Monteverdi madrigali

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Monteverdi- Da P. Fabbri- Monteverdi L’esordio di M., in una Cremona ove gli ideali controriformistici erano attivamente propugnati, avvenne nel campo della musica sacra, ove il contrappunto fluente e imitativo esibisce la sicura acquisizione del giovane M. dello stile tradizionale. Il primo libro di madrigali a 5 v annovera solo testi madrigalistici lirici, con alcuni punti di tangenza con il mondo della canzonetta= inizio lieve a 3 voci , concluso da una cadenza ; procedere verso per verso , sottolinenando la musicalità delle rime baciate Nel secondo libro di madrigali a 5 v i testi narrativi aumentano nettamente a danno di quelli lirici; abbondante è il ricorso al Tasso madrigalista , con il suo lucido e acceso colorismo e i suoi intarsi di particolari naturalistici in primo piano , oppure sullo sfondo di situazioni morbidamente sensuali , di galanterie cortigiane , di quadretti erotici-mitologici. L’interesse di M. è quello di dar corpo sonoro a singole, colorite immagini, con un’adesione al madrigalismo descrittivo . Per es in Ecco mormorar l’onde, su testo di Tasso, Monteverdi illustra musicalmente il mormorar d’onde, tremar di fronde, spirar d’aure, cantar d’augelli , ecc.. Questo tono di diffusa levità e di immagini singole , lo stesso di Marenzio, si accompagna a simmetria costruttiva = la conclusione del madrigale , per es, ripresenta identici, dal suo inizio, schemi ritmici, o piccoli incisi, o materiali tematici. Quindi il secondo libro è dominato da uno stile eminentemente pittorico, descrittivo, animato dal gusto nitido e preciso dell’immagine. Il terzo libro di madrigali a 5 v . (1592) segna una decisa svolta verso lo stile patetico : essa investe tanto i testi lirici (la maggioranza, nei toni languorosi e appassionati di G.B.Guarini del Pastor Fido ) che quelli narrativi = che si concentrano e si articolano nei 2 cicli di testi dalla Gerusalemme Liberata ,di Tasso ovvero due sequenze di tre madrigali ciascuna , corrispondenti ad altrettante ottave del poema: 1) il pianto di Tancredi sul cadavere di Clorinda; 2) l’invettiva di Armida abbandonata da Rinaldo = 2 lamenti , appartenenti a un genere che, per il suo improvviso ed irrazionale trascolorare di sentimenti, costituì il prediletto banco di prova tanto per gli sviluppi del madrigale poetico tardo-cinquecentesco (d’ambiente mantovano- ferrarese: Wert, Luzzaschi, Gesualdo), che per le prime complesse sperimentazioni monodiche. Sono abbondantemente presenti in questi due lamenti gli stilemi del patetismo monteverdiano = accentuate tensioni armoniche; isolamento iniziale di una voce ; moduli declamatori ; stile esclamativo (= con frequente salto iniziale di sesta discendente )= sono caratteri tutti riconducibili al 1

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analisi dei libri di madrigali di Monteverdi

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Monteverdi- Da P. Fabbri- Monteverdi

L’esordio di M., in una Cremona ove gli ideali controriformistici erano attivamente propugnati, avvenne nel campo della musica sacra, ove il contrappunto fluente e imitativo esibisce la sicura acquisizione del giovane M. dello stile tradizionale. Il primo libro di madrigali a 5 v annovera solo testi madrigalistici lirici, con alcuni punti di tangenza con il mondo della canzonetta= inizio lieve a 3 voci, concluso da una cadenza ; procedere verso per verso , sottolinenando la musicalità delle rime baciateNel secondo libro di madrigali a 5 v i testi narrativi aumentano nettamente a danno di quelli lirici; abbondante è il ricorso al Tasso madrigalista, con il suo lucido e acceso colorismo e i suoi intarsi di particolari naturalistici in primo piano, oppure sullo sfondo di situazioni morbidamente sensuali, di galanterie cortigiane, di quadretti erotici-mitologici. L’interesse di M. è quello di dar corpo sonoro a singole, colorite immagini, con un’adesione al madrigalismo descrittivo . Per es in Ecco mormorar l’onde, su testo di Tasso, Monteverdi illustra musicalmente il mormorar d’onde, tremar di fronde, spirar d’aure, cantar d’augelli, ecc.. Questo tono di diffusa levità e di immagini singole, lo stesso di Marenzio, si accompagna a simmetria costruttiva= la conclusione del madrigale , per es, ripresenta identici, dal suo inizio, schemi ritmici, o piccoli incisi, o materiali tematici. Quindi il secondo libro è dominato da uno stile eminentemente pittorico, descrittivo, animato dal gusto nitido e preciso dell’immagine.

Il terzo libro di madrigali a 5 v. (1592) segna una decisa svolta verso lo stile patetico : essa investe tanto i testi lirici (la maggioranza, nei toni languorosi e appassionati di G.B.Guarini del Pastor Fido ) che quelli narrativi = che si concentrano e si articolano nei 2 cicli di testi dalla Gerusalemme Liberata ,di Tasso ovvero due sequenze di tre madrigali ciascuna, corrispondenti ad altrettante ottave del poema:1) il pianto di Tancredi sul cadavere di Clorinda; 2) l’invettiva di Armida

abbandonata da Rinaldo = 2 lamenti , appartenenti a un genere che, per il suo improvviso ed irrazionale trascolorare di sentimenti, costituì il prediletto banco di prova tanto per gli sviluppi del madrigale poetico tardo-cinquecentesco (d’ambiente mantovano-ferrarese: Wert, Luzzaschi, Gesualdo), che per le prime complesse sperimentazioni monodiche. Sono abbondantemente presenti in questi due lamenti gli stilemi del patetismo monteverdiano = accentuate tensioni armoniche; isolamento iniziale di una voce; moduli declamatori ; stile esclamativo (= con frequente salto iniziale di sesta discendente)= sono caratteri tutti riconducibili al mondo della “seconda pratica” che tende a esaltare, tramite la musica, le virtù espressive della poesia, non esitando in ciò a forzare regole e convenzioni di scuola , a incrinare obsoleti ideali di perfezione sonora: seconda pratica= “cioè che considera l’armonia (la musica) comandata e non comandante , e per signora dell’armonia pone l’oratione”, secondo lo slogan apparso nella Dichiaratione di Giulio Cesare Monteverdi (vedi approfondimento in seguito) tutte qualità poi destinate ad accentuarsi nelle raccolte successive. Stilema tipico del lamento= è costruito su un basso ostinato formato da un tetracordo discendente (la sol fa mi) , che veicola l’affetto lamentoso

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Il terzo libro rimanda esplicitamente all’ambiente mantovano e ferrarese, a partire dalle scelte poetiche, giocate prevalentemente su Tasso e Guarini. Monteverdi si inserisce nelle tendenze musicali che entro la fine del secolo avrebbero condotto da un lato alla violenza “espressionistica” di Gesualdo, dall’altro alle formulazioni monodiche dei fiorentini e dell’opera. In questo libro dominano situazioni patetiche, virtualità conflittuali, appassionata emotività, ardori e struggimenti amorosi che diventano oggetto di esperienza lancinante, causa l’impossibilità di trovare il proprio amore corrisposto. I testi musicali sono intessuti di interiezioni, fratture, interrogazioni senza risposta. In “partenze” (es Vattene pur crudel) e “lamenti”( Vivrò tra i miei tormenti) si rapprende la disposizione alla tensione emotiva, creando un clima poetico di acuto patetismo, che spinge Monteverdi a ricorrere a stilemi quali la sovrapposizione di soggetti differenti e le “durezze” armoniche” ( passi duriusculi), per cui l’impianto modale tradizionale è sottoposto a tensioni e torsioni , soprattutto per il ricorso ad appoggiature e ritardi. Si incontra l’uso di intervalli portatori di patetismo, quali la quarta diminuita e la sesta minore discendente . In questa raccolta molti brani hanno un inizio a solo : l’isolamento di una singola voce e il contemporaneo e ormai usuale smembramento della compagine vocale in più piccoli gruppi, sono tutti sintomi di una concezione del madrigale che ormai si è lasciata alle spalle l’ideale di compattezza sonora ed equilibrio tonale delle voci. Così accordi patetici come la quarta diminuita e la sesta minore spiccano ancora più nettamente perchè piantate su sillabazioni di una stessa nota ribattuta. In particolare è il Tasso della Gerulamme Liberata a porsi alla base di questa declamazione spezzata e discontinua

Nel quarto libro di madrigali a 5 v (1603) , declamatorio per eccellenza, ricco di quelle asprezze armoniche suscitatrici delle censure dell’Artusi (vedi approfondimento in seguito) , di un lirismo sempre più patetico e spesso ridotto a frantumazioni gesticolanti. In questo libro sono rappresentati Tasso e Guarini. Questo libro continua la svolta di acuta emotività iniziata nel terzo e la amplifica, fondandosi su situazioni poetiche ancora tese ed appassionate. Tutti i testi accumulano esperienze dolorose o quanto meno struggenti legate alle vicende d’amore, in una gradazione che va dai languori sensuali a quelli più estenuati, al patetismo che tocca il culmine in alcune laceranti separazioni. La raccolta si apre proprio con una “partenza”( Ah dolente partita). Qui ha parte notevolissima l’artificioso mondo delle figure retoriche per esprimere variazione, acutezza psicologica, ma Monteverdi ne fa un uso diverso : invece di perseguire una pedissequa trasposizione del testo, con equivalenza figura musicale= figura testuale, sembra voler puntare su procedimenti di analogia capaci di afferrare non la lettera ma l’essenza del discorso poetico (l'analogia è l'accostamento tra due o più parole sulla base della la loro somiglianza di significato).. Insomma, le ragioni della musica sono potenziate al massimo grado da quelle poetiche per valorizzare queste ultime (vedere il motto della “seconda prattica” “che l’oratione sia padrona dell’armonia e non serva”). In questo quarto libro, anche se resta all’interno di un impianto polifonico, M. fornisce diversi esempi di passi il cui ideale è quello cacciniano del “quasi in armonia favellare” unito a quella “certa nobile sprezzatura di canto”= = cioè M. radicalizza quella tendenza all’ omoritmia recitativa a note ribattute . Nella articolazione declamatoria del discorso musicale (es Sfogava con le stelle) consiste la novità prorompente dei madrigali monteverdiani a partire dal quarto libro. Per il momento M. integra questa cifra stilistica di una concezione compositiva nuova con tecniche più tradizionali: in Sfogava con le stelle si trovano, alternati a questa compatta omoritmia declamatoria, episodi in cui

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le voci si snodano sviluppando imitazioni, floridità descrittive, sovrapposizioni di soggetti. Poichè la sua poetica volge decisamente al patetico, come già nel terzo libro, M. si allontana sempre più dalle architetture equilibrate: la condotta delle parti disegna spesso curve melodiche e intervalli di ampiezza insolita (settime percorse in due salti successivi o in un balzo solo; o ascese di nona, undicesima) , una ornamentazione patetica (appoggiature, note sfuggite) . In alcuni brani le interiezioni tipiche dello stile patetico diventano addirittura il tema dominante (uso degli “accenti” della tecnica vocale). Ciò è in ossequio all’uso “moderno”, censurato da Artus di un “cantare affettuoso ” c he si manifesta- in M.- anche in dissonanze di passaggio e nelle “supposizioni”= appoggiature su passi come “ anima dura ” e “ durezza estrema”. In certe sezioni virtuisitiche degli ultimi brani emerge netta l’inclinazione a scrivere per due parti su una terza voce che funge da base armonica e che spesso si riduce a formulazioni elementari (funzionalità armonica del basso). E’ ormai consolidata anche la tendenza ad articolare le cinque voci in raggruppamenti minori che si alternano rimescolandosi e ricomponendosi nel corso della composizione. Monteverdi ormai non costruisce più il madrigale come una serie di episodi accostati in sommatoria, ma come una struttura orientata di senso e modellata secondo un percorso che si dispone per fasi consecutive, alternando tensioni e allentamenti= assetto formale di natura declamatoria,= drammatizzazione delle passioni , che individua personaggi veri e propri delineati contro uno sfondo descrittivo-narrativo.

La disputa sulla seconda prattica

Monteverdi fu coinvolto in una, lunga ed articolata polemica, iniziata dal canonico Padre Gio.Maria Artusi nel 1600, con la pubblicazione de L’Artusi, ovvero delle imperfettioni della musica moderna. L’Artusi si proponeva di dimostrare in questo dialogo i traviamenti di certe tendenze compositive moderne che contraddicevano in modo palese le regole tradizionali, Nel far ciò, riportava passi di madrigali (solo la musica, privata di parole), di un autore non nominato, per l’appunto Monteverdi, che significativamente viene preso ad esempio delle nuove deprecabili tendenze: sette citazioni sono tratte da Cruda Amarilli (edito nel Quinto libro) , una da Anima mia perdona ed un’altra da Che sè tu’l cor mio, stampato nel Quarto libro. Nel corso del dialogo è menzionato esplicitamente anche O Mirtillo, Mirtillo anima mia, del Quinto libro.

Scrive l’Artusi di questi madrigali: “era la tessitura non ingrata, sebbene introduce nuove regole, nuovi modi et nuova frase del dire: sono però aspri et all’udito poco piacevoli, né possono essere altrimenti perché mentre si trasgrediscono le buone regole, parte fondate nell’esperienza, madre di tutte le cose, parte speculate dalla natura et parte dalla demostratione demostrate, bisogna credere che siano cose deformi dalla natura e proprietà dell’armonia propria, et lontane dal fine del musico....” = Artusi censura anzitutto le dissonzanze (seconde e settime ), che si vengono a produrre tra il basso e le voci superiori, in quanto non debbono usarsi “così assolute et scoperte: è negativa non la dissonanza in sè, ma il suo uso improprio e contrario alle regole. La quinta diminuita, la quarta diminuita vengono censurate perché usate senza preparazione : Artusi, insomma, riafferma il principio del contrappunto di Zarlino della dissonanza come entità non autonoma, che deve necessariamente provenire da una consonanza e risolvere su una consonanza. L’uso delle alterazioni (“corde cromatiche mescolate a quelle diatoniche”), compromette anche

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l’impianto modale “ né occorre incominciare la cantilena del settimo modo, e dipoi fare che nel mezzo pigli forma del duodecimo o dell’ottavo, dandole il fine del settimo, essendo questo modo di comporre una impertinentia”Deroghe così biasimevoli dalle auree leggi fissate dalla tradizione e scolpite nelle “Istitutioni armoniche di Zarlino” sono giustificate dai “moderni” invocando le necessità espressive . Nella loro ricerca espressiva essi si avvalevano anche di tecniche

proprie dell’arte vocale, cioè la prassi esecutiva “affettuosa”, cioè il “cantar con grazia”: “accenti” , rapide “colorature”, “supposizioni”(= appoggiature ascendenti o discendenti), “rotture”(= note sfuggite) della frase= ornamentazioni estemporanee per sottolineare una parola, un concetto, un’interiezione, in coincidenza con espressioni patetiche. Artusi censura poi la declamazione recitativa.

Quindi, riassumendo, Artusi censura:- trattamento delle dissonanze- intervalli scorretti- uso delle alterazioni- incertezza modale- declamazione recitativa

Secondo Artusi da una parte sta lo stile naturale dei buoni compositori, dall’altra quello artificioso dei “moderni”.

Sul fronte opposto, le tecniche del comporre artificioso hanno per i “moderni” come fine giustificativo quello di aderire meglio all’espressione patetica: alla ricerca espressiva, per i moderni, era legittimo sacrificare eventualmente anche qualche regola consolidata. Il bersaglio polemico dell’Artusi era Monteverdi ma con lui, di fatto, anche il fronte ferrarese-mantovano dei De Rore, Wert, Marenzio= quelle tendenze patetiche servite da una sperimentazione musicale attenta ad esaltare i valori poetici più che le buone regole dell’artigianato compositivo. Questa tendenza espressiva è qualificata da un anonimo accademico,

l’Ottuso, difensore della musica “moderna” in polemica con L’Artusi, come “nova seconda pratica”. La risposta di Monteverdi era già abbozzata nella dedicatoria del Quinto libro, in cui scrive: “ ho scritta la risposta ....e ..uscirà in luce portando in fronte il nome di Seconda pratica, overo perfetione della moderna musica”, del che forse alcuni s’ammireranno non credendo che vi sia altra pratica che l’insegnata da Zarlino; ma siano sicuri che intorno alle consonanze e dissonanze ci è anche un’altra considerazione differente dalla determinata, la qual con quietanza della ragione e del senso difende il moderno comporre...”

Ma fu il fratello Giulio Cesare a porre in appendice agli Scherzi musicali del 1607 la Dichiaratione della lettera stampata nel Quinto libro de suoi madrigali . Giulio Cesare afferma che intenzione del fratello “è stata (in questo genere di musica) di far che l’oratione (= il testo poetico) sia

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padrona dell’armonia (=la musica) e non serva” “Se noi pigliamo la semplice armonia senza aggiungerle alcuna cosa, non avrà possanza alcuna di fare alcuno effetto estrinseco” “ L’ Artusi (afferma che) tutto il buono e il bello si stia nella osservatione esatta delle regole di prima pratica, li quali pongono l’armonia signora del oratione, come farà ben vedere mio fratello, il quale sapendo al sicuro la musica versar intorno alla perfetione della melodia, nel qual modo l’armonia considerata, di padrona diventa serva al oratione, e l’oratione padrona del armonia, al qual pensamento tende la seconda prattica ovvero l’uso moderno... (invece) prima prattica è quella che versa intorno alla perfezione dell’armonia, cioè che considera l’armonia non comandata ma comandante e non serva ma signora dell’oratione. “ Giulio Cesare dà un elenco di compositori di prima pratica: Ockeghem, Desprez, De la Rue, Mouton, Crequillon,Gombert, Willaert e, recentemente, Zarlino, con regole giudiciosissime. Invece i compositori di seconda prattica citati sono Rore, Marenzio, De Wert, Luzzaschi, Peri, Caccini. Conclude che “ il comporre moderno non osserva e non può osservare, in virtù del comando del oratione, le regole della prima pratica” in quanto i “seguaci del divin Cirpiano de Rore”, cioè i ferraresi, i mantovani e i toscani, sono impegnati nella ricerca – nei campi polifonici e/o monodici- di un nuovo stile espressivo.

Quinto libro di madrigali a 5 v (1605 ): è dedicato a Vincenzo Gonzaga . All’Artusi fa riferimento a chiare lettere nell’ Avvertimento agli “Studiosi lettori” stampato in appendice ( Artusi aveva citato passi da “Cruda Amarilli” e da “ O Mirtillo, Mirtillo anima mia” nel dialogo del 1600, da “Era l’anima mia” e da “Ma se con la pietà” nel successivo trattato del 1603). Rispetto al Quarto libro, gli atteggiamenti stilistici e le scelte letterarie non mutano: Guarini ne è l’indiscusso protagonista, anzi il libro ricorre a luoghi ed esperienze della tragicommedia Il Pastor fido attingendo da varie scene. Ben oltre metà della raccolta è dedicata ai casi dolorosi dei personaggi guariniani: il lamento di Mirtillo amante non corrisposto e il parallelo compianto di Amarilli che non può contraccambiarlo, i dolenti rimproveri di Dorinda a Silvio che non l’ama e quelli di Mirtillo ad Amarilli. Monteverdi ritaglia all’interno del Pastor fido per lo più passi di lirico patetismo, fermandone soprattutto i momenti di meditazione più appassionata. Però il suo interesse si estende al dialogo: l’allusione alla cornice scenica e narrativa diviene esplicita: si rappresenta effettivamente un nucleo drammatico in una lunga catena dialogica di madrigali. Per questa articolata, estesa scena, M. si affida a tutte le possibilità della declamazione recitativa a più voci, con una precisa cura per l’udibilità del testo teatrale, soprattutto intensificando la ricerca in direzione delle strutture retoricamente eloquenti iniziata nel Quarto. Alla recitazione polifonica si applicano procedimenti allo scopo di innalzare la temperatura emotiva- come iterazioni, dilatazione dello spessore sonoro. In ciò è fondamentale il linguaggio guariniano, ad alto tasso di retoricità= linguaggio poetico fatto di tutte quelle figure come anafore (= ripetizione, all’inizio del verso, della parola con cui ha inizio il verso principale: Non s’accorge il meschin che quivi è amore. Non si accorge che Amor lì dentro è armato); sinonimie (identità di significato fra due parole che però

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portano una diversa sfumatura di tonalità affettiva:” scuro e buio; ora e adesso; decisivo e cruciale); perifrasi (circonlocuzione imposta da motivi di chiarezza, convenienza, opportunità, talvolta da riserbo); antitesi ( due immagini consecutive cui viene dato rilievo facendo leva sulla loro contrapposizione: mangiare per vivere, non vivere per mangiare); ossimori ( accostamento, nella stessa locuzione, di parole che esprimono contenuti contrari: lucida pazzia, ghiaccio bollente, convergenze parallele). Tale linguaggio induce M. ad utilizzare un’intonazione prevalentemente declamatoria- quella contro cui si era scagliato Artusi- = M. assorbe quella “musicalità” letteraria, quel patetismo tutto oratorio entro le strutture della polifonia tradizionale. E’ soprattutto la declamazione omoritmica che insiste sul carattere oratorio del testo: per cui, quando M. vuole evidenziare particolari sottolineature, dall’impianto omoritmico emergono in rilievo passi imitativi. Si ricorderà come Artusi censurasse il “fare declamatorio”, la “mistione dei modi” , le irregolarità ritmiche: questi elementi costellano tutta la raccolta , derivando dalle pratiche estemporanee di ornamentazione espressiva. Quanto alla disposizione declamatoria, che Artusi censurava

sdegnosamente, essa viene realizzata largamente, nei passi estremamente recitativi , dalla “sprezzatura” ritmica= da frasi interrotte e spezzate, da iterazioni insistite e affannose= il risultato è una “recitazione” che aderisce con precisione e scioltezza alle interruzioni emotive del testo, con “gesti” verbali come le esclamazioni (rese per es con una sesta maggiore discendente) = Monteverdi utilizza qualsiasi risorsa tecnica per illuminare espressivamente il testo poetico.

Proprio questo non precludersi nessuna via gli fa adottare in tutti i madrigali del quinto libro un “ basso continuo per il clavicembalo, chitarrone o altro simile istromento, fatto particolarmente per li ultimi sei e per li altri a beneplacito ”= anche nel frontespizio ribadisce l’indispensabilità del basso continuo. Il continuo, detto così perché accompagnava senza interruzione le altre parti, è obbligatorio negli ultimi sei pezzi e ad libitum nei precedenti : questo perché nei madrigali finali l’organico delle 5 v. si riduce spesso ad una o due, necessitando di un supporto armonico. In ciò si può vedere la tendenza sempre più diffusa tra fine ‘500 e inizio ‘600, a combinare orizzontalità contrappuntistica ed imitativa con verticalismo accordale. .In più si noti come in Monteverdi il continuo diviene talvolta basso seguente= si limita al puro raddoppio della parte di volta in volta inferiore = in tutta la prima parte del libro il “continuo a beneplacito” è un basso “seguente”quando le voci sono tre o più ; invece, in presenza di 1 o 2 voci esso ha propri andamenti, complementari con le voci

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La prassi esecutiva comune del tempo era di affiancare gli strumenti alle voci per raddoppiarle ma anche per sostituirle. Le ricerche espressive degli ultimi decenni avevano fatto guardare alla pratica del cantare a solo accompagnandosi con uno strumento, finora limitata per lo più a moduli esecutivi estemporanei, oppure confinata in generi minori (es la villanella). Il volgersi verso una monodia ben profilata e caricata di valenze emotive aveva spinto a sviluppare la tecnica del basso d’accompagnamento, concepito però come altra voce di un insieme polifonico. Scriveva il trattatista Doni: “ A queste melodie d’una voce si suole aggiungere l’accompagnamento della parte strumentale, comunemente nel grave; la quale per continuarsi dal principio sino alla fine, si suole chiamare “basso continuo” e consiste per lo più in note lunghe, che con la voce cantante rinchiude le parti di mezzo; le quali…. si segnano con numeri come meno principali, non facendo altro che il ripieno.., si lasciano ad arbitrio del sonatore: non essendo solito che egli si diparta dalla comune ed ordinaria materia del sinfoneggiare”Monteverdi non fornisce la realizzazione in extenso del continuo.

Non rinuncia alla compagine delle 5 voci, ma isola entro di essa passi in cui le parti cantano a solo e in duo, avvalendosi abbondantemente anche di stilemi della vocalità solistica virtuosa: nei madrigali si pongono in relazione le sezioni nel nuovo stile madrigalistico a voce sola o in duo su basso continuo con quelle più tradizionali a 3 o più voci su basso

Il Quinto libro si pone come un punto fermo della carriera di Monteverdi madrigalista: l’adozione del basso continuo, rendendo possibile anche sezioni a 1 o 2 voci, gli permetteva soluzioni compositive di gran lunga assai varie, accentuando il distacco dal mondo unitario della scrittura a 5 voci e spingendolo sempre più verso la molteplicità stilistica.

Gli Scherzi musicali (1607) molto vari e lievi, utilizzano massicciamente le liriche miniaturizzate di Gabriello Chiabrera e testimoniano di privati intrattenimenti “da camera” : la metrica è assai regolare, come si conveniva a brani da cantare e sonare, e risultano inteessanti i ritornelli strumentali tra le strofe cantate, i trii per 2 vl. e basso = una formazione destinata a un grande avvenire nella civiltà musicale secentesca gli Scherzi musicali sono “tricinia” (trii vocali) strofici interrotti da ritornelli strumentali ugualmente a 3 voci: primo casi del genere a comparire in stampa. Sono raffinate e dilettosi ricreazioni cortigiane “da camera”.

Alla vita di corte rimandano le realizzazioni spettacolari del 1607= l’Orfeo e 1608= l’Arianna, a Mantova.

Orfeo : opera rappresentata a Mantova nel 1607 presso l’ Accademia degli Invaghiti. Il testo, di Alessandro Striggio, è strutturato secondo i canoni del teatro regolare cinquecentesco, cioè articolato nei tradizionali 5 atti , tipica di tutti i

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generi drammatici coevi (tragedia, commedia, tragicommedia pastorale). L’Orfeo di Striggio-Monteverdi può essere ascritto nel genere “boschereccio”, dato che l’aspetto di favola pastorale vi prevale sulle altre componenti. E questo in base a quella concezione che voleva l’irrealtà del “recitare cantando” praticabile soprattutto nei soggetti che portavano in scena i leggendari pastori d’Arcadia o affini, ed i personaggi mitici ed allegorici. Nell’Orfeo, secondo quanto si andava facendo da qualche anno a Roma e Firenze, generi musicali di varia provenienza sono riuniti e reinterpretati in funzione scenica e narrativa. Nel prologo e nell’atto I, per es, si incontrano nell’ordine:

- declamazione strofica,- imeneo corale,- balletto cantato e sonato, - madrigale a voce sola,- Recitativo: più neutre recitazioni intonate che tengono insieme il tutto

e che costituiscono il tessuto più propiamente narrativo. Il soggetto, pastorale e imperniato sul mitico cantore Orfeo, dava garanzie di verosimiglianza per canti più regolati e “chiusi” (=strofici) oppure per le esibizioni maggiormente virtuosistiche , come “Possente spirito”all’atto terzo, invocazione di Orfeo ad Apollo, variato stroficamente su basso analogo = lo stesso basso sorregge la stessa linea melodica che viene variata virtuosisticamente nelle varie strofe. L’occasione “accademica” della rappresentazione emerge visibilmente nell’alto tasso di letterarietà del testo, con rimandi a Petrarca e Guarini e perfino Dante, nei 2 atti “infernali”, nella colta mitologia pastorale, nei richiami solari (“Rosa del ciel”, invocazione al sole: l’emblema degli Invaghiti mostrava infatti un’aquila che fissava il sole ), nella funzione sentenziosa, classicamente, dei cori al termine di ogni atto.Quindi l’Orfeo, lungi dall’essere una continua serie di recitativi aperti, include un certo numero di pezzi che hanno uno svolgimento chiuso a se stante (cori di pastori e ninfe e arie di

Orfeo). Questi due regimi: recitativo e pezzi chiusi vengono adoperati per finalità drammaturgiche. La consapevolezza del contrasto musicale tra stroficità e periodicità, tra scioltezza e irregolarità, è segnalato anche nel testo del libretto che,

nelle battute della Messaggera, definisce “canto” le esibizioni dei pastori, riservando al suo intervento recitativo la generica qualità di “parole”, quasi di “parlar cantando”.

Cosa sia il “Recitativo” nella musica scenica ce lo spiega il teorico Doni: il recitativo era: “canto a voce sola; si usa nella narrazione e nei ragionamenti “ senz’affetto ”; si trattiene assai nelle medesime corde e fa poca diversità di aria; è ben fatto quando “si canta formatamente”, alla maniera di madrigali e viene presto in fastidio quando regna quello stile semplice, corrente, piano: è “ stile mezzano ” tra il recitativo e il modulare artificiosamente.”Ma nelle parti in stile recitativo non tutto si svolge al medesimo livello declamatorio, ma procede assai variamente,: innanzitutto ricorrendo anzitutto alla semplice declamazione a note ribattute( ribattendo precipitosamente la nota di declamazione ottiene un effetto di concitazione recitativa) fino a distendersi in un maggior lirismo. MA sempre lo stile recitativo monteverdiano ricerca il massimo della comunicazione

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espressiva, con cromatismi, scontri dissonanti, patetici salti discendenti di sesta e settima minori: tutte queste tecniche si addensano in particolare nel lamento di Orfeo, uno dei luoghi di maggior tensione della “favola”. In genere, poi, la linea del canto si sforza di riprodurre figure retoriche e andamenti oratori del testo.

Quanto all’orchestrazione, Monteverdi indica, insieme con i “personaggi, anche la serie di “Stromenti” da impiegarsi . La partitura monteverdiana prevede un’orchestra formata almeno da

due clavicembali, due viole contrabbasse, dieci viole da braccio, un’arpa doppia, due violini piccoli alla francese due violini ordinari da braccio, tre chitarroni, ceteroni, due organi di legno, tre viole da gamba basse, cinque tromboni, alcuni regali, due cornetti, due flauti piccoli, quattro trombe di cui una chiarina e tre sordine

Anche la timbrica risponde a criteri espressivi: la Messaggera canta, per es, su di un “organo di legno e un chitarrone”, organico che poi utilizzeranno anche Orfeo e due pastori; Caronte invece si caratterizza cantando “al suono del regale”(il regale era un piccolo organetto con un solo registro ad ancia battente, privo di risuonatori (o con risuonatori corti), usato fra i secoli XV e XVII; era ripiegabile dopo l' uso). ;

- negli atti infernali sono usati strumenti gravi e scuri , e particolarmente tromboni: i cori infernali sono madrigali a 5 voci e basso continuo seguente, caratterizzati da una certa “gravitas” nelle figurazioni ritmiche e melodiche, utilizzanti solo voci gravi (2 bassi, 1 tenore e 2 alti ), accompagnate da strumenti dalla tessitura profonda e dal timbro scuro: il regale, organo di legno, tromboni, bassi da gamba, contrabbasso de viola.

- Invece i canti dei pastori sono accompaganti da “violini ordinari da braccio”, “basso de viola da braccio, un clavicembalo e duoi chitarroni , duoi flautini= timbrica scelta per analogia con la pastoralità

La conclusione dell’Orfeo, è diversa nel libretto e nella partitura. Il testo letterario stampato in concomitanza con la ‘prima’ faceva terminare l’opera con un’irruzione delle baccanti, che si abbandonavano a celebrazioni dionisiache prima di volgersi all’inseguimento di Orfeo, per punirlo con la morte delle sue affermazioni misogine. Nella partitura, ritornato sulla terra, Orfeo piange la sua sorte e si propone di non più innamorarsi (“Questi i campi di Tracia, e quest’è il loco”). Dal cielo scende suo padre Apollo, cercando di consolarlo e portandolo con sé in cielo (“Saliam cantando al cielo”): il coro se ne rallegra, sottolineando come il dolore sulla terra sia ripagato in cielo (“Vanne, Orfeo, felice appieno”).

La disparità di queste due conclusioni (finale dionisiaco del libretto, finale apollineo della partitura) potrebbe imputarsi all’angustia della sala in cui la prima rappresentazione avvenne, e all’impossibilità di impiegarvi dispositivi di macchine

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sceniche complesse. Essa potrebbe però riflettere anche una duplice soluzione prospettata per due diverse udienze: quella dionisiaca, più sofisticata dal punto di vista culturale, pensata per la ‘prima’ davanti ai soli accademici; quella apollinea, più spettacolare e moraleggiante in senso pensata come rimpiazzo per la replica una settimana dopo davanti a un pubblico meno selezionato.

L’ Arianna è molto più grecizzante: il libretto la definisce “tragedia”. Il Rinuccini, autore del libretto, prolungava esperienze ed ideali fiorentini, ma la sua asciuttezza spettacolare fu causa di un intervento della stessa duchessa di Mantova, che la considerava per questo poco significativa per un’occasione importante. L’ Arianna dovette così essere rimpolpata di apparizioni e “macchine”, e suggellata da un lieto fine con relativo trionfo scenografico. Di tutta la partitura oggi non conosciamo che il lamento “Lasciatemi morire”, da M. stesso definito “la più essenzial parte dell’opera” ed anche l’unica che venne pubblicata. La vicenda narra di Teseo e Arianna che, provenendo da Creta, dove Teseo ha ucciso il minotauro, sbarca su una spiaggia desolata. Teseo, per ragioni di opportunità politica, nella notte riparte per Atene, abbandonando Arianna. La donna, disperata, vorrebbe uccidersi, ma Bacco arriva a Creta, se ne invaghisce e si celebrano le nozze tra i due(Lieto fine). Non diviso in atti, il testo può virtualmente scomporsi in 8 scene, che terminano tutte classicamente con un coro. Nel prologo vengono riprese le giustificazioni ideologiche del nuovo genere col rifiuto della poetica epico-tragica “ non udrai risuonar corde guerriere ” e l’assunzione del tema d’amore e della categoria del patetico – la cui quintessenza è il lamento di Arianna.- come suoi ingredienti essenziali attraverso i quali poteva rinascere il mitico teatro greco. Quanto alla definizione di “tragedia”, il diritto di chiamarsi tale le viene dalla nascita regale e dai moventi politici dei suoi personaggi. Vi si intrecciano non, come nella commedia o nella pastorale, casi personali di personaggi privati, ma azioni di personaggi pubblici, nelle quali sono coinvolte la vita e la serenità di uno stato e dei suoi cittadini . L’istanza tragica deve aver fatto immaginare a Rinuccini un’azione piuttosto spoglia, poco incline agli allettamenti soprattutto scenografici. Rispetto ai precedenti esempi di teatro per musica, l’Arianna presenta alcune varianti degne di nota: -non vi appare l’ambientazione pastorale, ma il suo posto è tenuto dal mondo piscatorio ad esso interamente equivalente; la vera novità è data da due livelli sensibilmente diversi nel complesso dei personaggi: da una parte gli umili pescatori, dall’altra Arianna, Teseo e la sua corte, ed ugualmente opposti si fronteggiano i temi di cui trattano questi di mondi: da una parte i dialoghi “alteri” della coppia reale, le attività militari, i nobili richiami del Consigliere a Teseo e la relativa disputa sulla necessità- per chi ha su di sé regali responsabilità di governo- di sacrificare amori e piacere ad onore e dovere; dall’altra le umili occupazioni piscatorie, le ricreazioni canore, l’assenza di quelle preoccupazioni che non concedono tregua agli uomini pubblici. Monteverdi fu contagiato da questo clima classicheggiante , con il ricorso ad un procedimento compositivo omogeneo, mirante ad una compatta e coerente espressione affettiva resa possibile dal monotematismo del soggetto. In particolare il lamento di Arianna gli dà occasione per un’importante dichiarazione di poetica contenuta in una sua

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lettera del 1616= in cui giudicava poco rappresentabile La favola di Peleo e Tetide: “ “ La favola tutta (Peleo e Teti) ..non sento che punto (=affatto) mi mova, et con difficoltà anche la intendo, né sento che porta con ordine naturale ad un fin che mi mova; l’Arianna mi porta ad un giusto lamento; et l’Orfeo ad una giusta preghiera... Ho visto li interlocutori essere Venti, Amoretti er Zefiretti et Sirene......et s’aggiunge che li i venti hanno a cantare, cioè li Zeffiri et li Boreali; come caro Signore potrò io imittare il parlar dei venti se non parlano! Et come potrò io con il mezzo loro movere gli affetti? Mosse l’Arianna per essere donna, et mosse parimenti Orfeo per esser uomo et non vento! ” Tale capacità di commuovere ottenuta per mezzo del canto a solo in scena era considerata come raggiungimento degno della mitica musica antica. L’eccitazione dolorosa di tale monodia è anzitutto nelle alterazioni cromatiche, nelle dissonanze tra voce e basso continuo e negli intervalli abnormi, carichi di virtù patetiche: in “Lasciatemi morire” la quinta diminuita all’inizio, poi la sesta maggiore, la settima minore. Le esigenze di comunicazione teatrale generano uno stile spesso declamatorio-=a note ribattute, diversi livelli di intonazione, note di volta, limitate escursioni intervallari- ed in generale oratorio = ricalcato sulla retorica testuale= attento a riprodurre gli andamenti retorici di cui abbonda il testo

Il Lamento rappresenta uno dei più alti esempi di declamato arioso monteverdiano. Il recitar cantando , cioè la parola intonata sul ritmo asimmetrico dell’accentuazione sillabica , teorizzato nell’ambito della Camerata fiorentina (di cui lo stesso Rinuccini faceva parte, insieme a musicisti come Vincenzo Galilei, Jacopo Peri, Giulio Caccini), perde con Monteverdi la rigidità dell’esercizio accademico per calarsi nel profondo della psicologia del personaggio. Arianna dà voce a un lungo monologo, in cui si intrecciano i sentimenti più contrastanti: lo scoramento («Lasciatemi morire»), l’inquietudine («O Teseo, o Teseo mio, se tu sapessi oh Dio, se tu sapessi ohimè come s’affanna la povera Arianna»), la solitudine («Et io più non vedrovvi o Madre, o Padre mio»), la fedeltà tradita («Dove, dov’è la fede che tanto mi giuravi?»), la collera («O nembi, o turbi, o venti, sommergetelo voi dentro a quell’onde!») ma, soprattutto, l’amore struggente e la passione non ancora sopita. La linea melodica tende ad allontanarsi dalla monotonia della corda di recita, il ritmo del testo è reso ancora più asimmetrico e articolato da spostamenti dell’accentuazione, da significative pause e da contrastanti figurazioni, lente o veloci; le tensioni armoniche e l’urto delle dissonanze: sono questi solo alcuni dei mezzi che il compositore adotta per dare rilievo, attraverso la musica, alla connotazione espressiva della parola, al gesto drammatico. La vocalità del Lamento non è caratterizzata dalla bellezza del canto, ma dall’espressività della recitazione, secondo un concetto di verità e di aderenza al personaggio («il moderno Compositore fabrica sopra li fondamenti della verità»: prefazione al Quinto libro de’ madrigali, 1605). L’espressività toccante di questa pagina suscitò viva impressione negli ascoltatori fin dalla sua prima esecuzione, e fornì il modello per il sentimento del dolore e dell’abbandono che, nel corso del XVII secolo, si cristallizzò spesso nella forma del ‘lamento’: un

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brano chiuso costruito a volte sul basso ostinato di un tetracordo discendente.

. Il lamento tendeva a divenire luogo espressivo privilegiato e topico e il lamento di Arianna troverà ampio favore e diffusione manoscritta, venendo stampato solo nel 1623. Su di esso M. tornò più volte, dandone una versione polifonica a 5 voci nel Sesto libro , 1614 e una versione monodica con testo sacro in latino nella “Selva morale e spirituale ”, 1641, Pianto della Madonna sopra il Lamento di Arianna, contrafactum monodico con testo sacro latino.

Ancor più legati all’ambiente cortigiano il Ballo delle Ingrate, 1608, galante ammonimento erotico alle dame mantovane sotto specie di balletto mitologico con apparati scenici, con le parti narrative interamente cantate: in esso confluirono probabilmente abitudini spettacolari francesi tramite Rinuccini, autore del testo, che a Parigi era stato frequentemente dopo il 1600, ma non va dimenticata la tradizione coreografica delle corti italiane, con realizzazioni articolate e complesse. Quanto alla musica, il Ballo ricorre ad uno stile recitativo aperto, privo di regolarità o periodicità nelle scene dialogate, che utilizzano il libero succedersi di endecasillabi e settenari. Questo flusso continuo è interrotto da una serie di elementi chiusi: duetti, balli, arie (VERRA’ INSERITO NELL’OTTAVO LIBRO DI MADRIGALI)

La raccolta sacra del 1610 contiene una Missa da capella per la SS Vergine, a 6 voci e in stile antico + i relativi Vespri concertati a voci e strumenti , in cui appaiono anche le più varie e “moderne” combinazioni, quasi una rassegna delle nuove tendenze nella musica sacra primo-secentesca = tecniche concertanti, interventi strumentali, mottetti a 1 o 2 o 3 voci, alternanze soli-tutti , policoralità. Tale raccolta riflette da una lato una pratica musicale liturgica cui M. aveva dovuto forse provvedere occasionalmente per la corte mantovana, dall’altro una volontà di esibire l’assoluta padronanza delle tecniche contrappuntistiche più elaborate, come si conveniva al genere sacro.

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Ultimi decenni- 1610-1613: licenziamento dalla corte di Vincenzo I Gonzaga di Mantova e trasferimento a Venezia

La Selva morale e spirituale del 1614 rappresenta la produzione sacra del M. veneziano , connessa al suo servizio in S.Marco e nelle altre chiese e confraternite cittadine. Contiene :- madrigali spirituali a 5 voci, concertati con 2 vl. oppure su basso continuo (seguente) ; - - canzonette morali a 3 voci con o senza 2 vl . (utiliizati però nei ritornelli) ;- una messa a 4 v. a cappella ma con alcune sezioni in stile concertato;- un Gloria solenne concertato;

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- salmi del chorus maschile;- inni ; mottetti mariani; - un Magnificat a cappella - un Magnificat concertato. Monteverdi, insomma, utilizzò tutti gli stili in uso nella musica sacra del primo Seicento: nella Selva si hanno, così: brani a cappella in stile antico (Messa e secondo Magnificat); qualche brano a cori spezzati, nella tradizione veneziana ; pezzi per solennità scritti in stile concertante (con voci+ strumenti, ai quali sono destinate parti autonome, e non solo di raddoppio delle voci) in cui si accentua l’alternanza tra voci di concerto e di ripieno (soli e tutti) ; alle voci di ripieno vengono assegnati brevi interventi per lo più semplificati ed omoritmici; alle voci di concerto passi più estesi e spesso virtuosistici (Gloria, Dixit, ecc) . Oltre a ciò, sempre secondo il gusto moderno, nella Selva appaiono inni strofici con ritornelli strumentali; mottetti a 1,2, 3 voci, tra cui uno in eco (il primo Salve Regina) e uno in dialogo; sopra bassi di regolata continuità ritmica o piuttosto liberi e a sezioni mutevoli , fino ad arrivare alla scioltezza declamatorie e recitativa del Pianto della Madonna= versione contrafactum(= travestimento spirituale) del Lamento di Arianna

La produzione profana degli anni veneziani offre anche concrete testimoniane musicali degli impegni intrattenuti da M. al di fuori di Venezia.

Anche il Sesto libro dei madrigali a 5 voci (1614 ) risale agli anni mantovani. Contiene 2 cicli:

1) il Lamento d’Arianna in versione polifonica a 5 voci 2) la Sestina in memoria della cantante Martinelli ”Incenerite

spoglie”.

Per comprendere cosa si intenda per ciclo si riporta la “Tavola delli madrigali”, ovvero l’indice, del sesto libro

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Nel Sesto libro tutti i madrigali recano il “Basso continuo per poterli concertare nel clavicembalo et altri strumenti”, secondo quanto già realizzato nel Quinto.Il volume si articola in due sezioni analoghe ciascuna delle quali:

1) si apre con un ciclo polifonico( = un lamento) + un madrigale su testo del Petrarca dotati di basso continuo seguente, ma non

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definiti esplicitamente “concertati” ma che utilizzano costantemente la compagine a 5 voci

nella prima sezione il Lamento di Arianna + il madrigale “Zefiro torna”

nella seconda sezione la “Sestina.Lagrime d’amante” + il madrigale “Ohimé il bel viso”.

2) In entrambe le sezioni ai cicli polifonici+ madrigale petrarchesco di apertura seguono madrigali spesso dialogici qualificati invece esplicitamente come “concertati” nel clavicembalo e che presentano passi anche estesi ad 1, 2, 3 voci , bisognosi quindi del sostegno armonico offerto dal continuo- che, invece, con un numero maggiore di parti diviene solo seguente (proprio come accadeva nel quinto libro).

Presenti nella raccolta sono anche numerosi testi di G.B Marino, che Monteverdi aveva scoperto da qualche anno., fra i quali la “partenza” “A Dio, Florida bella”, concertato nel clavicembalo= congedo di due amanti.

Le battute di congedo degli amanti sono sempre affidate a un tenore solo e al soprano= interventi monodici dal carattere arioso;

invece le 5 voci tutte insieme intervengono a costituire la cornice narrativa e danno voce polifonica ad un narratore che supplisce alla mancanze delle determinazioni visive proprie di un’ipotetica realizzazione spettacolare. ù

E’, questo, un tipo di teatro ideale e allusivo: come diceva il Vecchi a proposito del suo “Amfiparnaso”: “ si mira con la mente/ dov’entra per li orecchi e non per gli occhi”Quindi:

il sesto libro ha i suoi punti di forza in grandi cicli patetici, seguiti da composizioni singole del medesimo tenore o comunque languorose, però d’intensità sentimentale decrescente.

La loro scrittura polifonica si avvale di un ordito fondamentalmente declamatorio.

Di nuovo c’è la molteplicità di tecniche utilizzate,

obbedienti a 2 criteri fondamentali: 1) invece delle 5 voci canoniche, aggregazioni varie da 1 a 5 v. sul continuo; 2) al posto della sola alternativa tra imitazione e omoritmia, diverse possibilità combinatorie di polifonia in organico completo o a ranghi ridotti, con l’impiego degli stili di canto a voce sola . Si afferma così uno stile madrigalistico “moderno”, in quanto rinnovante profondamente il canone madrigalistico .

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In questo libro inizia l’interesse per i testi di Gian Battista Marino , che continuerà nel Settimo.

Il “Concerto. Settimo libro di madrigali . (1619).

Il contenuto è costituito da “ madrigali a 1, 2, 3, 4 e 6 voci, con altri generi de canti”= vi è radunata un’eterogenea mescolanza di madrigali e di pezzi non riconducibili a questa categoria, secondo una voga adottata frequentemente da autori e editori di musiche a voci sole, a partire dal prototipo di tale repertorio, cioè “Le nuove musiche” di Caccini del 1602. Annovera:

madrigali concertati sul basso continuo - e talvolta anche con strumenti di tessitura acuta- specialmente a 2 voci, poi a 1, a 4, a 6: ma neppure uno a 5 voci.

Gli “altri genere de canti” sono -arie, - canzonette, brani in stile rappresentativo = “ in genere

rappresentativo= da cantarsi sottolineando col gesto gli affetti : 1) Lettera amorosa: Se i languidi miei sguardi 2) Partenza amorosa “Se pur destina e vole il cielo

un balletto (il ballo Tirsi e Clori) .

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IL Settimo libro registra una pluralità di atteggiamenti: descrittivismo vocalmente florido, antichi stilemi del madrigale patetico (cromatismi, ripetizioni intensificate, stile esclamativo e declamatorio); leggiadria

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pastorale; intensità retorica e sentimentale delle declamazioni monodiche ( le 2 lettere amorose)Ciò si ripercuote sulle strutture musicali, che oscillano tra brani costruiti saldamente ad altri meno rigidi ma sempre tendenti a regolarità, fino a quelli che ripropongono madrigalesche libertà di articolazione (forma aperta). E’ emergente, con forza strutturale, secondo attitudini tipiche del primo Seicento, la funzione del basso continuo : su di un continuo identico (come nella romanesca Ohimé dov’è il mio ben) prolificano melodie diverse= variazione strofiche su un medesimo basso .

Nel libro sono contenute due “lettere amorose” , per le quali Monteverdi prescrive un’esecuzione “a voce sola in genere rappresentativo e si canta senza battuta”. “Rappresentativo ” era un attributo che si legava alle esperienze del canto a voce sola e delle esecuzioni altamente espressive . Musica rappresentativa, qui, significa “regolata dalla naturale espressione della voce umana nel movere gli affetti, influendo con soavissima maniera negli affetti”. “

Il Doni nel suo trattato mostra le differenze tra lo stile recitativo , lo stile espressivo e lo stile rappresentativo:

A) Stile recitativo = quella sorta di melodia che può cantarsi a una voce sola, in modo che le parole si intendano; al suono di un qualche strumento , con poco allungamento delle note (senza sprezzatura cacciniana) , in modo tale che si avvicini al parlare comune, ma affettuoso; ci si ammettono ripetizioni ma più parcamente e con decoro che nello stile dei madrigali e dei mottetti, per la cura dovuta del sentimento delle parole e della connessione dei versi

B) Stile espressivo = quello che meglio esprime il senso delle parole e gli affetti umani, e quindi ha una qualità e particolare perfezione di canto

C) Stile rappresentativo = quella sorte di melodia veramente proporzionata alla scena, cioè per ogni sorta di azione drammatica che si voglia rappresentare (= imitare) che è quasi lo stesso che l’odierno stile recitativo ma non del tutto il medesimo. Mi piace chiamare questo stile accomodato alle scene rappresentativo o scenico, più che non “recitativo” , perchè gli attori “rappresentano imitando” le azioni e i costumi umani= da cantarsi sottolineando con i gesti l’affetto

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Ma, comunemente, il canto espressivo a 1 voce sola su basso continuo era detto indistintamente recitativo o rappresentativo: erano considerati comunemente sinonimi.

Quindi: nel Settimo libro il titolo di “Concerto” è giustificato da: A) impiego della concertazione sul continuo B) B) dal suo programmato carattere di “mescolanza”: è

un insieme di entità eterogenee. Questo è conforme alla moda affermatasi da fine ‘500 e dilagante, con la diversificazione di stili e generi.

Monteverdi combina stilemi monodici e pratiche polifoniche

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“Il combattimento di Tancredi e Clorinda”- 1624 –

Nel carnevale 1624 una composizione “in genere rappresentativo” veniva eseguita a Palazzo Moncenigo- Fu stampata più tardi nel libro ottavo dei madrigali, compreso “tra gli opuscoli in genere rappresentativo che saranno per brevi episodi tra i canti senza gesto ” di cui parla il frontespizio , preceduto da istruzioni che riflettono la “prima” del 1624:

“ Combattimento in musica di Tancredi e Clorinda, descritto dal Tasso, il quale volendosi essere fatto in genere rappresentativo, si farà entrare alla sprovvista (dopo cantatosi alcuni madrigali senza gesto) dalla parte de la camera...Clorinda, a piedi armata, seguita da Tancredi armato sopra a un cavallo..et il Testo all’ora comincerà il canto. Faranno gli passi et gesti nel modo che l’orazione esprime , et nulla di più né meno, osservando questi diligentemente gli tempi, colpi et passi, et gli istrumentisti gli suoni incitati et molli, et il Testo le parole a tempo pronunciate: in maniera che le creationi vengano ad incontrarsi in una imitatione unita: (......)Gli istrumenti e cioè 4 viole da brazzo (soprano, alto , tenore et basso) et contrabbasso da gamba, che continuerà (= eseguirà il b.c) con il clavicembalo , dovranno esser tocchi ad imitazione delle passioni dell’oratione . La voce del Testo dovrà essere chiara, ferma et di buona pronuntia .. ...atiò meglio sia intesa nell’oratione...non dovrà far gorghe né trilli....porterà le pronuntie a similitudine delle passioni dell’oratione.”

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La situazione e la base letteraria sono fornite dalla Gerusalemme Liberata del Tasso, con modifiche e deliberata contaminazione con la Gerusalemme Conquistata. Monteverdi stesso precisa il motivo della scelta: “diedi di piglio al divin Tasso, come poeta che esprime con ogni proprietà e naturalezza con la sua oratione quelle passioni che vuol descrivere .. Ritrovai la descrittione del combattimento di Tancredi e Clorinda , per aver io le due passioni contrarie da mettere in canto, guerra cioè, preghiera e morte”.

Il Combattimento è anche “gesto”, come chiarito inequivocabilmente dalle sue caratteristiche musicali= le abitudini descrittive del mondo madrigalesco sono spinte risolutamente in direzione gestuale , sottintendendo ed anzi richiedendo esplicitamente la realizzazione mimica. Da circa un quindicennio avevano cominciato ad apparire nelle stampe composizioni da camera fondate su canto a voce sola espressivo e atteggiato, definito “recitativo”. Lo stesso Monteverdi ne aveva dato saggio con le due “lettere amorose” incluse nel Settimo Libro.

Rispetto a questi precedenti, che erano monologhi lirici, il Combattimento si differenzia 1) per la sua natura narrativa e fortemente drammatica , che contempera momenti espositivi, dialogici, d’azione, epici, meditativi e lirici 2) e perché si avvale di più di una voce-personaggio . Tra esse anche quella del Testo, un narratore che collega le non frequenti battute di Tancredi e Clorinda e quindi ha un ruolo preponderante. Frammento di un testo letterario non a destinazione scenica, il Combattimento ha i caratteri di una teatralità allusiva da camera , che intreccia protagonisti immersi nella vicenda (Tancredi e Clorinda) e osservatori ad essa esterni (il Testo)= dialogo diretto e azione mediata, dramma vissuto in prima persona e racconto visualizzato.Inoltre M. impiega per la prima volta strumenti acuti (il corpo delle viole da braccio) che concertano con le voci.

Scriverà Monteverdi nella prefazione del Libro Ottavo: “ et sapendo che gli contrarii sono quelli che muovono grandemente l’animo nostro, fine del movere che deve avere la musica...mi posi con non poco studio e fatica per ritrovarlo, et considerato nel che è tempo pirricchio tempo veloce, nel quale tutti gli migliori filosofi affermano in questo essere

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stato usato le saltazioni belliche, concitate, et nel tempo spondeo tempo tardo le contrarie, cominciai dunque la semibreve a cogitare: 1) la qual percossa una volta dal sono, proposi che fosse un tempo di tempo spondeo,2) la quale poscia ridotta in 16 semicrome, et ripercosse ad una ad una, con agionzione di oratione contenente ira et sdegno, udii in questo poco esempio la similitudine del affetto che ricercavo, benchè l’oratione non seguitasse co’ piedi la velocità del istromento” Lo stato di “ guerra ” è reso da un accumulare di immagini di evidenza sonora eloquente, ai limiti di uno strepitoso clangore: incisi ritmici incalzanti, Hoquetus agitati, soggetti marziali a fanfara, eccitazione delle parti strumentali, note ribattute anche nella scrittura vocale. Inoltre Monteverdi, per rappresentare questa lotta selvaggia, cerca sonorità di sapore quasi rumoristico, come l’uso del pizzicato (“qui si strappano le corde con duoi diti”) : è il primo esempio noto di questo effetto strumentale almeno in area italiana.

Stile concitato= note velocemente ribattute da voci e strumenti unite a sillabazione frenetica e con fitte ripetizioni interne di un testo “contenente ira e sdegno”.Nei passi di guerra bisogna suddividere in sedicesimi le semibrevi “per quelli a quali toccava sonare il basso continuo = tampellar sopra ad una corda sedeci volte in una battuta ....”

A questi passi di “guerra”, M. contrappone passi di “preghiera et morte”= la parole di Clorinda fino al commiato mortale “ S’apre il ciel: io vado in pace” sono circonfuse della sonorità delle viole che l’accompagnano con coppie di note lunghe eseguite legate in “arcata sola f.p.”

Il Libro ottavo “Madrigali guerrieri et amorosi”, 1638 , preceduto da una sinfonia strumentale , spartisce a dittico i propri madrigali in “guerrieri” e “amorosi”, stabilendo puntuali corrispondenze tra le due sezioni, ciascuna delle quali :

si apre con sonetti programmatici prosegue con brani a 2, 3 e più voci per concludersi con 2 composizioni in genere

rappresentativo ,= Combattimento di Tancredi e Clorinda e Ballo delle Ingrate .

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L’Ottavo Libro è introdotto da una premessa dell’autore:

“ Avendo io considerato le nostre passioni od affettioni del animo essere tre le

principali, cioè ira, temperanza, umiltà o supplicatione...anzi

la natura stessa de la voce nostra in ritrovarsi alta, bassa et mezzana

et, come l’arte musica lo notifica chiaramente in questi tre termini di “ concitato, “molle “et “temperato ”

né avendo in tutte le composizioni de passati compositori potuto ritrovare esempio del concitato genere , ma ben sì del molle et temperato; ...perciò mi posi con non poco studio et fatica per ritrovarlo......(vedi sopra per descrizione genere concitato nel Combattimento” .....Mi è parso bene perciò il far sapere che da me è nata l’investigazione et la prova di tal genere, tanto necessario al arte musica, senza il quale è stata sino ad ora imperfetta, non avendo hauto che gli duoi generi, molle et temperato. Poichè al principio a quelli che dovevano sonar il basso continuo il dover tampellar sopra una corda sedeci volte in una battuta pareva far cosa da riso....perciò riducevamo ad una percossa sola durante una batuta tal multeplicità, et in guisa di far udire il pirrichhio piede facevano udire il spondeo, et levavano la similitudine al oratione concitata. Perciò avviso dovere essere sonato il basso continuo con gli suoi accompagnamenti nel modo et forma in tal genere scritto, ..perchè le maniere di sonare devono essere di tre sorti, oratoria, armonica e ritmica.

La ritrovata da me del qual genere “guerra” mi ha dato occasione di scrivere alcuni madrigigali da me intitolati “guerrieri ” Et perchè la musica de’principi viene adoperata nelle loro regie camere in tre modi: da teatro, da camera, da ballo, perciò nella presenta opera ho accennati gli detti tre generi con la intitulatione guerriera, amorosa ed rapresentativa ”.

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Quindi definisce qui il nuovo “concitato genere” , teorizzandolo dopo averlo impiegato con successo nel Combattimeno del 1624 a Palazzo Mocenigo.

E’ proprio il Combattimento a riassumere le tendenze drammatiche di M. nel dipingere appunto affetti contrastanti, nel creare un vocabolario vocale e strumentale di “motti” e mimetismi che evidenziano gesti e azioni (i quali quindi possono essere tranquillamente sottintesi, evitando l’esplicita realizzazione scenica).

Analoga rappresentazione degli affetti è contenuta, nella sezione dei Madrigali Amorosi, in Non avea Febo ancor, o lamento della Ninfa , "Le tre parti, che cantano fuori del pianto della Ninfa, si cantano al tempo della mano; il pianto di essa va cantato a tempo dell'affetto del animo, e non a quello della mano".

= inizia con declamazioni recitative di 2 tenori e basso che creano lo sfondo narrativo al canto che dà voce al lamento della ninfa, che procede con sprezzatura espressiva = “va cantato a tempo dell’affetto del animo, e non a quello della mano ” su un rigido basso ostinato di ciaccona (tetracordo discendente in modo frigio t-t-st) . Gli altri brani: “concertoni” a più voci e strum., madrigali a 1,2,3 v., arie, canzonette, dimostrano tutti la grande libertà dei confronti dei testi letterari e la capacità di creare organismi musicali di struttura assai variata a rinnovata. Rispetto alla relativa omogeneità del mondo madrigalesco di M. degli anni mantovani, questa proliferazione e reinvenzione delle strutture musicali riflette la frantumazione cui nel primo 600 fu sottoposta la tradizione letteraria e la conseguente molteplicità di temi, schemi metrici, situazioni poetiche.

TEATRO

I rapporti tra M. e il teatro risultano lacunosi: ben poco ci è giunto di quanto scritto per la scena negli anni veneziani. Entro tale scarsità il posto maggiore è tenuto dai 2 drammi per musica Il ritorno di Ulisse in patria (carnevale 1640) e L’incoronazione di Poppea (carnevale 1643)., entrambi scritti per i teatri pubblici veneziani. Il ritorno di Ulisse in patria ebbe il libretto approntato dal nobile Giacomo Badoaro, limitandosi a dare disposizione scenica e drammatica ad avventure narrate negli ultimi canti dell’Odissea: opera narrativa e d’azione a soggetto mitico-letterario, essa faceva agire in carne ed ossa popolarissimi personaggi epici in altrettanto note e godibili vicende (precedute da un prologo moraleggiante) . A M. essa offriva un ventaglio assai vario di personaggi e situazioni; Ulisse, eroe d’azione destinato al successo; Penelope, eroina di malinconica rassegnazione; la coppia giovane Eurimaco- Melanto, tutta risolta in un presente di erotici godimenti, la Nutrice saggia, i Proci ambiziosi. Per

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Page 25: Monteverdi madrigali

tali caratteri M. ricerca di volta in volta l’intonazione musicale appropriata: ad es gli stilemi del lamento per Penelope, il tono di “scherzo” per le effusioni amorose , la vocalità caricaturale per la parte comica di Iro. Nel realizzare ciò, M. si affida a uno stile recitativo e rappresentativo che ingloba tanto la declamazione irregolare e “libera” , aderente-anche retoricamente- al testo letterario, quanto passi in cui voci e basso si muovono con periodica regolarità ripetendo insistentemente singoli vocaboli e brevi sezioni del discorso poetico, che in tal modo ricevono musicalmente rilievo. Questi luoghi , così come le arie, sono riconducibili a situazioni psicologiche relative a gioia, contento, godimento e simili. In altri casi strutture più complesse sono o motivate realisticamente, come un invito a cantare, oppure affidate a divinità, per esprimere entità linguistiche ben lontane da quelle umane (ad es la parte di Minerva è ricca di virtuosismi scitti per esteso).

Nell’ Incoronazione di Poppea le strutture anzitutto musicali abbondano (uso di refrain che il libretto non prevedeva e che incorniciano la sostanza di una scena; procedimenti essenzialmente musicali per fornire connotazioni psicologiche) , nel senso che M. punta su quegli organismi musicali per ricreare musicalmente il testo= la musica ha il ruolo di veicolo drammaturgicamente comunicante . I passi poi di cantabilità regolate e le arie vere e proprie – spesso strofiche con ritornelli strumentali o su basso ostinato, o con ripresa finale dell’incipit coprono ora qualsiasi gamma sentimentale. Lo stile recitativo si presenta più elaborato che nel Ritorno , con più frequenti ripetizioni di parole-chiave, ed è meno monologante: per es Ottone che viene disturbato dai soldati di Nerone, oppure stupefatto mentre Ottavia lo istiga all’assassinio di Poppea. Nell’elaborazione di questo stile recitativo M. mise a frutto il suo passato di madrigalista, nell’individuare degli affetti e delle parole-chiave, nella poetica della varietà. Il libretto fu approntato dall’avvocato veneziano Busenello. Di soggetto storico, rappresenta in chiave non idealizzante né epicizzante, ma anzi con spirito di forte polemica, scene della Roma imperiale- mentre Venezia si sentiva erede della Roma repubblicana. Qui il dramma, a differenza del Ritorno, dimostra veramente la tesi esposta nel prologo che, come spesso nel teatro musicale dell’epoca, si configura come una quaestio di sapore accademico a giustificazione di quanto seguirà. Quella congiura di palazzo in cui s’intrecciano vicende amorose, tentati omicidi, vendette personali, smania di potere, ragion di Stato e tirannidi a loro volta tiranneggiate dall’irrazionale urgenza dei sensi, , dà voce e scenico esempio a una polemica anti-cortigiana e antimonarchica particolarmente sentita nella repubblicane Serenissima. Tale polemica, che aggiungeva al testo un senso di attualità, è da mettere in relazione con gli atteggiamenti anti-spagnoli alimentati negli ambienti dell’accademia veneziana degli Incogniti.

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