MUMBLE: Ottobre 2009

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MUMBLE: Mensile a gratis NUMEROSEI X|nove Mensile distribuito tra Modena, Bologna, Ferrara,Finale Emilia e Camposanto

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[editoriale]ROBERTA DE TOMI

Articolo 21.Parliamo di libertà di stampa e d’espressione. Secondo alcune statistiche, dal punto di vista dell’informazione, il nostro paese è tra i fanalini di coda. Questo perché, sempre

secondo le fonti di queste classifiche, la stampa subisce condizionamenti dagli schiera-menti politici, che sostengono economicamente la maggior parte delle testate. Si parla di informazione “di parte” - anche se è molto difficile trovare l’informazione totalmente

obiettiva propugnata dal padre del giornalismo, Pulitzer-. Con questo però, non si vuole porre facili etichette, né demonizzare tutta la stampa e l’informazione italiana. Nell’oceano

di microfoni e taccuini aperti a carpire parole, fatti e opinioni, ci sono migliaia di gocce, troppo spesso sommerse dal superfluo. Voci costrette a sussurrare verità nascoste. Occhi che guardano alla realtà con disincanto, evitando qualsiasi facile edulcorazione. E sempre mantenendo l’immagine dell’oceano, anche dal punto di vista delle notizie generosamente erogate, spesso standardizzate, ci sono tante gocce celate, che se messe in evidenza, con-sentirebbero di fare conoscere aspetti della realtà che troppo spesso vengono nascosti. La verità parte infatti dalla possibilità di esprimerla. Dalla libertà di espressione. Quella - per

intenderci - tutelata da quel documento chiamato Costituzione, all’articolo 21. In accordo a questi principi e nel rispetto delle altrui libertà, questa rivista si pone come una voce nuova. Ho accettato la direzione di questo giornale, perché spero possa essere impie-gato come spazio democratico, in cui, a prescindere dalle proprie convinzioni politiche, tutti

abbiano la possibilità di scrivere e di esprimersi, nel rispetto delle individualità.

In copertina:Richard Wentworth | Libri volantifoto di Federico Ferfoglia

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interno2 ::::::: LINGUACCE | Saper nell'appropriata sede

interno2 ::::::: Un arresto anomalo. Errata corrige

interno3 ::::::: Il vostro interno

interno4 ::::::: L'ERBA DEL POLITOLOGO

interno6 ::::::: IL DARWIN EVOLUTIVO | Produci- consuma-brucia

interno6 ::::::: Adesso basta!

interno7 ::::::: Vademecum per l'elettore di centro sinistra.

interno7 ::::::: Lettera ai terrestri. Comunicato Bahai.

INDICEinterno8 ::::::: HOT TUNA: da Woodstock a Monterey, un'amicizia in musica

interno9 ::::::: La biennale di David Birnbaum

interno10 ::::::: SILENZIO IN SALA | Laguneg giando tra Politica in Mostra e Spet tacolo che diventa il nuovo genere Horror

interno11 ::::::: RACCONTO | Laboratorio per esordienti

interno12 ::::::: Perché cosa?

interno12 ::::::: Tra tutte le libertà che avete, volete anche la libertà di pensare?

interno13 ::::::: MUMBLE: PARTY!!

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Allarmismo. “Procrastinare” e “vel-leità” sono parole sconosciute alla maggior parte dei ragazzi italiani di diciannove anni. Lo dicono i test universitari affrontati quest’anno dalle matricole. E si sa, è un ice-berg / quel che spunta in superficie o poco più / è solo un decimo di quello che c’è sotto, e chissà quanta ignoranza spazzata sotto il tap-peto. Vorrei spingere la riflessione un poco più in là del solito J’accuse rivolto al mondo delle comunica-zioni di massa, ai telefonini, blogs, ciatrums, e chi altro. Fosse solo il problema di non conoscere! C’è tutta un’attitudine educativa pericolosis-sima. Ed accusare i ragazzi del loro impoverimento linguistico è piut-tosto miope. Altre generazioni hanno messo in atto il processo tecnologico che ora minaccia l’integrità intel-lettuale dei nostri amici, fratelli, figli, senza dimenticare noi stessi. Succede che Madre natura sia una vera ministra dell’economia che pertanto, dove può, risparmia. Così quando il mondo produttivo del genitore mette a disposizione del figlio uno strumento intellettuale più economico del proprio apparato cerebrale, è naturale che questo lo usi. È più comodo. I ragazzi di oggi – così come tutti del resto! – hanno a disposizione apparati informativi istantanei e assolutamente a por-tata di mano. Facili da usare, “Basta un clic!”. Non mi è mai piaciuta la definizione “mercificazioni dei saperi”, tuttavia sussiste davvero un rischio di fordismo dell’educazione.

Se il rapporto studente – informazione è just in time, sorge un rischio di spersonalizzazione dell’individuo, dello studente, del ragazzo. Ed è questo che non deve accadere. Se viene a mancare l’assimilazione fisica delle nozioni che ci servono – siano esse lessicali, grammaticali, logiche, aritmetiche, artistiche –, se smet-tiamo di digerire il sapere e lo con-sideriamo un agente esterno a noi (la biblioteca virtuale, l’apprendimento del copia&incolla…), il bagaglio culturale della persona può soccom-bere a favore delle tecnologie che le forniscono “il sapere”. Il travaglio del banco di scuola non deve cedere il passo ai data, semmai includerli sotto la lente critica dello scolaro. Altri-menti la global community rischia di inghiottire l’individuo (su questo problema rimando all’intervento di Carlo Galli al FestivalFilosofia).

Saper nell'appropriata sedeGiacomo Vincenzi

Un arresto anomalo. ERRATA CORRIGE.

Nel mese scorso abbiamo parlato di G8. Personalmente nel mio articolo “Un arresto anomalo” volevo mettere in luce come talvolta le immagini di un evento ci dicono molto di più che le solite sterili dichiarazioni. Per questo avevo scelto delle immagini emblematiche di vari momenti del G8 di Genova. L’intento era questo, ma qualcosa è andato storto: le fotografie che sono state pubblicate erano tutte uguali. E l’articolo così menomato aveva perso di senso. La versione corretta si può trovare sul sito www.mumbleduepunti.it. Di seguito, pubblico le foto che dovevano apparire nell’articolo scor-so. Per dirla brevemente, l’anomalia che salta all’occhio in questi diversi momenti del G8 è che i poliziotti non vogliono farsi riconoscere, coprendosi la faccia. Un atteggiamento questo, tipico dei criminali.

Pierpaolo Salino

Oltre a questa correzione, colgo l’occasione per SALUTARE LA NOSTRA NUOVA DIRET-TRICE ROBERTA. A LEI TUTTO IL MIO SOSTEGNO E GLI AUGURI PER UN BUON LAVORO.

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Scrivi a [email protected]

Il futuro delle sanzionidi Arash Falasiri*

Da quando Mahmoud Ahmadinejad ha preso il potere in Iran nell’Agosto 2005, tre sanzioni Onu sono state comminate al paese per il programma di arricchimento dell’uranio intra-preso dal governo. Ma di fronte alle sanzioni Ahmadinejad ha più volte dichiarato che queste sono soltanto scartoffie che non influenzano le decisioni dell’Iran sul nucleare. […] Mettendo in relazione l’energia nucleare con l’identità nazionale, il governo Iraniano punta a far credere l’opinione pubblica alla fantasia del ristabilimento delle trascorse glo-rie della “Grande Persia”. Per fare questo, come affermano tanti analisti politici, è cruciale il controllo della sfera pubblica. Così avviene che il governo iraniano tenti di isolare la gente dalla realtà, sia attraverso la censura, sia attraverso programmi propagandistici ad ogni livello della vita pubblica, come ad esem-pio l’educazione, il tempo libero e lo sport; e tutto ciò per giustificare costi ed effetti dello sviluppo nucle-are. La chiusura di oltre 110 testate giornalistiche negli ultimi anni è soltanto un esempio dell’intolleranza del governo iraniano. Il Sindacato dei Giornalisti Iraniani ha recente-mente dichiarato che il 2009 è stato l’anno in assoluto più difficile per la stampa nazionale; l’Iran ha una delle percentuali più alte del mondo di giornalisti imprigionati. Il 6 Agosto

il governo ha dichiarato il Sindacato dei Giornalisti un’organizzazione ille-gale. In generale il governo preferisce mantenere il popolo iraniano iso-lato dalle notizie del mondo. L’anno scorso l’intransigente Ministro della Cultura, in risposta ad una domanda sul contenuto dei media in Iran, ha detto che le anime delicate degli iraniani non sopportano le dure no-tizie provenienti dal mondo. Co-munque un importante cambiamento è stato anticipato in un momento in cui il regime oltranzista iraniano è sotto pressione per modificare il suo programma nucleare e far fronte alle sanzioni dell’Onu. Partendo da questo, il regime Islamico ha per la prima volta dichiarato il suo pro-gramma nucleare un beneficio per “la Grande Persia”. Ben consapevole di quanto sia futile applicare dei valori islamici all’energia nucleare, Ahmadinejad enfatizza l’importanza di questa tecnologia per ridare vita ad una “gloriosa Persia”, sapendo quanto conti questo concetto sul pubblico Iraniano dal momento che lo distingue dai musulmani Arabi. [continua sul web …]

* Iraniano, giornalista da più di dieci anni, Arash studia filosofia a Sydney. Ha vinto il premio nazionale per il miglior giornalista dell’anno 2001.

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con gli illustri ospiti che si sono voluti unire al coro di chi chiedeva un'informazione libera da qualsiasi bavaglio. L'onore e l'onere di comin-ciare gli interventi è toccato al seg-retario nazionale della Federazione Nazionale Stampa Italiana, Franco Siddi, che ha ribadito i concetti por-tanti della manifestazione scaldando (se mai ce ne fosse stato bisogno) gli animi dei partecipanti; si è prose-guito poi con un efficace intervento di uno dei maggiori esperti di diritto del nostro paese, Valerio Onida, Presi-dente emerito della Corte Costituzi-onale. Il primo boato della folla si è però avuto quando, in un applauso che pareva non finire mai, è salito sul palco Roberto Saviano, il quale, esponendosi molto più di quanto il suo rigido protocollo di protezione richiedesse, non ha voluto far man-care la sua voce in un appuntamento da lui particolarmente sentito; il suo intervento ha ricordato come il bava-glio non deve essere messo soltanto dai politici di turno, ma anche dalla mafia, potere occulto ma non troppo, presente nel nostro paese, la quale lo ha costretto ad una vita di inferno non consona ad un personaggio come lui. Il pomeriggio ha continuato a scorrere intensamente con il primo intervallo musicale affidato a Teresa De Sio, che con la sua reinterpretazi-one di “Soffia popolo” di Domenico Modugno e Eduardo De Filippo ha ricordato come un piccolo fuoco, se

ben aizzato, può diventare un grosso incendio. Altro intervento emozion-ante è stato quello di Sergio Lepri, uno splendido giornalista novantenne con sessantacinque anni di carriera alle spalle di cui quaranta di direzione dell'Ansa, che ha voluto sottolineare l'importanza della partecipazione di chi ha sulla propria pelle provato la tremenda sensazione di non poter esprimere liberamente il proprio pen-siero e di voler combattere insieme alle nuove generazioni perché questo non possa più accadere in futuro. Ricordiamo in rapida successione anche gli interventi del vice diret-tore di Reporter Sans Frontiers, del Presidente dell'ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca (il quale ha avuto anche un breve “scontro” con la piazza e se n'è andato con la faccia scura), di Eugenio Fatigante, membro del cdr (comitato di redazione, ndr) di Avvenire che ha voluto riportare la sua testimonianza sul caso Boffo (e ha sottolineato come, se la stampa viene sempre più spesso imbava-gliata, è perché ci sono giornalisti disposti a farsi imbavagliare), del Se-gretario generale dell'Unione Nazio-nale Cronisti Italiani Guido Colomba che ha ricordato la pericolosità del Ddl Alfano sulle intercettazioni per chi deve esercitare il mestiere del cronista, di Nino Marazzita, avvo-cato penalista spesso impegnato in difesa di giornali e giornalisti colpiti da querele (ormai sempre e solo

Alessio Mori

Le parole del titolo sono di Giorgio Gaber, nella sua celeberrima “La libertà” del 1972.Il 3 Ottobre 2009 una moltitudine di persone ha voluto partecipare, e quindi sentirsi libera; libera di non sentirsi a suo agio in un paese che non tutela chi ha il diritto di essere contro, non per partito preso (o forse sì, ma questo non è illegale, fino a prova contraria), ma più spesso perché vede che le cose non stanno andando affatto per il verso giusto.Quasi trecento pullman si sono mossi da tutta Italia, da Nord a Sud senza distinzioni, e si sono trovati a Roma, come sempre cuore pulsante del nostro paese, dove si sono uniti a tantissime altre persone, romane e non, venute per essere presenti in un giorno importante.L'arrivo a piazza del Popolo è emozi-onante: una marea di persone, di bandiere, di striscioni e palloncini colorati che fluttuano nel cielo as-solato di Roma, e la musica che ti av-volge e ti fa entrare nel clima giusto della manifestazione.Poi si comincia, e un ottimo Andrea Vianello, professionalmente bilan-ciato tra la partecipazione emotiva di un evento voluto e sentito e la ne-cessità di essere un padrone di casa imparziale, ha iniziato a colloquiare

“La libertà non è star sopra un albe-ro, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”

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milionarie) che ha sottolineato come la non risposta alle domande di un giornalista da parte di un uomo pub-blico sia un atto paragonabile alla facoltà di non rispondere in sede di giudizio da parte dei terroristi o dei mafiosi.Gli interventi più “tecnici” hanno quindi fatto emergere l'immagine di un'Italia che non scoppia di salute, tanto per essere chiari, ma hanno altresì contribuito a tenere accesa la fiammella della speranza, dal mo-mento che continua ad essere attiva gente che non ha perso la voglia di combattere. Una doverosa parentesi va dedicata agli artisti che hanno deciso di esporsi pubblicamente in supporto di questo tema.Oltre alla già citata Teresa De Sio, belle interpretazioni musicali (ma non solo) sono venute da Simone Cristicchi (che con la sua “Genova Brucia” ha portato alla luce un esempio di canzone censurata) oltre all'attualissima “Volemo le bambole”, in cui ogni riferimento al nostro premier è puramente casuale e da Marina Rei, che oltre a “Donne che parlano in fretta” (in cui si sot-tolinea l'utilizzo sempre più strumen-tale delle donne al giorno d'oggi) ha reinterpretato Giorgio Gaber e la sua “La libertà” diventando un tutt'uno con la piazza che ha dimostrato tutto il suo gradimento.Anche gli attori non hanno voluto mancare all'appello e hanno espresso tutto il loro talento Neri Marcorè, con la lettura di un passo de “La democrazia in America” di Alexis de Tocqueville, e, probabilmente in uno dei momenti più toccanti dell'intero pomeriggio, Jasmine Trinca, che ha interpretato il ricordo di Anna Politkovskaja in una sorta di memo-riale da lei scritto in cui sottolineava l'estrema difficoltà di sopportare (e

spiegare a sua figlia) il fatto di dover andare puntualmente in procura ogni volta che veniva pubblicato un suo articolo e doversi difendere dalle pre-testuose accuse di false dichiarazioni, con conseguenti e frequenti not-tate passate in cella, fino al tragico epilogo di cui tutti dovremmo essere a conoscenza.Chiudo con il riportare la presenza di due persone forse poco conosciute, ma la cui professionalità dovrebbe es-sere maggiormente enfatizzata: sono Josè Trovato e Pino Maniàci; due giornalisti siciliani che hanno avuto a che fare con minacce ed intimid-azioni a stampo mafioso solamente perché hanno avuto la presunzione di praticare giornalismo libero in una terra come la Sicilia.Soprattutto il primo ha però una storia interessante: dopo aver pas-sato un lungo periodo come precario dell'informazione (ha denunciato il fatto che si è trovato a scrivere per anni di argomenti parecchio scomodi a meno di quattrocento euro al mese; e come un giornalista alle prime armi si trova a venire ricompensato il più delle volte a meno di tre euro al pezzo), è riuscito ad avere un contratto

di direttore responsabile a Tele Enna, prima di venire licenziato perché aveva osato riferire al sindacato il fatto di aver subito un tentativo di “imbavagliamento” alle sue inchieste.Ultimo ma non per importanza, ricordiamo l'intervento dei precari della scuola: in una manifestazione parallela hanno voluto rinfrescare la memoria ai politici, ai mezzi di informazione e al grande pubblico, la loro disagiata condizione e la situ-azione della scuola pubblica italiana, vessata da tagli che definire scellerati e selvaggi non è azzardato. Hanno chiesto di non dimenticarli, e noi, nel nostro piccolo, non lo fare-mo. Come spesso accade, gli italiani in un momento di difficoltà riescono a dimostrare di non essere insensibili alle tematiche più spinose; quello che mi auguro è che la memoria non sia labile come frequentemente accade a tanti di noi e che il ricordo di una giornata per certi versi straordinaria (in quanto fuori dall'ordinario) non si dissolva a fronte di una nuova ondata di promesse irrealizzabili.

Restiamo svegli, concittadini!

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Era il km 1260 di quello che poco dopo prese l'appellativo di vespagi-ro09. Approdammo con Bana, il nos-tro PX dell'82 a Scarlino, un paesino a una decina di km nell'entroterra di Follonica. La scelta di campeggiare un poco lontano dal mare rispecchiava le nostre esigenze di tranquillità e spazi vitali, visto che i campeggi costieri assomigliavano più a campi profughi che alla nostra idea di vacanza. Inoltre essendo arroccato su di una collina questo borgo medievale offriva un panorama eccezionale con tramonti fra l'isola d'Elba e quella di Capraia, insomma, vedere il mare da una montagna da sempre quell'idea di infinito che tanti poeti avrà ispirato. Ma qualcosa turbava quella eterna bellezza, un poderoso impianto industriale si stagliava con la sua ciminiera monolitica nella pianura sottostante proprio nella direzione del profondo blu. La mia anima da naturalista aberrò subito quello scempio ma presto cercai di farmi una ragione di quello che vedevo. Insomma, l'industria produce occupazione e ricchezze, perciò non sempre è disprezzata dalle popo-lazioni delle zone in cui si insedia. Mi convinsi di questo pensiero fino a che una sera a Follonica non conobbi il gestore di una paninoteca e nei vari discorsi venni ad imparare che quel mostro che devastava i miei tramonti altro non era che un ince-neritore inaugurato appena sei mesi prima e voluto dalla giunta regionale. La cosa che più mi colpì furono le pa-

role “diossina” e “leucemia” del figlio appena quindicenne del gestore. Si dimostrarono a dir poco incazzati e preoccupati per quel camino gratta-celico che nonostante la sua altezza non dava garanzie di disperdere a dovere le paure che produceva. Fu allora che mi venne in mente una chiacchierata che feci con il mio esimio caporedattore. Giacomo mi parlò infatti di un comune toscano (Capannori, in provincia di Lucca) che da cinque anni sta attuando una politica ferrea sulla gestione dei rifiuti. Il progetto ha l'obiettivo di ridurre a zero i rifiuti prodotti dal comune entro il 2020, utilizzando come strategie una raccolta differ-enziata intensiva, (porta a porta), e una riduzione della produzione di imballaggi a partire dalla filiera stessa (installazione di distributori alla spina per detersivi e latte). Questo progetto non solo si sta dimostrando vincente dal punto di vista ambientale ma sta consentendo pure un notevole tornaconto economico al comune stesso. Nonostante tutto, questo ec-cellente esempio di progresso, rimane ancora oggi una goccia in un mare di inquinamento, inceneritori e sporchi interessi politici.

PRODUCI | CONSUMA | BRUCIA

ADESSO BASTA!

a quelli amici che è meglio perderli

che, ad AMICI, all'inverno, a chi dice cosa dovrebbe o non dovrebbe fare la Famiglia e una famiglia lui per scelta non l'ha mai voluta, a queste stesse persone che non hanno figli e si permettono di decidere come devono essere trattati i figli de-

gli altri, al caffè decaffeinato e alla birra analcolica, a chi crede che una canna sia dannosa tanto quanto tutte le altre droghe, a chi pensa che le sigarette e gli alcolici non siano droghe,al poliziotto che picchia di più con il suo manganello un manifestante piuttosto che un mafioso, a chi dice "se restavate a casa non si faceva male nessuno", a chi pensa che Andreotti sia una brava persona, a chi parla ancora seguendo il vangelo secondo Stalin, a chi vuole cambiare l'Italia restando seduto al tavolino del bar, a chi è convinto che per cambiare un sistema di merda bisogna usare la violenza contro tutto e tutti, alla violenza sulle donne, alla violenza sui bambini, alla violenza su mia nonna che ha novant'anni e che guarda in tv Uomini e Donne per-chè è quel che c'è dopo pranzo, alle ragazze che in foto o sono con la lingua fuori o mandano un bacio all'obiettivo con gli occhiali da sole, ai giovani iscritti di PdL e PD che sono invecchiati prima del tempo, a chi rimane sul web perchè tanto fuori non c'è nessuno, a chi si chiede ancora se una guerra è giusta o sbagliata, a quelli che pensano "tanto non cambierà mai niente", ai piccioni che popolano le nostre piazze, a chi crede che il fascismo non sia morto 50anni e anche-qualcosa-di-piu' fa e pensa che Di Canio sia l'erede naturale di Musso-lini, a chi avrebbe sempre messo in campo Del Piero al posto di Roberto Baggio, a chi vorebbe en-trare nella casa del Grande Fratello, a chi segue da casa il Grande Fratello, a chi si crede veramente fico se ha una felpa con scritto baci&abbracci, a chi si crede arrivato ancora prima di partire, al cibo fast, ai film fast, alle ragazze fast e a queste frasi che se andasse tutto bene porca troia non ci sarebbe nemmeno bisogno di scriverle.

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IL DARWIN EVOLUTIVO

Giorgio Po

Pierpaolo Salino

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v a d e m e c u m per l’elettore di c e n t r o - s i n i s t r a

Il 25 Ottobre sarà un giorno impor-tante per noi “farabutti”.Si terranno infatti le primarie per l’elezione del nuovo segretario del Partito Democratico, le prime elezioni vissute fondamentalmente in un clima di “battaglia” politica aperta e non segnate da un risultato sostanzialmente già scritto, come furono le due primarie che si consumarono gli anni passati.I tre sfidanti dovrebbero essere noti a tutti, e li elenco in ordine alfabetico, in modo da non trapelare preferenze: Pierluigi Bersani, Dario Franceschini, Ignazio Marino.Vediamo di trovare i punti in comune e le principali differenze tra le tre mozioni presentate, per poi fare una veloce analisi politica sui tre candidati.Tutti e tre puntano forte su alcuni punti fermi: merito, riforme, uguaglianza e regole. Nessuno dovrebbe aver nulla da obiet-tare sul fatto che questi siano obiettivi sostenibili e necessari per un paese fondamentalmente in difficoltà e che ha assoluto bisogno di regole, che in questo periodo sembrano proprio es-sere andate fuori moda.Le intenzioni sono quindi ottime, e le parole che ho sentito personalmente pronunciare dai candidati sono quelle che riescono a rinfocolare le passioni, magari sopite, di un elettorato che non è più così fortemente affezionato a scatola chiusa.Ma tra il dire e il fare c’è poi di mezzo il mare; così dice il detto, e così hanno man mano iniziato a pensare sempre più “sinistrorsi” delusi da un ap-parato che invece di far sentire forte la sua voce (prima al governo e poi all’opposizione), pensava più che altro a prevalere all’interno del partito.

Chiudiamo con una brevissima analisi sul retroterra dei candidati:Bersani è il rappresentante della sinistra

emiliana, quella vecchio stampo; nonostante le ottime competenze non disprezza l’utilizzo di un linguaggio semplice ed immediato, rendendosi quindi facilmente comprensibile a tutti. Paga il fatto di essere considerato “vecchio”, troppo legato ai poteri forti interni al partito, e troppo “comunista” (come se fosse un reato…);Franceschini è il rappresentante del centro, punto cardinale a cui tutti sembrano guardare, e si vende come uno dei grandi artefici della fusione (più o meno calda) tra i socialisti ed i cat-tolici; è riuscito a traghettare il partito in un momento di enorme difficoltà, dopo le dimissioni di Veltroni, e, nonos-tante l’emorragia continua, è riuscito comunque a “tenere botta”. Paga il fatto di essere considerato troppo poco di sinistra, e questo, specie nella zona rossa (Emilia Romagna, Toscana, Marche ed Umbria), può essere uno svantaggio non da poco;Marino è il “nuovo che avanza”, espressione dell’area degli insoddisfatti dell’apparato, e che chiedono un rinno-vamento forte ed immediato; dalla sua parte ha una fortissima vocazione laica, ed è proprio su questo che ha combat-tuto. Paga il fatto di essere sostanzial-mente fuori dalla stanza dei bottoni del partito e questo, specie tra i meno informati, è un gap non da poco.Elencate le differenze, non si deve dimenticare però quale è l'unico ed il vero obiettivo, che speriamo si realizzi una volta per tutte: riuscire finalmente a creare un partito forte, che parli con una voce sola e che possa essere un'alternativa valida al centro-destra.

ORA TOCCA A VOI.

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Lettera ai terrestri.Comunicato Bahai.

Ogni parola spesa per l'ineffabile Santo Spirito è fonte di gaudio. Ogni moto di solidale condivisione del reale è massimo giovamento per l'armonia del cosmo.Riconoscendo la spinta verso la con-templazione più alta, stanchi, troppo stanchi di lotte d'incomprensione.Invero chè Dio, nome figlio di vocaliz-zazioni date da tradizioni di parole, si perde nel silenzio personale della riflessione.Davanti al paradosso positivo dell'agnostica laicità in cui il non credo si corrompe in contraddizione. Così la partecipe ortodossia del riconoscere ad ogni gesto di umano baluginare all'eccelso e dare il pri-mato colla vera fede a tutti, concessa senza eccezioni con dignità. Appunto si confida nelle libertà di costruirsi uno scenario di simbolificazioni per gli ambiti del superiore elevarsi, coi suoi idoli di conversazione, nel fluire costante delle metempsicosi per la storia increata.Giacché unico fondamento teologico è il sincretismo unico ed unificante nel miracolo, e gli idoli si sprecano come pie candele sotto il Sole più luminoso. Così l'unico dogma d'ortodossia sta nel rispettare la personale ed intima esternazione di fede come atto mis-terico d'espressione all'eccelso.La comunità si sbalordirà nell'assegnare a semplici atti la po-tenza del divino o a decretare imper-tinenti certi sforzi forzati, mirati ad accontentare una coscienza logora dal peccato di assuefazione all'immobile noncuranza verso il buon senso.

Alessio Mori Giovanni Càbianca

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da Woodstock a Monterey,

un’amicizia in musica

Woodstock, 1969. Quarant’anni dopo, cogliamo l’occasione per parlare con alcuni dei protagonisti, gli Hot Tuna, ovvero Jorma Kaukonen e Jack Casady. Jack e Jorm ci offrono anche uno spaccato dell’evoluzione della musica e della società. Qualcosa, insom-ma, su cui riflettere.

Nel 1959 avete formato la vostra prima band, The Triumphs, e da allora non vi siete separati più… la vostra storia sembra il ritratto di una meravigliosa amicizia lunga una vita(…)!JC/// Durante la nostra carriera ci siamo dedicati anche a progetti individuali e, chissà, forse questo ha contribuito a mantenere “fresco” il rapporto! (…)Jack, il tuo stile al basso è stupefa-cente e ti va riconosciuto il merito di essere stato tra i primi a portarlo fuori dalla sezione ritmica all’interno della quale era tradizionalmente confinato. In più, è accreditato in una delle più belle e famose canzoni della storia del rock: “Voodoo Child”, di Jimi Hendrix, nella versione conte-nuta in “Electric Ladyland” del ’68… JC/// (…) Quell’evento specifico è stato assolutamente fortuito e reso possibile da una serie di coincidenze: i Jefferson Airplane erano a New York e dopo il nostro show – televisivo, credo – andammo a sentire Steve Winwood e la sua nuova band, i Traf-fic, anche loro in città. Jimi Hendrix si prese una pausa dalle sue regist-razioni, c’incontrammo tutti quanti e tornammo in studio con l’idea di

passare un po’ di buon tempo. (…) Non credo ci fosse l’intenzione di in-cludere il pezzo nell’album, ma dopo un paio di settimane ricevetti una telefonata, mi chiesero il permesso di farlo e risposi «Certo!». Molte cose capitano semplicemente perché è divertente farle.La musica oggi sembra essere molto più omologata rispetto ad allora, secondo voi qual è la ragione?JK/// Siamo tutti in attesa della prossima Grande Cosa e, se solo sapessi immaginarla, sarei io a farla. Più che rock ‘n’ roll contemporaneo ascolto bluegrass e cose simili… ma non assistiamo a una vera svolta da molto tempo, ormai. Credo si tratti solo di una questione commerciale legata al business... però prima o poi qualcosa accadrà, e spero di esserne parte.I rivoluzionari di ieri sono la classe dirigente di oggi… e abbiamo un movimento no-global in continua crescita. Vedete qualche similitudine?JK/// Questa è la vita, no? Jack

una volta disse: «Più invecchi e più diventi conservatore, perché hai più cose da conservare.». Non sarà sempre vero, ma trovo che sia un’affermazione molto profonda. Diciamo che stiamo aspettando la nuova onda, e che qualcosa accadrà.JC/// L’interazione con internet e la comunicazione determina cambia-menti a livello globale che tutti sono in grado di osservare dall’esterno, e ora hanno un loro ruolo persino i popoli di nazioni i cui confini prima erano particolarmente chiusi. L’informazione è davvero la chiave. A volte è cattiva informazione o ad-dirittura disinformazione… ma scorre come un fiume, vedremo se ci ritro-veremo in balia delle rapide o se sarà in grado di elevare la nostra società a un luogo migliore in cui vivere.Varese, 25 luglio 2009 ©Massimo Baraldi E’ possibile leggere l’intervista inte-grale, sui siti www.mumbleduepunti.it, o www.massimobaraldi.it

Massimo Baraldi

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LA BIENNALE DI DAVID BIRNBAUM Nonostante le solite polemiche, dob-biamo almeno riconoscere a David Birnbaum il merito di aver riportato a Venezia la riflessione, la comunicazi-one e lo scambio culturale, piuttosto che la mera esposizione museale típica delle ultime biennali. Non per caso, infatti, il tema da lui scelto per il padiglione principale è stato voluto proprio per riflettere su niente-popodimeno che la globalizzazione e il cambiamento. Con questo non vogliamo dire che il tema sia partico-larmente scoppiettante di originalità, anzi. Tuttavia il risultato è stato sì una biennale tranquilla, ma con una certa potenza: una mostra impegna-ta, che torna a ragionare su ciò che più preocupa gli artisti: la forma e le forme del fare arte oggi. Una sorta di dialogo attorno ai grandi prob-lemi della nostra epoca, preferendo mettere in primo piano il problema «del come» piuttosto che «del cosa», della grammatica espressiva e delle modalità di rappresentazione.Passando a una breve rassegna delle esposizioni che più ci sono rimaste impresse, ci ha resi orgogliosi la presenza del nostrano Roberto Cuoghi (Modena, 1973), ideatore di un’istallazione sonora che trasmette, rielaborata e resa assurda, una canzone cinese da Cabaret degli anni Quaranta «Mei Gui», censurata dal governo dopo la rivoluzione culturale perché ritenuta oscena. Maestro delle ibridazioni, Cuoghi la vira in una melodia swing, cantata in un linguaggio inventato. Geniale perchè: in qualche modo, grazie alla delo-calizzazione del testo e del suono, la «riabilita» e ne riscopre lo spirito originale. Vince la menzione speciale Tradurre Mondi.Ci è piaciuta moltissimo l’esordiente Nathalie Djurberg (Svezia, 1978), creatrice di una vasta installazione

nel piano interrato del palazzo delle esposizioni. Qui ha fatto sorgere un mostruoso e buio giardino dell’eden in serra, abitato da efflorescenze tur-gide e inquietanti come le plastiline con le quali costruisce i personaggi delle sue animazioni, pure in mostra, ispirate alle favole noir. Ci piace per-chè: l’attenzione che ha Nathalie per i dettagli rende facile al visitatore di immergersi in una dimensione altra, tra il mostruoso e il Kitsch. Meritatis-simo quindi il Leone d’Argento per la più promettente giovane artista del padiglione.L’ultima nota va a una delle realtà più stimolanti, non solo a parer nos-tro, dell’esposizione fare Mondi: una gigantesca ragnatela intessuta da Thomas Saraceno (Argentina, 1973) come archetipo della formazione dell’universo e delle sue stelle. Colpisce perchè: offre al visitatore uno dei rari momenti di spettacolo della mostra, imitando la fragile e tenace costruzione di un’immaginaria vedova nera, con fili che attraversano tutto lo spazio, ancorati a terra e alle pareti. Il visitatore viene catturato come una preda in questo labirinto di cavi elastici i cui nodi sembrano ripercorrere lo schema di una costel-lazione in fase di «costruzione». Per attraversare la sala ci si deve inol-trare in questo intrico, diventando parti dell’opera.Concludendo, a nostro modestis-simo parere la Biennale resta un’esposizione da vedere, non solo perchè il padiglione Fare Mondi vale da solo tutto il prezzo del biglietto, ma anche perchè la Biennale resta comunque uno straordinario momen-to di politica culturale e di politica estera ineguagliata nel mondo. A Venezia fino al 22 Novembre ’09.

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Marina Franza

Bruce Naumann | Fifteen pairs of hand 2

Iván Navarro | Bed

Michael Elmgreen & Ingar Dragset | The Collectors

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MUMBLE:

Eh già, bisogna proprio dirlo, questa 66° Mostra Internazionale d’arte cine-matografica di Venezia è sembrata, più che un festival dedicato alla pellicola, una vera e propria Arena mediatica.

Hanno impazzato polemiche, attac-chi, querele e possibili sequestri di film contro un cinema che aveva solo deciso di essere politicamente e eticamente schierato. Ma non è man-cato tutto l’aspetto grottescamente glamour, laccato e leccato da tappeto rosso. E qui comincia il dramma, perché quando un dittatore diventa divo, un imprenditore-premier si tra-muta in produttore (quasi) assoluto, e la strana coppia (Clooney-Canalis) ruba più copertine e servizi, televi-sivi e non, alla meravigliosa e com-movente passerella in verde speranza del cast iraniano di “Woman without man”, allora, possiamo proprio dire, che “lo Spettacolo” è il nuovo Mostro della laguna.Lo spettro dell’Immagine e dell’Apparire ha infestato anche quello che sembrava essere uno dei pochi festival intellettuali, dove il cinema ricercato e non la televisione del banale, avrebbe dovuto farla da padrone.Ma oramai che dire…ci guarda ridendo persino la periferica Svezia, ha affermato l’italo-svedese Erik

Gandini, fuggito in Scandinavia dagli anni ’80, e ora autore di “Videocra-cy”, il documentario che ha sollevato polveroni e polemiche perché mostra trent’anni della storia della tv com-merciale italiana a suon di video e interviste shock. Il regista continua poi dicendo : “ Sarà il film horror dell’anno [ …] quello che fa paura è il sistema di valori che si è affer-mato in questi anni: soldi, potere e immagine”.Il cinema italiano però ci ha pro-vato (nonostante i titoli contengano parole che rinviano alla dimensione dello spazio onirico) a spostare lo sguardo dallo schermo della tele al quello della sala e a risvegliare un poco di quel sano fervore e impegno politico che tanto manca ai giovani d’oggi. Film come “ Il grande sogno”, “Le ombre rosse”, “Cosmonauta”, “Baaria” ci raccontano un po’ di storia di un Italia che fu e di una militanza schierata che sembra ir-recuperabile e fossilizzata tra gli anni ’60 e la fine del secolo scorso.Natalia Aspesi parla di un paese disorientato e di un’ombra rossa sull’isola del cinema, ma che purtrop-po non ha alcuna influenza sul vasto pubblico. L’esperienza ci dice che in questo non c’è nulla di più vero, ma voglio augurarmi che questa volta ci sia più successo di sala per questo

L a g un e g -giando traPolitica in Mostra e Spettacolo che diventa il nuovo genere

Horr or

cinema nostrano, e soprattutto, spero che ci sia un maggior spazio dis-tributivo per un cinema di libertà di parola,d’informazione,di democrazia e delle loro utopie.

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Diletta Dalzovo

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L a b o r a t o r i o e s o r d i e n t i

«Jessica, ti ho mai parlato di quando tentai di diventare scrittore?»«No, nonno».«Fu tanto tempo fa, avevo poco più di vent’anni. Iniziai a scrivere qualche stupidata su un blog, che era una spe-cie di sito…»«So cos’è un blog, nonno».«Ah, sì? Vanno ancora di moda?»«No, per niente».«Beh, comunque, in breve mi ritrovai a scrivere dei racconti di pessima qualità. Però mi divertivo molto e leggevo molto, roba che spero ti insegnino a scuola…»«Tipo?»«Mah, per esempio William Burroughs, Donald Barthelme, Bret Easton Ellis, David Foster Wallace…»«No, non ci siamo arrivati, ci siamo fermati a Calvino».«Cazzo, ma anche ai miei tempi il programma si fermava a Calvino! È possibile che non l’abbiano ampliato neanche di un minimo? Conta che…»«Nonno, io non ci posso fare niente. È inutile che ti arrabbi».«Scusa, abbi un po’ di pazienza…»«Stavi raccontando».«Sì… Un mio amico mi fece vedere la rubrica di una rivista, “Linus” penso si chiamasse, in cui pubblicavano dei racconti di scrittori esordienti. Io ero molto dubbioso su questa cosa, non pensavo di essere affatto bravo, all’università studiavo tutt’altro, in generale ero una persona insicura…»«Ho capito».«Sì… Dunque, allora… Lessi qualche numero di questa rubrica e vidi che, a parte qualche scrittore veramente dota-to, il livello generale non era elevato come mi attendevo. In particolare, fui un po’ infastidito dal genere dei rac-conti pubblicati, che erano tutti molto realisti, pacati, senza alcun azzardo

stilistico… Diciamo che erano per la maggior parte uniformi, impersonali e poco avvincenti».«Guarda che anche tu non sei molto avvincente, sai nonno?»«Porta un po’ di pazienza, Jessica! Sono vecchio e rimbambito, mi serve un po’ di tempo per raccontare una storia, la vostra generazione ormai…»«Ok, scusa scusa! Continua, ti prego».«Non mi prendere in giro».«Non mi azzarderei mai».«Dov’ero?»«Perché non parli del racconto che im-magino tu abbia inviato a “Linus”?»«Sì, era un po’ involuto… Era un dia-logo ambientato in un futuro prossimo, senza alcun carattere fantascientifico visto che all’epoca non mi piaceva la science fiction, un dialogo tra me stesso e una mia ipotetica nipote».«E di cosa parlavano i due person-aggi?»«Il “me stesso” raccontava a sua nipote di quando tentò di diventare scrittore inviando a “Linus” un racconto in cui “me stesso” raccontava ad una sua ipo-tetica nipote della volta in cui tentò di diventare scrittore inviando a “Linus” un racconto…»«E così via, ho capito».«Esatto, anche nel racconto c’era scritto “e così via”, forse una caduta di stile».«Mi sembra un modo vigliacco per far colpo su un editore».«Sì, lo so, la meta fiction fa sempre questo effetto».«Cos’è la meta fiction?»«È la narrativa che parla di se stessa».«Un cane che si morde la coda».«Già…»«Non trovi che sia simile alla mastur-bazione?»«Mm…sì, abbastanza, ma nel racco-nto tentai di spiegare che non credevo affatto che questo genere di narrativa fosse di rilievo, nel caso in cui l’autore si fosse limitato ed esibirsi in compli-cate manovre stilistiche, senza riuscire a comunicare nessun messaggio o sen-timento. In quel caso, la meta fiction è tale e quale alla masturbazione. Ma se

hai un minimo di sale in zucca e riesci a colpire al petto il lettore, può trasfor-marsi in una fantastica storia d’amore, e non la solita storia d’amore: il lettore è costretto a pensare, a reagire di fronte allo spettacolo che può propor-gli l’autore. Per esempio, ora ti svelo un segreto fondamentale per scrivere un buon racconto: pss pspssp pspsps pspspss».«Carino, non ci avevo mai pensato».«Non male, eh? Comunque, spiegai anche che, a mio modesto parere, emozionare profondamente chi legge con così poco spazio a disposizione è tremendamente difficile, un compito certamente non adatto a uno scrittore alle prime armi. Fui sincero e scrissi che certamente non ne sarei stato capace».«E allora quale messaggio avresti dovuto comunicare con il tuo lavoro?»«Beh, penso che il messaggio del mio racconto fosse che un racconto di quel genere dovesse per forza avere un mes-saggio».«Che idiozia!…Un momento, ti sei reso conto che stai rendendo reale il tuo racconto, mentre parli con me?»«Ma certo! Te ne sei resa conto solo ora? Pensavo fossi un po’ più sveglia… È tutta la vita che aspetto questo mo-mento! Un attimo, dove vai?»«Hanno fatto bene a non pubblicarti il racconto, sei un egocentrico pato-logico».«Ehi aspetta! Guarda che il racconto fu pubblicato ! Ma se fosse sufficiente pubblicare uno stupido raccontino per diventare uno scrittore serio, a questo mondo non lavorerebbe nessuno!…Almeno non sbattere la porta!……Strano, è finita esattamente come nel racconto».

///RACCONTO

| blog dello scrittore |www.tonyosullascogliera.splinder.com

Antonio Fornieri

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FRANGETTA

Non si giudica dal titolo di studio. Si giudica dai fatti, piuttosto. Una volta c’erano quelle simpatiche canaglie dei romaladronari: burberi, ma in fondo nel giusto. Ora gli epigoni della camicia celodurista – una moda che ha vestito l’Italia, pardon, la bassitalia, di verde – mi spieghino alcune di cosucce. Perché c'è gente che si veste di verde per fare irruzione ‘mbarieg dùr in un ristorante di Venezia, devastarne gli interni e picchiare due camerieri albanesi? Perché continuate con la storia di difendere le tradizioni cristiane e poi ogni anno celebrate un rito celtico? Gridate “Padroni a casa nostra”: e perché permettete agli Stati Uniti di tenere numerose basi militari nuclearizzate nella nostra Italia, di più, nella vostra padania? Ma soprattutto: chi pagherà lo stipendio di 12 mila euri, pardon, di 23 milioni 232 mila lire pattuito alla "trota" immatura (scolasticamente...) aka Renzo Bossi, per far parte dell’Osservatorio Sulla Trasparen-za E l’Efficacia Del sistema Fieristico Lombardo?

PERCHE' COSA?

A proposito di quella cosa di cui si stava parlando: mi sembra che se ne sia discusso suf-

ficientemente e di certo il discorso non si esaurirà proprio ora.

Non potendo esimermi dal

dare un’opinione a tal proposito, riferirò cosa ho

appreso a riguardo o comunque cosa mi è stato detto seppur

rischiando di dimenticare il titolo di qualche citazione.

Ad ogni modo brevemente

cercherò di spiegarmi con concisione. Tanto per comin-

ciare mi pare inutile e laborioso continuare nel cominciamento ad

annichilire ogni negazione con altri negamenti. Anche prendere

come certa un’affermazione oppur seppur una qualche allusione a

qualcosa può assicurarsi il primato d’ingenuità o sufficienza passiva e perdere di significato. Allora si

suole a dunque dimostrare antico vanto accettando pensieri e cose al loro manifestarsi nel costante

divenire ed il suo caduco.

Manuele Palazzi

Thomas Malaguti

G.V

“TRA TUTTE LE LIBERTÀ CHE AVETE, VOLETE ANCHE LA LIBERTÀ DI PENSARE?”

“ Libertà: […] la facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo; cioè, in termini filosofici, quella facoltà che è il presupposto trascendentale della possibilità e della libertà del volere, che a sua volta è fondamento di auto-nomia, responsabilità e imputabilità dell’agire umano nel campo religioso, morale, giuridico…” (Treccani.it).

Quarantaquattresimi. Siamo al quaran-taquattresimo posto e, dal 2002 ovvero da quando vi è la classifica di Reporters Sans Frontières sulla libertà

di stampa, non siamo mai scesi sotto il trentacinquesimo gradino. Io non mi stupisco più.Una democrazia, come dovrebbe essere l’Italia, esiste solo se garante di alcune libertà, tra cui quella di pensiero manifestabile attraverso “la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (Art. 21). E in una democrazia la sovranità è espressa tramite il voto libero. Così se si concede a un individuo l’esercizio del potere e questi, abile imprenditore, lo esercita applicando i valori del libero mercato alla politica, si arriva a generare una dittatura silenziosa che usa la libertà per ac-crescersi. Spaccia per libero arbitrio la scelta di cosa guardare in televi-sione, quando esiste un solo canale, e si accresce. Distrae con nuovi bisogni, e si accresce.Si è detto che con l’ignoranza dei popoli si arriva a governarli; ora è convincendoli di essere liberi di sapere, quindi di scegliere, che si mantiene il potere. Se guardato con attenzione critica il documentario dell’italo-svedese Erik Gandini, "Videocracy", cui trailer è stato censurato sia da Mediaset sia dalla Rai, mostra come si è evoluta la televisione commerciale italiana e di come sia fondamentale l’apparire per una dittatura. Di come il concetto alle basi delle democrazie moderne “Non sono d’accordo con quello che tu dici, ma darò la vita perché tu possa dirlo” sia qui mutato in “Non sono d’accordo con quello che tu dici e andrò a Porta a Porta perché tu possa non dirlo.”

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internoTREDICI

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MUMBLE: Mensile a gratisNUMEROSEI X|nove

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I Mumblàr: Roberta De Tomi |direttore|Alberto BelloDiletta DalzovoMarina FranzaDonato GagliardiFrancesco GrimaldiThomas MalagutiAlessio MoriManuele PalazziGiorgio PoPierpaolo SalinoGiacomo Vincenzi

Hanno collaborato anche:Massimo BaraldiAntonio Fornieri

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A fianco:Dilettanten erhebt euch

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MUMBLE: è un progetto dell'associazione culturale Visionnaire di Camposanto (Mo).Questo è uno spazio pubblico.

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