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Modulo III L’empatia

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Modulo III

L’empatia

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Problematiche introduttive (1)

Dalla documentazione proveniente dalla letteratura e dall’antropologia evoluzionistica,

abbiamo rilevato,

quale funzione-d’umanità specie specifica, essenziale e basilare,

l’ immedesimazione intenzionale che, consentendo la coltivazione dell’umano, ne propizia il progresso cognitivo per trasmissione culturale cumulativa.

 

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Problematiche introduttive (2)

 Le discipline antropologiche empiriche e settoriali

giungono ad attestare tale funzione/capacità usando un metodo induttivo, che dagli effetti risale alle cause.

Pertanto esse individuano degli effetti (la rapidità dell’evoluzione del genere homo, la precoce comparsa di gesti deittici nei neonati, la rapida evoluzione linguistica nei bambini) e ne ipotizzano la causa nella dinamica antropologica di immedesimazione intenzionale.

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Problematiche introduttive (3)

Ma

esiste davvero nell’uomo una tale capacità/funzione/dinamicadi immedesimazione intenzionale?

Possiamo rendere ragione della sua

esistenza?

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Problematiche introduttive (4)

Per rispondere a tale domanda, dobbiamo uscire dall’ambito delle scienze empiriche e delle antropologie settoriali e entrare nell’ambito dell’ antropologia filosofica, seguendo le riflessioni di pensatori che aderiscono al nuovo modo fenomenologico di indagine filosofica.

Con loro potremo raggiungere la radice di senso del fenomeno dell’immedesimazione intenzionale nel vissuto empatico e cogliere di quest’ultimo la movenza essenziale, così da saperlo riconoscere quando ci accade e saperlo rivitalizzare quando ci sembra inaridito, sottraendolo all’occasionalità del suo accadere.

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Problematiche introduttive (5)

Ciò è particolarmente importante nelle helping professions, dove il graduale esaurimento della risorsa empatica è oggi sempre più frequentemente pensato come una tra le cause non secondarie del disagio lavorativo culminante nel cosiddetto burnout.

Infatti le condizioni in cui si determinano la deviazione, la sospensione, la rottura della relazione empatica e l’attacco ad essa sono considerate possibili antecedenti inavvertiti del burnout.

Contagio empatico, disempatia, oppositività sono forme di degrado del processo empatico, alle quali va aggiunta la forma più recente della esteriorizzazione o della sua trasformazione in dovere.

Cfr.: Allegato V (dove si analizza il fenomeno della perdita di capacità empatica e si prospettano dispositivi formativi per ritrovarla)

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Problematiche introduttive (7)

Ma, per ripristinare la risonanza empatica (Einfühlung), occorrono strumenti di livello insieme più elevato e più profondo.

Si tratta, infatti, di riattivare una funzione-di-umanità di base, prima della quale cioè niente altro di umano può logicamente manifestarsi.

Di conseguenza, per raggiungerla, bisogna spingersi a un adeguato livello di radicalità personale, un livello cui nessuna conoscenza o pratica empirica può, in prima istanza, pervenire.

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La dimensione intenzionale dei vissuti

Bisogna attendere il XX sec., perché nei vissuti umani venga colta l’intenzionalità, come caratteristica specie-specifica.

E’ nella Prussia positivistica post-bismarkiana, in cui tutte le cattedre di filosofia erano occupate o da psicologi o da fisici, che si sviluppa, infatti, a partire dagli studi di Edmund Husserl, un nuovo modo di filosofare, la fenomenologia.

Usando il metodo fenomenologico, Husserl scopre che la coscienza è la struttura intenzionale d’atto, che predispone le strutture di oggettività tramite le quali gli uomini colgono il mondo e lo “coltivano”.

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L’intenzionalità- E’ una parola che proviene dal latino medioevale (intentio)e significa il «tendere a»- I filosofi medioevali usavano l’espressione intentio per indicare il riferimento di qualsiasi atto umano a un oggetto diverso da sé; p. es.: di una rappresentazione alla cosa rappresentata, di un atto di volontà alla cosa voluta, ecc…- La nozione fu usata dapprima nell’ambito pratico: da cui anche l’odierno significato prevalente della parola «intenzione», che designa il riferirsi di un’attività pratica al suo oggetto.- Successivamente subentrò anche l’uso in ambito conoscitivo, a indicare i concetti, suddivisi in intentiones primae quando si riferivano alle cose reali, e intentiones secundae quando si riferivano ad altri concetti. - Secondo S. Tommaso (XIII sec.), nell’intenzione si esprime «la similitudine pensata della cosa» (C. Gent.,IV, 11, 11)

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L’intenzionalità della coscienzala coscienza è struttura intenzionale d’atto

=

c’è coscienza ogniqualvolta l’intrinseca intenzionalità

della coscienza si compie in un atto,

cioè

quando la tensione/il flusso energetico coscienziale,

si configura in modo tale che,

promanando dal polo soggettivo, raggiunge il polo oggettivo

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Formula dell’atto di coscienza

PS I PO

Ego cogito cogitata

Ego sentio sentimentum

Ego volo volitum

polo soggettivo tendere a polo oggettivo

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Nuova concezione della coscienza

A fondamento di ogni contenuto di coscienza c’è, per quanto inavvertito, un’essere attivo della coscienza, che predispone lo spazio mentale di oggettività, in cui è ospitato quel contenuto effettivo, che altrimenti resterebbe inevitabilmente fuori della nostra portata antropologica di conoscenza.

Per ogni esperienza vissuta c’è, imprescindibilmente, l’attivazione di una specifica operatività coscienziale (percezione, pensiero, sentimento, desiderio, attesa, ricordo, ….), senza della quale quell’esperienza per noi non potrebbe esserci.

Con tale innovativa concezione della coscienza, si sono aperte inattese possibilità di condurre o trasformare la nostra vita, approfondendo la coscienza di noi stessi.

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Il metodo fenomenologico d’indagine

La scoperta della coscienza come struttura intenzionale d’atto è stata resa possibile dall’uso del metodo fenomenologico d’indagine.

A differenza dei metodi psicologici e scientifici, che cercano le cause dei vissuti, esso prende in considerazione ogni fenomeno vissuto «per come in se stesso si manifesta».

Praticando la riduzione fenomenologica, che esclude dal campo d’indagine tutto ciò di cui si può dubitare (risultati scientifici, esperienza naturale, mondo psico-fisico e persona psicofisica di chi indaga), concentra l’osservazione solo sulla personale «esperienza vissuta della cosa, afferrata nella percezione, nel ricordo o in qualsiasi altro modo».

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L’esperienza vissutaL’esperienza vissuta di ciascun fenomeno rappresenta ciò

che non può essere messa fuori circuito. Che significa tale affermazione?Significa che si può dubitare che Io, questo Io empirico al

quale è assegnato un nome, una posizione sociale e che è fornito di particolari qualità, esista veramente.

Tutto il mio passato potrebbe essere un sogno e il suo ricordo un inganno, per cui può essere messo fuori circuito, rimanendo l’oggetto della mia considerazione solo come fenomeno.

Ma «IO», il soggetto dell’esperienza vissuta, che considero il mondo e la mia persona come fenomeni, io sono nell’esperienza vissuta e soltanto in essa permango, per cui non è possibile che siano cancellati sia l’Io che la stessa esperienza vissuta

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Il fenomeno della vita psichica altrui (1)

Procediamo, con Edith Stein, ad affrontare il caso che ci interessa, in antropologia culturale, quello dell’immedesimazione intenzionale, che così si delinea fenomenologicamente:

«Il mondo in cui viviamo non è solo un mondo di corpi fisici.È anche un mondo di soggetti estranei, oltre a me, ed io sono a conoscenza di questa esperienza vissuta.Questo sapere è qualcosa di cui è legittimo dubitare, dato che da esso siamo spesso tratti in inganno Ma il fenomeno della vita psichica estranea esiste ed è indubitabile, perciò possiamo osservarlo»

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Il fenomeno della vita psichica altrui (2)

- Stando alla nostra esperienza vissuta, ci rendiamo subito conto che il fenomeno di un individuo psicofisico è decisamente diverso da quello di un oggetto fisico.- L’individuo psicofisico non si dà soltanto come un corpo fisico, ma anche come un corpo-proprio di un Io, capace di avere delle sensazioni, di pensare, di sentire e volere. - Tale corpo-proprio inoltre non fa parte solo del mio mondo fenomenico ma è, a sua volta, centro di orientamento di tale mondo fenomenico, di fronte al quale si trova e con il quale io pure sono in rapporto reciproco.- Infine, potremmo intraprendere una ricerca per ricondurre alla coscienza, tutto quello che ci appare in aggiunta al corpo fisico

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Il fenomeno della vita psichica altrui (3)

Se poi prendiamo in considerazione i concreti e singoli vissuti di questi individui, possiamo renderci conto che ci sono altri modi di datità in aggiunta a quelli che rientrano nella cosiddetta «relazione simbolica».

P. es.:-Sono in grado di vedere che uno non prova un sincero sentimento di tristezza, anche se ha un’espressione triste sul volto.- di uno che dice cose sconsiderate e insieme arrossisce (simbolo) vedo che ha detto cose sconsiderate, che se ne vergogna e pure che è consapevole di aver detto cose sconsiderate e se ne vergogna (oltre l’apparenza sensibile verso l’interiorità intenzionale) .

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Rimando all’empatia

Tutte queste datità, relative all’esperienza vissuta estranea rimandano ad un genere di atti nei quali è possibile cogliere la stessa esperienza vissuta estranea.

Su tali atti si basa quella particolare conoscenza che vogliamo indicare col termine «empatia» (Einfühlung), astraendo dal senso che al termine è stato attribuito da tutte le tradizioni storiche.

Nell’ambito di esperienza vissuta/atti così circoscritto, possiamo cogliere e descrivere l’essenza stessa di questi atti.

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Una situazione empatica

«Un amico viene da me e mi dice di aver perduto il fratello

ed io mi rendo conto del suo dolore»

«Che cos’è questo “rendersi conto” (gewahren)?»

Non ci interessa qui invece sapere da dove so di questo dolore(forse dal suo volto pallido, dalla sua voce sommessa quasi afona, dalle parole attraverso le quali si esprime…)

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Percezione esterna ed empatiaIl rendermi conto del dolore dell’amico è un atto della percezione esterna?

No, perché gli atti della percezione esterna danno in carne ed ossa l’essere cosale-temporale e il suo accadere (=atto originario offerente), mentre qui ciò di cui mi rendo conto è il dolore, - che non è una cosa e - che mi viene dato «assieme» al volto percepito esteriormente.

Anche l’oggetto dell’empatia, però, si rivela hic et nunc, come quello della percezione

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Ricordo, attesa, fantasia ed empatia

C’è analogia tra gli atti di empatia e altri atti non originariamente offerenti, quali ricordo, attesa, fantasia, che non hanno il loro oggetto davanti a sé presente in carne ed ossa,

ma

se lo rendono presente.

-Il ricordo è atto di presentificazione che si compie ora, mentre il suo contenuto è non originario, ma è presentificato “come è stato vissuto una volta” oppure “come vorrei che fosse vissuto in seguito”, nel caso dell’atto dell’attesa.- Il fantasticare è atto di presentificazione di qualcosa che non c’è - L’empatia è l’atto di presentificare in me un vissuto che è in un altro

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La dinamica empaticaNell’istante in cui il vissuto emerge improvvisamente dinanzi a me (= l’espressione di dolore che leggo nel volto di un altro), io l’ho dinanzi come un oggetto

IO D (emersione del vissuto)

Mentre, però, mi rivolgo alle tendenze in esso implicite e cerco di portare a datità più chiara lo stato d’animo in cui l’altro si trova, quel vissuto non è più propriamente oggetto davanti a me, perché mi ha attratto dentro di sé,

IO D (t, t1,t2,t3…) (esplicitazione riempiente)

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La dinamica empatica (segue)per cui adesso io non sono più rivolto a quel vissuto (D), ma immedesimandomi in esso, sono rivolto al suo oggetto, lo stato d’animo altrui (t, t1,t2,t3…), e sono presso il suo soggetto (ALTRO), al suo posto.

IO D (t, t1,t2,t3…) ALTRO (esplicitazione riempiente)

Soltanto dopo la chiarificazione, cui si è pervenuti mediante l’attuazione giunta a compimento, il vissuto stesso torna davanti a me come oggetto IO D (t, t1,t2,t3…) ALTRO

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L’empatia non è contagio emotivo, ma atto

-Nell’empatia il soggetto del vissuto empatizzato non è lo stesso che compie l’atto dell’empatizzare, ma è un altro, dal momento che i due soggetti sono reciprocamente separati ( da ricordo, attesa, fantasia)

- Mentre io vivo la gioia/il dolore provata da un altro, non avverto alcuna gioia/dolore originaria: essa non scaturisce in maniera viva dal mio io, ma è l’altro soggetto quello che prova in maniera viva l’originarietà ed io me ne rendo conto, sebbene non la viva.

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L’empatia è atto

Nella mia esperienza vissuta non originaria mi sento accompagnato da un’esperienza vissuta originaria,

la quale non è stata vissuta da me, eppure si annunzia in me,

manifestandosi nella mia esperienza vissuta non originaria.

In tal modo perveniamo, per mezzo dell’empatia, ad una specie sui generis

di atti esperienziali di presentificazione.