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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VENEZIA «CA’ FOSCARI»

FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA

ANNO ACCADEMICO 1996-97

DOTTORATO DI RICERCA IN FILOSOFIA

IX CICLO

COORDINATORE:

CHIAR.mo PROF. MARIO RUGGENINI

FLAVIO CASSINARI

MONDO, ESISTENZA, VERITA’. ONTOLOGIA FONDAMENTALE E

COSMOLOGIA FENOMENOLOGICA NELLA RIFLESSIONE DI MARTINHEIDEGGER (1927-1930)

DIRETTORE DI RICERCA:

CHIAR.mo PROF. MARIO RUGGENINI

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INDICE p. 2 

LEGENDA  p. 5 

INTRODUZIONE

DALL’ESSERE DELL’ESISTENTE ALL’EVENTO DEL MONDO. p. 6 

PARTE PRIMA. IL MONDO E IL SOGGETTO NEL PROGETTO DI ONTOLOGIA FONDAMENTALE:

«ESSERE NEL MONDO» COME STRUTTURA ONTOLOGICA DELL’ESISTENTE.

CAPITOLO PRIMO. LA COSTITUZIONE ONTOLOGICA DELL'ESISTENZA IN  SEIN UND ZEIT : IL

FENOMENO DELL’«ESSERE NEL MONDO», IL RAPPORTO FRA ESISTENTE ED ENTE

INTRAMONDANO, LA DIMENSIONE DELL’«ESSERE IN GENERALE».  p. 12

1.1. «Ontologia fondamentale»: l’analisi dell’«esserci» come «ente che è nel mondo», il suo rapporto con l’enteintramondano e l’assunzione della valenza preontologico-esistentiva del concetto di mondo.

1.2. La riduzione della questione dell’essere a quella della sua comprensione e l’assunzione della valenza realisticadell’ente come presupposti della tesi del radicamento ontico dell’«analitica esistenziale», la nozione di «essere ingenerale» come sua conseguenza.

1.2.1. Excursus. Essere dell'esserci ed essere «in generale»: la revisione del carattere di «generalità» dell’essere  

dopo Sein und Zeit   come messa in discussione, dopo il 1927, dell’impostazione trascendentale dell'«ontologiafondamentale».

1.2.1.1. «Essere in generale»: «generalità» dell'ente o sua «totalità»?1.2.2. Il carattere trascendentale della determinazione di «essere in generale» in Sein und Zeit e la sua

inadeguatezza a fondare la distinzione fra ente esistente ed ente intramondano.

1.3. Il carattere di rinvio all’esistente dell’ente intramondano: la «mondità» come «totalità di destinazione».

1.4. Il “soggettivismo” di Sein und Zeit : “carenza ontologica” dell’ente difforme dall’esserci, contingenza della suacondizione di «intramondanità» e carattere esistenziale della «significatività».

CAPITOLO SECONDO. MONDO E VERITA' IN SEIN UND ZEIT : ADAEQUATIO   E UNVERBORGENHEIT .  p. 31

2.1. «Essere nel mondo» e verità: l’interpretazione «derivativa» («adequativa») e quella «originaria» («disvelativa») delfenomeno della verità.

2.2. L’assunzione, all’epoca di Sein und Zeit, della nozione adequativa di verità all’interno di quella originaria.2.2.1.  Excursus: l'evolversi, nella riflessione heideggeriana, della valutazione di Aristotele come riflesso

dell’evolversi della valutazione del rapporto fra comprensione originaria e comprensione derivativa del fenomeno dellaverità.

2.3. Esiti dell’assunzione della nozione adequativa di verità: la caratterizzazione dualistica della costituzione d’esseredell’esistente e le sue conseguenze.

2.3.1. Le due determinazioni dell'ente, come scoperto dall’esistente e come «identità con sé»; il presuppostorealistico come condizione della loro identificazione.

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2.3.2. La duplice collocazione del fenomeno della verità, nella manifestatività dell’ente e nella sua scoperta da parte dell’esistente.

2.3.3. La fondazione del fenomeno dell’«essere nel mondo» in quello della verità e l’impossibilità diconsiderare il fenomeno del mondo in quanto tale.

CAPITOLO TERZO. DUE PASSI AL DI LA’ DI SEIN UND ZEIT : LA RADICALIZZAZIONEDELL’IMPOSTAZIONE TRASCENDENTALE IN METAPHYSISCHE ANFANGSGRÜNDE DER LOGIK   E

LA RIMOZIONE DELLA VALENZA REALISTICA DELL’ENTE IN VOM WESEN DES GRUNDES .  p. 47

3.1.  Metaphysische Anfangsgründe der Logik : la trascendentalizzazione della struttura dell'«essere nel mondo» cometentativo di porla a fondamento della relazione dualistica fra l'esserci e l'ente intramondano.

3.1.1. L'accentuarsi della distinzione fra l'essere dell'esserci e l’essere dell'ente da esso difforme come premessa alla riconduzione del secondo al primo.

3.1.2. La strategia «fondamentale»: la nozione di  Egoität come determinazione della struttura dellasoggettività.

3.1.3. Dalla tesi relativa alla carenza d'essere dell'ente sussistente alla trascendentalizzazione della nozione di«essere nel mondo»: il riconoscimento del primato della determinazione ontologica della mondità su quella ontologicadel mondo.

3.2. Vom Wesen des Grundes: rimozione della valenza realistica dell'ente intramondano, «essere nel mondo» comedimensione esaustiva dell’istanza ontologica «in generale» e sua rielaborazione in senso relazionale.

CAPITOLO QUARTO. PER UN’«INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA»: IL FENOMENO DELLA VERITA’

COME VIA DI ACCESSO A QUELLO DEL MONDO.  p. 59

4.1. La “desoggettivizzazione” della verità: «gli esistenti hanno in comune la verità».4.1.1. La presa di distanza da Aristotele come esito della reinterpretazione, da parte di Heidegger, della nozione

originaria di verità: rottura della continuità fra quest’ultima e l’interpretazione derivativa.4.1.2. «Gli esistenti hanno in comune la verità»: l’evento della verità definisce gli esistenti che ne hanno parte

4.2. La “deesistenzializzazione” della trascendenza: «essere nel mondo» come «gioco della trascendenza».4.2.1. La critica al significato esistentivo del concetto di mondo in Kant.4.2.2. La reinterpretazione cosmologica del concetto di trascendenza: la nozione di «gioco» e quella di

«abbandono».

4.3. Il prevalere della caratterizzazione esistenziale del fenomeno del mondo: la figura dell’«atteggiamento» e lafondazione ontologica dell’istanza cosmologica.

4.3.1. La trascendenza come «visione del mondo» e le sue due «possibilità fondamentali»: «messa al sicuro» e«atteggiamento». «Atteggiamento»: l’«irruzione» nel mondo, concepito come «ente in totalità».

4.3.2. L’emergere della domanda ontologica all’interno della forma dell’«atteggiamento» come motivazionedel suo primato: la questione dell’essere come questione del fondamento.

PARTE SECONDA. IL RUOLO DEL CONCETTO DI MONDO NELLA CRISI DEL PROGETTO DI

ONTOLOGIA FONDAMENTALE.

CAPITOLO QUINTO. LA FIGURA DEL «REGNARE DEL MONDO» COME FILO CONDUTTORE DELNUOVO PROGETTO METAFISICO.  p. 75

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5.1. Il ripudio dell'ontologia in Die Grundbegriffe der Metaphysik  e la ridefinizione della nozione di verità.5.1.1. Presa di distanza dal tentativo di fondare la metafisica attraverso il progetto di «ontologia

fondamentale».5.1.2. La «svolta»: l’inversione del rapporto, rispetto all’«ontologia fondamentale», tra la comprensione del

fenomeno del mondo e quella del fenomeno della verità e la ridefinizione di quest’ultimo.

5.2. Il primato del «regnare del mondo»: la ricollocazione della distinzione fra esistenziale e categoriale el'esautoramento del concetto di «essere in generale».5.2.1. L'ente in quanto tale, ovvero l'ente «in totalità», come punto di partenza dell'analisi e la deduzione, da

esso, della distinzione fra àmbito esistenziale e àmbito categoriale.5.2.2. Al di là dell’«ontologia fondamentale»: dall’«essere in generale» al «regnare del mondo».

CAPITOLO SESTO. COSMOLOGIA FONDAMENTALE E COSMOLOGIA FENOMENOLOGICA: IL

MONDO COME FONDAMENTO E COME EVENTO.  p. 87

6.1. “Cosmologia fenomenologica”: il coappartenersi di esistenza e fenomeno del mondo e i tre caratteri di quest'ultimo(manifestatività dell'ente in totalità, struttura dell'«in quanto», ipseità).

6.1.1. L'accessibilità all'ente in quanto tale, da parte dell'esserci nella dimensione dell’«individuazione», e le

due direttrici del nuovo progetto metafisico: la determinazione del significato del mondo in quanto totalità dell'ente equella dell'esistente in quanto modalità specifica di ente.6.1.2. La struttura dell'«in quanto» come articolazione del «regnare del mondo».6.1.3. Il «rapportarsi a», l'«atteggiamento» e l'«ipseità» come caratteri di mondo e il problema della specificità

dell'esistente.

6.2 “Cosmologia fondamentale”: il fenomeno del mondo come fondamento delle diverse modalità dell’ente (pietra,animale, uomo).

6.2.1. La «mancanza di mondo» della pietra; la difficoltà di determinarne l'essenza muovendo dal fenomenodel mondo.

6.2.2. La «povertà di mondo» dell'animale: carattere aporetico del tentativo di differenziare la «capacità»dell'animale dall'«apertura» dell'uomo.

6.2.3. La «formazione di mondo» da parte dell’uomo: la centralità dell’esistente come eredità della prospettiva

dell’«ontologia fondamentale», che prevale su quella della “cosmologia fenomenologica”.

6.3. Il mondo: evento o fondamento?6.3.1.“Cosmologia fondamentale” e “cosmologia fenomenologica”: la tesi della «formazione di mondo» da

 parte dell’uomo e quella dell’evento del «regnare del mondo».6.3.2. Le difficoltà della prospettiva cosmologico-fondamentale e quelle della sua “ipotesi ausiliaria”, la tesiontologico-esistenziale «l’uomo è formatore di mondo».

6.3.2.1. La «questione del fondamento» come radice comune della prospettiva della “cosmologiafondamentale” e della tesi «l’uomo è formatore di mondo»..

6.3.3. Origine del prevalere della prospettiva cosmologico-fondamentale e della tesi della «formazione dimondo» da parte dell’uomo: il primato conferito al problema dell’essere e la sua natura antropologica.

CONCLUSIONIPER LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA.  p. 106

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE  p. 108

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 LEGENDA 

Dopo la prima citazione, contenente le indicazioni bibliografiche relative alle edizioni utilizzate, i testi heideggerianiappaiono nelle note indicati con una sigla, seguita dal numero di pagina dell’edizione segnalata; fra parentesi quadre,viene dato il numero di pagina della traduzione italiana, qualora esista. Per le opere di Heidegger, pur consultate(laddove disponibili) nell’edizione della Gesamtausgabe, per una più immediata riconoscibilità si è scelto di utilizzarela sigla GA  (seguì ta dal numero d’ordine all’interno della collana, espresso in caratteri latini) soltanto per i corsi dilezione e per i testi rimasti, vivente l’autore, inediti.

 KM= Kant und das Problem der Metaphysik. SZ = Sein und Zeit .WG = Vom Wesen des Grundes. WiM = Was ist Metaphysik?.WW = Vom W esen der Wahrheit . PL = Platons Lehre von der Wahrheit . ID = Identität und Differenz. GA XVII =  Einführung in die phänomenologische Forschung. GA XIX  = Platon: Sophistes.GA XX = Prolegomena zur Geschichte des Zeitbegriffs. GA XXI =Logik. Die Frage nach der Wahrheit. GA XXII =Die Grundbegriffe der antiken Philosophie. 

G A XXIV =Die Grundprobleme der Phänomenologie.GA XXV = Phänomenologische Interpretation von Kants Kritik der reinen Vernunft. GA XXVI = Metaphysische Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz. GA XXVII = Einleitung in die Philosophie. GA XXIX-XXX =  Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt – Endlichkeit - Einsamkeit. GA XXXI = Vom Wesen der menschlichen Freiheit. Einleitung in die Philosophie.GA XXXIV = Vom Wesen der Wahrheit. Zu Platons Höhlengleichnis und Theätet .GA XL =  Einführung in die Metaphysik. GA LVI-LVII = Zur Bestimmung der Philosophie.GA LXI = Phänomenologische Interpretationen zu Aristoteles.Einführung in die Phänomenologische Forschung. GA LXIII = Ontologie ( Hermeneutik der Faktizität ).

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INTRODUZIONE

DALL’ESSERE DELL’ESISTENTE ALL’EVENTO DEL MONDO. 

… comunque stiano le cose, con religione, arte e morale nontocchiamo l’«essenza del mondo in sé» […] in tutta tranquillità sirimetterà alla fisiologia e alla storia dell’evoluzione degliorganismi e delle idee il problema di come la nostra immagine delmondo possa essere tanto diversa dalla dischiusa essenza delmondo.F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches I , 10.

Che cosa designano «mondo, esistenza, verità»? O anche, più ellitticamente: che cos’è il «mondo»? Lo scopo dellaricerca che ci apprestiamo a condurre è duplice. Il primo obbiettivo, di carattere prevalentemente storico-filosofico,consiste nel mostrare come l’istanza del mondo rappresenti la costellazione concettuale (che si articola, appunto, nelledeterminazioni di «mondo», «esistenza» e «verità») attorno alla quale la riflessione di Martin Heidegger, in undeterminato periodo della sua evoluzione, si organizza e si sviluppa. Il secondo obbiettivo, di carattere eminentementeteorico, consegue, nel progredire della nostra indagine, al primo, ma in realtà motiva l’indagine medesima: si intendemostrare come, nell’elaborazione heideggeriana del concetto di mondo, emergano spunti decisivi in ordine alla

 possibilità di una comprensione filosofica dell’esistenza umana, determinata a partire, anzitutto, dal rapporto che essaintrattiene con le realtà ontologiche difformi da essa. Detto altrimenti: il concetto di mondo rappresenta, a nostro parere, il filo condut tore dell’evoluzione che il pensiero heideggeriano conosce nella seconda metà degli anni Venti,durante i quali il problema a tema è sempre, anche se in modo spesso non esplicito, la quaestio anthropologica , laquale, proprio muovendo da queste analisi heideggeriane, può venire affrontata, anche al di là di esse, nella sua

radicalità. Il periodo della riflessione heideggeriana preso in esame comprende le opere pubblicate vivente l’autore e itesti dei suoi corsi di lezione risalenti alla seconda metà degli anni Venti; più precisamente, vengono qui analizzati sia ilruolo che il concetto di mondo svolge nel progetto di «ontologia fondamentale», presentato in Sein und Zeit  e nei corsidi lezione che ne precedono la pubblicazione, avvenuta nel 1927, sia la funzione di filo conduttore che il concettomedesimo riveste nella revisione di questo progetto, che trova i suoi esiti nel testo del corso di lezione (pubblicato

 postumo, nel 1983, con il titolo di  Die Grundbegriffe der Metaphysik: Welt, Endlichkeit, Einsamkeit ) tenuto daHeidegger a Friburgo nel semestre accademico a cavallo fra il 1929 e il 1930. Dopo tale data, il progetto di «ontologiafondamentale» - incentrato sull’analisi dell’essere dell’esistente, cioè della sua struttura ontologica, concepita come lavia d’accesso al problema dell’«essere in generale», cioè dell’istanza ontologica in quanto tale – nell’evolversi dellariflessione heideggeriana cede il passo alla tematizzazione della «verità» dell’essere in quanto tale, condotta attraversola messa a fuoco del suo carattere «storico», cioè evenemenziale. Intendiamo mostrare come sia l’abbandono della

 prospettiva dell’«ontologia fondamentale», proprio in quanto indagine imperniata sull’analisi della realtà ontologica

dell’esistente, sia la nuova direzione successivamente imboccata da Heidegger trovino motivazione e fondamento nellaconfigurazione teorica alla quale l’elaborazione del concetto di mondo conduce nel 1930.La presente ricerca si articola in due parti. Nella prima (capp. 1-4) si ricostruisce, alla luce delle connessioni

intercorrenti fra il concetto di mondo, quello di esistenza e quello di verità il progetto heideggeriano relativoall’«ontologia fondamentale», per come esso appare da un lato (capp.1-2) in Sein und Zeit  e nei testi dei corsi di lezioneche ne precedono e preparano la pubblicazione, dall’altro (capp. 3-4) nelle opere pubblicate e nei testi dei corsi dilezione immediatamente seguenti, fino a quello delle lezioni del semestre accademico 1928-29, recentemente pubblicatocon il titolo di Einleitung in die Philosophie . Muovendo da taluni mutamenti di prospettiva riscontrati in questo secondogruppo di scritti , la seconda parte della ricerca (capp. 5-6) mette a fuoco, principalmente attraverso l’esame di DieGrundbegriffe der Metaphysik , quella che valutiamo come una crisi della prospettiva dell’ontologia fondamentale, e ilruolo decisivo in essa giocato dal concetto di mondo. La revisione della determinazione dell’«essere nel mondo» (ilfenomeno che, in Sein und Zeit , caratterizza l’esistenza umana, definita come ciò che la tradizione traduttiva indica, perrendere il significato del concetto heideggeriano di « Dasein», attraverso il termine «esserci») costituisce infatti, a nostro

 parere, l’elemento catalizzatore di un’evoluzione che dà luogo, nello  Hauptbuch  e nelle lezioni del 1929-30, ad approccisistematici differenti, per taluni e decisivi aspetti, fra loro: rispettivamente, l’«ontologia fondamentale» e la«cosmologia fenomenologica». Relativamente a studi critici anche recenti, la riconsiderazione dell’esistenza e del sensodi questa evoluzione (e del ruolo, in essa, del concetto di mondo) appare oggi necessaria anche alla luce della recente

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disponibilità di  Einlei tung in die Philosophie, il testo del corso di lezione del 1928-29 largamente dedicato all’analisidel concetto di mondo.

L’indagine prende le mosse dalla ricostruzione delle linee fondamentali del progetto di «ontologiafondamentale» presentato in Sein und Zeit , al fine di chiarire le motivazioni teoriche delle revisioni (attestate già in  DieGrundprobleme der Phänomenologie, il testo del corso di lezione del semestre accademico estivo del 1927) verificatesinel periodo immediatamente seguente alla pubblicazione dell’opera, avvenuta nella primavera del 1927. Dall’esame di

Sein und Zeit , emerge il carattere problematico dell’assunzione da parte di Heidegger, quale filo conduttore della propria analisi, della valenza che egli definisce come «preontologico-esistentiva» del concetto di mondo(corrispondente alla considerazione dal punto di vista ontico di tale concetto), in quanto essa risulta coniugata conl’attribuzione alla determinazione «esistenziale» (cioè ontologica) della «mondità» del ruolo di condizione ontica della

 possibilità di accesso, da parte dell’ente esistente (caratterizzato dalla struttura ontologica dell’«essere nel mondo»),all'ente difforme da esso, definito da Heidegger, per aspetti diversi, come «utilizzabile» e come «sussistente», ovverocome «intramondano». Si mostra come tale assunzione, nonchè il conferimento di tale ruolo alla determinazione della«mondità», siano finalizzati, in Heidegger, alla tesi del «radicamento ontico» della cosiddetta «analitica esistenziale»(dell’analisi, cioè, tesa alla determinazione della struttura ontologica dell’esistente), e come l’una e l’altra rinviinoall’intento heideggeriano di ricondurre l’ente intramondano all’esistente senza ricadere in una forma di soggettivismoidealista (quella in cui il soggetto produce la realtà ontologica dell’oggetto) giudicata, da Heidegger, come inaccettabile.Detto altrimenti: la valenza ontica del concetto di mondo assunta in Sein und Zeit  è funzionale al tentativo di ricondurrela realtà dell’ente difforme dall’esistente a quella di quest’ultimo mediante modalità diverse da quelle dell’idealismo e

da quelle del soggettivismo di ascendenza cartesiana o kantiana.1È possibile, in questo modo, individuare i punti di difficoltà del disegno di ontologia fondamentale presentatonell’opera del 1927, il tentativo di soluzione dei quali spiega l’evolversi della riflessione heideggeriana nella sua faseimmediatamente successiva a essa. In primo luogo, la possibilità di rapporto fra l’essere dell’esistente e quello dell’entedifforme da esso si presenta come un  problema : occorre, come Heidegger chiarisce nelle lezioni del semestre estivo del1927, trovare un «concetto unitario di essere, che autorizzi a indicare questi diversi modi di essere come modidell'essere». Si delinea tuttavia, in tal modo, una duplice dualità: quella fra l’essere dell’ente esistente e l’esseredell’ente intramondano da un lato, e quella (introdotta per risolvere la prima) fra l’essere «in generale» (determinazioneche dovrebbe dar conto del coerire dei primi due termini) e l’essere dell’esistente dall’altro. In secondo luogo,l’assunzione della valenza preontologico-esistentiva del concetto di mondo, concepita come la struttura del rapporto fraesistente ed ente intramondano, appare incompatibile con la caratterizzazione ontologica che la determinazione delmondo riceve in Sein und Zeit : è piuttosto (come viene peraltro sostenuto nei corsi di lezione posteriori allo Hauptbuch)l’istanza della Weltlichkeit , in quanto determinazione ontologica, a dar conto di tale rapporto, e a disegnare perciò una

dipendenza ontologica, e non soltanto ontica, dell’ente intramondano dall’esistente. A partire da qui, e attraversol’esame delle nozioni heideggeriane di «destinazione» e «significatività», emerge la centralità ontologica dell’esserci.Essa risulta problematica per un verso in quanto prospetta, per la struttura ontologica dell’esistente definita come«essere nel mondo», una forma di soggettivismo troppo vicino a quell’«idealismo» dal quale Heidegger, nell’opera del1927, intenderebbe prendere le distanze; per un altro verso, la configurazione soggettivistica dell’«essere nel mondo» simostra in difficoltà, a fronte della duplice dualità poc’anzi menzionata, sia nel dar conto del rapporto fra ente esistenteed ente intramondano, sia di quello fra l’essere dell’esistente e il suo fondamento ontologico, l’essere «in generale».

Dove si colloca l’origine della configurazione soggettivistica della struttura dell'«essere nel mondo», in seguitoalla quale si delinea la duplice dualità di cui si è detto? Essa va rintracciata, crediamo, nell’interpretazione del fenomenodella verità presentata nel paragrafo 44 di Sein und Zeit . Si verifica, qui, il sovvertimento del percorso argomentativoche Heidegger, in questo stesso paragrafo, indica come proprio intento: anziché interpretare la dimensione «piùoriginaria» del fenomeno della verità muovendo dalla funzione disvelativa svolta, nei confronti dell’ente intramondano,dalla struttura esistenziale dell’«essere nel mondo», nello  Hauptbuch   del 1927 questa struttura esistenziale risulta

determinata a partire dall’assunzione di una determinata interpretazione della verità. Tale interpretazione è, inoltre, proprio quella che, identificando la verità nella «concordanza», ovvero nella «conformità» del «contenuto ideale» delgiudizio alla realtà materiale dell’oggetto al quale esso si riferisce, viene da Heidegger considerata come «derivativa» e«tradizionale». A nostro parere, le ragioni di questo capovolgimento del percorso argomentativo e dell’assunzionedell’interpretazione «derivativa» del fenomeno della verità devono essere individuate, quasi paradossalmente, proprionel ruolo fondativo attribuito all’interpretazione «originaria» nei confronti di quella «derivativa» e, in particolare, nellamodalità attraverso la quale tale ruolo si esplica: l’«appropriazione» (che Heidegger propone, in luogo di uno«sconvolgimento») della nozione «derivata» e «tradizionale» di verità da parte di quella «originaria» dà luogo, infatti, a

1 La tesi del «radicamento ontico» dell’analitica esistenziale da un lato costituisce il risultato di due assunti che concorrono a fondarla: in primo luogo,la questione dell'essere viene impostata come questione della sua comprensione da parte dell’esistente. In secondo luogo, la dimensione ontica(relativa tanto all’ente esistente, quanto all’ente intramondano) viene assunta nella sua valenza realistica: l’essere è ciò che viene compreso dall’ente(esistente) ma, proprio per questo, l’ente (sia quello esistente, sia quello intramondano) sussiste indipendentemente dalla sua comprensione da parte

dell’esistente. Deve, in altri termini, essersi dato l’ente, perché si dia la comprensione d’essere. In questo modo, d’altro lato, la tesi del «radicamentoontico» dell’analitica esistenziale produce, quale suo risultato, l’introduzione della determinazione dell’«essere in generale», concepito come l’istanzaontologica, alla quale l’ente esistente ha accesso privilegiato, che deve dare conto della possibilità del suo rapporto con l’ente difforme da esso, che

 pure gode, in quanto ente, di una realtà ontologica propria, per quanto essa rimanga, prima della sua comprensione da parte dell’esistente,indeterminata.

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una continuità  fra esse. In forza di tale continuità, la prospettiva «derivativa» fa premio su quella «originaria», e perviene a connotare il fenomeno dell’«essere nel mondo» in senso soggettivistico: imponendo l’esigenza di«verificare», ovvero di «legittimare», l’apertura dell’esistente al mondo, l’impostazione «fondativa» fa prevalere,nell’interpretazione heideggeriana del fenomeno della verità, la comprensione «derivativa» e, con essa, laconfigurazione dualistica della struttura esistenziale dell’«essere nel mondo».

La trascendentalizzazione di quest’ultima (connessa all’intensificarsi, immediatamente dopo la pubblicazione

di Sein und Zeit , dell’ Auseinandersetzung  con Kant) trova, a nostro parere, la propria motivazione teorica nel tentativo,da parte di Heidegger, di dare soluzione proprio alla duplice distinzione emersa nell’opera del 1927: quella fra l’esseredell’ente esistente e l’essere dell’ente intramondano da un lato, e quella fra l’essere «in generale» e l’esseredell’esistente dall’altro. L’esistente viene dunque, anzitutto, posto come la condizione di possibilità non soltantodell’incontro con l’ente intramondano, ma del suo stesso essere. Ciò si spiega con l’intento da parte di Heidegger,immediatamente dopo la pubblicazione di Sein und Zeit , di rimuovere la valenza realistica della dimensione ontica, cioèdi sussumere l’essere dell’ente intramondano all’interno dell’àmbito dell’esistente. In secondo luogo, viene

 progressivamente sospinta fuori dallo scenario teorico (prima ancora della sua sostituzione, nelle lezioni del semestreinvernale 1929-30, con la determinazione dell’«essere in generale») la figura concettuale dell’«essere in generale», cheapriva, nella prospettiva dell’«ontologia fondamentale», il secondo dualismo sopra ricordato: quello, appunto, fral’«essere in generale» e l’essere dell’esistente. Crediamo, inoltre, di poter individuare elementi significativi diun’evoluzione all’interno del gruppo di materiali (in particolare, i testi relativi al corso di lezione del 1927-28, Phänomenologische Interpretation von Kants Kritik der reinen Vernunft , a quello del 1928,  Metaphysische Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz , nonché le opere, pubblicate nel 1929, che da essi sono stati tratte:rispettivamente,  Kant und das Problem der Metaphysik   e Vom Wesen des Grundes) che attestano questatrascendentalizzazione dell’istanza esistenziale, ritenuti finora dalla critica come un corpus omogeneo.

Tale trascendentalizzazione, che comporta, per l’istanza esistenziale, l’esplicitazione del ruolo di condizioneontologica di possibilità nei confronti dell’ente difforme dall’esserci, se da un lato risolve il problema, che si pone nello Hauptbuch , della dualità fra ente esistente ed ente sussistente, d’altro lato porta Heidegger ancora più vicino, rispettoall’opera del 1927, a quella forma di soggettivismo idealista che egli giudica come inaccettabile. Per questo, nel testodel corso di lezione del 1928-29, egli pone a tema fin da subito il fenomeno della verità e, mentre intraprende una“desoggettivizzazione” della sua interpretazione, lo propone come via di accesso all’interpretazione del fenomeno delmondo. La definizione della verità che la riconduce alla funzione disvelativa dell’esistente coesiste, in  Einleitung in die Philosophie, accanto a quella che la determina come «ciò che gli esistenti hanno in comune», l’evento della qualedefinisce gli esistenti medesimi. In questo senso,  si verifica, in queste lezioni, una “desoggettivizzazione”

dell’interpretazione del fenomeno della verità: l’esistente appare definito a partire dall’evento della verità, concepitocome il manifestarsi della «totalità dell’ente», anziché (come accade nella comprensione «disvelativa») il contrario. Ciòimpone, tuttavia, una ridefinizione del fenomeno del mondo, l’interpretazione del quale conosce anch’essa (diconseguenza e analogamente alla “desoggettivizzazione” dell’interpretazione del fenomeno della verità), in questelezioni, una “deesistenzializzazione”: concepita, nello Hauptbuch , come articolazione della struttura esistenzialedell’«essere nel mondo», la determinazione del mondo risulta ora associata al concetto di «ente in totalità», che simanifesta in quanto tale. Questa associazione costituisce l’elemento di novità delle lezioni del semestre invernale 1928-29, che riceverà il proprio decisivo sviluppo in quelle del semestre invernale 1929-30. In  Einleitung in die Philosophie,dunque, Heidegger riconosce ciò che in Sein und Zeit   rimane implicito e che contraddice, anzi, le dichiarazioni

 programmatiche contenute nell’opera del 1927:  finché si permanga all’interno del quadro dell’«ontologia fondamentale», l’interpretazione del fenomeno della verità determina quella del fenomeno del mondo, anzichéviceversa . Crediamo, perciò, che i testi delle lezioni del 1928-29 avvalorino sia la tesi da noi avanzata relativamente airapporti fra il concetto di verità e quello di mondo nel progetto di «ontologia fondamentale», sia il senso dell’evoluzione

da noi prospettata dopo la pubblicazione di Sein und Zeit , in quanto rivolta a risolvere i dualismi in esso presenti e aridefinire la prospettiva soggettivista da esso sottesa. Relativamente agli elementi da noi individuati come decisivi, Einleitung in die Philosophie presenta i caratteri del testo di transizione: il quadro dell’ontologia fondamentale vienequi riproposto accanto all’emergere di aspetti che ne denunciano la crisi.

La crisi della prospettiva dell’ontologia fondamentale costituisce il nodo tematico messo a fu oco, nella seconda parte della nostra indagine, soprattutto attraverso l’esame di  Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt – Endlichkeit – Einsamkeit , il testo del corso di lezione del semestre 1929-30.

La nuova caratterizzazione del concetto di mondo, che lo identifica con l’«ente in totalità in quanto tale» e lovede fenomenizzarsi nel «regnare», diventa l’obbiettivo dell’indagine metafisica. Con l’esautoramento dell’istanzadell’«essere in generale» (in quanto sostituita da quella del «regnare del mondo»), risulta messo radicalmente indiscussione l’impianto del progetto di «ontologia fondamentale» presentato in Sein und Zeit , e la direzione stessa del

 procedere della sua argomentazione. Ben di là di una mera sostituzione terminologica, in  Die Grundbegriffe der Metaphysik  la surroga del concetto di «essere in generale» da parte di quello di «regnare del mondo» segnala infatti il

rovesciarsi, rispetto all’opera del 1927, del punto di attacco dell’indagine: essa non procede più muovendo dalladeterminazione dell’essere dell’ente esistente, riguardato nella sua specificità nei confronti dell’ente intramondano, per giungere alla determinazione del senso dell’essere «in generale», ma prende invece le mosse dal manifestarsi

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dell’«ente in totalità», cioè del mondo, “discendendo”, da esso, alla determinazione delle sue manifestazioni ontiche:la pietra, l’animale, l’uomo .

Si aprono per Heidegger, a questo punto, due strade, l’elemento discriminante fra le quali consiste nelladiversa interpretazione del ruolo del fenomeno del mondo . La prima di esse, che dà luogo alla prospettiva chedefiniamo come cosmologia fondamentale, interpreta il mondo come  fondamento, cioè come assetto ontologico chedetermina le tre modalità dell’ente individuate in  Die Grundbegriffe der Metaphysik , delle quali è necessario (in primo

luogo, per l’ente esistente) definire la specificità essenziale. Per un duplice aspetto l’indirizzo della “cosmologiafondamentale” costituisce il retaggio, nelle lezioni del 1929-30, del progetto di «ontologia fondamentale» di Sein und Zeit . Da un lato, la “cosmologia fondamentale” rappresenta, infatti, la messa in opera del tentativo di giungere,attraverso la delineazione in positivo delle «ontologie regionali», menzionate nella  Einleitung  dell’opera del 1927, allafondazione ontologica, colà prospettata, delle scienze positive; dall’altro, ma correlativamente, la “cosmologiafondamentale” colloca in primo piano il problema di determinare la specificità dell’ente esistente nei confronti dellealtre forme di ente. É questo l’indirizzo dell’indagine che pone capo alla tesi che definisce l’esistente come «formatoredi mondo».

La seconda strada che si apre, per Heidegger, in  Die Grundbegriffe der Metaphysik  dà luogo alla prospettivache definiamo come cosmologia fenomenologica: l’istanza cosmologica è qui interpretata (particolarmente nellanozione di «regnare del mondo») come  fenomeno, cioè come un evento  che segnala di volta in volta, nell’accaderedell’ente, il suo carattere «storico», cioè evenemenziale, cioè finito, e dunque differenziale rispetto all’«ente in totalità»(che non si dà mai come tale) che è il mondo. Questa differenza va designata come cosmologica, piuttosto che come

ontologica; rispetto a quest’ultima, la “differenza cosmologica” ha abdicato a qualunque intento determinativo, perrestare come luogo e momento dell’accadere dell’ente.

Più che delineare ulteriormente questa seconda prospettiva (alcuni elementi della quale nutriranno la riflessioneheideggeriana nella fase della cosiddetta Seinsgeschichte), i materiali che compongono il testo delle lezioni del semestre1929-30 permettono, anzitutto, di mettere in luce la loro caratteristica ambiguità, consistente nel coesistere, in essi, delleimpostazioni della “cosmologia fondamentale” e della “cosmologia fenomenologica”; la nostra indagine ha inteso,soprattutto, spiegare le ragioni del prevalere della prima sulla seconda, nonostante alcune difficolta della prospettiva“cosmologico-fondamentale” in ordine alla possibilità di differenziare, all’interno delle sue coordinate concettuali, leforme dell’ente (pietra, animale, uomo).

 La motivazione, sia del prevalere dell’orientamento cosmologico-fondamentale, sia delle sue difficoltà, risiede,a nostro parere, nel necessario caratterizzarsi in senso ontologico del tentativo di fondazione determinativa . Lafondazione determinativa perseguì ta dalla “cosmologia fondamentale” risulta problematica in ordine al tentativo di darconto della specificità delle diverse forme dell'ente (e, in particolare, di quella dell'ente esistente) nella misura in cuiessa mantiene l'esigenza di individuare, per l’ente e per il fenomeno del mondo medesimo, un fondamento determinantee di caratterizzarlo ontologicamente. Per questo, il disegno cosmologico-fondamentale incorpora la tesi della«formazione di mondo» da parte dell’uomo, concepita come la specificità essenziale di quest’ultimo; tale disegnoassume, come proprio obiettivo, il tentativo di pensare il «che cosa» e il «come» del mondo mirando all'individuazionedel suo fondamento, che viene connotato (anche se non esplicitamente designato con tale termine) come ontologico. Invirtù del fatto che il problema del fenomeno del mondo risulta impostato a partire dal problema del suo essere,concepito come il suo fondamento, esso non viene indagato muovendo dal carattere di evenemenzialità suo proprio,cioè come modalità specifica dell'evenire, bensì come articolazione del fondamento ontologico; è questo il modo, in cui,nelle lezioni del semestre 1929-30, la “cosmologia fenomenologica” cede il passo alla “cosmologia fondamentale”, cheè lo sviluppo della prospettiva ontologico-fondamentale di Sein und Zeit .

Proprio perché, dal punto di vista dell'originarietà metafisica, la questione per Heidegger decisiva riguarda,anziché il significato dell'accadere del mondo, il fondamento di quest’ultimo, cioè l’essere, la «questione dell'origine» si pone, in questi testi, nei termini di una ricerca che si connota come ontologica, e come fondamentale; comeontologica, anzi,  perché fondamentale e, in quanto tale, radicata antropologicamente. Momento decisivo della nostraindagine consiste nel ricostruire tale radicamento; nel ricostruire, cioè, il percorso argomentativo attraverso il qualel’indagine ontologica heideggeriana, nel suo intento fondativo, si articola come ricerca intorno al «fondamento delfondamento», che viene rintracciato nella «formazione di mondo» da parte dell’esistente. In quanto «formatrice dimondo», l’«essenza umana», cioè «l’esistente che è nell’uomo», si rivela come «il fondamento del fondamento». Perquesta via, riteniamo, l’ontologia heideggeriana mette in luce il proprio orientamento antropologico, ponendosi, alcontempo, come paradigmatica del muovere di ogni questione ontologica, in quanto domanda sul  senso, dalla

 presupposizione della centralità, all’interno del dominio dell’ente (che risulta, dunque, dover essere dato  prima del suofondamento, cioè della domanda che chiede conto del suo senso), dell’ente esistente, cioè dell’uomo. Il celebre rifiuto,da parte di Heidegger, di qualificare la propria ricerca come «antropologia filosofica» risulta dunque motivato non dallamessa in secondo piano dell’“oggetto” dell’antropologia, bensì dalla necessità di indagarlo nella sua radicalità. Loscacco al quale perviene, in  Die Grundbegriffe der Metaphysik , il tentativo heideggeriano di pensare, attraverso la

determinazione del mondo, il «fondamento del fondamento», cioè l’essere, concepito come ciò che sta prima e al di quadell’uomo, rappresenta la prova più convincente dell’ineluttabilità della quaestio anthropologica. Al contempo, questostesso scacco, dimostrando la fallacia della convinzione di ritenere «superata» la prospettiva antropologica per averlacollocata nell’orizzonte della questione dell’essere, fornisce le indicazioni più feconde per riformulare la domanda

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sull’uomo, chiedendo effettivamente  conto della centralità a esso attribuita. Ciò equivale a non  presupporre (comeaccade nella «questione del fondamento», che si traduce in una questione sul senso dell’ente) tale centralità, la qualedeve, piuttosto, essere spiegata quale evento di ciò che, prima dell’uomo e del  suo fondamento, cioè del suo senso,accade: il fenomeno del mondo.

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PARTE PRIMA. IL MONDO E IL SOGGETTO NEL PROGETTO DI ONTOLOGIA FONDAMENTALE: «ESSERE NEL MONDO» COME STRUTTURA ONTOLOGICA DELL’ESISTENTE.

Il chiarimento del concetto di mondo è uno dei compiti fondamentali dellafilosofia. Il concetto di mondo, cioè il fenomeno che designamo con questonome, è ciò che, in generale, nella filosofia ancora non è stato riconosciuto.Martin Heidegger, Die Grundprobleme der Phänomenologie.

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CAPITOLO PRIMO. LA COSTITUZIONE ONTOLOGICA DELL'ESISTENZA IN  SEIN UND ZEIT : IL

FENOMENO DELL’«ESSERE NEL MONDO», IL RAPPORTO FRA ESISTENTE ED ENTE

INTRAMONDANO, LA DIMENSIONE DELL’«ESSERE IN GENERALE».

…con il termine «mondo» si intende l’insieme di tutti i fenomeni,…I. Kant, Kritik der reinen Vernunft .

1.1. «Ontologia fondamentale»: l’analisi dell’«esserci» come «ente che è nel mondo», il suo rapporto con l’enteintramondano e l’assunzione della valenza preontologico-esistentiva del concetto di mondo.

Che cosa si propone Heidegger in Sein und Zeit ? Qual è l'ideale filosofico che attraversa quest'opera? Piùspecificamente: che cos'è la  Fundamentalontologie, all'elaborazione della quale appare mirata la ricerca di Sein und Zeit ? Individuare una risposta a queste domande richiede, inevitabilmente, un confronto con il concetto di Welt , qualeelemento decisivo del progetto di «ontologia fondamentale».

 Nella  Einlei tung   dell'opera, compito e definizione dell'«ontologia fondamentale» vengono determinati inriferimento al «metodo» fenomenologico dell'indagine e al suo precetto fondamentale: quello di rivolgersi «alle cosestesse». In questo senso, «considerata riguardo al suo oggetto intrinseco» ( sachhaltig genommen), sostiene Heidegger,la fenomenologia è scienza dell'essere dell'ente, cioè ontologia.2

 In Sein und Zeit , ciò che viene designato dal termine«ontologia» indica non una «disciplina filosofica determinata», bensì una disciplina che va sviluppata a partire dalle«necessità oggettive intrinseche di una questione determinata, e attraverso la modalità di trattazione richiesta dalle cosestesse».3  L’«ontologia fenomenologica» (cioè la forma di conoscenza, in Sein und Zeit  designata come Wissenschaft ,corrispondente alla «scienza dell'essere dell'ente») si qualifica, nella sua specificità, per il fatto di non costituire unadisciplina determinata, in quanto essa manca di un suo «campo» tematizzabile. Questa «scienza» non ha, in senso

 proprio, un «oggetto» specifico al quale rivolgersi; essa consiste, invece, in una peculiare forma di indagine chescaturisce dalla tensione fra due poli. Il primo è costituito dalla questione ( Frage) inerente alle «cose stesse»; il secondorappresenta, invece, il  Kardinalproblem dell'ontologia, ovvero la questione relativa al senso dell'«essere in generale»(« Die Frage nach dem Sinn von Sein überhaupt »).

In altri termini: il campo tematico della fenomenologia è, «per definizione», l'essere, ed essa è, dunque («perdefinizione», appunto), ontologia. L'accesso alla questione dell'essere, secondo Heidegger, avviene attraverso l’analisidella struttura ontologica del solo ente, l'esserci  ( Dasein), definito, nella sua «costituzione essenziale», dall'esistenza( Existenz); essa è caratterizzata dal fatto che le appartenga una «comprensione media dell'essere» (durchschnittlichesSeinsverständnis), diversa dal «concetto esplicito» dell’essere medesimo.4 La struttura ontologica dell'esserci, ovvero ilsuo specifico modo d'essere, consistente nell'esistenza, si caratterizza, dunque, per il fatto di porre il problemadell'essere. Per affrontare quest'ultimo occorrerà, perciò, un'analisi preliminare (l'«analitica esistenziale», relativa almodo d'essere dell'esserci) di quella struttura; l'analisi pone capo a un'ontologia che si configura come «fondamentale»,nei confronti delle «ontologie regionali», che sono relative all'essere dell'ente che, non godendo della modalitàdell'esistenza, è difforme dall’esserci.5  L'elemento di novità dell'«ontologia fondamentale» emergerebbe, secondo

2 M. Heidegger, Sein und Zeit , in Gesamtausgabe, Bd. 2. hrsg. von F.- W. von Herrmann, Klostermann, Frankfurt a. M. 1976, p. 50 [trad. it. a cura e

con introduzione di P. Chiodi, Essere e tempo, Utet, Torino 1978, p. 98]; l'edizione della Gesamtausgabe riporta le annotazioni heideggeriane vergate,a partire dal 1929, su una copia della seconda edizione di Sein und Zeit , il cosiddetto Hüttenexemplar . Cfr F.-W. von Herrmann, Hermeneutische

 Phänomenologie des Daseins. Eine Erläuterung von «Sein und Zeit» , Bd. 1, Klostermann, Frankfurt a. M. 1987, p. 366.3 «[...] aus den sachlichen Notwendigkeiten bestimmter Fragen und der aus den “Sachen selbst” geforderten Behandlungsart ». (SZ , p. 37 [85]).4 SZ , p. 11 [60-61].5 SZ, § 10. Non concordiamo con la tesi relativa alla possibilità di distinguere, in Sein und Zeit  (così J. Greisch, Ontologie et temporalité. Esquissed’une interprétation integrale de Sein und Zeit, PUF, Paris 1994, pp. 84 sgg.), ontologia fondamentale e analitica esistenziale: per quanto esso possaapparire come un presupposto, il primato riconosciuto all’esistente è sufficiente a garantire il coincidere della determinazione dell’analiticaesistenziale con quella dell’ontologia fondamentale. Distinguendo, invece, fra le due determinazioni, si giungerebbe a qualificare l’ontologiafondamentale come un’«ontologia regionale»: W. Franzen, Von der Existenzialontologie zur Seinsgeschichte. Eine Untersuchung über die

 Entwicklung der Philosophie Martin Heideggers, Hain, Meisenheim am Glan 1975, p. 21.  L’ontologia fondamentale è tale, invece, proprio in quantofornisce il fondamento per l’ontologia regionale dell’ente uomo: C. Jamme, Etre et temps de Heidegger dans le contexte de l’histoire de sa genèse, in

 Heidegger 1919-1929. De l'herméneut ique de la facticité à la métaphysique du Dasein, éd. par J-F. Courtine, Vrin, Paris 1996, p. 221. La coincidenza«di contenuto» di ontologia fondamentale e analitica esistenziale, rilevata da Franzen, costituisce l’elemento decisivo del progetto presentatonell’introduzione dello Hauptbuch , e si fonda sul primato, ontico e ontologico, dell’esserci: l’ontologia «fondamentale» è tale perché fonda gli altriàmbiti di ricerca ontologica, e può farlo perché essa riguarda l’ente che pone la questione dell’essere. Questo è, anche, il fondamento del primato

attribuito, rispetto alle altre «ontologie regionali», all’antropologia: A. Ignatow, Heidegger und die philosophische Anthropologie. Eine Untersuchungüber die anthropologische Dimension der Heideggerschen Denkens, Forum Academicum - Hain, Meisenheim am Glan 1979, p. 34. Secondo l’autore,l’ontologia fondamentale non sarebbe, nonostante l’autointerpretazione di Heidegger, un’ontologia pura, bensì «una sintesi di ontologia eantropologia», in forza dell’assunzione (attraverso la distinzione fra la determinazione di Eigentlichkeit  e quella di Uneigentlichkeit ), in essa, digiudizi di valore e in forza della sua appartenenza, per questa via, al pensiero della trascendenza della tradizione cristiana (ibid . pp. 103 sgg.). H.

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Heidegger, nel confronto con «l'ontologia degli antichi»; limite di quest'ultima consisterebbe nell'aver scelto, come«terreno esemplare» della propria interpretazione dell'essere, proprio l'ente che, difforme dall'esserci, viene daquest’ultimo incontrato «all'interno» del mondo.6  In questo modo, tale interpretazione si è delineata come un  

kategorein , che riguarda il «che cosa» dell'ente, cioè il suo carattere di «sussistenza» (Vorhandenheit );7 la comprensioneontologica che ne consegue non può cogliere la dimensione dell'esistenza, che è propria dell'esserci, nei confronti dellaquale deve piuttosto essere posta la domanda relativa al «chi». Le   determinazioni che esprimono questa dimensione

ontologica sono da Heidegger definite come «esistenziali»; a essi mira l'ontologia fondamentale, laddove l'ontologiaantica deve limitarsi a indagare le «categorie». «Esistenziali» e «categorie» rappresentano, cioè, le determinazioni che sirivolgono, rispettivamente, all'essere dell'esistente e a quello dell'ente difforme da esso; queste determinazionicostituiscono dunque, entrambe, «possibilità fondamentali del carattere dell'essere» ,8 irriducibili l'una all'altra.

Heidegger sostiene che le determinazioni d'essere (Seinsbestimmungen) dell'esserci vadano ricondotte alfondamento della sua costituzione d'essere (Seinsverfassung ); essa consiste in un fenomeno unitario che egli denomina«essere nel mondo» ( In der Welt sein).9 Heidegger mette in guardia, a questo proposito, dal possibile fraintendimentoconsistente nell'interpretare come una proprietà dell'ente difforme dall'esserci quella che è, invece, un'articolazione diquest'ultimo. Occorre, cioè, evitare di intendere quella indicata dall'«essere nel mondo» come una relazione fra entitàdate, cioè fra enti che, sussistenti nella modalità del Vorhandensein, si collocherebbero «nel» mondo, inteso come unluogo neutro, indifferente al loro sussistere in esso. L'«essere presso» ( Beisein) degli enti rinvia invece, come suofondamento, al loro carattere di «intramondanità» ( Innerwel tlichkeit ) e, per questa via, al loro necessario riferimento

all'esserci. Anche l'«essere presso» rappresenta, perciò, una determinazione esistenziale, preclusa cioè all'enteconsiderato come Vorhandenheit ; quest'ultimo è, per definizione, privo della struttura dell'«essere nel mondo», ed è perciò «privo di mondo» (weltlos).10 La realtà alla quale fa riferimento la nozione di «mondo» rappresenta un momentodella struttura essenziale dell'esserci, individuata come   In der Welt sein; anche la nozione di Welt  costituisce, perciò,una determinazione esistenziale, cioè un carattere dell'esserci, non una determinazione categoriale. Per questo,argomenta Heidegger, esaminando la questione del mondo non si esce dall'ambito proprio dell'analitica dell'esserci: dal

 punto di vista ontologico, il mondo è una determinazione di quest'ultimo, non dell'ente sussistente, ovvero intamondano.

Attraverso il concetto di «essere nel mondo», Heidegger intende risolvere, in Sein und Zeit, il problema del rapportoche, in una prospettiva gnoseologica, intercorre fra ciò che viene indicato come «soggetto» e ciò che viene indicatocome «oggetto»; il problema, formulato altrimenti, dell'esistenza del cosiddetto «mondo esterno» (all’io, cioè alsoggetto). Muovendo dalla determinazione esistenziale dell'«essere nel mondo», il tradizionale problema dell'esistenza

del «mondo esterno» è, sostiene Heidegger, «senza senso»: il «mondo», infatti, è già «essere aperto con l'essere

Fahrenbach, Heidegger und das Problem einer “philosophischen” Anthropologie, in Durchblicke. Martin Heidegger zum 80. Geburstag , hrsg. von V.Klostermann, Klostermann, Frankfurt a. M 1970, pp. 101, 106, 109 ritiene, invece, un «fraintendimento antropologico» interpretare l’«ontologiafondamentale» come un’antropologia, in quanto il Seinsverständnis non è, in Sein und Zeit , una «facoltà» dell’esistente, bensì l‘«eventofondamentale» che lo rende possibile . In questo modo, secondo l’interprete, l’impostazione ontologico-trascendentale heideggeriana supererebbequella filosofico-trascendentale tradizionale.6 SZ , p. 60 [109].7 Scegliamo, per tradurre il termine tedesco «Vorhandenheit », quello italiano «sussistenza» (anziché quello «semplice presenza», utilizzato da PietroChiodi nella traduzione indicata di Sein und Zeit ), anzitutto per marcare l'estraneità concettuale, nell'uso heideggeriano, di Vorhandenheit  e 

 Anwesenheit  (termine che indica la «presenzialità», che Heidegger colloca, rapportandola alla determinazione greca di ousia , in una specificadimensione ontologica, anziché ontica: cfr. M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik,  in Gesamtausgabe, Bd. 40, Klostermann, Frankfurt a. M.1983, pp. 65, 190 [trad. it di G. Masi, a cura e con introduzione di G. Vattimo, Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano 1990, pp. 71, 186-187]);in secondo luogo, perché risulterebbe altrimenti problematico rendere termini ed espressioni quali Unvorhandenheit  («non sussistenza») o

 schlechtinnige Vorhandenheit  («semplice sussistenza»). Va naturalmente persa, in questo modo, l'assonanza tra Vorhandenheit  e Zuhandenheit ; la

differenza, cioè, fra ciò che sta «davanti» alla mano (ovvero, all'agire dell'ente ontologicamente primario, il  Dasein) in quanto considerato, nel propriosussistere, come indipendente dalla sua utilizzabilità, e ciò che sta, invece, «a portata di mano» o, addirittura, «in mano», nella configurazione dellasua utilizzabilità da parte dell'ente esistente. Sulla genesi del termine Vorhandenheit , come calco dell'espressione aristotelica ta procheira , chedesigna il corrispettivo oggettuale dell'atteggiamento teoretico, cfr. J. Taminiaux, Lectures de l'ontologie fondamentale, Millon, Grenoble 1995, pp.158-162. Sulla corrispondenza fra le determinazioni heideggeriane di Dasein, Zuhandenhei t  e Vorhandenheit  da un lato, e quelle aristoteliche di

 praxis, poiesis e theoria  dall'altro, si veda F. Volpi, Dasein comme praxis: l'assimilation et la radicalisation heideggerienne de la philosophie pratique de Aristote, in Heidegger et l'idée de la phénoménologie , éd. par F. Volpi, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht-Boston-London 1988, pp. 15-17. L. Ruggiu, Praxis e poiesis. Una questione aperta in Heidegger , in Heidegger e la filosofia prat ica, a cura di P. Di Giovanni, Flaccovio,Palermo 1994, pp. 214 sgg. contesta invece la riconducibilità, nel contesto di Sein und Zeit , del concetto di praxis heideggeriano a quello aristotelico.8 «beiden Grundmöglichkeiten von Seinscharakter » (SZ , p. 60 [110]). La modalità d’essere dell’esistente è ontologicamente diversa da quelladell’ente da esso difforme, e ciò comporta l’incommensurabilità ontologica di categorie ed esistenziali; per questo non è lecito interpretare gliesistenziali, per analogia, come le “categorie” dell’esistente: K. Harries,  Fundamental Ontology and the Search for the Man’s Place, in Heideggerand Modern Philosophy. Critical Essays, ed. by M. Murray, New Haven and London Yale University Press, Binghampton N. Y. 1978, p. 67. Sequesta differenza, in quanto concepita come incommensurabile, rientra negli intenti programmatici di Heidegger, riteniamo tuttavia da sottoscrivere latesi di A. Masullo, Filosofie del soggetto e dirit to del senso,  Marietti, Genova 1990, pp. 149-150, che sottolinea come, a causa dell’impostazionetrascendentale di Sein und Zeit , che chiede conto delle strutture a priori dell’esistenza, gli esistenziali si risolvano in categorie. Analogamente, F.

Bianco, Pensare l’interpretazione. Temi e figure dell’ermeneutica contemporanea, Editori Riuniti, Roma 1991, pp. 100-101 ritiene che, a dispetto delcarattere progettuale e autocomprensivo delle strutture dell’esistente, esse siano date come strutture sussistenti, in quanto preesistenti all’attointerpretativo, e che qui risieda la ragione del mancato compimento del progetto di Sein und Zeit .9 SZ , p. 72 [122].10  SZ , p. 74 [124].

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dell'esserci», poiché ciò che, nel caso dell'«essere nel mondo», viene definito come «mondo», viene scoperto conl'apertura dell'esserci al mondo. Il mondo viene scoperto, cioè, già con il fatto che l'esserci, in quanto «essere almondo», si dà;11 per converso, come si chiarisce nel corso di lezione del semestre estivo del 1927, «possiamo imbatterciin un ente intramondano soltanto perché, esistendo, siamo già sempre in un mondo».12 Il cosiddetto «problema dellarealtà» che, riferito al «mondo esterno», sorge nella prospettiva gnoseologica, è «impossibile» (unmöglich), dichiaraHeidegger, a motivo dell'insussistenza dell'oggetto sul quale tale problema pretende di vertere: non si dà, infatti, un

soggetto «senza mondo» (weltlos).13  La prospettiva gnoseologica, prosegue Heidegger, dopo aver lacerato in dueimpossibili tronconi (il «soggetto», in quanto isolato, e il «mondo») il fenomeno originario dell'«essere nel mondo»,

 pretende di gettare un altrettanto impossibile ponte fra essi.14 Secondo Sein und Zeit, il fenomeno del mondo, in quantoconsiderato attraverso la determinazione dell'«essere nel mondo», costituisce, dunque, sia l'elemento discriminante frala struttura ontologica dell’esserci e quella dell’ente difforme da esso, sia ciò che rende ragione del loro rapporto.

In che modo, allora, questo rapporto diviene problematico? In altri termini: perché sorge la questione relativaalla realtà del mondo esterno, ovvero la prospettiva gnoseologica? Secondo Heidegger, ciò accade in virtù di unaconfusione fra l'accezione più propria del termine «mondo», che lo identifica con lo «in che» dell'«in essere», el'accezione che lo riferisce, invece, all'«essere presso» dell'ente intramondano.15  Del termine «Welt » Heideggerindividua, infatti, quattro accezioni. La prima, di carattere ontico, indica il tutto dell'ente che, in quanto sussistente, puòessere incontrato all'interno del mondo.16 In un secondo significato, Welt può indicare il corrispettivo ontologico di ciò acui fa riferimento la prima accezione del termine, ovvero l'essere dell'ente intramondano.17 Anche una terza accezione

del termine Welt   si colloca sul piano ontico: come precisa Heidegger, essa riveste un significato «preontologico-esistentivo».18  Qui l'aggettivo «esistentivo» (existenziell ) risulta in contrapposizione con quello «esistenziale»(existenzial ), denotando il primo un livello ontico dell'indagine relativa alle articolazioni della struttura dell'esserci, ilsecondo quello ontologico.19  In questa terza accezione, il termine Welt riguarda, dunque, non l'ente in quantosussistente, bensì in quanto inscritto nell'orizzonte dell'esserci medesimo sul piano della  Faktizität , così come questanozione viene definita in Sein und Zeit . In questa accezione, il concetto di  Welt   indica, perciò, non l'ente difformedall'esserci, da esso incontrato come ente intramondano, bensì ciò in cui (worin) «un esserci fattivo “vive”» (ein faktisches Dasein [...] “lebt”).20 É questo, dichiara Heidegger, il significato del termine « Welt » assunto in Sein und Zeit .

11  « Die Frage, ob überhaupt eine Welt sei un ob deren Sein bewiesen werden könne, ist als Frage, die das Daseinals In-der-Welt-sein stellt - und weranders sollte sie stellen? - ohne Sinn. Überdies bleibt sie mit einer Doppeldeutigkeit behaftet. [...] Welt aber ist mit dem Seindes Daseins wesenhafterschlossen; “Welt” ist mit der Entschlossenheit von Welt je auch schon entdeckt » (SZ, p. 269 [314] ).12  « Auf innerweltliches Seiendes können wir einzig deshalb stossen, weil wir als Existierende je schon in einer Welt sind ». (M. Heidegger, DieGrundprobleme der Phänomenologie, in Gesamtausgabe, Bd. 24, hrsg. v. F.-W. von Herrmann, Klostermann, Frankfurt a. M. 1976, p. 235 [trad. it. a

cura di A. Fabris, I problemi fondamentali della fenomenologia, Il Melangolo, Genova 1989, p. 158]). Per questo una comprensione autentica delmondo non può che irraggiarsi da una Selbstauslegung  dell'esserci, laddove il percorso inverso, dall'ente intramondano (che è necessariamente, inquesto caso, concepito come Vorhandenheit , in quanto considerato precedentemente al conferimento di senso, che lo fa innerweltlich, da partedell'esserci) all'esserci, comporta una comprensione marcata dal  Verfallen: E. Richter, Heideggers These vom «Überspringen der Welt» intraditionellen Wahrheitstheorien und in die Fortführung der Wahrheitsfrage nach «Sein und Zeit» , «Heidegger Studies», (5), 1989, p. 59.13  SZ, p. 273 [319]. Secondo C. F. Gethmann, Verstehen und Auslegung. Das Methodenproblem in der Philosophie Martin Heideggers, Bouvier,Bonn 1974, p. 249 nei confronti di tale soggetto Heidegger esercita la propria peculiare epoche, che riposa sulla presupposizione della strutturadellì ’essere nel mondo, in quanto essere aperto del “soggetto” per il senso dell’essere.14  SZ, p. 274 [319] .15  «Welt als das Worin des In-Seins und “Welt” als innerweltliches Seiendes, das Wobei des besorgenden Aufgehens, sind zusammengeworfen, bzw.

 gar nicht ers t unterschieden» (SZ, p. 269 [314] ).16  «[...] das All des Seienden, das innerhalb der Welt vorhanden sein kann». (SZ , p. 87 [136]).17  SZ , p. 87 [136].18  «[...] eine vorontologisch existenzielle Bedeutung » (SZ , p. 87 [136]). Sulla valenza esistentiva del concetto di mondo, e sulla sua dimensioneantropologica, cfr. E. Fink, Welt und Endlichkeit, hrsg. von F.A. Schwarz, Königshausen und Neumann, Würzburg 1990,  p.151. Sull’ascendenzahusserliana come radice di tale approccio soggettivista, dove il concetto di mondo indica, in quanto Universalhorizont , la struttura intenzionale

atematica dell’esperienza, cfr. ibidem , pp. 148-149; sulla contiguità, a questo proposito, fra Husserl e Heidegger, M. Ruggenini, Verità e soggettività. L’idealismo fenomenologico di Edmund Husserl , Fiorini, Verona 1974, pp. 303 sgg.19  SZ , p. 17 [66]. Sulla distinzione fra existenzial  ed existenziell  (dove la prima dimensione rappresenterebbe la condizione a priori della seconda) e sulruolo decisivo che essa ricopre all’interno della prospettiva di Sein und Zeit , si veda L. Pareyson, Studi sull’esistenzialismo, Sansoni, Firenze 1950,

 pp. 219 sgg., 227-229.20  SZ , p. 87 [136]. L 'uso delle virgolette per il termine «vivere» (si veda, anche, SZ, pp. 90-91) segnala la valutazione negativa, espressa nello

 Hauptbuch, nei confronti delle «filosofie della vita» (cfr. anche SZ, p. 62 [112]). Ciò comporta una presa di distanza rispetto alla valutazione positivaespressa, nei confronti della medesima nei corsi di lezione friburghesi della prima metà degli anni Venti, come quello del semestre invernale del1921-22: M. Heidegger, Phänomenologische Interpretationen zu Aristoteles. Einführung in die phänomenologische Forschung , inGesamtausgabe,Bd. 61, hrsg. von W. Bröcker und K. Bröcker-Oltmanns; Klostermann, Frankfurt a. M. 1985, p. 80 [trad. it. di M. De Carolis, a cura di E. Mazzarella,

 Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Introduzione alla ricerca fenomenologica, Guida, Napoli 1990, p. 114]. Qui il concetto di Lebenvieneassociato, fino all'interscambiabilità, con quello di mondo (GA LXI, pp. 86, 88 [118-119, 120]), e il concetto di «vita fattiva», che si articola nei mondifondamentali (GA LXI, p. 94 [126]), esprime, come si afferma nel corso di lezione del semestre estivo del 1923, la dimensione d'essere dell'esistente:M. Heidegger, Ontologie ( Hermeneutik der Faktizität ), in Gesamtausgabe, Bd. 63, Klostermann, Frankfurt a. M. 1988, p. 7 [trad. it. di G. Auletta,Ontologia. Ermeneutica dell’effettività , Guida, Napoli 1992, p. 17] (Seguendo F. Volpi, Glossario , in M. Heidegger, Segnavia , trad it. a cura e conglossario di F. Volpi, Adelphi, Milano 1986, p. 496, traduciamo il termine « Faktiz ität » con quello «fatticità»; si veda, anche M. De Carolis, Nota del

traduttore, in M. Heidegger, Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Introduzione alla ricerca fenomenologica, cit., pp. 231-232. Preferiamo,invece, rendere l’aggettivo « faktisch» con «fattivo», in quanto i termini «effettivo» ed «effettuale» appaiono legati, nella tradizione filosofica italiana,al termine tedesco «wirklich», e quello «fattivo» è associato, nella nostra lingua, all’idea di un intervento, attivo e cosciente, dell’uomo). In Sein und

 Zeit  il concetto di vita si separa, invece, da quello di mondo: H. Maldiney, Penser l’homme et la folie. A la lumière de l’analyse existentielle et del’analyse du destin , Millon, Grenoble 1991, pp. 192-194. La critica dell’istanza ontologica della vita si accentua nel periodo successivo alla

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Heidegger individua, infine, una quarta accezione del termine Welt , riferentesi al concetto ontologico-esistenziale dellamondità (Weltlichkeit ).21  La mondità è modificabile dalle singole totalità strutturali dei «mondi», sostiene Heidegger,ma decide in sé l'a priori a partire dalla mondità «in generale» (überhaupt ). Con la nozione di Weltlichkeit , Heideggerdesigna, dunque, la struttura ontologica corrispondente alla terza delle accezioni individuate per il termine mondo;nondimeno, la mondità viene presentata come la condizione ontica, e non ontologica, della possibilità di accesso all'enteintramondano.22 

Sorge, qui, un duplice problema. Perché, anzitutto, Heidegger assume, quale filo conduttore della propria analisi, lavalenza preontologico-esistentiva del concetto di mondo? Perché, in secondo luogo, egli attribuisce alla determinazioneontologica della mondità il ruolo di condizione ontica di accesso all'ente intramondano? Attraverso l'analisi dell'«esserenel mondo», Heidegger intende risolvere il problema (frutto, a suo parere, di un misconoscimento del fenomeno delmondo, e della struttura esistenziale dell'«essere nel mondo») del rapporto fra l'esistente e l'ente difforme da esso;Heidegger intende cioè chiarire la relazione che la prospettiva gnoseologica interpreta come intercorrente fra «soggetto»e «oggetto», dando soluzione al problema, che sorge in questa prospettiva, della realtà del cosiddetto «mondo esterno».

 Nella figura dell'«essere nel mondo» non si danno né un mondo in quanto «esterno», né un «oggetto» in quanto riferitoa un «soggetto», presupposto come «senza mondo». Nel fenomeno originario dell'«essere nel mondo» l'àmbito delledeterminazioni categoriali, riferibili all'essere dell'ente difforme dall'esistente, va ricondotto a quello delle

determinazioni esistenziali. La riferibilità del concetto di mondo alla struttura ontologica dell’esistente intende dunquerisolvere il problema - evitando di suscitarlo - di come quest’ultimo possa incontrare, «nel» mondo, altri enti. D’altrocanto, Heidegger intende definire tale rapporto senza riproporre quella forma di idealismo (che egli ritiene«inaccettabile») consistente nel ridurre gli enti a manifestazioni prodotte da quella «non cosa», ontologicamenteindeterminata, che è il cosiddetto «soggetto»;23  egli intende, cioè, evitare di concepire la realtà ontologica degli entiintramondani come una mera parvenza prodotta dall’esistente. L'elemento che Heidegger è disposto ad ascrivere amerito di ciò che egli definisce come «idealismo» è, in Sein und Zeit , il riconoscimento del fatto che il fondamentoontologico degli enti, l'essere, non è spiegabile attraverso l'ente medesimo, e che soltanto l'esistente può accedere aesso;24 ciò che nell'«idealismo» è tuttavia inaccettabile, è la pretesa che questo fondamento coincida con la realtà onticadell'esistente, che diventerebbe, in questo modo, l'istanza ontologicamente ultima della fondazione degli enti. «Dietro»alla realtà ontologica dell'esserci, invece, l'analitica esistenziale rinvia all’«essere in generale», la cui ulteriorità rispettoall'esserci permette di sfuggire a ciò che nell'«idealismo» è, per Heidegger, «inaccettabile»: il carattere ultimativo, dal

 punto di vista ontologico, della realtà dell'esserci. É questo il senso dell'annotazione dello  Hüttenexemplar   tesa a

chiarire che la comprensione dell'essere degli enti pertiene alla costituzione d'essere dell'esserci soltanto in quantoquest'ultimo appartiene all'essenza dell'essere in quanto tale.25 Proprio perché l'istanza dell'«essere in generale» è postacome ulteriore rispetto a quella dell'essere dell'esserci, l'analitica esistenziale, che verte su quest'ultimo, è «radicataonticamente»;26 l'«idealismo» dimentica, secondo Heidegger, che l'istanza che avvia l'indagine intorno al proprio essere

 pubblicazione di Sein und Zeit ; ne è prova, oltre alle annotazioni 62a e 62b dello  Hüttenexemplar, il testo del corso di lezione del 1929-30, dove ilconcetto di Leben  viene associato alle determinazioni che indicano l’«ambiente», concepito come la struttura ontologica propria dell'animale (istanzaespressa dai termini «Umgebung » e «Umring » in M. Heidegger,  Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt – Endlichkeit - Einsamkeit, inGesamtausgabe, Bd. 29-30, hrsg. v. F.-W. von Herrmann, Klostermann, Frankfurt a. M. 1983, pp. 348, 374 [trad. it. di P. Coriando, a cura di C.Angelino, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo - finitezza - solitudine, Il Melangolo, Genova 1992, pp. 306, 329]), in quanto distinta dal«mondo» (Welt ) dell'uomo. Si veda, al proposito, F.-W. von Herrmann, Wege ins Ereignis. Zu Heideggers «Beiträgen zur Philosophie», Klostermann,Frankfurt a. M. 1994, pp. 341-343. Nel suo Nachwort  al testo del corso di lezione heideggeriano del 1929-30, von Herrmann sottolinea il legame tra ilconseguimento, qui perseguito, del concetto di mondo, e il progetto, formulato in Sein und Zeit , relativo alla determinazione della «Seinsverfassungvon “Leben”»: GA XXIX-XXX , p. 541 [478]. A. Beelmann,  Heideggers hermeneutischer Lebensbegriff. Eine Analyse seiner Vorlesung «Die

Grundbegriffe der Metaphysik. Welt - Endlichkeit - Einsamkeit» , Königshausen & Neumann, Würzburg 1994, pp. 47-48 sottolinea che l’affermazionedello Hauptbuch  relativa alla non esaustività dell’analitica esistenziale nei confronti del fenomeno della vita apre la strada, nei Grundbegriffe,all’interpretazione di quest’ultimo come legato alla dimensione - che resta, tuttavia, puramente residuale - dell’animale.21  SZ , p. 96 [145]. Cfr. O. Pöggeler,  Der Denkweg Martin Heideggers, Dritte Auflage, Neske, Pfullingen 1990; trad. it. di G. Varnier, Il cammino di

 pensiero di Martin Heidegger , Guida, Napoli 1991, p. 61. Non condividiamo la tesi di K. Held,  Die Endlichkeit der Welt. Phänomenologie imÜbergang von Husserl zu Heidegger , in Philosophie der Endlichkeit. Festschrift für Erich Christian Schröder zum 65. Geburstag , hrsg. von B.

 Niemeyer und D. Schütze, Königshausen & Neumann, Würzburg 1992, pp. 132-133, il quale, sovrapponendo la nozione di Weltlichkeita quella diWelt  (nonché, ulteriormente, a quella di  In-der-Welt-sein), identifica la prima con il «come» della manifestazione degli enti. Occorre, infatti, osservareche tale «come» si riferisce, nello Hauptbuch , alla nozione di Welt , laddove quella di Weltlichkeit  riguarda, invece, la condizione trascendentale di

 possibilità della prima. Nella misura in cui la Weltlichkeit  costituisce, in Sein und Zeit , il tema effettivo dell’indagine heideggeriana, quest’ultima sicaratterizza attraverso un’impostazione trascendentale.22  SZ, p. 118 [166] .23  SZ , pp. 275-276 [320-321]. Sul ruolo pervasivo giocato, nell’ontologia fondamentale, dalla questione relativa all’esistenza del mondo esterno, inquanto essa trascende la valenza meramente gnoseologica del problema, si veda A. Ignatow,  Heidegger und die philosophische Anthropologie, cit.,

 pp. 153- 154. Secondo l’interprete, ciò deriverebbe dalla presenza di elementi antropologici all’interno della prospettiva dell’ontologia fondamentale.24  Questo è, come spiega l'annotazione 275c dello Hüttenexemplar , il contenuto della tesi relativa alla «differenza ontologica».25

 SZ , Anm. 275b.26  SZ , p.18 [68]. L'oggetto dell'indagine è un esistente, cioè un ente che, in quanto faktisch , è «destinalmente legato», nel proprio essere, all'esseredell'ente sussistente; per questo il Leitfaden dell'indagine non può che essere costituito, come recita la terza accezione del termine Welt , da «ciò in cuil'esserci vive». Il radicamento ontico dell'analitica esistenziale dà luogo a una configurazione circolare: ai fini di un'adeguata comprensioneontologico-esistenziale della struttura dell'esserci (cioè dell'essere nel mondo), che ne chiarisca la specificitàontica, è necessaria una precomprensione

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è pur sempre un ente, non una realtà ontologicamente trasparente a sé medesima, ovvero ontologicamente produttiva nei propri confronti e nei confronti dell'ente difforme da essa.

La collocazione dell'istanza dell'essere in generale in posizione ulteriore rispetto all'essere dell'esistente èdunque motivata dall'intento, da parte di Heidegger, di evitare ciò che egli riprova nell'«idealismo»; la tesi delradicamento ontico dell'analitica esistenziale deriva da questa collocazione, e l'assunzione del concetto di mondo nellasua valenza preontologico-esistentiva (dietro alla quale si staglia, quale sua condizione di possibilità, la determinazione

della Weltlichkeit , qualificata come la condizione ontica di accessibilità all'ente intramondano) costituisce un corollariodi questa tesi. In altri termini: l'assunzione in Sein und Zeit , quale filo conduttore dell’indagine, del terzo significato delconcetto di Welt  (nonché la caratterizzazione della determinazione ontologica della mondità quale condizione onticadell'accessibilità all'ente intramondano) è motivata dall'intento di Heidegger di sfuggire a ciò che egli definisce come«idealismo». Ciò avviene attraverso una presupposizione realistica secondo la quale, perché si dia la questionedell’essere, cioè l’essere, deve essere dato l’ente; tale presupposizione si concreta con l’introduzione dell’istanzadell’«essere in generale», che segnala il carattere ontologicamente non ultimativo della struttura ontologicadell’esserci e, nel suo darsi come sempre riferita a un ente, designa il fondamento che dà conto del rapporto fra l’enteesistente e quello difforme da esso.  Infatti: «l’essere è, di volta in volta, l’essere di un ente».27 In altri termini: l’essercisi dà sul fondamento dell’«essere in generale», ma si dà l’essere solo in quanto “precedentemente” (in senso,ovviamente, non cronologico) si è dato l’ente, esistente o intramondano che esso sia. Tale tesi comporta tuttavia, qualesuo corollario, la tesi secondo la quale la questione dell’essere non può essere impostata che attraverso quella della sua

 posizione da parte dell’ente che all’essere si apre. Il corollario della tesi secondo la quale «l’essere è, di volta in volta,l’essere di un ente» è, cioè, la tesi secondo la quale «l'essere è ciò di cui ne va sempre per questo ente [l'esserci]».28 

1.2. La riduzione della questione dell’essere a quella della sua comprensione e l’assunzione della valenza realisticadell’ente come presupposti della tesi del radicamento ontico dell’«analitica esistenziale», la nozione di «essere ingenerale» come sua conseguenza.

A che cosa rinvia, dunque, la tesi del radicamento ontico dell’analitica esistenziale, che deve fungere, negli intenti diSein und Zeit , da elemento discriminante nei confronti della versione «inaccettabile» dell’idealismo?

La tesi heideggeriana secondo la quale l’indagine ontologica va intesa come «una possibilità della costituzioneontologica dell’ente di volta in volta esistente» (als Seinsmöglichkeit des je existierenden Daseins) è il risultato di dueassunzioni preliminari, che concorrono a fondarla, attraverso l’introduzione della nozione di «essere in generale»: la

questione dell'essere viene interpretata come questione della sua comprensione da parte dell’esistente,29  e ladimensione ontica (sia per ciò che concerne l’ente esistente, sia per ciò che riguarda quello sussistente-utilizzabile)viene assunta nella sua valenza realistica. Da un lato, dunque, l’essere è ciò che viene compreso dall’ente (esistente) e,

ontico-esistentiva di questa stessa struttura da parte dell'esserci medesimo. Ciò esclude che si possa parlare (come fa W. J. Richardson,  Through Phenomenology to Thought , pref. by M. Heidegger, Nijhoff, The Hague 1963, p. 58), per la nozione di Welt  in gioco nello In der Welt sein, come delterminus ad quem  del trascendere del Dasein , laddove la dimensione ontica di quest'ultimo rappresenterebbe il terminus a quo di questo stessotrascendere, concepito come un percorso lineare. Il carattere circolare del rapporto fra ontico e ontologico esclude anche il fatto che esso possa venir

 pensato (come sost iene R. Powell, The late Heidegger's Omission of the Ontic-Ontological Structure of Dasein , in Heidegger and the path ofthinking , ed. by J. Sallis, Duquesne University Press-Nauwelaerts, Pittsburg-Louvain 1970,   pp. 117-118) nei termini della relazione aristotelica fra

 potenza e atto.27«Sein ist jeweils das Sein eines Seienden» (SZ , p. 12 [62]). In questo modo, l’ente «è già», come presupposto, e sullo sfondo di tale «essere già»l’esserci interviene a pensarne l’essere; proprio per ciò il primato ontologico della Seinsfrage, affermato sostenendo che «l’essere è, di volta in volta,l’essere di un ente», conduce a sostenere il primato dell’ente esistente, in qunto esso pone la domanda sull’essere: M. Ruggenini, Il soggetto e la

tecnica. Heidegger interprete inattuale dell'epoca presente, Bulzoni, Roma 1977, pp. 25, 46. E. Fräntzki, Daseinsontologie. Erste Hauptstück , J. H.Röll, Dettelbach 1996, p. 131 sottolinea come la presupposizione realistica relativa all’ente intramondano si espliciti in quella relativa all’ente inquanto tale. Secondo W. Marx,  Die ontologische Differenz in der Perspektive der regionalen Ontologie des Daseins. Ein Beitrag zur“Unüberwindbarkeit” der Metaphysik , in Nachdenken über Heidegger . Eine Bestandsaufnahme, hrsg. v. U. Guzzoni, Gerstenberg, Hildesheim 1980,

 pp. 188-189 l’accento posto sul fatto che l’essere è sempre l’essere di un ente è necessario, a Heidegger, per evitare che, potendo l’«essere ingenerale» essere differenziato da quello dell’esserci, la ricerca relativa alla costituzione ontologica di quest’ultimo, cioè l’ontologia fondamentale,debba essere considerata (cfr. supra , nota 4) come l’ontologia di una regione particolare dell’ente, l’esistente.28   « Das Sein ist es, darum es diesem Seienden je selbst geht » (S Z, p. 56 [106]). Per una difesa, a questo proposito, della tesi del primato dellaquestione dell’esserci, cioè del radicamento ontico dell’analitica esistenziale, contro le critiche che vi rintracciano, come residuo metafisico, la tesi diun primato dell’antropologico sull’ontologico, si veda E. Fräntzki, Daseinsontologie, cit., pp. 93-94.29  «Gesucht wird die Antwort auf die Frage nach dem Sinn von Sein überhaupt [...] Die Freilegung des Horizontes aber, in dem so etwas wie Seinüberhaupt zunächst verständlich wird, kommt gleich der Aufklärung der Möglichkeit des Seinsverständnisses überhaupt, das selbst zur Verfassungdes Seienden gehört, das wir Dasein nennen» (SZ , pp. 307-308 [351-352]). Per questo è legittimo sostenere che lo  Hauptbuch  del 1927 noncostituisca (così F.-W. von Herrmann, Wege ins Ereignis, cit ., p. 19) se non la trascrizione, in termini ontologico-esistenziali (cioè nei termini delconfigurarsi della ricerca come relativa all’essere delll’esserci), delle domande fondamentali della tradizione filosofica intorno a mondo, spazio,linguaggio e verità. U. Regina, Servire l’essere con Heidegger , Morcelliana, Brescia 1995, cap. 2 (in particolare, pp. 143-144, 174, 183) individua

nella tensione fra la tendenza alla semantizzazione dell’essere (rivolta a indagarne il «senso») da un lato, e quella (che prevale nello  Hauptbuch) chemette a fuoco il problema della sua comprensione dall’altro il filo conduttore dell’evolversi della riflessione heideggeriana, dalle prime lezionifriburghesi fino ai suoi esiti ultimi. A questo proposito, C. Esposito, Heidegger. Storia e fenomenologia del possibile, Levante, Bari 1992, p. 64 parladi un duplice livello in cui si articolerebbe, in Sein und Zeit , la questione della possibilità dell’ontologia: come questione della comprensibilità del

 problema dell’essere, e come questione della possibilità dell’“oggetto” di tale problema, cioè dell’essere medesimo.

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 proprio per questo, «l’essere è, di volta in volta, l’essere di un ente», e l’ente (sia quello esistente, sia quellointramondano) sussiste indipendentemente dalla sua comprensione da parte dell’esistente. D’altro lato, la questionedell’essere si risolve nella questione relativa all’ente (l’esserci) che ha, come suo tratto definitorio, la caratteristica di

 porre la domanda sull’essere: elaborare la questione dell’essere significa chiarire la struttura ontologica dell’ente(l’esserci) che lo indaga,30  e per questo, in Sein und Zeit , si prefigura un percorso che perviene all'essere (a quellodell'ente, e a quello «in generale») a partire dalla modalità attraverso la quale l'esserci accede a esso, piuttosto che

viceversa.Quali conseguenze derivano da questa riduzione della questione dell’essere a quella della sua comprensione, e

dal presupposto realistico correlato a tale riduzione? Sorge, anzitutto, il problema relativo alla distinzione, e alla poss ibilità di rapporto, fra l’essere dell’esistente, e quello dell’ente difforme da esso: occorre elaborare un concetto diessere, che dia conto dell’uno e dell’altro. Affermare, infatti, la distinzione ontologica fra esistente e sussistente, e porreal contempo (per scansare la ricaduta nella versione dell’«idealismo» che Heidegger giudica come «inaccettabile») il

 primo (ovvero la Weltlichkeit , cioè la sua struttura ontologica) come condizione soltanto ontica (non ultimativa, dunque,nei confronti dello stesso «esssere ente» dell’esistente) del secondo, lasciando sussistere quest'ultimo in uno stato diautonomia ontologica, fa sorgere una questione relativa al rapporto fra àmbito esistenziale e àmbito categoriale, comeHeidegger medesimo, immediatamente dopo la pubblicazione di Sein und Zeit , ammette esplicitamente: occorre trovareun «concetto unitario di essere, che autorizzi a indicare questi diversi modi di essere come modi dell' essere».31 Ladeterminazione dell'«essere in generale», la cui concettualizzazione costituisce, secondo Heidegger, il «problema

cardine» dell'ontologia, rappresenta perciò il fondamento della riconducibilità, nella struttura dell'«essere nel mondo»,dell'ente intramondano all'esistente; il fondamento, cioè, della possibilità che la dis tinzione fra essi non dia luogo a una prospettiva dualistica. Al di là della riconduzione della Seinsfrage al Seinsverständnis,   si impone dunque, ancora, il problema dell’elaborazione del senso dell’essere.

L'«ontologia fondamentale», in quanto relativa all'essere dell'ente - l'esserci - che costituisce la via d 'accesso privilegiata alla questione ontologica, rappresenta un necessario passo preliminare; essa porta, tuttavia, soltanto«davanti» al «problema cardine» dell'ontologia.32 Perché la ricerca ontologica possa, dichiara Heidegger, identificare il

30  SZ , p. 10 [60]. In questo senso, V. Vitiello,  Heidegger: il nulla e la fondazione della storicità. Dalla Überwindung der Metaphysik allaDaseinsanalyse, Argalia, Urbino 1976, pp. 285 sgg. ritiene che la Daseinsanalyse di Sein und Zeit  rappresenti non soltanto il percorso preliminare, maanche la risposta alla Seinsfrage, in quanto suo presupposto. A nostro parere, ciò vale limitatamente allla Seinsfrage per come essa appare nell’operadel 1927; lo sviluppo successivo della riflessione heideggeriana intende, infatti, riformulare l’accesso alla questione dell’essere in quanto aperto a

 partire dalla sua comprensione da parte dell ’esistente (cfr. infra, cap. 5.2.1), laddove l’autore ritiene, invece, che l’analitica esistenziale sia l’ultima

risposta di Heidegger, ben oltre l’impostazione trascendentale, alla questione dell’essere (ibidem , p. 328). Secondo E. Mazzarella, Tecnica emetafisica. Saggio su Heidegger , Guida, Napoli 1981, parte I, cap. III, § 1, il motivo dello impossibilità, all’epoca di Sein und Zeit , di elaborare laquestione relativa all’«essere in generale» risiederebbe nella riduzione della dimensione spaziale a quella temporale nell’interpretazione dell’esseredell’esserci. La differenza che intercorrerebbe con la successiva riproposizione, da parte di Heidegger, della Seinsfrage risiederebbe nel recupero,appunto, della dimensione spaziale. 31  «[...] ein einheitlicher Begriff von Sein zu finden, der berechtigt, diese verschiedenen Seinsweisen als Seinsweisen  zu bezeichnen» (GA XXIV , p. 250[168]). Sul ruolo, in Sein und Zeit , della distinzione fra l’essere dell’esserci e quello dell’ente intramondano , e sul suo carattere non fenomenologico,si veda C. Sini, Gli abiti, le pratiche, i saperi, Jaca Book, Milano 1996, pp. 29-30. Proprio perché, in seguito a tale distinzione, Heidegger medesimoavverte il carattere ulteriore dell’acquisizione del suo fondamento, cioè dell’«essere in generale», non è condivisibile la tesi di F. Couturier, Monde etêtre chez Heidegger , préf. de B. Welte, Les Presses de l’Université de Montreal, Montreal 1971, p. 179, secondo la quale l’acquisizione dell’«esserein generale» da parte della comprensione non costituirebbe problema. Essa sarebbe infatti, secondo l’interprete, già implicita nella comprensionemedesima, in quanto rivolta, al contempo, all’essere dell’esserci e a quello dell’ente intramondano. Per la medesima ragione, per ciò che riguarda lo

 Hauptbuch , non concordiamo con C. Esposito,  Heidegger. Storia e fenomenologia del possibile, cit., pp. 38-39, 50 sgg. che legge, giànell’opera del1927, la differenza fra esistente ed ente intramondano alla luce di quella fra essere ed ente, dove l’uomo giocherebbe il ruolo di «creazione» delladifferenza ontologica (nello stesso senso, cioè leggendo il problema della costituzione d’essere dell’ente come una delle possibili modificazionidell’essere, si veda C. Esposito, Il fenomeno dell’essere. Fenomenologia e ontologia in Heidegger, Dedalo, Bari 1984, pp. 190 sgg.): questa è,

semmai, la posizione alla quale Heidegger perviene nelle lezioni del 1929-30 (cfr. infra, cap. 5.2.1). Va per contro osservato che, ancora nelle lezionidel semestre estivo del 1927, la differenza fra essere ed ente risulta fondata in quella fra esistente ed ente difforme da esso (qui, l’animale), anzichéviceversa: GA XXIV , p.454 [306]. Ci sembra decisivo ciò che, a questo proposito, mette in rilievo F. Volpi, Heidegger e la storia del pensiero greco:

 figure e problemi del corso del semestre estivo del 1926 sui «Concetti fondamentali della filosofia antica», «Itinerari», XXV, (1-2), 1986, p. 229: la«differenza ontologica» in senso trascendente, cioè come intercorrente fra essere ed ente, sia dal punto di vista storico, sia da quello teorico, nasce -non viceversa - come differenza «modale-trascendentale», cioè come differenza fra gli enti e il loro modo di essere. In effetti, il problema (che non si

 presenta ancora , nello Hauptbuch , come quello di una «differenza ontologica» fra l’ente e l’essere) di una determinazione che dia conto della dualitàfra l’essere dell’esserci e quello dell’ente intramondano, problema che pure emerge dal progetto di Sein und Zeit  e dall’opera effettivamente

 pubblicata con tale titolo, anima  Die Grundprobleme der Phänomenologie . La questione, afferma qui Heidegger, consiste nel determinare l'esseredell'ente che noi stessi, in quanto esistenze, siamo, e, soprattutto, la sua differenza rispetto a quello difforme da noi; a questo scopo occorre, aggiungeHeidegger, cercare di comprendere l'una e l'altra istanza ontologica «a partire dall'unità di un concetto originario di essere [ aus der Einheit einesursprünglichen Seinsbegriffes]» (GA XXIV , p. 219 [147]). Soltanto in queste lezioni, come passo ulteriore rispetto alla distinzione fra esistente ed enteintramondano, e motivata da essa , si definisce l’istanza della «differenza ontologica», la quale soltanto ora, crediamo non casualmente, apparedesignata come tale.32  SZ , p. 50 [98]. Il rapporto fra l'ontologia fondamentale e la questione dell'«essere in generale» non va concepito come il cammino da un terminus aquo a un terminus ad quem : proprio perché l'esserci non è l'ente «esemplare», l'analitica che lo riguarda va concepita come il «suolo» sul quale sorge

la questione dell'essere, non come un punto di partenza (J.-F. Courtine, Heidegger et la phénoménologie, Vrin, Paris 1990, pp. 76-77). Proprio perquesto, la riformulazione della questione dell'«essere in generale», successivamente al 1927, comporta la messa in discussione del punto d'attaccodell'analitica esistenziale. Nonostante il carattere di circolarità del percorso dall’essere dell’esserci a quello «in generale» (cioè del carattere di

 presupposto di quest’ultimo) in Sein und Zeit  esso rimane inattuato, e in ciò consiste lo scacco del progetto teorico dell’opera: O. Pöggeler,  Ilcammino di pensiero di Martin Heidegger , cit., pp. 75-77. Secondo E. Fräntzki, Die Kehre. Heideggers Schrift “Vom Wesen der Wahrheit”,

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 proprio spazio di indagine con quello della filosofia in quanto tale, occorre che essa, mediante la sovrapposizioneconcettuale con la fenomenologia, dia luogo a un’«ontologia fenomenologica universale»; quest'ultima muovedall'analitica dell'esserci e la tiene come filo conduttore, ma non si esaurisce in essa, e punta, invece, alladeterminazione dell'«essere in generale».33 Questo è il progetto di Sein und Zeit , esposto nella  Einleitung  dell'opera

 pubblicata, la quale, come è noto,  si arresta proprio alle soglie della terza sezione della prima parte: quella intitolata«Tempo ed essere», nella quale avrebbe dovuto trovare collocazione l'analisi relativa al senso dell'essere «überhaupt ».

Che cosa è accaduto? Si verifica, forse, una difficoltà teoretica che impedisce la prosecuzione dell'indagine in questadirezione? Lasciando per ora in sospeso la risposta, occorre limitarsi a una constatazione: si è aperto uno iato fral'indagine relativa all'essere dell'ente «del quale, nel suo essere, ne va dell'essere stesso»,34 e il senso dell'essere «ingenerale». É sorta, cioè, una difficoltà nel momento in cui l'interrogazione filosofica, che ha preso le mossedall'analitica dell'esserci, dovrebbe interrogarsi sul «problema cardine» della propria ricerca.

1.2.1. Excursus. Essere dell'esserci ed essere «in generale»: la revisione del carattere di «generalità» dell’essere  dopoSein und Zeit  come messa in discussione, dopo il 1927, dell’impostazione trascendentale dell'«ontologia fondamentale».

Che cosa significa «essere in generale»? Secondo Heidegger, il «tutto dell'ente» (das All des Seienden) è suddivisibilein àmbiti particolari (la storia, lo spazio, la natura, la vita, il linguaggio), che diventano oggetto delle ricerche dellediverse discipline scientifiche. Ciascuna di esse sviluppa la propria indagine a partire da «concetti fondamentali», chedefiniscono l'àmbito di ricerca di ciascuna disciplina. Tali concetti, in altri termini, forniscono le assunzioni ontologicheatte a circoscrivere l'àmbito dell'ente indagato, designando il rapporto con il suo essere, e meritano un'analisi - che è,dunque, ontologica - che precede la scienza positiva corrispondente. Per esempio, sostiene Heidegger, la Critica dellaragion pura  rappresenta un'indagine di questo tipo relativa alla nozione di natura in generale. Questo è un primo livellosul quale si esplica il carattere fondativo dell'istanza ontologica nei confronti dell'indagine ontica. Ciascuno di questiàmbiti «regionali» dell'indagine ontologica necessita inoltre, prosegue Heidegger, di un filo conduttore, costituitodall'analisi relativa al Sinn von Sein überhaupt .35 Ecco, dunque, il secondo livello sul quale la differenza fra essere edente dà luogo a un rapporto di fondazione: non coincidendo con l'essere dell'ente, l'essere «in generale» lo fonda. Del

Centaurus, Pfeffenweiler 1987, pp. 32-33 proprio quella circolarità produrrebbe questo scacco, che dimostrerebbe l’impossibilità intrinseca di unafondazione trascendentale della questione ontologica.33  SZ , p. 51 [99]. La necessità del passaggio dall'analitica dell'esserci a quella dell'essere «in generale» deriva, secondo gli intenti di Heidegger, dallanozione medesima di Dasein, nella quale è posta come essenziale la connessione fra la struttura ontologica dell'uomo e l'essere in quanto tale: F. W.von Herrmann, Subjekt und Dasein , cit., pp. 21-22. Il carattere definitorio del concetto di  Dasein  è, in fatti, proprio il coincidere di autorelazione erelazione all’essere: L. Pareyson, Studi sull’esistenzialismo, cit., pp. 217-218. Analogamente, F. Dastur, Heidegger et la question du temps, PUF,Paris 1990, p. 98 ribadisce il carattere unitario della temporalità dell’esserci ( Zeitlichkeit ) e di quella dell’essere (Temporalität ), cioè del lorofondamento ontologico, sulla base dell’identità del fenomeno che riguarda entrambe. Tuttavia, secondo D. Thomä, Die Zeit des Selbst und die Zeitdanach. Zur Kritik der Textsgeschichte Martin Heideggers, 1910-1976, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1990, pp. 253-255, la sovrapposizione dellaquestione relativa al senso dell'essere «in generale» a quella relativa alla struttura fondamentale dell'esserci priva di fondamento la differenziazionefra l'essere dell'esserci e quello dell'ente difforme da esso, nonché la tesi relativa al primato del primo. L'obiezione dell'interprete non rende giustiziaal tentativo heideggeriano di pensare, attraverso la determinazione della differenza fra l'essere e l'ente, la differenza fra l'ente che ha accesso all'esseree quello che non lo ha. L'obiezione di Thomä si fonda, in generale, sull'accusa (che riteniamo, peraltro, fondata: a nostro parere, il trascendentalismodi Sein und Zeit , e la sua contiguità con ciò che esso definisce come «idealismo», si manifestano nella duplicazione della struttura della  Welt  in quella

della Weltlichkeit : cfr. infra, cap. 1.3) di trascendentalismo: il Sein  di Sein und Zeit  sarebbe una determinazione adattabile tanto all'ambito esistenzialequanto a quello categoriale soltanto in forza della sua generalità e indeterminatezza. Thomä sottace, tuttavia, il fatto che la condizione di possibilitàdell'incontro dell'ente per l'esserci non è, nell'opera del 1927, il Sein überhaupt , bensì il fenomeno della Welt , per come esso si dà nella strutturaesistenziale dello In der Welt sein , e che è l'esistenziale del Verstehen a mantenere aperta la possibilità di questo rapporto (SZ , p. 116 [164-165]). Perquesto, in Sein und Zeit, la fondazione ontologica si apre, nonostante l’impostazione trascendentale, alla via cosmologico-ermeneutica: M. Ruggenini,

 I fenomeni e le parole. La verità finita dell’ermeneut ica, Marietti, Genova 1991, pp. 98-99, 177-178.34   «es diesem Seienden in seinem Sein  um dieses Sein selbst geht » (SZ , p. 16 [65]). Secondo W. Franzen, Von der Existenzialontologie zurSeinsgeschichte, cit., pp. 53-55 la terza sezione della prima parte del progetto di Sein und Zeit , che (riguardando il rapporto fra «tempo ed essere»)avrebbe dovuto focalizzare la questione dell’«essere in generale», non vide la luce poiché (dal momento che le condizioni di possibilità dell’«essere ingenerale» coincidono con quelle della sua comprensione da parte dell’esserci) essa non avrebbe potuto che ripetere, magari in forma più esplicita, ilcontenuto delle prime due. La terza parte fu progettata, secondo l’interprete, perché lo scopo originario delle indagini heideggeriane consisteva, nel

 proget to di Sein und Zeit , nell’elaborare una determinazione di soggettività che si opponesse a quella propria della società di massa; fra questo intento,e la via perseguita per raggiungerlo (l’analitica esistenziale, e la figura di soggettività alla quale essa pone capo) si aprì , tuttavia, uno iato incolmabile,che determinò il passaggio alla prospettiva della Seinsgeschichte. Il rilievo secondo il quale Heidegger avrebbe effettivamente scritto (senza

 pubblicarla) la terza sezione della prima parte del progetto originario di Sein und Zeit , cioè il testo delle lezioni del semestre estivo del 1927, noninficia, a parer nostro, la validità delle osservazioni del’interprete. Si veda D. Thomä, Die Zeit des Selbst und die Zeit danach,cit., pp. 459 sgg.

sull’ipotesi (respinta dall’interprete) dell’esistenza, dopo la pubblicazione di Sein und Zeit , di una duplice “svolta”, l’una (rintracciabile nelle lezionidel semestre estivo del 1927) che compirebbe il progetto teorico dello Hauptbuch , l’altra (successiva) che ne esulerebbe.35  SZ , p. 15 [64]. Sull'ascendenza kantiana del duplice rapporto di fondazione (della Seinsfrage nei confronti delle ontologie regionali, e delleontologie regionali nei confronti delle scienze positive) qui presentato: F.-W. von Herrmann, Hermeneutische Phänomenologie des Daseins,cit., pp.97-98.

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resto, questo «secondo livello» di fondazione non va interpretato come un passo ulteriore e accessorio rispetto al primo:come si è detto, «l'essere è, di volta in volta, essere di un ente», sostiene Heidegger nel 1927.36 

Oltre alla già rilevata presupposizione realista concernente la datità dell’ente, concepita come preliminare neiconfronti della questione dell’essere, ciò significa che la differenza dall'ente dell'essere «in generale» non comporta unasua ulteriorità, nel senso di un'ipostatizzazione che ponga l'essere come una sostanza ontologicamente autonomadall'ente: la differenza («ontologica») risiede, nel testo dello  Hauptbuch  pubblicato nel 1927, nel fatto che per

Heidegger l'essere risulta (a differenza dell'ente) connotato attraverso il carattere di «generalità» ( Allgemeinheit ).Quest’ultimo non va tuttavia inteso nel senso del «genere» (Gattung ) delle categorie logiche e, soprattutto, esso nongiustifica il «pregiudizio» addotto per giustificare una pretesa inutilità o impossibilità della ricerca ontologica.37 Lanozione di  Allgemeinheit  si associa quindi nel 1927, per quanto in modo affatto peculiare, a quella di überhaupt ; l'una el'altra delineano, qui, un rapporto di fondazione di tipo trascendentale. Per questo la nozione di Sein überhaupt  rappresenta, nel 1927, un fondamento ontologicamente «formale»: essa indica, infatti, il senso dell'essere che fondal'essere di ciascun ente, nella sua singolarità, e che prescinde non soltanto (come è nel caso del «primo livello» delrapporto di fondazione) dalle sue caratteristiche ontiche, ma anche da quelle determinatezze (ontologiche) che lodiversificano dagli enti appartenenti ad altre «regioni», e che individuano, inoltre, l'ente in questione come esistente ointramondano. La nozione di Sein überhaupt  indica, in altri termini, ciò che prescinde dalle specificità ontologiche chedifferenziano l'essere dell'esserci da quello degli enti intramondani, e proprio per questo le fonda. Per questo, lanozione di Sein überhaupt   viene introdotta discutendo la specificità del  Dasein, nel contesto dell'esame relativo al

 primato (Vorrang ), tanto dal punto di vista ontologico quanto da quello ontico, della Seinsfrage. In Sein und Zeit ,l'istanza alla quale fa riferimento il concetto di Sein überhaupt  non è il mondo, che è, qui, la condizione di accessibilitàall'ente intramondano da parte dell'esserci; il concetto di Sein überhaupt   è, invece, la condizione di possibilità tantodell'esistere dell'esserci (e, dunque, del fenomeno del mondo, ovvero dell’«essere nel mondo»), quanto del sussisteredell'ente intramondano. Per questo Heidegger afferma che l'«essere nel mondo» è certo una costituzione a priorinecessaria dell'esserci, ma ben lungi dall'essere sufficiente a determinarne l'essere in modo esaustivo.38 

La dipendenza semantica dell'essere dall'ente, delineata dal carattere di  Allgemeinheit   attribuito all'essere ingenerale, conferma la già rilevata dipendenza ontologica, che è, perciò, il senso ultimo del «primato ontico e ontologicodell'esserci». Fra gli enti, riveste il primato quello che, ponendo la questione ontologica, è in grado di comprenderel'essere; è quest'ente, non l'essere in quanto tale, ciò che va primariamente indagato. In altri termini: benché laSeinsfrage, in quanto indagine relativa all'istanza ontologica indicata dalla nozione di Sein überhaupt , venga presentatacome il  Kardinalproblem  dell'ontologia, in Sein und Zeit   la ricerca relativa all'essere «in generale» appare tuttaviaimpostata (proprio per la caratterizzazione di questa nozione di generalità) a partire da quella relativa all'essere di un

ente particolare (l'esserci) e dipendente da essa. Il  Kardinalproblem dell'ontologia, cioè la Seinsfrage, finisce dunque per apparire, nella prospettiva dell'opera del 1927, come problema accessorio nei confronti dell'obiettivo di esprimere larealtà ontologica dell'esistente. Si verifica, cioè, una sorta di corto circuito tra quello che viene presentato comel'obiettivo del progetto di ricerca di Sein und Zeit e il ruolo che esso effettivamente svolge in quella parte dell'indagine

 pubblicata nel volume del 1927; ciò fornisce una prima indicazione sui motivi per i quali essa non trovò il proprio proseguimento nella pubblicazione della «terza sezione» del progetto originario, il compimento del quale risulta ora, proseguendo sulla strada imboccata, problematico.

Intendiamo ora mettere a fuoco il rapporto intercorrente, in Sein und Zeit, fra l'essere dell'esistente e l'essere«in generale», sia al fine di esaminare in che misura la seconda determinazione possa fondare la riconducibilità dell'enteintramondano all'esistente, sia per mettere a fuoco come tale riconduzione (ovvero la modalità del rapporto fral’esistente e l’ente difforme da esso) costituisca uno dei momenti decisvi del progetto di «ontologia fondamentale»,nonché il luogo privilegiato della revisione che investe quest’ultimo dopo la pubblicazione dello Hauptbuch .

Occorre sottolineare il fatto che, ribadendo la distinzione fra ente intramondano ed esistente, la nozione di Seinüberhaupt  si differenzia, al contempo, dal secondo polo di essa, l'essere dell'esserci. La determinazione che, in  Sein und Zeit , ne individua la struttura ontologica è la mondità; anche rispetto a essa, la determinazione di Sein überhaupt  marcala propria distanza, e il proprio ruolo fondativo. Heidegger medesimo ribadisce energicamente, anche negli anniimmediatamente successivi alla pubblicazione di Sein und Zeit , il fatto che l'essere dell'esserci rinvii a un'istanzaontologica affatto distinta da quella dell'«essere in generale».

36  SZ , p. 12 [62].37  SZ , p. 4 [54]. Secondo U. Regina, Servire l’essere con Heidegger , cit., p. 18, la «carenza concettuale» in cui Heidegger mantiene l’essere costituisceil frutto di una strategia finalizzata a problematizzare la comprensione, evitandone ogni presupposta delimitazione. Del resto, l’attribuzione,all’«essere in generale», del carattere di Allgemeinheit  permette di giungere alla determinazione dell’«individuazione» (Vereinzelung ), concernentel’ente esistente: A. Rosales, Transzendenz und Differenz. Ein Beitrag zum Problem der ontologischen Differenz beim frühen Heidegger , Nijhoff, Den

Haag 1970, p. 17. Alla determinazione «formale» della Allgemeinheit  (che pure pertiene, in Sein und Zeit , all’«essere in generale»), si oppone, inquanto carattere non meramente formale, quella di Ganzheit ; va sottolineato come essa, fondata sul concetto di possibilità, nell’opera del 1927 pertenga alla comprensione, cioè a una determinazione dell’esis tente (W. Müller-Lauter , Möglichkeit und Wirklichkeit bei Martin Heidegger , DeGruyter, Berlin 1960, pp. 6-7).38  SZ, p. 72 [122].

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Alcune annotazioni dello Hüttenexemplar  mostrano ciò con chiarezza. Nel testo a stampa, dopo aver affermatoche, in quanto ente che si rapporta sempre al proprio essere, l'esserci «è consegnato sempre al suo proprio da essere» ( istes seinem eigenen zu sein uberantwortet ) si sostiene, come si è ricordato, che «l'essere è ciò di cui ne va sempre perquesto ente [l'esserci]».39 Heidegger, nell'annotazione 56c, si preoccupa di specificare quale nozione di essere sia qui ingioco: non l'essere «in generale», bensì il «da esserci» (« Das Da zu sein») ovvero l'essere dell'esserci, l'ente che noistessi siamo e «in ciò [sottolineatura nostra] l'essere in generale da superare».40 Nell'annotazione 56c l'avverbio «darin»

(«in ciò») indica il rapporto fra la determinazione del Sein del Da-Sein e quella del Sein überhaupt ; un rapporto, comeHeidegger annota a margine di alcune righe immediatamente seguenti (la  Randbemerkung  56d), di «vocazione», ovverodi «fine», «destinazione» ( Bestimmung ).41 Relativamente all'essere dell'esserci, l'annotazione 56d fornisce, inoltre, una

 precisazione del senso in cui va intesa l'affermazione che, nel testo a stampa, suona così : «l’“essenza” di questo ente[l'esserci] consiste nel suo da-essere».42 Tale tesi risulta valida, sostiene la nota manoscritta, dal momento che «il da-essere ( Zu-sein) “ha” da essere ( zu seyn “hat”)»; ciò va inteso, appunto, nel senso di una «vocazione». Non l'istanzaontologica alla quale fa riferimento la nozione di Sein, bensì la configurazione dello  Zu-sein, il «da-essere» (che,definendosi come   Da zu sein, cioè come «da esserci», costituisce l'essere dell'esserci), rappresenta, come si è detto, iltema specifico dell'ontologia fondamentale in Sein und Zeit . Si è con ciò spiegato il senso in cui quest’ultima apparesoltanto «preliminare» alla  Frage nach dem Sinn vom Sein  überhaupt : nella prospettiva del progetto di Sein und Zeit ,l'istanza che indica l'essere dell’esserci, lo Zu-sein, risulta, in certa misura, finalizzata a quella del Sein überhaupt .43 

Le annotazioni dello  Hüttenexemplar mostrano, tuttavia, non soltanto il solco che si apre fra l’essere

dell’esserci e l’istanza designata dalla nozione di Sein überhaupt , ma anche l'evolversi della riflessione di Heidegger inmerito a quest’ultima dopo Sein und Zeit , nonchéma anche la percezione che Heidegger medesimo ha di tale evolversi;le annotazioni mostrano, cioè, la via che egli intende imboccare, dopo il 1927, relativamente tanto alla distinzione e alrapporto fra l'essere dell'esserci e quello «in generale», quanto alla caratterizzazione di quest'ultimo. Dopo aversostenuto che il termine « Dasein» sta a indicare non il «che cosa» (Was) di un ente, come accade nel caso di un tavolo,di una casa o di un albero ,  bensì l'essere   (Sein), Heidegger annota che questo Sein  è il Seyn «del»  Da, laddove ilgenitivo va, in questo caso, inteso come oggettivo.44  Con ciò, Heidegger sottolinea l'appartenenza dell'esserci aun'istanza ontologica (il Seyn) che, pur fondando la realtà ontologica dell'esserci medesimo (il suo Sein, che in Sein und Zeit   si qualifica, come si è visto, come Zu-sein) non si esaurisce in essa.45 

39  S Z, p. 56 [106].40  «Welches? Das Da zu sein und darin das Seyn überhaupt zu bestehen». (SZ , Anm. 56c). Ci discostiamo qui dalla versione di Chiodi, che traducel'espressione Zu-sein  con «aver da-essere»; questa traduzione risulterebbe problematica per rendere, nella successiva annotazione 56d, l'espressione

« zu seyn hat ». Già nelle lezioni del 1925, del resto, si precisa che «tutti i fenomeni dell'esserci devono essere compresi, in via primaria, come modidel suo “da essere”» (« Die Bestimmung, das Sein “zu sein”, gibt die Anweisung, alle Phänomene des Daseins primär als Weisen seines “Zu-seins” zuverstehen»: GA XX , p. 207 [186]). La determinazione dello  Zu-sein, in quanto implicita in quella di Faktizität , costituisce l'elemento di continuità,nella riflessione heideggeriana, fra le lezioni del 1923 e Sein und Zeit : J. Grondin , Hermeneutik der Faktizität als ontologische Destruktion und

 Ideologiekrit ik , in Zur philosopischen Aktualität Heideggers: Symposion der Alexander von Humboldt-Stiftung, vom 24.-28. April 1989 in Bonn-BadGodesberg , Bd. 2, hrsg. von D. Papenfuss - O. Pöggeler, Klostermann, Frankfurt a. M. 1990, pp. 165-166. Sul carattere pratico della nozione di Zu-

 sein, nel rapporto di appropriazione intercorrente fra l'esserci e il suo essere: F. Volpi, Dasein comme praxis, cit., pp. 18-19.41  «daß es zu seyn “hat”; Bestimmung!» (SZ , Anm. 56d). Va rilevato che Heidegger tiene distinto il carattere del rinvio che intercorre fra ledeterminazioni «uomo» ed «esserci» (il medesimo che intercorre fra «esserci» ed «essere in generale»), che egli indica attraverso il termine« Bestimmung », e il carattere del rinvio che lega l'ente intramondano all'esserci (designato dal termine « Bewandtnis»).42  « Das “Wesen” dieses Seienden liegt in seinem Zu -sein» (SZ , p. 56 [106]). La determinazione «zu sein» indica non soltanto la struttura ontologicadell'esserci, ma il rapporto (che qualifica l'uomo in quanto «se stesso») che l'uomo intrattiene con l'esserci, e che, d'altronde, non va concepito comeuna proprietà dell'uomo medesimo: «questa determinazione indica il rapporto d'essere privilegiato che noi “abbiamo” con questo ente: da essere se

 stesso». (« Diese Bestimmung zeigt das ausgezeichnete Seinsverhältnis an, das wir zu diesem Seienden “haben”: es selbst zu sein). (GA XX , p. 205[185]). Il costituirsi dell'esistente come un «da essere» significa che esso è aperto al proprio essere soltanto in virtù della propria apertura all'essere «ingenerale»: J. Grondin , Le tournant dans la pensée de Mart in Heidegger, PUF, Paris 1987, p. 52. L'uomo intrattiene con l'esserci, dunque, il medesimo

rapporto di rinvio che quest'ultimo ha con l'essere; come la struttura fondamentale dell'esserci è definita dal suo essere aperto alla questionesull'essere, così l'esserci rappresenta il «se stesso» dell'uomo, non una sua «proprietà». «Ciò che è più proprio» dell'uomo non è l'uomo, poichél'esserci è segnato da una «improprietà irriducibile»: J.F. Courtine, Heidegger et la phénoménologie, cit., pp. 100-101.43   Significativo (per ciò che concerne lo iato che si verifica, a partire dall'impostazione di Sein und Zeit , tra l'essere dell'esserci e quello «in generale»)appare, inol tre, il fatto che, laddove il testo a stampa del 1927 afferma che l'essenza dell'esserci consiste nell'essere «consegnato» al proprio «daessere» ( Zu-sein), a partire dalla settima edizione (1953) dell'opera è l’«essere» (Sein ) l'istanza alla quale l'esserci viene «rimesso». Attraverso unasostituzione lessicale, la revisione del 1953 ha provveduto, in questo modo, a occultare la «forbice» che, nella prospettiva di Sein und Zeit , si apre fral'istanza ontologica dell'esistente e quella dell'«essere in generale»: a indicare l'essere dell'esserci non è più, dopo la correzione del 1953, la sua

 peculiare struttura (il cui rapporto con il Sein  è apparso come problematico e, comunque, come da determinarsi) dello  Zu-sein, bensì (rimuovendo, inquesto modo, il problema del rapporto fra Sein überhaupt  e Dasein) la determinazione del Sein. 44  SZ , p. 57 [107], Anm. 57a.45  Come è noto, negli anni Trenta, per indicare questa dimensione più «originaria» dell'istanza ontologica, l'essenza (Wesen) dell'essere e il suocarattere non sostanziale (radicalmente diverso, cioè, da quello di qualunque ente), Heidegger ricorre alla grafì a desueta (Seyn) della forma

 predicativa del termine «essere»: i  Beiträge zur Philosophie  forniscono cospicui esempi di ciò. In questo senso, l'appartenenza dell'ente all'istanzaontologica che è totalmente altra da esso, e che fonda il suo essere, appare ulteriormente ribadita laddove, precisando l'affermazione secondo la qualeil fenomeno della Bewandtnis, decisivo relativamente all'essere dell'ente intramondano, consiste in un «lasciar essere l'ente, così come esso è, e

 perché  esso sia tale ( so und so sein lassen, wie es nunmehr ist und damit es so ist )» (SZ , p. 113 [162]), Heidegger sostiene che questo sein lassen consista in un Seyn-lassen, e rinvia alla conferenza Vom Wesen der Wahrheit , laddove si mostra che il Seinlassen è «in linea di principio e in misuraassoluta lontano per ogni ente» ( grundsätzlich und ganz weit   für  jegliches Seiende!: SZ , Anm. 113a), compreso, cioè, l'esserci. In questo modo,rimarcando la «differenza» fra l'essere e l'ente, Heidegger intende, nel contempo, sminuire il ruolo «attivo» dell'esistente nei confronti dell'accessoall'essere.

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 Nell’annotazione 73b, Heidegger ricorda non soltanto il divaricarsi dell'istanza ontologica che fa capo all'esseredell'esserci (che, in Sein und Zeit , ha la «costituzione essenziale» dell'essere nel mondo) da quella di Sein überhaupt , maintroduce anche una forma ulteriore di essere, quella dell'«essere stesso-puro e semplice». Glossando la propriaaffermazione secondo la quale la nozione di  In-Sein   rappresenterebbe l'espressione «formale-esistenziale» dell'esseredell'esserci, che ha la costituzione essenziale dello   In-der-Welt-sein, Heidegger sottolinea, infatti, che l'espressione « In- sein» non esprime la realtà ontologica dell'«essere in generale» (Sein überhaupt ), né tantomeno quella dell'«essere

stesso, puro e semplice» (Sein selbst-schlechtin).46 Questa  Randbemerkung  heideggeriana non soltanto ribadisce laforbice che, in Sein und Zeit , si apre fra l'essere dell'esserci  e quello «in generale» ma, suggerendo il carattere nonultimativo di questa seconda istanza, opera un'ulteriore differenziazione: al di là dell'essere «in generale», checostituisce il tema della ricerca di Sein und Zeit , c'è l'«essere stesso», «puro e semplice». L’annotazione 73b attestadunque la rielaborazione e il ridimensionamento, negli anni successivi alla pubblicazione di Sein und Zeit , del ruolodella nozione di Sein überhaupt .

1.2.1.1. «Essere in generale»: «generalità» dell'ente o sua «totalità»?

Che cosa comporta questa deminutio che investe, dopo il 1927, il ruolo della determinazione di «essere in generale»?Sono ancora le annotazioni dello Hüttenexemplar a permettere una risposta; in esse Heidegger (intendendo avviare un

recupero della nozione di Sein überhaupt attraverso la sua reinterpretazione) svincola il concetto di überhaupt (inquanto riferito all'istanza fondativa dal punto di vista ontologico) dal carattere di «generalità» ( Allgemeinheit ), neiconfronti dell'ente, da esso precedentemente assunto, per conferirgli, invece, quello di «totalità» (Ganzheit, im Ganzen)dell'ente medesimo. In una prima annotazione (la 4a), riprendendo, e correggendo, la propria traduzionedell’affermazione aristotelica secondo al quale to on esti katholou malista panthon, ( Met . B, 4, 1001a, 21, Heidegger

 precisa che il carattere di  Allgemeinheit  (che pure non va confuso, secondo il testo del 1927, con il significato pertinentealla categoria logica di Gattung ) si riferisce non all'«essere» in senso proprio, bensì alla determinazione dell'«essente»,cioè al suo carattere di «essentità».47 L'annotazione 5a, immediatamente successiva a quella appena citata, è ancora piùesplicita: qui Heidegger corregge la propria affermazione, contenuta nel testo a stampa, secondo la quale l'indefinibilitàdel concetto di essere risulterebbe deducibile dal suo carattere di estrema generalità ( Allgemeinheit ). L'annotazione 5aafferma, infatti, che tale carattere concettuale non può recare alcun aiuto in merito alla determinazione dell'essere(Seyn), né nel senso della sua definibilità, né in quello della sua indefinibilità.48  In altri termini: stando a questa Randbemerkung , la nozione di  Allgemeinheit   risulta inabilitata a fornire indicazioni relativamente alla dimensione

originaria dell'istanza ontologica, rappresentata dalla determinazione del Seyn.Qual è, dunque, il concetto di überhaupt al quale fanno riferimento queste annotazioni dello Hüttenexemplar ?

 Nell'annotazione 50a si trova una risposta esplicita a questa domanda: l'espressione «Sein überhaupt » non indica il«genere», in quanto non fa riferimento all'essere dell'ente, considerato sotto l'aspetto della sua generalità (das Sein fürdas Seiende  im allgemeinen).49  In breve: l'espressione Sein überhaupt   non fa riferimento alla categoria di «genere»dell’ontologia tradizionale. Fin qui, la  Randbemerkung   riprende quanto Heidegger ha già affermato nel testo a stampaquando, in apertura di Sein und Zeit , esponendo la necessità di un'esplicita ripetizione (Wiederholung ) della questione

46  Così il testo a stampa: «In-Sein ist demnach der formale existenziale Ausdruck des Seins des Daseins [...]», e così l’annotazione: « Aber nicht desSeins überhaupt und gar nicht des Seins selbst-schlechtin» (SZ , p. 73 [123], Anm. 73b).47  «das Seiend, die Seiendheit » (SZ , Anm. 4a). F.-W. von Herrmann, Hermeneutische Phänomenologie des Daseins, cit., pp. 31 sgg. nega che questaannotazione cost tuisca una correzione, e la interpreta non tanto come un rifiuto, rispetto al testo a stampa, del carattere di Allgemeinheit,ma come unasottolineatura, da parte di Heidegger, della distanza della propria posizione da quella di Aristotele, che troverebbe un riscontro non soltanto nel testo

 pubblicato nel 1927, ma anche in quello delle lezioni del 1926. Coerentemente con la propria ricostruzione generale della riflessione heideggeriana,von Herrmann (alla cortesia del quale siamo debitori per le preziose informazioni e delucidazioni fornite relativamente, in particolare, alle annotazionimanoscritte dello Hüttenexemplar ) ritiene che fra le  Randbemerkungen  e il testo a stampa non vi sia, in generale, un’effettiva diversità di prospettivateorica.48  «nein! sondern: über Seyn kann nicht mit Hilfe solcher Begrifflichkeit entschieden werden» (SZ , Anm. 5a). Non è condivisibile la tesi di F.-W. vonHerrmann, Hermeneutische Phänomenologie des Daseins, cit., pp. 45-46, secondo il quale, come nel caso dell’annotazione 4a, il senso ultimo diquest'annotazione «sta anche nel testo»  pubblicato nel 1927. L'annotazione non si limita (come fa il testo a stampa) a rigettare la concettualizzazionescolastica, legata alle nozioni di «genere» (Gattung ) e «modo» ( Art ), della determinazione di Allgemeinheit , ma rifiuta quest'ultima in quanto tale,come inadeguata nei confronti della questione ontologica. Del resto, sarebbe difficile spiegare il tono della  Randbemerkung, tanto deciso da apparirecome una smentita nei confronti del testo a stampa, se effettivamente essa, come afferma l'interprete, ne sostenesse la medesima tesi.49  «Sein - keine Gattung, nicht das Sein für das Seiende im allgemeinen; das “überhaupt” = katholou = im Ganzen von: Sein des Seienden; Sinn der

 Differenz» (SZ , Anm. 50a). La sovrapposizione, compiuta in questa Randbemerkung, del concetto di Ganzheit a quello di überhaupt, risulterebbeaffatto illegittima nel testo del 1927, dove «Sein überhaupt » non può essere considerato come termine riferentesi a un insieme di enti: tale insieme èinfatti definibile, nel testo del 1927, soltanto attraverso il concetto di Allheit , che indica il «tutto degli enti», suddividendo il quale si perviene ai campidi indagine delle discipline scientifiche. Questa annotazione introduce, inoltre, il termine di «differenza ontologica», assente nel testo del 1927,associandolo alla nozione di «Sein überhaupt »; trasposta nel contesto di Sein und Zeit, tale associazione produrrebbe l'effetto, sicuramente

indesiderato, di relegare l'istanza relativa all'essere dell'esserci nella dimensione dell'ente. Per contro, F.-W. von Herrmann, Hermeneutische Phänomenologie des Daseins, cit., p. 367, anche nel caso dell'annotazione 50a ritiene che Heidegger non fornisca se non una spiegazione del testo astampa. Non ci sarebbe qui, secondo l'interprete, alcuna soluzione di continuità con il progetto del 1927, perché il compimento dell'esistenza svela«l'essere in generale, non soltanto come essere dell'esistenza, ma come essere nella totalità»: F.-W. von Herrmann,  Augustinus und die

 phänomenologische Frage nach der Zeit , Klostermann, Frankfurt a. M. 1992, pp. 174, 180-181).

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dell'essere, egli escludeva che il carattere di « Allgemeinheit » (termine comunque utilizzato, nel testo del 1927, travirgolette, cioè attribuibile all'essere «in generale» in senso improprio) dell'«essere in generale» vada identificato conquello pertinente alla categoria logica di «genere» (Gattung ).50  Sulla strada della negazione del carattere di  Allgemeinheit  al concetto di überhaupt , l'annotazione 50a si spinge tuttavia oltre: la nozione di überhaupt equivale qui,sostiene Heidegger, a quella greca di katholou, ovvero alla «totalità di» qualcosa; in questo modo, essa esprime l'esseredell'ente, il senso della differenza intercorrente fra l'uno e l'altro.

L'equivalenza, sostenuta dalla nota dello Hüttenexemplar , fra il concetto di überhaupt  e quello di « im Ganzen»,rinvia a un riferimento aristotelico, ricorrente nelle lezioni e nelle opere heideggeriane della seconda metà degli anniVenti e, segnatamente, in quelle immediatamente posteriori a Sein und Zeit . In questi luoghi, il richiamo ad Aristoteleserve a Heidegger per collocare l'«apertura originaria» della questione sull'essere nella connessione che la vedearticolarsi nella domanda relativa all'«ente in quanto tale» (on he on), in quella relativa all'ente «in totalità» (katholou),e in quella relativa alla sua «parte più nobile» ( timiotaton ghenos). In Kant und das Problem der Metaphysik  (1929), peresempio, la positiva valutazione (più favorevole, nel suo complesso, rispetto a quella di Sein und Zeit ) che la riflessionedel pensatore di Königsberg riceve da parte di Heidegger risulta motivata proprio dal fatto che Kant, contro la tradizionedella Scolastica medievale e di quella razionalista, sarebbe ritornato a quell'«originaria apertura», presente in Aristotele,del problema metafisico; di quest'ultimo sarebbe stata in seguito smarrita, a parere di Heidegger, la dimensioneoriginaria.51 L'accesso all'essere avverrebbe, dunque, attraverso la considerazione dell'ente in quanto tale, ovvero  nellasua totalità.52 

Le annotazioni 4a e 5a dello  Hüttenexemplar , dunque, rimarcando la «differenza ontologica» fra l'essere el'ente, escludono la riferibilità all'essere del concetto di Allgemeinheit , sostenuta invece (pur con le debite limitazioni)nel testo pubblicato nel 1927. Nelle annotazioni, l'indagine ontologica viene identificata con la considerazione dell'ente«im Ganzen», determinazione che l'annotazione 50a utilizza per interpretare quella di Sein überhaupt .

1.2.2. Il carattere trascendentale della determinazione di «essere in generale» in Sein und Zeit e la sua inadeguatezza afondare la distinzione fra ente esistente ed ente intramondano.

Qual è il significato del tentativo heideggeriano, perseguito nelle annotazioni dello  Hüttenexemplar, di svincolare lanozione di Sein überhaupt  dal concetto di Allgemeinheit, per coniugarla, invece, a quello di Seiendes im Ganzen? Varicordate che, nel testo del 1927, è proprio l'associazione del concetto di überhaupt a quello di Allgemeinheit a fondare  il carattere trascendentale della ricerca e la sua stessa impostazione, con il ruolo preliminare, per la questione

dell'«essere in generale», assegnato alla ricerca intorno all'essere del'esserci. É l'interpretazione del concetto diüberhaupt attraverso quello di Allgemeinheit , cioè, a far sì che l'oggetto della ricerca sia, in Sein und Zeit, non l'essere ingenerale, bensì l'essere dell'esistente, e la comprensione che quest'ultimo ha dell'essere.

Le annotazioni dello  Hüttenexemplar   rappresentano perciò, anzitutto, una ridefinizione dell'impiantotrascendentale che, nel testo del 1927, riveste il ruolo fondativo attribuito all'istanza ontologica. Proprio per questo, larevisione del concetto di  überhaupt   comporta una revisione del progetto complessivo presentato nella  Einleitung  dell'opera del 1927, con la messa in discussione della stessa nozione di «ontologia fondamentale»: l'istanza ontologicadalla quale l'indagine deve prendere le mosse non sarà più, nel corso di lezione del 1929-30, l'essere dell'esistente, bensìl'essere, concepito come la totalità dell'ente.

La deminutio, successivamente alla pubblicazione di Sein und Zeit, del ruolo qui assegnato alla determinazionedell’«essere in generale» comporta, dunque, il tentativo, da parte di Heidegger, di sottrarsi all'ipoteca trascendentale chegrava sul progetto di «ontologia fondamentale», che risulta messo in discussione nel suo complesso. Quali sono i motivi

50  SZ , p. 4 [54].51  M. Heidegger, Kant und das Problem der Metaphysik , in Gesamtausgabe, Bd. 3, hrsg. von F.-W. von Herrmann, Klostermann, Frankfurt a. M.1991[trad. it. di M. E. Reina, riveduta da V. Verra, Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma-Bari 1981], § 1. Secondo H. G. Gadamer, Dereine Weg Martin Heideggers, in H. G. Gadamer, Gesammelte Werke, Bd. 3, J. C. B. Mohr, Tübingen 1987, p. 426, la predilezione di Heidegger, findagli anni di Marburgo, per l'espressione «Seiendes im Ganzen» sarebbe da motivarsi con il suo desiderio di evitare, attraverso il carattere formale diquest'ultima, le concettualizzazioni scolastiche dell’essere relative, per esempio, alla sua totalità o assolutezza. Secondo F.-W. von Herrmann,

 Hermeneutische Phänomenologie des Daseins, cit., p. 367, già in Sein und Zeit  l'espressione «im Ganzen» indica la condizione di possibilitàdell'entein quanto tale, con riferimento alla nozione aristotelica di ousia. 52   Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt-Endl ichkeit-Einsamkeit  Il testo del corso di lezioni del semestre invernale 1929-30, pubblicato con il titolodi Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt-Endlichkeit-Einsamkeit , prende le mosse da questo orizzonte concettuale. Qui la nozione di Welt ,concepita come «la manifestatività dell'ente in quanto tale nella sua totalità» (die Offenbarkeit des Seienden als solchen im Ganzen), può giocare ilruolo di filo conduttore per la ricerca ontologica proprio in forza di questo suo identificarsi con lo sguardo sull'«ente in totalità» ( im Ganzen), daintendersi come «l'ente nella forma della totalità» (« Daher besagt “im Ganzen”: in der Form des Ganzen»), e non come il «tutto dell'ente» (das Alldes Seienden) (GA XXIX-XXX , pp. 411-413 [362-364]). Resta da valutare se la prospettiva delle lezioni del 1929-30, che sorreggel'autointerpretazione dell'annotazione 50a, sia sovrapponibile a quella dello  Hauptbuch del 1927. Sulla databilità delle annotazioni dello

 Hüttenexemplar si veda la postfazione di F.-W. von Herrmann, curatore dell'edizione di Sein und Zeit  pubblicata nella Gesamtausgabe:SZ , p. 580. A prescindere dal caso di questa Randbemerkung , è inoltre necessario sottolineare come la maggior parte delle annotazioni dello  Hüttenexemplar  risalgaal periodo intorno al 1936 (informazione della quale ringraziamo lo stesso von Herrmann) e sia, dunque, da ricondursi alla prospettiva dellaSeinsgeschichte.

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che determinano questo passo (decisivo nell'evolversi della riflessione heideggeriana) che p rende le mosse dal tentativodi ridefinire la figura concettuale dell'«essere in generale»? L'insoddisfazione di Heidegger, successivamente alla

 pubblicazione di Sein und Zeit , per come essa viene presentata nell'opera del 1927 va ricondotta all'inattingibilitàdell'«essere in generale» da parte dell'essere dell'esserci; la divaricazione fra le due determinazioni provoca l' impasse del progetto esposto nella  Einleitung dell'opera del 1927. La sua realizzazione si arresta qui; nel momento, cioè, in cuisi tratta di compiere il passaggio dalla determinazione ontologica dell'essere dell'esserci a quella dell'«essere in

generale», pervenendo, cioè, all'esame di significato e ruolo della nozione di Sein überhaupt . Il compito di determinarequest'ultima, articolandone la relazione intercorrente con l'essere dell'esserci, risulta tanto difficoltoso da determinare,dopo Sein und Zeit , l'abbandono di questa impostazione.

 L'is tanza ontologica dell 'essere «in generale», messa in gioco per dar conto di ciò che accomuna l'esistente el'ente intramondano (cioè la loro dimensione ontologica, il fatto di «essere»), ribadisce la distinzione fra essi e,introducendone una ulteriore (quella fra l'essere dell'esserci e l'essere «in generale») mostra il bivio al quale giungel'ontologia «fondamentale». Muovendo dall'essere dell'esistente, lo si può considerare o come la condizione ontologicadell'ente intramondano, oppure come la condizione ontica di accessibilità a esso. La prima strada viene imboccata daquella forma di idealismo che Heidegger, in Sein und Zeit, giudica come «inaccettabile»; la seconda opzione, scelta daHeidegger, comporta il permanere di una valenza realistica in ordine alla realtà dell'ente intramondano, e pone il

 problema di introdurre una dimensione dell’essere che, per quanto accessibile all’essere dell’esistente, è tuttaviaulteriore rispettoa a esso, e ne fonda il rapporto, in quanto ente, con l’ente intramondano. Come si coniuga, in Sein und

 Zeit ,  l’aspetto della valenza realistica dell’ente in quanto tale e, dunque, quello della differenza ontica  fra l’enteesistente e l’ente intramondano con la riconducibilità ontologica, all’interno del fenomeno dell’«essere nel mondo»,dell’essere dell’ente intramondano a quello dell’esistente?

1.3. Il carattere di rinvio all’esistente dell’ente intramondano: la «mondità» come «totalità di destinazione».

Per rispondere a questa domanda, va anzitutto preso in esame il rapporto che intercorre fra l'esistente e l'enteintramondano. Quest'ultimo, sostiene Heidegger, si manifesta nelle forme dell'«utilizzabilità» ( Zuhandenheit ) e della«sussistenza» (Vorhandenheit ). L'utilizzabilità dell'ente intramondano costituisce la determinazione ontologico-categoriale che indica, in modo primario, il suo rapporto con l'esistente. L'essere dell'ente intramondano in quantoutilizzabile, sostiene Heidegger, ha la struttura del rimando (Verweisung ), cioè il carattere dell'«essere rimandato»(Verwiesenheit ). Per determinare questa struttura di rinvio, Heidegger ricorre ai concetti di «essere destinato»( Bewenden) e «destinazione» ( Bewandtnis).53 Lo statuto ontologico dell'ente intramondano si rivela, dunque, come una

condizione di rinvio tale per cui il suo «stare», in quanto «stare presso», è, in realtà, un essere rinviato, in quanto esseredestinato: l'ente intramondano «[...] ha con   sé,  presso  qualcosa, il suo essere destinato. Il carattere d'esseredell'utilizzabile è la destinazione. La destinazione importa l'essere destinato di qualcosa presso qualcosa. Il rapportoespresso dal “con... presso...” deve essere chiarito a partire dal concetto di rimando [...]. Il “presso-che” sussiste ladestinazione è l’“a-che” dell'utilità, cioè il “per-che” dell'impiegabilità».54  La categoria di  Bewandtnis   individua,ribadisce Heidegger, la determinazione ontologica dell'essere dell'ente intramondano; essa non riguarda, perciò,un'asserzione di carattere ontico relativa a questo stesso ente.55 É necessario sottolineare che la nozione di Bewandtnis indica una determinazione categoriale; essa riguarda, cioè, l'essere dell'ente difforme dall'esserci, non una qualchecaratteristica che gli venga attribuita dall'esserci. La struttura ontologico-categoriale dell'utilizzabilità viene, infatti, daHeidegger esplicitamente identificata con quella della destinazione, e l'esserci (congruentemente con la scelta diassumere, quale filo conduttore dell'indagine relativa all'essere nel mondo, la valenza preontologico-esistentiva delconcetto di Welt ) è posto come la condizione di possibilità soltanto dal punto di vista ontico, e non da quello

ontologico, dell'ente intramondano.56

 53  Ci discostiamo dalla traduzione di Pietro Chiodi, che rende questi termini, rispettivamente, con «appagamento» e «appagatività». In effetti, il primotermine tedesco occorre, usualmente, in espressioni idiomatiche quale «dabei hat es sein Bewenden», traducibile, all'incirca, come «occorre fermarsi aciò», nel senso di «occorre accontentarsi di questo». Il termine « Bewandtnis» indica, d’altra parte, la «condizione» di una cosa, concepita non in modostatico, bensì come il luogo, o il momento, presso il quale il Bewenden è in atto, dove l'«accontentarsi» ha trovato il suo luogo. L’elemento decisivoconsiste, da questo punto di vista, nel carattere di rinvio, rintracciabile nell’espressione « etwas bewenden lassen» (di qui, la traduzione francese deltermine « Bewandtnis» con quello «tournure»: J. Greisch, Ontologie et temporalité, cit., p. 140). Per questo, la  Bewandtnis di qualcosa è la suaratio,come attesta il Grimms Deutsches Wörterbuch. A motivo di ciò, traduciamo il termine  Bewandtnis con quello di «destinazione»: l'ente intramondanoè caratterizzato, nella sua costituzione ontologica, da un «essere destinato» ( Bewenden) ad altro. A questo proposito, si vedano W. Biemel, Le conceptde monde chez Heidegger , Nauwelaerts-Vrin, Louvain-Paris 1950, pp. 47 -48; W. J. Richardson, Through Phenomenology to Thought , cit., pp. 54-55;J. J. Kockelmanns, Heidegger's «Being and Time». The Analitic o f Dasein as Fundamental Ontology, University Press of America, Washington 1989,

 pp. 126-127. Per la ricostruzione dell'adozione, da parte di Heidegger, del concetto di Bewandtnis, e del suo significato di «destinazione», si veda T.Kisiel, The Genesis of Heidegger's Being and Time, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 1993, pp. 388 sgg., 493.54  «[...] hat mit  ihm  bei etwas sein Bewenden. Der Seinscharakter des Zuhandenen ist die Bewandtnis. In Bewandtnis liegt: bewenden lassen mitetwas bei etwas. Der Bezug des “mit... bei...” soll durch den Terminus Verweisung angezeigt werden. [...] Das Wobei es die Bewandtnis hat, ist das

Wozu der Dienlichkeit, das Wofür der Verwendbarkeit » (SZ , p. 112 [160-161]). Il concetto di Bewendenlassen articola, sul pianoontologico, il rinvioall’esistente dell’ente difforme da esso: P. Mc Donald, Daseinsanalytik und Grundfrage. Zur Einheit und Ganzheit von Heideggers “Sein und Zeit ,Königshausen & Neumann, Würzburg 1997, pp. 122-124.55  SZ , p. 112 [160].56  SZ , p. 117 [165].

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  Secondo Heidegger, il senso dell'«essere destinato», che può sussistere rispetto a un utilizzabile, può risultaresoltanto dal complesso dei rinvii che configurano la destinazione: «la destinazione, in quanto essere dell'utilizzabile,

 può essere scoperta soltanto sul fondamento della scoperta preliminare di una totalità di destinazione».57 Proprio perquesto, per definire questo insieme, Heidegger usa il termine di  Bewandtnisganzhei t , che indica proprio il riferimento aquella dimensione di totalità che, esorbitando dal livello ontico dell'indagine, definisce quello ontologico. Iltrascendimento del piano ontico dell'indagine avviene in direzione non soltanto dell'essere dell'ente intramondano ma,

 più in là, si prolunga verso l'essere dell'ente che non si pone come utilizzabile, cioè l'esserci. La nozione di  Bewandtnisganzheit  risulta, in altri termini, differente da quella di  Bewandtnis , per quanto riguarda l'istanza ontologicaalla quale essa fa capo: la totalità alla quale essa si riferisce retrocede infatti, sostiene Heidegger, fino a un «per checosa» (wozu) presso il quale non si dà alcuna  Bewandtnis , cioè a uno scopo finale presso il quale non sussiste più lacondizione (che rinvia oltre di esso) di essere destinato. Questo «per che cosa» non è un ente che abbia il modo d'esseredell'utilizzabilità all'interno di un mondo, bensì un ente, l'essere del quale è determinato come «essere nel mondo», ealla costituzione d'essere del quale appartiene la mondità. Questo ente è l'esserci, che si pone perciò come il capolineadella dinamica di rinvio articolata dall'utilizzabilità ed espressa dalla destinazione e, nel contempo, come la totalità dellasua struttura, ontologicamente differente da essa. L'ente che costituisce il punto terminale del rinvio, il «per che cosa»

 primario, non ha infatti, in alcun modo, le caratteristiche di un «esser destinato». Piuttosto, esso è un «in vista di che»(Worum-Willen), e l'«in vista di» (Umwillen) riguarda l'essere dell'esserci.58  La costellazione concettuale di«destinazione - totalità di destinazione» intende rendere conto, attraverso il suo carattere ancipite, del rapporto fra le

determinazioni dell'esserci e quelle dell'ente intramondano (del rapporto, cioè, fra l'àmbito categoriale e quelloesistenziale), riconducendo le seconde alle prime.59 La determinazione della destinazione prefigura una prospettiva dellaquale appare agevole rintracciare l'ascendenza kantiana. Nelle lezioni del 1927, essa viene esplicitata così : il fatto chel'esistenza vada concepita come un «essere in vista del proprio poter esser nel mondo» (« Das Dasein existiert , d. h. esist umwillen seines eigenen In-der-Welt-seinskönnens») viene interpretato come il momento strutturale già colto daKant, per quanto in modo lacunoso, quando egli determina la persona come fine.60 La diversità ontica dell'esistente neiconfronti dell'ente intramondano viene perciò collocata nell'essere l’esistente, in quanto tale, non finalizzato e nonfinalizzabile; posto al limite della catena di finalizzazioni, come sua totalità, esso è «fine a se stesso».

57  « Bewandtnis selbst als das Sein des Zuhandenen ist je nur entdeckt auf dem Grunde der Vorentdecktheit einer Bewandtnisg anzheit » (SZ , p. 114[162-163]). P. Kontos, D'une phénoménologie de la perception chez Heidegger , Kluwer, Dordrecht 1996, pp.164-167 critica il legame istituito, inSein und Zeit , fra i concetti di Bewandtnis e Bewandtnisganzheit  da un lato, e quello di Zuhandenheit  dall’altro. Tale legame produrrebbe l’effetto,secondo l’interprete, di ridurre il fenomeno del mondo da «totalità originaria», cioè orizzonte di produzione e manifestazione dei fenomeni, a «totalitàstrumentale», cioè a una «totalità regionale» dell’ente. A nostro parere, il problema autentico (almeno dal punto di vista della della questione relativa

all’«essere in generale») consiste nel fatto che, in questo modo, la «totalità originaria» si identifica con un’articolazione della struttura esistenziale.Una riprova della nostra tesi è costituita dal fatto che questo aspetto del «soggettivismo» della comprensione originaria del fenomeno del mondo nello

 Hauptbuch  non è affatto risolto, bensì accentuato in Vom Wesen des Grundes (1929), dove pure, come rileva Kontos, la trascendentalizzazione di talefenomeno riduce il rischio di una sua riduzione a «totalità regionale».58  SZ , p. 113 [160]. Sulla centralità acquisita dall’esserci, in virtù di questo aspetto della struttura di destinazione (l’esserci è non soltanto «in vista disé» ma, anche, «in grazia di sé»), si veda V. Vitiello,  Heidegger: i l nulla e la fondazione della storicità , cit., pp. 317-318, 320. Sul carattere di questacentralità dell’uomo, in quanto esistente, nel suo rapporto con il mondo, la quale si differenzia dalla centralità dell’uomo, in quanto « praesentia», cioèin quanto «ente naturale», nei confronti del cosmo, si veda O. Becker, Para-Existenz. Menschliches Dasein und Dawesen, in Heidegger. Perspektiven

 zur Deutung seines Werkes,  hrsg. v. O. Pöggeler, Drittes ergänzte Auflage, Beltz, Weinheim 1994; trad. it. L’essere e la «praesentia», in Martin Heidegger . Ontologia, fenomenologia, verità,  a cura di S. Poggi e P. Tomasello, CEA-Zanichelli, Milano 1995, p. 150.59  A confortare questa tesi c'é, anzitutto, l'evidente carattere fondativo e trascendentale che la nozione di Ganzheit  conferisce al concetto di

 Bewandtnisganzheit  nei confronti di quello di Bewandtnis: R. Guilead, Il mondo nel pensiero contemporaneo, trad. it. di U. Fadini, Sp irali, Milano1984, p. 244. Significativa inoltre, in questo senso, la sostituzione, operata da Heidegger sul manoscritto del testo del corso del 1925, del termine« Bedeutsamkeit » (che si riferisce a una determinazione categoriale) con quello « Bewandtnisganzheit », in un contesto in cui quest'ultimo viene aindicare un'articolazione decisiva della struttura esistenziale: si veda T. Kisiel, The Genesis of Heidegger's Being and Time, cit., p. 388. Noncasualmente, nella prospettiva “cosmologica” de Die Grundbegriffe der Metaphysik , il corso di lezione del 1929-30, Heidegger evita accuratamente di

ricorrere al concetto di Bewandtnisganzheit  (P. Kontos, D'une phénoménologie de la perception chez Heidegger , cit., pp. 166-167); qui, infatti, ilruolo di totalità fondativa viene assunto non da una determinazione esistenziale, bensì bensì dal fenomeno del mondo, caratterizzato come «dasSeiende im Ganzen» (cfr. infra, cap. 5.2).60  GA XXIV , p. 242 [163]. Per un'ulteriore conferma, rispetto alla posizione di Sein und Zeit , si veda anche il testo del corso del 1925-26, losvolgimento del quale copre il periodo degli ultimi mesi prima della pubblicazione dello Hauptbuch : M. Heidegger, Logik. Die Frage nach derWahrheit , in Gesamtausgabe, Bd. 21, Klostermann, Frankfurt a. M. 1976, p. 221 [trad. it. di U. M. Ugazio, Logica. Il problema della verità, Mursia,Milano 1986, pp. 146-147; d'ora in poi,  GA XXI ]. Sullo «stretto parallelismo» fra il paradigma heideggeriano della Bewandtnise quello kantiano dello« Zweck an sich selbst » si veda C. F. Gethmann, Heideggers Konzept ion des Handelns in Sein und Zeit, in Heidegger und die praktische Philosophie,hrsg. von A. Gethmann-Siefert und O. Pöggeler, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1989, pp. 158-159. Sono numerosi, soprattutto in testi appartenenti allaseconda metà degli anni Venti, i luoghi nei quali Heidegger accosta il tema centrale della propria ricerca, cioè la questione ontologica, all'indaginekantiana intorno al problema degli a priori: si veda, per esempio, il testo del corso di lezione del semestre estivo del 1928, M. Heidegger,

 Metaphysische Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz , in Gesamtausgabe, Bd. 26, hrsg. von K. Held, Klostermann, Frankfurt a. M. 1978, pp. pp. 184-185, 189 [trad. it. a cura e con introduzione di G. Moretto,  Principii metafisici dell a logica, Il Melangolo, Genova 1990, pp. 174, 178]. Fragli altri luoghi in proposito, appartenenti al periodo marburghese, si vedano il corso di lezione del 1925: GA XX , § 7; il testo del corso di lezione del1927: GA XXIV , pp. 23, 180-181, 461 [15-16, 122-123, 311]; quello del 1927-28: M. Heidegger, Phänomenologische Interpretation von Kants Kritikder reinen Vernunft , in Gesamtausgabe, Bd. 25, hrsg. von I. Görland, Klostermann, Frankfurt a. M. 1977, pp. 186-187, 203. Sul carattere di Faktizität  

dell'a priori di Heidegger, che si distingue in ciò dall'a priori «matematico» (nel senso heideggeriano del termine) di Kant, cfr. T. Kisiel, Themathematical and hermeneutical: on Heidegger's notion of a priori, in Martin Heidegger: in Europe and America, ed. by E. G. Ballard-C. Scott, Nijhoff, The Hague 1973, pp. 113-114. Da un punto di v ista ancora più generale, va segnalato che, nel Kantbuch  del 1929, Heidegger attribuisce il proprio intento di «rifondazione della metaf isica» a Kant, in quanto quest'ultimo ricercherebbe le condizioni di possibilità di una Fundamentalontologie ( KM , p. 1 [11]): cfr. O. Pöggeler, Il cammino di pensiero di Martin Heidegger , cit., pp. 94 sgg.

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La struttura della mondità, ovvero l'articolazione ontologica che Heidegger indica come «Struktur dessen,woraufhin das Dasein sich verweist »,61  si mostra come l'impronta della differenza (una differenza che, per quantoontica, si fonda, nondimeno, su una differenziazione ontologica fra l'ente intramondano e l'esistente) del soggetto, inquanto libero, nei confronti dell'ente intramondano. Proprio in questa caratteristica di centralità ontologica dell'esistente,che lo pone come «motore immoto» di un'articolazione dinamica, si esplica, in Sein und Zeit , la riconducibilità dell'enteintramondano all'esistente, nella dimensione ontologica individuata dalla determinazione di mo ndità. É pur vero che

Heidegger afferma che, in quanto «è», l'esserci ha già assegnato sé medesimo a un mondo che gli viene incontro, e chetale carattere dell'«essere assegnato» gli appartiene essenzialmente.62 L'aspetto decisivo è tuttavia rappresentato dal fattoche il mondo, appunto, è «venente incontro» (begegnend ) all'esserci; quest'ultimo non si mette in gioco nell'evento, purdipendendo (in quanto risulta «destinato», ovvero «assegnato» a questo venire incontro del mondo) da esso. É infatti dasottolineare che è comunque l'esistente a costituire il luogo della decisione relativa al proprio esser destinato, cioè al

 proprio carattere di «assegnatezza» ( Angewiesenheit ): in quanto «è», l'esserci non «è assegnato» al mondo, ma haassegnato sé medesimo al mondo e, così facendo, lo scopre. A ciò corrisponde il prevalere, nella struttura esistenzialedell'esserci, del carattere di  Entwurf  rispetto a quello di Geworfenheit . Il carattere progettuale dell'apertura dell'esserci almondo privilegia, cioè, il luogo della scoperta dell'ente intramondano da parte dell'esserci, piuttosto che quellodell'appartenenza di quest'ultimo al mondo.63 

Il mondo è, dunque, da un lato «ciò rispetto a cui» (woraufhin) si indirizza la dinamica di rinvio indicata dallanozione di  Bewandtnis . Il «fenomeno del mondo» è, infatti, l'«in cui» (worhin) dell'indirizzarsi a sé dell'esistente; esso

si comprende come termine finale, ovvero come finalità, di quella specifica modalità d'essere dell'ente intramondanoindicata con il termine di  Bewandtnis .64  Essa consiste in un «lasciar venire incontro» ( Begegenlassen) l'ente, in cuiquest'ultimo si manifesta come finalizzato all'esserci. D'altro lato, la connessione di rinvii che dà luogo alla totalità didestinazione rimanda, al di là della dimensione ontica del mondo, alla determinazione esistenziale della mondità.65 Sorge perciò dall'aver assunto come filo conduttore dell'indagine l'accezione ontico-esistentiva del termine Welt   la

61  SZ, p.116 [164]. E. Tugendhat, Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger , De Gruyter, Berlin 1970, pp. 273-274 rintraccia, in Sein und Zeit ,una duplice valenza del concetto di Welt : l'una indicherebbe l'orizzonte dell'esserci, l'altra una dimensione autonoma, in quanto spazio dimanifestazione dell'ente. Questa seconda valenza ci sembra esclusa, nello  Hauptbuch del 1927, dal fatto che non soltanto il fenomeno dello  In derWelt sein  costituisce un'articolazione dell'esserci, ma la stessa struttura ontologica del fenomeno, cioè la Weltlichkeit , si effettualizza nella

 Bewandtnis, che ha il suo terminus ad quem   proprio nell'esserci. A motivo di ciò, appare solo parzialmente condivisibile la tesi di R. Schürmann, Le principe d'anarchie. Heidegger et la question de l 'agir , Éditions du Seuil, Paris 1982, pp. 82-84, relativa al «trascendentalismo non soggettivo» diSein und Zeit , dove all'indagine sull'io, cioè sull'uomo, si sarebbe sostituita quella sul « Da», inteso come il rapporto dell'uomo medesimo con gli enti,

nella loro totalità. Tale rapporto, e tale totalità, in Sein und Zeit  sono da considerarsi inscritti nell'orizzonte («trascendentale», appunto) della «ipseità»(Selbstheit ) dell'esserci. Per questo, va invece sottoscritta la tesi di E. Fink, Welt und Endlichkeit , cit., p. 153 che, pur attribuendo a Sein und Zeit  ilriconoscimento della differenza («cosmologica») tra ente e mondo, denuncia l'assegnazione di quest'ultimo all'ambito del «soggettivo», sottolineandoil ruolo decisivo, in ciò, della nozione di Weltlichkeit. 62  « Dasein hat sich, sofern es ist, je schon auf eine begegnende “Welt” angewiesen, zu seinem Sein gehört Wesenhaft diese Angewiesenheit». (SZ , p.117 [165]).63  Appare significativo, in questo senso, il fatto che successivamente, in una nota a margine dello  Hüttenexemplar , Heidegger percepisca la necessitàdi emendare la propria affermazione relativa alla decisione di sé medesimo dell'esserci  nei confronti del mondo, precisando che l'essersi assegnatodell'esserci al mondo non va inteso come l'azione di un soggetto, in quanto riferibile a un io, bensì come l'estrinsecazione del rapporto che intercorrefra esserci ed essere. Il carattere di Angewiesenheit  si configura cioè, secondo questa annotazione, come l'assegnatezza, ovvero la destinazione, del

 Dasein al Sein : « Aber nicht als ichhafte Tathandlung eines Subjekts, vielmehr: Dasein und Sein ». (SZ , Anm. 117b).64  SZ , p. 115 [164]. Sul presupposto soggettivistico di questa configurazione pragmatico-utilitarista, si veda M. Ruggenini, Il soggetto e la tecnica, cit., parte I, cap. II , § 5. Come sottolinea G. Prauss, Erkennen und Handeln in Heideggers “Sein und Zeit”, Alber, Freiburg-München 1977, pp. 27-28,tale carattere di pragmaticità non va confuso, in Sein und Zeit , con un presunto primato della relazione «pratica» che l’ente esistente avrebbe conquello utilizzabile rispetto a quella «teoretica», che il medesimo intratterrebbe con l’ente con il sussistente: entrambe vanno ricondotte, infatti, al«prendersi cura» da parte dell’esistente. Secondo M. Sena, The Phenomenal Basis of Entities and the Manifestation of Being according to sections 15-

17 of Being and Time: On the Pragmatist Misunderstanding , «Heidegger studies», (11), 1995, p. 16, il «fraintendimento pragmatista» della relazioneche intercorre, in Sein und Zeit , fra l’ente esistente e quello utilizzabile si radicherebbe nell’aver sottaciuto il fatto che l’esserci non consiste inun’essenza, bensì in un «essere nel mondo», e che proprio il mondo (non l’«essenza umana») costituisce il termine ultimo del rinvio dell’«aver cura».Sul carattere prassistico ed etico (con riferimento alla connessione fra le nozioni greche di praxis, physys ed ethos) della costituzione d’esseredell’esistente, carattere che costituirebbe l’elemento comune a Sein und Zeit  e ai testi heideggeriani del periodo posteriore alla «svolta», si veda F.Chiereghin, Physis ed  ethos. La fenomenologia dell’agire in Heidegger , in La ricezione italiana di Heidegger,«Archivio di filosofia», LVII, (1-3),1989, pp. 448-449. Con una felice espressione, A. De Waelhens,  La philosophie de Martin Heidegger , Publications universitaires de Louvain-

 Nauwelaerts, Louvain-Paris 1969, p. 48, definisce la nozione heideggeriana di mondo in Sein und Zeit  come la «trascrizione oggettiva e il campounificato delle possibilità dell'esserci». In questo senso, M. Richir, Au-delà du renversement copernicien. La question de la phénoménologie et de son

 fondament , Nijhoff, La Haye 1976, p. 39 parla di «narcisismo relativo della visione»: l’esistente si ritrova in ogni ente nella misura in cui ogni entenon può essere che come appare all’esistente, e ogni apparire avviene soltanto per quest’ultimo. Per questo non condividiamo la tesi di M. Bartels,Selbstbewußtsein und Unbewußte. Studien zu Freud und Heidegger , De Gruyter, Berlin-New York 1976, pp. 148 sgg., che vede persistere, in Seinund Zeit , la contrapposizione fra soggetto e oggetto, in virtù della distinzione fra Selbst  e Welt , nella quale la seconda determinazione resterebbeesclusa dal riferimento a sé, costitutivo della prima: la struttura dualistica dello In-der-Welt-sein (e il soggettivismo che ne consegue), nella qualeSelbst  e Welt  si sovrappongono, non si esplica nella frattura tra queste due determinazioni, bensì in quella fra l’essere dell’esistente e quello dell’enteintramondano.65

 SZ , p. 116 [164]. Si veda, anche, il testo del corso di lezione del 1927: «[...] die Bewandtnisganzheit  [...] ist das Primäre, innerhalb dessenbestimmtes Seiendes als dieses so und so Seiende ist, wie es ist, und dementsprechend sich zeigt ». (GA XXIV , p. 233 [157]). Secondo P. Kontos, D'une phénoménologie de la perception chez Heidegger , cit., pp. 89-91, è il primato del carattere di presenza (che contraddirebbe la tesi dellatemporalizzazione estatica nelle tre dimensioni, nonché il primato della temporalità) a fondare (in Sein und Zeit  e, in misura ancora maggiore, neltesto delle lezioni del semestre estivo del 1927) il primato della mondità come strutura originaria.

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necessità, da parte di Heidegger, di «raddoppiare» l'istanza concettuale della Welt   istituendo, come sua strutturaontologica, la Weltlichkeit .

Si può, a questo punto, riprendere la questione relativa all’effettivo svilupparsi dell’indagine ontologico-fondamentale sul piano individuato dalla nozione ontologica di mondità. Nonostante l’assunzione, quale filo conduttore,del concetto di mondo nella sua valenza preontologico-esistentiva, in forza dello scenario disegnato dalla coppiaconcettuale  Bewandtnis-Bewandtnisganzheit, è infatti proprio il piano ontologico quello dove l’esserci si presenta sia

come «la connessione dei processi di rinvio a sé» (der Zusammenhang des Sichverweisens), sia (in quanto rinvio a sémedesimo) come il centro di tale connessione, ovvero come il «centro del mondo».66 Per questo Heidegger affermaesplicitamente che il fenomeno del mondo costituisce lo spazio nel quale l'ente intramondano può presentarsi secondo la

 propria costituzione d'essere, cioè nella sua condizione di destinazione, soltanto in quanto tale fenomeno si manifesta,riguardato dall'angolo visuale della determinazione ontologica di mondità, come identificantesi con la strutturaontologica dell'esserci.

Il mondo appare, infatti, come la tessitura ontica dei rapporti di rinvio che pongono capo all'esserci; ma ladeterminazione esistenziale della  mondità, che costituisce l'autentico corrispettivo (in quanto si pone sul medesimo

 piano, la dimensione ontologica) della nozione di  Bewandtnisganzheit , rappresenta la condizione trascendentale di possibilità di tale tessitura, il «rispetto a che» nel quale l'ente intramondano si mostra come rinvio all'esserci, equest'ultimo come rinvio a sé.

1.4. Il “soggettivismo” di Sein und Zeit : “carenza ontologica” dell’ente difforme dall’esserci, contingenza della suacondizione di «intramondanità» e carattere esistenziale della «significatività».

È, a questo punto, possibile rispondere alla domanda che chiede come si coniughi, nel quadro della riduzione dellaquestione dell’essere a quella della sua comprensione da parte dell’esistente, il presupposto relativo alla valenzarealistica dell’ente intramondano con la sua riconducibilità all’ente esistente. Il complesso semantico di «destinazione -totalità di destinazione» comporta l'assunzione della determinazione della mondità quale condizione ontologica dell'enteintramondano. Da ciò deriva il fatto che l'istanza ontologica dell'ente intramondano costituisca un'articolazione di quelladell'esserci; l'essere dell'ente intramondano non appartiene a questo stesso ente, ed esso non può mai essere «proprio»(eigen). L'ente intramondano non ha essere; perlomeno, non nello stesso senso in cui lo ha l'esserci. L'insieme degli entiintramondani è debitore del proprio essere al «progettare» ( Entwerfen)  dell'esserci. La fine della concatenazione dirinvii può infatti porsi come tale in quanto costituisce la finalità della concatenazione medesima. L'essere dell'ente

intramondano, in altri termini, risulta finalizzato a quello dell'esserci: nella struttura ontologica di quest'ultimo, quelladell'utilizzabile trova il proprio compimento. La dimensione categoriale, cioè l'istanza ontologica propria dell'esseredell'ente intramondano, appare perciò afflitta da una carenza irrimediabile: quella relativa alla sua carenza di essere. Perquesto, l'àmbito categoriale risulta determinato come una dimensione dipendente, ovvero derivata, rispetto all'ambitodell'esistenziale, che conferisce al primo la compiutezza ontologica. In questo senso, sono preziose le esplicitazioni e leaccentuazioni che provengono dal corso di lezione del semestre estivo del 1927, il testo del quale è stato pubblicato conil titolo di  Die Grundprobleme der Phänomenologie.67  Qui si ribadisce che la determinazione ontologica della Innerwel tlichkeit , riferibile all'ente caratterizzato dalla condizione di Vorhandenheit , gli pertiene soltanto nella misura incui esso viene scoperto da quest'ultimo.68 La «intramondanità» costituisce infatti, per l'ente difforme dall'esserci, «unadeterminazione possibile, non necessaria», che diviene reale soltanto nella scoperta, messa in atto dall'esserci. Ilconferimento di essere all'ente difforme dall'esistente avviene quando quest'ultimo diviene  innerweltlich. La sua realtàontologica risulta, in questo modo, né più né meno che dedotta  da quella dell'esserci: «l'intramondanità, in quanto

determinazione della natura, non le spetta necessariamente, dal momento che non possiamo addurre alcun motivo chedimostri con chiarezza l'esistenza necessaria dell'esserci. Ma se l'ente, che noi stessi siamo, esiste, se vi è un essere nel

66  SZ , p. 116 [164]. C. Sini,  Passare il segno. Semiotica, cosmologia, tecnica, Il Saggiatore, Milano 1981, pp. 22 sgg. mette in questionel’antropocentrismo di Sein und Zeit  contestando il primato ontologico attribuito, nell’opera del 1927, al concetto di rinvio rispetto a quello di segno, inforza del quale l’esistente r isulta come il centro della connessione di rinvii: occorre operare un «decentramento» dell’esistente in quanto il segno,sostiene Sini, non è una modalità di rinvio, bensì viceversa, e l’uomo stesso è un «segno». Cfr. anche C. Sini, Kinesis. Saggio di interpretazione,Spirali, Milano 1985, pp. 39 sgg.67  Come si vedrà, dopo la redazione di Sein und Zeit  (che vede la luce nella primavera del 1927) Heidegger sviluppa in senso soggettivistico-trascendentale alcuni aspetti della prospettiva dello Hauptbuch . Ciò avviene parallelamente al procedere del confronto con Kant: il corso dedicatoall'«interpretazione fenomenologica della Critica della ragion pura» risale al semestre del 1927-28; il corso del 1925-26, quello del 1927, nonchéquelli del 1928 e del 1928-29 contengono ampie e significative analisi della riflessione del pensatore di Königsberg; il Kantbuch viene pubblicato nel

1929, e nel 1930 viene dedicato a Kant un altro corso di lezione. Per testi come quelli relativi al corso di lezione del 1928 e del 1928-29, o a VomWesen des Grundes (1929), è possibile, riguardo alle questioni inerenti al fenomeno del mondo, rintracciare i segni di un'evoluzione, in sensosoggettivistico-trascendentale, della riflessione heideggeriana (cfr. infra, capp. 3.1 e 3.2); nel caso delle lezioni del 1927, invece, pare opportunolimitarsi a rilevare un'accentuazione di taluni elementi in questa medesima direzione.68  « Innerweltl ichkeit fällt diesem Seienden, der Natur, dann lediglich zu , wenn es als Seiendes entdeckt ist ». (GA XXIV , p. 240 [161]).

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mondo, è anche eo ipso  scoperto di fatto, in misura più o meno ampia, un ente in quanto intramondano».69 Ovvero:all'essere dell'ente difforme dall'esistente non appartiene, in senso proprio, l'essere.

 Nel carattere di contingenza attribuito alla nozione di intramondanità dell’ente difforme dall’esserci, la tesirelativa alla sua “carenza ontologica” si spiega attraverso quella che lo assume nella sua valenza realistica. È vero,infatti, che «all'essere della natura non appartiene l'intramondanità»,70  e che, essendo il carattere di intramondanità lacondizione perché l’ente difforme dall’esistente divenga accessibile a quest’ultimo (ovvero, accessibile tout court ), esso

è «in sé» inaccessibile; l’ente difforme dall’esserci, cioè, in quanto non esiste, non si dà come «in sé». Nondimeno,anche questo non esistere, anche questo non darsi è una forma (carente) di essere. In altri termini: al di fuori dellacondizione di intramondanità, per esso accessoria, l’ente difforme dall’esistente non è, non si dà, e nondimeno (in formacarente, appunto) esso è, cioè è reale.

La tesi relativa alla «carenza ontologica» dell'ente intramondano spiega anche il fatto che, in Sein und Zeit, leanalisi dedicate alla comprensione dell'ente intramondano, da parte dell'esistente, nella dimensione del Verfallen,appaiano sistematicamente sviluppate in misura maggiore di quanto non lo siano quelle tese a delineare, «in positivo», le caratteristiche del rapporto «proprio» (eigentlich) che dovrebbe intercorrere fra gli enti intramondani e l'uomo. Ilrapporto dell’esistente con l’ente intramondano non può, infatti, configurarsi come un rapporto ontologicamente«proprio» perché, di fronte all’esserci, non si dà un “essere” in senso proprio, cioè una realtà ontologicamente compiuta.Il rapporto fra esistente ed ente intramondano costituisce, in senso specifico, il fenomeno del mondo (non la strutturaesistenziale dell'essere nel mondo), il quale non risulta perciò tematizzato, in quanto tale, dalle analisi di Sein und Zeit .

Il fenomeno del mondo, nella sua dimensione preontologico-esistentiva (quella assunta come filo conduttoredell'analitica esistenziale), appare, infatti, esplicitamente posto come un'articolazione derivata della strutturaesistenziale: «Il mondo [...] è una determinazione dell’“essere nel mondo”, un momento della struttura del modod'essere dell'esserci».71 Heidegger medesimo prende in considerazione la possibile accusa, che può essere mossa alla

 propria posizione, relativa a una sua caduta nell'«idealismo soggettivo». Nella sua risposta Heidegger sostienel'illegittimità di caratterizzare come «soggettivo» il mondo considerandolo, secondo l'impostazione tradizionale, come

 pertinente alla «sfera interna» del soggetto; l'analitica esistenziale afferma infatti l'appartenenza del «soggetto» almondo, il suo «essere gettato» in esso, il suo «essere presso», fin da sempre, all'ente intramondano.72  Del resto, questaargomentazione, che esige l'accettazione dei presupposti dell'analisi heideggeriana (e che richiede, come Heideggerstesso ammette, «non tanto acume, quanto assenza di pregiudizi»), finisce per far risaltare la contiguità della posizionedi Heidegger con ciò che egli definisce come «idealismo». Di per sé l'accusa di idealismo, dichiara Heidegger, non vaconsiderata come screditante, anzi: «il terrore, oggi tanto comune, nei confronti dell'idealismo è, a ben vedere, il terroredi fronte alla filosofia».73 Questa valutazione dell'«idealismo» da parte di Heidegger all'epoca di Sein und Zeit  chiarisce

i limiti entro i quali la posizione dello  Hauptbuch  può essere considerata come «soggettivista», a motivo del rapportoche lega l'ente difforme dall'esistente a quest'ultimo: la peculiare forma del soggettivismo heideggeriano consiste, cioè,nella «carenza ontologica» che connota l'ente intramondano, in quanto determinato dal carattere della «destinazione».

In che cosa consiste la «carenza ontologica» dell'ente intramondano, che si esprime nel fatto che la monditàappare come la sua condizione ontologica, e non soltanto (come dichiara Heidegger) ontica? Il «debito ontologico» chel'ente intramondano contrae con l'esistente si configura come «mancanza di senso». Delineata, sul piano categoriale,dalla figura concettuale della destinazione, questa mancanza di senso trova riscontro e fondamento, sul piano

69  « Die Innerweltlichkeit muß als Bestimmung der Natur ihr nicht zufallen, sofern kein Grund beigeführt werden kann, der einsichtig macht, daß ein Dasein notwendig exisitiert. Wenn aber Seiendes, das wir selbst sind, existiert, d. h. wenn ein In-der-Welt-sein ist, dann ist eo ipso auch faktisch inmehr oder minder weitem Ausmaß Seiendes als innerweltliches entdeckt ». (GA XXIV , p. 240 [161]). Nei confronti dell'ente intramondano la strutturadell'essere nel mondo riveste perciò, nello  Hauptbuch e nelle lezioni del 1927, un carattere trascendentale, piuttosto che ermeneutico: così sostiene W.Biemel, Le concept de monde chez Heidegger, cit., pp. 32 sgg. Per contro, si vedano O. Pöggeler, Il cammino di pensiero di Martin Heidegger , cit.,

 pp. 85-87 e G. Vattimo, Essere, storia e linguaggio in Heidegger, Edizioni di Filosofia, Torino 1963, pp. 77 sgg.70  «[...] zum Sein der Natur gehört nicht Innerweltlichkeit ». (GA XXIV , p. 240 [161]).71  « Die Welt [...] ist eine Bestimmung des In-der-Welt-seins, ein Moment der Struktur der Seinsart des Daseins» (GA XXIV , p. 237 [159]). Riteniamonecessario sottolineare il legame, nello  Hauptbuch , fra la tesi relativa alla carenza d'essere dell'ente intramondano da un lato, e la mancatatematizzazione del fenomeno del mondo in quanto tale dall'altro; tale fenomeno viene colto, in Sein und Zeit , soltanto nel suo manifestarsi nellastruttura dell'essere del mondo, e per questo l’ente difforme dall’esserci appare come una realtà ontologicamente carente, in quanto priva di senso. Daun lato, K. Held, Die Welt und die Dinge, in M. Heidegger. Kunst-Politik-Technik , hrsg. von C. Jamme - K. Harris, eingel. von O. Pöggeler, Fink,München 1992, pp. 326-328 sottolinea, in Sein und Zeit , una lacunosa tematizzazione del rapporto fra il mondo e le cose. D’altro canto, E. Fink, DasSpiel als Weltsymbol , Kohlhammer, Stuttgart 1960,; trad. it. di N. Antuono, Il gioco come simbolo del mondo, Lerici, Roma 1969, pp. 55-56 insistesulla perdita, nello Hauptbuch , della dimensione cosmologica dell’istanza del mondo. Proprio per la sua riduzione a struttura dell’esistente, l’operadel 1927 non pone la questione del mondo (e dell’essere) in quanto tale, cioè in quanto differente dall’ente: M. Ruggenini, I fenomeni e le parole, cit.,

 p. 105.  Sull'«acosmismo», in questo senso, della posizione heideggeriana, si veda anche R. Brisart,  La phénoménologie de Marbourg ou larésurgence métaphysique à l'epoque de Sein und Zeit, Facultés universitaires Saint-Louis, Bruxelles 1991, pp. 152-153.72  GA XXIV , p. 239 [160-161].73  GA XXIV , p. 238 [160]. Queste affermazioni riprendono ed esplicitano quelle che, nello Hauptbuch, riconoscono all'«idealismo» il merito di aversostenuto la tesi dell'irriducibilità «trascendentale» dell'essere all'ente: SZ , p. 275 [321] (cfr.  supra, cap. 1.1). Per questo, secondo la definizione di E.

Levinas, En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger , Vrin, Paris 1974, p. 96, Sein und Zeit  (e, più in generale, la fenomenologia)realizzerebbe il paradosso di un «idealismo senza ragione»: il primato dell’esistente si coniuga (in virtù della figura della Geworfenheit ) con lamancanza, per esso, dello strumento - la ragione - che permette il dominio di sé. Manca, cioè, l’autotrasparenza e, conseguentemente, la trasparenzadel mondo. In questo punto Levinas scorge il riapparire, in Heidegger, del tema tradizionale del realismo: il mondo acquisisce un senso grazieall’uomo, ma l’uomo non gode, nell’integralità del suo esistere, di senso.

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esistenziale, nella determinazione che articola la struttura ontologica della mondità: la «significatività» ( Bedeutsamkeit ),che rappresenta la «struttura fondamentale della mondità».74 Il senso, cioè la direzionalità, della destinazione dell'enteintramondano costituisce il suo significato. Definendo come «significare» ( Be-deuten) il carattere di rapporto del rinvio,la nozione di «significatività» ( Bedeutsamkeit ) indica, infatti, la totalità della struttura di significazione, ovvero latotalità di questa dinamica di rinvio, che ha al suo centro l'esserci; quest'ultimo appare come il «datore di senso»dell'ente intramondano, in quanto conferisce la direzionalità alla struttura di rinvio all'interno della quale tale ente è

inserito. É chiarificante, a questo proposito, il rapporto che, nella riflessione heideggeriana, la nozione di significativitàintrattiene, anche prima di Sein und Zeit, con la nozione di mondo. Nel corso di lezione del 1923, la configurazionedella Bedeutsamkeit rappresenta tanto l'«oggetto», quanto la modalità di quel modo d'essere dell'esserci che è l'incontro,ovvero del mondo.75  In modo ancor più esplicito, nel senso della caratterizzazione soggettivistico-esistenziale, lanozione di  Bedeutsamkeit  è, nelle lezioni del semestre 1921-22, in quanto «categoriale del mondo», ciò di cui vivendo«ci si prende cura, ciò a cui il prendersi cura come tale si attiene».76 Muovendo da queste premesse, la stessa strutturaontologica del mondo, cioè la Weltlichkeit , va interpretata, nell'opera del 1927, come la «totalità di rinvio»(Verweisungsganze) della  significatività.77  In questo senso, Heidegger afferma che  l'esserci  costituisce la condizioneontica  di possibilità  di scopribilità dell'ente intramondano, laddove la significatività costituisce il presuppostoontologico muovendo dal quale si apre la possibilità del rinvio della significazione. Come sostiene Heidegger, lasignificatività si pone come la condizione ontologica della possibilità dei significati, i quali, a loro volta, fondano «il

 possibile essere di parola e linguaggio».78  La caratteristica della  significatività, di essere il «che cosa» e il «come»

dell'incontro che avviene «nel» mondo, rinvia al fatto che quest'ultimo è, al contempo, l'incontrante e l'incontrato. Più

74  GA XX, p. 272 [245]. Analogamente al ruolo giocato dalla determinazione della  Bewandtnisganzheit  nei confronti di quella della Bewandtnis, lafigura della Bedeutsamkeit  si identifica con il senso, concepito come la totalità di rinvio dei significati, che peraltro la trascende, fondandola: A.Masullo, Filosofie del soggetto e diritto del senso , cit., pp. 156-157. Il mondo risulta, per questa via, come la strutturazione a priori del senso: M.Ruggenini, Il soggetto e la tecnica, cit., p. 52. Per questo non condividiamo la tesi di B. Rioux , L’être et la verité chez Heidegger et Saint Thomasd’Aquin , prèf. par P. Ricoeur, PUF, Paris 1963, pp. 23-24, che sostiene il contrapporsi di idealismo trascendentale da un lato, e Heidegger e laScolastica dall’altro, in virtù del fatto che, laddove il primo prevederebbe una donazione di senso alle cose, strutturandole secondo le esigenzecategoriali del soggetto, la prospettiva dei secondi rimarrebbe invece incentrata sull’ente, mirando a renderne possibile l’apparizione. In realtà, questaseconda operazione si concreta appunto, in Sein und Zeit , attraverso una donazione di senso a ciò che, di per sé, senso non ha. Secondo P. Thomas,Selbst - Natur - sein. Leibphänomenologie als Naturphilosophie , Akademie Verlag, Berlin 1996, pp. 76-77, questo «altro dal senso», cioè questo«altro dalla significativ ità», è la natura, istanza che l’ontologia fondamentale, in virtù della propria caratterizzazione trascendentale, non può cogliere(cfr. anche ibidem , pp. 93-94) 75  «[...] Welt ist was begegnet. Das Als-was und Wie des Begegnens ist in dem beschlossen, was als Bedeutsamkeitbezeichnet wird ». (GA  LXIII , p. 86[84]). In questo corso, la nozione disvelativa di verità si fonda sul carattere ancipite (al contempo, «attivo» e «passivo») dell'incontro: T. Kisiel, The

Genesis of Heidegger's Being and Time, cit., pp. 329-330. Da qui le oscillazioni semantiche e, quasi, l'interscambiabilità dei concetti ( Erschlossenheit  ed Entdecktheit ) riguardanti il carattere di apertura scoprente dell'esserci e quello di essere scoperto dell'ente difforme da esso fra il corso del 1925 eSein und Zeit : cfr. infra, cap. 2.3.2.76  «Worauf und warum das Sorgen ist, woran es sich hält, ist zu bestimmen als Bedeutsamkeit. Bedeutsamkeit ist eine kategoriale Determination vonWelt ». (GA LXI , p. 90 [122]). La nozione di significatività rappresenta lo strumento attraverso il quale, in Sein und Zeit , la determinazione di mondomette in opera la «tecnica di riconduzione all'esserci» della realtà effettiva, che domina l'opera del 1927: D. Thomä,  Die Zeit des Selbst und die Zeitdanach, cit., pp. 258-259. Di diverso avviso è V. Vitiello,  Dialettica ed ermeneutica: Hegel e Heidegger , Guida, Napoli 1979, pp. 194 sgg., il quale,muovendo dalla critica heideggeriana alla concezione cartesiana dell’autoevidenza del soggetto, nega l’esistenza, nello  Hauptbuch , di una«prospettiva soggettivista». Il peculiare “soggettivismo” dello Hauptbuch  consiste, a nostro parere, nel fatto che l’esserci si si collochi al centro dellastruttura di rinvio designata dalla coppia concettuale Bewandtnis-Bewandtnisganzheit  (cfr. supra , § 1.3), e nel fatto che ciò accada in virtù della“carenza ontologica” dell’ente difforme dall’esserci. A favore di questa tesi sta peraltro il fatto che, oltre che dal punto di vista teorico, il fenomenodella  Bedeutsamkeit   costituisce la radice di quello di Welt , presentato in Sein und Zeit , anche da quello storico: C. Lafont, Sprache undWelterschließung. Zur linguistischen Wende der Hermeneutik Heideggers, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1994, p. 54. L'interprete rileva comel'introduzione (nel Kriegsnotsemester  del 1919: M. Heidegger, Zur Bestimmung der Philosophie, in Gesamtausgabe, Bde. 56/57, hrsg. von B.Heimbüchel, Klostermann, Frankfurt a. M. 1987, pp. 72-73) del neologismo «welten» («farsi mondo», coniato da Heidegger per indicare ilfenomenizzarsi del mondo negli enti, anziché la somma delle loro sussistenze) avvenga nel contesto dell'analisi del «significativo», concepito come la

dimensione originaria dell' Erlebnis , precedente l'esperienza dei significati dei singoli oggetti . L'attribuzione della significatività all'esserci, quale sua«prestazione», rischia di oscurare il carattere di assegnatezza di quest'ultimo, riproducendo un rapporto di tipo intenzionale fra l'esserci e il mondo(ibid., p. 67). Sull'origine della nozione di Bedeutsamkeit (intesa come Bedeutsamkeitbekümmerung , cioè il prendersi cura del mondo da partedell'uomo) nel concetto di faktische Lebenserfahrung , si veda C. Jamme, Heideggers frühe Begründung der Hermeneutik , «Dilthey-Jahrbuch», (IV),1986-87, p. 79.77  SZ , p. 164 [211]. Giustamente F. K. Blust, Selbstheit und Zeitlichkeit. Heideggers neuer Denkansatz zur Seinsbestimmung des Ich, Königshausenund Neumann, Würzburg 1987, pp. 112-113, proprio in virtù del ruolo dell’istanza della Bedeutsamkeit  in Sein und Zeit  (nonché nelle lezioni del1925, che ne contengono le parti fondamentali, e in quelle del 1927), sottolinea il carattere ontico del concetto di mondo nello  Hauptbuch,rilevandone l’insufficienza nei confronti del fenomeno del mondo in quanto tale, anche in considerazione dell’evoluzione, immediatamentesuccessiva (nelle lezioni del semestre estivo del 1928), della riflessione heideggeriana.78  «[...] das mögliche Sein von Wort und Sprache». (SZ , p. 117 [165]). Per questo, contro P. Vandevelde, Etre et discours. La question du languagedans l'itinéraire de Heidegger (1927-1938), Académie royale de Belgique, Bruxelles 1994, pp. 31-34, non si può sostenere che Sein und Zeit sicollochi appieno, al pari di altre opere successive, nella prospettiva della « discursivité generalisée». Benché, come sottolinea F. W. von Herrmann,Weg und Methode zur hermeneutischen Phänomenologie des seinsgeschichtlichen Denkens, Klostermann, Frankfurt a. M. 1990, p. 19, «progetto» ed«essere gettato» si offrano alla comprensione attraverso  il linguaggio, e benché la determinazione della Rede  sia posta come più originaria di quelladella Sprache (SZ , p. 537 [579]), la dimensione linguistica appare, nello Hauptbuch , derivativa rispetto sia a quella del progetto, sia a quella della

significatività. Ciò accade a causa del primato conferito, qui, all'esistenziale della comprensione, che si colloca in una dimensione che fa a meno deldiscorso: M. Ruggenini, Il discorso dell'altro , Il Saggiatore, Milano 1996, pp. 131-133. Si veda, al proposito, anche D. O. Dahlström, Kunst undWeltweisheit , in Martin Heidegger. Kunst-Polit ik-Technik , cit., p. 52. La consustanzialità di Weltverstehen e Sprache (sottolineata da K. O. Apel, DasVerstehen. Eine Problemgeschichte als Begriffsgeschichte, «Archiv für Begriffsgeschichte», II, 1955, p. 198) si colloca, dunque, in una prospettiva

 posteriore a quella di Sein und Zeit .

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 precisamente: il mondo è ciò che «si mostra a partire da se stesso come ciò che incontra (von sich her als das Begegnende sich zeigt )», e la mondità è, in quanto carattere d'essere del mondo, la struttura dell'incontro.79 

É questo il momento in cui si verifica la duplicazione ontologica della nozione di Welt  in quella di Weltlichkeit ,alla quale ultima si sovrappone, in quanto essa pure «struttura d'incontro», la   Bedeutsamkeit .80  Va ricordato che,secondo le affermazioni di Heidegger, il fenomeno della significatività afferisce non alla valenza preontologico-esistentiva del concetto di Welt , bensì alla struttura che ne costituisce il «raddoppiamento» sul piano ontologico, cioè

alla Weltlichkeit . Ciò significa, appunto, che il fenomeno della significatività si pone, in quanto esistenziale, nonsoltanto come condizione di possibilità di ciò che viene incontrato «nel» mondo (ovvero, di ciò che l'esserci  progetta, edel «luogo» dove l'esserci è gettato), ma si qualifica, oltre a ciò, come condizione di possibilità dell'incontro medesimo,cioè del mondo, ovvero del progettare e dell'esser gettato in quanto tali.

La sovrapposizione delle determinazioni di «mondità» e «significatività» fonda il rapporto fra esistente ed enteintramondano determinato dal carattere di «destinazione» di quest'ultimo, ne chiarisce la «carenza ontologica», e

 precisa il senso in cui questo rapporto può esser definito come “soggettivista”.  Il carattere “soggettivista” della struttura dell '«essere nel mondo» non consiste nel fatto che l'ente soggetto, in quanto condizione di possibilitàontologica del'ente oggetto, ne «produca» l'essere; piuttosto, nel fatto che l'istanza ontologica è carente sul versante diuno dei due poli (l'àmbito esistenziale e quello categoriale, cioè l'esistente e il sussistente), la distinzione fra i qualicostituisce l'elemento concettuale decisivo che caratterizza la struttura dell’«essere nel mondo». Tale carenzadetermina la riconducibilità dell'essere dell'ente sussistente, proprio in quanto ontologicamente carente, all'esistente;

questa riconducibilità consiste, appunto, nella necessità, perché accada un «mondo» (perché abbia luogo, cioè,l'articolazione dell'«essere nel mondo»), che l'esistente attribuisca un «significato». Ciò non esclude che, «in qualchemodo», l'ente  sia, tanto quando esso si manifesti nella forma della sussistenza, quanto quando lo faccia in quelladell'utilizzabilità; l'ente, in quanto intramondano, è, cioè è reale, ma nel modo della carenza, rispetto a quando esso simanifesta come esistente. La realtà  dell’ente (è questo il nocciolo della presupposizione realista che lo riguarda)difforme dall’esistente è la sua carenza d’essere. Il carattere soggettivista della prospettiva di Sein und Zeit   noncomporta perciò la tesi relativa alla nullità, cioè alla “ni-entità” dell'ente intramondano (l'ente sussistente-utilizzabile è,appunto, un ente, non un «non ente»), bensì quella della carenza del medesimo, che si esprime nel suo «esseredestinato» all'esistente, in quanto fondato nell’articolazione esistenziale della «significatività»: il sussistente manca disignificato, che esso riceve dall'esistente. Il sussistente-utilizzabile è dunque qualcosa che, in quanto tale, permane comeun nocciolo opaco nei confronti della connessione di rinvii (la «totalità di destinazione»:  Bewandtnisganzhei t ) cheintessono la trama della significatività: il soggettivismo di Sein und Zeit   si declina, dunque, attraverso un presuppostorealistico, riproponendo una prospettiva dove il significato del mondo dell'esserci consiste nella molteplicità dei

significati che quest'ultimo attribuisce all'ente difforme da sé. Il carattere trascendentale di questo rapporto consiste nelfatto che la significatività si pone, nei testi appena richiamati, come la condizione di possibilità dei significati, e questi,a loro volta, di linguaggio e parola.

Questa relazione appare, nella riflessione heideggeriana, lungi dall'essere stabilita una volta per tutte.Sensibilmente diverso appare infatti l'accento nel corso del 1925 (la cui «parte principale» costituisce una prima stesuradi Sein und Zeit ), dove è l'espressività ( Ausdrücklichkeit ), ovvero il linguaggio, a fondare il mondo, anziché viceversa:«noi non vediamo tanto primariamente e originariamente gli oggetti e le cose, quanto, anzitutto, parliamo riguardo aessi; più precisamente, non esprimiamo ciò che vediamo, ma viceversa vediamo ciò che si dice riguardo alle cose».81 La

79  GA XX , p. 228 [205-206]. Tanto la determinazione del mondo, quanto quella della mondità appartengono, in questo contesto, al versantedell’articolazione esistenziale; per questo non si può sostenere che essi rappresentino l’uno il nulla dell’altro in un rapporto di «differenzaontologica», e che già in Sein und Zeit  in ciò riposi, effettuato il superamento dell’impostazione trascendentale, il pari grado di «soggettività» e di«oggettività» attribuibili sia al mondo, sia all’esserci (così V. Vitiello, Heidegger: il nulla e la fondazione della storici tà , cit., pp. 382-384).80  GA XX , p. 274 [246]. A questo proposito, F.-W. von Herrmann, Subjekt und Dasein. Interpretationen zu «Sein und Zeit» , 2. stark. erw. Aufl.,Klostermann, Frankfurt a. M. 1985, pp. 60-61, nega recisamente che, in Sein und Zeit , il carattere esistenziale del fenomeno del mondo (così comeesso viene in luce nell’apertura della significatività) comporti una sua soggettivizzazione, come sarebbe nel caso in cui la nozione di Welt  coincidessecon quella di Existenz. Così tuttavia non è, argomenta l'interprete, poiché «Welt » non è una determinazione esistenziale nello stesso senso in cui losono «progetto» ( Entwurf ), «esser gettato» (Geworfenheit ) ed «essere presso prendendosi cura» (besorgendes Sein -bei). La nozione diWelt  andrebbe

 piuttosto identi ficata con quella di  Bedeutsamkeit , e l'essere aperto di quest'ultima (ovvero del mondo, nel quale l'esserci è gettato, e che essomedesimo apre progettando) secondo von Herrmann non va confuso con l'essere aperto dell'esserci, che viene invece fondato dall'«esser gettato» e dal«progettare» che, in quanto tali, costituiscono attributi dell'istanza mondo-significatività, non dell'esistente. Contro questa lettura, crediamo occorrasottolineare che è l'appartenenza del binomio mondo-significatività all’àmbito esistenziale a fare di esso un'articolazione dell'esistente. Negando chela  Erschlossenheit   sia una proprietà dell'esserci, qui l'interprete la identifica (al pari della  Lichtung , della Wahrheit des Seins, di aletheia  eUnverborgenheit ) con l'essenza dell'essere, istituendo, per questo verso, una rigorosa continuità fra Sein und Zeit  e gli scritti heideggeriani posteriori(ibid., pp. 79 -80). Secondo von Herrmann (si veda, anche, F.-W. Von Herrmann, Die Selbstinterpretation Martin Heideggers, Hein, Meisenheim amGlan 1964, cap. III 2a-2b) il concetto esistenziale di mondo presentato in Sein und Zeit  sarebbe soltanto «uno degli aspetti» del fenomeno del mondo,l’evolversi della comprensione del quale (con il passaggio dal concetto di mondo «esistenzial-trascendentale» a quello «cosmologico-esistenziale»)costituirebbe una decisiva chiave di lettura della Kehre. Per una critica (per certi versi, troppo sbrigativa) dell’interpretazione di von Herrmann, siveda E. Fräntzki, Daseinsontologie, cit., § 16, che sottolinea come la prospettiva di Sein und Zeit, a differenza degli scritti posteriori, sia comunque

incentrata sull’esistente.81  «Wir sehen nicht so sehr primär und ursprünglich die Gegenstände und Dinge, sondern zunächst sprechen wir darüber, genauer sprechen wir nichtdas aus, was wir sehen, sondern umgekehrt, wir sehen, was man über die Sache spricht » (GA XX , p. 75 [70]). Ribadendo la «connessione essenziale»fra Welt e Rede, in queste lezioni il legame fra la seconda determinazione e la Bedeutsamkeit oltrepassa la dimensione della mera espressione verbaledi significati dati come precostituiti: GA XX, p. 275 [248]. Del resto , anche in Sein und Zeit  si afferma la cooriginarietà di Befindlichkeit ,Verstehen e

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tesi che, nel testo pubblicato di Sein und Zeit , pone la  Bedeutsamkei t  quale condizione di possibilità dei significati, ecolloca altresì questi ultimi a fondamento di linguaggio e parola, risulta, inoltre, recisamente smentita da un'annotazionedello  Hüttenexemplar , che nega che il linguaggio vada concepito come una sorta di epifenomeno, cioè come una

 produzione ulteriore rispetto al piano della significatività: esso costituisce, al contrario, «l'essenza originaria della veritàin quanto “ Da”», cioè in quanto apertura dell'essere nel  Da-Sein.82 Rispetto al testo pubblicato nel 1927, sia il testodelle lezioni del 1925, sia la  Randbemerkung   rovesciano i termini del rapporto tra significato e linguaggio. Questo

rovesciamento comporta un indebolimento dell'impostazione trascendentale: la ridefinizione (a partire dalla tesi relativaalla dimensione linguistica dell'apertura dell'essere) della relazione fra linguaggio e significato comporta, in altritermini, una ridefinizione anzitutto del rapporto di fondazione trascendentale intercorrente fra esistente ed enteintramondano e, in secondo luogo, di quello che legafra l'istanza ontologica (alla quale soltanto l'esistente ha accessonella sua pienezza) all’istanza ontica, così come esso è delineato dal testo a stampa dell'opera del 1927. Quil'impostazione trascendentale dà perciò luogo a un rapporto di fondazione ambivalente: esso si esprime non soltanto nellegame fra il livello ontico e quello ontologico, ma anche nel rapporto intercorrente fra ente esistente ed enteintramondano.

Sul piano della fondazione ontica la condizione di possibilità di accesso all'ente intramondano è rappresentatainfatti in Sein und Zeit, come afferma Heidegger, dall'esserci.83 Oltre a ciò, tuttavia, la carenza di essere, dalla qualel'ente intramondano appare affetto, deriva dal fatto che esso rinvia, in forza della configurazione ontologica dell'esserenel mondo, all'articolazione ontologica dell'esserci e, più precisamente, alla determinazione della mondità. Essa appare

 perciò, nell'opera del 1927, come l'autentico perno della dinamica di fondazione: l'istanza della mondità, e non lavalenza preontologico-esistentiva del concetto di Welt , giustifica  (a prezzo della contiguità con ciò che Heideggerdefinisce come «idealismo») la possibilità di ricondurre l'essere dell'ente difforme dall'esistente a quest'ultimo , e diconsiderare così risolto alla radice (attra verso la sua reimpostazione, attuata dalla determinazione dell'«essere nelmondo») il problema gnoseologico relativo alla realtà del «mondo esterno».

Occorre, a questo punto, domandarsi come nasca il progetto di ontologia fondamentale che, sulla base delladistinzione fra l'ambito dell'esistente e quello del sussistente, rappresenta il tentativo di dar conto dell'essere partendodalla questione dell'essere dell'esserci. In altri termini: in che modo e perché la questione dell'essere viene affrontata a

 partire da quella dell'uomo, nel suo rapporto con l'ente ontologicamente difforme da esso e in quello con il proprioessere? L'analisi heideggeriana dedicata, in Sein und Zeit , al fenomeno della verità dà una risposta a questa domanda,chiarendo come la stessa struttura dell'«essere nel mondo» venga pensata, in Sein und Zeit, a partire dall'assunzione

 preliminare di una determinata nozione di verità.

 Rede  (SZ , p 213[260]), senza che, tuttavia, questo esistenziale venga espressamente riferito alla struttura fondamentale della cura. Non concordiamocon il parere di F.-W. von Herrmann,  Die Selbstinterpretation Martin Heideggers, c it., pp. 182-183, secondo il quale tale aspetto non sarebbecomunque decisivo, in quanto l’esistenziale del «progetto» ( Entwurf ) sarebbe, già di per sé, discorso e, dunque, cooriginario all’apertura dell’esserci.82  SZ , Anm. 117c. Nella posteriore prospettiva alla quale fa riferimento l'annotazione, l'apertura, ovvero  il linguaggio, diventa un evento dell'essere,non il frutto dell' Entwerfen dell'esserci. Ponendosi dal punto di vista di Sein und Zeit , questo stesso progettare acquisirebbe una connotazionelinguistica peraltro assente nell'opera del 1927: G. Vattimo, Essere, stor ia e l inguaggio in Heidegger , cit., pp. 113-114 sgg. All'epoca di Sein und Zeit ,

invece, linguaggio e discorso costituiscono i gradini più bassi della potenzialità manifestativa del logos; di qui quello che nell'opera del 1927costituisce un obiettivo per Heidegger primario (cfr. infra, cap. 2.1), quello di mostrare che Aristotele determina l'asserzione mediante la verità,anziché viceversa: cfr. F. Chiereghin, Essere e verità. Note a Logik. Die Frage nach der Wahrheit di M. Heidegger , Pubblicazioni di Verifiche, Trento1984, pp. 81-83.83  SZ , p. 117 [165].

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CAPITOLO SECONDO. MONDO E VERITA' IN SEIN UND ZEIT : ADAEQUATIO  EUNVERBORGENHEIT .

Da questo modo di argomentare di Aristotele appare con evidenzache non è secondo il suo pensiero affermare che la verità e lafalsità delle proposizioni siano delle qualità delle proposizioni cheineriscano a esse.Guglielmo di Ockham, Summa logicae, 43.

2.1. «Essere nel mondo» e verità: l’interpretazione «derivativa» («adequativa») e quella «originaria» («disvelativa») delfenomeno della verità.

«Fin dai tempi più antichi la filosofia ha congiunto verità ed essere»; così esordisce Heidegger, nel paragrafo 44 di Seinund Zeit , dedicato al rapporto fra «esserci, apertura e verità».84 Del resto, soggiunge Heidegger, se il problema dellaverità gode di questa «connessione originaria» con quello dell'essere, esso rientra fra le questioni inerenti l'«ontologiafondamentale»; anche se in modo non esplicito, la trattazione svolta fino a questo punto, relativa alla costituzioned'essere dell'esistente ha, dunque, a che vedere con il fenomeno della verità.85  Viene così introdotto il tema della«originaria» relazione tra il fenomeno dell'«essere nel mondo» e quello della verità, che Heidegger intende far emergeredall'esame dei fondamenti ontologici del concetto «tradizionale» di verità. Di quest'ultimo va chiarita la «provenienza»

( Abkünftigkeit ); in base a ciò, può essere definito il carattere ontologico della verità, ovvero il fatto che essa «c'è».La nozione tradizionale di verità si compendia, sostiene Heidegger, in tre tesi. Esse affermano, rispettivamente:che il luogo della verità è il giudizio, ovvero l'«asserzione» ( Aussage); che l'essenza della verità consiste nella«concordanza» (Übereinstimmung ) del giudizio con l'oggetto al quale essa si riferisce; che tale essenza è stata cosìdeterminata da Aristotele.86  L'argomentazione heideggeriana mira a mostrare che la tesi tradizionale - che fa consisterela verità nella concordanza fra il «contenuto ideale» del giudizio (che è un «ente ideale»: ideales Seiende), cioè larappresentazione intellettiva da un lato, e l'oggetto al quale esso si riferisce (cioè un ente reale in quanto sussistente:reales Vorhandenes) dall'altro -87  rinvia, quale suo presupposto, alla funzione scoprente dell'asserzione: cheun'asserzione sia vera significa che essa scopre (entdeckt ) l'ente in questione.88 La verità non consiste, dunque, in unaconcordanza tra il conoscere e l'oggetto, concepita come una presunta «adequazione» (Angleichung ) dell'ente soggetto aquello oggetto.89 L'«essere vero» dell'asserzione, cioè la sua verità, va invece inteso, sostiene Heidegger, come il suo

84  SZ, p. 282 [327] .85  SZ, p. 283 [328]. Cf r. M. Bonola, Verità e interpretazione nello Heidegger di Sein und Zeit, Edizioni di Filosofia, Torino 1983, p. 39. Sul

 passaggio, in Sein und Zeit , dalla considerazione della verità come concetto a quella della verità come fenomeno, si veda J. Greisch, Ontologie et

temporalité , cit., pp. 248, 251.86  SZ , p. 284 [329].87  SZ, p. 287 [332].88  SZ , p. 289 [334]. C. G. Gethmann,  La concezione della verità nello Heidegger di Marburgo, ora in Martin Heidegger. Ontologia, fenomenologia,

verità, cit., p. 340, ritiene che Heidegger, in questo modo, prenda le mosse dal sottoscrivere la concezione intuitivo-conformativa della veritàpropria

di Husserl, intendendo poi radicare l'intuizione nell'apertura dell’esistente al mondo.89  «Wahrsein  (Wahrheit) der Aussage muß verstanden werden als entdeckend-sein . Wahrheit hat also gar nicht die Struktur einer Übereinstimmung

 zwischen Erkennen und Gegenstand im Sinne einer Angleichung einer Seienden (Subjekt) an ein anderes (Objekt)» (SZ , p. 289 [334]). Traduciamo il

sostant ivo tedesco Angleichung  attraverso la forma italiana antiquata di «adequazione» (così come il verbo sich angleichen con «adequarsi») per

richiamare il senso primitivo (che proviene dal latino adaequatio, del quale Angleichung  costituisce, come attesta il Grimms Deutsches Worterbuch,

un calco, nonché dal greco omoiosis, come Heidegger medesimo afferma: GA XXI , p. 167 [112]) dell'identificazione fra i due termini di una relazione(in questo caso, fra il significato di un'asserzione e la realtà cosale alla quale essa si riferisce): «La verità è un'adequazione o vero quadrazione dello

intelletto alla cosa overo della cosa allo intelletto, cioè quando la cosa creduta e lo intelletto credente sono simili e concordonsi insieme» (G.

Savonarola,  Prediche ita liane ai fiorentini, vol. III, a cura di R. Palmarocchi, Firenze 1933, p. 489). Useremo, invece, la forma «adeguazione» per

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«essere scoprente». Ciò implica, afferma Heidegger, che il fondamento ontologico dell'esser vero sia costituitodall'«essere nel mondo»: è infatti questa la struttura ontologica che permette all'asserzione di essere scoprente, cioè di«lasciar vedere l'ente [...] nel suo non esser nascosto, cioè nel suo essere scoperto».90 L'approccio dell'analiticaesistenziale nello  Hauptbuch   intende configurarsi, almeno se si presta fede ai suoi intenti dichiarati, come lariconduzione del fenomeno della verità a quello dell’«essere nel mondo», e non viceversa.91 Il fenomeno della verità, inquanto pensato a partire da quello dell'«essere nel mondo», appare, dunque, come un'articolazione ontologicamente

derivativa dell’esserci. Per questo, Heidegger definisce le analisi del paragrafo 69 di Sein und Zeit   (che tematizza la«temporalità dell'essere nel mondo e il problema della trascendenza nel mondo») come una preparazione per chiarire, «a

 partire dalla temporalità dell'esistenza, il senso dell'essere e la “connessione” tra essere e verità»; viene con ciòimplicitamente dichiarato che non la connessione fra essere e verità, bensì quella tra esserci e verità è stato il tema delleanalisi (alle quali, in questa sede, Heidegger rinvia) fino a quel punto svolte nel paragrafo 44, dedicato, appunto, a«Esserci, apertura, verità».92 

La tesi secondo la quale il fondamento ontologico dell’«esser vero» consiste nell’«essere scoperto» dell’enterappresenta, dichiara Heidegger, l'«interpretazione necessaria» (notwendige  Interpretation) di ciò che già la filosofiaantica, a cominciare da Parmenide, Eraclito e Aristotele, aveva compreso, pur se su un piano «prefenomenologico». 93 Ilriferimento alla posizione di Parmenide è chiarificante. Heidegger sottolinea che, nella nozione parmenidea di aletheia,la verità, intesa come l'«esser scoperto» dell'ente, rappresenta un «furto» ( Raub), una «preda», in quanto essa devevenir «strappata con la lotta» all'ente medesimo, il quale viene «rapito» dallo stato di nascondimento.94 Nell'opera del

1927, l'uomo giunge alla verità, che l'ente gli nega, anzitutto in virtù della propria iniziativa; per questo si ribadisce,inoltre, che l'ente può essere scoperto soltanto in conseguenza del fatto che (e soltanto fino al momento in cui) l'esserciesiste.95 Dal momento che la verità consiste nel «non essere nascosto» (Unverborgenheit ), cioè nell'«essere scoperto»( Entdecktheit ) dell'ente, e poiché «lo scoprire è un modo d'essere dell'essere nel mondo»,96  l'«essere nel mondo»rappresenta il luogo originario della verità. Se la nozione di aletheia indica, argomenta Heidegger, proprio la condizionedi «non nascondimento» (ovvero, la condizione di «essere scoperto», che viene resa possibile dalla struttura esistenzialedell'«essere nel mondo»), il logos, nella sua dimensione «apofantica», cioè scoprente, rappresenta la funzioneontologica in cui si articola lo scoprimento veritativo. Per questo, «il non essere nascosto, cioè la aletheia, appartiene allogos».97 

Questa affermazione heideggeriana va intesa come il compendio delle più ampie analisi (che vedono comecentrale, per questo aspetto, la discussione con Aristotele) sviluppate nei corsi di lezione marburghesi degli anni

 precedenti la pubblicazione dello  Hauptbuch.  Il corso del semestre invernale del 1923-24 (il testo del quale è stato

tradurre il termine Angemessenheit , parimenti pertinente all’interpretazione derivativa del fenomeno della verità: «Strenge ist demnach ein bestimmter

Charakter der Aneignung der Gegestandsangemessenheit der Erkenntnis. Diese Angemessenheit der Erkenntnis ist in der scholastischen Definition

von Wahrheit erfaßt: Adaequatio intellectus ad rem » (M. Heidegger, Einleitung in die Philosophie, in Gesamtausgabe, Bd. 27, hrsg von O. Saame u.

I. Saame-Speidel, Klostermann, Frankfurt a. M. 1996, pp. 44-45).90  «Seiendes [...] in seiner Unverborgenheit (Entdecktheit) sehen lassen» (SZ , p. 290 [335]). In questo modo, la questione della validità oggettiva della

conoscenza risulta ricondotta e subordinata (anziché identificata, come accade in Kant) alla questione della costituzione di senso (rappresentata, nello

 Hauptbuch , dalla struttura dell’«essere nel mondo») che accade come momento della storia dell’essere: K. O. Apel, Costituzione del senso e

 giustificazione di validità. Heidegger e il problema della fi losofia trascendentale, in Heidegger in discussione , a cura di F. Bianco, Angeli, Milano

1992, pp. 148-149.91  Diversamente E. Fink, Welt und Geschichte, ora in Nähe und Distanz. Phänomenologische Vorträge und Aufsätze, hrsg. von F.-A. Schwarz, Alber,

Freiburg-München 1976, p. 174, sostiene (sulla base del carattere storico della comprensione d'essere da parte dell'uomo) la tesi relativa alla

cooriginarietà di InderWeltsein e InderWahrheitsein , muovendo dal carattere esistenziale di entrambe le strutture. Pertinente a una prospettiva

 posteriore a quella di Sein und Zeit , ma inaccettabile relativamente all'opera del 1927, appare la tesi di J. J. Kockelmanns, Heidegger'sBeing and

Time, cit., p. 323, che vede nel mondo la struttura, ontologicamente derivativa, della verità dell'essere, la quale viene di volta in volta storicamente

determinata in diversi «mondi», ovvero in differenti sedimentazioni di significazioni. Proprio perché invece, nello Hauptbuch, la questione dell’essere

si muta in quella della sua comprensione da parte dell’esistente, è questo il terreno sul quale viene impostata la questione della verità: S.-H. Shin,

Wahrheitsfrage und Kehre bei Martin Heidegger , Königshausen und Neumann, Würzburg 1993, p. 26.92  SZ , p. 472 [516]. Evidenziando questo aspetto, J. F. Courtine, Heidegger et l'idée de la phénoménologie, cit., pp. 99, 102-103, sostiene che Sein und

 Zeit  abbia fallito l'analisi del fenomeno dell'essere perché ha fallito quella del fenomeno della verità, facendo di quest'ultimo un esistenziale. La tesi è

condivisibile a patto di sottolineare che se ciò che viene fallito è il fenomeno dell'essere, ciò accade proprio in quanto una determinata assunzione

relativa al fenomeno della verità (che lo definisce, appunto, come verità «dell'esserci») sbarra la strada alla prosecuzione dell'indagine verso il

fenomeno dell'essere, e verso la «sua» verità.93  SZ, p. 290 [335] .94  « Die Wahrheit (Entdecktheit) muß dem Seienden immer erst abgerungen werden. Das Seiende wird der Verborgenheit entrissen. Die jeweilige

 faktische Entdecktheit ist gleichsam immer ein  Raub». (SZ , p. 294 [339]).95   «Seiendes ist nur dann entdeckt und nur solange erschlossen, als überhaupt Dasein  ist» (SZ, p. 299 [344]).96  « Das Entdecken ist eine Seinsweise des In-der-Welt-seins» (SZ, p. 292 [336] ).97  « Also gehört zum logos die Unverborgenheit , a-letheia» (SZ, p. 291 [335-336]).

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 pubblicato con il titolo di  Einführung in die phänomenologische Forschung ), che si apre con il «chiarimento delconcetto di “fenomenologia” attraverso il ritorno ad Aristotele», fornisce le coordinate del rapporto che, nello Hauptbuch   del 1927, intercorre fra la determinazione esistenziale del mondo e quella della verità. In particolare, ilsecondo paragrafo, che analizza la nozione aristotelica di logos, sviluppa i motivi essenziali dei successivi corsi dilezione che, fino a Sein und Zeit , rielaborano la Wahrheitsfrage a partire dalla funzione scoprente, nei confronti dell'enteintramondano, del logos apofantico, concepito come l'articolazione della struttura esistenziale. Muovendo da qui, il

confronto di Heidegger con la logica aristotelica, che riveste un ruolo centrale in questi corsi di lezione, in quello del1923-24 si sviluppa meno a partire dagli  Analit ici   che non a partire dal  De interpretatione , dai libri Delta e Teta della Metaphysica, dall' Ethica nichomachea e dal  De anima . Il rapporto tra la Wahrheitsfrage heideggeriana e il concetto dimondo rappresenta, qui, l'elemento decisivo dell'interesse di Heidegger per Aristotele. Secondo il filosofo di Messkirch,il trattato aristotelico  De anima   riguarda, al di qua dei successivi fraintendimenti in senso psicologistico, «l'esseredell'uomo nel mondo»: il titolo medesimo dell'opera andrebbe tradotto, per maggior chiarezza, con l'espressione « Überdas Sein in der Welt », piuttosto che con quella «Von der Seele».98 

 Nel corso di lezione del 1923-24, Heidegger sottolinea che, in Aristotele, la parola significativa (Wort ), ovveroil linguaggio (Sprache), non va attribuita alle cose quale loro proprietà naturale ( physei), in quanto costituisce, invece, il

 prodotto di opinioni e supposizioni su di esse. Il linguaggio rappresenta la connessione ontologica fra l'uomo e ilmondo, il «mezzo» attraverso il quale il primo scopre il secondo, nella forma di un qualcosa del quale ci si può«prendere cura». Tale ruolo di «mezzo» non va inteso, sottolinea Heidegger, in senso strumentale: il linguaggio non va

inteso, cioè, come se esso fosse uno strumento o un organo fisico, non consustanziale (per quanto di importanzarilevante) all'essenza dell'uomo, e come se la scoperta del mondo fosse una prestazione accessoria del linguaggio. Alcontrario: il linguaggio, cioè il parlare, appartiene alla definizione dell'essere umano, e la scoperta del mondo, ovverol'«essere nel mondo», appartiene alla definizione del linguaggio e, conseguentemente, all'essenza dell'uomo. L'uomo èin quanto parla; in ciò, esso è nel mondo, lo scopre e, in questa scoperta, scopre sé medesimo.99  Questo parlare, inquanto «essere con» il mondo, rappresenta una dimensione originaria, che viene prima del giudizio; la funzione diquest'ultimo va perciò compresa muovendo da quella (scoprente) del linguaggio, anziché viceversa. 100   Più

 precisamente, la dimensione linguistica nella quale si articola l’esistenza umana è il «discorso»; in essa, l’uomo «è nelmondo», in quanto «discorre con esso e su di esso».101  Il mondo del quale si discorre, che viene scoperto dal logos inquanto dimensione essenziale dell'uomo, già in queste lezioni è perciò delineato da Heidegger come legato all’àmbito«esistenziale»: «il logos apophanticos è quel tale discorrere con il mondo, attraverso il quale il mondo esistente vienemostrato in quanto esistente».102  

Il rapporto intercorrente fra i concetti di Welt , Dasein e Wahrheit   viene ripreso nel corso di lezione del semestre

invernale del 1925-26. Muovendo dalla definizione secondo la quale l'uomo sarebbe « zoon logon echon», Heideggersostiene che il logos, inteso come «discorrere» ( Reden), rappresenta il terreno sul quale si fa manifesta la connessioned'essere (Seinszusammenheit ) fra l'uomo (designato, «presso i Greci», dal termine ethos) e il mondo (indicato daltermine  physis); questo rapporto costituisce un'«articolazione essenziale» (wesenhafte Gliederung ) dell'ente.103  Lalogica, prosegue Heidegger, indaga il discorso ( Rede) nella sua dimensione più propria, cioè nel suo render manifestol'ente. Il tema della logica è perciò rappresentato dalla questione di verità. Esso viene messo a fuoco muovendo daldiscorso, con riguardo al suo senso fondamentale: far vedere il mondo e l'esserci dell'uomo, far vedere l'«ente ingenerale».104  Stabilito che il logos è il fattore determinante per l'accadere della verità (« das Zunächst  des aletheuein»),

98  M. Heidegger, Einführung in die phänomenologische Forschung , in Gesamtausgabe, Bd. 17, hrsg. von F.-W. von Herrmann, Klostermann,

Frankfurt a. M. 1994, pp. 6, 293. F. Volpi, Heidegger in Marburg: die Auseinandersetzung mit Aristoteles, «Philosophischer Literaturanzeiger», (37),

1984, pp. 186-187 sottolinea l’ intento antisoggettivistico che guida questo riferimento della questione di verità all’ Ethica Nicomachea, e il suo

carattere decisivo per l’indagine ontologica di Sein und Zeit . 99  «Sofern der Mensch in der Welt ist, in ihr und mit sich selbst etwas will , spricht er. Er spricht, sofern so etwas wie Welt für ihn als Besorgbares 

entdeckt ist und in “für  ihn” er sich selbst. Aber das Wort ist nicht so da wie ein Werkzeug (ouch hos organon), z. B. die Hand. Die Sprache ist das

Sein und Werden des Menschen selbst » (GA XVII , p. 16).100  «Sprechen ist ein Sein mit der Welt, ist etwas Ursprüngliches und liegt vor den Urteilen. Von hier aus muß das Urteil verständlich werden». (GA

 XVII , p. 21).101   « Das Reden macht die spezifische Existenz des Menschen mit aus: Der Mensch ist in der Welt derart, dass dieses Seiende mit der Welt über sieredet. (Das “über” heißt nicht urteilen; das über die Welt liegt z. B. im “Heute”: bitte kommen Sie heute zu mir)» (GA XVII , p. 21).102  « Der logos apophantikos ist ein solches Reden mit der Welt, durch das die daseiende Welt als daseiende aufgezeigt wird » (GA XVII , p. 21).103   GA XXI , p. 3 [4].104  « Für die Logik ist die Rede Thema im Hinblick auf deren Grundsinn: Welt und menschliches Dasein, überhaupt Seiendes sehen zu lassen» (GA

 XXI , p. 6 [7]). A parere di L. Lugarini,  La logica nell'orizzonte di Essere e tempo, in Heidegger in discussione , cit., pp. 128-129 in questo

allargamento, rispetto alla prospettiva aristotelica, dei compiti assegnati alla logica in queste lezioni sarebbero già presenti i motivi delle successive

ricerche heideggeriane sul linguaggio, concepito come la dimensione di manifestazione dell’essere. Diversamente, secondo W. Bröcker, Heideggerund die Logik , in Heidegger. Perspektiven zur Deutung seines Werks, hrsg. von O. Pöggeler, Kiepenheuer & Witsch, Köln-Berlin 1970, pp. 300 sgg.

il prevalere, nella riflessione heideggeriana, del problema dell’essere su quello del mondo (che costituirebbe invece, secondo l’interprete, l’autentico

filo conduttore della ricerca heideggeriana) sarebbe dovuto, al contrario, al fatto che Heidegger avrebbe, in questa fase della sua riflessione

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«logico» è ciò che «è accessibile nell'interpellare e nella discussione che interpella, che trova l'essere della presenzialitàin questo modo accessibile come tale».105   In altri termini: la questione del rapporto tra mondo e uomo, relazione chefonda la possibilità, per l'uomo, di rendere manifesto l'ente, costituisce il senso fondamentale della logica. La veritàconsiste, conferma Heidegger, nello stato di «scoprimento» ( Aufgedecktheit ) dell'ente, ovvero nel suo «nonnascondimento» (Unverborgenheit ).106  Benché tuttavia, soggiunge il filosofo, la possibilità di rendere manifesto l'enteappartenga all'uomo in via essenziale, «anzitutto e perlopiù» egli si trova in uno stato di carenza rispetto alla

manifestatività dell'ente: ciò significa che, «anzitutto e perlopiù», il mondo rimane, per l'esserci dell'uomo, in uno statodi non scoprimento. Questo stato «anzitutto e perlopiù» di nascondimento del mondo nei confronti dell'esistente puòessere espresso anche altrimenti: affermando, cioè, che benché all'essenza dell'uomo la verità, in quanto esser manifestodell'ente, appartenga in via essenziale, il rapporto fra l'esserci  e il mondo si colloca, «anzitutto e perlopiù», in unadimensione di non verità.107  É questo il senso della tesi heideggeriana secondo la quale l'esserci dell’uomo, in quantoegli «ha» il linguaggio (nel senso sopra ricordato: in quanto, cioè, «è» il linguaggio), costituisce la possibilità nonsoltanto del vero, ma anche del falso.108  Seguendo le indicazioni aristoteliche, Heidegger conferma, in queste lezioni, il

 primato attribuito, tra le forme del discorso, alla sola in grado di esprimere verità e falsità, cioè a quella apofantica.109  Heidegger ribadisce che l'essenza del discorso assertorio, in quanto veritativo, consiste nel suo «far vedere»( Aufweisen), che dà luogo allo «scoprire» ( Entdecken). Sono coprire e scoprire (configurazioni nelle quali si esplica ilcarattere veritativo del linguaggio) a costituire il discorso come apofantico, ovvero come «asserzione» ( Aussage), e nonviceversa.110  Questa affermazione è equivalente a quella che, nel corso di lezione del 1923-24, ricorda che la scoperta

interpretato riduttivamente il ruolo della logica, restringendolo all’indagine del rapporto intercorrente fra l’uomo e il mondo dal punto di vista teorico,

consegnando la logica medesima alla prospettiva che si muove nella dimensione presentificata della mera sussistenza. A favore di questa tesi sta il

fatto che soltanto nel periodo della riflessione heideggeriana compreso fra i l corso di lezione del semestre estivo del 1925 e quello del semestre estivo

del 1928 emerge il problema della caratterizzazione temporale della logica: V. Vukicevic, Logik und Zeit in der phänomenologischen Philosophie

 Martin Heideggers (1925-1928), Olms, Hildesheim -Zurich-New York 1988, pp. 52-53, 57-58. In particolare, ciò avviene quando, nelle lezioni del

1925-26, la questione della logica viene discussa muovendo dal carattere di «asserzioni sul mondo» degli enunciati (ibid., pp. 65, 92). Secondo C.

Sini, Etica della scrittura, Il Saggiatore, Milano 1992, pp. 8-9, la prospettiva heideggeriana resta consenziente, malgrado il suo intento fondativo, a

quella della logica tradizionale, in quanto di essa assume, considerandolo come decisivo (ma non sufficientemente messo in questione dalla logica

tradizionale) il problema della verità. Ciò si motiva, in Heidegger, con il primato del logos, a partire dal quale la dimensione prelogica (nonostante

essa sia assunta come «più originaria» e fondativa, rispetto a quella della logica) viene riguardata e valutata: C. Sini,  Il problema della verità in

 Heidegger, analizzato attraverso le lezioni di Marburgo, «Segni e comprensione», IV, (9), 1990, pp. 11-12. Anche la mancata analisi, nelle lezionidel 1925-26 e nello Hauptbuch , della fondazione temporale del problema della verità troverebbe qui la propria spiegazione ( ibidem, pp. 15-16).105  «[...] das im Ansprechen und im ansprechenden Besprechen Zugängliche, das Sein des so zugänglich  Anwesenden als solchen ausmachend ». (GA

 XIX , p. 622). Il conce tto di verità riguarda, in questo modo, le condizioni di accesso all'ente, cioè le «condizioni non oggettuali di ogni possibile

oggettivazione, piuttosto che il rapporto del soggetto con gli oggetti costituiti»: F. Chiereghin, Essere e verità, cit., p. 16. Con la tesi che riconduce il

fenomeno della verità al carattere scoprente del logos, Heidegger pone la questione, che esula dall'ambito della logica tradizionale, della condizione

d'accesso  a ciò che è logicamente vero (ibid., p. 28). Le analisi «logiche» di Heidegger in tendono giocare un ruolo «fondativo» nei confronti di quelle

tradizionali; in questa prospettiva, l’obbiettivo di Heidegger non consiste tanto in un radicamento della logica nell’ontologia, quanto, più in generale,

nella rifondazione della filosofia (V. Vukicevic, Logik und Zeit in der phänomenologischen Philosophie Martin Heideggers (1925-1928), cit., pp. 7

sgg.).106  GA XXI , p. 7 [7].107  Come Heidegger ribadisce in un ciclo di conferenze tenuto nella primavera del 1925, è proprio la dimensione assertiva del logos, in quanto essa

scopre l'ente (il logos è, nella sua essenza, deloun, cioè mostrare, ricorda qui Heidegger) a provocare anche il decadimento (Verfallen) dell’esserci,

ossia a costituire la possibilità della dimensione del Man: «il discorso non nasce, perlopiù, dalla conoscenza originaria della cosa» («[...] das Reden

 zumeist nicht aus ursprünglicher Sachkenntnis entspringt »: M. Heidegger, Wilhelm Diltheys Forschungsarbeit und der gegenwärtige Kampf um eine

historische Weltanschauung , Nachschrift v. W. Bröcker, hrsg. v. F. Rodi, «Dilthey-Jahrbuch», (8), 1992-93, p. 164). Per questo l’esserci, nella sua

quotidianità, «ha la tendenza all'occultamento del mondo e, con ciò, di sé medesimo» («so hat alltägliche Dasein die Tendenz der Verdeckung der

Welt und damit seiner selbst »: Ibidem ).108  «[...] im Dasein des Menschen, sofern er ein Dasein hat indem er die Sprache hat, die Möglichkeit des Trugs und der Täuschung mit da ist » (GA

 XVII , p. 30).109  GA XXI , pp. 128-132 [86-89]. L. Lugarini, La logica nell'orizzonte di Essere e tempo, cit., pp. 121-122 individua la presenza dell'elemento

aristotelico nella riflessione heideggeriana nel ruolo che la logica, proprio attraverso il primato del logos apofantico, riveste nella determinazione del

concetto heideggeriano di fenomenologia. L'interprete segnala, altresì , il «cammino inverso», rispetto a questa ispirazione aristotelica, attraverso il

quale la logica, messa in questione dal punto di vista della sua fondazione, viene radicata nella struttura esistenziale. Su quest o punto, cfr. G. Bertuzzi,

 La verità in Martin Heidegger. Dagli scritt i giovanili a «Essere e tempo», Edizioni studi domenicani, Bologna 1991, pp. 177-178.

110  « Also Entdecken und Verdecken sind es, die den logos als aufweisend sehen lassenden bestimmen. Vom Entdecken und Verdecken her wird derSatz als Aussage bestimmt » (GA XXI, p. 133 [89]). C. Sini,  Il problema della verità in Heidegger, analizzato attraverso le lezioni di Marburgo, cit., p.

10 sottolinea come la collocazione della verità nella dimensione antepredicativa rappresenti un’eredità husserliana, e non vada affatto intesa come un

elemento «naturalistico» o «mistico».

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del mondo (che costituisce il dato primario a partire dal quale va intesa la funzione del giudizio) accade nel linguaggio, poiché quest’ultimo è il terreno della manifestazione del fenomeno della verità.

2.2. L’assunzione, all’epoca di Sein und Zeit, della nozione adequativa di verità all’interno di quella «originaria».

Occorre a questo punto esaminare quale rapporto intercorra, secondo Sein und Zeit, fra la nozione«tradizionale» di verità e quella che Heidegger presenta come «originaria». Concependola come rapporto ( Bezug )intercorrente fra l'esserci dell'uomo e il mondo, la concezione heideggeriana dell'essenza della verità (che, pure, nonvuole essere confusa con quella gnoseologica)111   non intende (né nel corso del 1925-26, né in Sein und Zeit )semplicemente sbarazzarsi di quella tradizionale. L’interpretazione «disvelativa» del fenomeno della verità, proposta daHeidegger, più che uno «sconvolgimento» ( Abschütteln) di quella concordativa, intende rappresentarneun'«appropriazione» ( Aneignung ): la seconda risulta, infatti, possibile soltanto sulla base della prima, della quale essacostituisce un'articolazione derivativa, e nei confronti della quale essa ha, «anzitutto e perlopiù», una funzione dioccultamento.112   In altri termini: la tesi che colloca la verità nell'asserzione, cioè nel giudizio (definendola come laconformità del contenuto ideale dell'enunciato all'evento oggettuale al quale esso si riferisce), dissimula il ruoloscoprente dell'asserzione medesima, il solo che le permetta di caratterizzarsi come «vera». La definizione tradizionale diverità occulta, dunque, il vincolo originario che fonda la verità nella struttura dell'«essere nel mondo», e in ciò consiste

il suo limite, che Heidegger sottolinea.Qual è l’elemento discriminante fra la comprensione «derivativa» e quella «originaria» del fenomeno dellaverità? Il fatto che la prima faccia perno sulla dimensione linguistica, laddove la seconda individua la radice di talefenomeno in una dimensione ulteriore, antepredicativa. La nozione derivativa di verità la definisce, infatti, come unaconcordanza fra l'asserzione e l'ente, la quale sussiste in forza del «conformarsi» ( sich richten) dell'asserzione all'entecon il quale essa concorda; per questo, sottolinea Heidegger, la verità può anche essere definita, nella prospettiva«tradizionale», come «conformità» ( Richtigkeit ).113  Occorre, qui, ribadire il fatto che, per Heidegger, è l’assegnazione(compiuta dall’interpretazione tradizionale) del fenomeno della verità alla dimensione linguistica ciò che la qualificacome non originaria, dal momento che il fenomeno linguistico (tanto nella manifestazione della  Rede, quanto in quelladella Sprache)114  appartiene, in Sein und Zeit , a una dimensione derivativa rispetto a quella, originaria e antepredicativa,dell'«essere del mondo» e della «significatività» (cfr.  supra, cap. 1.3), e comporta, necessariamente, una considerazionedi soggetto e oggetto che li riguarda, in forza della loro presentificazione, come enti sussistenti. 115  

In quanto spiega l’interpretazione derivativa del fenomeno della verità, l’argomento della collocazione di

quest’ultimo nella dimensione linguistica dà anche conto di come a essa si pervenga, muovendo dalla comprensioneoriginaria del medesimo. La dimensione linguistica costituisce cioè, nella prospettiva heideggeriana, la spiegazione dicome il carattere disvelativo del fenomeno della verità generi l’interpretazione secondo la quale vero e falsorappresentano gli attributi dell’asserzione, in quanto relativi al rapporto che quest'ultima intrattiene con ciò che èasserito. L'asserzione, sostiene Heidegger, «è una manifestazione che determina e comunica».116  Questa definizionecostituisce il compendio di tre aspetti, relativi, rispettivamente, al carattere «più originario» dell'asserzione, quellomanifestativo (o «apofantico»), al carattere (fondato sul primo) di determinazione predicativa, e al carattere, derivativo,di «comunicazione» ( Mitteilung ). Questo terzo carattere, radicandosi nel primo e nel secondo, condivide, con l'essercialtro da quello dal quale l'indagine prende le mosse, l'ente manifestato nella sua determinatezza: «[...] teilt das in seiner Bestimmtheit aufgezeigte Seiende mit dem Anderen».117   L'ente asserito è dunque non soltanto quello che si èmanifestato, ma anche quello che viene determinato nella predicazione e comunicato nel linguaggio. Per questo,dunque, la nozione tradizionale di verità, che ne rintraccia l’essenza nell’asserzione, ovvero nel linguaggio, è da

111  SZ , p. 282 [328].112  SZ , p. 291 [336].113   «Wahrheit ist  Übereinstimmung. Solche Übereinstimmung besteht, weil die Aussage nach dem, worüber sie sagt sich richtet. Wahrheit ist

Richtigkeit . So ist Wahrheit die auf Richtigkeit gründende Übereinstimmung der Aussage mit der Sache» (M. Heidegger, Vom Wesen der Wahrheit.

 Zu Platons Höhlengleichnis und Theätet , in Gesamtausgabe, Bd. 34, hrsg. von H. Mörchen, Klostermann, Frankfurt a. M. 1988, p. 2).114  Cfr. SZ , p. 537 [579]. Secondo A. Grossmann, Spur zum Heiligen. Kunst und Geschichte im Widerstreit zwischen Hegel und Heidegger , Bouvier,

Bonn 1996, pp. 89-90, in questo modo, in Sein und Zeit , l’istanza della Rede  rimane «non chiarita» e, con essa, la dimensione ontica del linguaggio

nella sua interezza. B. Rioux , L’être et la verité chez Heidegger et Saint Thomas d’Aquin , cit., p. 25, criticando la svalutazione heideggeriana del

giudizio, sostiene che non il radicamento nell’antepredicativo, bensì il fenomeno ontologico e linguistico della copula permette di trascendere la

frattura tra soggetto e oggetto.115  GA XXI , pp. 411 [272] sgg. Sul carattere temporale della Aussage e sulle sue implicazioni si veda L. Pedrique Orta, Logik und Zeitlichkeit.

 Heideggers Untersuchungen zur Logiksfrage im Umkreis der Fundamentalontologie , Univ-Diss., Freiburg i. Brg. 1996, pp. 222 sgg.

116  «Aussage ist mitteilend bestimmende Aufzeigung» (SZ , p. 208 [254]). Sul carattere derivativo della Aussage, motivato, per Heidegger, dalla suaappartenenza alla dimensione linguistica, si veda M. Ruggenini, La fin itude de l'existence et la question de la verité: Heidegger 1925-1929, in

 Heidegger 1919-1929. De l'herméneut ique de la factici té à la métaphysique du Dasein, cit., pp. 155-156.117  SZ , p. 206 [253].

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considerarsi, secondo Sein und Zeit , come «non originaria»: consegnando l’essenza del fenomeno della verità alladimensione linguistica, la comprensione tradizionale della verità si preclude l’accesso alla dimensione «originaria», cheè antepredicativa. Secondo Sein und Zeit , nella definizione «originaria», la verità appare, anzitutto, come la funzione diun rapporto, quello fra l'esserci dell'uomo e il  suo mondo; questo rapporto si istituisce, come sottolineano i corsi dilezione precedenti lo  Hauptbuch , sulla base del carattere veritativo del logos, che si esplica nel suo essere scoprente.Soltanto in virtù di ciò (soltanto in virtù, cioè, del fatto che il discorso costituisce il fondamento della relazione fra

uomo e mondo) l’indagine sulla dimensione «originaria» del fenomeno della verità si sviluppa come un'indagine sullaverità delle forme del discorso, al quale è precluso in linea di principio, in quanto appartenente alla dimensionelinguistica, l’accesso al luogo originario della verità.

Al di là della condanna, questa valutazione della nozione «tradizionale» e «derivativa» di verità apre la strada,in Sein und Zeit, al suo possibile recupero attraverso la sua ricollocazione in quela «originaria»: per quanto appartenentealla dimensione del Verfallen dell'esserci (anzi, proprio per questo) la nozione concordativa di verità appare comeesistenzialmente necessaria. É, infatti, lo stesso modo dell'apertura scoprente dell'esserci a far sì che, nell'apertura dellacomprensione, che dà luogo all’interpretazione, si imponga, anzitutto, il modo derivato, piuttosto che quello originario.«In larga misura» la comprensione non avviene infatti, sostiene Heidegger, in seguito a una scoperta personale, bensì a

 partire dal modo d'essere non proprio (uneigentlich) del «si dice»; a partire, cioè, dall'impersonalità del «si» ( Man).118  L'intento fondativo, che spinge Heidegger a subordinare l’interpretazione «tradizionale» del fenomeno della

verità a quella «originaria», rappresenta perciò l'elemento concettuale che, sulla base del carattere di necessità della

nozione concordativa di verità, giustifica il fatto che di essa occorra avviare, appunto, un'«appropriazione», anziché uno«sconvolgimento». In altri termini: nella prospettiva di Sein und Zeit , la nozione disvelativa, lungi dal rifiutare quellaconcordativa, ne propone un'assunzione. Il carattere problematico di quest'ultima viene segnalato da talune oscillazioniheideggeriane in proposito, evidenti nella valutazione (diversa, nei testi degli anni Venti, fra i quali  Sein und Zeit, e inalcuni scritti di periodi successivi) che Heidegger esprime nei confronti di alcuni luoghi aristotelici.

2.2.1.  Excursus: l'evolversi, nella riflessione heideggeriana, della valutazione di Aristotele come riflesso dell’evolversidella valutazione del rapporto fra comprensione originaria e comprensione derivativa del fenomeno della verità.

Con riferimento al sesto libro dell' Etica Nicomachea, e a  Met., Th, 10, 1051a, 34 sgg., Heidegger in Sein und Zeitafferma che è privo di fondamento il tentativo di far risalire ad Aristotele la tesi secondo la quale il giudizio costituisceil fondamento della verità; questa tesi rappresenterebbe, dunque, un misconoscimento non soltanto della struttura della

verità, ma anche del significato del testo aristotelico. In esso sarebbe rintracciabile, al contrario, proprio la nozioneoriginaria di verità, identificata con la funzione scoprente del logos, il quale, proprio per questo, a parere di Heideggernon può essere considerato (neppure in quanto assertorio, cioè in quanto  Aussage) come il «luogo primario» (der primäre Ort ) della verità.119  

 Nell'opera del 1927, questo ellittico riferimento ai testi aristotelici rinvia, così come l'accenno al ruolo dellogos,  ad analisi svolte nei corsi di lezione degli anni precedenti. In quello del 1924-25 (il testo del quale è stato

 pubblicato con il titolo di  Platon: Sophistes), il libro sesto dell' Etica nicomachea  risulta analiticamente preso inconsiderazione, soprattutto nei capitoli primo e terzo della «parte introduttiva»; lo scopo è quello di determinare lacostellazione concettuale indicata dalla nozione di aletheia, così come essa è esposta nella trattazione aristotelica, come

 passo preliminare per delineare la ricerca platonica intorno all'essere. Dopo aver ricordato le cinque forme dello  aletheuein presso lo Stagirita (techne, episteme, phronesis, sofia, nous; ovvero, Sich-Auskennen, Wissenschaft, Umsicht,Verstehen, vernehmendes Vermeinen), a partire dall'espressione aristotelica «aletheuei he psyché» Heidegger rintraccia,

quale caratteristica a esse comune, la definizione di verità consueta nei suoi testi di questo periodo, che la indica comeuna «determinazione d'essere dell'esserci dell'uomo»; soltanto in via subordinata la verità è un carattere dell'ente, inquanto concepito come «incontrato» dall'uomo.120  Ancor più esplicitamente: l'essere scoperto, in quanto significatooriginario del termine alethes, è attribuibile all'ente soltanto come effetto di una «prestazione» ( Leistung ) da partedell'esserci, di una sua «concessione» che viene attuata mediante il logos, e che è resa possibile dal fatto che l'esistente è

118  SZ , pp. 295, 296 [340, 341].119  SZ , pp. 44-45, 298-299 [93-94, 343-344]; «[...] das Wahrsein, die Unverborgenheit ist nicht im logos beheimatet » (GA XIX , p. 188). Per questo,

sostiene Heidegger, il concetto aristotelico di omoiosis non va inteso come una «teoria della copia» ( Abbildtheorie), nè come un'«adequazione»

( Angleichung ) fisica tra la cosa e la sua rappresentazione mentale, bensì come la nozione che designa lo apophainesthai dell'ente:GA XXI , pp. 166-

167 [112-113].120   « Die Wahrheit ist also zwar ein Charakter des Seienden, sofern es begegnet, aber im eigentlichen Sinne doch eine Seinsbestimmung des

menschlichen Daseins» (M. Heidegger, Platon: Sophistes, in Gesamtausgabe, Bd. 19, hrsg. von I. Schüssler, Klostermann, Frankfurt a. M. 1992, p.

23).

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dotato di anima.121  In un'annotazione relativa a queste parti del testo del corso, Heidegger specifica che « aletheuein» vainteso da un lato come una possibilità dell'esserci, per questa via determinato nel suo essere; dall'altro, « aletheuein» vainteso come «dialogo» ( Dialog ), come il modo di ricerca e la via d'accesso alle cose.122   Aletheuein è, infatti, nient'altrose non il termine che designa l'«orientarsi nel mondo» da parte dell'esserci, e le sue forme sono modificazioni di taleorientarsi.123  

Significato e obiettivo dell'interpretazione dell'«esser vero» come «esser scoperto», e della sua attribuzione

all'esistente, quale «prestazione» di quest'ultimo, divengono chiari se si considera la definizione «originaria» che,immediatamente di seguito, Heidegger propone, sulla scorta delle indicazioni aristoteliche, per il fenomeno della verità:quest'ultima va concepita come «la cosalità (Sachlichkeit ), intesa come quel rapportarsi dell'esserci al mondo e a sémedesimo, nel quale l'ente è conforme alla cosa».124  Che altro è, questa, se non la «tradizionale» nozione conformativadi verità, per quanto spogliata della dimensione (implicata dalla sua riduzione al giudizio, e a un presunto concordaredel contenuto ideale di quest'ultimo con la realtà materiale dell'ente) di adequazione ontica? In effetti, Heideggerspecifica, poco oltre, che anche la nozione di verità che la intende come il «non essere nascosto», ovvero come l'«esserescoperto» dell'ente, «si conforma» (richtet sich) a quest’ultimo.125  Appare, una volta di più, palese che l'intento diHeidegger non è, almeno qui, quello di rifiutare la nozione conformativa di verità, che egli trova espressa, nella suavalenza «originaria», nel testo aristotelico; al contrario, si fa esplicito l'obiettivo di rafforzare tale nozione, liberandolada quelli che sono, secondo Heidegger, fraintendimenti posteriori ad Aristotele. Questa è la motivazione dellesuccessive precisazioni heideggeriane, tese a separare l'«oggettività» (Objektivität ), rettamente intesa, dalla «validità

universale», propria dello sguardo del sapere scientifico (la   Wissenschaft , ovvero das theoretische Erkennen),relativamente alla quale la nozione «originaria» di verità non ha nulla a che fare.126   È pur vero che il giudizio diHeidegger su Aristotele non tace, già prima della pubblicazione dello  Hauptbuch, sui limiti (determinati dalla tradizionespeculativa dei Greci) entro i quali la riflessione dello Stagirita sarebbe rimasta circoscritta, in particolare nelladeterminazione dell’essenza del logos;127   ma è altresì vero che nel tentativo - decisivo per l’acquisizione delladimensione originaria del fenomeno della verità - di delineare il carattere disvelativo del logos muovendo dalla suaappartenenza alla sfera dell’esistente, Aristotele rappresenta per Heidegger, in questa fase della sua riflessione, il

 precursore autorevole. La positiva valutazione della posizione di Aristotele, in quanto associata alla tesi «originaria» sulfenomeno della verità, che lo riconduce all'«essere scoperto», emerge anche dagli appunti di Hermann Mörchen, relativial corso del semestre estivo del 1926, il testo del quale è stato pubblicato con il titolo  Die Grundbegriffe der antiken Philosophie; Heidegger rintraccia in Aristotele la tesi secondo la quale la verità è «la forma più alta di essere». Ilfilosofo greco sosterrebbe ciò «a buon diritto»: infatti «qualcosa è se viene scoperto».128  Ancor più esplicitamente: lascoperta dell'ente dà luogo a un «incremento d'essere», e a un incremento del suo carattere di «presenzialità»

( Anwesenheit ).129   Conformemente alla tesi relativa alla «carenza d'essere» dell'ente sussistente (cfr.  supra , cap. 1.3),l'ente «è» (ovvero: ha una realtà ontologica, gode di un essere «in senso proprio»), in quanto l'essere gli viene conferito,nell'atto veritativo, dall'esistente. Ciò avviene attraverso la «scoperta» da parte di quest'ultimo, che lo inserisce nel

 proprio orizzonte, ovvero nella struttura dell'«essere nel mondo»; in questo modo, l'ente sussistente diventa ente«intramondano».

All'epoca di Sein und Zeit , Aristotele rappresenta cioè, agli occhi di Heidegger, l'erede della tradizione grecache, prima del fraintendimento (compiuto dalla speculazione metafisica successiva) della problematica della verità,aveva colto la connessione originaria fra quest'ultima (determinata come l'essere scoperto dell'ente da parte dell'uomo) e

121  «[...] ist das Unverdecktsein eine spezifische Leistung des Daseins, das sein Sein in der Seele hat: aletheuei he  psyche». (GA XIX , pp. 24-25).

Secondo F. Volpi, La question du logos dans l’articulation de la facticité chez le jeune Heidegger lecteur d’Aristote, in Heidegger 1919-1929. De

l'herméneutique de la facticité à la métaphysique du Dasein, cit., p. 54 questa considerazione dell’esserci come di un ente non soltanto capace diverità, cioè di svelamento, ma come condizione di possibilità di quest’ultimo, cioè della verità, affonderebbe le sue radici, più che nell’ascendenza

aristotelica, in quella husserliana.122  « Möglichkeit des Daseins - in seinem Sein dadurch best immt [...] Als Dialog - dialogesthai die Forschung- und Zugangsart zu den Sachen» (GA

 XIX , p. 611).123  GA XIX , p. 129.124  «[...] Daß Wahrheit so viel besagt wie Sachlichkeit, verstanden als solches Verhalten des Daseins zur Welt und zu sich selbst, in dem das Seiende

der Sache nach da ist » (GA XIX , pp. 23-24).125  « Die Wahrheit, Unverborgenheit, das Aufgedecktsein, richtet sich […] nach dem Seienden selbst » (GA XIX , p. 24).126  « Dies ist die recht verstandene Objektivität. Im ursprünglichen Sinn dieses Wahrheitsbegriffs liegt noch nicht beschlossen die Objektivität als

 Allgemeingültigkeit, allverbindlichkeit. Diese hat gar nichts mit Wahrheit zu tun» (GA XIX , p. 24).127  GA XXI , pp.141-142 [94-95].128  « Daher wird Wahrheit von Aristoteles mit Fug und Recht als höchster Mo dus des Seins angesprochen: Wahrheit ist das eigentliche Sein. Etwas ist ,

wenn es entdeckt ist » (M. Heidegger, Die Grundbegriffe der antiken Philosophie , in Gesamtausgabe, Bd. 22, hrsg. von F.-K. Blust, Klostermann,Frankfurt a. M. 1993, p. 306).129   «Sofern Sein Anwesenheit ist, bedeutet schlichtes Entdecken des Seienden gleichsam eine Steigerung hinsichtlich seines Seins und seiner

 Anwesenheit » (GA XXII , p. 306).

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l'essere dell'uomo. L'obiettivo polemico di Heidegger è costituito, come si è visto, dall’interpretazione della verità che siarticola in tre tesi: quella che intende fondare il fenomeno della verità nel giudizio espresso su un ente concepito comesussistente, quella che assume la verità come la concordanza fra il giudizio e questo medesimo ente e, in terzo luogo,quella che pretende di attribuire le prime due ad Aristotele.130   É tuttavia necessario sottolineare che, nei testiheideggeriani degli anni Venti, la seconda tesi non appare condannata allo stesso titolo della prima: come si è visto, aquest'epoca secondo Heidegger essa non va rifiutata, bensì «intesa rettamente». In che cosa consiste, allora,

l'interpretazione «fuorviante» della seconda tesi, quella che colloca la verità nella conformità del giudizio all'ente? Nelfatto che tale tesi venga associata alla prima; nel fatto, cioè, che la concordanza risulti pensata a partire dal giudizio,espresso dal soggetto sull'oggetto, concepiti come enti sussistenti. La corretta interpretazione della nozioneconformativa di verità consiste, per contro, nel fatto che essa venga ricondotta alla (e, in questo modo, fondata nella)scoperta dell'ente da parte dell'esserci. Ciò accade, nei testi degli anni Venti, proprio attraverso l'assegnazione delfenomeno della verità all'ambito esistenziale, quale «prestazione» dell'esserci; è questa la tesi che, all'epoca di Sein und Zeit , Heidegger rintraccia, e sottoscrive, in Aristotele, e che motiva, per lo Heidegger degli anni Venti, l'irriducibilitàdella posizione dello Stagirita all'interpretazione «derivativa» della nozione tradizionale di verità.131  

Questo «recupero» di Aristotele è finalizzato, in Sein und Zeit , alla lettura «continuistica» del rapporto fra lacomprensione originaria del fenomeno della verità e quella derivativa, lettura in forza della quale la prima consiste inun’appropriazione della seconda: la positiva valutazione della figura di Aristotele (la riflessione del quale, pur

 ponendosi come origine dell’analisi proposizionale, ovvero della comprensione derivativa del fenomeno della verità,

 proprio per questo permane nella sua dimensione originaria) mette in luce tale coappartenersi, pur nella prospettivadella fondazione, di comprensione originaria e comprensione derivativa. Per questo la successiva ridefinizione, da parte di Heidegger, di questo rapporto, e dello stesso fenomeno della

verità  (da funzione dell’articolazione esistenziale e del suo carattere disvelativo a manifestazione dell’ente), comporta,nel contempo, sia una riconsiderazione, in senso negativo, della posizione aristotelica  (in merito alla capacità,

 precedentemente riconosciutale, di attingere la questione della verità nella sua dimensione «originaria»),  sia unanegazione della possibilità di assumere la definizione «tradizionale» del fenomeno della verità all'interno di quella«originaria».  In  Platons Lehre von der Wahrheit   (testo la cui genesi risale al corso di lezione del 1931-32 intitolatoVom Wesen der Wahrheit, ma che viene composto nel 1940, e  pubblicato per la prima volta nel 1942), per esempio, la

 posizione dello Stagirita viene giudicata come «dominata dall'ambiguità»: al passo della  Metafisica già analizzato inSein und Zeit   ne viene qui accostato, con accento critico, un altro ( Met ., E, 4, 1027b, 25 sgg.), dove l'intelletto(Verstand , dianoia) è presentato come il terreno sul quale sorgono verità e falsità.132  Questa interpretazione di Aristotele

 parrebbe riprendere, quasi alla lettera, quella sviluppata nel corso di lezione del 1926, dove la valutazione (qui, al

contrario, positiva) delle tesi del filosofo greco dipende proprio dal fatto che quest'ultimo avrebbe riconosciuto che laverità va ricondotta al logos: «la verità è una determinazione dell'asserzione, possibile soltanto sul fondamento delladianoia, del logos. Il logos non viene ora indagato in quanto possibile modalità dell'ente che esso mostra, bensì riguardoai modi del far vedere, in quanto vero o falso».133   Il riferimento della nozione di verità all'essere dell'uomo (anzi, allasua funzione intellettiva) che rappresenta, nei testi degli anni Venti, il merito decisivo riconosciuto allo Stagirita, risultainvece privato, in  Platons Lehre von der Wahrheit , di qualunque potenzialità positiva. Il senso della nuova valutazionedella posizione di Aristotele, rispetto all’epoca di Sein und Zeit , appare più chiaro dal passo immediatamente successivoa quello citato, laddove, con riferimento alla tesi di Tommaso secondo la quale «veritas proprie invenitur in intellectuhumano vel divino», la nozione di verità che la intende come aletheia appare contrapposta, in misura certo più radicaledi quanto non avvenga in Sein und Zeit , a quella che la concepisce come  omoiosis, ovvero come adaequatio. 134 

130

 SZ, p. 284 [329] .131  All'epoca dello Hauptbuch , soltanto per questa via (tenendo cioè fermo, quale presupposto, il fatto che il logos costituisca il carattere fondamentale

della struttura ontologica dell'esserci) Heidegger designa la verità come carattere dell'ente (GA XXI , p. 169 [113-114]). Per contro, F. Chiereghin,

 Essere e verità, cit., pp. 95-96, sottolinea, in questo rivolgersi di Heidegger al testo aristotelico, la connessione del problema della verità (in quanto

esso costituisce, anche, un carattere dell'ente) con quello dell'essere.132  M. Heidegger, Platons Lehre von der Wahrheit , in Wegmarken, cit., p. 233 [trad. it. a cura di F. Volpi, La dottrina platonica della verità, in M.Heidegger, Segnavia , cit., p. 187].133  « Das Wahrsein wird dem logos zugesprochen. Wahrheit ist eine Bestimmtheit der Aussage, nur möglich auf dem Grunde der dianoia , des logos.

 Der logos wird jetzt nicht hinsichtlich der möglichen Weisen des Seienden, das er aufzeigt, betrachtet, sondern hinsichtlich der Arten des Aufweisens,

als wahr oder falsch» (GA XXII , pp. 305-306).134   PL, pp. 232-233 [186-187]. Del resto, già in Vom Wesen der Wahrheit , il corso di lezione del 1931-32, il nome di Tommaso viene giustapposto a

quello di Aristotele a proposito della continuità, nella tesi «tradizionale», fra i concetti di omoiosis,adaequatio, Angleichung , eÜbereinstimmung mit

den Dingen» (GA XXXIV , p. 8). A quest'epoca, il rapporto fra la nozione di verità che la indica come Unverborgenheit  e quella che la indica come 

 Richtigkeit  è da Heidegger qualificato come un «passaggio», del quale Platone rappresenta una «stazione intermedia» (GA XXXIV , pp. 17-18).L'omologazione, da parte di Heidegger, della posizione di Aristotele (e altri) a quella di chi identifica la nozione di verità con quella di adeguatezza va

di pari passo, a partire dagli anni Trenta, con il giudizio negativo nei confronti del progetto di distruzione dell'ontologia: F. Chiereghin, Essere e

verità , cit. p. 31. In altri termini, la presa di distanza dal progetto dell’ontologia fondamentale si accompagna alla presa di distanza da Aristotele.

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  Non si può certo credere che, all'epoca di Sein und Zeit , Heidegger non avesse ben presente questo celebre passo della  Metafisica : esso viene infatti discusso, con ampiezza anche maggiore di quanto non avvenga in  Platons Lehre von der Wahrheit , nelle lezioni del 1926. Qui il merito precipuo della posizione aristotelica consiste nel suoriconoscimento del fatto che «esser scoperto» ( Entdecktheit ) ed «esser coperto» (Verdecktheit ) rappresentanodeterminazioni appartenenti «non all'ente in sé, che può essere senza essere scoperto o essere coperto», bensì strutturedel comprendere, ovvero della dianoia.135  Anche in questo corso, così come in Sein und Zeit , la figura di Aristotele

risulta perciò associata, in merito al fenomeno della verità, a una posizione che, giudicata a partire dalle acquisizioniteoriche di  Platons Lehre von der Wahrheit , non dovrebbe lasciar adito a dubbi non soltanto sull'ascrivibilità delfilosofo greco alla prospettiva della  Richtigkeit   ma, soprattutto, sulla condannabilità di quest'ultima, in quantoconcezione della verità irrimediabilmente estranea alla dimensione originaria di questo fenomeno.

Un'ulteriore conferma del significato dell'apprezzamento, da parte di Heidegger, della posizione aristotelicaall'epoca di Sein und Zeit  viene da  Die Grundprobleme der Phänomenologie, il corso del semestre estivo del 1927:anche qui, tale apprezzamento è legato alla valutazione della nozione «tradizionale» di verità, come ciò nei confronti delquale non va operato tanto un rifiuto quanto, piuttosto, un’«appropriazione». Esaminando, fra gli altri, ancora il passodella  Metafisica   che , in  Platons Lehre von der Wahrheit , costituisce il capo d'accusa più rilevante a carico delloStagirita, Heidegger sostiene che il fatto di collocare la verità nell'intelletto, come fa la tesi aristotelica, resta«ambiguo», soltanto finché tale tesi venga assunta, «come accade solitamente», in modo «estrinseco» (äusserlich).136  Inqueste lezioni, il carattere di ambiguità risulta, dunque, atribuito non alla tesi aristotelica in quanto tale, bensì

all’interpretazione della medesima, tanto abituale quanto ignara del suo reale valore: esso consiste nell’equivalenza, quisostenuta da Heidegger, fra la tesi aristotelica e quella che afferma che la funzione fondamentale dell'asserzione è loscoprire, concepito come modo d'essere dell'esserci. Ancora nel corso di lezione del semestre estivo del 1930,l'ambiguità («necessaria», in quanto ì nsita nel concetto di aletheia),137  viene presentata come la radice della nozione diverità che la colloca nella  Aussage. Per quanto derivativa, tale nozione è necessaria, in quanto l'asserzione costituisce ilmodo in cui «noi uomini conserviamo e preserviamo la verità, cioè l'esser dischiuso dell'ente: lo aletheuein».138  «GliAntichi» hanno, infatti, espresso chiaramente la dimensione ontologica della verità, concependola come Entborgenheit ;139  per questo, secondo la riflessione heideggeriana che trova i suoi esiti in Sein und Zeit , è legittimosostenere che, se pure Aristotele non ha colto «nella sua pura costituzione ontologica», cioè in quanto «apertura dimondo [Weltoffenheit ] dell'esserci», il fenomeno della verità, certamente non lo ha occultato con un «vedere errato»( Fehl-sehen), e ha anzi, attenendosi ai fenomeni, mantenuto sgombra la strada per coglierli nella loro dimensioneoriginaria.140  

Avremo modo di tornare (cfr. infra, cap. 4.1) sull’importanza che la valutazione di Aristotele riveste per comprendere la posizione di Heidegger in merito alla questione della verità. Dall'esame finora condotto a questo proposito emerge ciò:la concezione della verità come adaequatio (in quanto collocazione della verità nel giudizio, cioè nell'intelletto) risulta,in Platons Lehre von der Wahrheit , condannata in modo assai più reciso di quanto non lo sia all’epoca di Sein und Zeit ,e ciò va di pari passo con la presa di distanza, su questo punto, da Aristotele. Nei testi heideggeriani prodotti fino al1927, la nozione «originaria» di verità esclude, come si è visto, il suo collocarsi nell'attività conoscitiva teoretico-

 135  « Entdecktheit gehört nicht zum Seienden an sich, es kann sein ohne Entdecktheit und Verdecktheit. Wenn diese ist, ist sie nur, sofern dianoia ist »

(GA XXII , p. 166).136  GA XXIV , p. 305 [205]. L'«ambigui tà» della tesi aristotelica è, qui, semmai imputabile alla «cosa stessa», cioè alla coappartenenza di disvelante e

disvelato: cfr. M. Zanatta, Identità, logos e verità. Saggio su Heidegger , Japadre, Roma-L'Aquila 1990, pp. 364 sgg. Sull'ambiguità come dimensione

originaria, secondo Heidegger, dei concetti filosofici e, in quanto non tematizzata, come chiave di lettura della sua riflessione, cfr. L. Pareyson,

 Heidegger: la l ibertà e il nulla , ESI, Napoli 1990, pp. 32 sgg.137  « Alethes besagt: 1. entborgen, vom Seienden gesagt, 2. Entborgenes als solches fassen, d. h. entbergend sein. Daher liegt in alethes und aletheia

eine Zweideutigkeit ». (M. Heidegger, Vom Wesen der menschlichen Freiheit. Einleitung in die Philosophie , in Gesamtausgabe, Bd. 31, hrsg. von H.

Tietjen, Klostermann, Frankfurt a. M. 1982, p. 91).138  «[...] sie ist die Weise, in der wir Menschen die Wahrheit, d. h. Entborgenheit des Seienden wahren und verwahren: aletheuein». (GA XXXI , p. 90).

Del resto, in questo corso, con l'accento posto da Heidegger sul radicarsi dello aletheuein nello alethes hon, viene sottolineato il legame tra la veritàe

l'essere, in quanto concepito come manifestativum sui: F. Volpi, Heidegger e Aristotele, cit., p. 172.139  GA XXXI , p. 93.140  GA XXI , p. 164 [110]. Secondo J. F. Courtine, Les «Recherches logiques» de Martin Heidegger: de la théorie du ju gement à la vérité de l’être, in

 Heidegger 1919-1929. De l'herméneut ique de la facticité à la métaphysique du Dasein, éd. par J-F. Courtine, Vrin, Paris 1996, pp. 24-25, giànel

 passaggio dal testo delle lezioni del semestre invernale del 1925-26 al testo dello Hauptbuch  si verificherebbe una presa di distanza da Aristotele; essa

si esprimerebbe, dopo aver «liberato» la concezione aristotelica del logos dalle sue interpretazioni posteriori, con il radicamento del logos medesimonel Besorgen, c ioè nel commercio con l’utilizzabile, anziché nell’esperienza antepredicativa. Crediamo, tuttavia, che vada sottolineato come tale

commercio si radichi, a sua volta, nell’apertura scoprente dell’esserci che, all’epoca di Sein und Zeit , Heidegger ritiene ancora di trovare

adeguatamente espressa dalla caratterizzazione esistenziale del logos aristotelico.

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scientifica del soggetto, ma non identifica tale collocarsi con la tesi che concepisce la verità come adaequatio;quest'ultima non risulta, dunque, condannata in quanto tale, ma solo in quanto (ridotta a una sorta di assimilazionefisica, nel giudizio, della rappresentazione intellettiva all'ente riguardato dall'asserzione; ridotta, cioè, al rapporto fra dueenti sussistenti) non correttamente interpretata. Va rifiutata, cioè, l’adequazione che si produce al livello dell’asserzione(che è l’adequarsi di due sussistenti, il giudizio e la cosa) dove viene persa la dimensione originaria, quellamanifestativa, antepredicativa e prelogica, dell’adequazione. Nello scritto del 1940, invece, proprio la tesi adequativa

 provocherebbe la caduta dell'interpretazione originaria del fenomeno della verità (quella che lo concepisce comealetheia) «sotto il giogo dell'idea», dove va perso l'originario carattere di Unverborgenheit , proprio dell'«esserevero».141   I testi posteriori all'epoca di Sein und Zeit mettono dunque in luce, per contrasto, il fatto che, nell'opera del1927, e nel periodo di riflessione che trova in essa i suoi esiti, l’interpretazione del fenomeno della verità comeadequazione fra giudizio e oggetto risulta respinta non in quanto tale, bensì soltanto in quanto essa venga pensatacome il conformarsi di due sussistenti.

 Nei corsi di lezione che precedono Sein und Zeit , Heidegger pare convinto di poter assumere la nozioneconcordativa di verità all'interno della tesi relativa alla funzione disvelativa del logos;  in questo modo, la veritàrisulterebbe interpretata non come l'effetto della relazione (il giudizio) instauratasi fra due sussistenti, ma comel'epifenomeno della struttura esistenziale dell'«essere nel mondo». In modo più diretto, in Sein und Zeit Heideggerriconduce la questione della verità al fenomeno dell'«essere nel mondo»; in questo modo, egli intende  «redimere» lanozione concordativa di verità dal «peccato gnoseologico», cioè dall'impostazione dualistica che è da essa sottesa.

2.3. Esiti dell’assunzione della nozione adequativa di verità: la caratterizzazione dualistica della costituzione d’esseredell’esistente e le sue conseguenze.

2.3.1. Le due determinazioni dell'ente, come scoperto dall’esistente e come «identità con sé»: il presupposto realisticocome condizione della loro identificazione.

 Nel tentativo heideggeriano, in Sein und Zeit , di fondare la comprensione «derivativa» del fenomeno dellaverità, in che modo avviene la sua assunzione all’interno della comp rensione «originaria»? La coppia concettuale«legittimazione-verifica» ( Ausweisung-Bewährung ) costituisce l’elemento attraverso il quale Heidegger pare

reintrodurre, all’interno della concezione disvelativa di verità, la prospettiva adequativa. «La legittimazione ha a chefare soltanto con l'esser scoperto dell'ente stesso, con esso  nel come del suo svelamento. Essa trova la sua verifica nelfatto che l'asserito, cioè l'ente stesso, si manifesta come il medesimo . Verifica significa: manifestarsi dell'ente nella suaidentità con sé».142   In queste poche righe, il testo heideggeriano contiene, relativamente all'ente del quale si faquestione, due diverse determinazioni, che non si sovrappongono. A fronte di questo passo occorre infatti chiedersi: diquale ente si tratta, qui? Di quello scoperto dall'apertura dell’esserci («l'ente nel “come” del suo svelamento», cioè l'entein quanto articolazione dell’«essere nel mondo»), o di quello che si manifesta «nella sua identità con sé medesimo», inquanto asserito? In altri termini: l’ente intramondano fa riferimento, al di là dell’apertura che lo scopre, a un’istanza

141   PL, p. 230 [185].142  « Zur Ausweisung steht einzig das Entdeckt-sein des Seienden selbst, es im Wie seiner Entdecktheit. Diese bewährt sich darin, daß sich Ausgesagte,

das ist das Seiende selbst, als dasselbe zeigt. Bewährung bedeutet: sich zeigen des Seienden in Selbigkeit» (SZ , p. 289 [334]). Nella misura in cui la

nozione di Ausweisung rinvia a un ente «in sé», secondo E. Tugendhat, Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger,cit., pp. 331 sgg., la nozione

heideggeriana di verità non si discosterebbe da quella tradizionale, nella riproposizione che ne fa Husserl. L'allontanamento da essa avviene, sostiene

l’interprete, in una fase posteriore della riflessione heideggeriana, quando cade il riferimento della  Ausweisung allo an sich selbst  dell'ente scoperto.

Secondo C. F. Gethmann Zu Heideggers Wahrheitsbegriff, «Kantstudien», (65), 1974, p. 187, tale riferimento effettivamente sussiste; nel paragrafo

44 di Sein und Zeit , esso non è esplicito, perché viene dato per scontato. Diversamente da entrambi gli interpreti, riteniamo che i due aspetti (da un

lato l'identificazione della nozione di Ausweisung con il mero esser scoprente, dall’altro il rifer imento, attraverso la nozione di Bewährung,al

mostrarsi dell'ente nella sua identità con sé medesimo) vadano tenuti assieme, e che ciò costituisca la specificità della nozione di verità in Sein und

 Zeit. Ancora C. F. Gethmann, La concezione della verità nello Heidegger di Marburgo,  cit., pp. 345 sgg., distingue fra il «modello proposizionale» di

verità, dove «vero» e «falso» sono attributi di enunciato (contraddistinto da un rapporto, tra l'enunciato medesimo e il fatto al quale esso si riferisce,

analogo a quello che intercorre fra copia e originale), e il «modello operazionale», comune a Husserl e a Heidegger, dove «vero» e «falso» riguardano

la realizzazione, o meno, di un progetto. Su questo secondo modello, del quale è espressione il criterio veritativo di «non nascondimento», a nostro

 parere si innesta (piuttosto che, come ritiene l’interprete, l’esigenza della validità intersoggettiva, che si esplicherebbe nell’esigenza relativa alla

giustificazione delle conoscenze acquisite) una nozione di corrispondenza mutuata dal primo modello. Si genera, in questo modo, la «tensionerealista» attraverso la quale viene mantenuta, in Sein und Zeit, la nozione adequativa di verità: M. Ruggenini, La finitude de l'existence et la question

de la verité: Heidegger 1925-1929, cit., pp. 169-171. Più in generale, sull’ambiguità della nozione di  Bewährung , si veda M. Ruggenini, I fenomeni e

le parole, cit., pp. 194-196.

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ontologica distinta, per quanto indefinita (e, dunque, a un'impianto dualistico della struttura dell'essere nel mondo),oppure no?143  

 Nel secondo caso saremmo in presenza, per dirla con Kant, di una forma di «idealismo materiale», dovel'esistenza del mondo esterno al soggetto è, in linea di principio, dubbia o impossibile; nel primo caso si aprirebbe unoiato fra l'istanza che scopre e quella oggettiva, rappresentata da ciò che viene scoperto. All'epoca di Sein und Zeit ,

 proprio in virtù della contrapposizione fra le due istanze, prevale questa seconda configurazione; prevale, cioè, l'idea di

una «presenza» automanifestantesi, al di là (o al di qua) dell'apertura che la scopre. Proprio perché la relazioneveritativa si configura, in questa prospettiva, come rapporto dell’esistente a una realtà ontologicamente distinta edifforme da esso (per quanto tale rapporto intercorra fra l’esserci e l'apertura al suo mondo, ovvero fra l’esserci e la suastessa apertura),144   si pone il problema della «legittimazione», che deve «verificare» l’adequazione fra i poli entro iquali tale relazione intercorre. L’esigenza della «legittimazione», attraverso la quale Heidegger reintroduce la

 prospettiva adequativa, solleva, tuttavia, il problema della «realtà» dell’ente individuato dall’apertura scoprente, inquanto ontologicamente distinto dall’apertura medesima. Ci si imbatte, qui, nella questione relativa alla «realtà bruta»dell'ente intramondano, che si è visto rappresentare il correlato della struttura esistenziale della significatività, ovvero ilcorollario della tesi relativa alla «carenza ontologica» dell'ente sussistente. L’istanza ontologica a esso corrispondenteè, infatti, un mero «X», privo di significato (cfr. supra, cap. 1.4).

Appare dunque problematico rispondere alla domanda che chiede quale sia l'ente con il quale, secondoHeidegger, ha a che fare la questione della legittimazione dell'apertura dell’esserci (ovvero: della conoscenza che

consegue alla scoperta dell'ente), semplicemente sovrapponendo, come fa Heidegger nel passo di Sein und Zeit  sopraricordato, la determinazione che si riferisce all'ente scoperto dall’esserci come articolazione del proprio «essere nelmondo» (quella che entra in gioco quando si fa questione del «come» dello svelamento dell'ente), alla determinazionerealistica che si riferisce, invece, all'ente asserito, in quanto considerato nella sua identità con se stesso.Significativamente, nel testo del corso di lezione del semestre estivo del 1926 si richiama l'attenzione sul fatto chel'essere che è in quanto viene scoperto «non è, dal punto di vista ontologico, il modo d'essere più originario, in quantoesso presuppone la ousia».145  Dietro, e al di là, dell'essere scoperto, viene qui postulata una realtà: la ousia. Questadeterminazione, altrove (cfr.  supra, cap.1, nota 6) associata da Heidegger al concetto di Anwesenheit  (che a questa data,diversamente che in seguito, risulta coniugato con la realtà ontologica di ciò che viene scoperto, anziché con un'istanzaontologica, rispetto a esso, ulteriore),146   si configura, tuttavia, come la postulazione di una realtà bruta, in quantoimperscrutabile, in linea di principio, per l’esistente.147  

143

 Il problema della differenziazione fra l'istanza che fa r iferimento all'ente in quanto scoperto e quella che si ri ferisce, invece, all'ente «nella suaidentità con sé» emerge, con evidenza ancor maggiore, nei testi delle lezioni. In quelle del semestre estivo del 1926, Heidegger precisa che, in

Aristotele (la posizione del quale, come si è visto, è da Heidegger considerata, in questo periodo, come vicina alla propria), il carattere di «essere

aperto» non può prescindere non soltanto dall'essere di colui che fa vedere, ma neppure da quello di ciò che deve essere fatto vedere (« Entdecktheit ist

nicht nur nicht möglich ohne das Sein des Aufweisenden, sondern auch nicht ohne das Sein des aufzuweisenden Seienden»: GA XXII, p. 166). In

questo modo, si ribadisce la distinzione fra l'istanza ontologica relativa all'ente che scopre e quella relativa all'ente che deve essere scoperto, e sorge il

 problema dell'adequazione dell'apertura scoprente a ciò che viene scoperto; il problema, cioè, della concordanza fra l'atto del mostrare da un lato, e

l'«ente che deve essere mostrato» dall' altro. Il rapporto così delineato riproduce un'impostazione del problema conoscitivo di tipo intenzionale. Che la

relazione fra intenzionante e intenzionato sia qui considerata come l'indicazione del rapporto di coappartenenza fra due istanze ontologicamente

consustanziali (l’esserci o, meglio, la sua apertura al mondo da un lato, e il mondo dall'altro), anziché come sussistente fra due enti, ciascuno a sua

volta sussistente (così come è nella nozione «derivativa» di verità: «Wahrheit ist kein vorhandenes Verhältnis zwischen zwei Seienden, die vorhanden

 sind [...] auch keine Zuordnung [...] Wenn überhaupt ein Verhältnis, dann ein solches, das gar keine Analogie hat mit irgendeiner Beziehung zwischen

Seiendem. Es ist [...] das Verhältnis des Daseins als Dasein zu seiner Welt selbst, die Weltoffenheit des Daseins, dessen Sein zur Welt selbst, die in

und mit diesem Sein zu ihr aufgeschlossen, entdeckt ist »: GA XXI , p. 164 [110]), appare (così come l'affermazione, giustificata attraverso il patrocinio

di Aristotele, dell'identità di essere e verità, ovvero di «essere» ed «essere scoperto»: GA XXII, p. 306) come una dichiarazione di principio, che non

intacca la realtà del dualismo.144  «[...] das Verhältnis des Daseins als Dasein zu seiner Welt selbst, die Weltoffenheit des Daseins, dessen Sein zur Welt selbst, die in und mit diesem

Sein zu ihr aufgeschlossen, entdeckt ist » (GA XXI , p. 164 [110]).145  «[…] es ist doch nicht im ontologischen Sinne  die ursprünglichste Seinsart, es setzt die ousia voraus» (GA XXII , p. 306).146  Anche nel corso di lezione del semestre invernale 1924-25, « Anwesenheit » indica l'essere dell'ente, in quanto scoperto dal logos attraverso la sua

modalità presentificante: «[…] das Sein des Seienden selbst, primär als Anwesenheit interpretiert ist und der logos die Art ist, in der mir etwas,

nämlich das, worüber ich spreche, primär vergegenwärtige» (GA XIX , p. 225). Soltanto perchè, in questo contesto, la nozione di Anwesenheit  designa

l'essere dell'ente che è scoperto, essa può essere riferita anche all'istanza ontologica relativa al fenomeno del mondo: «[…] das Sein der Welt ist

 Anwesenheit » (GA XIX , p. 633).147  Benché Heidegger (almeno in Sein und Zeit ; tuttavia, cfr. infra, 2.3.2) non ritenga tale il problema (introdotto dalla coppia concettuale Aufweisung-

 Bewährung, presentata in  Sein und Zeit ) della duplicazione dell’istanza ontologica riferibile all’ente scoperto (e, con esso, il problema dell’istituirsidella configurazione dualistica), soltanto se si accetta l’ipotesi di tale duplicazione non costituisce un pleonasma l'affermazione heideggeriana,

contenuta nel corso di lezione del 1925-26, secondo la quale, dal momento che la verità è lo scoprimento ( Entdeckung ) dell'ente, e il logos è la

 possibilità determinata di tale scoprimento, allora il logos medesimo va concepito come un «modo d'essere dell'esserci nei confronti del mondo e di

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La coppia concettuale  Aufweisung-Bewährung,  funzionale alla concezione adequativa del fenomeno dellaverità, ha dunque aperto uno iato fra la determinazione che si riferisce all'ente in quanto scoperto dall’esistente nella

 propria apertura, e quella relativa all'ente che si manifesta «nella sua identità con sé medesimo», per riprenderel'espressione del passo di  Sein und Zeit   nel quale le due nozioni risultano sovrapposte. La loro identificazionecostituisce, anzi, già un'opzione che privilegia la seconda delle due alternative da noi individuate: quella realistica. Éinfatti in virtù del presupposto realistico che risulta possibile identificare il concetto relativo all'ente in quanto scoperto

dall’esserci  e quello relativo all'ente in quanto manifestato(si)-determinato-asserito: l'ente in quanto disvelato è lo stesso, ovvero la «copia fedele», di quello del quale si asserisce. In questo modo, la sovrapposizione fra le due nozionidi ente rinvia alla configurazione ontologica sottesa al concetto conformativo di verità, che Heidegger intenderebbe,invece, fondare.

2.3.2. La duplice collocazione del fenomeno della verità, nella manifestatività dell’ente e nella sua scoperta da partedell’esistente.

Del resto, lo stesso Heidegger mostra di percepire (nell'esposizione del testo del corso di lezione del 1925-26, piùarticolata di quella di Sein und Zeit ) il carattere problematico di questa sovrapposizione fra le due determinazioni diente. Esse fanno riferimento, infatti, a due diverse, e opposte, collocazioni della verità, nell'istanza «oggettiva»,

 piuttosto che in quella «soggettiva». Sorge il problema, cioè, di collocare la verità sul lato dell'ente che si manifesta«nell’identità con sé medesimo», piuttosto che su quello dell’esistente che lo scopre: «in quanto esser scoperto, la veritàè, da una parte, il carattere dell'ente stesso (in particolare, del mondo), ma nel contempo è, in quanto scoprire, uncarattere del comportamento dell'esserci».148  Il criterio veritativo del «non essere nascosto» (Unverborgenheit ) dell'ente,in quanto rinvia all'«apertura dell'esserci» ( Erschlossenheit des  Daseins) nei confronti dell'ente medesimo,149  si collocasul lato della determinazione esistenziale della «significatività» ( Bedeutsamkeit ), cioè sul versante delle condizioni di

 possibilità dei significati.

esso stesso (dell'esserci). In breve: un essere per l'ente» («[...] eine Seinsweise des Daseins zur Welt und zu ihm (dem Dasein) selbst. Kurz: ein Sein zu

Seiendem »: GA XXI , p. 169 [114]). Soltanto mantenendo la dist inzione di principio fra l'istanza realistica dell'ente che si manifesta nell'identità con sé

(e, quindi, come aspetto del manifestarsi del mondo, concepito come, in certa misura, irriducibile alla struttura dell’esserci) da un lato, e l'istanza

esistenziale, che considera «l'ente nel “come” del suo svelamento» dall'altro, ha senso, rispetto a un modo d'essere dell’esserci (l’«essere per l’ente») ,

distinguere, come fa Heidegger in questo passo, fra il rivolgersi dell'esserci al «mondo» e il suo rivolgersi a sé medesimo, cioè fra due diverseattuazioni della struttura intenzionale, il solo denominatore comune alle quali è costituito dalla struttura dell'«essere per qualcosa».

148  «[…] als  Entdecktheit ist sie einmal ein Charakter  des Seienden selbst (im besonderen der We lt) - als Entdecken aber zugleich ein Charakter des

Verhaltens des Daseins» (GA XXI , p. 169 [116]). Per quanto non così esplicitamente tematizzato, nella prospettiva heideggeriana il problema

dell'ancipite collocazione della verità emerge già nelle lezioni del 1924-25, in sede di confronto con la posizione aristotelica. Dopo aver ribadito il

fatto che, secondo le indicazioni di Aristotele, «l'esser vero in quanto scoprire è un modo d'essere della vita umana, e si riferisce, anzitutto, al mondo»

(GA XIX , p . 186), nel tentativo di “difendere” lo Stagirita dai presunti fraintendimenti posteriori, che gli attribuiscono la tesi secondo la quale il logos,

inteso come validità (o non validità) del giudizio sarebbe il luogo della verità, Heidegger sostiene che l'«essere vero» (on hos alethes) ha a che vedere

con le categorie, soltanto in quanto esso coincide con l'essere del medesimo ente del quale le categorie costituiscono determinazioni d'essere.

L'«essere vero», in altri termini, si identifica con l'istanza ontologica fondativa dell'ente, alla quale si riferiscono le categorie. Per questo Heidegger

afferma (con sensibile mutamento di posizione, rispetto alla tesi iniziale) che l'essere vero può essere considerato come esprimentesi nelle

determinazioni predicative del logos (come afferente, cioè, al lato «soggettivo» del rapporto con il mondo) « soltanto in quanto (esso) è un carattere

dell'essere dell'ente, in quanto esso è qui presente per un comprendere ( Erfassen)» (in corsivo nel testo: GA XIX , p. 187). «L'on hos alethes è lo

stesso ente, che è a tema nell'ontologia: l'ente del mondo». ( Ibidem ). Il problema dell’ancipite collocazione della verità è esplicitamente posto come

tale nelle lezioni del 1928-29, dove Heidegger riconosce che la verità, in quanto totalità dell’ente che si manifesta nel suo non essere nascosto,

 pertiene da un lato all’ente, dall’altro all’uomo, quale suo possesso, del quale tutti gli esistenti «partecipano», in quanto essi «hanno in comune» la

verità: « Das, worein wir uns teilen, kommt einerseits dem Seienden zu und ist anderseits solches, worüber wir, qua Menschen, unter uns verfügen, als

unseren Besitz» (GA XXVII , p. 106). L’analisi sviluppata nei paragrafi 14-15 del testo di queste lezioni è rivolta proprio ad affrontare il problema,

come si dice poche righe più avanti, della «duplice posizione» ( Doppelstellung ) della verità (ibid ., p. 107).149  « Die Erschlossenheit von etwas nennen wir Wahrheit » (GA XXIV , p. 24 [17]). A questo proposito, C. Lafont, Sprache und Welterschließung , cit.,

 pp. 191-192 sottol inea che, all' epoca di Sein und Zeit , affermazioni consimili risultano interpretabili soltanto attribuendo al termine «verità» il

concetto di «senso», o quello di «significato», cioè assegnandola all’ambito esistenziale. Al di là del suo carattere di «senso dell'esser possibile»

dell’esserci  (cfr. G. Figal, Heidegger zur Einführung , Junius, Hamburg 1992, pp. 74-75), la struttura della  Erschlossenheit   appare, in Sein und Zeit ,

come la possibilità dell'attribuzione di senso, da parte dell’esistente, all'ente intramondano. È questo il senso in cui la Erschlossenheit  si pone come la

condizione di possibilità di ogni verità: « La verità fenomenologica (l'apertura dell'essere) è veritas transcendentalis [Phänomenologische Wahrheit(Erschlossenheit von Sein) ist veritas transcendentalis]» (SZ , p. 51 [99]). Sulle ascendenze della nozione di  Erschlossenheit , nella fenomenologia e

nella filosofia trascendentale, si veda T. Rentsch, Martin Heidegger - das Sein und der Tod. Eine kritische Einführung , Piper, München-Zurich 1989,

 pp. 113-114.

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La negazione, all’ente intramondano, del carattere veritativo costituisce una conseguenza della tesi relativa allasua «carenza ontologica». Tale tesi rappresenta, come si è visto, la via attraverso la quale l’essere dell’enteintramondano viene ricondotto alla struttura esistenziale. Il problema della verità è affare dell’esserci; nella suadimensione di «mero sussistente» ( schlechthin vorhanden), l’ente intramondano può, infatti, darsi o non darsi, sostieneHeidegger, ma non può mai, di per sé, né «essere scoperto», né «essere coperto». Queste sono, infatti, determinazionidipendenti dall’incontro dell’ente difforme dall’esserci con quest’ultimo, in quanto esso è dotato della realtà ontologica;

essa è ciò che lo fa «vero», cioè capace di scoprire-essere scoperto.150  In breve: al di fuori del rapporto con l’esserci,l'ente sussistente non può mai essere coperto o scoperto, e neppure «non ancora» o «non del tutto» coperto o scoperto, e

 per questo, secondo Heidegger, non può essere - in senso pro prio - né vero, né falso. La questione della verità nonriguarda l'ente sussistente, bensì la realtà ontologica che viene alla luce nella struttura esistenziale dell’«essere nelmondo»; in essa soltanto accade il fenomeno della verità. Nel caso del fenomeno della verità, la tesi relativa alla carenzaontologica dell'ente intramondano serve, dunque, a ricondurre all'istanza dell'aprirsi scoprente dell'esserci (ovvero, al«soggetto») lo iato fra ciò che apre e ciò che è aperto, evocata, dalla nozione adequativa di verità, all'interno dellastruttura dell'«essere nel mondo». Tale riconduzione non realizza tuttavia, come è evidente, una ricomposizione dellafrattura, cioè dell'impianto dualistico, ma si limita a postularne il superamento a partire da uno dei poli, quello che,«aprendosi» all'altro, solleva il problema della relazione; per questo, la prospettiva che ne risulta può, a buon diritto,essere definita come «soggettivista».

È in conseguenza di questa posizione che nasce la nozione di «verifica» nei confronti del «manifestarsi

dell’ente nell’identità con sé medesimo»; oltre a introdurre l’esigenza di una conformità dell’apertura a ciò che vienescoperto, tale nozione apre la strada all’individuazione del luogo della verità nell’ente. È significativo il fatto che ilconcetto di  Erschlossenheit  indichi, all'epoca di Sein und Zeit , non soltanto l'«essere aperto scoprente» dell’esserci, maanche l'«essere aperto» dell'essere per la propria manifestazione. Del resto, lo stesso concetto di  Entdecktheit  (ovvero,quello di Unverdecktsein), cioè l'«essere scoperto», che in Sein und Zeit  è attribuito all'essere dell'ente difforme dal Dasein , nel corso di lezione del 1924-25 e in quello del 1925 è, invece, presentato come un esistenziale. 151  Questaoscillazione (in virtù della quale il carattere di  Erschlossenheit  si sovrappone a quello di  Entdecktheit ) trova la propriaspiegazione nella duplice collocazione del fenomeno della verità, sul lato dell’apertura scoprente, piuttosto che su quelladell’ente scoperto.152  

Tuttavia, prosegue Heidegger, i due lati dell'alternativa, cioè le due collocazioni della verità (ovvero, le duedeterminazioni dell'ente), vanno considerati come i due aspetti (Seiten) di un unico problema, che costituisce il «tuttooriginario» (das ursprüngliche Ganze) che deve essere colto.153  In effetti, questo appello a considerare il fenomeno dellaverità nel suo carattere unitario, collocandolo, al contempo, in due momenti (l'istanza «soggettiva» e quella «oggettiva»)

dei quali non si è potuta se non constatare l'inconciliabilità, appare possibile soltanto in virtù di un'enunciazione di principio. Essa si fonda su quello che nello  Hauptbuch è un presupposto, cioè sull’identificazione della determinazionerelativa all'ente in quanto scoperto con quella relativa all'ente in quanto esso si manifesta «nella sua identità con sémedesimo». Soltanto se l'ente «in sé» è presupposto come identico a quello scoperto dall’esserci, è possibile, infatti,considerare indifferente la collocazione del fenomeno della verità nello scoprire, da parte dell’esserci, l'ente piuttostoche nel manifestarsi di quest'ultimo.

 Nelle lezioni del semestre estivo del 1927, Heidegger affronta il problema dell’ancipite collocazione dellaverità articolando concettualmente quello che nello  Hauptbuch appare come un presupposto: il collocarsi del fenomenodella verità, al contempo, nell’esserci e nell’ente disvelato, per cui «[...] al concetto di verità appartiene il momentodello svelare e l'esser disvelato, al quale il disvelare si rapporta secondo la propria struttura».154  Questa affermazione di

150  Sono «meramente sussistenti» gli enti «semplici», in quanto non toccati dal logos disvelante, che si fenomenizza nella dinamica di synthesise di

diaeresis; essi non possono mai essere «all'incirca, non ancora sussistenti» e, non accade dunque mai che essi siano, «per una volta», «non-sussistenti» («[...] sind schlechthin vorhanden und nicht und nie etwa noch nicht vorhanden, also einmal unvorhanden»:GA XXI , p. 183 [123] [la

traduzione è nostra]). Nella lettura heideggeriana, ciò significa che un ente sussistente non può mai essere altro che tale: non può essere «più o meno»

sussistente, ovvero «non del tutto» o «non ancora» sussistente. Gli enti sussistenti non possono mai essere altrimenti da come essi sono, cioè

sussistenti: «il loro essere esclude ogni possibile non sussistenza dalla sostanza e dalla modalità di ciò che essi sono; questi enti, in quanto sussistenti,

non sono mai altrimenti da come essi sono» (« Ihr Sein schließt jede mögliche Unvorhandenheit aus in dem, was und wie sie sind; diese Seienden sind

nie nicht so vorhanden, wie sie es sind »: GA XXI , p. 183 [123] [la traduzione è nostra]).151  «[...] ist das  Unverdecktsein eine spezifische Leistung des Daseins» (GA XIX , loc. cit.); GA XX , § 28 e, in particolare, p. 349 [312]. F. Volpi,

 Heidegger in Marburg: die Auseinandersetzung mit Aristoteles, cit., p. 179 sottolinea il tener fermo di Heidegger, in Sein und Zeit , alla distinzione tra Erschlossenheit dell’esserci ed Entdecktheit  del mondo come prova del fatto che, anche nello Hauptbuch , la verità è un carattere anche dell’ente.152  Un’ulteriore conferma in questo senso viene, per converso, da Vom Wesen des Grundes, dove la rimozione del residuo di autonomia ontologicadell'ente intramondano (cfr. infra, cap 3.2), ovvero il prevalere della dimensione dell’apertura rispetto a quella dell’«essere scoperto» porta Heideggerad accentuare la distinzione fra la Erschlossenheit , in quanto nozione relativa alla verità dell'esserci, dalla Entdecktheit , in quanto nozione relativa allarealtà dell'ente intramondano: M. Heidegger, Vom Wesen des Grundes, in Wegmarken, cit ., pp. 130-131 [trad. it. a cura di F. Volpi, Dell'essenza del

 fondamento, in Segnavia, cit., pp. 86-87].153  GA XXI , p. 170 [116].154  «[...] gehört zum Begri ff der Wahrheit das Moment des Enthüllens und die Enthullheit, auf die sich das Enthüllen seiner Struktur nach bezieht »

(GA XXIV , p. 309 [208]). Consenziente alla posizione heideggeriana è la lettura di M. Zanatta,  Identità, logos e verità , cit., p. 367, che non vede

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 Die Grundprobleme der Phänomenologie riprende quelle consimili che, in Sein und Zeit, definiscono la verità come«essere scoperto» ed «essere scoprente».155  Nello  Hauptbuch, il momento dell’«essere scoperto», in quanto «esserscoperto di», cioè in quanto «relazione sussistente fra due sussistenti ( intellectus et res)»,156  serve a spiegare la genesidell’interpretazione «derivativa» del fenomeno della verità da quella «originaria». Nelle lezioni del 1927, Heidegger

 preferisce, invece, insistere sulla coappartenenza dei due aspetti, cioè dell’«esser scoprente» e dell’«essere scoperto», inquanto entrambi attributi dell’«essere nel mondo».

La soluzione del problema dell’ancipite collocazione della verità che rintraccia quest’ultima, alternativamente,nell’esistente, piuttosto che nell’ente, viene dunque impostata, nelle lezioni del 1927, ribadendo il loro coappartenersi, enegando la contrapposizione fra la struttura intenzionale dell’esserci (in quanto erroneamente presunta come istanza a parte subjecti) da un lato, e la trascendenza (in quanto, secondo Heidegger in modo altrettanto erroneo, presentata comeistanza a parte rei) dall'altro: «l'intenzionalità è la ratio cognoscendi della trascendenza. Quest'ultima è la ratio essendi dell'intenzionalità nei suoi diversi modi».157   Il coappartenersi di scoprire ed essere scoperto (che ricoprono il ruolo,all’interno della configurazione esistenziale dell’«essere nel mondo», rispettivamente di ratio cognoscendi  e di  ratioessendi) disegna, per il fenomeno della verità, una prospettiva circolare, finalizzata a risolvere la questione della duplicedeterminazione della verità, in quanto collocata, alternativamente, nell’istanza «soggettiva» o in quella «oggettiva». Ladistinzione fra i due aspetti, intenzionalità e trascendenza, tuttavia permane: l'evocazione del carattere circolare del lororapporto non appare maggiormente giustificata dell'appello a cogliere, considerandoli come i due lati di un medesimointero, due aspetti (le due collocazioni della verità, appunto) che si presentano come irriducibili l'un l'altro.

Le vicende relative a Vom Wesen der Wahrheit, il testo di una conferenza tenuta per la prima volta nel 1930, pubblicato una prima volta nel 1943, e modificato nella seconda (1949) e nella terza (1954) edizione, dimostrano quantorisulti problematico il tentativo di risolvere la questione della duplice collocazione della verità (nell’azione disvelativadell’esserci, piuttosto che nella manifestatività dell’ente) insis tendo, come fa Heidegger nella seconda metà degli anniVenti, sull’unicità e l’indifferenza dei due punti di vista. Esaminando la relazione dell'asserire rappresentativo(vorstellendes Aussagen) con la cosa ( Ding ) che, in quanto «adequazione» ( Angleichung ) del primo alla seconda, vienetradizionalmente presentata come il rapporto costitutivo del fenomeno della verità, Heidegger per un verso sottolinea ilsuo appartenere all'ambito del «comportamento» (Verhalten).158   Questa nozione, che designa il comportamentodell’uomo nei confronti della verità, appartiene senza dubbio, all’epoca di Sein und Zeit,  in quanto «Verhalten des Daseins», all'ambito esistenziale.159   Nel medesimo contesto, Heidegger sostiene, per un altro verso, che «ognicomportarsi si caratterizza per il fatto che, stando nell'aperto, si attiene sempre a ciò che, in quanto tale, è manifesto».160  Questa istanza che, «in quanto tale», è manifesta, è ciò che, rileva Heidegger, viene esperito dal pensiero occidentalecome «ciò che è presente» (das Anwesende) e designato come «l'ente» (das Seiende). In un'annotazione sulla sua copia

di lavoro della terza edizione (1954) del testo della conferenza, Heidegger specifica, tuttavia, che il comportarsi (cioè illato «soggettivo» del fenomeno della verità) consiste in un «“trattenersi” nella radura (insistente nella radura) della

 presenza di ciò che è presente».161   In questo caso, il comportarsi riceve, cioè, la possibilità del proprio essere dalmanifestarsi preliminare di un'«oggettiva» presenza dell’essere. Mentre il testo a stampa si limita a ricondurre (con una

difficoltà nella duplice appartenenza della verità all’esistente e all’ente, né il rischio di soggettivismo, in quanto Heidegger non considera il pensiero

come rappresentazione della cosa, ma muove dall’identità originaria dei due termini; proprio tale assunzione, tuttavia, a parer nostro risulta

 problemat ica.155   « Die “Definition” der Wahrheit als Entdecktheit und Entdeckensein […] erwächst aus der Analyse der Verhaltungen des Daseins, die wir

 zunächst “wahre” zu nennen pflegen» (SZ, p. 291 [336] ).156   SZ, p. 297 [342] .157  « Die Intentionalität ist die ratio  cognoscendi der Transzendenz. Diese ist die ratio essendi der Intentionalität in ihren verschiedenen Weisen». (GA

 XXIV , p. 91 [60]). Il rapporto, qui istituito, fra intenzionalità e trascendenza, finalizzato a superare la dicotomia fra soggetto e oggetto, in seguito sievolve verso il radicamento della prima nella seconda: cfr. infra, cap. 3.2, note 53, 54). Sul tentativo, che attraverserebbe le lezioni del 1927, di

ricomporre la dicotomia gnoseologica attraverso la duplice caratterizzazione, intenzionale e trascendentale, dell'esserci, si vedano A. L. Kelkel,

 Immanence de la conscience intentionel le et trascendence du Dasein, in Heidegger et l 'idée de la phénoménologie, cit., pp. 173-175, J. Taminiaux,

 Lectures de l'ontologie fondamentale, cit., p. 76 e P. Mc Donald, Daseinsanalytik und Grundfrage, cit., pp. 36-37. A. Masullo, La «Cura» in

 Heidegger e la riforma dell’ intenzionalità husserliana , in La ricezione italiana di Heidegger , cit., pp. 381-383 in virtù del carattere originariamente

 patico, e non logico, della soggettività dell’esistente in Heidegger, nega che il rapporto di intenzionalità e trascendenza qui istituito si configuri come

una circolarità. In questa prospettiva, il problema cruciale è costituito dalla coappartenenza di intentio e intentum: nella «fenomenologia noematica»

heideggeriana, l'attribuzione del carattere di intenzionalità-trascendenza all'intentum, cioè all'«essere nel mondo», è finalizzato a risolvere la

 problematici tà di tale coappartenenza, fondando sia la comprensione dell'essere degli enti, sia quella dell'istanza egologica, cioè del Selbst : R. Bernet,

Transcendance et intentionalité: Heidegger et Husserl sur les prolégomènes d'une ontologie phénoménologique,  in Heidegger et l'idée de la

 phénoménolog ie, cit., pp. 197, 211.158  M. Heidegger, Vom Wesen der Wahrheit , in Wegmarken, cit., p. 184 [trad. it. a cura di F. Volpi,  Dell'essenza della verità, inSegnavia, cit., p. 140].159  GA XIX , p. 24.160  « Alles Verhalten aber hat seine Auszeichnung darin, daß es, im Offenen stehend, je an ein Offenbares als ein solches sich hält ». (WW , p. 184

[140]). In questo modo si giunge alla tesi dell’inspiegabilità dell’essere da parte del pensiero: C. Sini, Immagini di verità, Spirali, Milano 1985, p. 78.161  «Verhalten - sich aufhalten in der Lichtung (inständig in der Lichtung) von Anwesenheit des Anwesenden. (WW , p. 184 [140] Anm.   b).

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 posizione non distante da quella di Sein und Zeit ) il criterio conformativo di verità (la  Richtigkeit  dell'asserzione) al«restare aperto» (Offenständigkeit ) del comportamento (sul lato, cioè, della costituzione ontologica dell’esistente), inun'altra annotazione questa stessa apertura viene radicata nello spazio della radura aperta dall'essere.162  

 Nella medesima direzione si muove un'altra glossa: laddove il testo a stampa osserva che ogni comportamentoè «restante nell'apertura» (offenständig ) rispetto all'ente, l'annotazione specifica che ciò accade in quanto esso è«insistente [inständig ] nell'essere aperto» dell'ente, che appare come una condizione preliminare rispetto al

comportamento.163   Nel testo a stamp a il comportamento, in quanto determinazione esistenziale che designa la«relazione a» dell’esserci nei confronti dell’ente da esso difforme, può dunque essere inteso (analogamente all'aperturascoprente di Sein und Zeit ) come il lato «soggettivo» del fenomeno della verità, esplicantesi nell'asserzionerappresentativa; per contro, l'annotazione si preoccupa di ribadire che non soltanto il comportamento deve attenersi al«manifestarsi in quanto tale» dell'ente (il lato «oggettivo» del fenomeno della verità, dal punto di vista dell'opera del1927), ma che questo stesso «attenersi» ( sich halten) del comportamento, in quanto suo «restante nell’apertura»(offenständig ) nei confronti dell'ente, si fonda sull'apertura di quest'ultimo. L'ente in quanto tale, ovvero l'essere, apparecioè, nelle annotazioni, come il detentore (il «soggetto»; dove, tuttavia, l'«oggetto» si è dileguato) dell'apertura, e comeil fondamento della medesima. L'«apertura» della quale si fa questione è dunque, dopo il 1954, non più quella delcomportamento, ovvero dell’esserci, bensì quella dell'ente in quanto tale, ovvero dell'essere. La dicotomia, che ancoranel testo a stampa della conferenza poteva tralucere, fra la collocazione della verità sul lato della struttura esistenziale,

 piuttosto che su quello della manifestatività dell'ente, si chiude: il fenomeno della verità viene ricondotto all'essere,

inteso come il «soggetto» della manifestazione, alla quale tale fenomeno appartiene. Già nel testo a stampa, del resto,non sono più rintraccia bili affermazioni che delineino, così esplicitamente come in Sein und Zeit , l'inerire della veritàalla struttura dell’esistente. Per evitare ogni possibile equivoco, dopo aver sostenuto che «l'essenza della verità,compresa come conformità dell'asserzione, è la libertà»,164  Heidegger dedica lo sviluppo della trattazione successiva aspiegare che la libertà non va intesa come una proprietà dell'uomo.

 Nel lungo capoverso iniziale della  Anmerkung  conclusiva, aggiunto nell'edizione del 1949, Heidegger ha, delresto, già compiuto il passo decisivo. Qui egli sostiene, infatti, che «la questione dell'essenza della verità scaturiscedalla questione della verità dell'essenza»; la soluzione del problema consiste nell'equivalenza secondo la quale«l'essenza della verità è la verità dell'essenza », laddove la «verità dell'essenza», ovvero il «velarsi diradante» (daslichtende Bergen) dell'essere (Seyn), costituisce il «soggetto» della proposizione.165  

2.3.3. La fondazione del fenomeno dell’«essere nel mondo» in quello della verità e l’impossibilità di considerare il

fenomeno del mondo in quanto tale.

Si è finora mostrato, dunque, che in Sein und Zeit  Heidegger assume, all'interno della nozione disvelativa di verità,quella concordativa. Proprio in forza di tale assunzione, il cammino indicato da Heidegger nell'opera del 1927, cheintende ricondurre il fenomeno della verità a quello dell'«essere nel mondo», risulta capovolto: nello  Hauptbuch, è

 piuttosto la struttura esistenziale a risultare impostata a partire da un determinata forma (quella concordativa) di verità.In altri termini: l'assunzione della nozione concordativa di verità impone il percorso argomentativo che, procedendodalla questione di verità alla struttura esistenziale, struttura la seconda sulla prima, anziché (come si propone di fareSein und Zeit , dal momento che la verità rientra nella «costituzione fondamentale» dell’esserci)166  l'inverso.167  É dunquela questione di verità il  primum dell'indagine, dove (in virtù dell'assunzione della prospettiva concordativa) viene deciso

162  WW , p. 185 [140-141] Anm. a.163  WW , p. 184 [140] Anm. c.164  «Das Wesen der Wahrheit, als Richtigkeit der Aussage verstanden, ist die Freiheit» (WW , p. 186 [142]).165  WW, p. 201 [155-156].166  SZ , p. 290 [334]. Si veda, ancora, il testo del corso di lezione del semestre estivo del 1927: «[...] nella misura in cui l'ente è nel modo dell'essere in

un mondo, esso è vero» («[…]  sofern Seiendes in der Weise ist, daß es in einer Welt ist, ist es wahr ». (GA XXIV , p. 308 [206]). Come sottolinea E.

Fink, Welt und Endlichkeit , cit., p. 159, «l’esistente ha “mondo”, poiché a esso appartiene la verità».167  Questa inversione del percorso argomentativo di Sein und Zeit , in virtù della quale la struttura dell’esistente risulta da determinarsi, contrariamente

alle dichiarazioni programmatiche dello Hauptbuch  (SZ , § 44a), a partire dal fenomeno della verità, da un lato appare congruente con il percorso

seguì to in alcuni corsi di lezione precedenti l’opera del 1927 (al proposito, sia permesso il rinvio a F. Cassinari,  La nozione esistenziale di verità nella

riflessione di Martin Heidegger: Sein und Zeit  e le lezioni marburghesi, «Fenomenologia e società», (3), 1997, § 2), dall’altro costituisce uno dei temi

decisivi del successivo sviluppo della riflessione heideggeriana, che emerge già nel corso di lezione del semestre estivo del 1927: «non siamo noi che

abbiamo bisogno di presupporre che da qualche parte vi sia una verità «in sé», [...] ma la verità stessa, cioè la costituzione fondamentale dell'esserci,

 pre-suppone no i, nel senso che è il presupposto della nostra propria esistenza» (« Nicht wir brauchen vorauszusetzen, daß es irgendwo “ansich” eineWahrheit gäbe, […] sondern die Wahrheit selbst, d. h. die Grundverfassung des Daseins, setzt uns voraus, ist die Voraussetzung für unsere eigene

 Existenz»: GA XXIV , p. 315 [212]). Anche qui sottoscriviamo la tesi di E. Fink, Welt und Endlichkeit , cit., p. 175: in Sein und Zeit , Heidegger pensa il

concetto di mondo (ovvero, la struttura esistenziale dell’essere nel mondo) a partire da quello di verità.

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della distinzione fra esistente ed ente intramondano; non la struttura esistenziale dell'«essere nel mondo», che da taledistinzione prende le mosse.

Anche la distinzione fra l'ente soggetto e l'ente oggetto nasce, dunque, in quanto istituita dall'idealeconformativo di verità; non viceversa,  come ritiene non soltanto l'impostazione  che Heidegger designa come«tradizionale» del problema, ma anche egli stesso. Proprio perché, infatti, Heidegger in Sein und Zeit pone la questionedi verità come una variabile funzionale della configurazione esistenziale, anziché il contrario, egli ritiene di poter

assumere la nozione adequativa di verità, l’impianto dualistico della quale verrebbe «neutralizzato» dalla suafondazione nella determinazione esistenziale dell'«essere nel mondo». Tuttavia, all'inverso, proprio il non aver delineatoun concetto di verità effettivamente diverso da quello «tradizionale» fa sì , anzitutto, che venga riproposto, per lastruttura esistenziale, un impianto dualistico.

In secondo luogo, il ruolo «fondamentale» riconosciuto, in Sein und Zeit, alla determinazione dell'«essere nelmondo», in quanto strutturalmente pregiudicata in senso dualistico dalla nozione concordativa di verità, fa sì che, nello Hauptbuch, il fenomeno del mondo non venga considerato in quanto tale, ma solo a partire dall'istanza esistenziale: ilfenomeno del mondo risulta risolto nella costituzione d’essere dell’esistente (cioè nell’«essere nel mondo»), ovveronella sua comprensione. L'autentico tema fenomenologico dell'opera del 1927, la «cosa stessa» verso la quale occorredirigersi, in quanto dimensione dell'apertura «nella quale» l'ente viene incontrato, non è perciò affatto il «mondo», bensìl'«essere nel mondo».168  Il fenomeno del mondo risulta in effetti, nell'ontologia fondamentale, non soltanto non pensatode facto, ma, in linea di principio, non pensabile.169   L'assunzione della nozione concordativa di verità importa, infatti, il

dualismo nella struttura esistenziale attraverso l'esigenza della «verifica», in quanto essa si coniuga con quella della«legittimazione». Sul presupposto del riconoscimento della difformità fra l'esistente e l'ente da esso incontrato si innestal'istanza realistica relativa all'ente che si manifesta «nella sua identità con sé», e che interviene a «verificare»(bewähren) atto e contenuto dello scoprire che di per se stessi sono legittimati. In questo modo, la determinazioneesistenziale appare come una struttura della soggettività .

Come vada interpretato questo carattere di soggettività dell'esistente è Heidegger medesimo a chiarirlo, nellelezioni del 1927: «nel senso del concetto, rettamente inteso, di “soggetto” in quanto esistente, cioè dell'esserci che stacome un ente (sottolineatura nostra) nel mondo».170  Che cosa significa, in questo caso, il carattere di ente dell'esistente?Che cosa significa, «in generale», «essere dell'ente», ed «essere in generale»? Se l'esistente è «essere nel mondo», checosa lo accomuna e in che cosa esso è difforme, nel suo «essere ente», dall'ente intramondano? La questione della veritàè apparsa, in Sein und Zeit , come la radice sia della modalità secondo la quale questa distinzione viene strutturata (conla riconduzione dell’essere dell’ente intramondano a quello dell’esistente e, al contempo, il mantenimento, per il primo,di una valenza realistica) sia dell'interpretazione del fenomeno del mondo come «essere nel mondo» dell'esistente. Per

questo, dopo lo  Hauptbuch , la riflessione heideggeriana affronta i problemi che sorgono da quella distinzione,elaborando ulteriormente la determinazione dell’«essere nel mondo».

168  Contro le affermazioni heideggeriane che designano l'essere come l'autentico tema della fenomenologia, K. Held,  Heidegger et le principe de la

 phénoménologie , cit., pp. 244-251 individua piuttosto, sia nella fenomenologia husserliana sia nella filosofia di Heidegger, la centralità della

questione del mondo, in quanto dimensione dell'apertura. In Sein und Zeit  il tema decisivo non è, tuttavia, quello del rapporto (del quale il fenomeno

del mondo costituirebbe la condizione di possibilità) agli enti da parte della coscienza; la questione non riguarda, cioè, il problema delle condizioni di

 possibilità del sapere dell'uomo intorno agli oggetti del mondo (ovvero, le condizioni di costituzione di questi ultimi in quanto fenomeni, cioè quali

oggetti di conoscenza per l’uomo), bensì quello dello statuto ontologico-fondamentale della soggettività umana.169  Resta qui aperta la questione, che sarà decisiva all'epoca del corso di lezione del 1929-30, relativa alla possibilità di pensare il mondo in quanto

tale; la possibilità cioè, di fare di esso l'oggetto di un esame che pervenga, tematizzandolo in via diretta, ad articolare il concetto che lo riguarda. Per

ciò che concerne Sein und Zeit , nonché i testi che preparano lo  Hauptbuch , va ribadito che è la struttura stessa del progetto dell'opera a impedire a

Heidegger di incamminarsi su questa strada. Proprio per affrontare tematicamente la questione del mondo, in  Die Grundbegriffe der Metaphysik  Heidegger riconsidera tale progetto, e colloca il concetto di mondo (considerato come l'ente in quanto tale, cioè in totalità, cioè l'essere) come

 presupposto e filo conduttore dell'analis i ontologica dell'ente (cfr. infra, cap. 5.2).170  «[…] im Sinne des wohlverstandenen Begriffs des “Subjekts” als des existierenden, d. h. in der Welt seienden Daseins» (GA XXIV , p. 308 [207]).

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CAPITOLO TERZO. DUE PASSI AL DI LA’ DI SEIN UND ZEIT : LA RADICALIZZAZIONE

DELL’IMPOSTAZIONE TRASCENDENTALE IN METAPHYSISCHE ANFANGSGRÜNDE DER LOGIK   E

LA RIMOZIONE DELLA VALENZA REALISTICA DELL’ENTE IN VOM WESEN DES GRUNDES .

Infatti, è assolutamente incomprensibile […] attribuire a una parte

qualsiasi dell’universo un’esistenza indipendente da ogni spirito.G. Berkeley, The principles of human knowledge, I, 5.

La questione di verità, almeno per come essa risulta posta a partire da Sein und Zeit e dai testi che ne precedono lastesura, determina, dunque, il rapporto all'essere da parte dell'esistente che è designato, nell'opera del 1927, attraverso lanozione di «essere nel mondo». La questione di verità determina, cioè, la duplice distinzione che caratterizza il progettodi «ontologia fondamentale»: sia la distinzione fra la struttura d'essere dell'esistente (ovvero, la struttura dell'ente che

 pone la questione relativa all'essere) da un lato e quella dell'ente da esso difforme dall’altro, sia la distinzione fra lastruttura d'essere dell'esistente e il suo fondamento. Tale fondamento (la determinazione dell'«essere in generale», cheindica l'istanza ontologica comune all'essere dell'esistente e a quello dell'ente intramondano) dovrebbe evitare che la

 prima distinzione si presenti come una frattura. Come si è visto, la nozione heideggeriana di verità imposta, in Sein und Zeit ,  il problema dell'essere nel mondo dell'esistente nei termini del rapporto che intercorre fra la struttura dell'esserci

(individuata, appunto, dalla determinazione dell'«essere nel mondo») e quella dimensione dell'ente che (in una letturarealistica del medesimo) rimane irriducibile al complesso dei rapporti di significazione. Proprio questa irriducibilità, e ildualismo che ne risulta, configurano l'«essere nel mondo» come una strutture soggettiva. Si intende ora analizzare comeHeidegger, dopo Sein und Zeit, tenti una rielaborazione di quest'ultima, proprio per riformulare la relazione che legal'ente definito dall'«essere nel mondo» all'ente intramondano.

3.1.  Metaphysische Anfangsgründe der Logik : la trascendentalizzazione della struttura dell'«essere nel mondo» cometentativo di porla a fondamento della relazione dualistica fra l'esserci e l'ente intramondano.

3.1.1. L'accentuarsi della distinzione fra l'essere dell'esserci e l’essere dell'ente da esso difforme come premessa allariconduzione del secondo al primo.

Il testo del corso di lezione del semestre estivo del 1928, pubblicato con il titolo di  Metaphysische Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz, offre indicazioni del cammino, intrapreso da Heidegger dopo la pubblicazione di Seinund Zeit , rivolto verso la rielaborazione di ruolo e funzione della struttura dell'«essere nel mondo». La seconda sezionedella seconda parte dei  Metaphysische Anfangsgründe   der Logik , dedicata al problema del fondamento, si aprericordando che il «punto di partenza» per accostarsi a tale questione è costituito dall'analisi della determinazionerelativa all'«essere in generale»; a quest'ultima, d'altra parte, si perviene attraverso l'analitica dell'esserci, che trova la

 propria chiave di volta nell'analisi del carattere di trascendenza dell'esistente.171   Nelle lezioni del 1928, la riduzione

171  M. Heidegger, Metaphysische Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz, in Gesamtausgabe, Bd. XXVI, hrsg. von K. Held, Klostermann,Frankfurt a. M. 1990, p. 203 [trad. it. a cura di G. Moretto, Principii metafisici della logica, Il Melangolo, Genova 1990, p. 190]. Il fatto che la

 posizione della Critica della ragion pura  venga, in queste lezioni, esplicitamente richiamata (in quanto «aggiramento», [ Kreisen], della questionedella trascendenza: ibid., p. 210 [196]) quale obiettivo polemico dell'analisi, testimonia del carattere decisivo, in questa fase della riflessioneheideggeriana, del confronto con Kant per ciò che riguarda la questione della soggettività. Va inoltre ricordato che il corso del 1927-28 è interamentededicato al confronto con Kant. Una parte dei materiali di questo corso (il cui testo è stato pubblicato con il titolo di Phänomenologische

 Interpretation von Kants Kritik der reinen Vernunft ) confluisce in Kant und das Problem der Metaphysik , opera pubblicata nel 1929, il filo conduttoredella quale è costituito dal tentativo di mettere in scacco, attraverso l'interpretazione della Einbildungskraftkantiana, il soggettivismo antropocentricoche, a parere di Heidegger, connoterebbe la metafisica occidentale nella sua evoluzione storica. La caratterizzazione kantiana dell'immaginazione,trascendendo lo statuto di «facoltà» a essa tradizionalmente attribuito, costituirebbe il terreno, posto al di qua della frattura tra soggetto e oggetto, sulquale nasce la conoscenza ontologica; in questa prospettiva, nella quale la funzione rappresentativa appare non soltanto svincolata dal soggettivismo

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della Seinsfrage al  Seinsverständnis  viene portata alle sue estreme conseguenze: ora non soltanto la questione del«senso dell’essere» può essere posta, come tale, soltanto dall’esistente, ma l’essere stesso altro non è se non unafunzione della comprensione dell’esistente, in quanto modo d’essere specifico di quest’ultimo è comprendere qualcosacome essere (dergleichen wie Sein zu verstehen).172   Correlativamente, i  Metaphysische Anfangsgründe der Logik  accostano la determinazione della trascendenza a quella di «essere nel mondo», fino quasi alla sovrapposizione:l'espressione «essere nel mondo» designa, infatti, proprio il fenomeno della trascendenza dell'esserci. 173  Più avanti,

Heidegger precisa che la trascendenza va pensata come la condizione di possibilità dell'«essere nel mondo»: latrascendenza, in quanto essere nel mondo, dà luogo alla costituzione fondamentale dell'esserci. 174   Lo scopodell'accentuazione, da parte di Heidegger, del carattere di trascendenza dell'«essere nel mondo» è dichiaratamente, inqueste lezioni, quello di elaborare il problema della struttura esistenziale nei termini della «questione dellasoggettività». La trascendenza, afferma infatti Heidegger, rappresenta la «costituzione originaria» della soggettività,l'elemento che individua l'«esser soggetto» in senso proprio: la soggettività, in quanto tale, trascende.175  Attraverso lafocalizzazione della questione della trascendenza, concepita come «Verfassung der Subjektivität », viene perciò indicatol'«essere nel mondo» dell'esserci, in quanto designato come struttura della soggettività. È necessario sottolineare che il

 problema della soggettività, così come esso viene messo a fuoco nel testo delle lezioni del semestre estivo del 1928, èulteriore (in certo senso «esterno», dice Heidegger) a quello dell’indagine di Sein und Zeit . In queste lezioni, infatti,Heidegger intende portare «al centro dell’analisi» la «metafisica dell’esserci», rispetto alla quale l’analisi dell’enteesistente (sviluppata, nello  Hauptbuch , attraverso l’analisi della sua «comprensione d’essere», in vista delladeterminazione del suo «essere in generale») costituisce soltanto un momento «preparatorio».176  

Che cosa comporta, nei  Metaphysische Anfangsgründe der Logik, la ridefinizione della questione dellasoggettività e il rilievo conferito alla determinazione della trascendenza? Si verifica, anzitutto, una ridefinizione delrapporto fra l'esistente e l'ente difforme da esso. Tale rapporto viene esplicitamente delineato, nelle lezioni del 1928,come un'«estraneità»: «in quanto trascendente, cioè in quanto libero, l'esserci è qualcosa di estraneo alla natura», 177  intesa come l'insieme, al quale si riferisce l'«ontologia delle cose», degli enti concepiti nello statuto della sussistenza.L'essere libero, sostiene Heidegger, coincide con il trascendere: la libertà e l’essere «in vista di» (cioè il trascendere),che caratterizza l’«essere nel mondo», rappresentano dei sinonimi.178   Libertà, ovvero trascendenza, ed «essere nelmondo» (ovvero, tout court , il fenomeno al quale fa riferimento il concetto di mondo) si contrappongono dunque ora, intermini la cui esplicitezza è nuova rispetto a Sein und Zeit , all'ente: «in quanto trascendente, l'esserci è oltre [corsivonostro] la natura, benché esso rimanga, in quanto fattivo, costretto in essa».179  Il problema di fornire un fondamento allarealtà (altrimenti espunta dalla considerazione teorica) dell'ente difforme dall'esserci trova in Sein und Zeit , attraverso lafigura concettuale della  Bewandtnis   (cfr. supra , cap. 1.2), la propria soluzione nel tentativo di riconduzione dell'istanzaontologica a esso relativa all'interno dell'àmbito esistenziale; nelle lezioni del 1928, viene invece sottolineata la sua

alterità rispetto a tale àmbito. Si sottolinea, ora, come il dispiegarsi della struttura esistenziale avvenga «fuori» dalladimensione categoriale: «se l'esserci esiste in quanto essere nel mondo, esso è sempre già fuori, presso l'ente»; anzi,«questo modo di esprimersi è, nel suo fondamento, erroneo, perché il “già fuori” presuppone che esso fosse stato, unavolta, “dentro”».180  

Il richiamo di Heidegger al carattere di  «fatticità» ( Faktizität )  dell'esserci, valutato come una «costrizione»(Umschlingung ) di quest'ultimo all'interno della dimensione della sussistenza-utilizzabilità, palesa la novitàdell'inquadramento concettuale del problema della soggettività dell'esistente (e, conseguentemente, del problema delmondo) rispetto a Sein und Zeit . Nell'opera del 1927, il carattere «fattivo» ( faktisch) dell'essere viene introdotto per darconto (nel rapporto che esso intrattiene con gli enti intramondani) della condizione di «fattualità» (Tatsächlichkeit ) sua

rintracciabile in Cartesio (nonché dal primato, attribuito dallo stesso Kant, allo Ich denke), ma come l'operatore ontologico che permette unaridefinizione della soggettività (ci permettiamo il rinvio a F. Cassinari,  Definizione e rappresentazione , cit., cap. IV.172  GA XXVI , p. 20 [31]. G. Moretto, Linguaggio e giustif icazione in Heidegger , in La ricezione italiana di Heidegger , cit., pp. 145-146, rileva, nelle

lezioni del semestre estivo del 1928, la caratterizzazione antropocentrica del principio di ragione: è l’esistente a giustificare l’essere, e la teodicealeibniziana si converte in un’antropodicea. A nostro parere, benché sia effettivamente questa la strada sula quale, in queste lezioni, appareincamminato Heidegger, soltanto con Vom Wesen des Grundes, cioè con la rimozione della valenza realistica dell’ente intramondano, si perviene nonsoltanto alla riduzione della questione dell’essere a quella della sua comprensione da parte dell’esistente, ma dell’istanza stessa designata dallanozione di «essere in generale» a quella indicata dall’«essere dell’esistente».173  GA XXVI , p. 213 [198].174  «[...] die Transzendenz, das In-der-Welt-sein die Grundverfassung des Daseins ausmacht, [ ...]» (GA XXVI , p. 238 [219]).175  «[...] ist die Transzendenz 1. die ursprüngliche Verfassung der Subjektivität eines Subjektes. Das Subjekt transzendiert qua Subjekt, es währe nichtSubjekt, wenn es nicht transzendierte. Subjektsein heißt Transzendieren» (GA XXVI , p. 211 [196-197]).176  GA XXVI , p. 171 [162]. K. E. Mink, Ontology, Metontology, and the Turn , UMI, Ann Arbor 1990, pp. 98-99 legge questi passi come unareinterpretazione, da parte di Heidegger, del progetto di ontologia fondamentale presentato nello Hauptbuch , nel senso di una ridefinizione dei suoi

 presupposti .177  « Als transzendierendes, d. h. als freies ist das Dasein der Natur etwas Fremdes» (GA XXVI , p. 212 [197]).178  « Nur wo Freiheit , da ein Umwillen, und nur da Welt. Kurz gesagt: Transzendenz des Daseins und Freiheit sind identisch. Freiheit gibt sich selbstdie innere Möglichheit; ein Seiendes als freies ist in sich selbst notwendig transzendierendes» (GA XXVI , p. 238 [219]). Rispetto a Sein und Zeit , nellelezioni del 1928 il configurarsi del fenomeno del mondo come articolazione della trascendenza dell'esserci lo priva di qualunque valenza

cosmologica, e il ruolo trascendentale a esso assegnato rappresenta uno sviluppo ulteriore nei confronti della posizione dello  Hauptbuch: A. L.Kelkel, Immanence de la conscientie intentionelle et transcendance du Dasein, cit., p. 179.179  «[...] Das Dasein ist als transzendierendes über die Natur hinaus, obzwar es als faktisches von ihr umschlungen bleibt » (GA XXVI  p. 212 [197]).180  «Sofern Dasein qua In-der-Welt-sein existiert, ist es immer schon draußen beim Seienden; ja im Grunde ist diese Redeweise noch schief, das“schon draußen” setzt voraus, es wäre doch irgendeinmal drinnen» (GA XXVI , p. 213 [198]).

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specifica: «La “fattualità” dell’esser fatto peculiare nell'esserci appare fondamentalmente diversa, dal punto di vistaontologico, dal presentarsi fattuale di un minerale. Definiamo fatticità ( Faktizität ) la fattualità del “fatto” dell'esserci,che ogni esserci di volta in volta è».181   Sorge, in questo modo, il problema di precisare il carattere di fattualità(Tatsächlichkeit ) specifico dell’esistente, ovvero il problema di articolare concettualmente in che cosa consista la suafatticità ( Faktizität ). Il testo delle lezioni del 1928 imposta la soluzione di questo problema muovendo dall'assunzionedell'orizzonte concettuale entro il quale esso sorge, definito dalla distinzione fra l'àmbito esistenziale e quello

categoriale. Relativamente a essa si accentua, rispetto allo  Hauptbuch,  il carattere di condizione di possibilitàtrascendentale del primo termine nei confronti del secondo. La dimensione di  Faktizität   dell'esserci non viene piùconsiderata, in queste lezioni, come il possibile (per quanto problematico) momento di mediazione fra l'esistente e l'entedifforme da esso, bensì come un vincolo e, quasi, un ostacolo all'estrinsecazione della ürsprungliche Grundverfassung  dell'esserci: l'essere nel mondo, del quale viene ora sottolineato il carattere di trascendenza. Per questo, il carattere di Faktiz ität   dell'esserci si avvicina, nei  Metaphysische Anfangsgründe der Logik, all'espulsione dai confini dell'ambitoesistenziale, e alla sua assegnazione a quello categoriale.182  

 Nelle lezioni del 1928, l'accento posto sulla distinzione tra l'àmbito esistenziale e quello categoriale dà perciòluogo a un movimento duplice: l'assegnazione della dimensione della  Faktiz itä t all'àmbito categoriale da un lato, larisoluzione dell'istanza relativa al fenomeno del mondo in quanto tale in quella relativa alla struttura esistenzialedell'«essere nel mondo» dall'altro. Il secondo aspetto emerge in modo evidente dall'equivalenza, sostenuta in questelezioni, fra il concetto di «essere nel mondo», cioè la struttura esistenziale, e quello di «mondo». Tale equivalenza vienemediata dal concetto di «trascendenza»: il concetto di mondo è definibile come «trascendentale», argomenta Heidegger,

in quanto esso «appartiene» alla trascendenza, e quest'ultima si identifica con l'«essere nel mondo». L'obiettivo, sostieneHeidegger, consiste nel mostrare come il fenomeno del mondo non sia altro se non una determinazione dellatrascendenza, cioè dell'esistenza.183   Si verifica, in questo modo, una radicalizzazione degli esiti ai quali l'analiticaesistenziale era pervenuta in Sein und Zeit . Nell'opera del 1927 viene infatti mantenuta, in linea di principio, ladistinzione tra il fenomeno del mondo in quanto tale e la struttura esistenziale dell'essere nel mondo (per quanto, comesi è visto, il primo risulti già de jure presupposto come non pensabile), dal momento che Heidegger distingue fra diverseaccezioni del termine Welt , in quanto riferibili, tutte, a diversi aspetti di un unico fenomeno, ma non tutteesaustivamente compendiabili nella struttura dell'essere nel mondo. Nei  Metaphysische Anfangsgründe der Logik  (dove

 pure è presente il richiamo alla “tavola dei significati” relativi al termine Welt ), il fenomeno del mondo in quanto talerisulta, invece, esplicitamente e in modo esaustivo espresso dalla struttura dell'essere nel mondo, come indica l'accento,

 posto da Heidegger, sull'equivalenza fra il termine «mondo», l'espressione «essere nel mondo», e la nozione ditrascendenza.184  

Occorre, nondimeno, sottolineare che, rispetto alla posizione di Sein und Zeit , le lezioni del 1928 non

esprimono, né in merito alla questione della realtà ontologica dell'ente difforme dall'essere, né in merito alla questione

181  «Und doch ist die “Tatsächlichkeit” der Tatsache des eigenen Daseins ontologisch grundverschieden vom tatsächlichen Vorkommen einerGesteinsart. Die Tatsächlichkeit des Faktums Dasein, als welches jeweilig jedes Dasein ist, nennen wir seine Faktizität» (SZ , p. 75 [125]). Perrichiamare il carattere di «evento primitivo» ( Faktum ) della peculiare modalità di sussistenza inerente all'esserci in quanto esistente, cioè in quanto«fattivo» ( faktisch) (cfr. supra , cap. 1, nota 19), traduciamo il termine tedesco « Faktizität » con quello italiano «fatticità», discostandoci da Chiodi, chelo rende con quello «effettività». Lo «strano raddoppiamento» che M. Haar, Heidegger et l'essence de l'homme, Millon, Grenoble 1990, pp. 73-74avverte nell'espressione « Die Tatsächlichkeit des Faktums Dasein », non segnala altro che il problema, decisivo per Sein und Zeit , da un lato di darconto dei possibili caratteri di sussistenza e intramondanità del Dasein  altro da quello dal quale l'indagine prende le mosse (in quanto incontrato daquest'ultimo, nel mondo di quest'ultimo), dall’altro di determinare in che cosa effettivamente consista la differenza tra la Faktizität , in quantoTatsächlichkeit  dell’esserci, da quella dell’ente difforme da esso. Si verifica qui ciò su cui insiste A. Masullo, Filosofie del soggetto e diritto del

 senso, c it. , pp. 163-164: si pone, per Heidegger, il problema di separare, all’interno dell’esistenza, la sua dimensione «di fatto» sul piano empirico daquella «ideale», che nondimeno gode, essa pure, di un carattere di «fattualità». Lo sforzo di Heidegger consiste, dunque, nel «depurare» ladimemnsione de jure della fattualità propria dell’esistente (quella indicata, appunto, dal termine Faktizität ) dall’empiricitàintrinseca alla dimensionede facto  della fattualità (indicata dal termine Tatsächlichkeit ), comune anche all’ente difforme dall’esserci, della quale la prima costituisce la

condizione trascendentale di possibilità. Diversamente, Haar, pur riconoscendo che la corporeità (ovvero l’empirico, il «fattuale» n senso stretto) restaesclusa dall’analisi di Sein und Zeit, ritiene che la determinazione della Stimmung  (che sarebbe, a parere dell’interprete, caratterizzata in sensoontologico, ma non trascendentale) tenga assieme la dimensione de facto e quella de jure, permettendo di superare il problema della loro antitesi: M.Haar, le primat de la Stimmung sur la corporéité du Dasein, «Heidegger studies», (2), 1986, pp. 67, 71-72. Riteniamo, tuttavia, che l’evoluzione cheviene messa in luce, dopo la pubblicazione dello Hauptbuch , dalle lezioni del 1928 test imoni del carattere problematico, nel senso appena rilevato,della valenza trascendentale della Faktizität. 182  Una conferma dell’evolversi in questa direzione della riflessione heideggeriana viene dal testo del corso di lezione del semestre 1928-29,immediatamente successivo a quello al quale si riferiscono i  Metaphysische Anfangsgründe der Logik . Benché in Einleitung in die Philosophie siribadisca che il carattere di Geworfenheit  dell’esistente ne esprime quello di Faktizität , quest’ultimo risulta messo ai margini della trattazione, e perarticolare concettualmente la dimensione dell’essere gettato si utilizza non più, come in Sein und Zeit  (« Der Ausdruck Geworfenheit soll dieFaktizitätder Überantwortung andeuten»: SZ , p. 180 [226]), il concetto di Faktizität , bensì quello di Preisgegebenheit : GA XXVII , § 37.183  « Das Ziel ist, das mit “Welt” Bezeichnete als eine Bestimmtheit der Transzendenz als solcher näherzubringen. Transzendenz ist In-der Welt-sein.Welt ist, weil zur Transzendenz als solcher gehörig, ein im strengen Sinne transzendentaler Begriff » (GA XXVI , p. 218 [203]). 184  GA XXVI , p. 218 [202]. La riconfigurazione dell’esserci a partire dalla riconfigurazione del fenomeno del mondo costituisce l’elemento di novitàdelle lezioni del 1928 rispetto allo  Hauptbuch : R. Thurner, Wandlungen der Seinsfrage. Zur Krisis im Denken Heideggers nach «Sein und Zeit» ,Attempto, Tübingen 1997, pp. 32-34. Pur condividendo l’importanza del nuovo ruolo assegnato, in queste lezioni, al fenomeno del mondo, non

concordiamo con la tesi dell’interprete secondo la quale, già qui, l’obbiettivo dell’ontologia fondamentale dello  Hauptbuch  (consistente nelladeterminazione della costituzione d’essere dell’esistente, perseguita muovendo dall’analisi della sua comprensione d’essere) sarebbe un «gusciovuoto»: nelle intenzioni di Heidegger, la trascendentalizzazione del fenomeno del mondo è qui, infatti, finalizzata alla determinazione dell’esistenteraggiunta muovendo da una migliore messa a fuoco, rispetto a Sein und Zeit, della sua struttura ontologica, anziché (come accade nel testo dellelezioni del 1929-30) a partire dall’esame dell’articolarsi del fenomeno del mondo.

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relativa alla costituzione d'essere dell'esserci medesimo (ovvero, della soggettività), una rettifica nel senso dell'abiura.In queste lezioni si fa luce, piuttosto, il tentativo di risolvere il medesimo problema, relativo al rapporto fra le dueistanze ontologiche, emerso attraverso l'accentuazione della differenza costitutiva fra esse, come preludio allacollocazione dell'una a fondamento dell'altra. L'acuirsi, rispetto a Sein und Zeit , della contrapposizione fra la strutturadell'essere nel mondo da un lato, e ciò che essa supera trascendendolo, cioè l'ente tatsächlich, dall'altro, delinea,dunque, un dualismo di ascendenza kantiana, che apre la strada a una soluzione, di tipo trascendentale, congruente con

questo scenario. Anche per questo verso, si assiste dunque, nelle lezioni del 1928, all'esplicitazione di alcuni elementigià presenti nell'impostazione di Sein und Zeit   e, nel contempo, all'accentuazione della loro rilevanza. Fra essi, ilcarattere trascendentale (oltre che, come visto, del concetto di mondo) dell'impostazione ontologico-fondamentale; essaintende esplicitamente riconnettersi alla prospettiva trascendentale kantiana, che Heidegger interpreta, in queste lezioni,come un'indagine ontologica relativa alla «natura in senso lato».185  

Le peculiarità della ricerca trascendentale kantiana che interessano Heidegger emergono in effetti, secondo ilsuo stesso avviso, soprattutto nella trattazione relativa al concetto di mondo. É pur vero che, secondo il filosofo diMeßkirch, il concetto kantiano di mondo rimane, nel suo complesso, non sufficientemente chiarito e troppo ristretto,

 poiché rinviante alla nozione di «ideale trascendentale»;186   a causa di ciò, il concetto kantiano di mondo nonespliciterebbe sufficientemente il legame che intercorre fra l'istanza a cui esso fa riferimento e la dimensioneesistenziale.187   Nondimeno, il giudizio espresso da Heidegger nei confronti dell'impostazione trascendentale delconcetto kantiano di mondo appare decisamente positivo: il suo merito precipuo consiste nell'aver svincolato il concettodi mondo dalla sua interpretazione ontica, quale si afferma, per esempio, in Baumgarten. Nella trattazione di

quest'ultimo, il concetto di mondo risulta infatti concepito, argomenta Heidegger, come la somma dell'ente sussistente,concepito come effettivo;188  ovvero, come la  Allheit des Seienden,189  che si riferisce al «che cosa» (Was) dell'ente. Lanozione kantiana di mondo, caratterizzandosi, al contrario, come la «totalità, il carattere di universalità della quale èdeterminato attraverso il tutto delle possibilità intrinseche» dell'ente,190  si riallaccia alla comprensione cosmica degliantichi Greci, per i quali il termine kosmos non designava né l'ente, né la sua totalità, bensì uno «stato» ( Zustand ), cioèun «modo di essere» (Weise zu sein); il concetto di mondo riguarda dunque, in senso proprio, il «come» dell'essere, peresprimere il quale Heidegger ricorda di aver utilizzato, fin dall'epoca delle proprie lezioni friburghesi, il termine «farsimondo» (welten).191   Nelle lezioni del 1928, l'elemento dell'analisi kantiana del concetto di mondo che suscital'approvazione di Heidegger consiste nel fatto che, in essa, la prospettiva trascendentale imposta il problema dell'esseredell'ente nei termini delle condizioni di possibilità dell'accesso all'ente da parte di un ente peculiare, che si qualificacome esistente.

Anche per questa via, le lezioni del 1928 ribadiscono il presupposto implicito nella prospettiva di Sein und Zeit : la questione dell'essere dell'ente difforme dall'esserci va impostata attraverso l'analisi del fenomeno del mondo.

Tale analisi, in quanto verte sulla modalità in cui l'ente intramondano diviene accessibile all'esserci, si riformula,tuttavia (in modo ben più esplicito di quanto accada nello  Hauptbuch), in un’indagine sulla soggettività dell'essercimedesimo, cioè sulla sua libertà: la costituzione ontologica dell’esistente diventa, cioè, il fondamento dell’esseredell’ente difforme dall’esistente medesimo .

3.1.2. La strategia «fondamentale»: la nozione di Egoität come determinazione della struttura della soggettività.

Il riformularsi dell'analitica esistenziale come indagine sulla questione della soggettività dell'uomo spinge dunqueHeidegger ad affermare che l'oggetto della propria ricerca è «l'essenza dell'essere mio e dell'ipseità in generale».192  Ancora una volta, è significativo il termine überhaupt , che segnala il carattere trascendentale dell'indagine che siintende condurre. Ricordiamo che quest'ultima viene contrapposta, nei Grundbegriffe der Metaphysik, a quella cheindaga l'essenza degli individui, considerati nel loro carattere di  Faktizität .193  La ricerca qui intrapresa non si dirige

dunque, spiega Heidegger, verso l'essenza (Wesen) degli individui determinati nella loro  Faktizität ; essa non indaga,cioè, l'elemento che permette, a ciascun individuo, di essere determinato nella sua concretezza. Il tema dell'indagineconsiste, invece, in ciò che permette agli individui di essere come tali; si indaga, cioè, l'elemento che rende possibilel'individualità, l'«essere individuo» in quanto tale. Il livello ontologico qui in gioco è quello pertinente alladeterminazione della soggettività, indicata dalla nozione di «iità» ( Ichheit ), ma considerata nella dimensione, sua

185  GA XXVI , p. 218 [203]. Per questa via, nelle lezioni del 1928 la caratterizzazione della ricerca ontologica heideggeriana in senso trascendentale, eil suo esplicito richiamarsi a Kant, la indirizzano sulla strada di una «metaontologica» dello spazio e del tempo: J. Sallis,  Imagination and themeaning of Being , in Heidegger and the path of thinking , cit., pp. 140 sgg.186  In quanto la nozione di «ideale trascendentale» sarebbe da Kant concepita come l'idea di un fondamento assoluto della totalità delle possibilitàdell'ente, costituente il fondamento della stessa realtà del mondo: GA XXVI , p. 225 [208].187  GA XXVI , p. 229 [212]. Sulla valutazione negativa (e sul suo carattere problematico), da parte di Heidegger, della nozione kantiana di idealetrascendentale, ci permettiamo il rinvio a F. Cassinari, Definizione e rappresentazione , cit., cap. I, § 2.188  «Welt ist einfach die Summe des wirklich Vorhandenen» (GA XXVI , p. 224 [207]).189

 GA XXVI , p. 223 [207].190   «[...] Welt ist die Ganzheit, deren Universalität durch das Ganze der inneren Möglichkeiten bestimmt ist » (GA XXVI , p. 225 [208]).191  GA XXVI , p. 219 [203-204].192  «[...] Das Wesen von Meinheit und Selbsthei t überhaupt ». (GA XXVI , p. 242 [223]).193  GA XXVI , p. 242 [223]. Sulla nuova collocazione, nelle lezioni del 1928, del carattere di  Faktizität , cfr. supra , cap. 3.1.1.

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fondativa, della «neutralità metafisica»: la nozione che designa questa istanza ontologica è quella di «egoità»( Egoitä t ).194  

La determinazione della egoità non coincide semplicemente, sostiene Heidegger, con quella di iità, nellamisura in cui quest'ultima venga contrapposta a quella di «tuità» ( Duheit ); l'istanza ontologica della egoità fonda,

 piuttosto, questa stessa contrapposizione. Laddove, infatti, la nozione di iità comporta un rinvio, semantico eontologico, a quella di tuità, in quanto presuppone una relazione - pur se nella forma della separatezza ( Abschnürung ) -

con essa, l'istanza metafisica della  Egoität costituisce il fondamento della realtà tanto dell'essenza ontologica della iità,quanto di quella della tuità. Il concetto di egoità indica dunque, secondo Heidegger, l'identità con sé che fonda la possibilità di ciascun io di essere come tale, quand'anche esso possa o debba, una volta collocato nella dimensione della Faktiz ität  (nella quale, appunto, un esistente può incontrare un altro esistente), essere considerato come un «tu».195  Perquesto, prosegue Heidegger, è opportuno utilizzare il termine di ipseità (Selbstheit ) per designare la determinazionemetafisica della  Egoitä t , della quale risulta, in questo modo, sottolineato il carattere «metafisicamente neutrale», eontologicamente fondativo, nei confronti di «io» e «tu» fattivi: è infatti lo ipse (Selbst ), cioè l'identità con sé, a fondarela possibilità di ogni io fattivo di darsi come tale, cioè come io.196  La struttura della Selbstheit si fenomenizza nellacostituzione dell'«essere in vista di sé» (Umwillen  seiner zu sein) o, come Heidegger pure si esprime in formaabbreviata, nell'«in vista di» (Umwillen). Questa non è una facoltà particolare dell'esistente, bensì il tratto essenzialedell'esistere in quanto tale: «l'essere per se stesso, in quanto essere sé, costituisce il presupposto per le diverse

 possibilità, sul piano ontico, dell'essere in rapporto con sé».197  L'introduzione del concetto di egoità, e il suo ruolo determinativo nei confronti di quello di iità, delineano una

ridefinizione della soggettività, che si attua attraverso una «retrocessione al fondamento». Viene cioè individuato, perl'identità del soggetto, un terreno di «neutralità metafisica» - la dimensione della egoità, appunto - collocato nonsoltanto al di qua della distinzione tra esistente e sussistente, ma anche di quella tra i singoli esistenti, e questo terrenoviene designato come il luogo di fondazione dell'articolarsi delle determinazioni (ovvero, della pluralità degli enti, edella difformità fra essi) che risulta concettualmente subordinato a tali distinzioni, e ontologicamente derivativo rispettoa esse.

Il concetto di  Egoitä t  mette dunque in chiaro la strategia heideggeriana nelle lezioni del 1928. L'accento postosulla distinzione fra l'ambito esistenziale e quello categoriale è finalizzata a evitare che essa si configuri come unafrattura; questo obbiettivo viene perseguito attraverso la risoluzione, all'interno dell'ambito esistenziale, del fenomenodel mondo in quanto tale, e attraverso l’attribuzione, a quest'ultimo, del ruolo di fondamento trascendentale neiconfronti dell'àmbito categoriale.

3.1.3. Dalla tesi relativa alla carenza d'essere dell'ente sussistente alla trascendentalizzazione della nozione di «esserenel mondo»: il riconoscimento del primato della determinazione ontologica della mondità su quella ontologica delmondo.

L'«in vista di», cioè il carattere costitutivo dell'ipseità dell'esserci, va inteso, afferma Heidegger, come un caratterefondamentale (Grundcharakter ) del mondo, come la sua stessa «costituzione metafisica e struttura fondamentale»(metaphysische Verfassung und Grundstruktur ).198  

 Nelle lezioni del semstre estivo del 1928, la nozione di mondo appare, perciò, come una sorta di proprietàanalitica dell'«essere per se stesso» che designa, attraverso il concetto di Selbstheit, il carattere di soggetto dellastruttura esistenziale. Posto come sua articolazione, il concetto di mondo ne segue la sorte: l'accentuazione delladimensione trascendentale. Per questo Heidegger, in queste lezioni, presenta il concetto di mondo come una funzionedel progettare dell'esserci, in quanto, al contempo, strumento e oggetto della sua comprensione, e orizzonte

194  GA XXVI , p. 242 [223]. Preferiamo tradurre il termine Ichheit  con quello di «iità», anziché con «essere io» (utilizzato da G. Moretto nella suatraduzione dei Metaphysische Anfangsgründe der Logik ), per poter marcare la differenza, nel testo heideggeriano, fra Ichhei t  e Ichsein .195  GA XXVI , p. 242 [223].196  GA XXVI , pp. 243-244 [223]. Secondo I. Görland, Transzendenz und Selbst. Eine Phase in Heideggers Denken, Klostermann, Frankfurt a. M.1981, pp. 44-45, l’assenza, nei Metaphysische Anfangsgründe der Logik , del tema della Eigentlichkeit  dalla dimensione «neutrale» (in quantoontologicamente fondativa) dell’ipseità marca la differenza tra le lezioni del 1928 e Sein und Zeit . A tale proposito, a nostro parere l’elementodecisivo è costituito dal fatto che, laddove l’ipseità, in quanto «individuazione» ( Vereinzelung ; a differenza di Chiodi, seguendo F. Volpi, Segnavia,cit., p. 514 preferiamo tradurre «Vereinzelung » con «individuazione» e «vereinzelen» con «individuare», riservando i termini «isolamento» e«isolare», rispettivamente, a « Isolierung » e « isolieren»), nella sua «neutralità» metafisica risulta fondata, nello Hauptbuch, dallo «stato d’animo»dell’angoscia (« Die Angst vereinzelt und erschließt so das Dasein als “solus ipse”»: SZ , p. 250 [296]; cfr. infra, cap. 6.1.1), nelle lezioni del 1928 lacaratterizzazione dell’ipseità come  Egoitä t  fa invece perno sull’istanza della trascendenza. In questo modo, si apre la strada per il passo successivo,compiuto nelle lezioni del 1929-30, che consiste nel fondare la nozione esistenziale di Vereinzelung  non più nella dimensione esistenzialedell’angoscia, bensì in quella ontologico-cosmologica del mondo (cfr. infra, cap. 6.1.1; in particolare, nota 9). L’insistenza sul carattere di neutralità

metafisica dell’esserci elimina, inoltre, la possibilità (cfr.  supra , cap. I, nota 4) di interpretare l’ontologia fondamentale come un’ontologia regionale:K. E. Mink, Ontology, Metontology, and the Turn , pp. 106-107.197  «Vielmehr ist das Zu-sich-selbst-sein als Selbst-sein Voraussetzung für die verschiedenen Möglichkeiten des ontischen Verhaltens zu sich» (GA

 XXVI , p. 244 [223]).198  GA XXVI , p. 246 [226].

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trascendentale di ciò che è compreso: «il mondo, in quanto caratterizzato primariamente dall’“in vista di”, è la totalitàoriginaria di ciò che l'esserci in quanto libero si dà da comprendere».199  

Il fenomeno del mondo va colto a partire dall'esserci, in quanto atto e prodotto del dispiegarsi del suotrascendere. Nell'«esuberanza» (Überschwung ) dell'esserci, il mondo viene infatti, afferma Heidegger, «dispiegato difronte» (entgegengehalten), come ciò che viene tenuto davanti all’«esuberare»; il mondo è, tuttavia, questo stessoesuberare. L'ente (esistente), in quanto «essere nel mondo», viene costituito in questo trascendere, come ciò che

trascende rispetto all'esserci;

200

 il trascendente è tuttavia, per definizione, l'esserci medesimo. La nozione di mondo, inquanto designa il legame soggiacente alla libertà dell'esserci, cioè al suo trascendere (che è il prodotto del libero progettare dell'esistente e, nondimeno, il suo «sostegno»),201   rappresenta il termine medio che consente la deduzionedell'essere dell'ente intramondano da quello dell'esserci.

Il termine «mondo» appare perciò, in  Metaphysische Anfangsgründe der Logik , quasi come un sinonimo diquello di «esserci»: «il tutto della connessione che si colloca nell’“in vista di” è il mondo».202  Il legame (la totalità delquale viene designata attraverso il concetto di mondo), che tiene assieme il se stesso dell'esistente dal quale l'indagine

 prende le mosse, quello dell'esistente altro da esso e quello dell'ente sussistente, rappresenta inoltre, precisa Heidegger,la fenomenizzazione dell'esserci.203   É infatti la libertà, in quanto carattere fondamentale dell'esistente, a produrre ilmondo: «l'esserci, in quanto libero, è progetto di mondo».204  Per questo la stessa ipseità va definita, afferma Heidegger,come «libera vincolabilità per e a se stesso».

 Nelle lezioni del semestre estivo del 1928, l’ulteriore accentuazione, rispetto a Sein und Zeit , dell’alterità diesistente ed ente difforme da esso, ovvero l’esplicitazione del loro contrapporsi, è finalizzata, tuttavia, alla

radicalizzazione della dipendenza ontologica (cioè della riconducibilità) del secondo dal primo. Come nello  Hauptbuch ,anche in  Metaphysische Anfangsgründe der Logik l'esserci è la condizione di possibilità ontica ( seiende Möglichkeit )dell'ente difforme da esso, al quale l'esistente, in quanto storico, offre la possibilità di essere attraverso la modalitàdell'«ingresso nel mondo». Soltanto con l'accadere dell'ente esistente, sostiene Heidegger, si danno «giorno e ora»dell'ingresso dell'ente, in quanto tale, nel mondo; per questo, con l'accadere dell'esistente, l'ente diventa «più ente»,come afferma Heidegger.205   Il carattere di ente viene infatti acquisito, nella sua compiutezza, soltanto con l'accaderedell'esistente, cioè con l'accadere dell'«essere nel mondo». Nelle lezioni del semestre estivo del 1928, Heideggerribadisce, dunque, che l'ente sussistente entra nel mondo soltanto quando l'esserci (in quanto storico) esiste, cioè si dàcome trascendente. Si ribadisce, cioè, la tesi che abbiamo definito, a proposito dello  Hauptbuch , come relativa alla«carenza ontologica dell’ente intramondano» (cfr.  supra , cap. 1.4): l'«ingresso nel mondo», che conferisce il carattere di Innerwel tlichkeit , non pertiene all'ente sussistente-utilizzabile in quanto tale, bensì all'essere nel mondo, cioè all'esserciin quanto esistente.206   Tuttavia, oltre a ciò, in queste lezioni Heidegger pone anche l'accento sul fatto chel'intramondanità, pur non appartenendo all'essenza dell'ente sussistente in quanto tale, pure costituisce, in un senso

originario, la condizione trascendentale di possibilità perchè quest'ultimo, nel suo «in sé», si mostri,207

  laddove  DieGrundprobleme der Phänomenologie, il testo delle lezioni del semestre estivo del 1927, pone piuttosto l’accento, comesi è visto, sul carattere accessorio, per l’ente difforme dall’esistente (al quale viene qui attribuita, dunque, unadimensione di «inseità»), del carattere di intramondanità. In altri termini: come in Sein und Zeit , anche nelle lezioni del

199  « Mit anderen Worten: die Welt, primär gekennzeichnet durch das Umwillen, ist die ursprüngliche Ganzheit dessen, was sich das Dasein als freies zu verstehen gibt » (GA XXVI , p. 247 [227]). L’ Auseinandersetzung  con Kant influenza il concetto di soggettività presente nei Metaphysische Anfangsgründe der Logik , rendendo l’istanza della Selbstheit  presente in queste lezioni essenzialmente diversa da quella designata, in Sein und Zeit ,dalla nozione di Dasein : I. Görland, Transzendenz und Selbst , cit., p. 51. In queste lezioni, secondo l’interprete, l’essere (in quanto coappartenenza dimondo e sé, cioè in quanto soggettività) si caratterizza effettivamente, a differenza di quanto accade in Sein und Zeit , come condizione trascendentalea priori dell’ente (ibid ., p. 95).200  GA XXVI , p. 249 [229].201  GA XXVI , pp. 247-248 [227].202  « Das Ganze der im Umwillen liegenden Bindung ist die Welt » (GA XXVI , p. 247 [227]).203  «[...] bindet sich das Dasein an ein Seinkönnen zu sich selbst als Mitseinkönnen mit Anderen im Seinkönnen bei Vorhandenem» (GA XXVI , p. 247

[227]).204  « Die Selbstheit ist die freie Verbindlichkeit für und zu sich selbst. Das Dasein als freies ist Weltentwurf » (GA XXVI , p. 247 [227]). Secondo M.Richir, Phénomènes, temps et êtres. Ontologie et phénomènologie, Millon, Grenoble 1987, p. 30, in questo modo l’istanza dell’ipseità, rispetto allasua determinazione come «progetto di mondo», sfugge e rimane indefinibile, in forza del suo carattere di indeterminatezza «fondamentale»,rapportabile a quello di «fenomeno». Tuttavia, come sottolinea F.-K. Blust, Selbstheit und Zeitlichkeit. Heideggers neuer Denkansatz zurSeinsbestimmung des Ich, Königshausen und Neumann, Würzburg 1987, pp. 40-41 la questione dell’ipseità, particolarmente nelle lezioni del 1928, vaimpostata a partire da quella della costituzione esistenziale dell’esserci, anziché (come fa Richir) viceversa: l’ipseità è, infatti, un tratto essenzialedelll’esserci, ma non l’unico. L’ipseità va considerata, dunque, come una possibilità e un’articolazione della costituzione d’essere dell’esistente, cioèdell’«essere nel mondo» (ibid ., pp. 48-49), non viceversa.205  « Nur wenn in der Allheit des Seienden das Seiende seiender wird in der Existenz von Dasein, d. h. wenn Zeitlichkeit sich zeitigt, dann gibt esStunde und Tag des Welteingangs von Seiendem » (GA XXVI , p. 249 [229]).206  «Welteingang geschieht, wenn Transzendenz geschieht, d. h. wenn geschichtliches Dasein existiert; nur dann ist ein In-der-Welt-sein des Daseinexistent » (GA XXVI , p. 251 [230]). La nozione di Welteingang (in quanto indicante la condizione di esperibilità dell’ente intramondano da partedell’esistente) è certo compatibile con le analisi di Sein und Zeit  (così D. Cerbone, Word, World–entry and Realism in Early Heidegger , «Inquiry»,(38), 1995, pp. 416-418), ma per determinare il suo esatto significato, che segnala la diversa posizione di Heidegger rispetto allo Hauptbuch nellelezioni del semestre estivo del 1928 e rispetto a queste lezioni in Vom Wesen des Grundes, riteniamo necessario definire la diversa rilevanza che

l’«ingresso nel mondo» assume, per l’ente difforme dall’esserci, in questi testi: tale «ingresso» diventa, a partire da queste lezioni, una necessitàintrinseca a questo ente, fino alla scomparsa – nel saggio del 1929 – della realtà ontologica autonoma di quest’ultimo a prescindere dall’«ingresso nelmondo».207  « Innerweltl ichkeit   gehört nicht zum Wesen des Vorhandenen als solchen, sondern sie ist nur die in einem ursprünglichen Sinne transzendentale

 Bedingung der Möglichkeit dafür, daß Vorhandenes in seinem Ansich bekunden kann» (GA XXVI , p. 251 [230]).

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 semestre estivo del 1928 la condizione di intramondanità non appartiene alla dimensione relativa allo «in sé» dell'entedifforme dall’esistente poiché, «in senso originario», tale dimensione, al di fuori dell'intramondanità medesima, non sidà; d’altro canto, al di là di quanto affermato nello Hauptbuch , la necessità di mostrarsi appartiene intrinsecamente, secondo i l testo dei Metaphysische Anfangsgründe der Logik  , all 'ente sussistente e a quello utilizzabile.

L'ente sussistente e quello utilizzabile, sottolinea infatti Heidegger, non consistono in una realtà ontologicacostituita prima del loro «ingresso nel mondo», fornito a queste modalità dell’ente dall'esserci: in quanto esistenti, non

abbiamo bisogno di presupporre, afferma Heidegger, alcun oggetto che preceda il nostro esistere.

208

 Al contrario, ilcarattere di intramondanità, conseguente «all'ingresso nel mondo», rappresenta l'elemento - o, meglio, l'evento -costitutivo dell'ente difforme dall'esserci: «l'ingresso nel mondo, da parte del sussistente, è “qualcosa” che accade conesso. [ ... ] Per ciò l'intramondanità non è una proprietà del sussistente in se stesso».209  Come nello Hauptbuch , in questelezioni ciò che risulta attribuito all'esserci è la manifestatività dell'ente difforme da esso; a differenza che nell’opera del1927, nelle lezioni del semestre estivo del 1928 di tale manifestatività si sottolinea il carattere intrinseco alladimensione ontologica dell'ente differente dall’esistente, in virtù del quale questo ente pare non darsi (in misuramaggiore che in Sein und Zeit ) se non nell’esperienza dell’esistente. L'esserci, in quanto «essere nel mondo», nellelezioni del 1928 è dunque prospettato (in modo, rispetto a Sein und Zeit , non soltanto più esplicito a livello diaffermazioni testuali, ma anche più radicale sul piano della articolazione concettuale) come la condizione di possibilitàontologica dell'ente sussistente-utilizzabile. Ciò viene comprovato dal ruolo della figura concettuale della Weltlichkeit .Il suo primato, che emerge nella trattazione di Sein und Zeit , nell'opera del 1927 viene da Heidegger negato nella misurain cui nella “tavola dei significati” relativi al termine «Welt » risulta privilegiato, quale filo conduttore delle indagini, il

terzo di essi, quello preontologico-esistentivo. Nelle lezioni del semstre estivo del 1928, questa stessa tavola vieneriproposta, con l'esplicito rinvio allo  Hauptbuch; il primato viene qui tuttavia attribuito al quarto concetto di mondo,cioè a quello che, dal punto di vista ontologico, designa «l'essenza metafisica dell'esserci in generale con riguardo allasua costituzione metafisica fondamentale: la trascendenza».210   Orbene, questa «essenza metafisica dell'esserci ingenerale» è proprio ciò che, in Sein und Zeit , viene indicato attraverso il termine Weltlichkeit .211   In altri termini: laradicalizzazione, rispetto all’opera del 1927, della riconduzione dell’essere dell’ente intramondano a quellodell’esistente comporta, nelle lezioni del semstre estivo del 1928, il riconoscimento del primato della nozioneontologico-esistenziale di mondità rispetto a quella preontologico-esistentiva di mondo.

I Metaphysische Anfangsgründe der Logik mostrano, dunque, la tendenza a rimuovere il residuo di autonomiaontologica che Sein und Zeit conserva all'ente intramondano. In questo modo, Heidegger compie, altresì , un passoulteriore sulla strada aperta dalla riduzione della Seinsfrage al  Seinsverständnis: la questione relativa all’«essere ingenerale» non può essere posta, per l’esistente che noi siamo, che nei termini della comprensione dell’essere da partedell’esistente medesimo. Il passo successivo viene compiuto in Vom Wesen des Grundes: l’essere non è, «in generale»,

se non l’essere dell’esistente e, in questo modo, la valenza realistica dell’ente intramondano viene rimossa .

3.2. Vom Wesen des Grundes: rimozione della valenza realistica dell'ente intramondano, «essere nel mondo» comedimensione esaustiva dell’istanza ontologica «in generale» e sua rielaborazione in senso relazionale.

 Nelle lezioni del semestre estivo del 1928, attraverso il primato (in Sein und Zeit   necessario ma negato, e orariconosciuto) della Weltlichkeit , ovvero con il riconoscimento, all'esserci, del ruolo di condizione ontologica dell'entesussistente, si è dunque inteso evitare che la distinzione fra l'esistente e l'ente difforme da esso desse luogo a undualismo ontologico fra le due determinazioni. Resta tuttavia da chiedersi se effettivamente in queste lezioni, attraversola trascendentalizzazione del concetto di mondo (nell'orizzonte del quale l'ente sussistente viene iscritto, diventando«intramondano» in forza di una modalità, la manifestatività, posta come intrinsecamente necessaria a esso e,

nondimeno, da ascriversi non al suo «in sé», che propriamente non si dà, bensì all'accadere dell'esserci), si siaeffettivamente “consumata” la valenza realistica dell'ente in forza della quale, in Sein und Zeit , l'ente sussistente-utilizzabile risulta configurato, per quanto intramondano, come un'istanza ontologica irriducibile alla strutturaesistenziale dell'«essere nel mondo». Non pare che la risposta possa essere affermativa. É vero che, nei Metaphysische

208  «[...] wir als Existierende gar nicht erst nötig haben, noch zuvor Objekte vorauszusetzen» (GA XXVI , p. 251 [230]).209  «Welteingang des Vorhandenen ist “etwas”, was mit ihm geschieht. [...] Innerweltlichkeit ist demnach nicht eine vorhandene Eigenschaft desVorhandenen an ihm selbst » (GA XXVI , pp. 250-251 [230]).210  «[...] das metaphysische Wesen des Daseins überhaupt, hinsichtlich seiner metaphysischen Grundverfassung: der Transzendenz» (GA XXVI , p. 232[214]).211  A riprova dell'assunzione, nelle lezioni del 1928, della valenza ontologica del concetto di mondo, corrispondente alla determinazione dellaWeltlichkeit , sta il fatto che al mondo viene ora conferito il carattere di Ganzheit  (GA XXVI , pp. 221, 233, 247 [205, 215, 227]), proprio delladimensione ontologica del tutto dell’ente, anziché quello (attribuitogli da Sein und Zeit : cfr. supra , cap. 1.1.) di Allheit , pertinente alla dimensioneontica. In Einleitung in die Philosophie, il testo del corso di lezione del 1928-29, si ribadisce che il significato esistentivo, cioè ontico, del concetto dimondo è possibile (al pari di quello cosmologico) soltanto sulla base del suo significato esistenziale, cioè ontologico: GA XXVII , p. 302. Anche

successivamente, Heidegger tiene rigorosamente distinto l’uso del termine  Allheit  da quello del termine Ganzheit . In Was ist Metaphysik?, testo del1929, « Allheit » indica l’insieme dell’ente dato, nei confronti del quale l’esistente deve esercitare la «negazione»; in questo modo, l’esistente si portadavanti al «tutto dell’ente» (das Ganze des Seienden), ovvero all’«ente in totalità» (das Seiende im Ganzen) e  perviene, con ciò, all’esperienza delnulla dell’ente, cioè all’esperienza dell’essere (M. Heidegger, Was ist Metaphysik?, in Wegmarken, cit., pp. 107-108, 109-110 [trad. it. di F. Volpi,Che cos’è metafisica, in Segnavia , cit., pp. 63, 65-66]).

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 Anfangsgründe der Logik , il fatto che l'ente si mostri (il fatto, cioè, che esso diventi «intramondano») è posto come unanecessità intrinseca al suo essere, il quale appare dunque, nella sua «essenza metafisica», come dipendente dalla propriainscrizione nell'orizzonte trascendentale del mondo; ma è altresì vero che, in queste lezioni, l'«accadere del mondo»,ovvero l'esistere dell'esserci, non risolve, in modo esaustivo, l'essere dell'ente che viene trasceso. Heidegger affermaesplicitamente, infatti, che «il sussistente è l'ente per come esso è, anche qualora non diventi qualcosa di intramondano,anche se, con esso, non accada alcun ingresso nel mondo e, in generale, non abbia alcuna occasione per ciò».212  In altri

termini: la necessità intrinseca, all’ente sussistente e a quello utilizabile, di manifestarsi, cioè di divenire esperibile da parte dell'esistente, può, tuttavia, non divenire effettiva. L’ente può, cioè, non essere esperibile da parte dell’esistente e,nondimeno (per quanto in una forma la cui carenza risulta, nelle lezioni del semestre estivo del 1928, sottolineata conforza ancor maggiore che nello  Hauptbuch) essere. Certamente, dichiara Heidegger, il sussistente non va pensato comequalcosa che è come tale «prima» del suo ingresso nel mondo, e che «dopo» tale ingresso si offra alla nostracomprensione. Tuttavia, egli prosegue, l'«accadere del mondo» è «soltanto» il presupposto (Voraussetzung ) dellamanifestatività dell'ente difforme dall'esserci; per quanto tale manifestatività non vada assegnata né all'«in sé» (che nonsi dà) dell'ente intramondano, né alla sua «essenza metafisica», tuttavia Heidegger, nel testo di queste lezioni, conserva,all'ente intramondano, un'autonomia ontologica residuale, consistente nel fatto che la sua «essenza metafisica» sidefinisce come la possibilità di non entrare nel mondo, cioè di non manifestarsi.213  È, questa, la nuova versione dellatesi (riconducibile all’assunzione, in Sein und Zeit  e nelle lezioni del 1927, della valenza realistica dell’ente sussistenteutilizzabile) relativa al carattere accessorio, per l’ente difforme dall’esserci, della condizione di intramondanità (cfr. supra , cap. 1.4).

La caratterizzazione trascendentale dell'esistente, e del suo rapporto con l'ente sussistente, non può dunquerisolvere in sé l'istanza ontologica alla quale quest'ultimo fa riferimento, fintantoché la struttura esistenziale non siqualifichi non soltanto come il presupposto trascendentale che, accadendo, dà «il giorno e l'ora» all'ingresso dell'entenel mondo (un accadere che, quale emerge da Sein und Zeit e dagli stessi  Metaphysische Anfangsgründe der Logik, siqualifica come assoluto, senza rapporto all'ente difforme dall'esserci, e senza neppure rapporto all'esistente diverso daquello dal quale l'indagine prende le mosse), ma come essa medesima struttura relazionale, che risolva perciò in sé ilrapporto fra l'esistente e l'ente da esso difforme, dal quale sia stata stata rimossa ogni valenza realistica. Questo passo,compiuto da Heidegger in Vom Wesen des Grundes, si articola in due momenti. Anzitutto, si procede alla definitivaespunzione della valenza realistica della dimensione ontologica dell'ente intramondano. In secondo luogo, Heideggercompie la riconfigurazione, in senso relazionale, della struttura esistenziale, della quale viene messo in luce il caratteredi articolazione; tale riconfigurazione viene attuata considerando l'esistente a partire dal fenomeno del mondo (che pure,in Vom Wesen des Grundes, è ancora assunto come appartenente all'«essere nel mondo», cioè alla struttura esistenziale),anziché viceversa. Pubblicato nel 1929, in una  Festschrift   in onore di Husserl (ma redatto nel 1928, come Heidegger

stesso informa nella premessa all'edizione del 1949), il saggio Vom Wesen des Grundes attinge abbondantemente, finoalla ripresa letterale di alcuni passi, al testo del corso di lezione del 1928. La sua seconda parte è dedicata all'indagineintorno alla trascendenza, concepita come l'ambito ( Bezirk ) all'interno del quale è possibile veder sorgere il problemadel fondamento.

La tesi che, nelle lezioni del 1928, prefigura l'esserci come «progetto di mondo» (Weltentwurf ),214  nell'opuscolo del 1929 (anticipando la formulazione presente nelle lezioni del 1929-30) viene riproposta così : chel'esserci trascenda, «significa che esso è, nell'essenza del suo essere,  formatore di mondo (Weltbildend)».215  L'ente puòdivenire manifesto soltanto quando esso abbia l'«occasione» di «entrare nel mondo» così formato dall'esserci; perquesto, afferma Heidegger, l'ingresso nel mondo va concepito come «possibile» per l'ente, cioè come «occasionale» peresso. Riprendendo quasi testualmente le affermazioni contenute nei  Metaphysische Anfangsgründe der Logik, Heidegger sostiene che il Welteingang  non è un processo, per quanto intrinseco all'ente sussistente, che accada a essocome un mutamento successivo alla sua costituzione, bensì è «qualcosa che “accade” “con” l'ente».216  L'«ingresso nelmondo» non soprag all'ente, già costituito come tale, bensì rappresenta proprio il momento («il giorno e l'ora») del suo

212  « Das Vorhandene ist das Seiende als welches und was es ist, auch wenn es nicht gerade Innerweltliches wird, auch wenn nicht Welteingang mitihm geschiet und es überhaupt keine Gelegenheit dazu gibt » (GA XXVI , p. 251 [232]).213  «Welteingang und sein Geschehen ist Voraussetzung dafür, nicht daß das Vorhandene erst Vorhandenes wird und in das kommt, was sich uns als

 seine Vorhandenheit offenbart und was wir als solche verstehen, sondern dafür lediglich, daß das Vorhandene sich gerade bekundet in seinerUnbedürftigkeit des Welteingangs bezüglich seines eigenen Seins» (GA XXVI , p. 251 [231]). L’«ingresso nel mondo» è fondato sullatemporalizzazione della temporalità dell’esistente (die Zeitigung der Zeitlichkeit ), in quanto essa è la condizione di possibilità del mondo e della suaappartenenza alla trascendenza (GA XXVI , pp. 269-270 [246]). Non concordiamo con la tesi di F. Dastur, Heidegger et la question du temps, cit., pp.101-102, secondo la quale questo approccio allontanerebbe Heidegger non soltanto dal trascendentalismo moderno, che si muove nella prospettivadella ricerca relativa alle condizioni di pensabilità dell’oggetto, ma anche da un approccio ontologico-esistenziale, in quanto incentrato più sull’enteesistente che sull’orizzonte temporale in cui esso accade. A nostro parere, invece, la prospettiva di queste lezioni radicalizza, rispetto a Sein und Zeit ,la focalizzazione dell’analisi sull’esistente attribuendo proprio a quest’ultimo il ruolo di condizione trascendentale di possibilità dell’«ingresso nelmondo» dell’ente da esso difforme, la temporalità del quale è fondata nella temporalità dell’esistente [ Zeitlichkeit ], prima ancora che nella temporalitàdell’essere, ovvero delll’ente in quanto tale [Temporalität ], come vorrebbe il progetto di Sein und Zeit : SZ , p. 53 [101].214  GA XXVI , p. 247 [227].215  WG, p. 158 [ 114-115]).216

 «Seiendes, etwa die Natur im weitesten Sinne, könnte in keiner Weise offenbar werden, wenn es nicht Gelegenheit fände, in eine Welt einzugehen.Wir sprechen daher vom möglichen und gelegentlichen Welteingang des Seienden. Welteingang ist kein Vorgang am eingehenden Seienden, sondernetwas, das “mit” dem Seienden “geschieht”» (WG, p. 159 [115]). Cfr. GA XXVI , p. 250 [230]. Per questo, secondo E. Fink, Welt und Endlichkeit , cit.,

 p. 171, Vom Wesen des Grundes rappresenta il momento della radicalizzazione in senso soggettivistico della comprensione heideggeriana delfenomeno del mondo.

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costituirsi. Così come nel corso di lezione del 1928, anche nel saggio del 1929 Heidegger sottolinea, inoltre, che èl'accadere dell'esistente (che, in quanto storico, trascende), ovvero la forma dell'«essere nel mondo», ciò che permetteall'ente di manifestarsi. Nelle lezioni, tuttavia, Heidegger innesta, a questo punto, l'argomentazione che rimette in giocola dimensione realistica relativa all'istanza ontologica dell'ente difforme dall'esserci: anche se (a differenza di Sein und Zeit ) i Metaphysische Anfangsgründe der Logik  mostrano che la carenza ontologica di quest'ente non si limita a esigere,quale surrogato, l'intervento dell'esserci attraverso l'articolazione della  Bedeutsamkeit , ma dà in carico all'accadere

dell'esserci la possibilità ontologica intrinseca dell'ente intramondano, nondimeno, come si è visto, il testo delle lezionidel 1928 configura tale accadere soltanto come il «presupposto» del darsi dell'ente sussistente-utilizzabile, e sottolineala non necessità per l'ente, dal punto di vista «del suo proprio essere», di manifestarsi.217  É dunque questo il modo incui, in queste lezioni, rientra in gioco il secondo lato della duplice determinazione dell'ente, nel quale ci si era imbattutinell'analisi di Sein und Zeit  (cfr.  supra, cap. 2.3.1): l'aspetto, cioè, che fa riferimento all'ente che conserva, nell'«identitàcon se stesso», una valenza autonoma rispetto all'esserci che lo scopre, che si esprime nell'affermazione secondo laquale il sussistente è l'ente «per come esso è». I  Metaphysische Anfangsgründe der Logik , in quanto prefigurano la

 possibilità, da parte dell'ente sussistente, di mostrare la non necessità, per il proprio essere, dell'ingresso nel mondo,continuano perciò a postulare, per esso, una dimensione ontologica autonoma. In queste lezioni, anche lacaratterizzazione della natura attesta l’attribuzione, all’ente intramondano, di una valenza realistica: il carattere disussistenza costituisce il presupposto per l’esistenza fattiva e questa, a sua volta, per la comprensione dell’essere da

 parte dell’esistente.218  É proprio la valenza realistica dell’ente difforme dall’esserci ciò che viene eliminato in Vom Wesen des

Grundes, dove viene meno il riferimento alla caratteristica di autonomia ontologica, rispetto all'àmbito esistenziale, diquello categoriale. Nello scritto del 1929, l'ente difforme dall'esserci non conosce l'accadere del mondo, ovvero iltrascendere dell'esserci, soltanto come il proprio presupposto; piuttosto, esso vi si risolve in modo esaustivo. In Sein und Zeit, l'assunzione, quale filo conduttore dell'indagine, del significato preontologico-esistentivo del concetto di mondo, inluogo di quello ontologico-esistenziale della Weltlichkeit, è motivato (cfr.  supra, cap.  1.1) dall'intento di evitare diesplicitare la tesi della deducibilità ontologica  dell'ente difforme dall'esserci da quest'ultimo; in Vom Wesen desGrundes, Heidegger dà per ammessa tale deducibilità, e si limita a respingere la «deduzione ontica [corsivo nostro] deltutto dell'ente difforme dall'esserci dall'ente che è in quanto esserci».219  Per questo l'argomentazione che (ancora nellelezioni del 1928) si riferisce alla possibilità, da parte dell'ente difforme dell'esserci, di mostrare la non necessità, per il

 proprio essere, dell'ingresso nel mondo, in Vom Wesen des Grundes passa in secondo piano rispetto all'accento posto sulfatto che la trascendenza (cioè il modo d'essere dell'esserci, ovvero l'essere nel mondo) costituisce un «àmbito

 privilegiato» «per l'elaborazione di ogni  [corsivo nostro] questione che riguardi l'ente in quanto tale, cioè nel suoessere».220   In questo senso (come sottolineatura, cioè, del fatto che la trascendenza oltrepassa la valenza realistica

intrinseca non soltanto all'ente sussistente-utilizzabile, ma allo stesso ente esistente, in quanto esso venga consideratosia dal punto di vista della sua fatticità, che da quello della sua fattualità) va interpretata, nel saggio del 1929,l'affermazione secondo la quale «anche e proprio» l'ente esistente viene oltrepassato.221  

Al medesimo intento di rimozione della valenza realistica dell'ente va ricondotto il primato ontologicoaccordato, in Vom Wesen des Grundes, alla determinazione della trascendenza nei confronti di quella dell'intenzionalità. Nel testo delle lezioni del semestre estivo del 1927  (in polemica con il fraintendimento che, secondo Heidegger, pone

217  GA XXVI , p. 251 [231].218  «[...] die Möglichkeit, daß es Sein im Verstehen gibt, hat zur Voraussetzung die faktische Existenz des Daseins, und diese wiederum das faktischeVorhandensein der Natur » (GA XXVI , p. 199 [186-187]).219  «Ontologische Interpretation des Seins in und aus der Transzendenz des Daseins heißt aber doch nicht ontische Ableitung des Alls des nicht-daseinsmäßigen Seienden aus dem Seienden qua Dasein» (WG, p. 162 [118]). Secondo E. Fink, Welt und Endlichkeit , cit. p. 169, la svolta di VomWesen des Grundes nei confronti di Sein und Zeit  consiste proprio nel fatto che il fenomeno del mondo, in quanto articolazione del progettodell’esserci, venga posto come a priori rispetto all’apparire dell’ente intramondano, cioè come sua condizione ontologica. Secondo l’interprete, in

questo passaggio (che comporterebbe la fuoriuscita dalla prospettiva fenomenologica) la differenza «cosmologica» fra mondo ed ente intramondanoappare come il riflesso della differenza ontologica fra essere ed ente (ibidem , pp.166-168).220  WG, p. 159 [116]. Diversamente interpreta G. Prauss, Heidegger und die praktische Philosophie, in Heidegger und die praktische Philosophie, cit.,

 p. 178, secondo il quale, rispetto al le analisi dello  Hauptbuch , in Vom Wesen des Grundes viene lasciata cadere la riconducibilità all’esistente, in unadimensione pragmatica, dell’ente da esso difforme. A questo proposito, K. Harries,  Fundamental Ontology and the Search for the Man’s Place, cit.,

 pp. 73-75 giudica soltanto apparente, anche nell ’opera del 1927, il pr imato attribuito alla  Zuhandenheit . Secondo Prauss, inoltre, proprio il privilegioaccordato, in Sein und Zeit , alla dimensione della Zuhandenheit nei confronti di quella della Vorhandenheit  si rovescerebbe, nello scritto del 1929, nelsuo contrario: G. Prauss, Erkennen und Handeln in Heideggers «Sein und Zeit» , Alber, Freiburg-München 1977, pp. 97 sgg. Contro questa letturadell’evolversi della riflessione heideggeriana dopo lo Hauptbuch  ci sembrano però decisivi i materiali delle lezioni del 1928-29, dove si delinea conchiarezza il primato della dimensione della Zuhandenheit , nei confronti di quella della Vorhandenheit , in forza del carattere necessario del convenireall’utilizzabile della condizione del non essere nascosto, cioè della verità, e del carattere soltanto accessorio di tale convenire per il sussistente: GA

 XXVII , p. 112. Al proposito, vanno inoltre considerati, in queste lezioni, sia l’accento posto sul carattere di attività del conoscere e sulladeterminazione dell’«azione originaria» (Urhandlung : GA XXVII , § 25b), sia il fatto che la determinazione della Weltanschauung , che designa il«tenersi dell’esistente nell’essere nel mondo», cioè il suo tratto decisivo, è esplicitamente qualificata come «atteggiamento» ( Haltung ;GA XXVII , §42).221  «Was überstiegen wird, ist gerade einzig das Seiende selbst, und zwar jegliches Seiende, das dem Dasein unverborgen sein und werden kann,

mithin auch und gerade das Seiende, als welches “es selbst” existiert » (WG, p. 138 [94]). Nella determinazione del «superare» (übersteigen) diVomWesen des Grundes ha luogo una radicalizzazione dell’esistenziale della comprensione, tale per cui in esso ciò che viene superato esclude ognicarattere di materialità sussistente, e si rivolge, invece, all’esserci, ma concepito come trascendente: I. Koza,  Das Problem des Grundes in Heideggers

 Auseinandersetzung mi t Kant , Henn, Ratingen bei Dusseldorf 1967, p. 81. Come sottolinea I. Görland, Transzendenz und Selbst , cit., p. 22, laquidditas di mondo e Sé non deriva, in senso proprio, tanto da progetto e superamento temporali, quanto dall’istanza del superare in quanto tale.

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capo alla «soggettivazione a rovescio» del fenomeno dell'intenzionalità) nonostante la riconduzione della nozione diintenzionalità a quella di trascendenza,222  con l’evidente critica a Husserl che ciò comporta, la nozione di trascendenzarisulta letta attraverso la modalità dell’intenzione : per quanto Heidegger dichiari che non si può comprendere latrascendenza muovendo dall’intenzionalità, pure la valenza realistica attribuita all’ente intramondano fa sì che latrascendenza, in quanto determinazione esistenziale, si configuri come una forma di “intenzione” dell’esserci neiconfronti di un “oggetto”. Per questo Heidegger, nonostante abbia affermato che la trascendenza rappresenta la ratio

essendi  dell’intenzionalità, nelle lezioni del semestre estivo del 1927 specifica che «la costituzione intenzionale degliatteggiamenti dell'esserci è [...] la condizione ontologica de lla possibilità di qualsiasi trascendenza».223  Soltanto con larimozione, in Vom Wesens des Grundes, della valenza realistica precedentemente attribuita all’ente intramondanodiventa a Heidegger effettivamente possibile negare sia l’identificazione di intenzionalità e trascendenza, sia la

 possibilità di considerare la prima come fondamento della seconda.224  La ridefinizione del rapporto fra trascendenza eintenzionalità è dunque dovuta passare attraverso la revisione del rapporto dell’esistente con l’ente intramondano. Unariprova è costituita dal testo delle lezioni del 1928, laddove esso fa questione dello statuto dell’intenzionalitàrichiamando, appunto, la relazione con la dimensione ontica. Qui Heidegger afferma che l’intenzionalità costituiscesoltanto una dimensione particolare (quella ontica) della trascendenza, che nella sua forma originaria si identifica conl’«essere nel mondo».225  

In Vom Wesen des Grundes, la rimozione della valenza realistica dell’ente intramondano si coniuga con laradicalizzazione della riduzione della Seinsfrage al Seinsverständnis; tale riduzione, già presente in Sein und Zeit , erastata esplicitata nei  Metaphysische Anfangsgründe der Logik . A differenza di quanto accade nello Hauptbuch  e nelle

lezioni del 1928, in Vom Wesen des Grundes non soltanto la questione relativa all’essere «in generale» si identifica conquella della sua comprensione da parte dell’esistente, ma la stessa istanza dell’essere «in generale» perde qualsivogliaulteriorità nei confronti di quella dell’essere dell’esistente. In altri termini: l’essere dell’esistente non soltanto diventa, per l’interrogante che noi siamo, l’unico accesso all’essere «in generale», ma esaurisce in sé la dimensione ontologicain quanto tale. Si pongono così le premesse, sul piano teorico, per l’esautoramento della figura concettuale dell’«esserein generale»: nelle lezioni del 1929-30, rinunciando al carattere (che qualifica la prospettiva dell’ontologiafondamentale) «preliminare» dell’indagine relativa all’essere dell’esistente nei confronti di quella relativa all’«essere ingenerale», Heidegger riprenderà la sovrapposizione, emersa in Vom Wesen des Grundes, fra i due aspetti delladimensione ontologica, sottolineando il coappartenersi di «essere dell’esistente nell’uomo» ed «ente in quanto tale intotalità», cioè «mondo». Nei Grundbegriffe   viene però, rispetto al saggio del 1929, rovesciato il senso dellasovrapposizione: l’«operare del mondo», l’istanza onto-cosmologica che ha sostituito, esautorandone la funzione, quelladell’«essere in generale», designa il punto d’attacco dell’indagine a partire dal quale, nelle lezioni del 1929-30, vengono“dedotte” le varie modalità dell’ente, fra le quali l’esistente (cfr. infra, cap. 5.2.2).

Con la rimozione dell'istanza realistica relativa all'essere dell'ente difforme dall'esistente, e con la correlatarimozione dell’istanza ontologica «in generale» a quella dell’esistente, si compie il primo dei due passi che aprono VomWesen des Grundes a una prospettiva che oltrepassa quella del testo delle lezioni del 1928, dal quale, pure, questosaggio è in larga misura tratto. Il secondo passo, che consegue al primo, è costituito dalla rielaborazione della strutturaesistenziale della trascendenza, ovvero dalla riconsiderazione dello statuto dell'essere nel mondo. Espunta (attraverso lasua identificazione con il trascendere della struttura ontologica dell'esistente) la dimensione di autonomia ontologicadell'ente difforme dall'esserci, la determinazione dell'«essere nel mondo» può ora configurarsi altrimenti rispetto alla

 puntualità, cioè al carattere di evento irrelato conferito all'esistenza dal suo peculiare carattere di storicità. Nello scrittodel 1929, Heidegger sottolinea il carattere relazionale della struttura dell'«essere nel mondo», alla quale il fenomeno del

222  GA XXIV , pp. 229-230. Cfr. F. Volpi, La trasformazione della fenomenologia da Husserl a Heidegger , «Teoria», 1984, pp. 152-153.223   «[...] die intentionale Verfassung der Verhaltungen des Daseins ist [...]  gerade die ontologische Bedingung der Möglichkeit jeglicherTranszendenz» (GA XXIV , p. 91 [60]). Cfr. supra , cap. 2.3.2, nota 74.224  «[...] ist die Intentionalität nur möglich auf dem Grunde der Transzendenz , aber weder mit dieser identisch noch gar umgekehrt selbst die

 Ermöglichung der Transzendenz» (WG, p. 135 [91]). La nota 15, in calce a questo passo, rinvia, per ulteriori chiarimenti, alla trattazione esposta nel paragrafo 69c di Sein und Zeit , e a una nota del paragrafo 69b. I luoghi richiamati (dei quali il primo analizza «il problema temporale dellatrascendenza del mondo», il secondo accenna alla fondazione dell'intenzionalità della coscienza nella temporalità dell'esserci) non affrontanodirettamente il problema messo a fuoco nel passo di Vom Wesen des Grundes; il tentativo heideggeriano di istituire, su questo punto, una continuitàfra il saggio del 1929 e lo  Hauptbuch  del 1927 (si veda, anche, la successiva nota 59 dell'opuscolo), appare perciò poco motivato, nonché in contrastocon l'evidente evoluzione intercorsa fra le lezioni del semestre estivo del 1927 e Vom Wesen des Grundes. Sulla presenza, all’interno del concetto dimondo dello Hauptbuch , della nozione di intenzionalità, che passerebbe in secondo piano nel periodo della riflessione heideggeriana successivo alla

 pubblicazione di Sein und Zeit, si veda H. Hall, Intentional ity and World: Division I of Being and Time, in The Cambridge Companion to Heidegger ,ed. by Ch. Guignon, Cambridge University Press, New York 1993, pp. 121-140. L’interprete sottolinea, in particolare, la rilevanza del carattere diintenzionalità per la struttura ontologico-fondamentale della Weltlichkeit  nell’opera del 1927 (ibidem , pp. 131-134). Ancor più radicalmente, B.Boelen, Mart in Heidegger as a phenomenologist , in Phenomenological perspectives. Historical and systematical Essays in Honor of HerbertSpiegelberg , Nijhoff, The Hague 1975, p. 110, ritiene che, ancora in Vom Wesen des Grundes, la stessa nozione di  Dasein  risulti da unapprofondimento del concetto husserliano di intenzionalità. Diversamente, K. Opilik, Transzendenz und Vereinzelung. Zur Fragwürdigkeit destranszendentalen Ansarzes im Umkreis von Heideggers «Sein und Zeit» , Alber, Freiburg-München 1993, p. 57 ritiene che la tematica dellatrascendenza costituisca già nello Hauptbuch  (a dispetto della scarsa occorrenza del termine a essa relativo) la chiave di lettura per la struttura

esistenziale dell’«essere nel mondo».225  GA XXVI , p. 170 [161]. Non è perciò condivisibile la tesi di P. Mc Donald, Daseinsanalytik und Grundfrage, cit., p. 130, che assume la posizionedelle lezioni del 1928 e di Vom Wesen des Grundes come punto di vista dal quale considerareil rapporto fra esistente ed ente intramondano in Seinund Zeit : anche se, dal punto di vista teorico, la posizione di queste lezioni e del saggio sviluppa coerentemente l’impostazione trascendentale dello

 Hauptbuch , essa segna tuttavia, dal punto di vista dei riscontri testuali, un passo ulteriore.

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mondo appartiene: «il mondo appartiene a una struttura   relazionale, che caratterizza l'esserci come tale, che è statadefinita come “essere nel mondo”».226   Dalla puntualità all'articolazione: questa è la trasformazione che investe ilfenomeno del mondo dopo la sua collocazione (nelle lezioni del 1928, avviata ma non compiuta, a causa del permanere,in esse, dell'autonomia ontologica dell'ente intramondano) a fondamento della distinzione tra esistente e sussistente,nonché di quella fra le molteplici esistenze. Di questa trasformazione (che si annuncia in Vom Wesen des Grundes, e sidispiega in  Die Grundbegriffe der Metaphysik , il testo del corso di lezione del 1929-30) il concetto di mondo

rappresenta il catalizzatore: esso ne è il luogo e lo strumento, in quanto costituisce il terreno dell'articolarsi dellerelazioni nelle quali la soggettività dell’esserci, non più concepita come puntuale, viene a ridefinirsi.Come già nelle lezioni del 1928, in Vom Wesen des Grundes  la trascendenza viene definita come l'elemento

costitutivo dell'ipseità: « Die Transzendenz konstituiert die Selbstheit ».227   Per questo, sostiene Heidegger, latrascendenza indica l'essenza del soggetto, ovvero la struttura fondamentale della soggettività.228  Il concetto di mondoappartiene alla trascendenza, come ciò rispetto a cui (woraufhin) avviene il movimento di superamento (Überstieg ) daessa messo in opera;229   per questo, afferma Heidegger, il concetto di mondo va definito come un «trascendentale».230  Più avanti, Heidegger sostiene che il mondo appartenga all'ipseità; 231  tuttavia, dal momento che il mondo appartiene allatrascendenza, e quest'ultima rappresenta la struttura costitutiva dell'ipseità, anche muovendo dal testo di Vom Wesen desGrundes, appare legittimo mettere sullo stesso piano le due determinazioni, e sostenere l'identificazione (o, almeno, lacoappartenenza) di ipseità e mondo. Ciò spiega anche l'affermazione secondo la quale il mondo, proprio in forza dellasua appartenenza all'ipseità, è «riferito essenzialmente» all'esistente. La modalità di questo appartenere costituiscel'elemento che differenzia Vom Wesen des Grundes rispetto al testo dei  Metaphysische Anfangsgründe der Logik . Si è

infatti già rilevato come, nelle lezioni del 1928, il mondo venga considerato come la totalità di ciò che l'esserci, inquanto libero, si dà da comprendere.232  Nel saggio pubblicato nel 1929 questa prospettiva appare come rovesciabile:dopo aver sostenuto che il mondo, in quanto totalità, non ha affatto il modo d'essere dell'ente, Heidegger afferma cheesso è ciò «a partire da cui l'esserci  fa capire a sé medesimo   in rapporto a quale ente e in che modo esso  può  comportarsi».233   Heidegger prosegue, e precisa che l'esistente si realizza nel proprio essere, non in quanto evento

 puntuale, bensì in quanto dinamica, cioè come «aver da essere». Ciò si verifica poiché l'esistente perviene a sémuovendo dal mondo: «che l'esserci faccia capire “a sé medesimo” a partire dal “ suo” mondo, significa: in questo

 pervenire a sé a partire dal mondo l 'esserci si matura come un  se stesso , cioè come un ente, al quale è assegnato l'averda essere».234  Laddove dunque, secondo il testo delle lezioni del 1928, il mondo rappresenta l'esito del dispiegarsi del

226  «Welt gehört zu einer  bezughaften , das Dasein als solches auszeichnenden Struktur, die das In-der-Welt-sein genannt wurde». (WG, p. 156 [112]).227  WG, p. 138 [95].228  WG, p. 137 [93].229  WG, p. 141 [98]. F. Couturier, Monde et être chez Heidegger , cit., pp. 156-157, sottolinea che proprio il fatto che l’«in vista di» verso il qualeavviene il superamento non sia l’ente, bensì il mondo, fa sì che quest’ultimo non possa essere concepito come la totalità dell’ente, ma come la suacondizione di possibilità. 230  WG, p. 139 [95]. Nonostante i molteplici tentativi di differenziazione del proprio concetto di trascendenza da quello kantiano, il concetto di mondoin Vom Wesen des Grundes assume proprio il profilo dell’a priori di Kant: I. Koza, Das Problem des Grundes in Heideggers Auseinandersetzung mit

 Kant , cit., p. 43. F.-W. Von Herrmann, Die Selbstinterpretation Martin Heideggers, cit. , pp. 56-57 so ttolinea come il passaggio dal’interpretazioneesistenziale del fenomeno del mondo di Sein und Zeit  a quella trascendentale di Vom Wesen des Grundes consista in una rielaborazione e unapprofondimento, ma non in un rifiuto, della posizione precedente. In modo ancor più radicale, M. Heinz, Zeitlichkeit und Temporalität. Die

 Konstitution und die Grundlegung einer temporalen Ontologie im Frühwerk Mart in Heideggers, Königshausen & Neumann-Rodopi, Würzburg-Amsterdam 1992, p. 198 nega che vi sia un’effettiva evoluzione del concetto di mondo fra Sein und Zeit  e Vom Wesen des Grundes: il fatto che nel

 primo caso il mondo appaia costituito, a pari titolo, da tutte le estasi temporali, mentre nel secondo è prevalente quella del futuro dipende, secondol’interprete, dal fatto che il concetto di mondo riguarda, nel saggio del 1929, il solo ente esistente, mentre nello Hauptbuch  il riferimento ècomprensivo dell’ente difforme da esso. Il problema consiste, a nostro avviso, proprio in questa diversità, che si spiega con il fatto che all’entedifforme dall’esserci viene riconosciuta, nell’opera del 1927, una valenza realistica, cioè un’autonomia ontologica, negata invece in Vom Wesen des

Grundes.231  « Zur Selbstheit gehört Welt; diese ist wesenhaft daseinsbezogen» (WG, p. 157 [113]). Del resto, in Vom Wesen des Grundes l’ipseitàappartienealla trascendenza: di essa il mondo costituisce l’orizzonte, l’«in vista di», e per questo la trascendenza si identifica con l’essere nel mondo: R.Guilead, Etre et liberté. Une étude sur le dernier Heidegger , Nauwelaerts, Louvain -Paris 1965, p. 51. Nondimeno, l’interprete (in polemica con chi,come A. De Waelhens, rintraccia, nella nozione heideggeriana di soggettività, tratti fichtiani) richiama la cooriginarietà, nella struttura esistenziale, ditrascendenza, progetto e decadimento (Verfallenheit ) (ibid ., p. 56). A questo proposito, crediamo vada altresì rilevato che, rispetto allo Hauptbuch,nello scritto del 1929 il tema della Verfallenheit  (così come quello della «gettatezza», Geworfenheit , che pure lega la trascendenza dell’esistente alladimensione di ente di quest’ultimo) passa in secondo piano.232  «[...] was sich das Dasein  als freies zu verstehen gibt » (GA XXVI , p. 247 [227]).233   «Welt als Ganzheit “ist” kein Seiendes, sondern das, aus dem her das Dasein sich zu bedeuten gibt, zu welchem Seienden und wie es sich dazuverhalten kann». (WG, p. 157 [113]). Si noti che, proprio in un altro passo del testo delle lezioni del 1928, la capacità dell'esserci di rapportarsiall'ente viene ricondotta al suo esistere in un mondo, in quanto concepito come il prodotto della trascendenza dell'essere: GA XXVI , pp. 211-212 [197].Secondo I. Görland, Transzendenz und Selbst , cit., p. 96-98, rispetto al testo delle lezioni del semestre estivo del 1928 l’elemento di novitàdi VomWesen des Grundes (e, in misura ancora maggiore, di Was ist Metaphysik?) consiste nel fatto che l’impostazione trascendentale non faccia più perno,nei testi pubbl icati nel 1929, su una struttura soggettiva che trova la sua espressione nell’esistente, bensì in un «accadere suprasoggettivo» che siesprime nell’istanza (trascendente) della libertà. Non condividiamo la posizione di H. Sowa, Krisis der Poiesis. Schaffen und Bewahren als doppelter

Grund im Denken Martin Heideggers, Königshausen & Neumann, Würzburg 1992, pp. 181-182 il quale, riprendendo la tesi di Görland, rinvia ladeterminazione della trascendenza di Vom Wesen des Grundes al «fondamento oscuro» dell’esserci, che l’interprete identifica nella sua «ereditàontica». 234  « Dasein gibt “sich” aus “seiner ” Welt her zu bedeuten, heißt dann: in diesem Auf-es-zukommen aus der Welt zeitigt sich das Dasein als einSelbst , d. h. als ein Seiendes, das zu sein ihm anheimgegeben ist ». (WG, p. 157 [113]).

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trascendere dell'esistente, che gli si rapporta come a ciò «davanti al quale dispiegarsi» (entgegenhalten),235  nello scrittodel 1929, per contro, il mondo consiste in ciò a partire da cui l'esserci medesimo si comprende; per quanto prodotto deltrascendere dell’esistente, il mondo appare cioè, in Vom Wesen des Grundes, come una sorta di istanzasovraindividuale, a partire dalla quale riguardare l’esistente.

 Più radicalmente che nei Metaphysische Anfangsgründe der Logik  , in Vom Wesen des Grundes  il mondorisulta dunque considerato come una funzione della soggettività dell'esistente, in quanto prodotto del suo trascendere,

 poiché viene qui del tutto rimossa la valenza realistica (ancora mantenuta nel testo delle lezioni del 1928) relativaall'essere dell'ente, che comporta l'autonomia ontologica dell'ente intramondano. Da questo primo passo discende ilsecondo elemento di novità dello scritto del 1929 rispetto al testo delle lezioni: la costituzione della soggettività vieneora presentata come un'articolazione che, per quanto del tutto interna alla struttura trascendentale della soggettività,

 proprio perché l’istanza ontologica «in generale» viene a coincidere con quella dell’esistente,  può assumere l’onere diun rapporto con l’ente non più ipotecato dall’esigenza di una «verifica», ovvero dalla presupposizione realistica. Inquesto modo, inibendo la reintroduzione (verificatasi, come si è visto, in Sein und Zeit ) dell’interpretazione adequativadel fenomeno della verità,  si evita di configurare l’«essere nel mondo» come una struttura dualistica (cfr.  supra , cap.2.3.1). D’altra parte, la trascendentalizzazione della struttura esistenziale (con la conseguente esplicitazione del suoruolo di condizione ontologica  di possibilità dell’ente difforme dall’esserci; ovvero, con la rimozione della valenzarealistica di quest’ultimo), alla quale Heidegger perviene nei  Metaphysische Anfangsgründe der Logik  e in Vom wesendes Grundes, se da un lato risolve il problema della configurazione dualistica che emerge in Sein und Zeit e nellelezioni del semestre estivo del 1927 dall’altro  porta Heidegger ancora più vicino , rispetto a questi testi, a quella forma

di idealismo che egli giudica come inaccettabile .Per questo, l’ulteriore sviluppo della riflessione heideggeriana procede, dopo le lezioni del 1928 e dopo ilsaggio da esse tratto, atttraverso la reinterpretazione del fenomeno della verità e, conseguentemente, di quello delmondo: sono questi, nell’ordine, i due temi ai quali è dedicato Einleitung in die Philosophie, il testo del corso di lezionedel semestre invernale 1928-29.

235  GA XXVI , loc. cit. Il dualismo di ascendenza kantiana, dove la libertà del trascendere risulta contrapposta alla dimensione («ontica» per Heidegger,«empirica» per Kant) da essa trascesa, risulta dissimulato, in Vom Wesen des Grundes, dal tentativo di conseguire una prospettiva unitaria, raggiuntaattraverso «un certo pathos dell’essere»: H. Declève, Heidegger et Kant , Nijhoff, La Haye 1970, pp. 317-318.

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CAPITOLO QUARTO. PER UN’«INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA»: IL FENOMENO DELLA VERITA’

COME VIA DI ACCESSO A QUELLO DEL MONDO.

Dicono i sapienti che cielo e terra, dèi e uomini sono tenuti assieme darapporti vicendevoli, dall’amicizia, dall’ordine, dalla saggezza, dallagiustizia, e perciò tutto questo lo chiamano cosmo, cioè ordine…Pl., Gorgias, 507e-508a.

…profondo è il mondo, e più profondo che nei pensieri del giorno! F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra .

Il corso di lezione del semstre invernale 1928-29 mette a tema i fili conduttori del progetto heideggeriano di ontologiafondamentale, così come abbiamo finora tentato di individuarli: il problema del mondo e quello della verità, nella loronecessaria connessione. Si è fin qui visto come la caratterizzazione del fenomeno del mondo nella struttura esistenzialedell’«essere nel mondo» fosse determinata, in Sein und Zeit , dall’assunzione di una determinata interpretazione del

fenomeno della verità; si è altresì esaminato come, dopo la pubblicazione dello  Hauptbuch , a fronte di alcune difficoltàteoriche, Heidegger avesse posto mano alla ridefinizione della struttura esistenziale. In  Einleitung in die Philosophie,Heidegger affronta invece il problema muovendo, per così dire, dalla sua origine: l’elaborazione della questione delmondo, così come l’ontologia fondamentale la aveva posta, resta subordinata all’elaborazione della questione dellaverità. In questo corso di lezione, la questione della verità appare dunque, in termini espliciti, come la via d’accesso aquella del mondo; quest’ultima, a sua volta, nella sua consustanzialità con la questione ontologica, costituisce, affermaHeidegger, «la problematica unitaria»236  della filosofia.

Presentate come un’«introduzione alla filosofia», concepita come un «portare sulla via del filosofare»,237  le duesezioni di  Einleitung in die Philosophie  intendono perseguire questo intento attraverso «due vie», esaminando,rispettivamente, il rapporto tra la filosofia e la «conoscenza scientifica» (Wissenschaft ) e quello tra la filosofia e la«visione del mondo» (Weltanschauung ). Muovendo da questa impostazione, nelle lezioni del semestre estivo del 1928Heidegger avvia una riconsiderazione, nell’ordine, del fenomeno della verità e di quello del mondo. La questione della

verità emerge come imprescindibile in sede di determinazione dell’essenza della conoscenza scientifica; quella delmondo, per determinare l’essenza della visione del mondo. Lo scopo consiste nel comprendere nel primo caso ladifferenza tra filosofia e conoscenza scientifica, in ordine all’impossibilità, per quest’ultima, di cogliere la «differenzaontologica»; si tratta, cioè, di stabilire l’impossibilità, per la prospettiva della scienza, di porre il problema dell’essere.

 Nel secondo caso si tratta di spiegare come e perché, nella visione del mondo, emerga invece il problema dell’essere, ein che senso il problema del mondo costituisca il necessario «sviluppo» di quest’ultimo.

4.1. La “desoggettivizzazione” della verità: «gli esistenti hanno in comune la verità».

4.1.1. La presa di distanza da Aristotele come esito della reinterpretazione, da parte di Heidegger, della nozioneoriginaria di verità: rottura della continuità fra quest’ultima e l’interpretazione derivativa.

236  GA XXVII , p. 394.237  GA XXVII , p. 4.

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Il corso di lezione del 1928-29 fornisce lo sguardo più ampio sull’evolversi, a partire da Sein und Zeit , sia dellavalutazione heideggeriana nei confronti dell’interpretazione adequativa del fenomeno della verità e nei confronti della

 posizione di Aristotele, sia sul conseguente emergere nella riflessione heideggeriana, muovendo da qui, di una nuovainterpretazione del fenomeno della verità.

Si è visto come, in Sein und Zeit , la comprensione «derivativa» del fenomeno della verità (che lo legge come ilconformarsi, nel giudizio, del contenuto ideale del medesimo all’oggetto al quale esso si riferisce) costituisca una

conseguenza del fatto che il fenomeno della verità si manifesta nell’asserzione: in quanto l’asserzione è unamanifestazione che «determina e comu nica», essa espone il proprio fenomenizzarsi all’interpretazione che è, «anzituttoe perlopiù», derivativa. In questo modo, nell’opera del 1927 Heidegger si apre la strada verso la dimensione originariadel fenomeno veritativo muovendo dall’analisi del fenomeno dell’asserzione, e sostiene, nel contempo, che proprioquesta è la strada sulla quale già si era incamminato Aristotele. La posizione heideggeriana nelle lezioni del semestreinvernale 1928-29 è più esplicita nella tesi di fondo (il carattere derivativo della tesi che assegna il fenomeno dellaverità all’asserzione) e diversa nell’argomentazione: ciò che, in queste lezioni, risulta abbandonato, è la prospettiva che,nel rapporto di fondazione fra la nozione originaria e quella derivativa di verità, vede una continuità fra la prima e laseconda. Qui, infatti, Heidegger sostiene che, qualora sia stato assunto lo sguardo derivativo della conoscenzascientifica (quella che indaga l’ente nei suoi ambiti particolari, laddove la filosofia si rivolge all’essere, cioè all’ente intotalità)238   e la nozione derivativa di verità a esso propria, necessariamente si giunge a definire la verità come una«proprietà» del discorso apofantico e, dunque, come inerente al giudizio.239  In altri termini: qui Heidegger sostiene chela collocazione della verità nel giudizio, quale «proprietà» dell’asserzione, costituisce la conseguenza  dell’assunzione

dell’interpretazione derivativa del fenomeno della verità, e non (come si afferma, invece, nello  Hauptbuch) la suacausa. Ciò comporta il fatto che che la tesi che colloca il fenomeno della verità nell’asserzione appaia, qui,necessariamente marcata dall’interpretazione derivativa del fenomeno della verità, laddove, per Sein und Zeit , ilcarattere derivativo dell’interpretazione adequativa del fenomeno della verità era una conseguenza (senza il carattere dinecessità) della collocazione di quest’ultimo nell’asserzione, che nello  Hauptbuch  trovava il motivo della propriacondanna nella sua appartenenza alla dimensione linguistica, e alla più generale svalutazione di quest’ultima.

Congruentemente con l’opera del 1927, in Einleitung in die Philosophie  Heidegger dichiara che, se pure si può«con una certa ragione» assegnare la verità alla proposizione in quanto asserzione, d'altra parte la verità si fonda inqualcosa «di più originario», che non ha le caratteristiche dell’asserzione.240  Rispetto allo Hauptbuch, emerge tuttaviaqui, nella nuova valutazione espressa sulla posizione teorica e sulla collocazione storica di Aristotele, l’abbandono della

 prospettiva di continuità, rintracciabile in Sein und Zeit , fra la comprensione originaria del fenomeno della verità equella derivativa. Nell’opera del 1927, uno dei punti decisivi dell’argomentazione heideggeriana consiste nelcontrastare la tradizionale attribuzione, allo Stagirita, della tesi secondo la quale il giudizio rappresenta il luogo

originario della verità (cfr.  supra , cap. 2.1). Si è già esaminato come l’assegnazione, compiuta dallo  Hauptbuch , dellariflessione aristotelica al campo della comprensione originaria del fenomeno della verità sia funzionaleall’interpretazione continuistica del rapporto, di fondazione e coappartenenza, che essa intrattiene con quella derivativa;è anche emerso come, in testi di alcuni anni posteriori a Sein und Zeit , la riconsiderazione di questo rapporto, che siconiuga con quella dello stesso fenomeno della verità, vada di pari passo con una diversa valutazione della riflessionearistotelica (cfr.  supra , cap. 2.2.1). Le lezioni del semestre invernale 1928-29 forniscono un ulteriore, particolarmentesignificativo, esempio di ciò: subito dopo aver proceduto a distinguere (con una contrapposizione la cui nettezza nontrova riscontro nello  Hauptbuch) la comprensione originaria del fenomeno della verità da quella derivativa, la figuradello Stagirita viene accomunata a quelle di Leibniz e Kant, in quanto esponenti precipui di quella determinazione dellaverità che la concepisce come verità dellla proposizione, e concepisce la verità della proposizione come rapporto fra duerappresentazioni, ovvero fra due concetti del soggetto.241  

4.1.2. «Gli esistenti hanno in comune la verità»: l’evento della verità definisce gli esistenti che ne hanno parte.

 Nell’intento di negare che la verità appartenga alla proposizione, Heidegger giunge a riprendere, rovesciandola, la posizione di Sein und Zeit : il luogo della verità non è la proposizione, bensì l’esserci, «o, addirittura, il contrario».242  

238  «1. Wissenschaft ist Erkenntnis von Seiendem und nicht solche des Seins; 2. Als Wissenschaft von Seiendem ist sie je solche eines bestimmtenGebiets und nie vom seienden im Ganzen» (GA XXVII , p. 212).239  « Denn wenn überhaupt Wissenschaft als Erkenntnis und Wahrheit angesetzt ist, das scheint das Wesentliche gesichert, zumal darüber, wasWahrheit ist, in einer Hinsicht doch weitgehende Übereinstimmung herrscht, nämlich in der Meinung, daß Wahrheit es sei, was als Eigenschaft

 primär der Aussage, dem Urteil zukomme» (GA XXVII , p. 45). 240   «Wenn schon mit einem gewissen Recht dem Satz als Aussage die Wahrheit zugesprochen wird, so gründet die Wahrheit in etwasUrsprünglicherem, was nicht Aussagecharakter hat » (GA XXVII , p. 68). Significativamente, inoltre, la comprensione derivativa della verità, che siesprime nella tesi che la colloca nell’asserzione, in queste lezioni viene discussa con riguardo non tanto a tale tesi, bensì alla contrapposizionegnoseologica fra soggetto e oggetto (sul carattere non originario della quale non sussistono, per Heidegger, dubbi) che la fonda (cfr. §§ 11-12); inquesto modo, l’interpretazione derivativa della verità riceve, fin dall’inizio, una valutazione che ne acentua il distacco dall’interpretazione

«originaria».241  «[…] Auffassung von Wahrheit als Satzwahrheit und vom Satz als Verbindung von Vorstellungen» (GA XXVII , p. 47).242  «[…] eine Wesensbestimmung der Wahrheit überhaupt: daß ihr Ort nicht der Satz, sondern das Dasein ist (oder gar umgekehrt) » (GA XXVII , p.109). Seguiamo qui la proposta del curatore di queste lezioni, che chiarisce il senso dell’espressione «oder gar umgekehrt » con l’ausilio della copiadattiloscritta di H. Feick, approvata da Heidegger, dove si afferma che tale espressione intende significare che «der Wesensort des Daseins die

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Secondo queste lezioni la verità è il luogo dell’esserci e, a fortiori, quello della proposizione e dell’asserzione, nonviceversa; la verità, cioè, determina l’esistente, non il contrario.

Significativa, in questo senso, è anche l’argomentazione, diversa da quella di Sein und Zeit  e delle lezioni del1927, attraverso la quale nelle lezioni del semestre invernale 1928-29 viene respinta la possibile accusa di concepire laverità in modo «soggettivistico». Nella prospettiva dello  Hauptbuch , tale accusa viene rigettata spiegando come ladeterminazione «esserci» non vada concepita come un «soggetto» nel senso tradizionale del termine; al proposito, il

 problema consiste, come chiariscono le lezioni del semestre estivo del 1927, nel determinare che cosa vada «rettamenteinteso» con la determinazione di «soggetto»,243   al quale la verità inerisce. Molto differentemente, nelle lezioni delsemestre invernale 1928-29 l’accusa di delineare la verità come «etwas als “Subjektivistisches”» viene da Heideggerrespinta chiarendo che, con l’interpretazione della verità qui presentata, è la soggettività, nel suo essere presso ilsussistente disvelato, a essere determinata a partire dal fenomeno della verità,244  anziché (come vorrebbe il percorsoargomentativo dello  Hauptbuch, che si propone di chiarire tale fenomeno muovendo da quello dell’essere nel mondo)l’inverso. Il modo «corretto» per determinare il concetto di soggettto «rettamente inteso» consiste nel muoveredall’interpretazione del fenomeno della verità, colto nella sua appartenenza all’esserci.245  Detto altrimenti: l’accusa disoggettivismo non viene dunque respinta, nella prospettiva di Sein und Zeit , in quanto tale, ma soltanto laddove essavenga mossa assumendo un concetto di soggettività che è, secondo Heidegger, inadeguato. Nelle lezioni del semestreinvernale 1928-29 la medesima accusa appare invece, agli occhi del filosofo, comunque priva di significato, in quantonon si tratta di «soggettivizzare» la verità, bensì , all’inverso, di «verificare» il soggetto. Questo vale in senso letterale:come si esprime Heidegger, «la verità esiste», e perciò «la verità stessa ha il modo d’essere dell’esserci».246  

L’affermazione, infatti, secondo la quale «l’esserci è per essenza nella verità» non va interpretata, chiarisce Heidegger,nel senso del relativismo protagoreo, bensì alla luce della tesi secondo la quale «la verità esiste, cioè il suo modod’essere è l’esistenza, e questa è la modalità in cui si dà qualcosa come l’esserci».247  Che l’esserci sia, «per essenza,nella verità» non significa cioè, spiega Heidegger, che la verità sia un possesso dell’esserci, bensì che la «costituzioned’essere» (Seinsverfassung ) è il luogo dell’essenza della verità.

 Nel passaggio dallo Hauptbuch alle lezioni del semestre invernale 1928-29 si può, dunque, parlare di«desoggettivizzazione» dell’interpretazione heideggeriana del fenomeno della verità in questo senso: appare invertito il percorso argomentativo che giustifica la coappartenenza di verità ed esis tenza. Anche se Heidegger non è ancoragiunto, a questa data, a definire esplicitamente l’esistente come un collocarsi nell’evento della verità, concepito comel’evento dell’essere (in quanto permane, in queste lezioni, la collocazione della verità nell’ambìto esistenziale),

 purtuttavia con  Einleitung in die Philosophie  si afferma l’esigenza di muovere dalla verità quale fenomenodeterminativo dell’esistenza, anziché viceversa. Quando sosteniamo, a proposito di queste lezioni la tesi di una«desoggettivizzazione» del carattere della verità nell’interpretazione heideggeriana di questo fenomeno, lasciamo

dunque impregiudicati il modo in cui il «soggetto» o la «verità» vengano determinati, e intendiamo far cenno soltantoalla «direzione» del rapporto che Heidegger istituisce fra loro. La tesi heideggeriana esposta nel paragrafo 14 di Einleitung in die Philosophie, secondo la quale «gli esistenti hanno in comune la verità», concepita come il non esserenascosto dell’ente, costituisce l’articolazione concettuale e lo strumento attraverso il quale Heidegger dà seguito al

 proposito di determinare l’esistente a partire dal fenomeno della verità. Il punto d’attacco dell’argomentazione è quicostituito dal fatto che gli esistenti hanno in comune l’essere ente, e che tale partecipare dell’ente, che fonda la

 possibili tà di «lasciar essere le cose» (mettendole in condizione di essere disvelate) consiste nell’aver parte dell’ente inquanto vero; l’avere in comune l’essere ente consiste cioè, per gli esistenti, nell’avere in comune la  sua (dell’ente)verità. Il «lasciar essere» può darsi, infatti, soltanto se ciò che lasciamo essere è manifesto, cioè è vero; la verità comenon essere nascosto è, dunque, qualcosa che spetta all’ente, e gli esistenti, in quanto hanno in comune questo non esserenascosto, partecipano della verità.248  

Emerge già qui, in qualità di presupposto dell’argomentazione che sta per essere sviluppata, l’elemento dinovità delle analisi heideggeriane dedicate, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, al fenomeno della verità: la

verità spetta ( zukommt ) all’ente, e se essa (come in queste lezioni ancora si afferma) ricade nell’àmbito dell’esistente,ciò accade soltanto in quanto esso è parte dell’ente. Per questo Heidegger afferma che il lasciar essere le cose, ovvero lafunzione scoprente (nella quale consiste la verità) che l’esserci riveste nei confronti dell’ente intramondano, rinvia alfatto che l’esserci partecipi dell’ente. Questo essere partecipi dell’ente, ovvero della sua verità, avviene, sostiene

Wahrheit als Unverborgenheit ist » (GA XXVII , p. 109, Anm. 1). Infat ti, «non è la proposizione il luogo della verità, bensì la verità è il luogo della proposizione» (GA XXVII , p. 155).243   GA XXIV , p. 308 [207].244  «[…] die These von der Zugehörigkeit von Wahrheit zum Subjekt erklärt die Wahrheit nicht als etwas “Subjektivistisches”, sondern bestimmt

 gerade die Subjektivität in ihrem Sein bei unverborgenem Vorhandenem» (GA XXVII , p. 115).245  « Die Zugehörigkeit der Wahrheit zum Subjekt im rechtverstandenen Sinne macht die Wahrheit nicht zu etwas Subjektivem im schlechten Sinne,

 sondern umgekehrt. Diese Zugehörigkeit der Wahrheit zum Subjekt kann gerade die Veranlassung werden, den Begriff des Subjekts allererst in derrechten Weise zu bestimmen» (GA XXVII , pp. 115-116).246  « Die Wahrheit existiert. Die Wahrheit selbst hat daher die Seinsart des Daseins» (GA XXVII , p. 153).247

 GA XXVII , pp. 150 sgg.248  «[…] dieses Seinlassen der Dinge steht in einem Bedingungszusammenhang mit der Teilhabe am Seienden. Seinlassen geschieht nur so und kannnur so geschehen, daß uns dabei das, was wir da sein lassen, d. h. wahr ist. Seinlassen steht im Bedingungzusammenhang mit Wahrheit. Ferner istdiese Wahrheit (Unverborgenheit) etwas “am” Seienden, etwas, was ihm zukommt. […] Wir teilen uns in seine Unverborgenheit, seine Wahrheit »(GA XXVII , p. 105).

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Heidegger, nella forma del comunicare: dal momento che l’esserci è, originariamente, «essere con altri»(miteinandersein), l’aver parte (teilhaben) all’ente, cioè l’avere in comune ( sich teilen in) la verità, fin da principio eoriginariamente, sostiene Heidegger, si presenta nella forma del «comunicare» (mitteilen).249   Il non essere nascostodell’ente, cioè la sua verità, è infatti, prosegue Heidegger, una «determinazione collettiva» (ein Gemeinsames), che nonappartiene mai a un singolo esistente in quanto singolo;250   ciascun esistente è, essenzialmente, già sempre collocatonella manifestatività (Offenbarkeit ) dell’altro.251   Il «con un altro» va considerato come il fondamento della comunità

(Gemeinschaft ), non viceversa; la struttura ontologica dell’esistente, non il rapporto dialogico fra un «io» e un «tu»,cioè fra due (o più) soggetti, già costituiti come tali, rappresenta la condizione di possibilità del «collettivo».252  È estremamente significativo il fatto che la dimensione della comunicazione, che in Sein und Zeit  veniva

assegnata al livello derivativo dell’asserzione (cfr.  supra , cap. 2.2), nelle lezioni del semestre invernale 1928-29 appare,invece, immediatamente radicata nella dimensione originaria del fenomeno della verità, concepita come il manifestarsidell’ente: proprio perché la verità consiste, anzitutto, in questo manifestarsi, prima che nell’attività disvelativadell’esistente, la comunicazione costituisce non un momento ulteriore e derivativo del fenomenizzarsi della verità, bensìun elemento appartenente a questo stesso fenomenizzarsi nella sua originarietà.

 Nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, la tesi relativa alla «comunicazione» della verità (cioè al fattoche essa, in quanto soggiornare dell’esserci presso la verità dell’ente, consiste in un «partecipare» dell’essercimedesimo a questa verità) costituisce il terreno sul quale sorge un elemento dell’interpretazione della verità che, inseguito, Heidegger sviluppa nelle lezioni del semestre invernale 1929-30: il radicarsi del fenomeno della verità nelmanifestarsi dell’ente in totalità in quanto tale, cioè nel mondo, anziché nella modalità disvelativa dell’esserci. Già nelle

lezioni del semestre invernale 1928-29, del resto, Heidegger sostiene esplicitamente che la verità appartiene all’ente chesta nella forma della Vorhandenheit  (determinazione che, in queste lezioni, si riferisce genericamente all’ente difformedall’esistente), anche se non come sua «proprietà» sussistente, e in forma diversa da quanto accade con l’esistente.253  Anche questa affermazione si giustifica con il fatto che, nella prospettiva tanto di queste lezioni, quanto di quellesuccessive, il fenomeno della verità risulta riferito, nella sua dimensione originaria, al manifestarsi dell’ente in totalità(piuttosto che alla funzione scoprente dell’esserci) e dunque, seppur in forme diverse, alle sue diverse articolazioni,compreso l’ente difforme dall’esistente.254  Nei confronti dell’interpretazione della verità esposta in Sein und Zeit , quellasviluppata nelle lezioni del semestre invernale 1928-29 costituisce dunque una revisione, che va in direzione della«desoggettivizzazione» della medesima, da intendersi come il suo radicamento nella forma della manifestativitàdell’ente, piuttosto che in quella della funzione disvelativa dell’esserci (cfr. infra, cap. 5.1.2).

Si è peraltro visto come, nel progetto di ontologia fondamentale presentato nello Hauptbuch, fosse propriol’interpretazione del fenomeno della verità a determinare il configurarsi della struttura dell’essere nel mondo chemantiene il riferimento, fuori di sé, alla valenza realistica dell’ente intramondano; l’accento posto, nei testi

immediatamente successivi all’opera del 1927, sul carattere di trascendenza dell’essere nel mondo, concepito come iltratto distintivo della soggettività, intende risolvere proprio questo problema, intrinseco al progetto di ontologiafondamentale presentato in Sein und Zeit . È ora necessario esaminare come, e in che misura, la revisione, operata nellelezioni del semestre invernale 1928-29, dell’interpretazione del fenomeno della verità in direzione della sua«desoggettivizzazione» (per quanto tale processo non raggiunga, in queste lezioni, il suo compimento)  produca unareinterpretazione della trascendenza, cioè della struttura esistenziale dell’«essere nel mondo».

4.2. La “deesistenzializzazione” della trascendenza: «essere nel mondo» come «gioco della trascendenza».

4.2.1. La critica al significato esistentivo del concetto di mondo in Kant.

L’analisi dedicata al problema della verità viene sviluppata, in  Einleitung in die Philosophie, all’interno del tentativo didefinire l’essenza della conoscenza scientifica. Il fine è quello di chiarire, afferma Heidegger, in che modo «la scienza(Wissenschaft ) in quanto tale si collochi nell’àmbito della filosofia, in modo che quest’ultima non può mai essere

249  « Alle Entdecktheit von Vorhandenem soll wesenhaft schon sein als geteilt mit… […] Diese Wahrheit ist etwas, worein er [lo scopritore] sichnotwendig mit anderen teilt » (GA XXVII , pp. 127-128).250  GA XXVII , p. 133.251  GA XXVII , p. 138.252  GA XXVII , pp. 145-146.253  « Miteinandersein bei… ist ein Sichteilen in die Unverborgenheit (Wahrheit) des Vorhandenen. Die Wahrheit gehört zum Vorhandenen, und dochist sie nicht vorhandene Eigenschaft an ihm. Sie ist nicht Vorhandenes. Wahrheit ist aber zugleich etwas, worein Dasein mit Dasein sich teilt, wasalso auch wieder dem Dasein gehört » (GA XXVII , pp. 106-107). L’«essere non nascosto» (Unverborgenheit ) del sussistente, cioè il suo «esserescoperto» ( Entdecktheit ), non deve, infatti, essere confuso con l’«essere aperto» ( Erschlossenheit ), che è un carattere specifico dell’esistente (GA

 XXVII , p. 130). Va d’altro canto notato che, secondo il testo di queste lezioni, lo stesso essere non nascosto del sussistente, cioè la sua verità,

appartiene ancora, «originariamente», all’esistente (GA XXVII , p. 139). In altri termini: la verità non è, in alcun modo, «patrimonio essenziale»(Wesensbestand ) del sussistente (GA XXVII , p. 149), e anche la verità propria di quest’ultimo appartiene alla costituzione d’essere dell’esistente (GA XXVII , p. 150).254  « Da es Seiendes in verschiedener Seinsart gibt, gibt es entsprechend auch Abwandlungen von Wahrheit . […] Die Seinsart von Vorhandenem unddie von Dasein muß hinsichtlich ihres Nebeneinander, Zusammenvorhandenseins und Miteinander geklärt werden » (GA XXVII , p. 107).

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definita come scienza».255   Ovvero: la filosofia sta essenzialmente a fondamento di ogni scienza, ma non sorge daessa.256  La seconda sezione del testo del corso di lezione del 1928-29 mira, invece, a definire il rapporto intercorrentetra la filosofia e la «visione del mondo» (Weltanschauung ), cioè la coscienza delle posizioni fondamentali dell’essercinei confronti dell’ente in totalità, coscienza che è sempre determinata dalla condizione storica dell’esserci.257  Così comela questione della verità, sottolinea Heidegger, anche quella della visione del mondo rinvia alla costituzione essenzialedell’esserci;258   per chiarire il fenomeno della visione del mondo occorre anzitutto sviluppare, sostiene Heidegger,

un’«interpretazione essenziale» di quello del mondo.

259

 Qual è la tesi che regge questa interpretazione? Quella secondo la quale il rapporto fra l’esserci e il mondo nonè affatto occasionale, dal momento che il riferimento al mondo appartiene «all’essenza dell’esserci come tale,all’esistere come essere in quanto esserci».260   L’esserci consiste infatti, prosegue Heidegger, in null’altro se nonnell’«essere nel mondo», e l’essere nel mondo è il trascendere, il superamento. «Ciò che supera è l’esserci, ciò cheviene superato è l’ente in totalità; ciò verso cui avviene il superamento è il mondo. “Ciò verso cui” avviene ilsuperamento non consiste, tuttavia, in un ente».261  L’elemento principale da sottolineare consiste nel fatto che, stando aqueste righe delle lezioni del semestre invernale 1928-29, la determinazione del mondo non si sovrappone affatto (comeaccade, invece, in  Die Grundbegriffe der Metaphysik , il testo del corso di lezione del 1929-30) a quella dell’ente intotalità: quest’ultima indica qui, infatti, ciò che viene superato, laddove la realtà del mondo è il «verso cui» ( woraufzu )del superamento, che non ha le caratteristiche dell’ente, ed appartiene all’àmbito della trascendenza, cioè della strutturaesistenziale. Più avanti, Heidegger conferma: l’esserci trascende, cioè supera l’ente, non in modo occasionale, ma

 proprio in quanto esserci, ed esso non supera questo o quell’ente, bensì l’ente in totalità.262  Tuttavia, nel momento in cui

si accinge a precisare il significato di questo «in totalità, che appartiene alla trascendenza», Heidegger sostiene che essoè ciò «verso cui si compie il superamento dell’ente, ciò verso cui la trascendenza trascende […]. Definiamo “mondo”questo “verso cui” l’esserci essenzialmente trascendente trascende».263  Qui, come è evidente, la determinazione delmondo viene a coincidere con quella dell’«ente in totalità»; in questo modo, il mondo riceve una connotazione più«oggettuale» rispetto a quella che esso riveste, in funzione di articolazione della trascendenza, in seguito alla suaassegnazione all’àmbito esistenziale. Rispetto al trascendere dell’esistente, di conseguenza, il «verso cui» assume unadimensione ulteriore e, in certa misura, preliminare: «“il verso cui” del superamento è ciò entro cui l’esserci in quantotale si mantiene. Trascendere significa essere nel mondo».264   Sovrapponendo, cioè, l’istanza del mondo a quelladell’ente in totalità, la prima risulta differenziata da quella della trascendenza, in quanto concepita come la strutturadell’esistente, e viene collocata come sua condizione di possibilità.

In merito alla determinazione del mondo, paiono dunque emergere, all’interno delle lezioni del semestreinvernale 1928-29, due linee di tendenza. La prima, proseguendo sulla strada aperta dai  Metaphysische Anfangsgründeder Logik , il corso di lezione del 1928, e accentuata in Vom Wesen des Grundes, individua l’elemento differenziale del

mondo nei confronti dell’ente (che, in quanto tale, viene trasceso) nel suo carattere trascendentale, e nella sua tendenzanullificante nei confronti dell’ente medesimo. La seconda linea di sviluppo rintraccia, invece, tale differenzialità delmondo, rispetto al singolo ente, nel suo presentarsi come «ente in totalità». In questa seconda interpretazione, ilconcetto di mondo riceve una connotazione «oggettiva» che lo configura come lo spazio entro il quale il trascenderedell’esserci si muove e, dunque, come la sua condizione di possibilità. Intendiamo, ora, ripercorrere i momentiattraverso i quali Heidegger sviluppa, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, la prima delle due linee di tendenza,

 per passare invece, nel prossimo paragrafo (4.2.2), a enucleare gli elementi che, attraverso la reinterpretazione delconcetto di trascendenza, prefigurano un’analisi del concetto di mondo in una prospettiva cosmologica, anzichéesistenziale.

La caratterizzazione esistentiva del fenomeno del mondo viene da Heidegger sviluppata, in  Einleitung in die Philosophie, attraverso un serrato confronto con l’analisi kantiana del concetto di mondo. Il merito di Kant, secondoHeidegger, consiste nell’aver messo in luce la posizione peculiare del concetto di mondo che, per quanto appartenenteall’ente sussistente, non è, esso medesimo, un ente sussistente, ed è, d’altro canto, peculiarmente riferito all’uomo.265  Il

«carattere bifronte» ( Doppelgesicht ) del concetto kantiano di mondo consiste proprio nel fatto che esso da un latodesigna la totalità dei fenomeni, cioè dell’ente, pur appartenendo, d’altro canto, alla natura del soggetto finito; per ilconcetto kantiano di mondo è decisivo proprio questo necessario rapporto con il carattere finito dell’essenza non

255  GA XXVII , p. 26.256  GA XXVII , p. 229.257  GA XXVII , p. 8.258  GA XXVII , p. 235.259  GA XXVII , p. 239. È significativo, per localizzare la posizione cronologica e quella teoretica di  Einleitung in die Philosophie, il riferimento diHeidegger, in questo contesto, a Vom Wesen des Grundes, come a un passo preliminare, e precedente, a quelli che ci si appresta qui a compiere.260  «[…] zum Wesen von Dasein als solchem, zum Existieren als Dasein qua Dasein » (GA XXVII , p. 240).261   « Das Übersteigende ist das Dasein; was überstiegen wird, i st das Seiende im Ganzen; woraufzu der Überstieg erfolgt, ist die Welt. Das“Woraufzu” ist aber kein Seiendes» (GA XXVII , p. 240). 262  « Das Dasein transzendiert, übersteigt Seiendes aber nicht gelegentlich, sondern als Dasein, und es übersteigt Seiendes, nicht dieses und jenes, mit

 Auswahl, sondern im Ganzen» (GA XXVII , p. 306).263  «Was bedeutet dieses “im Ganzen”, das zur Transzendenz gehört? Es ist das woraufzu der Überstieg des Seienden sich vollzieht, das woraufzuTranszendenz transzendiert, […] Dieses, woraufzu das wesenhaft transzendierende Dasein transzendiert, nennen wir Welt » (GA XXVII , p. 307).264  « Das Woraufzu des Überstiegs ist das, worin das Dasein als solches sich hält . Transzendieren heißt In-der-Welt sein» (GA XXVII , p. 307).265  GA XXVII , p. 296.

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creatrice, cioè dell’uomo.266  In Kant, rileva infatti Heidegger, la rappresentazione «mondo» costituisce un’«idea», nonun «ideale»; essa effettivamente designa una totalità incondizionata, pensata, tuttavia, con riferimento ai fenomeni, nonall’oggetto di una conoscenza incondizionata quale è l’intuitus originarius, cioè l’intuizione divina, infinita e creatrice;«mondo», sintetizza Heidegger, designa la conoscenza umana finita, il modo in cui si conosce e la caratteristica di ciòche è conoscibile.267  In questo modo, sostiene Heidegger, l’uomo risulta determinato non in virtù del suo essere «cosanaturale», cioè come un’articolazione del cosmo, bensì come esistenza storica.268  Il termine stesso di mondo, afferma

Heidegger, indica «l’esserci umano nell’essenziale della sua esistenza».

269

  Questo, che è il concetto esistentivo(existenziell ) di mondo, viene da Heidegger messo a fuoco nelle asserzioni, rintracciabili nel  Nachschrift  di una lezionekantiana, quali quella secondo la quale « Ein Mann von Welt ist Mitspieler im großen Spiel des Lebens».270  Da qui,Heidegger deriva la seguente serie di equivalenze: «mondo = il grande gioco della vita, = esperienza di vita, l’esserciumano in quanto tale, conoscenza del mondo = antropologia. Prima abitatore del mondo, ora compagno di gioco».271  

Qual è, secondo Heidegger, il limite dell’interpretazione kantiana del concetto di mondo? Proprio ciò che, peraltro verso, costituisce il suo pregio: il riferimento all’umano, cioè il fatto che il mondo venga concepito come il giocodelle relazioni intercorrenti fra gli uomini nel rapporto che li lega all’ente.272  La «conoscenza del mondo» consiste,dunque, in una conoscenza relativa all’uomo, a come esso sta nel mondo e vi si rapporta; per questo la «conoscenza delmondo» si qualifica come antropologia.273   Questo è il punto sul quale Heidegger insiste: «mondo» è sinonimo di«esistenza umana», e «conoscenza del mondo» è sinonimo di «antropologia».274  Questo è il limite del concetto kantianodi mondo: avendolo ristretto alla dimensione antropologica, Kant si è mantenuto sul piano esistentivo (existenziell )dell’analisi, non pervenendo a enuclearne il livello più originario, cioè quello esistenziale (existenzial ), ovvero

ontologico. In termini meno succinti: il concetto esistentivo di Welt , in quanto si muove sul piano ontico, rimanecorrelativo e contrapposto a quello di  Natur (o, anche, a quello di kosmos), che si riferisce, sempre sul piano ontico,all’àmbito dell’ente difforme dall’esistente. Tuttavia, sostiene Heidegger, il significato del termine Welt  che è in gioconel concetto di Weltanschauung   è esistenziale e, in quanto tale, ricomprende sotto di sé tanto l’àmbito dell’entesussistente, quanto la valenza esistentiva del concetto di Welt , alla quale si sarebbe arrestato Kant.275  Detto altrimenti:

 permanendo sul piano ontico, e arrestandosi alla contrapposizione tra il concetto cosmologico di mondo e quelloantropologico, secondo Heidegger Kant non ha compreso la struttura ontologica dell’esistente, cioè la veritàdell’esserci, secondo la quale esso è, cooriginariamente, tanto «essere con» le altre esistenze quanto «essere presso»l’ente sussistente. Per questo, Heidegger afferma che il «tutto della costituzione d’essere», in quanto ente che simanifesta in totalità, nei confronti dell’analisi kantiana rimane in una posizione più originaria, e sovradeterminato.276  

Ciò che l’analisi kantiana ha mancato è dunque, secondo Heidegger, la questione della struttura ontologicadell’esistente, ovvero la questione di come l’esistente, in quanto pone la questione ontologica e si definisce, perciò,come Seinsverständnis, si configura come essere nel mondo. Questa affermazione va ulteriormente precisata rilevando

che, a differenza di quanto accade nello  Hauptbuch , in queste lezioni Seinsverständnis e  In der Welt sein non sonodeterminazioni coestensive. Infatti, «all’essere nel mondo appartiene la comprensione dell’essere; tuttavia, questaseconda determinazione non coincide con la prima, ma è soltanto un momento essenziale dell’essere nel mondo […]questo essere nel mondo non è s oltanto una preliminare comprensione dell’essere. Questa comprensione ha un carattere

 proprio, non consiste in conoscere e sapere di tipo teoretici».277  In altri termini: la dimensione esistenziale dell’essere

266  GA XXVII , p. 289.267  GA XXVII , p. 290.268  «Welt: Titel für Menschen, und gerade nicht als Glied des Kosmos, Naturding, sondern in seinen geschichtlichen Existenzbezügen. Der Weltbegriffist hier viel eindeutiger in Richtung auf das menschliche Dasein gefaßt » (GA XXVII , p. 300)269  «[…] das menschlichen Dasein im Wesentlichen seiner Existenz» (GA XXVII , p. 301).270  Citato in GA XXVII , p. 300, nonché in WG, p. 153 [110]. H. Decléve, Heidegger et Kant , cit., pp. 318-319 sottolinea, a questo proposito, ilmisconoscimento di Heidegger della finalità autentica del concetto kantiano di mondo, consistente nel ribadire, attraverso il fondamento pratico di taledeterminazione, la duplicità, nell’uomo, di dimensione pratica e dimensione intelliggibile. Pur concedendo ciò, va tuttavia ribadito da un lato che lavalenza pratica del concetto kantiano di mondo viene coscientemente assunta da Heidegger, dall’altro che, nelle lezioni del semestre invernale 1928-

29, di essa (relegata al concetto esistentivo di mondo) si intende fornire una fondazione che trascenda la prospettiva antropologica. Il coniugarsi siquesti due aspetti motiva, a nostro parere, l’interesse di Heidegger, a questa data, per il concetto kantiano di mondo, che costituisce, come rileva lostesso Declève (ibidem , p. 309), un elemento di novità rispetto a Sein und Zeit .271  «Welt = das große Spiel des Lebens, = Lebenserfahrung, das menschliche Dasein als solches, Weltkenntnis = Menschenkunde. Früher habitatoresmundi, jetzt Mitspieler » (GA XXVII , p. 300).272  «Welt: der Titel für das menschliche Dasein, und zwar in Rücksicht darauf, wie es in ihm zugeht, das Spiel des Miteinander der Menschen in ihremVerhältnis zum Seienden» (GA XXVII , p. 300).273  «Weltkenntnis ist hier also Kenntnis des Menschen hinsichtlich dessen, wie er in der Welt steht und sich verhält. Weltkenntnis nennt Kant daherdirekt Anthropologie» (GA XXVII , p. 298).274   «Welt steht für habitator mundi, für den Menschen hinsichtlich seiner Existenz. Anthropologie, Lehre vom Menschen = pragmatischeWeltkenntnis. Damit wird in der zugespitztesten Form zum Ausdruck gebracht: Welt bedeutet gerade die Menschen. Menschenkunde = Weltkenntnis»(GA XXVII , pp. 298-299).275  « Diese existenzielle Bedeutung des Wortes “Welt” ist gemeint in unserem Ausdruck “Weltanschauung”, wenngleich sich auch die kosmologische

 Bedeutung mit eindrangt, und zwar nicht zufällig, sondern deshalb, weil auch die Natur und Welt vom existenzialen Begriff umfaßt wird. Denn dieserist nicht der engere, sondern der weitere, viel ursprünglichere» (GA XXVII , p. 302)276  «Sofern das Dasein gleichursprünglich seinem Wesen nach Mitsein mit Anderen ist im Sein bei Vorhandenem und all das als Selbstsein, ist das

Ganze der Seinsverfassung dieses so offenbaren Seienden im Ganzen reicher und ursprünglicher als das, was in Kants kosmologischem Weltbegriff gedacht i st und im anthropologischen zum mindesten angezeigt ist » (GA XXVII , p. 308).277  « Zum In-derWelt-sein gehört Seinsverständnis; dieses deckt sich aber nicht mit jenem, sondern ist nur ein Wesensmoment des In-der-Welt-sein[…] dieses Sein als In-der-Welt-sein ist nicht nur ein vorgängiges Verstehen des Seins. Dieses Verstehen hat einen eigenen Charakter, keintheoretisches Kennen und Wissen» (GA XXVII , p. 307).

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nel mondo non si esaurisce nella comprensione d’essere, e ciò in forza del fatto che l’essere nel mondo si configura, inquanto costituzione fondamentale dell’esserci, come trascendenza;278  per questo «caratterizziamo questa comprensioned’essere come trascendenza, con l’avvertenza, che la trascendenza non è determinata esaustivamente attraverso lacomprensione d’essere».279  

Il primato che viene qui riconosciuto all’istanza dell’«essere nel mondo» (in virtù della posizione, in essa, dellaSeinsfrage) nei confronti di quella della comprensione d’essere deriva, dunque (con un’argomentazione che avvicina

queste lezioni a quelle del semestre precedente, nonché a Vom Wesen des Grundes), dal fatto che l’«essere nel mondo»consiste nel trascendere; per raggiungere la dimensione originaria dell’analisi, alla quale Kant non sarebbe pervenuto,occorre, perciò, definire che cosa sia la trascendenza. Nel momento in cui Heidegger si accinge a determinare questaistanza «originaria», emerge, tuttavia, quella che abbiamo definito come una seconda linea di lettura (dopo quellaesistenziale) del fenomeno del mondo: l’interpretazione cosmologica.

4.2.2. La reinterpretazione cosmologica del concetto di trascendenza: la nozione di «gioco» e quella di «abbandono».

In effetti, l’approccio di Heidegger ai testi kantiani, alla ricerca del significato esistentivo del concetto di mondo, ha unoscopo dichiarato: si tratta, spiega Heidegger, di chiarire la relazione tra il mondo e l’esserci considerando non soltantol’originarsi del concetto di mondo muovendo dalla natura umana, ma con riguardo anche, all’inverso, al fatto che la

natura umana medesima, l’«essere uomo» ( Menschsein) , il gioco dell’uomo e il suo affaccendarsi vengono compresicome mondo.280   L’esame della configurazione esistentiva del concetto di mondo non può prescindere, ed è anzifinalizzato, a delineare come la stessa natura umana sia da comprendersi muovendo da una prospettiva cosmologica,cioè a partire dal fatto che essa risulta configurata come mondo.

 Emergono, dunque, due possibili linee interpretative del concetto di mondo, fra le quali Heidegger dichiara divoler ora privilegiare la seconda: da un lato, il mondo concepito come funzione della struttura esistenziale, dall’altro ilmondo concepito come principio determinativo della medesima. La duplice linea di lettura del concetto di mondo trova,in queste lezioni, il suo riscontro nella duplice interpretazione, da parte di Heidegger medesimo, del concetto ditrascendenza: inizialmente attribuito all’àmbito dell’esistente, esso finisce per diventare, all’inverso, il momento e illuogo dove quest’ultimo accade e, con ciò, la sua condizione ontologica di possibilità.

Come avviene questo passaggio? Il punto di partenza è costituito dall’attribuzione alla trascendenza, in forzadel suo carattere esistenziale, del ruolo di condizione di possibilità sia della verità ontologica (che è «trascendentale», inquanto il non nascondimento dell’essere è possibile soltanto sulla base del superamento dell’ente da parte dell’esserci

che lo trascende),281

 sia della stessa «differenza ontologica» fra l’essere e l’ente.282

 Muovendo da qui, il processo dideesistenzializzazione della trascendenza viene condotto specificando questa istanza attraverso i concetti di «gioco»(Spiel ) e «condizione di abbandono» ( Preisgegebenheit ). «Essere nel mondo» significa non soltanto «trascendere», maanche «essere messo in gioco»;283  per questa via, cioè attraverso l’attribuzione al fenomeno del mondo del carattere digioco,284   la figura concettuale del gioco diventa l’elemento che giustifica l’identità  (finora, soltanto asserita) tra il fenomeno del mondo e quello della trascendenza. È il fenomeno del gioco, infatti, a dar conto del carattere unitariodell’accadere della trascendenza, determinandone il fondamento essenziale.285  

Questa caratterizzazione della trascendenza, attuata attraverso il conferimento, a essa, del carattere di gioco,ridefinisce la sua attribuzione all’àmbito esistenziale, e riconfigura l’esistente medesimo. Poiché, come si esprimeHeidegger, l’essere nel mondo è il «giocare del gioco», l’esistente è l’autore e l’oggetto di tale gioco. L’esserci «deveesercitarsi» ( sich einspielen; Heidegger utilizza, qui, una terminologia proveniente dal lessico sportivo) per poter «averluogo» ( sich abspielen), cioè per svilupparsi in modo tale che, in questo esercizio, l’esserci «viene giocato con altri»(mitgespielt wird ) per tutta la durata della sua esistenza.286  In questo gioco, nel quale «l’esserci è messo in gioco»

(« Das Dasein ist aufs Spiel gesetzt »),287

 si attua la trascendenza; in esso, ogni ente viene «scartato» (umspielt ), cioè

278  « Diese Grundverfassung des Daseins ist aber gleichzeitig die Grundstruktur der Transzendenz» (GA XXVII , p. 315)279  « Dieses Seinsverständnis kennzeichnen wir als Transzendenz, mit der Einschränkung, daß die Transzendenz durch das Seinsverständnis nichterschöpfend bestimmt ist » (GA XXVII , p. 315).280  «[…] verschärft sich die Frage nach der besonderen Beziehung von Welt und Dasein nicht nur im Hinblick auf den Ursprung des Weltbegriffesaus der menschlichen Natur, sondern in Rücksicht darauf, daß nun doch gerade das Menschsein und sein Spiel und Treiben als Welt gefaßt wird » (GA XXVII , p. 303).281  « Die ontologische Wahrheit (Unverborgenheit von Sein) ist ihrerseits nur möglich, wenn das Dasein seinem Wesen nach Seiendes zu übersteigenvermag, d. h. als faktisch existierendes das Seiende immer schon überstiegen hat. Ontologische Wahrheit gründet in der Transzendenz des Daseins;

 sie ist transzendental » (GA XXVII , p. 209).282  « Die Transzendenz des Daseins ist die Bedingung der Möglichkeit der ontologischen Differenz» (GA XXVII , p. 210).283  « Aufs Spiel gesetzt sein, d. h. In-der-Welt-sein» (GA XXVII , p. 337).284  «[…] Die Welt hat den Charakter des Spiels» (GA XXVII , p. 310).285

 «[…] soll uns das Phänomen des Spiels die Anweisung geben auf die Einheitlichkeit eines Geschehens, das die Transzendenz im Grundebestimmt » (GA XXVII , p. 316).286  « Das In-der-Welt-Sein ist dieses ursprüngliche Spielen des Spiels, auf das jenes faktische Dasein sicheinspielen muß, um sich abspielen zu können,derart, daß ihm faktisch so oder so mitgespielt wird in der Dauer seiner Existenz» (GA XXVII , p. 312).287  GA XXVII , p. 325.

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«messo fuori gioco», e ogni comportamento dell’uomo è «allenato» (eingespielt ) a questo gioco.288  Proprio per il suocarattere di gioco, sostiene Heidegger, l’essere nel mondo ha già sempre «scartato» e «superato» (überspielt ) l’ente, ilquale trova formato in questo gioco lo spazio di incontro con l’esistente.289  Quella che viene in questo modo guadagnataè una nuova concezione dell’esistente, che vede il proprio elemento di novità, rispetto alla centralità tradizionalmentericonosciuta (tanto dalla nozione cartesiana e kantiana di soggetto, quanto da quella esistenziale) all’uomo conoscente eoperante nei confronti dell’ente da esso difforme, proprio nel «decentramento» al quale l’uomo, in quanto «messo in

gioco», è sottoposto. Il gioco, afferma Heidegger, non «ha luogo» in un soggetto, bensì l’inverso.

290

 La trascendenza,ovvero il gioco, non è infatti, sottolinea Heidegger, in alcun modo da concepirsi come una proprietà dell’uomo, eneppure come una proprietà fondamentale della sua essenza; all’inverso, dal punto di vista della sua determinazioneoriginaria, cioè in quanto esserci, l’uomo va concepito come ciò che viene messo in gioco in quello che è il trattodefinitorio dell’esserci, la comprensione d’essere; l’uomo va concepito, cioè, come l’effetto di questo gioco. Heideggerribadisce che il gioco non va interpretato come un comportamento, bensì come ciò che rende possibile quest’ultimo.291  Per questo, si è detto, «essere nel mondo» è sinonimo di «essere messo in gioco», e il carattere di gioco del mondo,ribadisce Heidegger, costituisce la determinazione fondamentale dell’esistenza.292  

Che cos’è, nella sua essenza, l’istanza del gioco alla quale fa riferimento Heidegger in queste lezioni? Il giocoè un «libero formare», che trova nel movimento della propria dinamicità la propria identità, cioè il proprio accordo consé medesimo;293  in tale formare, ciò a cui viene data forma non è un oggetto, cioè un ente, perché il gioco non producese non sé medesimo, cioè «l’inscindibile unità del giocare del gioco e del gioco del giocare».294  Questa «inscindibileunità», cioè il gioco, altro non è se non il mondo: «mondo», afferma Heidegger, altro non è se non la denominazione del

gioco giocato dalla trascendenza.295

 Per questo tale gioco, che è sempre «formatore di mondo», è «trascendentale».296

 La «formazione di mondo» (Weltbildung ) è, dunque, l’essenza del gioco; essa «guadagna», al contempo, l’essere, inquanto lo forma.297  A partire da questi passi, attraverso il primato, in essi accordato, alla «formazione di mondo» neiconfronti della questione ontologica, e in forza dell’associazione del concetto di mondo a quello di gioco, pare cheHeidegger effettivamente intenda riconoscere all’istanza del mondo una posizione privilegiata nei confronti di quelladell’esistenza. In effetti, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29 Heidegger afferma che il mondo è il tutto dellacostituzione dell’essere, come totalità specifica delle sue molteplici forme. In questa prospettiva, il compito dell’analisiconsisterebbe, dunque, nel determinare l’intrinseca articolazione di tale totalità d’essere, in quanto essa sfugge alleconcettualizzazioni ontologiche che tentino di determinarla come un affastellamento, o un mero coesistere l’uno accantoall’altro, di ambiti diversi.298  

Per quanto, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, il mondo sia per un verso presentato come unafunzione della trascendenza, la caratterizzazione di quest’ultima fa, d’altronde, intravedere il capovolgersi di questaimpostazione. La definizione della trascendenza attraverso il concetto di gioco fa sì che di essa Heidegger sottolinei il

carattere di «mancanza di sostegno» ( Haltlosigkeit ): il gioco non trova perno in alcuna regola prefissata, in alcun ente(neppure l’esserci) concepito come preesistente al gioco che lo forma. Per questo, Heidegger afferma che «l’essere nelmondo dell’esserci, la sua trascendenza, si mostra a noi come mancanza di sostegno»,299  e che l’«essere messo in gioco,cioè l’essere nel mondo, è, in se stesso, mancanza di sostegno, cioè l’esistere dell’esserci deve procurarsi da sésostegno».300  In questo modo, è il fenomeno del gioco, ovvero il mondo, e non quello della trascendenza, a costituire il primum, logico e ontologico, dell’indagine.

288  « In diesem Spiel der Transzendenz ist schon jedes Seiende, dazu wir uns verhalten, umspielt, und alles Verhalten auf dieses Spiel eingespielt » (GA XXVII , p. 313).289  « Das In-der-Welt-sein hat immer schon zuvor das Seiende überspielt und umspielt; in diesem Spielen bildet es allererst den Raum, sogar imwirklichen Sinne, innerhalb dessen wir Seiendes antreffen» (GA XXVII , p. 316).290  « Ein Spiel ist n icht ein Sichabspielen in einem Subjekt, sondern umgekehrt » (GA XXVII , p. 313).291  GA XXVII , p. 313.292  « Die Transzendenz als Spiel ist keine Eigenschaft und auch nicht nur eine Grundeigenschaft des Menschenwesens, sondern der Mensch ist auf dasSpiel des Daseins gesetzt […] auf das Spiel des Seinsverständnisses. Das heißt: Seinsverständnis ist keine indifferente, obzwar vielleicht universale

 Eigenschaf t des Daseins, Transzendenz keine harmlose Struktur, die man beachten kann oder nicht. Das gilt es jetzt zu zeigen. Damit wird derSpielcharakter der Welt verdeutlicht, dadurch erhält das In-der-Welt-sein seine eigene Schärfe als Grundbestimmung der Existenz» (GA XXVII , p.323).293  «Spiel ist ein freies Bilden, das je seine eigene Einstimmigkeit hat, sofern es sich sie im Spielen bildet » (GA XXVII , p. 316).294  «Spielen ist daher nie ein Verhalten zu einem Gegenstand, überhaupt kein bloßes Verhalten zu…, sondern das Spielen des Spiels und Spiel desSpielens zumal ein ursprünglich in sich unzertrennliches Geschehen» (GA XXVII , p. 316).295  «“Welt” ist der Titel für das Spiel, das die Transzendenz spielt » (GA XXVII , p. 312).296  « In-der-Welt-sein als Transzendenz, als transzendentales Spiel ist immer Weltbildung » (GA XXVII , p. 314).297  «Wenn wir vom In-der-Welt-sein als Spielen sprechen, dann ist hier […] gemeint […]: das Sein spielen, erspielen, in diesem Spiele erbilden» (GA

 XXVII , p. 315). 298   «Welt ist das Ganze der Seinsverfassung, nicht nur der Natur und des geschichtlichen Miteinander und des eigenen Selbstseins und derGebrauchsdinge, sondern die spezifische Ganzheit der Seinsmannigfaltigkeit, die in Mitsein mit Anderen, Sein bei… und Selbstsein einheitlichverstanden ist. […] Was bestimmt werden muß, ist die spezifische Ganzheit des ganzen Seins, das je im Dasein verstanden ist, die innere

Organisation dieser Seinsganzheit, die wir nicht von theoretisch ausgebildeten Ontologien her als eine Aufschichtung und ein Nebeneinander von Regionen fassen dürfen» (GA XXVII , p. 309).299  « Das In-der-Welt-sein des Daseins, seine Transzendenz, bekundet sich uns als Halt-losigkeit » (GA XXVII , p. 337).300  « Aufs Spiel gesetzt sein, d. h. gesetzt sein, ist in sich selbst Halt-losigkeit, d. h. das Existieren des Daseins muß sich Halt beschaffen» (GA XXVII ,

 p. 337).

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L’affrancamento della trascendenza, cioè del mondo, dal ruolo (che l’una e l’altra determinazione rivestono nei Metaphysische Anfangsgründe der Logik e in Vom Wesen des Grundes) di mere funzioni dell’articolazione esistenzialenelle lezioni del semestre invernale 1928-29 avviene, oltre che attraverso una ridefinizione della struttura dellatrascendenza, in quanto reinterpretata per mezzo del concetto di gioco, anche attraverso il suo «ancoraggio» all’ente. Latrascendenza è, sostiene Heidegger, nella «condizione di abbandono» ( Preisgegebenheit ) all’ente: «trascendere l’ente,cioè essere nel mondo, significa essere abbandonato all’ente. L’essere abbandonato all’ente costituisce la condizione di

 possibilità per trascenderlo e, dunque, per un rapporto con esso».

301

 Più precisamente: chi abbandona che cosa? Il mondo, afferma Heidegger, abbandona l’esserci, lasciandolo allanecessità della contesa con l’ente che esso non è, e con esso medesimo. Immediatamente di seguito, si insiste sul fattoche l’esserci è abbandonato all’ente non per il fatto di essere sussistente, bensì proprio in forza del proprio statuto diesistente: la condizione di abbandono è, infatti, una determinazione intrinseca all’essere nel mondo in quanto tale.302  Queste affermazioni per un verso riprendono, radicalizzandola, la tesi di Vom Wesen des Grundes secondo la quale, nelmovimento del trascendere, è l’esserci stesso, in quanto ente, a essere superato (cfr.  supra , cap. 3.2). Per altro verso,tuttavia, la tesi dello scritto del 1929 risulta, in queste lezioni, profondamente revisionata: sottolineando, in questocontesto, il carattere esistenziale della «condizione di abbandono», in quanto determinazione intrinseca all’essere nelmondo, Heidegger nel contempo sottolinea il carattere di ente dell’esserci, mettendo l’accento sul legame che vincola lal’istanza del trascendere alla condizione di ente. Significativamente, nelle righe di poco seguenti a quelle citate (nel

 paragrafo dove la «condizione di abbandono» viene ricondotta alla determinazione, decisiva in Sein und Zeit , diGeworfenheit ), Heidegger ricorda che l’esserci è «corporeità, corpo e vita», che esso non soltanto «ha» natura, in quanto

oggetto di una considerazione teorica, o come un «conglomerato» di materia, corpo e anima, ma che in quanto esistentel’esserci «è» natura; Heidegger ricorda, cioè, che proprio in quanto trascendente  l’esistente è ente, cioè natura, da essa pervaso e dominato.303  

A differenza, dunque, di Vom Wesen des Grundes, dove il superamento dell’ente da parte dell’esserci in quantotrascendente è contrapposto al suo stesso carattere di ente (che viene, infatti, parimenti superato), nelle lezioni del semestre invernale 1928-29 è proprio il carattere di ente (in quanto esso si manifesta nella specifica modalitàdell’essere nel mondo) dell’esserci a esigere e a determinare il proprio superamento. In altri termini: laradicalizzazione della prospettiva di Vom Wesen des Grundes e l’accento posto in Einlei tung in die Philosophie, rispettoallo scritto del 1929, sull’ineliminabilità del carattere di ente dell’esserci (è questo il senso dell’insistenza sul caratterespecificamente esistenziale della determinazione di  Preisgegebenheit , cioè della condizione di abbandono dell’ente)fanno sì che, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, il «soggetto» del trascendere non sia l’esserci che superal’ente (e sé medesimo, in quanto ente), bensì il mondo, il quale, superando l’esserci, lo abbandona all’ente.

Sulla strada dell’“ancoraggio” all’ente dell’istanza del trascendere, Heidegger si spinge fino a riconoscere,

all’ente superato, il dominio del superare, in una dinamica (il «gioco del mondo») che, rimuovendo qualsiasi sostegno preesistente ed esterno ad essa, si delinea come «senza sostegno»: «il superamento, dominato dall’ente, dell’entemedesimo nell’unitàdella dispersione, è senza sostegno».304  Il sostegno al quale la trascendenza è assegnata è, infatti, ilgioco medesimo, cioè il mondo, concepito come l’essere dell’esserci. Questo «sostegno», che non deve in alcun modoessere concepito come un ente, è l’accadere del gioco del mondo, in quanto complesso di possibilità nelle quali, nellavisione del mondo, l’esserci si mantiene: «nella trascendenza si trova un essere assegnato al sostegno, ma non nel sensodi una proprietà oggettiva, bensì per il fatto che l’essere dell’esserci è in sé, nel suo accadere, un mantenersi nelle

 possibilità, nelle quali esso deve poter cogliere, ogni volta, sostegno fattivo».305  Per mezzo di un intervento sia sulla configurazione strutturale (attuato attraverso la sua caratterizzazione come

«gioco») sia sulla localizzazione (attuato attraverso l’accento posto sulla sua «condizione di abbandono» all’ente) dellatrascendenza, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29 emergono elementi che non soltanto affrancano (come ineffetti, nel suo confronto critico con le analisi kantiane, Heidegger dichiara di voler fare) il fenomeno del mondo dallasua assegnazione all’àmbito esistentivo, ma anche dal ruolo (che il fenomeno del mondo riveste negli scritti precedenti,

da Sein und Zeit a Vom Wesen des Grundes) di mera funzione dell’articolazione esistenziale: il carattere di gioco senzasostegno del mondo, ovvero del trascendere, e l’oggettivazione del medesimo, nel suo essere vincolato all’ente nelquale di necessità si esplica, aprono la strada a una messa in primo piano del fenomeno del mondo medesimo, qualeunico e autentico problema muovendo dal quale è possibile avviare l’analisi ontologica.

Si può dunque affermare che le analisi di  Einleitung in die Philosophie  assumano il fenomeno del mondo,anziché la struttura ontologica dell’esistente, quale quadro di riferimento dal quale muovere? Non pare sia lecito

301  «Transzendieren das Seiende, d. h. In-der-Welt-sein heißt, an das Seiende preisgegeben sein. Nur die im Umwillen seiner selbst gegründete Preisgegebenheit des Daseins an das Seiende, auch an es selbst, ermöglicht eine Auseinandersetzung und eine Verhaltung zum Seienden» (GA XXVII , p. 326).302  « Die Welt gibt das Dasein preis, setzt es der notwendigkeit der Auseinandersetzung mit dem Seienden aus, das es nicht ist, und mit ihm selbst. Das

 Dasein ist preisgegeben an das Seiende, nicht erst dadurch, daß solches vorhanden ist, sondern Preigegebenheit ist eine innere Bestimmung des In-der-Welt-sein als solchen» (GA XXVII , p. 328).303  « Das Dasein ist Körper und Leib und Leben; es hat Natur nicht nur und erst als Gegenstand der Betrachtung, sondern es ist Natur; aber eben

nicht so, daß es ein Konglomerat von Materie, Leib und Seele darstellt; es ist Natur qua transzendierendes Seiendes, Dasein, von ihr durchwaltet unddurchstimmt » (GA XXVII , p. 328).304  « Das vom Seienden selbst durchwaltete Übersteigen des Seienden, und zwar in der Einheit der Streuung, ist halt- los» (GA XXVII , p. 342). 305  «[…] es liegt in der Transzendenz eine Angewiesenheit auf Halt, doch nicht im Sinne einer objektiven Eigenschaft, sondern das Sein des Daseinsin seinem Geschehen ist in sich ein Sichhineinhalten in Möglichkeiten, in denen es je faktisch Halt soll nehmen können» (GA XXVII , p. 342).

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sostenere questa tesi. Nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, infatti, Heidegger afferma recisamente che il gioco èeffettivamente l’elemento essenziale del mondo, il quale tuttavia si dà («si fa mondo»: «weltet »), in quanto mondo,soltanto nell’«essere nel mondo», e come tale.306  Questa limitazione, imposta da Heidegger all’esplicarsi del fenomenodel mondo, appare decisiva, in quanto fotografa con precisione lo stadio della sua riflessione nelle lezioni del semestreinvernale 1928-29. Senza dubbio, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, in forza della sua reinterpretazioneattraverso i concetti di «gioco» e «condizione di abbandono» all’ente, il fenomeno della trascendenza, ovvero quello del

mondo, valica i confini del ruolo, attribuitogli negli scritti precedenti, di mera articolazione della struttura esistenziale;quest’ultima risulta, in questo modo, ridefinita in ordine alla sua «centralità», della quale essa gode nella prospettivadell’ontologia fondamentale. Nondimeno, il processo di «deesistenzializzazione» della trascendenza non pone ancoracapo, in queste lezioni, a una prospettiva cosmologica compiuta: il fenomeno del mondo ha luogo soltanto in quantoessere nel mondo, cioè nel gioco delle esistenze e, soprattutto, a partire da esse. La dinamica di questo gioco senzadubbio trascende le esistenze e, con ciò, priva ciascuna di esse del suo ruolo di centralità nei confronti delle altre, edell’ente intramondano; tuttavia l’esistente, cioè l’essere nel mondo, costituisce pur sempre l’unico àmbito esplicativodel fenomeno del mondo, nonché il suo presupposto. Perché il mondo assurga a fenomeno originariamente primariodell’indagine, occorre che il suo concetto venga associato, in modo univoco e senza residui ontologici al di fuori di taleidentificazione, con quello di «ente in totalità»; questo passo, appena intrapreso nelle lezioni del semestre invernale1928-29, viene esplicitato in tutte le sue conseguenze soltanto in quelle del 1929-30.

4.3. Il prevalere della caratterizzazione esistenziale del fenomeno del mondo: la figura dell’«atteggiamento» e lafondazione ontologica dell’istanza cosmologica.

Intendiamo ora ripercorrere le modalità attraverso le quali, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, il fenomeno delmondo risulta analizzato muovendo dal suo inerire all’àmbito esistenziale; intendiamo, cioè, mettere ora in luce quegliaspetti in virtù dei quali, in queste lezioni, il fenomeno del mondo rimane consegnato, con la conseguente impossibilitàdi tematizzarlo in quanto tale, al ruolo di funzione della struttura esistenziale. A tal fine, si considererà, anzitutto, la

 problematica (indagando la quale, in  Einleitung in die Philosophie, Heidegger affronta la questione del mondo)relativa alla «visione del mondo» (§ 4.3.1). In secondo luogo, verrà messo a fuoco l’emergere, all’interno di taleimpostazione, della questione ontologica, e come ciò si connetta al fatto che, in queste lezioni, l’esserci resti perHeidegger (nonostante i rilevanti mutamenti intercorsi rispetto al progetto di «ontologia fondamentale» presentato inSein und Zeit ) il punto focale dell’indagine, nonché l’unico àmbito all’interno del quale riscontrare il fenomeno delmondo (§ 4.3.2).

4.3.1. La trascendenza come «visione del mondo» e le sue due «possibilità fondamentali»: «messa al sicuro» e«atteggiamento». «Atteggiamento»: l’«irruzione» nel mondo, concepito come «ente in totalità».

La seconda parte di  Einleitung in die Philosophie  sviluppa un’analisi della problematica legata alla «visione delmondo» (Weltanschauung ), motivata con la necessità di chiarire il suo rapporto con la filosofia, decisivo perun’introduzione a quest’ultima. Attraverso l’esame della «visione del mondo», dunque, nelle lezioni del semestreinvernale 1928-29 Heidegger articola quella comprensione della trascendenza che sottolinea, nella condizione diabbandono di quest’ultima all’ente, la necessità di svincolarla dal ruolo di mera articolazione dell’esistente, e diconsiderare, invece, quest’ultimo come determinabile a partire dal suo legame con l’ente in totalità, in virtù della suaappartenenza a esso. La «visione del mondo» consiste, afferma Heidegger, nel «tenersi nell’essere nel mondo»;307  questa condizione appartiene necessariamente alla trascendenza, in quanto essa è determinata essenzialmente attraverso

la condizione di «mancanza di sostegno».308

  La visione del mondo indica un «avere mondo» e, in quanto tale,rappresenta l’essere nel mondo compreso fattivamente; la determinazione della «visione del mondo» rappresenta cioè,nelle lezioni del semestre 1928-1929, la fenomenizzazione della struttura esistenziale dell’«essere nel mondo», percome quest’ultima è presentata in Sein und Zeit .309  La «visione del mondo» designa inoltre la coscienza, da partedell’esserci, delle proprie posizioni fondamentali nei confronti del tutto dell’ente; tale coscienza è, allo stesso tempo,determinata e determinante in modo immediato nei confronti della posizione storica dell’esserci.310   La «visione delmondo» presenta, dichiara Heidegger, un duplice aspetto o, meglio, due «possibilità fondamentali»: la «messa alsicuro» ( Bergung ) e l’«atteggiamento» ( Haltung ) (§§ 41-42). Stante il carattere storico ( geschichtlich) della visione delmondo, in quanto essa è radicata nell’accadere (Geschehen) dell’esserci,311  anche il passaggio dalla prima alla secondadelle due «possibilità fondamentali» (corrispondenti l’una al pensiero mitico, l’altra alla riflessione filosofica e

306  «[…] Spiel ist das Wesentliche dessen, was wir Welt nennen, die als Welt nur weltet im und als In-der-Welt-sein » (GA XXVII , p. 336).307  « Das Sichhalten im In-der-Welt-sein ist das, was wir mit Weltanschauung meinen» (GA XXVII , p. 337).308

 « Dieses Sichhal ten gehört notwendig zur Transzendenz, weil sie wesenhaft durch Halt- losigkeit bestimmt ist » (GA XXVII , p. 341).309  «Welt-anschauung als Welt-haben ist das faktisch je so oder so ergriffene In-der-Welt-sein» (GA XXVII , p. 344).310  «[…] Besinnung auf die Grundstellungen des Daseins zum Ganzen des Seienden, eine Besinnung aber, die sich unmittelbar aus der jeweiligen

 geschichtlichen Lage des Daseins bestimmt und in sie hinein sich auswirkt » (GA XXVII , p. 8).311  GA XXVII , p. 356.

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scientifica) è storico. L’elemento discriminante tra le due forme della visione del mondo consiste nel diversocaratterizzarsi, nell’una e nell’altra, del «sostegno». Nella «messa al sicuro» il sostegno viene individuato nell’ente, alquale essa si attiene e nel quale essa viene, appunto, «messa al sicuro»; nell’«atteggiamento», il sostegno si delineanell’atteggiarsi stesso.312   Nella forma della «messa al sicuro», la visione del mondo pone l’esserci nel rapporto conl’ente in totalità, che si delinea come «strapotere» (Übermächtigkeit ). L’«essere nel mondo» si trova, in questo modo, in

 balia dello «strapotere» dell’ente, rispetto al quale l’esistente si trova nelle condizioni di «essere portato» e di «essere

minacciato».

313

  In questo rapporto, spiega Heidegger, l’essere appare come inarticolato, ma in questa indeterminatezzal’ente è tanto più potente e uniformemente pervasivo.314   Quella che Heidegger intende qui presentare è unafenomenologia (nel senso specificamente heideggeriano del termine) del pensiero mitico, tesa metterne a nudo leassunzioni ontologiche irriflesse, relative al rapporto fra l’esistente e la totalità dell’ente al quale esso si relaziona. Inquesta prospettiva, questa totalità è, al contempo, fonte di terrore da un lato, sostegno e datrice di sicurezza dall’altro.

 Nella forma della «messa al sicuro», la visione del mondo trova il sostegno proprio nello strapotere dell’ente; perquesto, il terrore di fronte a esso si accompagna, rileva Heidegger, alla devozione e al servizio nei suoi confronti. Nelrapporto con l’ente che si verifica nel pensiero mitico, nell’«attenersi a esso», la «presa di sostegno» consiste, concludeHeidegger, nel collocare se stessi di fronte e in posizione subordinata rispetto allo strapotere dell’ente.315  

Diversamente accade, come si è detto, nella forma dell’«atteggiamento»: qui la «visione del mondo» trovasostegno non nell’ente, bensì nel proprio stesso attenersi a esso. Quando si passa dalla forma della «messa al sicuro» aquella dell’«atteggiamento», nella «visione del mondo» il «peso della trascendenza», afferma Heidegger, si spostadall’essere dominato alla protensione esistenziale dell’«in vista di» (Umwillen).316   In altri termini: nella «visione del

mondo» filosofico – scientifica, il «sostegno» della visione medesima, ovvero del rapporto all’ente da partedell’esistente, non risulta più dato in carico, da quest’ultimo, all’ente, bensì al proprio stesso rapportarsi a esso. Nellamodalità dell’«atteggiamento», dunque, la «visione del mondo» trova il proprio sostegno non nell’ente, bensì nelrapportarsi medesimo, cioè nell’esserci. L’«atteggiamento», prosegue Heidegger, esprime in questo modo il trattoessenziale, nell’esserci, della funzione del sostenere. L’esserci, quando venga determinato attraverso l’atteggiamento,consiste in un tenersi all’interno dello spettro di possibilità messe a disposizione dei propri comportamenti.317  Nellarelazione al mondo propria del pensiero filosofico-scientifico, in altri termini, l’esserci non ha altri criteri né finalità aldi fuori di quelli che esso medesimo si pone.

Ciò che va tuttavia sottolineato è il fatto che, secondo Heidegger, qui non è l’esserci, attraverso le proprie possibilità, a determinare il rapporto al mondo, bensì l’inverso. È cioè la visione del mo ndo, nella sua modalitàdell’atteggiamento, a formare l’esserci, e non viceversa. Per questo, Heidegger sottolinea anche che il primatodell’esserci (conferitogli dal fatto che l’atteggiamento appare come determinato attraverso l’esistere attivo nell’essere

 posto su se stesso dell’esistenza) non implica affatto la scomparsa del carattere di «gettatezza» (Geworfenheit ), ovvero

della «condizione di abbandono» ( Preisgegebenheit ), in forza delle quali, come si è visto, la dinamica dellatrascendenza viene consegnata all’ente. Nell’atteggiamento, il carattere di gettatezza dell’esserci viene, affermaHeidegger, «cogestito» con l’ente, e l’esserci medesimo risulta costituito nella «contesa» con quest’ultimo.318  

 Nel passaggio dalla modalità della messa al sicuro a quella dell’atteggiamento, rileva Heidegger, mutal’interpretazione della verità legata alla visione del mondo. Nella messa al sicuro, l’essere non nascosto dell’ente siconfigura come una mancanza di sicurezza in esso, cioè nella «cura della messa al sicuro»; 319  l’ente che si rivela, e alquale ci si affida, nel pensiero mitico mantiene, presentandosi come un totalità, uno strapotere minaccioso.

 Nell’«atteggiamento», cioè nel pensiero filosofico-scientifico, il tutto dell’ente non scompare, ma muta la forma della propria manifestazione: esso si mostra, nella contesa con l’esserci, come ciò che è determinato pragmaticamente, e chedeve essere amministrato, signoreggiato, manovrato.320   Il tratto caratteristico dell’interpretazione della verità nellaforma dell’«atteggiamento» (l’interpretazione della verità che è propria, cioè, della conoscenza scientifica) consiste,

312  « Halt als Bergung hat den Halt primär in dem, woran sie sich hält, im Seienden, darin sie geborgen ist; Halt als Haltung hat den Halt primär imSichhalten selbst » (GA XXVII , p. 366).313  « Das Seiende im Ganzen hat den Charakter der Übermächtigkeit. Das Sein alles Seienden wird in diesem Sinne verstanden, das In-der-Welt-

 seinals dieses Ausgeliefertsein an die Übermacht des Seienden, mit den Grundweisen des Getragenseins von ihm und Bedrohtseins durch es» (GA XXVII , p. 358).314  « Das Sein ist unartikuliert, aber in dieser Unbestimmtheit ist das Seiende um so mächtiger und einheitlich durchdringender » (GA XXVII , p. 359).315  « Der Halt wird gefunden im übermächtigen Seienden selbst; es ist das Halt und Geborgenheit Gebende. Das Sichhalten als Haltnehmen istdemnach ein schutzbedürftiges Sichstellen unter die Übermacht des Seienden; dabei geht der Schrecken vor diesem Seienden in eins mit der

 Besänftigung, Verehrung, dem Dienst und dem Verhältnis zu ihm » (GA XXVII , p. 360).316  « In der Weltanschauung als Haltung verlegt sich das Gewicht der Transzendenz vom Durchwaltetsein in das Umwillen» (GA XXVII , p. 372).317  « Haltung als die zweite Grundart der Weltanschauung drückt aus das Wesentliche des Haltens im Dasein. Das durch Haltung bestimmte Daseinist ein Sichineinhalten in vorgehaltene Möglichkeiten seiner Verhaltungen» (GA XXVII , p. 368).318  «[…] diese zweite Grundart des Daseins [la Haltung ] durch und durch von handelnden Exis tieren im Auf-sich-selbst-gestelltsein der Existenzbestimmt ist, was aber nicht besagt, daß die Geworfenheit des Daseinsverschwindet – sie kann gar es nicht -, sondern in der Haltung mitverwaltetwird. In solcher Haltung gewinnt das eigene Verhalten des Daseins einen Vorrang, es legt sich aber in das Verhalten zum Seienden.[…] Das Daseinin dieser Grundweise der Haltung wird Auseinandersetzung mit dem Seienden» (GA XXVII , p. 368).319

 « Die Unverborgenhei t des Seienden is t im spezifischen Sinne orientiert auf eine Ungeborgenheit in ihm bzw. in der Sorge der Bergung » (GA XXVII , p. 362).320  « Das Ganze des Seienden, das in der Bergung offenbar war – in ihrer Weise – ist nicht verschwunden, wohl aber hat sich der Charakter derWahrheit gewandelt. […] Das schon offenbare Seiende zeigt sich jetzt in dem und für das haltungsbestimmte, d. h. sich auseinandersetzende Daseinals das, was bewältigt, beherrscht, gelenkt werden soll » (GA XXVII , p. 368).

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dunque, nella contesa fra l’esserci e l’ente, dove quest’ultimo risulta costituito dal primo nella forma della «legalità»; 321  in questa interpretazione della verità, l’ente risulta perciò costituito secondo le leggi che la trascendenza, in quantovisione del mondo, nel riferirsi al proprio stesso rapportarsi gli dà.

Per comprendere il rapporto che, all’epoca di  Einleitung in die Philosophie, lega la determinazionedell’atteggiamento a quella del mondo, e le trasformazioni che investono quest’ultima, è opportuno il riferimento a Wasist Metaphysik?, il testo della pubblica prolusione tenuta il 24 luglio del 1929 nell’ Aula dell’Università di Friburgo. La

 prolusione riprende il problema-guida del testo delle lezioni del semestre invernale 1928-29, che consiste nel tentativodi differenziare, sviluppando una «questione metafisica determinata», la conoscenza filosofica da quella scientifica; inquesta prolusione, viene anzitutto messo a fuoco il domandare scientifico. L’esistenza scientifica si caratterizza,sostiene Heidegger, per una forza e una semplicità che, nondimeno, si articolano in tre aspetti: «riferimento al mondo»,«attegggiamento» e «irruzione».322  Più precisamente, il «riferimento al mondo, da parte dell’esserci, è «retto e guidatoda un atteggiamento liberamente scelto» da esso medesimo.323  Che cos’è tale «atteggiamento liberamente scelto» checaratterizza l’esistenza scientifica e non appartiene, dunque, a quella prescientifica? È quella modalità dell’esistenzascientifica che la relaziona al mondo caratterizzandolo come totalità dell’ente e produce in esso un’«irruzione»; vatuttavia sottolineato che è soltanto in virtù di quest’ultima che l’ente può configurarsi come una totalità, cioè comemondo, il quale, dunque, non si dà prima dell’«irruzione».324  Detto altrimenti: è l’«atteggiamento», cioè il rapporto almondo da parte dell’esserci, a costituire il mondo medesimo, attraverso un’«irruzione» in esso.

 Nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, in Was ist Metaphysik? e, in misura ancora maggiore, in VomWesen des Grundes, la figura concettuale dell’atteggiamento presenta, dunque, il mondo come una determinazione

esistenziale.325

  È necessario, certo, sottolineare (a ulteriore riprova del processo di «deesistenzializzazione», sul qualeabbiamo insistito nel paragrafo precedente, che il fenomeno del mondo subisce in queste lezioni) il fatto che talecaratterizzazione differisca profondamente da quella in gioco nell’analitica esistenziale di Sein und Zeit : il mondo non è

 più, genericamente, «ciò in cui l’esserci vive», bensì , più articolatamente, quella totalità che, per quanto manifestantesisoltanto nell’atteggiamento dell’esserci, pure gli si contrappone, e nella quale l’esistenza «irrompe». È anchesignificativo il fatto che lo stato d’animo dell’angoscia, che nello Hauptbuch  era legato al fenomeno del mondo (ovvero,in virtù della prospettiva tipica dell’ontologia fondamentale, alla struttura dell’essere nel mondo), nella prolusione del1929 appare riferito, in via immediata, all’ente in totalità e al nulla, cioè all’essere: nell’angoscia, l’ente in totalitàdilegua, e si fa manifesto il nulla.326  Resta, tuttavia, il fatto che la determinazione dell’«atteggiamento», e l’«irruzione»attraverso la quale essa si esplica, costituiscono, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29 e in Was ist Metaphysik?,la modalità attraverso la quale si istituisce il rapporto al mondo da parte dell’esserci, si assegna il fenomeno del mondoall’àmbito esistenziale e si inibisce, così , la possibilità di trematizzarlo in quanto tale.

4.3.2. L’emergere della domanda ontologica all’interno della forma dell’«atteggiamento» come motivazione del suo primato: la questione dell’essere come questione del fondamento.

Esaminiamo ora motivazioni e conseguenze del primato attribuito, in  Einleitung in die Philosophie, alla modalitàdell’atteggiamento, ai fini della determinazione della questione dell’essenza della visione del mondo e, con essa, dellaquestione dell’essenza della filosofia. «Con l’accadere e lo sviluppo della visione del mondo nella formadell’atteggiamento», afferma Heidegger, «accade la filosofia. La filosofia è, dunque, lo sviluppo della visione delmondo come atteggiamento. Atteggiamento [è] la visione del mondo filosofica».327  Più precisamente: la visione delmondo nella modalità dell’atteggiamento è «presupposto», afferma Heidegger, della filosofia, nel senso che, perché sidia il filosofare, l’essere nel mondo deve accadere come atteggiamento.328   A conferma del primato attribuito, nei

321  « Die Verfassung des Seienden in dieser Hinsicht bezeichnen wir als Gesetzlichkeit » (GA XXVII , p. 369).322  « Dieses Dreifache - Weltbezug, Haltung, Einbruch - bringt in seiner wurzelhaften Einheit eine befeuernde einfachheit und Schärfe des Da-Seins indie wissenschaftliche Existenz» (M. Heidegger, Was ist Metaphysik?, in M. Heidegger, Wegmarken, cit., p. 105 [trad. it. di F. Volpi, Che cos’èmetafisica, in M. Heidegger, Segnavia , cit., p. 61].323  « Dieser ausgezeichnete Weltbezug zum Seienden selbst ist getragen und geführt von einer frei gewählten Haltung der menschlichen Existenz»(WiM?, p. 104 [60]).324  « Der Mensch - ein Seiendes unter anderem - “treibt Wissenschaft”. In diesem treiben geschieht nichts Geringeres als den Einbruch einesSeienden, genannt Mensch, in das Ganze des Seienden, so zwar, daß in und durch diesen Einbruch das Seiende in dem, was und wie es ist, aufbricht.

 Der aufbrechende Einbruch verhilft in seiner Weise dem Seienden allererst zu ihm selbst » (WiM?, p. 105 [61]). Si badi: soltanto l’esistenza scientificaha, secondo Heidegger, un rapporto con l’ente in totalità definibile come «riferimento al mondo» ( Weltbezug ), perché soltanto essa ha un«atteggiamento», cioè dà luogo a un’«irruzione». Su questo punto insistono le lezioni del semestre invernale 1929-30, dove Heidegger giunge adifferenziare il «rapportarsi all’ente» ( sich verhalten zu ), che produce l’«atteggiamento» ( Haltung ), proprio dell’uomo, dal «comportarsi» ( sichbenehmen), proprio dell’animale (cfr. infra, cap. 6.1.3). Seguendo le indicazioni della  Einleitung di Sein und Zeit , nelle lezioni del semestre invernale1928-29 la conoscenza scientifica non viene condannata, ma se ne ricerca la fondazione.325  In Was ist Metaphysik? viene messo a tema non l’ente in totalità, cioè il mondo, bensì il rapporto dell’esserci a esso: in una prospettiva che è,

ancora, quella dell’ontologia fondamentale (particolarmente nella versione del Kantbuch  del 1929), la questione metafisica sull’essere consiste inquella sull’essere dell’interrogante.326  WiM?, p. 112 [67-68].327  GA XXVII , p. 376.328  GA XXVII , p. 379.

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confronti della messa al sicuro, all’atteggiamento, c’è poi il fatto che la filosofia non è una visione del mondo fra altre, bensì la più propria.329  

A che cosa è dovuto il primato dell’atteggiamento, cioè il fatto che la filosofia coincida con esso? La rispostasta nel fatto che è sul terreno dell’atteggiamento che sorge il problema dell’essere. L’elemento decisivo è rappresentatodal rapporto di «contesa» (che costituisce il tratto definitorio dell’atteggiamento) fra l’esserci e l’ente in totalità. Inquesto rapporto, dove l’ente in totalità deve essere padroneggiato, quest’ultimo viene messo in questione riguardo a che

cosa esso sia. In questa domanda sull’ente in quanto tale, «sboccia», afferma Heidegger, il problema dell’essere, ovverola filosofia: essa consiste infatti in primo luogo, ricorda Heidegger, nella questione sull’essere, che è questione sull’entein totalità che è, nel contempo, questione sull’ente in quanto tale.330   Il problema dell’essere, ovvero il filosofare, sirisveglia perciò necessariamente nell’atteggiamento, in quanto quest’ultimo è contesa con l’ente.331  

Riassumendo i risultati delle analisi fin qui condotte, Heidegger afferma che il problema dell’essere costituisceil «contenuto» ( Inhalt ) della filosofia, laddove la visione del mondo come atteggiamento ne rappresenta la «forma»( Form).332  Tuttavia, aggiunge Heidegger, il problema dell’essere non esaurisce la totalità della problematica filosofica;o, più precisamente, tale totalità non è stata, con le analisi fin qui esposte, ancora portata alla luce. Per farlo, spiegaHeidegger, occorre caratterizzare la trascendenza, mettendo a fuoco come essa faccia sorgere il problema dell’essere;occorre cioè, egli sostiene, sviluppare l’interpretazione del fenomeno del mondo.333   Per questo lo scopo dell’ultimocapitolo di  Einleitung in die Philosophie consiste nell’analizzare il modo in cui il problema dell’essere si sviluppa inquello del mondo e costituisce, con esso, un «tutto unico».334  

La Seinsfrage, afferma Heidegger, rappresenta una Grundfrage, e ciò in un duplice senso: anzitutto perché,

quando chiediamo dell’essere, chiediamo del fondamento e, in secondo luogo, perché chiedere dell’essere significa, eglisostiene, «fondare». Heidegger si propone di richiamare la questione dell’essenza del fondamento, e di analizzare la suaconnessione con la trascendenza e con l’essere nel mondo in quanto tale.335  La questione dell’essenza del fondamentoriporta infatti, secondo Heidegger, al problema del mondo, e occorre mostrare, egli sostiene, in quale forma essenzialedell’essere nel mondo la trascendenza si configuri come un fondare.336  Heidegger ripercorre qui ellitticamente le analisigià esposte nei  Metaphysische Anfangsgründe der Logik   e in Vom Wesen des Grundes: la Seinsfrage, in quantoGrundfrage, consiste nel problema della differenza (ontologica) fra l’essere e l’ente, problema che si traduce in quellorelativo al senso in cui l’essere è il nulla dell’ente,337  e al fatto che, perché si dia un tale nulla, deve darsi il mondo.338  Il

 problema del mondo «concentra in sé», afferma Heidegger, il problema del fondamento come problema della libertà, il problema del nulla, quello dell’irrompere della trascendenza nell’ente, quello dell’ente in totalità affrontato a partire dal punto di vista dell’analisi delle sue forze che lo pervadono, che non vanno concepite come regioni ontologichesussistenti l’una accanto all’altra. Il problema del mondo, sostiene qui Heidegger, concerne il problema dell’essere dellanatura, intendendo quest’ultima non come una regione dell’ente contrapposta a un’altra, quella della storia, bensì come

il «potere fondamentale» dell’ente: esso consiste nel suo «regnare» (walten), che si fenomenizza nell’accadere dellastoria e rappresenta, in questo modo, il fondamento dell’unità di natura e storia, in quanto concepite come ambitionticamente e ontologicamente contrapposti.339  

In questi passi conclusivi delle lezioni del semestre invernale 1928-29, l’istanza del mondo viene da Heideggerdelineata in modo simile a quello dei Grundbegriffe der Metaphysik , il testo del corso di lezione del 1929-30, dove ilconcetto di mondo si coniuga con quello di ente in totalità. Ben al di là del ruolo di mera articolazione della strutturaesistenziale, in questi passi, così come nella trattazione dei Grundbegriffe nel suo complesso, il fenomeno del mondoappare come l’istanza fondativa sia delle partizioni della totalità dell’ente, sia delle fenomenizzazioni di quest’ultima,fra le quali l’esistenza. In questo senso, Heidegger afferma che il problema del mondo costituisce il necessario sviluppodi quello dell’essere. Quest’ultimo necessita, infatti, di un’elaborazione e fondazione concrete della sua possibilità; il

 problema del mondo, del resto, va inquadrato all’interno dell’orizzonte di una «ricerca fondamentale»

329  GA XXVII , p. 380. Si veda, al proposito, l’analisi dedicata al rapporto tra filosofia e visione del mondo nelle lezioni del semestre estivo del 1927:

GA XXIV , § 2.330  GA XXVII , p. 389. Cfr. supra , cap. 1.2.2.331  « Die Haltung, d ie immer Auseinandersetzung mit dem Seienden im Ganzen ist, muß in solcher Auseinandersetzung des Ganzen des Seienden anihm selbst irgend Herr werden. Das Seiende im Ganzen an ihm selbst wird zur Frage in dem, was es sei. Mit dieser Frage nach dem Seienden alsSeienden bricht ausdrücklich das Seinsproblem auf. In der Weltanschauung als Haltung, d. h. in der Auseinandersetzung mit dem Seienden, liegtnotwendig ein Wachwerden des Seinsproblems, d. h. dessen, was wir Philosophieren nannten »  (GA XXVII , p. 382).332  GA XXVII , p. 390.333  GA XXVII , p. 390.334  «[…] wie sich das Seinsproblem selbst zum Weltproblem entrollt und mit diesem ein Ganzes ist » (GA XXVII , p. 391).335  «Wenn wir dem Sein selbst nachfragen, fragen wir nach dem Grund. Dem Sein nachfragen heißt “gründen”. […] Hier aber handelt es sich um dasWesen des Grundes, um die Frage, wie so etwas wie Grund mit der Transzendenz zusammenhängt und inwiefern das In der Welt sein als solches aufGründe bezogen ist » (GA XXVII , p. 392).336  GA XXVII , p. 393.337  GA XXVII , p. 392.338  GA XXVII , p. 393.339  « In eins mit dieser Frage nach dem Seienden und seinem Grund stellt sich die Frage nach dem Grundmachen des Seienden, nach dem Walten der

 Natur im Geschehen der Geschichte. Hier handelt es sich nicht je um die Region Natur und die region Geschichte im spezifisch ontologischen Sinne, sondern um das Sein der Natur im Geschehen der Geschichte, um den inneren Zusammenhang der Grundmächte des Seins selbst. Wie ist so etwaswie natur im Ganzen des Seienden, das zugleich geschichtlich ist? […] All diese Fragen, das Problem des Grundes und d. h. der Freiheit, das

 Problem des Nichts, des Einbruchs der Transzendenz in das Seiende, das Seiende im Ganzen nach seinen wesentlichen, je das Ganze durchwaltenden Mächten (nicht Regionen), konzentrieren sich in dem, was wir das Wel tproblem nennen» (GA XXVII , pp. 393-394).

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( Fundamentalbetrachtung ) del problema dell’essere. Il problema dell’essere si sviluppa, dunque, all’interno di quellodel mondo, che trova nel primo il suo fondamento; l’uno e l’altro costituiscono, nella loro unità, la problematica dellafilosofia.340  

 Nonostante questi elementi che conferiscono, al fenomeno del mondo, una caratterizzazione che oltrepassaquella di articolazione della struttura esistenziale, è tuttavia proprio questo il ruolo al quale, in ultima analisi, le lezionidel semestre invernale 1928-29 riconducono il fenomeno del mondo. Qual è, infatti, il fondamento sulla base del quale

Heidegger individua nell’atteggiamento, anziché nella messa al sicuro, il terreno di nascita della quaestio phylosophica (che è «atteggiamento fondamentale per eccellenza»),341  cioè dell’unità originaria di problema dell’essere e problemadel mondo? È la «priorità» dell’esserci, individuata da Heidegger nella modalità della visione del mondo definita comeatteggiamento. Tale priorità deriva dal fatto che il tratto definitorio dell’atteggiamento è costituito dalla contesa chel’esserci intrattiene con l’ente, il quale al di fuori di tale contesa, stando al testo di queste lezioni, non è nulla.342  La

 priorità che l’esserci riceve nell’atteggiamento è generata e comprovata, aggiunge Heidegger, dal fatto che questamodalità della visione del mondo realizza la «riunione» delle sue tre forme di «degenerazione» (premura, gesto,interiorità; tre varianti del soggettivismo),343  altrimenti disperse, «nell’originarietà dell’esser-ci nell’uomo».344  Benché ilmondo venga concepito come ente in totalità, nel rapporto di contesa che, nell’atteggiamento, l’ente esistente intrattienecon il mondo si delinea una contrapposizione, dove il ruolo prioritario va conferito all’esistente medesimo: come si èvisto, tanto nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, quanto in Was ist Metaphysik? la caratteristica essenziale delrapporto al mondo è costituita dall’irruzione che l’esserci compie «in esso». Ben diversamente, nelle lezioni delsemestre invernale 1929-30 la figura dello  Einbruch - che si sovrappone, qui, a quella della «differenza ontologica» - è

opera non più dell’esserci, bensì del «progetto di mondo» (nel duplice senso del genitivo) e accade non nell’ente intotalità, bensì fra essere ed ente (cfr. infra, cap. 6.3.1).È dunque sul terreno del primato dell’esserci, cioè su un terreno che rimane orientato (nonostante le profonde

revisioni intercorse dopo la pubblicazione di Sein und Zeit ) nel senso dell’analitica esistenziale e del progetto diontologia fondamentale che la guida, che sorgono, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, il problema dell’esseree il problema (che ne rappresenta uno sviluppo) del mondo. Heidegger, del resto, lo dichiara esplicitamente: «il

 problema dell’essere ha la possibilità intrinseca di se stesso in quanto problema dell’esserci concepito comeatteggiamento».345  Per questo, nonostante la reinterpretazione in senso cosmologico (attraverso il concetto di «gioco» equello di «stato di abbandono») dell’istanza della trascendenza, e nonostante il ruolo rivestito, nella figura della«visione del mondo», dall’istanza dell’«ente in totalità», alla quale l’esserci è abbandonato, la struttura esistenzialedell’«essere nel mondo» rimane, nelle lezioni del semestre invernale 1928-29, l’unico àmbito, non soltanto quello privilegiato, del manifestarsi del fenomeno del mondo.

Del progetto di ontologia fondamentale,  Einleitung in die Philosophie mantiene l’assunto decisivo, costituito

dal primato attribuito all’esserci, nei confronti dell’accesso all’essere, in forza della sua coessenzialità con il fenomenodel mondo. È tuttavia la caratterizzazione di quest’ultimo l’elemento di novità di questo corso di lezione, che prelude auna revisione dell’impostazione dell’analisi: l’ancoraggio all’ente (attraverso l’accento posto sullo «stato di abbandono»a esso) della trascendenza, e la differenziazione di quest’ultima rispetto alla struttura esistenziale vera e propria, cherappresenta l’effetto del suo «gioco», portano in luce l’istanza dell’«ente in totalità». Attraverso l’associazione di taledeterminazione al concetto di mondo sarà possibile considerare il fenomeno che lo riguarda come il punto di vista a

 partire dal quale considerare la realtà dell’esistente (nel suo carattere di ente), anziché come articolazione della strutturadi quest’ultimo.

In questa evoluzione, riceve una maggiore accentuazione il ruolo ontologico del concetto di mondo, chedesigna tanto l'accadere dell'esistente, quanto la sua struttura e con ciò, come sottolinea Heidegger, dà «il momento el'ora» dell'essere dell'ente sussistente. Si apre, in questo modo, la strada (da Heidegger non ancora percorsa in Einleitung in die Philosophie, dove il mo ndo viene ancora considerato come «appartenente» alla struttura esistenziale) per una considerazione del fenomeno del mondo in quanto tale; in una prospettiva, cioè, che non imposti l'analisi a

 partire dall'«essere nel mondo», ma che, all'inverso, legga tale determinazione esistenziale alla luce del fenomenizzarsidel mondo. Che l'esistenza consista nell'esito di un accadere del mondo, (che costituisce l'istanza ontologica a partire

340  « Das Seinsproblem bedarf zwar einer konkreten Begründung und Ausarbeitung seiner Möglichkeit; das Weltproblem kann aber nicht einfachdaran angestückt werden, sondern in der Fundamentalbetrachtung des Seinsproblems muß sich schon der Horizont b ilden, in den hinein dasWeltproblem sich soll entrollen können. […] Das Weltproblem seinerseits läßt sich, einmal entrollt, nicht isolieren, sondern es bohrt sich nun

 seinerseits wieder rückläufig gleichsam ein in die Konstruktion des Seinsproblem. Seinsproblem entrollt sich zum Weltproblem, Weltproblem bohrt sich zurück in das Seinsproblem, - das sagt, beide machen die in sich einheitliche Problematik der Philosophie aus» (GA XXVII , p. 394).341  « Philosophieren ist nicht eine Weltanschauung als Haltung unter anderen, sondern sie ist die Grund-haltung schlechtin» (GA XXVII , p. 397)342  «[…] Bergung und Haltung. Als Eigentümlichkeit der letzteren bekundet sich ein Vorrang des Daseins. Dieser Vorrang ist zunächst gegeben aufGrund der Auseinandersetzung mit dem Seienden, die zum Wesen der Haltung gehört. […] das Seiende selbst in seinem Was und Wie entscheidet über die Wahrheit der Erkenntnis. Aber das Seiende kann das nur, wenn es daraufhin befragt wird, und und dieses Fragen, zur Rede stellen desSeienden ist ein Sichauseinandersetzen mit ihm » (GA XXVII , pp. 376-377).343  «Wir haben also drei Formen der Entartung der Weltanschuung als Haltung: Betulichkeit, Gebärde, und Innerlichkeit – Subjektivismus inverschiedenen Abwandlungen» (GA XXVII , p. 374).344

 « Die Eigentümlichkeit der Weltanschauung als Haltung und das Merkwürdige, daß in ihr das Dasein einen Vorrang erhält, sollte sich für uns gerade darin zeigen, das sie drei Formen der Entartung liegt in der Haltung selbst , sofern das Dasein in ihr ausdrücklich wird […] und das wirbezeichnen als die Sammlung des Daseins. […] Haltung ist daher in sich Sammlung der Streuung in die Ursprünglichkeit des Da-seins im Menschen»(GA XXVII , p. 377).345  « Das Seinsproblem hat die innere Möglichkeit seiner selbst als Problem im Dasein als Haltung » (GA XXVII , pp. 386-387).

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dalla quale riguardare l'essere dell'esistente, quello dell'ente difforme da esso, e il loro stesso rapporto) rappresenta il passo successivo a Einleitung in die Philosophie, che viene compiuto in Die Grundbegriffe der Metaphysik, il testo delcorso di lezione del 1929-30. Ciò comporta, va notato fin d'ora, la messa in discussione dell'impianto del progetto diontologia fondamentale, in quanto esso prevede l'accesso all'istanza ontologica dell'«essere in generale» attraversol'esame preliminare dell'istanza ontologica relativa all'ente esistente. La stessa nozione di «essere in generale» risulta, inquesto modo, esautorata nelle sue funzioni dall'istanza riferita all'«ente in quanto tale, ovvero in totalità», cioè dal

concetto di mondo. Ciò comporta, inoltre, un’inversione del rapporto che l’impostazione ontologico-fondamentale prospetta tra fenomeno del mmondo e fenomeno della verità, dove (al contrario, come si è visto, di quanto affermano ledichiarazioni programmatiche esposte in Sein und Zeit ) è la comprensione del secondo a determinare quella del primo.

Carattere originario del fenomeno del mondo in quanto tale, che determina quello del fenomeno della verità;sua interpretazione come l'ente nella sua totalità e, dunque, come l'ente in quanto tale, cioè come l'essere; suaassunzione in qualità di istanza ontologica a partire dalla quale indagare le diverse modalità dell'ente,  fra le quali l'esistenza; sono queste le coordinate della ricerca che, nella crisi del progetto di ontologia fondamentale, Heidegger siappresta a svolgere nel decisivo corso di lezione tenuto nel semestre invernale fra il 1929 e il 1930.

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PARTE SECONDA. IL RUOLO DEL CONCETTO DI MONDO NELLA CRISI DEL

PROGETTO DI ONTOLOGIA FONDAMENTALE

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CAPITOLO QUINTO. LA NOZIONE DI MONDO COME FILO CONDUTTORE DELLA FONDAZIONE

DELLA METAFISICA

5. 1 La presa di distanza dall'ontologia nelle lezioni del 1929-30 e la ridefinizione della nozione di verità.

Vom Wesen des Grundes  compie dunque la fagocitazione, all'interno dell'orizzonte trascendentale dell'esistente, delladimensione realistica dell'ente. In questo scritto si attua, con ciò, la rimozione del nocciolo intransparente dell'enteintramondano, in quanto irriducibile alla dimensione della significatività.

Ques to assorbimento dell'istanza realistica da parte della struttura esistenziale dell'essere nel mondo, sottolineacome interno a essa il carattere di relazione con il sussistente-utilizzabile. In questo modo, si apre la strada a un passoulteriore, compiuto nel corso di lezioni del 1929-30, il cui testo viene pubblicato con il titolo di Die Grundbegriffe der Metaphysik : ponendo l'accento sul comune carattere di ente di esistente e sussistente-utilizzabile (ovvero: di pietra,animale e uomo), in quanto entrambi epifenomeni dell'accadere del mondo, in queste lezioni viene ridefinito, rispetto aSein und Zeit, il rapporto fra àmbito esistenziale e àmbito categoriale. Nei Grundbegriffe, il filo conduttore dell'indaginesi dipana, infatti, non più a partire dal carattere intenzionale (che si esplica nel protendersi della comprensione) dellastruttura esistenziale dell'«essere nel mondo», bensì a partire dal luogo dell'articolarsi delle relazioni che definisconoquesta stessa struttura: il fenomeno del mondo, che diventa il punto d'attacco dell'indagine, dal quale riguardare ladistinzione fra esistente e sussistente. La messa a fuoco della questione dell'esistenza, in Vom Wesen des Grundes

 perseguita attraverso la radicalizzazione del ruolo trascendentale a essa attribuito, produce dunque, nelle lezioni del1929-30, l'inversione del percorso precedentemente seguito per giungervi. L'elemento di decisiva novità di DieGrundbegriffe der Metaphysik  consiste, dunque, in ciò: anziché pervenire alla determinazione dell'essenza dell'esistentemuovendo (a partire dal presupposto della sua specificità nei confronti dell'ente difforme da esso) dalla messa a fuocodella sua struttura (l'«essere nel mondo») e da quella della sua definizione (la  Jemeinigkeit ), l'analisi prevede ora latematizzazione del fenomeno del mondo in quanto tale, concepito come l'istanza ontologica a partire dalla qualedeterminare la specificità di esistente, animale e pietra.

Il fenomeno del mondo tende, in questo modo, a impadronirsi dello spazio concettuale (non della funzione, cherisulta ora esautorata) precedentemente occupato dalla nozione di Sein überhaupt ; la distinzione fra l'essere dell'essercie quello «in generale» costituisce, del resto, il caposaldo del progetto di ontologia fondamentale e, anzi, l'elementoessenziale sul quale si fonda la sua stessa definizione. L'«ontologia fondamentale» si qualifica infatti, nel suo caratteredi preliminarità, proprio a fronte di quello che il disegno originario di Sein und Zeit  (presentato nella  Einleitung dello Hauptbuch)  pone come obiettivo ultimo dell'indagine: l'esame della temporalità (Temporalität ) dell'«essere in

generale». In questo modo, appaiono con chiarezza sia i motivi per i quali tale disegno non è mai stato portato acompimento, sia la legittimità di ritenere che il corso del 1929-30 rappresenti, in quanto luogo della crisi del progetto diontologia fondamentale, un punto di svolta radicale all'interno della riflessione heideggeriana: quello dichiarato, in Seinund Zeit , come obiettivo ultimo dell'indagine è venuto a cadere, e l'indagine stessa, più che come «ontologiafondamentale», pare delinearsi come una sorta di «cosmologia fenomenologica».Si intende ora anzitutto verificare l'ipotesi relativa al mutamento del piano dell'indagine intervenuto con il corso di

lezione del 1929-30, consistente nella messa in discussione, da parte di Heidegger, della nozione di ontologia (e,dunque, del progetto di «ontologia fondamentale»), che passa attraverso la ridefinizione del concetto di verità (par. 5.1).In secondo luogo, si intende esaminare il corollario decisivo (e, contemporaneamente, la motivazione che spingeHeidegger a mutare il progetto di lavoro preannunciato in Sein und Zeit ) di tale riformulazione dell'indagine metafisica:la diversa posizione, in essa, della distinzione (assunta, nell'opera del 1927, come punto di attacco della ricerca) fral'ente esistente e quello difforme da esso, e l'esautoramento sia del concetto di «essere in generale», sia dellosdoppiamento che esso introduce, nell'individuazione dell'essenza dell'esistente, relativamente alla determinazione

dell'essere dell'esserci (par. 5.2).

5.1.1 Presa di distanza dal tentativo di fondare la metafisica attraverso il progetto di ontologia fondamentale.

Si è visto come il testo del corso di lezioni del 1928, nonché lo scritto da esso tratto,  Vom Wesen des Grundes,rappresentino la messa in evidenza (attuata attraverso l'accentuazione, rispetto a Sein und Zeit,  del caratteretrascendentale del concetto di mondo) del ruolo, da parte dell'esserci, di condizione di possibilità ontologica neiconfronti dell'ente intramondano; si è anche accennato alla funzione svolta, in questa fase della sua riflessione, dalconfronto che Heidegger intraprende con il testo kantiano. Si è, infine, sostenuto che proprio rispetto a questaassunzione e a questa radicalizzazione, fortemente influenzate dal confronto con Kant, della prospettiva di Sein und Zeit , le lezioni del 1929-30 segnino, in alcuni punti decisivi, una svolta.346  

346  Giova ricordare, a questo proposito, che la distanza temporale che separa l'elaborazione dei testi in questione è maggiore di quanto non risultidalle date di pubblicazione. Il testo di Die Grundbegriffe der Metaphysik   viene infatti approntato per il corso del semestre invernale 1929-30; ilsaggio Vom Wesen des Grundes, pubblicato nel 1929, viene redatto nel 1928 utilizzando, come si è visto, il testo del corso di lezione del semestreestivo dello stesso anno; Kant und das Problem der Metaphysik , infine, pure pubblicato nel 1929, deriva, come Heidegger medesimo si premura di

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É lo stesso Heidegger a fornire indicazioni in tal senso quando, nelle lezioni del 1929-30, avverte chel'indagine qui perseguì ta «si distanzia» da quella sviluppata in alcuni scritti precedenti; il riferimento va, in particolare,ai paragrafi 7 e 11, nonché a tutta la terza sezione di  Kant und das Problem der Metaphysik .347  Questi luoghi mettono afuoco la questione della fondazione dell'ontologia (da impostarsi a partire dal riconoscimento della finitezza dell'uomo)concepita come atto necessario alla rifondazione della metafisica. Il  Kantbuch   del 1929 si apre, in effetti, con ladichiarazione programmatica relativa all'intento di «interpretare la Critica della ragion pura   di Kant come una

fondazione [Grundlegung ] della metafisica, così da presentare il “problema della metafisica” come problema diun'ontologia fondamentale».348   Come risulta evidente da un semplice sguardo all'indice dell'opera, essa sviluppa inmodo sistematico questa dichiarazione di intenti: le quattro tappe della «rifondazione della metafisica» (che riguardano«impostazione», «svolgimento», «collocazione nella dimensione originaria» e «ripetizione» del problema), nel corsodelle quali è stata, fra l'altro, determinata l'«intrinseca possibilità dell'ontologia», pongono infine capo (parr. 42-45)all'individuazione degli elementi in forza dei quali l'ontologia fondamentale appare come la prospettiva che coglie ladimensione metafisica dell'esserci. Anche senza entrare nel merito dele argomentazioni del  Kantbuch, si può subitonotare che lo stesso progetto dell'analisi qui svolta ha esplicitato il fenomeno, rilevato già in Sein und Zeit , che riguardail rapporto fra ontologia fondamentale e ricerca ontologica rivolta alla determinazione dell'«essere in generale»: benchéla prima venga presentata come soltanto «preliminare» nei confronti della seconda, non soltanto il volume pubblicatonel 1927 si ferma a questo passo preliminare, ma ne fa emergere il problema suo specifico (la determinazionedell'essere dell'esistente, ovvero l'individuazione dell'essenza ontologica della soggettività umana) come la questionecapitale dell'indagine, alla quale risulta infine subordinata, dal punto di vista concettuale, la stessa questione dell'essere.

Secondo il progetto originario di Sein und Zeit , la trattazione sviluppata in  Kant und das Problem der Metaphysik , in quanto prima tappa della distruzione della metafisica, doveva costituire soltanto la prima parte delsecondo volume, il quale avrebbe dovuto fornire (attraverso l'esame della dottrina kantiana dello schematismo, delfondamento della nozione cartesiana di cogito  e della trattazione aristotelica del tempo) le linee direttrici di una«decostruzione» ( Destruktion) della storia dell'ontologia a partire dalla questione della temporalità dell'essere.349  Éaltresì vero, tuttavia, che la seconda e la terza parte della seconda sezione, previste dal progetto, non videro mai la luce;del resto, il «primo passo» (erste Stufe , ovvero   Vorstufe), costituito dall'ontologia fondamentale sviluppata nel Kantbuch, perviene ad acquisizioni che, nella prospettiva dell'analitica esistenziale, possono essere considerate comeconclusive. Esse affermano la necessità di procedere all'elaborazione di una nuova ontologia a causa dell'inadeguatezzadi qualsivoglia prospettiva antropologica a sviluppare non soltanto una fondazione della metafisica, ma anche,semplicemente, a sollevarne il problema: la questione dell'uomo viene presa in carico dalla «metafisica dell'esserci».350  Lo «svelamento» ( Enthül lung ) della costituzione d'essere dell'esserci, sostiene Heidegger nel  Kantbuch, è ontologia:«essa viene detta “ontologia fondamentale”, in quanto vi viene posto il fondamento della possibilità della metafisica,

cioè la finitezza dell'esserci».351

 Nell'opera del 1929, il merito precipuo riconosciuto a Kant consiste nell'aver impostatola soluzione dei problemi relativi alla metaphysica specialis  (teologia, cosmologia, psicologia) a partire dalla lororiconduzione e dal loro fondarsi nella metaphyisica generalis, cioè nell'ontologia.352  Anche in  Vom Wesen des Grundes, 

 proprio in virtù del fatto che, «senza dubbio, i termini “ontologia” e “ontologico” sono così equivoci da occultare la problematica propria di un'ontologia»,353  Heidegger segnala la necessità dell'indagine ontologica.

 Nei confronti di affermazioni come queste, le conclusioni alle quali perviene la ricerca sviluppata in  DieGrundbegriffe der Metaphysik  suonano come affatto nuove: qui viene individuato il rischio di «dover respingere, inquanto problematica metafisicamente insufficiente, già l'idea stessa di ontologia».354   Il concetto stesso di ricercaontologica risulta dunque messo in discussione, a partire dalla sua inadeguatezza a trattare la problematica metafisica.

informare, dal testo (pubblicato postumo nel 1977, con il titolo di Phänomenologische Interpretation von Kants Kritik der reinen Vernunft ) del corsodel semestre invernale 1927-28, la problematica del quale viene rielaborata in funzione dello schema previsto dal progetto originario di Sein und Zeit  ( KM , p. XVI [6]).

347  GA XXIX-XXX , p. 441 [389-390].348

  KM , p. 1 [11]. 349  SZ, p. 53 [101].350   KM , p. 231 [199].351  « Die Enthüllung der Seinsverfassung des Daseins ist Ontologie. Sofern in ihr der Grund der Möglichkeit der Metaphysik - die Endlichkeit des

 Daseins als deren Fundament - gelegt werden soll , heißt sie Fundamentalontologie» ( KM , p. 232 [200]).352   KM , pp. 8-9 [18]. Sulla valenza fondativa attribuita da Heidegger al rapporto tra metaphysica specialis e metaphysica generalis, rinviamo a F.Cassinari, Definizione e rappresentazione, cit., cap. 1, par. 2.1.353  WG, pp. 131-132 [88]. Si noti che il tentativo di fondare l'ontologia attraverso l'ontologia fondamentale viene da Heidegger condannato (in una

 posteriore annotazione manoscritta, apposta in margine alle righe immediatamente seguenti questo passo) in quanto «procedere erroneo, attraverso lamera estensione del pensiero ontologico-metafisico alla questione relativa alla verità dell'essere ( Seyns)» (WG, Anm. 132d [88d]).354   « [...] wir alle Ontologie schon der Idee nach als unzureichende metaphysische Problematik zurückweisen müssen». ( GA XXIX-XXX , p. 522[460]). É forse il caso di sottolineare il fatto che, a questa data, la messa in discussione della nozione di ontologia non comporta affatto una condannadi quella di metafisica, dal momento che la critica alla prima viene da Heidegger motivata con la sua presunta insufficienza nei confronti dell'àmbito

 problematico designato dalla seconda. La valutazione negativa del termine «metafisica» non è infatti rintracciabile nei testi heideggeriani anteriori al1934: J.P. Faye, La raison narrative, Balland, Paris 1990; t rad. it. di A. Atti, La ragione narrativa. La ragione dell'altro , Spirali, Milano 1992, pp.197 sgg. Sulle motivazioni di questa «svolta», all'interno della riflessione heideggeriana, diversa e ulteriore rispetto a quella delle lezioni del 1929-30,ci permettiamo il rinvio a F. Cassinari, Heidegger legge Nietzsche: il ruolo della volontà politica dalla Fundamentalontologie alla Überwindung derMetaphysik, «Iride», (16), 1995, pp. 748-749.

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L'autocritica - mai presentata da Heidegger come tale - nei confronti delle conclusioni del  Kantbuch  è tanto palese,nell'esplicitezza delle considerazioni di carattere generale in cui essa si esprime, quanto articolata, nella precisione dellemotivazioni che la sorreggono. Tutto ciò che viene designato come oggetto della ricerca ontologica (alles Ontologische)ricade infatti, sostiene Heidegger nei Grundbegriffe,  all'interno della «differenza ontologica», cioè del fenomenometafisico fondamentale; producendo la differenza fra l'ente e il suo essere, esso dà luogo alla distinzione tra la veritàontica, che si rivolge alla manifestabilità (Offenbarkeit ) dell'ente in se stesso , così come esso è, e la verità ontologica, la

quale invece, considerando l'ente in quanto tale, concerne il suo essere.

355

  Dal momento che il fenomeno delladifferenza ontologica dà luogo alla verità all'interno della quale si rendono possibili i concetti dell'ontologia,quest'ultima può attingere, argomenta Heidegger, soltanto ciò che l'evento della differenza produce, non il fenomeno inquanto tale. Per questo Heidegger sostiene che il concetto ontologico che fa riferimento alla distinzione fra ontico eontologico non coglie questa stessa differenza, bensì soltanto l'effetto che essa produce, cioè due differenti chedifferiscono fra loro: ontico e ontologico, appunto.356  L'ontologia non può cogliere l'evento della differenza ontologica

 poiché proviene da esso; questo evento, cioè il  problema   della differenza ontologica, certamente non appartieneall'ambito della verità ontica, ma neppure a quello della verità ontologica: «la differenza ( Differenz) ontologica è ladifferenza che sorregge e guida qualcosa come l'ontologico in generale, e quindi non una distinzione (Unterschied )determinata che possa e debba venire effettuata all'interno dell'ontologico stesso.357  Per cogliere la differenza, cioè il

 problema metafisico, «fondamentale» (in quanto essa accade provenendo «dal fondamento»),358   occorre dunque,conclude Heidegger, lasciar cadere «l'ontologia e la sua idea»359   e, con essa, anche il progetto di «ontologiafondamentale».

Emerge, dunque, un aspetto di ambiguità nel legame che intercorre fra l’indagine metafisica dei Grundbegriffee il progetto di Sein und Zeit . Da un lato, le analisi delle lezioni possono essere ricondotte al tentativo di delineare,attraverso l’elaborazione delle «ontologie regionali», la fondazione delle scienze positive alla quale si fa cenno nello Hauptbuch .360   Per questo aspetto, le lezioni del 1929-30 (con l’«ontologia del vivente» che esse, attraverso l’ampioricorso a materiali provenienti da biologia e zoologia, presentano) sviluppano un ramo collaterale della ricerca previstodal progetto orginario dell’opera del 1927; significativo, in questo senso, il fatto che da esse Heidegger non abbia trattoun’opera autonoma, espressamente concepita per la pubblicazione. In questo senso, i materiali di Grundbegriffe  dovrebbero essere considerati come la linea di sviluppo di una branca interna al medesimo progetto che dà luogo, nelvolume del 1927 e nel  Kantbuch  del 1929, all’«ontologia fondamentale». Nei confronti di quest’ultima, tuttavia, leanalisi sviluppate nelle lezioni del 1929-30 portano a una netta presa di distanza.

In che cosa consiste, nelle lezioni del 1929-30, la «caduta» (ai fini della prosecuzione dell'indagine metafisicanella sua dimensione originaria) dell'«idea stessa» dell'ontologia? Le precisazioni heideggeriane al riguardo sonodecisive per individuare le linee direttrici del nuovo progetto di ricerca, che intende prendere il posto di quello relativo

all'«ontologia fondamentale». Quest'ultimo non può essere sostituito, afferma Heidegger, mettendo semplicemente al posto dell'ontologia un'altra modalità di ricerca metafisica quale, per esempio, la filosofia trascendentale kantiana.361  Occorre invece comprendere, egli sostiene, che l'abbandono dell'indirizzo ontologico-fondamentale comporta unaridefinizione della ricerca tanto radicale, che va perfino perso il luogo (Stelle) precedentemente individuato per laricerca medesima.362   In altri termini: è la prospettiva ontologica a istituire il terreno sul quale essa si sviluppa, e la

355  «[...] dasjenige Fragen, das auf das Seiende an ihm selbst geht, so, wie es ist  - on hos on [...] die Offenbarkeit des on:dieontische Wahrheit.

 Dasjenige Fragen dagegen,  das auf das Seiende als solches  geht, d. h. einzig hinsichtlich dessen fragt, was das Seindes Seienden ausmacht, on he on:die ontologische Wahrheit» (GA XXIX-XXX , p. 523 [461]). Si noti che, muovendo da questa stessa distinzione tra le due verità, in Vom Wesen desGrundes Heidegger perveniva a sostenere la necessità della posizione del problema dell'essere, finalizzandola, diversamente che nei Grundbegriffe, alraggiungimento del fondamento ( Fundament ) per la possibilità dell'ontologia (WG, pp. 133-134 [89-90]; in particolare la nota 14). Un'annotazionemanoscritta, vergata da Heidegger sulla copia a stampa della prima edizione di Vom Wesen des Grundes, mette in evidenza l'evoluzione intercorsadopo la pubblicazione di questo saggio: rifiutando, infatti, il progetto di porre la questione dell'essere a fondamento della possibilità dell'ontologia,Heidegger afferma che «ciò che occorre preventivamente non è fare o fondare un’“ontologia”, bensì raggiungere la verità dell'essere, cioè essereraggiunti da essa. - Dunque, la storia dell'essere stesso» («[...]  gilt im voraus, nicht eine “Ontologie” zu machen noch zu begründen, sondern dieWahrheit des Seyns zu erreichen, d.h. von ihr erreicht zu werden - Geschichte des Seyns  selbst ») (WG, Anm. 134d [90d]).356  « Mit der in sich klaren Unterscheidung  von  Ontischem und Ontologischem - ontischer Wahrheit und ontologischer Wahrheit - haben wir zwardas Differente einer Differenz, aber nicht diese selbst ». (GA XXIX-XXX , p. 523 [461]).357

  « Die ontologische Differenz ist die dergleichen wie Ontologisches überhaupt tragende und leitende Differenz, also nicht ein bestimmterUnterschied , der  innerhalb des Ontologischen vollzogen werden kann und muß» (GA XXIX-XXX , p. 521 [460]).358  « Der Unterschied geschieht [...] von Grund aus und ständig » (GA XXIX-XXX , p. 519 [458]).359  GA XXIX-XXX , p. 522 [461]. Nelle lezioni del 1929-30, la decisa presa di distanza, se non l’abbandono, dell'«idea dell'ontologia» segnalal'abbandono del progetto di Sein und Zeit , che anima, invece, ancora la ricerca di Kant und das Problem der Metaphysik : esiste un'evidente soluzionedi continuità fra queste lezioni e lo  Hauptbuch del 1927. Per questo non è condivisibile la tesi di M. Marassi,  Ermeneutica della differenza, cit., pp.16-17, che nei Grundbegriffe rintraccia soltanto una precisazione del carattere dell'ontologia, che sarebbe rifiutata solo nel suo aspetto di disciplinafilosofica particolare.360  SZ , pp. 13-14 [63-64]. In questo senso si esprime F.-W. von Herrmann,  Hermeneutische Phänomenologie des Daseins, cit., p. 384, che spinge latesi della congruità fra il progetto di Sein und Zeit   e quello delle lezioni del 1929-30 fino a individuare, fra questi testi, l'elemento di continuitànellaconcezione di «ontologia fenomenologica universale», esposta nell'opera del 1927 (cfr. Sein und Zeit , p. 51 [99]).361  GA XXIX-XXX , p. 522 [460]. Anche la scelta, quale esempio di ricerca metafisicamente inadeguata, della filosofia trascendentale kantiana (assuntanel Kantbuch, come dichiara esplicitamente Heidegger, quale patrona dell'indagine: KM, p. XIV [4]) può essere ritenuta come indicativa della presa didistanza compiuta,, nelle lezioni del 1929-30 rispetto al progetto ontologico-fondamentale.362   GA XXIX-XXX , p. 522 [460-461].

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ridefinizione di tale prospettiva non può esimersi dal mettere in discussione questo terreno, il problema nel quale essa siradica e al quale essa risulta indirizzata: il problema dell'«essere in generale», cioè il problema dell'essere, in quantocolto attraverso l'itinerario che muove dalla tematizzazione dell'essere dell'esistente. Lo «spazio aperto» (das Freie),lasciato libero dall'ontologia, deve ora essere occupato dall'elaborazione del problema del mondo; è questa, infatti,l'istanza che, nelle lezioni del 1929-30, fa le veci dell'essere quale orizzonte della ricerca.

5.1.2. La «svolta»: la questione della verità nelle lezioni del 1929-30 e il nuovo ruolo del fenomeno del mondo.

 Nei Grundbegriffe der Metaphysik , Heidegger si propone di indagare la questione del logos, decisiva per la metafisica,in un modo che «si distanzia», come egli stesso dichiara, da quello di alcuni scritti precedenti. I testi ai quali si riferisceHeidegger sono i paragrafi 7.B, 33 e 44 di Sein und Zeit ; i paragrafi 7 e 11, nonché tutta la terza sezione, di  Kant unddas Problem der Metaphysik   e, infine, la prima parte di Vom Wesen des Grundes. Le indagini qui sviluppatecostituiscono, afferma Heidegger, soltanto «momenti decisivi» ( Hauptstationen) all'interno della tematica metafisica,ma non forniscono alcun «orientamento compiuto» in merito a tale problema.363  

Che cosa giustifica il carattere di novità dell'analisi dei Grundbegriffe nei confronti di quella esposta nei testiindicati da Heidegger? Il ruolo attribuito, nelle lezioni del 1929-30, al concetto di mondo, per come esso emerge inseguito alla riformulazione del concetto di verità. L'elemento comune a quest testi consiste, infatti, nel fatto che, in essi,la posizione dell'ente difforme dall'esserci risulta definita muovendo dal carattere di finitezza della conoscenzaontologica di quest'ultimo, concepita come il suo tratto peculiare;364  nelle lezioni del 1929-30, è il fenomeno del mondo,

anziché quello della comprensione, il terreno fenomenologico e l'elemento concettuale a partire dal quale viene definitala specificità dell'esistente. Questa «svolta» si verifica nella trattazione del fenomeno della verità (in particolare, nelrapporto che esso intrattiene con il fenomeno del logos e con la questione dell'asserzione), al quale sono dedicati iluoghi di Sein und Zeit e di Vom Wesen des Grundes richiamati nei Grundbegriffe . Rispetto alla nozione di veritàesposta in Sein und Zeit , il testo dei Grundbegriffe der Metaphysik  rappresenta, dunque, il momento del passaggio v ersouna differente prospettiva, della quale si è già messo in luce il contrasto con quella dello  Hauptbuch  (cfr.  supra , cap.4.1.3). Il problema del rapporto fra l'indagine intorno alla questione di verità, sviluppata nell'opera del 1927, e quella deiGrundbegriffe , appare di per sé tanto più rilevante, in quanto esso costituisce uno dei non frequenti esempi in cui laridefinizione, da parte di Heidegger, di posizioni precedentemente assunte si presenta con i caratteri dell'autocritica.

In che cosa consis te, dunque, il passaggio dalla nozione di verità esposta in Sein und Zeit  a quella delle lezionidel 1929-30, e in che modo interviene, in questo passaggio, il concetto di mondo? Nel paragrafo 73 dei Grundbegriffe ,l'«autocritica» heideggeriana prende le mosse (quale punto di partenza dell'interpretazione del logos) dall'analisi dellaforma positiva vera dell'asserzione. Questa scelta è giustificata, sostiene Heidegger, in quanto facilita l'interpretazione;

nondimeno, secondo l'autore essa ha storicamente causato, nell'impostazione del problema, una deficienza dicorrettezza. In essa sarebbe incorsa, dichiara Heidegger nei Grundbegriffe,  anche la trattazione di Sein und Zeit , inquanto le altre forme dell'asserzione (quella positiva falsa, e quelle negative, sia vera che falsa) vengono concepite come«integrazioni» della forma positiva vera, anziché essere riconosciute come fenomenizzazioni del logos cooriginarie aessa.365  Occorre infatti sottolineare, afferma Heidegger, che il logos non è «vero  e falso, bensì vero o falso»; secondoHeidegger non va dimenticato che la «più intima essenza» (innerste Wesen) del logos  consiste nella possibilità difenomenizzarsi in «modalità di variazione determinate» (bestimmte Weisen der Abwandlung ), cioè di essere o vero, ofalso, e ciò si verifica sia nella forma negativa che in quella positiva dell'asserzione.366  Questa argomentazioneheideggeriana rappresenta un passo decisivo in direzione della nozione di verità rintracciabile negli scritti legati alconcetto di Seinsgeschichte. L'accento posto, nei Grundbegriffe, sulla pari dignità delle diverse forme della  Aussage, inquanto, tutte, fenomenizzazioni cooriginarie del logos, risponde, infatti, all'esigenza di sottolineare il fatto chequest'ultimo va concepito non come «asserzione vera», bensì come la dinamica di disvelamento che comprende in séverità e falsità; per questo esse sono entrambe, a pari titolo, manifestazioni dell'evento della verità.

363  GA XXIX-XXX , p. 441-442 [389-390].364  In  Kant und das Problem der Metaphysik  (si vedano, in particolare, i parr. 39-41) la finitezza dell'uomo costituisce il filo conduttore del tentativodi fondare la metafisica attraverso l'ontologia fondamentale. Anche su questo punto è possibile rintracciare i segni dell'evoluzione della posizioneheideeggeriana dopo il Kantbuch :  J. Taminiaux, D'une ontologie fondamentale à l'autre: la double lecture de Hegel, in J. Taminiaux, Lectures del'ontologie fondamentale, Millon, Grenoble 1995, pp. 191-210 rintraccia un'oscillazione, nella valutazione heideggeriana di Hegel, fra le opere

 pubblicate fra il 1927 e il 1930 (Sein und Zeit , il Kantbuch , Was ist Metaphysik ?) e i testi di lezione coevi, e immediatamente successivi; in particolare, quello relativo alle lezioni del 1930-31 dedicate alla  Phänomenologie des Geistes. In questo secondo caso, vi sarebbe infatti, da parte diHeidegger, il riconoscimento della consonanza della propria posizione ontologico-fondamentale con la filosofia hegeliana dell'assoluto, consonanzarintracciabile nel la cruciale problematica dell' infinità (p. 202). Riteniamo che ciò sia indicativo di una messa in questione (anche più radicale diquanto non ritenga Taminiaux, che nel coniugarsi di finitezza e assoluto vede non l'abbandono dell'ontologia fondamentale, bensì il suo contrassegno«hegeliano»: ibid. p. 12) del caposaldo dell'ontologia fondamentale, cioè della finitezza dell'esistente, che non viene rifiutato, ma riguardato dal puntodi vista della totalità dell'ente.365  GA XXIX-XXX , p. 488 [431]. Si noti che, significativamente (cf r. supra , cap. 3.1.), l'autocritica heideggeriana rispetto a Sein und Zeit   comporta,

 parallelamente, una presa di distanza da Aristotele, il quale non avrebbe colto la «posizione problematica centrale» (die zentrale Problemstellung ), inquanto unicamente interessato a chiarire, contro fraintendimenti e imprecisioni dei predecessori, la struttura del «logos in generale» (ibidem).366  GA XXIX-XXX , p. 489 [431]. Ciò si spiega con quanto, in polemica con Ernst Tugendhat, ricorda E. Richter, Wahrheit und Logik , in Die Fragenach der Wahrheit , hrsg. von E. Richter, Klostermann, Frankfurt a. M. 1997, p . 133: per Heidegger, anche l’asserzione falsa ha comunque a che farecon un ente.

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Il privilegio accordato alla forma positiva e vera del discorso apofantico oscura, perciò, proprio l'essenza delfenomeno della verità. Il carattere disvelativo (ovvero, di non nascondimento) di quest'ultimo deve dunque essereattribuito, secondo le lezioni del 1929-30, al movimento «della cosa stessa», cioè dell'essere che si qualifica, in quantotale e in ogni sua manifestazione, come «essere vero». Rispetto allo  Hauptbuch del 1927, si è verificata la saldatura fral’analisi colà dedicata al concetto di fenomeno (relativamente al al quale, sostiene Heidegger, va tenuto fermo alsignificato di «ciò che si manifesta in se stesso»)367  e l’analisi del concetto di verità; risulta con ciò problematica la

riconduzione del fenomeno della verità a un'azione dell'esserci, concepita come sopraggiungente all'ente, che«strapperebbe con la forza» (come si afferma nel paragrafo 44 di Sein und Zeit ) l'ente dal suo stato di nascondimento.Ciò comporta in queste lezioni, rispetto ai testi degli anni precedenti, un’accentuazione ancora maggiore dei limiti deldiscorso apofantico, in merito al ruolo che esso riveste nei confronti della dimensione originaria del fenomeno dellaverità: nei Grundbegriffe, il carattere di libertà dell'azione disvelativa del discorso apofantico è posta come funzionale alsuo collocarsi nello spettro di manifestazione dell'ente, cioè al suo rivolgersi a esso.368  Il discorso apofantico si fonda,sottolinea Heidegger, sulla manifestabilità dell'ente, ma non la produce; proprio perché l'asserzione si fonda sul fattoche l'ente è manifestabile (offenbar ), e non viceversa, non accade mai che l'asserzione in quanto tale possa svelare(entbergen) l'ente in quanto tale. Attraverso l'asserzione, il discorso apofantico «espone» (auseinanderlegt ) ciò che è giàdi per sé manifestabile, ma non forma la manifestabilità dell'ente.369  

La conseguenza che Heidegger trae da questa argomentazione è la seguente: la verità assertoria( Aussagewahrheit ) non è affatto la «forma fondamentale» (Grundform) della verità.370  Ancor più precisamente: la veritàdella predicazione «si fonda in una manifestabilità che noi, poiché viene  prima  della  predicazione e dell'asserzione,

definiamo manifestabilità antepredicativa o, meglio, verità prelogica».371

 Il logos rinvia dunque, necessariamente, al dilà di sè e, come proprio fondamento, a un'istanza che è altra da esso: il logos  non è autonomo, sostiene infattiHeidegger, «bensì fondato in un'istanza più originaria».372  Si è visto come questo aspetto (cioè il primato, dal punto divista dell’interpretazione «originaria» del fenomeno della verità, della dimensione antepredicativa)fosse l’elementodecisivo della concezione heideggeriana della verità già in Sein und Zeit ; l’elemento di novità consiste nel fatto che,dell’interpretazione «originaria» viene ora maggiormente sottolineata, rispetto all’opera del 1927, l’inattingibilità da

 parte dell’interpretazione derivativa. Per un verso, dunque, le lezioni del 1929-30 ribadiscono e accentuano, in virtù dell’identificazione

dell’antepredicativo quale dimensione originaria del fenomeno della verità, la posizione dello Hauptbuch. Per un altroverso, tuttavia, risulta radicalmente mutata la valutazione espressa, nell’opera del 1927, in merito al rapporto fra lacomprensione «originaria» e quella «derivativa» del fenomeno della verità: tra esse, infatti, in queste lezioni risulta spezzata la continuità is tituita, in Sein und Zeit, dall’intento di appropriazione della seconda da parte della prima. Percomprendere la distanza che separa, a questo proposito, la posizione dei Grundbegriffe  da quella di Sein und Zeit , e la

strada attraverso la quale Heidegger è giunto a essa, va ricordata l’analisi che, nelle lezioni del 1928-29, ha portatoHeidegger a rovesciare la posizione dello  Hauptbuch , rinunciando all’idea che la comprensione originaria del fenomenodella verità potesse essere avviata muovendo dalla presa in esame (per quanto critica) della tesi tradizionale, che collocala radice della verità nella proposizione (cfr.  supra , cap. 2. 2. 1). Rispetto a questa precedente impostazione, le lezionidel 1928-29 segnalano - con un’ampiezza di analisi assai maggiore di quanto avvenga in Sein und Zeit  - la distanza chesepara la tesi tradizionale (in quanto radicata nella prospettiva gnoseologica della contrapposizione fra soggetto eoggetto, entrambi concepiti come sussistenti) dalla comprensione originaria, che radica il fenomeno della veritànell’«essere scoperto» dell’ente intramondano e nell’«essere aperto» di quello esistente.

Qual è l’istanza nella quale si colloca, secondo  Die Grundbegriffe der Metaphysik , l'essenza disvelativa delfenomeno della verità e che, in questo modo, espelle dalla dimensione metafisica originaria la funzione scoprente del

367  SZ , par. 7a.368  « Der logos in der Form des logos apophantikos ist [...] nur möglich, wenn es gründet in einem Freisein für das Seiende als solches». (GA XXIX-

 XXX , p. 492 [434]). In questo aspetto, c’è il progressivo accentuarsi, dopo Sein und Zeit , del carattere recettivo (tanto dal punto di vista del conoscere,quanto da quello dell’agire) nell’esserci: G. Prauss, Erkennen und Handeln in Heideggers «Sein und Zeit» , cit., p. 102.369  « Es ist nicht und nie so, daß jemals eine Aussage als solche [...] primär Seiendes als solches entbergen könnte. [...] Die Aussage [...]bringt unsdoch nie überhaupt und primär vor das entborgene Seiende, sondern umgekehrt, [...]. Der logos apofantikos legt nur aussagend auseinander  , was

 schon offenbar ist, aber er bildet nicht überhaupt erst Offenbarkeit von Seiendem» GA XXIX-XXX , pp. 493-494 [435]). Secondo F. Volpi, Heideggere Aristotele, cit., pp. 169-171, rispetto ai testi della fase precedente della riflessione heideggeriana, queste affermazioni producono un «duplicespostamento» della mira dell'indagine: dal logos apofantico alla dimensione antepredicativa nella quale esso si fonda, e dal logos in quanto modalitàdi svelamento allo svelarsi dell'ente in cui il logos è collocato. Rispetto ai testi degli anni precedenti, si verificherebbe qui , secondo l’interprete,un’ulteriore ontologizzazione della determinazione del logos che conoscerebbe, al di là della sua funzione espressiva nei confronti della costituzione

 prelinguistica del mondo, un’integrazione nell’evento di apertura e formazione del medesimo: F. Volpi,  La question dulogos dans l’articulation de la facticité chez le jeune Heidegger lecteur d’Aristote, cit., pp. 59-60.370  GA XXIX-XXX , p. 494 [435].371  «[...] gründet  in einer Offenbarkeit, die wir, weil sie vor der Prädikation und Aussage liegt, bezeichnen als vorprädikative Offenbarkeitoderbesser als vorlogische Wahrheit». (GA XXIX-XXX , p. 494 [436]). La dimensione antepredicativa nei Grundbegriffe (il tema della Weltbildung , sulquale torneremo nel prossimo capitolo) che esplicita quella presente in Sein und Zeit (il tema del Verstehen) costituisce la via seguendo la quale

Heidegger si mantiene all’interno della nozione adequativa di verità: M. Ruggenini,  La finitude de l'existence et la question de la verité, cit., p. 169.Sul carattere problematico, in quanto fondato su una struttura formale apofantica, della dimensione antepredicativa, si veda C. Strube, Die Wahrheit phänomenologisch-ontologischer Aussagen. Ansatz einer Problemexposition , in Die Frage nach der Wahrheit , hrsg. von E. Richter, Klostermann,Frankfurt a. M. 1997, pp. 159-160.372  «[...] nicht eigenständig, sondern in einem Ursprünglicheren begründet ist» . (GA XXIX-XXX , p. 491 [433]).

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discorso apofantico? Qual è, in altri termini, l'elemento concettuale che determina, in questo corso di lezione, ilmutamento della prospettiva heideggeriana in merito alla trattazione della questione della verità? É il nuovo ruoloattribuito al fenomeno del mondo. É infatti il fenomeno del mondo quella «manifestabilità antepredicativa o, meglio,

 prelogica» nella quale si fonda il logos apofantico, cioè il discorso veritativo. L'«essere aperto prelogico per l'ente», cherende possibile l'accadere della verità, consiste infatti, spiega Heidegger, in un'«integrazione a priori dell'ente in unatotalità»,373   cioè nel mondo, compiuta dall’esserci; la verità dell'ente consiste nel suo accadere a partire dalil «regnare

del mondo».Emerge, qui, l’ambivalenza della posizione heideggeriana nelle lezioni del 1929-30. Da un lato, l’essercicompie l’integrazione dell’ente in una totalità, cioè nel mondo: il “soggetto”, ovvero l’«essere aperto prelogico perl’ente» è, infatti, l’esistente. Tale “soggetto” è, tuttavia, tale in un senso affatto peculiare: il «mondo» nel quale essocompie «l’integrazione a priori dell’ente» non indica infatti (come accade nel caso dell’essere nel mondo)un’articolazione esistenziale, bensì un’istanza - il «regnare del mondo», appunto - della quale l’ente esistentemedesimocostituisce una fenomenizzazione. Le righe immediatamente precedenti quelle citate chiariscono, infatti,anzitutto che la totalità nella quale l’ente percepito viene integrato dall’esistente è quella in cui quest’ultimo da sempresi muove, e consiste nella manifestabilità prelogica dell’ente;374  in secondo luogo, che l’ente al quale vengono riferite leasserzioni va compreso a partire dalla totalità dell’ente.375  

In forza dell'analisi del fenomeno della verità, sviluppata nel corso di lezioni del 1929-30, Heidegger puòdunque ritenere, a questa data, che la dimensione originaria della metafisica, ovvero la questione dell'uomo, possaessere acquisita soltanto mettendo in discussione il carattere di originarietà del logos: il logos «non è l'impostazione

radicale per lo sviluppo del problema del mondo»,376

 in quanto, anzi, «logos, ratio, ragione, spirito rappresentano, tutte,determinazioni che occultano il problema del mondo».377   L'analisi del fenomeno della verità nei Grundbegriffe  segna, perciò, un mutamento decisivo nell'evolversi della riflessione heideggeriana, e comporta l'attribuzione(dal punto di vistadell'originarietà metafisica delle analisi sull'essenza dell'uomo) del primato alil «regnare del mondo».

Sul terreno della comprensione del fenomeno della verità è dunque possibile rintracciare un secondo elementodi differenziazione (dopo quello relativo alla valutazione del rapporto fra la comprensione derivativa e quella originaria)fra l’impostazione di Sein und Zeit e quella dei Grundbegriffe . In entrambi i casi, la critica della dimensione predicativa,ovvero della  Aussage  (che conduce a una svalutazione del ruolo del giudizio) viene da Heidegger sviluppata indirezione della ricerca della dimensione antepredicativa. Nello  Hauptbuch, tuttavia, quest’ultima viene identificata conl’essenza disvelativa della struttura esistenziale, cioè con la pratica dell’esistente; nelle lezioni, con il manifestarsi delmondo. La diversità fra le due prospettive si gioca, dunque, nella diversa interpretazione del fenomeno del mondo:articolazione della struttura esistenziale, o sua condizione di possibilità?

5. 2 Il primato del «regnare del mondo»: la ricollocazione della distinzione fra esistenziale e categoriale el'esautoramento del concetto di «essere in generale».

5. 2 1 L'ente in quanto tale, ovvero l'ente «in totalità», come punto di partenza dell'analisi: necessità di dedurre ladistinzione fra esistenziale e categoriale.

«La determinazione del concetto di mondo evita, fin dall'inizio, la strada tradizionale della metafisica della natura ditipo ontico, che si riferisce all'ens creatum»; così si esprime Heidegger, dopo il 1929, annotando Vom Wesen des

373  « Das vorlogische Offensein für das Seiende, aus dem heraus schon jeder logos sprechen muß, hat das Seiende immer schon im vorhinein ergänzt zu einem “im Ganzen”» (GA XXIX-XXX , p. 505 [446]). Secondo R. Thurner, Wandlungen der Seinsfrage, ci t. , pp. 44-48. Nel comune intento diindirizzare l’analisi verso la dimensione antepredicativa, l’elemento di svolta dei Grundbegriffe, rispetto a Sein und Zeit , consisterebbe nel passaggioda una visione «statica» del fenomeno del mondo (quale sarebbe, nello  Hauptbuch, quella emergente dalla figura della Verweisungzusammenhang ) auna dinamica, riscontrabile, secondo l’interprete, nella figura della Weltbildung . A nostro parere, tuttavia, l’elemento «dinamico» dell’interpretazionedel fenomeno del mondo sviluppata nei Grundbegriffe non risiede nella figura della Weltbildung , bensì in quella del Walten der Welt  (cfr. infra, cap.6.3).374  «[...] dieses, worin wir uns schon bewege, ist es, was wir zunächst schematisch als das “im Ganzen” bezeichnen. Es ist nicht anderes, als was wirals vorlogische Offenbarkeit des Seienden im logos sehen» (GA XXIX-XXX , p. 505 [445-446]).375  «[...] liegt alles daran, [...] zu sehen, wie das, worüber ausgesagt wird, [...] aus einem Ganzen heraus offenbar ist, aus einem Ganzen, das wir als

 solches gar nicht ausdrücklich und eigens erfassen» (GA XXIX-XXX , p. 505 [445]). 376  « Der logos ist nicht der radikale Ansatz für die Entfaltung des Weltproblems». (GA XXIX-XXX , p. 508 [448]).377  «[...] logos, ratio, Vernunft, Geist , alles das  sind verdeckende Titel für das Weltproblem » (GA XXIX-XXX , p. 508 [448]). Per questo non apparecondivisibile la tesi di A. Tzavaras-Dimou, Phänomenologie der Aussage. Eine Untersuchung zu Heideggers existenzial-ontologischer Interpretation

des aristotelischen logos apophantikos, Univ-Diss., Freiburg i. B. 1992, pp. 176-177 che, pur rimarcando il radicarsi del discorso apofantico nelladimensione, a esso ulteriore, della «formazione di mondo» da parte dell’uomo, tenta, nondimeno, di salvaguardarne il carattere originario, rilevandoche questa stessa formazione di mondo è un «accadere» del mondo medesimo, nella quale il formatore di mondo e il logos sono tutt’uno. Questaseconda tesi, pure sostenuta da Heidegger, è tuttavia (cfr. infra, cap. 6.3) inconciliabile con la prima.

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Grundes.378   Che cosa indica, in questo caso, il concetto di mondo?   Die Grundbegriffe der Metaphysik   lo spiega:«mondo è la manifestabilità dell'ente in quanto tale nella sua totalità».379  

Va sottolineato, in primo luogo, il mutamento decis ivo che la definizione del concetto di mondo delle lezionidel 1929-30 presenta rispetto a quella delle lezioni del 1928-29. Come si è visto, in  Einleitung in die Philosophie ilmondo, in quanto «ciò verso cui» (woraufzu ) avviene il superamento dell’esserci, in quanto trascendente, dell’ente intotalità, rappresenta un’istanza ben distinta da quest’ultimo.380  Per quanto, in queste lezioni, l’istanza della trascendenza

venga desoggettivizzata, cioè venga distinta dalla vera e propria articolazione esistenziale dell’«essere nel mondo», checostituisce il prodotto del suo «gioco»,381   il mondo resta qui assegnato all’àmbito esistenziale, e quest’ultimo vieneconcepito come ciò che è differente dal manifestarsi dell’ente, che è ciò che viene superato dal trascendere dell’esserci.

 Nelle lezioni del 1929-30, la nozione di mondo risulta riferita, invece, proprio alla manifestazione dell’ente in totalità.Per cogliere il significato dell’identificazione, nei Grundbegriffe , del concetto di mondo con quello della

«manifestabilità dell’ente in quanto tale, nella sua totalità», occorre ricondurre questa definizione alla prospettivaaristotelica che, in vari testi risalenti alla seconda metà degli anni Venti, viene considerata da Heidegger come ladimensione originaria muovendo dalla quale può essere impostata la questione della metafisica: l'articolazione che fariferimento all'ente in quanto tale (on he on), alla parte più nobile dell'ente (timiotaton ghenos) e all'ente in totalità(katholou).382   Si è già visto come Heidegger tenti, nell'annotazione 50a dello  Hüttenexemplar , di reinterpretare lanozione di Sein überhaupt , cioè l'obiettivo finale dell'indagine prevista dal piano di ricerca di Sein und Zeit , proprioattraverso la nozione di Seiendes im Ganzen, corrispondente a quella di katholou (cfr. supra , cap. 3.1); sono stati anchediscussi i motivi per i quali tale autointerpretazione heideggeriana, stante l'inconciliabilità delle due nozioni, è da

considerarsi inaccettabile. L'espressione «das Seiende im Ganzen», riferita nei Grundbegriffe al concetto di mondo, ècioè accostabile alla determinazione aristotelica di katholou, ma irriducibile a quella (messa in gioco nello  Hauptbuchdel 1927) di «essere in generale».

Per comprendere quale sia il concetto di mondo a fuoco nei Grundbegriffe  occorre, dunque, anzitutto definirele caratteristiche della totalità designata dall'espressione «das Seiende im Ganzen»; in secondo luogo, va accertato checosa significhi quest'ultima, in quanto riferita al concetto di mondo. Per ciò che concerne il primo problema, Heideggerchiarisce che l'espressione «im Ganzen» non riguarda il singolo ente che si ha di fronte quando ce ne si occupa, bensìl'ente accessibile in quanto tale, comprendendo, in esso, anche noi stessi.383  E'da questa totalità, sostiene Heidegger, cheoccorre prendere le mosse, qualora si intenda sviluppare l'analisi sul piano della originarietà, fondativo delledeterminazioni dell'ente. L'espressione «das Seiende im Ganzen», infatti, non soltanto non si riferisce al singolo enteche, in quanto difforme dall'ente esistente, sta di volta in volta «davanti» (vor ) a quest'ultimo, in quanto sussistente(vorhanden), oppure disponibile per l'utilizzo ( zuhanden) da parte sua, ma non si riferisce neppure all'ente sussistente outilizzabile nel suo complesso, in quanto distinto da quello esistente: in questo caso, la totalità (Ganzheit ) dell'ente

indica, invece, ciò che «viene prima» di tale distinzione, ovvero ciò che fonda la distinzione medesima. Il concetto alquale si riferisce l'espressione «im Ganzen» non è «ritagliato», prosegue Heidegger, su un particolare ambito dell'ente,cioè su una particolare modalità di manifestazione del medesimo. Al contrario, il mondo, che è l'istanza alla quale siriferisce questo concetto di totalità, «permette la manifestabilità dell'ente multiforme, nelle sue diverse connessioni conl'essere: altri uomini, animali, piante, cose materiali, opere d'arte, tutto ciò, insomma, che possiamo incontrare comeente».384  La distinzione fra l'esistente e l'ente sussistente-utilizzabile, nonché quella fra le diverse esistenze, si fondano,

378  WG, p. 155 [111] Anm. 55a.379  «Welt ist die Offenbarkeit  des Seienden als solche im Ganzen» (GA XXIX-XXX , p. 512 [452]).380

 GA XXVII, p. 240. In queste lezioni, l’identificazione della determinazione del mondo con quella dell’ente in totalità concerne, infatti, soltanto unsignificato derivativo e meramente ontico del concetto di mondo, in quanto non legato alla realtà dell’esserci, ma riferito a ogni ente, sia esso animale,vegetale o minerale: GA XXVII , p. 302.381

 GA XXVII, par. 36.382

 Fra gli altri luoghi si veda  KM , par. 1, dove l'articolazione aristotelica indica, secondo Heidegger, la dimensione originaria del problemametafisico, che sarebbe misconosciuta dalla partizione scolastica di metaphysica specialis e metaphysica generalis. Cfr. supra , par. 5.1.1.383

 «Vor allem betrifft dieses «im Ganzen» nicht etwa nur das Seiende, das wir gerade in irgendeiner Beschäftigung vor uns haben, sondern alles je gerade zugängliche Seiende, uns selbst mit inbegriffen, ist von diesem Ganzen umgriffen. Wir selbst sind mit einbegriffen in diesem «im Ganzen»».(GA XXIX-XXX , p. 513 [453]). Non appare sottoscrivibile la tesi di D. Thomä,  Die Zeit des Selbst und die Zeit danach, cit., pp. 502-503 che vede, inqueste lezioni, il sacrificio di sé da parte dell’ente, in quanto sottomesso all’esserci nel suo carattere di «proprietà» ( Eigentlichkeit ): nei passi citatidallo stesso interprete è l’«ente nella sua totalità» l’istanza datrice di possibilità all’esistenza (GA XXIX-XXX , p. 226 [199]). L’interprete legge neiGrundbegriffe un «documento di transizione» del periodo della riflessione heideggeriana posteriore a Sein und Zeit , fra la pretesa di onnipotenzadell’esserci da un lato, che si esplicherebbe in una «trascendenza utilitaristica», e la tendenza immanentistica, dall’altro, che dà luogo, ponendol’accento sul manifestarsi dell’ente, alla determinazione sincronizzante dell’«attimo» ( Augenblick ; GA XXIX-XXX , p. 505). Contro questa lettura,riteniamo decisivo attribuire la prima delle due tendenze al progetto di ontologia fondamentale per come esso è esposto nello Hauptbuch  eradicalizzato nelle lezioni del 1928 e in Vom Wesen des Grundes, segnalando la svolta che, rispetto a esso, si annuncia nelle lezioni del 1928 e siesplicita, già sul piano della partizione sistematica, in quelle del 1929-30.384  «[...] dieses «im Ganzen», die Welt, läßt gerade die Offenbarkeit von mannigfaltigem Seienden in seinen verschiedenen Seinszusammenhängen zu- andere Menschen, Tiere, Pflanzen, materielle Dingen, Kunstwerke, d. h. alles, was wir als Seiendes anzutreffen vermögen» (GA XXIX-XXX , pp. 513-514 [453]). Anche se non viene esplicitamente richiamata in questa occasione, è chiaro che l'interpretazione dell'articolazione aristotelica - in

 particolare: del sovrapporsi della nozione r iferentesi alla determinazione di on he on e di quella riferentesi alla determinazione di katholou -costituisce il presupposto dello snodo concettuale che, in queste lezioni, identifica la considerazione dell'ente als solchen con quella dell'ente imGanzen. R. J. A. van Dijk, Grundbegriffe der Metaphysik. Zur formalanzeigenden Struktur der philosophischen Begriffe bei Heidegger , «Heideggerstudies», (7), 1991, pp. 102-103 interpreta il passaggio dallo Hauptbuch  alle lezioni del 1929-30 come quello intercorrente fra la riconduzionedell’essere dell’ente intramondano a quello dell’esistente da un lato, e la struttura ontologica della coappartenenza di uomo ed ente dall’altro. Pur

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dunque, nel fenomeno del mondo, che costituisce, dal punto di vista fenomenologico, l'elemento originario. É ora chiaroche cosa comporti, nel testo delle lezioni del 1929-30, la definizione che interpreta il mondo come la «manifestabilitàdell'ente in quanto tale nella sua totalità». In questo modo, la nozione di mondo indica l'evento denominato come«differenza ontologica» (cfr.  supra,  par 5.1.1), a partire dal quale soltanto è possibile l'accadere di una verità ontica e diuna verità ontologica e la comprensione, afferma Heidegger, delle «regioni dell'essere» ( Regionen des Seins) nella lorospecificità.385  L'evento del mondo indica, dunque, l'aprirsi dell'essere che, nel proprio manifestarsi, dà luogo alle diverse

forme dell'ente; per questo la nozione di mondo rappresenta l'elemento concettuale indispensabile alla ricerca intornoalla fenomenizzazioni particolari dell'essere, cioè alle modalità specifiche dell'ente. Queste ultime, infatti, «sono ciò chesono soltanto all'interno di un regnare del mondo, e procedono da questo regnare».386  Il confronto con Vom Wesen desGrundes è, a proposito della decisiva nozione di «differenza ontologica», illuminante. Nello scritto del 1929 (redatto,come si è detto, nel 1928) la «differenza ontologica» è fondata onticamente. Il non nascondimento dell’essere, cioè lasua verità, è infatti sempre, come Heidegger sottolinea, la verità dell ’ente; viceversa, prosegue Heidegger, nella veritàdell’ente è già sempre presente quella del  suo essere.387  In altri termini: la verità ontologica, in quanto distinta da quellaontica, è radicata in quest’ultima; la differenza fra essere ed ente è fondata onticamente. Dichiara, infatti, Heidegger:«denominiamo trascendenza  dell’esserci questo fondamento della differenza ontologica». 388  Questo radicamento ontico(conforme alla tesi-guida dello  Hauptbuch , che fonda l’analitica esistenziale nella dimensione ontica) rinvia al primatoconferito all’esistente dalla prospettiva ontologico-fondamentale (cfr.  supra , cap. 1.2). In questa impostazione, ladifferenza ontologica risulta fondata nella dimensione esistenziale, il primato della quale si coniuga con la

 presupposizione fenomenologico-realistica relativa all’ente. È proprio questa impostazione, nella sua articolazione

«fenomenologico-esistenziale», ovvero «trascendentale», ciò che Heidegger esplicitamente rigetta in un’annotazionemanoscritta (risalente, presumibilmente, al periodo dell’elaborazione dei  Beiträge zur Philosophie) sulla propria copiadella prima edizione (1929) di Vom Wesen des Grundes, dove viene rovesciato il senso della riconduzione, sostenuta neltesto a stampa, della differenza all’istanza esistenziale della trascendenza, cioè all’irrompere «nell’ente» dell’ente cheha la struttura (alla quale viene dato in carico, nel testo a stampa, l’onere della differenziazione) dell’essere nelmondo.389  

Diversa è invece la prospettiva delle lezioni del 1929-30: qui la differenza ontologica «appartiene aquell'accadere fondamentale (Grundgeschehen) nel quale si muove l'esserci in quanto tale». (GA XXIX-XXX , p. 523[461]).

Per comprendere la distanza che si apre fral’interpretazione del fenomeno del mondo che, in Sein und Zeit , prende le mosse dalll’esistente da quella che, nei Grundbegriffe , prende le mosse dall’«ente nella sua totalità», occorresottolineare che, in questo modo, è la stessa nozione di «totalità» a ricevere una diversa caratterizzazione. Nello Hauptbuch , infatti, la nozione di «totalità» (Ganzheit ) entra in gioco a proposito della dterminazione dell’esistente e

della necessità, a tal fine, di considerarlo, appunto, nella sua totalità: la «ripetizione», alla luce della temporalità,dell’analisi condotta nella prima sezione dell’opera del 1927 si impone, infatti, alla luce di tale esigenza. 390  Diversamente, nelle lezioni del 1929-30 la totalità (dell’ente) costituisce il punto d’attacco dell’indagine, in quanto è a

 partire da essa che l’ente va determinato. Di conseguenza, nonostante le analisi dedicate allo «stato d’animo»(Stimmung ) della noia, in queste lezioni è nella dimensione ontologica della domanda sull’ente in totalità (in quantoessa, iuxta la connessione aristotelica che colloca la ricerca sull’essere nell’articolazione fra ente in totalità, parte più

sottoscrivendo questa tesi, riteniamo problematico sostenere, in base a essa, una «indifferenza» dell’ente in totalità rispetto al proprio manifestarsi omeno: proprio la manifestabilità (ovvero, il rapporto all’esistente)costituisce il carattere decisivo del «regnare del mondo».385  Va notato che la condanna heideggeriana della comprensione metafisica della natura, sviluppata nella Critica della ragion pura , viene espressa

 proprio muovendo da queste acquisizioni, relative al rapporto tra l'ente e il fenomeno del mondo. Questa condanna costituisce, da parte di Heidegger,un'ulteriore presa di distanza nei confronti del proprio progetto di ontologia fondamentale, che nell'opera kantiana aveva rintracciato elementi validi ai

fini della «fondazione della metafisica», da avviarsi sulla base della concezione di «conoscenza ontologica» prefigurata nella Critica. Nelle lezioni del1929-30, invece, l'indagine ontologica kantiana, in quanto indirizzata alle condizioni di possibilità dell'ente sussistente, secondo Heidegger non necoglie il tratto decisivo, che consisterebbe nel suo definirsi a partire dal rapporto che esso intrattiene con il fenomeno del mondo. Nel caso dell'entemateriale, definito dalla condizione di Weltlosigkeit , questo rapporto è negativo, ma costituisce nondimeno, ai fini della determinazione di questoente, un'indicazione concettuale «in positivo»: GA XXIX-XXX , p. 514 [454].386  «[...] nur sind, was sie sind, innerhalb eines und aus einem Walten der Welt heraus». (GA XXIX-XXX , p. 514 [454]). Proprio perché Sein und Zeitmette a fuoco l’esserci, che si configura come totalità a partire da sé medesimo, lo Hauptbuch  si caratterizza come «un’opera di filosofia dellasoggettività» ed è, in questo senso, «soggettivistico»: W. Schulz, Über den philosophiegeschichtlichen Ort Martin Heideggers, in Heidegger.

 Perspektiven zur Deutung seines Werks,  hrsg. v. O. Pöggeler, Drittes ergänzte Auflage, Beltz, Weinheim 1994, p. 106.387  «Unverborgenheitdes Seins aber ist immer Wahrheit des Seins von  Seiendem, mag  dieses wirklich sein oder nicht. Umgekehrt liegt in derUnverborgenheit von Seiendem je schon eine solche seines Seins» (WG, pp. 133-134 [89-90]).388   « Diesen Grund der ontologischen Differenz nennen wir die Transzendenz des Daseins» (WG, p. 135 [91]). Su questo punto, si veda M.Ruggenini, Il soggetto e la tecnica, cit., p. 107389 Così il testo a stampa: «[...] nur wenn [...] die Transzendenz geschiehtd. H. wenn Seiendes vom Charakter des In-der-Welt-seins in das Seiendeeinbricht, besteht die Möglichkeit, daß Seiendes sich offenbart » (WG, p. 159 [115]), e dunque «[...] durch die Erhellung der Transzendenz allererst

ein zureichender Begriff  des Daseins gewonnen, mit Rücksicht auf welches Seiende gefragt werden kann» (WG, p. 159 [115] Anm. 56). Questo ilcommento della Randbemerkung : « Aber hier die irrige Bestimmung des Verhältnisses von “Unterscheidung” und Transzendenz. Die Transzendenzwest in der Untercheidung - diese ist der Austrag des Unterschieds. - Hier die Vorbereitung des ganz anderen Anfangs; alles noch gemischt undverworren; Verzwungen in phänomenologisch-existenzialer und transzendentaler “Forschung”» (WG, p. 159 [115] Anm. b).390  SZ , par. 45.

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nobile dell’ente ed ente in quanto tale) è domanda sull’ente in quanto tale, cioè sull’essere, e non più nella dimensioneontico-ontologica alla quale appartiene lo «stato d’animo» dell’esistente che l’istanza della totalità viene a radicarsi.

É ora chiaro in che cosa consista la «svolta» che caratterizza la prospettiva delle lezioni del 1929-30 rispetto al progetto di ontologia fondamentale, sviluppato nei testi elaborati negli anni immediatamente precedenti. Come si èvisto, muovendo dall'assunzione, in qualità di punto di partenza dell'analisi, della distinzione fra l'ente esistente e quellosussistente-utilizzabile, l'ontologia fondamentale intende pervenire (attraverso l'indagine rivolta all'istanza ontologica

relativa al primo, concepita come la condizione di possibilità del secondo) alla dimensione ontologica che dia contodell'uno e dell'altro, nonché della pluralità dei diversi esistenti. Nei Grundbegriffe der Metaphysik , questa distinzione fral'ente esistente e quello difforme da esso riceve, all'interno della strategia argomentativa heideggeriana, una nuovacollocazione; quest'ultima è motivata dal diverso grado di rilevanza che, a confronto di quello rivestita nell'ontologiafondamentale, la difformità di esistente e sussistente assume, in queste lezioni, dal punto di vista fenomenologico. Nellelezioni, tale difformità appare, infatti, come la fenomenizzazione dell'«ente in totalità»; esso si manifesta, nel casodell'esserci così come in quello dell'ente difforme da esso, secondo la possibilità essenziale dell'uno e dell'altro.Entrambi, pur secondo l'essenza propria di ciascuno, costituiscono, cioè, «modalità dell’essere dominato dall’ente ilquale, in quanto concepito come “in totalità”, abbraccia e comprende».391  

La figura concettuale del «regnare del mondo», che compare al termine della trattazione esposta in  DieGrundbegriffe der Metaphysik  (che esamineremo nel corso del cap. 6), ne è, in effetti, il presupposto ontologico. Nellelezioni del 1929-30 il dato fenomenologicamente primario (ovvero, il punto di partenza dell'indagine) non è piùcostituito, come è nell'ontologia fondamentale, dalla distinzione fra l'ente esistente e quello che si presenta a esso nella

forma della sussistenza e dell'utilizzabilità (dalla distinzione, cioè, fra l'uomo e l'animale, o fra l'uomo e la pietra), bensìdalla caratteristica che è comune a tutti questi enti: il fatto, appunto, di essere enti, e perciò (nella misura in cui sono pensati «in quanto tali», cioè «in totalità») il fatto di essere manifestazioni dell'evento del manifestarsi dell'ente (il«regnare del mondo»), dal quale essi, in quanto e-venuti, differiscono. Il primato che, in questa prospettiva, restariconosciuto all'esistenza, cioè alla soggettività umana, risulta giustificato (cioè dedotto) a partire dal rapporto che essaintrattiene con il fenomeno del mondo; nella prospettiva dell'ontologia fondamentale, tale primato costituisce, invece, il

 punto d'avvio dell'indagine. Si ripropone, qui, l’aspetto di ambiguità del legame che intercorre fra la prospettivadell’ontologia fondamentale e quella delle analisi dei Grundbegriffe   (cfr.  supra , cap. 5.1.1). Dal punto di vista

 programmatico, viene infatti mantenuta, quale esigenza imprescindibile dell’indagine, la finalità, già obbiettivodell’«ontologia fondamentale», di dar conto dell’essere dell’esistente (cfr. infra, cap. 6. 1. 1); d’altro lato, il mutamentodel percorso argomentativo seguito per giungere a tale obbiettivo comporta una presa di distanza dall’ontologiafondamentale, e una messa in questione del progetto metafisico al quale essa appartiene: l’istanza ontologica non viene

 più accostata muovendo dalla sua comprensione da parte dell’esistente, ovvero a partire dalla struttura esistenziale

dell’essere nel mondo, bensì , all’inverso, l’esistente risulta da determinarsi muovendo dall’istanza ontologica che neiGrundbegriffe  è espressa dall’«ente in quanto tale nella sua totalità», cioè dal fenomeno del mondo.

5.2.2 Mondità, essere in generale, regnare del mondo.

Il mutamento del punto d'attacco dell'analisi (ovvero la ricollocazione, in essa, della distinzione fra esistente esussistente) riflette, in effetti, una radicale revisione del progetto di ontologia fondamentale, e dei concetti sui quali essosi basa. In Sein und Zeit , muovendo dalla distinzione fra l'ente esistente (caratterizzato dalla struttura esistenzialedell'essere nel mondo) e quello difforme da esso, il tentativo, da parte di Heidegger, di ricondurre il secondo al primo

 passa attraverso l'attribuzione, alla struttura esistenziale della Weltlichkeit , del ruolo di condizione ontica della possibilità di scoprire l'ente intramondano in generale.392   Correggendo questa affermazione, l'annotazione 118a dello Hüttenexemplar   (il cui terminus a quo è il 1929) sostituisce, alla nozione di mondità, quella di «regnare del mondo»

(Walten der Welt ): «meglio» che dalla nozione di «mondità», dunque, l'«essere della condizione ontica della possibilitàdi scopribilità dell'ente intramondano in generale» viene espresso, secondo questa annotazione, da quella di «regnaredel mondo».393  

391  «[...] sind Weisen des Umwaltet- und Durchwaltetseins von diesem «im Ganzen»». (GA XXIX-XXX , p. 513 [453]). Per comprendere il diversorapporto che si instaura, in questo caso, fra il mondo e l’esistente, è utile la ricostruzione di R. Pocai,  Heideggers Theorie der Befindlichkeit. Sein

 Denken zwischen 1927 und 1933 , Alber, Freiburg-München 1996, pp. 96-97 che rileva come, laddove nello Hauptbuch  il rapporto al mondo sirisolve, all’interno della struttura dell’essere nel mondo, anzitutto come un rapporto a sé da parte dell’esistente, in testi come Was ist Metaphysik?onei Grundbegriffe  l’esistente viene individuato a partire dalla sua localizzazione nell’àmbito dell’ente che si manifesta. A questo proposito,concordiamo con l’affermazione di P. Mc Donald, Daseinsanalytik und Grundfrage, cit., pp.98-99, secondo la quale l’idealismo di Sein und Zeit  consiste nel fatto che l’esistente non risulta “definito” dal “mondo”, concepito come l’ente in totalità, bensì , a l contrario, la totalitàdell’ente vienedeterminata muovendo dal soggetto. Accettando questa tesi, va notato che proprio questo è il punto che viene mutato nel testo delle lezioni del 1929-30.392  «[...] das Sein der ontischen Bedingung der Möglichkeit der Entdeckbarkeit von innerweltlichem Seienden überhaupt die Weltlichkeit von Welt »

(SZ , p. 118 [166]). Cfr.  supra , cap. 1. Nelle lezioni del 1928, conseguentemente al processo di trascendentalizzazione qui subì to dal concetto dimondo, l'istanza indicata dal termine Weltlichkeit  designa la condizione ontologica di possibilità dell'ente intramondano: cfr.  supra , cap. 3.1.3).393  « Besser: das Walten der Welt » (SZ , Anm. 118a). Come rileva il Grimms Deutsches Worterbuch, il termine «walten», ampiamente attestato nellastoria della lingua tedesca per indicare autorità, supremazia o possesso su qualcosa o su qualcuno, soprattutto a partire dal sedicesimo secolo ricorrenel suo uso assoluto., senza riferimento necessario all’ente nei confronti del quale si esplica l’azione: l’istanza indicata dal verbo « walten» non

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 Non si tratta, qui, della mera sostituzione di una determinazione ontologica con un'altra, ovvero della surrogadi un principio fondativo con un altro più efficace; ciò che in questo passaggio viene messo in discussione èl'impostazione delo stesso rapporto fondativo che, nel progetto di ontologia fondamentale, prevede la riconduzionedell'essere difforme dall'esserci a quello di quest'ultimo. La condizione di scopribilità dell'ente intramondano (ovvero,come si è visto, la sua possibilità di essere come tale) viene, infatti, data in carico non più alla determinazione chedesigna la struttura ontologica dell'esistente, bensì al fenomeno - il mondo, ovvero il suo «regnare» - che, in quanto

evento della differenza ontologica, sfugge alla determinazione da parte della verità ontologica, che è (così come ladistinzione fra ambito esistenziale e ambito categoriale) preceduta e fondata da esso. In questa annotazione emerge,dunque, il senso del passaggio dalla prospettiva dell’ontologia fondamentale di Sein und Zeit   a quella «cosmologica»,

 per come essa si delinea nelle lezioni del 1929-30. In  Die Grundbegriffe der Metaphysik , il «regnare del mondo» siconfigura come un progettare: il mondo opera nel progetto,394  o, più precisamente, « il mondo opera in e per un lasciarregnare a partire dal carattere del progettare».395  

Per comprendere il significato della nozione di «regnare del mondo» è utile far riferimento alla sua occorrenzain Vom Wesen des Grundes, dove il «regnare del mondo» è ricondotto, quale suo fondamento, alla libertà: « Freiheitallein kann dem Dasein eine Welt walten und welten lassen. Welt ist nie, sondern weltet».396  In altri termini: in VomWesen des Grundes il «regnare del mondo» appare come una funzione della libertà, cioè del trascendere dell’esistente,laddove nei Grundbegriffe   tale «regnare» rappresenta l’evento costitutivo dell’uomo in quanto esistente.397   Qui il«regnare» non può, in alcun modo, essere considerato come una mera articolazione della struttura esistenziale, e vainvece riferito all’«ente in totalità».398  

Heidegger sottolinea il fatto che il «regnare del mondo» non deve essere inteso come l'esplicarsi di un'istanzache sussista prima, e al di là, del proprio agire: il mondo si forma, infatti, nell'accadere del progetto, 399   e le duedeterminazioni (il «mondo» nel suo «regnare» e il «progetto») finiscono per sovrapporsi. Il progettare costituisce,spiega Heidegger, l'accadere della differenza ontologica, in quanto svela, aprendolo, quel rendere possibile che

dipende, dunque, dall’ente nei confronti del quale essa si esercita. Essa costituisce, anzi, la condizione di possibilità dell’ente medesimo, e dellacorrelazione con esso, all’interno della quale essa segn ala, nel rapporto asimmetrico così instaurato, il proprio carattere differenziale. Scegliamo direndere «walten» attraverso il termine italiano «regnare», anziché attraverso quello «prevalere» (utilizzato da Paola Coriando, traduttrice dell’edizioneitaliana dei Grundbegriffe, che peraltro ringraziamo per le delucidazioni forniteci), per sottolineare, appunto, tale carattere differenziale, in senso nonmeramente quantitativo, dell’esplicarsi del fenomeno del mondo, e l’incongruenza del piano sul quale esso si pone rispetto all’ente. Come i sudditisono tali soltanto nel rapporto di subordinazione con il sovrano (l’assolutezza del quale marca, tuttavia, un carattere differenziale che non comporta néil possesso delle vita fisica del suddito, né un prevalere basato su una mera differenza quantitativa di potere), così il mondo non «possiede» gli entiavendoli creati, né «prevale» su di essi, presupponendoli come già in qualche dati al suo dominio, ma invece conferisce loro la possibilità d’essere, inquanto gli enti si danno, come tali, soltanto nel rapporto con il mondo. In questo modo, la questione relativa al « Sinn von Sein überhaupt » (in quanto

questione relativa a come l’essere faccia essere l’ente, muovendo dal quale ultimo si deve, nella prospettiva dell’ontologia fondamentale, ricostruireil senso, «in generale», dell’essere) si riformula in quella relativa al «Waltenlassen der Welt »., come questione relativa a come il mondo fa essere, nelsuo «regnare», l’ente da esso signoreggiato. Si giunge, con ciò, alle soglie della Kehre, in quanto questione relativa a come il tempo possa farsicomprendere dall’uomo, cioè dall’ente al quale, situato nel mondo, accade (temporalmente, ovvero storicamente) la «formazione di mondo»: C.Strube, Zur Vorgeschichte der herm eneutischen Phänomenologie , Königshausen und Neumann, Würzburg 1993, pp. 129-130. 394

 « Im Entwurf waltet die Welt » (GA XXIX-XXX , p. 530 [467]). Laddove in Sein und Zeit la nozione di Entwurf , in quanto prendersi cura e decisioneda parte dell’esserci, è lega ta alla dimensione del futuro, nelle lezioni del 1928-29 l’analisi fenomenologica mette in secondo piano tale dimensione esi sviluppa sul piano dell’analisi sistematica dell’ente nella sua presenzialità ontologica, precedentemente sacrificata a favore del futuro, quale suacondizione (trascendentale) di possibilità:D. Thomä, Die Zeit des Selbst und die Zeit danach, cit., pp. 498-500; correlativamente, entra in gioco lanozione di Weltentwurf , che fa premio sul riferimento all’esistente di quella di Entwurf  (ibidem , p. 507; cfr. infra, cap. 6.1.2).395  «Welt waltet in und für ein Waltenlassen vom Charakter des Entwerfens». (GA XXIX-XXX , p. 527 [464]). Per un esempio dell’ulterioreradicamento, nella fase successiva della riflessione heideggeriana, della determinazione del «regnare» nell'istanza del mondo (pur se in unacostellazione concettuale profondamente mutata), si veda l'interpretazione del frammento 53 di Eraclito, secondo la quale il mondo è ciò che sidispiega rimanendo presso di sé: M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik ,  Niemeyer, Tübingen 1966, [trad. it. di G. Masi, a cura e conintroduzione di G. Vattimo, Introduzione alla metafisica , Mursia, Milano 1990, pp. 72-73]; si veda, al proposito, J. Derrida, L'oreille de Heidegger.

 Philopolemologie  [trad. it. di G. Chiurazzi,  L’orecchio di Heidegger. Filopolemologia , in J. Derrida, La mano di Heidegger, a cura e con introduzione

di M. Ferraris, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 90 sgg.. Già in Einführung in die Metaphysik , opera tratta dal corso di lezione del semestre estivo del1935, e in misura maggiore con l’evolversi della riflessione heideggeriana in direzione del «pensiero dell’essere», la nozione di «walten» apparecome la radice dell a differenza (ontologica) che, nella Lichtung , tiene assieme fondante e fondato: M. Heidegger, Identität und Differenz, Neske,Pfullingen 1957, p. 63 [trad. it. a cura di U. M. Ugazio, Identità e differenza , «aut aut», (187-188), 1982, pp. 31-32].396  WG, p. 164 [120]. I. Koza,  Das Problem des Grundes in Heideggers Auseinandersetzung mit Kant , cit., p. 44 sottolinea che il fondamento quicustodito dall’esserci, che fa sì che il mondo «operi e mondeggi», che pone di fronte l’ente all’esserci, non è l’originario fondamento ontologico, cheè, invece, la libertà, ovvero la trascendenza, in quanto modo d’essere dell’esserci. (WG, p. 164 [120]). Per questo non appare condivisibile la lettura diK. Fischer, Abschied. Die Denkbewegung Mart in Heideggers, Königshausen und Neumann, Wurzburg 1990, p. 147 che, in una prospettiva dicontinuità con gli scritti heideggeriani degli anni seguenti, legge l’affermazione di Vom Wesen des Grundes come il segno di una limitatezza dellalibertà, nel suo essere gettata, per la propria fondazione, nell’ente.397  Per comprendere in che misura Heidegger medesimo percepisca la riconduzione, in Vom Wesen des Grundes, del «regnare del mondo» alla libertàcome un’operazione ipotecata dalla prospettiva antropocentrica e soggettivista, è significativa un’annotazione manoscritta vergata su una copia dilavoro della prima edizione di quest’opera. Laddove il testo a stampa afferma che, nel trovarsi di fronte dell’«in vista di» (Umwillen), in cui può darsiun libero Sé, l’esserci accade «nell’uomo», che appare come il terreno primario di tale accadere, l’annotazione corregge sostenendo che, «alcontrario», la possibilità dell’essere dell’uomo viene fondata nell ’esserci: WG, p. 164 [120] Anm.  A.398

 « Das Walten des Seienden im Ganzen» (M. Heidegger, Unbenutze Vorarbeiten zur Vorlesung vom Wintersemester 1929/30 “Die Grundbegriffeder Metaphysik. Welt - Endlichkeit - Einsamkeit”, «Heidegger studies», (7), 1991, p. 8). La rimozione (rilevata da D. Thomä, Die Zeit des Selbst unddie Zeit danach, c it., p. 497), dalle lezioni del 1929-30, del «contes to pragmatico» si spiega, a nostro parere, proprio con questo decisivo mutamentodi prospettiva dell’indagine, che attribuisce il «regnare» al mondo, anziché all’esserci.399  « Im Geschehen des Entwurfs bildet sich Welt ». (GA XXIX-XXX , p. 531 [468]).

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costituisce il fondamento sia della connessione, sia del passaggio tra possibile e reale. Il progetto, sostiene Heidegger,costituisce l'«irruzione» ( Einbruch) in questo «tra».400  È significativo, a questo proposito, il mutamento verificatosi nei Die Grundbegriffe rispetto al testo delle lezioni del 1928-29 e a Was ist Metaphysik? (cfr.  supra , cap. 4.3.1). In questitesti, l’«irruzione» risulta compiuta dall’esserci nei confronti del mondo che, come ente in totalità, gli si contrappone.Al termine dei Grundbegriffe , l’«irruzione» viene invece presentata come funzione del «regnare del mondo»; essaaccade tra essere ed ente, e consiste nell’evento della differenza che dà loro luogo come differenti. La trasformazione

subita dalla nozione di  Einbruch mette dunque in luce l’evolversi della posizione heideggeriana dalle lezioni del 1928-29 e da  Was ist Metaphysik?, in quanto testi ancora collocati nell’orizzonte dell’ontologia fondamentale, a queglielementi dei Grundbegriffe   (quali la determinazione di «regnare del mondo») che trascendono questo orizzonte. Taleevoluzione consiste nello spostamento del centro focale dell’indagine, dal ruolo attivo giocato dall’esistente alfenomenizzarsi dell’istanza cosmologica.

 Nel trapasso dalla prospettiva dell'ontologia fondamentale a quella dei Grundbegriffe der Metaphysik , è proprio la sostituzione, nel ruolo di istanza fondativa (tanto per l'esserci, quanto per l'ente da esso difforme), dellastruttura della mondità con la dinamica del «regnare del mondo» a provocare il mutamento di ruolo (da punto di

 partenza dell'indagine a problema del quale rendere conto) che investe la distinzione fra l'ente esistente e quellosussistente-utilizzabile. In altri termini: dal momento che collocano l'istanza fondativa nell'ente in quanto tale (cioènell'ente «in totalità», ovvero nel mondo), e da qui procedono per spiegare le diverse modalità dell'ente, le lezioni del1929-30 non possono muovere dal riferimento privilegiato (che risulta invece da dedursi, cioè da giustificarsi, sulla basedell'accesso al fenomeno del «regnare del mondo») all'ente esistente, piuttosto che a quello difforme da esso. Nella

 prospettiva delle lezioni del 1929-30, è il mondo, che accade soltanto in questo incontro al quale esso dà luogo, a darragione della possibilità dell'incontro medesimo: esso viene giustificato sulla base della comune radice metafisica(l'«essere ente») dei termini in relazione, e del loro specificarsi in virtù del diverso grado di manifestabilità, in ciascunodi essi, di tale radice comune.

Questa nuova collocazione, all'interno del procedere dell'indagine, della distinzione fra le diverse modalitàdell'ente (esistente e sussistente-utilizzabile, secondo l'impianto di Sein und Zeit , pietra, animale, uomo, secondo quellodei Grundbegriffe ),401   comporta inoltre, in quanto mirata a evitare che tale distinzione si configuri come unadivaricazione, uno svuotamento del ruolo del concetto di «essere in generale»; nel progetto di ontologia fondamentale,esso aveva la funzione di ricondurre a unità le istanza ontologiche delle diverse modalità dell'ente. Sostituendo ericonfigurando il ruolo fondativo attribuito, in Sein und Zeit , alla struttura della mondità, la dinamica del «regnare delmondo» ha anche occupato, in  Die Grundbegriffe der Metaphysik,  lo spazio concettuale attribuito, nello  Hauptbuch, alla determinazione di «essere in generale».

Del resto, la messa in questione di tale determinazione compare già nel progetto, annunciato nel testo delle

lezioni del 1928, di quella che Heidegger definisce come «metaontologia», sottolineando che «l’ontologia fondamentalenon esaurisce il concetto di metafisica».402  Di per sé, questa affermazione può essere ricondotta alla tesi di Sein und Zeit , secondo la quale l’analitica esistenziale giunge soltanto alle soglie del problema cardine dell’ontologia, costituitodalla questione relativa al senso dell’essere in generale. In queste lezioni, tuttavia, il carattere preliminare dell’analiticaesistenziale appare diversamente definito rispetto allo  Hauptbuch , in quanto qui Heidegger afferma che l’ontologiafondamentale deve giungere, attraverso un «mutamento» (Umschlag , metabolhe, ovvero una  Kehre), allametaontologia.403  Nella loro unità, afferma Heidegger, ontologia fondamentale e metaontologia formano il concetto dimetafisica.404  La nozione di metaontologia appare congruente con l’idea che la ricerca ontologica pervenga, quandogiunge di fronte al proprio problema cardine, a mettere in questione sé medesima: il problema della metafisica, secondola celebre espressione del  Kantbuch del 1929, è costituito dalla metafisica come problema. L’elemento decisivo consistenel fatto che, nelle lezioni del 1928, tale «problema cardine» dell’ontologia non è più costituito (come accade in Seinund Zeit ) dalla questione relativa al senso dell’essere in generale, bensì «ha a tema l’ente nella sua totalità [das Seiendeim Ganzen]».405   Quello fra la ricerca ontologica sull’esserci e l’indagine rivolta all’«essere in generale» si configura,

400 «Weder die Möglichkeit noch die Wirklichkeit ist Gegenstand des Entwurfs - er hat überhaupt keinen Gegenstand, sondern ist das Sichöffnen für

die Ermöglichung. [...] Das Entwerfen als dieses Entbergen der Ermöglichung ist das eigentliche Geschehen jenes Unterschiedes von Sein undSeiendem.   Der Entwurf ist der Einbruch in dieses «Zwischen» des Unterschiedes. Er ermöglicht erst die Unterschiedenen in ihrerUnterscheidbarkeit. Der Entwurf enthüllt das Sein des Seienden». (GA XXIX-XXX , p. 529 [466-467]). Si ricordi anche l'affermazione secondo la quale« Höher als die Wirklichkeit steht die Möglichkeit» (SZ , p. 51-52 [100]).401  Rispetto alla partizione di Sein und Zeit  fra le diverse modalità dell’ente, quella dei Grundbegriffe non appare affatto come sovrapponibile: larealtà dell’animale si sottrae, infatti, alla dicotomia esistenziale-categoriale (J. Derrida, De l’esprit. Heidegger et la question, Galilée, Paris 1987 [trad.it. di G. Zaccaria, Dello spirito. Heidegger e la questione, Feltrinelli, Milano 1989, pp. 61-62]), e segnala il mutamento di prospettiva dell’indagine,teso a parer nostro a “decentrare”, in qualche misura, la posizione dell’uomo.402  GA XXVI , pp. 199-200 [186-187].403  GA XXVI , p. 201 [189]. Secondo K. E. Mink, Heidegger: Ontology, Metontology and the Turn , UMI, Ann Arbor 1990, pp. 88-89, il progetto dimetaontologia rappresenta, tanto dal punto di vista storiografico quanto da quello teorico, l’elemento di passaggio dall’ontologia fondamentale alla«metafisica della verità», che appare negli scri tti heideggeriani. Secondo l’interprete, il concetto di trascendenzadelle lezioni del 1928, in quantoorientato al proprio radicamento nel fondamento, fa di questo testo il punto di svolta al’interno della riflessione heideggeriana.404  GA XXVI , p. 202 [189].405  GA XXVI , p. 199 [187]. In modo leggermente diverso si esprime Mc Neill, W., Metaphysics, Fundamental Ontology, Metontology 1925-1935,«Heidegger studies», (8), 1992, p. 75, che individua l’elemento di novità della metontologia nel fatto che, come Heidegger stesso sottolinea, in essavenga tematizzata la totalità dell’ente, anziché il carattere di essere dell’esserci. F.-W. von Herrmann,  Heideggers “Grundprobleme der

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nello  Hauptbuch, come un rapporto di continuità: l’una porta «davanti» all’altra. Nelle lezioni del 1928, il«mutamento», prodotto dalla messa a fuoco «metaontologica» dell’«ente nella sua totalità nella luce dell’ontologia»,comporta, per l’ontologia fondamentale, la spinta a uscire da sé medesima, al di fuori da qualunque possibilità digiustapposizione o di integrazione.406  

Rispetto alle lezioni del 1928, sulla strada dell’esautoramento della figura concettuale dell’«essere ingenerale», Vom Wesen des Grundes compie, come si è visto, un passo ulteriore, coniugando la rimozione della valenza

realistica precedentemente attribuita all’ente intramondano e la messa in scacco (attuata attraverso la sovrapposizionedelle due istanze, quella dell’essere dell’esserci e quella dell’essere «in generale») di uno dei caposaldi del progettodell’ontologia fondamentale, consistente nel rapporto di preliminarità istituito fra l’indagine relativa all’esseredell’esistente e quella relativa all’essere «in generale»(cfr.  supra , cap. 3.2). Le lezioni del 1929-30 esautorano dunque lafigura dell’«essere in generale» attraverso quella di «regnare del mondo», la quale, nel contempo, richiude il duplicedualismo che si delinea nell’opera del 1927: quello fra l’essere dell’esistente e l’essere dell’ente intramondano da unlato, e quello fra l’essere dell’esistente e l’essere «in generale» dall’altro (cfr.  supra , cap. 1.2.3). Nella prospettiva deiGrundbegriffe , per quanto concerne entrambi i dualismi non si tratta più di pervenire a una dimensione che, muovendodal riconoscimento della distinzione fra due termini, giustifichi il loro coerire, bensì di mostrare accadere e legittimitàdella distinzione muovendo dall'evento  del suo accadere, che costituisce i distinti (ovvero, le specificazioni dell'ente)come tali. Questo evento (non il suo prodotto; non, cioè, le specificazioni che esso produce, e nelle quali, anzi, esso «si»

 produce) rappresenta, sostiene Heidegger, l'oggetto delle indagini sviluppate in  Die Grundbegriffe der Metaphysik ;questo evento è designato, esplicitamente, come «regnare del mondo» e come «differenza ontologica». Ancora nelle

lezioni del 1928-29 (riecheggiando, pur se in un diverso orizzonte, consimili affermazioni delle lezioni del 1928 e diVom Wesen des Grundes), quest’ultima determinazione appare come una funzione della trascendenza dell’esserci; 407  nelle lezioni del 1929-30, concepita come funzione del «regnare del mondo», la differenza ontologica, in quanto

 pensata - al di là, come si è visto, delle possibilità di ogni ontologia - in se stessa, rappresenta « la differenza [...] che allafin fine, e dal punto di vista fondamentale, rende possibile ogni distinguere e ogni distinzione».408  Stando a questeaffermazioni, il «regnare del mondo», ovvero la «differenza ontologica», è diventato dunque, nel progetto metafisicodei Grundbegriffe, il Kardinalproblem della ricerca.

«Differenza», piuttosto che «determinazione», è dunque il rapporto che lega l’evento del fenomeno del mondoalle manifestazioni dell’ente (pietra, animale, uomo) che, «in esso», trovano aperto il proprio spazio: « das Freie», comericorda Heidegger. L’evento del mondo, dunque, da un lato fonda nelle manifestazioni dell’ente determinandole: perquesto verso, esse costituiscono determinatezze del mondo. In un altro e più originario significato, tuttavia, questostesso determinare è reso possibile dal fatto che il «regnare del mondo» si qualifica non come determinante, bensì comedifferente: determinante, dunque, in quanto differenza: la differenza che apre la possibilità per ogni differente, ed è,

dunque, altra cosa («differente») da esso. Tale differenza trova la propria possibilità nel fenomeno del mondo, cioè nelsuo carattere di evento: il «regnare del mondo», che viene definito, appunto, dal suo carattere differenziale, cioèevenemenziale. A partire dall’esautoramento che l’istanza del «regnare del mondo» compie nei confronti di quelladell’«essere in generale», si aprono, dunque, due possibili scenari. Il primo, delineando una «cosmologiafondamentale», comprende il fenomeno del mondo nella sua funzione, nei confronti delle manifestazioni del’ente,determinativa; il secondo, insistendo piuttosto sulla differenza tra queste manifestazioni e il carattere fenomenico, cioèevenemenziale, del «regnare del mondo», rinvia, invece, a una prospettiva che è legittimo definire come «cosmologiafenomenologica».

 Phänomenologie”. Zur “Zweiten Häl fte”von “Sein und Zeit” , Klostermann, Frankfurt a. M. 1991, pp. 54-55, il quale pure sottolinea la diversitàfra ladeterminazione di Fundamentalontologie e quella di Metontologie, ritiene che l’indagine relativa alla seconda sia già prevista nel progetto di Sein und

 Zeit .406  GA XXVI , p. 200 [187-188]. Diversamente interpreta J. U. Barrón,  Die Grundarti kul ation des Seins. Eine Untersuchung auf dem Boden der

 Fundamentalontologie Mart in Heideggers , Königshausen und Neumann, Würzburg 1992, p. 12, che riconduce alla prospettiva ontologica sial’ontologia fondamentale, in quanto mirata all’essere dell’esistente, sia la metaontologia, in quanto rivolta all’ente in totalità. In questo modo, vatuttavia perso proprio il passo decisivo - che le lezioni del 1928 annunciano attraverso la nozione di metaontologia e quelle del 1929-30 esplicitano -rispetto a Sein und Zeit , cioè la messa in questione della nozione stessa di ontologia che, anche quando indaga l’«essere in generale», non è all’altezzadel proprio compito metafisico. Sul progetto di metaontologia, da intendersi come momento ulteriore, nella riflessione heideggeriana, rispetto a quellodi ontologia fondamentale, ha invece richiamato l’attenzione J. Greisch, Hermeneutik und Metaphysik. Eine Problemgeschichte, Fink, München 1993,

 p. 198. E. Kettering,  Fundamentalontologie und Fundamentalalethiologie, in Martin Heidegger: Innen- und Außenansichten, hrsg. v. Forum fürPhilosophie Bad Homburg, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1989, pp. 204-205, rilevando come il rifiuto (esplicitato da Heidegger negli anni Quaranta) del

 proget to di ontologia fondamentale trovi qui le sue radici, interpreta questo come il passaggio dall’«ontologia  fondamentale» all’«ontologia fondamentale», cioè dalla tematizzazione dell’istanza ontologica, concepita come il fondamento dell’ente, alla messa in questione della nozione stessadi fondamento.407  « Die Transzendenz des Daseins i st die Bedingung der Möglichkeit der ontologischen Differenz» (GA XXVII , p. 210).408  «[...] der Unterschied  [... ] der am Ende und im Grunde alles Unterscheiden und alle Unterschiedenheit ermöglicht». (GA XXIX-XXX , p. 517[456]). Per questo non appare legittimo sostenere (così D. Thomä, Die Zei t des Selbst und die Zeit danach, cit., p. 506) la tesai di un effettivo

 perdurare, nelle lezioni del 1929-30, dell’istanza dell’essere in generale, per quanto indagata con modalità differenti rispet to a Sein und Zeit .

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CAPITOLO SESTO. COSMOLOGIA FONDAMENTALE E COSMOLOGIA FENOMENOLOGICA: IL

MONDO COME FONDAMENTO E COME EVENTO.

E questa è la differenza tra l’universo e le cosedell’universo; perché quello comprende tutto lo essere e

tutti i modi di essere: di queste ciascuna ha tutto l’essere,ma non tutti i modi di essere...G. Bruno, De la causa, principio e uno, V.

 Nel capitolo precedente si è visto come il nuovo progetto metafisico esposto nei Grundbegriffe der Metaphysik  faccia perno sulla nozione di «regnare del mondo», piuttosto che su quella di «essere in generale», e come ciò apra l’analisi adue diverse prospettive: la «cosmologia fondamentale» e la «cosmologia fenomenologica». Intendiamo ora esaminareentrambe, nonché il rapporto che intercorre fra esse. A tal fine, occorre mettere a fuoco, in via preliminare, il concetto dimondo che, nei Grundbegriffe , appare come il «termine medio» fra i due diversi indirizzi d’indagine qui presenti: quellorivolto all'essere dell'ente in totalità e quello rivolto alla determinazione della specificità dell’esistente. Questo ruolorisulta possibile in quanto il fenomeno del «regnare del mondo» appare come l’evento del coappartenersi delle dueistanze: quella dell'esistenza, colta nel suo fondamentale carattere di «individuazione», e quella della totalità dell'ente.

Si mostreranno, perciò, anzitutto (§ 6.1) le caratteristiche di tale coappartenersi di esistenza e mondo: l'accesso all'enteda parte dell'esserci, che si realizza all'interno di una considerazione dell'ente in totalità (§ 6.1.1), la struttura dell'«inquanto», concepita come articolazione del «progetto di mondo» (§ 6.1.2), la modalità dell'ipseità, in quanto figura dellospecifico rapporto al mondo da parte dell'esserci (§ 6.1.3). Si esaminerà in seguito (§ 6.2) come nasca da qui il secondoorientamento che si affianca, in  Die Grundbegriffe der Metaphysik , a quello cosmologico-fenomenologico: la

 prospettiva cosmologico-fondamentale, cioè il tentativo di dar conto delle modalità dell’ente, considerate comearticolazioni del mondo, concepito come il loro  fondamento determinativo. Ripercorreremo le caratterizzazioni chel'analisi heideggeriana attribuisce a ciascuna delle modalità dell’ente da essa individuate: la «mancanza di mondo» perla pietra (§ 6.2.1), la «povertà di mondo» per l'animale (§ 6.2.2), e l'essere «formatore di mondo» per l'uomo (§ 6.2.3).A partire dagli elementi problematici ì nsiti in tale partizione (relativi, in particolare, alla difficoltà di elaborareconcettualmente, «in positivo», sia la condizione di «privazione di mondo» da parte della pietra, sia la differenza fra la«povertà di mondo» dell'animale da un lato, e la «formazione di mondo» da parte dell'uomo dall'altro), si richiamerà,infine (§ 6.3), la differenza fra la prospettiva cosmologico-fondamentale e quella cosmologico-fenomenologica,

esaminando sia il rapporto che lega la prima, alla tesi ontologico-esistenziale (erede del progetto di «ontologiafondamentale») «l’uomo è formatore di mondo» (§ 6.3.1), sia le ragioni del suo prevalere nell’analisi dei Grundbegriffe  (§ 6.3.2).

6.1. “Cosmologia fenomenologica”: il coappartenersi di esistenza e fenomeno del mondo e i tre caratteri diquest'ultimo (manifestabilità dell'ente in totalità, struttura dell'«in quanto», ipseità).

6.1.1. L'accessibilità all'ente in quanto tale, da parte dell'esserci nella dimensione dell’«individuazione», e le duedirettrici del nuovo progetto metafisico: la determinazione del significato del mondo in quanto totalità dell'ente e quelladell'esistente in quanto modalità specifica di ente.

In  Die Grundbegriffe der Metaphysik ,  la trattazione relativa al concetto di mondo si apre affermando la suacoestensione semantica con la nozione di «individuazione» (Vereinzelung ), riferita all'esserci. La Grundstimmung  dellanoia, sostiene Heidegger, è tale, cioè «fondamentale», proprio in quanto essa mette a nudo l'originario coappartenersi dimondo ed esserci, che si manifesta nel carattere di «individuazione» del secondo. Il fenomeno del mondo e quellodell'individuazione si coappartengono: essi si manifestano, infatti, «in un'unità e  struttura originarie» (in einerursprünglichen Einheit und   Fuge).409   Nell'indagine rivolta al concetto di mondo occorre perciò tematizzare, sostieneHeidegger, i «rapporti intrinseci» (innere Bezüge) che intercorrono fra la realtà del mondo, quella dell'individuazione e

409  GA XXIX-XXX , p. 252 [222]. Sul carattere, secondo l’interprete artificioso, del passaggio dall’analisi della noia a quella del concetto filosofico del

mondo, si veda T. Haeffner, Rez. von «Die Grundbegriffe der Metaphysik», «Theologie und Philosophie», (61), 1986, p. 138. L’unità tematica dellaVorlesung  è stata, invece, articolatamente argomentata da M. Bassanese, La noia e il mondo della vita animaleI l’unità tematica della Vorlesungdi Martin Heidegger «Die Grundbegriffe der Metaphysik » (1929-30), «Verifiche», XXI, (1), 1992, pp. 37-91, sia sulla base del parallelismo fra le treforme di noia e le tre modalità (privazione, povertà, fondazione) di rapporto dell’ente con la dimensione fondativa, costituita dal fenomeno delmondo, sia di quello fra lo stato dell’animale e la quotidianità dell’uomo.

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quella della finitezza;410  la questione relativa alla finitezza si pone, inoltre, «come la radice unificante e originaria dellealtre due» (als die einigende und ursprüngliche Wurzel der beiden anderen [in corsivo nel testo]).411  

Il coappartenersi dell'uomo (nella dimensione metafisica dell'individuazione) e del mondo si pone perciò,dichiara Heidegger, sotto il segno della finitezza dell'esserci. Anche se questa affermazione riprende altre consimilirintracciabili in Kant und das Problem der Metaphysik , va sottolineato che essa deve tuttavia, nei Grundbegriffe , venireletta non tanto attraverso la lente della trascendenza dell'esserci, del quale il mondo appare come orizzonte

(trascendentale, appunto), bensì nella prospettiva dell'appartenenza dell'esserci al mondo.

412

  Si riproduce, qui, lamedesima ambivalenza riscontrata nelle lezioni del semestre invernale 1928-29 a proposito dell’interpretazione delfenomeno del mondo, che rimane sospesa fra una lettura che (facendone un’articolazione della trascendenza, concepitacome una funzione dell’«essere nel mondo») lo assegna alla dimensione esistenziale, e una che, all’inverso(identificando mondo e trascendenza sulla base del fenomeno del gioco, di cui il trascendere dell’essere nel mondorappresenterebbe una manifestazione), legge l’esistente in una prospettiva cosmologica (cfr. supra , cap. 4.2).

È significativo, a questo proposito, il mutamento che emerge, qui, rispetto a Sein und Zeit  e alle stesse lezionidel 1928. Nello  Hauptbuch , infatti, la nozione di Vereinzelung  rinvia alla dimensione esistenziale e, più precisamente,allo «stato d’animo» (Stimmung ) dell’angoscia, che dischiude l’esserci come  solus ipse.413  Nelle lezioni del 1928, ilcarattere di «isolamento» ( Isolierung ) metafisico dell’esserci, che qui si associa al suo carattere di «neutralità»( Neutralität ), dipende dalla libertà, concepita come il carattere di trascendenza dell’ente: «l’essenza metafisicafondamentale dell’esserci metafisicamente isolato fa perno sulla libertà».414  Conformemente all’impostazione deIlo Hauptbuch   (conformemente, in particolare, sia al primato attribuito all’analisi dell’esistente, sia alla tesi del suo

radicamento ontico), il raggiungimento della condizione di isolamento e neutralità metafisici è possibile soltanto,sostiene Heidegger nelle lezioni del 1928, sulla base dell’impegno esistentivo dell’esserci che progetta.415  Lo scenariodelineato dal testo delle lezioni del semestre invernale 1929-30 è diverso: ai fini della determinazione dell’«ipseità»(Selbstheit ) dell’esserci, il carattere di isolamento risulta surrogato da quello di individuazione, e quest’ultimo vieneradicato non più nella dimensione esistenziale (né attraverso uno stato d’animo come l’angoscia, né attraverso latrascendenza), bensì a partire dal fenomeno del mondo e da quello del suo regnare. Da un lato, infatti, in  DieGrundbegriffe der Metaphysik è ancora uno stato d’animo (la noia) la via di accesso all’individuazione dell’esserci, equesta individuazione è un «divenir soli», cioè un processo che, avviato dall’uomo in direzione del suo esserci, lo portanella prossimità alle cose, cioè al mondo.416   D’altro canto, proprio questa prossimità al mondo si rivela, nel corsodell’analisi, come il coappartenersi di Welt e Vereinzelung . Tale coappartenersi mette in luce quelli che Heideggerdefinisce come «caratteri importanti» del fenomeno del mondo, che viene qui tematizzato in quanto tale, e non in quantoarticolazione della struttura esistenziale: «1. la manifestabilità dell'ente in quanto ente 2. l'«in quanto», 3. la relazionecon l'ente come lasciar essere e non essere, la condotta in rapporto a ..., atteggiamento e ipseità. Niente di tutto ciò si

trova nell'animalità e nella vita in generale».417

 410  GA XXIX-XXX , p. 434 [383]. Secondo D. Thomä, Die Zeit des Selbst und die Zeit danach , ci t. , pp. 509-510, la questione del rapporto fraSelbsteWelt  rappresenta un nodo decisivo all’interno della riflessione heideggeriana successiva a Sein und Zeit , nell’evolversi della quale esso viene scioltoattraverso la rinuncia alla prima delle due determinazioni.411  GA XXIX-XXX , p. 253 [223].412  Al proposito, riteniamo significativa e chiarificante la correzione che un'annotazione dello Hüttenexemplar  apporta al testo pubblicato di Sein und

 Zeit , dove quest'ultimo ricorda che il termine «weltlich» si riferisce sempre all'esserci, del quale tale nozione designa un modo di essere (Seinsart ).Secondo il testo a stampa, il termine «weltlich» non riguarda, cioè, il modo di essere dell'ente sussistente in quanto esso è «nel» mondo; in questosecondo caso, deve invece essere impiegato, afferma Heidegger, il termine «weltzugehörig » (SZ , p. 88 [136-137]). Nella prospettiva del 1927, il sensodi questa distinzione è chiaro: l'ente difforme dall'esserci è «appartenente al mondo», ovvero «intramondano» (innerweltlich), in quanto esso ricadeall'interno dell 'orizzonte del mondo; quest'ultimo costituisce, a sua volta, un'articolazione della struttura esistenziale, e appartiene, dunque, all'esserci.In quanto il mondo appartiene alla costituzione d'essere dell'esserci, quest'ultimo può esser definito come «mondano», ma non come «intramondano»,né come «appartenente al mondo». Al contrario, la Randbemerkung  precisa che l'esserci è, «appunto», appartenente al mondo (« Da-sein gerade istwelthörig»: SZ , Anm. 88a) e, contraddicendo il testo in margine al quale è vergata, segnala un’evolversi della riflessione heideggeriana dopo il 1927.Questa annotazione appare, in effetti, consonante con lo scenario prefigurato, nelle lezioni del semestre invernale 1929-30, dalla nozione di

Vereinzelung , ovvero con l'accentuazione, all'interno della relazione di consustanzialità fra esserci e mondo, dell'appartenenza del primo al secondo.La finitezza dell'esserci, in quanto «radice» del rapporto fra l’esserci e il mondo, indica dunque, in queste lezioni, la riconducibilità del primo alsecondo, piuttosto che viceversa. Molto opportunamente, K. Opilik, Transzendenz und Vereinzelung. Zur Fragwürdigkeit des transzendentalen

 Ansatzes im Umkreis von Heideggers “Sein und Zeit”, Alber, Freiburg - München, p. 187 sottolinea che, nelle lezioni del semestre invernale 1929-30,il coappartenersi di uomo ed essere nella nozione di Vereinzelung non va in alcun modo interpretato in senso esistenziale.413  « Die Angst vereinzelt und erschließt das Dasein als “solus ipse”» (SZ , p. 250 [296]; cfr. supra , cap. 3.1.2, nota 26). 414  « Das metaphysische Grundwesen des metaphysisch isolierten Daseins zentriert in der Freiheit» (GA XXVI , p. 175 [166]).415  «[...] die Gewinnung der metaphysischen Neutralität und Isolierung des Daseins überhaupt ist nur möglich auf dem Grunde extremenexistenziellen Einsatzes des Entwerfenden selbst » (GA XXVI , p. 176 [166]).416  GA XXIX-XXX , p. 8 [12].417  « Das sind schon wichtige Charaktere des Weltphänomens: 1. die Offenbarkeit von Seiendem als Seiendem, 2. das “als”, 3. die Beziehung zuSeiendem als das Sein - und Nichtseinlassen, das Verhalten zu..., Haltung und Selbstheit. Nichts davon findet sich in der Tierheit und im Lebenüberhaupt » (GA XXIX-XXX , p. 398 [351]). Non concordiamo, perciò, con la tesi di J. -F. Marquet, Naissance et développement d’un thème:l’isolement,in Heidegger 1919-1929. De l 'herméneutique de la facticité à la métaphysique du Dasein, cit., pp. 202-204, secondo la quale la nozione diVereinzelung  non conoscerebbe, successivamente alla pubblicazione di Sein und Zeit , alcuna modifica sostanziale relativamente alla sua appartenenzaall’àmbito esistenziale. Anche F. K. Blust, Selbstheit und Zeitlichkeit , cit., pp. 144-145, non vede soluzione di continuità fra il carattere di

Vereinzelung  di Sein und Zeit  e quello dei Grundbegriffe, nonché fra entrambi e la nozione di Isolierung , per come essa viene messa a fuoco nellelezioni del 1928. In questo modo, cioè tenendo assieme (a nostro parere, non correttamente) questi testi come facenti parte della medesima prospettivateorica, l’interprete legge l’ ipseità come il frutto di una tensione, che sussisterebbe fra la manifestazione del tempo, concepito (come accade neiGrundbegriffe) come l’orizzonte del fenomenizzarsi dell’essere nelle diverse forme dell’ente da un lato, e l’isolamento metafisico dell’uomo dall’altro(ibid., pp. 274-275). Occorre invece, a nostro parere, tenere distinte le diverse prospettive: nelle lezioni del semestre invernale 1929-30 non si dà

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Il primo dei «caratteri importanti», qui elencati da Heidegger, è già stato esaminato: si è visto come la«manifestabilità dell'ente in quanto ente» consista nel fatto che esso deve venir considerato «nella sua totalità» (imGanzen). La sottolineatura, da parte di Heidegger, di questo primo «carattere importante» del fenomeno del mondomette in luce la presenza, nel progetto di ricerca metafisica delineato dalle lezioni del semestre invernale 1929-30, didue diverse esigenze dell'indagine, che intendono integrarsi l'un l'altra. Esse sono rivolte, rispettivamente, alladeterminazione del significato dell'ente in totalità, cioè del mondo, e alla determinazione (acquisibile soltanto a partire

dai risultati della prima direttrice dell'indagine) delle specifiche modalità dell'ente; in primo luogo (per il rapporto privilegiato che tale modalità intrattiene e con l'evento originario, cioè con il fenomeno del mondo), alla determinazionedella specificità dell'ente partecipe del progettare del mondo, l'esistente.

Questa seconda esigenza costituisce, anzi, l'autentica finalità dell'indagine, e ciò rappresenta, sul piano dellemotivazioni della ricerca, l'elemento di continuità fra le lezioni del semestre invernale 1929-30 e il progetto di ontologiafondamentale dei testi immediatamente precedenti. Tutta l'analisi dedicata alla «povertà di mondo» dell'animale hasenso, sostiene Heidegger, soltanto se la consideriamo come lo sguardo «in negativo» gettato sull'istanza del mondo, ladeterminazione «in positivo» del quale coincide con l'analisi dell'esistenza umana:418   «la questione intorno alla formazione di mondo  è la questione intorno all'uomo che noi stessi siamo».419   A motivo di ciò (proprio in quantol'analisi relativa al fenomeno del mondo consiste nell’indagine sviluppata, su un livello fondativo, intorno all'essenzadell'uomo), la ricerca metafisica riguardante l'essenza umana può e deve, secondo Heidegger, prescinderedall'antropologia. Soltanto il concetto di esserci rappresenta, infatti, la determinazione metafisica adeguata della realtàumana, cioè dell'esistenza, in quanto esso soltanto colloca la determinabilità dell'essenza umana nel contesto della sua

apertura alla totalità dell'ente in quanto tale, cioè al mondo. Nella definizione del concetto di mondo, elaborata a partiredall'accesso che l'esserci ha all'ente, l'accento viene posto, da Heidegger, proprio sul carattere di Ganzheit  che,connotando la modalità manifestativa dell'ente, determina il rapporto fra mondo ed esserci: «il mondo non è il tuttodell'ente, non è l'accessibilità dell'ente in quanto tale, non è la manifestabilità dell'ente in quanto tale che sta afondamento dell'accessibilità, bensì mondo è la manifestabilità dell'ente in quanto tale nella sua totalità [...] il mondoha sempre - anche se nel modo più vago possibile - il carattere della totalità unitaria».420  Ciò che caratterizza l'uomo è,dunque, il fatto che l'ente gli sia accessibile nella  forma  della totalità: il piano «formale» (non quello sul quale viene

 preso in considerazione un aggregato di elementi) è dunque, secondo Heidegger, quello sul quale il concetto di mondosi palesa (in quanto designa l'accessibilità all'ente propria dell'uomo) come la nozione definitoria dell'essenza metafisicadell'uomo, cioè dell'esistenza.

Riassumendo: nel progetto di ontologia fondamentale, così come nei Grundbegriffe , Heidegger riconosce il primato (nel senso chiarito dalla  Einleitung  di Sein und Zeit ) all’indagine rivolta a determinare l’essere dell’esistente. Nelle lezioni, Heidegger non soltanto non ritiene che tale indagine entri in conflitto con la nozione di «regnare del

mondo», ma intende, anzi, finalizzare la seconda alla prima: a differenza che nello  Hauptbuch , qui Heidegger tenta di pervenire alla determinazione dell’essere dell’uomo, cioè dell’esistenza, non tematizzandola quale punto d’attaccodell’indagine, bensì derivandola dalil «regnare del mondo», quale sua fenomenizzazione (cfr.  supra , cap. 5. 2. 1). Dal

 punto di vista argomentativo, la nozione di mondo costituisce, in primo luogo, lo snodo concettuale decisivo per lacongruenza fra l’intento (ereditato dall’ontologia fondamentale) di determinare l’essenza ontologica dell’uomo da unlato, e la strada scelta nei Grundbegriffe  (cioè la prospettiva che fa perno sulla figura del «regnare del mondo») pergiungere a tale obbiettivo dall’altro. All’interno della prospettiva del «regnare del mondo», il concetto di mondorappresenta, in secondo luogo, il luogo del coappartenersi evenemenziale dell’istanza cosmologica e di quellaesistenziale, cioè il «termine medio» attraverso il quale è possibile, muovendo dal «regnare del mondo», ritrovare ladeterminazione dell’esistenza umana.

6.1.2. La struttura dell'«in quanto» come articolazione del «regnare del mondo».

«tensione» nella determinazione della Selbstheit , perché essa, in quanto fondata sull’istanza dell’individuazione, rappresenta, nei Grundbegriffe, unamera articolazione (un «carattere importante») del fenomeno del mondo.418  GA XXIX-XXX , p. 394 [347]. Questa analisi, che riguarda l'«essenza» dell'uomo, può svolgersi soltanto nella dimensione dell'esistenza, non alivello di un’analisi astratta: ogni interrogarsi intorno all'uomo, afferma infatti Heidegger, consiste in un problema relativo non all'intera umanità( ganze Menschheit ), o al suo simulacro idealizzato ( Abgott ), bensì a ciò che di volta in volta è, concretamente, un'esistenza (eine Sache der jeweiligenExistenz des Menschen ist ) (GA XXIX-XXX , p. 407 [359]). L'«essenza generale dell'uomo» (allgemeine Wesen des Menschen) diviene come taleessenziale (wesentlich) per il singolo soltanto quando esso la comprenda concettualmente nel suo esserci ( sich in seinem Dasein begreift ). Laquestione di che cosa sia l'uomo, qualora sia effettivamente ( wirklich) posta, rimette (überantwortet ) espressamente l'uomo al suo esserci, e in ciòemerge l'intrinseca finitezza di quest'ultimo (GA XXIX-XXX , p. 408 [359]). Si noti come, a questo proposito, la caratterizzazione dell'indagine relativaall'uomo riprenda, attraverso l'incentrarsi dell'argomentazione sul cardine dell'elemento concettuale della finitezza, gli esiti ai quali la determinazionedella soggettività umana era giunta, nel contesto del progetto di ontologia fondamentale, nel Kantbuch del 1929.419  « Die Frage nach der Weltbildung ist die Frage nach dem Menschen, der wir selbst sind» (GA XXIX-XXX , p. 408 [359]). Da questo punto di vista,si può sostenere che le lezioni del semestre invernale 1929-30 riprendano, come proprio tema specifico, l’indagine di Sein und Zeit sulla 

 Eigentl ichkeit  dell’esserci. Essa verrebbe perseguita, nello Hauptbuch , alla luce della questione della temporalità, nelle lezioni alla luce del problemadella formazione di mondo come essenza e condizione di possibilità dell’autenticità: A. Tzavaras-Dimou,  Phänomenologie der Aussage, cit., p. 164.420  «Welt ist nicht das All des Seienden, ist nicht die Zugänglichkeit von Seiendem als solchem, nicht die der Zugänglichkeit zugrundenliegendeOffenbarkei des Seienden als solchen - sondern Welt ist die Offenbarkeit des Seienden als solchen im Ganzen.[...] Welt hat immer - wenn auch soundeutlich wie möglich - den Charakter von Ganzheit» (GA XXIX-XXX , p. 412 [363]).

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Come può il concetto di mondo rappresentare l'elemento decisivo per la determinazione delle diverse forme dell'ente,fra le quali l'esistenza? Ovvero: come può il fenomeno del «regnare del mondo» specificarsi nella loro multivocitàdifferenziale? Heidegger intende rispondere a questo problema attraverso quello che egli designa come il secondocarattere decisivo del fenomeno del mondo, che emerge nel coappartenersi di mondo e individuazione: la strutturadell’«in quanto».

Secondo Heidegger, il fenomeno del mondo si manifesta come un «regnare» che ha il carattere del progetto: il

mondo si forma nell'accadere del progetto (cfr.  supra , cap. 1.2.2). Nelle lezioni del semestre invernale 1929-30,Heidegger sottolinea il fatto che tale accadere costituisce il fondamento dell'aprirsi della differenza ontologica, e nonviceversa. Pensare la differenza ontologica in se stessa (obbiettivo metafisico che, stando ai Grundbegriffe, oltrepassa le

 potenzialità dell'ontologia, la quale può tematizzare, al più, i differenti, cioè il «prodotto» del differire) significa pensareil «regnare del mondo» che la produce, che ha il carattere di progetto, e che condivide questo carattere con l'essenzadell'uomo: «[...] l'essenza dell'uomo, cioè il carattere, in esso, di esistenza, è determinato dal carattere di progetto. Il progetto [...] è la struttura fondamentale della formazione di mondo [...] progetto è progetto di mondo».421  Proprio perquesto (per il fatto di essere, cioè, progetto del mondo) l'istanza del «regnare del mondo» fonda il rapporto diconsustanzialità tra esserci e mondo.

Del «progettare», in quanto struttura originaria (Urstruktur ) che fonda metafisicamente, e giustificaconcettualmente, la tesi relativa al coappartenersi di mondo ed esistenza, Heidegger mette ora a fuoco l'articolarsi; diquesta struttura viene ora sottolineato il carattere di relazionalità che costituisce, in Vom Wesen des Grundes,l'acquisizione decisiva alla quale pone capo la trascendentalizzazione dell’istanza del mondo, cioè della struttura

esistenziale (cfr.  supra , cap. 3.2). L’«elemento più proprio» di «regnare» e «accadere» del mondo, che vengonodesignati attraverso il termine «progetto» ( Entwurf ), risiede infatti, afferma Heidegger, nel «pro» (ent ); questo prefissoindica, nell'accadere del progetto, l'«esser portato via» del progettante lontano da sé.422   Nel regnare «del» mondo(laddove il genitivo vale, qui, sia come soggettivo, sia come oggettivo), che si configura come «progettare», l'esserci,che accade in questo regnare, modella la propria struttura sulla base di questa dinamica di differimento da sé (nellaquale si esplica il progetto), costitutiva del mondo, che Heidegger indica come struttura dell'«in quanto» (als). É quievidente lo scarto rispetto alla prospettiva di Sein und Zeit , dove il progetto rappresenta un'esistenziale, cioè un caratteredell'apertura dell'esserci.423  

La nozione di «in quanto» designa dunque, nelle lezioni del semestre invernale 1929-30, il concreto articolarsidel «progetto di mondo», da intendersi, qui, anzitutto come accadere del mondo; essa viene riferita al mondo, ovveroalla manifestabilità dell'ente nella sua totalità, e dà perciò conto del coappartenersi di mondo ed esistente a partire dal

 primo, anziché dal secondo. Nel paragrafo 69 dei Grundbegriffe , Heidegger intraprende l'«interpretazione formale»della struttura dell'«in quanto», muovendo dal ruolo che essa, come struttura di relazione, gioca nella proposizione

assertoria ( Aussagesatz). Il problema di mettere a fuoco l'espressione «in quanto», nonché il suo significato, sorge conla definizione del concetto di mondo: l'accessibilità alla realtà da esso designata esige infatti, come si è visto, la possibilità (propria dell'uomo, negata all'animale e, tantopiù, alla pietra) di considerare l'ente «in quanto tale, cioè nellasua totalità». Poiché la possibilità di considerare qualcosa in quanto tale è condizione necessaria per accedere alfenomeno del mondo, la struttura dell'«in quanto», afferma Heidegger, costituisce una determinazione essenziale dellastruttura del mondo; a partire dalla prima, è dunque possibile impostare il problema relativo alla seconda. 424  L'espressione «in quanto», esordisce Heidegger, di per sé non offre ( gibt ) nulla, ma indica una relazione: essa mostra,infatti, «qualcosa» che sta nella modalità dell'«in quanto», e mostra, parimenti, qualcosa d'altro, «in quanto» esso è.425  

Heidegger ricorda, dunque, che l'espressione «in quanto» mette inevitabilmente in gioco due termini, ancheladdove ciò non sia evidente: nel caso, per esempio, della proposizione che afferma «a è in quanto tale», cioè «a è inquanto a», si è infatti introdotto, rispetto al termine in questione («a»), uno sdoppiamento in forza del quale la strutturadell'«in quanto» si configura, anche in questo caso, come una relazione ( Beziehung ) ad altro, cioè come un rapporto fradue termini distinti, ciascuno dei quali «altro» dall'altro.426  Anche all'interno di quella che appare, a prima vista, come

una tautologia, la forma dell'«in quanto» introduce, dunque, una differenza, e si conferma come una strutturarelazionale. Heidegger avverte, tuttavia, che quella appena delineata costituisce soltanto una «caratteristica formale»( formale Charakteristik ), che rischia di occultare la dimensione metafisica alla quale l'espressione «in quanto» fariferimento. Definendolo (in modo indubbiamente corretto, ma inadeguato) come «relazione», sostiene Heidegger, ilfenomeno dell'«in quanto» risulta, infatti, «livellato» (nivelliert ), poiché attribuito all'«ambito del sussistente in

421  «[...] das Wesen des Menschen, das Dasein in ihm, durch den Entwurfscharakter bestimmt ist. Der Entwurf [...] ist die Grundstruktur derWeltbildung. [...] Entwurf ist Weltentwurf» (GA XXIX-XXX , p. 527 [464]) (cfr. infra, § 6.3.1).422  « Das Eigenste dieses Handelns und Geschehens ist dieses, was sprachlich in dem “Ent-“ zum Ausdruck kommt, daß im Entwerfen diesesGeschehen des Entwurfs den Entwerfenden in gewisser Weise von ihm weg- und fortträgt» (GA XXIX-XXX , p. 527 [465]).423  « Zur Seinsverfassung des Daseins gehört der Entwurf: das erschließende Sein zu seinem Seinkönnen» (SZ , p. 293 [338]). D. Thomä, Die Zeit desSelbst und die Zeit danach, cit., pp. 507-508 sottolinea l’irriducibilità della nozione di Weltentwurf  dei Grundbegriffe all’orizzonte diSein und Zeit ,rispetto al quale pure, secondo l’interprete, essa intenderebbe rappresentare un elemento di continuità (cfr. supra , cap. 5.2.2).424

 «[...] ist die “als”-Struktur eine Wesensbestimmung der Weltstruktur. Damit ist das “als” als ein möglicher Ansatz des Weltproblems gegeben»(GA XXIX-XXX , p. 450 [397]).425  « Es weist auf etwas, was im “als” steht, und weist ebenso auf anderes etwas, als das es ist ». (GA XXIX-XXX , p. 417 [367]) (la traduzione è nostra).426  « Im “als” liegt eine Beziehung und damit zwei Beziehungsglieder, und diese nicht nur als zwei, sondern das erste ist das eine und das zweite dasandere» (GA XXIX-XXX , p. 417 [367-368]).

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 generale» (Bereich des Vorhandenen überhaupt).427  Restando fermi al carattere di alterità ed estraneità reciproche deitermini (in quanto ciascuno concepito, nella sua sussistenza, come autosufficiente e autonomo rispetto all'altro) fra iquali intercorre la relazione indicata dall'espressione «in quanto», si perde, cioè, il carattere originario di questofenomeno. Esso non concerne, secondo Heidegger, due o più enti che costituiscano un «insieme di pezzi»( Zusammenstückung ), ma si riferisce, invece, a una totalità (Ganzheit ), pensata come precedente, dal punto di vistalogico, le parti: l'«in quanto» si riferisce sempre all'ente come concepito «nella sua totalità» (im Ganzen). L'«in quanto»

(da ricondursi in ciò, secondo Heidegger, alla nozione aristotelica di  synthesis) non indica, semplicemente, unarelazione in senso formale (eine Beziehung im formalen Sinne), bensì un porre in relazione ( Beziehen),428  che esprimel'unità originaria della totalità dell'ente, cioè del mondo.

Emerge, anche qui, l’ambivalenza caratteristica delle lezioni del semestre invernale 1929-30, che si esprime, inquesto caso, nello stesso senso di quella rilevata a proposito dell’«integrazione» «nella totalità» compiuta dall’esistentenel suo «essere aperto prelogico per l’ente» (cfr.  supra , cap. 5.1.2). L’esistente, come si è visto, rappresenta, per unverso, il “soggetto” dell’integrazione dell’ente nella totalità; d’altro lato, i Grundbegriffe  pongono anche l’accento sulfatto che tale “soggetto” risulta definito dal suo muoversi fin da sempre in questa totalità, cioè nella manifestabilità

 prelogica  dell’ente. Analogamente, da un lato la struttura dell’«in quanto» risulta riconducibile alla dimensioneesistenziale della comprensione; d’altro lato, questa collocazione viene trascesa - e in ciò consiste la novità deiGrundbegriffe , nei confronti dei testi degli anni precedenti - laddove queste lezioni mettono l’accento sul fatto che l’«inquanto» esprima l’unità originaria della totalità dell’ente, cioè del mondo. Nelle lezioni del semestre invernale 1929-30,interpretando Aristotele, Heidegger giunge, infatti, a sostenere la cooriginarietà della determinazione di «essere»

(inacclarabile, secondo il testo di queste lezioni, laddove si intenda permanere all'interno della prospettivadell'ontologia) e di quella di «in quanto», le quali «rinviano alla medesima origine. In altre parole: la chiarificazionedell'essenza dell'«in quanto» si accompagna alla questione relativa all'essenza dell'«è», cioè dell'essere. Entrambe lequestioni servono allo sviluppo del problema del mondo».429  La «via traversa» (Umweg ) che ha affrontato l'esame del logos  apofantico, cioè della proposizione assertoria, ha dunque reso possibile, dichiara Heidegger, stabilire che lastruttura dell'«in quanto» è ciò che fonda sia il discorso apofantico, sia la verità (in quanto legata al mostrare, cioè alvelare e al disvelare, di tale discorso), sia l'indagine sull'essere: la struttura dell'«in quanto» non è una proprietà dellogos, bensì la sua condizione di possibilità.430  Ciò è determinato dal fatto che la struttura dell'«in quanto» costituiscel'articolazione del fenomeno antepredicativo del «regnare del mondo».

Un rapido esame dell'analisi dedicata, in Sein und Zeit , alla struttura dell’«in quanto» evidenzia il passocompiuto con le lezioni del semestre invernale 1929-30, e i confini della prospettiva che qui si delinea. In Sein und Zeit ,lungi dal costituire una manifestazione del «regnare del mondo», l’«in quanto», indicando l’a priori della comprensioneinterpretante, esprime la struttura esplicativa esistenziale del compreso, e costituisce la trama dell'interpretazione; il

fatto che l’«in quanto» sia onticamente inespresso, afferma Heidegger, «non deve indurre nell'errore di trascurarlo comecostituzione esistenziale a priori di ogni comprensione».431  Nella prospettiva dell'ontologia fondamentale, la nozione di«in quanto» rappresenta perciò, in quanto radicata in quella della comprensione, una determinazione esistenziale, comeconferma, sottolineandone il carattere antepredicativo, il testo del corso di lezione del 1925-26:432  la determinazionedell'«in quanto» «appartiene alla comprensione in quanto tale», la quale va concepita come modo fondamentaledell'essere dell'esserci,433  e ne indica, anzi, la struttura fondamentale dell'accessibilità all'ente.434  Secondo Sein und Zeit ,

427  GA XXIX-XXX , p. 425 [375]. Già all’epoca di Sein und Zeit , il concetto di «indicazione formale», distinto e opposto rispetto a quello di«caratteristica formale», era legato, negli intenti di Heidegger, al progetto di critica dell’«abituale dottrina dell’a priori e della formalizzazione», alfine di mettere in questione la «fatticità»: M. Heidegger, Brief an Karl Löwith. 20.8.1927 , in Zur philosopischen Aktualität Heideggers: Symposionder Alexander von Humboldt-Stiftung,vom 24.-28. April 1989 in Bonn-Bad Godesberg , Bd. 2, hrsg. von D. Papenfuss - O. Pöggeler, Klostermann,Frankfurt a. M. 1990, p. 37. Fin dall’inizio degli anni Venti, oltre che nello Hauptbuch , il concetto di «indicazione formale» è connesso con quelli di

 Dasein, Existenz e Als-Struktur , come tentativo di dare espressione alla concreta dinamicità della vita fattiva: G. Imdahl, Das Leben verstehen.

 Heideggers formal anzeigende Hermeneutik in den frühen Freiburger Vorlesungen (1919 bis 1923),Königshausen & Neumann, Würzburg 1997, pp.165 sgg. Sul concetto heideggeriano di «indicazione formale» ( formale Anzeige) (che, in quanto intreccio di generalizzazione e formalizzazione,fornisce l'«indicazione pratica [ Anweisung ] per un compito peculiare», quello di determinare l'essenza metafisica del fenomeno in questione), inquanto distinto da quello di «caratteristica formale», che «livella» la differenza fra ente ed essere a quella fra ente ed ente, si veda O. Pöggeler, Le«Ricerche logiche» di Heidegger , in Martin Heidegger. Ontologia, fenomenologia, verità, cit., pp. 298-299.428  GA XXIX-XXX , ppp. 456-457 [402-403].429  « Das “Sein” und das “als” weisen in den selben Ursprung. Oder anders gewendet: Die Aufhellung des Wesens des “als” geht zusammen mit derFrage nach dem Wesen des “ist”, des Seins. Beide Fragen dienen der Entfaltung des Weltproblems» (GA XXIX-XXX , p. 484 [427]). In questo senso,

 per Heidegger la questione della logica (ovvero le questioni dell’«è» e dell’«in quanto», come questioni del rapporto, ontologicamente fondativo, frasoggetto e predicato) dipende da quella del mondo: W. Bröcker, Heidegger und die Logik, in Heidegger. Perspektiven zur Deutung seines Denken,hrsg. v. O. Pöggeler, Beltz, Weinheim 1994, p. 303.430  GA XXIX-XXX , p. 450 [397]. Proprio per questo è possibile la struttura identitaria del logos (M. Zanatta, Identità, logos e verità, cit., pp. 424, 429sgg., cioè sia la connessione strutturale fra ciò che si è inteso (das Gemeinte) e ciò che è significato (das Bedeutete), sia quella fra il logo apofantico el’essere dell’ente.431  « Das “als” macht die Struktur der Ausdrücklichkeit  eines Verstandenen aus; es konstituiert die Auslegung [...] die ontische Unausgesprochenheitdes “als” darf nicht dazu verführen, es als apriorische existenziale Verfassung des Verstehens zu übersehen» (SZ , pp. 198-199 [244-245]). Sul

mutamento intercorso, fra Sein und Zeit   e le lezioni del semestre invernale 1929-30, nella considerazione dell'«in quanto» (dal riferimento allastruttura del comprendere a quello alla manifestabilità del mondo), cfr. F. Volpi, Heidegger e Aristotele, cit., p. 168.432  GA XXI , p. 144 [97].433   «[...] es ist das “als” - die Struktur, die zum Verstehen als solchem gehört»  (GA XXI , p. 150 [101]).434   «[...] das “als” ist die Grundstruktur von Verständnis und Zugänglichkeit » (GA XXI , p. 153 [103]).

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la struttura dell'«in quanto» si fonda - come il progetto - nell'apertura dell'esserci; 435  per questo essa «determina il nostroessere in rapporto al mondo, e quello in rapporto a noi stessi».436   In altri termini: nell'ontologia fondamentale, ilriferimento della struttura dell'«in quanto» all'esserci appare del tutto congruente con il primato, ontico e ontologico,attribuito a quest'ultimo, laddove, nelle lezioni del semestre invernale 1929-30, la determinazione dell'«in quanto»diventa la descrizione dell'esplicarsi del «regnare del mondo». Il privilegio che, nella nuova prospettiva deiGrundbegriffe , risulta conferito all'istanza del «regnare del mondo», proviene dal fatto che è in essa che va individuata

l'origine, che si dispiega nella struttura dell'«in quanto», della multiformità dell'ente.L'analisi dedicata, nei Grundbegriffe , alla nozione di «in quanto»  mostra, cioè, un diverso orientamentorispetto a quella dedicata al medesimo tema in Sein und Zeit o nelle lezioni del 1925-26: l'evoluzione intercorsaconferma e fonda il primato metafisico che, nelle lezioni del semestre invernale 1929-30, risulta attribuito al fenomenodel mondo.  La ridefinizione, rispetto alla prospettiva dell'ontologia fondamentale, del ruolo della stru ttura dell'«inquanto», risulta analoga a quella subìta dalla determinazione di «progetto», della quale la struttura dell'«in quanto»costituisce, come si è visto, l'estrinsecazione: nelle lezioni del semestre invernale 1929-30, anziché nell'aperturadell'esserci, sia la determinazione di «progetto», sia quella dell’«in quanto» vengono radicate nel fenomeno del mondo.

6.1.3. Il «rapportarsi a», l'«atteggiamento» e l’«ipseità» come caratteri di mondo e il problema della specificitàdell'esistente.

Esaminiamo ora quello che, in apertura dell'ultimo capitolo dei Grundbegriffe , dedicato all'«esposizione tematica del problema del mondo attraverso il chiarimento della tesi «l'uomo è formatore di mondo», viene individuato come il terzo«carattere importante» del fenomeno del mondo: la «relazione [ Beziehung ] all'ente come lasciare essere e lasciare nonessere», che si specifica nel «rapportarsi a» (Verhalten-zu), nel «atteggiamento» ( Haltung ), e nell'«ipseità»(Selbstheit ).437  Considerando retrospettivamente i due «caratteri importanti» del fenomeno del mondo finora analizzati,la manifestabilità dell'ente in quanto ente (cfr.  supra , cap. 6.1.1) e la struttura dell'«in quanto» (cfr.  supra , § 6.1.2),appare evidente come la partizione triadica, che si completa con la «relazione all'ente come lasciare essere e lasciarenon essere», delinei una sorta di processo discensionale all'interno del rapporto di coappartenenza fra il mondo cometotalità dell'ente e l'ente esistente; all'interno del rapporto, cioè, fra gli obbiettivi delle due direttrici  (rivolte,rispettivamente, verso la determinazione del significato della totalità dell'ente, e verso quella del significatodell'esistenza) dell'indagine metafisica dei Grundbegriffe . Tale partizione mette successivamente a fuoco tre momentinel rapporto fra mondo ed ente esistente, i quali rappresentano, muovendo dall’istanza originaria, le tappe del suoesplicarsi, in un progressivo allontanamento da essa: il momento del mondo, quello del suo articolarsi nella

multiformità dell'ente, quello, infine, della sua relazione con l'ente esistente, cioè con la specificazione privilegiata del«regnare del mondo».Questo terzo carattere (la «relazione all'ente come lasciar essere e non essere»; ovvero, la relazione fra mondo

ed esistenza), che ci apprestiamo ora a esaminare, si suddivide a sua volta, in modo analogo, in una successione di tremomenti, che seguono ulteriormente il dispiegarsi dell’istanza originaria: l’analisi procede, infatti, al successivo esamedella relazione fra l'ente e l'esistente (il «rapportarsi a»), a quello del fondamento, nell'esistente, di questa relazione(l'«atteggiamento») e all’esame, infine, della modalità del «se stesso» dell'esistente (l'«ipseità»), cioè del momentoapparentemente più distante dal nucleo essenziale del fenomeno del mondo. La dimostrazione, al termine dell'analisi delsesto (e conclusivo) capitolo dei Grundbegriffe, dello statuto di «carattere di mondo» da attribuirsi all'ipseità, intendedunque, nella strategia argomentativa di queste lezioni, ribadire e fondare la tesi dell’appartenenza dell’esistenza (finoalla sua più intima essenza, indicata dalla determinazione di «ipseità») al mondo.

Per comprendere come Heidegger pervenga a giustificare la tesi secondo la quale l'ipseità (il terzo aspetto delterzo «carattere importante» del fenomeno del mondo) consiste in un carattere di mondo, va appurato, anzitutto, che

cosa egli intenda con l'espressione «rapporto a» (Verhalten zu), che indica il primo aspetto di quello che viene segnalatocome il terzo «carattere importante» del mondo. L'elemento decisivo del «rapportarsi» ( sich verhalten), peculiaredell'uomo, risulta da Heidegger delineato per contrasto con il «comportamento» ( Benehmen) dell'animale, e conl'incapacità, da parte di quest'ultimo, di considerare l'ente come sussistente.438   L'ape alla quale sia stata offerta unaquantità di miele superiore alle proprie necessità, esemplifica Heidegger, continua a succhiarlo fino a quando non èsazia. Tuttavia, se le si asporta l'addome con accortezza, essa, perdendo il miele dalla parte amputata, continua asucchiare. Ciò dimostra, secondo Heidegger, che l'animale non considera l'ente che gli sta di fronte come un sussistente:l'ape, poiché è «presa» (hingenommen) dal suo «fare» (tun), si rivolge all'ente senza prenderlo in considerazione come

435  SZ , p. 295 [340].436  « Diese Als-Struktur  [...] bestimmt unser Sein zur Welt und in weitem Ausmaße auch unser Sein zu uns selbst»  (GA XXI , p. 149 [100]).437  GA XXIX-XXX , pp. 397-398 [350-351].438  GA XXIX-XXX , pp. 351-353 [309-310]. In questo caso, la determinazione di Vorhandenheit  indica, in generale, l'ente difforme dall'esserci e,

dunque, tanto l'istanza designata dalla nozione di Vorhandenheit , quanto quella designata dalla nozione di Zuhandenheit , altrove differenziate: J. F.Courtine, Heidegger et la phénoménologie, cit., p. 299. Del resto, già nelle lezioni del semestre invernale 1928-29 il carattere di sussistenza, insieme aquello di esistenza, riassume la distinzione fondamentale all’interno dell’ente: GA XXVII , p. 84. Sulla necessità, in questa fase della riflessioneheideggeriana, della Vergegenständlichung  che, in quanto funzione del «rapportarsi a», sottrae l’ente alla non tematizzazione e, permettendone ildisvelamento, costituisce l’ossatura del rapporto fra esistente e mondo, si veda E. Fräntzki, Daseinsontologie, cit., pp. 239 sgg.

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tale, bensì spinta dalla propria pratica, in modo istintivo, nella direzione del «verso che» (hin-zu). L'animale, adifferenza dell'uomo, non considera, dunque, gli enti in quanto tali, poiché, afferma Heidegger, esso non può rapportarsiagli enti come a «cose determinate».439   Per questa stessa ragione, soltanto l'uomo, e non l'animale, è in grado diincontrare gli enti nella dimensione della  Zuhandenheit , cioè di utilizzare qualcosa come un «mezzo» ( Zeug ). Per l'apeche lo succhia, argomenta Heidegger, il miele non può dunque essere né un sussistente, né un utilizzabile, cioè unmezzo per conseguire, per esempio, il soddisfacimento di un bisogno: anche senza addome, l'ape continua, infatti, a

succhiare il miele benché, non potendolo trattenere, non possa mai saziarsi con esso. A parere di Heidegger, questa è la prova del fatto che il miele non soltanto costituisce il supporto indifferenziato e inavvertito sul quale l'ape esercita la propria pratica, e verso il quale essa tende, ma rappresenta anche, in ciò, una sorta di prolungamento della realtàcorporea dell'ape, che ne rende possibile la pratica del succhiare; il miele si presenta come una sorta di articolazionedell'organo (Organ) anziché come un mezzo ( Zeug ). Per l'ape, il miele è qualcosa che appare nella modalità dell'«essereal servizio» ( Diensthaftigkeit ) di una «capacità» ( Fähigkei t ), non in quella, propria del mezzo, dell'«utilizzabilità»( Dienlichkeit ).440  

L'argomentazione heideggeriana prosegue precisando che l'apertura al mondo non costituisce una conseguenzadel fatto che si considerino o meno gli enti come «cose determinate», ovvero che li si incontrino come sussistenti ocome utilizzabili, bensì viceversa: la tesi secondo la quale l'animale è «povero di mondo » (weltarm) rappresenta,afferma Heidegger, «uno dei più originari principi fondamentali» (ein der ursprünglichsten  Grundsätze) sull'essenzadell'organismo,441   così come quella secondo la quale l'uomo è «formatore di mondo» (weltbildend ) è uno dei piùoriginari principi sull'essenza dell'uomo. Per questo, occorre anzitutto sottolineare il fatto che, secondo Heidegger, la

 possibilità, per l'uomo, di incontrare l'ente come sussistente o come utilizzabile dipende (non viceversa) dal modod'essere dell'uomo che, in quanto «atteggiamento» ( Haltung ), differisce dal modo d'essere dell'animale, che è il«comportamento» ( Benehmen). In secondo luogo, va anche rilevato che l'«atteggiamento» costituisce un aspetto delterzo «carattere importante» del fenomeno del mondo, quello che Heidegger indica come tripartito, appunto, nel«rapporto a», nell'«atteggiamento» e nell'«ipseità» (Selbstheit ). L'ultimo di questi tre aspetti caratterizza, in modoeminente, l'ente esistente e, in quanto carattere del fenomeno del mondo, segnala l'appartenenza a quest'ultimodell'essenza metafisica specifica dell'esistente.

L'argomentazione attraverso la quale Heidegger nega all'animale la modalità dell'ipseità, attribuendogli unconcetto di identità «puramente formale», rappresenta perciò la conseguenza, rigorosamente dedotta, siadell’attribuzione all’ipseità dello statuto di «carattere di mondo», sia della tesi secondo la quale l'animale non puòconsiderare l'ente. In altri termini: la negazione, all'animale, del carattere di ipseità in senso proprio deriva dal suospecifico rapporto con il fenomeno del mondo. L'«esser se stesso» specifico dell'animale consiste infatti, sostieneHeidegger, nell'«essersi proprio», dove il «se stesso» va inteso in un senso «puramente formale», e la «proprietà»

dell'«esser proprio» è determinazione che soggiace alla modalità del ciclo istintuale.442

  Più precisamente: secondoHeidegger, l'espressione «se stesso» va intesa, nel caso dell'animale, in senso «puramente formale» perché il carattere di proprietà del suo esser proprio accade nella modalità del ciclo istintuale. In quest'ultimo, l'animale viene infatti sospinto,nella sua pratica, «qui e là», in un moto che avviene come all'interno di un cerchio. Per questo il suo essere «preso»nella pratica non consiste mai nell'aver a che fare con un ente, neppure quando l'animale si rapporti a sé medesimo.443  Ciò che manca all'animale, come si è visto nel caso dell'ape, è dunque il «rapporto all'altro», cioè all'ente considerato, inquanto tale, come diverso da sè; manca, cioè, la struttura relazionale (che è stata designata attraverso la nozione di «inquanto»), che caratterizza il fenomeno del mondo, del quale essa rappresenta il secondo «carattere importante». Ancheil rapporto a sé implicato nella nozione di ipseità risulta strutturato attraverso questa modalità relazionale, e costituisce,

439  «[...] verhält sich gar nicht zu bestimmten Dingen» (GA XXIX-XXX , p. 359 [315]). Sull’identificazione (di matrice tipicamente husserliana) del«comportamento» (Verhalten) con il «rapporto» ( Bezug ), cioè con l’apertura all’ente, che si verifica solt anto nell’uomo, si veda E. Paci, Il nulla e il

 problema dell’uomo, introd. di A. Vigorelli, Bompiani, Milano 1983, p. 123. Il «comportamento» dell'animale non è, infatti, mai un «aver a che fare»con ciò con cui esso entra in rapporto ma, al contrario, un «metterlo da parte»: « Das Benehmen zeigt nicht nur nie ein Sicheinlassen auf... sondern imGegenteil, es hat sogar den Charakter des Beseitigens dessen, wozu es in Beziehung steht » (GA XXIX-XXX , p. 363 [319]). L'ente può essere compresocome tale, sostiene Heidegger nei Grundbegriffe, soltanto nella «designazione linguistica» ( sprachliche   Benennung ) (GA XXIX-XXX , p. 376 [331]).Già nel corso di lezione del 1921-22, sostiene che la possibilità di «rapportarsi a» ( sich verhalten zu ) costituisce il fondamento del «rapportarsi» ( sichverhalten) specifico dell’uomo: M. Heidegger,  Phänomenologische Interpretationen zu Aristoteles. Einführung in die Phänomenologische

 Forschung , in Gesamtausgabe, Bd. 61, hrsg. v. W. Bröcker u. K. Bröcker-Oltmanns, Klostermann, Frankfurt a. M. 1985, p. 52 [trad. it. di M. DeCarolis, a cura di E. Mazzarella, Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Introduzione alla ricerca fenomenologica, Guida, Napoli 1990, p. 85].440  « Das in und aus der Fähigkei t entstehende Organ ist diensthaft. Dienlichkeit und Diensthaftigkeit sind nicht das Gleiche» (GA XXIX-XXX , p. 330[290]). La confusione fra le due determinazioni deriva da quella fra la nozione di strumento (Werkzeug ) e quella di organo, cioè dall'incomprensionedella nozione di Fähigkeit . La «capacità», cioè il modo d'essere che caratterizza l'organismo, non può, infatti, prendere in considerazione l'ente (nonlo può, dunque, incontrare, né come sussistente, né come utilizzabile), in quanto essa costituisce un « trasferirsi e un muoversi in anticipo nel proprio“a che”» (die Fähigkeit  ist ein sich auf sich selbst, in das eigene Wozu Verlegen und Vorverlegen) (GA XXIX-XXX , p. 331 [291]).441  GA XXIX-XXX , p. 388 [341]).442  « Das spezifische Selbstsein des Tieres (“Selbst” in ganz formalem Sinn genommen) is t das Si ch-zu-eigen-Sein, Eigentum, in der Weise desUmtriebes» (GA XXIX-XXX , p. 376 [331]). A. Beelman,  Heideggers hermeneutischer Lebensbegriff , cit., pp. 158 sgg. rileva che, nell’analisi

heideggeriana, il diverso carattere del movimento at tribuito alla vitalità dell’animale e a quella dell’esistente non è, di per sé, sufficiente a giustificarela differenziazione fra l’uno e l’altro; essa rinvia invece, quale suo presupposto, alla possibilità di morire, che è propria dell’uomo. Ciò dipende,secondo l’interprete, dal debito che lega l’analisi dei Grundbegriffe alla filosofia della natura idealistica di von Uexküll ( ibid., p 169).443  « Das Tier wird in seinem Treiben je so und so umgetrieben. Deshalb ist das Hingenommensein nie ein Sicheinlassen auf Seiendes, auch nicht auf

 sich selbst als solches» (GA XXIX-XXX , pp. 376-377 [331]).

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quindi, una fenomenizzazione del «regnare del mondo»; si colloca qui la peculiarità dell'esistente, in quanto definito dal«rapportarsi a», dall'«atteggiamento», dall'«ipseità».444  

Anche se in un quadro profondamente mutato rispetto a Sein und Zeit , Heidegger si ripropone dunque, nel progetto metafisico dei Grundbegriffe , la questione della specificità dell'esserci nei confronti degli enti difformi da esso, problema che costituisce il punto d'avvio, ma anche il nodo irrisolto, del progetto di ontologia fondamentale. Siripropone, in questo modo, anche il problema ulteriore: determinare ciò che l'esistente ha in comune con l'ente difforme

da esso. Si tratta cioè, volendo utilizzare la concettualizzazione di Sein und Zeit , di spiegare come accada che l'esistente possa essere riguardato come sussistente, nonché come utilizzabile; nei termini propri dei Grundbegriffe , si tratta,invece, di determinare quale carattere l'uomo condivida con la p ietra e con l'animale.

 Rispetto al progetto di ontologia fondamentale, il percorso delle lezioni del semestre invernale 1929-30costituisce, come si è visto, un'inversione di rotta: anziché muovere dalla distinzione fra l'ente esistente e quellodifforme da esso, per giungere in seguito alla determinazione (l'«essere in generale») che costituisce il loro comune fondamento ontologico, nei Grundbegriffe Heidegger tenta di delineare, a partire dal fenomeno del «regnare delmondo», sia la differenza ontologica («pensata “in sé”», cioè come evento del differire di essere ed ente: cfr. supra , cap.5.1.1) , sia le determinatezze dell 'ente nella loro reciproca diversità: pietra, animale, uomo. Dall’accento posto sul primo, piuttosto che sul secondo, di questi due temi - dall ’accento, cioè, posto sul carattere di evento delcoappartenersi delle forme dell’ente nel «regnare del mondo», piuttosto che sul carattere di fondamento determinativodel mondo medesimo, nei confronti di queste stesse forme - nascono così, rispettivamente, la prospettiva della«cosmologia fondamentale» e quella della «cosmologia fenomenologica», la quale ultima è ora necessario esaminare. 

6.2. “Cosmologia fondamentale”: il fenomeno del mondo come fondamento delle diverse modalità dell’ente (pietra,animale, uomo).

Posto il fenomeno del mondo come  fondamento  dell’ente, il quale si articola con modalità diverse, il problema darisolvere consiste nella determinazione di queste diversità: che cosa significa la tesi secondo la quale «la pietra è senzamondo, l'animale è povero di mondo, l'uomo è formatore di mondo»? Se tutte e tre le forme di ente, qui richiamate,costituiscono fenomenizzazioni del mondo, in che senso soltanto l'uomo «ha mondo», cioè in che senso lacoappartenenza di uomo e mondo fa sì che soltanto alle articolazioni della struttura ontologica dell'esserci («rapportoa», «atteggiamento», «ipseità») e ai loro presupposti, (la manifestabilità dell'ente in quanto tale, la struttura dell'«inquanto») pertenga il titolo di «caratteri importanti del fenomeno del mondo»? Si tratta di spiegare (attraverso

l'«osservazione comparata» delle forme dell'ente, che Heidegger ha scelto come metodo di indagine deiGrundbegriffe )445   come si giustifichino tanto la specificità, quanto ciò che c'è di comune fra l'esserci e le altre formedell'ente. Per rispondere a questa domanda, occorre prendere in esame come Heidegger, muovendo dal filo conduttoredel fenomeno del mondo, caratterizzi pietra, animale e uomo.

6.2.1. La «mancanza di mondo» della pietra; la difficoltà di determinarne l'essenza muovendo dal fenomeno del mondo.

La pietra è «senza mondo» (weltlos), laddove l'animale è «povero di mondo» (weltarm). Tanto la pietra, quantol'animale, dichiara Heidegger, sono caratterizzati dal fatto di non avere mondo, ma non nello stesso senso. Ciò checonnota la «povertà di mondo» dell'animale è, infatti, il fatto di «fare a meno» (entbehren) del mondo, laddove il nonavere mondo della pietra non può, invece, godere della prerogativa del «fare a meno».446  Se il fenomeno del mondo

444  La medesima motivazione - l'impossibilità da parte dell'animale, in quanto «povero di mondo», di rapportarsi all'ente, cioè di entrare in relazionecon esso - muove l'argomentazione heideggeriana tesa a differenziare l'«andare con» ( Mitgehen), peculiare dell'uomo, dalle modalità di associazione

 proprie degli animali. All'essenza dell'esserci appartiene, sostiene Heidegger, l’«essere con altri», cioè l'esistere con alt ri; ciò comporta il fatto cheall'uomo appartenga, già per definizione, il «trasporsi» ( sich versetzen) in un altro uomo. É questo, sostiene Heidegger, ciò che definiamo «andarecon» lui: «Sofern ein Mensch existiert, ist er als existierender schon in andere Menschen versetzt, auch dann, wenn faktisch keine anderen Menschenin der nähe sind. Da-sein des Menschen, Da-sein im Menschen heißt daher - nicht ausschließlich, aber unter anderem - Versetzsein in andere

 Menschen. Das Sichversetzenkönnen in andere Menschen als Mitgehen mit ihnen, mit dem Dasein in ihnen, geschieht schon immer aufgrund des Daseins des Menschen - als Dasein. Denn Da-sein heißt: Mitsein mit Anderen , und zwar in der Weise des Daseins, d. h. Mitexistieren» (GA XXIX- XXX , p. 301 [265]). L'«avere mondo» dell'uomo consiste proprio in questo suo potersi trasporre in un altro uomo, e nel fatto che questa possibilità gliappartenga in via essenziale; nel fatto, cioè, che all'esistenza dell'uomo appartenga, per definizione, il rapporto con un altro uomo. Tale rapporto, inquanto «rapporto di mondo», nelle lezioni del semestre invernale 1929-30 si configura come un carattere di relazionalità intrinseco alla dimensionedell'ipseità, la quale si costituisce nell'«essere aperto», da parte dell'esserci, all'incontro con l'ente altro da sé in quanto tale. Proprio nella mancanza disiffatto «essere aperto» consiste la «povertà di mondo» dell'animale, la quale emerge nel fatto che il «trasporsi» di quest'ultimo non può dar luogo aun «andare con»: «l 'animale mostra in ciò una sfera di trasponibilità, o meglio: esso stesso è questa sfera che, nondimeno, fallisce un andare insieme»( Das Tier zeigt eine Sphäre der Versetzbarkeit in es, genauer: es ist selbst diese Sphäre, die gleichwohl ein Mitgehen versagt ) (GA XXIX-XXX , p. 309[272]). Il trasporsi dell'animale fallisce l'«andare con» perché l'animale non «ha» un trasporsi, bensì «è» tale trasporsi: il «comportamento»

( Benehmen) dell'animale non gli fa incontrare un ente come tale nel quale trasporsi e con il quale andare, perché lo determina in una condizione di«essere preso» ( Benommenheit ) che, ignara della diversità dall'altro, laddove si trasponga in esso, ne misconosce il carattere di ente.445  GA XXIX-XXX , p. 263 [232]).446  «Stein und Tier haben beide keine Welt. Allein, das Nicht-Haben von Welt ist in der beiden Fällen nicht im gleichen Sinne gemeint. Daß hier einUnterschied besteht, ist angezeigt durch die verschiedenen Ausdrücke: Welt losigkeit und Welt armut. [...] Weltlos und weltarm sind je ein Nichthaben

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deve ricoprire un ruolo significativo nella determinazione dell'essenza della pietra, il problema di definire lo statuto diquest'ultima si riformula, perciò, in quello di definire il carattere del «fare a meno», che differenzia il non avere mondodella pietra da quello dell'animale. A questo proposito, Heidegger spiega che il «fare a meno» del mondo da partedell'animale non consiste in un fare a meno «in generale» (überhaupt ); se si definisce, infatti, il mondo come«accessibilità all'ente» ( Zugänglichkeit von Seiendem), si vede come, sostiene Heidegger, «in limiti più ristretti»,l'animale abbia mondo, in quanto gode di un certo accesso all'ente, cosa che non accade per la pietra. Per questo,

conclude Heidegger, all'animale «non appartiene un puro e semplice fare a meno del mondo».

447

 A questa argomentazione pare tuttavia applicarsi la nota metafora della coperta troppo corta, la quale, tiratasulla testa, lascia scoperti i piedi. Muovendo, nel tentativo di definire la mancanza di mondo della pietra, dalla «tesimediana», relativa alla «povertà di mondo» dell'animale (dalla tesi, cioè, che sostiene il relativo possesso di mondo da

 parte di quest’ultimo, a fronte dell’assoluta mancanza che connoterebbe la pietra), l'argomentazione heideggerianarivela, in primo luogo, difficoltà sul lato opposto, quello della distinzione fra l'animale e l'uomo, in quanto fondata sul

 possesso di mondo da parte di quest’ultimo; in secondo luogo, non viene, in questo modo, neppure risolto il problemamesso a fuoco, cioè la determinazione dell'essenza della pietra, che rimane inconcussa a fronte del princì pio esplicativodel mondo. Per ciò che concerne la prima difficoltà, va ricordato che la definizione del concetto di mondo consistenell'accessibilità all'ente in quanto tale; la definizione di mondo che fa riferimento all'«accessibilità all'ente»  sic et sempliciter   (messa in gioco da Heidegger per distinguere il «fare a meno in generale» del mondo, proprio della pietra,da quello dell'animale) appare dunque inadeguata, come Heidegger medesimo afferma poco oltre.448  Nella strategiaargomentativa heideggerina, l’accento posto (a proposito della relazione con l'ente che si verifica nel rapporto al

mondo) sull'espressione «in quanto tale» è necessario, poiché essa indica l'elemento che distingue l'accessibilità almondo che, propria dell'uomo, è negata all'animale: l'animale «usa» l'ente, ma non lo incontra mai «in quanto tale»,ovvero «in totalità», cioè come mondo (e neppure come ente sussistente, né come ente utilizzabile: cfr.  supra , § 6.1.3),dal momento che l'animale si rivolge a un'istanza (che Heidegger non definisce neppure attraverso il termine « etwas»,abitualmente utilizzato per indicare un ente, bensì attraverso quello di « solches») che soltanto l'uomo esperisce comeente.449   Per questo, quando Heidegger (al fine di determinare l'essenza della pietra, in quanto distinta da quelladell'animale), a proposito del «fare a meno» del mondo da parte dell'animale, fa uso del concetto di mondo cheidentifica tale determinazione con l'«accessibilità all'ente», si produce un contrasto con il concetto di mondo assunto perdeterminare l'essenza dell'uomo.

Per ciò che concerne la seconda difficoltà: sostenere, nel caso della relazione all'ente da parte dell'animale, latesi che quest'ultimo non faccia a meno «in generale» dell'ente, introduce, nei confronti della pietra, l'ulteriore problemadi definire in che cosa consista, nel caso della pietra, il «fare a meno in generale» del mondo. Ciò che resta non chiaritoè, dunque, la nozione stessa di «fare a meno» del mondo, che differenzierebbe la pietra dall’animale. Essa dovrebbe

caratterizzare l'animale nei confronti della pietra, ma riceve una caratterizzazione in positivo (al di là, cioè, della partizione che, sul piano della mera definizione, la assegna all'animale e la nega, per motivi diversi, alla pietra eall'uomo) soltanto nella comparazione dell'animale con l'uomo, comparazione all'interno della quale il «fare a meno»emerge, pur sempre, come una modalità dell'«avere mondo». In questo modo, la pietra finisce per essereconcettualizzata soltanto «in negativo», ovvero attraverso la dichiarazione di estraneità al mondo (l'estraneità, cioè, siaall'essenza dell'animale, sia a quella dell'uomo) pronunciata nei suoi confronti.

L'esame della discussione heideggeriana della tesi «la pietra è senza mondo» mette dunque in luce, neiGrundbegriffe , la difficoltà di pervenire a determinare l'essenza della pietra muovendo dal concetto di mondo, in quantoassunto come il fenomeno, dal punto di vista metafisico, fondamentale . La determinazione dell'essenza della pietra finisce, dunque, per collocarsi fuori dallo spettro esplicativo del concetto di mondo. Se così è, allora pare necessariosostenere che, nelle lezioni del semestre invernale 1929-30, il fenomeno del mondo, così come (anche se con modalitàdifferenti) la struttura dell'«essere nel mondo» in Sein und Zeit , lasci sussistere al di fuori di sé, in quanto principiocaratterizzante la realtà altra dall'esistenza, un'altra dimensione ontologica: una presenzialità bruta, non altrimenti

determinabile concettualmente. Nei Grundbegriffe , la pietra appare infatti, in ultima analisi, come una determinazioneresiduale, alla quale, muovendo dalla tesi relativa alla «povertà di mondo» dell'animale, si giunge esclusivamente persottrazione.450  

von Welt. Weltarmut ist ein Entbehren von Welt. Weltlosigkeit ist eine solche Verfassung des Steines, daß der Stein dergleichen wie Welt nicht einmalentbehren kann» (GA XXIX-XXX , p. 289 [255]).447  « Mag das Tier das Seiende anders und in engeren Grenzen zu gänglich haben, es entbehrt der Welt doch nicht überhaupt. Das Tier hat Welt. ZumTier gehört doch eben nicht Weltentbehrung schlechthin» (GA XXIX-XXX , pp. 292-293 [258]).448  «Welt bedeutet nicht Zugänglichkeit von Seiendem, sondern Welt besagt  unter anderem Zugänglichkeit von Seiendem als solchem» (GA XXIX-

 XXX , pp. 390-391 [343]).449  « Das Tier hat zwar einen Zugang zu..., und zwar zu solchem, was wirklich ist - was aber  nur wir als Seiendes  zu erfahren und offenbar zu habenvermögen» (GA XXIX-XXX , p. 390 [343]).450  Indicativi della difficoltà di ricondurre la determinazione dell'ente inanimato all’àmbito definito dal fenomeno (assunto come fondamentale dal

 punto di vista metafisico) del «regnare del mondo», appaiono, del resto, già i limiti, anche dal punto di vista quantitativo, della discussione dedicatada Heidegger alla tesi relativa all'«assenza di mondo» della pietra. La perplessità sorge già scorrendo il sommario della seconda parte dei

Grundbegriffe, quella dedicata, appunto, alla questione dell’essenza del mondo. Benché la «ricerca comparata» relativa all'essenza del mondo,condotta nella seconda parte dei Grundbegriffe, dichiari di prendere le mosse dalle tre «tesi guida» («la pietra è senza mondo», «l'animale è povero dimondo», «l'uomo è formatore di mondo»), l' indagine inizia con la discussione della seconda tesi (capp. 3-5), e si conclude (nel capitolo 6, che ha unosviluppo pari a quello di tutto il resto della seconda parte) con la discussione della terza tesi. Sul carattere residuale, nell’analisi heideggeriana, delladimensione «paraesistenziale» della natura (tanto di quella organica, quanto di quella inorganica), che gode del carattere di originarietà, ma non di

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6.2.2. La «povertà di mondo» dell'animale: carattere aporetico del tentativo di differenziare la «capacità» dell'animaledall'«apertura» dell'uomo.

L’assunzione, nelle lezioni del semestre invernale 1929-30, del «fare a meno del mondo» da parte dell’animale, quale

interpretazione della tesi relativa alla sua «povertà di mondo», va ora ulteriormente esaminata.Per quanto corretta, la determinazione formale del «fare a meno del mondo» non esaurisce, sostieneHeidegger, la realtà metafisica dell'essere «povero di mondo», cioè dell'animale; per chiarire il senso della «povertà dimondo», propria del vivente difforme dall'uomo, occorre intraprendere (confrontandosi con le «tesi fondamentali dellazoologia») un'indagine fenomenologica intorno al concetto di «organismo».451   Un tratto saliente dell'organo, rilevaHeidegger, è quello di configurarsi come «strumento» (Werkzeug ) anziché come «cosa d'uso» (Gebrauchsding ), ovverocome «mezzo» che sussista per sé (vorhanden für sich); laddove ciò che è, in senso proprio, «mezzo», è autonomo(eigenständig ) rispetto a colui che ne fa uso, lo «strumento» è, invece, incorporato (eingebaut ) in esso.452  L'essenzametafisica dell'organismo viene individuata, da Heidegger, nella «capacità di» (« Fähigkeit zu»); tale determinazionenon costituisce una qualsiasi delle qualità dell'organismo, bensì il suo tratto definitorio. Così è, esemplifica Heidegger,

 per la capacità di vedere nel caso degli occhi: si hanno occhi perché si può vedere, non viceversa. Detto altrimenti:Heidegger ritiene che si abbia un determinato organo perché si ha una specifica capacità, non il contrario.453  Non èl'organo ad avere la capacità: «l'organo è, al contrario, un possesso di una capacità. Il possessore è, dunque, la capacità,

non l'organo. É l’“esser capace di” a procurarsi gli organi; non sono gli organi a venir corredati da capacità oattitudini».454  Nel comportamento di taluni organismi unicellulari, Heidegger trova la dimostrazione della tesi secondola quale la capacità è antecedente agli organi: queste forme di vita formano e distruggono, in momenti successivi, i

 propri organi (bocca, stomaco, intestino e ano) in funzione di un processo (la nutrizione), ovvero di una capacità, e nonviceversa.455  

La mossa teoretica qui compiuta costituisce un passo decisivo, all'interno della strategia heideggeriana tesa adedurre le determinazioni ontiche delle manifestazioni dell'ente dal modo d'essere a loro corrispondente, cioè dalfenomeno che, dal punto di vista metafisico, le fonda. Per chiarire contorni e portata dell'analisi heideggeriana dedicataalla nozione di «capacità» occorre accostarla a quella che, in  Kant und das Problem der Metaphysik , rintraccia in Kantla prima deduzione «non sensistica» (nicht sensualistisch) del concetto ontologico della sensibilità, in forza della qualel'esistenza umana non viene determinata come finita perché sensibile, bensì , all'inverso, come sensibile perché finita.456  La determinazione ontologica della finitezza, in questo caso, fonda e giustifica l'esistere dell'uomo come esseresensibile; la questione decisiva intorno alla quale indagare non è, dunque, il carattere sensibile della conoscenza umana

(magari concepito come un attributo accessorio, e limitativo, della medesima), bensì quello della sua finitezza. L'intentosotteso dalla «deduzione non sensistica della sensibilità» (nel  Kantbuch) e dal primato, logico e ontologico, conferito(nei Grundbegriffe ) alla realtà della  Fähigkei t , nei confronti di quella dell'organo, è il medesimo: quello fondativo. Nel Kantbuch, esso risulta indirizzato a radicare le determinatezze ontiche nella costituzione d'essere dell'esserci; nellelezioni del semestre invernale 1929-30, la fondazione viene cercata sul terreno del fenomeno del mondo. La realtà della«capacità» riceve, infatti, la propria determinatezza dal rapporto che essa intrattiene con il mondo: il suo costituire iltratto decisivo dell'essenza dell'animale deriva dalla condizione di «povertà di mondo» che definisce quest'ultimo. Icaratteri tipici della «capacità» dell'animale derivano, cioè, dal suo «avere e non avere mondo» che lo definisce. Da unlato, sostiene infatti Heidegger, in quanto l'animale è nel modo d'essere (che lo differenzia dalla pietra) del «fare ameno» del mondo, esso ha mondo; d'altro canto, in quanto l'animale non ha rapporto all'ente in quanto tale (ciò che lodifferenzia dall'uomo: cfr.  supra , § 6.1.3) esso non ha mondo, come si è avuto modo di mostrare discutendo la nozionedi Selbstheit .

Proprio la questione dell'ipseità costituisce del resto, nella disamina heideggeriana, il terreno sul quale si

manifesta l'ambivalenza dell'«avere e non avere mondo» propria dell'animale, cioè il carattere problematico di talecondizione. L'essere «capace di» dell'animale non è infatti, secondo Heidegger, in grado di aprirlo alla considerazione

quello di autenticità, si veda O. Becker, L’essere e la «praesentia», cit ., pp. 153-154. Secondo M. Riedel, Ermeneutica della natura ed etica nel pensiero di Heidegger , «Verifiche», XVIII , (1-2 ), 1989, pp. 16-18 la rimozione dell’istanza della natura nella riflessione di Heidegger avviene da unlato con la sua riduzione alla dimensione dell’utilizzabilità, dall’altro (e ciò spiega il primo aspetto) con il perseguimento, da parte del filosofotedesco, di un’«autocostituzione teoretica della soggettività del soggetto», cioè del disegno di una metafisica dell’esserci.451  GA XXIX-XXX , pp. 309-310 [272-273].452  GA XXIX-XXX , p.321 [282-283].453  GA XXIX-XXX , p. 319 [281].454  « Das Organ ist umgekehrt ein Besitz einer Fähigkeit. Das Besitzende ist dabei die Fähigkeit, nicht das Organ. Das Fähigsein verschafft sichOrgane, nicht werden Organe mit Fähigkeiten oder gar Fertigkeiten ausgestattet » (GA XXIX-XXX , p. 324 [285]). P.Thomas, Selbst - Natur -sein, cit.,

 pp. 84-85 vede in quest’argomentazione l’estensione, all’analisi del vivente, della prospettiva della Zuhandenheit  e, con ciò, la riprova del fatto che laquestione dell’essere del vivente appare affrontata, da Heidegger, soltanto attraverso quella relativa all’essere dell’esistente. A parere di Thomas,occorre, all’inverso, applicare anche all’uomo, in quanto essere naturale (cioè vivente), le risultanze dell’indagine heideggeriana sull’essere del

vivente (ibid ., p. 153).455  GA XXIX-XXX , p.327 [288]). A. Beelman,  Heideggers hermeneutischer Lebensbegriff , cit., pp. 133 sottolinea la dipendenza del concettoheideggeriano di Fähigkeit  dal finalismo della filosofia della natura di von Baer, Driesch e von Uexküll (in particolare, da quella di quest’ultimo:ibid., pp. 77 sgg.)456   KM , p. 27 [34]; GA XX V, p. 87.

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dell'ente dell’entein quanto tale, cioè alla considerazione diverso da sé; proprio questo costituisce, come si è visto, ilmotivo in forza del quale il carattere di ipseità attribuibile all'animale va inteso, dichiara Heidegger, in un senso«puramente formale», e perciò diverso da quello peculiare dell'uomo. Se tuttavia si esamina la configurazione, da partedi Heidegger, di questo carattere «formale» di ipseità, si può scorgere il delinearsi di un'aporì a - consistente nellacircolarità dell’argomentazione - in ordine al tentativo di differenziarlo dall'ipseità «effettiva». L'essere «capace di»

 proprio dell'animale fa infatti riferimento, afferma Heidegger, a un «in se stessi»,457   che consiste nel fatto che «la

capacità si sposta nell'attraversamento [dell'ente] in direzione del proprio scopo, sospingendosi in avanti. Tuttavia lacapacità non se ne va via da sé medesima , non si perde; al contrario, in questo “andar verso” di carattere istintuale, lacapacità in quanto tale diviene e resta  propria a sé medesima .  Ciò,  senza né una cosiddetta autocoscienza , né unariflessione, cioè senza   un riferimento all'indietro a sé medesima . Per questo diciamo: la capacità è, in forza di questoessenziale essersi-propria,  propria».458  Questa è la caratterizzazione della «capacità», cioè del tratto ontologico tipicodell’animale; Heidegger prosegue, infatti, precisando che le espressioni «se stesso» ( selbst ) e «ipseità» (Selbstheit )vengono utilizzate per indicare l'«essere proprio a sé» ( sich-zu-eigen-sein) specifico dell'uomo, cioè la sua «proprietà»( Eigentümlichkeit ), e che a ogni ente che gode della prerogativa dell'ipseità, cioè dell'«esser proprio» a se stesso, puòessere attribuita la prerogativa della «proprietà», ma non viceversa. In senso rigoroso, soltanto all’«essere proprio»dell’uomo compete il carattere di ipseità, ovvero di personalità. 459  

La «capacità» dell'animale, pur dando luogo a una «proprietà», non perviene dunque, dichiara Heidegger,all'ipseità se non assumendo questa nozione in un'accezione «puramente formale»: ciò accade a causa del fatto che,rimanendo circoscritta nel suo Umtreiben, cioè nel cerchio della propria pulsionalità, la «capacità» non riesce ad aprirsi

alla considerazione dell'ente in quanto tale, ovvero in quanto diverso da sé. In questo modo, alla «capacità» propriadell'animale resta preclusa la struttura relazionale dell'«in quanto», cioè l'«aver mondo» in senso compiuto, e ciò ladifferenzia dalla «capacità specifica dell'uomo»; per questa via, conclude Heidegger, nell'animale l'istanza della«capacità» dà luogo al «comportamento» ( Benehmen), che consiste nell'«essere preso» ( Benommenheit ), laddove il«rapportarsi a» (Sich verhalten zu ) dell'uomo dà luogo, invece, all'«atteggiamento» ( Haltung ), determinazione che(proprio perché segnala l'incontro dell'esistente con l'ente in quanto tale) rappresenta uno dei tre «caratteri importanti»del mondo.460   All’animale compete, dunque, un «ambiente» (Umgebung ), non un «mondo» (Welt ): l’«esser preso»dell’animale è la condizione di possibilità per il primo, non per il secondo.461  Per questo, la dimensione dell’«in quanto»resta preclusa all’animale.

Il rilievo critico che qui si impone riguarda il fatto che l’argomentazione heideggeriana, tesa a differenziare la«capacità», in quanto modo d'essere dell'animale, dalla «capacità» (che soltanto impropriamente può essere definitacome tale) dell'uomo,462   presenta un carattere di circolarità. Per un verso, la distinzione fra il modo d’esseredell’animale e quello dell’uomo viene collocata, da Heidegger, nella diversità di ciò che essi incontrano: nel caso

457  « Fähigsein - darin liegt dieses “sich in sich selbst”» (GA XXIX-XXX , p. 339 [298]).458  « Die Fähigkeit verlegt sich - sich in sich vortreibend - in die Durchmessung zu ihrem Wozu. Aber gleichwohl geht die Fähigkeit  nicht von sichweg, sie verläuft sich nicht, sondern umgekehrt: In diesem triebhaften Hin -zu wird und bleibt die Fähigkeit als solche sich zu eigen - und zwar ohneein sogenanntes Selbstbewüßtsein oder gar eine Reflexion, einen Rückbezug auf sich selbst. Wir sagen deshalb: Die Fähigkeit ist, aufgrund dieseswesenhaften Sich-zu-eigen-sein, eigen-tümlich».(GA XXIX-XXX , p. 340 [299]).459 «Wir behalten uns den Ausdruck des “selbst” und der Selbstheit zur Kennzeichnung der spezifisch menschlichen Eigentumlichkeit, seines Sich-zu-eigen-seins vor und sagen deshalb: Jedes Selbsthafte, jedes Seiende, das in weiterem Sinne den Charakter der Person hat (jedes Personale), ist eigen-tümlich, aber nicht jedes Eigentümliche ist selbst- und ichhaft. Die Art und Weise, wie das Tier sich zu eigen ist, ist nicht Personalität, nicht Reflexionund Bewußtsein, sondern einfach nur Eigentum. Die Eigen-tümlichkeit ist ein Grundcharakter jeder Fähigkeit » (GA XXIX-XXX , p. 340 [299]). Sulcarattere problematico della distinzione fra uomo e animale nel contesto dei Grundbegriffe, e sulla presupposizione antropocentrica che la sorregge, siveda J. Derrida, De l’esprit , cit., cap. 6. Sull’ascendenza teologica della tesi relativa alla «povertà di mondo» dell’animale, si veda A. Beelman,

 Heideggers hermeneutischer Lebensbegriff , cit., pp. 63 sgg. Per questo, rileva l’interprete, la determinazione metafisica dell’essenza dell’animale nonsi ferma, in queste lezioni, alla focalizzazione dell’elemento linguistico, e deve invece retrocedere - in modo inspiegabile, a partire dall’immanenzadel testo - al carattere di mortalità dell’esistente, in quanto carattere discriminante fra quest’ultimo e l’animale (ibid ., pp. 148-149; cfr. supra, nota 30).La differenziazione del vivente (concepito come ciò che è «povero di mondo») dall’esistente è perciò, nei Grundbegriffe, assunzione aprioristica e

metodologicamente preliminare, che rinvia alle analisi dello Hauptbuch . Del resto, è altrettanto significativo il fatto che Heidegger focalizzi la propriaindagine su organismi inferiori, anziché sugli animali più vicini all’uomo; è questo il modo in cui la questione circa l’essere del vivente riceve, neiGrundbegriffe, una risposta soltanto implicita, ottenuta per via di negazione: J. U. Barrón, Die Grundartikulation des Seins, cit., pp. 167, 176.460  GA XXIX-XXX , §§ 58, 64. Ciò comporta inoltre, secondo Heidegger, un diverso configurarsi del modo d'essere ( Seinsart ) della «capacità»nell'animale e nell'uomo, fino al punto da risultare improprio attribuire a quest'ultimo tale determinazione. L'uomo e l'animale non vedono infatti,sostiene Heidegger, la medesima cosa: a rigore, soltanto il primo, attraverso la vista, incontra un ente. Per questo la possibilità di vedere dell'animale,insiste Heidegger, è qualcosa di «assolutamente diverso», rispetto a quella dell'uomo: «[...] wir dürfen nicht ohne weiteres unser Sehen mit dem desTieres vergleichen, insofern das Sehen und Sehenkönnen des Tieres eine Fähigkeit ist, während unser Sehenkönnen am Ende noch einen ganzanderen Möglichkeitscharakter und eine ganz andere Seinsart besitzt » (GA XXIX-XXX , p. 337 [296]). La «comprensione» propria del vivente sicolloca, dunque, in una dimensione che precede non soltanto quella predicativa, ma anche quella ermeneutica: la «comprensione naturale» è pre-ermeneutica (P. Thomas, Selbst - Natur -sein, cit., p. 88). Del resto, è opportuno rilevare (così H. Maldiney, Penser l’homme et la folie, cit., pp. 196-197) che il participio «benommen» indica, nella lingua tedesca, la condizione di brutalità bestiale propria, tuttavia, dell’uomo, non dell’animale;riferendola all’animale, Heidegger sottolinea l’elemento di continuità ontologica fra quest’ultimo e l’uomo. Sull’appartenenza di Benommenheit  e

 Benehmen al campo semantico del verbo nehmen, e sull’utilizzazione di quest’ultimo nella concettualizzazione della vita animale nei Grundbegriffe,si veda M. Bassanese, La noia e il mondo della vita animale, cit., p. 58.461  « Die Benommenheit ist die Bedingung der Möglichkeit dafür, daß das Tier seinem Wesen nach in einer Umgebung sich benimmt, aber nie in einer

Welt» (GA XXIX-XXX , pp. 347-348 [305-306]). Ciò che distingue il mondo dell’uomo dall’ambiente dell’animale è la cesura che fornisce al primo la possibilità di rapportarsi a un ente, concepito come esterno a sé: H. Maldiney,  Penser l’homme et la folie, cit., p. 197. Secondo Maldiney, proprio ilrapporto di reciproca permeabilità, senza cesure, fra il vivente e la sua Umwelt  costituisce l’elemento originale dell’analisi heideggeriana (ibid ., p.373).462  GA XXIX-XXX   p. 397 [350].

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dell'animale, un'istanza (che Heidegger, come si è notato, non designa neppure attraverso il termine «etwas»,usualmente riferito agli enti, bensì attraverso il termine « solches») che si pone, rispetto alla «capacità» nella formadell'«essere al servizio» ( Diensthaftigkeit ) e, nel caso dell'uomo, un «mezzo», cioè un ente in quanto tale, che si

 presenta nella forma dell'«utilità» ( Dienlichkeit ) (cfr.  supra , § 6.1.3). Dall'altro lato, Heidegger afferma, all’inverso, chela differenza fra ciò con cui ha a che fare l'animale e ciò con cui ha a che fare l'uomo dipende dalle differenticostituzioni ontologiche dell'uno e dell'altro; la natura di ciò che viene incontrato dall'animale e dall'esistente dipende,

cioè, dalla «povertà di mondo» del primo e dall'essere «formatore di mondo» il secondo, e non il contrario. É infatti la povertà di mondo, in quanto essa determina il darsi dell'essere dell'animale nella modalità della «capacità», a impedireall’animale di incontrare l’ente in quanto tale.463  In altri termini: stando a questa seconda argomentazione heideggeriana(peraltro congruente con quella secondo la quale è la determinazione ontologica a decidere dell’organo, e non ilcontrario), il diverso carattere di ciò che viene incontrato dall'animale e dall'uomo dipende dal diverso «regnare delmondo» nell'uno e nell'altro, e non viceversa. Il carattere circolare dell'argomentazione heideggeriana consiste, dunque,nel fatto che la differenza fra ciò che viene incontrato dall'uomo e ciò che (non) viene incontrato dall'animale vieneutilizzata per spiegare la loro diversità, ma dipende da questa stessa diversità. Quest'ultima risulta perciò come una

 presupposizione, che si fonda sulla tesi del differente manifestarsi, nell'uomo e nell'animale, del fenomeno del mondo. Équindi su tale fenomeno che occorre riportare l'attenzione, muovendo dal tentativo heideggeriano di caratterizzare l'entenel quale esso si manifesta in modo eminente: l'uomo.464  

6.2.3. La «formazione di mondo» da parte dell'uomo: la centralità dell’esistente come eredità della prospettivadell’«ontologia fondamentale», che prevale su quella della «cosmologia fenomenologica».

 Nei Grundbegriffe   l'indagine intorno al concetto di mondo si apre, come già si è rilevato, con l'evidenziazione dellacoappartenenza fra tale istanza e la determinazione metafisica dell'esistenza umana, designata attraverso la nozione diVereinzelung . Secondo le indicazioni di Heidegger, è dunque il rapporto fra uomo e mondo ciò che deve anzituttoessere indagato, per venire in chiaro delle realtà indicate dai due termini. Nei confronti del mondo, l'uomo ha unrapporto che fa emergere, sostiene Heidegger, un «significato duplice» ( Doppeldeutigkeit ) del concetto di mondo: perun verso, esso ne costituisce una parte, per l'altro ne è, al contempo, «signore e servo».465  Le due «definizioni» fannoriferimento a due diverse concezioni del mondo: la prima risponde, per esempio, a quella che contrappone Dio, inquanto creatore, e il mondo, in quanto creato, dove quest'ultimo è «il tutto dell'ente non divino e al di fuori deldivino».466  Nel secondo caso, l'uomo è «signore e servo» del mondo in quanto non soltanto ne costituisce una parte, ma«sta di fronte al mondo». «Tale “star di fronte” è un avere il mondo come ciò in cui l'uomo si muove, con il quale si

confronta, che domina e che, nel contempo, serve, e al quale esso è consegnato».467

 In entrambi i casi - è opportunosottolinearlo - l’istanza rappresentata dal concetto di mondo rinvia alla prospettiva «cosmologico-fondamentale», doveesso appare come il principio determinativo delle manifestazioni del’ente, piuttosto che nella sua valenza differenzialerispetto a esse (cfr.  supra , cap. 5.2.2). In questo senso, è significativa l’insistenza di Heidegger, in questo contesto, sulfatto che l’uomo «sta di fronte» al mondo, «si confronta» con esso, piuttosto che sul carattere differenziale diquest’ultimo, concepito non come il differente dell’uomo, sullo stesso piano rispetto a esso, ma come l’evento che dàluogo (nella dimensione del suo «regnare») a questo differire.

 Nella prospettiva cosmologico-fondamentale, dove l’uomo è «signore e servo del mondo», risultano,nondimeno, riformulate le definizioni previste, in Sein und Zeit , dalla «tavola dei significati» del concetto di mondo,espressione del progetto di ontologia fondamentale, il cui insieme compendia, nello  Hauptbuch, i diversi livelli delrapporto di coappartenenza fra mondo ed esistente. Soltanto apparentemente, infatti, la prima delle due «definizioni»

 proposte nei Grundbegriffe  (quella che concepisce l'uomo come «parte» del mondo, in quanto creato) riassume le primedue della tavola di Sein und Zeit   (quelle che attribuiscono al termine Welt , rispettivamente, il significato ontico di

463  GA XXIX-XXX , p. 331 [291]. Nello stesso senso, si veda anche GA XXIX-XXX , p. 388 [341]. P. Thomas, Selbst - Natur - sein, cit., p. 54 hasegnalato il problema di stabilire, nelle lezioni del semestre invernale 1929-30, se la costituzione originaria delle manifestazioni dell’ente (pietra,animale, uomo) si conformi alle regioni dell’ente in quanto date o se, viceversa, tali regioni non siano date che con gli “atti” delle manifestazionidell’ente. Ci sembra tuttavia che - a prescindere dal carattere problematico dell’argomentazione relativa alla distinzione fra la «capacità» dell’animalee la «formazione di mondo» dell’uomo - Heidegger opti decisamente per la seconda alternativa.464  A questo proposito, è significativo il fatto che lo stesso Heidegger, terminando (§ 63) l'analisi dedicata al modo d'essere proprio dell'animale,sollevi il problema del fatto che la tesi che lo definisce (quella che menziona la sua «povertà di mondo») avvia la considerazione dell'animale a partiredal punto di vista dello statuto delll'uomo. Heidegger si giustifica affermando che, per questa via, ci si è avvicinati al chiarimento del concetto dimondo e, con ciò , all'indagine riguardo a noi stessi: GA XXIX-XXX , pp. 394-395 [347]. Secondo S. Glendinning, Heidegger and the question ofanimality, «International Journal of Philosophical Studies», (4), pp. 79-80, il punto debole dell’argomentazione heideggeriana non consisterebbe tantonella carente determinazione dell’essenza del vivente, quanto nell’aprioristica presupposizione ( che farebbe ricadere Heidegger all’interno della

 prospettiva umanistica tradizionale) relativa al primato dell’esistente. A parer nostro, tuttavia, il primo aspetto non è che la conseguenza del secondo.465  « Der Mensch ist 1. ein Stück der Welt. 2. Als dieses Stück ist er zugleich Herr und Knecht der Welt » (GA XXIX-XXX , p.262 [231]). Si colloca qui,crediamo, la radice dell’«ambivalenza» (rilevata da R. Pocai, Heideggers Theorie der Befindlichkeit , cit., p. 192 Anm. 2), nei Grundbegriffe, del

concetto di Dasein , che indica per un verso l’essere dell’uomo (e, dunque, la sua specificità nei confronti degli altri enti, consistente nell’essere, alcontempo, «signore e servo» del mondo), per l’altro il suo carattere di ente (e, in quanto tale, il suo essere «parte» della totalità di quest’ultimo).466  «[...] das Ganze des nicht- und außergöttlichen Seienden» (GA XXIX-XXX , p. 262 [231]).467  «[...] der Mensch steht der Welt gegenüber. Diese Gegenüberstehen ist ein Haben der Welt als das, worin sich der Mensch bewegt, womit er sichauseinandersetzt, was er beherrscht und was er zugleich bedient und dem er ausgeliefert ist » (GA XXIX-XXX , p. 262 [231]).

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«complesso di enti» e quello categoriale della struttura ontologica corrispondente a tale complesso) e la seconda (dovel'uomo appare, a un tempo, come «signore e servo» del mondo) corrisponde alle altre due, quella preontologico-esistentiva («ciò “in cui” un esserci fattivo “vive”») e quella ontologico-esistenziale (la «mondità»). Laddove, in effetti,la quadripartizione di Sein und Zeit  trova il proprio filo conduttore e il proprio fondamento nell'esserci, la bipartizionedei Grundbegriffe lo ha nel fenomeno del mondo. É un «carattere di mondo», infatti, anzitutto la manifestabilitàdell'ente in quanto tale; la manifestabilità, cioè, tanto dell'ente posto come creatore, Dio, quanto dell'ente creato, al quale

appartiene come sua «parte», stando al testo delle lezioni del semestre invernale 1929-30, l'uomo. É un «carattere dimondo», in secondo luogo, la struttura dell'«in quanto», che dà luogo alla multiformità differenziale degli enti, ovvero aciò «in cui l'uomo si muove, con cui si confronta, che domina e che al contempo serve, e al quale è consegnato». É un«carattere di mondo», infine, la stessa determinazione metafisica dell'uomo, l'ipseità, che ne costituisce, rispetto allealtre forme di ente, il tratto specifico. Tutto ciò appare congruente con la riconduzione della struttura relazionaledell'ente (l'«in quanto») e dell'essere dell'esistente al «regnare del mondo», concepito come loro radice comune. Inquesto modo, il fenomenizzarsi del mondo si delinea, nei Grundbegriffe,  come il configurarsi di un progetto diquest'ultimo : «progetto di mondo», appunto (cfr. supra , § 6.1.2).

Occorre, tuttavia, chiedersi se la bipartizione dei Grundbegriffe   rappresenti effettivamente una revisioneradicale, nei confronti della «tavola dei significati» di Sein und Zeit ; occorre cioè chiedersi se, sciogliendo l’ambiguità

 più volte evidenziata, la prospettiva «cosmologica» aperta, nel testo delle lezioni del semestre invernale 1929-30,dall'istanza del «regnare del mondo», abbia preso definitivamente congedo dalla collocazione, messa in attodall'ontologia fondamentale, del fenomeno del mondo all'interno della struttura esistenziale. Una risposta negativa a tale

domanda viene suggerita dal fatto che la bipartizione dei Grundbegriffe, disegnata dal «significato duplice» del concettodi mondo (in forza del quale l'uomo appare da un lato come «parte del mondo», dall'altra come «signore e servo» delmedesimo), risulta accostabile alla tripartizione che, in molti testi della seconda metà degli anni Venti, Heideggerdesume da Aristotele, in ordine alla possibile articolazione del problema dell'essere, quale oggetto di conoscenza da

 parte della «filosofia prima»: conoscenza dell'ente in quanto tale (on he on), conoscenza della sua «parte più nobile»(vorzüglichster    Bezirk , timiotaton ghenos), conoscenza dell'ente in totalità (Seiendes im Ganzen, katholou).468  Accostando questa tripartizione alla bipartizione dei Grundbegriffe , si nota come, nella seconda, la determinazione«uomo» rivesta, nei confronti della realtà designata dal termine «mondo», lo stesso ruolo che, nella tripartizione, vienegiocato, rispetto all'ente, dall'essere. Così come, nell'articolazione aristotelica, la considerazione dell'essere (concepitacome fondamento dall'ente) corrisponde alla ricerca rivolta all'ente «in quanto tale», e questa determinazione sisovrappone a quella relativa all'ente in totalità, così nei Grundbegriffe  la considerazione dell'ente nella sua totalità (laconsiderazione, cioè, del mondo, che presuppone la manifestabilità dell'ente in quanto tale) coincide con l'indaginerelativa al fondamento di questa totalità, che ne è la parte privilegiata, cioè l'esistente.

Detto altrimenti: dalla bipartizione che, nei Grundbegriffe , definisce l'uomo come, al contempo, «parte» e«signore e servo» del mondo, traspare, attraverso il suo accostamento con l'articolazione aristotelica, l’attribuzione,all'essenza umana, del ruolo di  fondamento nei confronti del fenomeno del mondo. La conferma in questo senso vienedalla scelta, da parte di Heidegger, di porre l'accento (quale punto d'attacco dell'«osservazione comparata» sviluppatanelle lezioni del semestre invernale 1929-30) sull'uomo, in quanto egli (in virtù del suo essere «signore e servo» delmondo) ha  il mondo, piuttosto che sul mondo, del quale l'uomo rappresenta qualcosa di più che «una parte». 469  Diquesta prospettiva, che confligge con quella che assegna il primato (relativamente alla fondazione metafisica dellemanifestazioni dell'ente) al «regnare del mondo», è espressione la tesi che guida l'indagine dei Grundbegriffe  intornoall'essenza dell'uomo, definito come «formatore di mondo». La questione relativa alla formazione di mondo, affermaHeidegger, riguarda «l'uomo che noi stessi siamo»;470  è a quest'uomo, cioè a noi stessi, che il mondo appartiene, inquanto il mondo «fa parte» della formazione di mondo operata dall'uomo, e soltanto in essa sussiste. 471  Heidegger

 precisa, inoltre, che «formatore di mondo» non è l'uomo in qualsivoglia e indeterminata sua manifestazione ontica, bensì la determinazione ontologica dell'uomo, cioè l'esserci, che è «nell’uomo»;472  la figura della Weltbildung  fa dunque

sì che non consegua, dal fatto che l’uomo sia formatore di mondo, il fatto che egli appaia come una fenomenizzazionedi quest’ultimo. L'indubbio primato che il tema della Weltbildung  concede, nei confronti del fenomeno del mondo,all'esserci, spinge lo stesso Heidegger a difendersi, in anticipo, dalle possibili accuse di «soggettivismo».L'argomentazione di Heidegger, a questo proposito, è la seguente: la «formazione di mondo» non va intesa comel'imposizione, da parte dell'uomo, di una sorta di «cornice», che venga chiusa, in un secondo tempo rispetto al suo esser

468   KM , p. 7 [17].469  GA XXIX-XXX , p. 263 [232].470  « Die Frage nach der Weltbildung ist die Frage nach der Menschen, der wir selbst sind, somit die Frage nach uns selbst» (GA XXIX-XXX , p. 408[359]).471  «Welt ist - nach der These - zugehörig der Weltbildung. Offenbarkeit des Seienden als solchen im Ganzen, Welt, bildet sich, und Welt ist nur, was

 sie ist, in einer solchen Bildung. Wer bildet die Welt? Nach der These der Mensch» (GA XXIX-XXX , p. 413 [363]).472  «Weltbildung geschieht, und auf ihrem Grunde kann erst ein Mensch existieren. Der Mensch qua Mensch ist weltbildend, das heißt nicht: der

 Mensch, so, wie er auf der Straße herumläuft, sondern das Da-sein im Menschen ist weltbildend ». (GA XXIX-XXX , p. 414 [365]). O. Becker, L'essere

e la « praesent ia», cit., pp. 150-151 giudica l'espressione (assente in Sein und Zeit, dove «esserci» e «uomo» rappresentano concetti coestensivi)«esserci nell' uomo», rintracciabile nei testi heideggeriani da Vom Wesen des Grundes in poi, come i l tentativo di prendere in considerazione la« praesentia », cioè la dimensione «paraesistenziale» che, nell'uomo, cade al di fuori della possibilità esplicativa della determinazione dell'«essere nelmondo». Riteniamo, tuttavia, sia da sottolineare il fatto che, in questo contesto, tale dimensione resta comunque esclusa dallo spettro esplicativo delconcetto di «formazione di mondo».

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data, intorno della realtà dell'ente, e soltanto in quanto essa sia per noi manifesta.473  Nella «formazione di mondo»,sottolinea Heidegger, occorre porre l'accento sul fatto che ciò che diviene manifesto è l'ente nella sua totalità; a parere diHeidegger, ciò è sufficiente per sottrarre la determinazione della «formazione di mondo» all'àmbito degli atti arbitraridel soggetto.474  

Per articolare e fondare ulteriormente la propria tesi, secondo la quale l'uomo è «formatore di mondo»,Heidegger intende mostrare la «connessione intrinseca» che lega le istanze alle quali fanno riferimento le nozioni di

logos, Sprache e Welt , muovendo dalla celebre definizione che pone l'uomo come « zoon logon echon». Contestando(per il suo carattere, secondo Heidegger, riduttivo) la traduzione latina, che rende l'espressione greca attraverso quella di«animal rationale», Heidegger nota che il termine logos, prima che come «ragione», vale, anzitutto, come «discorso»( Rede) e come «linguaggio» (Sprache); è dunque a partire dalla dimensione individuata da questi due termini, sostieneHeidegger, che va pensata la realtà dell'uomo. Sussistendo, inoltre, la connessione fra logos e nous, cioè fra il logos el'«apprendere qualcosa» (Vernehmen von etwas), Heidegger afferma che, anche secondo la sentenza greca, l'esseredell'uomo deve venir pensato come un «essere aperto per» (Offensein für ) che, avendo il carattere del percepirequalcosa in quanto qualcosa (Vernehmen etwas als etwas), si configura come un'apertura al mondo; questa è la modalitàd'essere, ricorda Heidegger, che si è convenuto di definire come «rapportarsi» ( sich verhalten), e che distingue l'uomodall'animale. In questo modo, sostiene Heidegger, si è mostrata l'identità di contenuto concettuale fra la sentenza greca ela tesi riguardante la Weltbildung.475  

La sovrapposizione che, in forza di questa argomentazione heideggeriana, viene compiuta tra il concetto dilogos e quello di Welt , chiarisce ulteriormente il ruolo della determinazione della Weltbildung , la dimensione fondativa

che essa delinea, e la posizione subordinata che, rispetto a essa, assume l'istanza designata dalla stessa nozione di Welt .La manifestabilità «antepredicativa o, meglio, prelogica», nella quale si fonda il logos in quanto veritativo (cfr.  supra , §5.1.2), si colloca infatti, afferma Heidegger, nell'«essenza dell'uomo», così come essa risulta determinata dalla tesirelativa alla «formazione di mondo».476  A partire da questa tesi, logos e mondo appaiono come funzioni dell'«essenzaumana», anziché costituire (come accade laddove si prendano le mosse dal fenomeno del «regnare del mondo») unevento di mondo. Nella tesi che interpreta l’uomo come «formatore di mondo», dunque, la prospettiva dell’«ontologia fondamentale» prevale su quella della «cosmologia fenomenologica».

6.3 Il mondo: evento o fondamento?

6.3.1. “Cosmologia fondamentale” e “cosmologia fenomenologica”: la tesi della «formazione di mondo» da partedell’uomo e quella dell’evento del «regnare del mondo».

L'esame delle analisi heideggeriane dedicate, nei Grundbegriffe , al concetto di mondo ha dunque messo in luce unduplice approccio a questo fenomeno. Per un lato, il fenomeno del mondo, in quanto accadere differenziale rispetto allediverse modalità dell'ente  (pietra, animale, uomo; connotate, rispettivamente, dall'«assenza», dalla «povertà» e dalla

473  «[...] was heißt hier Form, und was meint “für uns offenbar”? Ist Form nur ein Rahmen, der nachträglich um das Seiende gesperrt wird, soweit es für uns gerade offenbar ist? Und wozu dieser nachträgliche Rahmen? Ist das Seiende anders offenbar als eben für uns? » (GA XXIX-XXX , p. 413[364]).474  «Wenn schon zu dieser das “im Ganzen” gehört, ist es dann nicht doch der Subjektivität des Menschen, d. h. hier seinem jeweiligen momentanen

 Belieben, entzogen?» (GA XXIX-XXX , p. 414 [365]). Al di là del giudizio sull'efficacia di questa argomentazione heideggeriana, è necessariosottolinearne l'importanza, in quanto indicativa dell'evolversi della posizione di Heidegger tra Sein und Zeit  e i Grundbegriffe, nonché della

 percezione che di tale evolversi ha i l fi losofo. Se s i prende infatti in considerazione l'obiettivo polemico che traspare dall'argomentazioneheideggeriana delle lezioni del semestre invernale 1929-30, cioè la posizione che il filosofo qualifica come «soggettivista», e dalla quale egli intende

 prendere le distanze, si può rilevare come essa appaia molto vicina agli esi ti della tesi relativa al la «carenza ontologica» dell'ente difforme

dall'esserci, rintracciabile nello Hauptbuch  del 1927 (cfr supra , cap. 2.1), cioè al darsi della dimensione realistica dell’ente difforme dall’esserci pr ima dell’imposizione, a esso, della «cornice» dell’intramondanità. Nel 1927, infatti, Heidegger sottolinea il fatto che il carattere di intramondanità,cioè l’inserimento dell’ente nell’orizzonte della struttura esistenziale dell'«essere nel mondo», costituisce una caratteristica di quest’ultimo. Lamanifestabilità dell’ente difforme dall’esserci quet'ente sopraggiunge, in altri termini, proprio «in un secondo tempo» ( nachträglich) rispetto alla suadatità e al suo sussistere, al di là della «cornice» dell'«essere nel mondo», in una dimensione di realtà bruta, non manifesta per noi. Sottolineare, comefa Heidegger nei Grundbegriffe, il fatto che è l'ente «nella sua totalità» («im Ganzen», dove tale espressione vale, qui, non soltanto extensive maanche, e soprattutto, intensive) a manifestarsi, indica proprio il tentativo di rimuovere questo residuo (costituito dall'istanza che, rispetto almanifestarsi, permane come irriducibilmente «altra»), metabolizzandolo nell'articolarsi del principio posto come fondativo: il mondo. Resta davalutare la r iuscita di questo tentativo ponendo l'accento su due elementi, fra loro connessi: anzitutto sul fatto che dal mondo, in quanto principiofondativo, non appare possibile (se non per via di negazione, cioè sul piano della mera definizione: il carattere di «privazione di mondo», attribuitoall'ente minerale) dedurre la realtà della pietra (cfr. supra , § 6.2.1). In secondo luogo, occorre sottolineare che questo stesso principio, posto comefondativo, sembra postulare a sua volta, a proprio fondamento, una dimensione più originaria: quella della sua «formazione», messa in atto da partedell'essenza umana.475  GA XXIX-XXX , pp. 442-443 [390-391]). Va al proposito rilevato che, pur ammettendo l'identità fra la tesi che individua nel logos il trattocaratteristico dell'uomo e quella che lo rintraccia, invece, nella Weltbildung , non si può considerare fondate né l'una né l'altra tesi soltanto in forzadella loro identità. Dimostrata la possibilità di «tradurre» la prima nella seconda, resterebbe ancora da risolvere, per Heidegger, il problema di

giustificare quest'ultima, cioè la propria tesi, anche chiarendone il significato.476  «[...] wo ist dann diese ursprüngliche Offenbarkeit? Doch nicht außerhalb des Menschen, sondern gerade er selbst in einem tieferen Sinne, er selbst in seinem Wesen. Dieses Wesen wurde thesenhaft angezeigt: der Mensch ist weltbildend» (GA XXIX-XXX , p. 495 [437]). Nella figura dellaWelbildung , interpretata (in quanto determinazione antepredicativa) come espressione del primato conferito alla comprensione, M. Ruggenini, La

 finitude de l 'existence et la question de la verit é: Heidegger 1925-29, cit., p. 167, vede l'elemento di continuità fra i Grundbegriffe eSein und Zeit .

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«formazione» di mondo), rappresenta un evento irriducibile alle proprie stesse manifestazioni, alle quali «dà il luogo». Il mondo è, in questa prospettiva «cosmologico-fenomenologica», un fenomeno la cui non tematizzabile essenzaconsiste nella differenza rispetto alle sue manifestazioni. Per un altro verso, il fenomeno del mondo vale, invece, quale principio determinativo della loro essenza: il problema della derivabilità delle mani festazioni dal loro principiodeterminativo (in particolare, il problema del rapporto che l’uomo, in quanto «signore e servo» del mondo, intrattienecon esso: cfr. supra, § 6. 2. 3) definisce questa seconda prospettiva come «cosmologico-fondamentale». Nelle lezioni

del semestre invernale 1929-30, la tesi (erede dell’esigenza che già guidava il progetto di ontologia fondamentale dello Hauptbuch) secondo la quale «l’uomo è formatore di mondo» interviene in questo secondo orizzonte interpretativo.Appare opportuno insistere sulla specificità dell’approccio che abbiamo definito come «cosmo logico-

fenomenologico», imperniato sul carattere evenemenziale dell’istanza del «regnare del mondo». Si prenda, anzitutto, inconsiderazione l'orizzonte delineato da tale nozione. Nel negare la possibilità, per ogni ontologia, di esprimere in misurametafisicamente adeguata il fenomeno della differenza ontologica, Heidegger si ripropone (cfr.  supra , cap. 5.2.1) diesaminare quest'ultima «in se stessa»; egli intende, con ciò, mettere a fuoco non il «prodotto» della differenza tra essereed ente, cioè le diverse specificazioni dell'ente, bensì il  fatto di questo specificarsi, che costituisce la genesi dellediverse modalità di specificazione. In questo senso, Heidegger sostiene che la differenza, non intercorrendo fradeterminazioni sussistenti, non va interpretata essa stessa come un sussistente;477   per cogliere adeguatamente ladifferenza fra l'essere e l'ente (ovvero: per cogliere l'essere nella sua differenza dall'ente) occorre «trasporci» (unsversetzen), sostiene Heidegger, «nell’accadere di questo differire, nel quale esso accade».478  L'espressione «regnare delmondo» intende designare proprio questo accadere; la sua «struttura tripartita» (suddivisa in «portarsi incontro di ciò

che vincola», «integrazione», «svelamento dell'essere dell'ente») trova, infatti, la propria unità nella dimensione del«progetto», che è «l'autentico accadimento della differenza fra essere ed ente»,479  e che costituisce, in quanto «progettodi mondo», una fenomenizzazione del «regnare del mondo».480  In questa prospettiva, «essere dell'ente» rappresenta ladesignazione dell’evento di un fenomeno che appare più preciso indicare attraverso la nozione di mondo o, in modoancor più adeguato, attraverso l'espressione «regnare del mondo». Se infatti, secondo Heidegger, l'istanza dell'essere ela struttura dell'«in quanto», nel rinviare alla medesima origine e alla radice comune, risultano cooriginarie,481  e se lastruttura dell'«in quanto», come pure egli sostiene, rappresenta un «carattere importante» del mondo, questa stessaqualifica dovrà essere estesa anche all'essere. In questo modo, la fondazione della multiformità dell'ente, cioè l'origineche dà conto sia del suo diversificarsi, sia del suo far riferimento all'essere come all'elemento comune alle diversità,consiste non in un fondamento, bensì in un accadere, cioè in un evento: il «regnare del mondo», appunto.

A motivo del carattere evenemenziale (e, in ciò, «ontologicamente differente» dall'ente) del «regnare delmondo», Heidegger si spinge a sostenere la non tematizzabilità del fenomeno del mondo: proprio perchè il mondo nonsoltanto non è sussistente in sé, ma non è neppure una struttura sussistente da considerarsi, in quanto tale, come

riferibile all'esserci, non è possibile «avere sott'occhio in modo diretto», come dichiara Heidegger, il fenomeno delmondo.482  Ciò a causa delle caratteristiche della realtà alla quale fa riferimento il concetto di mondo; esso designa unarealtà (il «regnare») che non si connota come una sostanza, bensì come l'evento di una dinamica. L'impossibilità ditematizzare concettualmente (betrachten) la realtà metafisica designata dal concetto di mondo deriva, in altri termini,dal fatto che tale concetto non si riferisce ad alcuna sostanza, in quanto a esso corrisponde non la realtà di un ente, bensìl'indicazione di un evento: il «regnare del mondo».483   Questa argomentazione, sviluppata nel paragrafo 74 deiGrundbegriffe , appare come il presupposto di quella (esposta nel paragrafo successivo) che, mettendo a fuoco laquestione della «differenza ontologica», pone l'accento sul fatto che tale determinazione si riferisca non a una relazioneintercorrente fra realtà già costituite, bensì all'evento del differire, in quanto momento originario della loro istituzione.Stando ai Grundbegriffe, la fallacia dell'ontologia consis te proprio nel fatto che essa misconosce il carattereevenemenziale del principio originario e, nel tentativo di tematizzarlo, lo entifica; la differenza fra l'essere e l'ente «o, in

 breve, l'essere»,484  risulta dunque perduta come tale, perché l'ontologia, tematizzando il principio verso il quale intendedirigersi, lo considera come un ente. Sulla strada della fondazione delle manifestazioni dell'ente, condotta muovendo da

un principio ontologicamente differente da esse, la non tematizzabilità del mondo, in quanto fenomeno che si articolanel proprio «regnare», rappresenta perciò il punto più avanzato raggiunto nella riflessione heideggeriana neiGrundbegriffe .

 La «fondazione» incentrata sull’accadere del fenomeno del «regnare del mondo» non pone dunque capo a un fondamento, ed è da definirsi come «cosmologico-fenomenologica», più che come «ontologica». Proprio insistendo sul

477  «Wir haben gesehen, daß dieser Unterschied nie vorhanden ist, sondern daß das, was er meint, geschieht» (GA XXIX-XXX , p. 524 [462]).478  «[...] in das Geschehen dieses Unterscheidens, in dem er geschieht » (GA XXIX-XXX , p. 524 [462]).479  GA XXIX-XXX , p. 529 [466].480  « Das Grundgeschehen wurde uns vertraut durch jenes Dreifache: Das Sichentgegenhalten von Verbindlichem, Ergänzung, Enthüllung des Seinsdes Seienden [...] Wir frage jetzet: welches ist der einheitliche Charakter des Grundgeschehens , zu dem dieses Dreifache führt? Wir begreifen dieUrstruktur des so dreifach charakterisierten Grundgeschehens als Entwurf [...] Entwurf ist Weltentwurf. Welt waltet in und für ein Waltenlassen vomCharakter des Entwerfens» (GA XXIX-XXX , pp. 524, 526-527 [462, 464]).481  GA XXIX-XXX , pp. 484, 491 [427, 433].482

 «Was mit Welt gemeint wird, ist nicht nur nicht das an sich vorhandene Seiende, es ist ebensowenig eine irgendwie an sich vorhandene Strukturdes Daseins. Das Weltphänomen können wir nie direkt in den Blick bekommen» (GA XXIX-XXX , p. 431 [380]).483  « Alles Betrachten - so oder so - muß ewig fernbleiben dem, was Welt ist, sofern ihr Wesen in dem beruht, was wir das Walten der Weltnennen,das Walten, das ursprünglicher ist als alles sich aufdrängende Seiende» (GA XXIX-XXX , pp. 509-510 [450]).484  « Der Unterschied von Sein und Seiedem oder kurz: das Sein des Seienden» (GA XXIX-XXX , p. 518 [457]).

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carattere di evento, anziché su quello di ente, del progetto di mondo, in virtù del quale si forma l'uomo, Heideggerdefinisce anche quest'ultimo come «passaggio», ovvero come «essenza dell'accadere». In questo senso (con un richiamoimplicito alle analisi di Sein und Zeit   e alla sovrapposizione, proposta in quest'opera, fra la nozione di Geschichte equella di Geschehen), Heidegger afferma che l'uomo, in quanto gettato dal progettare del mondo, «è storia», eimmediatamente precisa che ciò va inteso nel senso che «la storia è l'uomo».485  La storia, come evento del «regnare delmondo», «dà luogo» all'uomo, e non viceversa; è il «regnare del mondo» a «formare» l'uomo, e non viceversa, come

 prevede, invece, la prospettiva ontologico-esistenziale (ovvero, ontologico-fondamentale) delineata dalla figuraconcettuale della Weltbildung . Tale figura trova, invece, la propria collocazione nell’interpretazione del fenomeno delmondo che lo legge come il fondamento ontologico delle manifestazioni dell’ente.

6.3.2. Le difficoltà della prospettiva cosmologico-fondamentale e quelle della sua “ipotesi ausiliaria”, la tesi ontologico-esistenziale «l’uomo è formatore di mondo».

Al di là dell’orizzonte cosmologico-fenomenologico, sussiste, nei Grundbegriffe , l’esigenza fondativa, che dà luogo alla prospettiva che abbiamo definito «cosmologico-fondamentale» intendiamo ora chiarire come entri in gioco, in essa, latesi secondo la quale «l’uomo è formatore di mondo», espressione della medesima esigenza che anima il progetto diontologia fondamentale di Sein und Zeit .

In effetti, l’approccio cosmologico-fondamentale si dimostra inadeguato nei confronti dell'obiettivo diricondurre a uno sguardo unitario le diverse manifestazioni dell'ente salvaguardandone, nel contempo, le specificità. In primo luogo, la funzione esplicativa del «regnare del mondo» non riesce a dar conto (se non sul piano della meradefinizione e soltanto per via di negazione) dell’essenza dell’ente minerale: il suo carattere di «privazione di mondo»risulta definito per via di mera sottrazione rispetto a quello di «povertà di mondo» dell'animale (cfr.  supra , § 6.2.1).Oltre a ciò, la caratteristica del «fare a meno» del mondo, che costituisce la prerogativa dell'animale e che decide dellasua diversità dalla pietra, riceve, a sua volta, una caratterizzazione «in positivo» soltanto dalla comparazionedell'animale con l'uomo; in questo modo, lo statuto delll'ente minerale, proprio perché definito esclusivamente per via dinegazione, risulta collocato in una dimensione residuale dal punto di vista logico, e impenetrabile, già in linea di

 principio, allo sguardo fenomenologico.Anche la stessa essenza dell'animale resta non elaborata concettualmente, al di fuori della sua diversità rispetto

a quella dell'uomo. Tale diversità si presenta, in effetti, come una dichiarazione di principio che rinvia, a sua volta, alchiarimento della nozione di mondo: che la «capacità» propria dell'animale sia differente dal «rapportarsi a» proprio

dell'uomo è un'affermazione che si giustifica infatti, nell'argomentazione heideggeriana, in forza della diversa aperturaall'ente (cioè al mondo) che si realizza nei due casi, ma proprio questa diversità rappresenta il demonstrandum (cfr. supra , § 6.2.2).

É l'inadeguatezza esplicativa dell'approccio cosmologico-fondamentale, nei termini appena ricordati, a indurreHeidegger all'introduzione, nel ruolo di «ipotesi ausiliaria», della figura concettuale della Weltbildung , espressionedell’eredità, a livello programmatico, dell’ontologia fondamentale, in quanto preliminarmente orientata alladeterminazione dell’essere dell’esistente. La prospettiva che prende le mosse dallo sguardo rivolto all'ente considerato«nella sua totalità» (rivolto, cioè, al mondo) rivela, in altri termini, lacune in ordine alla possibilità di determinare laspecificità delle diverse modalità dell'ente e, in particolare, di quella relativa all'ente esistente, che rappresental'obiettivo decisivo dell'indagine nei Grundbegriffe . Ciò motiva la necessità di rimettere al centro dell’indagine propriol’ente esistente, l'essenza del quale è presupposta come il luogo eminente di manifestazione del principio fondativodella totalità dell'ente. Il carattere problematico del rapporto fra la prospettiva incentrata sulla figura della Weltbildung equella che ruota, invece, intorno all’istanza dell’«ente in totalità» viene nondimeno alla luce qualora si consideri la

difficoltà con la quale Heidegger tenta di allontanare, dalla figura della «formazione di mondo», il sospetto di dar luogoa una soggettività di tipo cartesiano. L’ente, in quanto tale, diviene manifesto, afferma Heidegger, quando l’esserci lo«forma» e lo «percorre in tutta la sua estensione»; in questo caso, l’ente si «concentra» nell’esserci, dando luogo nonsolo e non tanto, dal punto di vista originario, alla certezza, bensì all’«ente in totalità».486  

Riesce, l'approccio che sceglie di muovere dall'«essenza umana», definita dal suo esplicarsi come «formazionedi mondo», a risolvere il problema, già cruciale per l'ontologia fondamentale, di individuare una determinazione che siadescrittiva della realtà dell'esistente, sia nei confronti della sua peculiarità sia, al contempo, nei confronti del suonecessario rapporto con gli enti difformi da esso? Si tratta, in altri termini, di appurare se, attraverso la nozione di«formazione di mondo», si riesca a dar conto del carattere di ente, che l'esistente condivide con la pietra e con l'animale.

 Non sembra di poter rispondere affermativamente a questa domanda. La «formazione di mondo» costituisce, come si èvisto, una manifestazione relativa alla determinatezza ontologica dell'uomo, cioè all'esserci. Non è l'uomo nel suorapporto quotidiano con gli enti (ovvero l'uomo che, per dirla con Heidegger, «va in giro per la strada») a essere

485  «So geworfen im Wurf ist der Mensch ein Übergang, Übergang als Grundwesens des Geschehens. Der Mensch ist Geschichte, oder besser, dieGeschichte ist der Mensch» (GA XXIX-XXX , p. 531 [468]).486  « Das Seiende wird als solches offenbar. Das Dasein “bildet” und durchmißt das Seiende. Diese konzentriert sich im Dasein - nicht nur und erstals Gewißheit, sondern als das Seiende im Ganzen» (M. Heidegger, Unbenutze Vorarbeiten zur Vorlesung vom Wintersemester 1929/30, cit., p. 10).

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formatore di mondo, bensì «l'uomo nella misura in cui egli stesso, nel suo essere uomo, è reso possibile da qualcosa».487  Se è dunque vero - come Heidegger ribadisce nelle righe immediatamente successive a quelle appena citate - che si dà ilfenomeno del mondo soltanto nell'atto della «formazione di mondo», e che quest'ultima accade soltanto in quanto esistel'uomo, non è tuttavia valido l'inverso: il fenomeno del mondo, in quanto appartenente alla «formazione di mondo», èuna determinazione necessaria, ma non sufficiente, perché si dia qualcosa come un uomo.

Heidegger medesimo precisa, con un'interrogazione retorica, che soltanto «in parte» la condizione di

 possibilità dell'uomo è costituita dalla «formazione di mondo».

488

  In questo modo, risultano posti due punti fermi: il primo fissa l'appartenenza del fenomeno del mondo alla «formazione di mondo», interpretata come l'esplicazionedell'essenza umana. Viene così stabilito il primato di quest'ultima nei confronti dell'istanza cosmologica; primato chesarebbe insostenibile, non soltanto nella prospettiva cosmologico- fenomenologica, ma anche in quella cosmologico-fondamentale, che verte sulla deduzione delle modalità dell’ente dal fenomeno del mondo, concepito come loro

 principio determinativo. La seconda acquisizione riguarda il fatto che la determinazione della «formazione di mondo»non costituisce la descrizione esauriente della realtà dell'uomo . Essa non dà conto, infatti, della dimensione ontica diquest'ultimo; non dà conto, perciò, di come l'esistente possa entrare in commercio con enti difformi da esso, e comeesso medesimo possa presentare caratteri (sussistenza e utilizzabilità, nell'analisi di Sein und Zeit ; mineralità eanimalità, in quella dei Grundbegriffe ), che condivide con questi ultimi.

Questo secondo aspetto è correlato con ciò che, in sede critica, si è rilevato a proposito della determinazionedell’essenza della pietra: l’ente inanimato risulta concepito come una presenza bruta, in quanto sottraentesi all’àmbito,concettualmente determinabile, definito dal «regnare del mondo» (cfr.  supra , § 6.2.1). Anche se il percorso concettuale

è diverso e, in certa misura, opposto, gli esiti ai quali pervengono la prospettiva che fa perno sul fenomeno del mondo,in quanto interpretato alla luce della sua valenza «fondamentale», e quella incentrata, invece, sull'istanza della«formazione di mondo» da parte dell'uomo, paiono dunque sovrapporsi: in entrambi i casi, il fenomeno del mondo vedecadere al di fuori del proprio spettro esplicativo sia l'ente minerale, sia - almeno per ciò che riguarda gli aspetti che lodistinguono dalll'ente esistente - l'ente animale. 

6.3.2.1. La «questione del fondamento» come radice comune della prospettiva della «cosmologia fondamentale» e dellatesi «l’uomo è formatore di mondo».

Che cosa accomuna la prospettiva cosmologico-fondamentale, che muove dal fenomeno del mondo concepito come fondamento delle determinazioni dell’ente (fra le quali l’ente esistente, cioè l’uomo), a quella ontologico-esistenziale,ovvero ontologico-fondamentale, la quale (introdotta per sciogliere i nodi problematici della prima, non li risolve, ed

entra, inoltre, in conflitto con essa) è incentrata, invece, sulla «formazione di mondo» da parte dell'uomo? Entrambe le prospettive presuppongono il formularsi della questione della fondazione nei termini della questione del fondamento. La tesi «l'uomo è formatore di mondo» viene avanzata, infatti, quando Heidegger si trova a porre la «questionedell'origine» ( Die Frage nach dem Ursprung ) sviluppando l'osservazione  della medesima (Ursprungsbetrachtung ),ovvero attraverso la sua tematizzazione. In questo orizzonte concettuale, l'indagine si presenta come un'analisi «del fondamento della possibilità dell'intero logos  in quanto tale (nach dem Grunde der Möglichkeit des ganzen logos als solchen»),489  in un «interrogare retrospettivo» che, riguardando un fondamento, si configura come uno «scandagliare»(ergründen) il medesimo, prefigurato come un'istanza antecedente l'atto fondativo.490   In questo senso, Heideggerindividua tale fondamento nell'«essenza dell'uomo», la quale, per quanto «nascosta»,491  si esprime nella «formazione dimondo». La nozione di Weltbildung  viene introdotta, sostiene infatti Heidegger, per spiegare «che cosa  il mondo sia ecome   esso sia, se, e in che senso, possiamo, in generale, parlare dell'essere  del mondo».492  Muovendo da queste

487  « Der Mensch, insofern er selbst in seinem Menschsein durch etwas ermöglicht ist » (GA XXIX-XXX , pp. 413-414 [364]).488  « Bestünde die Ermöglichung gerade zum Teil in dem, was wir als Weltbildung ansetzen?» (GA XXIX-XXX , p. 414 [364]).489  GA XXIX-XXX , p. 485 [428].490  «[...] das Zurückfragen nach dem Grunde der inneren Möglichkeit oder, wie wir auch kurz sagen, das Zurückfragen nach diesem Grunde im Sinnedes Ergründens» (GA XXIX-XXX , pp. 485-486 [428]). É chiarificante, a questo proposito, l'annotazione che Heidegger pone in margine alla propriacopia di lavoro di Vom Wesen des Grundes, che segnala la necessità di esplicitare la nozione di  Ergründung , differenziandola da quella di

 Begrundung  e anteponendola, dal punto di vista dell'originarietà, a essa (WG, p. 163 [119] Anm. a). Nello scritto del 1929, la nozione di Begründung  indica l'istanza del fondamento che, privata di qualunque valenza realistica autonoma, si identifica, senza residui, con la trascendenza dell'esserci(WG, p. 169 [125]), in quanto quest'ultima «assume su di sé il compito di render possibile il manifestarsi dell'ente in se stesso» ([...] übernimmt[...] die Ermöglichung des Offenbarmachens von Seiendem an ihm selbst ) (WG, p. 168 [124]). In questa annotazione, Heidegger segnala dunque, tanto perl’esistente quanto per l’ente difforme da esso, la necessità di un fondamento, che si ponga in posizione ulteriore rispetto al dispiegarsi, nellatrascendenza, della struttura dell’esistente.491  «Aus dem verborgenen Wesen des Menschen also müssen wir den Grund der inneren Möglichkeit des logos erfragen» (GA XXIX-XXX , p. 486[429]). L’ontologia fondamentale, quando imposta la questione dell’essere nei termini della sua comprensione da parte dell’esserci, si qualifica comeuna dottrina dell’essenza e, più precisamente, come una dottrina dell’essenza dell’uomo; in ciò, essa è dottrina del fondamento, proprio perché essa

 presuppone l’essere, concepito come il fondamento dell’esistente (M.-R. Nikfar, Die Erörterung des Satzes vom Grund bei Martin Heidegger , Lang,Frankfurt a. M. 1997, pp. 65-66). Riteniamo che la figura concettuale della «formazione di mondo» intenda proprio rispondere, in questo senso, alla

questione del fondamento, in quanto questione dell’essenza umana.492  «[...] was die Welt sei und wie sie sei, ob und in welchem Sinne wir überhaupt vom Sein der Welt sprechen dürfen» (GA XXIX-XXX , p. 398 [351]).M. Richir, Phénomènes, temps et êtres , cit ., pp. 43-44 vede nell’intento determinativo (che istituisce, dal punto di vista fenomenologico, lo iato tra lariflessione, che apre asintoticamente la strada all’ist anza fondamentale, da un lato e la determinazione, che pretende di individuare il fondamento,dall’altro) il gesto - per eccellenza metafisico - che marca il progetto di ontologia fondamentale, e ne provoca l’abbandono da parte di Heidegger.

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 premesse, il fenomeno del mondo richiede un fondamento ontologico, che chiarisca essenza e modalità del suo«regnare».

 La tesi ontologico-esistenziale relativa alla «formazione di mondo» da parte dell 'esserci, introdotta come«ipotesi ausiliaria» per colmare le inadeguatezze esplicative dell'orizzonte cosmologico-fondamentale, che si articola a partire dall ’interpretazione fondativa  – anziché a part ire da quel la evenemenziale  – dell’istanza del «regnare delmondo», non soltanto non raggiunge tale obiettivo (cfr. supra , § 6.3.1), e mostra aspetti conflittuali con la prospettiva

della quale dovrebbe costituire l'integrazione e il coronamento. In primo luogo, in quanto essa rinvia a un'istanza chedovrebbe trascendere e fondare il fenomeno del mondo e, in secondo luogo, in quanto tale istanza (l'«essenza umana»)assume una connotazione di t ipo ontologico.

Si può dunque non soltanto ipotizzare una risposta al quesito relativo a che cosa accomuni, nonostante ledifferenze appena messe in luce, la prospettiva cosmologico-fondamentale e quella ontologico-esistenziale, ma si puòanche individuare, al contempo, la motivazione dell'inadeguatezza della prima, che induce Heidegger a «integrarla»mediante la seconda. In altri termini: è un elemento che si rintraccia in entrambe le prospettive ciò che, determinando loscacco della prima, motiva il passaggio alla seconda, e spiega la sua inadeguatezza nei confronti dell'obiettivo di darconto del rapporto fra l'esistenza umana e le altre forme di ente, differenti da essa. Questo elemento va individuato

 proprio nell'intento e  ontologico, e  fondativo (ontologico, anzi,  perché  fondativo) che anima l'indagine deiGrundbegriffe , nonostante gli elementi che (nel quadro della cosmologia fenomenologica, imperniata suun’interpretazione evenemenziale dell’istanza del «regnare del mondo») potrebbero disegnare un diverso scenario.

Detto altrimenti: la cosmologia fondamentale, che pure muove dall’istanza del mondo, non perviene

all’obbiettivo di dar conto della specificità delle diverse forme dell’ente - né di quella dell’ente pietra, che resta al di fuori dello spettro esplicat ivo del concetto di mondo; né di quella dell’ente animale, della quale risulta problematicodeterminare, rispetto a quella dell’uomo, la specificità, né di quella dell’uomo medesimo, nel suo rapporto con le formedell’ente diverse dall’esistenza - in quanto essa mantiene l'esigenza di individuare, per il fenomeno del mondo, un fondamento, che si caratterizza in senso ontologico. 

Elementi dell’indirizzo cosmologico-fondamentale emergono, nell'analisi dei Grundbegriffe , laddove essa,anche quando assume l'orizzonte del «regnare del mondo», nondimeno muove verso il tentativo di pensare l'evento delfenomeno del mondo designandolo come l'«accadere fondamentale» (Grundgeschehen) della differenza ontologica,nella quale «si mu ove tutto ciò che è ontologico: essere ed ente».493  Da questo punto di vista, anche laddove l’accaderedella differenza ontologica venga identificato, come si è visto, con il «progetto di mondo», il fenomeno del mondo resta

 purtuttavia subordinato al problema del suo essere, concepito come il suo fondamento. Proprio perché l'accadere delladifferenza ontologica (in quanto essa deve, oltre che accadere costantemente, essere già sempre accaduta, perché si

 possa avere esperienza delle diverse forme e modalità dell'ente)494  rappresenta la condizione di possibilità del fenomeno

del mondo, in quanto apre lo spazio al suo regnare, Heidegger sostiene che la differenza «cela in sé» ( in sich birgt ) il«problema del mondo».495   Infatti, ogni forma dell'ente, in quanto costituisce una manifestazione del «regnare delmondo», «dovunque e in qualunque modo vi abbiamo accesso, si trova già nella luce dell'essere».496  Si è già notato,inoltre, che l’analisi dedicata, nel paragrafo 74 dei Grundbegriffe , alla figura del «regnare del mondo» risulta

 propedeutica a quella sviluppata nel paragrafo 75, dedicato alla «differenza ontologica», e a quella del paragrafo 76,dove il «regnare del mondo» viene riconosciuto come il «regnare dell'essere dell'ente in totalità», in quanto quest'ultimosi presenta sotto le spoglie del progetto di mondo che lascia regnare: «das Walten der Welt als des Seins des Seiendenim Ganzen im waltenlassenden Weltentwurf ».497  

6.3.3. Origine del prevalere della prospettiva cosmologico-fondamentale e della tesi della «formazione di mondo» da parte dell’uomo: il primato conferito al problema dell’essere e la sua natura antropologica.

 Nonostante, dunque, il ruolo riconosciuto al fenomeno del mondo, e nonostante la caratterizzazione che a esso (inquanto manifestantesi in un «regnare» che non è un ente, bensì un evento) viene attribuita, non si può sostenere che lelezioni del semestre invernale 1929-30 compiano il passaggio dalla prospettiva della fondazione ontologica della totalitàdell'ente e delle sue specificazioni a quella di una loro considerazione nello «spazio aperto» reso libero dall’evento delmondo; nel contesto dei Grundbegriffe , proprio la mancanza di questo passaggio (il permanere, cioè, della prospettivacosmologica in un quadro di riferimento fondamentale, cioè ontologico) costituisce la ragione delle difficoltà in ordine

Richir vede nell’intento fondativo la radice dell’«acosmismo» heideggeriano, inteso come l’impossibilità di una configurazione (il cosmo, appunto)nella quale «il centro è dappertutto, la periferia in nessun luogo»: M. Richir, Au-delà du renversement copernicien, cit., pp. 82-83.493  «Wir sprechen von der ontologischen Differenz als demjenigen Unterschied, in dem sich alles Ontologische bewegt: Sein und Seiendes » (GA

 XXIX-XXX , p. 523 [461]). O. Pöggeler, Fenomenologia ermeneutica e fenomenologia mantica, in  Martin Heidegger. Ontologia, fenomenologia,verità, cit., p.221, sostenendo che Heidegger si sia preclusa la possibilità di trattare in senso sostanzialistico l'essere, nega che la sua indagine pongacapo alla ricerca di un «fondamento» (Grund ), anche quando «essere» ed «esserci» vengano esplicitamente presentati come tali.494  «[...] der Unterschied muß schon geschehen sein, wenn wir Seiendes in seinem So-und-so-sein erfahren wollen» (GA XXIX-XXX , p. 519 [458]).495

 GA XXIX-XXX , p. 518 [457].496   «Seiendes - wo immer und wie immer wir darauf zugehen - steht schon im Lichte des Seins» (GA XXIX - XXX , p. 519 [458]). In questacoessenzialità di essere ed esistente risiede il fondamento del carattere antepredicativo e antelogico della verità, in quanto essa indica l’accadere ditale coessenzialità: F. O. Olafson, The unity of Heidegger’s thought , in The Cambridge companion to Heidegger , cit., p. 106.497   GA XXIX-XXX , p. 524 [462].

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al tentativo di dar conto sia della specificità dell'ente esistente, sia della possibilità, da parte sua, di rapportarsi all'enteda esso difforme. Perché non si può sostenere (nonostante l'importanza riconosciuta, nelle lezioni del semestre invernale1929-30, all’evento del «regnare del mondo») che i Grundbegriffe   delineino una fondazione cosmologico-differenzialedelle manifestazioni dell'ente? Anzitutto perché il fenomeno del mondo rimane subordinato, dal punto di vista dellaconsiderazione relativa all'originarietà metafisica, al problema dell'essere, concepito come suo fondamento; in secondoluogo, perché, proprio per questo, il fenomeno del mondo non risulta indagato a partire dal carattere di evenemenzialità

suo proprio, cioè come modalità specifica dell'evenire, bensì come fenomenizzazione del fondamento ontologico.In questa prospettiva, nei Grundbegriffe   il concetto di mondo appare come lo strumento argomentativofinalizzato a dedurre, fondandolo, ciò che in Sein und Zeit   costituisce, invece, il punto di partenza dell'indagine: laspecificità (e il primato)  dell'ente esistente nei confronti di quello difforme da esso. Proprio perché, dal punto di vistadell'originarietà metafisica, la questione decisiva riguarda l'essere come fondamento del fenomeno del mondo, e laderivabilità del secondo dal primo, anziché il significato dell'accadere del mondo medesimo, la «questione dell'origine»si pone nei termini di una ricerca che si connota come ontologica, e come fondamentale; come ontologica, anzi, perché fondamentale.  Il primato conferito al problema dell’essere costituisce, dunque, la motivazione della messa in secondo piano della nozione evenemenziale del «regnare del mondo», ovvero del prevalere della modalità ontologica, cioè fondamentale, del «dare ragione» del darsi degli enti. In questo senso, è dunque rivelativo il fatto che la trattazione deiGrundbegriffe si  concluda riconducendo il problema del fenomeno del mondo a quello della differenza ontologica. Inforza dell’orientamento fondativo, che determina l’interpretazione ontologica della figura del «regnare del mondo», laricerca dei Grundbegriffe  fa questione della «differenza ontologica», anziché della «differenza cosmologica».

 Non è, questo, un problema meramente terminologico: è un problema - letteralmente - di fondamenti. Qual è,infatti, il «fondamento del fondamento», cioè il fondamento ontologico del mondo? La tesi della «formazione dimondo» lo /chiarisce: è l’uomo. Per questo il disegno cosmologico-fondamentale, abdicando al carattere di evento e didifferenzialità ontologica dell’istanza del «regnare del mondo», rinvia alla tesi della «formazione di mondo» da partedell’uomo, che palesa l’orientamento antropologico dell’indagine. Che ne è, in questa prospettiva, del mondo? Nulla:soltanto perché l’uomo lo forma, il mondo si dà. Dietro all’obbiettivo di pensare il «che cosa» e il «come» del mondo,nel senso dell'individuazione del suo fondamento (che viene connotato, anche se non esplicitamente designato con taletermine, come ontologico), permane, quale motore dell’indagine, e quale sua giustificazione ultima, il fine di pensare il«che cosa» e il «come» dell’esistente, che del mondo è «formatore». Il celebre rifiuto, da parte di Heidegger, diqualificare la propria ricerca come «antropologia», sia pure «filosofica», non deriva affatto, a nostro parere, da unamessa in secondo piano dell’“oggetto” di quest’ultima: al contrario, tale “oggetto” costituisce il problema fondamentale della ricerca e, proprio per questo, esso non può - come fa l’antropologia - essere presupposto.498   La criticaheideggeriana all’intento definitorio della metafisica tradizionale (la quale troverebbe, secondo il filosofo di Meßkirch, i

suoi esiti ultimi nella fenomenologia husserliana) consiste nella mancanza di radicalità della domanda che, chiedendo«che cosa» sia l’uomo, dimentica di porre la questione - decisiva - sul «che», cioè sul suo essere: per questa via, alladomanda sul «che cosa» dell’uomo va data risposta, secondo Heidegger, proponendo la domanda sull’essere.499  

L’orientamento antropologico ereditato, nei Grundbegriffe , dall’ontologia fondamentale, inibisce, dunque, laconsiderazione cosmologica del fenomeno del mondo, cioè la sua interpretazione differenziale nei confronti dell’ente(sia pure «in totalità»), e configura la ricerca come fondamentale, e  perciò come ontologica. Chiedere dell’essere, comeHeidegger ripetutamente afferma nei testi di questi anni, significa chiedere del fondamento; ma chiedere delfondamento significa chiedere - come mostrano i Grundbegriffe   - dell’uomo, in quanto esso è il fondamento delfondamento. Il radicarsi della questione ontologica in quella antropologica (per la via del «problema del fondamento»)è, dunque, il dato che emerge dalle lezioni del semestre invernale 1929-30, alla fine del tentativo, qui intrapreso manon portato a compimento, di rivedere - in altra direzione: non nella ricerca della fondazione, bensì in quelladell’evenemenzialità - il progetto di ontologia fondamentale alla luce del fenomeno del mondo, concepito comeevento.500  

498   KM , § 37. Proprio per questo permanere dell’uomo (per via di denegazione, si potrebbe dire) come il  focus dell’indagine, non concordiamo con U.Regina, Servire l’essere con Heidegger , cit. , pp. 362-363, che vede, nella posizione del Kantbuch , un allontanamento da Sein und Zeit  in direzione del«pensiero dell’essere» dei Beiträge.499  « Aus dem Was erfahre ich nie etwas über den Sinn und die Weise des Daß - allenfals nur, daß Seiendes von diesem Wasgehalt (extensio z. B.) einebestimmte Weise zu sein haben kann. Was diese Weise zu sein selbst ist, wird damit nicht geklärt. [...] Wenn es [...] Seiendes gäbe, dessen Was geradeist, zu sein und nichts als zu sein, dann wäre diese [...] Betrachtung einem solchen Seienden gegenüber das fundamentalste Mißverständnis» (GA XX ,

 p. 152 [138]). Heidegger medesimo segnala come sia il formularsi della questione sull’uomo nei termini di quella - la definizione - sul suo «che cosa»a determinare lo scacco della metafisica: F. Chiereghin, Dall ’antropologia all’etica. Al l’origine della domanda sull’uomo, Guerini e Associati,Milano 1997, pp. 73-74. G. Semerari, La questione dell’ente - uomo in Heidegger , in Heidegger in discussione, cit., pp. 159-160 pone la posizione diHeidegger sotto il segno del «parmenidismo», consistente nella tesi secondo la quale vi è «indecidibilità […] dell’uomo da parte dell’uomo». H.Fahrenbach, Heidegger und das Problem einer “philosophischen” Anthropologie, cit., pp. 117 sgg., distingue, in merito al problema del rapporto fral’indagine heideggeriana e la questione a tema nella cosiddetta «antropologia filosofica», tre aspetti: quello concernente il concetto (per Heidegger,impraticabile) di «antropologia filosofica», quello relativo alla «questione dell’uomo» (che è posta, secondo Heidegger, in modo insufficiente dallatradizione) e quello, infine, che verte sulla rilevanza (che l’interprete individua sul piano del principio fondativo) dell’analitica esistenzialeheideggeriana per la questione relativa all’essenza dell’uomo e per l’antropologia filosofica in quanto tale.  500

 La connessione tra la questione del fondamento e quella dell’uomo (in quanto mediata dal problema della libertà, considerata nella sua valenzacosmologica) è ancora evidente in Vom Wesen der menschlichen Freiheit , il testo del corso di lezione del semestre estivo del 1930. Discutendo lacollocazione, da parte di Kant, del problema della libertà all’interno di quello del mondo (che giunge fino all’identificazione delle duedeterminazioni), Heidegger rileva come da un lato la libertà si manifesti come fondamento ( Freiheit zeigt sich als Grund ), e come, d’altra parte,

 proprio per questo essa costituisca la condizione di possibilità della comprensione d’essere: GA XXXI , pp. 140, 209, 303. Il prevalere della tesi della

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CONCLUSIONI.

PER LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA.

«Che cos’è l’uomo?» Per lo Heidegger di Sein und Zeit , così come per quello dei Grundbegriffe , questa è dunque, non

riconosciuta come tale, la domanda decisiva, alla quale devono venir finalizzate sia la prospettiva cosmologica, sia lastessa questione ontologica. Vista attraverso l’evolversi, in essa, del concetto di mondo, la parabola dell’ontologiafondamentale illumina i propri presupposti: la questione dell’essere, impostata muovendo da quella dell’esistente, sirivela come questione dell’uomo. Proprio per questo, sia il percorso dall’esistente all’essere, sia il progredire medesimodella riflessione heideggeriana dal 1927 al 1930, paiono delineare, considerando il concetto di mondo nei testi di questo

 periodo, non tanto un circolo, quanto una spirale: la fine del cammino riporta ai luoghi da dove si era partiti, ma non nelmedesimo punto. Proprio grazie all’elaborazione del concetto di mondo, infatti, questi luoghi possono ora essereosservati da un differente «punto di vista». Esso consiste in quella posizione guardando dalla quale la questioneantropologica si mostra, appunto, come il presupposto di quella ontologica: alle spalle ma, anche, sempre davanti a essa.Proseguire su questa strada, cioè elaborare il concetto di mondo come il luogo e l’ora, cioè come l’ evento che,manifestandosi, dà lo spazio e il tempo perché l’uomo sia, significa scegliere, quale unica soluzione praticabile, direstare all’interno della spirale, cioè all’interno del nodo, rappresentato dalla questione del mondo, che tiene assieme laquestione dell’essere e quella dell’uomo.

Come è noto, dopo il 1930 Heidegger imbocca un’altra via: all’interno del progetto di «superamento dellametafisica» (qualunque cosa significhi, al di là dell’indicazione formale dell’intento, questa espressione), laSeinsgeschichte  rappresenta il tentativo, “prendendo la parte dell’essere”, di uscire dall’intreccio fra questioneontologica e questione antropologica. Non è questo il luogo per analizzare questo tentativo né, tantomeno, per valutarnegli esiti; occorre, tuttavia, sottolineare che, in questo modo, il problema dell’uomo (e con esso, come si è visto, quellodel fondamento) risulta, più che affrontato, sussunto e fagocitato. Elaborare la questione dell’uomo nel suo rapporto conquella del mondo, concepito nella sua evenemenzialità fenomenale, avrebbe comportato la messa in discussione del

 progetto di ontologia fondamentale non solo, e non tanto, in quanto ontologia (in quanto, cioè, riflessione sviluppataall’interno di un solco pregiudicato dalla metafisica, nella sua dimensione storica), ma in quanto  fondamentale.Elaborare la questione del mondo avrebbe comportato, simmetricamente, una revisione radicale dell’intento fondativoe, conseguentemente, una messa a fuoco di ciò che tale intento, dissimulandolo, sottende: la questione dell’uomo, intesacome questione della sua coappartenenza al mondo.

La modalità attraverso la quale Heidegger affronta, dopo i Grundbegriffe , la questione del fondamento porta

invece con sé la rimozione di quella dell’uomo; è, anzi, il tentativo di uscire da quest’ultima, attuato prendendo “la partedell’essere”, a spingere Heidegger a non tematizzare ulteriormente, all’epoca della Seinsgeschichte, la questione delfondamento in quanto questione dell’uomo, bensì in quanto questione dell’essere. Se consideriamo, tuttavia, questotentativo alla luce di ciò che è emerso dall’analisi dei Grundbegriffe   (un testo che, proprio nella misura in cuirappresenta lo scacco di una fondazione dell’ente, permette uno sguardo altrimenti impensabile sulle condizioni di

 possibilità di tale tentativo) pare necessario, in anticipo, ribadire non soltanto la solidarietà di questione dell’essere equestione dell’uomo, ma, soprattutto, il radicarsi della prima nella seconda. In questa prospettiva, appare piùilluminante che sorprendente la risposta che Heidegger, ormai giunto al termine del proprio itinerario di pensiero (bendopo, dunque, la   Kehre), fornisce a chi gli chiede conto di un suo presunto disinteresse nei confronti della condiciohumana. In prima battuta (coerentemente con l’impostazione non solo della Seinsgeschichte,  ma anche con quella della   Fundamentalontologie), Heidegger, difendendo il “primato” della questione dell’essere, ribadisce che, al contrario, proprio mettendo a fuoco quest’ultimo si imposta nei suoi termini corretti la questione relativa all’uomo, dal momentoche «l’uomo è uomo, soltanto in quanto sta nell’apertura dell’essere». Questa dichiarazione di principio conosce

tuttavia, immediatamente di seguito, la propria verità nel proprio rovesciamento: «non si può far questione dell’essere

Weltbildung , verificatosi nei Grundbegriffe, imposta la r icostruzione del problema nei termini nei quali esso è presentato nelle lezioni del semestreestivo del 1930. Heidegger critica qui la soluzione kantiana che, riconducendo il problema della libertà a quello del mondo, fa dell’uomo un caso

 particolare della libertà senza un legame che sia, per essa, decisivo (ibidem , p. 259). Ribadendo invece il carattere essenziale, espresso dalla figuraconcettuale della Weltbildung , della connessione fra la determinazione del mondo e quella dell’esistenza, Heidegger afferma, contro Kant, che lalibertà non è una modalità della causalità, bensì l’inverso; ciò soprattutto laddove si consideri, sottolinea Heidegger, che per Kant la causalitàconcerne il carattere di oggettività degli oggettti (ein Charakter der Gegenständlichkeit der Gegenstände; ibidem, § 30). Detto altrimenti: il concettodi causalità, in quanto compromesso come determinazione degli enti difformi dall’esistente, non può servire a mettere a fuoco adeguatamentequest’ultimo (F. Chiereghin, Heidegger e la filosofia pratica kantiana. Note a «Vom Wesen der menschlichen Freiheit» (1930), «Verifiche», (14),1985, p. 49; sulla revisione che, nondimeno, il concetto di causalità subisce laddove applicato, nel “caso particolare” della libertà, all’àmbito pratico,cfr. ibidem , pp. 53 sgg.). Per determinare la modalità specifica dell’ente esistente occorre considerarlo non (muovendo da ciò che esso, in quantoesistente, ha in comune con gli altri enti) come un caso particolare di ente, bensì , all’inverso, occorre muovere proprio dalla sua specificità (l’esserelibero, cioè «formatore di mondo») e, di qui, determinare il modo d’essere degli altri enti. L’esistente non va, dunque, in alcun modo messo a fuoco

come un caso particolare dell’articolarsi dell’istanza cosmologica, del quale esso rappresenterebbe (al pari delle altre modalità di ente, per quanto in posizione privilegiata) una fenomenizzazione particolare: l’esistente è, invece, il «luogo» (die Stätte) della «questione fondamentale» proprio in virtùdel suo legame essenziale con la libertà, decisivo anche per l’essenza di quest’ultima. Per questo, in un coerente sviluppo della prospettiva deiGrundbegriffe, nelle lezioni del semestre estivo del 1930 non l’istanza della libertà cosmologica, bensì quella della libertà ontologica  perchéesistenziale costituisce, per Heidegger, il terreno sul quale si apre l’accesso all’essere, cioè al fondamento dell’ente.

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senza far questione dell’essenza dell’uomo».501   In altri termini: l’ontologia, in quanto problematica domanda sulfondamento rinvia di necessità all’antropologia, intesa come domanda sull’uomo. La domanda sul fondamento èsempre, infatti, domanda sul  senso; come tale, essa è pregiudicata in senso antropologico, poiché presuppone ciò cheintenderebbe mettere in questione: la centralità, all’interno del dominio dell’ente, di quello esistente, nonché lasussistenza dell’ente medesimo, prima e indipendentemente dal fondamento che dovrebbe darne ragione. La domandasul fondamento, ovvero sul senso, dà infatti per scontato il manifestarsi dell’ente e, in tale manifestarsi, il ruolo centrale

dell’esistente. La questione dell’essere, concepita come questione del fondamento, si rivela, perciò, come il vanotentativo di pronunziare la parola decisiva sull’uomo prendendo congedo dalla sua tematizzazione. Quando la domandasull’essere pretende di lasciar da parte, ritenendo di averla “superata”, la domanda sull’uomo, dimentica la propriaorigine antropologica e, in questo modo, ricade tantopiù nell’antropologia - dando per presupposta, attraverso ladomanda sul fondamento, ovvero sul senso, la centralità dell’esistente - quanto meno fa questione di essa.

Se si intende, dunque, mantenere sia l’attribuzione all’esistente della posizione centrale all’interno del dominiodell’ente, sia il darsi dell’ente stesso nel taglio prospettico del loro carattere problematico (giungendo, in questo modo, afare effettivamente questione di essi, anziché presupporli), occorre collocare l’una e l’altro non nella luce del problemadel fondamento, bensì in quella del loro problematico - nel senso, appunto, di «non scontato» - accadere. Ciò cheoccorre indagare è questo accadere, del quale l’ente esistente, e l’ente in quanto tale, rappresentano non determinazioni fondate , bensì l’evento  nella sua compiutezza ma, al contempo, mai nella sua esaustività: il mondo. Affrontare il problema del mondo significa riconoscere l’ineluttabilità della tematizzazione dell’uomo e, nel contempo, la suaimpraticabilità, all’infuori della messa a fuoco dell’uomo come accadere dell’uomo e del mondo. Nell’evento di questo

accadere, l’uomo appare come una  forma di mondo: l’uomo è formatore di mondo, non più di quanto sia formato daesso.

501  « Man kann nicht nach dem Sein fragen, ohne nach dem Wesen des Menschen zu fragen» ( Antwort. Martin Heidegger im Gespräch, hrsg. von G. Neske-E. Kettering, Neske, Pfullingen 1988, pp. 22-23 [ trad it. di C. Tatasciore, introd. di E. Mazzarel la, Risposta. A colloquio con Martin Heidegger , Guida, Napoli 1992, pp. 54-55].

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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Fatta eccezione per i testi di Martin Heidegger (dei quali si fornisce la paginazione dell’edizione tedesca e, laddovedisponibile, quella dell’edizione italiana fra parentesi quadre) per le opere in lingua straniera la paginazione è quelladell’eventuale edizione italiana segnalata. Fra le «altre opere», che hanno concorso all’elaborazione delle prospettive

esposte nel testo, vengono qui riportate soltanto quelle esplicitamente menzionate nelle note.

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