Morte d’Arthur

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Alessandro Zabini MORTE D’ARTHUR «Il romance della Morte Arthur contiene una sorta di riassunto delle più celebri avventure della Tavola Rotonda; e giacché è scritto in un linguaggio relativamente moderno, permette al lettore comune di figurarsi come fossero davvero i romanzi cavallereschi. Possiede inoltre il merito di essere scritto in puro Inglese antico; e molte delle selvagge avventure in esso contenute sono narrate con una semplicità, la quale confina con il sublime. Ad alcune di queste si fa riferimento nel testo; e le avrei illustrate con estratti più ampi, se non fosse che tale curiosa opera è in procinto di essere ristampata, talché mi limito al racconto della Cappella Perigliosa e alla ricerca del Sangreal da parte di Sir Launcelot.» (1) Così scrisse Walter Scott nella nota ai versi del suo poema, Marmion, in cui si accenna all’avventura di Anguselus (Lancelot) nella dimora di Morgue, e alla sua visione del Graal. La «curiosa opera» a cui lo scrittore scozzese allude è ovviamente Le Morte Darthur, di Sir Thomas Malory, pubblicata originariamente da Caxton nel 1485, ripubblicata nel 1634, poi pressoché dimenticata, fino alla nuova edizione alla quale si riferisce lo stesso Scott, ovvero quella del 1816, in due volumi, curata da Robert Southey, a cui fecero seguito, nel 1819, una sontuosa ristampa del Roxburghe Club, e soprattutto, nel 1858, l’edizione in tre maneggevoli volumi, che riprendeva il testo del 1634, con introduzione e note di Thomas Wright (2). L’edizione del 1816 era presente nella biblioteca del padre di Alfred Tennyson, il quale, ancora ragazzo, la lesse, ricavandone un’impressione indelebile, nonché l’immagine di re Arthur successivamente immortalata nei suoi versi. La prima poesia arthuriana da lui pubblicata, composta nel 1832 e intitolata The Lady of Shalott, raccontava la storia di Elaine, ma non era ispirata alla

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Alessandro Zabini

MORTE D’ARTHUR

«Il romance della Morte Arthur contiene una sorta di riassunto delle più celebri avventure della Tavola Rotonda; e giacché è scritto in un linguaggio relativamente moderno, permette al lettore comune di figurarsi come fossero davvero i romanzi cavallereschi. Possiede inoltre il merito di essere scritto in puro Inglese antico; e molte delle selvagge avventure in esso contenute sono narrate con una semplicità, la quale confina con il sublime. Ad alcune di queste si fa riferimento nel testo; e le avrei illustrate con estratti più ampi, se non fosse che tale curiosa opera è in procinto di essere ristampata, talché mi limito al racconto della Cappella Perigliosa e alla ricerca del Sangreal da parte di Sir Launcelot.» (1)

Così scrisse Walter Scott nella nota ai versi del suo poema, Marmion, in cui si accenna all’avventura di Anguselus (Lancelot) nella dimora di Morgue, e alla sua visione del Graal. La «curiosa opera» a cui lo scrittore scozzese allude è ovviamente Le Morte Darthur, di Sir Thomas Malory, pubblicata originariamente da Caxton nel 1485, ripubblicata nel 1634, poi pressoché dimenticata, fino alla nuova edizione alla quale si riferisce lo stesso Scott, ovvero quella del 1816, in due volumi, curata da Robert Southey, a cui fecero seguito, nel 1819, una sontuosa ristampa del Roxburghe Club, e soprattutto, nel 1858, l’edizione in tre maneggevoli volumi, che riprendeva il testo del 1634, con introduzione e note di Thomas Wright (2).

L’edizione del 1816 era presente nella biblioteca del padre di Alfred Tennyson, il quale, ancora ragazzo, la lesse, ricavandone un’impressione indelebile, nonché l’immagine di re Arthur successivamente immortalata nei suoi versi. La prima poesia arthuriana da lui pubblicata, composta nel 1832 e intitolata The Lady of Shalott, raccontava la storia di Elaine, ma non era ispirata alla versione di Malory, e non era la prima composizione dello stesso genere, giacché nel 1830 egli aveva scritto Sir Launcelot and Queen Guinevere: A Fragment. Ispirati a Malory furono Sir Galahad (settembre 1834), e Morte d’Arthur (ottobre 1834), quest’ultima maggiormente fedele alla fonte nella struttura e nel linguaggio. Il ferimento di Arthur e il suo trasporto ad Avalon erano già stati evocati in The Palace of Art. Nel 1857 apparve Enid and Nimue: The True and the False, contenente i poemi che rinarravano le storie di Vivien e di Enid. Nello stesso anno l’editore Moxon pubblicò un’edizione illustrata di Poems, di Tennyson, divenuta e rimasta giustamente famosa per le sue cinquantacinque xilografie di diversi artisti, inclusi alcuni pittori preraffaelliti. Fra queste, sei erano le xilografie che illustravano per la prima volta i versi arthuriani di Tennyson (3).

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Dante Gabriel Rossetti, King Arthur and the Weeping Queens, incisione Dalziel, da Lord Tennyson, Poems by Alfred Tennyson, D.C.L., London, Edward Moxon, 1857.

Così, la rinascita dell’interesse per la Materia Bretone nel XIX secolo fu ispirata dalla riscoperta di Malory, il quale, attraverso Tennyson, influenzò profondamente i pittori e gli artisti inglesi dell’epoca. E fra i primi temi bretoni che Tennyson riscrisse vi fu, come si è visto, quello del ferimento mortale di Arthur, su cui Malory aveva affermato di non avere scoperto nulla più di ciò che era contenuto nella sua meravigliosa versione. Eppure, se la si confronta con gli autori più antichi, si ha quasi l’impressione che egli fosse più informato di loro.

Gli Annales Cambriae attestano soltanto che nell’anno 537, alla battaglia di Camlann, Arthur e Medraut perirono. Quasi altrettanto laconico, Geoffrey of Monmouth afferma che Arthur, mortalmente ferito, fu trasportato all’Isola di Avalon per essere curato, dopo avere ceduto la corona della Britannia al cugino Costantino. Robert Wace non aggiunge nulla, se non la credenza, diffusa fra i Bretoni, che Arthur sarebbe, un giorno, ritornato (4).

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Invece Layamon riferisce le parole del re ferito dopo la battaglia sanguinosa: «Io andrò ad Avalun, presso la più bella fra tutte le fanciulle, la regina Argante, fata bellissima. Con le sue pozioni terapeutiche, ella curerà le mie ferite, risanandomi completamente. Poi tornerò nel mio regno e con grandissima gioia dimorerò di nuovo fra i Britanni».

Quindi prosegue narrando che, appena Arthur ebbe pronunciato queste parole, giunse dal mare, fluttuando sulle onde, un naviglio, a bordo del quale si trovavano due donne portentosamente belle e meravigliosamente abbigliate, le quali si affrettarono a sollevare il re, a trasportarlo fino al naviglio e a deporvelo. Infine si allontanarono scivolando sul mare (5).

Nella Vita Merlini, attribuita a Geoffrey of Monmouth, non si racconta nulla più di ciò che si legge nella Historia Regum Britannie e nel Roman de Brut, se non le notizie sull’Isola di Avalon e sulle ninfe, o fate, che l’abitavano (6).

Così si legge, invece, nella versione in prosa del Perceval di Robert de Boron: «Et si fu li rois Artus navrés a mort, car il fu ferus d’une lance parmi le pis. Et lors mena on grant duel entor Artu. Et Artus lor dist: “Laissiés ester le duel, car je ne morrai pas. Je me ferai porter en Avalon por mes plaies meciner a Morghain me seror”.«Ensi se fist Artus porter en Avalon et dist a ses gens que il l’atendissent, et que il revenroit» (7).

Lo sconosciuto autore de La Mort le Roi Artu, ultima parte dell’immensa e immensamente complessa narrazione conosciuta come Prose Lancelot o Vulgate Cycle, la cui prima edizione moderna completa assomma a milleduecento pagine di grande formato, racconta che Girflet, dopo avere finalmente gettato Excalibur nel lago, seppure con dolente rammarico, parla per l’ultima volta con Arthur, il quale dichiara che non lo rivedrà mai più, e aggiunge di non potergli rivelare dove sta per recarsi.

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Daniel Maclise, Le Morte d’Arthur, incisione Thompson, da Lord Tennyson, Poems by Alfred Tennyson, D.C.L., London, Edward Moxon, 1857.

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Così, Girflet monta a cavallo e si allontana, lasciando solo sulla riva il re mortalmente ferito, mentre una pioggia fitta comincia a cadere. In cima a una collina a mezza lega dal sovrano, il cavaliere sosta al riparo di un albero in attesa che spiova, e allora vede giungere attraverso il mare un bastimento, a bordo del quale si trovano soltanto donne. Allorché il bastimento accosta, le donne si recano alla murata dirimpetto alla riva, e la loro signora, che tiene per mano Morgan, sorella di Arthur, invita questi a montare a bordo. Veduta la sorella Morgan, il re, seduto, si alza e s’imbarca, insieme al proprio cavallo e alle proprie armi.

Allora Girflet scende al galoppo dalla collina per tornare al mare, e giunto alla costa vede il re fra le dame, riconoscendo Morgan le Fay, che ha già visto molte altro volte. In breve tempo, il bastimento si allontana di oltre otto tiri di balestra dalla sponda (8).

Nella Stanzaic Morte Arthur è Sir Bedivere a gettare la spada nel lago. Poi Arthur si fa condurre alla spiaggia, dove giunge un ricco bastimento con albero e remi, pieno di dame, belle e libere, le quali con sollecitudine aiutano il re ad imbarcarsi. Una delle più vivaci di carnagione, piange dirottamente e si torce le mani, chiamando il re fratello, dichiarando che è rimasto troppo a lungo senza cure mediche, e lamentando il proprio dolore per le sue condizioni.

Interrogato dal cavaliere, Arthur risponde che sta per recarsi «Into the vale of Aveloun», affinché le sue ferite siano curate. Infine il bastimento si allontana dalla riva e scompare alla vista (9).

Per comporre The Tale of the Death of King Arthur, Sir Thomas Malory si basò su La Mort le Roi Artu e sulla Stanzaic Morte Arthur, cui attinse abbondantemente (10). Così, anche in Malory è Sir Bedevere a gettare la spada nel lago e a trasportare il re alla riva del mare, presso la quale attende un piccolo naviglio con molte belle dame a bordo, tutte coperte di cappucci neri, fra le quali una regina. Alla vista del re, tutte iniziano a piangere e a lamentarsi. Con l’aiuto del cavaliere, Arthur s’imbarca, aiutato da tre regine profondamente afflitte, le quali lo depongono sul ponte. Una di loro si posa in grembo la testa del re, quindi chiede: «Ah, caro fratello, perché hai tardato tanto a venire da me? Sei ferito alla testa e hai preso troppo freddo!»

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Daniel Maclise, incisione Dalziel, da Lord Tennyson, Poems by Alfred Tennyson, D.C.L., London, Edward Moxon, 1857

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Poi, mentre il naviglio prende il mare a colpi di remo, Sir Bedevere, osservando tutte quelle dame che si allontanano, esprime la propria disperazione ad Arthur, il quale gli annuncia che si recherà «into the vale of Avilion», affinché la sua grave ferita sia sanata, e lo esorta a pregare per la sua anima, se non avrà più sue notizie. Nel frattempo, le regine e le dame piangono e si lamentano in maniera straziante. Infine il naviglio scompare alla vista (11).

Poco più oltre, l’autore dichiara di non avere trovato scritto, nei libri autorizzati, null’altro sulla morte di Arthur, se non che fu trasportato con un bastimento, a bordo del quale si trovavano tre regine, una delle quali era sua sorella, Morgan le Fay; l’altra era la regina del Galles Settentrionale; la terza era la regina della Terra Desolata. Era presente anche Nimue, prima fra le Dame del Lago, la quale aveva sposato il buon cavaliere, Pelleas, a cui non avrebbe mai permesso di porsi in pericolo di vita, consentendogli così di vivere serenamente fino al suo ultimo giorno, in compagnia di lei. Furono queste dame a celebrare le esequie del re (12).

In The Palace of Art, pubblicato per la prima volta in Poems (1832), Tennyson ricordò Arthur in quattro versi, che ispirarono King Arthur and the Weeping Queens (circa 1855-57), di Dante Gabriel Rossetti:

«Or mythic Uther’s deeply-wounded sonIn some fair space of sloping greensLay, dozing in the vale of Avalon,And watch’d by weeping queens.» (13)

Il tema venne ripreso e sviluppato da Tennyson in Morte d’Arthur, pubblicato per la prima volta in Poems (1842). Anche qui Sir Bedivere getta Excalibur nel lago, poi accompagna il re alla riva di un lago calmo sotto la luna invernale, dove attende un naviglio, fosco da poppa a prua come un drappo funebre. Tutti i ponti sono affollati di figure maestose, ammantate e incappucciate di nero, come in sogno, fra le quali si distinguono tre Regine dalla corona d’oro. E le dame innalzano un grido che fende il cielo fino alle stelle palpitanti, e come una sola voce emettono una lamento doloroso, simile ad un vento che stride per tutta la notte in una terra desolata ove nessuno più giunge, o mai è giunto, dai tempi della creazione del mondo.

Allora Arthur mormora al cavaliere d’imbarcarlo sul naviglio, e le tre Regine protendono le mani ad accoglierlo, piangendo. Poi, la più alta e la più bella si depone in grembo la testa del re, gli toglie il casco spaccato, gli friziona le mani, lo chiama per nome, lamentandosi ad alta voce, e lasciandogli cadere lacrime amare sulla fronte striata di sangue fosco, giacché tutto il suo viso è pallido e incolore, simile alla luna sfiorita percossa dai raggi novelli dell’oriente che nasce, e l’armatura è tutta spruzzata di sangue. I capelli ricci, un tempo luminosi come l’alba, sono ora aridi e impolverati, scompigliati e intrecciati alla barba. Il re giace come una colonna infranta (14).

Al termine del dialogo con il cavaliere, Arthur dichiara:

«But now farewell. I am going a long wayWith these thou seest—if indeed I go—

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(For all my mind is clouded with a doubt)To the island-valley of Avilion;Where falls not hail, or rain, or any snow,Nor ever wind blows loudly; but it liesDeep-meadow’d, happy, fair with orchard-lawnsAnd bowery hollows crown’d with summer sea,Where I will heal me of my grievous wound» (15).

Spinto dai remi e dalla vela, il naviglio si allontana dalla riva, simile ad un cigno che canta selvaggiamente di gioia prima della morte, arruffando le candide penne fredde e nuotando con le fosche zampe palmate. Infine, lo scafo si riduce a una macchiolina nera all’orlo dell’alba, e sul lago il pianto si spegne (16).

Identica è la versione dell’episodio con cui si conclude The Passing of Arthur, incluso in The Holy Grail and Other Poems (1870 [Dicembre 1869]).

Così, con la narrazione della scomparsa del grande sovrano e della fine del suo regno, senza pretese d’invenzione o di originalità, bensì riproponendo in forma nuova e nuove interpretazioni i materiali antichi, come avevano usato i grandi autori nel medioevo, ebbe inizio la rinascita della Materia Bretone, che tuttora ispira poeti, narratori e studiosi, continuando a generare letteratura.

NOTE

1. The Works of Sir Walter Scott, Ware (Hertfordshire), Wordsworth Editions, 1995, pp. 684-685.

2. Note ai versi 258-262 di Marmion, in Walter Scott, Marmion: A Tale of Flodden Field in Six Cantos (a cura di Thomas Bayne), http://www.gutenberg.org/dirs/etext04/marmn10ah.htm.

3. Elizabeth Jenkins, Il mistero di re Artù, Milano, Armenia, 1997, p. 254; The Arthurian Encyclopedia (a cura di Norris J. Lacy), Woodbridge (Suffolk), Boydell Press, 1988, pp. 399-400, 543-546.

4. Geoffrey of Monmouth, Historia Regum Britanniae (1136), Capitoli 147 e 178; Robert Wace, Roman de Brut (1155), vv. 9279-9282, 13275-13298.

5. Layamon, Brut (fra 1189 e 1204), vv. 1322-1323, 5535-5573.

6. Geoffrey of Monmouth, Vita Merlini (1150), vv. 908-940.

7. Robert de Boron, Le roman du Graal (a cura di Bernard Cerquiglini), Paris, Union Générale d’Edition, 1981, pp. 300-301.

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«E così fu il re Artù ferito a morte, giacché fu trafitto da una lancia al centro del petto. E allora vi fu grande dolore intorno ad Artù. E Artù allora disse: “Non affliggetevi, giacché non morirò. Mi farò trasportare ad Avalon per farmi curare le ferite da mia sorella Morghain.«Così Artù si fece portare ad Avalon, e disse alla sua gente di attenderlo, perché sarebbe ritornato.»

8. The Death of King Arthur, a cura di James Cable, Harmondsworth (Middlesex, England), Penguin, 1988, pp. 224-225.

9. Stanzaic Morte Arthur, vv. 3495-3519. edizione a cura di Larry D. Benson, revisione di Edward E. Foster, pubblicato originariamente in King Arthur's Death: The Middle English Stanzaic Morte Arthur and Alliterative Morte Arthure, Kalamazoo (Michigan), Medieval Institute Publications, 1994. http://www.lib.rochester.edu/camelot/teams/stanzfrm.htm.

10. Malory, Works (a cura di Eugene Vinaver) (Second Edition), London, Oxford University Press, 1971, p. 773.

11. Sir Thomas Malory, Le Morte d’Arthur (a cura di Janet Cowen), 2 voll., Harmondsworth (Middlesex, England), Penguin, 1969, Vol. II, pp. 517-518.

12. Malory, Le Morte d’Arthur, p. 519,

13. Poems of Tennyson, 1830-1870, London, New York, Toronto, Oxford University Press, 1946, p. 86.«O il mitico figlio di Uther gravemente feritoche in un luogo ameno di prati declivigiace, addormentato nella valle di Avalon,E vegliato da regine piangenti.»

14. Poems of Tennyson, pp. 143-145.

15. Poems of Tennyson, p. 145.«Addio, ora. Intraprendo un lungo viaggiocon coloro che vedi—se parto davvero—(giacché tutta la mia mente è obnubilata dal dubbio)per la valle nell’isola di Avilion;dove non cade grandine, né pioggia, né neve,né mai soffia vento fragoroso, anzi, essa giaceimmersa fra i prati, felice, abbellita da frutteti e radure,e valli ombrose, coronata dal mare estivo,dove guarirò dalle mie atroci ferite.»

16. Poems of Tennyson, p. 145.