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MONOGRAFIA DI BRUNO MUNARI

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MONOGRAFIA DI BRUNO MUNARI

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IL DESIGN INDUSTRIALE

Bruno Munari, conosciuto come artista, grafico e scrittore è stato anche un designer che si è dilettato nella progettazione di diversi oggetti passati alla storia come simboli di una men-te geniale . Ogni oggetto di Munari nascon-de un pensiero, una volontà, un’ispirazione.

Il primo lavoro editoriale di Munari è costituito dalle illustrazioni di Aquilot-to Implume, un romanzo di avventura scritto per avvicinare i giovani alla fede littoria.É interessante che il primo lavoro editoriale di Munari sia rivolto ai giovani.

GRAFICHE EDITORIALI ARTI VISIVE LA BIOGRAFIA E IL RAPPORTO CON I BAMBINI

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Bruno Munari nasce a Milano, passò l’infan-zia e l’adolescenza a Badia Polesine. Nel 1925 tornò a Milano per lavorare in alcuni studi di grafica. È stato “uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della gra-fica del XX secolo”

Artista, designer e scrittore tra i mag-giori del secolo scorso, Bruno Munari ha dedicato un interesse particolare al mondo dell’infanzia e dell’educazio-ne. Alla scuola di oggi, consegna una proposta assai attuale: il laboratorio.

Bruno Munari nasce a Milano, passò l’infanzia e l’adolescenza a Badia Polesine. Nel 1925 tornò a Milano per lavorare in alcuni studi di grafica. Nel 1927 cominciò a frequentare Ma-rinetti e il movimento futurista, esponendo con loro in varie mostre. Nel 1929 Munari aprì uno studio di grafica e pubblicità, di decorazione, fotografia e allestimenti insieme a Riccardo Castagnedi, un altro artista del gruppo futu-rista milanese. È stato “uno dei massimi pro-tagonisti dell’arte, del design e della grafica del XX secolo” dando contributi fondamentali in diversi campi dell’espressione visiva. Nel 1935 realizza una serie di dipinti astratti. Nel ‘42 pubblica un libro sulle “macchine inutili” e nel 1947 comincia a costruirle in serie. Nel 1945 comincia la sua serie di libri per bambini che, pensati per il figlio Alberto, vengono poi

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tradotti in tutto il mondo. Nel 1950 realiz-za la pittura proiettata attraverso compo-sizioni astratte racchiuse tra i vetrini del-le diapositive e scompone la luce grazie all’uso del filtro Polaroid realizzando nel 1952 la pittura polarizzata, che presenta al MoMA nel 1954 con la mostra Muna-ri’s Slides. È considerato uno dei prota-gonisti dell’arte programmata e cinetica, ma sfugge per la molteplicità delle sue attività e per la sua grande ed intensa creatività ad ogni definizione, ad ogni ca-talogazione, con un’arte assai raffinata. A partire dagli anni Settanta approfondi-sce i suoi interessi in ambito didattico e crea la prima struttura abitabile trasfor-mabile, L’Abitacolo. Nel 1977 realizza il primo Laboratorio per l’Infanzia. Gli sono state conferite molte onorificenze. La sua produzione di opere moltiplicate è molto vasta e spazia dalle serigrafie, ai libri illeggibili, alle macchine inutili, ai multipli come le forchette. Negli anni ot-tanta e novanta la sua creatività non si esaurisce e realizza diversi cicli di opere: le sculture filipesi (1981), le costruzioni grafiche dei nomi di amici e collezioni-sti (dal 1982), i rotori (1989), le strutture alta tensione (1990), le grandi sculture in acciaio corten esposte sul lungomare di Napoli, Cesenatico, Riva del Garda, Cantù, gli xeroritratti (1991), gli ideo-grammi materici alberi (1993). Dopo vari e importanti riconoscimenti in onore del-la sua attività vastissima, Munari realizzò la sua ultima opera pochi mesi prima di morire a 91 anni nella sua città natale. Il pittore e poeta Tonino Milite fu suo colla-boratore e lavorò nel suo studio per anni.

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Premi e riconoscimenti gli giungono da ogni parte del mondo: il premio della Ja-pan Design Foundation (1985), quello dei Lincei per la grafica (1988), il premio Spiel Gut di Ulm (1971 – 73 – 87), e, nel 1989, la laurea ad honorem in architettu-ra dall’Università di Genova. “Il design dà qualità estetica alla tecnica, non nel senso dell’arte applicata, come si faceva una volta quando l’ingegnere che aveva ideato la macchina per cucire, chiamava un artista che gliela decorasse in oro e madreperla, bensì nel senso che l’ogget-to e la sua forma estetica siano una cosa sola ben fusa assieme, senza alcun rife-rimento a estetiche preesistenti nel cam-po dell’arte cosiddetta pura. Un oggetto progettato dal designer non risente del-lo “stile” personale dell’autore (dato che il designer non dovrebbe avere, a prio-

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ri, uno stile col quale dar forma a ciò che progetta, come avviene quando un artista si improvvisa designer); l’oggetto prodotto dal designer dovrebbe avere quella “na-turalezza” che hanno le cose in natura: una cavalletta, una pera, una conchiglia, una scarica elettrica; ogni cosa ha la sua forma esatta. Sarebbe sbagliato pensare queste cose in stile: una cavalletta a forma di pera, una scarica elettrica a forma di...Un settore diverso dal design, che ha una sua precisa funzione, è lo styling, dove si progetta moda, dove la fantasia e la no-vità sono dominanti, per un consumo ra-pido della produzione. Il vero design non ha stile, non ha moda; se l’oggetto è giu-sto, (nel design non si dice bello) dura sempre. Oggetti di design ignoto si usa-no da sempre: il leggìo a tre piedi dell’or-chestrale, la sedia a sdraio da spiaggia...”

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Punti, linee, segni ripetuti sono l’ABC della comunicazione visiva. Come per scrivere un pensiero il bambino deve im-parare l’alfabeto , così per disegnare deve imparare le rego-le del linguaggio visivo. “I disegni degli artisti sono fatti con segni diversi “ osserva Bruno Munari , “ogni artista inven-ta o sceglie un suo segno per caratterizzare il suo disegno. E’ bene quindi che i bambini imparino a conoscere quante possibilità ci sono per fare segni diversi e quanti strumenti si possono usare per saper disegnare”. Ogni strumento lascia un segno diverso , non solo per la specificità dello strumento stesso , ma anche per la pressione e la velocità con cui il segno viene tracciato e per il tipo di carta usato . Aiutiamo i bambini a scoprire il segno che maggiormente corrisponde alla loro personalità per esprimere meglio quello che sento-no. E osserviamo i disegni degli artisti : i segni sottili tracciati da Paul Klee con il pennino, i segni dal sottile al grosso dei pittori giapponesi, gli “arabeschi” dei calligrafi persiani, i se-gni tracciati con le sabbie colorate degli indiani d’America.Munari è stato un pioniere di questo tipo di studi, e, benché il suo testo appaia ai nostri occhi obsoleto e datato, ha il pregio di porre le basi per le ricerche successive nel campo del desi-gn e della Comunicazione Visiva. La prima osservazione che fa l’autore, riguarda la rigidità dell’impostazione accademica, legata a programmi, schemi, modelli e strumenti del passato anche nel campo dell’arte e del design, campi che, per de-finizione, hanno bisogno continuamente di nuova linfa e per cui si va alla ricerca di nuovi strumenti e metodi espressivi. Così, senza rinnegare il passato, bisogna relegarlo al ruolo di informazione culturale e lasciandolo nel suo tempo. Nelle scuole d’arte, è necessario che sia il programma a adattarsi agli individui in modo dinamico, e non siano gli studenti ad adattarsi ad un programma statico, perché la creatività muo-re. Munari, con questo concetto, ha affermato un principio che verrà ripreso ed ampliato dalla pedagogia, perché non è solo l’arte ad aver bisogno della creatività, è la valorizzazione delle potenzialità di un individuo, a prescindere dal campo di attuazione, crea personalità autonome. Una delle affermazio-ni più note di Munari è “Ognuno vede ciò che sa”, perciò, chi più sa, più può vedere. Le textures delle superfici variano a seconda di ciò che ogni individuo ha dentro di sé e , quindi, è in grado di esprimerle. Segue un breve capitoletto sulle illu-sioni ottiche, che saranno ampliamente riprese nella psicolo-gia della gestalt. Gli argomenti trattati in questo testo , anche se in espressi sotto forma di crisalidi, sono decisamente vari, ragion per cui porrò l’accento sui capitoli che, a mio avviso, lasciano già intravedere la farfalla. Un tema estremamente interessante è quello dei codici visivi: nella progettazione ciò

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che viene disegnato è schematico, segue, perciò, un codice visivo, che deve essere condiviso dal progettista e dall’utente. Due i concetti chiave, espressi con poche pa-role, ovvero l’importaza del segno visivo e l’importanza della comunicazione. Questo aspetto, quello della comunicazione visiva intenzionale, progettata e progettabile, è il fulcro della seconda parte. Numerosi gli schemi pubblicati all’interno del testo: il pri-mo sul messaggio visivo, mette in relazione emittente e ricevente. L’emittente emette messaggi di varia natura che vengono filtra-ti dai filtri del ricevente: filtri sensoriali, filtri operativi e filtri culturali. Il ricevente diventa a suo volta un soggetto emittente, perché a seguito di una reazione interna, produce una risposta. Il messaggio visivo, non arri-va puro ad i filtri del ricevente, ma subisce una sporcatura, causata adi distubi visivi dell’ambient, che Munari chiama Rumore. L’autore che individua le fasi della creazio-ne e della convalidazione della creazione: − proporre qualcosa che non c’era, − verifi-carne l’utilità − dare un nome che convalidi l’identità della cosa nuova. Senza un nome nuovo, le cose è come se non esistessero, se non fossero mai state inventate. La cre-atività, nel mondo, si esplica come una ri-sposta innovativa ad un problema teorico o pratico fino ad allora insoluto, oppure, come un esercizio di libertà dell’animo, lasciato andare in un primo tempo in una direzione che porta ad ipostesi scoordinate, ed in un secondo tempo ad una razionalizzazione delle ipotesi. Come funziona il processo di creazione? Per Munari segue questo sche-ma: 3 Munari contrappone “la creatività di tipo artistico, lirico, fantastico”, alla creazio-ne del designer, perché la prima “non serve ad una buona progettazione proprio perché

urterebbe contro i limiti prima esaminati”, ovvero” tutti i limiti che rendono un oggetto logi-co, cioè bello, economico, uti-le”. Ciò che ci si può chiedere è fino a che punto si veda nel mondo dell’arte una creazione fine a se stessa, scoordinata da limiti, esista e sia ricono-scibile. I limiti, ci sono sempre: sono dati dalle capacità del creatore di usare i mezzi ed i materiali a disposizione, dalle conoscenze tecniche e tec-nologiche, dalla collocazione temporale, dagli spazi fisici, dalla capacità di comprensione etc. Nel progetto sta, in nuce, il significato dell’oggetto. Il pun-to fondamentale è la relazione tra creatività e progetto. Oggi, nel mondo del design il proget-to segue la relazione: progetto Æ forma = disegno + funzione mentre nel passato la forma era solo diretta conseguenza della funzione: progetto Æ for-ma = funzione Il significato di un oggetto è conseguenza del percorso progettuale. Quindi, il fine non è il risultato, ma il per-corso creativo. Ogni tassello è creazione. L’errore, a mio avvi-so, più evidente è che Munari ritiene che la creazione di tipo artistico sia libera da vincoli. La psicologia cognitiva degli ultimi anni, dimostrerà che la presenza di vincoli, e la loro eventuale rottura, è determi-nante nel percorso progettuale.

«Il sogno dell’artista è comunque quello di arriva-re al Museo, mentre il sogno del designer è quello di arri-vare ai mercati rionali.»(Bruno Munari, Artista e designer, 1971)La vulcanica produzione “artistica” in senso stretto di Munari, apparsa in più di 200 mostre personali e 400 mo-stre collettive, è un pot pourri di tecniche, metodi e forme.Negli anni del fascismo, Munari lavorò come grafico nel campo del giornalismo, realizzando le copertine di diverse riviste. Con i futuristi espose alcuni dipinti, ma già nel 1930 crea le prime “macchine inutili” vere opere astratte sviluppa-te nello spazio che coinvolgono ambiente circostante, dedi-candosi a opere via via meno convenzionali, come la “mac-china aerea” (1930), la “tavola tattile” (1931), le “macchine inutili” (1933), i collage (1936), il mosaico per la Triennale di Milano (1936), le strutture con elementi oscillanti (1940).Negli anni quaranta e cinquanta, cominciò a delineare alcu-ne linee guida della sua esplorazione:-l’arte come ambiente: Munari è tra i primi a ideare e anticipare le installazioni (“Con-cavo-convesso”, 1946) e le videoinstallazioni (“proiezioni di-rette”, 1950) e “proiezioni a luce polarizzata”, 1953) -l’arte cinetica(“Ora X” del 1945 è probabilmente la prima opera ci-netica prodotta in serie nella storia dell’arte) -l’arte concreta (i “Negativi positivi” a partire dal 1948) -la luce (le fotografie del 1950, gli esperimenti con luce polarizzata del 1954) -la natura e il caso (“Oggetti trovati” del 1951 “Il mare come artigiano” del 1953 -il gioco (i “Giocattoli d’artista” del 1952) -gli oggetti imma-ginari (le “Scritture illeggibili di popoli sconosciuti”, del 1947, il “Museo immaginario delle isole Eolie” a Panarea del 1955, le “Forchette parlanti” del 1958, i “Fossili del 2000” del 1959)Nel 1949 iniziò a realizzare i “libri illeggibili”, libri dove le pa-role spariscono per lasciare spazio alla fantasia di coloro che sapranno immaginare altri discorsi leggendo carte di colori diversi, strappi, fori e fili che attraversano le pagine. La serie dei libri illeggibili continuò fino al 1988, mentre del 1954 è la sua fontana per la Biennale d\i Venezia. Negli anni sessan-ta, grazie all’adozione di tutte le nuove tecnologie disponi-bili al grande pubblico (proiettori, fotocopiatrici, cineprese), l’attività artistica di Munari divenne un’enciclopedia dell’arte fai-da-te, dove ogni opera conteneva l’implicito messaggio per l’osservatore “prova anche tu”: xerografie, studi sul movi-mento, fontane, strutture flessibili, illusioni , film sperimentali (“I colori nella luce”, del 1963, comprendeva musiche di Lu-ciano Berio). Nel 1962 organizzò la prima esposizione di arte programmata, presso il negozio Olivetti di Milano. Nel 1969

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Munari, preoccupato della errata considerazione critica del suo lavoro artistico, tuttora spesso confuso con altri generi (didattica, design, graphic design) ha scelto la storica d’arte Miroslava Hajek per curare una selezione delle sue opere d’arte più importanti. La raccolta, strutturata cronologica-mente, illustra la sua continua creatività, coerenza tema-tica e l’evoluzione della sua filosofia estetica fino alla sua morte. Durante gli anni settanta, dato il maggiore interesse rivolto alla didattica vera e propria e alla scrittura, la pro-duzione artistica in senso stretto si andò diradando, per ri-prendere solo alla fine del decennio. Nel 1979 ricevette dal Teatro comunale di Firenze l’incarico di realizzare la parti-tura cromatica dell’opera sinfonica Prometheus di Aleksan-dro nicolaevic. L’opera con l’allestimento cromatico, creato in collaborazione con Davide Mosconi e Piero Castiglioni, fu quindi rappresentata nel marzo del 1980. Nelle ultime opere si va accentuando la dimensione privata, che ha un riscontro parallelo nella vasta produzione di libri a tiratura limitata stampati con Maurizio Corraini per amici e bibliofili.

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Bruno Munari, conosciuto come artista, grafico e scrittore è stato anche un designer che si è dilet-tato nella progettazione e creazione di diversi og-getti passati alla storia come simboli di una mente geniale e artistica. Ogni oggetto di Munari nascon-de un pensiero, una volontà, un’ispirazione: La lampada Falkland, Abitacolo, il posacenere cubo, sono solo alcune delle opere realizzate dal de-signer che sono oggi delle vere e proprie icone.Come libero professionista, Munari ha disegnato dal 1935 al 1992 diverse decine di oggetti, la mag-gior parte dei quali per Bruno Danese, un impren-ditore fondatore dell’ impresa Danese che ha fa-vorito la diffusione di molti oggetti di design. Oltre alla progettazione di oggetti d’arredamento, Munari si dedicò all’allestimento di vetrine, come La Ri-nascente nel 1953, mentre il suo ultimo prodot-to fu l’orologio Swatch “Tempo Libero” nel 1997.Alcuni progetti A B I T A C O L O “Struttu-ra montabile e smontabile in varie combinazio-ni. Abitacolo è una struttura abitabile, un sup-porto quasi invisibile per il proprio microcosmo. Pesa 51 chili e può portare anche venti persone”(B.Munari,ArtistaeDesigner,1971) Massima inte-grazione delle funzionalità della casa e creazione di mobili autosufficienti, fatti di tanti oggetti d’ar-redo che si relazionano in modo nuovo e più com-pleto: sono questi i concetti alla base dell’Abitaco-lo di Bruno Munari, una sorta di “casa nella casa”.La struttura cavalca le tendenze degli anni a caval-lo tra i Sessanta e i Settanta, periodo caratterizza-to da un’intensa sperimentazione in direzione di una maggiore coerenza tra arredare e vivere moderno; ci si allontana così dagli stereotipi tradizionali e, tra i vari risultati, c’è anche lo sviluppo di soluzioni mo-dulari e multifunzione. L’Abitacolo, unico tra questi esperimenti ad essere tuttora in produzione, è del 1971: si tratta di una struttura in acciaio con letto e tavolo integrabili e diversi accessori. Comprende in-fatti due piani in rete, due cestelli, quattro mensole, una serie di pratici ganci appendituitto e un tavolino IN

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in laminato regolabile in altezza. L’a-bitacolo è stato così descritto dallo stesso Munari “E’ un abitacolo, ap-punto, costituito da un telaio in acciaio elettrosaldato, corredato da un letto e accessori vari in materiali diversi. E’ un posto dei giochi, del sonno, di studio e di svago, un ‘hortus con-clusus’ infantile, trasformabile a piacere […]E poiché è una struttura, è pure facilmente smontabile, pronta ad assumere una nuova veste, correndo dietro alla fantasia… E’ una struttura ridotta all’essenziale, uno spazio deli-mitato e allo stesso tempo aperto… E’ un modulo abitativo, un habitat, con-tiene tutti gli oggetti personali… Uno spazio nascosto in cui la presenza del bambino rende superflui i mobili, su cui la polvere non sa dove posarsi.

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“Un giorno sono andato in una fabbrica di calze per vedere se mi potevano fare una lampada- Noi facciamo lampade si-gnore.- Vedrete che le farete. E così fu.” (B.Munari- A pro-posito della lampada Falkland) Diffusore in maglia elastica tubolare bianca, struttura in alluminio naturale. La forma della L A M P A D A ‘F A L K L A N D nasce da lla tesione di un tubo di filanca e dl peso di alcuni anelli metallici: è una forma spontanea, generata unica-mente dalla tensione delle forze interne che la compongono.Sette anelli di metallo di diametri diversi, un tubo di fi-lanca bianco, una sola lampadina e un riflettore in al-luminio che riprende la forma delle curve del tessuto.Questa lampada corrisponde più delle altre ai requisi-ti che Munari indica come indispensabili per una corret-ta progettazione: semplicità, efficienza, minimo ingombro di stoccaggio e massima resa formale.Nasce dalla com-mistione di oggetti lontanissimi tra loro, come le nasse da pesca, le calze da donna e le lampade di carta orientali.Alta più di un metro e sessanta, si compatta nel-la confezione in pochi centimetri di spazio, la luce fil-tra dal tubo, utilizzando la texture del tessuto per crea-re un caratteristico effetto di luminosità morbida e diffusa.

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P O S A C E N E R E C U B O Con il posacenere cubo(1957), Bruno Munari, reinventa un oggetto da tavola tradizionalmente aperto.Composto da due elementi semplici, ovvero : una scocca cubica, aperta su un lato, e una lamina metallica inserita al suo interno, che gra-zie alla sua conformazione e all'inclinazione del taglio su di essa crea una fessura capace di accogliere e nascondere cenere e mozziconi di sigaretta al suo interno. La sua for-ma e la sua capacità d'occultamento richiedono uno sforzo psicologico e astrattivo tale da non comprendere facilmente che si tratti di un posacenere. Infatti, il pensiero del posa-cenere è generalmente associato alla vista dei mozziconi. Forse è per questo motivo psicologico che risultò invenduto nei primI tre anni di produzione, finché non arrivò Danese.Tra i tanti temi affrontati da Bruno Munari, quello del design industriale, racchiude tutte le sue sfaccettature e pensieri. Nei progetti è notevolmente evidente la filosofia secondo cui “complicare è facile” e “la semplificazione è segno dell’intelli-genza” . Nelle sue opere Munari inserisce la non convenzio-nalità e la fantasia al posto della funzione. Un designer fuori dagli schemi che mette l’arte nelle sue opere, creando delle icone ancora oggi prodotte e accolte nella quotidianità di tutti.

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Il primo lavoro editoriale di Munari è costituito dal-le illustrazioni di A Q U I L O T T O I M P L U M E– un romanzo di avventura per ragazzi, scritto da Giu-seppe Romeo Toscano per avvicinare i giovani alla fede littoria – pubblicato nel 1929. Solo la copertina è inte-ressante, ma, ancor di più, è significativo che il primo la-voro editoriale di Munari sia rivolto a un pubblico giovanile.La seconda opera editoriale di Munari è Il I L C A N T A S T O R I E D I C A M P A R I ,quinto e ultimo volume di una collezione re-alizzata e offerta in 1000 esemplari numera-ti dalla milanese Davide Campari & C. tra il 1927 e il 1932. Si tratta di un raffinato esempio di arte commerciale che contiene 27 figurazioni grafiche di Munari su poesie d’amo-re di Renato Simoni. Attenzione, però: la rilegatura è con spirale di metallo. Munari si sta facendo conoscere e sap-piamo che sviluppo avrà il suo rapporto con la Campari.L’anguria lirica, terza opera editoriale di Mu-nari, sarà esposta e premiata a Parigi alla mo-stra di grafiche decorative. Centro al terzo colpo! La quarta opera editoriale è T A V O L O Z Z A D E L L E P O S S I B I L I T A’ T I P O G R A F I C H E , del 1935, programma estetico dei pittori Ricas e Munari in omaggio ai clienti del loro studio. È quasi un manifesto degli sviluppi futuri di Munari: spirale metallica, zincografie, carte trasparenti e inserti apribili. Vi si legge: “il risultato di un lavo-ro grafico dipende dalla stretta collaborazione tra ideatori ed esecutori”. Non per niente: lo stampatore è Muggiani, quel tipografo-editore che poi, nel 1956, “nella sua officina gra-fica con rotativa a mano, su carta cercata per lungo tempo e trovata per puro caso” realizzerà Nella notte buia. Come si vede, i capolavori non escono come conigli dal cappello.Dal primo lavoro editoriale per ragazzi del 1929, Munari sembra non essersi più occupato di questo pubblico. Sono anni intensi per il nostro artista quelli tra le due guerre, in cui l’intervento e l’elaborazione creativa si sviluppano a tutto campo: “dai vari futurismi … all’astrazione, al surrea-lismo; svolge ricerche sulle macchine inutili, sulle tavole tattili e sulla plastica murale”.Si occupa di produzione gra-fica, di arredamento, di allestimenti, di scenografie teatrali.

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“Insomma, la vicenda di Munari fra le due guerre è densa di ricerche artistiche, ma anche di occasioni progettuali bi/tridimensionali. ‘Segno e sigillo dell’arte di Bruno Munari è la totalità’ ha scritto Caramel; l’origine di tale metodo, a no-stro parere, è da ricercare nella fase formativa dell’anteguer-ra. Al termine del conflitto Bruno Munari ha quarant’anni”.Che l’oggetto libro sia per Munari un luogo di intensa spe-rimentazione è documentato da quanto pubblicato fino ad ora. Negli anni ’40 Munari si dedica con maggiore continuità ai libri per bambini. Come mai? La guerra ha spento i bol-lenti spiriti delle avanguardie e Munari sta cambiando vita. Ha accettato, infatti, per la prima e unica volta, un lavoro dipen-dente, quello di art director di Tempo di Arnoldo Mondadori, e nel 1940 gli nasce un figlio.Fatto sta che negli anni ’40 esco-no Mondo, acqua, aria, terra, della casa editrice Italgeo, con immagini geografiche per ragazzi, in custodia di cartone che contiene quattro libri; Il teatro dei bambini, per la casa editrice Gentile, un progetto di Bruno Munari con bozzetti di Gelindo Furlan. Si tratta di una cartellina a quattro ante da montare in forma di teatrino, con copertina originale a colori con aletta fu-stellata apribile e tavole illustrate a colori da ritagliare; Cappel-li – Antica farmacia – Orologiaio – Sali Tabacchi – Salumeria – Musica, sempre per la casa editrice Gentile, con bozzetti di Gelindo Furlan: una cartellina con tavole illustrate a colori da ritagliare e una copertina originale con aletta fustellata apribile. Questi lavori riprendono la tradizione del libro da monta-re e lasciano intuire gli sviluppi successivi dello studio mu-nariano. Gelindo Furlan, l’illustratore, è pure lui futurista. Coetaneo e amico di Munari, proviene da Badia Polesine. Mi piace immaginare che siano emigrati a Milano insieme. Le macchine di Munari, che esce per i tipi dell’Einau-di nel 1942all’amichevole tramite di Zavattini) nella col-lana Libri per l’infanzia e la gioventù, raccoglie le macchi-ne inutili che Munari disegnava nel periodo studentesco. Sempre per Einaudi nel 1942 esce anche l’Abecedario di Munari: alla lettera S Einaudi aveva chiesto di illustrare lo Struzzo. Munari, consegnando il lavoro, scrive: “per i fondi colorati della pagina di sinistra e per le lettere alfabetiche del-la pagina di destra potreste fare dei clichè di legno, questo vi porterebbe una grande economia”.(10) Segno che teneva d’occhio sia i processi di stampa sia il problema economico.

Per Mondadori, nella collana I libri di Munari escono Mai contenti; L’uomo del camion; Toc toc Chi è? Apri la porta; Il prestigiatore verde; Storie di tre uccelli-ni; Il venditore di animali; Gigi cerca il suo berretto: all’interno delle poche pagine, si aprono finestre e si sollevano alette. Sono, insomma, giochi e contenitori di sorprese che chiamano il lettore bambino a intera-gire. Mondadori sembra proprio l’editore giusto, visto che anche lui ha esordito in editoria nel 1911 con libri per bambini sotto la sigla “La scolastica” di Ostiglia, e che le Officine Grafiche di Verona, nel 1935, erano state capaci di risolvere i problemi di produzione del-le “illustrazioni a sorpresa” di Topolino al circo di Walt Disney. Dei dieci menabò proposti, l’editore pubbli-ca il primo e il secondo nell’ottobre 1945, ma “sicco-me c’era la guerra, non sempre lo stabilimento era libero”. Così dice Munari. In pratica, fino al dicembre 1946 escono sette titoli “con carte diverse e con il materiale grafico che si trovava in quel momento”.Continua la ristampa degli straordinari libri per bam-bini ideati da Munari nel ‘45 ed ancora oggi asso-lutamente innovativi. Toc toc è forse il più citato e rappresentativo della serie. Qui, come negli altri titoli, Munari gioca su un racconto essenzialmente visivo pieno di attese e di sorprese ottenute attraverso so-luzioni semplicissime. Toc toc e una porta si apre.I prelibri (1979)sono dei piccoli libri quadrati pensati per i bambini non ancora in grado di leggere. Mu-nari ne progetta dodici, ciascuno è realizzato con un materiale diverso: vari tipi di carta e cartoncino, panno, plastica, legno, spugna. Il suo obiettivo era quello di creare un “campionario di sensazioni”, dei libri attraverso i quali il bambino apprende compien-do delle esperienze sensoriali.Si chiamano Preli-bri proprio perché servono a preparare il bambino all’approccio con gli altri libri,magari quelli leggibili.

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