Monsignore e il socialista -...

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cultura Golpe Borghese, gli Usa sapevano BELLU, PANSA e VERONESE DOMENICA 19 DICEMBRE 2004 D omenica La di Repubblica Q CASTELLON (Valencia) ui per strada le signore anziane, le vedove con le perle le calze scure e la permanente blu, baciano davvero l’anello al vescovo. «Monsignore, mi di- spiace moltissimo per quello che vi stanno facen- do. È terribile, ma abbia fede: ci sarà giustizia». L’anello è enorme, con la croce. Eccellenza. Reverendo. I miei omaggi. Il vescovo Juan Antonio Reig Pla, 57 anni, incarnato di por- cellana, risponde con un cenno della testa, condiscendente e compiaciuto. Castellòn, diocesi di provincia: la gente non corre, qui le cose vanno lente. «Ecco, questo è il mio gregge. Persone normali, vede. Non quella suburra di omosessuali, divorziate e assatanati radicali di cui il governo immagina sia piena la Spagna. Hanno in mente un Paese che non esiste. Credono di essere in Svezia, ma nemmeno: su Marte. Paghe- ranno un conto salatissimo, mi creda. Basta aspettare, la gen- te si ribellerà». La cattedrale per l’Immacolata è addobbata di luci come una giostra. In edicola la rivista di satira del giovedì ha in copertina la caricatura di Zapatero come un assatanato, appunto. Legato a un letto in camicia di forza schiuma bava verde. Il prete esorcista gli agita addosso un crocifisso e urla: «Satana, esci da quel corpo». Piove sul ponte della Concezio- ne, la festa più lunga dell’anno: sei giorni di celebrazioni e processioni per la vergine senza peccato. «Il primo esempio di fecondazione eterologa», ridono le femministe nei talk show della tv socialista. Blasfeme. Possedute anche loro. «In- trise di ideologia di morte»: il vescovo ne scaccia il pensiero con la mano mentre il cameriere gli porta un filetto ai ferri, «devo stare leggero, oggi ho le cresime in montagna». Piove, molto. I tg mostrano il demonio con la faccia da Bambi che parte con la moglie per un fine settimana di riposo senza so- le. Quel diavolo di un socialista al mare, e il monsignore al la- voro a radunare i fedeli per messa: «Guardi bene e poi dica: qual è la vera Spagna?». (segue nella pagina successiva) Da una parte Zapatero con le sue riforme laiche, dall’altra la reazione della Chiesa In gioco due visioni opposte della società e il socialista il viaggio Turchia, i nuovi vicini dell’Europa MARCO ANSALDO e GIAMPIERO MARTINOTTI l’inchiesta All’Est in cerca di mogli all’antica PAOLO RUMIZ i luoghi L’assedio alla vecchia Pechino FEDERICO RAMPINI spettacoli Cinema, una battuta lo salverà PINO CORRIAS e ANTONIO MONDA CONCITA DE GREGORIO FOTO AP Monsignore

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cultura

Golpe Borghese, gli Usa sapevanoBELLU, PANSA e VERONESE

DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

DomenicaLa

di Repubblica

Q CASTELLON (Valencia)

ui per strada le signore anziane, le vedove con leperle le calze scure e la permanente blu, bacianodavvero l’anello al vescovo. «Monsignore, mi di-spiace moltissimo per quello che vi stanno facen-

do. È terribile, ma abbia fede: ci sarà giustizia». L’anello èenorme, con la croce. Eccellenza. Reverendo. I miei omaggi.Il vescovo Juan Antonio Reig Pla, 57 anni, incarnato di por-cellana, risponde con un cenno della testa, condiscendente ecompiaciuto. Castellòn, diocesi di provincia: la gente noncorre, qui le cose vanno lente. «Ecco, questo è il mio gregge.Persone normali, vede. Non quella suburra di omosessuali,divorziate e assatanati radicali di cui il governo immagina siapiena la Spagna. Hanno in mente un Paese che non esiste.Credono di essere in Svezia, ma nemmeno: su Marte. Paghe-ranno un conto salatissimo, mi creda. Basta aspettare, la gen-

te si ribellerà». La cattedrale per l’Immacolata è addobbata diluci come una giostra. In edicola la rivista di satira del giovedìha in copertina la caricatura di Zapatero come un assatanato,appunto. Legato a un letto in camicia di forza schiuma bavaverde. Il prete esorcista gli agita addosso un crocifisso e urla:«Satana, esci da quel corpo». Piove sul ponte della Concezio-ne, la festa più lunga dell’anno: sei giorni di celebrazioni eprocessioni per la vergine senza peccato. «Il primo esempiodi fecondazione eterologa», ridono le femministe nei talkshow della tv socialista. Blasfeme. Possedute anche loro. «In-trise di ideologia di morte»: il vescovo ne scaccia il pensierocon la mano mentre il cameriere gli porta un filetto ai ferri,«devo stare leggero, oggi ho le cresime in montagna». Piove,molto. I tg mostrano il demonio con la faccia da Bambi cheparte con la moglie per un fine settimana di riposo senza so-le. Quel diavolo di un socialista al mare, e il monsignore al la-voro a radunare i fedeli per messa: «Guardi bene e poi dica:qual è la vera Spagna?».

(segue nella pagina successiva)

Da una parte Zapaterocon le sue riformelaiche, dall’altrala reazione della ChiesaIn gioco due visioniopposte della società

e il socialista

il viaggio

Turchia, i nuovi vicini dell’EuropaMARCO ANSALDO e GIAMPIERO MARTINOTTI

l’inchiesta

All’Est in cerca di mogli all’anticaPAOLO RUMIZ

i luoghi

L’assedio alla vecchia PechinoFEDERICO RAMPINI

spettacoli

Cinema, una battuta lo salveràPINO CORRIAS e ANTONIO MONDA

CONCITA DE GREGORIO

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Monsignore

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«LARAD

e guardi come sonobelle e brave le mie ru-mene, furmoase e bu-ne». Nevica tra i palaz-

zi barocchi della Transilvania, e MariaMican, 50 anni, agente matrimonialeed ex cantante folk, piccola, iperattiva evestita di rosso fuoco, fila come unoscooter tra pallide fatine scese dai mon-ti e industrialotti lombardo-veneti ve-nuti a portar lavoro, soldi e capannoni.Conosce tutti, saluta tutti, si muove asuo agio tra bar, ristoranti e pizzerie delpiù grande distretto industriale italianoall’estero. Racconta di Giovanni e Doi-na, Luigi e Monìca, Toni e Roxana. De-canta le decine e decine di matrimoniche ha combinato fra italiani e rumene.Il suo cellulare squilla ogni cinque mi-nuti; e con quello fa e disfà come unamaga la vita di relazione del luogo.

Romania, si cambia. Non c’è terra chenegli anni Novanta abbia provocato piùfregole, incantamenti e delusioni. Ri-morchiavi con niente, bastava una moi-na. Tanto forte era, nelle donne, la vo-glia di tenerezza dopo mezzo secolo diprofondo grigio comunista. Entraronoin cortocircuito il peggio della nostracialtroneria e il meglio della loro inno-cenza. Una generazione di avventurie-ri in calore ritrovò l’Eldorado perduto esparò le ultime cartucce dell’italiano intrasferta con operaie furmoase e buneda cento euro al mese. Metodo unicoper seminare anarchia nella propriafabbrica e costruirsi la rovina.

«Quel mondo è diventato cartoneanimato, roba da film muto», raccontaRoberto, un vercellese che ha qui lacompagna da vent’anni. Sul terreno èrimasta la gente seria. Ma anche le ru-mene si sono fatte furbe, ora fanno lescelte giuste. Risultato: oggi ci si sposae i matrimoni che durano sono così nu-merosi che all’università di Padova giàparlano di «delocalizzazione affettiva»,un trasloco parallelo a quello dell’eco-nomia. Al bar-pasticceria La Libellula,storico luogo di arpionamenti, c’è sem-pre qualche sessantenne con catenad’oro, montone, stivaloni e cappello daranchero. «Ma quando ne trovo unoche perde la testa per la pollastra di ven-ti — ride Ettore, che ha una fabbrica aSebes — lo trascino davanti allo spec-chio e gli dico: guardati, lei ti vede comeil suo bisnonno. Vacci assieme, ma nonpensare che ti ami».

Giovanni Catanzariti, 30 anni, lum-bard con la febbre da lavoro, è appenatornato dall’Italia dove la sua Adriana —bella, bionda e rumena — è andata apartorirgli un maschietto. Mostra la suafoto nel telefonino ed esulta: «Mi dicacome la trovo in Italia una così che lavo-

ra e sorride sempre? Neanche col lan-ternino». Tempo fa era arrivato qui sen-za un soldo, e per far quattrini in frettaaveva tirato su a cottimo i muri di unabirreria. Oggi è padrone di un ristoran-te come si deve e ci costruisce accantoun alberghetto. Attorno a lui un team dicameriere allegre, coordinate come unpacchetto di mischia. «Le guardi, le hoallenate io», e sembra che parli di rugby.Ma con la donna al centro.

«Qui sono rinato». Goffredo, di Vero-na, affitta hi-fi per spettacoli e riassumela sua storia. Un incidente grave in mo-to, la ragazza italiana che lo molla, ladepressione. Poi, nel ‘98, la scopertadella Romania. Qui rinasce la voglia diuna vita semplice, l’idea buona perpiantare una ditta, poi l’a-more. Racconta anche di M.,un carabiniere di Torino:«S’è innamorato come ungatto di una molto menobella di lui, oggi vivono feliciin Italia. E’ bastata una serain discoteca. Lo ha conqui-stato la sua semplicità»

«Voi giornalisti venite inRomania solo per sapere deibordelli, ma quelli li potetetrovare a casa vostra» ti sgri-da Aldo Roccon, veneto conun’azienda nella vicina Ti-misoara e la moglie rumenatrasferita in Italia. A chi hamemoria corta ricorda che anche le ve-nete, una volta, andavano a Milano «afare le puttane, mica le parrucchiere».Rivendica la sua scelta: «Quelli comeme, che mettono radici, sono anche ipiù affidabili, perché l’investimento af-fettivo è garanzia di impegno economi-co sul posto». Il capitalismo del Norde-st, nato dalla famiglia, sa di rischiare ilcollasso se la famiglia cede. E allorachissà, forse prima delle banche gli ca-pita di cercare tenerezza.

Volo Treviso-Timisoara. A bordo so-lo uomini italiani e donne rumene.Flusso inverso non esiste. Ti bastaguardare le scarpe. Scarponcini tecno

per gli uni, stivali tacco a spillo per le al-tre. Lucia Martella, psicologa di Vicen-za, ha girato tutto l’Est e ammette: «Sequi mi accompagno a un italiano miprendono subito per rumena, tanto asenso unico è il rapporto. Ma oggi nonc’è più turismo sessuale, vedo innamo-ramenti veri. Cominciano relazioni al-la pari». Perché? «Forse in Italia il ma-schio è in affanno, e la donna in crisi diidentità». E le romene? «Solide, senzatroppe ansie consumistiche».

Max, al secolo Dalmazio De Molli daVerona, 70 anni, sarà stato anche mili-tante dell’Msi, ma nel mondo ex-comu-nista ci sta come un topo nel formaggio.S’è sposato in Romania e vi trova il sognorealizzato: la restaurazione dei ruoli.

Spara: «In Italia la donna havinto la battaglia dei diritti,ma ha perso la guerra dellafemminilità. Qui no». AncheGino Cozza da Arzignano èun maschilista militante. Hatrasferito qui tutto, vita dipaese compresa, briscola,bar e ombra di Cabernet. Faaffari in appartamenti e hal’aria di godersela un mondo.Spiega: «Qua la dona lavorapiù de l’omo». Gli chiedi per-ché, e lui: «Se vede che l’omoxe più bravo». Bravo di fareche? «De far lavorar la dona».

«Questi vogliono ricreareuna situazione che in Italia non c’è maistata; da noi c’era un patriarcato soloapparente», spiega Devi Sacchetto —autore del libro Il Nordest e il suo Orien-te — che sta monitorando il fenomenoal dipartimento di sociologia di Pado-va. Va più sul sodo. «La verità è che danoi il costo della vita è aumentatodrammaticamente e l’uomo non puòpiù differenziarsi, farsi bello. In Roma-nia sì. Può sopperire col denaro al de-clino di un ruolo». Per altri, è stanchez-za da consumismo: «In Italia, anche infamiglia — racconta Roberto Ceranto-la, 60 anni, di Bassano, titolare di unaserigrafia — ti senti utile solo se stacchi

un assegno. Ne ho avuto abbastanza».Risali la valle del Mures, vai in collina

e capisci. Paesi come una volta, stradedi fango, campi di brina e corvi, mona-steri, pozzanghere gelate, oche e maia-li a razzolare in libertà, comignoli chespandono odore buono di quercia.Dappertutto, solo donne al lavoro, chetornano dal mercato o spaccano legna.«Sono gospodine», gongola Maria lasensale di matrimoni, e il termine si-gnifica affidabili, con i piedi per terra,perfette per casa e lavoro. E i maschi?«Nullità, tristi bevitori di zuica, grappadi prugne», ti dice chi conosce il terre-no. A volte sembrano usciti da un’altraera geologica, hanno ancora l’homosovieticus in corpo, ciondolano sfac-cendati di poltrona in poltrona. Il co-munismo, dalla Bosnia al Mar del Giap-pone, ha massacrato solo gli uomini.

«Varda che pien de tera, de boschi, diobon». Toni, veneto di Schio, guarda l’on-da lunga delle colline sotto il cielo bigio esospira, muore di nostalgia per un Vene-to che non c’è più. Ti fa capire che scap-pare qui è anche un viaggio nella mac-china del tempo, anche se “mogli e buoi”non son più dei paesi tuoi. «Lo sente, losente il profumo della paglia per i buoid’inverno?», si inebria Roberto Ceranto-la. «Qui — dice — ritrovo la mia infanzia,i vapori della vendemmia, l’odore del fie-no. Anche la lingua è famigliare, non èostrogoto come il ceco. E poi qui sono fi-nalmente padrone di me stesso. Il saba-to e la domenica posso andare in cam-pagna, come ai bei tempi da noi».

Annotta, non nevica più, la locandadi Giovanni si riempie di italiani. Simangia, si beve, si batte carte, si invita-no amici e signore locali, c’è anche lapartita in Tv. E’ l’allegro dopolavoro delcapitalismo pulviscolare italiano cheinveste pochino ma si spalma sul terri-torio con migliaia di imprese. Francesie tedeschi — che hanno fabbriche piùgrosse — vivono nei loro circoli blinda-ti e non interagiscono col sociale. I no-stri invece tessono instancabilmenterelazioni. Vogliono comparire, conta-re, spendere, ostentare.

Discorsi da bar, dopo l’amaro. Luigi:«La Romania è un Paese fondato sulladonna». Pietro: «Prova a buttare un se-me a terra, qui cresce subito tutto». An-tonio: «Sono fatte come dio comanda,guarda come camminano». Roberto:«Hanno provato la miseria, sanno il va-lore del denaro». Selim, titolare di unacamicieria con 75 dipendenti quasi tut-te donne, ricorda che fino all’altroieri leoperaie dovevano denunciare a casauno stipendio inferiore al reale per nonfarsi togliere tutto dal marito. Chiedo:tornereste in Italia? «Manco morti. E’diventata un manicomio. Se non spen-di non sei nessuno».

l’inchiestaAmori stranieri

I sociologi l’hanno già battezzata “delocalizzazionedegli affetti”. È la nuova tendenza di molti uomini italiania inseguire modelli di famiglia che qui sono tramontati da decenni.Li cercano nei paesi dell’Est europeo o a casa loro, con donneche da quelle aree provengono. Viaggio dalla Romaniaal Sud d’Italia per far parlare i protagonisti

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

“Come la trovooggi in Italiauna così - diceGiovanni - chelavora e sorridesempre? Neanchecol lanternino”

MOGLIE MADE IN ROMANIAL’imprenditore lombardo GiovanniCatanzariti, proprietario di un ristorantead Arad, con la moglie rumena Adriana

AradLa fabbrica rumenadelle spose all’antica

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

STRANIERI IN ITALIA

I cittadini stranieri residenti inItalia sono 1.334.889, secondo ilcensimento del 2001: quasi unmilione in più rispetto a 10 annifa. In pratica, ci sono 2,3 stranieriogni 100 residenti: siconcentrano al Nord, nelle grandicittà e hanno un’età media chesupera di poco i 30 anni

NOZZE MISTE

Negli ultimi 8 anni i matrimoni mistiin Italia sono raddoppiati.Secondo l’Istat, dal ‘93 al 2001 leunioni con un coniuge stranierosono passate dal 3,3% all’8,1% earrivano quasi a 200mila. Ognianno si celebrano circa 20milamatrimoni misti: nel 38% dei casil’unione è con donne dell’Est

IL NUOVO RITO

Per rispondere al boom delleunioni miste il nuovo rito delmatrimonio cattolico prevede trepercorsi possibili: il matrimoniotra due cattolici praticanti; tradue fedeli tiepidi per cui non èprevista la comunione; infine, trasposi di religioni diverse per cuisolo il cattolico farà la comunione

«MCASERTA

i spusi na teru-na». Sposo unadel Sud, minac-ciarono i conta-

dini piemontesi, quando negli anni Cin-quanta cominciò a luccicare la GrandeFiat e le provincialotte fuggirono daicampi per sciamare a Torino in caccia ditute blu. Finì che i contadini le sposaro-no davvero, le terrone, per non chiuderbottega e restar soli come cani. Lo rac-conta Nuto Revelli nel libro L’anello for-te, dove l’anello son proprio loro, le fore-stiere — solide, appassionate e di pochepretese — che zappando e facendo figlisalvarono Langhe, Monferrato e valli al-pine dalla desertificazione.

Oggi che a Sud la «teruna» si è nordiz-zata, inurbandosi e conquistando ilmondo del lavoro, tra i maschietti del-l’hinterland napoletano gira una nuovaparola d’ordine: «Me piglio ‘na polacca».Solo che stavolta non è più l’avventurabreve, la scorribanda, l’arrapamentomordi e fuggi. È il matrimonio, la sceltaper la vita. Dalla piana del Sele a quelladel Volturno oggi il cuore batte a Est, incerca di ucraine, moldave, russe, bielo-russe. E loro, sbarcate qui come povere eindifese badanti, oggi sono il nuovoanello forte, che salva la natalità del Sudnei tempi grami della recessione.

Dagli anni Novanta è cambiato tutto,racconta il regista Michele Carrillo diBaia Domizia. «Allora fu la fregola gene-rale, lo scompiglio, di fronte ai primi ar-rivi delle badanti slave». Paesi interi a farla ruota, imbarazzanti cortei di Bmw ap-pena lucidate davanti alle bionde stra-niere in libera uscita. Vecchiacci si mise-ro con ragazze ventenni, matrimoni sal-tarono in aria, la Chiesa si allarmò.«Qualcuno tentò di alzar barricate — ri-corda Roberto Saviano, ricercatore distoria a Napoli — il sindaco di TrentolaDucenta, a due passi da Aversa, proibì al-le ucraine persino di metter piede in cen-tro. Ovviamente fu inutile, così inutileche oggi a Trentola persino i vigili urba-ni se le sposano, le reprobe».

Vincenzo Giugliano, 40 anni di Aversa,ha due amici: Antonio e Nicola. Nel girodi due anni tutti e tre hanno sposato po-lacche (nell’ordine Sylvia, Agata e Agnie-szka) e tutti e tre hanno fatto figli. Il padredi Vincenzo, rimasto vedovo, vista labuona riuscita della combriccola, s’èsposato pure lui, con un’ucraina divor-ziata della sua età. Ma in mezza Aversa,dicono, c’è stato un trasloco affettivo inarea slava. E lo stesso vale per Caserta,Santa Maria Capua Vetere, Castel Vol-turno, Acerra, Avellino.

Azzardi: ma queste che avranno di spe-ciale? Vincenzo non ha dubbi: mia moglieè «un’altra cosa», e con la mano disegna

una sognante parentesi che vuol dire ap-pagamento, sicurezza, e altro ancora.«Anche i miei amici sono contenti: la lorovita è diventata più semplice. Tranquilla».E se la mangia con gli occhi la sua biondi-na, che gli ha appena scodellato il secon-do maschio, e allatta sul divano dopo averpreparato una torta di cioccolato.

Papà Vincenzo non si imbarca in giu-dizi sulle indigene. Ma osserva che, colprecariato dilagante in Italia, è fonda-mentale avere accanto «una che non tipressi, non ti bombardi di richieste e tidica: ce la faremo. Sylvia ha conosciutola solitudine dell’emigrazione, il suo ini-zio è stato duro, e da allora non ha piùpaura. Con lei le cose difficili diventanosemplici e le cose piccole diventanograndi. Le basta vedere unamontagna perché le brillinogli occhi».

Una polacca se l’è sposataanche il tunisino Lassaad Az-zabi, mediatore culturale. Dalei ha avuto due bei bambinieducati e trilingui (italiano,arabo e polacco). Dice: «Daun po’ gli italiani hannosmesso di cercare le slave co-me donne-oggetto. E le slavehanno smesso di servirsi de-gli italiani per il permesso disoggiorno. Forse è la crisi eco-nomica che ha abbassato lepretese, forse è la sanatoriaper le badanti che ha migliorato le cose,non lo so. Fatto sta che oggi ci si sposa tracoetanei, e il matrimonio misto non è piùguardato come una sciagura. Ci sonopersino graduatorie: al top le polacche,poi russe e ucraine».

Maschi sciovinisti, volete la donna de-bole, la schiava a costo zero, protestavanofino a ieri le casertane. Oppure: slave spac-cafamiglie, imbroglione, rapinatrici. Oggiammettono che non è così semplice, e ac-cettano la competizione. Alcuni parerifemminili raccolti all’ora dello struscio, ilsabato sera, sotto le luminarie natalizie delcentro di Caserta, svelano qualcosa.«Hanno meno grilli per la testa — ammet-

te Marianna — vengono da un mondo piùsemplice». Oppure, Giovannina: «Quan-do attaccano discorso, prima mi chiedo-no se sono felice, e solo dopo se ho un la-voro. Forse sono meno interessate».

Aversa, luogo di sparatorie e moz-zarelle, ha dedicato una storica as-semblea alla rivoluzione amorosasulla piana del Volturno. Le indigenepartirono in quarta denunciando alpopolo «le ladre», ma due ucraine,regolarmente sposate a casertani,sbucarono a sorpresa dal pubblico e,portandosi appresso i loro pargoli,difesero eroicamente dal palco le lo-ro posizioni. «Non siamo noi che virubiamo gli uomini, siete voi che nonsapete tenerli a casa». Era la prima

volta che qualcuno osavaaffrontare a viso aperto lebattagliere guaglione.

«La componente eroticanon basta, qui c’è dell’altro»,osserva Antonio Pascale, au-tore del libro La città distratta,dedicato al boom del lavoronero a Caserta. «Dicono checon loro l’uomo riconquista ilpatriarcato perduto. Ma inCampania c’è semmai una so-cietà matriarcale, che tende atenere l’uomo il più possibilefuori casa, persino a ricono-scergli l’esigenza di una“cummarella”, un’amante

accettata da tutti, moglie compresa. For-se le donne slave hanno fatto saltare que-sto equilibrio. Dicono al marito cose chequi non si usano. Per esempio: ho bisognodi te. Oppure: portami a ballare il sabato».

La domenica sera il treno Napoli-VillaLiterno è pieno di badanti che rientrano.Le senti subito dalla “S” slava, nelle sueinfinite varianti, che punteggia il chiac-chiericcio. A Pozzuoli sale una rocciosaucraina di 70 anni; si chiama Nora, vieneda Ivano-Frankovsk. Questa, pensi, colfischio che si sposa. Invece no. Maritatapure lei. Con Pasquale, di Pozzuoli ap-punto. Un coetaneo con pensione mini-ma, camera e cucina. Chiedo: che pensa

delle italiane? «Loro più mamme di noi,loro bravissime con figli. Ma loro sba-gliare con uomini. Dicono davanti a tut-ti: come sei bello! Ma non è donna chedeve fare corte a uomo.Èuomo che devefare corte a donna». Ride come una mat-ta: «Qui se sei vecchia corri meno rischi».Poi racconta sospirando della bella Ole-na, 23 anni, che si è uccisa dopo essere fi-nita nelle mani di un clan albanese, dele-gato dalla camorra a smistare le ragazzedell’Est. E di Ivona, che s’era messa conun drogato senza una lira che la basto-nava, e ora è sparita nel nulla. Ma Noraracconta anche di italiani bidonati dacompatriote ucraine senza scrupoli. Poiscende a Villa Literno, sparisce intrepidanella tenebra grassa, un grigio plastilinafatto di fango, bufale e foschia, vucum-prà africani, auto impolverate e viados,terra «teruna» senza luce.

«Deboli non siamo di sicuro», spiegain un bar Ljuba Natsiazhenka, bielorus-sa dai grandi occhi calmi. «Qui se sei de-bole non sopravvivi. All’inizio devi resi-stere a umiliazioni, alla separazione daifigli, alla lingua che non capisci, allapressione del macho. Devi pulire anzia-ni malati avendo magari una laurea in ta-sca, soprattutto non devi farti risucchia-re dallo sfruttamento. Molte sono crolla-te, inghiottite da droga, malattia, ricatto,prostituzione. Ma quelle che ce la fannosono sicuramente le migliori. Portano indote un coraggio pauroso».

Prendi Nataliya Madelyk, una solidaucraina di 45 anni, ex direttrice di un’a-zienda turistica.Èpartita da casa quattroanni fa, dopo aver superato un cancro,con le energie al minimo e due figli ma-lati da curare. Dall’Italia, in una situazio-ne simile, emigrerebbe il marito, non lamoglie. Ma l’Ucraina non è Italia: è unpaese ex comunista, e nell’Impero sovie-tico che fu i maschi sono geneticamentepiù deboli. «È stato il regime a rovinarli.Guerre, Kgb, deportazioni, l’appiatti-mento delle intelligenze. Mio nonno,che nacque prima di Stalin, era ancoraun uomo forte. Poi è cambiato tutto. Etutto è caduto sulle nostre spalle».

Piange quasi sotto il caschetto pa-glierino, raccontando la separazione,lo spaesamento, il groppo in gola alleprime telefonate a casa, il lavoro con imalati terminali, i faccendieri imbro-glioni sempre a spillar denaro. Poi gliincontri giusti, l’assunzione in unosportello informativo per immigrati, lasperanza che torna. «In Ucraina noisempre abituate stare in gabbia. Gab-bia di gente, gabbia di pensieri, gabbiadi parole. Oggi vogliamo solo uscire dagabbia, vedere cosa bella come film».Dolce Natalyia. Se potesse, si mette-rebbe sulle spalle il mondo. Anello for-te, la leggenda che torna.

(p.r.)

CasertaOra parlano slavole mamme del Sud

Vincenzo raccontail suo matrimoniocon Sylvia, polacca:“Loro non ti pressanonon ti bombardanodi richieste, dicono:ce la faremo”

GRUPPO DI FAMIGLIA AD AVERSAVincenzo (a destra) e Nicola (a sinistra)con le mogli Sylvia, che tiene in braccioil piccolo Daniel, e Agnieszka

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le storie/136 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

Diplomazia e doniGli “amici”, come Berlusconi, offrono orologipreziosi e gioielli. I “nemici”, come il tedescoSchroeder, si limitano ad una stilografica.Alla scoperta dell’archivio dove sono registratitutti gli omaggi ricevuti da George W. Bush.Ovvero la politica estera sotto la lente del galateo

SWASHINGTON

criveva Jean Paul Sartre che «dare significa asservire».Forse perché «i doni conquistano uomini e Dei» (Ovi-dio), e dunque nel gesto si misurano adulazione e per-fidia. Ma se l’omaggio è all’uomo più potente della

terra, al presidente degli Stati Uniti George W. Bush, la Storia in-fila allora uno di quegli ingressi minori per genere e ricchi in let-tura. Un voluminoso registro di piccoli e grandi oggetti. Nor-malmente di pessimo gusto. Un breviario della Diplomazia del-la Roba, deposta sull’uscio della Casa Bianca da capi di Stato e di-gnitari del mondo intero. Da amici e nemici dell’America.

Compulsare i quattro volumi del Federal Register (2000-2003), memoria dei beni di proprietà del Governo Federale de-gli Stati Uniti d’America, vuol dire frugare in un’immensa cian-frusaglia di lusso, annotata nel prezzo, nella foggia e nelle di-mensioni. Accettata dal Presidente, dalla sua famiglia e dal suogabinetto, per galateo, ma a loro indisponibile per legge. Con-servata dunque negli Archivi di Stato e, forse, un giorno, nellesue felici e originali eccezioni, disponibilein qualche bacheca di museo. Forse.

È così che accade di leggere di «Sua Ec-cellenza il Presidente del Consiglio dei mi-nistri, onorevole Silvio Berlusconi». Di ap-prendere che in principio furono gli orolo-gi. Tanti orologi. Quasi un campionario daorafo svizzero. «Un Franck Muller “LongIsland 1200 QP” con cinturino in pelle ne-ra, cassa in oro bianco e calendario perpe-tuo (12.000$)»; «un Bulgari “Rettangolo” inacciaio temperato, quadrante nero, data-rio automatico alle “6” e incisione sul retrodella cassa “Il Presidente del Consiglio deiMinistri” (3.000$)»; «un Bulgari in argento(1.200$)»; ancora «un Bulgari “Rettangolo”con inciso sulla cassa “Il Presidente delConsiglio dei Ministri” (3.000$)»; «un “Car-tier” in acciaio “Roadster” (3.950$)»; «un“Hublot Automatic MDM Geneve” in ar-gento, con cinturino e quadrante neri (2200$)»; «un “Patek Phi-lippe Calatrava” con cinturino in pelle nera, quadrante nero ecassa in oro (14.500$)»; «un Cartier in acciaio modello “TankFrancaise Steel” con datario automatico (2.900$)»; ancora «un“Rettangolo” Bulgari in acciaio (3.000$)»; «uno “Stradivari 1715”con cassa in argento e incisione “George W. Bush” (500$)»; «unPiaget con cassa rettangolare in argento (prezzo 5.900$ a Geor-ge W. Bush in data 16-10-2001)».

Che dopo gli orologi, fu il tempo delle gemme alle signore:«Bracciale di forma ovale Damiani in platino e diamanti da3.79 carati (6.500$ a Condoleezza Rice, consigliere per la si-curezza nazionale)»; «Braccialetto a serpente Damiani in oroe diamanti da 2,64 carati (7.500$, ancora alla Rice)»; «Collierin oro bianco Damiani con perle e grappolo di diamanti(2.250$, alla First Lady)».

Che tra orologi e gemme, si fecero strada, tra un G8 e unconsiglio atlantico di Pratica di Mare, il libro di «nessun va-lore» (la nota è dell’archivista del Federal Register) «“Unastoria italiana”, di Silvio Berlusconi a Donald Rumsfeld in da-ta 14 gennaio 2003»; «un desk da tavolo Pineider in pelle concancelleria personalizzata: penna stilografica, calamaio epennini (1.650$)»; «tre cravatte di seta Battistoni colore blunavy (390$)»; una «ventiquattrore in vera fibra di carbonio

“Tradizione e tecnologia” (800$)»; «Due barattoli da 8,8 on-ce di caffè marca “Tricaffé (14$)».

Non è per ossessione che dal Cavaliere inizia e si misura ilviaggio d’archivio. Ma per rango. I suoi 150 mila euro di muni-ficenze lo vedono assiso un solo gradino più in basso della fa-miglia Saudita. In geometrica opposizione a Jacques Chirac.Di cui si riesce ad immaginare il sorriso di beffa nel porgere aGeorge W. Bush, nel giugno 2003, G8 di Evian, un pacco donobuono per un cowboy da sollecitare alla toiletta e allo studio:«Dopo barba Christian Dior “Higher”, acqua di colonia e sa-pone (133$) con necessaire in pelle marrone Longchamp(95$); set di cancelleria: rollerball Waterman, Edson e pennastilografica (1321$)» e un «orologio al quarzo con doppio mo-vimento» che, per il prezzo (321$), non vale il cinturino di unodei cronografi del Cavaliere. O la soddisfazione nello spedirevino francese nel cuore del Paese dove si mena vanto di aversmesso di berne dopo il gran rifiuto iracheno: «Sei bottiglie diChateau La Lagune Haute-Medoc 1990 (372$), sei di ChateauTalbot Saint-Julien 1990 (450$)».

Peggio di uno stiletto, il gelo tedesco. In quattro anni, l’umo-re di Gerhard Schroeder ha prodotto «una penna stilografica

Pelikan con confezione di inchiostro da50ml. (559$); una sciarpa in seta nera dichiffon (689$)» per la signora Bush; «un Bi-nocolo Eschenbach (267$)». Che a ben ve-dere è poi la soglia di decenza su cui si so-no orientate anche diplomazie comequella inglese che già molto hanno dato aWashington. Dalle mani dei Blair, neglistessi quattro anni, «un set da scrittoio“Churchill”, con penna, calamaio, sigaro elibro di citazioni dello statista (375$); sciar-pa di seta nera Emily Jo Gibb e borsa da se-ra con disegni floreali (400$); necessaire inpelle nera Tanner Krolle (351$)».

L’arrivo di Zapatero al governo di Spa-gna raffredderà forse anche il già pur mo-rigerato cerimoniale di Madrid. Dei tem-pi di Aznar, si annotano in archivio «dueincisioni raffiguranti scene rupestri diAlejandro Macarron Jaime (350$); una

sella in cuoio foderata in pelliccia di pecora (1.250$); un qua-dro astratto di Rafael Canogar (500$); il libro di catechismo ri-coperto in pelle “Catecismo de Fray Pedro de Gante” (800$);una bambola di porcellana “Menina” con abiti ricamati inbianco e blu (125$)».

Già, con l’eccezione della Francia, bisogna lasciare la vecchiaEuropa continentale per qualche variazione sul tema, ora ec-centrica, ora grossolana o beffarda. Inciampando così nella“trovata” del rumeno Iliescu con il «ritratto a pastello di GeorgeBush cacciatore che afferra per le zampe una lepre dalla facciadi Saddam (500$)». Nel finto calore pachistano della «giacca ecappello tradizionali in lana marrone (1.650$). Nell’azzardo di-vertito del sultano del Brunei, con i suoi 41$ di «torta di chee-scake al limone». Nell’ossessione domestica di Putin con i suoi«quattro servizi da tè e caffè, teiera elettrica e set di tovaglie di li-no». Nei «cioccolatini Perugina» e nelle «82 lenze e ami da pesca»del Re Mohamed VI del Marocco. Fino ad arrivare alla curiosamorigeratezza dell’oggi ex premier e milionario libanese, RafiqAl-Hariri. L’uomo che a Washington ha comprato e progettatoper sé una residenza che fa apparire nana la Casa Bianca. E chealla porta della Casa Bianca si è presentato senza orologi svizze-ri, ma con «un humidor per sigari in legno liscio con scene di stra-da (350$)» e 25 dollari di frutta secca esotica. «Assortita».

Tutti i regalidel Presidente

CARLO BONINI

TONYBLAIR

PRIMO MINISTROINGLESE

Set da scrittoio contenentepenna Churchill, calamaio,un sigaro, un libro di citazioni

Valore: 375 dollari

Tappeto afghano lavorato a mano condecorazioni e fregi della tradizionepopolare

Valore: 4500 dollari

JOSÉ MARIAAZNAR

EX PRIMOMINISTROSPAGNOLO

Sella per cavalli in cuoio concopertura in pelliccia di pecoraproduzione tradizionale spagnola

Valore: 1.250 dollari

Libro di catechismo foderato in pelle “Catechismo de Fray Pedro de Gante”

Valore: 800 dollari

SILVIOBERLUSCONI

PRESIDENTE DELCONSIGLIO

ITALIANO

Orologio Franck Muller “Long Island1200 QP” con cinturino in pelle nera,

cassa in oro bianco e calendario perpetuoValore: 12.000 dollari

GERHARDSCHROEDER

PRIMO MINISTROTEDESCO

Penna stilografica Pelikan conmodanature in oro e confezione

inchiostro Pelikan da 50 mlValore: 559 dollari

Fotografia a colori di cavallo arabo“BJ Thee Mustafà di 9 anni di età”firmata dal fotografo Gigi Grasso

Valore: 250 dollari

VLADIMIRPUTIN

PRESIDENTERUSSO

Servizio da tè commemorativodel 300esimo anniversario

di San PietroburgoValore: 1000 dollari

Nella lista spiccanoofferte bizzarre,come quella delrumeno Iliescu:un ritratto di Bushche spara ad unalepre con la facciadi Saddam

BIN ABDAL-AZIZ AL SAUD

VICEPRIMO MINISTROSAUDITA

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le storie/2Sfida a Manhattan

Dopo quasi cinquant’anni, l’attesa è finita: il cuorepiù antico di New York torna a battere con la nuova“arena”, che ospiterà la squadra di basket dei Nets.Il sogno è tornare a rivivere la leggendadei Dodgers, gli eroi del baseball. Con una missionespeciale in più: rilanciare il quartiere

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

«ENEW YORK

era ora, finalmente losport torna a casa». Jackha gli occhi lucidi quan-do racconta di quel 24

settembre 1957, «il giorno più triste dellamia vita», il giorno in cui lo sport abban-donò Brooklyn. A quel tempo lo sporterano i Dodgers, una delle più vecchie eamate squadre di baseball che un pro-prietario-imprenditore poco romanticoaveva deciso di trasferire nella più calda(e remunerativa) Los Angeles; ma a unvecchio “brooklynite” come Jack pocoimporta che al posto di pitcher e catcherdai nomi vagamente italiani arrivino ra-gazzoni alti due metri innamorati delloslam dunk, la schiacciata a canestro chefa impazzire i ragazzi neri da un capo al-l’altro dell’America, e importa ancorameno che il vecchio diamante in terrabattuta venga sostituito come campo dagioco da una avveniristica arena: «Noproblem, mi piace anche il basketball».

All’incrocio tra Flatbush Avenue eDean Street, con un paio di piantine inmano e una buona dose di fantasia, sipuò provare ad immaginare cosa vorràdire il ritorno dello sport a Brooklyn. Lepiantine sono quelle dove è stato messonero su bianco, anzi a colori, l’ambiziosoprogetto che riporterà nel cuore del piùantico boroughdi New York una squadradi “professionisti” e in questi sei blocchicompresi tra le avenues Flatbush, Atlan-tic e Vanderbilt – a metà strada tra il pon-te di Brooklyn e Prospect Park – verrà co-struito il nuovo centro di una città che daqui a dieci anni vuole diventare qualco-sa di simile a una novella Manhattan.

L’idea di far “rinascere” Brooklyn at-torno allo sport è venuta a Bruce C. Rat-ner, presidente e amministratore dellaForest City Ratner Companies, una gran-de impresa di costruzione che nel 1988aveva già dato a Brooklyn il One Pierre-pont Plaza, il primo palazzo per ufficinuovo aperto a downtown in 25 anni.Ratner ha deciso di fare le cose in grandee come prima mossa ha chiamato FrankGehry, uno dei più prestigiosi architettidel mondo.

All’autore del Guggenheim di BilbaoRatner ha dato carta bianca, ottenendoin cambio uno straordinario progettodove la nuova arena del basket viene in-serita in un centro con case, spazi com-merciali, cinema e sale da concerti:80mila metri quadrati di palazzo dellosport per 19mila spettatori (ventimilaquando al posto del basket si terrannoconcerti rock); sei acri di open spaceaperto al pubblico; 45000 nuove abita-zioni, 200mila metri quadri di negozi,tremila parcheggi. Il tutto in un’area do-ve a progetto ultimato (previsione diecianni) ci saranno stazioni di dieci diffe-renti linee della metropolitana, zone pe-donali, nuovi viali alberati, il tutto se-guendo rigidamente le severe leggi am-bientali e antinquinamento.

Poi, sempre più convinto del progetto,ha individuato la squadra di basket pro-fessionista da comprare e trasferire aBrooklyn: la scelta è caduta sui Nets, lasquadra del New Jersey che negli ultimitre anni è riuscita a vincere due campio-nati, che gioca in un’arena a poche mi-glia da New York, che era nata come NewYork Nets e che nella Grande Mela ha giàdiversi tifosi.

«Nessuna città sulla faccia della terraha una storia sportiva come quella diBrooklyn». Il vecchio seduto a un tavolodi Patsy Grimaldi’s Brick Oven Pizzaal 19di Old Fulton Street si chiama Nino e tra-disce le sue origini mischiando inglese eitaliano in quel geniale gergo chiamatobroccolino. Dell’Italia ha lontani ricordiacchiappati di seconda mano dai rac-conti dei nonni e da buon americano èpienamente convinto di quello che dice.E visto che da queste parti la storia sem-bra che inizi e finisca solo tra i confini de-gli States dal suo punto di vista non haneanche tutti i torti, Brooklyn ha unagrande tradizione sportiva: qui nel 1854vennero fondati gli Excelciorsil primo ba-seball club a reclutare nei quartieri pove-ri i ragazzi della working class, qui nel1858 venne giocata la prima partita dovei fan furono costretti a pagare il biglietto(Brooklyn contro Manhattan all star) quidal 1890 al 1957 ci fu la casa dei BrooklynDodgers.

Se fosse staccata da New YorkBrooklyn sarebbe oggi la quarta città piùpopolosa degli Stati Uniti. Da Manhattanla dividono i famosi ponti e un orgogliosmisurato che fa dire ai brooklinitesche lavera New York inizia da questa parte del-

l’Hudson, in questi luoghi dove nell’esta-te del 1776 la Continental Armydi GeorgeWashington si scontrò con “l’esercito diSua Maestà” e la battaglia di Brooklyncambiò le sorti della guerra di indipen-denza. Tra la strade di questo smisurato“sobborgo” di New York si può misurareil polso dell’America multietnica, pas-sando in pochi minuti dal quartiere deglihasidim - dove a qualsiasi ora del giornosembra di trovarsi nel più ortodosso deiluoghi della Gerusalemme ebraica – alletrattorie di Bensonhurst dove si possonoorecchiare ancora dialetti italiani del pri-mo Novecento, fino al ghetto nero (ma ilpolitically correct vieta tassativamente dichiamarlo così) dove gli spacciatori dicrack fanno a gara con i pastori delleChiese metodiste nell’accaparrarsi lesimpatie di ragazzi spesso ancora bam-bini; i primi togliendo ogni giorno a cen-tinaia di giovani la speranza di un futuromigliore, i secondi a tentare di ridarglie-la, magari proprio grazie a un piccolocampo di cemento con due canestri cir-condato da una rete.

E poi ci sono i polacchi, i coreani, i rus-si dell’ultima immigrazione che hannoportato con sè una nuova criminalità, ipakistani con i loro negozi dove si vende“tutto a 99 cents”, i cinesi e i latinos chearrivano dai posti più sperduti dell’Ame-rica Latina, c’è Coney Island con la suaruota del luna park e le sue spiagge po-polari così diverse da quelle chic degliHamptons di Long Island dove ha casa lagente bene di Manhattan. Queste stradehanno ispirato scrittori e registi, poeti eartisti, hanno visto nascere star dellosport, dello spettacolo e del crimine or-ganizzato e adesso guardano con un fal-so distacco e un nascosto orgoglio alleruspe che hanno iniziato a demolire perpoi costruire il nuovo sogno di Brooklyn.

«Brooklyn, New York, città di duri e dipremi Nobel» come recita il suo websiteufficiale non vede l’ora che il progetto siafinito. Dieci anni non sembrano poi co-sì tanti e Jim, uno studente di musica ap-passionato di basketball – «ma la musi-ca viene prima» – rivendica il ruolo di«grande città del mondo, una Meccaculturale che ha bisogno di far sapere almondo chi siamo».

Lo “sport che torna a casa” è l’ultimotocco di pennello a una rinascita iniziatagià da diversi anni. Prima con Dumbo(acronimo per Down Under the Manhat-tan Bridge Overpass) il quartierino tra idue ponti ricostruito secondo i dettamidella più moderna architettura metropo-litana dove gli affitti delle case gareggianocon quelli dell’Upper West Side; poi conWilliamsburg dove centinaia di sedicen-ti “artisti” (di cui forse il 5 per cento di-venterà un giorno tale) si sono trasferiticreando un nuovo Village nella riva delfiume opposta a Manhattan seguiti a girodi posta da locali e ristoranti di successoin grado di competere, per qualità e prez-zi, con quelli del Village originale. E cometali di attirare anche chi a Manhattan pre-ferisce continuare a vivere.

Per Frank Gehry «questa è una oppor-tunità importante per tutti e il nostroobiettivo è quello di creare una grandearena per una grande squadra e di crea-re allo stesso tempo qualcosa di vera-mente speciale per Brooklyn». Il proget-to (presentato quasi un anno fa) ha otte-nuto l’appoggio entusiastico del sindacodi New York Michael Bloomberg, e an-che chi all’inizio storceva il naso – comequei brooklynites tifosi dei Kincks (lasquadra di basket di New York che giocaa Manhattan al Madison Square Gar-den) – adesso si è convinto dell’opera-zione. Magari sognando di fare giocarenei Brooklyn Nets anche Stephon Mar-bury, il magic boydi Coney Island che og-gi, ormai trentenne, è la star proprio deiKnicks: «Se lo sport torna a casa può tor-nare a casa anche Stephon».

Il progetto di FrankGehry, il creatoredel Guggenheimdi Bilbao, prevede unimpianto da 20milaspettatori, 45milanuove abitazioni e200mila metri quadridi negozi

ALBERTO FLORES D’ARCAIS

Torna lo sport, la rivincita di Brooklyn

i personaggi

BASKET PER STRADA. Quattro bambini ai piedi delle arcate del Ponte. Sotto il campione di scacchi Fisher

IL RE DEGLI SCACCHI

A 15 anni fu il più giovane Granmaestro nella storia degliscacchi: di Bobby Fisher,campione del mondo nel ’72contro Spassky, ancora oggi siraccontano le primeleggendarie mosse a Brooklyn

IL TENNIS DI CLASSE

Capelli lunghi e volée, comesimbolo di un gioco chepermise a Vitas Gerulaitis,cresciuto anche lui a Brooklyn,di regalare splendide pagine ditennis con le sfide a Borg eMcEnroe a fine anni Settanta

I PRIMI PUGNI DI TYSON

Brownsville: è qui, nel ghettonero di Brooklyn, che nel 1966nasce Mike Tyson, ed è nellestrade del quartiere checomincia la carriera del piùgiovane campione del mondo dei pesi massimi della boxe

SPETTACOLO JORDAN

Il padre si era appena trasferitoa New York e aveva preso casanel quartiere: è il 1963 quandoa Brooklyn nasce MichaelJordan, forse il piùspettacolare talentodella storia del basket

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i luoghiCittà che cambiano

Vicino a Piazza Tienanmen, nel cuore della capitalepiù caotica, vive un piccolo mondo aggrappato allasua storia. Nei vicoli dai nomi magici, su cui siaffacciano le case tipiche di pietra grigia, gliabitanti lottano per salvare il loro quartiere dallaglobalizzazione urbanistica

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

L’assedio alla Pechino anticasempre lo stesso. Di colpo su interi iso-lati appaiono gli striscioni del Comuneche danno il preavviso di 20 giorni per losgombro. Le indennità offerte nel mi-gliore dei casi arrivano a 400–600 euro almetro quadro, una frazione del valoredi mercato. Per prevenire i ricorsi il Co-mune definisce «insalubri e fatiscenti»le case da demolire. La prospettiva pergli sfrattati è di emigrare nella più lonta-na periferia di Pechino, in squallidiquartieri-dormitorio a ore di distanzadal lavoro. Alla data stabilita arrivano aondate le ruspe meccaniche, l’esercitodei manovali armati di piccone, glisquadroni della polizia in assetto diguerra. In poche ore un quartiere vieneridotto a un ammasso di calcinacci, e lìsopra sorge un altro cantiere dove gior-no e notte le formichine operaie si ar-rampicano a costruire nuovi grattacie-li. Chi cerca di resistere da solo, aggrap-pandosi alla propria casetta e ai proprimobili, viene travolto senza pietà.

Sulla via Nanyingfang vivevanomille famiglie, alcune di loro vi aveva-no radici da secoli: quelle casette era-no state costruite sotto la dinastiaQing per alloggiare i soldati che difen-devano la città dalla Porta Chaoyang-men. Il blitz della polizia, il 15 novem-bre scorso all’alba, ha preso d’assaltol’intero isolato. Una donna anzianache si era asserragliata in casa è stataaggredita a mattonate in testa, l’han-no portata via che sanguinava. La fol-la di curiosi è stata dispersa a getti diestintori. Due bulldozer hanno polve-rizzato il muro dove qualcuno aveva

scritto «Le demolizioni violen-te e gli sfratti forzosi sono

contro la Costituzione».Neppure i gesti più dispe-

rati sono serviti. YeGuozhu pur di la-

sciare una casa in-tatta alla sua fa-

miglia ha ten-tato di sui-

FEDERICO RAMPINIl’avanzata del cemento armato. Nel1949 i vicoli coprivano 17 milioni di me-tri quadrati. Mezzo secolo dopo la capi-tale si è allargata all’infinito (Pechinooccupa ormai la superficie del Belgio)ma il suo cuore antico degli hutong si èrattrappito a tre milioni di metri qua-drati. E l’assedio non è finito.

L’offensiva dei GiochiIn vista delle Olimpiadi del 2008, la pia-nificazione urbana ha avuto un altro at-tacco di megalomania. Dopo l’indu-strializzazione pesante degli anni 50 –quando Mao realizzò il suo sogno: unpanorama di Pechino fatto di ciminierefumanti a perdita d’occhio – dopo losquallore sovietizzante degli anni 60che ha distrutto la Storia per costruiremonumentali sedi di partito, grandiviali per sfilate militari e orrida ediliziapopolare, il terzo millennio si apre conuna Cina che vuole dare lezioni di mo-dernità a Houston e a Toronto, a Tokyoe a Sidney. L’architetto francese Andreudell’aeroporto Charles De Gaulle è sta-to chiamato a costruire il nuovo teatrodell’Opera, l’olandese Koolhaas a dise-gnare l’arco futurista per la nuova sededella tv di Stato. Altri grattacieli a non fi-nire estenderanno le catene di banche emultinazionali, di hotel americani Hil-ton e Sheraton, Hyatt e Marriott, con gliannessi shopping mall sotterranei: unacittà parallela dove nelle viscere dellaterra si celebra l’orgia del consumismo.

Da quando i cantieri olimpici hannocreato la nuova bolla speculativa di Pe-chino, altri 300.000 abitanti dei vecchiquartieri sono stati sfrattati. Il copione è

loro originario decoro aristocratico oborghese si indovina a stento dopo de-cenni di privazioni. Ma sono sempre,questo sì, inconfondibilmente cinesi. Adifferenza delle selve di grattacieli, de-gli shopping mall con MacDonald’s eStarbucks, del traffico infernale di Audie Toyota che intasa i raccordi anulari asedici corsie nell’altra Pechino.

Il mio vicino Li Fuhai mi guida inpantofole dentro casa sua. Amabile,ospitale, questo ometto paffuto di 64anni, operaio metalmeccanico in pen-sione, è felice di raccontare la storia delquartiere dove sono nati lui, suo padree suo nonno. Mi fa accomodare in unastanzetta buia e fredda (con 100 euro dipensione al mese non si spreca il car-bone), la sua voce è interrotta dagli at-tacchi di tosse e da un grillo scatenato.«Mio nonno era del 1880, da giovane halavorato nella villa imperiale dei Qing.Un tempo qui attorno c’erano tantiparchi imperiali, e le botteghe degli ar-tigiani che lavoravano per l’imperato-re, i mercati della frutta e verdura, gli at-tori di strada che improvvisavano duet-ti comici. Mio nonno mi raccontavache questo laghetto faceva parte di unarete di canali, servivano a trasportareriso e grano fino ai palazzi imperiali ealle ville dei cortigiani. Nel ‘49 il primogoverno comunista coprì i canali maper altri dieci anni il quartiere rimasequasi identico, dal ponticello diHouhai in una giornata limpida vede-vamo le montagne, e la fioritura delleninfee rivestiva il lago. Nel ‘59 cominciòil razionamento, la tessera del riso, eper molto tempo scomparvero i merca-ti. Poi la Rivoluzione culturale mi se-questrò mezza casa e la diede a un’altrafamiglia. Se n’è andata solo l’anno scor-so. Oggi invece delle montagne all’oriz-zonte ci sono grattacieli, ma noi vecchinon vogliamo andarcene perché que-sto quartiere è troppo bello, lo chia-miamo ancora il lago dei templi anchese di dieci templi buddisti ne resta uno.Qui mangio la migliore cucina di Pe-chino, so scegliermi la frutta sulle ban-carelle, l’aria è un po’ meno inquinata».

Sotto la dinastia Qing, dal 1644 al1911, il centro di Pechino ha avuto cin-quanta ville imperiali costruite attornoalla Città Proibita. Oggi ne rimangonosolo otto. Gli alveari umani degli hutonghanno subìto un destino analogo sotto

LPECHINO

a signora di mezza età, con icapelli raccolti dietro la nu-ca a chignon, riempie il sec-chiello di acqua melmosa

del laghetto, ci intinge un pennello lun-go e dipinge eleganti ideogrammi sulmarciapiedi: un gruppetto ammira iltrionfo dell’effimero, il piccolo capola-voro di calligrafia destinato a evaporarein pochi minuti. Il giovane flautista ini-zia la mattina con un assolo davanti allago e tiene uno specchietto appoggia-to sulla panchina: mentre suona si os-serva le labbra per correggere gli errori.Il barbiere ha messo la sedia in stradacome tutti i giorni, malgrado il freddoun cliente si fa tagliare i capelli in mez-zo al vicinato. Un ciclista passa into-nando la cantilena del “shuo feipin”,raccatta rifiuti domestici che lui sa co-me riciclare. Tre pensionati portano aspasso i loro amici: grilli e uccelli in gab-bia. I piccioni ammaestrati volano coifischietti di bambù legati alla coda, e laloro musica dal cielo si spande sul quar-tiere. Al calare del tramonto gli adultitorneranno ancora in strada dopo cenaper giocare a scacchi, a carte o al mah-jong sui tavolini in piazzetta; altri neigiardini lungo il lago ogni sera ballano illiscio con un mangianastri come orche-stra, o cantano in coro inni nostalgici diguerre e rivoluzioni.

Il fascino degli hutongÈ la vita degli hutong, i vicoli della Pe-chino antica, un angolo di città che resi-ste alla corsa verso la modernizzazione.In mezzo al cuore della frenetica capi-tale da 15 milioni di abitanti, a poca di-stanza dalla Piazza Tienanmen c’è unpiccolo mondo antico dove le bicicletterestano sovrane (i vicoli stretti scorag-giano le auto), bisnonni e nipoti condi-vidono un’intimità che obbedisce a ritisecolari. Sul reticolo fitto degli hutongsiaffacciano i siheyuan, le tradizionali ca-se di pietra grigia con un solo piano, laforma a quadrilatero, il cortile in mezzo,i tetti di legni intarsiati dipinti come lepagode. Alcune sono modeste casupo-le fatiscenti, altre risalgono alle dinastieYuan, Ming e Qing, fino a 800 anni fa. Il

I nomi degli Hutong:

Vicolo dell’intelligenza e della virtù

Vicolo del pozzodi acqua zuccherata

Vicolo della prosperità eterna

Vicolo della salsa di fagioli

Vicolo del presagio fausto

Vicolo della chiarezza magica

Vicolo della deferenza e della sobrietà

Vicolo della pace amara

Vicolodella via all’ombra dei salici

Vicolodella purezza di ghiaccio

Vicolo della lealtà pura

Vicolo della felicità profumata

Vicolo del fiore della purezza

Vicolodelle composizioni letterarie

Vicolo delle nuvole azzurre

Vicolo delle foglie di tè

Vicolo della carne di agnello

Vicolodell’annuncio di ricompense

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

LA LOTTA TRA PASSATO E FUTUROI vicoli e le case tradizionali dellaPechino antica minacciati dalle ruspedella nuova ondata urbanistica. Il pianoedilizio prevede lo sgombero di interiisolati del vecchio quartiere

In vista delle Olimpiadi del 2008 l’attacco è serrato: di colpo suinteri isolati appaiono gli striscioni che intimano lo sgombero.La resistenza ha scelto una tattica nuova: combattere il poterecon le sue stesse armi, ovvero lanciare il business della

tradizione. Con alcuni rischi

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cidarsi sulla Piazza Tienanmen. Pri-ma gli hanno salvato la vita, poi lohanno sbattuto in carcere con unacondanna a due anni. L’architettoZhao Zhongshu riassume così la si-tuazione: «I dirigenti del Comune ri-cevono tangenti dai costruttori. Tuttii piani urbanistici sono dettati dagliinteressi della speculazione edilizia».Un ex addetto ai lavori, Liu Xiaoshiche per anni fu membro dell’ufficio dipianificazione urbana, ammette che«i costruttori si stanno appropriandodel centro città, ma i loro nuovi edificinon possono sostituire l’atmosfera ela cultura dei vecchi quartieri». Perfi-no un celebre intellettuale di regime,lo scrittore Yu Qiuyu, sembra amaro:«La Cina ha la civiltà più antica delmondo ma in questi ultimi decenninon abbiamo più costruito nulla perla nostra cultura, a parte la crescitaeconomica. Vedo all’opera solo forzedistruttive».

La resistenza organizzataLa resistenza degli abitanti del centrostorico ha assunto le forme di un movi-mento organizzato. Sono sorti combat-tivi comitati di quartiere, assistiti daesperti che hanno tentato tutti i ricorsi.La più celebre di queste battaglie haavuto per protagonisti 24.000 piccoliproprietari coalizzati, sotto la guida del-l’architetto Fang Ke e dell’avvocato WuJianzhong. Ai dirigenti comunisti dellacittà Wu ha osato dire: «Neppure gli in-vasori giapponesi avevano devastatoPechino come voi». Ci sono stati pro-cessi e scandali per corruzione, si è sco-perto un giro di tangenti che in dieci an-ni ha raggiunto i 15 miliardi di dollari, siè perfino suicidato un vicesindaco.

Ormai la mappa degli hutong storicisi è ristretta dentro un eroico quadrila-tero: a Est la Torre del Tamburo e la Tor-re della Campana, due strutture impo-nenti che regolavano i tempi di vita del-la città medievale; al centro i laghettiHouhai e Qianhai; a Ovest il parcoBehaie a Sud la Città Proibita. In questaridotta la resistenza ha adottato unatattica nuova. L’idea l’ha avuta un arti-

sta d’avanguardia, il fotografo Xu Yongche espone le sue opere alla ex-fabbri-ca 798, il Greenwich Village di Pechino.Due anni fa ha pensato di combattere ilpotere con le sue stesse armi. In una Ci-na che venera solo il Dio-denaro, Xu hadimostrato che conservare i quartieriantichi può diventare un business. Hainventato la prima “agenzia turisticadegli hutong” che organizza visite gui-date sui rickshaw, i vecchi taxi-biciclet-ta. «In Cina – dice – se vuoi salvare laStoria devi collegarla a un guadagno».La sua scommessa ha funzionato. Pe-chinesi e stranieri riscoprono il fascinodi Houhai di giorno e di notte. Fiorisco-no ristoranti e alberghi, sale da tè, ne-gozi di lusso e jazz-club. Il nuovo pianoregolatore ora elenca centinaia di vico-li “intoccabili”.

Ma dietro il successo spunta una mi-naccia più insidiosa. Ora è il valore del-le vecchie case, i siheyuan, che sale allestelle. Diventa di moda abitare qui, ilcentro storico vede affluire i nuovi ric-chi del capitalismo cinese, i managerdelle multinazionali straniere, gli arti-sti di successo, e naturalmente la no-menklatura di partito. Il magnate dellatv Rupert Murdoch con la sua secondamoglie cinese Wendi Deng ha appenacomprato uno siheyuan antico che staristrutturando. Gli hutong rischiano lafine di Trastevere, di Venezia o del Ma-rais parigino.

«Cambia tutto con questi ricchi chearrivano – dice il mio vicino Li Fuhai –io me ne accorgo. Quando passeggiolungo il lago Houhaiora davanti alle ca-se ristrutturate vedo alti muri, guardia-ni privati che mi allontanano se mi fer-mo a curiosare. Sono a disagio, non misento più a casa mia».

Arriva il suo vecchio amico SunXiuhong, pensionato dell’azienda elet-trica, per una partita a carte. A 70 anniSun continua a farsi ogni giorno quat-tro ore a piedi, per ritornare qui dalquartiere dove è finito dopo lo sfratto:«Mi manca tutto. La vita in mezzo allastrada, le case senza serrature, gli ami-ci insieme dalla mattina alla sera, la pe-sca nel laghetto, il canto dei grilli».

FOTO HENRI CARTIER-BRESSONMAGNUM/CONTRASTO

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Quattro mesi prima del fallito blitz di Junio ValerioBorghese, nell’agosto 1970, l’ambasciatoreamericano a Roma Graham Martin spedisce a

Washington cinque informative su protagonistie dettagli del piano eversivo. “Repubblica” ne è venuta in possessoe può ricostruire con nuovi particolari quella vicenda

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

possibilità che in Italia possa succedere«qualcosa di grosso» attorno a Ferragosto.D’altra parte — scrive Martin — questevoci sono giunte anche a «un importanteuomo d’affari americano». Sul nome c’èun altro “omissis” ma si tratta certamen-te di Ugo Fenwich, un ventottenne delNew Jersey che fa il dirigente della “Sele-nia”. Fenwich è stato avvicinato da un suoconoscente italiano (altro omissis, ma èpossibile individuarlo nel medico Adria-no Monti) che gli ha parlato del progettochiedendogli d’aiutarlo a capire se il go-verno degli Stati Uniti avrebbe ricono-sciuto il nuovo regime.

Ed è qua che le informative diventanouna spy story italo-americana cheGraham Martin racconta con un’ironiache sconfina nel sarcasmo. Fenwich vie-ne dotato d’una valigetta-registratore e

incontra un altro dei golpisti. L’ennesimoomissis non impedisce di riconoscere lafigura del costruttore romano Remo Or-landini che, in seguito, racconterà tuttoalla magistratura. Martin ascolta la regi-strazione del colloquio e così viene a sa-pere che il capo dei congiurati è il princi-pe Junio Valerio Borghese. Martin lo co-nosce («ha visitato l’ambasciata lo scorso26 gennaio») ma non si fida. La risposta al-la richiesta di riconoscimento è negativa.Non per un particolare riguardo verso lafragile democrazia italiana. L’ambascia-tore semplicemente pensa che il tentati-vo sia destinato a fallire e a provocare unmassiccio spostamento a sinistra del Pae-se. Nel caso in cui poi dovesse riuscire«potrebbe comportare imprevedibili ri-percussioni sull’equilibrio del Mediterra-neo». «Sto cercando — scrive Martin — di

far conoscere questa convinzione al prin-cipe Borghese. Egli deve essere cauto,emulare il suo parente collaterale, Napo-leone, e scegliere come parola d’ordine lafrase: “Non stanotte Giuseppina”».

Fenwich riferisce a Remo Orlandiniche gli Stati Uniti non ne vogliono sape-re. Ma i congiurati non si arrendono. Pas-sa qualche giorno e Monti torna nuova-mente all’attacco. Fenwich è sorpreso datanta insistenza. «Sarò il nuovo ministrodegli Esteri — è la spiegazione — e voglioessere sicuro che, una volta insediato,avrò dagli americani un’appropriataguida». Il risultato è una nuova informa-tiva nella quale l’ambasciatore dà unamazzata definitiva ai golpisti italiani:«Questa affermazione è un motivo in piùper pensare che il golpe fallirà. Non sonostato mai tanto fortunato da trovare un

ministro degli Esteri disposto afarsi guidare da me».

Il primo settembre, nuovosconsolato telegramma di Mar-tin a Washington: «Testardo, ilnostro presunto nuovo mini-stro degli Esteri, ha incontratonuovamente il suo originalecontatto (cioè Fenwich). Gli haillustrato nei dettagli il progettoe gli ha anche detto d’aver otte-nuto l’impegno di Spagna, Gre-cia e Israele a riconoscere ilnuovo governo. La Germaniafederale ci sta pensando, e mol-to dipende da cosa faranno gliamericani». L’ambasciatore èormai esasperato: «Ho ordina-to all’uomo d’affari americanodi rifiutare categoricamente al-tri contatti diretti».

E qua finisce il carteggio chegli Usa hanno deciso di renderepubblico. Per conoscere le suc-cessive puntate bisognerà at-

tendere. Quando anche il resto dei docu-menti sarà desegretato, si saprà perché igolpisti poterono continuare ad agire in-disturbati benché l’ambasciata america-na avesse informato le massime autoritàitaliane. E, forse, si capirà se il contrordi-ne fu dato con una frase in codice. Forseproprio: «Non stanotte, Giuseppina».

si documenti desegretati contengonomolti “omissis”.

Il 7 agosto, data della prima informati-va, è il giorno successivo all’insediamen-to del governo di centrosinistra guidatodal Dc Emilio Colombo. La tensione so-ciale è altissima. L’eterno timore dellapresa del potere da parte dei comunisti harisvegliato le tentazioni golpiste. Ma diquesto Martin non è sorpreso. Con unaprosa sciatta e un po’ annoiata, scrive che«discorsi sulla necessità di un golpe sonoendemici in Italia fin dal dopoguerra». Ilfatto è che questa volta i discorsi sembra-no più seri. James Clavio, un italoameri-cano che da un anno è l’addetto militaredell’ambasciata, ha avuto un colloquiocon un alto ufficiale italiano, Vito Miceli,capo del servizio segreto dell’Esercito,che gli ha parlato esplicitamente della

Un agosto caldissimo quellodel 1970. Graham Martin,da un anno ambasciatoreamericano a Roma, faticaun po’ a orientarsi nella “in-tricate political evolution”

in corso. In pochi giorni viene a sapere tut-to o quasi su un progetto di golpe destina-to a entrare nella storia d’Italia: il “golpedell’Immacolata”. Fu tentato, infatti,quattro mesi dopo, la notte tra il 7 e l’8 di-cembre. E fu — tra i tanti degli anni della“strategia della tensione” — il tentativopiù serio e pericoloso. Gli uomini delFronte Nazionale, così si chiamava l’orga-nizzazione fondata dal principe Junio Va-lerio Borghese, poco dopo la mezzanotteentrarono nell’armeria del Vi-minale, caricarono di armi duecamion. Ma all’una e 49 minutiarrivò il contrordine con una te-lefonata. Chi l’avesse fatta an-cora non è chiaro. Tra le ipotesi,una delle più accreditate attri-buisce l’iniziativa proprio agliamericani.

I documenti acquisiti da Re-pubblica attraverso il “Free-dom Information Act” confer-mano quest’ultima ipotesi. Masoprattutto rivelano che il pro-getto golpista era noto da mesinon solo ai vertici delle Forzearmate e dell’intelligence ita-liana ma anche al ministro del-la Difesa, il socialdemocraticoMario Tanassi, e dunque — se-condo l’ambasciata americana— allo stesso capo dello StatoGiuseppe Saragat. I documentisono cinque informative chel’ambasciatore Martin inviò alDipartimento di Stato di Washington dal7 agosto al primo settembre del 1970. Leautorità statunitensi — alle quali Repub-blica un anno fa aveva chiesto tutto il ma-teriale disponibile sul golpe Borghese —hanno deciso di mantenere il segreto sul-la documentazione prodotta più a ridos-so della “notte dell’Immacolata”. Gli stes-

GIOVANNI MARIA BELLU ePIETRO VERONESE

Golpe Borghese

UFFICIALI PIDUISTILicio Gelli con GiulioAndreotti: alla P2 del

Maestro venerabile eranoiscritti molti ufficiali golpisti

AL CORRENTEMario Tanassi e GiuseppeSaragat, all’epoca ministrodella Difesa e capo delloStato, erano stati informati

E l’ambasciatore Usadisse: “Non stanotte”

Tentarono di farlo passare per lafollia d’un gruppo di militaripensionati. Eppure il pianoprevedeva l’arresto delpresidente della Repubblica el’uccisione del capo della polizia.Dietro il principe Borghesec’erano alti ufficiali (molti legati alcapo della P2 Licio Gelli), gruppiparamilitari neofascisti e ancheelementi dei servizi Usa. I dubbidell’ambasciatore Martin nonescludono un ruolo della Ciache, in quegli anni, a volteseguiva strade autonome. Maichiarito il mistero sulla decisionedi sospendere l’azione. Ilprocesso finì nel nulla. Il giudiceGuido Salvini anni dopo scrisse:«È forse l’unico caso d’unprocesso in cui, per annacquarela portata d’un evento, sono statiassolti tutti, compresi i rei»

la scheda

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«Nella tua inchiesta sulladestra» mi disse CarloCasalegno, «ci stareb-be bene un bel Bor-ghese!». «Intervistarloè vincere un terno al

lotto» gli replicai, «odia i giornalisti e nonsi fa avvicinare da nessuno». Carlo m’in-citò: «Provaci lo stesso. Ti costerà soltan-to qualche telefonata». Il nostro collo-quio alla Stampa terminò lì. Né lui né ioavevamo bisogno di dirci chi fosse l’uo-mo da cercare: Junio Valerio Scipione Al-fredo Ghezzo Marcantonio Maria deiprincipi Borghese. Casalegno era statopartigiano, io un bambino della guerra.Sapevamo tutto o quasi della X Mas, l’u-nità d’élite, diremmo oggi, della Repub-blica Sociale, la più temuta e odiata dagliantifascisti, la più ammirata dai fascisti diSalò.

Prima dell’8 settembre 1943, Borghese,era stato uno degli eroi della guerra sotto-marina. All’armistizio non aveva cambia-to fronte e si era messo alla testa di un pic-colo esercito di volontari. Attorno a lui eranata una leggenda: la sua indipendenzadai gerarchi di Salò, l’autonomia dai tede-schi, i contatti, veri o presunti, con i servi-zi segreti degli Alleati. Ed era stato proprioun ufficiale dell’Oss americano a sottrar-lo al caos sanguinoso del 25 aprile, por-tandolo da Milano a Roma.

Borghese se l’era cavata con quattroanni scarsi di carcere a Forte Boccea, laprigione militare romana. Una volta li-bero, aveva tenuto le fila dei reduci dellaDecima. A destra non disponeva di mol-ti amici. Gli alti papaveri del Msi lo giudi-cavano troppo indipendente e abituato afare da solo, contando su stesso e forte delproprio passato. Difatti, nel settembre1968, quando aveva già 62 anni, fondò unsuo movimento: il Fronte nazionale. Eraun gruppo che, nel lessico odierno, defi-niremmo di destra antagoni-sta, più radicale di quella mis-sina, giudicata subalterna allaDc e alla democrazia parla-mentare.

In quell’epoca, nuclei simi-li nascevano e subito moriva-no dappertutto in Italia. Ma ilPrincipe riuscì a tenere in vitail Fronte. Andando di città incittà, per rintracciare vecchicompagni d’arme e nuoviamici, disposti a credere in luie a finanziare il movimento.Se debbo fidarmi dei miei ri-cordi, il risultato non fu strabi-liante. Molti dei gruppi distri-buiti in ventidue centri esiste-vano soltanto sulla carta. Gliaderenti non superavano ilmigliaio. Pochi gli incontri,dove si concionava contro lapartitocrazia e il comunismodilagante. Niente giornali.Scarsa propaganda. Rarissi-me uscite in pubblico.

A farla corta, il Fronte era soltanto Bor-ghese. Un mito vivente e, anche, un arca-no riproposto di continuo dai misteri diquel tempo disastrato. Nacque così la se-conda leggenda del Principe Nero. Ali-mentata soprattutto dagli avversari. Era

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

Borghese a tirare i fi-li della sovversionedi destra. Era lui lospettrale istigatoredella strage di piaz-za Fontana. Era lui ilcervello della rivoltadi Reggio Calabria.Infine era lui, in Ita-lia, l’uomo della Cia,il servizio segretoamericano, colpe-vole di ogni nefan-dezza.

Si alzò un polve-rone tale che Bor-ghese, impensieri-to, decise di difen-dersi con quattroquerele: una al libro La strage di Stato,due all’Espresso, la quarta alla Domenicadel Corriere. Poi spiegò di non essere fa-scista, ma soltanto un patriota avversariodella democrazia parlamentare. E di ave-re un sogno: abolire i partiti, compreso ilMsi, risuscitare le corporazioni, dare vitaa uno stato forte, tutto legge e ordine.

Ma era davvero così? Cominciai a cer-care Borghese nel dicembre 1969, ventigiorni prima di piazza Fontana. Un ami-co mi suggerì di contattare l’addettostampa del Fronte, Antonio Leva. Ebbi da

lui un indirizzo diRoma, via Giovan-ni Lanza 130: «E’quello del Coman-dante, lo troveràlì». Mi sembròtroppo facile. E in-vece al telefono ri-spose proprio Bor-ghese. Possedevauna voce imperio-sa, ma il tono fumolto cortese. Mispiegò che stavapartendo e non po-teva incontrarmi.Conversammo perpochi minuti. Glichiesi se voleva ri-

costituire il partito fascista. Il Principe simise a ridere: «Ma per nulla al mondo! Sa-rebbe una follia dannosa. Legga il nostroprogramma e capirà».

Ci riprovai l’anno dopo. E senza ren-dermene conto m’infilai in un’avventu-ra tragicomica. Che va rievocata tenendod’occhio le date. Il giovedì 3 dicembre1970 telefonai all’uomo di fiducia delPrincipe: Carlo Benito Guadagni, impre-sario edile, un signore massiccio che erastato marò nella Decima. Mi convocò perl’indomani mattina in un ufficio della

propria azienda, La Facciata, sempre invia Giovanni Lanza a Roma: qui avrei in-contrato Borghese.

Venerdì 4 dicembre, con il fotorepor-ter Mimmo Frassineti, bussai all’usciodella Facciata. Ecco Borghese. In pullo-ver, il corpo fatalmente appesantito, laschiena un po’ curva, le guance cascanti.E l’aspetto più vecchio dei suoi 64 anni.Seppi dopo che soffriva di enfisema pol-monare, la malattia dei sommergibilisti.Ma aveva mani forti. I gesti fermi, del mi-litare abituato al comando. Lo sguardo diun uomo sicuro di sé, però non spavaldo.

L’ufficio era modesto. Zeppo di gior-nali, di libri, di carte. In un armadio sta-vano i documenti della X Mas ai tempi diSalò. Sulle pareti i ricordi della storia pas-sata, a cominciare dal gagliardetto dellaDecima: una X in campo azzurro e il te-schio con la rosa in bocca. Infine un ma-nifesto del Fronte, con le cinque piagheda combattere: corruzione, droga, por-nografia, omosessualità, prostituzione.E il profilo di un bambino in lacrime chestrillava: “Mamma, papà, che cosa aspet-tate a difendermi?”.

Borghese cominciò a farmi l’esame-fi-nestra. Iniziando dal mio libro sull’eser-cito di Salò, pubblicato quell’anno. Me lorimproverò blandamente: «Non m’è pia-ciuto. Ma mi aspettavo di peggio da unantifascista come lei». L’interrogatorioandò avanti per un paio d’ore. Alla fine ilPrincipe mi chiese: «Lei scriverà su di meun articolo obiettivo?». Risposi di no:«Non ne sarei capace». Borghese annuìsoddisfatto: «È una risposta da uomoschietto. Le darò l’intervista. Ma domanipomeriggio. Sarà un affare lungo. E ades-so mi manca il tempo».

Sabato 5 dicembre, parlammo dalle 16alle 19. Il Principe sopportò decine di do-mande, che partivano dall’8 settembreper arrivare all’attività del Fronte. Mi la-sciò usare il registratore. Sorridendo, ri-fiutò di rivedere l’intervista: «Anche sta-

volta mi attendo il peggio. Manon m’importa». Poi mi con-gedò con una stretta di ma-no: «Venga con noi nel Fron-te. Si sentirà un uomo libero».

Scrissi l’intervista la seradi lunedì 7 dicembre. Pro-prio in quelle ore, così poi sidisse, gli armati del Fronte sipreparavano ad assaltare laRai. E il mio articolo, intito-lato “Deliri del principe ne-ro”, uscì sulla Stampa il mer-coledì 9 dicembre, ossiaventiquattro ore dopo il fal-limento del presunto golpe.Un golpe che nessun giorna-le, nessuna radio, nessunativù registrò.

La storia emerse l’annosuccessivo, il 17 marzo 1971.Rimasi sbalordito. E comin-ciai a pormi qualche doman-da. Uno che sta per attuareun colpo di Stato riceve ungiornalista del campo avver-

so? Parla per tre ore davanti a un regi-stratore acceso? Si lascia fotografare inpose tanto poco marziali? Forse sì, forseno. A quel tempo mi dissi: no, è assurdoche lo faccia. Sono rimasto della stessaidea. Per me quel golpe non c’è mai sta-to. Ma forse sono l’unico a pensarla così.

GIAMPAOLO PANSA “Io e il Principe neroinsieme alla vigilia”

L’INTERVISTAJunio Valerio Borghese(da giovane nella foto in alto)durante l’intervistacon Giampaolo Pansa

‘‘il dubbioMesi dopo, quando

seppi, rimasisbalordito: uno chesta per fare un colpo

di Stato parla orecon un giornalista

del campo avverso?

‘‘il colloquioJunio Valerio

Borghese mi ricevetteil 5 dicembre, duegiorni prima delpresunto golpe

Tre ore di domandee risposte

il ricordoFOTO GRAZIA NERI/TLP

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Alberto Arbasino

MARESCIALLEE LIBERTINI

Maestri e opere del Novecentoleggendario nelle appassionate memorie

di un flâneur musicale trascinante.

«Biblioteca Adelphi»Pagine 479,   25,00

WWW.ADELPHI.IT

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Gloria SwansonIo sono grande. È il cinema

che è diventato piccoloViale del tramonto - Usa 1950

Dopo le top cento delle pellicole, degli interpreti, delle colonne sonore e dei personaggi del grande schermo, l’American Film Institute sta selezionando le frasi che hanno fatto la storia

di Hollywood. Da Via col vento a Casablanca, dal Padrino al Silenziodegli innocenti, ecco una prima scelta delle” perle” di sceneggiaturache hanno già ottenuto la nomination e si candidano alla vittoria finale

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

Una battuta lo salverà

Alec GuinnessLa forzasia con te

Guerre stellari - Usa 1977

Clark GableFrancamente, cara,

me ne infischioVia col vento - Usa 1939

Vivien LeighDomani

è un altro giornoVia col vento - Usa 1939

Orson WellesUccidere te è come uccidermi...ma sono annoiato di entrambi

La Signora di Shanghai - Usa 1947

E.T.Telefono

CasaE.T. l’extra-terrestre - Usa 1982

John TravoltaCome chiamano un Big Mac

a Parigi? Le Big MacPulp Fiction - Usa 1994

Harvey KeitelSono il signor Wolf.Risolvo problemiPulp Fiction - Usa 1994

Robert De NiroUn colpo

soloIl cacciatore - Usa 1978

Jack LemmonNessunoè perfetto

A qualcuno piace caldo - Usa 1959

Faye DunawayÈ solo?

Non lo siamo tutti?Chinatown - Usa 1974

Humphrey BogartÈ la stampa bellezza.

E non puoi farci nienteL’ultima minaccia - Usa 1952

Dustin HoffmanÈ un bel giorno

per morirePiccolo grande uomo - Usa 1970

NNEW YORK

el 1998 l’American Film Institute lanciòl’idea di eleggere il miglior film america-no di tutti i tempi, invitando una giuriacomposta dalla crema del cinema statu-nitense a commentare le proprie scelte

nel corso di un seguitissimo special televisivo. La seratasigillò il trionfo di Quarto Potere e segnò uno straordi-nario successo mediatico, al punto che l’Afi proclamò inseguito le cento migliori commedie (vinse: A qualcunopiace caldo), i thriller (Psycho), le storie d’amore (Casa-blanca), le canzoni tratte da film (Over the rainbow), glieroi positivi (Atticus Finch), i cattivi (Hannibal Lecter) ele leggende dello schermo (Humphrey Bogart e Katha-rine Hepburn).

Il prossimo giugno verranno celebrate le cento battu-te più significative dei film americani, attraverso il votodi 1500 personalità della settima arte che partiranno da

ANTONIO MONDAuna preselezione di 400 battute che sintetizzano l’inte-ra storia del cinema statunitense. Si va dall’inizio del ci-nema sonoro («Aspettate un attimo: non avete ancorasentito nulla», pronunciata da Al Jolson nel Cantante diJazz) ai film recenti («Mio tesoro» ripetuto fino al delirioda Gollum nel Signore degli Anelli), lungo una lista chenon trascura alcun genere. La battuta a effetto, realizza-ta spesso da pagatissimi “script doctors” anonimi, è sindagli albori del cinema uno degli elementi di forza dellacinematografia Usa: in molte occasioni riassume il sen-so del film («Sono il migliore, anche se mi batterai saròsempre il migliore», spiega Paul Newman a un rivale nel-lo Spaccone), arricchendolo di uno spessore epico chetrascende la vicenda raccontata e attribuisce alla pelli-cola la materia di cui sono fatti i sogni.

Gran parte delle battute più celebri risultano impro-nunciabili e forse anche ridicole nella vita quotidiana,ma sono perfette proprio per il loro irrealismo. Se VivienLeigh chiude Via con vento dicendo «domani è un altrogiorno», in CasablancaIngrid Bergman si chiede se il ru-more che sente «è il battere del cuore o i cannoni» in lon-

tananza, e si deve solo allo straordinario fascino del filmse la battuta sia diventata di culto insieme a «questo è l’i-nizio di una grande amicizia». La diva dimenticata inViale del tramonto afferma stizzita «io sono grande, è ilcinema che è diventato piccolo», e dopo aver ucciso il gi-golo che cerca di abbandonarla, accoglie gli operatoridei cinegiornali come se fossero quelli di un film nel qua-le nessuno l’ha scritturata, dicendo «sono pronta per ilprimo piano, Mr. De Mille».

Tra i grandi del cinema, Billy Wilder ha avuto il mag-gior numero di citazioni (13), mentre tra gli autori con-temporanei sono imprescindibili i dialoghi di QuentinTarantino. Ma è Coppola il cineasta che ha le battute piùmemorabili: nel Padrino è Michael Corleone a parlaredi «un’offesa alla mia intelligenza», ed è sempre lui adaver imparato dal padre a «fare un offerta che non si puòrifiutare». In Apocalypse Now, (la sceneggiatura è di JohnMilius) il folle Colonnello Kilgore proclama dopo unbombardamento «amo l’odore di napalm la mattina. Sadi vittoria», mentre Patton, di cui Coppola ha scritto ilcopione, inizia con il generale d’acciaio che spiega ai

suoi soldati: «Nessun bastardo ha mai vinto una guerramorendo per la propria patria. L’ha vinta facendo mori-re lo stupido bastardo dall’altra parte per la sua patria».

Viene attribuita ad Orson Welles la battuta della sce-neggiatura di Graham Greene per il Terzo Uomo («Pertrent’anni in Italia al tempo dei Borgia ci sono state guer-re, violenza e spargimento di sangue, ma anche Miche-langelo, Leonardo ed il Rinascimento. In Svizzera han-no avuto amore fraterno, pace e democrazia per cin-quecento anni, e cosa hanno prodotto? Gli orologi acucù») ed è certamente suo il dialogo con Marlene Die-trich nel finale dell’Infernale Quinlan: «Leggimi il futu-ro... Non ne hai più: lo hai consumato tutto». Sono mol-te le battute colloquiali che acquistano una efficaciastraordinaria nel contesto in cui sono pronunciate:«Houston, abbiamo un problema»; «Telefono. Casa»;«La forza sia con te», «E’ la stampa, bellezza!», «Mostra-mi i soldi!». E però è sempre di John Ford, il più epico deiregisti americani, la battuta programmatica di gran par-te del cinema Usa: «Quando le leggende diventano fat-ti, stampa la leggenda».

Cinema

Paul NewmanSono il migliore... Anche se mibatti, sarò sempre il migliore

Lo spaccone - Usa 1961

Mel BrooksFa a Shakespeare quello che

noi stiamo facendo alla PoloniaEssere o non essere - Usa 1983

Page 13: Monsignore e il socialista - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2004/19122004.pdf · verde. Il prete esorcista gli agita addosso un crocifisso e urla: «Satana,

Il cinema è una grande rete e col-leziona la vita, come si fa con lefarfalle. Il cinema racconta voli, eimprigiona le ali con gli spilli. Leali e gli spilli, a volte diventano inostri appunti su un taccuino

che smarriremo. Siamo la solitudine diTaxi Driver, dentro la pioggia. E siamola lucentezza del Settimo sigillo: «Lo ri-corderò questo momento: il silenziodel crepuscolo, il profumo delle frago-le, la ciotola del latte, i vostri volti su cuidiscende la sera».

La nostra giovinezza si soffiò il nasodurante la sessantacinquesima scenadel film più bello di Wim Wenders, Nelcorso del tempo, quando Bruno, den-tro a un cinema in demolizione, fu-mando nella penombra, dice a Ro-bert: «Sono contento che siamo anda-ti sul Reno. Per la prima volta mi sen-to come uno che ha dietro di sé un cer-to tempo, e questo tempo è la mia sto-ria».

Gocce di altri cuori rimarginarono ilnostro, proprio alla fine del Porto del-le nebbie di Marcel Carné, sceneggia-tura di Jacques Prévert, quando JeanGabin dice alla bellissima MichèleMorgan: «Dove vai?» E lei: «Non lo so».E lui: «Allora andiamo dalla stessaparte».

Memorabile purezza scaturì dal vi-so romantico di Juliette Binoche, al te-lefono con Olivier, nel Film blu di Kie-slowski: «Sono Julie. Volevo chieder-le… Lei mi ama?». «Sì». «Da molto?».«Da quando ho cominciato a lavorarecon Patrick». «Lei pensa che io sia me-ravigliosa?». «Sì». «Affascinante?»«Sì». «Pensa a me? Sente nostalgia perme?». «Sì…». «Venga qui, per favore».«Adesso?». «Sì. Adesso». «È sicura?».«Per favore, venga».

Tutto talmente fascinoso — amore,urgenza, sofferenza per un istante inattesa — da costringerci a temperarela malinconia dentro al saloon di Sfi-da infernale quando Henry Fonda siappoggia al bancone e fa: «Mac, seimai stato innamorato?«. «No: ho fattoil barista tutta la vita».

I piccoli frammenti del grandespecchio, sono una parte di noi. Ilgrande cinema è una parte di noi. Ipiccoli frammenti del grande cinemamoltiplicano le nostre vite. Viaggianoin parallelo ai nostri fotogrammi. Cisorprendono fino al corto circuito diMia Farrow ne La rosa purpurea delCairo, quando viene baciata da JeffDaniels e dice «E la dissolvenza?» «Co-sa?» «Sempre, quando il bacio si fa ar-dente, subito prima dell’intimità c’è ladissolvenza».

Dice Truffaut: «Il cinema è un trenonella notte». Dice Dino Risi: «Il cine-ma è una donna nuda con la pistola».

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

PINO CORRIAS

Peter SellersLa vita

è uno stato mentaleOltre il giardino - Usa 1979

James StewartNessun uomo è un fallito

se ha degli amiciLa vita è meravigliosa - Usa 1946

Al PacinoÈ un’offesa

alla mia intelligenzaIl Padrino - Usa 1972

Anthony HopkinsHo un amico

per cenaIl silenzio degli innocenti - Usa 1991

Liam NeesonLa listaè la vita

Schindler’s list - Usa 1993

Al PacinoGli ho fatto un’offerta

che non poteva rifiutareIl Padrino - Usa 1972

Woody AllenL’ultima donna in cui sono

entrato è la statua della LibertàCrimini e misfatti - Usa 1989

Anthony PerkinsMia madre

non si sente molto bene oggiPsyco - Usa 1960

I MIGLIORI FILM

1. Quarto potere2. Casablanca3. Il Padrino4. Via col vento5. Lawrence d’Arabia6. Il mago di Oz7. Il laureato8. Fronte del porto9. Schindler’s List

10. Cantando sotto la pioggia

I MIGLIORI ATTORI

1. Humphrey Bogart2. Cary Grant3. James Stewart4. Marlon Brando5. Fred Astaire6. Hanry Fonda7. Clark Gable8. James Cagney9. Spencer Tracy

10. Charlie Chaplin

LE MIGLIORI ATTRICI

1. Katharine Hepburn2. Bette Davis3. Audrey Hepburn4. Ingrid Bergman5. Greta Garbo6. Marilyn Monroe7. Elizabeth Taylor8. Judy Garland9. Marlene Dietrich

10. Joan Crawford

FO

TO

CO

RB

IS

I personaggi dei film dicono quello che avremmo voluto dire noi

Le frasi magicheche sono entratenelle nostre vite

Il cinema è mistero, emozione, avven-tura, immaginazione. Ma è anche (especialmente) il rischio della verità,con adeguata colonna sonora, la per-fezione della menzogna, nel buio diuna Coca cola, la nostalgia dei ricordi,sui titoli di coda. Talmente più ricco edivertente della vita vera da fare reci-tare a Nathalie Baye, in Effetto notte,l’omaggio più bello: «Io per un filmpotrei piantare un uomo, ma per unuomo non pianterei mai un film».

Il cinema ci sorprende (talvolta)con una istantanea. Parla con la no-stra voce. Dice quello che avremmovoluto. Essere almeno una volta Al-berto Sordi in Una vita difficile, quan-do grida: «Siete turisti? Cosa venite afare qui? Non c’è niente da vedere….È tutto uno schifo… Non visitate l’Ita-lia, statevene a casa vostra, che è me-glio!». Essere almeno una volta Mar-cello Mastroianni ne La dolce vita: «Ame invece Roma piace moltissimo:una specie di giungla tiepida, tran-quilla, dove ci si può nascondere be-ne». Essere almeno una volta Totò:«Se a Milano quando c’è la nebbia nonsi vede, come fanno i milanesi a vede-re se c’è la nebbia?». Essere Ciccio In-grassia sull’albero di Amarcord,quando grida: «Voglio una donaaaa!».O essere il suo contrario, Robert DeNiro, in C’era una volta in America, in-grassato, pieno di silenzi, mentrealeggia la domanda: «Cosa hai fatto,Noodles, in tutti questi anni?» e lui chesi toglie il cappello, respira, aspetta,dice: «Sono andato a letto presto».

Cesare Zavattini raccomandava airegisti di salire sui tram per prendereappunti. La commedia italiana è natalì. Oggi è stramorta dentro ai taxi e al-le terrazze. Le recenti generazioni dipubblico hanno continuato a saliresui tram, perfettamente sole o al mas-simo con Nanni Moretti e il suo picco-lo archivio. Faccio cose, vedo gente.Te lo meriti Alberto Sordi. Andiamoavanti così, facciamoci del male. Mi sinota di più se non vengo o se vengo esto in disparte? Poi la Nutella, la Sa-cher, la canna. E naturalmente: «Tiprego, di’ qualcosa di sinistra». Tuttodi media qualità televisiva, di infanziacon l’ascensore, di immaginazione li-ceale, di microscopiche derive senti-mentali, come gli anni toccati in sorte.

Furio Scarpelli dice che «le trame sicomprano dal tabacchino, ma i per-sonaggi no». Giusto. Perché i perso-naggi siamo sempre noi. Seduti o a ca-vallo della vita. Memorabili o (comeoggi) da dimenticare. Con un muc-chio di cose da dire, oppure nessuna.Perché lo specchio si fa grande spe-cialmente nell’attesa. E in fondo lamigliore battuta di (quasi) tutto il ci-nema è ancora la sigaretta accesa diHumphrey Bogart.

Robert DuvallAdoro l’odore di napalmla mattina. Sa di vittoria

Apocalypse now - Usa 1989

A fianco, i primi diecinelle precedenti

classifiche dell’Afi

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

spettacoliMusica e Televisione

La voce nuda di Lennon

La chitarra di John Lennon accompagnain un semplicissimo quattro quarti: untocco sulla corda bassa e tre pennate al-l’ingiù. La canzone si intitola Love, e la sipuò ascoltare nella sua nitida essenzia-lità in un cd uscito da poco, Acoustic.

Non ne ha parlato quasi nessuno, tranne gli specia-listi stretti come Stefano Pistolini, eppure dovrebbetrattarsi di un evento mondiale. La vedova Lennon,Yoko Ono, ha messo in commercio al-cune delle registrazioni domestichedel Beatle più acido, il divo pacifistadei bizzarri “bed-in” in giro per le ca-pitali, la vittima della voglia di riscattodell’assassino Mark David Chapman.

«Love is real, real is love…»: la voce ènuda e suggestiva. E soprattutto sem-bra che la canzone venga eseguita perla prima volta, in una session estem-poranea. È melodia pura, “canzone insé”, priva di manipolazioni (sicchénelle note allegate al disco, Yoko Onopuò dedicare l’album «a tutti i futurichitarristi»; i testi delle canzoni sonoaccompagnati dalle sigle degli accor-di; alla fine c’è anche un prontuariocon i diagrammi degli accordi stessi).

Ma la sensazione più forte è al primoascolto, quando nella sua ultima casa inglese, o nel-l’appartamento di New York City in cui traslocò con lamoglie giapponese nel 1971, Lennon cerca pian pia-no l’ispirazione post-Beatles. Tenta, prova, accenna.Alcune sono soltanto gli embrioni di canzoni che poisono entrate nella storia del rock. Altre invece sono giàpraticamente perfette, benché gli strumenti di regi-strazione siano artigianali. Il pezzo iniziale, WorkingClass Hero, a dispetto del ritmo ternario da ballatacountry, contiene quasi un’anticipazione del punk.L’ultima, It’s Real, è poco più di un minuto fischietta-to nello stesso modo con cui Lennon avrebbe conse-gnato alla passione di alcune generazioni la melodiacosì sentimentale di Jealous Guy, «I was thinking of thepast, and my heart was beating fast…».

Siamo nei primi anni Settanta. Quelle canzoni di-venteranno i titoli di punta di dischi come John Len-non / Plastic Ono Bande il celeberrimo Imagine.Og-gi si riascoltano come se provenissero direttamen-

te dalla voce e dalla chitarra del loro autore, con leimperfezioni tecniche, le lievi scordature della chi-tarra, forse – anzi, senza forse – più intense ed emo-zionanti della versione consegnata alla ufficialitàdiscografica.

Ma sì, diciamolo: struggenti. Perché «il poteremagico, abiettamente poetico delle canzoni» (PierPaolo Pasolini) è in agguato ogni volta che esse ap-paiono genuine, non artefatte dall’ingegneria so-nora. In quegli stessi anni, da noi Lucio Battisti fu-roreggiava sbancando ogni classifica. Ciascunopuò riascoltare, se vuole, canzoni notissime comePensieri e parole o I giardini di marzo. Anzi, magariqualcuno avrà acquistato come regalo di Natale laraccolta tripla selezionata da Mogol, Le avventure di

Lucio Battisti. Ebbene, come si sa il primo disco del-l’antologia si apre con una interpretazione ineditadi Vendo casa, un brano portato al successo nel 1971dai Dik Dik.

Si tratta in origine di una “lacca”, un dischetto diprova per proporre una canzone a chi l’avrebbe ese-guita. Ma l’esecuzione di Battisti, solo voce e chitar-ra, è drammaticamente buona: buona perché sem-plice, buona perché efficace, buona perché fa sen-tire come la canzone è stata composta e come la in-tendeva l’autore. Buona quindi perché vera, auten-tica per quanto può essere autentica una canzone.

C’è una teoria secondo cui le opereminori sono più interessanti dei capo-lavori perché lasciano percepire gli ir-rigidimenti della composizione, lestrettoie nella scrittura, la meccanicitàdi certe soluzioni: insomma, ciò chedefinisce uno stile. Sicché si capisceperché Mogol abbia dichiarato di es-sere rimasto «squassato» nel risentirela versione battistiana di quel vecchiohit, a più di trent’anni di distanza. Nel-la semplicità della musica senza sofi-sticazioni, le canzoni riemergono piùnaturali, e quindi più decifrabili, im-mediate. Irresistibili. Certo, soprattut-to nel caso di Lennon ci vuole unamentalità feticistica per andare a ri-sentire certe “ur-song”, la matrice pri-mitiva di canzoni come Woman is the

Nigger of the World o la durissima Cold Turkey,«Can’t see non future, can’t see non sky… I wish Iwas a baby, I wish I was dead».

Tanto per offrire altro veleno gli inguaribili, il li-bretto allegato al disco di Lennon offre anche qual-che scarna battuta dei dialoghi che precedono lecanzoni. Si sente un “mi” che viene accordato. Vo-lendo, è anche possibile sostenere che oggi l’unicomodo per ascoltare la musica che ci ha accompa-gnato la vita sarebbe quella di andarsi a cercare i re-perti registrati, le rarità filologiche, gli abbozzi chenon sono mai usciti dagli archivi delle case disco-grafiche. Perché per tutti noi sovraccaricati dal suo-no ipertecnologico, l’unica speranza di autenticitàè nell’irripetibilità di un’esecuzione sbagliata, nel-l’errore di intonazione che precede la registrazionedi una piccola meraviglia che tutti ascolteranno poiallo stesso modo: ma che in quel momento sembrarinascere soltanto per noi.

ASTA DA CHRISTIE’SNEW YORK. Una chitarra appartenuta aGeorge Harrison è andata all’asta a NewYork per 567.500 dollari. Si tratta di unarara Gibson SG apparsa in due film deiBeatles, suonata da George nell’album“Revolver” (1966) e da John Lennondurante la registrazione del DoppioBianco del 1968. Dopo lo scioglimentodel gruppo la chitarra passò a PeterHam, e alla morte di questi, nel 1974, furiposta dal fratello in un magazzino e poiconservata alla Rock and Roll Hall ofFame in Ohio.

BIG A SANREMOROMA. In gara a Sanremo anche NicolaArigliano, Le Vibrazioni e un UmbertoBindi postumo. L’ottantunenne swingeritaliano ha detto: «La canzone parla diamore, ma non di passione ardente. Hol’impressione che ci sia di mezzo ancheuna storia di corna». È di Umberto Bindi,scomparso circa due anni fa, la musicadel brano proposto per la sezionegiovani da Adonà, 24 anni di Catania,voce da soprano. “L’amore che non puòguarire”, parla della malattia cronica diuna persona.

OPERA

Capodanno alla Fenice

apre “L’italiana in Algeri”

VENEZIA. Sarà la sinfonia da L’I-

taliana in Algeri di GioacchinoRossini ad aprire quest’anno la se-conda edizione del concerto di Ca-podanno, in programma alle 12 del31 dicembre e del primo gennaio al-la Fenice di Venezia. Il primo gior-no del nuovo anno il concerto verràtrasmesso in diretta su Rai 1. Chiu-derà il brindisi della Traviata diGiuseppe Verdi.

LIRICA

Medaglia da Cofferati

a Ruggero Raimondi

BOLOGNA. Il sindaco di BolognaSergio Cofferati ha consegnato ve-nerdì sera a Ruggero Raimondi (fo-to) una medaglia d’oro per i qua-rant’anni di carriera. La cerimonia èavvenuta sul palcoscenico del teatroComunale al termine del Don Pa-

squale di Donizetti, di cui il celebrebasso baritono bolognese è protago-nista. Raimondi, dopo il Don Pa-

squale (repliche fino al 30), sarà aMadrid nel Barbiere di Siviglia diRossini, a Cagliari per il Don Gio-

vannidi Mozart e a Zurigo per il Fal-

staff di Verdi.

CINEMA

“Shrek 2” e “Incredibili”

più belli in digitale

MILANO. “Shrek 2” e “Gli incredi-bili” su grande schermo in versionedigitale: l’opportunità unica di vede-re i due film ad altissima definizionela offre il cinema Arcadia di Melzo, apochi chilometri da Milano, che haavuto l’esclusiva per presentare nel-la versione elettronica i due film dianimazione, soprattutto l’attesissi-mo “Shrek 2” che secondo i critici èanche più bello del primo. La versio-ne digitale garantisce immagini niti-de e brillanti, e audio non compresso.

In breve

DROMA

alla Rai cantano vittoria. «L’ac-cordo con Celentano è cosa fatta», an-nunciano i dirigenti di Viale Mazzini:«Per sabato 9 aprile è prevista la primadelle quattro puntate del nuovo show delMolleggiato. Il calendario politico depo-ne a favore: le elezioni regionali si tengo-no il 4 aprile, Celentano arriva dopo, po-trà esprimersi liberamente senza causa-re troppi danni». Ma in Rai hanno dovu-to faticare non poco a spegnere l’incen-dio che, due settimane fa, rischiava dibruciare l’immagine dell’azienda, accu-sata di voler «censurare» l’artista più in-censurabile d’Italia: Adriano Celentano.

In questi giorni i negoziati erano ripresicon incontri serrati tra Alessio Gorla (di-rettore risorse televisive) e i rappresen-tanti del Clan Celentano, gli avvocati del-lo studio Assumma e il potente RubensEsposito, responsabile degli affari legalidella Rai. Ieri si aspettava un comunica-to che avrebbe sancito l’accordo, ma poiprudenti fonti aziendali hanno spiegatoche «si stanno definendo gli ultimi parti-colari del contratto»: vale a dire che l’ar-tista non rinuncerà alla sua autonomia eil servizio pubblico salverà la faccia.

Per rendere «libero» Celentano han-no avuto un ruolo chiave il produttoredello show, Bibi Ballandi, e il direttoregenerale Flavio Cattaneo, che ha segui-to in prima persona la trattativa. La que-stione era delicata. Il 4 dicembre scorsoAdriano Celentano aveva definito

«inaccettabili» le condizioni della Rai, lapretesa d’esaminare in anteprima i testidel suo show, minacciando di abban-donare tutto «finché la Rai non mi rico-noscerà la libertà di parola che ho sem-pre avuto». All’inizio il direttore di RaiU-no Fabrizio Del Noce aveva spiegato chesi trattava di una scelta obbligata, nel ri-spetto delle norme sul pluralismo e lapar condicio (applicate per tutti i comu-ni mortali della tv), ma con il cresceredelle polemiche si è capito che pur dinon rompere con Celentano in Raiavrebbero fatto carte false. La confermaera arrivata dallo stesso Flavio Cattaneoche, ospite di “Che tempo che fa”, a Fa-bio Fazio aveva assicurato: «Con lui c’èstato un malinteso. Sono certo che tuttala faccenda si risolverà». Ma c’è semprela variabile Celentano.

RaiUno.“Celentano? Accordo fattoSì allo show ma solo dopo le elezioni”

INCISIONI INEDITEAppena usciti “Acoustic” di John Lennon e “Leavventure di Lucio Battisti”. Sopra, i due musicisti

MOLLEGGIATOCelentano trattaancora con la Rai

EDMONDO BERSELLI

LEANDRO PALESTINI

Solo una chitarra a seicorde per accompagnarsi.Ma se le mani sonodell’ex Beatleodi Battistiè una grande emozione

Fare del bene porta bene. A molti bambini.

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46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

i saporiDelizie sotto l’albero

Il 73 per cento degli italiani preferisce il panettone senzafarcia, che aspetta da tempo la sua certificazione protetta,ma nessuno si sottrae alla tradizionale carrellata didolciumi regionali: dal panforte al torrone, dagli struffolial pampepato, dal pandoro alle cartellate. Sulla tavoladelle feste sarà un trionfo di zuccheri

Il girone dei golosiva in Paradiso

itinerariPanettone

Il siciliano CorradoAssenza è uno deipiù prestigiosipasticcieri italianiLa continua ricercasui dolci lo porta acollaborare conchef di tutta Europa

LOMBARDIA

Nato, secondo la leggenda, dalla creatività di unaspirante cuoco alla corte del Duca Ludovico, il“pan de Toni”, è il dolce di Natale pereccellenza. Peccato che le richieste didenominazione comunale (lanciata un anno fada Gino Veronelli) e di Igp giacciano inevase. Lagrande industria incombe, gli ingredienti di basso profilo abbondano, le produzioniveramente artigianali sono merce rara.

PasticcerieBERTI, Via Aselli 35, telefono 02-730049.Milano.

BOSNELLI, Piazza Cavour 3, telefono 02-9017690. Arluno (Milano).

LA BOUTIQUE DEL DOLCE, Via De Giorgi 2,telefono 039-6049251. Concorezzo (Milano).

PASTICCERIA VENETO, via Salvo D'Acquisto8, telefono 030-392586. Brescia.

LA RICETTA DI PELLEGRINO ARTUSI

«La Marietta è una brava cuoca e tanto buonaonesta da meritare che io intitoli questo dolcecol nome suo, avendolo imparato da lei».Così Artusi descrive il «Panettone Marietta».

LICIA GRANELLO

Si chiamano così per lapresenza dell’uva passa

(pabassa in sardo) insiemea mandorle, noci e mostocotto. Quest’ultimo segna

il momento cloudella preparazione

a fine ottobre

Dolce di derivazionegreca (kartelàs, cestino)

Le strisce di pastasottilissima, avvolte su

se stesse, dopo la fritturavengono immerse

nel miele o nel mosto

L’interpretazione umbradel classico pane speziato(con frutta secca, uvette,scorze candite, spezie) si

arricchisce di miele, mostocotto, cacao amaro

e cioccolato

Dolci

Ingredienti300 grammi di farina finissima, 100 grammi diburro, 80 grammi di zucchero, 80 grammi di uvasultanina, un uovo intero e due rossi, una presadi sale, 10 grammi di cremorodi tartaro, un cucchiaio di bicarbonato di soda,20 grammi di candito a pezzetti, due decilitri dilatte, odore di scorza di limone.

PreparazioneD’inverno rammorbidite il burro a bagno-mariae lavoratelo colle uova; aggiungete la farinae il latte a poco per volta, poi il resto menol'uva e le polveri che serberete per ultimo;ma, prima di versar queste, lavorateil composto per mezz’ora almeno e riducetelocol latte a giusta consistenza, cioè, né troppoliquido, né troppo sodo. Versatelo in unostampo liscio più alto che largo e di doppiatenuta onde nel gonfiare non trabocchi e possaprendere la forma di un pane rotondo.Ungetene le pareti col burro, spolverizzatelocon zucchero a velo misto a farina e cuoceteloin forno. Se vi vien bene vedrete che crescemolto formando in cima un rigonfio screpolato.È un dolce che merita di essere raccomandatoperché migliore assai del panettone di Milanoche si trova in commercio, e richiedepoco impazzamento.

Papassini

Cartellate

PampepatoC’è chi toglie le uvette e chi lo preferisce morbido, chilo fa scrocchiare sotto i denti e chi adora intinger-lo, appena raffermo, nel cappuccino, chi rifiuta ilcoltello perché agguantarne un poco con le mani dàpiù gusto e chi usa tagliere con coltellino a gocciaper romperlo senza sacrificare il piano intonso del

tavolo. Insomma, senza panettone e senza torrone è difficile entrare acuor leggero — e palato soddisfatto — nel gorgo delle feste di fine anno.

Eppure, per entrambi vale il ritornello un po’ triste che accompagnaormai la stragrande maggioranza di ciò che portiamo in tavola: non sonopiù quelli di una volta. Verissimo. Non potrebbero, altrimenti, finire indecine di milioni di pezzi su tutti gli scaffali di ordine e grado, dal più mo-desto discount alla più sontuosa delle pasticcerie… Il guaio vero è chementre i più economici costano meno del pane quelli cosiddetti artigia-nali non sempre valgono il costo spropositato.

Se è vero che la Lombardia vanta i natali di entrambi i superdolci — il“pan de Toni” di Milano e il “Torrione” cremonese — proprio questa èla terra dei grandi inganni gourmand. Si favoleggia — non invano — disuperpasticcerie che fanno preparare panettoni e torroni da aziende vo-tate alla grande distribuzione, pur su ricetta della casa.

Nulla sarebbe, se il cliente non pagasse il prodotto, incartato in pastic-ceria, esattamente come se fosse appena stato sfornato dal pregiato labo-ratorio. Del resto, secondo un’indagine svolta dai Verdi tra le pasticce-rie del centro storico di Milano, solo una su dieci rispetta la ricetta clas-sica, mentre le altre fanno uso di ingredienti estranei alla tradizione.

Comunque, vietato rassegnarsi. Dicono le previsioni che rispetto al-l’anno scorso il nostro Natale sarà egualmente ricco di fette di panettone(il 73% degli italiani lo preferiscono classico) e appena più avaro con leporzioni di torrone, calate in favore del cioccolato, destinato ad avanza-re di oltre il 10% nei consumi. In tutti e tre i casi, però, la tendenza è uni-voca e porta diritto nei laboratori artigianali (quelli veri).

A Milano, dove al dolce tradizionale la Camera di Commercio dedicauna mostra aperta fino al 7 gennaio, si aspetta il varo del disciplinare diproduzione per battezzare e proteggere il “Panettone Tipico della Tradi-zione Artigiana Milanese”. I migliori pasticceri della zona sono schiera-ti con la proposta lanciata proprio un anno fa da Luigi Veronelli. Ma, ildivieto di inserire conservanti ha suscitato il malumore delle industriedolciarie, che producono il panettone in anticipo e hanno bisogno di con-servarlo. Risultato: progetto fermo e ampia libertà individuale nell’usodel meglio o del peggio tra gli ingredienti-base: farina, uova, zucchero,burro, uvetta, canditi.

Il torrone non gode di sorte migliore, ma rispetto al panettone può van-tare una ricetta più semplice e un minor ingombro nella preparazione(dalla doppia lievitazione al raffreddamento, dopo la cottura, a testa ingiù, per evitare che si adagi). E così non potendo contare sui rigori dellalegge, si continua a prestar fede al tam tam dei buongustai, che ogni an-no premia e castiga marchi, negozi e laboratori della provincia golosa.

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

PIEMONTE

Ha i suoi centri storici di produzione tra Asti eAlba. Friabile e leggero, è ricco di nocciole (latonda e gentile piemontese Igp), e miele di fiorid’acacia. I più pregiati utilizzano lo zucchero dicanna e le ostie prive di glutine (per celiaci).

PasticcerieCAROSSO, Via Vittorio Emanuele 23, telefono0173-440600. Alba (Cuneo).

BARBERO, Via Brofferio 84, telefono 0141-594004. Asti.

LOMBARDIA

Il 25 Ottobre 1441, al banchetto di nozze diFrancesco Sforza e Bianca Maria Visconti vienepresentato un composto di mandorle (oggi connocciole e canditi) arricchito con miele e biancod’uovo e modellato come il campanile delDuomo, Il Torrazzo, all’epoca il Torrione.

PasticcerieLANFRANCHI, Via Solferino 30, telefono 0372-28743. Cremona.

RADAELLI, Via Matteotti 9, telefono 0373-256284. Crema.

ABRUZZO

Vanta una curiosa versione “noir”, grazieall’originale, robusto apporto di cioccolatofondente, che gli regala sapore, colore emorbidezza. Gli altri ingredienti sono gli stessidella ricetta piemontese: nocciole di Langa,miele e zucchero.

PasticcerieFRATELLI NURZIA, Piazza Duomo 74, telefono0862-21002. L’Aquila.

CONFETTERIA DI CARLO, Viale del Lavoro,telefono 0864-253070. Sulmona (L’Aquila).

SICILIA

Rispetto a quello continentale, ha una maggiorquantità di frutta secca, quasi esclusivamentemandorle. Qualche anno fa, è stata creataun’irresistibile versione morbida con pistacchi diBronte, filetti di scorza d’arancia candita e mieled’arancio.

PasticcerieCAFFÈ SICILIA, Corso Vittorio Emanuele 125,telefono 0931-835013. Noto (Siracusa).

LA TORINESE, Corso Umberto 59, telefono0942-23321. Taormina (Messina).

Il pan dei poverivestito a festa

Una piccola magia nella storia del cibo

MASSIMO MONTANARI

Il meccanismo è semplice. Si prende un cibo ditutti i giorni, lo si arricchisce di ingredienti spe-ciali, se ne modifica il sapore. La magia è fatta:quel cibo è diventato un segno della festa, nonpiù del quotidiano. È ciò che accade al panequando alla farina e all’acqua si aggiungono

uova, burro, zucchero, trasformandolo in “pane dol-ce”, panone, panettone, pane giallo, pan d’oro, pan diNatale… Le denominazioni sono tante, così come lericette. Il significato non cambia: nel giorno della fe-sta ci vuole un pane diverso.

La riduzione delle varianti locali, indotta dall’indu-stria alimentare, è storia recente. «Il panettone di Milanoda specialità lombarda è divenuto dolce natalizio nazio-nale», spiega la Guida gastronomica d’Italia pubblicatadal Touring Club nel 1931. Appena qualche anno prima,il padre della cucina italiana Pellegrino Artusi si rifiutavadi includerlo nel suo ricettario, restando fedele al “pa-nettone Marietta”, preparato dalla sua cuoca di casa, econsigliando per il pranzo di Natale il “pane bolognese”,derivato da un dolce rustico tradizionale: «i nostri conta-dini», notava già nel XVII secolo l’agronomo bologneseVincenzo Tanara, «impastano la farina con lievito, sale, eacqua, incorporando dentro uva secca,e zucca condita con miele, aggiuntovipepe, e ne fanno una pagnotta grossa,quale chiamano Pan da Natale».

L’origine contadina, o anche cittadi-na, ma sempre legata ai ceti popolari,appare un dato costante nel definire l’i-dentità storica di questi dolci. Le im-probabili leggende sulla nascita del pa-nettone di Milano sembrano confer-marlo. Oltre alla storiella del fornaioToni, che avrebbe dato nome al panet-tone (pan de Toni), è significativa quella che ne assegnala paternità a un nobile milanese di nome Ughetto, checuriosamente vediamo all’opera fuori del suo ambientesociale: egli infatti, innamoratosi della figlia di un for-naio, si sarebbe improvvisato garzone nella sua bottegaper poter stare vicino alla ragazza, che infine riuscì aprendere per la gola imparando a fare il pane dolce e fa-cendoglielo assaggiare.

Dunque i pani natalizi, come tutti i pani dolci, rappre-sentano nell’immaginario collettivo una creazione dellacultura popolare, quasi una variante povera (perché ba-sata sul pane) del contemporaneo trionfo del dolce nel-la cucina aristocratica, che, dopo la scoperta dello zuc-chero, introdotto dagli arabi in Europa nei secoli centra-li del Medioevo, per molti secoli assunse un carattere de-cisamente zuccherino, usando la costosissima polverebianca praticamente dappertutto: sulle carni, sulla pa-sta, nei pasticci ripieni, oltre che, ovviamente, nei dolci.La cucina dolce rimase a lungo un privilegio per pochi,ma un po’ di zucchero, o eventualmente di miele, nonmancò di arricchire anche la cucina semplice. Ciò av-venne con maggiore parsimonia, non su tutte le vivande,non tutti i giorni: negli ambienti popolari fu il pane quo-tidiano a essere trasformato, di quando in quando, in pa-ne della festa.

Il pane di Natale non è solo dolce, è anche farcito: diuvette, di canditi, piccole “sorprese” che vogliono signi-ficare abbondanza e benessere. Un po’ come le monetedi Pinocchio seminate nel campo dei miracoli, questipiccoli “semi” sono una speranza di ricchezza, un augu-rio di fertilità.

L’autore è docente di Storia medievalee Storia dell’alimentazione

all’Università di Bologna

Torrone

Sono le tonnellatedi panettonee pandoroche vengonoconsumateogni annosulle tavoledegli italianidurante lefeste natalizie

99milaÈ quanto lefamiglie italianespenderanno perquesto Natalein panettone: inmedia 17,9 eurol’una. Ma oltre il7% degli italianisupera i 45 eurodi spesa...

360mlnSono i chilidi panettonee pandoroprocapiteconsumati dagliitaliani a Natale:dopo pranzo ocena, a colazione,ma anche a casadi amici e parenti

4,1kgSono le tonnellatedi torroneche vengonoconsumatedagli italianidurante lefeste di Natale:in pratica,mezzo chilo ditorrone a testa

12milaSono gli italianiche preferisconoil panettoneclassico, adispetto diqualsiasi tipodi farcitura. Traquesti, il 23%lo predilige peròsenza canditi

73,4%Il panettoneclassico devecontenere nonmeno del 20%(in peso) di uvettasultanina, scorzedi arancia canditee cedro candito;non meno del10% di burro

20%

La versioneapparentemente light delpanettone. Niente canditi

e uvetta, ma burro inquantità. Il migliore è

quello del pasticciere-chefveronese Perbellini

Lo storico simbologastronomico di Siena

è un composto di farina,mandorle, frutta secca,

frutta candita e spezie (chelo rendono conservabile)

di origine medievale

I minibignè fritti napoletanisono di derivazione greca(strongoulos, arrotondato)

si servono compostiin forma di pagnotta

o ciambella e decoraticon frutta candita

Pandoro

Panforte

Struffoli

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

4

il corpoOfficine degli odori

Identikit del profumo perfetto

I RECETTORISono 350 irecettori olfattividell’uomo: sitrovano nella partesuperioredell’epitelio nasalee individuano lemolecole inalate.Nei topi sono mille

350GLI ODORIIl naso riesce adistinguere circadiecimila odoridiversi. Gli studisull’olfatto hannoportato a LindaBuck e RichardAxel il Nobel perla medicina 2004

10milaLE NOVITÀOgni anno in Italiavengono messiin commercio175 nuovi profumi:95 sono leessenze dadonna, 65 quelleda uomo e 15quelle unisex

175IL MERCATOLa profumeriafemminilerappresenta il 6,9per cento delmercatocosmeticoitaliano. Quellamaschile il 4,6per cento

6,9%L’IMPATTOSecondo gliesperti, bastano16 centesimidi secondo perchéil consumatoresi faccia un primogiudizio sullaconfezionedi un profumo

16

‘‘La naturaVi sono profumi

freschi come carnidi bimbi, dolci

come oboi, verdicome prati, e altri

corrotti, ricchie trionfanti

Charles BaudelaireI FIORI DEL MALE

‘‘La rosaChe cosa c’ènel nome?Quella che

chiamiamo rosaanche con altronome avrebbeil suo profumo

William ShakespeareROMEO E GIULIETTA

1

3

4

6

5

7

8

9

10

1

2

3

5

Per lui

1. Just Cavalli Her. Famiglia olfattiva: fiorito orientale 2. Beyond Paradise Estée Lauder. Famiglia olfattiva: fiorito prismatico 3. Blu Notte pour Femme. Famiglia olfattiva: fiorito speziato4. Narciso Rodriguez for Her. Famiglia olfattiva: luminoso avvolgente femminile 5. Roberto Cavalli Oro. Famiglia olfattiva: fiorito orientale 6. Max Mara. Famiglia olfattiva: fiorito orientale7. Le Baiser du Dragon de Cartier. Famiglia olfattiva: legnoso vetiver 8. Ralph Lauren Blue. Famiglia olfattiva: fresco fiorito 9. Pure Poison Dior. Famiglia olfattiva: puro floreale seducente10. Apparition Emanuel Ungaro. Famiglia olfattiva: fiorito fruttato

Per lei

7

1. GF Ferré Lui. Famiglia olfattiva: legnoso speziato aromatico 2. Givenchy pour Homme Blue Label. Famiglia olfattiva: fresca boisée 3. Burberry Brit for Men. Famiglia olfattiva: frescoorientale legnoso 4. L’Instant de Guerlain pour Homme. Famiglia olfattiva: nuovo boisée luminoso 5. Romeo Gigli Man. Famiglia olfattiva: aromatico muschiato 6. Allure Homme Sport.Famiglia olfattiva: fresco sensuale 7. Armani Black Code. Famiglia olfattiva: insolito orientale 8. L’Eau Bleue d’Issey pour Homme. Famiglia olfattiva: aromatico legnoso avvolgente9. Blu Notte pour Homme. Famiglia olfattiva: speziato legnoso 10. TL pour Lui. Famiglia olfattiva: fougère orientale

9

8

610

Gli OscarOgni annol’Accademia del Profumo assegnail suo premiointernazionale ai nuovi miglioriprofumi del mercato italiano per la fragranza, il packaging e la comunicazione.In questa pagina i 20 finalistidell’edizione 2005

Dal filodendro al cioccolato nero, dallozenzero all’orchidea, dal fiore d’albi-cocco al bambù. La tendenza, in tempidi crisi, è quella del profumo «da pellic-cia»: lussuoso, cipriato, romantico,denso, fiorito. Ecco perché molti profu-

mi si somigliano: vengono creati sulla base di atten-tissime ricerche di mercato. Il cipriato-voluttuoso-avvolgente è quello che il mercato chiede oggi. In unanno in Italia sono stati lanciati, secondo dati Unipro,ben 175 nuovi profumi. Quanti sono destinati ad ave-re successo? Non più del venti per cento. Tutti gli altridisegneranno nei cieli del narcisismo l’arco di unaparabola. Effluvio seduttivo e insieme feticcio. Botti-glia e confezione spesso sono oggetto di ricerca e distudio ancora più dell’essenza. Sembra che il packa-ging provochi autentici colpi di fulmine: in un sestodi secondo, a sentire gli esperti, conquista (o respin-ge) chi guarda. Il profumo e i profumi ci assediano. Inostri recettori olfattivi sono 350 (nei topi mille) e cipermettono di riconoscere almeno diecimila odoridiversi.

Le crociate fragrance-free sembrano ormai apparte-nere al passato. L’aroma branding è la redditizia arte di

usare determinati profumi per marchiare un prodotto.«Sell with smell» è la parola d’ordine: essendo l’odoreun potentissimo mezzo di identificazione, negozi di ab-bigliamento, ma anche catene di supermercati, gruppibancari, gioiellerie, sale d’aspetto di compagnie aereehanno messo a punto un proprio profumo caratteristi-co, o logo olfattivo. Per la sua valenza subliminale il pro-fumo è diventato uno strumento di marketing e anchedi persuasione occulta. Erba appena tagliata, alta ma-rea, bosco dopo la pioggia: questi e altri aromi vengonostrategicamente irrorati per costringere il consumato-re alla resa.

Non deve profumare soltanto il profumo, dunque,ma anche tutto il resto: per esempio le matite per dise-gnare, i divani, i cartoncini d’auguri. Persino i cioccola-tini vengono propagandati per le loro sfaccettature ol-fattive: agrumati, fruttati, fioriti, speziati, balsamici,aromatici. Le nuove fibre hi-tech contengono microca-psule ingegnerizzate che al contatto con la pelle rila-sciano profumo, oltre a sostanze antibatteriche, vita-miniche, antistaminiche. Presto si potranno annusarele e-mail, grazie a un dispositivo chiamato Scent dome(cupola di profumi) che combinerà gli aromi per gene-rare il profumo collegato al messaggio ricevuto, e lodiffonderà con uno spray attorno al computer. E doma-ni (forse) potremo scaricare sul cellulare aromi perso-nalizzati, cambiandoli come si cambiano le suonerie.

LAURA LAURENZI

2

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Magnifica ossessione, tormentata delizia: gliorologi, con le loro mille variabili tecnologi-che e stilistiche, raccontano il difficile rap-porto che gli italiani hanno con il tempo. Vi-viamo sempre più con i minuti contati, nel-l’ansia perenne di non riuscire a far entrare

tutto nelle nostre stipate esistenze. Il tempo ci tiranneggia mal’ossessione si traduce (e forse si esorcizza) nella passione pergli orologi, ovvero gli strumenti attraverso cui la schiavitù di-venta oggettiva e viene scientificamente misurata.

Confrontiamo alcuni dati. L’istituto Astra Demoskopea,che da anni “controlla” il rapporto degli italiani con il tem-po, ha rilevato (in un sondaggio con metodo “Capi” realiz-zato intervistando un campione di 2.000 persone rappre-sentativo di 47 milioni di italiani) che gli “stressati” sono or-mai il 29 per cento, con una tendenza costante di crescita.Inoltre, a contrapporsi al 23 per cento di “lenti sereni” ci so-no gli “eccitati tecnologici” (18 per cento) e i “veloci mo-daioli” (16), per i quali la costante accelerazione dei ritmidi vita diventa addirittura una forma di droga, che generaesaltazione e dipendenza. Restano i “poliedrici” (14 percento), apprezzabile esempio di eclettismo, capaci di al-ternare velocità e intensità diverse.

Sempre secondo Astra Demoskopea, gli italiani dichiaranodi possedere in media otto orologi a testa. Bisogna aggiungereche l’Italia rappresenta il primo mercato europeo e il quarto almondo per l’orologeria, secondo le cifre della Federazione in-dustria orologiera svizzera, dopo Stati Uniti, Hong Kong e Giap-pone, con un fatturato annuo intorno ai 350 milioni di euro.

Un fenomeno non facile da interpretare. Alcune spiega-zioni: innanzi tutto, l’orologio per gli italiani è per tradizio-ne l’oggetto da regalare in occasioni importanti come lalaurea, la prima comunione, anniversari e, soprattutto pergli uomini, il fidanzamento. In secondo luogo c’è il fattoremoda: Swatch ha segnato la via (per anni siamo stati notisaccheggiatori di espositori Swatch nei duty free degli ae-roporti di tutto il mondo) e tutte le grandi marche fashionl’hanno percorsa, entrando nell’orologeria. «Con la parti-colarità — commenta Enrico Finzi, presidente di Astra De-moskopea — che mentre in altri ambiti gli oggetti griffatihanno in genere prezzi elevati, nell’orologeria restano tra iprodotti più economici». Griffe a buon mercato: tentazio-ne irresistibile per i fashion addicted.

Ultima spiegazione: gli orologi sono anche piccoli capo-lavori della meccanica. E anche questa, per un paese dovela meccanica, da Leonardo da Vinci alla Ferrari, fa partedell’identità nazionale, è un’altra tentazione. Almeno finoa quando non si scoprono alcuni prezzi.

le tendenzeTentazioni da polso

50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

Ne possediamo otto a testa. Ci scandiscono in ogniistante la giornata, non riusciamo a farne a meno.Perché per noi italiani contare i minuti che passanoè diventata una mania prima ancora che una necessità.Design, moda, precisione, meccanica: ecco i segretidell’ultima magnifica ossessione

CERAMICAE PREZIOSISMIJ12 è l’orologiosportivo di Chanelin varie versionidalla particolarecassa in legadi ceramica.Anche con ghieraimpreziosita dadiamanti. Prezzisu richiesta.Tel. 02771271

TAMBUROPER SIGNORAQuadrantecolor tabacco,ampio cinturinocon impunturetipo sellaioe l’imitatissimologo Louis Vuitton:è il TambourDame, piccoloed elegante.Da 1.360 euro

CUORE NEROELETTRONICOQuadrante nerocon cuoreelettronicoal quarzo perl’Emporio Armaniserie AR0511,con numeri arabia ore 3 e 9.284 euro

BRACCIALESNODATOCassa in acciaio,rettangolare,con le ansesnodatee strutturaa bracciale sonoi tratti distintividel D&G Timeperfect, in tagliagrande o piccola.130 euro

PRESAGIODI PRIMAVERAAria di primavera,nel G Gucci Flora,che richiamai foulard Guccidel 1966 coni decori sull’ampiobracciale.In tre versioni,solo acciaio,6 e 30 diamanti.Da 650 euro

TRIBALEPER VOCAZIONETribale di Rebeccapunta sull’acciaioe sull’aggressivaforma rettangolarecon sviluppoorizzontaledella cassa, segnidistintivi dellagriffe che coniugagioielleria e moda.138 euro

I NUMERIDEL TITANIOIn edizionenumerata “LorisCapirossi”,il Master Ducatichrono di Breil habracciale in titanioe riproducesul quadrantelo scudettoDucati.450 euro

UN FASCINODISCRETOCronografocon movimentomeccanicoe caricaautomatica,in oro bianco,il Bulgari Ergonconiuga lussonon esibitoe alta meccanica11.200 euro

Stile

Trendy

Nessuno escluso: tutti glistilisti hanno “prestato”il loro segno creativoal mondo dell’orologeriacon successo. Nella foto:Isabella Rossellini

Spike Lee, attore-simboloper i ragazzi più trendyA loro è dedicata unacarrellata di orologiin acciaio, gommae plastica decorata

Orologi

Con gli orologi il tempo si laicizza di fronte al tempodella Chiesa, che è segnato dalle campane

E si tratta in primo luogo di un tempo di lavoroJACQUES LE GOFF

Storico francese‘‘

AURELIO MAGISTÀ

Assalto al tempo

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 51DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

Le nostre oresenza qualità

Età della tecnica e alienazione

UMBERTO GALIMBERTI

Ma che tempo misura l’orolo-gio? Il tempo della natura, iltempo dell’uomo, il tempo di

Dio? No, l’orologio misura un tempoche non ci riguarda come uomini, masolo come funzionari di apparati tec-nici o burocratici, i cui valori sono lafunzionalità e l’efficienza con cuidobbiamo compiere le azioni de-scritte e prescritte dal nostro appara-to di appartenenza nella tempisticaprevista.

Anche il tempo libero è diventato untempo coatto che, se non è divoratodall’inedia, conosce solo la tempisticadelle autostrade, dei treni e degli aereicon cui ci affaccendiamo nelle vacan-ze e nei weekend per ricostruirci ed es-sere pronti il lunedì a riprendere almeglio il nostro tempo alienato.

Chiamiamo questo tempo, chel’orologio misura con l’inesorabilitàdel suo meccanicismo, un «temposenza qualità». Non ha infatti la qua-lità del tempo della natura, che i Gre-ci antichi chiamavano «ciclico», do-ve tutto si ripete con quella cadenzascandita dalle stagioni che dicono:letargo invernale, efflorescenza pri-maverile, rigoglio estivo, vendem-mia autunnale.

Queste differenze qualitative ga-rantiscono la vita della natura e degliuomini che la abitano. Oggi la natu-ra è diventata un’enclave assediatadal cemento delle città, dove freneti-camente si producono e si degrada-no gli artefatti della tecnica. Il pae-saggio, se non è estinto, è desolato.

Accanto al tempo ciclico della na-tura, i Greci avevano individuato iltempo «scopico» proprio dell’uomo.Il verbo greco «skopeo» vuol dire in-fatti: «guardare», «puntare al bersa-glio», tendere a uno «scopo».

Ma nell’età della tecnica gli uominihanno ancora scopi da raggiungere?La risposta è no, perché la tecnica nonsi propone altro scopo che non sia ilproprio autopotenziamento, per rag-giungere il quale, gli uomini devonoimitare il più possibile il ritmo e la re-golarità delle macchine, senza alcuninconveniente «umano». Non è forsevero che in occasione di un incidenteferroviario si va alla ricerca dell’erro-re umano? Ciò significa che, rispettoal dispositivo tecnico, l’uomo è giàconcepito come un errore. In questomodo l’uomo è sottratto all’«agire»dove si compiono azioni in vista diuno scopo, ed è ridotto al puro e sem-plice «fare».

Ma c’è un altro tempo che l’Occi-dente ha ereditato dalla tradizionegiudaico-cristiana che l’orologio nonmisura e di cui stiamo perdendo letracce. È il tempo «escatologico».«Eschaton» vuol dire «ultimo». All’ul-timo giorno si realizza quello che al-l’inizio era stato annunciato. Quandoil tempo è iscritto in un disegno, di-venta «storia». Storia della salvezza,storia del progresso (non del sempli-ce sviluppo), storia dell’utopia, doveil tempo misura il progredire, il mi-gliorare, il redimersi dell’umanità. Inquesto tipo di temporalità fa la suacomparsa la categoria del «senso». Ilsenso della vita, il senso della storiache il tempo scandisce. Ma la tecnica,che ha quella visione contratta deltempo che va dal recente passato al-l’immediato futuro, rende gli uominiincapaci di pensare il tempo escato-logico e quindi il senso della loro vitae della loro storia.

L’orologio misura questo tempo in-sensato dove gli uomini, persa ogni trac-cia delle figure del tempo, si muovono inquella velocizzazione del tempo che,siccome non ospita più alcun senso, è ilprimo generatore dell’angoscia.

All’angoscia si è soliti porre rimediocon i farmaci, a cui ormai ricorre il 50per cento della popolazione occiden-tale, o con la corsa forsennata a ogniforma di distrazione per non incontra-re quel vuoto che è la dimenticanza el’oblio di sé.

Il tempo interiore, che è poi il tempodell’anima che pensa, che sente, che ri-flette, che soffre, che ama senza limiti ditempo, è stato infatti tutto bruciato daltempo esteriore delle cose da «fare», acui l’orologio, incalzante e ossessivo, as-segna il suo tempo senza qualità.

LE ORE IMBIZZARRITE

Autentica follia. E per dueragioni: intanto basta osservarecome sono disposte le ore sulquadrante: sono a “scorrimentodisordinato”. E inoltre perchéil Crazy hours 1.300 Long Islandtourbillon di Franck Mullercosta 106 mila euro

UN RECORD ALL’ASTA

L’orologio con il record di prezzod’asta è un Patek Philippe WorldTime in platino del 1946 cheindica l’ora di 41 città di diversalongitudine, battuto il 14 aprile2002 da Antiquorum a Ginevraper 6.603.500 franchi svizzeri,oggi circa 4.296.000 euro

IL RUGGITO DI ROLEX

Per una volta Rolex ha smentitoil proprio proverbiale low profile:è uscito un cronografo Daytonacon quadrante e cinturinoleopardato in oro con zaffirie brillanti. Concessione allamoda dell’orologeria classica

(Ha collaborato Paolo De Vecchi)

FINE ANNOUN PO’ SPECIALEGomma, acciaioe 84 diamanti(0,73 carati totali)tagliati a brillante:è il curioso mixdi Pirelli Zerotempo diamondsin edizionespecialedi fine anno.Da 1.650 euro

COCKTAILDA TIFFANYAntichi sentori neldesign di questoorologio: dallacollezione Cocktailfirmata Tiffany& Co, il modellocon cassa a formatonneau in orobianco e brillantidi purezza VS.Bracciale a maglia.Circa 11.000 euro

RICORDANDOIL MATRIMONIOD.Side: disegnatoin collaborazionetra Damiani e BradPitt: i due anelliconcentricidella cassa citanole fedi createper il matrimoniodell’attore conJennifer Aniston.1.050 euro

PLASTICAE DIAMANTISicuramenteuna follia natalizia,ma lo Swatch skin“Lustrous bliss”,con 174 diamanti(0,70 carati totali)sul quadrante,conferma lacostante capacitàdi sorprendere delmarchio svizzero.1.150 euro

Più che segnatempogioielli da star:Jennifer Aniston(moglie di Brad Pitt)è un’intenditricedel genere lusso

Gioiello

Con l’invenzione dell’orologio l’eternità gradualmente cessa di essere la misura e lo scopo delle azioni umane. È l’orologio e non

la macchina a vapore a dare l’avvio alla moderna era industrialeLEWIS MUMFORD

Urbanista americano

Un orologio illuminato contro il cielo dichiara che il tempo

non è né giusto né sbagliatoROBERT LEE FROST

Poeta americano

‘‘

‘‘

MARATONETAIN ROSALunghissimariserva di carica,fino a otto giorni,per il Master eightdays perpetual diJaeger-LeCoultre.Data, giorno,mese, anno e fasidi luna. In ororosa. 29.900 euro

LE FORMEDEL CELLINIIl Rolex CelliniDanaos sidistingue perla cassa ibridatra il quadratoe il tonneau.Quadrantebicolore.Meccanico acarica manuale.Circa 5.000 euro

QUADRANTEDI RIGOREEsempiodi estremasobrietà, ha cassacon proteggi-corona, vetrozaffiro e sulquadrante la solaindicazione didata: è il LorenzAquitania.Da 250 euro

AUTOMATICOCON RISERVAVersione ariserva di carica(indicata dallalunetta nella parteinferioredel quadrante)dell’EberhardExtra fortautomatic.In acciaio.2.200 euro

Classico

Il fascino dellatradizione (qualetestimonial miglioredi Clark Gable?)tecnologicamenterivisitata

BENEFICENZAIN DIECI PEZZII soli 10 esemplaridello Sheva 210,prodotti da Sectorper celebrareil calciatore AndriyShevchenko,che li firmasul fondello,sono stati battutia un’astadi beneficenza

CRONOMETROIN FORMULA INDYCronografoal quarzoin acciaio,realizzatoda Tag Heuerper il passaggioda cronometristaufficiale dellaformula Unoalla Indy RacingLeague. 850 euro

ECCENTRICOPER ORESporturaè un cronografocon indicazionidecentratedi ore e minuti.Ha datario e scalatachimetrica.Movimentoautomaticokinetic. Di Seiko.930 euro

SOCCORSODAL CIELOCronografoEmergency,prende nomedal dispositivodi emergenzasintonizzatosulle frequenzedi soccorsodell’aeronautica.Di Breitling.4.350 euro

Sportivo

Lancette sportivissime,da campione (nella fotoMichael Schumacher)per cronometrare earchiviare le piccoleimprese quotidiane

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LA TESTIMONIALMonica Bellucci

testimonialdegli orologi Breil

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l’incontroProfessione seduttore

52 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

DMILANO

opo aver gettato alle orti-che una brillante carrieracome capovillaggio diprima classe, quest’uo-

mo che ha fatto l’aiuto cuoco, il calcia-tore, il barista, il dj, l’animatore turisti-co, il cameriere, il facchino di cucina elo showman tv da 9 milioni di telespet-tatori passa le sue giornate chiuso inuna stanza d’albergo, dalle nove allequindici dal lunedì al venerdì come unonesto travet a stipendio fisso, più glistraordinari un paio di sere a settima-na perché se uno non fa la televisioneda qualche parte deve pure guada-gnarseli i soldi che spende. Ma scusi, glidomando, chi glielo fa fare? RosarioTindaro Fiorello detto Fiore mi guardaattraverso i suoi occhiali colorati comese il marziano fossi io e non lui, che in-vece di godersi la vita su una spiaggiatropicale salta cinque pranzi su sette efa l’orario continuato per RadioDue:«E cos’altro potrei fare? Io lavoro perdivertirmi. Mi diverto lavorando. Aquarantaquattro anni faccio quelloche volevo fare quando ne avevo quat-tordici. Secondo lei, cosa potrei chie-dere di più alla vita?». Mi viene il dub-bio che abbia ragione lui.

Sono le dieci del mattino e ci trovia-mo nella suite 720 di un grande alber-go milanese, che di notte è la sua ca-mera da letto e di giorno diventa lo stu-dio di Viva Radio Due, la trasmissioneche è diventata un programma-cult,esattamente come lo era trent’anni fail mitico Alto Gradimento di Arbore eBoncompagni. Giornali sul letto, libri edischi sul divanetto, buste da shop-ping piene di jeans e felpe colorate sot-to la finestra, una latta da cinque litrid’olio extravergine accanto alla tv euna vecchia foto del papà (un bell’uo-mo dal sorriso luminoso che ha lascia-

to in eredità al figlio) appoggiata senzacornice sulla lampada del comodino,con qualche strappo e un angolo man-cante e dunque ancora più viva, più ve-ra, più struggente.

Questa camera d’albergo è un portodi mare. C’è più gente che in una rice-vitoria del lotto al sabato mattina. Fio-rello è seduto accanto a due dei suoiautori, Francesco Bozzi e FedericoTaddia, e tutti e tre — incuranti del via-vai — fissano il computer portatile sulquale prendono corpo, uno dopo l’al-tro, i dieci sketch della puntata di oggi.Si comincia con Mike Bongiorno, poivengono Cassano, Berlusconi, Luca-relli, Ciampi e gli altri personaggi cheFiorello imita ormai a braccio. Dietroogni battuta c’è un lavoro faticoso e pa-ziente, tanta roba scartata e molte bou-tade affinate a poco a poco, come lapunta di una matita che alle 13,40 —quando Marco Baldini da Roma lan-cerà la sigla — dovrà essere acuminatacome un bisturi della risata.

Squilla il cellulare. È Bruno Vespa.Fiorello, riconoscendo il numero, gli ri-sponde con la voce acuta di una zelantesegretaria. «No, Fiorello non c’è, chi par-la scusi?». «Sono Bruno Vespa, signora.Sa dove posso trovarlo?». «Vespa? Ma èlei? Davvero? Io sono una sua grandeammiratrice. Lei è davvero un uomo af-fascinante, lo sa?». «La ringrazio, signo-ra. Sono lusingato. Posso lasciargli unmessaggio?». «Ma lei non sa quanto pia-cere mi faccia parlare con lei!». «Ancheper me è un piacere, mi creda, peròadesso avrei urgenza di parlare con Fio-rello... ». Solo a questo punto, non vo-lendo infierire, lui svela la beffa. «Bruno!Ma sono io! Sì, mi faccio la segretaria dasolo, così risparmio uno stipendio... ».Vespa incassa ridacchiando: «Ci sonocascato con tutte le scarpe!».

Di numeri come questo, ne fa unodopo l’altro. Se fosse possibile racco-glierli, ci sarebbe materiale per un’al-tra trasmissione. La sera prima, per di-re, s’è presentato al bar dell’albergocon la cuffia calata sulla fronte, il bave-ro del cappotto alzato, la schiena curvae la voce di un extracomunitario: «Ave-ti un poco di mangiare, zignore?». Lostavano per mettere alla porta, quandol’hanno sgamato.

Come un cercatore in servizio per-manente effettivo, Fiorello estrae bat-tute anche dalle convention aziendalidove fa il suo show. Anzi, questo è di-ventato uno sketch fisso di Viva Radio

Due, con lui che finge di farsi prenderein castagna mentre assegna il “Para-fango di platino” al raduno dei carroz-zieri o brinda con i rappresentanti diceramiche al milionesimo orinatoiovenduto.

La sua è una miniera che non chiudemai. Dalla notizia del pallone d’oro aShevchenko tira fuori l’idea di Berlu-sconi che telefona per complimentar-si, ma sbaglia numero e si felicita conDell’Utri fresco di condanna. Da untrafiletto sui pettegolezzi televisivi na-

scarti cento per salvarne uno: per tirarfuori otto puntate ci vogliono due an-ni. Se va bene».

È il metodo Fiorello. «Ma è anche l’u-nico che io conosco. Le dirò una cosa:io non ho mai studiato nulla. Zero. Hoimparato tutto sul campo, giorno dopogiorno». La folgorazione gli vennequando aveva sei anni, nel cortile del-la scuola elementare “Francesco Cri-spi” di Riposto, Catania, dove la mae-stra del doposcuola gli assegnò la par-te di Ulisse in uno spettacolino di om-bre cinesi. «Quando tolsero il lenzuolo,io mi ritrovai circondato da un pubbli-co che mi batteva le mani. È magnifico,pensai, cosa debbo fare per provareancora questa sensazione? Da alloraho sempre tenuto banco. Alle feste dicompleanno, ai raduni dei boy scout,al gran ballo del liceo, in caserma, per-fino sul campo di calcio. Sì, ho fatto an-che il calciatore, ala destra della Mega-rese, campionato allievi. Mi ricordoche l’allenatore, si chiamava Caccia-mani, gridava dalla panchina: “Fiorel-lo, tu al circo devi andare! Con te dob-biamo giocare con due palloni, uno perte e uno per la squadra. La devi passa-re, questa palla, lo vuoi capire o no?”».

Più del gol, a lui interessava dare spet-tacolo. Colpire il pubblico. Incantare laplatea. Se ne accorse il direttore del vil-laggio turistico di Brucoli, nel quale Fio-rello s’era fatto assumere come facchi-no di cucina e dopo essere stato came-riere e aiuto cuoco era approdato al po-sto di barman. Vedendo che ogni seraquel ragazzo brillante radunava un suopubblico, il capovillaggio gli offrì di farel’animatore a 125 mila lire al mese. «Macome barista io guadagno un milione»gli rispose Fiorello. «E io ti licenzio, co-me barista. Tu sei nato per fare l’anima-tore. I soldi li farai dopo».

Non si sbagliava, come s’è visto, maquel giovanotto promettente non èmai diventato capovillaggio come pro-nosticava il suo scopritore. In com-penso è stato l’animatore più gettona-to che la Valtur abbia mai avuto.

«Per quindici anni ho avuto un pub-blico tutte le sere. Tutto quello che puòcapitare su un palco a me è già capitato,anche fare uno spettacolo senza luce esenza microfono. Ecco perché oggi nonesiste un imprevisto che possa spaven-tarmi. Quella è stata la mia vera scuola.È lì che ho imparato come si tratta colpubblico. Bisogna scherzare con tuttima non prendere in giro nessuno. Unavolta feci una battuta su una signora unpo’ grassottella. Finito lo spettacolo, ilcapovillaggio mi chiese: senti un po’, mase un altro avesse trattato tua madre co-sì, tu come ti saresti sentito? Io mi sareiincazzato parecchio, gli risposi. Ecco,concluse lui, allora devi trattare tutti co-me se fossero tuo padre e tua madre.Queste parole le ho scolpite qui dentro»(indica la fronte).

Ancora oggi gli si accende lo sguar-do, quando ricorda le notti nei villaggidi San Sicario o della Costa d’Avorio.

sce lo scherzo telefonico ad Amadeus,facendogli credere — con successo —che Simona Ventura stia per soffiargliL’eredità. Lo stesso albergo dal qualeva in onda gli dà ogni giorno lo spuntoper un personaggio diverso: un centra-linista napoletano, un posteggiatorefrancese o un portiere egiziano. Gliamici che vanno a trovarlo diventanola claque, il coro o i rumoristi. PersinoBobo Vieri viene reclutato via sms, amezzogiorno, per un’incursione instudio e una telefonata con l’imitatis-simo Cassano, il quale scopre solo dal-l’amico interista che Fiorello gli fa ilverso ogni giorno su Radio Due (com-mento autentico: «Ma cos’è, una radiodi Milano?»).

È uno spettacolo vivente, uno showsenza intervallo. «È il mio modo di la-vorare. Quando una situazione miispira, non so resistere alla tentazione.Poi magari nasce un personaggio nuo-vo per la radio. Se funziona in voce, loprovo sul palcoscenico di una conven-tion. E se lì la gente ride, allora diventauno sketch per la televisione». Passan-do attraverso il setaccio magico di Fio-rello, il bianco e nero della quotidianitàsi trasforma nei lustrini colorati del va-rietà. «Ma è un’operazione lunga, ne

Non solo e non tanto per la nostalgiadei vent’anni, ma perché lì, sui palco-scenici dei villaggi turistici, lui facevaquello che sa fare meglio: l’one-man-show. Nulla — neanche il suo primoprogramma televisivo a Video Dj,neanche il Karaoke che gli ha dato lagrande popolarità — occupa un postopiù importante nella sua vetrina dei ri-cordi. «Certo, poi ho fatto tante cose.Però ogni tanto incontravo qualcunoche mi aveva conosciuto al villaggio, emi dicevano tutti la stessa cosa: sei bra-vo, ti abbiamo visto, però ci piacevi dipiù quando facevi l’animatore. Ci homesso un po’, e devo dire grazie a BibiBallandi che c’è arrivato prima di me,però alla fine ho capito che per diver-tirmi davvero, e per far divertire gli al-tri, io devo stare sul palco da solo. De-vo fare il mio show».

Per quanto incredibile possa sem-brare, quest’uomo capace di incollareal teleschermo nove milioni di personenon crede nella popolarità che ha in ta-sca. «Non basta» dice. E ogni volta cheincontra uno di quei nove milioni disuoi fan cerca di conquistarlo inven-tandosi qualcosa all’istante, appostaper lui. «La gente pensa che tutto quel-lo che vede in tv sia finto. Io invece vo-glio convincerli tutti, a uno a uno, chesono davvero così». E mentre me lo di-ce, mi accorgo che in questo momentoè il mio turno, adesso è me che vuoleconvincere (lo ammetto: c’è riuscito).

Chissà, forse è questo desiderio di se-durre il mondo che ancora oggi — co-me ai tempi del liceo, della Valtur o del-la Megarese — lo spinge a mettersi ingioco tutte le mattine, nella suite 720.«Chissà. Io so solo che non saprei farealtro. Devo avere un palco, o sto male.E quando salgo su quel palco, cominciola mia partita. Che prevede un premiopiù importante dell’applauso: la risatadel pubblico, quella vera, deflagrante,che ti fa sentire il re della scena. Ecco,quando ne sento una mi dico: bravoFiore, anche stasera ce l’hai fatta».

‘‘

‘‘A sei anni, uno spettacolo di ombrecinesi gli ha rivelato il suo destino.Inseguendoquesto sogno ha scalatoi gradini del successo, ma aveva

perso il gusto didivertirsi. Sino allaseconda, decisiva,intuizione: tornare adessere quello che facevaridere tutti nei villaggi.Perché lui non cercaaltro che la risata.Quella che ti fa sentire

il re della scena. Solo quando arrivaquel momento, torna ad esserefelice. Come il bambino della recita

Fiorello

Invece che godersiil successo televisivo,il comico sicilianosi è rimesso in giocoalla radio. Percontinuare a farequello che gli piace

SEBASTIANO MESSINA

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(segue dalla copertina)

Sì, ecco: qual è la vera Spagna?C’è quella di Zapatero, che insei mesi di governo ha ritiratole truppe dall’Iraq, varato unalegge contro la violenza dome-stica sulle donne, consentitola

ricerca scientifica sugli embrioni. Pro-messo il matrimonio per i gay, il divorzioin due mesi, l’aborto dalle prime settima-ne di gravidanza, le adozioni per le perso-ne sole e le coppie omosessuali, la legaliz-zazione dell’eutanasia, l’abolizione del-l’obbligo dell’ora di religione cattolica ascuola. Forse è questa, la Spagna: il para-diso delle libertà e del laicismo a cui il so-cialismo minoritario di tutta Europaguarda con invidia e speranza, la nuovafrontiera dell’Eden democratico. O forseè ancora quella che per duemila anni èstata: quella severa e cupa dei preti le cuivesti sbattono come le porte che chiudo-no a chiave, come nei film di Almodòvar,come nei dipinti rosso granata di Goya,come al tempo delle ruote dentate del-l’Inquisizione e in quello recente di Fran-cisco Franco el Generalisimo e delle suesegrete. Due mondi in guerra aperta,guerra vera. I socialisti e i vescovi: «Questisenza Dio vogliono vendicarsi di noi», di-cono i preti. Vendicarsi, così scriveva nelsuo testamento il nonno del primo mini-stro, capitano Juan Rodriguez Lozano, fu-cilato nel ‘36 a un mese dall’inizio dellaGuerra civile per aver rifiutato di unirsi aifranchisti: «Vendicate la mia memoria».Quella, e molti altri secoli di storia. Una re-sa dei conti insomma. A questo siamo.

Josè Luis Rodriguez Zapatero è un uo-mo mite e prudente. I suoi sport sono lapesca e la cyclette, cose da fermi. La mo-glie, Sonsoles Espinosa, è stata l’unicadonna della sua vita: l’ha conosciuta a 21anni in facoltà, prima e do-po mai niente. Primo so-cialista a governare nel-l’ombra gigantesca di Feli-pe — sono passati diecianni, nessuno chiamaGonzales per cognome,basta dire Felipe — è arri-vato al potere cavalcandoleggero e quasi stupito unalunga collana di errori al-trui. Errori del suo partito,che si è smarrito negli anniNovanta in brutte storie dicorruzione e di candidatideboli e inadatti. Erroridegli avversari, che hannogovernato per una decadela Spagna come se fossecosa loro, come aveva in-segnato Franco di cui an-cora ci sono le statue, co-me Aznar ha fatto fino al-l’ultima menzogna, quellasulla strage dell’11 marzo,tre milioni di voti sonopassati in due giorni a sini-stra ed ha perso le elezioni.Questo avvio di legislaturaall’insegna delle libertà ra-dicali ha prima ammutoli-to, poi risvegliato dallaquiete della sua lunga sie-sta la Spagna profonda,quella silenziosa e sotter-ranea dell’Opus Dei, quel-la che porta milioni di fa-miglie a celebrare Escrivà in Vaticano,madri di dodici figli tutti in fila coi calzonicorti a messa, Rodrigo, Alvaro, Jesus, Ma-ria Dolores, forza andiamo bambini, tut-ti nomi di madonne e penitenze, di mar-tiri arsi vivi e crocifissi.

La tattica dei vescoviIl clero non se l’aspettava, un attacco co-sì. Voleva far scendere in piazza le suetruppe a metà dicembre, una manifesta-zione di strada coi cardinali in prima li-nea: sarebbe stata la prima volta nella sto-ria. Poi c’è stata, a fine novembre, l’As-semblea plenaria dei Vescovi a Santiagode Compostela. Il cardinale Rouco Vare-la, presidente della Conferenza episcopa-le, uno che si è formato in Germania e scri-ve in tedesco, è uscito da quella riunioneed è andato a colazione da Fraga, già mi-nistro del dittatore, eletto e rieletto fino adoggi alla guida della sua regione, la Gali-zia. Il cardinale ha detto, citando la Bib-bia: «Siamo attaccati ma non abbando-nati, ci spingono ma non ci schiacciano».I socialisti, soggetto sottinteso. Però loscontro frontale non è nella tradizioneobliqua della Chiesa. Meglio trattare.Aprire un tavolo, ci sono i margini. Discu-tere, sotto la spada di Damocle della rivol-

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

la copertinaStato laico e religione

Il matrimonio gay, l’aborto, il divorzio, la ricerca: in nove mesi il premier socialista ha gettato le basidella sua riforma. Scatenando la reazione dellaChiesa. Lo scontro è tra due concezioni opposte e inconciliabili della società come racconta il vescovodi Castellon, Juan Antonio Reig Pla

Il Monsignore èsicuro: “Il miogregge è fatto dipersone normali.Questi radicali lapagheranno cara”

ta di piazza. La manifestazione si farà, seserve ancora, in primavera. Intanto perSanto Stefano si celebra una «giornatadella famiglia» nel nome del matrimoniotradizionale, e vediamo quanta gente c’è.

Nei siti web conservator-cattolici(Hazteoir, fatti sentire, Noesigual, non è lostesso essere eterosessuale o omo) la ba-se si prepara alla sfida di maggio. I vesco-vi scrivono lettere pastorali contro l’euta-nasia intitolate “Morte a Venezia” e rac-colgono firme: per la scuola cattolica,contro il matrimonio gay. Vogliono unalegge di iniziativa popolare, possono far-cela. I vescovi mostrano di preoccuparsidi gay ed embrioni ma lavorano in realtà

per proteggere due cose, sopra tutte: la re-ligione a scuola, il finanziamento pubbli-co alla Chiesa. Il segretario della Confe-renza episcopale Josè Antonio MartinèzCamino, un quarantenne svelto che hastudiato a Francoforte e del coetaneo Za-patero dice «lui, invece, si è laureato aLeòn» (come dire: in paese) passa in ras-segna composto tutti i temi in agenda: l’a-borto, l’eutanasia, il divorzio rapido, ilmatrimonio gay. Poi alla domanda chia-ve, «qual è il primo problema sociale diSpagna?», risponde così: «Garantire unaformazione cattolica che metta i giovaniin condizione di coltivare la speranza».Formazione, e soldi.

Monsignor Reig Pla mangia assai len-tamente il pasto che ha da poco benedet-to. È molto fiero che la sua diocesi, picco-la, abbia raccolto 105 mila firme per l’oradi religione: «Nel nostro Paese l’84 percento iscrive i figli a religione. Zapaterono, ma fa parte di una minoranza, il 16.D’altra parte il suo governo è ostaggio del-le minoranze: se non ci fossero i catalani,i baschi, i galleghi non avrebbe i voti inparlamento». Questa è la tesi della Chie-sa, sta scritta sui loro giornali: Alba, setti-manale cattolico, nel numero in edicolasostiene che il vero capo del governo nonè Zapatero ma Carod Rovira, il capo dellaSinistra repubblicana catalana. È Carod

“LaveraSpagna fermerà Zapatero”CONCITA DE GREGORIO

riforma

FamigliaCon la riforma del divorzio il go-verno ha ridotto l’attesa tra 2 e 6mesi, eliminando la separazione. Ilprogetto di legge sulle nozze gayprevede, invece, l’equiparazionecon quelle etero e la possibilità diadottare bambini

Aborto e ricercaNel programma del governo c’è laliberalizzazione dell’aborto nelleprime 12-14 settimane di gravi-danza, la depenalizzazione del-l’eutanasia e l’autorizzazione del-la ricerca sulle cellule staminali a fi-ne terapeutico

Scuola e soldi alla ChiesaZapatero ha fermato la riformadella scuola avviata da Aznar cheriportava la religione come ma-teria obbligatoria, inserita nellavalutazione finale dell’alunno, epropone di rivedere i finanzia-menti alla Chiesa cattolica

controriforma

Famiglia Già contraria al divorzio che defi-nisce «express», la Chiesa si mo-bilita contro il matrimonio gay:«Non è uguale» protestano i ve-scovi e giocano la carta dell’inizia-tiva di legge popolare con la rac-colta di mezzo milione di firme

Aborto e ricercaLa Chiesa è contraria alle misurepreviste per aborto, eutanasia e ri-cerca sulle cellule staminali. Misu-re che, di volta in volta, definisce«olocausto silenzioso», «aggres-sione agli esseri umani» e «una for-ma di omicidio»

Scuola e soldi alla ChiesaI vescovi difendono l’ora di reli-gione, invitando i parroci a rac-cogliere firme nelle chiese allafine delle omelie, e promettonobattaglia anche sui tagli ai finan-ziamenti al clero proposti dalgoverno

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TRADIZIONE SPAGNOLA Immagini della tradizionale processione dei penitenti per le vie di Siviglia che ricorre ilvenerdi santo, per ricordare la morte del Cristo

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

Rovira l’estremista, il rivoluzionario se-paratista, uno che vuol boicottare Ma-drid sede delle Olimpiadi 2012, è lui quel-lo che detta la linea. «Esquerra republica-na ha nove deputati. Faccia bene i conti»,sorride il vescovo. Una suora minuscolagli prepara la macedonia di fragole. In sa-grestia c’è odore di disinfettante, di in-censo e di legno.

Si passa in biblioteca. Il Monsignore èsegretario della commissione “Famigliae Vita” della Conferenza episcopale, ilministro del ramo: Zapatero il suo nemi-co. Sorride, quando dice «Zapatero»: incastigliano vuol dire ciabattino. Eppurei genitori del vescovo lavoravano in una

fabbrica di scarpe. «Mia madre mi por-tava al lavoro ad allattarmi», si inteneri-sce. Il nonno del primo ministro fu fuci-lato da Franco, il padre del vescovo feri-to in battaglia: era nel fronte repubblica-no di Alicante ma «contro la sua volontà.Fu costretto a combattere, coscritto. Eraun cattolico fervente, subì la tragedia».Costretto, subì. Nella biblioteca del fi-glio ci sono perciò solo testi che raccon-tano di costrizioni e menzogne. Kingsey,crimini e conseguenze, la menzogna delrapporto Kingsey sulle libertà e le incli-nazioni sessuali. Le leggende nere dellaChiesa di Vittorio Messori, prefazione diBiffi. Sartre, Bariona. «Un testo teatrale

dell’ateo Sartre sulla meraviglia del Na-tale». Famiglia e autostima dello psi-chiatra cattolico Aquilino Polaino. «Unluminare». Polaino, docente di psicopa-tologia alla università cattolica di Ma-drid, sostiene che «i figli di coppie omo-sessuali hanno la tendenza a diventareomosessuali: un giorno i giovani cre-sciuti da coppie gay potranno denuncia-re lo Stato per aver compromesso grave-mente la loro identità personale». IlMonsignore annuisce e sorride. Una ra-gazza slava («l’abbiamo sottratta allatratta delle bianche») gli porta un bic-chiere di vino dolce, fine del pasto.

Zapatero in biblioteca ha soprattutto

poesia, il suo autore preferito è Borges. Si èlaureato in Diritto, per quanto a Leòn, manei discorsi cita solo filosofi e poeti. «Unestremista», liquida la faccenda Reig Pla.«Ha riempito il suo governo di femministeradicali». Il Monsignore sul tema ha appe-na scritto un articolo, eccolo ben rilegato:il «femminismo radicale» nasce da Freud,si nutre di Marx e di Marcuse, si sposa conl’ideologia liberale in «un cocktail esplosi-vo che promuove l’antropologia indivi-dualista e scambia il sesso per il genere».Le femministe al governo, «otto su sedici,la metà dei ministri, hanno cambiato illinguaggio. Chiamano l’aborto “salute ri-produttiva”, l’omosessualità “stile di vi-

ta”. Dicono che il sesso è un fatto cultura-le, non genetico. Propaganda: il sesso èdeterminato biologicamente. Ci sono gliuomini, e le donne, e basta». Zapatero sor-ride. Ascolta le obiezioni come un vecchiobolero: le sa già. Dice che è vero, lui si con-sidera «non solo antimachista, propriofemminista».

Carmen Caffarel è direttore generale del-la televisione pubblica, Tve. Il Monsignorefa un cenno di fastidio con la mano: la tele-visione è uno scandalo, «nemmeno un pro-gramma sui 500 anni dalla morte di Isabella cattolica. Riesce a crederci?». In cambioCarmen Caffarel ha appena affidato a Pe-dro Almodòvar e a Iciair Bollain due nuoveserie tv di prima serata: parlano di donnesole. «Finanziano solo i loro estremisti»,riassume il vescovo. Lui i tre migliori filmspagnoli della stagione non li ha visti. IciairBollain è la giovane regista di Ti do i miei oc-chi, scarna e devastante storia di una don-na che sempre torna dal marito violentoperché incapace di lasciarlo solo con la suadebolezza, come davvero tanto spesso suc-cede. «Bugie. Le donne che muoiono permano dei mariti in Spagna sono meno chein Svezia». Almodòvar e i preti pedofili de Lamala educaciòn. «Un film ridicolo, non haavuto alcun successo. Sa cosa dice la gente?Le ossessioni di un frocio». La suora bonsaiin punta di piedi gli infila il cappotto.

Seppellire gli embrioniIl vescovo di Huesca, Jesus Sanz Montes,quando è uscito Mar adentro, il mare den-tro, film di Amenabar prossimo candidatoall’Oscar ha scritto una lettera pastorale in-titolata Morte a Venezia. Sembra la prosa diun critico cinematografico, poi arriva aldunque. «Vogliono far passare la culturadell’eutanasia nel sentire comune, così poici imporranno la loro legge». I socialisti,sempre sottinteso. Mar adentro raccontala storia vera di Ramon Sampedro, tetra-plegico che spese gli ultimi anni di vita perottenere una morte dignitosa. Il Monsi-gnore si stringe nel cappotto perché tiravento. «Il suicidio tra tetraplegici è moltominore che tra persone sane. Ogni vita de-ve essere rispettata. Dall’embrione al ma-lato terminale». Eccoci quindi all’embrio-ne. «Sa cosa si deve fare delle migliaia diembrioni congelati?». Cosa. «Sgongelarli,lasciarli morire e dargli degna sepoltura».Seppellirli come, in piccole bare bianche?«Come creature viventi destinate a diven-tare, senza salti qualitativi, persone».

«I socialisti hanno vinto sull’onda emo-tiva dell’11 marzo», dice il Monsignore.Sulla strage di Madrid la Commissioneparlamentare ha appena finito di interro-gare per 12 ore Aznar, accusato appuntodi aver mentito a fini elettorali dicendoche le bombe erano dell’Eta. Zapatero ti-ra fuori dalla sua libreria un testo di Fer-nando de los Rios, padre del socialismoumanista, l’anti Ortega y Gasset, ministrodel governo in esilio. «Essere laici — leggeZapatero — non significa essere tolleran-ti, che presuppone una superiorità, maessere rispettosi delle convinzioni deglialtri». Non c’è nessuna persecuzione,nessuna sete di vendetta, sorride con gliocchi celesti. Le donne quando esce perstrada gli urlano guapisimo, bellissimo.«La Chiesa deve sapere che questo è unostato laico». Dice Chiesa come dicesse gliamici della Lirica, un’associazione. «LaSpagna non è più quella che vorrebberoloro, è forse in parte ancora quella, macammina svelta in un’altra direzione».

Quale direzione. È appena uscito il rap-porto dell’Istituto di statistica sul censi-mento del 2001. Nel linguaggio scarnodelle cifre dice che le famiglie di fatto so-no più di mezzo milione, diecimila e cin-quecento omosessuali. Un milione emezzo sono le madri sole con figli. Dimi-nuiscono i matrimoni in chiesa, gente chefa otto figli non ce n’è quasi più: tre sonogià un’eccezione. La controinchiesta cat-tolica si chiama Informe sobre la evolu-ciòn de la familia. Il Monsignore veste iltono da sermone: «Un aborto ogni 7 mi-nuti, un divorzio ogni 4. Di 49 mila nuovinati 43 mila sono di madri straniere, sitratta perciò di un incremento fittizio».Come fittizio? Saranno figli di madri ve-nute dal Marocco ma sono pur semprebambini nati in Spagna. «Certo certo, tut-te creature di Dio. Ma di spagnoli veri nesono nati solo seimila». Piove sulla pro-cessione dell’Immacolata. Il demoniocon gli occhi azzurri è tornato dal fine set-timana al mare, le sue bambine non le haportate a messa. «Ci sono molti cattolicianche fra i socialisti, guardi, la chiesa èpiena», indica il vescovo. La messa è fini-ta, le anziane con le perle e la mantiglia ne-ra gli baciano l’anello. «Pace e bene, mon-signore». Pace e bene, sorelle, «siempresea lo que Dios quiera». Sempre sia fatta laSua volontà.

LA CROCIATA DELLA CHIESALe riforme socialiste hanno scatenato lareazione dei vescovi che si sono messi araccogliere firme contro le aperture diZapatero invitando i fedeli a scendere inpiazza. La manifestazione prevista permetà dicembre è stata però rinviata aprimavera. Il 26 dicembre, SantoStefano, la chiesa spagnola dedicheràinvece una giornata alla difesadell’istituto del matrimonio da«qualunque altra» unione. Perché, comedicono i vescovi, «solo il matrimonio traun uomo e una donna può garantire lasopravvivenza biologica, spirituale emorale dell’umanità».

L’ELEZIONEJosè Louis Rodriguez Zapatero è statoeletto premier il 14 marzo 2004, a tregiorni dai sanguinosi attentatiterroristici di Madrid dell’11 marzo. Ilsuo governo è composto per metà dadonne: 8 ministri su 16, unriconoscimento pratico della parità fra isessi portata avanti dai socialisti. Unadelle prime misure adottate dal premierè stata il ritiro delle truppe dall’Iraq,quindi ha dato inizio a tutta velocità aduna serie di riforme che mantengono lapromessa elettorale di “laicizzare” laSpagna, scatenando però la protestadella Chiesa e dei vescovi

Una battagliafiglia del passato

Sui canali Rai non passa giornata senza cheappaia un religioso; sui canali della Tvenon li vedi mai. Nelle scuole statali spa-gnole è raro trovare un crocefisso; quan-

do in Italia un giudice ha tentato di sottrarre Cri-sto al ruolo di polveroso suppellettile scolasticoo peggio, di simbolo etnico, è successo un apriti-cielo. Siamo diversi. Non è detto che la distanzapermarrà in futuro, soprattutto se nei due verticiecclesiastici dovesse crescere la medesima ten-tazione: issare gli stendardi della “civiltà crista-na” e consegnarsi alla destra radicale dentro unoscambio tra consenso e protezione. Ma fin quan-do la paura del futuro non avrà omologato le duegerarchie, l’italiana avrà diritto a ritenersi piùsottile, più accorta, più efficace. Certamente piùfortunata. Quella spagnola tuttora sconta l’al-leanza con la dittatura franchista, culmine d’unastoria insanguinata. Lo scontro con i senza-dio,all’epoca liberali e massoni, cominciò nell’Otto-cento e si estese quando molti vescovi parteci-parono alla repressione dei moti operai. L’odioera così radicato che durante la Guerra civile(1936-1939) i cosiddetti incontrolados fecerofuori settemila religiosi. Di quei preti che mori-rono gridando “Viva Cristo Re” alcuni oggi sonobeati. Nulla invece ricorda le migliaia di spagno-li, leali alla Repubblica, che furono assassinati daicattolicissimi carlisti o perseguitati suindicazio-ne dei vescovi. Il ruolo della Chiesa in queste ef-ferratezze non fu secondario. Furono le gerar-chie ecclesiastiche a proclamare la “crociata”contro i repubblicani, con tutto ciò che ne con-seguiva riguardo al trattamento dei prigionieri; efinita la Guerra civile, a guidare l’epurazione deirepubblicani soprattutto nelle scuole. La curiatacque mentre Franco, vinta la guerra, stermina-va avversari ormai inermi, e continuò a tacere inseguito, grata al dittatore che le permetteva diinondare la Spagna di processioni. Viltà di cuichiese perdono, sul finire della dittatura, unagrande assemblea di religiosi. Quel gesto d’one-stà, il ruolo dell’Opus dei nella modernizzazionedel regime, e l’avvento d’un vertice aperto allospirito del Concilio, permisero al cattolicesimospagnolo di non finire nella tomba di Franco. Mache la Chiesa spagnola in realtà siano almenodue Chiese diverse, e che una conservi un po’ del-l’antica ferocia, è chiaro nella reazione esagitatadi alcuni prelati all’offensiva laica abbozzata daZapatero. Cardinali e monsignori insorti riven-dicano alla Chiesa, cioè a se stessi, una centralitàdi principio che invece il governo nega. Voglionoessere considerati, così come molti loro colleghiitaliani, depositari dell’identità nazionale. Perdiritto storico, categoria curiosa. Non ci saràscontro frontale perché ciascuna parte ha inte-resse ad evitarlo. Ma dalle schermaglie in corsol’immagine della curia non esce bene. Il tentati-vo di mobilitare i fedeli non ha avuto gran suc-cesso. Ed è palese l’ipocrisia di quei prelati cheora si sdegnano contro la proposta del matrimo-nio tra omossessuali quando in Spagna da anni igay possono adottare bambini. Non è un dirittoesplicito, ma il risultato intenzionale della leggeche permette l’adozione ai single. Se poi quel ge-nitore singolo convive con una persona del suostesso sesso, nessuno può sindacare. In altre pa-role anche al tempo in cui governava la destra, laSpagna favoriva la formazione di famiglie ‘inna-turali’. S’è opposta la gerarchia spagnola all’ap-plicazione di quella norma? Al massimo qualchemugugno. Hanno tuonato i monsignori? No. E ladestra spagnola, oggi indignata? Boicottò la leg-ge sulle adozioni gay? Al contrario: dove ammi-nistra (per esempio a Madrid) ha perfino finan-ziato studi su quei nuclei familiari. Eppure v’eraun motivo fondato per contestare quella leggefrettolosa: le poche ricerche compiute finoranon sembrano sufficienti per escludere il dubbioche i figli adottivi di omosessuali confondano iruoli maschile e femminile. Ma questo pare irri-levante a tutti, laici e preti.

GUIDO RAMPOLDI

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Attraversiamo l’Eufrate mentre nel-l’aria si diffonde la preghiera di mez-zogiorno. Subito dopo, a Birecik, unagrande diga ha quasi sommerso gliantichi scavi romani di Zeugma,splendida rovina inghiottita dall’ac-qua. Il progetto è controverso. Le au-torità sostengono di avere dato svi-luppo e lavoro a paesi asciutti e polve-rosi. I locali e molti archeologi di famaprotestano per gli straordinari repertiancora sepolti. A Urfa, dopo aver so-stato nella grotta del profeta Giobbeche aspettò pazien-te per sette annil’aiuto di Dio, l’at-mosfera si fa deci-samente medio-rientale. All’ombradi un grande giardi-no disteso ai piedidel castello, nugolidi donne coperteda scialli neri attra-versano silenziosa-mente i viali; agliangoli uomini conla barba grigia sie-dono accucciatisulle gambe, allamaniera orientale;pellegrini gettanocibo alle carpe sa-cre che affollano loStagno di Abramo,mentre gli altopar-lanti diffondonouna melodia di chi-tarre e flauti. Il ca-ravanserraglio alcentro del bazar èuna meraviglia, mainfestato dagli uc-cellini. I camerieriservono il cay in piccoli bicchieri.

Si riparte alla volta di Mardin, cittàappoggiata sulla roccia, che si spalancasulle pianure arse della Mesopotamia. Epoi Batman, Siirt, Diyarbakir. Sud estdell’Anatolia, come vuole la dizione uf-ficiale. Kurdistan, per i ribelli del Pkk.Dopo cinque anni di tregua seguiti allacattura di Apo Ocalan, dall’anno scorsoil cessate il fuoco si è interrotto. E spora-dici, ma violenti scontri a fuoco sono ri-cominciati sulle montagne dove laguerriglia, benché divisa, si è riorganiz-zata. Un confronto che continua a con-

sumarsi in una snervante guerra di bas-sa intensità.

Costeggiamo il turbolento confinecon l’Iraq. Silopi, Cizre, e poi il difficilepasso di frontiera di Habur. Ma ventichilometri prima comincia un’inter-minabile teoria di Tir, disposti a farequasi un mese di coda su una lunghis-sima strada dritta e puzzolente, pertransitare finalmente in territorio ira-cheno e portare indietro un carico pre-zioso. Prezzo di un pieno per un’auto-mobile in Turchia: 50 dollari. In Iraq:

due centesimi.Van e il suo lago

sono poche centi-naia di chilometrisopra. Anche qui,come a Lockness, sifavoleggia dell’esi-stenza di un mostromarino. Il pesce co-munque è buonis-simo. Guide localifanno strada perevitare posti diblocco mil i tar i .Nessuno dice di farparte del Pkk, mamolti simpatizzanoper la guerriglia. Losi capisce quando,sulle alture dopo ilvillaggio di Ozalp, lecamionette dell’e-sercito salgono allaricerca dei fuggia-schi. «Siamo a un’o-ra di cavallo dall’I-ran — dice davanti aun panorama chetaglia il fiato il si-gnorotto del posto,venuto con un paio

di guardaspalle a parlare con il visita-tore — se vuole possiamo passare dal-l’altra parte».

L’ospitalità di queste parti non co-nosce eguali. A volte è persino imba-razzante. I gabinetti, ovviamente, so-no alla turca. Un buco in terra, protet-to da una schiera di mattoni tirati su,lontano dalle case, en plein air. Il gio-vane scelto per l’incarico, ti scorta,nonostante le resistenze, fino al luogodeputato. E aspetta fuori, paziente eirremovibile, carta e annaffiatoio inmano. Le donne — che poi mange-

Ai confini della

il viaggioA est della Turchia

Dall’antica città cristiana di Antiochia, al Mar Nerosfiorando il deserto della Siria, la desolazionedell’Iraq, le montagne dell’Iran, le frontiere sigillatedell’Armenia e quelle della Georgia. Sulle stradedove si intrecciano storia e religione per conoscerei popoli destinati a diventare i nostri futuri vicini

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

dretta fondata da Alessandro Magno.Ma il centro più grande è Gaziantep.

Il taxi assoldato per la prima parte del-l’itinerario è confortevole e ben riscal-dato. La radio fissa su un canale dimusica locale. Le strade sufficiente-mente ampie e illuminate, qualchebuca e qualche camion di troppo. Male indicazioni sono chiare. In albergonon ci si mette d’accordo per il cam-bio da euro in lire turche. Offrono me-no di quel che c’è sul giornale. È tardie riproveremo domani da un cambia-valute di strada. La stanza è comun-que ampia e dà sulla piazza, il prezzocontenuto. La tv sintonizzata su Cnn,Bbc e i network tedeschi e francesi.Molti portaceneri in giro.

È proprio vero: fumano tantissimo.Nei locali l’aria talvolta è irrespirabile.Alle dieci di sera quasi tutti i negoziperò sono ancora aperti. Antica abitu-dine di mercanti avveduti. Se qualcu-no avesse bisogno di comprare unpaio di scarpe o andare dal barbiere —per non parlare dei ristoranti, pronti aqualsiasi ora del giorno e della notte— basta scendere per strada. La sera,in centro, si passeggia in piena tran-quillità. Ragazzi che scherzano sedutisu un muretto, coppie dentro unalokanta, mamme a spasso con la car-rozzina. Passa una donna completa-mente velata di nero che parla fittocon un’altra avvolta in un turbanarancione. Al cinema danno Shrek 2 eil seguito di Bridget Jones.

Il mattino dopo, alla filiale localedella Turk Is Bankasi, la Banca turcadel lavoro, l’impiegato Fatih Canba-zoglu, ci mette un quarto d’ora percambiare 100 euro in 185 milioni di li-re turche. Forse per cortesia o curio-sità, prima di consegnare il denarocorrispondente si dilunga nel chiede-re provenienza, lavoro, permanenza esuccessiva destinazione. Dal primogennaio, per fortuna, la lira turca di-venterà pesante. Un ufficio cambi sul-la pedonale di fronte sbriga invece lapratica in un minuto. La valuta è piùfavorevole, ma non c’è verso di otte-nere una ricevuta.

Gli scavi romaniLa strada per Urfa, sulle mappe oggiSanliurfa, è scorrevole. Il paesaggiobrullo zeppo di pietre, capre e pastori.

LTREBISONDA

a Turchia è Europa? Se lo è,o se nel giro di dieci anni losarà, questi confini che par-tono dall’antica città cri-

stiana di Antiochia, che lambiscono ildeserto della Siria, incontrano le landedesolate dell’Iraq, salgono verso lemontagne dell’Iran, incrociano le fron-tiere sigillate dell’Armenia e quellecaucasiche della Georgia per chiudersisul Mar Nero, nei pressi di un centrotradizionalmente aperto ai venti comeTrebisonda, allora questi saranno inuovi confini dell’Unione europea.Questi popoli, i nostri nuovi vicini. Ilviaggio prende il via da qui, lasciata lalinea di demarcazione segnata dal Me-diterraneo. Da quella Antiochia doveha sede la prima cattedrale del mondo.Hosh geldiniz! Ben venuti, vi diranno iturchi varcata la porta. Accettate unatazzina di cay (té), ascoltate il richiamodel muezzin, assorbite l’energia e i co-lori e preparatevi a un’esperienza me-morabile.

Popoli e confessioniAntakya, come si chiama oggi Antio-chia, è a un passo dalla Siria. Le map-pe di Damasco la indicano ancora co-me propria. Gli uomini portano i pan-taloni larghi con lo sbuffo, e l’araboper molti è la lingua principale. Il pri-mo grumo di storia e di religione lo siritrova nelle sue vie, percorse da un’e-terogenea commistione di genti econfessioni diverse che vede affianca-ti sunniti, alauiti e siro-ortodossi. Lacomunità cattolica ha preso origineda quella ebraica. Qui predicò SanPietro, e fu eretta la Chiesa rupestredove per la prima volta fu usato il ter-mine “cristiano”. Tarso, dove nacqueSan Paolo, non è lontana. Più su,Iskenderun marca la vecchia Alessan-

MARCO ANSALDO

ANTAKYAQui predicò San Pietro e fu fondatala prima cattedrale cristiana

TARSOLa città al confine con la Siria diedei natali a San Paolo

ZEUGMALa“Pompei turca” è quasi sommersadalle acque della diga di Ataturk

LAGO DI VANSi narra che nelle sue acque salate vivaun mostro lungo oltre 17 metri

‘‘Non c’è nulla di piùistruttivo e gioioso

dell’immersione in unacomunità di esseri umani

di tutt’altra razza...La pienezza vitale degli

Armeni, la loro rudeaffabilità, le loro nobili

ossa lavoratrici

Da VIAGGIO IN ARMENIA

di Osip Mandel’štam

LA STORIA

Page 26: Monsignore e il socialista - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2004/19122004.pdf · verde. Il prete esorcista gli agita addosso un crocifisso e urla: «Satana,

nuova Europa

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 19 DICEMBRE 2004

ranno in una stanza separata — han-no preparato il pane messo a cuoceresu fornaci ricavate dal terreno. Solo lavegliarda del villaggio è ammessa aldesco. Niente sedie. Si cena seduti suitappeti sopra i quali si dormirà. Moltoyogurt e miele. Le ragazze non incro-ciano lo sguardo dell’ospite, i bambi-ni toccano lo straniero come fosse unmarziano: non ne hanno mai vistouno. La notte è stellata, intorno c’è so-lo silenzio.

Al mattino dopo, salendo in direzio-ne del Monte Ara-rat, il nuovo autistaCuneyt, un vec-chietto espansivo erapido nella guida,chiede: «Da dovevieni?». In moltiquando sanno chesei italiano si tocca-no la fronte con lapunta delle dita, insegno di rispetto.L’Italia è di granlunga, fra quelli eu-ropei, il Paese piùamato in Turchia.Quasi al confinecon l’Iran appareDogubeyazit, e losplendido palazzodi Ishak Pasha, im-mortalato in deci-ne di copertine.Trecentosessanta-sei stanze, l’haremcon 14 camere daletto, una piccolamoschea interna. Ilcomplesso, am-mantato di neve, èal centro di un’im-portante rotta carovaniera, e questospiega perché un edificio tanto sfar-zoso si trovi in una zona così isolata,meta di contrabbando.

Il monte più altoSono terre insanguinate. Il massicciodel Mussa Dagh, reso celebre dal ro-manzo di Franz Werfel che raccontòl’ancora oggi controverso e mai defini-to genocidio armeno, l’abbiamo sfiora-to sul golfo di Alessandretta. L’Ararat,cantato dalla gente di Erevan, è la vettapiù alta della Turchia. Su queste alture

ormai prospicienti il confine con l’Ar-menia, chiuso ermeticamente, la storiasi mescola alla leggenda. C’è il sito do-ve forse si posò l’arca di Noé, meta dipellegrinaggi continui e missioni datutto il mondo.

La città più importante, Erzurum, èghiacciata come una stazione sportivainvernale. Vicino si erge il Palandoken,dove i russi calano per sciare. Città daidue volti: sede di moschee e di celebra-te madrasse (scuole teologiche), maanche centro accademico e importan-

te base militare.Lungo il corso pa-sticcerie e gioielleriescintillanti. A tratta-re con lo stranieronon sono i commes-si, ma le ragazze ve-late che hanno stu-diato lingue all’uni-versità. Per qua-rant’anni in manorussa, Erzurum nel1919 fu scelta daMustafa Kemal, Ata-turk, padre dei tur-chi e fondatore dellaTurchia laica e mo-derna, per convoca-re il congresso da cuiprese il via la lottaper l’indipendenza.

C o m e q u a s iovunque qui, non cisono mendicanti.La Turchia è un Pae-se povero, ma orgo-glioso, e dove l’indi-viduo è sorretto dauna triplice rete diprotezione. La fa-miglia, che è poi la

parentela allargata che si prende curadella persona in momentanea o gravenecessità; i vicini di casa, con un com-pito che va ben oltre quello di sempli-ci coinquilini; e gli arkadash, gli ami-ci, letteralmente “coloro che ti guar-dano le spalle”. Amici veri. In questoPaese non ti senti mai solo. Persino ilturista che chiede una semplice indi-cazione stradale viene spesso accom-pagnato di persona dall’occasionaleinterlocutore, il quale non esita a per-dere un po’ del suo tempo per mette-re l’ospite a suo agio.

Paese musulmano. Eppure gli albe-ri di Natale spuntano ovunque, neglialberghi e nei negozi. Difficile trovarein altre latitudini un’umanità e un ca-lore così spontanei, naturali. Nei ri-storanti e nelle taverne più sperdute ilviaggiatore è accolto come un re. Col-mato, senza calcoli, di attenzioni e ditazze di cay. Chiamato con deferenzaAbi, fratello maggiore.

La neve di KarsAi piedi del Caucaso, vicino alla frontie-ra con la Georgia, Kars è l’ultimo avam-posto, circondato dalla steppa. Kar si-gnifica neve, qui il poeta Ka, protagoni-sta dell’ultimo romanzo di Orhan Pa-muk, viene mandato a scrivere il suo re-portage. E qui si allarga una distesa im-macolata e silenziosa che rammenta leterre raccontate da Tolstoj. Le rovine diAni, un tempo maestosa capitale del-l’Armenia, giacciono sparse su un alto-piano spazzato dal vento.

L’ultimo tratto, attraverso le cosid-dette valli georgiane, è suggestivo. Al-beri, neve e ghiaccio. L’esercito è vigi-le con diversi posti di controllo. MaYavuz, l’ennesimo guidatore noleg-giato per raggiungere Trebisonda, ametà percorso tira fuori dalla tasca unrevolver. «Ci sono terroristi lungo lastrada. Questo serve per difendermi, eallora sparo. C’è la mafia: turca, arme-na o georgiana non importa. Sempremafia è. E lei, la pistola ce l’ha?».

Il detto dice che a Trebisonda sianoun po’ folli. Allo stadio, per vedere ilTrabzonspor terzo in classifica, i tifo-si più pazzi e caldi del paese brandi-scono gli spiedi dei polli. Trabzon og-gi è una città moderna e caotica, spaz-zata dalla tramontana. E perdersi neldedalo del suo antico centro è facile. IlMar Nero che si affaccia dal porto èsolcato dalle nubi e illuminato da unpallido sole. Se questa è Europa, iltempo lo dirà. La lunga marcia dellaTurchia è appena cominciata.

IN LIBRERIA

I quaranta giorni delMussa Dagh, Franz Werfel(Corbaccio)Viaggio in Armenia, OsipMandel’štam (Adelphi)Neve, Orhan Pamuk (Einaudi) Viaggio in Turchia,Corrado Alvaro (Falzea)

AL CINEMA

Topkapi, di Jules Dassin(1964)Yol (La strada), di YilmazGuney (1982)Hamam (Il bagno turco), diFerzan Ozpetek, 1997Ararat, di Atom Egoyan(2002)

“È il limesdella cintura

islamica”

Intervista a Bruno Etienne

GIAMPIERO MARTINOTTI

S PARIGI

pecialista del mondomusulmano, professoreall’università di Aix-en-

Provence e più volte visiting pro-fessor a Istanbul, Bruno Etiennedifende l’idea di una Turchiaparte integrante dell’Europa.

Professore, ha senso parla-re di una frontiera europeacon Siria, Iraq e Iran?

«Certo che lo ha. Pensiamoalla storia, quando Siria, Inghil-terra e Francia divisero l’Impe-ro ottomano, fissando il “limes”fra Vicino e Medio Oriente: que-sta frontiera è fissata da moltotempo e già a quell’epoca laTurchia era considerata euro-pea. In seguito, per tutto il se-condo dopoguerra e fino all’ar-rivo di Al Qaida sulla scena in-ternazionale, vige la teoria del“containement of muslimbelt”, del contenimento dellacintura islamica. É per questoche gruppi formati dall’Arabiasaudita, dal Pakistan e dagli Sta-ti Uniti lottano contro il comu-nismo, perché bisogna conte-nere le cinque repubbliche so-vietiche musulmane. Oggi, sia-mo in una fase di ridefinizione.Il solo punto su cui posso esse-re d’accordo con l’amministra-zione Bush è che dopo il crollodell’Unione sovietica, bisogna-va ridisegnare la carte del Vici-no e Medio Oriente».

In qual modo?«Il “limes” cambia, le frontie-

re sono due: c’è quella estremo-orientale, cioè quella del Kash-mir, con il Pakistan in un ruolochiave. E poi c’è una frontierache va dalla Turchia alla Cinaattraverso le repubbliche tur-cofone: Uzbekistan, Takigi-stan, eccetera. La Turchia illu-stra l’antico concetto romanodi “limes”. Penso sempre al De-serto dei tartari di Buzzati: quisiamo a una frontiera che non èuna frontiera naturale, ma piut-tosto una frontiera di civiltà. Suquesto piano, la Turchia è inti-mamente legata all’Europa».

Ma in questo modo lei nontende a dimenticare la lunga sto-ria di guerre sanguinose tra l’Im-pero ottomano e i paesi europei?

«Oltre ai conflitti c’è stata an-che molta cooperazione, bastiricordare l’alleanza tra France-sco I e i turchi per lottare controCarlo V. Ce ne sono state moltealtre, anche al momento dellacolonizzazione. Non siamo piùai tempi in cui il re francese ave-va bisogno del turco per fron-teggiare il Sacro romano impe-ro, ma il fatto che ci siano staticonflitti non deve impedirci dimisurare l’importanza delle re-lazioni avute in passato. E nondimentichiamo che la Turchiaè un paese con un islam del tut-to particolare. Non è un paesearabo, è stato islamizzato mol-to tardi: Costantinopoli è cadu-ta nel 1453, la religione musul-mana è arrivata in Anatolia nelXII-XIII secolo. Noi siamo con-dizionati dalla visione dell’Im-pero ottomano che ci hannodato i nazionalisti arabi, maquell’impero era molto più li-berale sul piano religioso diquel che sono oggi i paesi arabi.C’era tutto un sistema di relati-va autonomia degli ebrei, deicristiani, un’autonomia sparitacon il nazionalismo arabo».

Abbiamo tutti studiato sumanuali dove i Dardanelli se-parano l’Europa dall’Asia mi-nore: com’è possibile che fos-sero così lontani dalla realtàcome lei ce la descrive?

«La frontiera è un’idea. Pren-da il Mediterraneo: è una fron-tiera o una congiunzione? Untempo si diceva che il Mediterra-neo attraversa la Francia comela Senna attraversa Parigi: il ma-re può essere un ponte».

DOGUBEYAZITIl celebre palazzo di Ishak Pasha fucostruito per volontà di un emiro kurdo

MONTE ARARATSulle sue alture, secondo la leggenda,si arenò l’arca di Noè

ANILe rovine della antica capitale armenasi trovano sulla vecchia Via della seta

TREBISONDALa villa in cui risiedette Mustafà KemalAtaturk è oggi un importante museo

‘‘Noi non dobbiamovedere negli armeniun popolo orientale

semiselvaggio...Sono uomini colti e

civili, con unaraffinatezza di nerviche da noi in Europasi trova solo di radoDa I QUARANTA GIORNI

DEL MUSSA DAGHdi Franz Werfel

LA STORIA

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