Monteverdi Ulisse 1

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Claudio Monteverdi Il ritorno di Ulisse in Patria Dramma musicale in un prologo e cinque atti Giacomo Badoaro Prima rappresentazione Venezia, Teatro di San Cassiano (?) Carnevale 1640-41 PERSONAGGI Penelope sposa di Ulisse soprano Ulisse tenore Minerva / Fortuna soprani Telemaco figlio di Ulisse tenore Pisandro / Umana fragilità soprani Antinoo / Tempo bassi Giunone / Amore soprani Melanto al seguito di Penelope soprano Iro parassita dei proci ghittoni tenore Giove tenore Anfinomo uno dei Proci contralto Eurimaco amante di Melanto tenore Eumete pastore di Ulisse tenore Ericlea nutrice di Ulisse contralto Nettuno basso Cori di Nereidi e Sirene, Feaci, Naiadi, Marittimi, Celesti, Itacensi

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Claudio Monteverdi

Il ritorno di Ulisse in PatriaDramma musicale in un prologo e cinque atti

Giacomo Badoaro

Prima rappresentazioneVenezia, Teatro di San Cassiano (?)

Carnevale 1640-41

PERSONAGGI

Penelope sposa di Ulisse sopranoUlisse tenoreMinerva / Fortuna sopraniTelemaco figlio di Ulisse tenorePisandro / Umana fragilità soprani Antinoo / Tempo bassi Giunone / Amore sopraniMelanto al seguito di Penelope sopranoIro parassita dei proci ghittoni tenoreGiove tenoreAnfinomo uno dei Proci contraltoEurimaco amante di Melanto tenoreEumete pastore di Ulisse tenoreEriclea nutrice di Ulisse contraltoNettuno basso

Cori di Nereidi e Sirene, Feaci, Naiadi, Marittimi, Celesti, Itacensi

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - Prologo

PROLOGOL’Umana fragilità, Tempo, Fortuna, Amore

L’UMANA FRAGILITÀ

Mortal cosa son io, fattura umana:al tiranno d’Amor serva sen giacela mia fiorita età, verde e fugace.

AMORE

Dio d’ dèi feritor,mi dice il mondo Amor.Cieco saettator, alato ignudo,contro il mio stral non val difesa o scudo.

L’UMANA FRAGILITÀ

Misera son ben io, fattura umana:credere a’ ciechi e zoppi è cosa vana.

TEMPO

Per me fragile quest’uom sarà.Il Tempo ch’affretta pietate non ha.

FORTUNA

Per me misero quest’uom sarà.Fortuna ch’alletta pietate non ha.

AMORE

Per me torbido quest’uom sarà.Amor che saetta pietate non ha.

L’UMANA FRAGILITÀ

Mortal cosa son io, fattura umana:tutto mi turba, un soffio sol m’abbatte;il tempo che mi crea, quel che mi combatte.

TEMPO

Salvo è nientedal mio dente.Ei rode,ei gode.Non fuggite, o mortali:ché, se ben zoppo, ho l’ali.

L’UMANA FRAGILITÀ

Mortal cosa son io, fattura umana:senza perielio invan ricerco loco,ché frale vita è di Fortuna un gioco.

FORTUNA

Mia vita son voglie,le gioie, le doglie.Son cieca, son sorda,non vedo, non odo.Ricchezze, grandezzedispenso a mio modo.

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto primo

ATTO PRIMO

E la sua pronta velach’ogni uman caso portafra l’incostanza a volosol per me non raccoglie un fiato solo.Cangian per altri pur aspetto in cielole stelle erranti e fisse.Torna, deh, torna, Ulisse!Penelope t’aspetta,l’innocente sospira,piange l’offesa e controil tenace offensor né pur s’adira.All’anima affannataporto le sue discolpe, acciò non restidi crudeltà macchiato,ma fabbro de’ miei danni incolpo il fato.Così, per tua difesa,col destino, col cielo,fomento guerre e stabilisco risse.Torna, deh, torna, Ulisse!

ERICLEA

Partir senza ritornonon può stella influir:non è partir, ahi, che non è partir!

PENELOPE

Torna il tranquillo al mare,torna il zeffiro al prato;l’aurora, mentre al sol fa dolce invito,è un ritorno del dì ch’è pria partito.Tornan le brine in terra,tornano al centro i sassi,e, con lubrici passi,torna all’oceano i rivo.L’uomo quaggiù ch’è vivolunge da’ suoi principiporta un’alma celeste e un corpo frale.Tosto more il mortalee torna l’alma in cielo,e torna il corpo in polvedopo breve soggiorno.Tu sol del tuo tornar perdesti il giorno.Torna, ché mentre porti empie dimoreal mio fiero dolore,veggio del mio morir l’ore prefisse.Torna, deh, torna, Ulisse!

[Ritornello]

Scena I°Reggia.

Penelope, Ericlea

PENELOPE

Di misera reginanon terminati mai dolenti affanni!L’aspettato non giungee pur fuggono gli anni.La serie del penar è lunga, ahi, troppo:a chi vive in angosce il tempo è zoppo.Fallacissima speme,speranze non più verdi ma canute,all’invecchiato malenon promettete più pace o salute.Scorsero quattro lustridal memorabil giornoin cui, con sue rapine,il superbo Troianochiamò l’alta sua patria alle ruine.A ragion arse Troia,poiché l’amore impuro,ch’è un delitto di foco,si purga con le fiamme;ma ben contro ragion, per l’altrui fallocondannata innocente,dell’altrui colpe io sonol’afflitta penitente.Ulisse accorto e saggio,tu che punir gli adulteri ti vanti,aguzzi l’armi e susciti le fiammeper vendicar gli errorid’una profuga greca, e in tanto lascila tua casta consortefra nemici rivali,in dubbio de l’onor, in forse a morte.Ogni partenza attendedesitao ritorno:tu sol del tuo tornar perdesti il giono.

ERICLEA

Infelice Ericlea,nutrice sconsolata,compiangi il duol della regina amata.

PENELOPE

Non è dunque per me varia la sorte?Cangiò forse Fortunala volubil ruota in stabil seggio?

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto primo

Scena II°Melanto, Eurimaco

MELANTO

Duri e penosison gli amorosifieri desir;ma alfin son cari,se prima amari,gli aspri martir;ché, s’arde un cor, è d’allegrezza un foco,né mai perde in amor chi compie il gioco.Chi pria s’accendeprocelle attendeda un bianco sen;ma corseggiandotrova in amandoporto seren.Si piange pria, ma alfin la gioia ha loco:né mai perde in amor chi compie il gioco.

EURIMACO

Bella Melanto mia,graziosa Melanto,il tuo canto è un incanto,il tuo volto è magia.Bella Melanto mia,è tutto laccio in te ciò ch’altri ammaga:ciò che laccio non è fa tutto piaga.

MELANTO

Vezzoso garrulettooh come ben tu saiingemmar le bellezze,illustrar a tuo pro d’un volto i rai.Lieto vezzeggia pur le glorie miecon tue dolci bugie.

EURIMACO

Bugia sarebbe s’iolodando non t’amassi:che il negar d’adorarconfessata deitàè bugia d’empietà.

MELANTO, EURIMACO

De’ nostri amor concordisia pur la fiamma accesa,ch’amato il non amar arreca offesa;né con ragione s’offendecolui che per offese amor ti rende.

S’io non t’amo, cor mio, che sia di gelol’alma che ho in seno a’ tuoi begli occhi avante.Se in adorarti cor non ho costante,non mi sia stanza il mondo o tetto il cielo.

DUO

Dolce mia vita sei,lieto mio ben sarai:nodo sì bel non si disciolga mai.

MELANTO

Come il desio m’invoglia,Eurimaco, mia vita,senza fren, senza morso,dar nel tuo sen alle mie gioie il corso!

EURIMACO

Oh, come volentiericangerei questa reggia in un desertoove occhio curiosoa veder non giungesse i nostri errori!

DUO

Ché a un focoso pettoil rispetto è dispetto.

EURIMACO

Tu dunque t’affatica:suscita in lei la fiamma!

MELANTO

Ritenterò quell’almapertinace, ostinata;ritoccherò quel corech’indiamanta l’onore.

DUO

Dolce mia vita sei,lieto, mio ben, sarai:nodo sì bel non si disciolga mai.

Scena III°[Sinfonia navale]

Marittima

Coro di nereidi e sirene

NEREIDI

Fermino i sibili,sibili e fremiti

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i venti e il mar.

SIRENE

Aura, tranquillati;bell’onda, calmati.L’addormentatodeh, non svegliar.

NEREIDI

Tacete, Sirene,se tace Nettuno.

SIRENE

Nereidi, tacetese tace l’irato.

NEREIDI, SIRENE

Tacete, venti,silenzio, o mar.Ulisse dorme:non lo destar.

Scena IV°Passano i feaci in nave e sbarcano Ulisse dormiente. Lo pongono appresso l’antro delle Naiadi col suo bagaglio.

E questa scena è muta, accompagnata in sinfonia, e poi entra la nave. (orgue)

Scena V°Marittima

Nettuno sorge dal mare. Poi Giove.

NETTUNO

Superbo è l’uom, ed è del suo peccatocagion, benché lontano, il ciel cortese,facile, ahi, troppo in perdonar l’offese.Fa guerra col destin, pugna con fato,tutt’osa, tutto ardisce,l’umana libertade,indomita si rende,e l’arbitrio dell’uom col ciel contende.Ma se Giove benignoi trascorsi dell’uom troppo perdona,tenga egli a voglia sua nella gran destrail fulmine ozïoso.Tengalo invendicato.Ma non soffra Nettunocol proprio disonor l’uman peccato.

GIOVE

Gran Dio de’ salsi flutti,ché mormori e vaneggicontro l’alta bontà del dio sovrano?Mi stabilì per Giovela mente mie pietosapiù ch’armata la mano.Questo fulmine atterra,la pietà persuade,fa adorar la pietade,ma non adora più chi cade a terra.Ma qual giusto desio d’aspra vendettafurioso ti movead accusar l’alta bontà di Giove?

NETTUNO

Hanno i Feaci arditi,contro l’alto voler del mio decreto,han Ulisse condottoin Itaca sua patria, onde rimanedall’umano ardimento,dell’offesa deitadeingannato l’intento.Vergogna, e non pietade,comanda il perdonar fatti si rei.Così solo di nome son divini gli dèi?

GIOVE

Non fien discare al ciel le tue vendette,ché comune ragion ci tiene uniti.Puoi da te stesso castigar gli arditi.

NETTUNO

Or già che non dissenteil tuo divin volere,darò castigo al temerario orgoglio:La nave loro andantefarò immobile scoglio.

GIOVE

Facciasi il tuo comando,veggansi l’alte prove,abbian l’onde il suo Giove;e chi andando peccò, pera restando.

Scena VI°Coro di Feaci in nave. Poi Nettuno

CORO DI FEACI

In questo basso mondo l’uomo puolquanto vuol; tutto fa,

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ché ‘l ciel del nostro oprar pensier non ha.

NETTUNO

Ricche d’un nuovo scogliosien quest’onde fugaci.Imparino i Feaci in questo giornoche l’umano viaggioquand’ha contrario il ciel non ha ritorno.

Scena VII°Ulisse si sveglia dal sonno

[Sinfonia di viole]

ULISSE

Dormo ancora, o son desto?Che contrade rimiro,qual aria vi respiroe che terren calpesto?Dormo ancora, o son desto?Chi fece in me, chi feceil sempre dolce e lusinghevol sonnoministro de’ tormenti?Chi cangiò il mio riposo in ria sventura?Qual deità de’ dormïenti ha cura?O sonno, o mortal sonno,fratello della morte altri ti chiama.Solingo, e trasportatodeluso ed ingannato,ti conosco ben io, padre d’errori.Pur degli errori miei son io la colpa,ché se l’ombra è del sonnosorella o pur compagna,chi si confida all’ombra,perduto alfin, contro ragion si lagna.O dèi sempre sdegnati,numi non mai placati,contro Ulisse che dorme anco severi,vostri divini impericontro l’uman voler sien fermi e forti,ma non tolgano, ahimè, la pace ai morti.Feaci ingannatori,voi pur mi promettestedi ricondurmi salvoin Itaca mia patriacon le ricchezze mie, co’ miei tesori.Feaci mancatori,or non so come, ingrati, mi lasciastein questa riva aperta,su spiaggia erma e deserta,misero, abbandonato;e vi porta fastosi

e per l’aure e per l’ondecosì enorme peccato!Se puniti non son sì gravi errori,lascia, Giove, deh, lasciade’ fulmini la cura,ché la legge del caso è più sicura.Sia delle vostre vele,falsissimi Feaci,sempre Borea nemico;e sian qual piuma al vento o scoglio in mare,le vostre infide navi:leggiere agli Aquiloni, all’aure gravi!

Scena VIII°Minerva in abito da pastorella, Ulisse

MINERVA

Cara e lieta gioventù,che disprezza empio desir,non dà a lei noia o martirciò che viene, e ciò che fu.

ULISSE

(fra sé parla, e dice)

Sempre l’uman bisogno il ciel soccorre.Quel giovinetto tenero negli anni,mal pratico d’inganni,forse che il mio pensier farà contento:ché non ha frode in senochi non ha pelo al mento.

MINERVA

Giovinezza è un bel tesorche fa ricco in gioia un sen.Per lei zoppo il tempo vien,per lei vola alato Amor.

ULISSE

Vezzoso pastorello,deh, sovvieni un perdutodi consiglio e d’aiuto, e dimmi priadi questa spiaggia e questo porto il nome.

MINERVA

Itaca è questa in sen di questo mare:porto famoso e spiaggiafelice, avventurata.Faccia gioconda e grataa sì bel nome fai.Ma tu come venisti e dove vai?

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ULISSE

Io greco sono et or di Creta vengoper fuggir del castigod’omicidio eseguito.M’accolsero i Feaci e m’han promessoin Elide condurmi;ma dal cruccioso mar, dal vento infidofummo a forza cacciati in questo lido.Sin qui, pastor, ebbi nemico il caso.Ma, sbarcato al riposo,per veder quieto il mar, secondi i venti,colà m’addormentai sì dolcemente,ch’io non udii né vidide’ Feaci crudelila furtiva partenza; ond’io rimasicon le mie spoglie in su l’arena ignuda,isconosciuto e solo:e ‘l sonno che partì lasciommi il duolo.

MINERVA

Ben lungamente addormentato fosti,ch’ancor ombra racconti e sogni narri.È ben accorto Ulisse,ma più saggia è Minerva.Tu dunque, Ulisse, i miei precetti osserva.

ULISSE

Chi crederebbe maile deità vestite in uman velo!Si fanno queste mascherate in cielo?Grazie ti rendo, o protettrice dea:ben so che per tuo amorefuron senza periglio i miei pensieri.Or consolato seguoi tuoi saggi consigli.

MINERVA

Incognito sarai,non conosciuto andrai sin che tu veggadei Proci tuoi rivali la sfacciata baldanza,di Penelope casta l’immutabil costanza.

ULISSE

Oh fortunato Ulisse!

MINERVA

Or t’adacqua la frontenella vicina fonte,che anderai sconosciutoin sembiante canuto.

ULISSE

Ad obbedirti vado, indi ritorno.

MINERVA

Io vidi per vendetta,incenerirsi Troia; ora mi restaUlisse ricondur in patria, in regno.D’un’oltraggiata dea questo è il disegno.Quinci imparate voi, stolti mortali,al litigio divin non poner bocca:il giudizio del ciel a voi non tocca,ché son di terra i vostri tribunali.

ULISSE

Eccomi, saggia dea.Questi peli che guardisono di mia vecchiaiatestimoni bugiardi.

MINERVA

Or poniamo in sicuroqueste tue spoglie amateentro quel antro oscurodelle Naiadi, ninfe al ciel sacrate.

MINERVA, ULISSE

Ninfe, serbatele gemme e gli ori;spoglie e tesori,tutto serbate,ninfe sacrate.

Scena IX°Coro di Naiadi, Minerva, Ulisse

[Scherzi musicali]

CORO DI NAIADI

(A 2, mentre l’altre portano nell’antro il bagaglio)

Bella diva, eccoci pronteal tuo cenno, al tuo voler;e quest’antro, e quella fontespruzza e s’apre a tuo piacer.Itaca lieta si mostra, sì,al bel ristoro d’Ulisse un dì!

MINERVA

Tu d’Aretusa al fonte in tanto vanne,ove il pastor Eumete,tuo fido antico servo,

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custodisce la gregge. Ivi m’attendiin sin che pria di Sparta io ti conducaTelemaco tuo figlio;poi d’eseguir t’appresta il mio consiglio.

ULISSE

O fortunato Ulisse,fuggi del tuo dolorl’antico error!Lascia il pianto!

Dolce cantodal tuo cor lieto disserra.Non si disperi più mortale in terra.O fortunato Ulisse,cara vicendasi può soffriror diletto, or martir, or pace, or guerra.Non si disperi più mortale in terra.

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ATTO SECONDO[Sinfonia]

Del suo dolce serenoè misura il baleno. Un giorno solocangia il piacer in duolo.Sono i casi amorosi:di Tesei e di Giasoni, ohimè, son pieni.In costanza e rigore,pene, e morte, e dolore,dell’amoroso ciel splendori fissi,san cangiar in Giason anche gli Ulissi.

MELANTO

Perché Aquilone infidoturbi una volta il mar,distaccarsi dal lidoanimoso nocchier non dee lasciar?Sempre non guarda in ciel torva una stella,ha calma ogni procella.Fuggi pur del tempo i danni:tosto vien nemica età;in passare i dì tirannifanno oltraggio a tua beltà.

PENELOPE

Non dee di nuovo amarchi misera penò:torna stolta a penar chi prima errò.

Scena II°Boscareccia

Eumete solo

EUMETE

Oh, come mal si salva un regio amanteda sventure e da mali!Meglio i scettri regali,che i dardi de’ pastor imperla il pianto.Seta vestono ed orii travagli maggiori.È vita più sicura,della ricca et illustre,la povera et oscura.Colli, campagne e boschi,se stato uman felicità contiene,in voi s’annida il sospirato bene.Erbosi prati, in voinasce il fior del diletto;frutto di libertade in voi si coglie:

Scena I°Reggia

Penelope, Melanto

PENELOPE

Donate un giorno, o dèi,contento a’ desir miei.

MELANTO

Cara amata regina,avveduta e prudenteper tuo sol danno sei:men saggia io ti vorrei.A ché sprezzi gli ardoridei viventi amatori,per attender confortidal cenere de’ morti? Non fa tortochi gode a chi è sepolto.L’ossa del tuo maritoestinto, incenerito,del tuo dolor non san poco né molto;e chi attende pietà da un morto è stolto.La fede e la costanzason preclare virtù;la stima amante vivo e non l’apprezza,perché de’ sensi privo, un uom che fu.D’una memoria gratas’appagano i defunti:stanno i vivi coi vivi in un congiunti.Un bel viso fa guerra;il guerriero costume al morto spiace,ché non cercan gli stinti altro che pace.Langue sotto i rigoride’ tuoi sciapiti amorila più fiorita età;ma vedova beltà di te si duole,che dentro ai lunghi piantimostri sempre in acquario un sì bel sole.Ama dunque, ché d’amoredolce amica è la beltà.Dal piacer il tuo doloresaettato caderà.

PENELOPE

Amor è un idol vano,un vagabondo nume:all’incostanze sue non mancan piume.

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son delizie dell’uom le vostre foglie.

Scena III°Iro et Eumete

IRO

Pastor d’armenti puòprati e boschi lodar,avvezzo nelle mandre a conversar.Quest’erbe che tu nominisono cibo di bestie, e non degli uomini.Colà tra regi io sto,tu fra gli armenti qui:tu godi e tu conversi tutto il dìamicizie selvatiche.Io mangio i tuoi compagni,pastor, e le tue pratiche.

EUMETE

Iro, gran mangiatore,Iro, divoratore,loquace, mia pace non perturbar.Corri, corri a mangiar!Corri, corri a crepar!

Scena IV°Eumete, poi Ulisse in sembianze di vecchio

EUMETE

Ulisse generoso,fu nobile intrapresalo spopolar, l’incenerir cittadi;ma forse il ciel iratonella caduta del troiano regnovolle la vita tua per vittima al suo sdegno.

ULISSE

Se del nomato Ulissetu vegga in questo giornodesiato il ritorno,accogli questo vecchiopovero, ch’ha perdutoogni mortal aiutonella cadente età, nell’aspra sorte.Gli sia tua pietà scorta alla morte.

EUMETE

Ospite mio sarai,cortese albergo avrai. Sono i mendicifavoriti del ciel, di Giove amici.

ULISSE

Ulisse, Ulisse è vivo!La patria lo vedrà,Penelope l’avrà,ché il fato non fu mai d’affetto privo:maturano il destin le sue dimore,credilo a me pastore!

EUMETE

Come lieto t’accoglio,mendica deità!Il mio lungo cordoglioda te vinto cadrà.Seguimi, amico, pur,riposo avrai sicur.

Scena V°Telemaco e Minerva sul carro

TELEMACO

Lieto, lieto cammino, dolce viaggio!Passa il carro divinocome che fosse un raggio.

MINERVA, TELEMACO

Gli dèi possentinavigan l’aure,solcano i venti.

MINERVA

Eccoti giunto alle paterne ville,Telemaco prudente.Non ti scordar già mai de’ miei consigli,ché, se dal buon sentier travia la mente,incontrerai perigli.

TELEMACO

Perielio invan mi sgridase tua bontà m’affida.

Scena VI°Eumete, Ulisse, Telemaco

EUMETE

O gran figlio d’Ulisse!È pur ver che tu tornia serenar della madre i giorni?O gran figlio d’Ulisse!E pur sei giunto alfinedi tua casa cadente

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a riparar l’altissime ruine.Fugga il cordoglio, fugga, e cessi il pianto.Facciamo, o peregrino,all’allegrezze nostre onor col canto.

EUMETE, ULISSE

Verdi spiagge al lieto giornorabbellite, erbette e fiori.Scherzin l’aure con gli amori:ride il ciel al bel ritorno.

TELEMACO

Vostri cortesi auspici a me son grati.Manchevole piacer però m’alletta,ch’esser calma non puote alma che aspetta.

EUMETE

Questo che tu qui mirisopra gli omeri stanchiportar gran peso d’anni, e mal involtoda ben laceri panni, egli m’accertache d’Ulisse il ritornofia di poco lontan da questo giorno.

ULISSE

Pastor, se nol fia ver, ch’al tardo passosi trasformi in sepolcro il primo sasso,e la morte che mecoamoreggia d’intornoora porti ai miei dì l’ultimo giorno.

EUMETE, ULISSE

Dolce speme i cor lusinga,Lieto annunzio ogni alma alletta,s’esser paga non pote alma ch’aspetta.

TELEMACO

Vanne tu pur veloce,vanne, Eumete, alla reggia; e del mio arrivofa che avvisata sia la genitrice mia.

Scena VII°Telemaco, Ulisse

(Scende dal cielo un raggio di fuoco, sopra il capo d’Ulisse. S’apre la terra e Ulisse si profonda)

TELEMACO

Che veggio, ohimé, che miro?Questa terra vorace i vivi inghiotte;apre bocche e caverne

d’umano sangue ingorde,e più non soffre del viatore il passo,ma la carne dell’uom tranghiotte il sasso?Che prodigi son questi?Dunque, patria, apprendestia divorar la genti?Rispondono anco a’ vivi i monumenti?Così dunque, Minerva,alla patria mi doni?Questa è patria comunese di questo ragioni?ho la memoria pigra:quel pellegrin ch’or oraper dar fede a menzognechiamò i sepolcri ed invitò la morte,dal giusto ciel punitorestò qui seppellito. Ah, caro padre!Dunque in modo sì stranom’avvisa il tuo morireil ciel di propria mano!Ahi, che per farmi guerrafa stupori e miracoli la terra!(Qui risorge Ulisse in sua propria forma.)Ma che nuovi portenti, ohimé, rimiro?Fa cambio, fa permutacon la morte la vita?Non sia più che più chiamiquesta caduta amara,se col morir ringiovanir s’impara.

ULISSE

Telemaco, convienticangiar le meraviglie in allegrezze,ché, se perdi il mendico, il padre acquisti.

TELEMACO

Benché Ulisse si vantidi prosapia celeste,trasformarsi non puote uom ch’è mortale.Tanto Ulisse non vale:o scherzano gli dèio pur mago tu sei!

ULISSE

Ulisse, Ulisse sono:testimonio è Minerva,quella che te portò per l’aria a volo.La forma cangia a me come le aggrada,perché sicuro e sconosciuto io vada.

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[Duo]

TELEMACO

O padre sospirato,genitor glorïoso;t’inchino, o mio diletto.Filiale dolcezzaa lagrimar mi sforza.

ULISSE

O figlio desiato,pegno dolce amoroso;ecco, ti stringo al petto.Paterna tenerezzail pianto in me rinforza.

TELEMACO, ULISSE

Mortal, tutto confida e tutto spera;ché quando il ciel proteggenatura non ha legge:l’impossibile ancor spesso s’avvera.

ULISSE

Vanne alla madre, va’;porta alla reggia il piè.Sarò tosto con te,ma pria canuto il pel ritornerà.

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ATTO TERZO

MELANTO

Amiamo,godiamo,e dica chi vuol.

Scena II°Antinoo, Anfinomo, Pisandro, Eurimaco, Penelope

ANTINOO

Sono l’altre reginecoronate di servi e tu d’amanti.Tributan questi regial mar di tua bellezza un mar di pianti

ANTINOO, PISANDRO, ANFIMONO

Ama dunque, sì, sì,dunque riama un dì!

PENELOPE

Non voglio amar, no, no:ch’amando penerò.Cari tanto mi setequanto più ardenti ardete:ma non m’appresso all’amoroso gioco,che lungi è bel più che vicino il foco.

ANFIMONO

La pampinosa vite,se non s’abbraccia al faggio,l’autun non fruttae non fiorisce il maggio;E se fiorir non resta,ogni mano la coglie,ogni piè la calpesta.

PISANDRO

Il bel cedro odorosovive, se non s’incalma,senza frutto, spinoso;ma se s’innesta poifigliano frutti e fior gli spini suoi.

ANTINOO

L’edera che verdeggia,ad onta anco del verno,d’un bel smeraldo eterno,se non s’appoggia perde

Scena I°Reggia

Melanto, Eurimaco

MELANTO

Eurimaco, la donnainsomma ha un cor di sasso.Parola non la muove,priego invan la combatte;dentro del mar d’amoresempre tenace ha l’alma:o di fede o d’orgoglioin ogni modo è scoglio.Nemica, o pur amante,non ha di cera il cor, ma di diamante.

EURIMACO

E pur udii soventela poetica schieracantar donna volubile e leggiera.

MELANTO

Ho speso invan parole, indarno prieghiper condur la regina a nuovi amori.L’impresa è disperata:odia, non che l’amar, l’essere amata.

EURIMACO

Peni chi brama,stenti chi vuol,goda fra l’ombrechi ha in odio il sol.

MELANTO

Penelope trionfanella doglia e nel pianto;fra piaceri e contentivive lieta Melanto;Ella in pene si nutre, io fra dilettiamando mi giocondo:fra sì vari pensier più bello è il mondo.

EURIMACO

Godendo,ridendo,si lacera il duol.

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fra l’erbose rovine il suo bel verde.

ANTINOO, PISANDRO, ANFIMONO

Ama dunque, sì, sì,dunque riama un dì!

PENELOPE

Non voglio amar, non voglio!Come sta in dubbio un ferrose fra due calamiteda due parti diverse egli è chiamato,così sta in forse il corenel tripartito amore.Ma non può amar chi non sa, chi non puòche piangere e penar.Mestizia e dolorson crudeli nemici d’amor.

ANFIMONO, PISANDRO, ANTINOO

All’allegrezze dunque, al ballo, al canto!Rallegriam la regina:lieto cor ad amar tosto s’inchina!

Scena III°[Ballo]

“Dame in amor” da C. Monteverdi (Scherzi musi-cali)

(Qui escono otto mori che fanno un ballo greco, can-tato con i seguenti versi.)

CORO

Dame in amor belle e gentil,amate all’or che ride april;non giunge al sen gioia o piacer,se tocca il crin l’età senil:dunque al gioir, lieto al goder.Dame in amor belle e gentil,vaga nel spin la rosa sta,ma non nel gel, belle, è beltà;perde il splendor torbido il ciel:ciglio in rigor non è più bel.

Scena IV°Eumete e Penelope. I Proci a parte

EUMETE

Apportator d’alte novelle vengo!È giunto, o gran regina,Telemaco tuo figlio,

e forse non fia vanale speme ch’io t’arreco:Ulisse, il nostro rege,il tuo consorte, è vivo;e speriam non lontanoil suo bramato arrivo!

PENELOPE

Per si dubbie novelleo s’addoppia il mio maleo si cangia il tenor delle mie stelle.

Scena V°Antinoo, Anfinomo, Pisandro, Eurimaco

ANTINOO

Compagni, udiste? Il nostrovicin rischio mortalevi chiama a grandi e risolute imprese.Telemaco ritorna, e forse Ulisse.Questa reggia, da noi violata e offesa,dal suo signor aspettatarda, bensì, ma prossima vendetta.Chi d’oltraggiar fu arditoneghittoso non restiin compir il delitto: in sin ad orafu il peccato dolcezza;ora il vostro peccar fia sicurezzaché lo sperar favori è gran pazziada chi s’offese pria.

ANFIMONO, PISANDRO

N’han fatti l’opre nostreinimici d’Ulisse:L’oltraggiar l’inimico unqua disdisse.

ANTINOO

Dunque l’ardir s’accresca,e pria ch’Ulisse arriviTelemaco vicin togliam dai vivi!

ANFIMONO, PISANDRO, ANTINOO

Si, si, de’ grandi amorisono figli i gran sdegni:Quel fère i cori, e quest’abbatte i regni!

(Qui vola sopra il capo dei Prodi un’aquila.)

EURIMACO

Chi dall’alto n’ascoltaor ne risponde, amici:

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto terzo

mute lingue del ciel sono gli auspici.Mirate, ohimé, miratedel gran Giove l’augello.Ne predice rovine,ne promette flagello!Muova al delitto il piedechi giusto il ciel non crede.

PISANDRO, ANFIMONO, ANTINOO

Crediam al minacciar del ciel irato,ché, chi non teme il cielo,raddoppia il suo peccato.

ANTINOO

Dunque, prima che giungail filial soccorso,per abbatter quel corefacciam ai doni almen grato ricorso,perché ha la punta d’or lo stral d’Amore.

EURIMACO

L’oro sol, l’oro sial’amorosa magia.Ogni cor femminil se fosse pietra,tocco dell’or si spetra.

ANFIMONO, PISANDRO, ANTINOO

Amor è un’armonia,sono canti i sospiri;ma non si canta ben se l’or non suona:non ama chi non dona.

Scena VI°Boscareccia

Ulisse, poi Minerva in abito maestro

ULISSE

Perir non può chi tien per scorta il cielo,chi ha per compagno un dio.A grand’imprese, è ver, volto son io:ma fa peccato gravechi, difeso dal ciel, il mondo pave.

MINERVA

O coraggioso Ulisse!Io farò che propongala tua casta consorte

gioco che a te fia gloria,sicurezza e vittoria, e a’ Proci morte.Allor, che l’arco tuo ti giunge in manoe strepitoso tuon fiero t’invita,saetta pur, ché la tua destra arditatutti conficcherà gli estinti al piano.Io starò teco, e con celeste lampoatterrerò l’umanità soggetta:cadran vittime tutti alla vendetta,ché i flagelli del ciel non hanno scampo.

ULISSE

Sempre è cieco il mortale,ma allor si dee più ciecochi ‘l precetto divin devoto osserva.Io ti seguo, Minerva!

Scena VII°Eumete, Ulisse

EUMETE

Io vidi, o pellegrin, de’ Proci amantil’ardir infermarsi,l’ardore gelar;negli occhi tremantiil cor palpitar:il nome sol d’Ulissequest’alme ree trafisse.

ULISSE

Godo anch’io, né so come;rido, né so perché.Tutto gioisco,ringiovaniscoben lieto affé!

EUMETE

Tosto ch’avrem con povera sostanzai corpi invigoriti, andrem veloci.Vedrai di quei ferocifieri i costumi, i gestiimpudenti, inonesti.

ULISSE

Non vive eterna l’arroganza in terra:la superbia mortal tosto s’abbatte,ché il fulmine del ciel gli Olimpi atterra!

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto quarto

ATTO QUARTO[Sinfonia]

Vaneggia la tua mente,folleggia il tuo desio.

TELEMACO

Non per vana folliaElena ti nomai, ma perché essendonella famosa Spartacircondato improvvisodal volo d’un augel destro e felice,Elena, ch’è maestradell’indovine scienze e degl’auguri,tutta allegra mi dissech’era vicino Ulisse, e che doveadar morte ai Proci e stabilirsi il regno.

Scena II°Antinoo, Eumete, Iro, Ulisse, Penelope

ANTINOO

Sempre villano Eumete:sempre, sempre t’ingegnidi perturbar la pace,d’intorbidir la gioia!Oggetto di dolore,ritrovator di noia,hai qui condotto un infesto mendico,un noioso importuno,che con sue voglie ingordenon farà che guastar le menti liete!

EUMETE

L’ha condotto fortunaalle case d’Ulisseove pietà s’aduna.

ANTINOO

Rimanga ei teco a custodir la greggee qui non venga, dovecivile nobiltà comanda e regge.

EUMETE

Civile nobiltà non è crudelené puote anima grandesdegnar pietà che nascede’ regi tra le fasce.

Scena I°Reggia

Telemaco, Penelope

TELEMACO

Del mio lungo viaggio i torti errorigià vi narrai, regina.Ora tacer non possodella veduta Grecala bellezza divina.M’accolse Elena bella:io mirando stupii,dentro a que’ raggi immerso,che di Paridi pienonon fosse l’universo.Alla figlia di Ledaun sol Paride, dissi, è poca preda.Povere fur le stragi,furon lievi gli incendi a tanto foco,ché se non arde un mondo il resto è poco.Io vidi in que’ begli occhidell’ incendio troianole nascenti scintille,le bambine faville;e ben pria poteaastrologo amorosoda quei giri di focoprofetar fiamme e indovinar ardorida incenerir città non men che cori.Paride, è ver, morì;Paride ancor gioì.Con la vita pagar convenne l’onta,ma così gran piacereuna morte non sconta.Si perdoni a quell’alma il grave fallo:la bella Greca portanel suo volto beatotutte le scuse del troian peccato.

PENELOPE

Beltà troppo funesta, ardor iniquo,di rimembranze indegno,disseminò lo sdegnonon tra i fiori d’un volto,ma tra’ strisci d’un angue,ché mostro è quell’amor che nuota in sangue.Memoria così tristadisperda pur l’oblio.

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto quarto

ANTINOO

Arrogante plebeo,insegnar opre eccelsea te, vil uom, non tocca,né dee parlar di re villana bocca!E tu, povero indegno,fuggi da questo regno!

IRO

Partiti, movi il piè!Se sei qui per mangiar, son pria di te!

ULISSE

Uomo di grosso taglio,di larga prospettiva!Benché canuto et invecchiato io sia,non è vile però l’anima mia.Se tanto mi concedel’alta bontà regale,trarrò il corpaccio tuo sotto il mio piede,mostruoso animale!

IRO

E che sì, e che sì,rimbambito guerriero, vecchio importuno;e che sì, che ti strappoi peli della barba ad uno ad uno!

ULISSE

Voglio perder la vitase di forza e di vagliaio non ti vinco or, sacco di paglia!

ANTINOO

Vediam, regina, in questa bella coppiad’una lotta di bracciastravagante duello.

EUMETE

Il campo io t’assicuro,pellegrin sconosciuto.

IRO

Anch’io ti do franchigia,combattitor barbuto.

ULISSE

La gran disfida accetto,cavaliero panciuto!

IRO

(che fa alla lotta)

Su dunque, su, su!Alla ciuffa, alla lotta!

(segue la lotta)

Son vinto, ohimé!

ANTINOO

Tu, vincitor, perdonaa chi si chiama vinto.Iro, puoi ben mangiar, ma non lottar.

PENELOPE

Valoroso mendico, in corte restaonorato e sicuro:ché non è sempre vilechi veste manto povero ed oscuro.

Scena III°Pisandro, Penelope, Anfinomo, Melanto e i suddetti

PISANDRO

Generosa regina,Pisandro a te s’inchina, e ciò che diedelarga e prodiga sortedona a te: per te adunasua novella fortuna.Questa regal corona,che di comando è segno,ti lascia in testimon del cuor che dona.Dopo il dono del corenon ha dono maggiore.

PENELOPE

Anima generosa,prodigo cavaliere,ben sei d’impero degno,ché non merita men chi dona un regno.

ANFINOMO

Se t’invoglia il desiod’accettar regni in dono,ben so donar anch’ioet anch’io rege sono.Queste pompose spoglie,questi regali ammanticonfessano superbii miei ossequi, i tuoi vanti.

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto quarto

PENELOPE

Nobil contesa e generosa gara,ove amator discretol’arte del ben amar donando impara.

ANTINOO

Il mio cor che t’adoranon ti vuol sua regina:l’anima che s’inchina ad adorarti,deità vuoi chiamarti, e come deat’incensa co’ sospiri,fa vittime i desiri, e con quest’orit’offre voti et onori.

PENELOPE

Non andran senza premioopre cotanto eccelse;ché donna quando dona,se non è prima accesa, allor s’accendee donna quando toglie,se non è prima resa, allor s’arrende.Or t’affretta Melanto e qui m’arrecal’arco del forte Ulisse e la faretra:e chi sarà di voicon l’arco poderososaettator più fieroavrà d’Ulisse e la moglie e l’impero.

TELEMACO

Ulisse, e dove sei?Che fai? Ché non riparile tue perdite, e in un gli affanni miei?

PENELOPE

Ma che, ma che promisebocca facile, ahi, troppodiscordante dal core?Numi del ciel, s’io ‘l dissisnodaste voi la lingua, apriste i detti.Saran tutti del cielo e delle stelleprodigiosi effetti.

ANFINOMO, PISANDRO, ANTINOO

Lieta e soave gloria,grata e dolce vittoria;cari piantidegli amanti,cor fedele, costante sencangia il torbido in seren.

PENELOPE

Ecco l’arco d’Ulisse,anzi l’arco d’Amorche dee passarmi il cor.Pisandro, a te lo porgo:chi fu il primo a donarsia il primo a saettar.

PISANDRO

Amor, se fosti arciero in saettarmi,or dà forza a quest’armi,ché vincendo dirò:se un arco mi ferì,un arco mi sanò.

(si prova di caricar l’arco e non può)

Il braccio non vi giunge,il polso non v’arriva;cade la vinta forza:col non poter anche il desio s’ammorza.

ANFINOMO

Amor, picciolo nume,non sa di saettar;se trafigge i mortalison le saette sue sguardi e non strali:ch’a nume pargolettonegano d’obbedir l’arme di Marte.Tu, fiero dio, le mie vittorie affretta:il trionfo di Marte a te s’aspetta!

(qui finge di caricar l’arco e non può)

Come intrattabile,come indomabilel’arco si fa!Quel petto frigidoprotervo e rigidoper me sarà.

ANTINOO

Ceda Marte et Amoreove impera beltà.Chi non vince in onor non vincerà.Penelope, m’accingoin virtù del tuo bello all’alta prova;virtù, valor non giova.

(s’affatica a caricar l’arco e non può)

Forse forza d’incantocontende il dolce vanto.Ah, ch’egli è ver ch’ogni cosa fedele

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto quarto

ad Ulisse si rende:e sin l’arco d’Ulisse, Ulisse attende!

PENELOPE

Son vani, oscuri pregii titoli de’ regi,senza valor. Il sangue,ornamento regale,illustri scettri a sostener non vale.Chi simile ad Ulissevirtute non possiede,de’ tesori d’Ulisse è indegno erede.

ULISSE

Gioventute superbasempre valor non serba,come vecchiezza umilead ogn’or non è vile.Regina, in queste membratengo un alma sì arditach’alla prova m’invita.Il giusto non eccedo:rinunzio il premio e la fatica io chiedo.

PENELOPE

Concedasi al mendicola prova faticosa.

Contesa glorïosa,contro petti virili un fianco anticoché, tra rossori in volti,darà ‘l foco d’amor vergogna ai volti!

ULISSE

Questa mia destra umiles’arma a tuo conto, o cielo!Le vittorie apprestate, o sommi dèi,s’a voi son cari i sacrifizi miei!

(Carica l’arco)

PISANDRO, ANFINOMO, ANTINOO

Meraviglie, stupor, prodigi estremi!

ULISSE

Giove nel suo tuonar grida vendetta:Così l’arco saetta!

(Qui tuona)

Minerva altri rincora, altri avvilisce:così l’arco ferisce!

(Apparisce Minerva in machina)

Alle morti, alle stragi, alle ruine!

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto quinto

ATTO QUINTO

Scena III°Reggia

Melanto, Penelope

MELANTO

E quai nuovi rumori,e che insolite stragi,e che tragici amori?Chi fu, chi fu l’arditoche osò con nuova guerrala pace intorbidar ch’hai tu negli occhi,e trar disfatti a terraquei templi che ad Amor furono erettiin quei focosi petti?

PENELOPE

Vedova amata, vedova regina,nuove lagrime appresto:insomma, all’infeliceogni amore è funesto.

MELANTO

Così all’ombra de’ scettri anco pur sonomalsicure le vite!Vicino alle coroneson le destre esecrande anco più ardite.

PENELOPE

Moriro i Proci, e questeda lor chiamate stellefuron di quelle mortiassistenti facelle.

MELANTO

Penelope, il castigodell’importante fattonon consigliar che con lo sdegno e l’ira,ché maestade offesaesser giusta non può se non s’adira.

PENELOPE

Dell’occhio la pietadesi risente all’eccesso,ma concitar il corea sdegno et a dolor non m’è concesso.

Scena I°Iro solo

IRO

Oh dolor, oh martir che l’alma attrista!Oh mesta rimembranzadi dolorosa vista!Io vidi i Proci estinti;i Proci furo uccisi. Ah, ch’io perdeile delizie del ventre e della gola!Chi soccorre il digiun, chi lo consola?Oh, flebile parola!I Proci, Iro, perdesti;i Proci, i padri tuoi!Sporga pur quante vuoilagrime amare e meste,ché padre è chi ti ciba e chi ti veste.Chi più della tua famesatollerà le brame?Non troverai chi godaempir del vasto ventrel’affamate caverne;non troverai chi ridadel ghiotto trionfar della tua gola.Chi soccorre il digiun, chi lo consola?Infausto giorno a mie ruine armato:poco dianzi mi vinse un vecchio ardito,or m’abbatte la fame,dal cibo abbandonato.L’ebbi già per nemica:l’ho distrutta, l’ho vinta; or troppo foravederla vincitrice.Voglio uccider me stesso e non vo’ maich’ella porti di me trionfo e gloria:chi si toglie al nemico ha gran vittoria.Coraggioso mio core,mio core coraggioso,vinci il dolore, e priach’alla fame nemica egli soccombavada il mio corpo a disfamar la tomba.

Scena II°(Deserto con ombre de’ Proci, Mercurio)

(La si lascia fuora per esser maninconica)

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto quinto

Scena IV°Eumete e Penelope

EUMETE

Forza d’occulto affettoraddolcisce il tuo petto.Chi con un arco soloisconosciuto diedea cento morti il duolo,quel forte, quel robustoche domò l’arco e fe’ volar gli strali,colui che i Proci insidiosi e fellivaloroso trafisse,rallegrati, regina: egli era Ulisse!

PENELOPE

Sei buon pastore, Eumete,se persuaso credicontro quello che vedi.

EUMETE

Il canuto, l’antico,il povero, il mendicoche co’ Proci superbicoraggioso attaccò mortali risse,rallegrati, regina: egli era Ulisse!

PENELOPE

Credulo è il volgo e sciocco;è la tromba mendacedella fama fallace.

EUMETE

Ulisse io vidi, sì!Ulisse è vivo, è qui!

PENELOPE

Relator importuno,consolator nocivo!

EUMETE

Dico che Ulisse è qui!Io stesso ‘l vidi, e ‘l so.Non contenda il tuo “no” con il mio “sì”:Ulisse è vivo, è qui.

PENELOPE

Io non contendo tecoperché sei stolto e cieco.

Scena V°Telemaco e detti

TELEMACO

È saggio Eumete, è saggio.È ver quel ch’ei racconta:Ulisse, a te consorte ed a me padre,ha tutte uccise le nemiche squadre.Il comparir sotto mentito aspetto,sotto vecchia sembianza,arte fu di Minerva, e fu suo dono.

PENELOPE

Troppo egli è ver che gli uomini qui in terraservon di gioco agli immortali dèi.Se ciò credi ancor tu, lor gioco sei.

TELEMACO

Vuole così Minervaper ingannar con le sembianze fintegli inimici d’Ulisse.

PENELOPE

Se d’ingannar gli dèi prendon diletto,chi far fede mi puoteche non sia mio l’inganno,se fu mio tutto il danno?

TELEMACO

Protettrice de’ Greciè, come sai, Minerva;e, più che gli altri, Ulisse a lei fu caro.

PENELOPE

Non han tanto pensierogli dèi lassù nel cielodelle cose mortali.Lasciano ch’arda il foco e agghiacci il gelo;figlian le cause lor piaceri e mali.

TELEMACO

Togliti in pace il nero.

EUMETE

Io lo dirò, ti seguirò!

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto quinto

Scena VI°Marittima

Minerva e Giunone

MINERVA

Fiamma è l’ira, o gran dea, foco è lo sdegno.Noi sdegnose et irateincenerito abbiam di Troia il regno.Offese da un Troian, ma vendicate!Il più forte fra’ Greci ancor contendecol destin, con il fato:Ulisse addolorato.

GIUNONE

Per vendetta che piaceogni prezzo è leggero.Vada il troiano imperoanco in peggio di polvere fugace!

MINERVA

Dalle nostre vendettenacquero in lui gli errori;delle stragi diletteson figli i suoi dolori.Convien al nostro numeil vindice salvar, placar gli sdegnidel dio de’ salsi regni.

GIUNONE

Procurerò la pace,ricercherò il riposod’Ulisse glorïoso.

MINERVA

Per te del sommo Giovee sorella e consortes’aprono nove in ciel divine porte.

Scena VII°Marittima

Giunone, Giove, Nettuno, Minerva, Coro di Celesti e Coro marittimo

GIUNONE

Gran Giove, alma de’ dèi, dio delle menti,mente dell’universo,tu che ‘l tutto governi e tutto sei,inchina le tue grazie a’ prieghi miei.Ulisse troppo errò,troppo, ahi, troppo soffrì;

tornalo in pace un dì:fu divin il voler che lo destò.Ulisse troppo errò.

GIOVE

Per me non avrà maivota preghiera Giuno,ma placar pria conviensilo sdegnato Nettuno.Odimi, o dio del mar:fu scritto qui, dove il destin s’accoglie,dell’eccidio troiano il fatal punto.Or ch’al suo fine il destinato è giunto,sdegno ozioso un gentil petto invoglia.Fu ministro del fato, Ulisse il forte:soffrì, vinse, pugnò campion celeste.Per lui mentre di cenere si vestecittadina di Troia errò la morte.Nettun, pace, o Nettun! Nettun, perdonail suo duol al mortal ch’afflitto il rese.Ecco scrive il destin le sue difese:non è colpa dell’uom se il cielo tuona.

NETTUNO

Se ben quest’onde frigide,son ben quest’onde gelide,mai sentono l’ardor di mia pietà,nei fondi algosi ed infimi,nei cupi acquosi terminiil decreto di Giove anco si sa.Contro i Feaci arditi e temerari,mio sdegno si sfogò:pagò il delitto pessimola nave che restò.Viva felice pur,viva Ulisse sicur!

CORO DI CELESTI

Giove amoroso,fa il ciel pietosonel perdonar.

CORO MARITTIMO

Benché abbia il gelo,non men del cielopietoso è il mar.

CORO DI CELESTI, CORO MARITTIMO

Prega, mortal, deh, prega,ché sdegnato e pregato un Dio si piega.

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto quinto

GIOVE

Minerva, or fia tua curad’acquietar i tumultide’ sollevati Achiviche, per vendetta degli estinti Proci,pensano portar guerraall’itacense terra.

MINERVA

Rintuzzerò quei spirti,smorzerò quegli ardori,comanderò la pace,Giove, come a te piace.

Scena VIII°Reggia

Eraclea sola

ERICLEA

Ericlea, che vuoi far?Vuoi tacer o parlar?Se parli, tu consoli;obbedisci, se taci.Sei tenuta a servir,obbligata ad amar:vuoi tacer o parlar?Ma ceda all’obbedienza la pietà:non si dee sempre dir ciò che si sa.Medicar chi languisce, oh, che diletto!Ma che ingiurie e dispettoscoprir l’altrui pensier!Bella cosa, talvolta, è un bel tacer.È ferità, è crudeleil poter con paroleconsolar chi si duole e non lo far;ma del pentirsi alfinassai lunge è il piacer più che il parlar.Del segreto taciutotosto scoprir si può;una sol volta dettocelarlo non potrò.Ericlea, che farai? Tacerai tu?Insomma, un bel tacer mai scritto fu.

Scena IX°Penelope, Telemaco, Eumete, Ericlea

PENELOPE

Ogni vostra ragion sen porta ‘l vento.Non ponno i nostri sogniconsolar le vigilie

dell’anima smarrita.Le favole fan riso e non dan vita.

TELEMACO, EUMETE

Troppo incredula, troppo!Troppo ostinata, troppo!È più che vero,di vero è piùche ‘l vecchio arcieroUlisse fu.Eccolo che sen venee la sua forma tiene.Ulisse egli è:Eccolo affè!

Scena X°Sopraggiunge Ulisse in sua forma, e detti

ULISSE

O delle mie fatichemeta dolce e soave!Porto caro, amoroso,dove corro al riposo!

PENELOPE

Fermati, cavaliero,incantator o mago!Di tue finte sembianze io non m’appago!

ULISSE

Così del tuo consorte,così dunque t’appressia’ lungamente sospirati amplessi?

PENELOPE

Consorte io sono, ma del perduto Ulisse;né incantesmi o magieperturberan la fè, le voglie mie.

ULISSE

In onor de’ tuoi rail’eternità sprezzai,volontario cangiando e stato e sorte:per serbarmi fedel son giunto a morte.

PENELOPE

Quel valor che ti resead Ulisse similecare mi fa le stragidegli amanti malvagi.

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Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in Patria - atto quinto

Questo di tua bugiail dolce frutto sia.

ULISSE

Quell’Ulisse son io,delle ceneri avanzo,residuo delle morti;degli adulteri e ladrifiero castigator e non seguace.

PENELOPE

Non sei tu ‘l primo ingegnoche, con nome mentitotentasse di trovar comando o regno.

ERICLEA

Or di parlar è tempo.È questo Ulisse,casta e gran donna. Io lo conobbi all’orache nudo al bagno venne, ove scopersidel feroce cinghiale,l’onorato segnale.Ben ti chieggo perdon se troppo tacqui:loquace, feminil, garrula linguaper comando d’Ulissecon fatica lo tacque e non lo disse.

PENELOPE

Creder ciò ch’è desio m’insegna amore;serbar costante il sen comanda onore.Dubbio pensier, che fai?La fè negata a’ prieghidel buon custode Eumete,di Telemaco il figlio,alla vecchia nutrice anco si nieghi,ché il mio pudico lettosol d’Ulisse è ricetto.

ULISSE

Del tuo casto pensiero io so ‘l costume.So che il letto pudico,che tranne Ulisse solo altro non vide,ogni notte da te s’adorna e coprecon un serico drappodi tua mano contesto, in cui si vedecol virginal suo coroDiana effigiata.M’accompagnò mai semprememoria così grata.

PENELOPE

Or sì ti riconosco, or sì ti credo,antico possessoredel combattuto core!Onestà mi perdoni:dono tutte ad amor le sue ragioni.

ULISSE

Sciogli, lingua, deh, sciogliper allegrezza i nodi!Un sospir, un “ohimé” la voce snodi!

PENELOPE

Illustratevi, o cieli!Rinfioratevi, o prati! Aure, gioite!Gli augelletti cantando,i rivi mormorando or si rallegrino.Quell’erbe verdeggianti,quell’onde sussurranti or si consolino,già ch’è sorta felicedal cenere troian la mia fenice!

ULISSE, PENELOPE

Sospirato mio sole,ritrovata mia luce,porto, quiete e riposo!Bramato sì, ma caro:per te gli andati affannia benedir imparo.Non si rammentipiù de’ tormenti:tutto è piacer.Sì, vita, sì!Fuggan dai pettidogliosi affetti:tutto è goder.Sì, core, sì!Del piacer, del goder venuto è ‘l dì.Sì, vita, sì!Sì, core, sì!

CORO DI ITACENSI

(Monteverdi, VIII° Libro di madrigali)

Pugna spesso con l’uom fortuna e sorte:spesso ei vede il destin di sdegno armato,ma cede la fortuna e arride il fatose s’arma di virtù l’uom saggio e forte.

FINE DELL’OPERA