Monitor Aggi o

101
Chapter 1 Abstract Il nostro patrimonio culturale è un lascito a noi dai nostri antenati, che a nostra volta abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri discendenti. [...] Siamo a un punto di svolta. Scienza e tecnologia presentare un host di interessanti opportunità per il settore del patrimonio. Essi non devono essere sprecato “. Questa affermazione, riportata nella relazione della Scienza e della Tecnologia del Regno Unito,stampato il 19 Ottobre 2006 [1]. Si tratta di un notevole esempio del crescente interesse internazionale dimostrato in applicazioni scientifiche e tecnologiche dedicata alla studio dei beni culturali. La scoperta di un antico manufatto spesso solleva una serie di domande come la corretta determinazione del suo periodo di tempo storico e culturale, il luogo e metodo di produzione, la scelta di trattamenti e condizioni per il restauro e la conservazione. I Beni Culturali in Italia rappresentano una risorsa di inestimabile valore a livello mondiale, che attrae milioni di visitatori ogni anno attraverso monumenti, siti archeologici e musei. Nasce l’esigenza di

description

monitoraggio dei beni culturali

Transcript of Monitor Aggi o

Chapter 1

Abstract“

Il nostro patrimonio culturale è un lascito a noi dai nostri antenati, che a nostra volta abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri discendenti. [...] Siamo a un punto di svolta. Scienza e tecnologia presentare un host di interessanti opportunità per il settore del patrimonio. Essi non devono essere sprecato “.Questa affermazione, riportata nella relazione della Scienza e della Tecnologia del Regno Unito,stampato il 19 Ottobre 2006 [1]. Si tratta di un notevole esempio del crescente interesse internazionale dimostrato in applicazioni scientifiche e tecnologiche dedicata alla studio dei beni culturali. La scoperta di un antico manufatto spesso solleva una serie di domande come la corretta determinazione del suo periodo di tempo storico e culturale, il luogo e metodo di produzione, la scelta di trattamenti e condizioni per il restauro e la conservazione.I Beni Culturali in Italia rappresentano una risorsa di inestimabile valore a livello mondiale, che attrae milioni di visitatori ogni anno attraverso monumenti, siti archeologici e musei. Nasce l’esigenza di rafforzare la filiera beni culturali sviluppando le potenzialità del mercato legate all’applicazione delle tecnologie alla valorizzazione dei beni culturali, ovvero un segmento di produttività che non è stato ancora oggetto di codifica e/o organizzazione. Questa situazione, determinata principalmente dalla presenza di un mercato “imperfetto” dove a fronte di grandi opportunità si registrano debolezze e ostacoli, rende spesso episodico e non strutturale l’incontro tra la domanda e l’offerta. Il progetto, partendo dalla rilevazione di questi “colli di bottiglia” ed opportunità, intende definire la fattibilità dei modelli organizzativi, di mercato e dei conseguenti fabbisogni formativi e professionali capaci di attivare il mercato secondo procedure e strumenti che permettano lo sviluppo sia della domanda che

dell’offerta. Dopo la riforma del titolo V della Costituzione le Regioni e gli Enti Locali si sono trovati a dover valorizzare un patrimonio culturale sul quale precedentemente non avevano competenze, nè professionalità dedicate. Contestualmente il forte sviluppo e il diffondersi dell’Information Technology ha spalancato le porte a nuove modalità di fruizione, valorizzazione e comunicazione del patrimonio culturale condivise da tutti i livelli della popolazione. Mille progetti, soluzioni ed idee sono stati sviluppati e non pochi committenti hanno scommesso sull’applicazione delle tecnologie alla valorizzazione dei beni culturali. Tuttavia questo processo è avvenuto sino ad oggi prevalentemente in maniera episodica, avulso da piani strategici di sviluppo nazionali, locali o regionali. In sintesi, le cause di ciò afferiscono a due principali fattori: da un lato la non sempre adeguata competenza della committenza nella materia e l’assenza di punti di riferimento e/o linee di sviluppo “date” cui conformarsi, dall’altro un’offerta di prodotti e servizi estremamente eterogenei, scaturiti da necessità occasionali e che raramente “dialogano” tra di loro, dando vita ad un inutile “sovrapproduzione tecnologica”. Uno dei problemi di ricerca più stimolanti e interessanti è sicuramente quello relativo alla valorizzazione del patrimonio dei beni culturali dove . Anzi, dovrebbe essere importante fornire un ambiente culturale attraverso servizi per rappresentare la relativa conoscenza derivata dalle attuali sorgenti digitali che descrivono il patrimonio culturale, come ad esempio descrizioni testuali, immagini , video ed audio, al fine di consentire ad un turista che visita un sito di godere di storie multimediali in tempo reale, in modo da arricchire il suo / la sua esperienza culturale. È indubbio quanto oggi i nuovi “media” siano i protagonisti di uno “spostamento” verso rinnovati modelli di comunicazione della conoscenza che mirano ad una estensione, sotto molteplici aspetti e secondo forme sempre più rapide e immediate, dell’offerta culturale. Si tratta di un linguaggio che tende ad enfatizzare gli aspetti percettivi del nostro comprendere definendo azioni comunicative attuate attraverso

immagini che mirano ad agevolare la comprensione, a chiarire aspetti di complessità, a presentare concetti in modo più chiaro e coinciso, a rendere più esplicite e fruibili le informazioni. In breve una comunicazione (visiva) realizzata con una attenzione verso gli obiettivi degli utenti, portatrice di una certa capacità di persuasione e, conseguentemente, in grado di stabilire ulteriori modalità per informare e educare. La digitalizzazione di contenuti è il fondamento posto alla base di tali nuove pratiche. Per mezzo di tale primaria operazione è possibile poi restituire, attraverso varie forme di simulazione, “prodotti” adatti a molteplici usi miranti ad obiettivi di combinazioni diversificate di contenuti complessi resi facilmente accessibili grazie ad applicazioni e ad applicativi caratterizzati da fluidità e contaminazione. Se si guarda,poi, al sistema di compiti e ruoli assunti nei processi di trasmissione della conoscenza, una posizione di crescente responsabilità risulta oggi essere consegnata a contesti di ricerca applicata di ambiti istituzionali e professionali. È infatti alle idee e ai conseguenti sforzi di tali settori di ricerca che attualmente sembrano essere demandati compiti di sviluppo sui più svariati fronti: Di nuovi processi e modelli di comunicazione, di piattaforme di generazione di dati, di pratiche di mediazione in digitale, di rinnovati dispositivi tecnologici per l’accesso alle informazioni, di fruibilità degli strumenti di navigazione in rete, ecc. In particolare, tridimensionalità e virtualità sono le caratteristiche chiave della nuova tendenza. Tali elementi distintivi, riaffermando l’importanza delle immagini e delle emozioni da queste suscitate, mirano a recuperare le strutture reticolari che caratterizzano i nostri processi di conoscenza, a ristabilire una sinergia fra aspetti cognitivi ed emozionali e, quindi, a superare quella che Arnheim aveva definito “la patologia del pensiero occidentale, cioè la scissione tra i concetti astratti e gli elementi visivi che li hanno prodotti e li accompagnano” [2]. La volontà di concretizzazione di tali modalità di comunicazione/visualizzazione della conoscenza, ha determinato, altresì, un radicale rinnovamento anche nella progettazione dei

sistemi di dialogo con le applicazioni digitali individuando approcci che tengono conto delle abitudini e dei modelli mentali degli utenti e in modo tale da realizzare sistemi sempre più “vicini” e facili da utilizzare. Oggi siamo di fronte ad interfacce capaci di porre in atto un tipo di apprendimento sempre più “informale” e multidirezionale perché impostate su logiche di partecipazione e di riconoscimento intuitivo, perché fondate sull’immersione, sulla complicità, sulla pluralità di stimoli e, quindi, sulla nostra capacità di provare emozioni e coinvolgimento sensoriale. Tutta questa ridefinizione dei modi di trasmettere il sapere e di accedere alle informazioni incentrata su modelli cognitivi basati sulla “riscoperta dei sensi” non ha soltanto modificato spazi e tempi dell’informazione – sempre più veloci, quasi istantanei – e la natura del lavoro, ma ha, ovviamente, fortemente influito su vasti cambiamenti culturali e sociali favorendo, principalmente, nuovi stili di ragionamento dove i nostri processi mentali si specchiano trovandovi conoscenze strutturate e veicolate in modo più naturale [3]. In tal senso, potendo offrire strumenti facili all’uso, ovvero in grado di permettere a “chiunque” l’accesso a forme di conoscenza, si può forse azzardare a dire che tali sviluppi tecnologici stanno svolgendo una nuova forma di “democratizzazione” del sapere. L’utilizzo di nuovi media conta oggi applicazioni in settori molto differenti fra loro. Già da qualche tempo esiti di ricerche nei settori dell’archeologia e dell’architettura, ma anche allestimenti in mostra di collezioni artistiche (pittura, scultura e altro) o di particolari studi storici, stanno affidando a tali modalità tecnologiche la comunicazione e il “racconto” dei loro contenuti culturali. Negli spazi museali è sempre più frequente l’utilizzo di applicazioni digitali che, allo scopo di ampliare la fruizione delle informazioni, definiscono approcci basati su meccanismi percettivi multisensoriali e di coinvolgimento attivo degli utenti nella esplorazione di contenuti. Opzioni che vanno dalla integrazione del percorso di visita con monitor multitouch come strumenti informativi, all’allestimento di console di ricostruzioni

tridimensionali digitali, di visualizzazione stereo anaglifa passiva/attiva, di realtà aumentata immersiva, di letture/confronti sincronici e diacronici di informazioni o, ancora, di applicazioni per utenti ipovedenti basate su sistemi di fruizioni tattile, individuano uno scenario di media tutti orientati ad una interazione proficua con la conoscenza in grado aumentare l’interesse dei visitatori [4]. Il Context-aware Computing è attualmente considerato l'approccio più promettente per superare il sovraccarico di informazioni e per velocizzare l'accesso ai servizi e alle informazioni di pertinenza. Il Context-Aware può essere ricavata da molte fonti, tra cui il profilo utente e le sue preferenze, informazioni di rete, analisi della sensoristica; di solito il context-aware si basa sulla capacità dei dispositivi di interagire con il mondo fisico, cioè con gli oggetti naturali e artificiali, ospitati all'interno del “ambiente”. Idealmente, le applicazioni context-aware non dovrebbero essere invasive e dovrebbero essere in grado di reagire in base al contesto dell'utente, con il minimo sforzo da parte degli utenti. Il “contesto” è definito come uno spazio multidimensionale che dipende dall'applicazione e l'attività di localizzazione, realizzata da queste, è una parte importante di esse fin dalle origini. Individuare la posizione all'interno di uno spazio fornisce informazioni che possono essere impiegate per guidare le applicazioni, nel fornire informazioni o funzioni che sono più appropriate a secondo di dove ci si trova. Quindi i sistemi di localizzazione giocano un ruolo cruciale in molti settori. Ci sono diverse tecnologie e sistemi per il calcolo della posizione in misura varia a seconda della precisione di cui si necessita e del modello specifico di spazio, vale a dire al chiuso o all'aperto, strutturato o meno. Ad esempio costruire un ambiente intelligente in musei o in siti protetti è un compito impegnativo, perché la localizzazione e il tracking sono di solito basate su tecnologie che sono difficili da nascondere o armonizzare all'interno dell'ambiente. Pertanto è previsto che l'esperienza fatta con questa ricerca possa essere utile anche in domini diversi dai beni culturali. Molte ancora potrebbero essere le questioni tecnico-

procedurali esemplificabili ma ciò che, invece, val la pena ancora di menzionare è la problematica di fondo con la quale devono fare i conti coloro che progettano e sviluppano percorsi di conoscenza in digitale. Essa riguarda i software da utilizzare, o meglio la loro diffusione se trattasi di programmi proprietari e, quindi, il ricorso o meno a software open-source. Le scelte in tal senso, infatti, determinano spesso il livello di possibile condivisione e fruizione delle applicazioni progettate. Ai fini del maggior coinvolgimento e dell’ampliamento della fruizione di contenuti relativi ai Beni Culturali, che si tratti di allestimenti museali o di piattaforme web, la linea degli sviluppi previsti che già si sta percorrendo, è quella della implementazione delle applicazioni su tecnologia mobile. In una realtà nella quale siamo tutti “connessi” questa scelta può essere vista come una banale tendenza di allineamento ai costumi odierni ma, se anche così fosse, si può altresì leggere come un'aspirazione del sapere di “arrivare all’uomo”, di modo che l’utente del museo, così come l’instancabile o l’occasionale navigatore del web, sarà sempre più facilitato e abilitato ad avvicinarsi e ad accedere alla conoscenza attraverso il proprio smartphone, sia che stia visitando una mostra, sia ovunque si trovi.

Capitolo 2

Introduzione

Le continue evoluzioni degli ultimi anni hanno facilitato la transizione di Internet dall’essere una rete che collega principalmente computer e altri dispositivi dalla funzione comparabile (smartphones, tablets), all’essere una rete che collega anche oggetti del vivere quotidiano (Internet of Things). [5] Nello stesso tempo le persone che accedono alla rete saranno sempre più gestite come “identità individuali”. Alla persona saranno associate, indipendentemente dal dispositivo in quel momento in uso, tutte le informazioni d’interesse: le sue relazioni sociali, le sue esigenze, i suoi dati personali riservati, quali ad esempio dati biometrici, finanziari o sanitari (Internet for and by

the People). La Internet of Things consentirà alle persone di fruire, dovunque e su qualunque dispositivo, di ambienti virtuali personalizzati tramite i quali fornire informazioni e servizi dipendenti dal contesto fisico (ad esempio dipendente dalla posizione geografica) o dal contesto situazionale (ad esempio la presenza di amici e conoscenti nelle vicinanze).In essa i servizi ICT a disposizione saranno sempre più numerosi, efficienti e integrati sia con servizi del mondo reale (Internet of Services), sia con i contenuti d’interesse individuale (Internet of Content & Knowledge) che nell’ottica del Semantic Web saranno opportunamente “raccomandati” all’utente sulla base della loro effettiva semantica, nonché delle preferenze/gusti degli utenti. Quest’ambiente così ricco di potenzialità offrirà nuove opportunità di business, legate al fornire i servizi e i contenuti di cui le persone hanno bisogno in modo sempre più semplice, fruibile, gradevole all’uso.Lo scenario previsto per tale nuova concezione della rete Internet (Future Internet) sarà quindi caratterizzato dalla presenza di una miriade di nuove entità interconnesse, con un conseguente incremento esponenziale tanto dei dati necessari a caratterizzare tali attori della comunicazione, quanto dei profili di servizio abilitanti per le moltissime tipologie di interazioni possibili. Elevati livelli di scalabilità per questi servizi potranno essere raggiunti in presenza di risorse fisiche condivise da diverse applicazioni, in architetture di tipo Cloud, dove l’infrastruttura abilitante dovrà essere basata su tecnologie avanzate di virtualizzazione, di elaborazione distribuita e parallela, in grado di sfruttare al meglio la computazione multi-core per ottimizzare le prestazioni.Oltre alla scalabilità, le architetture ICT di nuova generazione dovranno garantire elevati livelli di sicurezza dei dati, delle transazioni, e delle piattaforme, sia nei confronti degli utenti finali, che della rete nel suo insieme, con requisiti di robustezza, scalabilità, qualità del servizio, gestibilità, monitorabilità,

autodiagnostica e auto-riparazione dei nodi di rete, nonché di monitoraggio, gestione ed analisi dei dati e del traffico multimediale, anche molto stringenti quali quelli che possono essere espressi dalle esigenze dei grandi operatori di telecomunicazione. Le spinte tecnologiche verso la globalità e la complessità e le incertezze della società contemporanea inducono nella realtà nuove forme di identità e di socialità. Luoghi e spazi sono alla ricerca di una intelligenza capace di reggere la sfida di una competizione che, comprendendo le affinità culturali del proprio territorio con più decisione, si presenti su scala nazionale e mondiale. Smart cities, ma soprattutto smart environment, sono insieme la grande sfida che oggi la Comunità Europea chiede di raccogliere.Il termine smart environment si riferisce ad un modello ambientale in cui, grazie alle tecnologie digitali e ad infrastrutture moderne, la qualità della vita delle persone in essa presenti, migliora. Negli ultimi tempi il termine viene usato sempre più spesso grazie alle migliorie tecnologiche nel campo dell'ICT (smartphone, tablet, proximity marketing...) che hanno contribuito in grossa parte nello spingere lo sviluppo verso questo orizzonte (l'incremento di dispositivi mobili con potenza di calcolo sempre maggiori, a basso costo, l'impiego di tecnologie senza fili per la comunicazione, facilità di utilizzo, disponibilità in modo non invadente). Al fine di sostenere gli occupanti, l'ambiente intelligente deve essere in grado di rilevare quello che accade e quindi poter determinare l'azione da intraprendere sulla base di queste informazioni. Gli smart environment dipendono fortemente dal paradigma di comunicazione e cooperazione adottato per far interagire diversi dispositivi: Reti di sensori, server dell'infrastruttura fissa e il numero crescente di dispositivi mobili portati dalle persone.I sensori potrebbero essere incorporati nell'ambiente stesso, o integrati nella piattaforma o entrambi. Le aree di interesse potrebbero essere sia siti cultural heritage come musei, siti

archeologici, templi, centri storici, ma anche siti di industrial heritage o non culturali, come stanze intelligenti, ambienti di conferenze smart, veicoli smart, case intelligenti, ecc. Creare ecosistemi che permettano sia la trasparenza che la crescita economica, in cui l'intelligenza da sviluppare non è direttamente proporzionale alle dotazioni tecnologiche possedute. In un tale contesto, le reti, il cloud computing, la sensoristica distribuita sono solo dei fattori abilitanti, sicuramente indispensabili.Un ecosistema sarà tanto più intelligente quanto più si riuscirà a coordinare in esso modelli di sviluppo economico e di reale e partecipata governance territoriale. Entrambi i modelli devono essere fortemente baricentrati sulla grande risorsa rappresentata dal proprio capitale umano e sociale. Un luogo è smart se lo sono i suoi abitanti in termini di competenze, di capacità relazionali, di inclusione e tolleranza. Ma lo è anche se presenta attività innovative, di ricerca, in grado di attirare capitali economici e professionali, ed essere inoltre un attrattore turistico. Ancora di più se adotta un modello di governo centrato sull’attenzione al bene comune per favorire la partecipazione civica nella creazione di valore pubblico.migliorie tecnologiche nel campo dell'ICT (smartphone, tablet, proximity marketing...) che hanno contribuito in grossa parte nello spingere lo sviluppo verso questo orizzonte (l'incremento di dispositivi mobili con potenza di calcolo sempre maggiori, a basso costo, l'impiego di tecnologie senza fili per la comunicazione, facilità di utilizzo, disponibilità in modo non invadente). Al fine di sostenere gli occupanti, l'ambiente intelligente deve essere in grado di rilevare quello che accade e quindi poter determinare l'azione da intraprendere sulla base di queste informazioni. Gli smart environment dipendono fortemente dal paradigma di comunicazione e cooperazione adottato per far interagire diversi dispositivi: Reti di sensori, server dell'infrastruttura fissa e il numero crescente di dispositivi mobili portati dalle persone. I sensori potrebbero essere incorporati nell'ambiente stesso, o integrati nella piattaforma o entrambi. Le aree di interesse potrebbero essere sia siti cultural heritage come

musei, siti archeologici, templi, centri storici, ma anche siti di industrial heritage o non culturali, come stanze intelligenti, ambienti di conferenze smart, veicoli smart, case intelligenti, ecc. Creare ecosistemi che permettano sia la trasparenza che la crescita economica, in cui l'intelligenza da sviluppare non è direttamente proporzionale alle dotazioni tecnologiche possedute. In un tale contesto, le reti, il cloud computing, la sensoristica distribuita sono solo dei fattori abilitanti, sicuramente indispensabili. Un ecosistema sarà tanto più intelligente quanto più si riuscirà a coordinare in esso modelli di sviluppo economico e di reale e partecipata governance territoriale. Entrambi i modelli devono essere fortemente baricentrati sulla grande risorsa rappresentata dal proprio capitale umano e sociale. Un luogo è smart se lo sono i suoi abitanti in termini di competenze, di capacità relazionali, di inclusione e tolleranza. Ma lo è anche se presenta attività innovative, di ricerca, in grado di attirare capitali economici e professionali, ed essere inoltre un attrattore turistico. Ancora di più se adotta un modello di governo centrato sull’attenzione al bene comune per favorire la partecipazione civica nella creazione di valore pubblico. Uno spazio antropizzato, con le sue strade, piazze, parchi è da sempre caratterizzato da una interazione sociale sorretta da una piattaforma di leggi, regole e tradizioni. In tale spazio la tecnologia diventa un elemento facilitatore dell'interazione, diventa strumento di connessione tra idee, iniziative, competenze ed esperienze diverse per risolvere problemi condivisi e creare nuove opportunità sociali, economiche e culturali. In esso le condizioni di governo, infrastrutturali e tecnologiche devono produrre innovazione sociale, risolvendo problemi sociali legati alla crescita, all'inclusione e alla qualità della vita attraverso l'ascolto e il coinvolgimento dei diversi soggetti interessati: persone, imprese, associazioni. Una definizione di “smart cities” proposte in ambito europeo ripresa da [6], è: “We believe a city to be smart when investments in human and

social capital and traditional (transport) and modern (ICT) communication infrastructure fuel sustainable economic growth and a high quality of life, with a wise management of natural resources, through participatory governance.”E lo “smartness” di una city, come concordemente riconosciuto nella letteratura del settore, si sviluppa su sei linee di intervento tutte fortemente integrate tra loro:

Smart Economy - per assicurare Innovazione e Competitività; Smart People – per costruire creatività e capitale sociale

adeguato; Smart Governance - per garantire alti livelli di partecipazione Smart Mobility – al fine di assicurare una gestione

intelligente dei trasporti e delle infrastrutture Smart Environment – per la sostenibilità e le risorse Smart Living – per una migliore e intelligente qualità della

vita. In tale ottica uno Smart Space è allora uno “spazio virtuoso che si basa sulla combinazione intelligente [7] di attività e di abilità di cittadini auto-determinati, indipendenti e consapevoli”. L’ambito in cui ci andiamo a focalizzare è quello dei beni culturali (Cultural Heritage) come smart environment.

Il Cultural Heritage visto come smart environment è un ambito particolarmente interessante sia perché rappresenta uno scenario stimolante per tecnologie sensibili al contesto e la costruzione di ambienti intelligenti, sia perché può essere valorizzato con l’ausilio delle tecnologie.Il Cultural Heritage sta diventando il più grande fattore d'attrazione per il turismo in tutto il mondo e molti paesi mirano ad offrire contenuti e servizi a costi inferiori, ma di più alta qualità, che possono offrire la migliore visibilità ai loro musei, siti d'interesse e paesaggi.

2.1 DATABENC

Il progetto DATABENC (Distretto ad Alta TecnologiA per i BENi

Culturali), pensato e voluto soprattutto dalle Università degli Studi di Napoli Federico II e di Salerno, nasce proprio per colmare in Regione Campania un vuoto di programmazione strategica sui beni culturali, sul patrimonio ambientale e sul turismo per tentare di focalizzare l’attenzione verso un heritage scarsamente protetto, ma soprattutto poco valorizzato e quasi per nulla comunicato, secondo un approccio di sistema integrato.L’idea-progetto si è sviluppata nell’ambito della diffusione dei distretti culturali evoluti che, in Italia, hanno avuto come obiettivo primario la realizzazione di quattro driver: il rafforzamento dell’identità culturale e dell’immagine territoriale locale; un’internazionalizzazione dell’offerta culturale; una programmazione di eventi esperienziali inclusivi del fruitore; una leadership condivisa con responsabilità e cooperazione tra pubblico e privato. Il progetto vuole affermare che la cultura è in grado di generare processi di riconversione creativa ed innovativa dei sistemi di sviluppo territoriale tradizionali sostenibili nel breve e nel lungo termine.Il distretto DATABENC si pone l’obiettivo di realizzare uno sviluppo socio-economico orientato verso un’analisi finalizzata del patrimonio culturale, un nuovo uso delle risorse, in cui il driver tecnologico, rappresentato soprattutto dalle ICT, deve giocare un ruolo importante sviluppando e adattando i contenuti di beni e servizi diversi per fruitori eterogenei. In un sistema non più caratterizzato dalla specializzazione mono-filiera, ma piuttosto dall’integrazione di molte di esse afferenti al cultural heritage materiale e immateriale.In particolare, nel distretto DATABENC, hanno creduto più di 60 soggetti, di cui 46 PMI, 4 grandi imprese, 9 centri di ricerca e 4 università, orientate a costruire una rete di relazioni capace di ibridare seguenti competenze relative:

alla conoscenza integrata: la prima forma di tutela di un bene è nella conoscenza, per tale motivo è necessario realizzare un esauriente sistema di salvaguardia cognitiva del

patrimonio culturale (ad esempio, indagini censuarie, mappature di preesistenze, cartografie del rischio, piattaforme digitali, itinerari di formazione/divulgazione).

al monitoraggio diagnostico: ai fini della tutela di un bene risulta indispensabile il monitoraggio diagnostico inteso in senso ampio, che non si limita solo alla verifica dell’integrità materiale del bene stesso ma si estende anche all’area in cui il bene è inserito o alle dinamiche turistiche che lo coinvolgono e che comunque provocano stress e consunzione del bene. A tale scopo è necessario strutturare un sistema integrato di salvaguardia conservativa che comprenda, ad esempio, analisi precoci di vulnerabilità (territoriali, strutturali, ecologiche, ecc.), test sperimentali (materiali, ricostruttivi,prototipali, ecc.), valutazioni socio-economiche ed attitudinali (rilevazione densità di carico e (ri-)funzionalizzazione siti/beni).

alla fruizione sostenibile: un aspetto fondamentale del bene culturale è quello del suo utilizzo. Per raggiungere un utilizzo del patrimonio culturale che sia sostenibile si rende necessario, ad esempio, la realizzazione di soluzioni per l’interazione utente/visitatore (on-site, on-line, da remoto) attraverso percorsi di realtà fisica (scenografia 3D, media immersività, fruizione singola/multipla), di realtà aumentata su piattaforma mobile (modalità ravvicinata, alta immersività, fruizione singola/multipla), applicazioni di ricostruzione virtuale (modalità da remoto, limitata immersività, fruizione singola/multipla), itinerari di apprendimento (formazione/divulgazione), interazione virtuale mediante tatto, parola, gesto.

1. ,

Nello specifico, DATABENC fonda una rete tra università, centri di ricerca, grandi imprese, PME-PMI e amministrazioni presenti nel territorio, capace di focalizzare le proprie risorse cognitivo-relazionali su di un programma di alta tecnologia capace di

generare un significativo valore socio-economico a livello locale, nazionale ed internazionale, con la creazione di nuove realtà imprenditoriali (spin-off, start-up), nuove figure professionali, percorsi di alta formazione qualificati, valorizzazione delle conoscenze (brevetti, know how). Il distretto vuole essere l’habitat in cui integrare itinerari eterogenei di ricerca-formazione-innovazione, capace di agire come motore di crescita sostenibile creando sinergia fra le varie conoscenze, competenze e relazioni regionali, e perseguendo l’obiettivo comune della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale campano inteso in senso esteso: territori, siti, beni e attività.

2.1.1 I risultati attesi

Il distretto, nei suoi primi tre anni intende raggiungere i seguenti risultati:

favorire un uso privato del patrimonio culturale, ancorché regolamentato dal pubblico e ad alto valore aggiunto, creando delle comunità di pratica fra gli attori del sistema;

creare processi e infrastrutture abilitanti per supportare gli attori del sistema integrato dei beni culturali;

incrementare le collaborazioni tra grandi imprese (GI) e piccole e medie imprese (PMI);

stimolare la nascita di imprese innovative che utilizzino i beni culturali come volano dello sviluppo economico locale;

potenziare le capacità di generare innovazioni mirate e specifiche, attraverso il cofinanziamento di progetti di sviluppo, ammodernamento e/o acquisizione di impianti e dispositivi da parte di Università e centri di ricerca/Enti di Ricerca/strutture del MiBAC della Campania;

attrarre capitali privati, competenze eccellenti e imprese internazionali ad alta tecnologia, attraverso strumenti innovativi di private equity/venture capital in operazioni finanziarie nel capitale di rischio;

rafforzare il valore giuridico dei brevetti campani, di cui la

maggior parte legato allo sviluppo di tecnologie per la sicurezza e la protezione dei beni culturali e sostenere la diffusione delle competenze delle imprese all’interno della frammentata filiera dei beni culturali;

creare nuova imprenditoria capace di realizzare una gestione economica del patrimonio culturale, sia sul piano della valorizzazione e fruizione che dei sistemi innovativi di messa in sicurezza dei beni culturali;

promuovere e favorire il trasferimento tecnologico attivando azioni di raccolta e diffusione di opportunità di innovazione con impatto sul business, focalizzando lo sforzo sull’efficacia della comunicazione per stimolare l’interesse e il follow-up con prodotti diversificati in funzione delle caratteristiche delle imprese destinatarie;

ampliare l’offerta del turismo culturale, sia tramite forme di fruizione virtuali e multimediali, sia attraverso strumenti di marketing esperienziale;

re-indirizzare e distribuire su aree più vaste i flussi turistici che attualmente si concentrano in un numero ristretto di siti, individuando e sperimentando strumenti per la fruizione e valorizzazione di luoghi periferici regionali maggiormente in grado di attirare operatori e turisti.

costruire una cartografia ragionata dei beni culturali in ambito cittadino/regionale.

creare iniziative di marketing turistico come la proposizione di Exhibition on the road.

Tutti obiettivi che si possono ottenere solo se gli attori di DATABENC, mondo della ricerca e imprenditoriale, sapranno dare alle tecnologie come elemento strategico di innovazione di crescita.

2.1.2 Il ruole delle tecnologie

Il distretto DATABENC, Distretto ad Alta TecnologiA dei BENi Culturali, si pone l’obiettivo di realizzare uno sviluppo socio-

economico orientato verso un’analisi finalizzata del patrimonio culturale, un nuovo uso delle risorse, in cui il driver tecnologico, rappresentato soprattutto dalle ICT, deve giocare un ruolo importante sviluppando e adattando i contenuti di beni e servizi diversi per fruitori eterogenei. In un sistema non più caratterizzato dalla specializzazione mono-filiera, ma piuttosto dall’integrazione di molte di esse afferenti al cultural heritage materiale e immateriale.DATABENC nasce infatti nell’ambito del Bando ministeriale sui Distretti Tecnologici per accrescere il livello tecnologico e la competitività del sistema produttivo campano, come gli accordi programmatici in atto tra regione e il governo nazionale (MIUR) confermano.Un DT deve costruire una rete territoriale capace di focalizzare le proprie risorse cognitivo-relazionali su di un programma di alta tecnologia capace di generare un significativo valore socio-economico a livello locale, nazionale ed internazionale, con la creazione di nuove realtà imprenditoriali (spin-off, start-up, ecc.), nuovi posti di lavoro, percorsi di formazione altamente qualificati, valorizzazione delle conoscenze (brevetti, know how).

A tal fine deve contribuire a far crescere un habitat territoriale in cui integrare itinerari eterogenei di ricerca-formazione-innovazione, che possono agire come motore della crescita sostenibile in un contesto come quello attuale dominato da un sistema di connessioni e comunicazioni che obbligano i processi decisionali ad essere più veloci e pro-attivi.In un siffatto scenario le tecnologie assumono il ruolo abilitante di processi di reale innovazione da applicare al settore dei Beni Culturali per un reale cambiamento di rotta rispetto a quanto nel passato è stato intrapreso, in cui l’innovazione forse più importante è nella

volontà di creare una infrastruttura di sistema con forte caratterizzazione territoriale. Non più interventi isolati, anche di grande rilevanza, ma tutte azioni integrate tra loro. Con un grande obiettivo comune: produrre conoscenza, perché la

conoscenza è ricchezza. E la caratterizzazione della conoscenza recuperata, acquisita, rappresentata, archiviata, gestita, resa accessibile con le modalità oggi condivise a livello internazionale degli Open Data, sia in termini di dimensione che di interesse, è uno dei prodotti/servizi sui quali DATABENC intende far

misurare i suoi primi anni di attività.

2.1.3 Il modello di smartness di DATABENC

Oggi serve una grande svolta se si vuole affrontare il problema della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale in modo diverso dal passato salvaguardando in gran parte quanto già realizzato. La prima grande sfida è quella di mirare ad una dimensione di sistema che faccia della Campania una regione dell’innovazione, un centro di produzione e diffusione di cultura capace di attrarre non solo capitali economici ma anche, e soprattutto, capitali umani.Tanti sono stati gli interventi fatti, molti anche di grande rilevanza. Alcuni sono rimasti in vita per il solo tempo del progetto o del finanziamento. Ancora oggi si deve parlare di integrazione di dati e di meccanismi di cooperazione che però stentano a fare interagire tra loro realmente funzionalità ed informazioni.Per superare la frammentarietà degli interventi o la loro estrema verticalizzazione serve ricercare una contestualizzazione nella quale tutti gli aspetti siano correlati agli altri. Ad esempio l’atlante archeologico deve integrarsi con la rete di sensori che forniscono dati sullo stesso territorio, ma anche con le informazioni prodotte dalle persone e dai soggetti in esso presenti. Se il territorio è parte di un territorio più ampio nel quale sono stati prodotti analoghi atlanti, allora deve essere possibile produrre l’atalante che li integra. Ma deve anche accadere che l’atlante prodotto resti disponibile per costruire successive applicazioni con le quali arricchire la conoscenza del territorio.In un tale scenario la conservazione dei beni culturali viene ad arricchirsi delle nuove problematiche connesse con la conservazione digitale. Percè la conoscenza rappresenti un valore per il territorio aggiungendo sempre più nuovi elementi deve mantenersi vivo nel tempo il ciclo di attività di rappresentazione, gestione e manutenzione delle informazioni.E non deve accadere che la conoscenza si disperda e debba essere ricostruita ogni volta che parte un nuovo progetto. DATABENC

vuole sperimentare soluzioni di sistema con le quali innalzare la qualità e la quantità di nuovi servizi evitando inutili e dispensioni duplicazioni di attività.Una prima soluzione è cercare di analizzare le necessità esistenti per studiare la possibilità di ricondurre casi diversi ad un unico modello di riferimento.In particolare se si osservano i diversi siti di interesse del patrimonio culturale campano quali musei, parchi archeologici e ambientali, castelli, centri storici, etc. si possono scoprire molte esigenze in comune.

Figure 2.1:Modello smartness di riferimento in Databenc

In ognuno di essi, infatti, si ritrovano esigenze di:

monitoraggio e diagnostica per la loro salvaguardia; fruizione sostenibile per una corretta promozione capace di

garantirne la sostenibilità; gestione della conoscenza per metterli a patrimonio per il

territorio e per l’intera nazione.

Ma tutti hanno anche la necessità di essere dotati di strumenti che ne garantiscano una gestione efficace ed efficiente attraverso un uso attento delle poche o molte risorse disponibili. Strumenti capaci quindi di controllare i costi di gestione ma creando, contemporaneamente, una maggiore qualità dei servizi resi.Molti degli aspetti di interesse dei Beni Culturali possono essere considerati spazi in cui le persone vengono messe a contatto con una realtà fatta di oggetti capaci di suscitare interesse ed emozione perché ne viene offerta una percezione diretta o una loro conoscenza o una combinazione di percezione e conoscenza.L’innovativa proposta di DATABENC è sviluppare competenze capaci di rendere SMART un

tale spazio con l’ausilio delle tecnologie. Dove il concetto di spazio deve intendersi in senso lato, non limitato da soli confini fisici. Sono spazi di interesse per DATABENC:

gli spazi espositivi i parchi archeologici

i parchi naturalistici i musei i depositi i centri storici i complessi monumentali i grandi patrimoni librari gli archivi storici.

Per i quali si vuole studiare e progettare un’unica metodologia in grado di renderli smart. Una prima considerazione sostenuta dalla letteratura, anche se con sfumature diverse, è che uno singolo spazio è smart (Single Smart Space o S3) se in esso si integrano dimensione reale e digitale. Con le tecnologie che devono essere capaci di connettere il mondo fisico con il mondo delle informazioni per amplificarne la conoscenza ma anche e soprattutto la fruizione. Con modalità baricentrate fortemente sull’individuo come elemento attivo a cui offrire il piacere della percezione e il fascino della scoperta di nuovi saperi, restituendo al contempo informazioni utili a rendere sempre più vivo lo spazio in quanto sensori sociali dei fenomeni sviluppati all’interno dello spazio intelligente. In altri termini, si propone una visione olistica dello spazio reale/virtuale tale da renderlo vivacemente “intelligente”.La conseguenza più importante di una siffatta definizione è che un S3 produce conoscenza rappresentata ed archiviata. Uno spazio smart deve essere considerato un grande sensore capace di valutare una realtà per facilitarne il trasferimento nel mondo digitale.

Figure 2.2:S3 come Open Data

Un sensore attivo che non solo deve mantenere costantemente aggiornata la trasposizione digitale ma anche il controllo dell’allontanamento della realtà dalla sua condizione di normalità. Capace quindi di segnalare e diagnosticare quanto necessario a mantenere costantemente viva anche la realtà.Un'altra importante implicazione della definizione di S3 è che uno

spazio smart fissa regole e procedimenti, la cui condivisione consente di mettere a sistema azioni e interventi diversi per costruire un unico patrimonio culturale a carattere territoriale, sia su scala regionale che nazionale, per lasciare alle generazioni future una infrastruttura in cui riconoscere la propria identità culturale E infine essere capace di produrre valore grazie alla sua enorme ricchezza e all’interesse che è universalmente riconosciuto al patrimonio campano. Tutto ciò può realizzarsi con un approccio sistemico e multidisciplinare, in cui le competenze da mettere in campo toccano, oltre che la dimensione della tecnologia, anche quelle del marketing, dell’organizzazione, dell’economia e delle discipline umanistiche, indispensabili per una corretta lettura delle potenzialità competitive e culturali dei territori.

2.1.4 Lo spazio come social network di oggetti, persone e soggetti

Produrre cultura è un’attività economica di frontiera nell’epoca della società della conoscenza e dei mercati globali ed è sempre più complessa, perché si deve adattare a beni e servizi molto diversi per contenuti e tecnologie, e a fruitori assolutamente eterogenei. Un primo passo per innovare la gestione del patrimonio culturale è quello di investire in tecnologia, percorrendo due strade. La prima è quella legata all’investimento in strumenti informatici per la catalogazione, il monitoraggio delle condizioni di “salute” del patrimonio, la fruizione del patrimonio stesso.La seconda prevede di utilizzare le nuove tecnologie, e in particolare le tecnologie del web 2.0 in maniera innovativa, inventando nuovi modi di comunicare con le persone, far partecipare alla gestione dei beni, costruire reti di interesse intorno al patrimonio.Un S3 è l’astrazione di ecosistemi che permettano sia la trasparenza che la crescita economica, in cui l'intelligenza da sviluppare non sia direttamente proporzionale solo alle dotazioni tecnologiche possedute. Infatti un ecosistema sarà tanto più

intelligente quanto più si riuscirà a coordinare in esso modelli di sviluppo economico e di reale e partecipata governance territoriale fortemente baricentrati sulla grande risorsa rappresentata dal proprio capitale umano e sociale. Un luogo è smart se lo sono i suoi abitanti in termini di competenze, di capacità relazionali, di inclusione e tolleranza. Ma lo è anche se presenta attività innovative, di ricerca, in grado di attirare capitali economici e professionali, ed essere inoltre un attrattore turistico. Ancora di più lo è se adotta un modello di governo centrato sull’attenzione al bene comune per favorire la partecipazione civica nella creazione di valore pubblico.In tale spazio la tecnologia diventa un elemento facilitatore dell'interazione, diventa strumento di connessione tra idee, iniziative, competenze ed esperienze diverse per risolvere problemi condivisi e creare nuove opportunità sociali, economiche e culturali. In esso le condizioni di governo, infrastrutturali e tecnologiche devono produrre innovazione sociale, risolvendo problemi sociali legati alla crescita, all'inclusione e alla qualità della vita attraverso l'ascolto e il coinvolgimento dei diversi soggetti locali coinvolti: persone, imprese, associazioni.In S3 si attiva un Social Network in cui Oggetti, Persone e Soggetti (SNOPS) (imprese, esercizi commerciali, enti locali, musei, etc.) dialogano per valorizzare il proprio patrimonio culturale e promuovere l’accoglienza turistica.

Figure 2.3:Lo spazio come Social Network

Il dialogo fra tutti gli attori coinvolti avviene secondo modelli di partecipazione, uso e riuso dei dati tipiche del Web2.0. La conoscenza è rappresentata con Linked Open Data. Al dialogo partecipano anche l’insieme di oggetti capaci di rappresentare in tempo reale lo stato dei luoghi, secondo il paradigma tecnologico dell’Internet of Things che si basa sull’idea di oggetti dotati di identità, che possono essere localizzati, che hanno capacità di interazione con l’ambiente circostante e di elaborazione dati. Oggetti intelligenti, tra loro interconnessi in modo che sia

possibile scambiare le informazioni possedute, raccolte e/o elaborate. Residenti e turisti sono gli attori della crescita della qualità della conoscenza, i primi spinti dal loro senso di appartenenza, i secondi perché possono esprimersi sulla qualità complessiva dell’offerta certificando l’informazione che la sostiene. E l’obsolescenza delle informazioni in Internet viene così combattuta con la partecipazione sociale attiva alla loro creazione e verifica.Le persone in S3 saranno quindi gestite come “identità individuali”, ovvero indipendentemente dal dispositivo in quel momento in uso. Ad esse saranno associate tutte le informazioni d’interesse: le relazioni sociali intrattenute, gli eventi, i dati personali riservati, quali ad esempio dati biometrici, finanziari o sanitari, ecc. Per favorire l’efficacia della fruizione l’accesso a S3 potrà essere personalizzato dall’utente, in base alle sue preferenze ed esigenze, e sarà adattativo nel senso che i servizi (secondo il modello dell’Internet of Services) e i contenuti (secondo l’Internet of Content & Knowledge) resi disponibili si adatteranno al contesto corrente.

2.2 Smart Space

Fisicamente uno spazio è intelligente se dotato di sensori, dispositivi e apparecchi che lo popolano per comunicare tra loro e con una unità di riferimento. Inoltre, esso deve avere la capacità di auto-organizzarsi per fornire servizi e dati complessi.In uno smart space molte sono le nuove sfide tecnologie da affrontare per definire innovativi sistemi integrati in termini di:

dinamicità intesa come la capacità di adattare continuamente, sulla base del contesto, le abitudini acquisite, mediante l'aggiunta / rimozione / composizione on-the -fly di elementi di base;

scalabilità perchè si può estendere da un piccolo a un grande numero di sensori e servizi;

configurabilità in quanto si adatta alle esigenze della realtà da

trattare; fiducia perché fidelizza i suoi fruitori con servizi efficaci; privacy garantendo livelli di protezione adeguati.

2.2.1 Singolo smart space

In un S3 monitoraggio, diagnostica, fruizione e produzione di conoscenza vengono gestiti da meccanismi di governance proattiva. Con la misura del QI che diventa lo strumento di controllo dell’azione svolta.Un S3 nella sua massima configurazione deve essere in grado di gestire:

l’insieme di sensori che percepiscono il mondo reale fornendo di esso una visione costantemente aggiornata;

l’insieme delle fonti, strutturate e non, utili alla conoscenza dello spazio;

il monitoraggio della realtà per sviluppare la capacità di intervento sulla base delle diagnostiche prodotte;

i soggetti che interagiscono nello spazio quali imprese, enti pubblici, associazioni, etc.;

i fruitori come l’insieme dei destinatari delle azioni che garantiscono la sostenibilità dello spazio sia in termini economici ma anche più semplicemente come qualità percepita della vita;

la misura della intelligenza mostrata secondo i parametri concordati di QI;

la governance dello spazio intesa come possibilità di intervento rivolto a migliorare l’efficacia e l’efficienza degli interventi attivati;

la conoscenza prodotta ed adeguatamente archiviata e classificata.

Tutte funzioni interconnesse tra loro. Non si può parlare di monitoraggio se non esistono sensori in grado di percepire lo stato della realtà Non ha senso parlare di fruizione senza disporre di fonti adeguate e di informazioni sullo stato dei luoghi. I sensori

inoltre consentono non solo di costruire la conoscenza ma anche di mantenerla viva. Ognuna delle tematiche indicate sottintende un filone ampio di ricerca e di sperimentazione di pertinenza prevalentemente degli esperti dei beni culturali. La interazione tra le tematiche è a sua volta un filone di ricerca e di sperimentazione a se stante del settore dell’ICT.

Figure 2.4:Un singolo Smart Space

Un S3 non deve necessariamente contemplare tutte le funzioni indicate. Uno spazio per essere smart deve prevedere almeno una sorgente informativa (sensori o fonti) e la produzione di conoscenza opportunamente guidati da una precisa governance. Qualsiasi sia il tipo di smartness di uno spazio deve essere possibile misurarne il QI.

2.2.2 Federazione S 3

Uno spazio può essere più facilmente reso smart se ha una forte connotazione o se ha una dimensione circoscritta. Due aspetti che consentono una misura migliore degli effetti dell’intervento di DATABENC. Anche perché, una volta constatata l’efficacia dell’intervento si può estendere l’intervento propagandolo agli ambiti circostanti o creando altri spazi collegati a quello iniziale. Ad esempio nel caso di un centro storico si può inizialmente partire con un borgo facendo leva su aspetti vocazionali per procedere a successive propagazioni ai quartieri limitrofi fino a coprire un’area sempre più vasta.Oppure si può creare una insieme di borghi tra loro in competizione ma uniti da un’unica governance territoriale.

Figure 2.5:Federazione di S3

Tutte funzioni interconnesse tra loro. Non si può parlare di monitoraggio se non esistono sensori in grado di percepire lo stato della realtà Non ha senso parlare di fruizione senza disporre di fonti adeguate e di informazioni sullo stato dei luoghi. I sensori inoltre consentono non solo di costruire la conoscenza ma anche di

mantenerla viva. Ognuna delle tematiche indicate sottintende un filone ampio di ricerca e di sperimentazione di pertinenza prevalentemente degli esperti dei beni culturali. La interazione tra le tematiche è a sua volta un filone di ricerca e di sperimentazione a se stante del settore dell’ICT.Un S3 non deve necessariamente contemplare tutte le funzioni indicate. Uno spazio per essere smart deve prevedere almeno una sorgente informativa (sensori o fonti) e la produzione di conoscenza opportunamente guidati da una precisa governance. Qualsiasi sia il tipo di smartness di uno spazio deve essere possibile misurarne il QI.

2.2.3 La rete S 3

DATABENC vuole anche lasciare alle generazioni future un segno tangibile delle proprie attività mettendo a sistema le esperienze fatte. Sia singoli spazi smart che federazioni di S3 vengono interconnessi in un modello a rete con un unico governo, una conoscenza condivisa ed un osservatorio socio-economico capace di orientare un vasto territorio. Nella dimensione digitale si potrà navigare da uno spazio all’altro senza barriere di alcun tipo. Con modalità di fruizione che insieme alla conoscenza raccolta, rappresentata e gestita rappresentato uno dei più grandi valori che DATABENC potrà aver contribuito per la salvaguardia del patrimonio culturale campano.Una rete di S3 si propone di perseguire i seguenti obiettivi principali:

1. sperimentare modelli di interazione sociale che, avvalendosi anche delle tecnologie dell’Internet del futuro, siano capaci di sviluppare una intelligenza proporzionale:

1.alla produzione di conoscenza integrata del territorio 2.alla qualità dell’accoglienza turistica; 3.alla qualità di vita dei cittadini residenti; 4. alla capacità di salvaguardare e valorizzare i beni

comuni disponibili e le risorse culturali e sociali dei

luoghi anche per il solo motivo di tutelarle e conservarle per le generazioni future;

2. sperimentare modalità di cooperazione tra persone e soggetti (enti publici, imprese ed associazioni) finalizzate a stimolare un dinamismo economico improntato al tema della sostenibilità e alla partecipazione e condivisione dei cittadini;

3. ricercare parametri qualitativi e quantitativi utili ad una misurazione della intelligenza prodotta (Quoziente di Intelligenza o QI) che insieme ai dati estratti da un Osservatorio sulla qualità della vita, dei consumi tipici, del livello di partecipazione e di accoglienza consenta di attuare politiche di monitoraggio e pianificazione del territorio;

4.sperimentare un modello di governance diffuso del territorio organizzato su più livelli, da una visione centralizzata ad una periferica di dettaglio, che stimoli competitività e partecipazione secondo i principi dell’e-democracy;

5.allargare il modello della sostenibilità basata sull’accoglienza turistica e sulla valorizzazione dei beni culturali anche alla zone interne del territorio per consentire una crescita uniforme;

6.stimolare con la produzione e gestione di Open Data e di Linked Open Data la cultura della trasparenza e la consapevolezza dell’economia della conoscenza;

7. individuare percorsi e processi formativi, rivolti soprattutto a giovani ed anziani, capaci di educare a principi quali partecipazione, condivisione, accoglienza e trasparenza;

Figure 2.6:La rete di S 3

S3-NET vuole osservare e misurare la capacità di essere smart attraverso gli interventi rivolti all’economia, alla popolazione, alla governance, alla mobilità, all’ambiente, alla salvaguardia del patrimonio culturale, all’accoglienza turistica. Con una profonda attenzione al ruolo del capitale sociale e relazionale nello sviluppo della intelligenza in quanto uno spazio sarà tanto più intelligente

quanto più chi lo frequenta avrà imparato ad imparare, adattarsi e innovarsi. S3-net vuole sostenere un tale disegno progettando una piattaforma ICT di integrazione capace di raccogliere le informazioni provenienti da tutti gli interventi sull’ambiente, sul risparmio energetico, sulla salute, al fine di misurarne gli effetti sulla qualità della vita della comunità.

2.3 Il progetto CHIS

CHIS è il sistema informativo che deve sostenere tutti gli interventi del distretto: sia a livello di singolo spazio, sia a livello di una federazione di spazi, sia di una rete di essi. Spazi tutti caratterizzati dall’essere smart nell’accezione indicata nei paragrafi precedenti, in cui le tecnologie ICT hanno la funzione di “mediazione culturale e funzionale” per favorire la riduzione della complessità che caratterizza il processo di fruizione turistica in modo tale da migliorare la qualità dell’esperienza dell’utente, coinvolgendo attivamente tutte le componenti del sistema di offerta territoriale, compreso le popolazioni residenti, e garantendo un uso ottimale e sostenibile delle risorse. Il sistema di offerta va considerato in senso ampio per comprendere non solo tutti gli attori che direttamente contribuiscono alla realizzazione del prodotto turistico, ma anche gli attori impegnati in attività di “completamento” del servizio: artigianato, trasporti, servizi finanziari ed assicurativi, produttori di equipaggiamenti e attrezzature per il tempo libero, nonché attività commerciali per lo shopping, etc. Tale dimensione, il cui impatto sulla filiera turistica può essere considerato indiretto, tende oggi ad acquisire sempre maggiore importanza in relazione alle esigenza della domanda ed alla volontà del sistema d’offerta della destinazione di fornire prodotti altamente differenziati e personalizzati.Un aspetto innovativo del progetto è voler creare una filiera di competenze capace di costruire S3 utilizzando CHIS. Dimostrando tale capacità non solo per i vari eventi programmati nello spazio espositivo che il Distretto realizzerà, ma anche intervenendo in altri ambiti dovunque essi siano collocati nel territorio campano e

più in generale a livello nazionale ed internazionale. Soprattutto esportando soluzioni e competenenze al di fuori del proprio confine.CHIS è prima di tutto un insieme di regole da fissare per caratterizzare uno spazio smart integrando quanto utile a connettere realtà e dimensione informativa attraverso un insieme di sensori tecnologici o sociali. Per costruire conoscenza che rimanga a disposizione delle generazioni future superando tutte le difficoltà legate alla obsolescenza e alla diffusione secondo regole condivise.Grazie a CHIS almeno la dimensione digitale non deve disperdersi potendo continuare a vivere di vita propria nel mondo non reale che il distretto costruirà con tutti i suoi interventi. Proponendo una visione innovativa del proprio territorio: come sistema integrato di valorizzazione di tutte le sue componenti.Realtà e sua rappresentazione digitale devono convivere senza che l’una prevarichi sull’altra. Consentendo la fruizione di entrambe, ma anche di una sola di esse, soprattutto della seconda nel caso la prima venisse meno.

2.3.1 Gli stackholder

Tutto il progetto ha come obiettivo di lungo periodo una valorizzazione del territorio che considera il turismo un elemento rilevante, ma non unico. Infatti, gli effetti diretti sulla soddisfazione dei turisti devono aggiungersi alle ricadute sulla competitività e l’attrattività del territorio. Con molta attenzione agli effetti indiretti ed indotti sull’occupazione, le risorse locali ed il miglioramento della qualità della vita dei residenti e delle imprese operanti in un S 3 .In CHIS tre sono gli stakeholder importanti:

i fruitori dei servizi; i soggetti attivi negli S3; gli organi di governo.

2.3.2 Struttura a servizi

CHIS è una piattaforma incentrata su servizi tagliati sulle esigenze delle persone e dei soggetti di un S 3 e non sui vincoli della tecnologia; scalabile perché si adatta alla tipologia di sensori capaci di dialogare e al loro numero; elastica perché i servizi di cui si compone richiedono risorse, soprattutto dati, a seconda delle necessità; condivisa perché composta da servizi che condividono un pool di risorse per realizzare economie di scala; flessibile in quanto configura i servizi sulla base delle esigenze della governance. Inoltre è interamente basata sulle tecnologie Internet.CHIS è quindi un sistema informativo organizzato in servizi fortemente integrati su un’unica base dati da cui estarre i dati di sintesi utili alle attività di governo. L’organizzazione in servizi consente quegli alti livelli di configurabilità necessari per personalizzare CHIS nelle diverse istanze degli S 3 . Una caratteristica importante è la flessibilità potendo variare il numero di servizi sulla base delle strategie adottate dalla governance, è anche scalabile in quanto può iniziare ad operare con un insieme ristretto di sensori e attività e crescere man mano che se ne aggiungono di nuovi.Un primo elenco non esaustivo dei servizi integrati è:

promozione delle offerte; gestione prenotazioni e vendita biglietti elettronici; controllo accessi automatizzato; videosorveglianza intelligente e proattiva; audio/video guida turistica interattiva;

catalogazione e digitalizzazioni di fonti; navigazione in realtà aumentata o virtuale; controllo flussi; gestione allarmi; monitoraggio eventi e fenomeni; vendita di prodotti materiali e immateriali; analisi della customer satisfaction; gestione del coinvolgimento e della partecipazione sociale;

acquisizione fonti;

misura dei parametri del QI; produzione dati per l’osservatorio.

L’obiettivo è sviluppare o integrare applicazioni che svolgano al meglio la loro funzione di servizio business, indipendentemente l’una dall’altra ma nello stesso tempo capaci di dialogare tra loro e con terzi attraverso un’interfaccia standard. CHIS sarà progettata non per essere una singola applicazione, ma per offrire componenti multiple che possono essere associate in una varietà di contesti diversi, facendo attenzione ad una visione dell’insieme dei processi che si vuole abilitare con dei servizi, spesso detto anche catalogo dei servizi, e alle informazioni.CHIS vuole essere soprattutto una piattaforma software disegnata su modelli di business intelligence per essere in grado di gestire il gran numero di informazioni ricevute da parte di tutti i servizi che verranno attivati per le esigenze di tutti gli stakeholder direttamente coinvolti nel singolo S 3 o nella rete di essi. Con le funzioni di supporto ai processi decisionali CHIS deve fornire agli organi di governo di S 3 gli strumenti per sostenere i processi di governance, presentando i dati e le analisi necessari alla pianificazione strategica e al controllo. CHIS deve quindi garantire:

forte integrazione a livello funzionale, coerenza e affidabilità a livello dati;

coerenza architetturale e tecnologica per garantire gli investimenti;

integrazione di dati e processi flessibilità per adattarsi alle diverse esigenze espandibilità funzionale per lo sviluppo di nuovi servizi; alta manutenibilità per gestire l’evoluzione dei servizi. L'architettura di riferimento deve strutturarsi in strati

contenenti: l’insieme delle applicazioni o servizi sia sviluppate che

acquistate;

la gestione dei processi e l’integrazione dei servizi; l’integrazione dei dati; le funzioni di Business Intelligence; l’interfaccia utente.

2.4 Location-based services e Location Awareness

Molti dei servizi offerti dalla piattaforma CHIS dipendono fortemente dal contesto in cui il richiedente si trova.L’uso del contesto è importante per applicazioni interattive. È particolarmente importante per applicazioni in cui il contesto dell’untente cambia rapidamente, come in handheld computing e ubiquitous computing. Per comprendere meglio come può essere utilizzato il contesto e facilitare lo sviluppo di applicazioni e servizi context-aware bisogna capire bene cosa è il contesto.

2.4.1 Il contesto e la context-awareness

Molti ricercatori hanno tentato di definire il significato del termine context nell'ultimo decennio, prendendo in considerazione diversi punti di vista. Dalla varietà di definizioni, che spesso dipendono dalla soggettività degli autori, viene fuori la difficoltà di trovare una definizione comune.La prima concettualizzazione del termine context è stata fornita in Schilit [8][9], in cui è stato definito da una tripla: Posizione, identità di persone e oggetti vicini e i cambiamenti che coinvolgono tali oggetti.Da allora è stato proposto un gran numero di definizioni di contesto nel settore dell'informatica.Chen in [10] espanse la tassonomia di Schilit, introducendo la classe tempo e fornendo una propria definizione formale: “Il contesto è l'insieme degli stati ambientali e impostazioni che determinano il comportamento di un'applicazione oppure in cui si verifica un evento che è d'interesse per l'utente”.In [11] il contesto è definito come percorso corredato ad altre informazioni, come ad esempio l'identità delle persone intorno all'utente, il giorno della settimana, stagione, temperatura, ecc.

Altri forniscono sinonimi al termine contesto, ad esempio usando termini come ambiente,situazione, ambiente per l'utente e ambiente per l'applicazione, come [12] che relaziona il contesto alle impostazioni dell'applicazione.Più di recente in [13] il contesto “non è più semplicemente lo stato di un ambiente predefinito con un insieme fisso di risorse interagenti. Esso è parte di un processo di interazione con un ambiente in continua evoluzione composto da risorse riconfigurabili, migratorie, distribuite e multiscala”.Una definizione specifica del concetto di contesto è fornita da Roffia che definisce il contesto “come la combinazione di coordinate fisiche e logiche, dove la coordinata fisica rappresenta la posizione corrente dell'utente e l'orientamento relativo a un modello di spazio, e la coordinata logica rappresenta il livello attuale di dettaglio richiesto esplicitamente dall'utente” (ad esempio, l'utente è interessato al museo, ad una sezione, alla hall, alle pareti oppure all'esposizione).Le definizioni di contesto citate sono solo un sottoinsieme delle diverse concettualizzazioni fornite negli ultimi anni. Esse risultano tuttavia limitanti, perché non sono in grado di prendere in considerazione tutti i tipi di situazioni diverse.Qui di seguito vengono fornite altre due definizioni più generiche del termine context.

Secondo Abowd [14] il contesto è “qualsiasi informazione che possa essere utilizzata per caratterizzare le circostanze delle entità (ad esempio, se è una persona, un luogo o un oggetto) che sono considerate rilevanti per l'interazione tra un utente e un'applicazione, tra cui l'utente è l'applicazione di se stesso”.

Il contesto, in genere, è la posizione, identità e stato delle persone, gruppi di oggetti, oggetti computazionali e fisici”.Questa nozione di contesto include qualsiasi tipo di informazione che è rilevante per l'interazione tra l'utente e l'applicazione, e così, qualsiasi applicazione definita come adattativa in termini tradizionali, è in realtà un context-aware.Al fine di specificare meglio questo concetto Zimmermann [15]

tenta di concretizzare gli aspetti che caratterizzano il contesto. Egli sostiene che “tutte le informazioni che descrivono il contesto di un'entità ricadono in una delle cinque categorie di informazioni di contesto: Individualità, attività, luogo, tempo e relazioni”.Questa ampia definizione permette di definire in ogni scenario la definizione specializzata più adatta di contesto, che è ovviamente necessaria per ogni implementazione pratica della context-awareness.Le informazioni di contesto insieme a metodi di composizione e rappresentazione sono parti fondamentali del Context-Aware Computing. Rilevando gli attributi di contesto, le applicazioni possono visualizzare le informazioni di contesto, catturarle per poi impiegarle per un accesso successivo, fornire un sistema di recupero informazioni memorizzate basato sul contesto o modificare il comportamento dell'applicazione di conseguenza senza l'intervento esplicito dell'utente.Una parte delle informazioni di contesto si ottiene catturando le caratteristiche del mondo fisico attraverso l'uso di sensori.Un sensore può essere definito come un dispositivo che percepisce una (o più) proprietà fisica e mappa il valore della misurazione quantitativamente [16].Sensori multipli sono necessari per raccogliere informazioni contestuali, perché una singola uscita di un sensore potrebbe non produrre informazioni sufficienti a causa di incertezza e l'inaffidabilità del sensore stesso. La combinazione e la fusione di più valori del sensore può essere utilizzata come tecnica per ridurre questi problemi.Come definito in [17] , combinando molteplici sensori si solleva il problema della fusione delle informazioni in modo significativo.Ispirato dalla letteratura “sensor fusion”, due tipi generali di tecniche di fusione sono previsti per poter essere utilizzati: Meccanismi basati su “sensori competitivi” e meccanismi basati su “sensori complementari”.Sensori Competitivi: Ognuno fornisce informazioni equivalenti sull'ambiente. Essi vengono utilizzati quando i sensori

introducono incertezza o sono inaffidabili, così usarli contemporaneamente riduce tali inconvenienti.Sensori Complementari: Forniscono informazioni che possono essere integrate tra di loro per formare un quadro più completo dell'ambiente.Inoltre, quando si trattano i sensori, a volte è necessario affrontare i problemi legati all'invadenza, sia a causa del loro funzionamento che della loro forma che non si adatta al flusso naturale delle attività dell'utente.Possiamo quindi definire genericamente la context-awareness

come la capacità dei dispositivi di osservare e capire il contesto in cui si trova e poter fornire in questo modo servizi dedicati, dinamici e adattati all’utente, rendendolo sempre più partecipe, informato e (spesso) divertito.

2.4.2 Location-awareness e Location-based Services

In maniera complementare alla context-awareness è possibile definire un’altra caratteristica che può essere vista come sottoinsieme della context-awareness: la location-awareness.La rilevanza delle informazioni di localizzazione nei meccanismi di context-aware per Ubiquitous Computing è evidente dalle prime attività di ricerca [18]. Diversi ricercatori hanno contribuito da allora nel campo dell'Ubiquitous Computing e della localizzazione come [19].Inoltre, i recenti progressi tecnologici per quanto rigurada dispositivi mobili con sistemi di comunicazione senza fili, sensori, miniaturizzazione dei dispositivi, tecnologia hardware (specialmente con i sistemi Micro-Elettro-Meccanici - MEMS) hanno permesso lo sviluppo di nuovi sistemi di localizzazione ad alta risoluzione in grado di individuare con precisione persone, attrezzature e altri oggetti.I sistemi di localizzazione abilitano una connessione tra il mondo fisico e quello virtuale, richiedendo meno attenzione e sforzo cosciente da parte degli utenti, in linea con l'obiettivo dell'Ubiquitous Computing Environment. Come tale, il “context

awareness”, e l'attività di localizzazione nell'ambito di tale contesto, è un fattore importante nelle applicazioni nell'ubiquitous computing environment.Per molte ragioni il processo necessario a determinare la posizione dell'utente è tutt'altro che banale.Tra i motivi si evidenziano la grande differenza nella localizzazione di persone all'aperto o al chiuso, la difficoltà nel raggiungere l'accuratezza e precisione attese. Infatti, mentre all'aperto la tecnologia GPS è ampiamente usata ed è uno standard de facto grazie alla sua onnipresenza, la localizzazione indoor è ancora un'area di ricerca aperta.Soluzioni alternative, spesso adottate, sono basati su segnali radio (802.11, Bluetooth, RFID), tecnologia ad ultrasuoni o infrarossi.Uno dei primi sistemi context-aware basato sulla localizzazione è Active Badge Location System. Questa applicazione utilizza la tecnologia a infrarossi ed è in grado di determinare la posizione corrente dell'utente, fornendo servizi come l'inoltro di telefonate ad un telefono vicino all'utente, nel capitolo successivo ne vediamo una descrizione più dettagliata.Altre importanti applicazioni context-aware sono state sviluppate dopo, come Cyber Guide [20], CoolTown [21], ecc.Molti sistemi di “ location aware” utilizzano un set limitato tecnologie di rilevamento, che limitano la loro affidabilità, perché in genere possono funzionare al coperto e non all'aperto o viceversa.Se viene utilizzato un insieme eterogeneo di sensori è possibile migliorare la precisione fondendo i dati, provenienti da più fonti indipendenti di informazioni, sulla posizione su una scala temporale; questo, ovviamente, comporta un aumento della complessità computazionale di tali sistemi per l'attività di fusione dei dati.Un numero maggiore di fonti di informazioni sulla posizione migliorerà in genere sia la copertura territoriale che il tasso al quale le informazioni sulla posizione saranno disponibili, il quale dovrebbe aumentare l'accuratezza e la precisione nei calcoli di

localizzazione. Sfruttando ad esempio i vantaggi di molte fonti di informazioni sulla posizione si potrebbero risolvere i problemi relativi al guasto di un singolo sensore, grazie alla ridondanza di informazioni sulla posizione.Tutte queste tecnologie hanno reso i dispositivi sempre più consapevoli della posizione propria e dell’utente permettendo così il nascere di Location-Based Services (LBS).Analisti e ricercatori hanno utilizzato diversi approcci per classificare applicazioni LBS. Una prima distinzione di servizi LBS è se questi sono person-oriented o device-oriented. LBS person-oriented comprendono tutte quelle applicazioni in cui un servizio è user-based. Quindi, l’obiettivo principale dell’uso dell’applicazione è posizionare una persona o utilizzare la posizione di una persona per estendere un servizio. In genere, le persone localizzate possono controllare il servizio (es. Applicazioni per cercare amici nelle vicinanze).LBS device-oriented riguardano applicazioni che sono esterne all’utente. Possono incentrarsi sulla posizione di una persona senza però averne bisogno. Localizzano non necessariamente una persona ma anche oggetti o gruppi di persone. In questo caso generalmente le persone o le cose localizzate non possono controllare il servizio (es. Applicazioni di antifurto di un’auto).Una seconda classificazione di servizi LBS può essere fatta in base ai tipi di applicazioni: push services e pull services. [22]I push services fanno in modo che l’utente riceve l’informazione direttamente come risultato della sua posizione precisa senza che quest’ultimo faccia una richiesta.Nei pull services, al contrario, l’utente attivamente richiede all’applicazione un’ informazione relativa al suo contesto.

2.4.3 Indoor positioning a supporto di LBS

Nell’ambito di DATABENC/CHIS si considerano tutte le varie situazioni in cui l’ambiente da rendere smart può essere outdoor ma soprattutto indoor (es. musei, mostre, grotte, etc.).I dispositivi, con le tecnologie e i sistemi attuali, riescono

facilmente ad adattarsi in ambienti outdoor ma sfida principale è quella di rendere ancora più sensibile questa location-awareness anche in ambienti più difficili.Per questo motivo è necessario sviluppare dei sistemi o dei framework a supporto degli LBS in ambienti indoor.

Chapter 3

Monitoraggio

3.1 Conservazione e tutela

Negli ultimi anni si è riscontrato un incremento dell'affluenza di pubblico presso i musei ed in particolare presso le esposizioni temporanee, il cui numero di visitatori cresce in modo continuo, fino a raggiungere cifre inimmaginabili. Parallelamente a ciò, da tempo si assiste, sia in ambito italiano che europeo, ad un interesse dell'opinione pubblica sempre crescente verso la tutela e la conservazione del patrimonio culturale. Questo crescente interesse verso la tutela, il restauro e la valorizzazione di tale vasto patrimonio non ha solo raggiunto la coscienza collettiva del pubblico che sempre più numeroso affolla le esposizioni temporanee e permanenti della nostra penisola, ma si è anche diffuso all'interno delle istituzioni pubbliche e private determinando un sempre maggiore investimento di loro capitali.Questa constatazione richiama particolare attenzione se si considera che, come risulta da una recente indagine, l'Italia è il paese dotato del più vasto patrimonio artistico a livello mondiale. Questo primato, dato da quasi 100.000 chiese, 20.000 castelli, oltre 3000 musei e decine di migliaia di dimore storiche, si concretizza in un inestimabile patrimonio d' arte, solo in parte conosciuto.A fronte di tanta ricchezza di beni, non sempre esiste una visione complessiva del sistema culturale in grado di individuare le scelte e i percorsi da intraprendere per tutelare, preservare e rendere

fruibile tale patrimonio che oggi, più che mai, è al centro delle problematiche legate alle forti evoluzioni che le società contemporanee devono affrontare. Evoluzioni turistiche in primo luogo, ma anche tecnologiche ed economiche che inducono ad una riflessione di fondo sui mezzi da utilizzare per affrontare questi cambiamenti. Il restauro da semplice intervento di ripristino funzionale si è trasformato in restauro conservativo, un’azione che preserva, oltre all’integrità del manufatto, il suo contenuto storico-artistico di memoria collettiva, che non deve essere alterato o cancellato in alcun modo. [23]E' peraltro' corretto che la tutela e la conservazione non siano due fenomeni disgiunti. Se è vero che un'opera custodita in deposito può subire un degrado per diversi motivi, è altrettanto certo che l'esposizione al pubblico sottopone il bene a rischi conservativi certamente maggiori. Dal momento in cui l'opera lascia l'ambiente in cui è abitualmente custodita, essa può essere sottoposta a variazioni termoigrometriche, a volte anche repentine, in grado di creare veri e propri cambiamenti di forma e di dimensioni all'interno della struttura del bene stesso. Il controllo del microclima è perciò un'esigenza irrinunciabile per la corretta conservazione di oggetti particolarmente delicati o preziosi, anche nel caso di esposizioni permanenti all'interno di musei.Tuttavia il degrado è un fenomeno naturale, comune a tutti gli oggetti, la cui azione può essere mitigata dalla presenza di condizioni microclimatiche idonee alla conservazione, ma non può essere mai del tutto interrotta. Quando il deterioramento si presenta sull'opera è possibile intervenire con un restauro, ovvero con un intervento di conservazione che rimuove le cause del degrado in atto e, se possibile, ne corregge gli effetti. Ciò nonostante, ogni attività di restauro è più o meno invasiva sull'opera che viene trattata. Nel tempo è quindi emerso con forza il concetto che una razionale politica di conservazione del patrimonio artistico e culturale non può limitarsi ad interventi puntuali di restauro conservativo laddove i segni di degrado si siano già presentati.

In passato la politica adottata si è spesso limitata ad interventi di restauro conservativo sulle opere d'arte, trascurando il problema della collocazione delle stesse in ambienti confinati idonei alla conservazione nel tempo e, quindi, della prevenzione, del controllo e della limitazione dell'inevitabile processo di degrado su di esse. Tuttavia l'approccio che risulta essere realmente efficace e che oggi tendenzialmente si adotta è, invece, quello di mantenere l'opera in condizioni tali da impedire che il degrado inizi o continui, badando cioè alla prevenzione del fenomeno. Ciò è possibile solo considerando tutti i fattori che contribuiscono al raggiungimento di una buona conservazione e investigando quali siano le effettive cause ed i meccanismi attraverso i quali avviene il processo di degrado. La tendenza attuale è volta a realizzare una riqualificazione del microclima in cui i beni sono conservati ed esposti, con il fine di evitare interventi eccessivamente invasivi.L'ambiente in cui i beni da proteggere sono inseriti (musei, archivi, biblioteche o depositi) è, infatti, il principale responsabile dello stato conservativo degli stessi oggetti: il controllo continuo dei parametri microclimatici che lo caratterizzano, pertanto, risulta essere uno dei meccanismi fondamentali alla base di un reale controllo del degrado. Se si considerano, inoltre, i musei non solo come luoghi dove conservare adeguatamente i beni di interesse storico artistico ma anche come mezzi ideali attraverso i quali l'opera d'arte può essere resa fruibile al grande pubblico, il mantenimento di particolari condizioni termoigrometriche diventa, una questione nodale non solo più per la conservazione ma anche per assicurare al pubblico condizioni di comfort durante la loro visita. Va ancora ricordato che la presenza di visitatori deve essere correttamente prevista e che gli impianti di climatizzazione devono essere adeguatamente dimensionati al fine di evitare che questi carichi impulsivi non alterino le condizioni di accettabilità fissate per una buona conservazione delle opere, nonché per il benessere umano.Un ulteriore dato di fatto, non trascurabile ai fini di un corretto approccio alla conservazione delle opere e al contrasto del loro

degrado, è che alcuni edifici, perdendo la funzione originaria per i quali erano stati pensati e progettati talvolta anche molti secoli fa, sono stati adibiti negli ultimi anni a musei, archivi o biblioteche. Queste costruzioni non essendo state inizialmente concepite per ospitare e proteggere i beni storici artistici devono essere oggetto di una seria e attenta operazione di "riconversione". Questa operazione viene effettuata al fine di evitare che l'involucro edilizio ospitante la mostra non rappresenti la prima causa di degrado degli oggetti, facendo allo stesso tempo attenzione a non alterarne le caratteristiche architettoniche: in talune occasioni, infatti, l'involucro edilizio ospitante gli spazi espositivi è un "museo di se stesso".L'obiettivo primario è quindi quello di poter disporre di ambienti espositivi, musei, archivi e biblioteche posti in ambienti edilizi sani e dotati di impianti tecnici moderni ed affidabili. Nella realtà italiana tuttavia, gran parte dei musei e degli spazi espositivi sono ospitati in edifici monumentali, di interesse storico-architettonico o comunque essi stessi facenti parte del patrimonio culturale e ambientale del paese. Per questo motivo gli interventi sull'involucro edilizio e sul sistema edificio-impianto si presentano sempre molto complessi ed onerosi dal punto di vista organizzativo ed economico.Le constatazioni appena fatte motivano già da sole la necessità, che governa qualsiasi recente tipo di approccio nei confronti dei beni storico artistici, di rimuovere o almeno limitare le possibili cause di degrado. Tali cause e i loro effetti sono stati e sono tuttora oggetto di approfondite ricerche. Tuttavia esse possono essere sostanzialmente ricondotte a valori non adeguati di parametri ambientali quali temperatura, umidità relativa, velocità e qualità dell'aria, tipologia di illuminazione e a oscillazioni repentine dei loro valori.Come già detto, il patrimonio culturale, raccolto in musei, archivi e biblioteche, necessita di due principali azioni: una di prevenzione nei confronti del naturale degrado causato dal tempo e dagli atti criminosi della mano dell'uomo, l'altra di restauro con

finalità di recupero della parte di patrimonio ormai danneggiata. Il degrado è un fenomeno naturale di tipo cumulativo che si manifesta nel lungo periodo in funzione delle variabili legate allo spazio (cioè alle caratteristiche chimico fisiche dell'ambiente in cui è collocato il bene) e al tempo (ovvero al progressivo e inevitabile invecchiamento degli oggetti).La minimizzazione del rischio di vulnerabilità e il prolungamento della "vita utile" del patrimonio sono strettamente legati all'interazione tra "sistema opera d'arte-ambiente". Essi, quindi, possono essere contemporaneamente perseguiti attraverso la conoscenza delle proprietà chimico-fisiche dei materiali, della "storia climatica" vissuta, delle condizioni micro-ambientali dei locali espositivi, delle procedure di gestione museotecnica e delle caratteristiche costruttive dei sistemi di allestimento. Per contenere questi processi di degrado è necessario controllare in modo congiunto i parametri ambientali, quali temperatura, umidità relativa, illuminamento e velocità dell'aria, non dimenticando quelli legati alla presenza di contaminanti atmosferici. La letteratura tecnica riporta alcuni livelli massimi ammissibili dei parametri ambientali necessari per preservare le diverse categorie merceologiche di manufatti museali, mentre sono ancora poco note le concentrazioni e gli effetti di deterioramento provocate dalla contaminazione dell'aria atmosferica.Il microclima, in assenza di sistemi di controllo ambientale e artificiale, è determinato dall'interazione tra opera, contenitore e ambiente esterno, mentre, in presenza di impianto di climatizzazione, è determinato dalla tipologia di sistema installato, dalla sua potenza e dalle sue condizioni di esercizio/manutenzione. In entrambi i casi i valori ottimali dei parametri microclimatici interni vanno individuati attraverso un'indagine multidisciplinare alla quale prendono parte varie lauree professionali (conservatore, restauratore, installatore-gestore dell'impianto di climatizzazione). Questa indagine si baserà sullo stato di conservazione dell'oggetto, in relazione alla sua storia pregressa ed ai valori dei parametri con cui è stato

conservato fino a quel momento, non dimenticando che l'interazione tra ambiente museale ed elementi interferenti esterni può, se non opportunamente controllata, accelerare i processi di deterioramento sia dell'involucro edilizio che delle opere d'arte in esso contenute.La soluzione al problema della conservazione non è di facile attuazione anche perché, pur disponendo di molte informazioni relative al microclima preesistente ed alle condizioni più opportune per la conservazione delle diverse categorie di beni, difficilmente si hanno informazioni quantitative circa l'accelerazione che i diversi fenomeni di degrado manifestano in relazione agli scostamenti dalle condizioni di progetto.Al fine di meglio comprendere il fenomeno del degrado occorre determinare, in maniera per ora schematica, gli agenti che lo generano e i rischi ai quali sono soggette le opere d'arte a causa del manifestarsi di tale processo. I principali agenti responsabili dei processi di degrado del patrimonio storico artistico conservato possono essere così riassunti:

le condizioni termoigrometriche dell'aria a contatto con l'oggetto;

la qualità dell'aria a contatto con l'oggetto;

la velocità dell'aria che lambisce il bene; gli agenti inquinanti solidi e gassosi presenti nell'aria; le radiazioni elettromagnetiche provenienti da sorgenti di luce

naturale - ed artificiale.

I principali rischi ai quali sono soggette le opere d'arte sono generati da alcuni meccanismi, quali:

meccanismi di tipo fisico (variazioni di dimensioni e forma degli oggetti);

meccanismi di tipo chimico (reazioni chimiche);

meccanismi di tipo biologico (proliferazione di microrganismi).

In luce di ciò appare immediatamente illustrato come la scelta del microclima per la conservazione debba tenere conto non solo

dell'impatto diretto sui materiali di cui gli oggetti sono costituiti, ma anche di quello indiretto nel creare un ambiente sfavorevole a forme di degrado biologico o ad indesiderate reazioni chimiche, specie in presenza di inquinanti atmosferici.In particolare il degrado o, al contrario, la ottimale conservazione degli edifici storici e dei beni in essi custoditi dipendono soprattutto dalle condizioni termoigrometriche in ambiente, essendo esse in grado di alterare direttamente le caratteristiche dei materiali. E' bene però tener presente che numerosi studi hanno dimostrato che anche altri parametri, quali la distribuzione termica verticale delle masse d'aria, la concentrazione di inquinanti, l'illuminazione, la ventilazione, nel loro effetto sinergico con temperatura e umidità relativa, influenzano l'effetto di degrado.In definitiva si può concludere che le condizioni termoigrometriche dell'aria a contatto con i reperti e soprattutto la loro repentina variazione nel tempo costituiscono il rischio maggiore per la conservazione. Infatti, anche se sono mantenuti in ambiente valori di T e UR ottimali per la conservazione di ciascun materiale, l'attenzione maggiore deve essere rivolta alla loro stabilità, cioè alla limitazione dei rispettivi gradienti temporali. I beni conservati, infatti, riescono ad adattarsi anche a condizioni climatiche non propriamente ideali, mentre brusche variazioni di tali condizioni innescano processi degenerativi che possono indurre danni talvolta molto seri.

3.1.1 Funzioni della tecnologia per i beni culturali

Il ruolo che la scienza e la tecnologia assumono nella gestione del patrimonio culturale si ramifica in diverse funzioni di supporto: studi storico-artistici, valutazione dello stato di conservazione, restauro, gestione ambientale (Boutaine, in Physical techniques in the study of art, 2006-07). Nella gran parte degli studi sui beni culturali l’importanza del ruolo ausiliario che scienza e tecnologia rivestono viene valutata, in primo luogo, in base al contributo conoscitivo di tipo storico-artistico che riesce a produrre. Come supporto a studi storico-artistici, infatti, i metodi di datazione e

autenticazione, le indagini strutturali delle tecniche realizzative, le analisi della composizione dei materiali costitutivi forniscono dati fondamentali per la collocazione temporale e territoriale della manifattura di un bene artistico e archeologico e contribuiscono alla ricostruzione delle sue vicende storiche. Indagini di diagnostica macro- e microstrutturale, molecolare ed elementale consentono una valutazione dello stato di conservazione del manufatto e un’analisi dei processi di deterioramento dei materiali. Relativamente al restauro, le tecniche per il rilievo di interventi precedenti, per la realizzazione e il monitoraggio di puliture, per il trattamento fisico-chimico dei materiali, ne supportano e indirizzano gli interventi. Infine, per quel che riguarda il controllo ambientale, i metodi di analisi microclimatica, di disinfestazione, di rimozione degli inquinanti (contaminanti, particolato) e delle polveri consentono di approntare ambienti idonei alla conservazione.

3.1.1.1 Metodi d’indagine

In generale, la tecnologia per i beni culturali si sviluppa lungo due diverse linee, quella delle tecniche diagnostiche e quella delle tecniche d’intervento per la gestione e il trattamento dei manufatti. Per quanto riguarda la diagnostica, propedeutica a qualunque forma d’intervento, i metodi d’indagine possono essere raggruppati sulla base delle loro finalità conoscitive in: metodi di datazione, metodi d’indagine strutturale e morfologica, metodi analitici. Seguendo questa classificazione e passando in rassegna i metodi d’indagine più frequentemente impiegati, è possibile ricavare un quadro generale di come l’innovazione tecnologica, con la nascita di nuove metodiche e lo sviluppo mirato di tecniche classiche, contribuisca all’evoluzione della diagnostica per i beni culturali.

3.1.1.2 Metodi d’ispezione strutturale e morfologica

Tali metodi permettono d’investigare, a livello macro- e microscopico, l’organizzazione delle varie parti di un manufatto,

la struttura dei materiali costitutivi e le loro proprietà fisico-meccaniche, nonché di analizzarne e registrarne la forma. Come in quasi ogni altra disciplina scientifica, anche nella diagnostica per i beni culturali è capillarmente diffuso l’impiego di molte tecniche di microscopia ottica e non: tra tutte, particolarmente importante per potenzialità e prospettive d’impiego è la microscopia elettronica a scansione (SEM, Scanning Electron Microscopy). Si tratta di un tipo di microscopia a elevato ingrandimento (fino a circa 100.000 volte) nella quale per l’ispezione si utilizza un fascio di elettroni che viene focalizzato sul campione con lenti elettromagnetiche. Le immagini vengono prodotte per scansione lineare della porzione di superficie da visualizzare analizzando sia gli elettroni secondari, espulsi per interazione con quelli incidenti, sia quelli retrodiffusi elasticamente. In quest’ultimo caso, le immagini prodotte riescono a evidenziare per contrasto distribuzioni di elementi con diversa massa atomica, in particolare quelli pesanti come i metalli, fornendo indicazioni sui componenti del materiale. La composizione degli elementi, però, di solito si analizza in dettaglio combinando l’ispezione microscopica con una tecnica di rivelazione e analisi delle radiazioni X emesse per fluorescenza dopo l’emissione degli elettroni secondari. Ciascuna di queste radiazioni è caratteristica di una determinata specie atomica e dall’analisi del loro spettro energetico è possibile individuare gli elementi di cui è composto lo strato superficiale del campione investigato. Questo metodo, noto come spettroscopia in dispersione di energia (EDS, Energy-Dispersive X-ray Spectroscopy), appartiene alla famiglia delle tecniche analitiche che utilizzano fasci incidenti di particelle elettricamente cariche per analizzare la composizione del campione (IBA, Ion Beam Analysis).In alcuni studi, come quelli recentemente condotti su reperti metallici provenienti dal sito archeologico di Petra (Giordania), l’apparato microscopico è integrato con un ulteriore sistema di diagnostica analitica, basato sulla fluorescenza di raggi X (XRF, X-Ray Fluorescence), che permette di analizzare strati più spessi

di materiale e di aumentare la sensibilità di rivelazione degli elementi presenti in basse concentrazioni. La diagnostica multisensoriale integrata SEM-EDS è, nella sua configurazione classica, di tipo distruttivo sia perché richiede in genere un prelievo di materiale sia per la necessità di dover analizzare i campioni in vuoto. Inoltre, materiali elettricamente non conduttori, per poter essere efficacemente analizzati, devono essere rivestiti, in modo irreversibile, con un sottile strato metallico. Tuttavia, si sta attualmente diffondendo una versione evoluta di questo metodo d’indagine nella quale i campioni vengono mantenuti in atmosfera controllata (VP-SEM, Variable Pressure-SEM) minimizzando i problemi di perdita d’acqua e di altre sostanze volatili e, soprattutto, evitando di dover coprire irreversibilmente i campioni con materiali conduttori estranei. Di queste caratteristiche hanno potuto beneficiare studi di tecnica pittorica, condotti in modo non distruttivo su frammenti di dipinti prelevati già da molti anni e analizzati senza trattamenti di copertura [24]. È necessario rimarcare infine che, nonostante con la microscopia elettronica a scansione si riescano a osservare strutture molto piccole, con dimensioni anche di pochi nanometri, per studiarne in dettaglio la morfologia con indagini visive su scala pienamente nanometrica occorre far ricorso ad altre tecniche come, per es., la microscopia elettronica in trasmissione (TEM, Transmission Electron Microscopy) o la microscopia a forza atomica (AFM, Atomic Force Microscopy), capaci di visualizzare dettagli di strutture molecolari. Mentre la prima richiede per materiali non conduttori un processo di replica, la seconda permette direttamente la ricostruzione morfologica superficiale di porzioni micrometriche nel campione e si svolge, trattandosi di un’analisi per scansione, con tempi lunghi (alcune ore).

3.1.1.3 Tecniche analitiche

Queste metodiche permettono di analizzare la composizione atomica e molecolare di un campione. Spesso integrate da indagini morfologiche complementari, sono tra le tecniche più impiegate

per studiare beni culturali di ogni genere. L’analisi composizionale dei manufatti, per es., risulta fondamentale nel ricostruire il quadro di conoscenze e abilità che, in vari luoghi ed epoche, popoli, comunità, scuole d’arte, botteghe, singoli artisti o artigiani hanno mostrato di possedere nel trattamento e nell’uso dei materiali. Indagini sulla composizione consentono di identificare siti di produzione e tecniche realizzative e di ricostruire quindi anche reti di commerci e scambi culturali. Con gli studi analitici si può valutare lo stato di conservazione dei materiali oppure, soprattutto dall’analisi delle superfici, risalire alle caratteristiche dell’ambiente storico-conservativo dei manufatti, individuando su di essi prodotti di corrosione e biodeterioramento, inquinanti, residui di combustione e così via. Le analisi con fasci ionici IBA si basano sull’analisi delle emissioni indotte in un campione da un fascio incidente di ioni o di particelle elettricamente cariche, come protoni o particelle alfa. Quando le particelle del fascio incidente interagiscono con il materiale possono stimolare, scambiando energia con atomi e nuclei, l’emissione di particolari radiazioni (raggi X e γ) e particelle, o anche essere retrodiffuse elasticamente dai nuclei. L’energia di ogni radiazione stimolata emessa dal campione è caratteristica di una determinata specie atomica e dalla sua misurazione è quindi possibile risalire alla presenza di un dato elemento. Rivelando selettivamente quali radiazioni vengono emesse e la loro intensità (spettro di emissione), si può stabilire la natura e la quantità degli elementi che compongono il materiale. D’altro canto, poiché l’energia finale di una particella che è stata retrodiffusa elasticamente dipende dalla massa del nucleo che ha urtato, anche partendo dall’analisi dello spettro energetico di tali particelle retrodiffuse è possibile ottenere informazioni sulla composizione del materiale. Le indagini IBA vengono classificate in base alla tecnica di analisi, che può basarsi sullo studio dei raggi X emessi dagli atomi del campione (PIXE, Particle Induced X-ray Emission), dei raggi γ emessi dai nuclei (PIGE, Particle Induced Gamma-ray Emission) o dell’energia delle particelle retrodiffuse (RBS, Rutherford Backscattering Spectrometry).

I fasci ionici fatti incidere sul campione vengono generati solitamente in grandi acceleratori, strutture estremamente complesse di tecnologia avanzata, collocate in ampi spazi dedicati e spesso integrate in grandi centri di ricerca. I fasci prodotti da tali acceleratori trovano impiego in ogni settore scientifico, ma l’estrema rilevanza che le indagini a essi collegate hanno nel campo dei beni culturali è testimoniata dalle numerose linee dedicate, ed è significativo che uno dei più importanti istituti di conservazione, il C2RMF (Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France), abbia, unico al mondo, un proprio acceleratore (AGLAE, Accélérateur Grand Louvre d’Analyse Élémentaire) dedicato ai beni culturali. Il successo delle tecniche IBA è sicuramente legato anche al basso impatto di tali analisi sui manufatti. In particolare, in questi ultimi anni è stato sviluppato un sistema di analisi in aria che consente di non dover effettuare prelievi da manufatti di grandi dimensioni e comunque, anche per oggetti piccoli, di non doverli tenere in vuoto durante l’ispezione. Le indagini IBA in aria, quindi, possono essere condotte in modo non distruttivo e minimamente invasivo. Inoltre, per quanto riguarda le PIXE, è stato sviluppato un sistema portatile (PIXE-alfa) già ampiamente utilizzato con successo per molte analisi in situ. Tra gli innumerevoli studi condotti sui beni culturali impiegando tecniche IBA, se ne può citare uno sugli inchiostri, finalizzato al riordino cronologico dei circa 200 fogli manoscritti di Galileo Galilei conservati alla Biblioteca nazionale di Firenze. Su questi fogli non datati sono riportati calcoli, dimostrazioni e appunti annotati da Galileo in diversi periodi della sua vita utilizzando gli stessi inchiostri con cui venivano redatti anche altri scritti datati, come lettere e registri domestici. Gli inchiostri dell’epoca erano artigianali e diversi nella composizione tra le varie preparazioni. Con le misure PIXE è stato possibile correlare, per confronto tra spettri di composizione, gli inchiostri dei fogli non datati con quelli dei documenti datati, rendendo possibile il loro riordino cronologico.

3.1.2 Il filtraggio della luce in ambito museale

L’illuminazione delle opere d’arte all’interno dei musei è un argomento che suscita da molti anni l’attenzione degli operatori del settore. Di solito però viene privilegiato l’aspetto estetico mentre il danno che tale illuminazione può creare alle opere esposte, viene spesso sottovalutato. Esistono comunque da tempo delle regole da seguire per ridurre gli effetti negativi delle radiazioni provenienti da sorgenti di luce naturale o artificiale. Queste regole purtroppo si basano, nella maggior parte dei casi, sul valore di quantità fotometriche correlate alla sensibilità dell’occhio (considerando ad esempio l’illuminamento, vedi tabella 3.1), senza particolare attenzione alle lunghezze d’onda della radiazione emessa al di fuori dallo spettro visibile. Il risultato è che si rischia di inviare una gran parte di radiazione ultravioletta sull’opera, pur rientrando nei limiti di illuminazione consigliati. È noto invece che le radiazioni con particolari lunghezze d’onda possono indurre effetti peggiori di altre, a parità di intensità. Inoltre ci sono alcuni intervalli dello spettro della radiazione, emessa dalle sorgenti, che non sono visibili per l’occhio umano (come l’ultravioletto e l’infrarosso) e quindi assolutamente inutili per la visione.

Categoria fotosensibilita Materiali Illuminamento massimo raccomandato

1 Reperti e manufatti relativamente sensibili alla luce: Metalli,

Superiore a 300 lux con limitazioni

Molto Bassa materiali lapidei e stucchi senza strato di finitura, ceramiche,

sugli effetti termici in particolare per

gioielleria, smalti, vetri, vetrate policrome, reperti fossili

stucchi smalti, vetrate e fossili

2 Reperti e manufatti moderatamente sensibili alla luce: Pitture ad

Media olio e a tempera verniciate. affreschi. materiali organici non

compresi

150 lux

nei gruppi 3 e 4 come quelli in avorio, osso, corno, legno

Reperti e manufatti altamente sensibili alla luce:

Tessili. costumi, arazzi. tappeti, tappezzeria, acquerelli, pastelli,

stampe, 3 libri,cuoio tinto, pitture e tempere

non verniciate, pittura a guazzo,50 lux

Alta pitture realizzate con tecniche miste, disegni a pennarello; piume,

pelli e reperti botanici, materiali etnografici e di storia naturale di

origine organica o tinti con prodotti vegetali;

carta, pergamena, legni bagnatiReperti e manufatti estremamente

sensibili alla luce:4 Mummie, sete, inchiostri. coloranti

e pigmenti a50 lux

Molta Alta maggior rischio di scoloritura come

lacche ecc.Table 3.1:Valori di illuminamento massimi raccomandatiDa ciò deriva la necessità di bloccare tali radiazioni non utili e ciò può essere realizzato in vari modi. In particolare si può agire sulla sorgente di illuminazione con opportuni filtri da posizionare davanti alle lampade, nel caso di illuminazione artificiale, oppure si può agire sui vetri delle finestre in caso di illuminazione naturale. Si potrebbe così restringere l’intervallo di lunghezze d’onda solo a quelle essenziali per l’osservazione. Un ulteriore approccio consiste nell’utilizzare uno schermo per le radiazioni dannose, posto davanti all’opera d’arte nel caso di dipinti o intorno ad essa nel caso di oggetti, salvaguardando ovviamente la visione. In tutti i casi suddetti la soluzione consiste nell’effettuare un trattamento apposito su una superficie di vetro.Il funzionamento del prodotto finale si basa su fenomeni di interferenza della radiazione elettromagnetica e le tecniche utilizzate per la sua realizzazione consistono nella deposizione in vuoto di materiali selezionati, sulla superficie del vetro. In tal modo si possono realizzare sia i filtri per le lampade, sia opportuni rivestimenti sui vetri delle finestre. Nel caso in cui si voglia ignorare il tipo di sorgente di illuminazione, perchè difficile da modificare, si può agire sui vetri che vengono tipicamente usati per proteggere le opere da atti vandalici. Un rivestimento di tali vetri se opportunamente studiato, ha l’ulteriore vantaggio di ridurre i tipici riflessi che disturbano l’osservatore quando l’oggetto esposto è protetto da un vetro. In questo ambito è anche importante un’analisi colorimetrica per non indurre modifiche nella resa di colore.

3.2 LA NORMATIVA NAZIONALE SULL’IAQ

Il problema della qualità dell’aria negli ambienti confinati ha goduto negli ultimi anni di una rilevante attenzione in ambito sia nazionale che internazionale.Dal punto di vista strettamente tecnico, l’attività normativa italiana nel settore viene sviluppata soprattutto in sede UNI-CTI, sottocomitato 5 (Condizionamento dell’Aria).Parallelamente ai comitati tecnici, il problema dell’IAQ viene affrontato anche in ambito ministeriale. Presso il Dipartimento della Prevenzione del Ministero della Sanità è stata costituita con DM 8-4-99 una Commissione tecnico-scientifica “Inquinamento indoor” per il triennio 1999-2001.Esistono poi delle normative che, recependo alcune direttive CEE, forniscono prescrizioni di carattere generale riguardanti la sicurezza e la salute dei lavoratori sul posto di lavoro.Per quanto riguarda i contaminanti, la normativa nazionale è ancora scarna e solo alcune prescrizioni riguardanti l’amianto, il radon e i Composti Organici Volatili sono state definite.

3.2.1 Il benessere termico e igrometrico

Per quanto riguarda il problema del benessere termoigrometrico, le normative tecniche di riferimento sono due:

1. UNI EN ISO 7730: “Ambienti termici moderati: determinazione degli indici PMV e PPD e specifica delle condizioni di benessere termico” (1997).

2. UNI 10339: “Impianti aeraulici a fini di benessere: generalità, classificazione e requisiti. Regole per la richiesta dell’offerta, l’offerta, l’ordine e la fornitura” (1995).

Mentre la validità della norma UNI 10339 è ristretta ad ambienti dotati di impianti di climatizzazione, escluso quelli adibiti ad attività industriale e artigianale, la validità della norma UNI EN ISO 7730 è più estesa in quanto considera ambienti termicamente moderati, quindi non necessariamente dotati di impianti aeraulici.Una notazione a parte meritano gli ambienti contenenti opere d’arte o comunque beni di interesse storico e artistico, come i musei, le pinacoteche o le gallerie. Per essi il controllo delle condizioni ambientali, e in modo specifico di quelle termoigrometriche, risulta indispensabile al fine di evitare o limitare i danni causati dall’attacco corrosivo degli agenti inquinanti sugli oggetti da proteggere. A tal proposito viene riportata la UNI 10829 “Condizioni ambientali di conservazione dei beni di interesse storico e artistico” (1999), per la parte relativa alla metodologia di misura in siti delle grandezze termoigrometriche e dei relativi valori di riferimento.

3.2.2 Normativa UNI 10829/1999

Avendo descritto l'edificio museale non solo come contenitore ospitante le opere d'arte, ma anche come mezzo per renderle fruibili ai visitatori, occorre tenere conto anche di quelle che sono le condizioni degli ambienti che assicurino benessere umano, oltre che rispettare i valori di buona conservazione per gli oggetti in esposizione. Ciò non è sempre possibile o comunque può raggiungersi attraverso l'accettazione di compromessi da parte di

entrambe le parti che non arrivino, tuttavia, ad eccessive penalizzazioni. Le soluzioni al problema sono molteplici e investono anche sfere di natura gestionale come l'ottimizzazione dei percorsi di visita, o il ricorso a vetrine e tecniche espositive a microclima controllato. In ogni caso, qualora le circostanze specifiche non consentano soluzioni di compromesso, i parametri termoigrometrici raccomandati per la salvaguardia delle diverse tipologie di opere hanno la priorità sulle condizioni del benessere umano e sono restrittive sia per UR che per T.Negli ultimi anni la Normativa Italiana, attraverso l'entrata in vigore della UNI 10829 [UNI, 1999] e della UNI 10969 [UNI, 2002], ha regolamentato le condizioni ambientali di conservazione negli edifici museali. La norma UNI 10829 suggerisce i valori ottimali dei parametri ambientali per la conservazione. Nella progettazione di nuovi impianti di climatizzazione per ambienti contenenti beni di interesse storico artistico, in mancanza di indicazioni specifiche diverse, la 10829 indica i valori dei parametri ambientali relativi alla conservazione di 33 categorie di materiali, suddivise in tre gruppi:

materiali/oggetti di natura organica; materiali/oggetti di natura inorganica; oggetti misti.

I valori consigliati riguardano:

temperatura dell'aria e sua massima escursione giornaliera; umidità relativa dell'aria e sua massima escursione

giornaliera.

La UNI 10829 prevede anche una metodologia accurata per la misura dei parametri microclimatici ambientali. La campagna di misure va effettuata per un periodo di tempo non determinato, ma sufficientemente ampio da consentire una conoscenza completa dell'andamento temporale dei valori delle grandezze fisiche in determinati punti significativi dello spazio interno, al fine di avere una conoscenza dettagliata del comportamento termoigrometrico degli spazi destinati alle esposizioni; vengono distinte le

variazioni a breve, medio e lungo periodo. Le misure devono essere effettuate tenendo presente del percorso espositivo e, per quanto possibile, dell'esatta distribuzione spaziale delle opere. L'analisi delle misure effettuate va affiancata dalla rilevazione di altri fattori significativi, quali orari di apertura, grandezze illuminotecniche, indici e modalità di affollamento, intervalli di funzionamento dell'impianto, affinché, attraverso lo studio comparato di tutti i dati rilevati, si abbia un quadro conoscitivo completo. Essa fornisce, inoltre, indicazioni sulle modalità di elaborazione e sintesi dei dati, individuando un “indicatore di scostamento” per ciascuna grandezza, ossia la percentuale di tempo in cui la grandezza in esame si mantiene al di fuori del campo prescelto ritenuto accettabile. Andiamo ad analizzare l' aspetto termoigrometrico.Le grandezze termoigrometriche in oggetto sono: la temperatura dell’aria, l’umidità relativa dell’aria e la temperatura di superficie. Il procedimento per l’esecuzione dei rilievi spazio-temporali della temperatura e dell’umidità relativa dell’aria si articola in due fasi: 

I Fase 

Viene individuata nell’ambiente una griglia orizzontale di lato ≤ 5 m a partire da un’altezza di 1.5 m dal pavimento. I nodi di tale griglia rappresentano i punti in cui vengono effettuate le misure di temperatura e umidità. La scelta del passo della griglia dipende dalla disposizione spaziale degli oggetti da tutelare. L’intervallo di tempo per effettuare le misure deve essere relativamente breve e comunque non maggiore di 1 h; di conseguenza può essere necessario usare anche più di uno strumento portatile. Le misure vanno eseguite nelle condizioni diurne corrispondenti alla normale gestione degli ambienti. Se si prevede che in particolari condizioni (ad esempio forte soleggiamento o alta affluenza di pubblico nel locale) la distribuzione spaziale possa risultare diversa, occorre eseguire le misure anche in queste condizioni.

In alcuni casi è opportuno effettuare anche misure di velocità dell’aria in punti significativi; ad esempio, quando si instaurano correnti di ventilazione naturale o forzata, indotte da sistemi di climatizzazione dell’aria. 

II Fase 

Sulla base dei risultati ottenuti nella I Fase, si procede all’individuazione dei punti dove effettuare le misurazioni in continuo. Ogni punto di misura è localizzato al centro dell’area costituita dalla porzione di griglia individuata dai nodi che hanno fornito misure di temperatura entro intervalli di 2 °C e misure di umidità relativa entro intervalli di 5 %. Per ambienti alti più di 5 m vanno effettuate misure in verticale di 3 m in 3 m a partire dal nodo orizzontale situato in corrispondenza della massima altezza dell’ambiente.Per quanto riguarda l’intervallo di tempo da adottare, la scelta è legata agli scopi per i quali si esegue il programma di misura. Normalmente, per conoscere il comportamento termoigrometrico complessivo del locale, anche al fine di orientare eventuali interventi impiantistici, la misurazione deve essere condotta lungo l’arco di 1 anno. Se il luogo è tale che le variazioni delle condizioni ambientali esterne non sono particolarmente rapide, si può ricondurre la campagna di misura a quattro mesi, ciascuno scelto nel periodo centrale di ogni stagione. Nel caso in cui si voglia controllare l’andamento delle grandezze in un periodo specifico, occorre eseguire le misure nell’intervallo di tempo oggetto di studio, e comunque per un arco di tempo non inferiore a 15 giorni.Per comprendere meglio i fenomeni termoigrometrici che avvengono in queste tipologie di locali, occorre comunque controllare alcuni parametri significativi, come, per esempio, l’orario di apertura al pubblico, il numero di visitatori, oppure l’orario di funzionamento dell’eventuale impianto di climatizzazione.

Per i rilievi delle temperature superficiali, la norma prescrive l’uso di sensori ad infrarosso al fine di individuare sulle superfici tutti i punti in cui la temperatura assume valori nettamente diversi da quelli dell’ambiente circostante. Anche per questi rilievi vi sarà una prima fase di misurazione a breve periodo, consistente in almeno un giorno significativo della stagione invernale ed uno significativo della stagione estiva. Sulla base dei risultati ottenuti si procederà alla seconda fase, con la scelta dei punti di misura per effettuare il rilievo in continuo. Oltre alle pareti anche i manufatti possono essere oggetto di misura di temperatura superficiale purché si prendano le opportune cautele per non pregiudicarne lo stato di conservazione.

3.3 Monitoraggio qualità dell'ariaL'inquinamento atmosferico dovuto alla presenza di sostanze chimiche composti emessi nell'aria da attività antropiche e da fonti naturali (emissioni biogene da vegetazione, il suolo erosione, sali marini, attività vulcanica, e selvaggio - incendi spontanei ). Processi dinamici e chimici modifiche guidano i cambiamenti della composizione dell'atmosfera, in particolare negli strati più bassi della atmosfera. Pertanto, le concentrazioni di inquinanti atmosferici e di deposizione può influire sulla qualità dell'aria e può avere un impatto diretto sulla salute umana e gli ecosistemi.I modelli sono solo una rappresentazione matematica del mondo reale. Modelli di qualità dell'aria hanno lo scopo di simulare le concentrazioni di inquinanti atmosferici che gli esseri umani può respirare e che possono interessare ecosistemi e l' ambiente. Dovrebbero essere adattati per riprodurre emissioni, il trasporto, chimica e deposizione di composti chimici atmosferici . I Modelli possono basarsi su diversi approcci matematici:

empirico, utilizzando opportuni parametri da studi sperimentali, per adattarsi e sintonizzare equazioni che descrivono rilevanti concentrazioni di inquinanti atmosferici;

statistico, con ampia storico serie di osservazioni per definire le relazioni tra concentrazioni e altri parametri pertinenti ;

deterministico, utilizzando schemi numerici per risolvere le equazioni fisico-chimiche discretizzato su un griglia appropriata.

Per far fronte a problemi di gestione della qualità dell'aria, i risultati del modello dovrebbero integrare i dati di misura da reti di monitoraggio. Normativa sulla qualità dell'aria stabilisce i principi fondamentali (numero di stazioni e ubicazione, le norme, strumentazione, etc.) della strategia di monitoraggio che dovrebbe essere implementato a seconda dei livelli di concentrazione degli inquinanti atmosferici. Questioni particolari riguardano PM 10 e PM 2.5 , (con aerodinamico diametro rispettivamente inferiore a 10 e 2.5μ g / m 3 ), quest'ultimo generalmente nominato come "polveri sottili". Strategie di monitoraggio e valori limite nonché obiettivi di qualità sono impostati nel Air Quality Directive( AQD ; CE, 2008 ) . Alcuni stati dell'unione europea rifacendosi al modello AQD hanno diviso il loro territorio in una serie di zone per poter esaminare la qualità dell'aria (AQ). Questi paesi sono andati a valutare se i livelli di inquinanti atmosferici nelle loro zone superano o non superano i valori limite o di riferimento (per un panoramica di ciò che ha fatto parte della reportistica ufficiale per l'anno 2010 da diversi Stati membri vedere Desmet et al, 2013). Le reti di monitoraggio forniscono osservazioni

di routine in posizioni specifiche sia con dispositivi automatici che con misure manuali. Questo è il modo più comunemente usato per la valutazione della qualità dell'aria più antica , ma le informazioni rimangono limitate alla posizione dei siti di osservazione (misure puntuali) e il momento in cui le misure sono fatte. Il valore aggiunto dell’utilizzo di questo modello per la gestione dell’AQ puo’ essere riassunto come segue:

La mappatura di concentrazioni inquinanti atmosferici concentrazioni sui terreni e modelli di inquinamento atmosferico: Per avere una panoramica delle concentrazioni degli inquinanti dell'aria su tutto territorio considerato, anche se non esistono dati di misura. Il Mapping è necessario per migliorare la comunicazione e la sensibilizzazione del pubblico e delle autorità competente. Cio’ dà una rappresentazione più completa dei modelli di inquinamento atmosferico.

Previsione livelli di inquinamento dell'aria in un futuro prossimo o remoto: Il Modelling è l'unico modo per valutare l' evoluzione delle concentrazioni in futuro secondo la variazione di fattori come la meteorologia e le emissioni. Le previsione a breve termine (comunemente fino a due giorni prima)hanno l'obiettivo di informare il pubblico (popolazione sensibili colpiti da asma e altre malattie respiratorie) e le autorità(ad esempio, potrebbe desiderare di applicare piani di azione a breve termine in caso di episodi di inquinamento). Le analisi di scenario a lungo termine mirano a valutare l'impatto degli studi di valutazione sulle strategie di controllo delle emissioni . Gli studi che valutano l’impatto sono necessari per prendere decisioni, e più in generale per la pianificazione urbana.

Comprendere la fenomenologia dell'inquinamento atmosferico: l'analisi dei modelli di parametrizzazioni, la loro sensibilità ai cambiamenti e ai risultati del modello in un gran numero di situazioni aumenta la capacità dell'esperto di interpretare l'inquinamento atmosferico e di individuare i driver più importanti per quanto riguardale varie situazioni meteorologico. Questo è particolarmente rilevante quando si verificano episodi che superano i valori soglia di regolamentazione: la comprensione dei fattori che li determinano (fonti locali, trasporti a lungo raggio, eventi naturali, ecc), aiuta ad orientare le strategie di controllo delle emissioni più efficaci.

3.4 Stato dell' arteAb

Bibliography1Science and technology - ninth report. House of Lords Publications, http://www.publications.parliament.uk/pa/ld200506/ldselect/ldsctech/ 256/25602.htm, 2006,2Arnheim, Rudolf, "Visual thinking", 1969,3E.Parisio: E.Parisio, "La cultura che verrà. La comunicazione visiva come strumento trasparente, per un libero accesso a risorse e saperi",4P. Rosa: P. Rosa, "Dai musei di collezione ai musei di narrazione",5Luigi Atzori, Antonio Iera, Giacomo Morabito, The Internet of Things: A survey, Computer Networks, Volume 54, Issue 15, 28 October 2010, Pages 2787-2805, ISSN 1389-1286, 10.1016/j.comnet.2010.05.010.6A. Caragliu, C. Del Bo and P. Nijkamp, “Smart Cities in Europe”, Proc. of CERS’2009 - 3rd Central European Conference on Regional Science, Ko ice, Slovak Republic, Oct. 20097W Baoyun, Review on internet of things, Journal of Electronic Measurement and Instrument, 2009.8B. Schilit, N. Adams, and R. Want. "Context-aware computing applications”, IEEE Workshop on Mobile Computing Systems and Applications (WMCSA'94), Santa Cruz, CA, 1994 , US. pp. 89–101.

9Schilit, B.N. and Theimer, M.M. "Disseminating Active Map Information to Mobile Hosts". IEEE Network 8 (5): 22–32.199410Chen, G., and Kotz, D. 2000. A Survey of Context-Aware Mobile Computing Research. Technical Report TR2000-381, Dept. of Computer Science, Dartmouth College.11Brown, P. J. (1996). The stick-e document: A framework for creating context-aware applications. Electronic Publishing, 96, 259–272.12T. Rodden, K. Cheverst, N. Davies and A. Dix (1998). Exploiting context in HCI design for Mobile Systems. Workshop on Human Computer Interaction with Mobile Devices, Glasgow, 21st & 22nd May 199813Coutaz, J., Crowley, J., Dobson, S., and Garlan, D. (2005). Context is Key. Communications of the ACM, 48(3) :49–53.14GD Abowd,A.K. Dey. Towards a better understanding of context and context-awareness. 1999. Georgia Institute of Technology.15Andreas Zimmermann: Context management and personalisation: a tool suite for context and user aware computing. RWTH Aachen University 2007, ISBN 978-3-8322-6849-7, pp. 1-24016Goertz, M.; Ackermann, R.; Schmitt, J.; Steinmetz, R. (2004) Context-aware Communication Services: A Framework for Building Enhanced IP Telephony Services In: International Conference on Computer Communications and Networks (ICCCN)17Dey, Salber et al. - A Context-based Infrastructure for Smart Environments – 199918S. Elrod, G. Hall, R. Costanza, M. Dixon, and J. Des Rivieres, "Responsive office environments," Communications of the ACM, vol. 36, no. 7, 1993.19Chen, G., and Kotz, D. 2000. A Survey of Context-Aware Mobile Computing Research. Technical Report TR2000-381, Dept. of Computer Science, Dartmouth College.20D. Abowd, Christopher G. Atkeson, et al. Cyberguide: A mobile context-aware tour guide Gregory Graphics, Visualization and Usability Centre, College of Computing, Georgia Institute of Technology, Atlanta, GA 30332-0280,USA Wink Communications, Alameda, CA 94501, USA 199721Tim Kindberg & John Barton A Web-Based Nomadic Computing System. In Computer Networks, Elsevier, vol 35, no. 4, March 2001, pp. 443-456.22Location: Not Quite Here Yet, OVUM, London, 200223Preserving our documentary heritage, UNESCO Memory of the world programme, Paris 2005, http://portal.unesco.org/ci/en/files/19440/11216907451preserving_our_documentary_heritage_EN.doc/preserving_our_documentary_heritage_EN.doc (12 luglio 2010).24 Scienza & ricerca per i beni culturali. Microscopia elettronica a scansione e microanalisi, a cura di F. Pinzari, Roma 2008.25