MODULO FORMATIVO Laudato Si’

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AZIONE CATTOLICA ITALIANA DIOCESI DI VITTORIO VENETO MODULO FORMATIVO Laudato Si’ CHIAMATI ALLA CURA DELLA CASA COMUNE AURONZO (BL) - CASA CIMACESTA 14 - 18 AGOSTO 2016

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AZIONE CATTOLICA ITALIANA DIOCESI DI VITTORIO VENETO

MODULO FORMATIVO

Laudato Si’ CHIAMATI ALLA

CURA DELLA CASA COMUNE

AURONZO (BL) - CASA CIMACESTA

14 - 18 AGOSTO 2016

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In copertina: Francesco da Milano, “Ascensione” Sala dei Battuti – Conegliano (TV)

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INTRODUZIONE AL CAMPO Il modulo formativo persegue il fine di favorire una presenza attiva e consapevole della persona (sia individuale che collettiva), soprattutto dei laici cattolici, all’interno della società. Per questo, analizzando alcuni temi della “Laudato Si’”, Lettera Enciclica di Papa Francesco del 24 maggio 2015 sulla cura della casa comune, cercherà di aiutare nel:

• Far prendere coscienza dello stato della casa comune analizzando dati oggettivi;

• Ricercare il giusto uso della casa comune per i cristiani, esaminando i possibili equilibri tra la convivenza degli uomini e lo sfruttamento dei beni;

• Provocare a cercare insieme strade nuove per lasciare ai posteri una casa comune ancora bella: il creato dono di Dio;

• Enucleare possibili proposte pratiche.

Programma 14 agosto 2016

Arrivi ore 10.00, Santa Messa, conoscenza e presentazione del campo. 15 agosto 2016

Le scelte personali “Il bene comune” - Riflessione: LS 156, 157 e 158. “Chiamati ad essere poveri: una proposta personale, una questione sociale”. Relatore: Paolo Foglizzo

16 agosto 2016

Le scelte collettive “Cura e responsabilità” – Riflessione: LS 159, 160, 161 e 162. “Strumenti finanziari per l’ambiente: quale rischio?”. Relatore: Benedetto Gui

17 agosto 2016

Contemplare per scegliere “La riscoperta della bellezza” – Riflessione: LS 97, 103, 215 e 243. “La bellezza oltre l’estetica nella Laudato Si”. Relatore: Andrea Dall’Asta

18 agosto 2016

Partenza per Zuglio: un’esperienza di spiritualità nella natura.

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Domenica 14 agosto 2016

PRENDERSI CURA DELLA “CASA COMUNE” PROVOCAZIONI E SCELTE ISPIRATE ALLA LAUDATO SI’

Tutto è relazione e niente esiste fuori della relazione. È questa una delle affermazioni centrali che sottendono all’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Una convinzione che ci ricorda che il Dio cristiano non è la solitudine dell’Uno, ma la comunione – la relazione appunto – della Santissima Trinità. Questo documento, quindi, nel descrivere la realtà con le sue sfide e le sua potenzialità, desidera portare al cuore stesso del Dio-Trinità perché il mondo e l’umanità riscoprano la propria vocazione originaria scaturita dalle mani del Creatore: quella appunto di essere reciprocamente custodi, del fratello come del creato. Se, infatti, Dio è intimamente relazione, allora tutta la creazione – e in essa ogni uomo – rispecchia questa natura relazionale. Da questo concetto quindi deriva quello dell’interdipendenza tra tutti e della corresponsabilità collettiva per il destino comune. È proprio da questo intrecciarsi di relazioni che segue il compito che come cristiani oggi ci attende: quello di prenderci cura, avere a cuore la “casa comune”. Significa intessere una relazione amorosa, e non dominatrice, con la natura e con l’alterità del fratello, opponendosi in questo senso al paradigma moderno della dominazione e dello sfruttamento, definito dal papa con il termine “tecnocrazia”, ossia “dittatura della tecnica”. Oggi infatti, si tende a rendere il mondo e perfino l’uomo stesso un mero oggetto a cui applicare gli strumenti della scienza, quasi che questo possa risolvere ogni problema, dimenticando l’orizzonte valoriale e di senso entro cui la vita dell’uomo prende forma. A fronte del ricco messaggio di papa Francesco, questo campo intende allora essere un primo tentativo di approfondimento dell’enciclica Laudato si’, per cogliere dal Magistero del Santo Padre qualche indicazione che possa aiutarci a porre in atto scelte concrete per il bene di tutta la “casa comune” – con le sue molteplici relazioni – che siamo chiamati ad abitare con responsabilità. In particolare, il percorso di questi giorni sarà scandito da alcuni passaggi logici, con l’augurio e la speranza che diventino anche passaggi esistenziali che aprono a relazioni e stili di vita nuovi. Dapprima un affondo sulle scelte personali che la cura per la “casa comune” può ispirarci, nel solco tracciato dalla virtù della sobrietà; in un secondo momento, invece, l’attenzione si sposterà sulle scelte che intercettano la dimensione sociale, con un particolare sguardo a forme alternative di economia; infine, quasi come punto di arrivo del nostro percorso, un approfondimento su ciò che in realtà sta a monte di ogni motivazione dell’agire: la contemplazione della bellezza di Dio e del suo amore per l’umanità, come paradigma che offre la giusta prospettiva per cogliere ogni realtà – il creato come il fratello – come dono da accogliere nella gratitudine. Ringraziamo fin d’ora gli ospiti che hanno accettato di donarci il loro competente contributo: il giornalista Paolo Foglizzo, il prof. Benedetto Gui dell’Università di Padova, il gesuita padre Andrea Dall’Asta. Accompagnati dalle loro parole e dal loro farsi interpreti dell’unica Parola, ci avviamo a questo campo di formazione, con l’obiettivo che esso possa segnare l’avvio di un percorso che ciascuno personalmente è chiamato a compiere, per il bene di tutti.

Don Andrea Forest

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Lunedì 15 agosto 2016

Le scelte personali

IL BENE COMUNE

Bene comune = l’insieme delle condizioni della vita sociale che permettono sia alle

collettività che ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente

e più celermente. Può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del

bene morale.

Per la preghiera

INVOCAZIONE DELLO SPIRITO SANTO

Dio onnipotente, eterno, giusto e misericordioso, concedi a me misero di fare sempre, per grazia tua, quello che tu vuoi, e di volere sempre quel che a te piace.

Purifica l'anima mia perché, illuminato dalla luce dello Spirito Santo e acceso dal suo fuoco, possa seguire l'esempio del Figlio tuo e nostro Signore Gesù Cristo.

(San Francesco d'Assisi)

1a PARTE: confronto con la Parola di Dio e con documenti ecclesiali.

A- Uno dei presenti leggerà senza fretta i brani che seguono.

Versetti tratti da Genesi cap.1

In principio Dio creò il cielo e la terra. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio disse: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l'asciutto». Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie». Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra».

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Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie». Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini (abbia cura) sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.

La protezione dell'ambiente dovrà costituire parte integrante del processo di sviluppo e non potrà considerarsi in maniera isolata ». Dichiarazione di Rio sull'ambiente e lo sviluppo (14 giugno 1992), Principio 4. C'è una interazione tra gli ecosistemi e tra i diversi mondi di riferimento sociale, e così si dimostra ancora una volta che « il tutto è superiore alla parte ». Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 237. « Ogni lesione della solidarietà e dell'amicizia civica provoca danni ambientali ». Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 51. ... esiste una « ecologia dell'uomo » perché « anche l'uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere ». Benedetto XVI Discorso al Deutscher Bundestag, Berlino (22 settembre 2011). ... etica sociale. È « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente ». Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 26.

B - I partecipanti sono invitati a meditare in silenzio quanto ascoltato.

2a PARTE:

A - Spunti dall'Enciclica, che aiutano a riflettere sul tema.

156. … bene comune .... E' “l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente “.

157. “Il bene comune presuppone il rispetto della persona umana ... benessere e sicurezza sociale ... principio di sussidiarietà. ... il bene comune richiede la pace sociale, .... un'attenzione particolare alla giustizia distributiva, ... lo Stato ha l'obbligo di difendere e promuovere il bene comune”.

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158. “... un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri. Questa opzione richiede di trarre le conseguenze della destinazione comune dei beni della terra, ma, ... esige di contemplare l'immensa dignità del povero alla luce delle più profonde convinzioni di fede”.

B - Spunti da "Curare madre terra" (ed. EMI).

Tutto questo Francesco lo chiama ecologia integrale, che comprende sia la dimensione umana, sociale che quella ambientale. «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un'altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (139). In poche parole, Francesco viene a dirci che non ci può essere una giustizia sociale senza una giustizia

ambientale. (Alex Zanotelli, pag. 29).

«Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (139). Nell'ottica di una ecologia integrale, ogni singolo gesto è carico dì valore e di conseguenze e la profondità della visione biblica, teologica e sociale, a cui l'enciclica ci apre, si gioca (anche) in una «ecologia della vita quotidiana». Quanto sembra alla "superficie" delle nostre vite non è sconnesso né contrapposto a quanto avviene nelle profondità. Anzi, proprio nella superficie si svela e si rivela. (Giacomo Costa sj, pag. 53)

COMMIATO

Laudato sii mi Signore con tutte le tue creature. Specialmente Frate sole che dà la luce al giorno e che ci illumina

per Tua volontà raggiante e bello con grande splendore di Te è l'immagine Altissimo, altissimo Signore.

(San Francesco d’Assisi)

“Chiamati a essere poveri”: una proposta personale, una questione sociale.

Paolo Foglizzo ([email protected]) Redazione di Aggiornamenti Sociali

Da sempre la spiritualità cristiana propone la povertà come via di autenticità e felicità. Papa Francesco lo ha spesso ribadito, fin dall’inizio del suo pontificato. La tradizione spirituale ci aiuta a comprendere il significato profondo di questa proposta, mentre la dottrina sociale ne illumina la possibile declinazione in chiave sociale, economica e politica. Fin dai primi giorni del suo pontificato, papa Francesco ha riproposto il sogno di «una Chiesa povera e per i poveri»1. Sul tema è tornato di recente, lo scorso 4 ottobre, quando si è recato in pellegrinaggio alla città del santo di cui ha scelto di portare il nome, Francesco di Assisi. Incontrando i poveri assistiti dalla Caritas diocesana nella Sala della spoliazione del Vescovado, ha affermato: «Tutti siamo chiamati ad essere poveri», ricordando come la

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povertà della Chiesa non riguardi solo vescovi e cardinali, perché «la Chiesa siamo tutti»2. Anzi, non c’è altra strada per essere davvero cristiani che ripudiare quello «spirito mondano» (ivi) che fa di denaro, vanità e orgoglio degli idoli. In questo modo egli ripropone una domanda classica della vita spirituale, che interpella ogni uomo e ogni donna in ogni tempo: quella sul rapporto con i beni materiali e le ricchezze e, in ultima analisi, quale sia la base di una vita autenticamente umana, ovvero che cosa sia la felicità. Di primo acchito questa riflessione pare puntare a una dimensione strettamente personale; tuttavia, papa Francesco ci invita a compiere un passo in più. Infatti ha affermato che «lo spirito del mondo [...] è il cancro della società» (ivi), mentre il testo del discorso preparato per l’occasione e poi non letto si concludeva dicendo: «Per tutti, anche per la nostra società che dà segni di stanchezza, se vogliamo salvarci dal naufragio, è necessario seguire la via della povertà» (ivi). Ai suoi occhi, dunque, la povertà è una proposta anche in chiave sociale, economica e politica. Anche le scienze sociali hanno cominciato a mettere a fuoco questa tematica. Non è un caso che tra i filoni più innovativi della ricerca economica possiamo annoverare quella che è nota come “economia della felicità”3: a partire dalla elaborazione di indicatori con cui misurare la percezione di felicità delle persone4 e metterla in relazione con la ricchezza, tipicamente identificata con il PIL (Prodotto interno lordo) pro capite, si è giunti alla scoperta del “paradosso” che, oltre una certa soglia, aumenti di ricchezza producono una diminuzione del benessere percepito. Questi studi hanno dato ulteriori stimoli alle riflessioni critiche sulla bontà del PIL come misura sintetica del benessere e sulla necessità di sostituirlo o, almeno, affiancarlo con altri indicatori più attenti alle dimensioni della qualità della vita5. L’appello di papa Francesco a diventare poveri ha una grande tradizione spirituale alle spalle, da cui proveremo ora a trarre alcuni spunti che ci permettano di meglio mettere a fuoco il senso di quanto il Pontefice propone. Tenendo conto del percorso biografico di papa Bergoglio, rivolgeremo la nostra attenzione dapprima a Francesco di Assisi (1182-1226), di cui ha assunto il nome, e successivamente a Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù, dalle cui file il Papa proviene. Infine alcuni spunti della dottrina sociale della Chiesa ci aiuteranno a declinare questi stimoli per la nostra società. Si tratta di un percorso che tocca, seppur rapidamente, epoche assai diverse e lontane, che corrispondono a quasi mille anni di storia della Chiesa, ciascuna con una propria sensibilità e un proprio linguaggio. Queste differenze ci aiutano a renderci conto delle infinite sfaccettature della domanda sul rapporto tra beni materiali e felicità umana e dei diversi punti di vista da cui è possibile approcciarla. Perciò il contenuto delle risposte che essa ha ricevuto e che ora esamineremo è importante quanto il metodo seguito per elaborarle; ci troviamo infatti nel campo della sapienza umana ben più che in quello della conoscenza scientifica: non ci sono scoperte e acquisizioni fatte una volta per tutte.

Il poverello di Assisi

In questo percorso Francesco di Assisi, il poverello per antonomasia, il grande innamorato di madonna Povertà, rappresenta una pietra miliare, e certo non solo perché il Papa ne porta il nome. Così, ormai al termine della sua vita, egli narra il suo primo incontro con la povertà: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”6. È il racconto di una esperienza personale profondissima e intensissima, che conduce Francesco alla integrazione della propria persona (anima e corpo) e alla scoperta della felicità. Secondo san Francesco, dunque, la felicità si trova nell’incontro con la povertà, o meglio con i poveri (dunque con persone concrete, con le loro vite e il loro valore, non con

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un’idea astratta). Questa “intuizione originaria” si concretizza in una scelta di vita che la conferma. Dice ancora il santo: «Io ho scelto la santa povertà come mia signora, come la mia felicità spirituale e corporale»7. La povertà è dunque la via per raggiungere la felicità: questa è quella che conta, e la povertà – o il suo contrario, la ricchezza – non sono che strumenti per ottenerla. L’esperienza di san Francesco permette anche di mettere a fuoco in che cosa consista la felicità e in che senso la povertà ce ne dischiuda la via. Racconta la Leggenda perugina che un giorno, in presenza di Francesco, un frate proferì parole di disprezzo nei confronti di un povero. Francesco lo rimproverò aspramente, imponendogli come penitenza di togliersi la tonaca e inginocchiarsi di fronte al mendicante, implorando il suo perdono. Una volta tornato, Francesco gli spiega: «quando vedi un povero, devi considerare colui in nome del quale viene, Cristo cioè, fattosi uomo per prendere la nostra povertà e infermità»8. Incontriamo qui la dimensione squisitamente mistica della povertà: essa è la via della felicità perché permette una configurazione – la più stretta possibile – alla persona stessa di Gesù, che, come ci ricorda la seconda lettera ai Corinzi, «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Corinzi 8,9). In questa chiave papa Bergoglio spiega il senso del gesto di san Francesco di spogliarsi dei propri abiti, proprio nel luogo in cui questo venne compiuto: «Con quel gesto Francesco fece la sua scelta: la scelta di essere povero. Non è una scelta sociologica, ideologica, è la scelta di essere come Gesù, di imitare Lui, di seguirlo fino in fondo»9. Non a caso san Francesco ordina al frate di spogliarsi prima di chiedere perdono al mendicante: gli chiede cioè di rendersi anche visibilmente povero, di ripercorrere il cammino di Gesù, il quale, come ricorda l’inno della lettera ai Filippesi «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso» (Filippesi 2,6 s.).

Una dinamica di libertà

La seconda tappa del nostro percorso non si colloca nel Medioevo, ma all’inizio della modernità e ci viene dalla voce di Ignazio di Loyola, il fondatore dei gesuiti. Il suo libro degli Esercizi spirituali è il modo con cui egli ripropone a ogni credente il cammino spiri- tuale di liberazione di cui è stato protagonista in prima persona10. Si tratta di un manuale e non di un testo destinato alla lettura. Questa caratteristica e il tempo che ci separa dalla sua stesura ne spiegano una certa “durezza” espressiva e lessicale. Dopo una serie di indicazioni tecniche fornite per assicurare che gli esercizi portino frutto, al n. 23 il percorso vero e proprio si apre con quello che è noto come «Principio e fondamento», un testo che tratteggia in nuce tutto l’iter successivo: L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e, mediante questo, salvare la propria anima; e le altre cose sulla faccia della terra sono create per l’uomo, e perché lo aiutino a conseguire il fine per cui è creato. Ne segue che l’uomo tanto deve usare di esse, quanto lo aiutano per il suo fine, e tanto deve liberarsene, quanto glielo impediscono. È perciò necessario renderci liberi rispetto a tutte le cose create [...], in modo che, da parte nostra, non vogliamo più salute che malattia, ricchezza che povertà, onore che disonore, vita lunga che breve, e così via in tutto il resto, desiderando e scegliendo quello che più ci conduce al fine per cui siamo creati. La salvezza dell’anima, nel quadro teologico dell’epoca, altro non è che la beatitudine: dunque ci muoviamo ancora nel registro della felicità. Analogamente «il fine per cui siamo creati» è quello che oggi chiameremmo “senso della vita”. Rispetto a questo fine, ricchezza e povertà hanno un carattere strumentale; dunque, tra le due vi è un ordine gerarchico: la felicità è il fine, mentre povertà o ricchezza stanno tra i mezzi per raggiungerlo, da utilizzare tanto quanto servono. Sentiamo qui ancora un’eco della lettera ai Filippesi: «ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono

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iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza» (Filippesi 4,12). L’elemento di modernità della proposta ignaziana è la centralità della libertà e del desiderio: non vi è vera felicità se non sono coinvolte queste dimensioni profonde della persona. È proprio su di esse che il cammino degli Esercizi spirituali si propone di lavorare. Registriamo la grande consonanza con la testimonianza di san Francesco: anche per lui la povertà era stata una «scelta», dunque frutto di libertà e oggetto di desiderio. E Ignazio, se comincia proponendo l’orizzonte della indifferenza tra ricchezza e povertà, poco più avanti non ha paura di affermare che, a parità di condizioni, la seconda è certamente preferibile, e proprio per la stessa ragione mistica indicata da Francesco: l’imitazione di Cristo. Scrive infatti al n. 98 degli Esercizi spirituali: «Eterno Signore dell’universo, [...] io voglio e desidero ed è mia ferma decisione, purché sia per tuo mag- gior servizio e lode, imitarti nel sopportare ogni ingiuria e disprezzo e ogni povertà, sia materiale che spirituale».

Felicità della persona e dei popoli

Secondo le testimonianze concordi di Francesco di Assisi e Ignazio di Loyola, per poter gestire in modo sano il rapporto con la ricchezza dobbiamo avere davanti agli occhi il senso della nostra vita, la felicità. Questo vale anche nella nostra epoca che, come le precedenti, ha il suo modo per esprimersi a riguardo. Una recente, profonda e autorevole riflessione in materia ci è stata offerta da Benedetto XVI nel n. 53 della enciclica Caritas in veritate (2009): La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli. La relazione è dunque la chiave per la realizzazione personale, quella che Francesco, ripensando al proprio incontro con i lebbrosi, con un termine più accattivante aveva chiamato «dolcezza d’animo e di corpo». Il passaggio vertiginoso che l’enciclica opera è contenuto nelle ultime parole della citazione: quella dinamica, che a prima vista appare propria di un livello interpersonale e quasi intimo, viene proiettata su scala globale, così da reggere anche i rapporti tra i popoli. Lo ribadisce il paragrafo successivo: «Il tema dello sviluppo coincide con quello dell’inclusione relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli nell’unica comunità della famiglia umana» (ivi, n. 54). Questo obiettivo si realizza non solo attraverso le relazioni di prossimità breve, faccia a faccia, ma richiede una lunga serie di strutture, istituzioni, mediazioni: gli organismi internazionali, i trattati, la diplomazia, le norme che disciplinano il commercio, la finanza e la moneta, ecc. Rispetto a quello di Francesco e di Ignazio, il nostro mondo è segnato da una diversa consapevolezza delle dinamiche sociali: i rapidi e massicci mutamenti scatenatisi a partire dalla rivoluzione industriale e in continua accelerazione nei processi di globalizzazione rendono infatti evidente come le strutture della società, a cui si deve tanta parte del carico di ingiustizia e infelicità nel mondo, non sono un dato di natura, ma un prodotto dell’azione umana: abbiamo la possibilità e dunque la responsabilità di orientarli verso il bene. È la “rivoluzione copernicana” su cui si regge la “novità” della dottrina sociale della Chiesa rispetto alla tradizione teologica precedente11. Lo affermano sia Benedetto XVI nel n. 26 dell’enciclica Deus caritas est (2005), sia i nn. 87-88 del Compendio della dottrina sociale della Chiesa12.

Ricchezza e felicità: una questione politica

A partire da questa “rivoluzione copernicana” è possibile declinare la domanda sul rapporto tra ricchezza e felicità anche in chiave sociale, e ascoltare che cosa afferma a riguardo quella

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stessa esperienza di fede a cui, in epoche precedenti, avevano dato voce Francesco e Ignazio. Lo faremo scorrendo alcuni passi del CDSC. Per la dottrina sociale della Chiesa la questione della ricchezza appare innanzi tutto in rapporto al principio della destinazione universale dei beni13: da un lato è la chiave per istituire un rapporto sano con le risorse della creazione, che ne eviti il saccheggio e l’accumulazione indiscriminati e scongiuri l’esplosione delle disuguaglianze sociali; dall’altro esso illumina, ancora una volta, il carattere di strumento che le risorse materiali hanno rispetto al fine della felicità umana, intesa come «benessere degli uomini e dei popoli». La ricchezza e la sua formazione attraverso i processi economici (l’accumulazione, in termini tecnici) hanno una «funzione positiva» (CDSC, n. 174), ma solo a condizione che siano finalizzate a «realizzare un mondo equo e solidale» (ivi). È questa la grande potenzialità della ricchezza, se non viene tesaurizzata: essere impiegata all’interno dei processi di produzione «come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento» (ivi). Ribadisce il carattere strumentale della ricchezza il n. 177, dedicato al tema della proprietà privata, che è in fondo un sinonimo di ricchezza, almeno in una certa accezione: «La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo». Se la destinazione universale dei beni è il riferimento chiave con cui la dottrina sociale della Chiesa approccia il tema della ricchezza, un altro dei suoi principi fondamentali, quello del bene comune14, ci permette di rivolgere la nostra attenzione al rapporto con la felicità (collettiva) di quella ricchezza che abbiamo in comune. Le risorse disponibili devono infatti servire ad assicurare quelle «condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente», che è proprio la definizione di bene comune secondo il n. 26 della Gaudium et spes15. Il n. 166 del CDSC ne dà una traduzione estremamente concreta: Le esigenze del bene comune [...] riguardano anzitutto l’impegno per la pace, l’organizzazione dei poteri dello Stato, un solido ordinamento giuridico, la salvaguardia dell’ambiente, la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell’uomo: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni e tutela della libertà religiosa. Non va dimenticato l’apporto che ogni Nazione è in dovere di dare per una vera cooperazione internazionale, in vista del bene comune dell’intera umanità, anche per le generazioni future. A questo – per utilizzare termini oggetto di quotidiana preoccupazione – servono il PIL, la crescita, il bilancio in pareggio, la moneta e la finanza, le “manovre” e le leggi di stabilità. O meglio, se non servono a soddisfare le esigenze del bene comune, perdono il loro senso e diventano idoli nel cui nome inevitabilmente si compi- ranno sacrifici umani. Per l’insegnamento della Chiesa, la promozione del bene comune è compito dell’autorità politica (cfr CDSC, n. 168); in una democrazia rappresentativa, questo comporta la partecipazione dei cittadini a un dibattito pubblico su priorità e scelte collettive, in materia di destinazione delle risorse pubbliche così come di imposizione fiscale (lo strumento con cui l’autorità pubblica si procura i mezzi per la promozione del bene comune16). La domanda sul rapporto tra ricchezza e felicità rivela così una valenza squisitamente politica e fornisce una chiave per leggere più in profondità i dibattiti che accendono la nostra società e la nostra politica, ad esempio in merito alla tassazione degli immobili o delle rendite finanziarie.

Da “Aggiornamenti sociali” dicembre 2013 (814-821).

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Note:

1 Francesco, «Discorso ai rappresentanti dei media», 16 marzo 2013. I testi del Magistero qui citati sono disponibili in <www.vatican.va>. 2 Francesco, «Incontro con i poveri assistiti dalla Caritas», 4 ottobre 2013.

3 Per una recente rassegna di questo filone di studi cfr Bruni L., «Felicità e beni relazionali», in Revue du MAUSS permanente, 5

dicembre 2011, <www.journaldu mauss.net/spip.php?article857>; cfr anche id., «Per una economia capace di gratui- tà. A

proposito di felicità e di beni relazionali», in Aggiornamenti Sociali, 3 (2007) 187-198; Kahneman D., Economia della felicità, Il

Sole 24 Ore, Milano 2007.

4 Cfr Becchetti L. – Santoro M., «Ricchezza, qualità della vita e felicità: misura- zioni e paradossi», in Aggiornamenti Sociali, 7-8

(2003) 581-584.

5 Cfr Panebianco F., «Misurare il benessere. Gli indicatori alternativi al PIL», in Aggiornamenti Sociali, 9-10 (2012) 671-682.

6 Francesco di Assisi, Testamento 1-3 (FF 110).

7 Francesco di Assisi, Leggenda perugina 88 (FF 1644). La Leggenda perugina è una biografia di san Francesco, frutto della

compilazione di fonti diverse, risalenti ai ricordi dei compagni del santo, messe insieme a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. Il testo

è stato conservato in un manoscritto della Biblioteca comunale di Perugia (da cui il nome), scoperto e pubblicato nel 1922.

8 Francesco di Assisi, Leggenda perugina 89 (FF 1645).

9 Francesco, «Incontro con i poveri assistiti dalla Caritas», 4 ottobre 2013; cfr anche l’omelia della Messa celebrata nel

medesimo giorno.

10 Si tratta di un percorso di meditazione e preghiera a partire dagli spunti forniti da un accompagnatore, con cui l’esercitante

si confronta quotidianamente, e richiede di allontanarsi dalle occupazioni ordinarie per dedicarvi l’intera giornata. Nella forma

completa l’itinerario dura un mese e tutti i gesuiti – quindi anche papa Bergoglio – lo compiono almeno due volte durante la

loro formazione, di cui rappresenta un vero e proprio caposaldo.

11 A riguardo cfr Foglizzo P., «Criteri di giustizia. Un percorso nella dottrina sociale della Chiesa», in Aggiornamenti Sociali, 6

(2007) 456-467; id., «Giustizia e dottrina sociale della Chiesa», in Casaone C. – Foglizzo P. (edd.), Volare alla giustizia senza

schermi. Un percorso interdisciplinare oltre l’equità, Vita e Pensiero, Milano 2007.

12 Pontificio consiglio della giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, LEV, Città del Vaticano 2004. In

breve, d’ora in poi, CDSC.

13 Cfr Mellon C., «Destinazione universale dei beni», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2012) 164-168.

14 Cfr Coatanéa D., «Bene comune», in Aggiornamenti Sociali, 5 (2013) 424-428.

15 Concilio Vaticano II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 1965.�

16 Cfr Foglizzo P., «Fisco e bene comune», in Aggiornamenti Sociali, 6-7 (2013) 518-522.

PER LA RIFLESSIONE: o Per poter gestire in modo giusto le risorse dobbiamo guardare al senso della

vita: in che rapporto stanno ricchezza e felicità? Che cosa significa ingiustizia? La ricchezza viene impiegata per promuovere il benessere di tutti? E’ un fine o un mezzo?

o Le varie Conferenze tra gli Stati hanno rivelato che se da una parte c’è la

volontà di trovare delle strategie comuni per salvaguardare il Pianeta, dall’altra c’è una fatica nel dialogo e nell’adottare decisioni condivise per l’eccessivo peso che hanno gli interessi di parte. Come superare nel nostro contesto la logica individualistica spesso incapace di uno sguardo più ampio a favore del bene comune? Come educare a questo?

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Martedì 16 agosto 2016

Le scelte collettive

CURA E RESPONSABILITÀ

Le esigenze sociali del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e

sono strettamente connesse al rispetto e alla promozione integrale della persona e

dei suoi diritti fondamentali. Il bene comune impegna tutti i membri della società …

esige di essere servito pienamente in base ad una logica che tende alla più larga

assunzione di responsabilità.

Le scelte quotidiane, sia individuali che collettive, comportano conseguenze anche

sulla vita futura.

Per la preghiera

INVOCAZIONE DELLO SPIRITO SANTO

Siamo qui dinanzi a te, o Spirito Santo; sentiamo il peso delle nostre debolezze, ma siamo tutti riuniti del tuo nome; Vieni a noi, assistici, vieni nei nostri cuori; insegnaci tu ciò che dobbiamo fare, mostraci tu il cammino da seguire, compi tu stesso quanto da noi richiesto. Sii tu solo a suggerire e a guidare le nostre decisioni, perché tu solo, con Dio Padre e con il Figlio suo, hai un nome santo e glorioso. Non permettere che sia lesa da noi la giustizia, tu che ami l'ordine e la pace; non ci faccia sviare l'ignoranza; non ci renda parziali l'umana simpatia, non ci influenzino cariche e persone; tienici stretti a te e in nulla ci distogliremo dalla verità; fa' che riuniti nel Tuo santo nome, sappiamo contemperare bontà e fermezza insieme, così da fare tutto in armonia con te. Amen.

1a PARTE: confronto con la Parola di Dio e con documenti ecclesiali.

A - Uno dei presenti leggerà senza fretta i brani che seguono.

L'uomo ricco - (Mc 10,17-22)

Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

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« L'ambiente si situa nella logica del ricevere. È un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva». Conferenza Episcopale Portoghese, Lettera pastorale Responsabilidade solidária pelo bem comum (15 settembre 2003), 20. « Oltre alla leale solidarietà intergenerazionale, occorre reiterare l'urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intragenerazionale ». Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della

Pace 2010, 8.

B - I partecipanti sono invitati a meditare in silenzio quanto ascoltato.

2a PARTE:

A - Spunti dall'Enciclica, che aiutano a riflettere sul tema.

159. “La nozione di bene comune coinvolge anche le generazioni future. ...disco-noscimento di un destino comune, ... sviluppo sostenibile ... una solidarietà fra le generazioni. ... la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno”. 160. “... Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. ... A che scopo passiamo da questo mondo? ...”. 161.”... L'attenuazione degli effetti dell'attuale squilibrio dipende da ciò che facciamo ora, ...”. 162. “La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico. ....il rischio permanente di diventare profondamente individualisti ... la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l'altro. ...Non perdiamoci a immaginare i poveri del futuro, è sufficiente che ricordiamo i poveri di oggi, che hanno pochi anni da vivere su questa terra e non possono continuare ad aspettare”.

B - Spunti da "Curare madre terra" (ed. EMI).

Da dove viene la «cultura dello scarto» che ha provocato l'attuale disastro? La diagnosi del papa è chiara: le tanto idolatrate tecnoscienze (cfr. 104ss), alleate alla finanziarizzazione e alla follia di un'economia fondata su produzione e consumi illimitati (cfr. 56): ecco i tre mali che stanno alla radice del problema. Va da sé che papa Francesco non da credito a una soluzione di geoingegneria. Ancor meno crede nel mercato. Di fatto, gli apostoli della soluzione della tecnoscienza al problema climatico assomigliano all'apprendista stregone, in quanto sperano di domare l'incendio con gli stessi arnesi che l'hanno fatto scoppiare. E non è da escludere che le apologie che alcuni pronunciano in difesa di una soluzione tecnica- come ad esempio fabbricare un'alga in grado di assorbire la CO2 - siano nella migliore delle ipotesi dovute a dei manipolatori che mirano a conquistarsi uno spazio nel dibattito pubblico, e nella peggiore dovute a dei cinici che si sforzano di superare le ultime resistenze delle società al progresso della loro causa – ad esempio, le manipolazioni genetiche. ..... Dunque, i più ricchi dovranno passare necessariamente per un cambiamento radicale degli stili di vita, se vogliamo assumere la nostra condizione umana di abitanti di un pianeta limitato. Il che suppone, dice Francesco, che acconsentiamo a subordinare la proprietà privata a ciò che la tradizione cattolica definisce «destinazione universale dei beni» (cfr. 93ss; cfr. anche Gaudium et spes, 69, 1), ovvero, al

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fatto che tutti abbiano il diritto, tra gli altri, dì respirare un'aria pura, di bere un'acqua sana, dì godere di un lavoro decente. Ci sarà chi, nella società civile, si rallegrerà nel leggere, a firma del papa, che ciò implica la resistenza alla privatizzazione delle risorse naturali (cfr. 45). Troveranno allo stesso modo che la finanza «soffoca» l'economia reale (109). Proseguendo nella sua profetica denuncia del vitello d'oro finanziario, il papa non risparmia quello che ritiene il luogo della più grande resistenza al progresso verso un'umanità riconciliata con sé stessa e con il creato: la finanza dei mercati (cfr. 56, dove cita Evangelii gaudium, 56). Le pagine di Francesco sono su questo determinanti: l'ecologia non è solo una questione per gli zoologi e per gli amanti dei fiorellini. La sua prima preoccupazione è la deregolamentazione della finanza. Qui Francesco si ricollega alla lezione della più stretta ortodossia economica. In effetti, malgrado gli apostoli del mercato lo neghino, l'economia teorica mainstream dichiara formalmente che i mercati finanziari sono fondamentalmente inefficienti. Oggi vi sono persone che, dietro la promessa di rendimenti straordinari a fronte di un'irresponsabile assunzione di rischi (sempre a spese dei contribuenti, e dunque dei poveri), intercettano la liquidità monetaria e non permettono che le vagonate di denaro creato gratuitamente dalle Banche centrali da dieci anni a questa parte siano reindirizzate su degli investimenti verdi. In altre parole, la transizione ecologica suppone, anzi esige come condicio sine qua non, che abbiamo il coraggio politico dì regolamentare i mercati finanziari. Un coraggio che i nostri politici, in Europa, non avranno se la società civile non glielo imporrà. Perché, oggi come oggi, la classe politica di governo dell'Europa occidentale è prima di tutto controllata... dalle banche. (Gael Giraud , pag. 37 e ss.)

COMMIATO

Vieni in me, Spirito Santo, Spirito dell'amore: riversa sempre più la carità nel mio cuore.

Vieni in me, Spirito Santo, Spirito di verità: concedimi di pervenire alla conoscenza della verità in tutta la sua pienezza.

(Sant'Agostino)

Strumenti finanziari per l’ambiente: quali rischi?

Davide Pettenella ([email protected]) Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali (TESAF), Università di Padova Laura Secco ([email protected]) Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali (TESAF), Università di Padova, La qualità delle risorse ambientali, come l’acqua, l’aria, il suolo, ha bisogno di essere salvaguardata anche attraverso interventi economici e, data la riduzione dei tradizionali strumenti di finanza pubblica, emergono nuovi principi e mezzi per il governo dei servizi ecosistemici. Quali sono i fondamenti etici di tali nuovi strumenti e come garantirne l’efficacia? Gli AA. evidenziano rischi e aspetti problematici, aprendo scenari dinamici di reale coinvolgimento tra tutti i soggetti in gioco.

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C’è una crescente sensibilità nell’opinione pubblica, in molte organizzazioni della società civile e in parte della classe politica riguardo allo stretto rapporto che esiste tra la qualità della vita e una corretta gestione delle risorse ambientali. La tutela di queste ultime consente, infatti, di mantenere un flusso di servizi fondamentali quali la regolazione del ciclo delle acque e la protezione della loro qualità, la mitigazione dei cambiamenti climatici, la protezione dei suoli, la conservazione della biodiversità, le funzioni turistico-ricreative-culturali delle aree naturali e del paesaggio (servizi ecosistemici o ambientali). La maggior parte di questi servizi è un bene pubblico o comune, utilizzato dalla collettività a titolo gratuito e di cui spesso non si percepisce la consistenza e il valore (da qui le numerose iniziative internazionali di catalogazione e valutazione economica dei servizi ambientali). Garantire una gestione dell’ambiente naturale che consenta il miglioramento (o anche solo ilmantenimento) di questi servizi ha uncosto, a volte assai significativo. Talicosti possono manifestarsi in terminidi mancati redditi (ad esempio dovutia una minore produttività dei terreniagricoli quando si introducono forme dirotazione nelle produzioni o sistemi diagro-selvicoltura) o di costi aggiuntivi(ad esempio quando si impone la realizzazione di piantagioni arboree lungoi corsi d’acqua). Solo molto raramentequesti costi sono sostenuti o compensati, almeno in parte, da chi, in manieradiretta o indiretta, beneficia dei servizi ecosistemici che i gestori delle risorse contribuiscono a preservare. Come risultato di questa mancata compensazione/retribuzione, cresce la probabilità che gli ecosistemi subiscano fenomeni di degrado, tali da determinare un progressivo deterioramento dei servizi ambientali che da essi derivano e ulteriori costi aggiuntivi a carico della collettività.

1. Nuovi strumenti e principi di governance

Fino al recente passato la salvaguardia delle risorse ambientali e dell’offerta di servizi ecosistemici era basata prevalentemente su una regolamentazione passiva, con il ricorso da parte dei decisori pubblici a strumenti quali la rigida pianificazione della destinazione dei terreni, tasse e obblighi fiscali, vincoli, permessi di raccolta (come nel caso dei funghi) e licenze d’uso (si pensi alle attività venatorie). Oggi, anche alla luce della minor capacità di spesa del settore pubblico, si concorda sul fatto che per il mantenimento dei servizi ambientali, e in particolare per la conservazione della biodiversità, non si possa contare solo su strumenti passivi di comando e controllo (Sanchirico e Siikimaki 2007). È ormai riconosciuta l’importanza di trovare strumenti di retribuzione e compensazione, anche su base volontaria, tali da incentivare interventi attivi di tutela, più mirati a specifici obiettivi di offerta di servizi ambientali, più efficienti, più facilmente implementabili e controllabili nei loro impatti. Si tratta di strumenti che spesso si ispirano a quelli ordinari di mercato, adattandoli alle necessità dell’offerta di prodotti e servizi senza mercato: pagamenti per servizi ambientali (Payments for Environmental Services; cfr Pagiola et al. 2005; Engel et al. 2008), aste, permessi di emissione e relativi mercati, certificazioni ambientali e sistemi di ecolabelling, sponsorizzazioni e interventi filantropici, crowdfunding ambientali, ecc. (Gómez-Baggethun et al. 2010). Si tratta di strumenti che prevedono un ampio coinvolgimento di soggetti privati, con il conseguente alleggerimento del ruolo organizzativo e finanziario delle istituzioni pubbliche, spesso chiamate solo a svolgere funzioni di assistenza tecnica e giuridica, come per la ridefinizione dei diritti di proprietà e delle regole contrattuali o di mediazione e sorveglianza degli operatori. In questi meccanismi sono importanti il coordinamento, la corresponsabilità, la trasparenza e il consenso. Lo sviluppo di questi strumenti si può inquadrare nell’emergere di nuovi principi della governance del settore ambientale, volti sia a stimolare la crescita sia a prevenire la riduzione o perdita dell’offerta di servizi ecosistemici, sia a valutare i danni ambientali e prevedere misure di compensazione. A fianco del principio di precauzione, del principio “chi

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inquina, paga”, di quello delle “responsabilità comuni con azioni differenziate”, del “pensare globalmente, agire localmente”, l’Unione Europea (UE) ha promosso un nuovo principio alla base delle nuove politiche di governance ambientale: “Nessuna perdita netta” (No Net Loss), relativo alla conservazione della biodiversità. In due documenti del Consiglio dell’Unione Europea (Council Conclusions del 21 giugno 2011 e del 19 dicembre 2011) viene data una definizione di come dovrebbe essere applicato tale principio: «le perdite in termini di conservazione in un’area geografica o altrimenti definita vengono compensate da un guadagno in un’altra area a condizione che il principio “Nessuna perdita netta” non comporti un deterioramento della biodiversità esistente protetta dalla normativa della UE sull’ambiente naturale». In effetti l’obiettivo 2 della Strategia della UE sulla biodiversità fino al 2020 mira ad assicurare che non ci siano perdite nette nella biodiversità e negli ecosistemi; a tal fine, a partire dal 2012, la Commissione ha avviato una serie di attività supplementari per proporre un’iniziativa volta a garantire che non vi siano perdite nette di ecosistemi e dei relativi servizi, per esempio mediante regimi di compensazione (Commissione europea 2011, Azione 7, punto 7b). A tutt’oggi, però, l’iniziativa – prevista entro il 2015 – non si è concretizzata. Il concetto di compensazione ambientale ha peraltro avuto diverse altre autorevoli applicazioni su scala comunitaria: si pensi alle compensazioni ambientali legate alla Direttiva 1985/337 sulla valutazione di impatto ambientale e alla Direttiva 2001/42 sulla valutazione ambientale strategica, che prevedono la definizione di misure per evitare, ridurre e se possibile compensare rilevanti effetti negativi sull’ambiente di investimenti infrastrutturali e dei diversi piani economici. Anche la Direttiva 2004/35 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale prevede l’obbligo di interventi compensativi. La logica della compensazione è stata applicata anche in specifici interventi normativi su scala nazionale. Ad esempio la Legge n. 68/2015, Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente, ha introdotto nel codice penale l’istituto del ravvedimento operoso. La misura prevede la riduzione delle pene dalla metà ai due terzi per il reato di traffico illecito di rifiuti, nei confronti di colui il quale si adoperi per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi (cfr Landi 2015). A livello internazionale, tra i nuovi strumenti in campo ambien- tale, quelli che in questi ultimi anni sono stati più discussi sono le piantagioni forestali e soprattutto i cosiddetti REDD, realizzati nei Paesi in via di sviluppo nell’ambito dell’attuazione della Convenzione quadro per i cambiamenti climatici.

2. Lo sviluppo dei mercati dei servizi ambientali

Lo sviluppo dei nuovi strumenti in campo ambientale finalizzati a migliorare l’offerta o a compensare la riduzione di servizi ecosistemici è stato accompagnato dalla creazione di una serie di competenze professionali specializzate (consulenti, aggregato- ri, certificatori, promotori, organismi di monitoraggio, ecc.) e di infrastrutture di funzionamento dei mercati, come le Banche della natura, i fondi di investimento specializzati, standard e protocolli, sistemi di registrazione dei contratti, borse e listini, che si basano su interventi di classificazione e mappatura dei servizi ambientali e di valutazione del loro valore economico, con la collegata creazione di sistemi di contabilità ambientale. Ai tradizionali sistemi di comando e controllo o di erogazione di un incentivo che si basavano su pochi operatori e procedure lineari si è andato sostituendo un insieme articolato di operatori, alcuni tra loro in competizione, governati da regole e procedure complesse e non sempre trasparenti (Lemos e Agrawal, 2006). Il funzionamento di questi nuovi strumenti è spesso accompagnato da alti costi di transazione, legati alla raccolta di informazioni in mercati non trasparenti e alla

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definizione, stipula e controllo dei contratti. La presenza di vari intermediari tra il gestore del servizio ambientale e chi lo paga ha sollevato qualche perplessità sull’efficacia complessiva di questi nuovi strumenti. In effetti, secondo quanto ricordato dalla UE1, i costi per interventi di offerta di servizi ambientali hanno valori non indifferenti compresi tra i 30mila e i 100mila euro per ettaro, ma anche più alti in determinate circostanze. A livello globale, il mercato annuale per la sola compensazione della biodiversità è stato stimato prudenzialmente pari a un valore di almeno 2,4 miliardi di dollari, ma probabilmente è prossimo ai 4 miliardi. È per questa ragione che vengono utilizzati, con una accezione critica, i termini di «commodification» dei servizi ambientali e di «finanziarizzazione della natura» intesa come «un processo in cui le foreste, i boschi, i prati, le montagne, [...] vengono considerati semplicemente come un insieme di servizi ecosistemici che includono la biodiversità, la regolamentazione e la filtrazione di acqua, lo stoccaggio del Carbonio, e il cui valore che può essere stimato ed espresso in termini monetari» (Kill 2014, 12). Questi servizi ambientali, trasformati in servizi con valore commerciale, possono essere inseriti in mercati finanziari, nazionali e internazionali, venduti e acquistati alla stregua di altri prodotti finanziari.

3. Quali rischi?

Nell’applicazione dei nuovi strumenti di valorizzazione economica dei servizi ambientali si possono incontrare non poche difficoltà, che inducono a mettere in dubbio i fondamenti etici e l’efficacia stessa degli strumenti. a) Causa-effetto e permanenza

Un primo problema riguarda la corretta definizione del principio causa-effetto tra l’intervento gestionale in grado di generare un servizio ecosistemico, di cui si possono di norma facilmente calcolare i costi, e la quantificazione dell’effettivo miglioramento della performance ambientale, ovvero della qualità, quantità e quindi del valore del servizio. Ad esempio, non è sempre facile prevedere esattamente le relazioni tra una determinata pratica colturale in un sistema aperto agricolo-forestale e i relativi impatti in termini di miglioramento della biodiversità; analogamente non è sempre semplice evidenziare le relazioni dirette tra i cambiamenti di uso del suolo e i relativi impatti sulla qualità delle acque di falda. Evidentemente tali elementi di incertezza si ripercuotono sulla stima del valore del servizio stesso nella contrattazione tra le parti. Un altro problema può essere quello legato alla continuità. Tipicamente, gli schemi di pagamento per servizi ambientali dovrebbero prevedere contratti pluriennali, di lungo termine, e adeguate risorse per sostenerli. La certezza e la continuità dei pagamenti, che dovrebbero avere una durata tale da consentire ai fornitori dei servizi di riprogrammare in un orizzonte di mediolungo periodo le proprie attività gestionali, sono invece elementi non sempre associati ai nuovi strumenti di investimento ambientale (Wunder 2005). b) Fornire servizi o compensazioni?

C’è inoltre una sostanziale differenza tra pagamenti per fornire servizi ecosistemici e le compensazioni di danni ambientali previste dalle diverse iniziative normative precedentemente illustrate. Innanzitutto queste ultime dovrebbero essere sempre sottomesse a una logica di priorità, secondo l’approccio talvolta definito “MARC” dalle quattro priorità progressive di intervento (Measure, Avoidance, Reduction, Compensation). Questo approccio si basa, dopo l’attenta misura (Measure) degli impatti, sul privilegiare gli interventi volti a prevenire il danno (Avoidance), successivamente quelli di riduzione del danno (Reduction) e solo da ultimo quelli di compensazione (Compensation). Il fatto di rendere facilmente percorribile la compensazione, facilitandola con la creazione di Banche per la conservazione della biodiversità con progetti di fornitura di servizi ecosistemici già predisposti e in attesa di attivazione e con la disponibilità di fondi di investimento ad hoc

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facilita invece il ricorso allo strumento di compensazione, nei casi estremi trasformando la compensazione in una “licenza a inquinare”, un onere da pagare per realizzare opere che determinano danni ambientali (Kill 2014). Il rischio è quindi che gli interventi di prevenzione e riduzione del danno vengano sacrificati sul tavolo dei tempi e costi di realizzazione. Molta ostilità manifestata soprattutto da alcune organizzazioni ambientaliste verso i REDD si fonda su tale critica2. L’acquisto di crediti di emissione generati dai REDD nei Paesi in via di sviluppo permetterebbe di compensare i livelli di emissione in quelli sviluppati: una sorta di “neo-colonialismo ambientale” che consentirebbe di mantenere invariati i modelli di consumo e le tecnologie energetiche. Peraltro molti servizi ambientali non sono facilmente definibili in forme standard e commercializzabili come le normali commodities. Questo è particolarmente vero per la conservazione della biodiversità, mentre per il Carbonio (ovvero il servizio ecosistemico di assorbimento del principale gas a effetto serra, l’anidride carbonica), per la fornitura di acqua e per pochi altri servizi c’è la possibilità di utilizzare forme standard di misura e crediti da mettere sul mercato, consentendo l’attivazione di transazioni tra chi li offre e i possibili beneficiari. Inoltre i crediti relativi ai servizi ambientali che vengono messi sul mercato sono spesso promesse (impegni) di fornitura (“imaginary commodities”) e i contratti sono quindi intrinsecamente soggetti a un certo rischio. Come già accennato, l’evoluzione “spontanea” di questi mercati comporta l’emergere di una serie di operatori specializzati, l’aumento dei costi di transazione (anche collegati al diffondersi di pratiche illegali3), un progressivo distacco compratore-fornitore e un problema di equa distribuzione dei pagamenti tra i diversi soggetti del mercato. Quando i responsabili dell’offerta di servizi ambientali sono le comunità o i piccoli proprietari di terreni nei Paesi in via di sviluppo, spesso si trovano in una posizione molto debole nel definire un prezzo equo e acquisiscono solo una percentuale molto limitata dei pagamenti effettuati dai beneficiari, mentre gli operatori intermediari si appropriano della maggior parte del valore delle transazioni. In un mercato molto strutturato si possono determinare forme di “specializzazione” della domanda e dell’offerta di servizi ambientali: viene richiesto un particolare servizio (ad esempio la fornitura di crediti di Carbonio), col rischio di non considerare tutti gli effetti collaterali e indotti legati al benessere e alla stabilità della popolazione coinvolta negli investimenti. La specializzazione può portare alcuni operatori ad avere comportamenti speculativi con effetti paradossali quali, ad esempio, far crescere il prezzo dei crediti riducendone l’offerta e/o creando più danni ambientali. «Il mercato del Carbonio non si interessa di sviluppo sostenibile – ha affermato J. Cogen, un trader nel mercato del Carbonio –. Tutto quello che conta è il prezzo del Carbonio», in Lohmann 2006, 115. c) Il capitale naturale critico

Negli schemi di pagamento per servizi ambientali organizzati su base volontaria i fornitori dei servizi ricevono direttamente il pagamento, il cui ammontare si basa su una negoziazione dove esiste l’opzione della rinuncia; il potere contrattuale tra le due parti è quindi bilanciato. Ad esempio, un agricoltore rinuncia allo sfalcio di alcuni prati per favorire la nidificazione di una rara specie di uccelli contrattando con un soggetto esterno (ad esempio una ONG di protezione della natura) il pagamento del servizio. In molti interventi compensativi esiste invece un soggetto che subisce un danno ambientale collegato alla realizzazione di un determinato intervento (ad esempio un’opera infrastrutturale) e che ha un potere contrattuale molto limitato o nullo, non potendo evitare che l’intervento venga effettuato. Ma in questo caso ancora più significativi sono i problemi collegati al fatto che, con la realizzazione dell’intervento compensativo, le aree di compensazione sono spesso non contigue a quelle danneggiate e i beneficiari dell’intervento compensativo sono quindi diversi dai danneggiati, quindi il valore del danno si basa su una stima “oggettiva” dal punto di vista del compratore, non del danneggiato (in termini ad esempio di preferenze

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individuali, valori culturali, religiosi, ecc.), l’intervento compensativo è spesso successivo al danno, la compensazione è talvolta temporanea, mentre i servizi ambientali nell’area di intervento vengono spesso perennemente annullati o limitati (cfr Pileri 2007). Infine, nei casi più estremi, il servizio ambientale può riguardare il capitale naturale critico che deve essere tutelato come tale e non dovrebbe essere oggetto di una azione di riduzione nella disponibilità per le generazioni future (Turner et al. 1994). Da ultimo la creazione di sistemi di pagamento in contesti dove sono radicate tradizionali forme di buona gestione ambientale che comportano l’offerta di servizi ambientali (si pensi allo sfalcio di prati in condizioni di grande pendenza tuttora praticato, senza forti ragioni economiche, da alcune popolazioni montane) può portare all’indebolimento delle motivazioni etiche alla tutela di un bene collettivo fondate su criteri di gratuità e solidarietà sociale. La gestione di un capitale finanziario diviene così un fattore di destabilizzazione del capitale sociale locale.

4. Verso un corretto uso degli strumenti finanziari

Nell’affrontare il tema della finanziarizzazione dei servizi ambientali si è volutamente posto l’accento sui pericoli che questo processo determina4. Evidenziare alcuni rischi e aspetti problematici legati all’utilizzo di questi nuovi prodotti di investimento nella tutela dei servizi ambientali non deve portare a fare di ogni erba un fascio: non si tratta di tornare ai vecchi strumenti di regolazione del mercato, riaffermando la figura centrale dello Stato e dei suoi strumenti rigidi di controllo e mantenendo la società civile in una posizione passiva, né si tratta di demonizzare il mercato come strumento di efficiente allocazione di risorse scarse. Gli strumenti sopra ricordati richiedono una serie di condizioni per poter essere attuati correttamente e nel rispetto dei principi etici. Innanzitutto strategie d’insieme, continuità, corretta informazione e trasparenza nei rapporti contrattuali. Inoltre sono preferibili schemi di pagamento molto localizzati che avvicinino produttori e beneficiari dei servizi ambientali, basati su stime accurate del valore economico dei servizi, sui costi per il loro mantenimento, su modelli organizzativi adatti alle specifiche condizioni socioeconomiche e ambientali della zona (difficilmente validi e replicabili allo stesso modo su ampi territori). Produttori e utilizzatori andrebbero correttamente informati sul valore economico dei servizi ambientali e su quello sociale ed economico che il meccanismo di pagamento può avere a livello locale. Gli stessi dovrebbero poi essere disposti a collaborare, tra loro e con le istituzioni: per questo va segnalata la necessità di investire nella creazione o nel consolidamento di capitale sociale e di reti. Per gli investimenti compensativi sarebbe opportuno applicare rigorosamente un approccio MARC e individuare le risorse definibili come capitale naturale critico da escludere del tutto da logiche di compensazione, laddove ammissibile; la compensazione dovrebbe essere sempre preventiva, attenta agli aspetti distributivi e di equità territo- riale, basata su criteri fortemente prudenziali (“sovracompensazione”). In questo scenario necessariamente dinamico sarebbe auspicabile che la pubblica amministrazione si facesse promotrice di iniziative di coordinamento, animazione e mediazione, assumendo un ruolo attivo di partnership nelle politiche di sviluppo, agendo così in linea con le strategie che vedono le reti, le relazioni e i nuovi modelli organizzativi da essi caratterizzati come fattori di innovazione e controllo sociale (BEPA 2011; Commissione Europea 2013), fattori chiave di natura intangibile per una crescita economica inclusiva e sostenibile.

Da “Aggiornamenti sociali” aprile 2016 (316-325).

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Note: Sono state recentemente avviate numerose iniziative internazionali per la classificazione, inventariazione e valutazione economica dei servizi ambientali, ad esempio: per l’identificazione il Millennium Ecosystem Assessment – MEA (<www.millenniumas- sessment.org>); per la loro classificazione il Common International Classification of Ecosystem Services – CICES (<http:// biodiversity.europa.eu/maes/common- international-classification-of-ecosystem- services-cices-classification-version-4.3>); per la valutazione economica l’Economics of Ecosystems and Biodiversity – TEEB, (<www.teebweb.org>) e per la mappatura il Mapping and Assessment of Ecosystems and their Services – MAES (<http://biodi- versity.europa.eu/maes>).

I REDD (Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation)

I REDD, progetti di Riduzione delle emissioni da deforestazione e degradazione delle foreste, sono schemi di pagamento per servizi ambientali finalizzati a creare uno scambio economico, regolato da apposite forme contrattuali, per remunerare i responsabili della gestione delle foreste dei Paesi in via di sviluppo affinché, gestendo correttamente le risorse a rischio di degrado, evitino l’immissione in atmosfera del carbonio fissato nella biomassa legnosa e nel suolo. Perché tali schemi di pagamento funzionino correttamente, devono essere rispettati alcuni criteri di salvaguardia della correttezza delle transazioni quali la permanenza degli investimenti, la loro addizionalità, l’assenza di impatti negativi collaterali (leakage), l’equa ripartizione dei benefici tra le parti interessate. I REDD erano inizialmente stati esclusi dagli investimenti attuabili per il Protocollo di Kyoto a differenza degli interventi di piantagione, mentre hanno avuto una ufficializ- zazione con la COP 21 di Parigi e saranno presumibilmente il più importante strumento per le politiche climatiche nel campo degli interventi legati all’utilizzo dei terreni agricoli e forestali (in gergo: LULUCF – Land Use, Land Use Change and Forestry). Per mag- giori informazioni cfr <www.un-redd.org/> e <www.cifor.org/gcs/redd-map/>.

Le Banche della natura (Conservation banks, Green banks, Biodiversity mitigation banks, Habitat banks) sono istituzioni finanziarie che permettono agli operatori economici responsabili di interventi che causano perdita di biodiversità, di suolo o altri danni di carattere ambientale, di realizzare investimenti ambientali compensativi. I danni ambientali vengono valutati economicamente e la Banca offre possibilità di investimenti ambientali corrispondenti al danno. Tali istituzioni sono nate negli Stati Uniti e si sono diffuse in Brasile, Australia, Canada ed Europa anche in relazione all’affermarsi del principio “Nessuna perdita netta” di servizi ambientali. 1 Cfr Environmental economics. The use of market-based instruments, in <http:// ec.europa.eu/environment/enveco/taxation/index.htm#hab_bank>. 2 Si veda ad esempio la posizione del network FERN, una ONG nata nel 1995 per tenere traccia dell’impegno della UE sul tema delle foreste e coordinare le attività delle ONG a livello europeo (cfr <www.fern.org>). 3 I casi più noti sono quelli relativi al funzionamento del mercato della UE delle quote di Carbonio (l’European Trading Scheme), ma anche nel mercato volontario del Carbonio sono numerosi i casi di mancato rispetto di corrette pratiche di investimento e vendita dei crediti (cfr <www.sinkswatch.org>). Il capitale naturale critico è quella parte del capitale naturale che svolge servizi eco- sistemici fondamentali per la vita dell’uo- mo e la permanenza dell’ecosistema, che non possono essere sostituiti da altri tipi di capitale, come quello umano o sociale. Per questa insostituibile funzione il capitale naturale critico non dovrebbe essere intaccato in quelle attività economiche che vogliano definirsi come sostenibili. 4 Una analisi critica di questi sviluppi è stata presentata anche da papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, n. 171. Normativa Commissione Europea, La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia della UE sulla biodiversità al

2020, COM(2011) 244 definitivo, in <eur-lex.europa.eu>. Consiglio dell’Unione Europea, Council Conclusions del 21 giugno 2011, doc. n. 11978/11, <http://register.consilium.europa.eu/doc/ srv?l=IT&f=ST%2011978%202011%20 INIT>. Consiglio dell’Unione Europea, Council Conclusions del 19 dicembre 2011, doc. n. 18862/11, <http://register.consilium.euro- pa.eu/doc/srv?l=IT&f=ST%2018862%20 2011%20INIT>. Direttiva 1985/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985 concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001 concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Direttiva 2004/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. Legge 22 maggio 2015, n. 68, Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente. Risorse bibliografiche BEPA (2011), Empowering people, driving change: Social innovation in European Union, Publication Office of European Union, Luxembourg. Commissione Europea (2011), Strategia della UE per la biodiversità fino al 2020, <http:// ec.europa.eu/environment/pubs/pdf/factshe- ets/biodiversity_2020/2020%20Biodiversi- ty%20Factsheet_IT.pdf>. — (2013), Social Innovation Research in the European Union. Approaches, finding and future directions. Policy Review, Publication Office of European Union, Luxembourg, <https:// ec.europa.eu/research/social-sciences/pdf/po- licy_reviews/social_innovation.pdf>. Engel S. – Pagiola S. – Wuner S. (2008), «Designing payments for environmental services in theory and practice: An overview of the issues», in Ecological Economics, 4, 663-674.

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Gómez-Baggethun E. – De Groot R. – Lomas P.L. – Montes C. (2010), «The history of ecosystem services in economic theory and practice: From early notions to markets and payment schemes», in Ecological Economics, 6, 1209-1218. Kill J. (2014), Economic valuation of nature. The price to pay for conservation? A critical exploration, Rosa-Luxemburg-Stiftung Brussels Of- fice – No Financialization of Nature Network, Bruxelles. Landi G. (2015), «I nuovi delitti contro l’ambiente», in Aggiornamenti Sociali, 12, 856-863. Lemos M.C. – Agrawal A. (2006), «Environmental governance», in Annual Review of Environment and Resources, 31, 297-325. Lohmann L. (2006) (ed.), Carbon trading: a critical conversation on climate change, privatization and power, Dag Hammarskjöld Foundation, Uppsala.� Pagiola S. – Arcenas A. – Platais G. (2005), «Can Payments for Environmental Services help reduce poverty? An exploration of the issues and the evidence to date from Latin America», in World Development, 33 (2 SPEC. ISS.), 237-253. Pileri P. (2007), Compensazione ecologica pre- ventiva. Principi, strumenti e casi, Carocci, Roma. Sanchirico J.N. – Siikimaki J. (2007), «Natural resource economics and policy in the 20th century conservation of ecosystem services», in Resources, 165, 8-10. Turner R.K. – Pearce D.W. – Bateman I. (1994), Environmental economics. An elementary in- troduction, Johns Hopkins University Press, Baltimore. Wunder S. (2005), «Payments for Environmental Services. Some Nuts and Bolts», in CIFOR Occasional Paper, 42, 1-32, <www.cifor.org/ publications/pdf_files/OccPapers/OP-42.pdf>.

PER LA RIFLESSIONE: o Esiste uno stretto rapporto tra qualità della vita e corretta gestione delle

risore ambientali: quando l’attività economica può essere definita “sostenibile”? Quando l’uso degli strumenti finanziari può essere considerato etico?

o Quali sono oggi nel nostro territorio le esperienze di autentico sviluppo

praticate? Quali possibili proposte?

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Mercoledì 17 agosto 2016

Contemplare per scegliere

LA RISCOPERTA DELLA BELLEZZA

E’ urgente, dunque, affrontare una sfida educativa in tutti gli ambiti, dalle famiglie

alle scuole, alle associazioni religiose e pubbliche, che porti a stili di vita sobri, ma

anche a disposizioni interiori quali il rispetto per ogni vita e la passione per la bellezza,

la cultura e il patrimonio ambientale. Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci

aiuta a uscire dal pragmatismo utilitaristico.

Per la preghiera

INVOCAZIONE DELLO SPIRITO SANTO

Vieni in me, Spirito Santo, Spirito di sapienza: donami lo sguardo e l 'udito interiore,

perché non mi attacchi alle cose materiali ma ricerchi sempre le realtà spirituali.

( Sant'Agostino)

1a PARTE: confronto con la Parola di Dio e con documenti ecclesiali.

A - Uno dei presenti leggerà senza fretta i brani che seguono.

Sap. 13, 1-9

Davvero vani per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio, e dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che è, né, esaminandone le opere, riconobbero l'artefice. Ma o il fuoco o il vento o l'aria veloce, la volta stellata o l'acqua impetuosa o le luci del cielo essi considerarono come dèi, reggitori del mondo. Se, affascinati dalla loro bellezza, li hanno presi per dèi, pensino quanto è superiore il loro sovrano, perché li ha creati colui che è principio e autore della bellezza. Se sono colpiti da stupore per la loro potenza ed energia, pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati. Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore. Tuttavia per costoro leggero è il rimprovero, perché essi facilmente s'ingannano cercando Dio e volendolo trovare.

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Vivendo in mezzo alle sue opere, ricercano con cura e si lasciano prendere dall'apparenza perché le cose viste sono belle. Neppure costoro però sono scusabili, perché, se sono riusciti a conoscere tanto da poter esplorare il mondo, come mai non ne hanno trovato più facilmente il sovrano?

Papa Benedetto XVI invita ad "eliminare le cause strutturali delle disfunzioni economiche e di crescita incapaci di garantire il rispetto dell'ambiente" e "l'uomo è spirito e volontà, ma è anche natura". Il Patriarca Bartolomeo ci dice: "Un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio" e noi cristiani siamo chiamati ad "accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale". S. Francesco diceva che se non guardiamo la natura con stupore e meraviglia i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e le cura scaturiranno in maniera spontanea.

B - I partecipanti sono invitati a meditare in silenzio quanto ascoltato.

2a PARTE:

A - Spunti dall'Enciclica, che aiutano a riflettere sul tema.

97. Il Signore poteva invitare gli altri essere attenti alla bellezza che c’è nel mondo, perché egli stesso era in contatto continuo con la natura e le prestava un’attenzione piena di affetto e di stupore … 103. La tecnoscienza … è anche capace di produrre il bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel suo mondo materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza …. In tal modo, nel desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana. 215. … Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli. 243. Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio …

B - Spunti da "Curare madre terra" (ed. EMI).

Per questo l’umanesimo oggi deve promuovere una visione “più integrale e integrante” (141), capace di coinvolgere e far crescere “tutto l’uomo e tutti gli uomini” (Caritas in veritate, 55). Capace di mobilitare una “unione di forze e una unità di contribuzioni” (219): perché ciascuno, anche il più fragile, può portare un contributo. L’umanesimo della dignità è un umanesimo della contribuzione. Il linguaggio che ci educa alla custodia come cura, che ci aiuta a coltivare senza sfruttare e a riconoscere la bellezza del mondo come dono è quello della poesia e della preghiera. C’è una “crisi di estasi” nel nostro tempo, denunciava don Tonino Bello. C’è un oscillare tra l’arrendersi al non senso e la pretesa signoria sui significati: entrambi mortiferi.

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E invece, come scrive Rilke, “i dolori sono ignoti, l’amore non si impara, l’ingiunzione che ci chiama a entrare nella morte ci rimane oscura. Solo il canto sulla terra consacra e celebra”. L’essere umano che si prende cura, che benedice, grato per il dono che non può non voler tramettere a chi verrà dopo è capace di sperare e per questo di cantare: “Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza”(244). (Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, pag. 51 e ss.)

COMMIATO

Preghiera per la nostra terra

Dio onnipotente, che sei presente in tutto l'universo e nella più piccola delle tue creature, Tu che circondi con la tua tenerezza

tutto quanto esiste, riversa in noi la forza del tuo amore affinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza.

La bellezza oltre l’estetica nella Laudato si’

Andrea Dall’Asta SJ Direttore della Galleria d’arte San Fedele

Il testo della Laudato si’ di papa Francesco, ricco per i contenuti e fecondo per i tanti spunti presenti, può essere letto attraverso molteplici chiavi, permettendo così di tracciare al suo interno percorsi diversi, ciascuno dei quali in grado di gettare una luce sulla realtà poliedrica in cui viviamo. In questo contributo si ripercorre l’enciclica seguendo il filo conduttore della bellezza, un termine che non compare nel testo moltissime volte, anche se è presente in alcuni dei suoi punti salienti.

La bellezza, contemplata da sempre

Il concetto di bellezza ha attraversato tutta la storia dell’Occidente e dell’Oriente. La sua elaborazione è sempre stata al centro del pensiero filosofico e teologico, sin dall’inizio della nostra civiltà. È sufficiente pensare al mondo greco, dove il termine kalós significa allo stesso tempo “bello” e “buono”, in un’inseparabilità tra etica ed estetica. La parola “bellezza” è centrale anche nei testi biblici. Nel libro di Genesi – in cui il momento della creazione è concepito come una vittoria della forma sull’informe, su ciò che non ha vita, su tutto quanto si presenta come indifferenziato e indistinto – Dio, separando i diversi elementi del mondo, la luce dalle tenebre, il secco dall’umido e popolando la terra di vegetali e di animali, per creare alla fine l’uomo e la donna, si compiace della propria creazione. Da un caos senza vita si giunge in questo modo a un cosmo fecondo. Per sei volte risuona la frase: «Dio vide che era cosa buona». Per l’uomo e per la donna, il testo sottolinea: «Dio vide che era cosa molto buona». Come già kalós, il termine ebraico tov, utilizzato per esprimere la meraviglia del creatore, ricopre entrambi i significati di bello e di buono, a significare che bontà e bellezza sono costitutive della creazione. La visione del creato diventa così un’epifania della bellezza che

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affascina lo stesso Creatore. È un’esperienza di stupore che sorprende, come quando ci troviamo di fronte a qualcosa “altro da noi” che, venendoci incontro, ci interroga, ci interpella. È fonte di meraviglia, occasione di lode, in cui gioiamo della bellezza di un oggetto che si porge alla nostra visione. La creazione diventa occasione di contemplazione, che invita a una risposta.

La creazione rivela la bellezza del creatore

Sarebbe riduttivo e miope considerare la Laudato si’ solo una semplice esortazione di natura ecologica: al suo centro vi è l’attenzione alla creazione e il forte e ripetuto invito a rispettarla. Riferirsi alla creazione significa mutare lo sguardo che portiamo sulle realtà che ci circondano, significa considerare l’intima connessione tra i vari elementi del cosmo, le strette relazioni tra le diverse parti. Il testo dell’enciclica è percorso da un sottofondo tematico: “tutto è in relazione”, “tutto è collegato”. Nessun aspetto della vita può essere estrapolato dal suo contesto. Al centro della riflessione sta dunque la relazione tra le diverse parti del mondo e tutte le attività umane. Papa Francesco propone un’ecologia integrale, che non può ridursi a un generico senso “verde”, ma che costituisce un approccio che affronta la complessità, mettendo in relazione le singole parti con il tutto (1). In questo senso, tutti i fenomeni ambientali, come il riscaldamento globale, la deforestazione o la diminuzione delle riserve idriche, sono collegati con questioni che normalmente non sono associate a temi ecologici, come la invivibilità e la bellezza degli spazi urbani o il sovraffollamento dei trasporti pubblici. La bellezza va dunque contestualizzata nella prospettiva ampia e feconda di una “ecologia integrale” che richiede una vera e propria conversione di atteggiamenti dell’essere umano verso il mondo. In questa visione, l’enciclica ha una trama realmente interdisciplinare. Se papa Francesco aveva già invitato a essere «custodi dei doni di Dio» (2), nell’enciclica associa questo concetto a quello di tutela: «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS, n. 217). Riconoscere la creazione come opera di Dio è il primo passo per un’autentica custodia del creato, è una vera e propria vocazione. Prendersi cura del creato è un’esigenza della vita cristiana, una responsabilità che occorre assumere a livello individuale e collettivo. Da subito la bellezza è interpretata come qualcosa di originario, proprio della natura, appartenendo all’ordine della creazione: la bellezza è presente nella creazione, in quanto Dio ne è autore. L’aveva ben compreso Francesco d’Assisi, che riconosceva e invitava a riconoscere nella bellezza del creato la presenza stessa di Dio (cfr LS, n. 12). Uno dei modi suggeriti dal poverello di Assisi per vivere questa esperienza era di lasciare incolta una parte dell’orto del convento, perché la vegetazione selvaggia cresciuta senza l’intervento della mano umana potesse divenire un rimando all’autore della vita. Questo splendido esempio mette in rilievo come la bellezza sia qualcosa di gratuito, che cresce e si sviluppa spontaneamente, senza bisogno dell’intervento dell’essere umano. Anche le erbe selvatiche vanno riconosciute nella loro bellezza, malgrado il nostro primo atteggiamento possa essere quello di non apprezzarle e di sradicarle per fare posto a una vegetazione ordinata. La creazione è intrinsecamente bella, in quanto è un libro che parla della potenza di Dio, e va dunque contemplata e lodata. Al cuore della creazione siamo chiamati a riconoscere il Creatore. La bellezza non è frutto di una conquista umana, ma dono. La bellezza è dunque qualcosa di fondativo. Non solo, la creazione è sorella e madre, bella, accogliente: «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale

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ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”» (LS, n. 1). L’essere umano non può essere allora il dominatore del mondo, che si pone a proprio piacere al di sopra della creazione: questa non può essere considerata una proprietà di cui egli può liberamente disporre, per sfruttarla e impoverirla, ma un luogo dove egli vive come figlio e fratello. Custodire e coltivare definiscono il senso dell’attività umana nel suo significato più profondo. I testi biblici «ci invitano a “coltivare e custodire” il giardino del mondo (cfr Genesi 2,15). Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura» (LS, n. 67). L’uomo è “signore dell’universo”, in quanto deve esserne «amministratore responsabile» (LS, n. 116). Citando il testo di Genesi, Francesco rimanda all’idea del mondo come giardino: è dunque evocata la grande varietà cromatica della vegetazione, dei fiori e degli alberi, chiamati a costituire un insieme armonico. Ciascun elemento ha un ruolo fondamentale nell’accordo della totalità. La casa comune si manifesta dunque come una realtà complessa, in cui tutto è posto in relazione. Questa articolazione è segno della presenza di Dio: «L’insieme dell’universo, con le sue molteplici relazioni, mostra al meglio la ricchezza inesauribile di Dio» (LS, n. 86). È questa bellezza che il Figlio di Dio ha potuto contemplare: «Il Signore poteva invitare gli altri ad essere attenti alla bellezza che c’è nel mondo, perché Egli stesso era in contatto continuo con la natura e le prestava un’at- tenzione piena di affetto e di stupore. Quando percorreva ogni angolo della sua terra, si fermava a contemplare la bellezza seminata dal Padre suo» (LS, n. 97). La bellezza del creato giunge a compimento con la creazione dell’uomo e della donna. L’essere umano è infatti a immagine e somiglianza di Dio: «Dopo la creazione dell’uomo e della donna, si dice che “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Genesi 1,31). La Bibbia insegna che ogni essere umano è creato per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Genesi 1,26). Questa affermazione ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana, che “non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone”» (3). Nella casa comune del creato acquistano pienezza di senso le relazioni umane se non sono poste sotto il segno del dominio e del consumo del mondo, ma dell’apertura allo stupore e alla meraviglia (cfr LS, n. 11). In questo senso, la bellezza si traduce nel linguaggio della fraternità, di una libertà che si riconosce come donata, in quanto l’uomo non può mai porsi come ultima istanza (cfr LS, n. 6). La bellezza a cui fa riferimento papa Francesco non definisce dunque semplicemente un aspetto formale, ma profondamente etico, di una pienezza di vita da viversi nella comunione.

La bellezza delle opere umane

La bellezza è tuttavia anche attributo dell’attività umana, anche se «ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un’altra creata da noi» (LS, n. 34). L’enciclica non si riferisce solo a quanto siamo abituati a considerare capolavori, frutto della creatività e del genio umano nei vari campi artistici, dalla pittura alla scultura e all’architettura, dalla musica alla letteratura, ma riconosce la bellezza degli oggetti e delle opere realizzate grazie alle innovazioni conseguite dalla tecnoscienza quando è ben orientata. Ammirare un grattacielo o vedere un film realizzato utilizzando le recenti tecnologie sono vere e proprie esperienze della bellezza, che permettono «di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza» (LS, n. 103) che diviene anche un salto verso una più piena e profonda consapevolezza di sé. La bellezza esprime dunque qualcosa di profondamente umano e aiuta a uscire da una logica di semplice interesse: «Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal

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pragmatismo utilitaristico» (LS, n. 215). Amare la bellezza vuole dire affrontare la vita secondo una logica di gratuità, che superi qualunque dinamica dettata dal profitto economico e dall’interesse personale. Amare la bellezza appartiene infatti alla logica della lode e della contemplazione verso qualcosa che ci è stato donato e per il quale rendiamo grazie. Dove si manifesta questa bellezza in modo particolare se non nella città, che nasce dall’attività umana? Papa Francesco, dopo avere parlato della creazione, riprende dunque la dinamica biblica per leggere il rapporto tra la natura e la città. Se Genesi ci introduceva nel Paradeisos, nel giardino delle origini e della pienezza della relazione tra Dio ed essere umano, l’Apocalisse giovannea ci consegna la magnifica visione della Gerusalemme celeste che discende dal cielo, citata alla fine dell’enciclica. La città segna la meta del viaggio dell’umanità, è la casa comune del cielo. Dalla natura si passa a un contesto urbano, dunque, inteso come luogo di comunione e di fraternità, in cui «La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati» (LS, n. 243).

Una città che sa convivere con la creazione

Nell’enciclica la bellezza è un attributo della città che sa convivere con la natura. Tuttavia, nelle città contemporanee questi spazi di buona convivenza non sono disponibili per tutti, ma sono luoghi di esclusione e di emarginazione nei confronti di chi vive invece in zone degradate e deteriorate. La bellezza diventa allora patrimonio di pochi, facendo emergere contraddizioni che non possono essere ignorate: «In alcuni luoghi, rurali e urbani, la privatizzazione degli spazi ha reso difficile l’accesso dei cittadini a zone di particolare bellezza; altrove si sono creati quartieri residenziali “ecologici” solo a disposizione di pochi, dove si fa in modo di evitare che altri entrino a disturbare una tranquillità artificiale. Spesso si trova una città bella e piena di spazi verdi ben curati in alcune aree “sicure”, ma non altrettanto in zone meno visibili, dove vivono gli scartati della società» (LS, n. 45). La bellezza diventa dunque privilegio di pochi e ben presto svanisce se l’essere umano non se ne prende cura. Così, la terra diventa «meno ricca e bella» (LS, n. 34) quando gli interventi umani si pongono esclusivamente al servizio della finanza e del consumismo. La città, invece di essere luogo di vera crescita per chi vi abita, si fa allora invivibile e disumana. Papa Bergoglio, da vescovo di Buenos Aires, una tra le più popolose metropoli del mondo, ha vissuto in prima persona le pesanti conseguenze di uno sviluppo urbano disordinato e caotico che si traduce nell’invivibilità delle città e nello spreco di risorse naturali preziose. Gli abitanti delle città cresciute in modo smisurato, in particolare i più poveri, sono costretti a pagare un prezzo alto in termini di qualità della vita per l’assenza o l’insufficienza dei servizi essenziali e per gli effetti dell’inquinamento (cfr LS, n. 44). Questa attenzione alla città non può fare a meno di considerarne il patrimonio culturale. Accanto al rispetto della natura occorre infatti salvaguardare il patrimonio storico-artistico e culturale di una città, in modo tale che le sue diverse identità possano essere custodite e preservate. Occorre integrare la storia e prestare attenzione alle identità culturali – incluse le culture locali, espressione di una matrice più popolare che sarebbe erroneo considerare con sufficienza – contro la tentazione di distruggere quanto esiste per far posto a nuove città ideate e realizzate seguendo un’ideale ispirato all’ecologia: «Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio. In modo più diretto, chiede di prestare attenzione alle culture locali nel momento in cui si analizzano questioni legate all’ambiente, facendo dialogare il linguaggio tecnico-scientifico con il linguaggio popolare. È la cultura non solo intesa come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo, che

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non si può escludere nel momento in cui si ripensa la relazione dell’essere umano con l’ambiente» (LS, n. 143). Non si tratta dunque semplicemente di conservare dei monumenti, la cultura va intesa in senso partecipativo, attivo, va ripensata globalmente in un rapporto tra essere umano e ambiente. Francesco fa emergere qui un tema antichissimo, già presente nell’edificazione della città medioevale nel contesto del territorio in cui si sviluppa, così come nella teorizzazione delle città ideali del Rinascimento, sino a giungere alle città giardino, che nell’Inghilterra di fine Ottocento e poi in altri Paesi tentarono di creare un’armonia tra città e natura. Per questo sviluppo armonico della città nella natura occorre un cambiamento dei nostri paradigmi tradizionali, in un’integrazione tra ecologia e giustizia sociale. Per un «progetto di pace, bellezza e pienezza» (LS, n. 53), un approccio ecologico non può infatti fare a meno di diventare un approccio sociale, in cui la giustizia occupa un ruolo centrale. Papa Francesco fa emergere come in realtà non si possa parlare di bellezza senza una giustizia sociale che ascolti il gemito della terra e il grido dei poveri: «Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (LS, n. 49). La constatazione del degrado in cui versa la nostra società – inevitabile quando si guarda la realtà con onestà – non deve tradursi nella sfiducia e nella rassegnazione, perché è ancora possibile lavorare e collaborare per migliorare e custodire quanto abbiamo ricevuto in dono, nella consapevolezza che «Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza» (LS, n. 205).

Bellezza di Dio

Tuttavia, il modo con cui si può parlare di bellezza è innanzitutto relativo a Dio, alla Trinità: «quando contempliamo con ammirazione l’universo nella sua grandezza e bellezza, dobbiamo lodare tutta la Trinità» (LS, n. 238). L’enciclica lo ricorda in varie occasioni: «Maria [...] vive con Gesù completamente trasfigurata, e tutte le creature cantano la sua bellezza. [...] Nel suo corpo glorificato, insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza» (LS, n. 241); «Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio» (LS, n. 243). Infine, il termine “bellezza” ricorre ancora nelle preghiere con cui si conclude la Laudato si’: due volte nella «Preghiera per la nostra terra» («affinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza», «affinché seminiamo bellezza») e una volta nella «Preghiera cristiana con il creato» («insegnaci a contemplarti nella bellezza dell’universo»). La chiave interpretativa per riconoscere la bellezza è dunque prima di tutto teologica: «La fede ci permette di interpretare il significato e la bellezza misteriosa di ciò che accade» (LS, n. 79). Così, «nella spiritualità dell’Oriente cristiano la bellezza esprime l’umanità trasfigurata: “La bellezza, che in Oriente è uno dei nomi con cui più frequentemente si suole esprimere la divina armonia e il modello dell’umanità trasfigurata”» (LS, n. 235). Il termine “bellezza” è dunque riferito a varie dimensioni, dalla natura prima, all’essere umano e alle sue opere poi, ai progetti di pace realizzati nel corso della storia. Tuttavia, la bellezza è innanzitutto attributo di Dio, in quanto ogni altra bellezza viene da Dio che ne è l’Autore. Se prima di tutto la bellezza è una realtà di cui prendersi cura, diventa poi una realtà che gli esseri umani stessi possono seminare. Dalla bellezza della creazione a quella Dio, attraverso la bellezza umana, l’enciclica di Francesco risulta un vero e proprio cammino teologico. L’uomo, partendo dal riconoscimento della bellezza del creato giunge al riconoscimento della presenza di Dio al cuore stesso della creazione. Al centro è posta la giustizia, intesa quale asse orizzontale che incontra quello verticale, creando così un’intersezione che ricorda

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quella stessa formata dalla croce di Cristo. La bellezza rivela infatti primariamente l’essere di Dio. E nella bellezza, Dio si rivela all’umanità.

Da “Aggiornamenti sociali” aprile 2016 (330-337).

Note:

1 Cfr. Costa G. – Foglizzo P., «Evangelii gaudium: un “motore” per la Laudato si’ (I)», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2016) 156-163, e iDD., «Evangelii gaudium: un “motore” per la Laudato si’ (II)», ivi, 3 (2016) 242-251.

2 Papa Franesco, Omelia della messa di inizio del pontificato, Roma, 19 marzo 2013, in <www.vatican.va>. L’invito di Papa Francesco ha un rilievo particolare e solenne, trattandosi dell’omelia con cui ha inaugurato il suo pontificato.

Laudato si’, n. 12 D’altra parte, san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: “Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore” (Sap 13,5) e “la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode. 3 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 357, in <www.va- tican.va>.

Laudato si’, n. 103 La tecnoscienza, ben orientata, è in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano, a partire dagli oggetti di uso domestico fino ai grandi mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, agli spazi pubblici. È anche capace di produrre il bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza. Si può negare la bellezza di un aereo, o di alcuni grattacieli? Vi sono preziose opere pittoriche e musicali ottenute mediante il ricorso ai nuovi strumenti tecnici. In tal modo, nel de- siderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana. Laudato si’, n. 44

Oggi riscontriamo, per esempio, la smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili dal punto di vista della salute, non solo per l’inquinamento originato dalle emissioni tossiche, ma anche per il caos urbano, i problemi di trasporto e l’inquinamento visivo e acustico. Molte città sono grandi strutture inefficienti che consumano in eccesso acqua ed energia. Ci sono quartieri che, sebbene siano stati costruiti di recente, sono congestionati e disordinati, senza spazi verdi sufficienti. Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura.

PER LA RIFLESSIONE: o Amare la bellezza significa affrontare la vita secondo una logica di gratuità

che supera la dinamica dettata dal profitto economico e dall’interesse personale: siamo capaci di cogliere la bellezza dentro e fuori di noi ?

o Le città in cui viviamo sono luoghi di “bellezza”? Quali sono i progetti in atto

per integrare ecologia e giustizia sociale?

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Giovedì 18 agosto 2016

ZUGLIO: UN’ESPERIENZA DI SPIRITUALITÀ NELLA NATURA

Zuglio (Zui in friulano) è un comune italiano di 595 abitanti della provincia di Udine, in Friuli-Venezia Giulia. Sorge a 429 m in Valle del But o Canale di San Pietro (Cjanal di San Pieri), alla destra orografica del torrente, nella regione alpina della Carnia. Ha come frazioni tre paesi: Sezza, Fielis e Formeaso. L'ente comunale fu soppresso nel 1932 per essere aggregato al comune di Arta, fu poi ricostituito come comune autonomo nel 1946. È l'antica città Iulium Carnicum, la città romana più settentrionale d'Italia, fondata pochi decenni prima di Cristo, molto probabilmente durante il proconsolato di Giulio Cesare (58-49 a.C.), ed è oggi il centro archeologico della Carnia. Assunse un rilievo sempre maggiore per la sua posizione strategica, in prossimità della cosiddetta Via Iulia Augusta, la quale attraverso l'impervio passo di Monte Croce Carnico conduceva alle regioni del Norico. Gli scavi hanno portato alla luce tra il 1937 e il 1938, l'intero complesso archeologico, costituito dai resti del foro romano comprendenti una basilica, un tempio e un porticato. Molti reperti, preromani, romani e alto medioevali sono esposti nel Civico Museo Archeologico Iulium Carnicum che è situato nel Palazzo Tommasi Leschiutta a breve distanza dal Foro. In età tardoromana, gota e longobarda, fu sede episcopale (IV-VIII secolo) per volontà del vescovo aquileiese Cromazio. La diocesi, suffraganea di Aquileia, estendeva la sua giurisdizione alla Carnia e al Cadore. La Pieve di Zuglio diventò matrice delle undici che si crearono in Carnia: ogni anno, in occasione della festività dell'Ascensione, con il rito del "Bacio delle Croci", viene ricordato l'atto di sudditanza che tutte le chiese sottostanti alla giurisdizione della diocesi rivolgono alla croce rappresentate la Pieve di S. Pietro. A Zuglio, accanto alla lingua italiana, la popolazione utilizza il friulano carnico, una variante della lingua friulana. Nel territorio comunale vige la Legge regionale 18 dicembre 2007, n. 29 "Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana".

Monumenti e luoghi d'interesse

Strada del Foro. Nell'area degli scavi si possono ammirare i resti degli edifici che facevano parte dell'antica città romana di Iulium Carnicum: la basilica civile (prima età imperiale), la base del portico coperto con colonnato a capitelli tuscanici, un settore della platea lastricata con alcune basi di statue, il podio del Tempio, il criptoportico (vano seminterrato) della basilica con scalone di accesso al primo piano. Il Civico Museo Archeologico "Iulium Carnicum", inaugurato nel 1995, si trova al centro del capoluogo, nei pressi dell'area archeologica del Foro e raccoglie i rinvenimenti degli scavi della città romana, iniziati già nel XIX secolo (e precedentemente conservati in un piccolo Antiquarium) e oggetti provenienti dall'intera Carnia. Nel comune di Zuglio, a circa tre chilometri dall'abitato, si trova la Pieve di San Pietro in

Carnia, fra le più antiche del Friuli e a più riprese sede episcopale nell'alto Medioevo.

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S. Pietro in Carnia E’ una chiesa segnata dalle vicissitudini del luogo, più volte ricostruita, modificata e ampliata. La chiesa gotica attualmente esistente, fu voluta nel 1312 dal Patriarca di Aquileia, che la fece costruire con un'unica navata e tre altari, conservando la sagrestia precedente e incorporando la precedente parete settentrionale con le finestre romaniche, che tuttora si possono vedere. Nei secoli a seguire vennero fatte numerose modifiche ad opera di diversi maestri (quali ad esempio il Maistro Honz Stau Melz de Bolzan) dando vita ad un complesso asimmetrico molto interessante dal punto di vista architettonico. Molte importanti opere, tra cui la tela rappresentante la conversione di San Paolo (XVI-XVII secolo) e l'organo, di stile barocco, sono conservate nella Pieve. Interessante è pure la tela raffigurante la consegna delle chiavi a San Pietro di Francesco Pellizzotti (1791). Un capolavoro dell'arte rinascimentale è rappresentato dall'altare ligneo di Domenico da Tolmezzo (1481-1483). Interessanti anche la Cappella di San Michele, attigua alla Pieve, e la Chiesetta della Madonna delle Grazie, sottostante la Pieve.

La Polse di Côugnes

La Fondazione Polse di Côugnes è sorta dall’iniziativa di un gruppo di amici che coltivavano il desiderio di un luogo appartato in cui incontrarsi e coltivare la preghiera, lo studio e la ricerca: la splendida natura che circonda la pieve matrice di San Pietro in Carnia, è stata subito riconosciuta come luogo ideale. Dopo l’avvio dato dai fondatori, questo particolare progetto di comunità si è consolidato grazie al coinvolgimento attivo di molti sostenitori, tra i quali i volontari che ogni anno curano con passione e pazienza le piante coltivate nel Giardino dei Semplici. Il nome Polse di Côugnes, di non facile comprensione per i forestieri, racchiude in sé la storia dell’altipiano e la sua vocazione di luogo di meditazione, che i fondatori gli hanno voluto attribuire. In friulano, Polse definisce, infatti, il luogo del riposo; qui, in particolare, era quello che si concedevano gli abitanti del vicino borgo di Fielis, in occasione dello svolgimento di un compito faticoso e doloroso quale era il trasporto dei defunti per la sepoltura nel cimitero della pieve. Questa località veniva identificata proprio con il nome friulano Prâts di côugnes, i prati dov’erano frequenti le lumache, (côugnes). Su questi prati, oggi, sorge la Polse.

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Il Giardino dei Semplici

Nel 1996, negli spazi della Fondazione Polse di Côugnes è sorto il “Giardino dei Semplici”. Si tratta di un orto botanico tematico che comprende circa 1200 piante, in gran parte autoctone, disposte su quattro terrazzamenti distinti secondo un criterio legato alle proprietà o caratteristiche peculiari delle piante stesse. Il primo, infatti, ospita le piante alimentari e quelle che invece sono velenose; il secondo e il terzo le piante officinali e quelle utilizzate per la preparazione di amari e liquori; nell’ultimo, infine, trovano posto alcune famiglie botaniche presenti in Carnia e nel territorio limitrofo, nonché una parte delle piante protette dal Regolamento attuativo della legge regionale n. 9/2007. Dopo l’ultima terrazza, infine, lungo un sentiero tracciato nel prato si trovano le felci. Annesso all’orto botanico c’è un locale adibito a laboratorio attrezzato con apparecchiature specifiche, un erbario e una collezione di semi e di droghe vegetali. Qui si svolgono esercitazioni didattiche per studenti visitatori: di grande interesse sono le dimostrazioni pratiche sulla raccolta, conservazione e utilizzazione delle piante medicinali attraverso la preparazione di polveri, decotti, infusi, tinture, oleoliti, enoliti; attraggono molti appassionati, inoltre, le lezioni di anatomia vegetale. Il Giardino dei Semplici rappresenta un luogo di interesse non solo per appassionati, ma anche per studiosi e professionisti: è infatti sede di attività di studio e ricerca per gli studenti della Facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Trieste e della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Udine.

Le altre strutture del centro

Il complesso della Polse comprende, oltre al Giardino dei Semplici: un centro ecumenico per tutte le confessioni, con cappella destinata alla preghiera comune, un centro di astronomia con osservatorio, computer e sala multimediale, gestito dal Gruppo Astronomico Polse di Côugnes, una scuola di scampanio gestita dall’associazione “Scampanotadôrs Furlans”, una biblioteca storica con oltre ventimila volumi, un centro di pittura delle icone secondo la tecnica della tradizione orientale, un eremo ricavato da un vecchio fienile e, infine, un centro di accoglienza e ristoro.

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Appunti

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CONTEMPLARE LA BELLEZZA

Francesco da Milano, “Ascensione”

“Se provassimo a fermarci e a contemplare con la dovuta lentezza le numerose opere d’arte sacra che ancora sono presenti nelle nostre chiese; se cercassimo con pazienza e attenzione di guardarvi “dentro”, scopriremmo che in ognuna di loro risuona l’invito ad onorare la nostra esistenza terrena affidandoci a Dio e agendo illuminati dal suo amore e dal suo insegnamento, come hanno fatto la Vergine e i numerosi santi che popolano queste preziose raffigurazioni sacre. Eppure, se penso al bellissimo monito che accompagna il prossimo Convegno ecclesiale diocesano, “Abita la terra e vivi con fede” (dal Salmo 37), la prima immagine che mi balza alla mente è quella delle impronte di piedi lasciate da Gesù sulla terra nella scena dell’Ascensione di Cristo presente nella Sala dei Battuti presso il duomo di Conegliano. Si tratta del penultimo di 38 riquadri ad affresco che ne ammantano completamente le quattro pareti e che, partendo dalla Creazione e dal Peccato originale, narrano successivamente la Storia di Gesù, dall’Incarnazione all’Ascensione al cielo, per chiudere con il Giudizio finale, posto quest’ultimo sopra la porta d’ingresso. Il ciclo si deve al pittore Francesco da Milano che lo realizzò all’inizio del secondo decennio del Cinquecento. Nel tempo, a causa di modificazioni strutturali della sala, alcuni riquadri sono andati perduti e sostituiti con altri ad opera di un ignoto frescante. ….. Questo affascinante ciclo coneglianese contiene un profondo messaggio di speranza: Dio ha mantenuto la sua promessa, si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi per lasciare, attraverso suo Figlio, un’impronta indelebile sulla terra. ….. Francesco da Milano ……. quello dell’Ascensione contenuto nel Vangelo di Luca (24, 50-53) e appena accennato da Marco (16, 19). Nella scena, il pittore rappresenta in modo efficace e dinamico il momento del ricongiungimento di Gesù al Padre: la sua figura infatti sta ancora salendo, ha già oltrepassato in buona parte la composizione, lasciandoci scorgere soltanto l’orlo inferiore della tunica da cui sbucano i piedi. Potrebbe sembrare una soluzione irriverente; al contrario, essa si riveste di un sorprendente spessore simbolico: il Cristo è ancora visibile nella sua dimensione umana, si è appena staccato dalla terra, sulla quale sono evidenti i segni del suo peso corporeo, del suo reale passaggio; ma Egli è già in un’altra dimensione, quella trascendente, gloriosa, che a noi da quaggiù è dato di percepire appena nella presenza della nuvola luminosa. L’invito è quello di farci spazio tra gli apostoli, raccolti intorno al monticello insieme alla Madonna, e di assistere con lo sguardo alzato, sbigottiti e gioiosi nel contempo, al compiersi di questo grande mistero, pronti a lodare Dio e a farci testimoni di questa relazione d’amore. E’ importante chiarire che questa scelta iconografica non costituisce in realtà un’invenzione di Francesco da Milano. La rappresentazione delle impronte infatti è di origine nordica, si afferma poi lungo l’area alpina già nel Quattrocento, ampiamente veicolata dai repertori di incisioni. Nel nostro territorio, oltre a quello nella Sala dei Battuti, si riscontra un altro celeberrimo esempio, quello inserito nel Ciclo del Credo nella Pieve di San Pietro di Feletto. In particolare, Francesco da Milano opera una vera e propria traduzione pittorica di una xilografia realizzata da Albrecht Dürer nel 1511 all’interno della Piccola Passione (per un riscontro bibliografico puntuale sul legame tra la serie di incisioni del Dürer e il ciclo pittorico coneglianese, si rimanda al bellissimo testo di Giorgio Fossaluzza dal titolo “Gli affreschi della Scuola dei Battuti di Conegliano”, Conegliano, 2005). Rispetto al maestro di Norimberga però, Francesco da Milano sottolinea un altro aspetto teologico, a cui l’incisione tedesca si riferisce in modo più sommesso. Aiutato anche dal dilatarsi del riquadro in senso orizzontale, il pittore inserisce in posizione centrale un grosso tronco secco da cui spunta un unico ramoscello frondato. Ciò corrisponde a quanto scritto dal profeta Isaia (11, 1-2): “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore”. In questo rinnovamento riconosciamo ancora una volta il Cristo, questa maestosa figura che si è innestata nella radice della nostra umanità offrendoci la linfa vitale della grazia, e che ci invita con il suo insegnamento a farci anche noi linfa e a vivere in modo autentico e responsabile il nostro tempo sulla terra.”

Dal Sussidio “E viene ad abitare la terra” - Avvento 2011.

Supplemento a “L’Azione” n. 46 del 13.11.2011 pagg. 13 e ss.

curate dall’Ufficio Arte Sacra diocesano.

Sussidio curato dal gruppo di lavoro del “Laboratorio d’idee” dell’Azione Cattolica della Diocesi di Vittorio Veneto (TV) con la collaborazione di don Andrea Forest, incaricato della Pastorale Sociale – Luglio 2016.

Relizzazione tenica C.P.L. s.r.l.