Mondo Basilicata n.0

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BASILICATA M NDO FOTO: MUCCIA - SAN FELE I lucani nel mondo non sono solo ricordi e nostalgia. Sono, invece, una realtà professionale e produttiva ben definita, matura e capace di divenire un punto di riferimento economico e culturale nell’interesse della regione Questa considerazione del collega Pasquale Sacino, un giornalista lucano che vive e lavora in Svizzera, è qualcosa di più di uno sfogo: è l’invito a guardare alla variegata e multiforme realtà lucana che vive fuori dai confini regionali come ad una dimensione vivace, vitale, pienamente inserita nei nuovi contesti e desiderosa di dialogare con la regione di partenza, in tutte le sue espressioni, istituzionali, culturali, economiche, sociali. Un invito che abbiamo fatto nostro e che, come i lettori riscontreranno, cercherà di permeare tutta la rivista. Il nostro intento è di far scorrere il periodico lungo due direttrici: la prima, tesa a riannodare i fili di questa lunga storia dell’emigrazione lucana, attraverso contributi di studiosi, ricerche e documentazioni; la seconda tesa a dar voce ai tanti corregionali sparsi nel mondo di modo che essi possano trovare occasione per “raccontarsi”, riscoprire luoghi, avvenimenti, ma anche aprirsi ad un’operazione di lettura attenta delle vicende che si susseguono in Basilicata. Nicoletta Altomonte UN PASSO IMPORTANTE

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Rivista di storia e storie dell'emigrazione

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“I lucani nel mondo non sono solo ricordi e nostalgia. Sono, invece, una realtà professionale e produttiva ben definita, matura e capace di divenire un punto di riferimento economico e culturale nell’interesse della regione

Questa considerazione del collega Pasquale Sacino, un giornalista lucano che vive e lavora in Svizzera, è qualcosa di più di uno sfogo: è l’invito a guardare alla variegata e multiforme realtà lucana che vive fuori dai confini regionali come ad una dimensione vivace, vitale, pienamente inserita nei nuovi contesti e desiderosa di dialogare con la regione di partenza, in tutte le sue espressioni, istituzionali, culturali, economiche, sociali.Un invito che abbiamo fatto nostro e che, come i lettori riscontreranno, cercherà di permeare tutta la rivista. Il nostro intento è di far scorrere il periodico lungo due direttrici: la prima, tesa a riannodare i fili di questa lunga storia dell’emigrazione lucana, attraverso contributi di studiosi, ricerche e documentazioni; la seconda tesa a dar voce ai tanti corregionali sparsi nel mondo di modo che essi possano trovare occasione per “raccontarsi”, riscoprire luoghi, avvenimenti, ma anche aprirsi ad un’operazione di lettura attenta delle vicende che si susseguono in Basilicata.

Nicoletta Altomonte

UN PASSO IMPORTANTE

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Sono veramente lieto di salutare la nascita di questo primo numero di “Mondo Basilicata”. Rivista di “storia e storie dell’emigrazione” edita dal Consiglio Regionale della Basilicata. Si tratta di un tema che ci coinvolge emotivamente in quanto lucani e in quanto appartenenti a famiglie che, comunque, hanno pagato, ieri più di oggi, un pesante contributo all’emigrazione.Scopo dichiarato di questa rivista è di ampliare la conoscenza delle due comunità regionali che ormai crescono parallele nel mondo. Non è un caso che il titolo dato è “Mondo Basilicata” a significare la volontà di riunire quello che le condizioni storiche o, se vogliamo, le necessità hanno diviso. Questa iniziativa si colloca, del resto, sulla scia di altre attività espletate in regione a sostegno dei nostri corregionali residenti all’estero. Due per tutte: il numero monografico della rivista “Lucani nel mondo” edito da questo Consiglio negli anni scorsi e la riuscita iniziativa della Rai Basilicata di proporre un ponte via etere tra le comunità lucane residenti nei diversi continenti. Un appuntamento settimanale nel quale scorrono tante storie di lucani che hanno trasformato in successo i loro sacrifici e la loro fatica. E, poi, l’attività legislativa, quella culturale, formativa, di sostegno economico che trova un’importante esemplificazione in tutto quello che l’apposita Commissione Lucani all’Estero ha svolto e svolge fin dalla sua fondazione. Con questa ulteriore iniziativa, la Regione pone le basi per superare il carattere di frammentarietà, più che di estemporaneità, che sinora ha segnato la comunicazione istituzionale verso l’estero e costruire in tal modo un rapporto sistematico, duraturo e continuativo con le comunità dei Lucani nel mondo, allo scopo di renderle informate e consapevoli circa lo stato dell’economia, della cultura, delle iniziative civili e sociali, così come esse si susseguono in regione e fuori.Con questo intendimento saluto, a nome mio e dell’intero Consiglio Regionale della Basilicata, tutti i lucani, affinché si crei un circuito di intercomunicazione dal quale non possiamo che trarre tutti giovamento nella speranza che si possa dare vita ad una comunità di lucani orgogliosi di manifestare in ogni angolo della terra la propria comune identità.

sIl nuovo ponte di Broccolino...

ALDO MICHELE RADICE

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA BASILICATA

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Si realizza finalmente con “Mondo Basilicata ” un obiettivo a lungo proposto da tutte le comunità lucane nel mondo. Si sentiva la mancanza di uno strumento in grado di mettere in collegamento le due Basilicate: quella che vive nella regione e quella che vive dispersa in tutti i continenti, ma che non ha mai smesso di sentirsi una unica regione dal punto di vista culturale ed affettivo.Credo che “Mondo Basilicata ”, facendo tesoro di ciò che ha rappresentatola straordinaria rivista fondata e diretta da Giovanni Riviello, sia un giusto omaggio a quei lucani che, negli anni in cui in Italia si affermava il fascismo e la democrazia moriva, riuscirono a far vivere ancora negli anni 1924 -1927 la fiammella del nittismo e le sue vigorose proposte di modernizzazione del Mezzogiorno.Il compito della rivista, a mio parere, deve essere quello di informare le nostre comunità che vivono in Italia e all ’estero su quanto accade in regione. La Basilicata, nel suo divenire problematico, si è lasciata alle spalle una letteratura fatta di arretratezza e miseria, intraprendendo la strada della modernizzazione e dello sviluppo.Spesso all’estero le nostre comunità vivono il rapporto con la regione di origine come pietrificato al momento della partenza. Non abbiamo, forse, favorito strumenti sufficienti per accompagnare culturalmente i lucani nel mondo nella comprensione della nuova Basilicata, piccola regione nel cuore del mezzogiorno, che guarda all ’Europa e al mondo come soggetto capace di costruire relazioni positive e innovative.Compito della rivista deve essere anche quello di superare un rapporto con le nostre comunità all ’estero fatto di nostalgie di un mondo perduto.Abbiamo necessità che i lucani che vivono in regione abbiano cognizione di cosa è diventata anche grazie ai successi e alle fatiche compiute dai figli e nipoti di quell ’esercito in cerca di fortuna stabilitosi nelle metropoli del mondo.Credo che la rivista sia uno strumento essenziale perché vi sia una conoscenza anche delle specifiche politiche che la Regione Basilicata pone in essere verso le nostre comunità nel mondo. Un esempio per tutti le politiche di solidarietà messe in atto verso “l’area della sofferenza” che oggi è rappresentata dall’America latina. Un concetto che credo sia sempre utile ribadire è che vi sono diritti di cittadinanza che non si estinguono neanche vivendo a migliaia di chilometri di distanza dalla terra d’origine.

s... dalle cartolinealle e-mail...

ROCCO CURCIO

PRESIDENTE COMMISSIONE LUCANI ALL’ESTERO

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Baghdad, una lucana al fronteRosita Rosa

Baghdad, una lucana al fronte

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on la ritualità di chi timbra il cartellino, Fran-cesca al mattino indossa gli anfibi e imbraccia il fucile. A settanta chilometri da Baghdad il

cielo ha un colore giallastro e il vento e la sabbia si mesco-lano penetrando le narici. Non ci sono strade, ma sentieri lungo i quali si procede affondando i passi. Non c’è acqua, né elettricità. Non c’è neppure un tetto, soltanto una tenda a riparare dalla calura del deserto. Eppure Francesca ha un sorriso dolce, che si apre a illumi-nare un viso regolare che tradisce i suoi trent’anni. Ha ne-gli occhi la fierezza dell’autorità, la determinazione di chi sa che deve gridare più forte degli altri per farsi sentire: è que-sto il suo lavoro, e diventa un militare inflessibile quando im-partisce ordini alle decine di uomini che ha sotto di sé. Non è stato facile per lei, ancora giovane donna, guadagnarsi il rispetto e la considerazione di tutti quei militari che, negli anni, hanno ingrossato le fila del suo plotone. Ha saputo far-si valere ed amare, questa ragazza dalle due vite.

Francesca Melinda Santasiere, texana di nascita e luca-na d’origine, è, prima di tutto, una figlia assennata e ambizio-sa, con l’amore per lo studio e la passione per la scienza, ed è anche, al contempo, un capitano delle forze armate ame-ricane, che sa fare la voce grossa quando serve.

Ma Francesca è soprattutto una donna, che si è fat-ta strada in un contesto tipicamente maschile e machista, dove, per emergere, al di là di quanto si creda, non basta disciplina ed esercizio fisico, conta innanzitutto il cervello. E così, a poco più di trenta anni, ha rinunciato alla prospettiva

A woman born in Texas but with Lucanian origins is at the front line, 70 km from Baghdad. The contingent whose Francesca Melinda Santarsiere is part of is committed in Iraqi institutional and democratic reconstruction. The American paratrooper’s grandparents, Vincenzo Santarsiere and Serafina Guma, left to South Africa with their three children, one of which, Francesca’s father, went to America. The American woman soldier, back from Baghdad, will spend some time in Italy and will eventually visit Basilicata, land that she was told about and which now proudly speaks of her.

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di una vita normale, ad un’esistenza pacificamente e noio-samente anonima. Francesca ha inseguito un sogno. Quel-lo stesso sogno che portava dentro sin da ragazzina. E con una caparbietà eccezionale, che forse rivela le sue origini lucane, è entrata nelle fila dell’esercito americano, studian-do per anni le tecniche militari e le strategie di guerra. Una guerra che è entrata a far parte del suo quotidiano.

Quella stessa guerra da cui, sessant’anni prima, i suoi nonni erano dovuti fuggire. Vincenzo Santarsiere e Serafi-na Guma erano due potentini puri, protagonisti di una sto-ria triste e insieme romantica. Giovani sposi, con già tre fi-gli a cui badare, hanno stravolto la loro vita, lasciandosi alle spalle la terra, la famiglia, e le poche certezze che la guer-ra non aveva portato via. L’immediato dopoguerra ed i pri-mi tentativi di ricostruzione avevano risucchiato lentamen-te anche le ultime sostanze rimaste. Il futuro, con uno Stato che, a fatica, accennava appena a formarsi, non prometteva prospettive migliori.

Con grande coraggio, questi due giovani genitori hanno cercato fortuna altrove. Un amore infinito per i figli e il de-siderio di offrire loro le possibilità che altrimenti non avreb-bero potuto avere, li ha spinti fino in Sud Africa, dove, dopo anni di enormi sacrifici, sono riusciti a concretizzare i loro obiettivi, trasmettendo ai propri figli l’ambizione per il suc-cesso e la passione per lo studio, assieme alla consapevo-lezza delle proprie origini e ad un amore incommensura-bile per la Basilicata. Una terra a cui sono rimasti legati per tutta la loro vita e dalla quale non riuscivano a stare lonta-ni per molto. Una città, Potenza, che li ha visti ritornare in-sieme, puntualmente ogni anno, dall’estate all’autunno, fino a quando non sono scomparsi entrambi nel 1999, a pochi mesi di distanza l’una dall’altro.

Anche Francesca avrebbe voluto conoscere la Basilica-ta, per comprendere, almeno in parte, il segreto del rap-porto viscerale che legava i suoi nonni, ed ora suo padre, a questa terra. Ma sino ad ora non le è stato possibile. L’im-pegno che ha deciso di portare avanti le ha imposto di de-dicarsi, con tutta l’anima, allo studio e al lavoro, senza solu-zione di continuità.

La ricompensa per queste privazioni è una serie di suc-cessi personali che Francesca ha potuto inanellare nel corso degli anni. A cominciare dai risultati universitari, che l’hanno vista laurearsi in microbiologia all’università del Maryland, con il massimo dei voti. Subito dopo è iniziato un nuovo pe-riodo di studi, questa volta per la preparazione alle selezioni della scuola militare della Nasa. Ed infatti, poco dopo, è sta-ta ammessa all’Accademia di aviazione di Colorado Spring, la struttura in cui viene addestrato il personale militare più selezionato e preparato degli Stati Uniti.

È stata una delle pochissime donne riuscita ad avere ac-cesso a questo reparto: le doti fisiche richieste sono al li-mite dell’umano, e l’addestramento a cui i soldati sono sot-toposti è sfibrante e molto lungo. Vengono forgiati qui i militari più selezionati ed efficienti d’America, istruiti a tener testa alle situazioni più estreme. A Colorado Spring France-

sca è diventata paracadutista, una qualifica che le avrebbe permesso, di lì a poco, di partecipare in prima linea a gran parte delle missioni militari seguenti. La sua prima esperien-za sul campo è arrivata con l’inizio della guerra in Bosnia. Ha trascorso lì nove mesi, in un periodo in cui la situazione politica era ancora di piena emergenza, con sacche di resi-stenza ancora attive e una popolazione civile ridotta al limi-te della sopravvivenza. La conoscenza brutale e diretta della guerra non ha cambiato di una virgola la sua ferma deter-minazione a voler militare nell’esercito. La missione che ne è seguita le affida ora un incarico di grandissima responsa-bilità. Il contingente di cui Francesca fa parte è impegna-to nella ricostruzione istituzionale e democratica dell’Iraq. Il compito di questi militari è quello di rimuovere la retro-guardia del regime di Saddam e bonificare i presidi milita-ri iracheni ancora esistenti. Una missione che presenta un altissimo coefficiente di rischio, soprattutto per il costante pericolo di attentati.

Ad oggi non è previsto ancora un termine certo per il rientro. È certo, però, che questo contingente passerà in Iraq i mesi estivi. Il rimpatrio potrebbe così coincidere con l’inizio del prossimo anno, ma la missione potrebbe prolun-garsi anche oltre.

Nei progetti di suo padre Nino, Francesca, al suo ritor-no da Baghdad, trascorrerà un pò di tempo in Italia, ospite dei genitori, che tuttora vivono e lavorano a Milano. Sareb-be questa l’occasione giusta per visitare finalmente la Basi-licata. La terra di cui ha sentito tanto parlare. Quella stessa Basilicata che oggi, con orgoglio, parla di lei. =

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L’identità di una comunità si raffor-za e si consolida con la capacità di non restare immemori del proprio passato, mantenendo vivo il ricordo delle ori-gini, della cultura e delle tradizioni che caratterizzano le proprie radici.

Non si tratta di nostalgica memoria di un tempo lontano, di usi e costumi ormai desueti, superati dalla “modernità”: è riconoscere un’appartenenza, riscoprire un percorso, fare un viaggio di andata e ritorno, dal passato al presente, ver-so il futuro.

Questo legame ideale con la terra d’origine si rinnova ogni anno in una importante città situata nello stato di New York, Buffalo, passaggio obbligato per i turisti diretti alle Ca-scate del Niagara. Nella seconda domenica del mese di maggio, nei dintorni della St. Anthony Church a Buffalo, viene portata in processione la statua di Our Lady of Pierno, la Madonna di Pierno, la riproduzione della statua custodi-ta nell’antica badia benedettina situata a ridosso del monte Pierno, a circa dieci chilometri da San Fele.

La Chiesa di San Fele, secondo la leggenda tramanda-ta dalla tradizione, fu fondata da Guglielmo da Vercelli nel 1139, a seguito del ritrovamento, in un anfratto del monte Pierno, di una statua della Madonna, nascosta precedente-mente da eremiti basiliani del vicino monte Santa Croce, messi in fuga dai pirati saraceni. È in stile romanico, con l’in-terno a tre navate. Il pellegrinaggio alla Madonna di Pierno è un rito molto caro agli abitanti di San Fele ed è arricchito da altri riti particolari come il prelevare e deporre pietre sui mucchi di sassi che si formano ai piedi di piccole croci di legno o il compiere tre giri intorno al santuario prima

di entrarvi. La processione si svolge anche in America ed è seguita dalla numerosa comuni-tà di sanfelesi discendenti dalla prima generazione di emigranti che alla fine dell’Ottocento si stabilì a Buffalo e che nel corso degli anni ha avuto un grande successo nei settori della politi-ca, della cultura e della società: il sindaco della città, Anthony

Masiello, ha origini sanfelesi.

The cult of Our Lady of Pierno, patroness of San Fele, crossed the ocean and still survives in Buffalo, an important city in the State of New York. At the end of the 19th century, a large community of people who abandoned San Fele in search of a better life settled down there. Those immigrants’ descendents have not repudiated their roots and every year celebrate the sacrifice of their ancestors with a mass and with the procession of the statue of “Our Lady of Pierno”.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA BASILICA, ALDO MICHELE RADICE ALLA MANIFESTAZIONE A BUFFALO

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Da circa 130 anni la folta comunità di persone di origine sanfelese si è insediata a Buffalo: sono quasi 5000 le perso-ne che in qualche modo hanno un legame con la Basilicata. I sanfelesi sono stati veramente i pionieri di un flusso migra-torio che interessò la città americana nella quale giunsero per primi gli emigranti provenienti dalla Sicilia. Subito dopo i siciliani, gli emigranti provenienti da San Fele si riversarono letteralmente in quel posto che offriva grandi occasioni di lavoro e una serie di variegate opportunità che rispondeva-no all’esigenza di un tenore di vita migliore.

La prima sanfelese ad arrivare a Buffalo fu Carmela Co-lucci. Cominciò a lavorare dietro le cucine dei ristoranti di Buffalo come lavapiatti, e poi, forse, come cuoca e ben pre-sto si sparse a San Fele la voce che la cittadina era un bel posto per viverci e lavorarci.

La città di Buffalo, situata sulla sponda orientale del lago Eire fu fondata nel 1803, neanche a dirlo da un italiano, Pao-lo Busti, che era a quel tempo il direttore della compagnia di commercio “Hudson Buy Company”.

La sua posizione strategica la rese subito meta delle grandi ondate migratorie. Grazie alla presenza, nei dintor-ni delle miniere di carbone e ferro, si sviluppò molto l’in-dustria siderurgica e la città divenne un importante snodo ferroviario a causa della nascita di industrie specializzate nella costruzione di rotaie e vagoni ferroviari. Nelle zone interne si svilupparono l’agricoltura e l’allevamento del bestiame.

Molte notizie sui primi anni dell’emigrazione italiana a Buffalo passavano di bocca in bocca attraverso i racconti dei protagonisti di quegli anni, gli stessi emigranti: la fama di Buffa-lo si consolidò a San Fele anche grazie ai racconti di un certo Paschal C. Rabino, impresario di pompe funebri e “storico” dell’emigrazione sanfelese in America. Gli emigranti arrivaro-no a Buffalo portandosi dietro il fardello della povertà, del-l’incertezza e dell’unica e sola attitudine a lavorare la terra. Quindi, per molti anni, gli emigranti stabilitisi lì, divennero, nell’immaginario degli abitanti di San Fele degli affacendati guidatori di trattori che lavoravano come piantatori e rac-coglitori nelle prosperose piantagioni e fattorie appartenenti ai compaesani chiamati Mecca, Vaccaro e Loretto, arrivati in America qualche anno prima. La comunità sanfelese di Buf-falo non ha mai rinunciato negli anni alla propria tradizione e religiosità.

La processione in onore della Madonna di Pierno si tiene fin dal 1941. La storia della statua di “The Our Lady of Pierno” risale al 1886 allorquando essa venne collocata nella Chiesa madre degli italiani emigrati in America. Questo fu un grande privilegio per la comunità di San Fele che ebbe la meglio sul gruppo degli emigranti siciliani, aspiranti anch’essi ad avere un simbolo della propria tradizione religiosa nella chiesa madre. In onore della Madonna, i sanfelesi donarono due vetrate co-lorate alla Chiesa di St. Anthony che è in stile romanico ed è retta attualmente da padre Scalabriniani. La parrocchia è da sempre un centro di aggregazione molto 8

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LA FESTA IN ONORE DELLA MADONNA DI PIERNO IN ALCUNE EDIZIONI DEGLI ANNI ‘70 _ FOTO: MUCCIA - SAN FELE

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importante perché sostiene varie attività culturali e so-ciali e offre servizi di consolato italiano oltre ad aver fonda-to la prima scuola italiana bilingue negli Stati Uniti.

Le nuove generazioni sono composte da professionisti adeguatisi molto opportunamente al contesto sociale ed economico della città. Le famiglie di San Fele che portano cognomi come Valente, Fasolino, Tronolone, Radice, Ana-stasia, Mecca, Petrino, Nigro, Sisti, De Cillis, Albano e molti altri hanno prodotto una lunga lista di dottori, avvocati, in-segnanti, politici, leader istituzionali, manager, imprenditori, preti, artisti e atleti.

La “San Fele Association of Western New York” anche quest’anno ha organizzato la riunione dei sanfelesi a Buffalo, preceduta da una messa celebrata nella St. Anthony Church per esprimere un ringraziamento alla Madonna e per ricor-dare gli antenati emigrati che hanno dato la possibilità alle nuove generazioni di vivere nel benessere e di realizzarsi nella città e nella comunità di Buffalo.

Quest’anno, il 10 maggio 2003, ha partecipato all’an-nuale riunione anche il Presidente del Consiglio Regionale della Basilicata, Michele Radice, proprio originario di San Fele. Il Presidente ha avuto parole di apprezzamento per i compaesani che oggi sono inseriti e integrati nella città di Buffalo e che, nel contempo, non hanno mai dimenticato la propria provenienza .

“La storia degli emigranti di San Fele a Buffalo - ha af-fermato il Presidente - testimonia il fatto che si è realizzato

uno scambio culturale, religioso e di costume che si sostanzia nell’intento di preservare l’identità di una comunità, ma nel contempo di manifestarla alla comunità accogliente. Fanno piacere le espressioni di gioia e di orgoglio dei partecipanti al-l’annuale riunione dell’Associazione perché sono la prova reale che le origini non sono state dimenticate ed è vivo il profondo legame che unisce questa comunità a San Fele”.

Il messaggio che lancia l’Associazione di sanfelesi a Buffalo si percepisce finanche nelle parole scritte suil car-toncino che annuncia l’evento: “…we again honour ours ancestors who came to a new home for their families at that time in history when the opportunities were more available in America” cioè “noi ancora onoriamo i nostri antenati che sono venuti in una nuova casa per le loro famiglie in quel mo-mento della storia in cui le occasioni erano più vantaggiose in America” e, ancora : “Noi portiamo rispetto per la loro casa italiana di San Fele e dei paesi vicini dove molti dei nostri pa-renti e amici sono nati”.

L’America come una nuova e accogliente dimora che non ha potuto per nulla fare dimenticare le radici, le ori-gini, la casa italiana, San Fele, il paese protetto dalla Ma-donna di Pierno, la stessa Madonna, quella che i sanfelesi americani chiamano “The Our Lady of Pierno”, la Nostra Signora di Pierno, il cui culto è stato tramandato dai nonni e genitori e che verrà trasferito alle nuove generazioni in quanto interiorizzato e riconosciuto e perché “appartie-ne” a loro. =

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L’America e gli Italiani d’America

GIUSEPPE FORTUNA

The creation of the United States as a multiethnic society from the colonial age to the modern age is the main theme of the study of Giuseppe Fortuna, professor of Sociology at the Faculty of Urban Studiesat the Queens College of New York and Chairman of the American Lucanian Associations Federation. Professor Fortuna’s essay analyzes the path of the Lucanian Italo-Americans settled down in the United States, together with the difficulties they met, and how they contributed to the creation of the American society.

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Nella mia breve presentazione cercherò di mettere in rilievo la formazione degli Stati Uniti come una società multietnica e secondariamente mi concentrerò con dettagli sul gruppo italoamericano che include anche gli emigra-ti italiani. Lo sviluppo della società e delle città americane consiste di varie ere:

• era coloniale che va dal 1600 al 1800; • era della crescita che va dal 1800 al 1870; • era della grande metropoli che va dal 1870

al 1940; • era moderna che va dal 1940 ad oggi (J.J. Macionis e V. N. Parrilla,1998).

L’era coloniale comprende il periodo preindustriale, la popolazione consisteva di americani nativi, di indiani spar-pagliati in piccole comunità e tribù. Alcune di queste tribù erano nomadi come i Cheyenne ed i Sioux, altri avevano una dimora permanente come gli Hopi e Navajo dell’Ari-zona e New Messico. Questo è anche il periodo della colo-nizzazione europea. New York in questo periodo fu chiama-ta dagli olandesi New Amsterdam, soltanto dopo gli inglesi le cambiarono il nome in New York per onorare il duca di York. Le città americane di questo periodo erano dei piccoli centri urbani e città come New York, Boston, Baltimore ed altre servivano come centri di esportazione di materiale in Europa. Erano però città dipendenti nell’economia Europea, che poco alla volta si sono ingrandite e diventate indipen-denti ed importanti centri commerciali.

L’era della crescita si caratterizza con grandi attività commerciali che si occupavano della costruzione di pon-ti, ferrovie, autostrade e che hanno esteso l’urbanizzazione oltre i limiti delle città. Questa è l’era della crescita della po-polazione, dello sviluppo di nuove industrie e dell’accumu-lazione di capitali. È l’era di una industrializzazione su grande scala, l’era di invenzioni tecnologiche e di una immigrazio-ne di massa prima dal Nord Europa e, successivamente, dal centro e Sud Europa ed altri parti del mondo.

L’era della grande metropoli include un maggiore svi-luppo industriale e tecnologico ed un ulteriore immigrazio-ne di massa nelle città che iniziano ad essere caratterizzate da una eterogeneità culturale.

L’era moderna consiste di tre sottofenomeni:• Decentralizzazione della grande industria e suburba-

nizzazione della città con l’esodo dei ricchi verso il sobbor-go, ciò è occorso negli anni 50 e 60.

• Il fenomeno “Sunbelt” dovuto alla fuga di capitali e posti di lavoro verso le città del “Sunbelt” nel Texsas o nel-la valle del Silicone della California, ciò è avvenuto verso la fine degli anni settanta e all’inizio degli anni ottanta.

• Il fenomeno “Post-industriale”, alla fine del ventesi-mo secolo, con aumento di lavori dei colletti bianchi, del-l’industria dei servizi e dell’alta tecnologia, ha creato delle Megalopoli. L’era moderna è caratterizzata da una doppia trasformazione: tecnologica, tramite i computers e robots e demografica dovuta allo spostamento di poveri neri nelle

grandi città e di quello di ricchi bianchi verso la ricca peri-feria. Una situazione che ha causato spesso delle crisi fiscali. Quando le grandi città hanno perso contribuenti ricchi che vivevano fuori dalla giurisdizione tassativa, hanno ricevuto meno tasse. Una situazione che ha portato gli amministra-tori ad adottare una politica di austerità che ha contribuito ad una deteriorizzazione della vita urbana.

Prima del 1830 gli Americani erano un popolo relati-vamente omogeneo in termini di origine nazionale, religio-ne e aspetto fisico. Verso la terza decade del diciannovesi-mo secolo, gli indigeni sono stati ridotti alla subordinazione. L’altro gruppo non europeo era il gruppo degli schiavi neri che sono stati portati in America verso la fine del diciasset-tesimo secolo. A causa della loro cultura e, specialmente, a causa del loro aspetto fisico diverso dai colonizzatori euro-pei, i neri e gli indiani, come pure i messicani nel sudovest, sono stati dagli inizi relegati in fondo alla gerarchia etnica. La loro posizione, ancora oggi, è cambiata relativamente, come gruppo sono ancora in fondo.

Ad eccezione dei nativi e degli schiavi, la grande mag-gioranza degli americani agli inizi del diciannovesimo secolo erano inglesi e protestanti. Altri gruppi erano principalmen-te europei nord occidentali come i tedeschi e gli olandesi che non erano fisicamente e culturalmente del gruppo do-minante inglese. È stato questo gruppo che ha determinato il tono della società americana nelle sue maggiori istituzioni, politiche, economiche e sociali.

Tale gruppo è stato chiamato WASP a cui i gruppi suc-cessivi si sono dovuti adattare. Questo gruppo dominante ha messo alla base linee di condotta in istruzione, 8

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lingua, legge e persino religione. Così l’ascendenza della lingua inglese e del suo sistema legale e, con poche ecce-zioni, la fede cristiana non è stata seriamente contestata.Si è creduto che le differenze tra tanti immigrati poco alla volta sarebbero scomparse attraverso un processo graduale di fusione e armonizzazione. Si è, anche, creduto che diverse culture etiniche si sarebbero eventualmente fuse in una sin-gola cultura americana come una creazione ibrida.

Questa nozione del Melting Pot e dell’assimilazione è ri-masta popolare per parecchie decadi senza mai avere suc-cesso (N. Glazer and D.P. Moynihan, 1970: 15).

Un’altra ideologia etnica che ha riscosso tanta atten-zione è il pluralismo culturale, cioè l’idea che le varie cultu-re etniche e comunità debbano essere tollerate e protette entro un sistema di eguaglianza politica. Purtroppo le spinte sui gruppi etnici d’assimilarsi culturalmente nel gruppo do-minante non sono state complementate da corrisponden-ti pressioni di assimilazione strutturale (M.Gordon, 1964). Di solito gli sforzi di gruppi etinici minoritari per ottene-re eguaglianza politica ed economica sono stati affronta-ti con resistenza. Attraverso quote lavorative restrittive ed una schiera di altre misure, il gruppo dominante è riuscito a proteggere il proprio potere.

Queste linee di condotta hanno generato tante contro-versie e conflitti e le sfide minoritarie hanno, a volte, otte-nuto dei successi. Insomma, durante gran parte della storia americana, queste linee di condotta e ideologie pubbliche hanno, generalmente, determinato una doppia meta. Da un lato hanno suggerito una assimilazione culturale al gruppo dominante WASP e dall’altro hanno suggerito un plurali-smo strutturale assicurando la dominanza WASP.

I gruppi meno diversi dal gruppo dominante WASP sono stati ricevuti con meno ostilità e con delle opportuni-tà più aperte e meno limitate di quelle offerte di gruppi mi-noritari non bianchi e non protestanti. Sebbene le distanze tra tanti gruppi sono state ridotte, il loro rango di base non è stato alterato. Quelli la cui origine era dell’Europa nord occidentale e protestante come inglesi, scandinavi, olandesi, tedeschi sono in cima; i gruppi cattolici ed ebrei dell’Europa meridionale ed orientale come italiani, polacchi, russi, irlan-desi cattolici, slavi e greci sono in una posizione intermedia, mentre i neri, indiani e tanti latino-americani sono in fon-do. Nonostante la dominanza numerica e culturale di pro-testanti bianchi, una varietà di culture e tipi fisici diversi ha caratterizzato il popolo americano sin dall’inizio.

Tuttavia, soltanto verso il 1830 le diversità etiniche del-la società americana sono diventate più manifeste. Verso la terza e quarta decade del diciannovesimo secolo, l’America si è imbarcata in uno dei più grandi esperimenti sociali della storia umana. Nei cento anni che si sono susseguiti, oltre trenta milioni di immigrati sono venuti negli Stati Uniti facendola diventare la “classica nazione di immigrazione” (M. A. Jone, 1960:2). Sebbene altre società del mondo mo-derno sono state popolate da immigrati, nessuna ha ricevu-to un maggiore numero e varietà di gruppi.

I vecchi immigratiIl periodo che va dal 1860 al 1880 segna il primo si-

gnificativo periodo di immigrazione non inglese negli Stati Uniti. I gruppi prominenti di questo periodo sono stati i te-deschi e gli irlandesi nonostante l’immigrazione inglese e di altre nazioni dell’Europa nord occidentale continuava sen-za diminuire.

Tra il 1847 ed il 1854 circa, un milione e duecentomi-la immigrati irlandesi sono venuti negli Stati Uniti, alla fine della guerra civile rappresentavano il sette per cento della popolazione bianca. I tedeschi sono arrivati in due ondate, quasi un milione tra il 1850 e 1857 e più di due milioni tra il 1865 e 1885. Alla fine del diciannovesimo secolo, i tede-schi erano il secondo gruppo etnico in America dietro sol-tanto agli inglesi.

Questo periodo ha determinato l’immigrazione di non protestanti. Gran parte degli irlandesi e metà dei tedeschi erano cattolici e si diffusero così azioni anticattoliche.

I nuovi immigratiDurante il periodo che va approssimativamente dal

1880 sino allo scoppio della prima guerra mondiale circa venticinque milioni di immigrati europei sono arrivati ne-gli Stati Uniti d’America. Questi nuovi immigrati, non solo, hanno rappresentato il massimo dell’immigrazione europea negli Stati Uniti, ma hanno, altresì, cambiato radicalmente il carattere etnico della società americana.

Gran parte dei nuovi immigrati, di religione cattolica o ebraica e di cultura diversa da quella anglosassone,i veni-vano dall’Europa meridionale ed orientale. Gli irlandesi ed i tedeschi che pure parlavano una lingua diversa, non veni-vano considerati culturalmente inferiori dal gruppo domi-nante anglosassone.

I nuovi immigrati, nella maggioranza dei casi, proveniva-no da una classe inferiore. Essi erano principalmente conta-dini specie nel caso dei lucani provenienti da Stati tra i più poveri d’Europa: l’Italia meridionale, Russia, Polonia ed altre nazioni parte dell’impero Austro-Ungarico. Le loro diffe-renze di classe e cultura hanno causato una forte reazione antagonista e razzista da parte dominante originando, così, delle quote restrittive nel 1924.

Nel resto di questo saggio mi concentrerò sul gruppo italo- americano, di cui i lucani ne fanno parte, che ha carat-terizzato questo classico periodo di immigrazione. Gli italia-no sono considerati parte del gruppo etnico bianco. Oggi pare che è un gruppo assimilato nella società dominante, ciò nonostante, credo che sia sbagliato assumere che l’etni-cità per loro non è più significante anche se ha assunto un valore diverso.

Credo che sia prematuro assumere che per loro l’etnici-tà non ha più significato sia culturalmente che strutturalmen-te. Ancora oggi, nonostante ci sia stato tanto progresso da parte degli italo-americani, non si è ancora raggiunto una pa-rità economica e politica col gruppo dominante WASP. 8

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Gli italoamericani ed i lucaniUn numero ristretto d’italiani ha fatto parte della socie-

tà americana sin dalla sua fondazione, tuttavia il grosso del-l’emigrazione italiana va dal 1880 sino alla metà degli anni venti. All’inizio del diciannovesimo secolo gli italiani sono immigrati principalmente in Argentina e Brasile, solo se-condariamente sono emigrati negli Stati Uniti. Gran parte di questi immigrati italiani, sia negli Stati Uniti che nei paesi del Sud America erano del nord Italia (R. S. Foerster 1919, G.Fortuna 1991). Dall’inizio degli anni 1880 è, però, cambia-ta sia l’origine che la destinazione degli emigrati italiani. Con l’esaurimento della piantagione del caffè in Brasile e di agi-tazioni politiche in Argentina, tanti italiani hanno optato per gli Stati Uniti. Se nel passato erano le regioni del nord Italia a fornire immigrati ora, invece, sono le regioni meridionali. Questo cambiamento ha alterato il loro carattere culturale e di classe. Se gli immigrati del nord erano più istruiti, arti-giani e professionisti, i meridionali erano in gran parte con-tadini e braccianti agricoli, specie nel caso dei lucani. Salari bassi, disoccupazione, carenza di realtà industriali e man-canza di attenzione da parte del governo centrale, sono tra i fattori che hanno contribuito ad un incremento dell’emi-grazione meridionale e lucana. Tra il 1880 ed il 1915, quat-tro milioni d’italiani sono arrivati negli Stati Uniti. L’ottanta per cento erano meridionali (R. S. Foerster 1919, R. Gambino 1974, J. Lopreato 1970, G. Fortuna 1991), di cui un gran nu-mero di lucani.

Una caratteristica importante di questo periodo è che gran parte degli italiani pensava di ritornare in patria, al paese nativo, per comprare terreni. Infatti tra il 1908 ed il 1914 quasi un terzo degli Italiani rimpatriava. Questi immi-grati italiani nella maggioranza dei casi, erano impreparati alla vita urbana e industriale americana. Senza alcuna spe-cializzazione ed istruzione sono stati, purtroppo, costretti a lavori manuali. Tantissimi si sono stabiliti nelle città america-ne del nord-est come New York. Essi hanno rappresentato gran parte della forza lavoro nella costruzione del sistema metropolitano (N. Glazer e D. P. Moynihan 1970). Si sono inseriti in aree metropolitane abbandonate da altri gruppi come gli irlandesi, creando le piccole Italie che non erano altro che “Sicilia”, “Calabria”, “Lucania”.

Era un fenomeno a catena in cui quelli di un paese ap-prodavano dove c’erano altri paesani. C’era una piccola identità nazionale: gli immigrati si identificavano, soprattut-to, con la propria provincia o paese. A Manhattan c’era la piccola “Montemurro” ad Astoria c’era la piccola “Ciriglia-no”. Sebbene oggi la popolazione italo americana è un po’ dispersa in gran parte vive nei grandi centri urbani o nelle loro periferie come a New York dove, il gruppo italo ame-ricano è il secondo gruppo etnico dopo i neri.

Il posto degli italo americani nella struttura sociale va-ria dal piccolo ceto medio al ceto medio alto, la cosìddetta classe borghese. Sebbene la mobilità verso l’alto era mini-ma per la prima e seconda generazione, per i membri della

terza e quarta generazione è stata più facile, essi mostra-no le caratteristiche dei ceti medi e alti in termini di salario, occupazione ed istruzione. Il salario degli italo americani è, in alcuni casi, al di sopra di quello medio nazionale. L’oc-cupazione della seconda generazione è rimasta simile alla prima, gran parte della seconda generazione ha continua-to l’occupazione manuale dei genitori. Con la terza e quar-ta generazione c’è stato un cambio di qualità. Quest’ultima generazione ha usufruito dei sacrifici della prima e seconda generazione ed è riuscita ad ottenere un alto livello d’istru-zione, inserendosi bene nel mondo professionale come medico, avvocato, ingegnere. Grazie al loro aumentato li-vello d’istruzione e una certa sofisticazione intellettuale gli italo-americani hanno assunto posizioni politiche importan-ti. Nel 1980, trenta italo-americani facevano parte del con-gresso, mentre erano otto nel quaranta e soltanto quat-tro negli anni trenta (A. Rolle 1980, R. Alba 1985, G. Fortuna 1991) di cui uno era di origine lucana, Vito Marcantonio, il difensore dei poveri. Nell’ottantaquattro, Geraldine Fer-raro è stata candidata per la vice presidenza del governo americano. Il loro successo politico è stato molto più eleva-to a livello locale e statale. Oggi un accetturese della secon-da generazione, George Onorato, è senatore dello stato di New York. Due anni fa un italo americano di origine aviglia-nese, Denis Vacco, ha ricoperto la carica di assessore alla giustizia dello stato di New York. Ora che gli italo america-ni hanno raggiunto un alto livello di istruzione ed una certa finezza ed acutezza intellettuale il loro successo politico è stato incrementato. Più alto è il loro livello sociale più inten-so è il loro livello di partecipazione politica.

Il potere in America non è limitato soltanto all’arena po-litica, ma anche al mondo corporativo. Purtroppo il successo nel mondo corporativo è stato meno evidente di quello po-litico, ad eccezione di pochi individui come: Incocca, mana-ger della General Motors e Chrysler Corporation. Il mondo corporativo, più di quello politico, è ancora controllato dal gruppo WASP di origine nordeuropea e protestante.

Pregiudizio e discriminazioneGli italiani sin dal loro arrivo negli Stati Uniti, sono stati

vittime di pregiudizi e discriminazioni. Sebbene oggi que-sti atteggiamenti sono diminuiti in forma ed intensità con-tinuano, purtroppo, ad influenzare l’immagine ed il tratta-mento degli italo americani. Queste azioni discriminatorie si manifestavano in divieto di accesso a certi lavori, scuole e quartieri. Gran parte di questi pregiudizi e discriminazioni si basavano su ideologie razziste. Questo era il tempo in cui l’idea del Darwinismo sociale dominava. I nuovi immigrati, incluso gli italiani, venivano considerati inferiori, persino fi-siologicamente e diversi da quelli che li avevano preceduti. Gli italiani erano visti come il gruppo più degradante di tutti i gruppi di immigrati di questo periodo. I poveri contadini del sud, inclusi tanti lucani, erano ricevuti in modo diverso dai precedenti immigrati italiani del nord. Essi venivano visti

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come degenerati, ignoranti, sporchi, pigri, violenti e criminali. L’ antagonismo antiitaliano era evidente: tante le uccisioni e le impiccagioni di immigrati italiani tra il 1890 ed il 1915 (R. Gambino 1977). Un caso famoso è quello di Sacco e Van-zetti condannati alla sedia elettrica sebbene fossero inno-centi. Infatti, nel 1977 lo stato del Massachusetts ha ammes-so che il processo era stato ingiusto.

Gli stereotipii negativi degli italo-americani sono stati rinforzati dalla televisione. Anche oggi l’immagine negativa prevale su quella positiva con un numero sproporzionato di personaggi e caratteri mafiosi e criminali. Sebbene una discriminazione aperta è scomparsa, una sua forma sottile persiste ancora, specie, nel mondo del lavoro, ostacolando, spesso, la promozione degli italiani. Oggi la terza e quarta generazione di italo-americani ha perso un po’ i lineamen-ti della cultura meridionale, conservandone grossomodo le tradizioni culinarie. Con la terza generazione, persino i le-gami familiari sono stati rimpiazzati da modelli americani. Il divorzio, per esempio, nella prima generazione era limitato, con la terza generazione è ben accettato. Se il 72% della seconda generazione parlava l’italiano o un dialetto italia-no, con la terza generazione è soltanto il 12% (J. Crispino 1980). Ciò dimostra che gli italo-americani, come gruppo, sono culturalmente assimilati, ma lo sono anche, in un certo senso, strutturalmente perché ora sono riusciti ad occupare posizioni di potere nella struttura sociale americana. La loro residenza è dispersa in quartieri benestanti ed eterogenei ed il livello di matrimoni misti con altri gruppi etnici è eleva-to (R. Alba 1985). Anche questi sono segni di assimilazione.

L’identità etnica degli italo americani non sarà certa-mente la stessa che è stata per i loro genitori e nonni. Per tanti assumerà soltanto un valore “simbolico” più che un ef-fetto molto limitato nella loro vita quotidiana. Queste carat-teristiche degli immigrati italiani sono state anche le caratte-ristiche degli immigrati lucani.

Gli immigrati lucani in America si sono distinti come grandi lavoratori ma, anche, come uomini politici, di cultura ed imprenditori. Nel passato ci ha onorato: Vito Marcan-tonio, difensore dei popoli accusato di comunismo quan-do in America la guerra fredda e l’ideologia erano all’apice. Antonio Stella, medico e sociologo tra i primi a studiare il gruppo italo americano e vari imprenditori edili e ban-chieri. Oggi ci fa onore Denis Vacco nel campo giudiziario, George Onorato, senatore dello stato di New York, Fran-cis Ford Coppola, grande regista cinematografico ed im-prenditore vinicolo. Tra i membri onorari della nostra as-sociazione c’è il professore William Phillips, premio Nobel per la fisica nel 1997 la cui madre è nata a Ripacandida. Tra i nostri membri ci sono imprenditori di rispetto come Dona-to Curcio, presidente della United Silicone inc., Felice Mar-cantonio, presidente della Ferrari Driving School, Anthony Summa, presidente della Cross County Federal Saving Bank con un fatturato di milioni di dollari all’anno.

Tra i nostri membri ci sono altri piccoli imprenditori, proprietari di ristoranti, pizzerie, imprese edili e tanti arti-

giani e lavoratori generici e pensionati. Come associazione abbiamo dei problemi, siamo senza una sede perché resi-diamo in diverse zone dello stato. L’altro problema è che i lucani di terza generazione sono in tutti i sensi americani e con i loro impegni professionali raramente partecipano ai nostri incontri che sono rari e in luoghi diversi a seconda dell’occasione.

Ultimamente abbiamo creato un giornalino, “Il Corrie-re Lucano”, che , dopo due anni per mancanza di colla-borazione ed anche di soldi non pubblichiamo più. Stiamo cercando di muoverci in modo diverso, organizzando con-ferenze e mostre che parlano e mostrano la nostra cultu-ra per farla conoscere anche a chi non è lucano o italiano. Il mese scorso al Queens College della City University di New York, in collaborazione con la facoltà di Lingue e Let-terature Europee abbiamo organizzato una conferenza su: “Albino Pierro e la Letteratura Lucane di fine ‘900 fra Dialet-talità e Neodialettalità”. In novembre, durante il mese della cultura italiana, in collaborazione con la Regione Basilicata e “l’Istituto di Cultura Italiana”, faremo una mostra “Il vino di Dionisio” presso il Baruck College della City University di New York. Siamo e lo saremo sempre lucani, e anche se viviamo a seimila chilometri di distanza siamo ben disposti, in questa epoca di globalizzazione, a dare una mano alla no-stra regione. =

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Da Dragonetti a Los Angeles

Curiosità, passione e desiderio di costruirsi un futuro diverso. Sono stati questi gli elementi propulsori che hanno indotto Giambattista Pace a lasciarsi alle spalle la sua famiglia, un lavoro dignitoso e, soprattutto, la sua

“terra”, Dragonetti. Un pugno di case che affacciano sulla pittoresca Valle di Vitalba, nel comune di Filiano, in provincia di Potenza, dove, però, trovano spazio le sue antiche emozioni. All’età di ventun’anni, dopo un’infanzia e un’adolescenza non molto felici a causa della scomparsa prematura del padre e delle difficoltà economiche che caratterizzavano quasi tutte le famiglie del sud Italia, negli anni difficili del dopo guerra, Giambattista incontra una donna, Rose Faretta. Italoamericana, di origine di Ripacandida, giunta in Italia nel 1961 per ritrovare le sue radici e con l’intimo intento di riallacciare quel filo sottile che la teneva legata alla Lucania.

Il sentimento per questa donna e la curiosità di anda-re a vedere come fosse il mondo al di là dell’oceano furo-no la spinta a prendere la decisione che avrebbe cambiato il corso della sua vita.

Lasciato il lavoro di carabiniere, svolto con dedizione e coraggio per quasi quattro anni, nelle zone più “calde” del-l’Italia meridionale quali Corleone, Trapani e Palermo, parte alla volta degli Stati Uniti d’America. Ed è proprio in Cali-fornia, nel più affascinante stato dell’Unione, nella mitica cit-tà di Hollywood che è cominciata la sua avventura.

Oggi, John Pace, Titt’ per gli amici lucani, è uno stima-to imprenditore. È a capo di una florida azienda, la Mon-doMarmi, già GLOMATI, che si occupa di importare mar-

mi e ceramiche da ogni parte del mondo e soprattutto dall’Italia, e di distribuirli in tutto il territorio del West U.S.

Negli anni ottanta e novanta, periodo clou della sua attività, ha raggiunto fatturati di diversi mi-lioni di dollari ed ha impiegato presso le sue sedi oltre novanta dipendenti. Ha realizzato proget-ti anche oltre i confini degli USA con commesse in Russia, Giap-ROSARIA NELLA

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A young Carabiniere, Giambattista Pace, met an Italo-American woman and felt in love with her. Afterwards he decided to leave his job, his family and, above all, his “land”, Dragonetti, a small hamlet of the municipality of Filiano and moved to California. Nowadays, John Pace manages a well-established business, MondoMarmi. His success is witnessed by figures: in the ‘80s and ‘90s he invoiced almost 40 million dollars, employed more than 90 people and contributed in the development of 400 Italian companies.

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pone, Cina e Corea. In Italia, per lo più nel modenese, gra-zie ai suoi scambi commerciali ha permesso lo sviluppo di oltre 400 aziende che operavano nel settore.

La qualità del suo lavoro, l’impegno profuso e l’apporto alla crescita economica di settori produttivi italiani gli hanno consentito di ottenere nel 1989 uno dei titoli più prestigio-si, Cavaliere del Lavoro.

“Per me - dice - è una grande soddisfazione aver contri-buito all’incremento produttivo di aziende italiane e, anche se sono trascorsi ormai più di quarant’anni da quando partii per Los Angeles, mi sento italianissimo. È motivo di grande orgo-glio questo riconoscimento ricevuto dallo Stato italiano ed è stimolo per i miei cinque figli. Infatti, il valore che ho cercato di trasmettere loro e che fa parte del mio “essere lucano” è proprio la passione per il lavoro. Gli inizi, ci ricorda John, non furono facili. Come tanti altri emigranti, ho lavorato giorno e notte. Di giorno come operaio in un’azienda che si occupava della distribuzione di marmi, e di notte come lavapiatti in un ristorante di Los Angeles. Nello stesso tempo - continua - do-vevo imparare la lingua che era il primo ostacolo da supera-re per integrarsi nella società america. Dopo pochi anni, però, grazie anche alla caparbietà tipica di noi lucani, sono riusci-to a mettermi in proprio e a realizzare finalmente il “sogno

NELLA FOTO A SINISTRA, L’INAUGURAZIONE DELLA CHIESA DI DRAGONETTI CON LA CONSEGNA DI UNA TARGA DI RICONOSCIMENTO A JOHN PACE

americano”. Sono stato il punto di riferimento di tanti lucani ed italiani che, giunti in America, hanno trovato lavoro e so-stegno nella mia azienda”.

“Il legame con la terra d’origine non si è mai spezzato e a Dragonetti”, ricorda, “ho ancora familiari e tanti amici. Nei momenti più difficili vissuti da voi lucani in seguito al tremen-do sisma del 1980, ho partecipato attivamente e con pro-fonda emozione alla ricostruzione della chiesa di Dragonet-ti, quella stessa chiesa che mi diede l’impronta cattolica che non mi ha mai più abbandonato. Anche la terra che mi ha adottato è “ballerina” ed è stato proprio uno di questi mo-vimenti tellurici che spesso ci ricordano l’evanescenza della vita, a dare un duro colpo alla mia azienda, la Globe Marble & Tile Inc.. Oggi, in seguito a quell’evento tellurico che si verifi-cò nel 1993, ho cambiato casa e ho ricostruito e ridimensio-nato la mia impresa che ha subito gravi perdite, rinominan-dola MondoMarmi”.

La vita di Giovambattista Pace, ora, è ben radicata ne-gli USA e mai penserebbe di trasferirsi in Italia. In Cali-fornia vivono i suoi cinque figli e i suoi otto nipoti. La Lu-cania, però, rimane sempre una delle mete preferite per trascorrere serenamente le sue vacanze e per fare un tuf-fo nel passato. =

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Daniel Hugo Lacorazza è un ricercato-re che non fa parte di quei quasi tre-mila “cervelli” italiani che lavorano al-l’estero, come risulta da una recente indagine del Censis, presa in considera-zione da un recente articolo pubblicato

su Affari Sociali Internazionali, trimestrale di Franco Angeli.Daniel Lacorazza ha soltanto il nonno e il cuore lucani,

ne ha le origini che ama portare in giro per il mondo e che desidera scoprire e conoscere sempre più.

Nato nell’aprile del ’64 in Argentina, da una famiglia emigrata da Montemurro circa un secolo fa, si è diplomato e poi laureato in Biochimica nel paese natale e poi è par-tito per svolgere la sua missione nella patria della ricerca mondiale, in quegli Usa che accolgono il talento di tanti gio-vani studiosi, desiderosi di apportare un piccolo contribu-to alla crescita della capacità di sconfiggere uno dei peggiori nemici della nostra salute.

Oggi, in uno dei maggiori centri di ricerca del mondo, c’è la piccola grande opera di un montemurrese di origine; un tipo di lavoro che, pur essendo svolto a migliaia di chi-lometri di distanza dalla terra in cui è nata la sua famiglia, produce effetti immediati anche su di essa, come su tutti gli abitanti della terra.

Negli Stati Uniti per vari anni ha lavorato e si è forma-to come scienziato al National Institutes of Health (Bethe-sda), che è forse il più grande complesso dedicato alla ri-cerca biomedica negli Stati Uniti (e quindi nel mondo), ed è

direttamente finanziato dal governo fede-rale. Successivamente si è trasferito al Me-morial Sloan-Kettering Cancer Centre (MSKCC) di New York, che è un centro di eccellenza per la cura e la ricerca sul can-cro, nonché punto di riferimento per me-dici e pazienti da ogni parte del mondo.

“A tutt’oggi - racconta ponendo l’ac-cento sull’importanza del suo lavoro - con-duco la mia attività di scienziato al MSKCC e mi occupo dello sviluppo delle cellule del si-

stema immunitario e della formazione delle cellule del sangue. Questi due sistemi, quello immunitario ed il sangue, sono stret-tamente connessi, in quanto hanno in comune la stessa cellu-la capostipite (progenitore); scoprire come si formano queste cellule, ci può far capire perché ed a quale stadio si sviluppano i tumori, e ci può dare informazioni necessarie a sintetizzare farmaci efficaci nel combattere il cancro. Il mio ruolo in questo

La ricerca genetica parte da Montemurro

GIANNI LACORAZZA

Daniel Hugo Lacorazza is a researcher who, through his work, contributes in helping the man’s fight against cancer. His life and job lead him to leave Argentina to New York where he works in the laboratory of one of the most important centres in the world. However, his nature drives him to go further, in search of his own roots, of his Lucanian roots.

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processo di ricerca, consiste nel produrre dei topi di laboratorio nei quali è possibile riprodurre in maniera fedele, ma molto più velocemente, quello che succede nell’uomo quando si instaura-no processi patologici nelle cellule del sangue”.

Chiusi in un oscuro laboratorio, per ore ed ore, alla ri-cerca di un indizio su cui costruire una teoria, una soluzio-ne ad un problema che interessa e riguarda tutta l’umanità. I film hanno sempre raffigurato così gli scienziati; c’è un po’ di fantasia in tutto ciò, ma non soltanto. E Daniel Lacorazza ci corre incontro con la testimonianza della sua esperienza.

“In Argentina ho lavorato sulla chimica delle proteine, so-prattutto sul recettore di acetilcolina nicotinica che ricopre un ruolo molto importante nella trasmissione delle informazioni da un nervo a un muscolo. Questa particolare proteina costi-tuisce un bersaglio nel trattamento della distrofia muscolare. In seguito, negli USA, ho cominciato a lavorare sulla “terapia dei geni”, una metodologia che ci permette di impiantare un gene mancante o difettoso in un paziente per risolvere sva-riati problemi. Nel 1996, sulla rivista “Nature Medicine”, ho dimostrato che si può costruire geneticamente una linea cel-lulare neurale “pluripotente” (cioè in grado di generare qual-siasi tipo di cellula neurale) in modo da creare un gene speci-fico che possa essere impiantato nel cervello dei topi; questa scoperta apre nuovi orizzonti e supporta le attuali terapie per le malattie neurologiche basate sul trapianto di cellu-le staminali.

Questa terapia viene definita terapia “ex vivo”; le cellu-le di un paziente affetto da malattie dovute al malfunziona-mento di un gene caratteristico possono essere prelevate e manipolate in laboratorio per sostituire il gene difettoso ed infine iniettate nel paziente per ristabilire le funzioni norma-li. Dopo questa esperienza negli Istituti Nazionali di Sanità, mi sono trasferito al Memorial Sloan-Kettering Cancer Centre dove lavoro sul sistema immunitario. L’anno scorso ho pubbli-cato (sulla rivista “Immunity”) un articolo in cui ho afferma-to che le cellule killer naturali (che sono cellule del sistema immunitario che uccidono qualsiasi cellula virale infetta o tu-morale) a cui manca un gene chiamato MEF non possono funzionare. In effeti, io lavoro con i topi, la cui struttura gene-tica viene modificata in modo da provocare la mancanza di un gene specifico per vedere cosa accade: se si sviluppa una malattia, per esempio un cancro, allora questi topi possono essere utilizzati come modelli per sviluppare nuove terapie”.

Il lavoro che Daniel svolge a New York è un tipo di at-tività che coinvolge pienamente tutta la vita, al punto da condizionarne il carattere. Dunque, la voglia di ricercare, di scoprire la provenienza e le cause di ogni fenomeno, si è palesemente riversata sulla sua vita. Ad un certo punto ha infatti deciso di scoprire la sua provenienza e di mettersi alla ricerca delle proprie tracce: di venire in Italia.

“Fino a poco tempo fa - ci spiega - preso dalla mia attivi-tà di ricercatore che non lascia certo molto tempo libero, non ero mai stato in Italia. Tuttavia l’anno scorso, per la prima volta, ho intrapreso un viaggio alla ricerca delle mie origini ed ho sco-perto questo incredibile paese. Mi sono recato, tra l’altro, in Ba-

silicata, a Montemurro laddove mio nonno nacque e visse per alcuni anni, prima che suo padre decidesse di trasferirsi con la famiglia in Argentina. Sono sempre andato fiero delle mie origi-ni italiane, e dopo questo viaggio il mio sentimento di apparte-nenza a questa terra si è accentuato ancora di più”.

Ma qual è il legame attuale del dottor Lacorazza con la sua terra d’origine, in che maniera l’Italia e la Basilicata han-no influenzato la sua carriera e sono presenti oggi nella sua attività? Nonostante la sua nascita argentina, “come la mag-gior parte degli argentini - spiega - ho forti legami con la cultu-ra italiana sia tramite mio nonno che altri italiani nella comu-nità. Le mie origini probabilmente hanno influenzato più il mio modo di vivere che il mio lavoro in sè. Durante questi anni ho incontrato eccellenti ricercatori italiani con cui ho mantenuto un durevole rapporto di amicizia”.

A Daniel Hugo Lacorazza affidiamo un sogno, un’uto-pia; pensando a quei quasi tremila ricercatori italiani andati all’estero: risalire la corrente, andare in direzione opposta e magari, un giorno, tornare in Italia. Ne sarebbe davvero di-sposto? “Semmai avrò la possibilità di tornare qualche volta nella mia terra di origine - non si sbilancia - sarò lieto di met-tere a disposizione la mia esperienza e la mia conoscenza”.

A proposito, com’è la nostra nazione? “Il paesaggio è sbalorditivo e da togliere il fiato. Mai avrei immaginato la bel-lezza del Sud Italia. Montemurro è un piccolo paese molto si-mile a quello dove io sono nato, dove tutti conoscono tutti e tu hai un senso di appartenenza. L’Italia come Stato è grande ma appena atterrato a Roma mi sono sentito come a casa; non ho visto grandi differenze tra la cultura argentina e quel-la italiana.”.

Vista con gli occhi del turista, gli occhi del cuore e gli oc-chi della memoria, anche per Daniel Hugo Lacorazza, ricer-catore italo-argentino che lavora a New York, il nostro resta sempre il paese dell’anima. =

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Dopo il successo di Francoforte sul Meno, le opere di Carlo Levi affa-scinano anche il pubblico di Berlino. Sono sessanta i dipinti dell’autore torinese “lucano” in mostra nel pre-

stigioso “Jüdisches Museum” fino al 4 agosto 2003 col tito-lo “Opere scelte del pittore, scrittore e uomo della Resisten-za 1926 - 1974”. Tredici provengono dalla Soprintendenza per il Patrimonio Artistico della Basilicata, quarantaquattro sono prestati dalla Fondazione Carlo Levi di Roma, due dal-la Provincia di Potenza e uno (“Aliano in grigio rosa”) da una collezione privata. Le opere coprono un arco temporale che va dal 1926, “gli anni parigini di Carlo Levi”, al 1974, un anno prima della morte, con una presenza molto significativa di di-pinti realizzati durante il periodo del confino (1935-1936) ad Aliano e a Grassano, in Basilicata.

Opere, quelle di Levi, che per Inka Bertz, curatrice del-la mostra per il “Jüdisches Museum” di Berlino, rivestono una particolare importanza per il periodo in cui sono state realiz-zate. Si tratta infatti - per la storica dell’arte tedesca - di dipin-ti “che rappresentano l’arte antifascista degli anni ’30: un genere del quale non sappiamo praticamente nulla, mentre conoscia-mo molto bene l’arte del regime in quel periodo, sia in Germa-nia che in Italia”.

L’evento culturale è stato promosso da Regione Basili-cata, Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico della Basilicata, Provincia di Po-tenza, Fondazione Carlo Levi di Roma, Museo Ebraico di

Berlino, Istituto Italiano di Cultura di Berlino e dalla Commissione dei Lu-cani nel Mondo. Alla cerimonia di pre-sentazione, il 30 aprile scorso, le sale ipogee del Museo che ospitano la mo-stra in pochi minuti si riempiono di vi-sitatori. Stima delle presenze: tra tre-cento e quattrocento. In maggioranza tedeschi, ma anche numerosi italiani. Tra questi, tanti lucani che vivono e la-vorano nella capitale riunificata della Germania. Curiosi di ammirare le tele dell’autore del “Cristo si è fermato ad Eboli”. Alcuni fanno parte del “circuito” ufficiale dell’associazionismo lucano nel mondo che si mobilita per 8

Carlo Levi al “JüdischesMuseum”

PINO MAFARO

DTHERE WERE A LOT OF LUCANIANS AT THE “JÜDISCHES MUSEUM” IN BERLIN TO ADMIRE CARLO LEVI’S WORKS AT THE INAUGURATION OF HIS EXHIBITION. THEY ARE LUCANIANS LIVING AND WORKING IN THE GERMAN CAPITAL WHO, ATTRACTED BY THEIR WISH TO ADMIRE THE PAINTINGS BY THE AUTHOR OF “CHRIST STOPPED IN EBOLI”, ENTHUSIASTICALLY PARTICIPATED IN THE EVENT. CARLO LEVI, CONFINED IN BASILICATA BECAUSE OF HIS CIVIL COMMITMENT AGAINST FASCISM, TOLD THE WHOLE WORLD THE CONDITIONS OF LUCANIA AND OF ITALIAN MEZZOGIORNO.

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INAUGURAZIONE MOSTRA LEVI PRESSO IL JÜDISCHES MUSEUM. IN PRIMO PIANO L’ASSESSORE ALLA CULTURA DELLA REGIONE BASILICATA, DINO COLLAZZO E MARIO TRUFELLI, PRESIDENTE DELL’A.P.T. SCAVI DELLA FONDAZIONE “TOPOGRAFIA DEL TERRORE”

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organizzare gli eventi di promozione della cultura, della tra-dizione, dell’arte, del turismo e della gastronomia di Basilica-ta. Altri hanno appreso la notizia direttamente dalla stampa berlinese che aveva partecipato, nella mattinata preceden-te, alla conferenza di presentazione durante la quale Mario Trufelli - amministratore unico dell’Azienda di promozio-ne turistica della Basilicata e amico personale di Carlo Levi - aveva sottolineato che “emerge, nelle opere esposte, quella Lucania, quella terra che Levi ha descritto nel suo capolavoro letterario e che dapprima non lo apprezzò. La riconciliazione - secondo Trufelli - venne dopo, ma fu tale che Levi chiese di essere sepolto in Basilicata”.

La presenza e il saluto dell’ambasciatore d’Italia in Ger-mania, Silvio Fagiolo, testimoniano la valenza dell’iniziativa e il riconoscimento della levatura internazionale di Carlo Levi. Le parole dell’assessore regionale alla Cultura Dino Col-lazzo, a nome della Regione Basilicata e del popolo lucano, trasmettono ai partecipanti, e in particolar modo al popolo ebraico, la vicinanza e l’attualità dei sentimenti che unisco-no, nel mondo, i perseguitati e gli oppositori delle spietate dittature nazista e fascista.

“Abbiamo considerato - sono le parole dell’esponente del Governo regionale - un preciso dovere celebrare la figura di Calo Levi che, costretto a venire in Basilicata come punizio-ne per l’impegno civile contro il fascismo, divenne lucano condi-videndo le sorti della regione allora poverissima e sostenendola fino alla fine dei suoi giorni. Fu infatti Levi a rivelare al mondo le condizioni della Lucania e in generale del meridione d’Italia. Non dimenticò mai questa terra, anzi divenne il capostipite di quella generazione di intellettuali meridionali che molto hanno dato alla cultura del nostro paese . Anche l’opera pittorica di Levi, forse meno conosciuta di quella letteraria, è simbolo e in-dicazione del suo impegno civile e politico per il riscatto delle genti meridionali. È in questa ottica che noi abbiamo sostenu-to questa mostra che nei prossimi mesi verrà portata in diver-se città della Germania”.

“Le opere esposte - aggiunge la direttrice dei program-mi del Museo, Cilly Kugelmann - saranno sicuramente ap-prezzate dal popolo tedesco che conosce perfettamente Carlo Levi nella veste di scrittore ma che ben poco sa delle sua capa-cità di pittore impegnato. E anche per questo - osserva - che questa mostra di opere d’arte realizzate prevalentemente in un periodo storico determinato assume, accanto al suo normale si-gnificato culturale, anche un significato politico”.

Un messaggio ulteriore che si legge dai ritratti, dai pae-saggi e dai dipinti di contenuto sociale. In questo senso sono molto significative le “Contadine rivoluzionarie”, il “Lamento per Rocco Scotellaro” e il ritratto di Danilo Dolci, il pedagogi-sta del Nord che decise di trasferirsi in Sicilia, dove è morto qualche anno fa, per aiutare i giovani del posto a riscattarsi socialmente ed a liberarsi dall’ignoranza.

Un messaggio reso ancora più forte dal luogo - il museo ebraico - in cui si tiene l’esposizione dei quadri di Carlo Levi: un enorme edificio interamente rivestito di zinco spaccato, qua e là, da piccole aperture che illuminano un’enorme mo-

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stra multimediale e documentale sulla storia degli ebrei dal medioevo ai nostri giorni. Storia che si annida, nel suo aspet-to più estremo e tragico, dentro Berlino. Le ferite provocate prima dalla barbarie dell’olocausto, dalle deportazioni, dalle leggi antisemite, e dopo dalla divisione fisica e politica sono, a Berlino, ancora aperte e profonde. Nonostante siano tra-scorsi 60 anni.

Si avvertono soprattutto nella zona di “confine” del Muro che ora non c’è più. Fisicamente. Ma che è presente nei pensieri, nei ricordi, nelle azioni, nella cultura, nell’archi-tettura, negli stili di vita dei cittadini di questa grande me-tropoli. Umiliata dal nazismo. Distrutta dai bombardamenti. Poi invasa e spartita. Murata da “quelli dell’Est” per altri 30, interminabili, anni. Un muro che ora si vende a peso d’oro (mezzo milione delle vecchie lire per un pezzo incornicia-to di 30 centimetri per 20) nei negozi vicini al Checkpoint Charlie, la “dogana” della “Cortina di ferro”. Del mondo dell’Est diviso da quello dell’Ovest.

A pochi metri i turisti fanno la fila per visitare il Museo nel quale sono custoditi come cimeli, oltre alle più signifi-cative immagini fotografiche, i più strani attrezzi e marchin-gegni utilizzati per gli innumerevoli tentativi (riusciti e non) di fuga dall’ex Berlino Orientale verso l’Occidente. Dietro l’isolato notiamo un’altra fila di visitatori e molte scolare-sche. Sono in un piazzale ampio con altissimi cumuli di ter-reno ricoperti da decenni di incuria ed erbacce. Su di un lato, sotto a un pezzo di Muro pieno di scritte e di storia, una trincea con i resti di anguste stanzette.

Un cartello spiega: “Topografia del terrore”. Si tratta dell’area “Prinz Albrecht” dove ebbero sede, tra il 1933 e il 1945 le principali istituzioni (Gestapo, SS) dell’apparato di persecuzione e di terrore dello stato nazionalsocialista. L’area Prinz Albrecht costituiva il vero quartiere governati-vo dello stato poliziesco nazista.

È da qui - si legge nel pieghevole in lingua italiana distri-buito ai visitatori - che venne preparato il genocidio degli ebrei e la persecuzione e lo sterminio sistematico di altre parti della popolazione, è qui che si organizzò la caccia agli oppositori del regime in Germania e nei Paesi europei oc-cupati, fu a questo indirizzo che i gruppi operativi (Einsatz-gruppen) della Polizia di sicurezza e dell’SD inviavano i loro rapporti sugli eccidi commessi in Polonia e in Unione So-vietica. Sempre qui si trovava anche il carcere della Gesta-po, per quei detenuti che la Gestapo era interessata a in-terrogare direttamente.

Solo alla fine degli anni settanta questo luogo storico, distrutto quasi interamente dai bombardamenti e abban-donato, fu gradualmente riscoperto. Nel 1987 nell’ambito delle festività per i 750 anni della città di Berlino l’area fu aperta al pubblico e in un padiglione provvisorio fu inaugu-rata la documentazione “Topografia del Terrore” compo-sta principalmente fotografie e da documenti, che dal 1997 può essere visitata in una presentazione all’aperto allestita negli scavi dalla Fondazione “Topografia del Terrore” e gesti-ta in comune dal Governo e dal Land di Berlino. =

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Ci sono due buone ragioni per an-dare a Berlino il giorno della Penteco-ste: la prima è per ammirare le bellez-ze della città, la seconda è per vivere la magia del Carnevale delle multi-

culture berlinesi. Una folla festosa invade, come un fiume in piena, le strade e i vicoli della città sfilando ininterrot-tamente per sei ore. Il clima che si respira è quello di una grande festa popolare, in cui elementi religiosi e elementi pagani si fondono richiamando alla mente le radici delle antiche tradizioni. Suoni, musica e un pizzico di magia sono gli ingredienti principali di questo carnevale berlinese.

Un carro barocco, lungo dodici metri e interamente costruito in cartapesta, attraversa le strade della città so-vrastato da angeli svolazzanti che, con gonne ampie e co-lorate ballano al ritmo della tarantella. I colori dei loro abiti ricordano i paesaggi della Basilicata. Gli angeli che so-vrastano il carro riportano alla mente quell’anelito trop-po spesso dimenticato che induce a “sollevare lo sguardo” al di sopra della realtà materiale per cogliere il senso vero e profondo del proprio esistere.

Per la manifestazione di quest’anno ci si è voluti ispi-rare al carro della Madonna della Bruna di Matera e alle processioni lucane. Deus ex machina di questa importan-te iniziativa è stato un lucano doc, Francesco Campitelli,

presidente dell’Associazione luca-ni a Berlino. L’associazione è sta-ta fondata un anno fa e conta più di cinquanta iscritti. Campitelli vive a Berlino dal 1986, dove lavora come insegnante e pedagogo. Da buon meridionale è appassionato di musica e di tarantella e da alcu-ni anni, sotto lo pseudonimo di DJ “Don Francisco”, ha organizzato numerosi “tarantella trance party”.

Quest’anno, nell’organizzare la festa della Pentecoste, ha superato sè stesso. Il turista che arriva in cit-tà per assistere alla manifestazione può rimanere perplesso di fronte all’esplosione di tradizioni religiose miste al folklore, alla magia, alla su-

Il giorno di Pentecoste a Berlino

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A 12 METRE-LONG BAROQUE CART TOTALLY BUILT IN PAPER-PULP CROSSES THE TOWN STREETS, DOMINATED BY FLITTING ANGELS WHO, WITH WIDE, COLOURED SKIRTS DANCE TO THE TARANTELLA RHYTHM. THEIR CLOTHES, CREATED BY THE LUCANIAN FRANCESCO CAMPITELLI, REMIND THE LANDSCAPES OF BASILICATA.

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perstizione e alla tradizione contadina, ma poi non può fare altro che esserne travolto. Tanti piccoli pezzi che si incontra-no e scontrano fino a formare un puzzle in cui gli elementi che lo compongo si incastrano, si sovrappongono, convivo-no e interagiscono.

L’occhio attento del lucano, invece, respira subito l’at-mosfera della sua cultura che proviene da una terra ricca d’incanto e di mistero, ma soprattutto di tradizioni. Usi e costumi che fanno grande il carnevale berlinese. Una ma-nifestazione che diviene espressione di una cultura che punta ad unire e a condividere.

Gli angeli e la tarantella sono solo alcuni degli elemen-ti che animano la manifestazione berlinese nel giorno del-la pentecoste: “La tarantella - ha spiegato Franco Cam-pitelli - in passato era una danza terapeutica eseguita per guarire le persone morse dalla “tarantola”. Oggi, invece, de-sta interesse da parte degli studiosi, ma anche da esperti del mondo musicale che la mettono al centro di numerosi even-ti e manifestazioni, liberandola da quella gabbia dorata in cui era stata confinata e che la costringeva ad essere patrimonio di una stretta minoranza di musicisti locali.

In questo si legge la disperata ricerca di identità che al di là di ogni confine geografico o generazionale attira persone verso il sud da tutti gli angoli della penisola con la voglia di sco-

prire suoni e odori e un antico calore umano”.Ma la vera forza della tarantella - dichia-

ra il simpatico Campitelli - è il gruppo. Ogni danzatore non si abbandona ad un ballo indi-viduale e solitario, ma al contrario va alla ricer-ca della coesione e dell’aggregazione affinchè si produca uno scambio di energie e si possa prendere confidenza con il ritmo e il suono del-la tarantella. Nel giorno della Pentecoste a Ber-lino quest’esplosione di energia si fa sentire tut-ta. Tra le gente, nelle strade, nei vicoli. Ovunque si respira aria di tarantella.

Gli angeli posti sul carro aggiungono al-l’atmosfera pagana un pizzico di sacro, quasi a voler ricordare ai più distratti che la Pente-coste è una ricorrenza religiosa.

Nella tradizione ebraica viene definita (li-bro 23,6 del Levitico) come una festa agrico-la in cui avviene l’offerta delle primizie di set-te prodotti della terra (frumento, orzo, viti, fichi, melograni, ulivi e miele). Il dono di que-ste primizie vuole indicare che il meglio del prodotto della terra in cui vive proviene dal Signore.

Campitelli, da buon regista, ha miscelato bene gli ingredienti; quegli angeli, se guardati bene, portano indietro nel tempo a ricordare il significato che Israele dà a questa festa.

Campitelli è solo uno dei tanti lucani che ha deciso di trascorrere la sua vita a Berlino. Nella sua valigia non ha messo l’antica nostal-

gia e la tristezza di chi abbandona la propria terra d’origi-ne, ma la voglia e la determinazione di far vivere e rivivere l’identità lucana, costruendo qualcosa che possa rimanere nel tempo e che possa essere d’esempio anche per le ge-nerazioni future. Ha messo a disposizione degli altri il suo sapere e ha dato voce al silenzio di quanti non sono riusciti ad affermarsi. Ha trasformato in fatti concreti ciò che il cuo-re sentiva e la mente intuiva.

In questi anni, infatti, oltre ad organizzare manifestazio-ni culturali si è anche impegnato nella promozione di corsi di lingua italiana per preparare chiunque volesse soggiorna-re in Italia. La struttura dei corsi non risponde alla maniera tradizionale, ma si avvale di un metodo innovativo in cui la parola d’ordine è “apprendere divertendosi”.

Campitelli, inoltre, impiega le sue energie, capacità e creatività anche nel pianificare, organizzare e programma-re vacanze di studio nell’Italia meridionale. Insomma, un cul-tore dell’identità meridionale e lucana che mira, attraverso l’organizzazione di manifestazioni come questa, ad afferma-re che da più parti si avverte l’esigenza e la volontà di ri-tornare al passato, recuperando le tradizioni di una vol-ta e tentando di non distruggerle anzi preservandole e custodendole.

Come? Semplicemente facendole rivivere. =

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“ ‘A Muntagnola”,ritrovo trendy a Berlino

DOMENICO TORIELLO

THERE IS A WELL-KNOWN RESTAURANT IN BERLIN WHERE YOU CAN TASTE A TOTALLY LUCANIAN FOOD, DELICIOUS AND GENUINE. “’A MUNTAGNOLA” IS ONE OF THE MOST FAMOUS PLACES IN THE GERMAN CAPITAL. IT IS MANAGED BY THE BIANCO FAMILY, FROM SCANZANO JONICO, WHO HAS BEEN SUCCESSFUL IN THE FIELD OF RESTAURANTS. ALL THE TYPICAL PRODUCTS COME FROM BASILICATA AND SOME OF THEM ARE HAND-MADE THERE: LIKE BREAD, THE ONLY ITALO-LUCANIAN BREAD YOU CAN FIND IN BERLIN.

Una città dai tanti “sapori”: spiritua-li, trascendenti, a volte quasi irreali, ma anche tangibili e materiali. Il ricordo del mio primo viaggio a Berlino è chiaro. Eravamo alla metà degli anni ottanta.

Ad andamento lento, giungemmo nella “città del panda”. Berlino,città tedesca sui fiumi Sprea e Havel, tre milio-ni e mezzo di abitanti, capitale dell’omonimo Land. Nel 1949 fu divisa in due città separate: Berlino Est, capitale della Repubblica Democratica Tedesca, e Berlino Ovest.

Nel 1961 venne costruito, tra le due città, il celeber-rimo Muro demolito nel novembre del 1989. Il 20 giu-gno del 1991 è stata designata capitale della Germania unita, divenendo uno dei sedici Lander. È la maggiore cit-tà tedesca. Criteri urbanistici d’avanguardia le hanno oggi conferito l’aspetto di una moderna metropoli.

Il soggiorno berlinese durò abbastanza per poterne apprezzare le bellezze e scoprirne ritmo e stile di vita. La Porta di Brandeburgo, il Reichstag, Alexanderplatz, l’Università Humboldt, l’Accademia delle Belle Arti, e, poi, le opere architettoniche moderne della zona occi-dentale, la Funkturm, torre d’acciaio alta 153 metri.

La decisione di tornarvi era inevitabile, ed eccomi di nuovo a Berlino, nel terzo anno del terzo millennio. Appena “sbarcato” le sensazioni sono diverse. Stavolta il Muro non c’è più e i ragazzi dell’Est non indossano più

giubbetti di pelle stile anni sessan-ta. C’è chi si lamenta per via del-l’unificazione: maggiore disoccu-pazione e aumento della violenza, questi i principali motivi addotti.

Ma c’è anche chi è convin-to della bontà della caduta del Muro, che ha permesso un’aper-tura di vedute e più opportunità di lavoro e di profitto, soprattut-to nel settore del terziario. Nella mia veste di viaggiatore e cronista, mi sforzo di cogliere colori, sensa-zioni, umori.

Dinanzi alla necessaria infor-mazione e alla ricerca costante della storia, non appaia dissacran-

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te parlare di cucina, e che cucina! Quella tradizionale lu-cana. Durante una passeggiata nei pressi di Kurfuster-damm, mi ritrovo, e nemmeno tanto per caso, dinanzi ad un ristorante dal nome ammiccante: “A’ Muntagnola”.

In realtà ne conoscevo l’esistenza anche in virtù dei tanti articoli pubblicati dai quotidiani lucani. Decido di as-saporarne la cucina di quello che è considerato e defi-nito un tempio dei sapori lucani. Piatti genuini preparati con ricette antiche che esulano completamente da su-perflue ricercatezze e dalla novità a ogni costo. Una cu-cina che vive di fantasia, di rara professionalità e, soprat-tutto, di felicità nel preparare i piatti tipici di una terra antica e ricca di tradizioni.

La storia della famiglia Bianco, titolare del ristorante, giunta da Scanzano Jonico, è simile a quella di tante altre famiglie che hanno cercato fortuna all’estero. Dopo dieci anni, il locale è tra i più rinomati di Berlino. Oggi i risto-ranti gestiti dalla famiglia Bianco sono diventati tre, “La Rustica” e “Al Contadino sotto le stelle” si trovano nel quartiere di Mitte a qualche isolato dalla Bundesbanke e costituiscono, insieme con la “Muntagnola”, una vera e propria holding nel settore gastronomico.

Tutti i prodotti tipici arrivano dalla Basilicata e qual-cuno viene prodotto artigianalmente in loco. È il caso del

pane, l’unico pane italo-lucano esistente a Berlino. Pino Bianco è diventato un autentico “ambasciatore lucano” e le sue capacità professionali e imprenditoriali hanno avuto il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Basilicata, che con un attestato di benemerenza, ha volu-to dare atto dei meriti acquisiti nel divulgare la tradizio-ne culinaria in Germania. La cucina tradizionale lucana - ci confida la simpatica mamma di Pino sempre presente in cucina - non si basa su combinazioni raffinate o trop-po elaborate.

“Il suo segreto sta tutto nell’abilità manuale, nell’espe-rienza e nell’amore per l’ “accomodare”. Ci si affida alla fan-tasia, alla creatività e al proprio gusto, piuttosto che a un rigido e freddo ricettario. Altra caratteristica tipica sono la “generosità”, il gusto pieno delle pietanze e l’uso equilibra-to delle spezie, per evitare che queste influenzino in modo irriguardoso il sapore complessivo”.

Alla richiesta di svelarci un suo piatto, la signora Bian-co sorride discreta e risponde: il pane cotto. “Perché? Ma perché è bello, è odoroso, è semplice e anche perché da noi, in Lucania, sono rimasti ormai in pochi a cucinarlo”.

Pane cotto a Berlino! Una ricetta considerata tra le più antiche e amate proposta con una semplicità ed una genuinità tutta lucana. =

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IL DIBATTITO SULL’EMIGRAZIONEAI PRIMI DEL ’900

DOMENICO SACCO

AT THE BEGINNING OF THE 20TH CENTURY, BASILICATA WAS THE REGION WHICH, IN PROPORTION TO ITS POPULATION, WAS AFFECTED THE MOST BY TRANSOCEANIC EMIGRATION; THIS PHENOMENON DID NOT CAUSE A REAL POLITICAL AND IDEOLOGICAL DEBATE AMONG THE LUCANIAN POLITICIANS AS ASSERTED BY DOMENICO SACCO, PROFESSOR OF CONTEMPORARY HISTORY AT THE UNIVERSITY OF LECCE AND INTERESTED IN THE POLITICAL DEBATE ON EMIGRATION AT THE BEGINNING OF LAST CENTURY. SACCO’S ANALYSIS HIGHLIGHTS THE DIFFERENT POSITIONS CONSIDERING THIS HUGE PHENOMENON AND ITS ENDLESS CONSEQUENCES.

Intellettuali e forze politiche di fronte al problema dell’emigrazione in Basilicata e nel mezzogiorno ai primi del ‘900

In Basilicata non si sviluppò un dibattito politico-ideo-logico tra le forze politiche riguardante in modo specifico l’emigrazione transoceanica (tranne per quel che riguarda i “più noti” meridionalisti), per quanto possa sembrare stra-no, perché essa fu la regione italiana più colpita, agli inizi del ‘900, in termini relativi alla popolazione, da questo fenome-no. La discussione, fra i movimenti politici, si concentrò in-vece soprattutto sul problema della colonizzazione interna, considerata come uno dei rimedi ai mali dell’emigrazione.

Nonostante questo, in età giolittiana è il continuo spopolarsi della Basilicata, a causa dell’emigrazione, anche dopo i provvedimenti speciali, a offrire ad alcuni intellet-tuali la possibilità di formulare un’ipotesi di intervento or-ganico nel campo dell’agricoltura, ma senza che ciò avesse incidenza o riflessi evidenti, in un primo tempo, sulle forze politiche locali.

È bene comunque preliminarmente illustrare le posizio-ni dei “grandi” intellettuali circa la questione migratoria, per-ché esse, in ogni caso, possono offrirci sia la posizione del dibattito scientifico, sia il quadro di riferimento teorico.

All’inizio del Novecento, larga parte delle forze politi-che dominanti in Italia era nettamente favorevole all’emi-grazione di massa: non solo in quanto attraverso le rimes-se essa consentiva notevoli vantaggi economici, ma anche - come venne sottolineato in particolare da Sidney Sonni-no - in quanto “si trattava di una valvola di sfogo”1.

È in questo scenario che va collocata l’azione e la ri-flessione teorica di Giustino Fortunato, Francesco Saverio Nitti e di Ettore Ciccotti che non tardarono a introdursi, se pur attraverso prospettive differenziate, nel dibattito na-zionale. I meridionalisti lucani costituirono un fronte comu-ne di lotta in difesa dell’emigrazione.

L’emigrazione andava salvaguardata a tutti i costi in quanto a essa non vi era alcuna alternativa. Primo fra tutti Nitti affermò che gli effetti negativi che erano stati attribuiti all’emigrazione non trovavano alcun riscontro nella realtà: o erano frutto di analisi sbagliate oppure il prodotto 8

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NELLA PAGINA PRECEDENTE: FOTO DI ANTONIO IACOVUZZI, ANNI ‘60 - ARCHIVIO FELICE FARAONE

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di idee preconcette poste deliberatamente a difesa di spe-cifici interessi di classe2.

Su posizioni vicine a Nitti si schierava Fortunato, per il quale le vere ragioni poste in antitesi all’emigrazione erano la conservazione di particolari interessi di classe, anche se, bisogna sottolineare, lo studioso lucano non dedicò mai al tema dell’emigrazione nessun argomento specifico3.

Significative differenze, sia da Nitti che da Fortunato presentava invece il socialista Ettore Ciccotti, che faceva sue alcune esperienze del meridionalismo liberale, ma le ri-pensava attraverso il riconoscimento della “questione so-ciale”. Egli assumeva una posizione piuttosto equilibrata tra gli altri due meridionalisti lucani, e si soffermava dialettica-mente nel 1911 sia sugli aspetti negativi che su quelli posi-tivi dell’emigrazione.

Malgrado la presenza di innumerevoli aspetti negativi la sua era una posizione “antirestrizionista”, in quanto, a suo parere, lo Stato non aveva assolutamente il diritto di vieta-re l’emigrazione, semmai il dovere di sostenere e orienta-re gli emigranti4.

In un senso simile, anche se in un’ottica liberale, si schie-rava l’altro lucano Pietro Lacava, ministro delle Finanze nel 1908, che può essere considerato uno dei maggiori orga-nizzatori politici del giolittismo meridionale, il quale giudi-cando troppo ottimistiche le valutazioni di Nitti circa gli ef-fetti dell’emigrazione, denunciava le gravi conseguenze di spopolamento connesse a un esodo così massiccio5.

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passepartout ... più di tremila metri di rosso per tessere un’enorme ragnatela tesa fra cielo e pietre delle Dolomiti Lucane...

“IL REALE INVISIBILE. LA RAGNATELA” - 1999 - PERFORMANCE DI TERI VOLINI - FOTO: ANTHÈOS

Su una impostazione analoga si muoveva la relazione sull’emigrazione di Ausonio Franzoni, a lui commissiona-ta dal Presidente del Consiglio Zanardelli nel 1902, dopo il suo viaggio in Basilicata, in vista della promulgazione della legge speciale per la regione6. La relazione spicca, oltre che per la peculiarità e l’importanza della committenza, per la sua capacità di analisi cruda e di denuncia aperta dei mali della società lucana, tanto è vero che essa fu successiva-mente censurata da Giolitti, che ne impedì la pubblicazione sul “Bollettino dell’emigrazione”7.

Si apriva quindi la strada per una corrente liberale “mi-noritaria”, che non guardava in modo enfatico all’emigrazio-ne, anzi si rapportava ad essa in modo critico, evidenziando come gli indicatori di rinnovamento (che pure vi furono) non avessero quella incidenza e quello spessore che veni-vano loro attribuiti.

La posizione del socialismo lucano sul problema del-l’emigrazione può certo aprire, invece, uno spiraglio sulle “risposte” che il socialismo meridionale seppe dare a quel-li che sembravano i problemi sociali emergenti all’inizio del ‘9008. Le posizioni del socialismo lucano, per quanto riguar-da la questione migratoria, possono essere così sintetizzate: a) critiche alla Legge speciale, che non ha risolto il problema dell’emigrazione nella regione; b) posizioni teoriche di Etto-re Cicciotti, il “nume tutelare” del socialismo lucano, a favo-re della mezzadria, come elemento di sviluppo e di transi-zione al capitalismo, per migliorare sia la base produttiva della regione, sia le condizioni dei contadini e porre un fre-no all’emigrazione; c) posizioni a favore della colonizzazione interna da effettuarsi da parte delle cooperative socialiste romagnole, sia per riequilibrare il mercato del lavoro della regione, squilibrato dal fenomeno migratorio, sia per cerca-re di risolvere i problemi sindacali nelle campagne9.

Secondo i cattolici, invece, l’emigrazione non era, per il Sud, un fatto positivo; l’esodo generava anzi ulteriori ele-menti di disgregazione nell’economia agricola come nel-la società meridionale. Esso era destinato, a loro giudizio, ad accentuare il carattere estensivo dell’agricoltura meri-dionale e ad ostacolare quei programmi di riforma che da più parti si erano messi a punto e che potevano, se attuati, convincere i contadini a non abbandonare la terra. Dinan-zi alla ottusità delle classi dirigenti a proposito del proble-ma meridionale, che le leggi speciali di Giolitti erano ben lontane dal risolvere, i cattolici giungevano alla conclusio-ne che l’emigrazione avrebbe finito con il rappresentare la “valvola di sicurezza” per l’ordinamento vigente, la sola via per evitare le “terribili e selvagge insurrezioni dei contadi-ni”, ma nulla di più10.

La questione della “Grande emigrazione” si dimostra così come la cartina al tornasole, che mette in luce in Basi-licata le opinioni di diversificati schieramenti politici. Le di-scussioni, le prese di posizione sociali non erano altro che la manifestazione evidente di quanto il fenomeno dell’emi-grazione dividesse le forze politiche nella regione, facendo-le trovare su fronti nettamente contrapposti. I dibattiti che

abbiamo illustrato appaiono allora i momenti emergenti di un conflitto, in un’area arretrata, stimolato dalle conseguen-ze dell’emigrazione, fra il blocco di potere delle classi domi-nanti locali, volto a preservare le fonti di legittimazione del proprio dominio, e le forze portatrici di una filosofia pro-duttivistica e cautamente riformatrice che cercavano di ot-tenere il riconoscimento della rappresentanza di fasce po-polari e tentavano di incrinare la compattezza della grande proprietà terriera. =

1 Discorsi parlamentari di Sidney Sonnino, Roma 1925, p. 118 (Interpellanza alla Camera sulla “Emigrazione delle popolazioni rurali” nella tornata del 7 maggio 1883).

2 Nitti si pone quale difensore dell’emigrazione e passa in rassegna, smontandole, le maggiori argomentazioni dei cosiddetti avversari: Cfr: F. S. NITTI, L’emigrazione e i suoi avversari (1888), ora in Scritti sulla questione meridionale, vol. I, Bari 195.

3 Sulle posizioni di Fortunato circa l’emigrazione si veda G. FOR-TUNATO, Su l’emigrazione meridionale, (30 giugno 1909), in ID., Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, vol. II, Firenze 1973, pp. 673-678 e ID., L’emigrazione e le classi dirigenti, in “Rassegna settimanale”, 23 marzo 1879, ed ora in R. VILLARI (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia. Anto-logia della questione meridionale, vol. I, pp. 173-179.

4 Cfr. E. CICCOTTI, L’emigrazione, in “La Voce”, n. 11, 1911 poi ripubblicato in ID., La questione meridionale, Firenze 1912, pp. 105-111 ed ora in S. F. ROMANO (a cura di), Storia della questione meridionale, Palermo 1945, pp. 291-297.

5 Cfr. L’intervista che Lacava concesse a Francesco Cicciotti sull’“Avanti!”, poi ripresa localmente in Per la Basilicata, in “La Squilla lucana”, 5 febbraio 1908. Per l’eco avuta dall’intervista sulla stampa locale si veda Una geniale iniziativa del Ministero delle finanze, in “Il Lucano”, 7-8 ottobre 1907.

6 Cfr. A. FRANZONI, L’emigrazione in Basilicata (Bozze di stampa riservate a S.E. il presidente del Consiglio dei Ministri Cav. Giuseppe Zanardelli), Brescia 1903.

7 Cfr. P. CORTI (a cura di), Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata (1902), Torino 1976, p. XXIV. C’è da notare che l’inchiesta di Franzoni aveva delle nuove caratteristiche, infatti si consultavano le persone appartenenti alla classe più disagiata e meno colta, e si utilizzavano ampiamente le loro risposte.

8 Sull’articolazione di questi temi si veda G. GIARRIZZO, Il sociali-smo e la modernizzazione politica del Mezzogiorno, in G. CINGARI e S. FEDELE (a cura di), Il socialismo nel Mezzogiorno d’Italia 1892-1926, Roma-Bari 1992, pp. 3-8.

9 Sulle posizioni del socialismo lucano si veda D. SACCO, La febbre d’America. Il socialismo italiano e l’emigrazione (1898-1915), Mandu-ria-Bari-Roma 2001, pp. 211-256.

10 Sui cattolici D. SACCO, Cattolici e socialisti nel Mezzogiorno. Il caso lucano 1885-1915, Manduria-Bari-Roma 1990. In modo specifi-co sull’emigrazione cfr. Il problema dell’emigrazione in Basilicata, in “La Provincia”, 29 giugno 1909 e Atti della curia. Per i nostri emigrati, Ivi, 24 febbraio 1912.

BASILICATAM NDO

A partire soprattutto dalla pub-blicazione del noto Cristo si è fer-mato a Eboli di Carlo Levi, nel 1945, ma ancor prima, la Basilicata è stata investita da una serie assai numero-sa di studi e di ricerche che di essa hanno elaborato e proposto una particolare immagine.

Terra magica ed arcana, isola-ta e arretrata, depressa e incolta, fa-milistica e tradizionale, costituiscono solo alcuni esempi di infinite stereo-tipizzazioni affermatesi soprattut-to altrove, parti delle quali persegui-tano nell’accreditare della Basilicata una determinata, e sicuramente ana-cronistica, immagine.

Non solo. Proprio perché alcune di queste rappresentazioni seguitano nel proprio ciclo vitale, esse ostaco-lano, o quanto meno rallentano, la messa in campo di immagini di una Regione più moderna, emancipatesi dal proprio substrato rurale, proiet-tata a collocarsi a pieno titolo e con piena dignità, nei nuovi scenari euro-pei e mondiali. Basilicata tradiziona-le e Basilicata moderna, tuttavia, non

UNA, NESSUNA, CENTOMILA BASILICATE

si pongono quali dimensioni di una dicotomia costituita da parti tra loro inconciliabili, semmai quali elemen-ti di un connubio che può risultare vincente nell’affrontare le sfide che, appunto, la modernità impone. Uno, nessuno, centomila, come è noto, è il titolo di un suggestivo e assai discus-so testo di Luigi Pirandello.

Una, nessuna, centomila, invece, potrebbe essere il titolo di una ipote-tica, quanto assurda o astrusa indagi-ne, tutta ancora da idearsi e da farsi, indirizzata a cogliere le infinite im-magini attraverso le quali la Basilica-ta è stata pensata e rappresentata nel corso degli ultimi secoli.

Se è vero, come afferma Scho-penhauer, che non esiste un mon-do dato e precostituito, aprioristica-mente definito, piuttosto un mondo che si modella, si disegna, si costitui-sce in un rapporto incessante con l’osservatore, ovvero, se è plausibile sostenere che le modalità attraverso le quali i territori e i popoli sono de-scritti e rappresentati costituiscono la risultante di una serie di condizio-ni di carattere storico, sociale e cultu-rale, politico ed istituzionale, ebbene, se tutto ciò è vero, e di fatti lo è, che della Basilicata sia stato scritto e det-to tutto e il contrario di tutto, non deve affatto destare stupore.

Constatare, perché di questo in fondo si tratta, che per la Basilica-ta non esiste un’immagine univoca e monolitica, piuttosto che di essa si di-spone di una serie assai numerosa di rappresentazioni, spesso contrad-Enzo V. Alliegro

SINCE 1945, WHEN THE FAMOUS CARLO LEVI’S “CHRIST STOP-PED IN EBOLI” WAS PUBLISHED, AND EVEN BEFORE, BASILICATA HAS BEEN SUBJECT OF A LOT OF STUDIES AND RESEARCH WHICH GAVE AND ELABORATED A VERY SPECIAL IMAGE OF THIS REGION. ENZO ALLIEGRO, A RESEARCHER AT THE EUROPEAN UNIVERSITY INSTITUTE OF FLORENCE, HIGHLIGHTS THE EXAMPLES OF NUMBER-LESS STEREOTYPES, ASSERTED ABOVE ALL OUTSIDE BASILICATA, WHICH STILL GIVE A FIXED AND UNDOUBTEDLY ANACHRONISTIC IMAGE OF THE REGION.

Page 34: Mondo Basilicata n.0

passepartout ... più di tremila metri di rosso per tessere un’enorme ragnatela tesa fra cielo e pietre delle Dolomiti Lucane...

“IL REALE INVISIBILE. LA RAGNATELA” - 1999 - PERFORMANCE DI TERI VOLINI - FOTO: ANTHÈOS

Su una impostazione analoga si muoveva la relazione sull’emigrazione di Ausonio Franzoni, a lui commissiona-ta dal Presidente del Consiglio Zanardelli nel 1902, dopo il suo viaggio in Basilicata, in vista della promulgazione della legge speciale per la regione6. La relazione spicca, oltre che per la peculiarità e l’importanza della committenza, per la sua capacità di analisi cruda e di denuncia aperta dei mali della società lucana, tanto è vero che essa fu successiva-mente censurata da Giolitti, che ne impedì la pubblicazione sul “Bollettino dell’emigrazione”7.

Si apriva quindi la strada per una corrente liberale “mi-noritaria”, che non guardava in modo enfatico all’emigrazio-ne, anzi si rapportava ad essa in modo critico, evidenziando come gli indicatori di rinnovamento (che pure vi furono) non avessero quella incidenza e quello spessore che veni-vano loro attribuiti.

La posizione del socialismo lucano sul problema del-l’emigrazione può certo aprire, invece, uno spiraglio sulle “risposte” che il socialismo meridionale seppe dare a quel-li che sembravano i problemi sociali emergenti all’inizio del ‘9008. Le posizioni del socialismo lucano, per quanto riguar-da la questione migratoria, possono essere così sintetizzate: a) critiche alla Legge speciale, che non ha risolto il problema dell’emigrazione nella regione; b) posizioni teoriche di Etto-re Cicciotti, il “nume tutelare” del socialismo lucano, a favo-re della mezzadria, come elemento di sviluppo e di transi-zione al capitalismo, per migliorare sia la base produttiva della regione, sia le condizioni dei contadini e porre un fre-no all’emigrazione; c) posizioni a favore della colonizzazione interna da effettuarsi da parte delle cooperative socialiste romagnole, sia per riequilibrare il mercato del lavoro della regione, squilibrato dal fenomeno migratorio, sia per cerca-re di risolvere i problemi sindacali nelle campagne9.

Secondo i cattolici, invece, l’emigrazione non era, per il Sud, un fatto positivo; l’esodo generava anzi ulteriori ele-menti di disgregazione nell’economia agricola come nel-la società meridionale. Esso era destinato, a loro giudizio, ad accentuare il carattere estensivo dell’agricoltura meri-dionale e ad ostacolare quei programmi di riforma che da più parti si erano messi a punto e che potevano, se attuati, convincere i contadini a non abbandonare la terra. Dinan-zi alla ottusità delle classi dirigenti a proposito del proble-ma meridionale, che le leggi speciali di Giolitti erano ben lontane dal risolvere, i cattolici giungevano alla conclusio-ne che l’emigrazione avrebbe finito con il rappresentare la “valvola di sicurezza” per l’ordinamento vigente, la sola via per evitare le “terribili e selvagge insurrezioni dei contadi-ni”, ma nulla di più10.

La questione della “Grande emigrazione” si dimostra così come la cartina al tornasole, che mette in luce in Basi-licata le opinioni di diversificati schieramenti politici. Le di-scussioni, le prese di posizione sociali non erano altro che la manifestazione evidente di quanto il fenomeno dell’emi-grazione dividesse le forze politiche nella regione, facendo-le trovare su fronti nettamente contrapposti. I dibattiti che

abbiamo illustrato appaiono allora i momenti emergenti di un conflitto, in un’area arretrata, stimolato dalle conseguen-ze dell’emigrazione, fra il blocco di potere delle classi domi-nanti locali, volto a preservare le fonti di legittimazione del proprio dominio, e le forze portatrici di una filosofia pro-duttivistica e cautamente riformatrice che cercavano di ot-tenere il riconoscimento della rappresentanza di fasce po-polari e tentavano di incrinare la compattezza della grande proprietà terriera. =

1 Discorsi parlamentari di Sidney Sonnino, Roma 1925, p. 118 (Interpellanza alla Camera sulla “Emigrazione delle popolazioni rurali” nella tornata del 7 maggio 1883).

2 Nitti si pone quale difensore dell’emigrazione e passa in rassegna, smontandole, le maggiori argomentazioni dei cosiddetti avversari: Cfr: F. S. NITTI, L’emigrazione e i suoi avversari (1888), ora in Scritti sulla questione meridionale, vol. I, Bari 195.

3 Sulle posizioni di Fortunato circa l’emigrazione si veda G. FOR-TUNATO, Su l’emigrazione meridionale, (30 giugno 1909), in ID., Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, vol. II, Firenze 1973, pp. 673-678 e ID., L’emigrazione e le classi dirigenti, in “Rassegna settimanale”, 23 marzo 1879, ed ora in R. VILLARI (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia. Anto-logia della questione meridionale, vol. I, pp. 173-179.

4 Cfr. E. CICCOTTI, L’emigrazione, in “La Voce”, n. 11, 1911 poi ripubblicato in ID., La questione meridionale, Firenze 1912, pp. 105-111 ed ora in S. F. ROMANO (a cura di), Storia della questione meridionale, Palermo 1945, pp. 291-297.

5 Cfr. L’intervista che Lacava concesse a Francesco Cicciotti sull’“Avanti!”, poi ripresa localmente in Per la Basilicata, in “La Squilla lucana”, 5 febbraio 1908. Per l’eco avuta dall’intervista sulla stampa locale si veda Una geniale iniziativa del Ministero delle finanze, in “Il Lucano”, 7-8 ottobre 1907.

6 Cfr. A. FRANZONI, L’emigrazione in Basilicata (Bozze di stampa riservate a S.E. il presidente del Consiglio dei Ministri Cav. Giuseppe Zanardelli), Brescia 1903.

7 Cfr. P. CORTI (a cura di), Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata (1902), Torino 1976, p. XXIV. C’è da notare che l’inchiesta di Franzoni aveva delle nuove caratteristiche, infatti si consultavano le persone appartenenti alla classe più disagiata e meno colta, e si utilizzavano ampiamente le loro risposte.

8 Sull’articolazione di questi temi si veda G. GIARRIZZO, Il sociali-smo e la modernizzazione politica del Mezzogiorno, in G. CINGARI e S. FEDELE (a cura di), Il socialismo nel Mezzogiorno d’Italia 1892-1926, Roma-Bari 1992, pp. 3-8.

9 Sulle posizioni del socialismo lucano si veda D. SACCO, La febbre d’America. Il socialismo italiano e l’emigrazione (1898-1915), Mandu-ria-Bari-Roma 2001, pp. 211-256.

10 Sui cattolici D. SACCO, Cattolici e socialisti nel Mezzogiorno. Il caso lucano 1885-1915, Manduria-Bari-Roma 1990. In modo specifi-co sull’emigrazione cfr. Il problema dell’emigrazione in Basilicata, in “La Provincia”, 29 giugno 1909 e Atti della curia. Per i nostri emigrati, Ivi, 24 febbraio 1912.

BASILICATAM NDO

A partire soprattutto dalla pub-blicazione del noto Cristo si è fer-mato a Eboli di Carlo Levi, nel 1945, ma ancor prima, la Basilicata è stata investita da una serie assai numero-sa di studi e di ricerche che di essa hanno elaborato e proposto una particolare immagine.

Terra magica ed arcana, isola-ta e arretrata, depressa e incolta, fa-milistica e tradizionale, costituiscono solo alcuni esempi di infinite stereo-tipizzazioni affermatesi soprattut-to altrove, parti delle quali persegui-tano nell’accreditare della Basilicata una determinata, e sicuramente ana-cronistica, immagine.

Non solo. Proprio perché alcune di queste rappresentazioni seguitano nel proprio ciclo vitale, esse ostaco-lano, o quanto meno rallentano, la messa in campo di immagini di una Regione più moderna, emancipatesi dal proprio substrato rurale, proiet-tata a collocarsi a pieno titolo e con piena dignità, nei nuovi scenari euro-pei e mondiali. Basilicata tradiziona-le e Basilicata moderna, tuttavia, non

UNA, NESSUNA, CENTOMILA BASILICATE

si pongono quali dimensioni di una dicotomia costituita da parti tra loro inconciliabili, semmai quali elemen-ti di un connubio che può risultare vincente nell’affrontare le sfide che, appunto, la modernità impone. Uno, nessuno, centomila, come è noto, è il titolo di un suggestivo e assai discus-so testo di Luigi Pirandello.

Una, nessuna, centomila, invece, potrebbe essere il titolo di una ipote-tica, quanto assurda o astrusa indagi-ne, tutta ancora da idearsi e da farsi, indirizzata a cogliere le infinite im-magini attraverso le quali la Basilica-ta è stata pensata e rappresentata nel corso degli ultimi secoli.

Se è vero, come afferma Scho-penhauer, che non esiste un mon-do dato e precostituito, aprioristica-mente definito, piuttosto un mondo che si modella, si disegna, si costitui-sce in un rapporto incessante con l’osservatore, ovvero, se è plausibile sostenere che le modalità attraverso le quali i territori e i popoli sono de-scritti e rappresentati costituiscono la risultante di una serie di condizio-ni di carattere storico, sociale e cultu-rale, politico ed istituzionale, ebbene, se tutto ciò è vero, e di fatti lo è, che della Basilicata sia stato scritto e det-to tutto e il contrario di tutto, non deve affatto destare stupore.

Constatare, perché di questo in fondo si tratta, che per la Basilica-ta non esiste un’immagine univoca e monolitica, piuttosto che di essa si di-spone di una serie assai numerosa di rappresentazioni, spesso contrad-Enzo V. Alliegro

SINCE 1945, WHEN THE FAMOUS CARLO LEVI’S “CHRIST STOP-PED IN EBOLI” WAS PUBLISHED, AND EVEN BEFORE, BASILICATA HAS BEEN SUBJECT OF A LOT OF STUDIES AND RESEARCH WHICH GAVE AND ELABORATED A VERY SPECIAL IMAGE OF THIS REGION. ENZO ALLIEGRO, A RESEARCHER AT THE EUROPEAN UNIVERSITY INSTITUTE OF FLORENCE, HIGHLIGHTS THE EXAMPLES OF NUMBER-LESS STEREOTYPES, ASSERTED ABOVE ALL OUTSIDE BASILICATA, WHICH STILL GIVE A FIXED AND UNDOUBTEDLY ANACHRONISTIC IMAGE OF THE REGION.

Page 35: Mondo Basilicata n.0

passepartout ... più di tremila metri di rosso per tessere un’enorme ragnatela tesa fra cielo e pietre delle Dolomiti Lucane...

“IL REALE INVISIBILE. LA RAGNATELA” - 1999 - PERFORMANCE DI TERI VOLINI - FOTO: ANTHÈOS

Su una impostazione analoga si muoveva la relazione sull’emigrazione di Ausonio Franzoni, a lui commissiona-ta dal Presidente del Consiglio Zanardelli nel 1902, dopo il suo viaggio in Basilicata, in vista della promulgazione della legge speciale per la regione6. La relazione spicca, oltre che per la peculiarità e l’importanza della committenza, per la sua capacità di analisi cruda e di denuncia aperta dei mali della società lucana, tanto è vero che essa fu successiva-mente censurata da Giolitti, che ne impedì la pubblicazione sul “Bollettino dell’emigrazione”7.

Si apriva quindi la strada per una corrente liberale “mi-noritaria”, che non guardava in modo enfatico all’emigrazio-ne, anzi si rapportava ad essa in modo critico, evidenziando come gli indicatori di rinnovamento (che pure vi furono) non avessero quella incidenza e quello spessore che veni-vano loro attribuiti.

La posizione del socialismo lucano sul problema del-l’emigrazione può certo aprire, invece, uno spiraglio sulle “risposte” che il socialismo meridionale seppe dare a quel-li che sembravano i problemi sociali emergenti all’inizio del ‘9008. Le posizioni del socialismo lucano, per quanto riguar-da la questione migratoria, possono essere così sintetizzate: a) critiche alla Legge speciale, che non ha risolto il problema dell’emigrazione nella regione; b) posizioni teoriche di Etto-re Cicciotti, il “nume tutelare” del socialismo lucano, a favo-re della mezzadria, come elemento di sviluppo e di transi-zione al capitalismo, per migliorare sia la base produttiva della regione, sia le condizioni dei contadini e porre un fre-no all’emigrazione; c) posizioni a favore della colonizzazione interna da effettuarsi da parte delle cooperative socialiste romagnole, sia per riequilibrare il mercato del lavoro della regione, squilibrato dal fenomeno migratorio, sia per cerca-re di risolvere i problemi sindacali nelle campagne9.

Secondo i cattolici, invece, l’emigrazione non era, per il Sud, un fatto positivo; l’esodo generava anzi ulteriori ele-menti di disgregazione nell’economia agricola come nel-la società meridionale. Esso era destinato, a loro giudizio, ad accentuare il carattere estensivo dell’agricoltura meri-dionale e ad ostacolare quei programmi di riforma che da più parti si erano messi a punto e che potevano, se attuati, convincere i contadini a non abbandonare la terra. Dinan-zi alla ottusità delle classi dirigenti a proposito del proble-ma meridionale, che le leggi speciali di Giolitti erano ben lontane dal risolvere, i cattolici giungevano alla conclusio-ne che l’emigrazione avrebbe finito con il rappresentare la “valvola di sicurezza” per l’ordinamento vigente, la sola via per evitare le “terribili e selvagge insurrezioni dei contadi-ni”, ma nulla di più10.

La questione della “Grande emigrazione” si dimostra così come la cartina al tornasole, che mette in luce in Basi-licata le opinioni di diversificati schieramenti politici. Le di-scussioni, le prese di posizione sociali non erano altro che la manifestazione evidente di quanto il fenomeno dell’emi-grazione dividesse le forze politiche nella regione, facendo-le trovare su fronti nettamente contrapposti. I dibattiti che

abbiamo illustrato appaiono allora i momenti emergenti di un conflitto, in un’area arretrata, stimolato dalle conseguen-ze dell’emigrazione, fra il blocco di potere delle classi domi-nanti locali, volto a preservare le fonti di legittimazione del proprio dominio, e le forze portatrici di una filosofia pro-duttivistica e cautamente riformatrice che cercavano di ot-tenere il riconoscimento della rappresentanza di fasce po-polari e tentavano di incrinare la compattezza della grande proprietà terriera. =

1 Discorsi parlamentari di Sidney Sonnino, Roma 1925, p. 118 (Interpellanza alla Camera sulla “Emigrazione delle popolazioni rurali” nella tornata del 7 maggio 1883).

2 Nitti si pone quale difensore dell’emigrazione e passa in rassegna, smontandole, le maggiori argomentazioni dei cosiddetti avversari: Cfr: F. S. NITTI, L’emigrazione e i suoi avversari (1888), ora in Scritti sulla questione meridionale, vol. I, Bari 195.

3 Sulle posizioni di Fortunato circa l’emigrazione si veda G. FOR-TUNATO, Su l’emigrazione meridionale, (30 giugno 1909), in ID., Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, vol. II, Firenze 1973, pp. 673-678 e ID., L’emigrazione e le classi dirigenti, in “Rassegna settimanale”, 23 marzo 1879, ed ora in R. VILLARI (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia. Anto-logia della questione meridionale, vol. I, pp. 173-179.

4 Cfr. E. CICCOTTI, L’emigrazione, in “La Voce”, n. 11, 1911 poi ripubblicato in ID., La questione meridionale, Firenze 1912, pp. 105-111 ed ora in S. F. ROMANO (a cura di), Storia della questione meridionale, Palermo 1945, pp. 291-297.

5 Cfr. L’intervista che Lacava concesse a Francesco Cicciotti sull’“Avanti!”, poi ripresa localmente in Per la Basilicata, in “La Squilla lucana”, 5 febbraio 1908. Per l’eco avuta dall’intervista sulla stampa locale si veda Una geniale iniziativa del Ministero delle finanze, in “Il Lucano”, 7-8 ottobre 1907.

6 Cfr. A. FRANZONI, L’emigrazione in Basilicata (Bozze di stampa riservate a S.E. il presidente del Consiglio dei Ministri Cav. Giuseppe Zanardelli), Brescia 1903.

7 Cfr. P. CORTI (a cura di), Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata (1902), Torino 1976, p. XXIV. C’è da notare che l’inchiesta di Franzoni aveva delle nuove caratteristiche, infatti si consultavano le persone appartenenti alla classe più disagiata e meno colta, e si utilizzavano ampiamente le loro risposte.

8 Sull’articolazione di questi temi si veda G. GIARRIZZO, Il sociali-smo e la modernizzazione politica del Mezzogiorno, in G. CINGARI e S. FEDELE (a cura di), Il socialismo nel Mezzogiorno d’Italia 1892-1926, Roma-Bari 1992, pp. 3-8.

9 Sulle posizioni del socialismo lucano si veda D. SACCO, La febbre d’America. Il socialismo italiano e l’emigrazione (1898-1915), Mandu-ria-Bari-Roma 2001, pp. 211-256.

10 Sui cattolici D. SACCO, Cattolici e socialisti nel Mezzogiorno. Il caso lucano 1885-1915, Manduria-Bari-Roma 1990. In modo specifi-co sull’emigrazione cfr. Il problema dell’emigrazione in Basilicata, in “La Provincia”, 29 giugno 1909 e Atti della curia. Per i nostri emigrati, Ivi, 24 febbraio 1912.

BASILICATAM NDO

A partire soprattutto dalla pub-blicazione del noto Cristo si è fer-mato a Eboli di Carlo Levi, nel 1945, ma ancor prima, la Basilicata è stata investita da una serie assai numero-sa di studi e di ricerche che di essa hanno elaborato e proposto una particolare immagine.

Terra magica ed arcana, isola-ta e arretrata, depressa e incolta, fa-milistica e tradizionale, costituiscono solo alcuni esempi di infinite stereo-tipizzazioni affermatesi soprattut-to altrove, parti delle quali persegui-tano nell’accreditare della Basilicata una determinata, e sicuramente ana-cronistica, immagine.

Non solo. Proprio perché alcune di queste rappresentazioni seguitano nel proprio ciclo vitale, esse ostaco-lano, o quanto meno rallentano, la messa in campo di immagini di una Regione più moderna, emancipatesi dal proprio substrato rurale, proiet-tata a collocarsi a pieno titolo e con piena dignità, nei nuovi scenari euro-pei e mondiali. Basilicata tradiziona-le e Basilicata moderna, tuttavia, non

UNA, NESSUNA, CENTOMILA BASILICATE

si pongono quali dimensioni di una dicotomia costituita da parti tra loro inconciliabili, semmai quali elemen-ti di un connubio che può risultare vincente nell’affrontare le sfide che, appunto, la modernità impone. Uno, nessuno, centomila, come è noto, è il titolo di un suggestivo e assai discus-so testo di Luigi Pirandello.

Una, nessuna, centomila, invece, potrebbe essere il titolo di una ipote-tica, quanto assurda o astrusa indagi-ne, tutta ancora da idearsi e da farsi, indirizzata a cogliere le infinite im-magini attraverso le quali la Basilica-ta è stata pensata e rappresentata nel corso degli ultimi secoli.

Se è vero, come afferma Scho-penhauer, che non esiste un mon-do dato e precostituito, aprioristica-mente definito, piuttosto un mondo che si modella, si disegna, si costitui-sce in un rapporto incessante con l’osservatore, ovvero, se è plausibile sostenere che le modalità attraverso le quali i territori e i popoli sono de-scritti e rappresentati costituiscono la risultante di una serie di condizio-ni di carattere storico, sociale e cultu-rale, politico ed istituzionale, ebbene, se tutto ciò è vero, e di fatti lo è, che della Basilicata sia stato scritto e det-to tutto e il contrario di tutto, non deve affatto destare stupore.

Constatare, perché di questo in fondo si tratta, che per la Basilica-ta non esiste un’immagine univoca e monolitica, piuttosto che di essa si di-spone di una serie assai numerosa di rappresentazioni, spesso contrad-Enzo V. Alliegro

SINCE 1945, WHEN THE FAMOUS CARLO LEVI’S “CHRIST STOP-PED IN EBOLI” WAS PUBLISHED, AND EVEN BEFORE, BASILICATA HAS BEEN SUBJECT OF A LOT OF STUDIES AND RESEARCH WHICH GAVE AND ELABORATED A VERY SPECIAL IMAGE OF THIS REGION. ENZO ALLIEGRO, A RESEARCHER AT THE EUROPEAN UNIVERSITY INSTITUTE OF FLORENCE, HIGHLIGHTS THE EXAMPLES OF NUMBER-LESS STEREOTYPES, ASSERTED ABOVE ALL OUTSIDE BASILICATA, WHICH STILL GIVE A FIXED AND UNDOUBTEDLY ANACHRONISTIC IMAGE OF THE REGION.

Page 36: Mondo Basilicata n.0

TAVOLE PALATINE, METAPONTO _ L’AGLIANICO E LE CANTINE DI BARILE _ CASTELLO DI LAGOPESOLEFOTO DI LEONARDO NELLA

Un filo di colore unisce le stazioni

di questo viaggio.

È il rosso della cultura materiale:

fragole, papaveri, aglianico;

ed è il rosso dell’immaterialità,

la ragnatela che sulle Dolomiti

lucane miniaturizza con un colpo

d’occhio le montagne e ci restituisce

la rarefazione metafisica.

Noi lucani siamo abitatori di una

sintesi cromatica di verde

e di giallo, avvolti dalle boscaglie

e nelle ginestre del potentino

o dai calanchi e nelle sabbie

del materano.

Ma i rossi frutti dello Ionio

che fanno più odorose le argille

della Magnagrecia, il vino arberesh

che si mescola alle acque

del Vulture e dei fiumi

e le memorie degli amori

e delle battaglie che fanno

più lirica l’infelice epica federiciana,

il sangue che getta pontili

di rivolta tra le acque del Basento

e si rasserena sulle sue cime,

tutto questo va oltre il realismo del

paesaggio e diventa metafora della

passione e dell’autenticità

che ancora sanno esprimere

i paesi polverosi, di calce

e di lava del mondo lucano.

Raffaele Nigro

Page 37: Mondo Basilicata n.0

TAVOLE PALATINE, METAPONTO _ L’AGLIANICO E LE CANTINE DI BARILE _ CASTELLO DI LAGOPESOLEFOTO DI LEONARDO NELLA

Un filo di colore unisce le stazioni

di questo viaggio.

È il rosso della cultura materiale:

fragole, papaveri, aglianico;

ed è il rosso dell’immaterialità,

la ragnatela che sulle Dolomiti

lucane miniaturizza con un colpo

d’occhio le montagne e ci restituisce

la rarefazione metafisica.

Noi lucani siamo abitatori di una

sintesi cromatica di verde

e di giallo, avvolti dalle boscaglie

e nelle ginestre del potentino

o dai calanchi e nelle sabbie

del materano.

Ma i rossi frutti dello Ionio

che fanno più odorose le argille

della Magnagrecia, il vino arberesh

che si mescola alle acque

del Vulture e dei fiumi

e le memorie degli amori

e delle battaglie che fanno

più lirica l’infelice epica federiciana,

il sangue che getta pontili

di rivolta tra le acque del Basento

e si rasserena sulle sue cime,

tutto questo va oltre il realismo del

paesaggio e diventa metafora della

passione e dell’autenticità

che ancora sanno esprimere

i paesi polverosi, di calce

e di lava del mondo lucano.

Raffaele Nigro

Page 38: Mondo Basilicata n.0

TAVOLE PALATINE, METAPONTO _ L’AGLIANICO E LE CANTINE DI BARILE _ CASTELLO DI LAGOPESOLEFOTO DI LEONARDO NELLA

Un filo di colore unisce le stazioni

di questo viaggio.

È il rosso della cultura materiale:

fragole, papaveri, aglianico;

ed è il rosso dell’immaterialità,

la ragnatela che sulle Dolomiti

lucane miniaturizza con un colpo

d’occhio le montagne e ci restituisce

la rarefazione metafisica.

Noi lucani siamo abitatori di una

sintesi cromatica di verde

e di giallo, avvolti dalle boscaglie

e nelle ginestre del potentino

o dai calanchi e nelle sabbie

del materano.

Ma i rossi frutti dello Ionio

che fanno più odorose le argille

della Magnagrecia, il vino arberesh

che si mescola alle acque

del Vulture e dei fiumi

e le memorie degli amori

e delle battaglie che fanno

più lirica l’infelice epica federiciana,

il sangue che getta pontili

di rivolta tra le acque del Basento

e si rasserena sulle sue cime,

tutto questo va oltre il realismo del

paesaggio e diventa metafora della

passione e dell’autenticità

che ancora sanno esprimere

i paesi polverosi, di calce

e di lava del mondo lucano.

Raffaele Nigro

Page 39: Mondo Basilicata n.0

TAVOLE PALATINE, METAPONTO _ L’AGLIANICO E LE CANTINE DI BARILE _ CASTELLO DI LAGOPESOLEFOTO DI LEONARDO NELLA

Un filo di colore unisce le stazioni

di questo viaggio.

È il rosso della cultura materiale:

fragole, papaveri, aglianico;

ed è il rosso dell’immaterialità,

la ragnatela che sulle Dolomiti

lucane miniaturizza con un colpo

d’occhio le montagne e ci restituisce

la rarefazione metafisica.

Noi lucani siamo abitatori di una

sintesi cromatica di verde

e di giallo, avvolti dalle boscaglie

e nelle ginestre del potentino

o dai calanchi e nelle sabbie

del materano.

Ma i rossi frutti dello Ionio

che fanno più odorose le argille

della Magnagrecia, il vino arberesh

che si mescola alle acque

del Vulture e dei fiumi

e le memorie degli amori

e delle battaglie che fanno

più lirica l’infelice epica federiciana,

il sangue che getta pontili

di rivolta tra le acque del Basento

e si rasserena sulle sue cime,

tutto questo va oltre il realismo del

paesaggio e diventa metafora della

passione e dell’autenticità

che ancora sanno esprimere

i paesi polverosi, di calce

e di lava del mondo lucano.

Raffaele Nigro

Page 40: Mondo Basilicata n.0

passepartout ... più di tremila metri di rosso per tessere un’enorme ragnatela tesa fra cielo e pietre delle Dolomiti Lucane...

“IL REALE INVISIBILE. LA RAGNATELA” - 1999 - PERFORMANCE DI TERI VOLINI - FOTO: ANTHÈOS

Su una impostazione analoga si muoveva la relazione sull’emigrazione di Ausonio Franzoni, a lui commissiona-ta dal Presidente del Consiglio Zanardelli nel 1902, dopo il suo viaggio in Basilicata, in vista della promulgazione della legge speciale per la regione6. La relazione spicca, oltre che per la peculiarità e l’importanza della committenza, per la sua capacità di analisi cruda e di denuncia aperta dei mali della società lucana, tanto è vero che essa fu successiva-mente censurata da Giolitti, che ne impedì la pubblicazione sul “Bollettino dell’emigrazione”7.

Si apriva quindi la strada per una corrente liberale “mi-noritaria”, che non guardava in modo enfatico all’emigrazio-ne, anzi si rapportava ad essa in modo critico, evidenziando come gli indicatori di rinnovamento (che pure vi furono) non avessero quella incidenza e quello spessore che veni-vano loro attribuiti.

La posizione del socialismo lucano sul problema del-l’emigrazione può certo aprire, invece, uno spiraglio sulle “risposte” che il socialismo meridionale seppe dare a quel-li che sembravano i problemi sociali emergenti all’inizio del ‘9008. Le posizioni del socialismo lucano, per quanto riguar-da la questione migratoria, possono essere così sintetizzate: a) critiche alla Legge speciale, che non ha risolto il problema dell’emigrazione nella regione; b) posizioni teoriche di Etto-re Cicciotti, il “nume tutelare” del socialismo lucano, a favo-re della mezzadria, come elemento di sviluppo e di transi-zione al capitalismo, per migliorare sia la base produttiva della regione, sia le condizioni dei contadini e porre un fre-no all’emigrazione; c) posizioni a favore della colonizzazione interna da effettuarsi da parte delle cooperative socialiste romagnole, sia per riequilibrare il mercato del lavoro della regione, squilibrato dal fenomeno migratorio, sia per cerca-re di risolvere i problemi sindacali nelle campagne9.

Secondo i cattolici, invece, l’emigrazione non era, per il Sud, un fatto positivo; l’esodo generava anzi ulteriori ele-menti di disgregazione nell’economia agricola come nel-la società meridionale. Esso era destinato, a loro giudizio, ad accentuare il carattere estensivo dell’agricoltura meri-dionale e ad ostacolare quei programmi di riforma che da più parti si erano messi a punto e che potevano, se attuati, convincere i contadini a non abbandonare la terra. Dinan-zi alla ottusità delle classi dirigenti a proposito del proble-ma meridionale, che le leggi speciali di Giolitti erano ben lontane dal risolvere, i cattolici giungevano alla conclusio-ne che l’emigrazione avrebbe finito con il rappresentare la “valvola di sicurezza” per l’ordinamento vigente, la sola via per evitare le “terribili e selvagge insurrezioni dei contadi-ni”, ma nulla di più10.

La questione della “Grande emigrazione” si dimostra così come la cartina al tornasole, che mette in luce in Basi-licata le opinioni di diversificati schieramenti politici. Le di-scussioni, le prese di posizione sociali non erano altro che la manifestazione evidente di quanto il fenomeno dell’emi-grazione dividesse le forze politiche nella regione, facendo-le trovare su fronti nettamente contrapposti. I dibattiti che

abbiamo illustrato appaiono allora i momenti emergenti di un conflitto, in un’area arretrata, stimolato dalle conseguen-ze dell’emigrazione, fra il blocco di potere delle classi domi-nanti locali, volto a preservare le fonti di legittimazione del proprio dominio, e le forze portatrici di una filosofia pro-duttivistica e cautamente riformatrice che cercavano di ot-tenere il riconoscimento della rappresentanza di fasce po-polari e tentavano di incrinare la compattezza della grande proprietà terriera. =

1 Discorsi parlamentari di Sidney Sonnino, Roma 1925, p. 118 (Interpellanza alla Camera sulla “Emigrazione delle popolazioni rurali” nella tornata del 7 maggio 1883).

2 Nitti si pone quale difensore dell’emigrazione e passa in rassegna, smontandole, le maggiori argomentazioni dei cosiddetti avversari: Cfr: F. S. NITTI, L’emigrazione e i suoi avversari (1888), ora in Scritti sulla questione meridionale, vol. I, Bari 195.

3 Sulle posizioni di Fortunato circa l’emigrazione si veda G. FOR-TUNATO, Su l’emigrazione meridionale, (30 giugno 1909), in ID., Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, vol. II, Firenze 1973, pp. 673-678 e ID., L’emigrazione e le classi dirigenti, in “Rassegna settimanale”, 23 marzo 1879, ed ora in R. VILLARI (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia. Anto-logia della questione meridionale, vol. I, pp. 173-179.

4 Cfr. E. CICCOTTI, L’emigrazione, in “La Voce”, n. 11, 1911 poi ripubblicato in ID., La questione meridionale, Firenze 1912, pp. 105-111 ed ora in S. F. ROMANO (a cura di), Storia della questione meridionale, Palermo 1945, pp. 291-297.

5 Cfr. L’intervista che Lacava concesse a Francesco Cicciotti sull’“Avanti!”, poi ripresa localmente in Per la Basilicata, in “La Squilla lucana”, 5 febbraio 1908. Per l’eco avuta dall’intervista sulla stampa locale si veda Una geniale iniziativa del Ministero delle finanze, in “Il Lucano”, 7-8 ottobre 1907.

6 Cfr. A. FRANZONI, L’emigrazione in Basilicata (Bozze di stampa riservate a S.E. il presidente del Consiglio dei Ministri Cav. Giuseppe Zanardelli), Brescia 1903.

7 Cfr. P. CORTI (a cura di), Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata (1902), Torino 1976, p. XXIV. C’è da notare che l’inchiesta di Franzoni aveva delle nuove caratteristiche, infatti si consultavano le persone appartenenti alla classe più disagiata e meno colta, e si utilizzavano ampiamente le loro risposte.

8 Sull’articolazione di questi temi si veda G. GIARRIZZO, Il sociali-smo e la modernizzazione politica del Mezzogiorno, in G. CINGARI e S. FEDELE (a cura di), Il socialismo nel Mezzogiorno d’Italia 1892-1926, Roma-Bari 1992, pp. 3-8.

9 Sulle posizioni del socialismo lucano si veda D. SACCO, La febbre d’America. Il socialismo italiano e l’emigrazione (1898-1915), Mandu-ria-Bari-Roma 2001, pp. 211-256.

10 Sui cattolici D. SACCO, Cattolici e socialisti nel Mezzogiorno. Il caso lucano 1885-1915, Manduria-Bari-Roma 1990. In modo specifi-co sull’emigrazione cfr. Il problema dell’emigrazione in Basilicata, in “La Provincia”, 29 giugno 1909 e Atti della curia. Per i nostri emigrati, Ivi, 24 febbraio 1912.

BASILICATAM NDO

A partire soprattutto dalla pub-blicazione del noto Cristo si è fer-mato a Eboli di Carlo Levi, nel 1945, ma ancor prima, la Basilicata è stata investita da una serie assai numero-sa di studi e di ricerche che di essa hanno elaborato e proposto una particolare immagine.

Terra magica ed arcana, isola-ta e arretrata, depressa e incolta, fa-milistica e tradizionale, costituiscono solo alcuni esempi di infinite stereo-tipizzazioni affermatesi soprattut-to altrove, parti delle quali persegui-tano nell’accreditare della Basilicata una determinata, e sicuramente ana-cronistica, immagine.

Non solo. Proprio perché alcune di queste rappresentazioni seguitano nel proprio ciclo vitale, esse ostaco-lano, o quanto meno rallentano, la messa in campo di immagini di una Regione più moderna, emancipatesi dal proprio substrato rurale, proiet-tata a collocarsi a pieno titolo e con piena dignità, nei nuovi scenari euro-pei e mondiali. Basilicata tradiziona-le e Basilicata moderna, tuttavia, non

UNA, NESSUNA, CENTOMILA BASILICATE

si pongono quali dimensioni di una dicotomia costituita da parti tra loro inconciliabili, semmai quali elemen-ti di un connubio che può risultare vincente nell’affrontare le sfide che, appunto, la modernità impone. Uno, nessuno, centomila, come è noto, è il titolo di un suggestivo e assai discus-so testo di Luigi Pirandello.

Una, nessuna, centomila, invece, potrebbe essere il titolo di una ipote-tica, quanto assurda o astrusa indagi-ne, tutta ancora da idearsi e da farsi, indirizzata a cogliere le infinite im-magini attraverso le quali la Basilica-ta è stata pensata e rappresentata nel corso degli ultimi secoli.

Se è vero, come afferma Scho-penhauer, che non esiste un mon-do dato e precostituito, aprioristica-mente definito, piuttosto un mondo che si modella, si disegna, si costitui-sce in un rapporto incessante con l’osservatore, ovvero, se è plausibile sostenere che le modalità attraverso le quali i territori e i popoli sono de-scritti e rappresentati costituiscono la risultante di una serie di condizio-ni di carattere storico, sociale e cultu-rale, politico ed istituzionale, ebbene, se tutto ciò è vero, e di fatti lo è, che della Basilicata sia stato scritto e det-to tutto e il contrario di tutto, non deve affatto destare stupore.

Constatare, perché di questo in fondo si tratta, che per la Basilica-ta non esiste un’immagine univoca e monolitica, piuttosto che di essa si di-spone di una serie assai numerosa di rappresentazioni, spesso contrad-Enzo V. Alliegro

SINCE 1945, WHEN THE FAMOUS CARLO LEVI’S “CHRIST STOP-PED IN EBOLI” WAS PUBLISHED, AND EVEN BEFORE, BASILICATA HAS BEEN SUBJECT OF A LOT OF STUDIES AND RESEARCH WHICH GAVE AND ELABORATED A VERY SPECIAL IMAGE OF THIS REGION. ENZO ALLIEGRO, A RESEARCHER AT THE EUROPEAN UNIVERSITY INSTITUTE OF FLORENCE, HIGHLIGHTS THE EXAMPLES OF NUMBER-LESS STEREOTYPES, ASSERTED ABOVE ALL OUTSIDE BASILICATA, WHICH STILL GIVE A FIXED AND UNDOUBTEDLY ANACHRONISTIC IMAGE OF THE REGION.

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BASILICATAM NDO

implica affatto, o meglio, non deve af-fatto implicare dover riferire o postu-lare eventuali crisi d’identità, disan-coraggi e disorientamenti culturali, perdita di riferimenti certi, come il ti-tolo del romanzo pirandelliano lasce-rebbe intravedere o supporre. Inoltre, assumere quale oggetto di riflessio-ne il tema della Basilicata e delle mo-dalità di rappresentazione che la in-vestono e che l’hanno coinvolta, non deve affatto indurre a dover invali-dare o confutare questa o quella im-magine, a valutare la fondatezza di questa o quella rappresentazione, a sconfessare o propagandare questa o quella tendenza, piuttosto, ad enu-cleare di volta in volta quell’insieme di tratti che sembrano emergenti e più significativi.

Pur rigettando un pericoloso e asettico relativismo il quale potreb-be talvolta indurre a legittimare e giu-stificare immagini e stereotipi che vanno invece combattuti e sradicati, compito di questa ipotizzata ricerca relativa alla disamina delle “centomila Basilicate”, è quello di prendere tut-

te le diverse modalità di rappresenta-zione, siano esse di mitizzazione e di esaltazione, oppure di denigrazione e di stereotipizzazione dispregiativa, sul serio, porle indistintamente su un uni-co piano, per capire come esse si sia-no formate, per poi scomporle, cia-scuna, nel tentativo di risalire ai tratti distintivi, alla loro storia, alle evoluzio-ni o involuzioni, all’incidenza dentro ed oltre la regione stessa. Le imma-gini, in quanto rappresentazioni, rita-gliano dalla realtà solo alcuni aspetti, quelli ritenuti caratterizzanti in rela-zione ad un ben preciso disegno che potrà essere di carattere analitico, esplicativo, documentario, propagan-distico, comunicativo, politico, ideolo-gico, culturale, etc..

Ad esse soggiace un processo di generalizzazione che va dal partico-lare al generale, vale a dire una dina-mica di carattere idiografico in vir-tù della quale ogni immagine, ovvero ogni tipo di rappresentazione, lette-raria, iconografica o numerica che sia, opera un’operazione di riduzione, ma pure di amplificazione della realtà.

Detto diversamente, ogni rappresentazione, ognuna secon-do un proprio linguaggio, finisce inevitabilmente per proiettarsi, suo malgrado, oltre il proprio re-ferente oggettuale nel tentativo di trascendere la realtà senza mai poterne prescindere del tutto. Da questo punto di vista risulta assai infondato, se non fuorviante, cer-tamente poco utile, chiedersi se le diverse rappresentazioni siano vere oppure false, in quanto tutte (fatta eccezione naturalmente per quei casi di deliberata falsifica-zione), risultano simultaneamen-te vere e false. Vere in quanto ad esse corrisponde un qualcosa che qualcuno, in un particolare ambi-to spazio-temporale, ha “ritaglia-to” dalla realtà, false nella misu-ra in cui sono assunte quale spia del tutto, elevate a topos gene-ralizzante. Piuttosto può costitui-re motivo di maggiore interesse chiedersi come esse siano potu-

te sorgere, consolidarsi, sopravvive-re e diffondersi. Quali fenomeni, quali contingenze, quali attori, soggiacciono al loro “esserci”.

Ad esempio, quando i primi emi-granti italiani giunsero all’estero, molti di essi erano dediti ad attività di stra-da di musicante, di cantante, di sta-gnino, di spazzacamino, di vetraio, di venditore ambulante, etc.. Altri, in se-guito, si insediarono nelle maggiori metropoli dove, talvolta, diedero vita a fenomeni di malavita a tutti notie, più spesso, a vere e proprie mi-cropatrie, città nelle città in cui i trat-ti salienti delle località di origine, con tanto di santi protettori, risultavano riproposti. Alla luce di alcuni episodi piuttosto spiacevoli, la stampa ameri-cana avviò un processo di condanna dell’emigrazione italiana da cui risul-tava che gli italiani fossero soprattut-to dei mafiosi nullafacenti, dei giro-vaghi accattoni, un popolo che non intendeva integrarsi con le società ospitanti in quanto desideroso di tra-piantare oltreoceano una parte della società d’origine. 8

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Della moltitudine di italiani che si recarono all’estero per svolgervi una onestissima e decorosissima attivi-tà; della stragrande maggioranza de-gli italiani che assai dolorosamente la-sciarono i paesi d’origine per poter restare aggrappati all’esistenza, nel-la stampa americana, nessuna trac-cia, almeno fino a quando non si mise mano ad un’operazione di revisione dell’immagine della colonia italiana e delle numerose Little Italy.

Questo processo di stigmatiz-zazione, ovvero di stereotipizzazio-ne negativa, si abbatté nella seconda metà dell’Ottocento anche sui mi-granti della Basilicata. Parte di essi, come risulta da alcune ricerche, si re-carono all’estero in qualità di musi-canti di strada, di stagnini, di orologiai, di orafi. Furono sicuramente centi-naia, se non migliaia, i bambini e gli adulti che dalla valle dell’Agri (Vig-giano, Marsico Vetere, Marsico Nuo-vo, Tramutola, Grumento Nova, Cor-leto Perticara, Laurenzana, Calvello, etc.) e dal lagonegrese (Rivello, Ma-ratea, Trecchina, etc.) emigrarono fin dai primi decenni dell’Ottocento ver-

so gli Stati Uniti. Questa presenza così numerosa nelle maggiori metro-poli europee e americane, risultata funzionale e dotata di una sua ragio-ne di essere nella prima metà del-l’Ottocento, subì un’involuzione nel-la seconda metà dell’Ottocento. In seguito ad una serie di avvenimenti di carattere politico che ebbero non poche ricadute sul controllo dell’or-dine pubblico, nonché sulla scia di mutamenti più generali di carattere sociale, demografico, culturale, etc., di queste figure itineranti si iniziò ad avere timore.

Accettate, se non esaltate, nel cli-ma romantico di inizio Ottocento, esse finirono per essere osteggiate, se non criminalizzate, nell’atmosfera positivista di fine secolo. Gli immigra-ti lucani? Nient’altro che degli oziosi, dei vagabondi, dei miserabili ed osce-ni questuanti.

L’idea di un’emigrazione lucana che rasentasse lo scandalo, qui som-mariamente evocata e sulla qua-le sarà dato ritornare compiutamen-te in un contributo successivo, non è del tutto falsa, ma non è neppu-

re completamente vera. È falsa nella misura in cui si ritiene che possa es-sere applicata, come di fatto talvol-ta avvenne, all’intera regione, ma è vera nella misura in cui restituisce al-cuni fatti di cronaca ed alcune dege-nerazioni che effettivamente ebbe-ro luogo.

Tuttavia, ciò che nella fattispe-cie costituisce il motivo di maggio-re interesse, non è questa ambivalen-za e ambiguità interpretativa, semmai l’uso che di questa tradizione itine-rante sia stato fatto dai protagonisti e dalle istituzioni, dentro ed oltre la regione, nei diversi contesti storico-sociali. A tal riguardo non è privo di importanza constatare che di questa pratica migratoria talvolta sono sta-ti selezionati ed enucleati gli episodi, e solo quelli, più drammatici ed al li-mite della legalità, i quali hanno fatto sì che tutta l’emigrazione connessa all’espletamento di mestieri di stra-da venisse considerata vergognosa e da rigettare (cfr. gli studi condot-ti da Florenzano, Carpi e dallo stes-so Nitti), in altri casi, invece, questi episodi sono stati volutamente sot-

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taciuti e il fenomeno dell’emigrazio-ne musicale nella sua completezza assunto quale simbolo di autentici-tà culturale e identitaria, orgoglio da riscoprire, valorizzare e ostentare. Appare sempre più chiaro, dunque, che è il tipo di sguardo, la prospetti-va dell’osservatore, le sue finalità, gli orizzonti disciplinari, i contesti politi-ci di riferimento, congiuntamente al-l’azione di atri fattori, a determinare quale strada il processo di iconizza-zione possa seguire.

Così come, per ritornare ad al-cuni aspetti più attuali, alla cosiddet-ta contemporaneità, aspetti che ben si prestano per riallacciarci al discor-so sulla complessità del reale dal quale siamo partiti, è senz’altro vero che la Basilicata sia diventata oggi, proprio in seguito ad alcuni impor-tanti processi di modernizzazione, terra di immigrazione.

Ma è pur vero che questo acca-de proprio mentre essa seguita ad essere terra di emigrazione. Privile-giare uno di questi aspetti a scapito dell’altro, non significa operare una scelta arbitraria, parziale e lacuno-sa, in quanto essa può senz’altro ri-sultare legittima in relazione a spe-cifici quadri tematici e problematici,

ma essa sicuramente sareb-be da considerarsi arbitra-ria e destituita di ogni fonda-menta laddove si pensasse di poterla adoperare per con-notare l’intero territorio re-gionale. Ed è proprio questa considerazione finale a ripor-tarci al libro di Pirandello, alle centomila, infinite Basilicate, al gioco delle scatole cinesi o a quello della stanza degli spec-chi in cui è sempre più diffi-cile districarsi, in cui è sem-pre meno facile distinguere la realtà dalla finzione, l’oggetto dalla sua immagine, come ben attesta il mito platonico del-la caverna.

Quale, allora, sia la vera Basilicata, costituisce un que-sito mal posto, così come

senza soluzione risulta la domanda, anch’essa retorica, più che altro pro-vocatoria, se sia corretto accreditare una Basilicata rurale, agro-pastorale, tradizionale, anziché una moderna, industriale o addirittura post-indu-striale e post-moderna.

Tutte costituiscono parti essen-ziali di uno scenario in continua tra-sformazione in cui i rapporti tra le parti risultano perennemente in evoluzione. Del resto propugnare una modernizzazione incurante del-le specificità culturali, dei retroter-ra storici, proiettata, a testa bassa, ad inseguire e ad assecondare un “pro-gressismo” senza radici, è un male da scongiurare. Di Basilicate, come di ogni altra regione italiana e del mondo, ne esistono infinite, appun-to, centomila. Esse non sono conce-pibili, come riduttivamente è stato proposto, come il segno di una mo-dernizzazione a doppia velocità, an-ticipata, da una parte, in ritardo, dal-l’altra, e neppure quali tenaci sacche di resistenza, indici di una anacroni-stica ed irriducibile alterità culturale, bensì quali componenti di una realtà sfaccettata, composita e complessa, anzitutto dialettica, che sta a noi sa-per cogliere.

Ed è proprio per queste ragio-ni che la terra magica ed irrazionale, desolata ed arretrata, isolata e de-pressa descritta da Carlo Levi nel noto “Cristo si è fermato a Eboli” del 1945 non deve destare paura. Così come nessun timore devono incu-tere le fotografie di Pinna, di Zavat-tini, etc., i cortometraggi di Di Gianni, etc., il concetto di crisi della presenza di De Martino, di familismo amorale di Banfield e così continuando rela-tivamente a quell’insieme assai nu-meroso di studi di natura demo-an-tropologica che ha permesso che la Basilicata si costituisse come vero e proprio laboratorio di ricerca. Si tratta di componenti di un puzzle fluido, per certi veri inafferabile, che si compone e si scompone incessan-temente, esattamente come le onde del mare che bagnano le spiagge metapontine ed ogni altra spiaggia nel mondo. Se mai come oggi la cosiddetta mondializzazione a tutti nota, per quanto poco chiara, impone alle re-gioni del Mezzogiorno un decisivo slancio verso i mercati, una inedi-ta capacità di andare oltre se stessi, la duttilità di rivedere alcuni presup-posti fondativi, se non alcuni aspet-ti costitutivi della stessa identità, eb-bene, proprio in nome di questa mondializzazione così ben teorizza-ta da studiosi quali Braudel, Waller-stein, Geertz, Hannerz, Appadurai, etc. è sempre più importante fare leva sul proprio substrato cultura-le e sul ruolo assai rilevante avuto in epoche trascorse proprio dalla Ba-silicata nei destini delle aree del me-diterraneo.

Tutto ciò nella consapevolez-za che in questo nuovo processo che viene delineandosi, può assume-re un ruolo decisivo l’analisi critica e di storicizzazione tesa a smaschera-re, senza distinzione alcuna, l’insie-me delle visioni parziali che oscura-no le infinite, le centomila Basilicate presenti qui ed altrove, ovunque nel mondo. =

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La Lucaniadiventa

BASILICATA BETS ON CULTURE AND PLAYS THE CARD OF ITS LANDSCAPE’S BEAUTY WHICH IS STILL UNKNOWN BY MANY PEOPLE. DURING THE LAST MONTHS, LUCANIAN TERRITORY HAS GIVEN ITS IMAGE FOR TWO FILM SETS: GABRIELE SALVATORES’ “IO NON HO PAURA” AND MEL GIBSON’S “THE PASSION”.IN THE FIELD OF ART, THE REGIONAL COUNCIL OF BASILICATA IS PROMOTING LUCANIAN TALENTS, AMONG WHICH ANNA FARAONE (PAINTER), ROCCO MOLINARI (SCULPTOR) AND THE PAINTER-WRITER MARIA PADULA, PASSED AWAY IN NAPLES.

GIANNI SILEO

La Basilicata ha colori misteriosi, prospettive paesaggi-stiche che l’Italia nemmeno conosce. Ha i profumi di una terra vergine, gli odori dell’”antichità” della natura. Se ne sono accorti negli ultimi anni due registi di respiro interna-zionale, l’italiano Gabriele Salvatores e l’australiano Mel Gi-bson: entrambi hanno scelto la Basilicata come set cinema-tografico per i film “Io non ho paura” e “The Passion”.

Nei loro lavori, i due registi hanno visto, prima di altri, una Basilicata inedita e l’hanno fissata sulle pellicole ven-dute nelle sale di tutto il mondo.

L’oro dei campi di grano del Vulture-Melfese, le voci della natura incontaminata, i casolari antichi hanno fat-to da set naturale per il lavoro di Salvatores, unico film italiano premiato nell’ultima edizione del Festival inter-

Setcinematografico

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nazionale del Cinema a Berlino. “Il profondo sud d’Italia, la Magna Grecia, un’Italia spesso dimenticata, dove ancora resistono le suggestioni del mondo poetico-contadino - ha raccontato Gabriele Salvatores in un’intervista - si sono prestati come scenari perfetti per incarnare Acqua Traverse, il suggestivo luogo descritto da Niccolò Ammaniti nell’omo-nimo romanzo che ha dato vita al film”.

Il regista di “Nirvana”, “Mediterraneo”, “Marrakech Express”, nel riferirsi alla Basilicata, ha parlato di “una ter-ra incredibile, arcaica, dove si avverte qualcosa che non esi-ste in altre regioni del Sud”. Quel Sud già scoperto, con i paesaggi e i dialetti, specie pugliesi e siciliani, che hanno varcato l’oceano. Salvatores, oltre all’aspetto visivo, ha sa-puto cogliere quello linguistico, scegliendo la dizione e il dialetto lucani dell’area nord.

Da un set all’altro, la cinepresa si sposta sui Sassi di Matera, scenario suggestivo scelto da Mel Gibson in The Passion, film che racconta le ultime dodici ore di vita di Cristo. Il noto attore-regista ha girato le immagini più si-gnificative del suo film utilizzando come sfondo i Sassi di Matera (alcune scene anche nella vicina Craco), accom-pagnato da un cast notevole: Jim Caveziel, Rosalinda Ce-lentano, Monica Bellucci. Le macchine della produzione cinematografica hanno lavorato per circa un mese a Ma-tera, diventata con Porta Pistola lo specchio dell’antica Gerusalemme. La città durante lo scorso inverno ha as-sunto i panni dell’”attrice protagonista” sul grande palco-scenico cinematografico internazionale, facendo lievitare

la risonanza delle sua già bella immagine. Una Basilicata autentica sul grande schermo, dunque, che già in passato si era prestata a mettersi a nudo su pellicole importanti quali “Spartacus” di Stanley Kubrick, girato nel Matera-no, “Viva l’Italia” di Roberto Rossellini, con Paolo Stop-pa (Matera).

Nel 1965, Alberto Sordi, guidato dalla regia di Nan-ni Loy, giunse a Matera per il film “Made in Italy”, men-tre appena due anni dopo, era il 1967, la scena matera-na la portò via Francesco Rosi in “C’era una volta” con Sophia Loren. In tanti, ancora oggi, ricordano “Il Vangelo secondo Matteo” opera del noto scrittore-regista Pier Paolo Pasolini, girato a Matera, Barile e Potenza. L’elen-co dei film con Basilicata protagonista è ben nutrito. Al lavoro di documentazione si sta occupando il giornalista Salvatore Verde che a breve pubblicherà “Si gira in Luca-nia”, un contributo sulla filmografia in Basilicata.

L’attenzione verso questo campo non giunge solo dagli studiosi, ma anche dalle Istituzioni. Nelle scorse set-timane la quarta commissione del Consiglio Regionale della Basilicata ha esaminato una proposta di legge regio-nale, avanzata dal consigliere Antonio Di Sanza, in cui si ipotizza la costituzione di una fondazione cinematogra-fica “Film commission Basilicata”, con lo scopo di “orga-nizzare e finanziare servizi di informazione, assistenza e promozione idonei ad attrarre e localizzare sul territorio lucano le produzioni cinematografiche, televisive, audiovi-sive o multimediali”. 8

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Ma la Lucania non è solo investimento nel campo ci-nematografico. Attraverso iniziative di alto profilo cultura-le, la Regione Basilicata sta catalizzando attenzioni in vari ambiti. Agli inizi di giugno, in occasione dell’inaugurazio-ne del semestre europeo, a Lussemburgo, la Regione ha presentato una mostra di esemplari di reperti archeologi-ci provenienti dalla Lucania antica, ottenendo un elevato riconoscimento. Il 7,8 e 9 ottobre di quest’anno la stessa mostra approderà nella Maison de l’Italie a Parigi, in occa-sione delle tre giornate dedicate alla Basilicata.

Si è contornata di una notevole risonanza anche la mostra su Levi che, dopo il successo di Stoccolma e Ber-lino verrà allestita a Lipsia e a Stoccarda, per poi rientra-re in Italia ed approdare a La Spezia.

Nell’ambito delle celebrazioni, fari puntati sul cinquan-tenario della morte di Francesco Saverio Nitti, intellet-tuale e politico di alto profilo culturale, originario di Melfi. A lui la Regione Basilicata ha dedicato una vasta manife-stazione cominciata con una giornata di studio a Roma, il 9 giugno, che proseguirà con altri appuntamenti ad otto-bre e novembre 2003, e a marzo 2004.

Nella ratio programmatica della Regione, in ambito culturale e promozionale dell’immagine della Basilicata, forte è la volontà di proiettare le risorse umane e monu-mentali lucane in un più vasto ambito territoriale e cultu-rale, creando risonanze che possano favorire diversi pro-

IN ALTO, DA SINISTRA A DESTRA:ANNA FARONE, CALANCHI, 2003MATERA - SET DEL FILM “THE PASSION” - FOTO ENZO EPIFANIA/ALTRIMEDIAMARIA PADULA, LE FIGLIE DEL PASTORE, 1940IN BASSO:ROCCO MOLINARI, PENTATHLON, 1999

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cessi di sviluppo. L’investimento che il Consiglio Regionale della Basilicata sta adottando nei confronti delle manife-stazioni culturali, dunque, mira a mettere a nudo soprat-tutto l’identità dei lucani e insieme ad essa la loro cultura, intesa nell’accezione più nobile del termine.

In questa direzione va l’iniziativa “L’archivio della Me-moria - Biblioteca multimediale della cultura lucana”. Si tratta di una “finestra” tesa a dare spazio a pubblicazioni, prodotti multimediali, videocassette e filmati che promuo-vano l’immagine della Basilicata, nella direzione di allargare il termine cultura, abbattendo i limiti angusti fatti segnare dalla tradizione classica, alla ricerca di studi, suoni, sapori

e immagini. Immagini sublimi e preziose come quelle rese dalla pittrice Maria Padula, “l’artista antropologa” origina-ria di Montemurro. Alla sua opera hanno prestato atten-zione diverse regioni d’Italia, che hanno ospitato la mostra dell’artista scomparsa a Napoli nel 1915: la città di Paler-mo le ha dedicato una personale ed un catalogo, mentre la sua Basilicata l’ha omaggiata con celebrazioni tenute a Latronico, Matera e a Roma.

In questi spazi ha trovato luce un’altra artista lucana dei nostri giorni: la pittrice Anna Faraone, che nelle set-timane scorse ha esposto i suoi lavori nella Cappella dei Celestini a Potenza. =

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L’accettazione del “Premio internazionale di Sport Cultura Economia” del Coni di Matera, il primo a rappre-sentanti dei lucani nel mondo, consente il gradito ritorno in Basilicata dei noti fratelli Anthony e Pasquale Buba, na-tivi di Braddock, in Pennsylvania (Usa).

A tre anni esatti di distanza dal conferimento della cit-tadinanza onoraria di Tursi, proposta dalla Gazzetta del Mezzogiorno, proseguono, dunque, i riconoscimenti dei loro meriti e della brillante carriera, mentre si consolida-no sempre più i legami con Tony Buba, 59 anni, grande regista-documentarista indipendente, anche produttore-sceneggiatore, e Pat, 57, straordinario tecnico del montag-gio a Hollywood.

Un viaggio del tutto inverso rispetto a quello dei ge-nitori, fatto in modeste condizioni molto tempo prima, e altro importante tassello di una ricostruita storia di or-dinaria emigrazione che continua con affetto e curiosi-tà crescenti.

Solo nel 1999, infatti, erano stati “scoperti” insieme alla mamma Mariangiola Gentile, tursitana, ancora iscritta in anagrafe, dotata di lucida intelligenza e accattivante sim-patia, con i suoi fascinosi anni, peraltro portati benissimo, qui appellata come “ambasciatrice della tursitanità all’este-ro”. L’allora bambina, nata nel 1921, emigrò a otto anni dal rione San Filippo insieme alla madre Gilda Gelsi (1893-1990), alla sorella Filomena (1913-2002) e al fratello An-tonio (1916-1944), soldato statunitense morto in guerra sul fronte italo-francese, preceduti cinque anni prima dal padre Pasquale Gentile (1889-1955), calzolaio.

Espatriarono come tantissimi altri in America, ricchi di speranza e in cerca di fortuna, in realtà per sfuggire alla miseria quotidiana e, quindi, con una decisione intesa come definitiva. Si stabilirono subito nell’importante cen-tro siderurgico vicino a Pittsburgh, abitato da una molti-tudine di etnie, in particolare africani, slavi, polacchi, irlan-desi e tantissimi italiani anche del Meridione.

“L’arrivo coincise con la morte in quella città della divi-na Eleonora Duse, mentre ovunque imperversava la crisi del-la Borsa di Wall Street e a Los Angeles si istituivano i premi Oscar, a due anni dalla uccisione di Sacco e Vanzetti”, ci ri-corda Tony Buba.

Quasi un appuntamento segnato dal destino anche il felice matrimonio della diciottenne Maria Angela Gentile con Edward Buba (1915-1997), figlio di Antonio Bubba (1876-1946) e Rosaria Concetta Comi 8

I Fratelli Buba

THE FAMOUS BROTHERS ANTHONY AND PAT BUBA, BORN IN BRADDOCK, PENNSYLVANIA, HAVE LUCANIAN ROOTS. TONY BUBA, A WELL-KNOWN INDEPENDENT FILM DIRECTOR AND DOCUMENTARY FILM MAKER AND PAT BUBA, A FAMOUS HOLLYWOOD EDITING TECHNICIAN, HAVE GOT A MOTHER, MARIANGIOLA GENTILE, WHO WAS BORN IN TURSI. SHE IS STILL REGISTERED IN THE GENERAL REGISTRY OFFICE OF THE VILLAGE AND IS CALLED “AMBASSADRESS OF THE SPIRIT OF TURSI ABROAD”. WHEN SHE WAS A CHILD, SHE EMIGRATED TO AMERICA WITH HER FAMILY AND THERE SHE MET EDWARD BUBA. THEIR LOVE GAVE BIRTH TO THE TWO BROTHERS, VERY FAMOUS IN AMERICA.

SALVATORE VERDE

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La passione per il cinemaAutore impegnato, maturo, intenso e ironico, Tony

Buba, una laurea in psicologia ed una parallela attività acca-demica di docente di teoria e tecnica del cinema e del do-cumentario, è ormai considerato tra i maggiori documen-taristi statunitensi.

Stimolato da due grandissimi, il tedesco Werner Her-zog e l’amico americano George A. Romero, nella sua più che trentennale carriera pluripremiata Tony ha realizzato, sovente finanziato da enti, fondazioni, università e musei, oltre cento video industriali, una ventina di corti e tre lun-gometraggi: Lightning over Braddock: a rustbowl fantasy

(Lampi su Braddock: una fantasia arrugginita, 1988), miglior film al Festival di Birmingham, No pets: A Post-industrial Romance (No agli animali domestici, 1994), unico film a sog-getto, e Struggles in steel: a story of African-American steelworkers (Lotte nell’acciaieria: una storia di operai afro-americani dell’acciaio, 1996), forse il suo capolavoro.

Con lui collabora, spesso, il fratello Pat Buba, diploma di Musica e master in “Drama”, tecnico del montaggio di as-soluto valore, che ha lavorato molto con lo stesso Rome-ro, e poi con Dusty Nelson, Joel Oliansky, Jeff Burr, Rowdy Arrington, Mattew Warclus, Mari Lambert, includendo al-cuni capolavori di Martin Scorsese (Casino,1995; Gangs of New York, 2002), Michael Mann (Heat-La sfida, 1995), Jon-ny Depp (The brave - Il coraggioso, 1997), 8

PAT BUBA CON AL PACINO (COLLEZIONE PRIVATA FAM. BUBA)

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(1884-1924), agricoltori provenienti da Caraffa di Catan-zaro e di origini albanesi, sposatisi nel 1903 ed emigrati due anni dopo con la neonata Angela.

“Nella trascrizione del cognome si perse qualcosa, come sovente accadeva ai tanti nomi americanizzati”, osserva il regista. E se i maschi di casa parteciparono al conflitto mondiale in Europa, con alcuni fortunati che si fecero ri-vedere nelle terre d’origine, le donne ebbero il peso del-l’attesa e la responsabilità di mantenere unita e viva la fa-miglia.

Tuttavia, lo sradicamento dell’emigrazione segna in profondità anche le generazioni successive ed un lega-me affettivo, intellettuale e spirituale, sopravvive sempre, magari fortificato dal tentativo di conservare certe cono-scenze, abitudini e tradizioni, con la corrispondenza e le rimesse in dollari, la lingua parlata e la cucina, i ricordi e le emozioni.

“Ma la consapevolezza di una vita dignitosa, priva di nostalgie, serena, con due unici figli dei quali sono orgoglio-sa, non annulla mai del tutto il desiderio di quietare l’animo attraverso un temporaneo quanto fugace ritorno alle pro-prie radici” ha dichiarato la signora Mariangela, in un dia-letto deciso e privo di spurie contaminazioni, molto simile a quello utilizzato dal Vate tursitano, Albino Pierro. Fu così che lei e Filomena nella primavera del 1975, durante il viaggio a Roma per l’Anno Santo, non vollero resistere alla deviazio-ne di un giorno nei luoghi d’origine, per salutare i parenti in-creduli. Tanto bastò in famiglia per decidere di “riprendere la personale ricerca”.

Tony insisterà solitario negli anni 1987 e 1988 tra Tursi e Valsinni, dove i cugini Gulfo-Pipino lo accoglieranno cal-damente. Tre anni dopo ci proverà anche Pat per la prima volta a Tursi e al paese dei nonni paterni in Calabria, insie-me al fratello e alla madre.

Tranne qualche breve apparizione in Festival cinema-tografici italiani, sono le uniche visite fino al 1995. Il resto è vita recente dei “ragazzi” di Buba e della madre Gentile, e del sogno italiano di due grandi cineasti americani. =

e vincitore dell’Ace Award, il premio attribuito negli Usa dal-l’Associazione dei montatori cinematografici, con Riccardo III. Un uomo, un re (Looking for Richard, 1996) di Al Pacino.

Quasi naturale l’idea, a lungo meditata e formalizzata in progetto organico solo nel 1998 alla televisione Pbs, di ri-percorrere la comune esperienza dell’emigrazione nel cor-so del tempo. L’anno dopo è già a Tursi per alcune interviste ad “attori“ tursitani e di Valsinni, effettuando molte riprese anche a Matera, Aliano, Craco e sopralluoghi a Montemur-ro, Potenza e nel Molise.

“L’America. Cinquecento anni di Italiani in America” è il film di tre ore che vorrebbe portare a termine e la cui gestazione, come da lui previsto, si sta rivelando di com-plessa e non facile realizzazione, con il rischio fondato del-

l’incompiuto. Diviso in tre parti, “La Nascita dell’America” (1490-1890), “La Lotta” (fino al 1940) e “L’Assimilazione in America” (dal 1941 a oggi)”, il film-tv si avvale di una trou-pe consolidata, tra i quali il fidato direttore della fotografia John Rice e la co-produttrice Heather Hartley, e un grup-po di accademici nel ruolo di consulenti storici e superviso-ri della sceneggiatura, di assoluto rilievo.

Ne fanno parte: Giuseppe F. Mazzotta (docente di Lin-gua e letteratura italiana alla Yale University), Carol Bono-mo Albright (M.A. in English from Brown University), Bart A. Roselli (direttore esecutivo del Museo di Schenectady, presso New York), Mark Friguglietti (docente di Antropo-logia e folclore e di Cultura e civiltà degli italo-americani alla Pennsylvania State University), Nicholas P. Ciotola (coor-

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dinatore del Programma degli Italo-americani e di Storia sociale della Pennsylvania), Santa Casciani (Direttrice degli Studi dei programmi per gli Italo-americani alla John Car-rol University e alla Jesuit University di Cleveland), Laura E. Ruberto (ricercatrice presso il dipartimento di Letteratura dell’Università di San Diego in California), Gina De Marco Oliphant (Manager esecutiva del Programma della Lingua inglese al College La Roche di Pittsburgh), Fred Gardaphe (dirige il Programma di studi Italo-americani nell’Università dello Stato di New York).

L’originale tentativo non ha precedenti. “Esistono solo due specials analoghi di buon successo: Gli Irlandesi in America e Gli Americani Africani. Eppure l’impatto della cultura italiana in ogni aspetto della vita americana è enorme ed indiscutibi-

le. Scienza, arte, cibo, moda, politica, cinema, non c’è elemen-to della nostra società che non sia stata influenzata, spesso in profondità, dai milioni di italiani che nei secoli sono emigra-ti negli Usa. Altro che solo spaghetti, pizza, mandolino e ma-fia!”, scrive Buba.

Fa un certo effetto, accanto ai sicuri grandi nomi italo-americani del passato e recenti, insieme a tanti meno noti ma fondamentali protagonisti, leggere nel progetto cogno-mi e luoghi anche della Basilicata, con riferimenti a gente comune e “senza storia”.

E questo l’avrebbe apprezzato anche suo padre Ed-ward che, pur assecondandolo con ammirazione, si preo-cupò sempre che il figlio filmmaker non avesse un “pro-gramma per la pensione”.

TONY BUBA CON LA SUA TROUPE (COLLEZIONE PRIVATA FAM. BUBA)

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Sovente, a letture esaltanti si susseguono analisi negative, men-tre il modello di sviluppo sembra essere sempre ad un bivio. Tenta-re di spiegarlo non è impresa facile: la Fiat-Sata di San Nicola di Melfi, le multinazionali del petrolio in Val d’Agri, il polo del salotto a Matera, il distretto della corsetteria a Lavel-lo e, ultima in ordine cronologico, la delocalizzazione industriale del Nord Est trevigiano, rappresentano più sfaccettature della stessa realtà produttiva, oggi caratterizzata dalla compresenza di grossi punti di ri-ferimento e da un tessuto puntifor-me di medie, piccole e piccolissime aziende che più delle altre risento-no dei fattori di criticità presenti.

Sebbene negli ultimi due anni il Pil (prodotto interno lordo) ab-bia fatto segnare una frenata rispet-to al “boom” degli anni preceden-ti (nel 1999 é stato dell’8%, contro un valore medio dell’1% nel resto

La Basilicata e l’export

Vito Verrastro

del Sud e del 2% circa nel Paese), la regione si presenta comunque po-tenzialmente come tra le realtà più vive e dinamiche del Mezzogiorno d’Italia.

Non più fortemente ancorata al settore dell’agricoltura, oggi la Ba-silicata può beneficiare di numero-si insediamenti industriali che han-no partorito grandi opportunità lavorative e altrettante illusioni (si pensi alle aree della legge 219, sor-te in seguito al terremoto del 1980 e spesso caratterizzate da un’arti-colazione “virtuale”), innestando sul territorio processi mai ipotizzati fino ad un decennio fa.

Se i punti di svolta epocali sono stati l’insediamento Fiat con le mi-gliaia di posti di lavoro tra la Sata e il suo indotto, e le multinazionali del petrolio in Val d’Agri - l’oro nero ha attirato le multinazionali dell’estra-zione, interessate alla materia prima che, stando alle stime ufficiali, resi-

Data about Lucanian economy are always lights and shades, constantly dealing with the contradictions of a land rich in resources and potentialities which are not completely expressed. Thus, labels such as “California of the South” or “Italian Switzerland”, or comparisons with Ireland and Texas, considerably jar with the phenomenon of the new juvenile emigration, commonly called “brain drain”, with the difficult access to credit by small and medium enterprises, with a little structured web of micro-business and hundreds of jobs at risk.

il mercato “mondiale” del pastificio De Sortis

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sterà almeno fino al 2010, alimen-tando il 6% del fabbisogno nazio-nale - il fenomeno endogeno del “mobile imbottito” è probabilmen-te l’evento più significativo delle potenzialità del “made in Basilica-ta” a livello produttivo e manageria-le, grazie ad aziende come Nicolet-ti e Calia (e alla pugliese Natuzzi) che hanno imposto la loro griffe sui mercati mondiali.

Centinaia di piccole realtà pro-duttive oggi gravitano intorno ai poli principali, dando occupazione e speranza di un futuro migliore a migliaia di giovani lucani, alle prese - purtroppo - con una situazione del mercato del lavoro ancora mol-to difficile.

Ma se questi sono i punti di ec-cellenza più noti, e non solo a livel-lo nazionale, ce ne sono altri pro-babilmente meno conosciuti, forse anche all’interno dei piccoli confini regionali, che pure andrebbero va-lorizzati per il livello di internazio-nalizzazione raggiunto.

Fiori all’occhiello per la Basili-cata ma anche e soprattutto per i lucani residenti fuori regione, or-gogliosamente fieri di riconoscersi in prodotti, aziende, nomi e sapo-ri della propria terra di origine. E a proposito di sapori, uno dei settori che maggiormente registra fermenti di crescita, di innovazione, di specia-

lizzazione, di tipicizzazione, è senza dubbio l’agroalimentare.

La Basilicata è stata scelta, a par-tire dagli anni Ottanta, quale terri-torio congeniale per l’insediamento di alcune branche produttive delle industrie alimentari italiane come Barilla, Parmalat e Ferrero, che oggi convivono con produzioni ti-piche e biologiche assolutamente autoctone.

Vino, olio, salumi, prodotti ca-seari sono tra le peculiarità del “made in Basilicata”, che in fatto di enogastronomia è ormai unanime-mente considerato come marchio di eccellenza.

Tra i nomi che sono attestati sui mercati internazionali, c’è quel-lo del pastificio De Sortis, azienda allocata nell’area di San Nicola di Pietragalla, che si connota per una produzione interamente destinata all’export: “100%”, conferma Vin-cenzo De Sortis, dal 1982 al timo-ne di un’azienda che oggi produce 100 formati di pasta, fattura 30 mi-liardi delle vecchie lire, dà lavoro a 62 giovani, tutti lucani.

Il mercato di riferimento è va-stissimo: Giappone, Usa, Canada, Olanda, Danimarca, Libano, Israe-le, Inghilterra, Russia e recentemen-te Corea. I prossimi obiettivi sono il Medio Oriente e la riconquista del Sud America in crisi.

“La pasta deve piacere - dice De Sortis - ma deve anche essere og-gettivamente di qualità. Attraverso un codice, noi riusciamo a risalire alla singola partita di grano che arriva, soprattutto dalla Puglia, e che viene analizzata accuratamente dai nostri tecnici, in laboratori all’avanguardia. In questo mercato così globale non ci si può permettere di abbassare la guar-dia dal punto di vista dell’innovazione,

della tecnologia, della qualità. Bisogna rinnovarsi continuamente, spendere energie fisiche e mentali per andare incontro ai desideri dei mercati, l’uno diverso dall’altro. In Norvegia la pasta la mangiano con la pizza, negli Usa la vogliono vitaminizzata, altrove la pre-tendono nel classico tricolore. Cerchia-mo di accontentare tutti, puntando sulla qualità e sulla certificazione, sul-la tradizione e sulla fiducia negli in-terlocutori che scegliamo, dando loro l’esclusiva per il proprio Paese.

La soddisfazione più grande? In-contrare tanti lucani durante le Fiere a cui partecipiamo. Hanno la nostra terra nel sangue, riescono a sentirsi dei nostri anche se forse la Basilica-ta se la ricordano appena, e questo ci sorprende ogni volta di più. È meravi-glioso farli sentire a casa, anche solo per un attimo, e da parte nostra viag-giare sapendo di poter ritrovare qual-cuno di noi in ogni angolo del mon-do”. =

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Trasandato, distratto, “per niente avvezzo alle regole e ai protocolli comportamentali”, sfug-gente, solitario. Sono questi solo alcuni degli aggettivi che potrebbero definire Domenico Molinari, il pittore natio di Laurenzana, la cui

personalità e produzione artistica, continuano ad affasci-nare i critici e gli appassionati d’arte di mezza Europa.

Dal suo atelier di Montmartre, a Lugano, a Roma, Molinari ha venduto ed esposto le sue tele un po’ ovun-que, ma soprattutto sulla strada, dove i passanti ed i turi-sti acquistavano i suoi lavori permettendogli così di sbar-care il lunario.

Era infatti partito da Laurenzana con i soli soldi del biglietto ferroviario con destinazione Firenze, dove poco più che diciottenne conoscerà il fascino e la durez-za della vita di strada. Qui vende i quadri, vive di espe-dienti, occupa una casa diroccata di proprietà del comu-ne, mette su una bottega d’arte che finirà in fiamme per aver dimenticato la stufa accesa.

Eppure nonostante le esperienze gli abbiano solcato il volto, e la vita travagliata gli abbia portato via un po’ del suo naturale “smalto”, basta guardare in quegli az-zurri o incontrare il suo sguardo lucido e tagliente, per capire che Molì, è questo il suo nome d’arte, non è an-cora riuscito a domare la sua natura inquieta ed il suo cuore ribelle.

Autodidatta fin dalla tenerissima età, Molì, ha inizia-to a dipingere utilizzando materiali e colori reperiti nella falegnameria del padre, apprezzato artigiano del legno. Dopo aver scoperto la sua vocazione osservando in età infantile delle stampe delle acqueforti di Dürer, il giova-ne di Laurenzana inizia attraverso la pittura ad analizza-re il mondo circostante ed i meccanismi che lo muovo-no, mai completamente definiti ed accettati.

Ritiratosi prematuramente da scuola, isolato perché diverso dai suoi stessi compagni, il giovane Molì inizia a dipingere la natura, gli animali, gli uomini e le donne di quella civiltà contadina alla quale riesce a dare una nuo-va luce facilmente riscontrabile nei tratti, nelle pose, ne-

“If there’s a secret in my paintings it can be the following: in my portraits, in my profiles, in all my paintings, especially in my juvenile ones, I have described faces, people, animals just by painting their features, by copying their traits, always in the effort of digging into their hearths, always with the intention of drawing out the most hidden and secret part of their souls”.

Molì cuore ribelle

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gli occhi e negli stessi volti di quei contadini. Sono volti rugosi, bruciati dall’arsura dal caldo, consumati dal duro e quotidiano lavoro nei campi. Sono cavalli e galline e cani, e donne e bambini colti nell’attimo in cui mostra-no la loro immagine più vera, “in quella frazione infinite-simale di tempo nella quale ognuno si sente un tutt’uno con la natura e l’universo”.

È questa l’eredità che Molì ha lasciato alla sua terra, delle bellissime istantanee di una civiltà legata saldamen-te alla natura ed ai suoi cicli vitali, ritratta tra messi lussu-reggianti o nella quiete serafica delle abitazioni.

Con la chiamata al servizio militare però Domenico Molinari abbandona la sua terra e dà l’avvio al grande viaggio che lo vedrà peregrinare ora in Italia ora all’este-ro, alla ricerca del mitico Eldorado. Con pochi spiccioli nelle tasche, approda a Firenze, la città d’arte per anto-

nomasia, dove si ammala però di broncopolmonite. È lo stesso padre a riportarlo a casa. Presto però Molì sarà di nuovo in strada, lo vedremo prima a Roma, poi a Pa-rigi, dove continuerà a vendere i suoi quadri a passanti e turisti. Tra questi un ricco mecenate gli commissiona dei lavori e lo invita a trasferirsi in America.

Eppure raggiunta New York il giovane artista si ritro-va a vivere in un’angusta stanzetta di tre metri per tre dove avrebbe dovuto realizzare i suoi lavori mediante l’utilizzo di una vernice acrilica a spruzzo, dannosa per la sua stessa salute.

Tornato nuovamente alla macchia “tramutò, così come aveva fatto con il francese, il suo dialetto in inglese e fu di nuovo tra i bassifondi, tra i dimenticati, gli sconfitti” e gli emarginati. “E come per i contadini della sua infanzia - scrive Roberto Zito, curatore della pubblicazione 8

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“Sulle strade della Poesia… Viaggio nell’opera pittorica di Domenico Molinari” - anche quello spaccato di società di-venne il soggetto ossessivo dei suoi quadri e di quel suo particolarissimo linguaggio fatto non di parole, ma di segni e di materia trasformata in forma”. Eppure l’arte continuava a non pagare, bisognava dun-que trovare un compromesso. “E questo compromesso Domenico Molinari - ha scritto Roberto Zito - lo ha cer-cato e trovato in un’idea che, semplice e scontata è risul-tata innovativa e geniale. Egli ha pensato a dei quadri che fossero delle sculture, dei bassorilievi facilmente riprodu-cibili”.

Ritornò di nuovo a Parigi con questa nuova idea che gli frullava per la testa, e qui a Montmartre la nuova tec-nica, subito individuata con il nome di “sculpturalisme” non tardò a dare i suoi frutti. I suoi lavori colpivano l’os-servatore e soprattutto si vendevano con facilità, quel

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travagliato periodo di ristrettezze economiche stava or-mai per concludersi.

Molì acquista allora due locali, un vecchio negozio per la vendita del carbone e la vicina caffetteria. Insie-me al fratello inizia la ristrutturazione dei locali che nel giro di poco tempo si trasformeranno in un atelier e in un ristorante chiamato “Le Dürer”, in onore del famo-so pittore francese, che presto diventerà uno dei punti di ritrovo più frequentati di Parigi.

Eppure nemmeno questo sembra essere importan-te per Molì, provvederà infatti a darlo subito in gestio-ne per tornare a dipingere, a creare, a vivere in strada. Come una specie di albatro “deriso dai gabbieri”, il pit-tore lucano dotato in egual modo di genio e sregolatez-za continuerà la sua vita da bohemienne, per tentare di saziare quello spirito indomito che ancora ruggiva per-ché non pago.

Dalla strada alle tele, dalla piccola fucina di Mont-martre alle grandi metropoli, dalla miseria alla fortuna più sfacciata, Molì ha sempre osato, sfidato la sorte, in-vestito e perso anche cospicue somme di denaro, ma è sempre riuscito a rimanere a galla, ad andare avanti, a vivere a modo suo, senza orari, senza abitudini, sen-za consuetudini.

Oggi Molì dispone di un proprio atelier in via Andrè Barsacq a Montmartre, il ragazzo di Laurenzana parti-to con tre mila lire in tasca per il servizio militare ne ha fatta di strada, ma come nel suo giovanile autoritratto il suo sguardo intenso, sembra scrutare ed interrogare l’universo, e ancora oggi come allora non riesce a cela-re quel non so che di inquieto che traspare dai suoi oc-chi chiari. E in tutta la loro grandezza i contadini di Molì, con i loro volti rugosi, continuano a vivere attraverso i suoi quadri. =

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BreviDALLA BASILICATA

Sottoscritto il protocollo d’intesa tra Regione e Sviluppo ItaliaIl documento, siglato dal Presidente della Regione Filippo Bubbico e dall’amministatore delegato di Sviluppo Italia, prevede la realizzazione di interventi a sostegno dello sviluppo produttivo e infrastrutturale della Basilicata. Tra le varie attività previste:la promozione dell’imprenditorialità giovanile, gli interventi a supporto delle piccole e medie imprese nella Val d’Agri, il sostegno al comparto agro-alimentare.

Assegnati 250.000 euro all’APTSono state approvate dalla Giunta Regionale le Direttive per la concessione di incentivi a sostegno del turismo sociale, congressuale e del fine settimana. I soggetti che potranno beneficiare di tali contributi saranno le agenzie di viaggio, gli operatori turistici singoli o associati, le organizzazioni senza scopo di lucro, le scuole pubbliche e private, i soggetti privati che organizzano soggiorni o attività convegnistiche in strutture ricettive lucane.

Approvato l’accordo di programma “Val d’Agri”L’Accordo di Programma tra Regione, Comunità Montane e Comuni prevede un investimento di 350 milioni di euro provenienti dalle royalty e devoluti alla Regione in seguito allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Sono interessati a tale Accordo trenta Comuni e sette Comunità Montane. Tra gli obiettivi: l’aumento dell’occupazione, la salvaguardia del contesto di vivibilità ambientale, la valorizzazione dei centri storici.

Eccezionale scoperta: ritrovati i tesori dell’antica Grumentum A Grumento (PZ) durante i lavori di scavo, nell’area del Foro, è stata rinvenuta la parte inferiore di una statua femminile, drappeggiata con tunica e mantello. La statua potrebbe essere datata tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C. (età Augustea). Il Soprintendente, Maria Luisa Nava, ha affermato che tale reperto archeologico fa pensare all’esistenza di un tesoro inestimabile, che dovrà essere riportato alla luce.

Primi passeggeri atterrati sulla pista Mattei a PisticciSono stati accolti dal sindaco di Pisticci (Mt), Pasquale Bellitti, e dal presidente dell’Asi, Angelo Minieri, i primi clienti della pista “Mattei”. Velivoli di piccola e media

grandezza potranno atterrare e decollare su questa striscia di asfalto. Una iniziativa che, senz’altro, andrà ad alimentare il flusso turistico della Basilicata.

Matera: inaugurato il Museo d’Arte Medievale e Moderna Nella città dei Sassi, a Palazzo Lanfranchi, è stato inaugurato il Museo d’Arte Medievale e Moderna, che si snoda attraverso tre sezioni. La prima sezione è riservata ai dipinti di Carlo Levi appartenenti all’omonima fondazione; la seconda è dedicata alla Collezione D’Errico, una raccolta di tele appartenenti al ‘700 napoletano. Infine, la terza sezione è dedicata all’arte sacra in Basilicata. Nella prestigiosa sede si possono ammirare anche sculture lignee del XII e XIII secolo e cinquecenteschi gruppi lapidei.

In netto calo la produzione cerealicola in BasilicataGravi perdite per il settore cerealicolo lucano: la produzione sarebbe diminuita addirittura dell’80%. La zona più colpita è quella del Melfese-Bradano in provincia di Potenza. La cause del magro raccolto sono da imputare alla scarsissime piogge dei mesi precedenti e al caldo torrido di questi giorni. La CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) ha avviato tutte le procedure necessarie per il riconoscimento dello stato di calamità naturale.

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a cura di Maria Verrastro

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Olten (Svizzera)5 Aprile 2003Musica folk e piatti lucani per festeggiare il decimo anniversario della nascita dell’Associazione lucana. Simpatico e di grande effetto il connubio di musica italiana, per la precisione lucana di Rapone e quella di Zurigo.

Alffoltern Am Albis (Svizzera)10 Maggio 2003 Grande successo per la manifestazione organizzata dall’Associazione regionale “Famiglia Lucana”. Numerose le attività che hanno allietato la serata: dalla degustazione di prodotti della cucina tipica lucana all’esibizione del gruppo folk “I Maggiaioli” di Accettura.

Torino16, 17 e 18 Maggio 2003 Il capoluogo piemontese ha ospitato una tre giorni organizzata dal Circolo culturale lucano “Rocco Scotellaro”, con un programma itinerante. Tra le manifestazioni più importanti: lo spettacolo teatrale tratto dall’opera di Scotellaro “Contadini del sud” e la proiezione del film “Cristo si è fermato ad Eboli” di Rosi.

Esch-Sur Alzette (Lussemburgo)18 Maggio 2003 In occasione della festa dei lucani nel mondo è stata organizzata dall’Associazione Lucani in Lussemburgo e da “Basilucania” una manifestazione che si è svolta presso la sala parrocchiale di Lussemburgo.

BreviDAL M NDO

Rio de Janeiro18 Maggio 2003 Grandi festeggiamenti si sono svolti in onore di San Rocco, patrono della collettività satrianese che si è insediata a Rio.

Roma19 Maggio 2003 L’Associazione dei Lucani a Roma e nel Mondo ha programmato una serie di iniziative come quella del I° Concerto internazionale “Note nel Mondo” che si è svolta con la partecipazione del Maestro Stenlio Cipriani e di altri artisti internazionali.

Londra24 Maggio 2003 Come ogni anno si è svolta ad Epsom, nella magnifica cornice della chiesa di San Giuseppe, la festa delle Associazioni Lucane presenti in Gran Bretagna. Musica e piatti tipici italiani hanno allietato la serata.

Innsbruck, Kitzbuhel (Austria)26 Maggio 2003 Nel quadro delle iniziative di promozione culturale italo-austriaca, l’Associazione tarantina “Presenza Lucana” ha partecipato a due incontri nelle cittadine austriache

per la presentazione ufficiale di un libro di poesie di Albino Pierro, tradotto in lingua tedesca.

Genova24/25 Maggio 2003 Nell’ambito delle iniziative per festeggiare i Lucani nel mondo, l’Associazione dei Lucani in Liguria ha organizzato una manifestazione culturale con un programma ricco di appuntamenti. L’iniziativa, svoltasi nel capoluogo ligure, ha visto l’esibizione del gruppo folkloristico di Pisticci, nonché la declamazione di alcune composizioni in vernacolo e la presentazione di prodotti enogastronomici ed artigianali tipici della Basilicata. Presente alla manifestazione anche il segretario dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Basilicata, Giacomo Nardiello., e Luciano Capriglione, componente della Commissione Lucani all’estero.

Reggio Emilia6 Giugno 2003 Presso il Centro Sociale di Reggio Emilia si è tenuta la settima rassegna di folklore, cultura e arte culinaria lucana e reggiana.

Melfi (Potenza)8 Giugno 2003 Numerose le iniziative promosse dall’Associazione Lucana in Umbria come quella che ha visto la partecipazione degli artisti della famosa infiorata di Spello (Pg). Inoltre, presso la sala espositiva del Comune di Melfi, sono state allestite mostre d’arte di artisti umbri ed è stata presentata la tipografia artigiana più antica d’Italia.

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Mi chiamo Maria Carmela Pietrafesa, sono nata a New York da genitori lucani.

A cinque anni i miei sono rimpatriati ed io ho trascorso gli anni formativi in Italia. Durante la permanenza a Filiano ho vissuto con i mie nonni, anziani agricoltori con uno spirito avventuroso. Mio nonno, che nel dopo Guerra aveva attraversato l’oceano per dare alla sua famiglia una opportunità migliore e mia nonna che lo ha raggiunto qualche anno dopo con le sue due figlie, sono senza dubbio i mie mentors ed esempi di persone su cui ho modellato la mia vita da adulto.

Ho sempre sentito in me quello spirito pioniere comune a quei lucani che hanno lasciato la propria terra per raggiungere altri paesi. Una decisione maturata in alcuni casi per mancanza di alternative, in altri per realizzare una vita diversa, una via d’uscita dalla povertà. Il desiderio di apprendere una nuova lingua, l’inglese e, soprattutto di conoscere una dimensione tanto “diversa”, mi diede la spinta per trasferirmi negli Stati Uniti, dove, mio padre lavorava. Qui inizia la mia avventura americana. Un periodo denso di esperienze formative che mi hanno aperto scenari diversi ed inimmaginabili. Immersa in una dimensione multiculturale davvero “speciale”, spesso mi sono chiesta: qual’è la mia patria? Mi sentivo on paper - come si dice in Inglese - cittadina statunitense, ma culturalmente italiana, lucana e precisamente aviglianese. Nelle mie vene scorre il sangue di quelle persone che, come ci ricorda Carlo Levi, “vivono fuori dal mondo”. Forse anche dimenticati dal mondo, ma con credenze e forza. Quella forza in grado di far affrontare qualunque difficoltà e di rendere la vita ancor più intensa.

Una Statunitense con l’animo Lucano

Una volta a New York sono stata rapita da questa città che ti offre tutto e dove tutto è possibile. Al principio mi sentivo stordita dai rumori, i colori, i sapori e soprattutto dai volti di questa metropoli ma, a poco a poco, mi sono resa conto di essere a casa. Ero circondata da milioni di persone come me che non potevano definire la loro nazionalità. Uno stato d’animo che inizialmente rendeva confusi, ma che poi, pian piano, diventava una condizione quasi naturale.

Oggi mi sento americana, ma conservo quello spirito che non è italiano, bensì lucano. Ed è uno spirito arcaico tramandato forse anche geneticamente, da generazione in generazione.Ormai sono una cittadina americana, ma con un accento italiano che non ho mai potuto eliminare, forse perché non voglio, poiché questa strana cadenza è ciò che mi tiene legata alle mie radici e da cui non ho voglia di separami.Vivo in uno Stato meraviglioso il Vermont dove sto per terminare gli studi in psicologia e dove vivo la mia vita da oriunda. In casa, per mia scelta, si parla sia l’italiano che l’inglese, si mescolano e si “confondono” tradizioni italiane dei miei antenati e quelle del luogo. Un luogo oserei definire “magico”, dove convivono in perfetta armonia la bellezza selvaggia della natura e la genuinità degli abitanti. Uno scenario perfetto e pieno di charm, preso in prestito da Woddy Allen per alcuni suoi filmA volte New York mi manca perché la sua energia rimane dentro come un vizio, ti spinge al limite e ti fa vivere ogni istante. Un contrasto netto con la vita del Vermont dove la tranquillità è di casa ed il passo è molto più lento. Una cara amica di New York descrive il cambio da Manhattan a Burlington (Vermont) come l’abbandono della caffeina per un vita basata sulla filosofia Zen. Qui, immersi in un verde lussureggiante, con stagioni invernali lunghe e fredde ed autunni dai magici colori, dove le industrie sono artigianali, agricole o ecologiche, Zen ti dà pace ed ispirazione e forse anche l’abilità di diventare persone migliori.

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America and American ItaliansPAGE 14 - The United States have developed as a multiethnic society and their history is made up of different ages: the colonial age, from 1600 to 1800, when the Europeans colonized the local population made of native American Indians. During this period the first towns, which depended on European economy, were founded.The growth age is the period when infrastructures were built and when in-dustrialization started and developed.The modern age involves three pheno-mena: the decentralization of the big industries, the migration of inhabitants towards the Texan Sunbelt towns and to California’s Silicon Valley and the post-industrial phenomenon which gave birth to the Megalopolis and which is characterized by a technological and demographic change.Before 1830 the Americans were a quite homogeneous population but later, due to immigrations, its composi-tion changed. The first migrants came from Britain, Germany and Holland and were Protestants: this group was called WASP and gave the guidelines for education, language, law and even religion.Later on further migration flows came to the United States from different countries, above all from Southern and Eastern Europe, and became minority groups. The first Italians coming to the United States were artisans and professionals from the North and only after 1880, people from the South started their migration to the “new world”; they were above all farmers, with no education and a lot of them came from Basilicata. Between 1880 and 1915 four million Italians came to

America and about one third of them was from the South. They usually settled down in towns were their fellow-citizens lived and created a lot of small “Montemurro”, “Cirigliano”, etc.The first two generations of American Italians had many problems of integra-tion but, starting from the third gene-ration, they became more and more integrated in the American society. The difficulties in integration were especially caused by prejudice and discrimination: Italians were all seen as Mafiosi and delinquents but nowadays these common places have almost completely disappeared. Some Lucanians are now holding important places, above all in the political field: Dennis Vacco, honourable judge, George Onorato, senator of the State of New York, Francis Ford Coppola, film director, William Philips, Nobel prize for physics, whose mother was from Ripacandida, Donato Curcio, President of United Sili-cone inc., Felice Marcantonio, president of Ferrari Driving School, Antony Sum-ma, president of Cross County Federal Saving Bank and many more. However, because of their integration, they probably feel more American and less Lucanian thus our association is working hard, through exhibitions and cultural events, to keep our Lucanian soul alive.

Intellectual and political parties facing the problem of emigration from Basilicata and the South of Italy in the early twentieth-century

PAGE 32 - Basilicata was the region affected the most by emigration but this did not bring about any political and ideological debate.The greatest intellectuals of the period

had different attitudes. Most of them didn’t consider emigration as a threat for the economy; for example, Sidney Sonnino said that it was only a “vent hole”. Nitti affirmed that the negative effects given to emigration were not confirmed by reality, and so did Fortu-nato. On the contrary, Ettore Ciccotti had a balanced position between them: he said that the Government could not forbid emigration but had the duty to support and orient the emigrants. Pietro Lacava, Minister of Finance in 1908, accused the severe consequen-ces of depopulation. Ausonio Franzoni wrote a report on emigration, characte-rized by a crude analysis and an open accusation of the evils of Lucanian society.Generally speaking, the positions of Lucanian Socialism can be summarized as follows: a) criticism of the special Laws; b) Ciccotti’s theoretical positions in favour of sharecropping as element for development; c) positions in favour of internal colonization by socialist cooperatives of Emilia Romagna.Catholics, on the contrary, were convin-ced that emigration was an element of disintegration of the agricultural economy, tending towards stressing the extensive character of Southern agriculture, but it was also the only way to avoid farmers’ rebellions.Thus the opinions of the political line-ups were completely different and divided the political parties between the powerful local dominating classes, aiming at keeping their dominions, and the new parties based on a cautious reforming and production philosophy. =

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A new Broccolino bridge...Aldo Michele RadicePresident of the Regional Council of Basilicata.

I’m really pleased to announce the birth of the first issue of “Mondo Basilicata”, magazine of “history and stories of emigration” published by the Regional Council of Basilicata. We are emotively involved in this subject, being Lucanians and members of families which have however given, yesterday more than today, a heavy contribution to emigration.This magazine’s clear aim is to increase the knowledge of the two regional communities which are nowadays developing side by side in the world. That’s why it is called “Mondo Basilicata”, because it wants to rejoin what history and needs have divided. This initiative is part of a series of activities carried out by the Region

Basilicata aiming at supporting our citizens abroad. I can mention two of them: the monographic issue of the magazine “Lucanians in the world” published by our Council in the past few years and the successful initiative of Rai Basilicata which proposes a televised bridge among the Lucanian communities living in different continents. A weekly date which shows stories of a lot of people from Basilicata who turned their sacrifices and labour into success.Furthermore, legislative, cultural, training and economical support activities which have been carried out through the Commission for Lucanians in the World since its foundation.This new initiative allows the Region

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to put the basis for making the institutional communication abroad less fragmentary and extemporary and for building a systematic, durable and permanent link with the Lucanian communities in the world in order to inform them about economy, culture and social and civil initiatives happening within and outside the region.With this will I greet, on behalf of myself and of the whole Regional Council of Basilicata, all the Lucanians, so that we can create a circuit of intercommunication which can only benefit all of us, hoping to give birth to a community of Lucanians proud to show, in any corner of the world, their common identity.

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... from postcardsto e-mails...Rocco CurcioCommission for Lucanians in the World

A goal proposed for long by the Lucanian communities in the world has been achieved by “Mondo Basilicata” at last.We had no instruments for keeping in touch the two Basilicata, the one which is living in the region and the one which lives scattered all over the world but which always feels to be a Basilicata from the cultural and emotional point of view.I think “Mondo Basilicata”, bearing in mind the heritage given by the extraordinary magazine issued by Giovanni Riviello, is the best tribute to those Lucanians who succeeded in keeping alive the fire of Nitti’s ideals and his strong proposals for a modernization of the South, while in Italy Fascism was affirming and democracy was dying.

In my opinion, the aim of the magazine should be to inform our communities living in Italy and abroad on what happens in our region. Basilicata, in its troubled becoming, has abandoned a literature made up of backwardness and poverty and has embarked on the way to modernization and development.Our communities abroad often experience their relation with their region as it was when they left. Perhaps we have not favoured sufficient elements to culturally support the Lucanians in the world in their understanding of the new Basilicata, small region in the heart of the South of Italy which is looking at Europe and at the world as a subject able to build positive and innovative relations.The magazine should also have the

task to overcome a relation with our communities abroad made up of nostalgia for a lost world.We must tell the Lucanians living in the region that we became what we are also thanks to the success and the labour done by the children and grandchildren of that army which settled down in the metropolis of the world in search of fortune.I think this magazine can be an essential tool to spread the knowledge of the Region Basilicata’s special policy supporting our communities in the world. I can mention the example of the solidarity policy applied in the “suffering area” which is today represented by Latin America. I think we must always repeat that citizenship rights always exist, even when citizens live far away from their place of origin.

IL GIORNALE VUOLE DICHIARATAMENTE SVOLGERE UN’AZIONE DI INTERCONNESSIONE

CON LE DIVERSE COMUNITÀ DI LUCANI CHE RISIEDONO ALL’ESTERO. SONO BEN

ACCETTE LE COLLABORAZIONI NELLE DIVERSE FORME CHE POTRANNO ESSERE INVIATE

VIA E-MAIL ([email protected] - [email protected]) O PER POSTA

(CONSIGLIO REGIONALE DELLA BASILICATA - UFFICIO STAMPA - VIA ANZIO PAL. B

85100 POTENZA). GLI ARTICOLI NON PUBBLICATI NON VERRANNO RESTITUITI.

ALCUNI INTERVENTI DI CORREGIONALI RESIDENTI ALL’ESTERO SONO STATI LASCIATI

NELLA STESURA ORIGINALE CHE RISENTE, IN QUALCHE CASO, DI UN’APPROSSIMAZIONE

NELLA VERSIONE IN ITALIANO. CIÒ NEL RISPETTO DELLO SFORZO CHE GLI AUTORI

HANNO COMPIUTO E ALLO SCOPO DI RISPETTARE L’AUTENTICITÀ “ESPRESSIVA” DELLA

LORO COLLABORAZIONE.

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È di 300.000 Euro la somma che la Commissione regionale dei Lucani nel mondo ha deciso di investire per il piano annuale delle attività a favore dei lucani sparsi nel mondo. Tra le iniziative è previsto uno stage di venti giorni presso l’ateneo lucano rivolto a una quarantina di giovani figli di emigrati che si trovano in Paesi nei quali sono presenti associazioni di lucani iscritte all’albo regionale. Scopo dello stage è far conoscere ai giovani, soprattutto dei paesi più lontani (America Latina e Australia), la storia, le tradizioni, la cultura e l’economia della Basilicata. Per poter partecipare bisogna avere un’età compresa tra i 18 e i 32 anni, essere studenti, diplomati e laureati e conoscere discretamente la lingua italiana. Le domande corredate di curriculum devono essere presentate presso le Associazioni di appartenenza che pubblicizzeranno l’iniziativa attraverso giornali, radio e televisioni. L’importanza di tale iniziativa è legata al fatto che la maggior parte dei componenti delle associazioni sono persone anziane e quindi è necessario che passino il testimone ai loro discendenti affinchè continuino gli scambi culturali e sociali con gli abitanti della Basilicata. La Commissione ha proposto, inoltre, di offrire un viaggio aereo, di andata e ritorno, per gli anziani emigrati nei paesi dell’America Latina i quali, per motivi economici, non sono più tornati nella loro terra d’origine. Si è deciso, poi, di destinare una parte della somma ai giovani imprenditori lucani residenti all’estero affinché entrino in contatto con le realtà produttive della Basilicata e possano conoscere

le nuove tecnologie. A questo proposito la Quarta Commissione del Consiglio Regionale della Basilicata ha approvato la proposta di legge presentata dal consigliere regionale Mariani tesa a favorire, attraverso contributi finanziari, il rientro degli emigrati che intendano avviare un’attività imprenditoriale nella nostra terra. Il programma prevede, anche, l’erogazione di contributi per le iniziative che le Associazioni e le Federazioni dei Lucani nel mondo intendono avviare nel corso dell’anno 2003; di contribuire alle spese per il rientro delle salme degli emigrati e dei loro familiari deceduti all’estero; di provvedere all’acquisto di pubblicazioni che trattano del fenomeno dell’emigrazione; di favorire, sempre tramite contributi, le Associazioni che desiderano organizzare interscambi culturali con scuole della Basilicata e far conoscere attraverso i mezzi di informazione ai lucani gli aspetti culturali, economici e sociali dei loro conterranei sparpagliati nel mondo; di elargire un contributo per le associazioni dell’Argentina e della Svizzera che sono ubicate in locali in fitto e di aiutare, mediante borse di studio, i ragazzi sia delle scuole superiori sia universitari che non si sono ricongiunti con la propria famiglia. La massima Assise territoriale, nella seduta del 29 aprile 2003, ha preso atto della richiesta di iscrizione all’Albo Regionale di due nuove associazioni. Si tratta dell’Associazione Lucana di Valença in Brasile e dell’Associazione Lucana di Bubikon in Svizzera.

Commissione Lucani all’estero: il Consiglio Regionale approva il Piano delle attività

NUMERO 0 _ ANNO 1GIUGNO 2003

COMITATO DI DIREZIONE

ALDO MICHELE RADICE, MARIA ANTEZZA, ANTONIO CORBO, DOMENICO MARTINELLI, GIACOMO NARDIELLO

COORDINATORE ATTIVITÀ DI INFORMAZIONE, COMUNICAZIONE, EDITORIA

DONATO PACE

DIRETTORE RESPONSABILE

NICOLETTA ALTOMONTE

REDAZIONE

LUCIANO CARPELLI, DOMENICO TORIELLO

COLLABORATORI

ENZO V. ALLIEGRO, ANNA DE STEFANO

ANGELA DIMAGGIO, GIUSEPPE FORTUNA

IVANA INFANTINO, GIANNI LACORAZZA

PINO MAFARO, ROSARIA NELLA

ROSITA ROSA, DOMENICO SACCO

GIANNI SILEO, CINZIA SPERA

DOMENICO TORIELLO, SALVATORE VERDE

MARIA VERRASTRO, VITO VERRASTRO

SEGRETERIA DI REDAZIONE

MARIA VERRASTRO

DIREZIONE, REDAZIONE, SEGRETERIA

VIA ANZIO, PAL. B - 85100 POTENZA TEL. 0971 447077 - FAX 0971 447197

PROGETTO GRAFICO ED IMPAGINAZIONE

ALTRIMEDIA SRL

VIA S. PIETRO BARISANO, 9 - MATERA

TEL. 0835 334273 - FAX 0835 337740

FOTO DI COPERTINA: LEONARDO NELLA

STAMPA E ALLESTIMENTO

FINIGUERRA ARTI GRAFICHE

VIA MISCIOSCIA - LAVELLO (PZ)TEL. 0972 88472 - FAX 0972 85022

È VIETATA L’ULTERIORE RIPRODUZIONE O DUPLICAZIONE CON QUALSIASI MEZZO

REG. TRIBUNALE DI POTENZA N. 308/2003

LE TRADUZIONI DALL’ITALIANO ALL’INGLESE SONO A CURA DI LIDIA PEDIO.

BASILICATAM NDO

Rivista di storia e storie dell’emigrazione

SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE FORNITA:• AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI POTENZA

• L’ASSOCIAZIONE CULTURALE “L’ALBERO DI MINERVA”• AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI BARILE

• L’ARTISTA LUCANA TERI VOLINI

• IL GIORNALISTA E SCRITTORE LUCANO, RAFFAELE NIGRO

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