cosa che asserisca di sta-re in un certo modo, va in effetti come se lo fosse, ma se si guarda più a fondo … Ritengo opportuno esaminare ‘ad hoc’ un esempio in cui sembra che, finzionalisticamente, la scienza ci dica che cosa ‘realmente’ è una dottrina etico-religiosa, o alcune affermazioni di

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essa. É il caso del libro Biologia dei dieci comandamenti di W. Wickler90.

Questo autore ci fa notare l’universalità di alcune norme etiche (come: non uccidere i tuoi simili, non rubare, non mentire). Tali norme etiche sono indispensabili alla convivenza sociale. In par-ticolare Wickler ci mostra la straordinaria somiglianza tra il deca-logo mosaico e i comandamenti morali accettati da popoli che vi-vevano in condizioni socio-economiche simili a quelle del popolo ebraico. Tutte queste popolazioni erano almeno all’inizio nomadi e praticavano la pastorizia. Wickler ci fa poi notare come le norme etiche abbiano subito un’evoluzione in concomitanza con le mutate condizioni di vita del popolo di Israele. É evidente che i comanda-menti morali erano tali, in ogni epoca, da assicurare la convivenza sociale e la sopravvivenza del gruppo.

Questa “portata ecologica” dell’etica sociale può essere rintrac-ciata anche nell’articolazione delle norme etiche, almeno secondo Wickler: questa portò gli Ebrei ad avere seicentotredici comanda-menti della Legge, all’epoca in cui visse Cristo91.

Per dimostrare che non siamo per nulla prevenuti nei confronti delle idee di Wickler, siamo anche disposti ad estendere le sue ar-gomentazioni. Un effetto preventivo nei confronti delle possibili minacce alla sopravvivenza unitaria del gruppo può essere rintrac-ciato, oltre che nei sette comandamenti di cui si occupa Wickler 92, che concernono la vita sociale, anche nei primi tre. Questi racco-mandano: l’adorazione di un unico Dio, la non profanazione del suo Nome e la santificazione del Sabato.

Il riconoscimento comune di un unico Dio, per esempio, impli-ca almeno due cose. In quanto riconoscimento di un unico ‘Padre’, il sentirsi tutti fratelli, tutti uguali; in quanto riconoscimento di un’unica autorità superiore, implica il rivolgersi, in caso di dispute o disaccordi, alla medesima fonte. A quest’unica fonte tutti devono obbedienza ed attenzione, nel decidere cosa sia giusto e cosa non lo sia. É evidente, allora, la portata sociale di questo comandamento,

90 W. Wickler [1973].91 Ivi p. 60.92 Ivi p. 51. Egli dice esplicitamente di volersi limitare ai “comandamenti sociali”.

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come fattore di unificazione della comunità 93. Dice dunque Wickler: cosa sono i comandamenti scritti sulle

tavole che Mosé recò con sé quando scese dalla montagna? La tra-dizione risponde: sono la Legge, consegnata da Dio stesso a Mosé affinché questi la trasmettesse al suo popolo. Wickler dice inve-ce: i profeti, che credevano di aver ricevuto da Dio la ‘parola’ per insegnarla al popolo, erano invece i battistrada dell’evoluzione. Essi, attraverso il loro insegnamento, facevano affermare quelle tendenze culturali e di comportamento che meglio garantivano la sopravvivenza del gruppo. Essi credevano di aver ricevuto la paro-la da Dio, mentre in loro (e, attraverso loro, nella loro comunità) si facevano strada le tendenze sociali più favorevoli all’adattamento ambientale.

Siamo, come è ben chiaro, in pieno ‘travestismo’: Mosé e i pro-feti che credono di essere inviati da Dio ed in realtà sono degli ecologi inconsapevoli.

Credo non sia difficile dimostrare che, dal punto di vista scien-tifico, le tesi ‘del travestimento’ di questo tipo non valgono nulla. Chiariamo il perché. Innanzitutto dobbiamo dire che quanto dice Wickler ci va benissimo: è ben vero che norme morali accettate da un popolo sono quasi sempre quelle che assicurano il raggiungi-mento delle condizioni migliori per la sopravvivenza. Il Decalogo non fa sicuramente eccezione. Però l’idea di smascherare qualcosa per “quello che veramente è”, considerandone gli effetti sul piano economico, o sociale, è chiaramente tale da poter dimostrare tutto ed il contrario di tutto.

Questa ‘tesi del travestimento’ si può usare, per esempio, per ‘di-mostrare’ che Wickler è, ‘in realtà’, un profeta. In conclusione del suo saggio, l’autore ci propone un «elenco di qualità umane ed esso valga come interpretazione positiva dei Dieci Comandamenti»94 (redatto da H. Klomps, dell’Università di Colonia). Questo elenco ci viene proposto come un elenco di qualità che «denotano virtù morale e idoneità etico-sociale. […] la parole ‘virtù’ – perché non assuma un sapore patetico, lacrimoso, pietistico – vuol significare

93 Peterson [1983 (1935)].94 Wickler [1973], p. 192.

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‘idoneità’, convenienza». Nel proporre questo elenco, dunque, Wickler è convinto di fare

opera di educazione ecologica. Egli starebbe spingendo l’evoluzio-ne comportamentale dei suoi simili nella direzione conveniente per l’equilibrio sociale e la sopravvivenza della specie. In realtà egli, pur credendosi un etologo, è un profeta, cui Dio fa pronunciare e divulgare la sua Legge in un linguaggio di sapore ecologico, scien-tifico, sapendo quanto sia in disuso in questi tempi un linguaggio fideistico, pio, religioso, che suonerebbe proprio “patetico, lacri-moso, pietistico”.

Ma, allora, Dio ci sta ingannando!Certamente, così facendo Dio ci inganna, imbrogliando le carte

in tavola. Del resto, già nell’Antico Testamento aveva dimostrato di essere disposto a prendere misure di ogni tipo pur di fare rispet-tare la Legge …

La tesi di Wickler che ‘in realtà’ i profeti fossero ecologisti non è attaccabile, poiché essi hanno contribuito a realizzare l’equilibrio sociale.

Ma neppure la tesi che Wickler ‘in realtà’ sia un profeta è at-taccabile, perché in effetti egli cerca di divulgare la Legge di Dio.

Considerare un sottoinsieme qualunque degli effetti di una cosa95, per svelare “che cosa essa in realtà è”, è qualcosa che si può sempre fare, ma può servire a dimostrare praticamente tutto.

Per esempio, una storiella che circolava fino agli anni ottanta del secolo scorso era la seguente (giudicate voi della sua attendi-bilità). Il regime comunista dell’URSS era finanziato da capitalisti americani che volevano impadronirsi del pianeta. Non avrebbero potuto raggiungere il loro scopo se gli Stati Uniti si fossero trovati di fronte un paese quale sarebbe stato l’Unione Sovietica, se questa avesse potuto utilizzare appieno le sue immense risorse. Di qui la necessità di finanziare un regime comunista che riusciva a mante-nere qual paese in una perenne situazione di difficoltà economico-amministrativa. Si considerino, a sostegno di tale tesi ‘travestista’,

95 Ricordiamo, con Popper, che non è dato conoscere l’insieme totale degli ef-fetti che produrrà una qualunque azione. Si veda in proposito la trattazione di D. Antiseri [1986].

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i seguenti fatti. Ogniqualvolta l’economia sovietica rischiava il tracollo, gli statunitensi intervenivano in suo aiuto. USA e URSS erano sempre d’accordo su come ‘spartirsi’ il pianeta. Anche su dove, quando e come dovessero scoppiare le guerre, le rivoluzioni ed i colpi di stato, URSS e USA erano capaci di mettersi d’accordo. Tutti questi accordi erano coperti da una facciata di ostilità ende-mica, da ridicoli insulti e vuota retorica nazionalista e ideologica. Intanto, sottobanco si realizzavano importanti accordi di coopera-zione economica, ecc.

8.6. ObieziOni al behaviOurismO

È lo sport nazionale dei filosofi inglesi ‘analizzare’ sedie e gatti in termini di dati sensoriali. Analogamente,

i comportamentisti americani si compiacciono di ‘ridurre’le asserzioni psicologiche ad asserzioni riguardanti il

comportamento umano. Così facendo, essi hanno trascurato un aspetto importantissimo: la ‘struttura aperta’ di moltissimi

dei nostri concetti empirici.Friedrich Waismann

Tutto va come se i profeti annunciassero la parola di Dio: in realtà essi sono battistrada dell’evoluzione … Tutto va come se i profeti fossero i battistrada dell’evoluzione: in realtà essi annuncia-no la parola di Dio.

Il finzionalismo, in senso debole o forte che si voglia, rappre-senta un sottoinsieme ristretto delle sconfinate possibilità di voci-ferazione che si aprono se accettiamo le tesi del travestimento, enu-cleando un sub-set delle conseguenze o implicazioni di qualunque cosa. Per quanto riguarda l’asserzione della ‘filosofia del come se’, riguardante la finzionalità della scienza, ossia la pretesa finzionali-sta di correggere tutte le proposizioni scientifiche, vediamo il caso del behaviourismo.

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L’obiezione è mossa ai behaviouristi ma, per il suo contenuto, indirizzabile a molte affermazioni fatte da scienziati dei più svariati campi di indagine. Lo scienziato behaviourista cosa sostiene? Che le uniche asserzioni possibili, da parte della scienza, sono quelle che si riferiscono al comportamento manifestato da un individuo in determinate circostanze. Secondo questa interpretazione della scienza, sono solamente le reazioni di un individuo a certi stimoli che possono essere oggetto di un accordo intersoggettivo.

Qual è, allora, questa obiezione? Un comportamentista orto-dosso non può asserire di avere osservato, per esempio, un certo animale comportarsi in un dato modo, in seguito a certi stimoli. Può soltanto dire, in quanto comportamentista e in quanto animale (specie homo sapiens), di avere ricevuto, in una certa situazione, determinati stimoli e, in conseguenza di questi, di essersi compor-tato in un certo modo.

Richiamiamo la vostra attenzione su due cose. Il discorso fatto dal comportamentista fin qui sta in piedi. Se si nega che uno possa dire che un certo animale in certe condizioni ambientali ha manife-stato certi comportamenti, non si vede quale pretesa di legittimità possa avanzare, ad esempio, un fisico: costui, poniamo, osserva che un dato materiale se immerso in un campo magnetico si com-porta in un certo modo.

Il secondo punto su cui vorremmo che poneste la vostra atten-zione è il fatto che il discorso del comportamentista non è in grado, in definitiva, di descrivere se stesso: nel senso che esso non rientra nelle caratteristiche che ha scelto per tutti i discorsi scientifici. In base ai propri criteri metodologici di classificazione degli eventi, quel ricercatore non può dire che cosa egli ha fatto, non può descri-vere il suo stesso operato.

Dopo avere notato ciò, asseriamo che l’obiezione del compor-tamentista non sta in piedi. Ciò per due motivi almeno. Infatti, assumiamo pure che egli debba applicare i criteri epistemologici suoi propri di approccio allo studio del comportamento animale a tutti gli animali. Egli, in conseguenza di ciò, rinuncia ad attribui-re funzioni conoscitive (ma anche a risultato di apprendimento, a tendenze innate, …) limitandosi a considerare il comportamento

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manifesto degli animali. In particolare deve registrare le reazioni comportamentistiche degli animali a dati stimoli.

Se, accettate queste premesse (comportamentistiche), vogliamo proprio essere precisi, dovremo dire quanto segue.

Il ricercatore deve considerare che egli stesso è un animale. Quindi non potrà pronunciare né accettare proposizioni su quello che egli ha osservato fare all’animale in esame. L’ipotesi suppletti-va, di considerare un animale anche il ricercatore, invalida pure la seconda parte dell’obiezione.

Infatti, se consideriamo il primo sistema di osservazione: ani-male1 + ambiente1, quello con cui abbiamo ora a che fare, consi-derando anche il ricercatore, sarà: animale2 (ricercatore) + anima-le1 + ambiente1. Il ricercatore, in quanto animale, può solamente comportarsi, non può osservare né registrare! Quelle sono funzioni conoscitive! Tra le cose che non può legittimamente osservare, re-gistrare o dire di avere osservato o registrato, c’è appunto anche il suo comportamento.

Veniamo ora al secondo motivo che dicevamo. Si potrebbe pensare di rimaneggiare la situazione, per aggirare

l’inghippo in cui siamo incorsi. Una soluzione potrebbe essere la seguente. Un comportamentista ‘ortodosso’ asserisce che … Que-sto significa che egli ha ricevuto certi stimoli dal sistema che ha esaminato ed in conseguenza si è comportato in un certo modo … (voi illustrate questo modo).

Se voi dite questo, assumendo come validi i criteri metodologi-ci dei comportamentisti, avete dimostrato che il sistema (ricerca-tore + animale + ambiente) è ben descrivibile in base a tali criteri. Ma, se è per questo, era così anche del sistema (animale + am-biente). Avete solamente introdotto, abbastanza surrettiziamente, un altro osservatore, il cui comportamento è ora fuori dell’esame in base ai criteri comportamentistici di cui si è detto. Potremmo, certamente, introdurre un terzo osservatore, che registri e descriva i comportamenti del sistema: osservatore2 + osservatore1 + animale + ambiente.

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Il ‘gioco’ di introdurre nuovi osservatori può teoricamente con-tinuare all’infinito. Trascuriamo l’obiezione che, nel caso teorico come in quello pratico, ad un certo punto, introdurremmo un osser-vatore con ‘troppe’ cose da osservare, per potercela fare. Il punto è che, necessariamente, dovremmo introdurre prima o poi un osser-vatore il cui operato non viene considerato in base ai criteri con cui viene valutato il comportamento del sistema osservato. Dato che non ci sono punti privilegiati in cui interrompere la catena degli osservatori, la scelta più economica di considerare il primo osser-vatore della catena come quello che non si autodescrive può andare bene come qualunque altra: col che, si è dimostrato come e perché il behaviourismo si incastra con le proprie mani.

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9. LA TEORIA CIRCOSCRIZIONISTA

9.1. vIsIone cIrcoscrIzIonIsta del progresso scIentIfIco

Nell’età della ragione, la fede rimane ancora suprema;perché la ragione è uno degli articoli di fede.

Arthur Stanley Eddington

Affrontiamo ora l’esame dettagliato della teoria circoscrizioni-sta della scienza. Come già detto, non pensiamo con ciò di proporre alcuna autentica novità. La teoria detta è già stata proposta, come già detto, da W. Heisenberg ed E. Agazzi.

Pensiamo invece che questa teoria, suggerita già dalla visione aristotelico-tomista della scienza, sia tale da poter sistemare molti problemi (realismo plurale, convivenza di diverse teorie, rappor-ti tra modello sintattico e modello semantico della scienza, …). Inoltre essa può costituire un efficace antidoto contro le forme di scientismo più virulente – quelle più diffuse, tanto per essere chiari – nello stesso tempo incoraggiando la pratica serena della ricerca ed una serena valutazione dei risultati ottenuti dalla scienza.

Questa teoria sarà presentata avvicinandola, per analogia, alla situazione in cui si trovano gli umani quando cercano di rappre-sentare una superficie approssimativamente sferica (com’è quel-la della terra) su carte piane. Per quanto rappresentazioni di aree relativamente “piccole” (diciamo di una provincia italiana) diano sostanzialmente un’idea veritiera di quanto rappresentato, le cose cambiano quando ci troviamo a rappresentare per esempio interi continenti.

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Accettiamo appieno la critica di Popper alla gnoseologia neo-positivista. Accettiamo anche la posizione di Popper sulla non esi-stenza di una conoscenza induttiva che, a partire dai soli protocolli empirici, ricavi per induzioni successive asserti teorici di crescente generalità. Ammettiamo che l’approccio sperimentale è guidato dalla teoria e che questa contiene (generalmente) più di quanto è confrontabile con l’empirìa.

Non ammettiamo, anzi neghiamo decisamente che le teorie scientifiche siano formulate in logica negativa. Sia asserti positivi sia divieti saranno compresi nella teoria e nel sottoinsieme di as-serti-base deducibili da essa che sono confrontabili con l’empirìa.

Abbiamo detto: ogni teoria scientifica corrisponde a più model-li. La scienza stabilisce un’analoga (e problematica) corrisponden-za tra i suoi modelli e parti distinte (non sempre diverse, né sepa-rate) della realtà. Problematica in quanto non sempre gli scienziati si preoccupano di dichiarare che quello che studiano è un modello, non una parte della realtà. Su questo si veda Murzi [2011].

9.2. domInIo effIcace e domInIo teorIco dI una teorIa.

A questo punto dobbiamo dare qualche definizione. Abbiamo detto: DE sia il dominio efficace, ossia l’insieme degli

asserti-base verificati. Per ‘asserti-base’ intendiamo semplicemen-te gli asserti della teoria che sono giudicati suscettibili di controllo sperimentale. Pensiamo, tanto per essere espliciti, ai numerosissi-mi asserti della fisica newtoniana su molle, piani inclinati, oggetti a velocità basse (molto minori di quelle della luce). Se diciamo le cose in questo modo, è per esigenze di brevità: comunque tutto quello che non è ben specificato, è specificabile in vari modi, alcuni dei quali molto precisi.

Questo implica che gli asserti-base della teoria potranno essere sia verificati sia falsificati dal controllo empirico. La falsificazione, tuttavia, riguarderà, in generale, le singole ipotesi, ossia certi as-serti-base, non le teorie. Generalmente parlando, qualunque teoria

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T conterrà (produrrà) un set non vuoto DE di asserti-base confron-tabili con l’empirìa con successo. È quello che abbiamo chiamato dominio efficace della teoria.

Poiché il confronto con l’empirìa è guidato dalla teoria, sarà la teoria stessa a dichiarare, tra le altre cose, a quali condizioni e in che modo vada affrontato il controllo empirico dei suoi asserti-base. Con ciò si ammette che è caratteristico della teoria scientifica di offrirsi al controllo sperimentale. Questo fatto è della più gran-de importanza, per quanto esso sia largamente noto: vale sempre la pena di ribadirlo; vedremo poi perché esso è importante, da un punto di vista logico. Ricordiamo pertanto che la teoria stessa è organizzata in modo tale da permettere di articolare esperimenti mirati ad ottenere dalla Natura conferme o smentite dei suoi asser-ti-base, dei sì o dei no alle sue asserzioni, siano queste positive o (riducibili a) divieti.

Abbiamo poi il DTH(E): dominio teorico effettivo. Questo può essere pensato come il dominio “interpolato” del dominio effettivo.

Come dice Eddington:

è la conoscenza di quello che sarebbe il risultato di un procedimen-to osservativo se fosse compiuto, includendo come caso speciale il risultato di qualsiasi procedimento osservativo che sia stato com-piuto. Nel progresso della fisica i fatti individuali sono stati ampia-mente assorbiti in generalizzazioni. […] Il fisico non si interessa di fatti speciali, eccetto che come materiale per generalizzazioni.96

Cerchiamo di spiegarci. Se sono stati compiuti due esperimenti, con valori diversi di un parametro α, diciamo α1 ed α2, con un certo esito, possiamo ragionevolmente supporre che ogni altro esperi-mento, effettuato con un valore del parametro α compreso tra i va-lori detti, ossia con un α compreso tra α1 ed α2, darà inesorabilmen-te un esito positivo. Questo, poiché tutti gli scienziati credono che la natura abbia un ordine, che essa lo rispetti e quindi non combini mai di questi scherzi.

96 Eddington [1984], p. 21.

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Detto DTH (dominio teorico) della teoria T l’insieme degli asser-ti-base deducibili da essa, sarà dato, ad ogni momento della storia, anche l’insieme di tali asserti-base confrontabili, in linea di prin-cipio, con l’empirìa97. Si pensi, ad esempio, agli asserti derivabili dalla meccanica newtoniana concernenti oggetti che si muovono a velocità qualunque. Anche per oggetti a velocità prossime a quelle della luce, devono valere le regole della relatività galileiana. Chia-miamo tale subset DTH(E): il dominio teorico è chiaramente mag-giore del dominio teorico effettivo, DTH(E). Detto in altre parole, è chiaramente DTH(E) compreso in (e magari uguale a) DTH.

Non chiediamo che sia, per ogni T, DTH(E) = DE. Ogniqualvolta un asserto-base Ab prodotto dalla teoria e appartenente al dominio teorico (ossia, Ab ∈ DTH ) sia falsificato dal responso empirico, ma con altri asserti-base già verificati, diremo che la teoria è stata (par-zialmente) circoscritta. Ciò significa che ogni teoria con un DE ≠ ∅ (con dominio efficace diverso dall’insieme vuoto), è una teoria con un (limitato) campo di applicazione.

Possiamo citare qualche esempio, per chiarire a quali situazioni pensiamo. É noto che la fisica classica di Newton è stata dimostrata essere incompatibile con l’elettromagnetismo di J. Maxwell, dalla teoria ristretta della relatività di A. Einstein. Tuttavia, ogni volta al giorno, parecchi insegnanti di fisica, in tutto il mondo, scrivono ancora le equazioni della teoria di Newton, valide per oggetti che si muovano a piccole velocità (rispetto a quella della luce), senza stare neppure a specificare che si tratta di un’approssimazione.

Pensiamo anche alle teorie che hanno riguardato, all’incirca nell’ultimo secolo, i fenomeni superconduttivi. Questi sono legati alla possibilità, a temperature sufficientemente basse, di fare scor-rere correnti di elettroni che non subiscono dissipazione resistiva: quindi possono scorrere indisturbati nel materiale per un tempo indefinito. La prima teoria della superconduttività è stata quella di due fisici russi, Ginzburg e Landau (GL), seguita negli anni suc-cessivi da quella Bardeen-Cooper-Schrieffer (BCS). Queste due teorie stanno tra loro in un rapporto simile a quello tra le teorie

97 Date le conoscenze tecnologiche, il grado di raffinamento delle tecniche spe-rimentali, eccetera, a quel momento della storia.

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di Newton ed Einstein, nel senso che la teoria di GL è valida per valori della temperatura non troppo inferiori a quella di transizione, mentre quella BCS ha un dominio di validità più ampio. Nel do-minio di GL, le equazioni e previsioni BCS si riducono a quelle di GL (come accade per le previsioni e le equazioni di Einstein, che quando le velocità si avvicinano a quelle molto minori di quella della luce, si riducono a quelle di Newton).

Pensiamo, ancora, alle teorie sociobiologiche: secondo esse, il comportamento umano è finalizzato a massimizzare le probabilità di trasmissione del proprio bagaglio genetico. Queste teorie hanno indubbie difficoltà nella spiegazione di interventi volti alla steriliz-zazione irreversibile, ma anche nei casi di omosessualità …

Dal momento che l’allargamento di DE in DTH è legato al cam-mino stesso di scienza e tecnologia, è chiaro che nuovi confini po-tranno essere tracciati, spostando quelli “vecchi”, attorno a DE , al passare del tempo. In particolare, siano date due teorie T1 e T2, i cui DTH siano coincidenti. Inoltre queste due teorie siano in rapporti tali per cui sia riconosciuto che T1 è un’approssimazione di T2. T1 sia approssimazione accurata in un dominio DE1. Il miglioramento, l’affinamento delle tecniche di controllo sperimentale può “ri-pa-rametrizzare” le richieste di accuratezza delle previsioni teoriche, restringendo DTH(E1).

Del tutto in generale, però, tale restringimento non può riguar-dare DE, sicché non può ridurre DE1 all’insieme vuoto. Infatti è sem-pre DTH a restringersi, non (mai) DE. DE può solamente allargarsi o trovare confini. Ciò in quanto la possibilità di rifare esperienze già fatte, con un grado di accuratezza non massimo (allo stato attuale), ma pari a quello “precedente”, riveste un significato non banale: non è solamente un significato storico, quello che riveste questa possibilità, per la caratteristica non banale di riproducibilità degli esperimenti. Tale caratteristica implica il perdurare del legame tra asserti generali di T1 e asserti-base deducibili da essi. Questo è il motivo, anche se riconosciamo di averlo enunciato in un modo al-quanto strano, per cui palline, molle e pendoli vengono trattati, in un qualunque laboratorio didattico di fisica, secondo i dettami della teoria newtoniana, non secondo la relatività di Einstein o secondo

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la meccanica quantistica.La teoria T consisterà, del tutto in generale, di un certo numero

di assiomi da cui si deducono via via gli asserti-base. Questi ulti-mi saranno in generale in numero infinito. Tutti questi asserti-base hanno pari dignità. Ne segue che, ammesso il modus ponens nella logica della scoperta scientifica, si ha in generale, per una teoria T, un DE non vuoto che può solo, al passare del tempo, restare quel che è o allargarsi, ma non restringersi. Il quadro dell’attività scientifica così ottenuto, ammettendo sia il modus tollens sia modus ponens, comporta che la falsificazione riguarda singoli asserti delle teorie, ma non le teorie stesse: perché, ammesso il modus ponens, ci sono asserti della teoria verificati. Ammettiamo cioè che DE ≠ DTH e che se una teoria ha un dominio effettivo, smentite di sue previsioni andranno valutate come una demarcazione della teoria, del suo do-minio effettivo DE, non come una falsificazione della teoria stessa.

Il falsificazionismo non è eliminato dalla nostra teoria, non è, cioè, falsificato. Esso è al massimo circoscritto: è uno dei casi pos-sibili, quando una teoria è circoscrivibile con dominio nullo. L’in-terpretazione della falsificabilità come sotto-caso di demarcabilità è legittima, sulla base del fatto che non si hanno criteri meta-teorici per stabilire un dominio di dimensioni minime (diverso dall’in-sieme vuoto). Questo fatto, e l’arbitrarietà di ritagliare l’essere, la realtà, in un dato modo anziché un altro, arbitrarietà inscritta nel-la stessa teoria di Popper, impone di concludere che chi sceglie il falsificazionismo, al momento in cui viene tracciato un confine di una teoria, del suo dominio effettivo (ossia, che sceglie di conside-rare perciò stesso la teoria falsificata), considera che una sola teoria debba (possa) descrivere tutto il reale.

Nel proporre questa teoria della scienza, intendiamo far ricorso alla nozione di analogia98, precisamente all’analogia di proporzio-nalità. Diremo che la scienza sta alla realtà come le carte geografi-che stanno al globo terrestre (o, più precisamente, a parti di esso).

La superficie terrestre reale può essere pensata come tridimen-

98 Bertelé et al. [1999], Basti, Testi [2004], Strumia [2006], [1992] (in partico-lare, Capitolo VI, La metafisica, alla voce L’Analogia: Analogia e scienza galileiana, Analogia e matematiche, Logica e analogia, alle pp. 229-242).

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sionale liscia, se si trascurano rilievi o avvallamenti del suolo. Come tutti sappiamo, non è una superficie sferica ma schiacciata ai poli. Una sua approssimazione è l’ellissoide di rotazione. La raf-figurazione su carta (piana) di una superficie così fatta (o sferica, o che sia un ellissoide di rotazione, eccetera …) o di sue parti è operazione inscrivibile nel problema della proiezione geografica 99.

Come si sa, non è possibile ottenere una raffigurazione di tutta una superficie sferica (o circa sferica: l’ellissoide di rotazione ed il geoide, per esempio) su di un piano rispettando (simultaneamente) distanze, angoli, aree della superficie reale. Corrispondentemente, ed analogicamente, possiamo formulare l’ipotesi che non ci sia una (sola) teoria in grado di descrivere tutta la realtà: ma che ogni teo-ria abbia un dominio limitato (ovvero un ambito di realtà, o anche campo di applicazione), DE.

La carta piana ottenuta con le regole di proiezione viene in ge-nerale detta reticolato. Assegnata una certa suddivisione secondo certe geodetiche e linee curve del geoide, ad esempio attraverso meridiani e paralleli, il reticolato rappresenta su di una superficie piana i punti corrispondenti di punti appartenenti alle geodetiche e alle linee curve. Esso è sufficiente a trovare i punti corrispondenti sul piano di un qualunque punto sul geoide. Le leggi che stabi-liscono la proiezione, ovvero i tipi di proiezione, possono essere raggruppati: infatti, scegliendo opportunamente la proiezione, è possibile conservare senza errori certi angoli, oppure certe distan-ze, o ancora certe aree della superficie sferica. Una suddivisione primitiva potrebbe essere in: proiezioni isogoniche (che conserva-no inalterati gli angoli), proiezioni equivalenti (conservano le pro-porzioni tra aree corrispondenti sulla carta e sulla Terra), proiezioni equidistanti (mantengono la proporzionalità tra distanze corrispon-denti sulla carta e sulla Terra, lungo certe linee).

L’analogia tra teorie scientifiche e proiezioni piane di una su-perficie curva ha un limite fondamentale: è, come detto, un’ana-logia, ossia una figura che resta vicina all’equivocità, come dice Tommaso d’Aquino 100. Se pensiamo allo schema presentato nella

99 Sestini [1967].100 Tommaso d’Aquino, I Sententiarum, d. 19, q. 5, a.2, ad 1; De Veritate, q.2, a.

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prossima pagina, allora abbiamo la situazione seguente.Vediamo che mentre il cartografo ha a che fare con il problema

che si può definire diretto: dati R e T, calcolare (ricavare) M=T(R), lo scienziato conosce T e M, mentre non conosce R=T -1(M). Ed è ovvio che R (realtà) è quello che a noi interessa (opzione realista).

Figura 5. La rappresentazione della superficie terrestre tramite una mappa varia al variare delle regole di proiezione. Allo stesso modo, il modello di una porzione della realtà cambia in funzione della teoria. Sono rappresentati quattro modelli della molecola dell’acqua: la formula grezza (H2O), la formula bidimensionale (H-O-H), la rappresentazione tridimensionale a biglie e bastoncini, e la rappresentazione tramite sfere di van der Waals.

11; Summa Teologica I, q. 13, a. 5.

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Questa analogia illustra due tipi di incommensurabilità: tra teorie e modelli e tra un modello e l’altro (in accordo, rispettivamente, con Einstein101 e con Kuhn102). Per quanto riguarda l’incommensurabili-tà tra modelli, in generale non sarà possibile passare da una proie-zione piana all’altra, in generale, senza strappi (con trasformazione conforme)103. Esempi di questa situazione possono essere le carte spezzate e le proiezioni equivalenti. Per quanto riguarda l’incom-mensurabilità tra teorie, in generale, vi saranno termini osservativi di una proiezione non ottenibili dall’altra: punti che “finiscono” in seg-menti e casi simili. Ciò è analogo all’impossibilità di ottenere termi-ni osservativi relativi a fenomeni gravitazionali in relatività ristretta.

Ciò porta a una contestazione dell’argomento di Bontadini, se-condo cui le traduzioni, del tutto in generale 104, non danno problemi, poiché per ogni proposizione espressa in una lingua, ce n’è una cor-rispondente in un’altra. La traduzione è assicurata, ma vanno persi interi “universi di enti”. Questo problema è del tutto generale, non c’è una unidimensionalità nella “intraducibilità dei termini osserva-tivi”, andando dalle teorie più complesse verso quelle precedenti e approssimate. In effetti il quadro generale che la scuola popperiana traccia del progresso scientifico, secondo cui le teorie successive in-globano le precedenti generalizzandole, va incontro a delle difficoltà.

Ricordiamo le parole di un libro di Richard Mattuck105:

Nella meccanica newtoniana del Settecento era insolubile il proble-ma dei tre corpi; con la nascita della relatività generale, verso il 1910, e dell’elettrodinamica quantistica, verso il 1930, divennero insolubili il problema dei due corpi e il problema del corpo singolo; nell’ambito della moderna teoria quantistica dei campi è insolubile il problema del nessun corpo (del vuoto). Quindi, se vogliamo soluzioni esatte, già zero corpi sono troppi.

101 Einstein [1985].102 Kuhn [1976b].103 Una trasformazione geometrica è detta conforme se ha la proprietà di essere

biunivoca e di conservare gli angoli.104 Bontadini [1971, 1982]. Si veda anche, su questi argomenti, Ajdukiewicz

[1973-1978], pp. 33-69 e Steiner [1984].105 Citato in Hofstadter, Dennet [1985], p. 148.

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9.3. contro l’esIstenza dI una teorIa onnI-comprensIva

Le teorie onnicomprensive in realtà nascondono trucchi intellettuali che le fanno

apparire per quello che in realtà non sono.Juan José Sanguineti

Tutto ciò è equivalente a dire che per un falsificazionista una teoria è indefinitamente sottoponibile a controlli, qualunque sia il suo grado di corroborazione: quell’indefinitamente sta a significa-re: il DTH di una qualunque teoria è tutto il reale. Il distacco dallo strumentalismo, che noi compiamo con la massima consapevo-lezza e serenità, è difficilmente percepibile se si resta nell’ambito dell’olismo teorico sotteso dal falsificazionismo. Il falsificazionista dice: “Esiste una teoria vera, onnicomprensiva del reale; quindi ogni altra teoria è falsa; dire che è localmente vera non ha senso: questo è strumentalismo”.

Quindi noi ammettiamo i primi due punti (realismo obiettivo e realismo meta-teorico), ma mettiamo decisamente in dubbio il ter-zo: l’esistenza di un’unica teoria capace di descrivere tutto il reale. Non c’è un’unica teoria che descriva appropriatamente, accurata-mente, senza contraddizioni, il reale, così come non si dà una pro-iezione piana che rispetti tutte le proprietà di una superficie curva.

Abbiamo detto: il falsificazionismo o negativismo logico è le-gato a doppio filo all’olismo teorico (esiste una sola teoria vera sull’Universo). Tale posizione sembra avere dalla sua motivi teo-logici. C’è un Dio, che ha creato il mondo: per questo il mondo è razionale e razionalmente comprendibile, perché c’è un “discorso-primo” pronunciato da Dio all’atto della creazione. La scienza e la conoscenza sono il rintracciamento di quell’unico discorso di Dio106.

A questo non abbiamo nulla da obiettare: quello che contestia-mo è piuttosto l’idea che i discorsi umani, le invenzioni umane che

106 Jaki [1981].

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sono anche le teorie scientifiche (così come i miti, ecc) possano ambire a tanto.

Va detto però che l’olismo teorico va incontro a delle difficoltà. Tra queste, menzioniamo l’esistenza di teorie incommensurabili; il fatto che a volte le teorie successive non “comprendono” del tutto quelle precedenti; i paradossi della descrizione unitaria dell’Uni-verso, come quella fornita (per esempio) dalla “funzione universa-le” quantomeccanica; ancora: i legami tra una teoria formalizzata e modelli tra loro non-isomorfi di essa 107. Un aiuto, a questo punto, può venirci dalla scienza (matematica):

La teoria dei giochi risponde alla necessità di una semiologia, essen-do già di per sé un sistema di segni con relative regole sintattiche. E può colmare un vuoto che altri tipi di formalizzazioni (come la logica simbolica) non colmano totalmente e cioè la formalizzazione dialogica di situazioni di conflitto e delle strategie implicate. Ciò in quanto le logiche e le semiologie formalizzate di cui disponiamo at-tualmente non sono dialogiche, ma monologiche (perché implicano un solo soggetto che parla). Un dialogismo prevede la interazione di due soggetti i quali possono agire competitivamente o meno.108

Il dialogismo colma vuoti di cui le formalizzazioni monologi-che non vengono a capo. Il dialogismo è più potente, più espressi-vo, delle logiche e semiologie monologiche.

La demarcazione delle teorie scientifiche ci assicura che non è investigando lo status logico dei rapporti tra teorie e previsioni, tra proposizioni universali e asserti-base, tra aspettative teoriche e ri-sultati dei controlli sperimentali, che si può giungere ad una demar-cazione della scienza dalla non-scienza. Infatti, la circoscrivibilità dei discorsi a porzioni limitate del reale è un fatto universale. Per questa via, si giunge alla demarcazione delle singole teorie scienti-fiche (nei confronti del reale), non alla demarcazione della scienza (nei confronti della filosofia).

In che modo e in che misura questo ci dice qualcosa della realtà stessa e non – ad esempio – solo del linguaggio e delle sue leggi, strutture logiche, ecc? Si può cercare di rispondere a tale quesito

107 Berarducci [2006].108 D’Amore [1976], p. 18.

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utilizzando quel che convenzionalmente possiamo chiamare argo-mento delle basi materiali dell’espressione. Si può schematicamen-te riassumere come segue. Gli oggetti materiali usati per signifi-care devono avere complessità e varietà almeno pari a quelle del linguaggio che si vuol significare. Prendiamo ad esempio la logica booleana, basata su due valori fondamentali (true-false, uno-zero). Non posso “significarla” se non ho collezioni di oggetti di almeno due varietà: tensioni elettriche di cinque volt o zero; mele e pere; puntini pieni e vuoti. Non riesco a significarla con N gessetti ugua-li: dovrei dividerli, per esempio, in coppie e “singoletti”, ecc.

Ora, se le teorie dialogiche sono provatamente più potenti di quelle monologiche e questo assunto è esprimibile nel nostro mon-do (materiale), vuole dire che tale mondo è costruito (creato) con una logica dialogica.

Come si è detto per l’approccio sociologico (Kuhn), anche di quello logico (Popper) va detto: per questa via non si arriva ad un criterio di demarcazione tra scienza e non-scienza109.

Questa analogia può anche servirci ad illustrare come e perché la nostra teoria di demarcazione (delle teorie scientifiche) non fa capo ad una concezione strumentalista della conoscenza, ma ad un’opzione e interpretazione realista.

Diciamo che una generica teoria T ci dice qualcosa della realtà R, e non è solo qualcosa che “funziona” in un dominio di applica-zione limitato, così come una carta nautica non è solo un artificio per individuare le rotte marittime più brevi. Una carta nautica ha la proprietà di rappresentare con linee rette le linee lossodromiche110. Quindi se una nave segue una di queste linee (che sono spirali), mantiene sempre la stessa direzione rispetto ai punti cardinali. Questa proiezione (isogonica) non è solo un “trucco empirico”, una finzione concettuale comoda per cavarsela nella pratica, nella vita,

109 Con ciò, non vogliamo asserire che la descrizione di Popper, come anche quella di Kuhn, siano incoerenti. Sulla coerenza della trattazione di Popper, si veda Morpurgo-Tagliabue [1981]. Quanto alla teoria di Kuhn, il problema è questo: è oramai appurato che essa non descrive la scienza (soltanto), ma anche un sacco di altre cose.

110 Linee lossodromiche: sono quelle che sulla superficie terrestre tagliano tutti i meridiani ed anche i paralleli con un angolo costante.

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ma dice qualcosa sulle traiettorie nautiche più brevi. Lo stesso può essere detto a proposito delle proiezioni equivalenti e dei rapporti tra aree di parti di carte politiche, ad esempio. Con ciò neghiamo sia lo strumentalismo, sia il finzionalismo. Queste due filosofie del-la scienza possono essere considerate equivalenti. Esse presenta-no gli stessi problemi logici ed interpretativi: soffrono di regresso all’infinito, capacità di auto-descrizione (il che implica incoerenza) ed ambiguità interpretative indecidibili.

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10. APPLICAZIONI DELLA TEORIA CIRCOSCRIZIONISTA

10.1. la meta InduzIone pessImIstIca

Nella sua versione più semplice, la meta induzione pessimistica è l’argomento che conclude che tutte le teorie scientifiche attuali sono presumibilmente false, muovendo dalla premessa che tutte le teorie del passato, anche quelle che hanno avuto il maggior suc-cesso, si sono dimostrate false. La versione più nota della meta induzione pessimistica è dovuta a Larry Laudan111. La versione di Laudan è diretta contro il punto di vista realista secondo il quale il successo di una teoria scientifica è dovuto al fatto che la teoria è approssimativamente vera. L’argomento di Laudan è sintetizzato da Juha T. Saatsi nei seguenti termini112.

1) Il successo di una teoria indica che essa è approssimativa-mente vera (la premessa da confutare).

2) Molte teorie odierne hanno successo e quindi (da 1) sono approssimativamente vere.

3) Molte teorie passate sono in contrasto con le teorie odierne e quindi sono false.

4) Molte teorie passate hanno avuto successo e quindi (da 1) sono approssimativamente vere.

5) Conclusione: la contraddizione tra 3 e 4 indica la falsità della premessa 1.

Contro la meta induzione pessimistica è stato affermato che gli aspetti delle passate teorie scientifiche responsabili del loro succes-so sono ancora presenti nelle odierne teorie. Per questi aspetti non vale il punto 3 dell’argomento di Laudan, perché essi non sono in contrasto con le teorie odierne.

La meta induzione pessimistica è un argomento a favore del punto di vista circoscrizionista, che non richiede la verità (neanche

111 Laudan [1981].112 Saatsi [2005].

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approssimativa) delle teorie scientifiche. La meta induzione pes-simistica ci induce a ricercare una spiegazione del successo delle teorie che sia diversa dalla loro (approssimativa) verità. La nozione di validità di una teoria in un campo può essere un buon sostituto della nozione di verità. Non si può modificare facilmente la meta induzione pessimistica per volgerla contro la nozione di validità. La versione semplice della meta induzione pessimistica conclude-rebbe che tutte le teorie scientifiche attuali hanno un campo di va-lidità limitato, partendo dalla premessa che tutte le teorie del pas-sato hanno avuto una validità limitata, rafforzando – anziché con-futando – la posizione circoscrizionista. La versione originale di Laudan, modificata sostituendo la nozione di verità approssimativa con quella di validità in un campo, non è corretta perché il punto 3 non sarebbe più valido: è possibile che teorie in contrasto abbiano campi di validità parzialmente sovrapponibili, il che spiegherebbe il loro successo in un contesto comune.

10.2. Il progresso della scIenza

La conoscenza scientifica odierna è chiaramente superiore a quella dei secoli scorsi. Tuttavia, se si tenta di chiarire la nozione di progresso scientifico, s’incontrano gravi difficoltà. La nozione di verità o verisimiglianza non sono adeguate: le teorie odierne sono probabilmente false, come indicato dalla meta induzione pessimi-stica. Che lo sviluppo scientifico non sia semplicemente cumulati-vo è ormai universalmente riconosciuto. Vari argomenti sono stati avanzati in difesa della nozione di progresso scientifico. È stato sostenuto, ad esempio, che le teorie odierne migliorerebbero la co-noscenza della struttura del mondo offerta dalle passate teorie di successo.

Nella prospettiva circoscrizionista, la successione delle teorie scientifiche non porta necessariamente a un progresso. Una teoria scientifica può essere proposta per motivi non legati al fallimento delle teorie precedenti. La nuova teoria potrebbe ridurre la com-plessità matematica anche al prezzo di una diminuzione del proprio campo di validità o di previsioni meno accurate. Potrebbe spiegare

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meglio alcuni fenomeni, con previsioni più accurate, limitando tut-tavia il proprio campo di validità a contesti particolari. Il campo di validità della nuova teoria potrebbe essere parzialmente sovrappo-sto a quello della vecchia teoria, ma una parte, talvolta anche ampia, del campo di validità della vecchia teoria potrebbe rimanere oltre i limiti di validità della nuova. Ciò non esclude che, nel lungo tem-po, vi sia un progresso dovuto all’espansione del campo di validità: il campo di validità delle teorie odierne include quello delle teo-rie dei secoli scorsi, pur non essendo vero che il campo di validità di una nuova teoria includa sempre quello delle precedenti teorie. L’ampiezza del campo di validità è un candidato per la misura del progresso.

10.3. InconsIstenza delle teorIe scIentIfIche

È stato talvolta osservato che alcune teorie scientifiche, ben lungi dall’essere quegli esempi di chiarezza e rigore deduttivo che di solito si attribuiscono alla scienza, sono contraddittorie. Un esempio ben noto è la teoria dell’atomo di idrogeno di Bohr. Pur spiegando in modo soddisfacente lo spettro dell’atomo d’idrogeno, questa teoria è caratterizzata da un’ipotesi ad hoc sulla quantiz-zazione dell’orbita dell’elettrone che contraddice palesemente la meccanica classica, peraltro utilizzata nella teoria stessa per deter-minare i “parametri orbitali” dell’elettrone. L’inconsistenza della teoria di Bohr potrebbe essere spiegata con la particolarità del con-testo storico: la fisica delle particelle era sul punto di evidenziare i limiti della scienza classica. Recentemente l’accusa d’inconsisten-za è stata avanzata verso una teoria nobile come l’elettromagneti-smo classico113. Adottando il punto di vista circoscrizionista, si può comprendere come lo scienziato possa introdurre involontariamen-te inconsistenze nella teoria scientifica. Lo scienziato trasferisce nella teoria ideale alcuni teoremi dimostrati in quella schematiz-zata. Tuttavia, la teoria ideale e quella schematizzata differiscono in alcuni aspetti fondamentali e quindi nulla assicura che i teoremi

113 Frisch [2005].

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dimostrati nell’una valgano anche nell’altra. Inoltre, lo scienziato potrebbe usare modelli diversi, tra loro inconsistenti, per la stessa teoria. Di conseguenza, le possibilità di incorrere in contraddizione sono rilevanti. Si noti che la teoria ideale e le teorie schematizzate sono coerenti. Tuttavia, come visto nel paragrafo 4.12, non è possi-bile integrare la teoria ideale e le teorie schematizzate in un’unica teoria coerente.

10.4. strutturalIsmo

Abbiamo già fatto riferimento alla tesi che la nostra conoscenza concerne la struttura del mondo. Questa tesi deve la sua attendibi-lità anche all’osservazione che «in vari casi storici di trasforma-zione delle teorie ci sono equazioni matematiche cruciali che sono passate intatte o, più comunemente, come caso limite delle nuove equazioni»114. Il punto di vista circoscrizionista spiega perché alcu-ne equazioni matematiche passano intatte attraverso le modifiche delle teorie scientifiche. Supponiamo che la teoria T, che lo scien-ziato applica alla realtà tramite una teoria schematizzata TS, sia sostituita da una teoria T’. Lo scienziato, per applicare T’, dovrà ri-correre a qualche teoria schematizzata T’S costruita come modello di una teoria matematica opportuna. È probabile che gli strumenti matematici che lo scienziato avrà a propria disposizione siano gli stessi per T e per T’. È quindi possibile che T’S abbia elementi matematici in comune con TS. Ciò spiega perché alcune equazioni matematiche sopravvivono al cambio della teoria scientifica. Tale sopravvivenza non ha nulla a che vedere con la reale struttura del mondo.

114 Saatsi [2010], p. 255 (tr. it. nostra).

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10.5. a prIorI

Il ruolo della conoscenza a priori nella scienza è stato lunga-mente discusso. Kant ha cercato di legittimare la conoscenza a pri-ori affermando che alcune verità a priori sono principi trascenden-tali (ossia, condizioni necessarie per l’esperienza). Il positivismo logico, in aperta opposizione a Kant, ha dichiarato che il principio cardine dell’empirismo risiede nella negazione della possibilità stessa della conoscenza sintetica a priori115. Michael Friedman, ispirandosi ai primi lavori filosofici di Hans Reichenbach, ha svi-luppato un’interpretazione neo-kantiana della scienza basata sulla nozione di «a priori relativo»116. Alcuni principi a priori sarebbero necessari per l’interpretazione empirica delle teorie. A differenza dei principi trascendentali kantiani, i principi di cui parla Friedman sono stati più volte modificati nel corso dell’evoluzione delle teorie scientifiche. Non sarebbero, dunque, principi necessariamente veri.

Adottando la teoria circoscrizionista, si può comprendere per-ché le teorie scientifiche contengano importanti elementi di cono-scenza a priori. Le teorie schematizzate sono costruite in modo da soddisfare gli assiomi di una teoria matematica. Quest’ultima è una costruzione a priori. Le teorie schematizzate, dunque, contengono necessariamente elementi a priori. Da ciò deriva che ogni teoria scientifica che abbia un successo empirico deve includere aspetti a priori.

115 Hahn, Neurath, Carnap [1929].116 Friedman [1999, 2001], Reichenbach [1920].

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INDICE

Prefazione » 5 Introduzione » 7

Scienza e modelli » 11

La struttura della scienza » 35

Il modello sintattico » 53

Il modello semantico » 63

Sulla nozione di verità » 77

Critica di alcune filosofie » 87

La teoria circoscrizionista » 109 Applicazioni della teoria circoscrizionista » 123

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