Miodrag Lekic Stato sovrano. Questa posizione sta ... filenia o la situazione in Bosnia Erzegovina....

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degli anni Novanta e che potrebbero, in caso di esito negativo, ostacolare tale percorso. Ne abbiamo parlato con il professor Miodrag Lekic, già ambasciatore di Jugoslavia in Italia. di Angelica Attolico 44 . east . europe and asia strategies numero 30 . giugno 2010 . 45 I l 2009 avrebbe dovuto essere, secondo quanto auspicato dall’ex commissario dell’Unione europea all’Allargamento Olli Rehn, “l’anno dei Balcani occidentali”. Tuttavia il 2009 è stato ampiamente superato e lo stato di integrazione della regione nelle strutture euro-atlantiche risulta ancora frammentato. Sebbene dei risultati positivi siano stati raggiunti, soprattutto per quanto riguarda la Serbia (sblocco della parte commerciale dell’Accordo di associazione e stabilizzazione con l’Ue; liberalizzazione del regime dei visti; deposito formale della domanda di candidatura all’Ue), rimangono ancora delle importanti questioni da risolvere (status del Kosovo rispetto alle relazioni con la Serbia; stallo politico-istituzionale della Bosnia; disputa del nome tra Macedonia e Grecia). Qual è il reale bilancio di quest’anno a suo parere? Sicuramente si può considerare il 2009 come un anno importante, come lo sarà anche il 2010. Ci sono stati dei traguardi concreti, come per la Serbia, ma lo stesso non può dirsi per quanto riguarda lo status quo in Macedo- nia o la situazione in Bosnia Erzegovina. Oltre all’esisten- za di parametri specifici (quali ad esempio i criteri di Co- penaghen) cui l’Ue guarda per valutare l’idoneità di uno Miodrag Lekic : sogno i Balcani in Europa A partire dalla fine degli anni Novanta si è aperta per i Balcani occidentali una nuova stagione che ruota intorno alla prospettiva di una possibile integrazione nelle strutture euro-atlantiche. Esistono però ancora oggi delle questioni irrisolte che affondano le loro radici nei conflitti I Stato ad aderire all’Unione, bisogna tener conto dell’esi- stenza anche di altri criteri che vanno sotto il nome di “interessi geopolitici”. In questo senso molto dipende dunque dal contesto geopolitico e dalla reale “volontà” da parte dell’Ue di integrare questi Paesi. Mi viene da pensare però che se il percorso potrebbe essere abbastanza fluido per la Croazia (il cui ingresso in Europa è atteso per il 2012), per la Serbia non può dirsi lo stesso, soprattutto con riferimento ai rapporti bilaterali con il Kosovo. La Serbia continua a riconoscere il Kosovo solo sulla base di quanto dettato dalla risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non come Stato sovrano. Questa posizione sta ostacolando ad esempio le iniziative di cooperazione a livello regionale come quella, lanciata di recente da Croazia e Slovenia, di tenere un incontro tra gli Stati della regione (il primo negli ultimi diciotto anni) al quale la Serbia ha rifiutato di partecipare, accettando una presenza del Kosovo solo sotto l’ombrello della risoluzione Onu 1244. Lei come vede una via di uscita a quest’empasse? È difficile per ora pensare a una via di uscita. I serbi so- no in attesa di ricevere il parere consultivo, come da lo- ro richiesto, della Corte internazionale di giustizia circa la legalità della dichiarazione di indipendenza del Ko- Il presidente croato Ivo Josipovic nel villaggio bosniaco di Ahmici mentre depone una corona sulla lapide che riporta i nomi dei musulmani uccisi dalle forze croate nell’aprile del 1993. L’eccidio, che fece quasi 100 vittime, fu una delle tante atrocità commesse in quel periodo. Il 14 aprile Josipovic ha espresso le scuse ufficiali per il coinvogimento del suo Paese nella guerra bosniaco-croata e ha invocato un radicale cambio di politica dei Balcani, i cui Paesi aspirano a entrare nell’Unione Europea. Studio Ghirotti Gobesso / A.F. Moro, R.s. Gobesso L’area dei Balcani e i rapporti con l’Ue Paesi membri Ue Paesi in attesa di annessione Altri Paesi ALBANIA AUSTRIA BOSNIA ERZEGOVINA KOSOVO ITALIA MALTA GRECIA ROMANIA UNGHERIA SLOVENIA CROAZIA BULGARIA MACEDONIA SERBIA MONTENEGRO TURCHIA Afp / Getty Images / E. Barukcic NEW EUROPE . 2

Transcript of Miodrag Lekic Stato sovrano. Questa posizione sta ... filenia o la situazione in Bosnia Erzegovina....

degli anni Novanta e che potrebbero, in caso

di esito negativo, ostacolare tale percorso. l

Ne abbiamo parlato con il professor Miodrag

Lekic, già ambasciatore di Jugoslavia in Italia.

di Angelica Attolico

44 . east . europe and asia strategies numero 30 . giugno 2010 . 45

Il 2009 avrebbe dovuto essere, secondo quanto auspicatodall’ex commissario dell’Unione europea all’AllargamentoOlli Rehn, “l’anno dei Balcani occidentali”. Tuttavia il 2009è stato ampiamente superato e lo stato di integrazionedella regione nelle strutture euro-atlantiche risulta ancoraframmentato. Sebbene dei risultati positivi siano statiraggiunti, soprattutto per quanto riguarda la Serbia (sbloccodella parte commerciale dell’Accordo di associazionee stabilizzazione con l’Ue; liberalizzazione del regimedei visti; deposito formale della domanda di candidaturaall’Ue), rimangono ancora delle importanti questionida risolvere (status del Kosovo rispetto alle relazionicon la Serbia; stallo politico-istituzionale della Bosnia;disputa del nome tra Macedonia e Grecia).Qual è il reale bilancio di quest’anno a suo parere?Sicuramente si può considerare il 2009 come un anno

importante, come lo sarà anche il 2010. Ci sono stati deitraguardi concreti, come per la Serbia, ma lo stesso nonpuò dirsi per quanto riguarda lo status quo in Macedo-nia o la situazione in Bosnia Erzegovina. Oltre all’esisten-za di parametri specifici (quali ad esempio i criteri di Co-penaghen) cui l’Ue guarda per valutare l’idoneità di uno

Miodrag Lekic:sogno i Balcani in EuropaA partire dalla fine degli anni Novanta si è aperta per i Balcani occidentali una nuova stagione

che ruota intorno alla prospettiva di una possibile integrazione nelle strutture euro-atlantiche.

l Esistono però ancora oggi delle questioni irrisolte che affondano le loro radici nei conflitti

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Stato ad aderire all’Unione, bisogna tener conto dell’esi-stenza anche di altri criteri che vanno sotto il nome di“interessi geopolitici”. In questo senso molto dipendedunque dal contesto geopolitico e dalla reale “volontà”da parte dell’Ue di integrare questi Paesi.

Mi viene da pensare però che se il percorso potrebbe essereabbastanza fluido per la Croazia (il cui ingresso in Europaè atteso per il 2012), per la Serbia non può dirsi lo stesso,soprattutto con riferimento ai rapporti bilaterali con ilKosovo. La Serbia continua a riconoscere il Kosovo solo sullabase di quanto dettato dalla risoluzione 1244 del 1999del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non come

Stato sovrano. Questa posizione sta ostacolando ad esempiole iniziative di cooperazione a livello regionale come quella,lanciata di recente da Croazia e Slovenia, di tenereun incontro tra gli Stati della regione (il primo negli ultimidiciotto anni) al quale la Serbia ha rifiutato di partecipare,accettando una presenza del Kosovo solo sotto l’ombrellodella risoluzione Onu 1244.Lei come vede una via di uscita a quest’empasse?È difficile per ora pensare a una via di uscita. I serbi so-

no in attesa di ricevere il parere consultivo, come da lo-ro richiesto, della Corte internazionale di giustizia circala legalità della dichiarazione di indipendenza del Ko-

Il presidente croato Ivo Josipovic nel villaggio bosniaco di Ahmicimentre depone una corona sulla lapide che riporta i nomidei musulmani uccisi dalle forze croate nell’aprile del 1993.L’eccidio, che fece quasi 100 vittime, fu una delle tante atrocitàcommesse in quel periodo. Il 14 aprile Josipovicha espresso le scuse ufficiali per il coinvogimento del suo Paesenella guerra bosniaco-croata e ha invocatoun radicale cambio di politica dei Balcani,i cui Paesi aspirano a entrare nell’Unione Europea.

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L’area dei Balcani e i rapporti con l’Ue

Paesi membri UePaesi in attesa di annessioneAltri Paesi

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procci massimalistici, si delinei uno scenario simile al-l’esito della Repubblica serba di Krajina in Croazia nel1995, vale a dire un’integrazione forzata della parte anord del fiume Ibar del Kosovo, generando nuovamenteprofughi verso la Serbia e nuovi scontri. Anche perché laSerbia, che al momento è incarnata dalla figura del pre-sidente Tadic, è una Serbia filooccidentale e, nel caso diuno scenario di questo tipo, Tadic perderebbe il potere eciò andrebbe a favore di forze più radical-nazionaliste.

Passando alla Bosnia Erzegovina, invece, si dice che per sbloccare la situazione si dovrebbe rendere sempre più chiara la prospettiva di una sua adesione all’Unione europea.Dato poi l’importante coinvolgimento della comunità internazionale da più di un decennio nella regione, in particolare nella forma dell’Alto rappresentante della

comunità internazionale (Ohr) e da molti consideratooramai un ostacolo, forse la soluzione risiede nell’adozione di un nuovo approccio fondato ad esempiosu di un processo di graduale responsabilizzazione della classe politica dirigente locale?Al posto della Jugoslavia noi adesso abbiamo molti

Stati, pseudo-Stati, protettorati. Due Paesi che hanno laforma di protettorato sono proprio la Bosnia Erzegovinae il Kosovo. La Bosnia, che si considera vittima di que-sta selvaggia disintegrazione della Jugoslavia, ha ogget-tivamente gli elementi di un protettorato, definiti negliaccordi di Dayton, che hanno il merito di aver posto finealla guerra e, al contempo, di aver delineato totalmenteanche l’assetto istituzionale del Paese. Ci sono però an-che delle contraddizioni. La Costituzione della BosniaErzegovina definisce come “popoli costituenti” l’etniaserba, croata e bosgnacca. Solo queste tre etnie possonopartecipare attivamente all’esercizio del potere politico.La politica è conseguentemente dominata da una retori-ca nazionalista che persegue obiettivi massimalistici eche alimenta posizioni fra loro difficilmente conciliabi-li (i serbi di Bosnia affermano che senza la RepubblicaSrpska non c’è la Bosnia; i bosgnacchi ribadiscono il con-trario; i croati sono alla ricerca di una propria forma dimaggiore autonomia che potrebbe portare anche alla

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un’intervista che ho letto si affermava che forse i serbi ri-schiano di cadere in trappola con questa sentenza, il cuiesito invece attendono molto. La Serbia ha risposto checomunque, avendo già perso il Kosovo una volta (da unpunto di vista di realismo politico), non può permettersidi perderlo due volte. Si tratta dunque dell’ultima cartada giocare. Questo è poi un paradosso. L’Europa e l’Occi-dente si basano molto sulle regole e sul diritto, al contra-rio di quanto storicamente abbia fatto Belgrado e questovale anche per Putin e per la Russia. Pertanto con il casodel Kosovo l’Occidente ha offerto un’occasione imperdi-bile alla Russia (non a caso pochi mesi dopo c’è stata laguerra in Georgia e il conseguente riconoscimento da par-te della Russia dell’indipendenza dell’Abkhazia e del-l’Ossezia del Sud). D’altra parte, se la Corte riconoscessela legalità dell’autoproclamata indipendenza del Koso-vo, Belgrado perderebbe l’ultimo argomento a suo favo-re e forse questo potrebbe contribuire all’adozione di unapproccio realistico-pragmatico da parte della Serbia,portandola ad accettare tale realtà. Ciò potrebbe portareall’ultimo momento la comunità internazionale ad inven-tare qualcosa, come ad esempio organizzare un negozia-to tra europei, russi e americani per quanto riguarda l’as-setto della parte Nord del Kosovo a maggioranza serba.Questo anche onde evitare che, con il sopravvento di ap-

sovo. Questo sicuramente non porterà i Paesi europei egli Stati Uniti a rinunciare al riconoscimento, ma d’altraparte avrà sicuramente un valore morale di notevolespessore, un peso politico. La mia opinione personale èche per una corretta valutazione del problema sia neces-sario collocarsi in una prospettiva diversa, che parta dal-l’idea che per la Serbia il Kosovo non è solo geografia, maqualcosa di più. Il Kosovo d’altronde non è mai stato unoStato ma sempre una provincia autonoma e dunque dalpunto di vista serbo, è un’invenzione. È difficile dunquepretendere che vi siano dei rapporti fra Serbia e Kosovoed è un errore, se non una trappola, pensare infatti a unarealtà “di due Stati”. In aggiunta al problema di come ri-solvere la loro congiunta partecipazione ad esempio al-la prossima conferenza in Slovenia a fine marzo, mi sem-bra che vi siano questioni più serie ancora aperte. Que-sto resta dunque un rebus geopolitico. La Serbia si trovadel resto in attesa del suo “De Gaulle serbo”, mi riferiscoal De Gaulle che ha riconosciuto l’Algeria.

Quindi, secondo lei, anche a seguito della pronuncia dellaCorte internazionale di giustizia, la situazione non cambierà?Non cambierà ma avrà un peso. I serbi hanno dalla lo-

ro parte questa volta la carta della legalità internaziona-le, che stanno utilizzando dinnanzi alla Corte dell’Aja. In

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A SINISTRA Il vice segretario di Stato americano James Steinberg

nel corso della sua visita in Kosovo nell’aprile del 2008

di fronte al monastero di Gracanica con due sacerdoti.

QUI SOTTO Il presidente serbo Boris Tadic

e quello croato Ivo Josipovic si stringono la mano

al termine dell’incontro “On the Balkans 2010”

nel corso del meeting di Bruxelles nel marzo di quest’anno.

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trebbe passare per una reintegrazione a livello regiona-le dell’area tramite criteri europei, abbandonando l’ap-proccio delle distinzioni tra Stati buoni e Stati cattivi. Inquesto senso, se la Croazia entrerà come previsto per pri-ma nell’Ue, l’attenzione dovrebbe essere rivolta a inte-grare “insieme”, sempre nel rispetto delle realtà statua-li, questo gruppo di Stati che alcuni, per ragioni stori-che, chiamano “gruppo ottomano” (Serbia, Bosnia, Ma-cedonia, Montenegro, Albania e Kosovo) e che peraltrosono accomunati dall’essere tutte realtà multietniche eaventi un simile livello economico.

Mi ha colpito la recente dichiarazione del nuovo presidente croato Josipovic che ha chiesto alla Serbia di rinunciare insieme alle reciproche denunce di genocidi

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sorta di piccola Jugoslavia per il suo carattere multietni-co, il suo destino non poteva essere quello di una Sviz-zera democratica (considerando in particolare il conte-sto di ultranazionalismo in cui si è consumata tale disin-tegrazione). Si trattava di una pretesa volta a giustifica-re le terribili colpe dei protagonisti politici, dei naziona-listi. Esistevano invece delle alternative: o ci si sforzavadi mantenere in vita certe forme di integrità jugoslava onon si accettavano le proclamazioni unilaterali di indi-pendenza finché non si trovava una soluzione generaledi pace. E adesso invece si pagano le conseguenze diqueste scelte perché si è aperta una fase di disintegrazio-ne selvaggia che potrebbe essere interminabile. Per que-sto ritengo che sebbene sia positivo l’approccio negozia-le dell’Ue attraverso questi meccanismi di Associazionee Stabilizzazione, d’altra parte è molto rischioso pensa-re che questa situazione vada verso un’integrazione sen-za possibili sorprese negative di questo tipo.

Quindi secondo lei i tempi sono ancora molto lunghi? In tal senso la prospettiva di un’integrazione nell’Ue potrebbe non essere sufficiente per riassorbire tutte queste fratture?Questo è un punto interrogativo. Non è facile, quando

si è vissuto un periodo di irrazionalità collettiva, riportar-la nei ranghi della razionalità. Non dico che adesso il peg-gio non sia passato. Tuttavia le contraddizioni ancora esi-stono e non è facile costatare una nuova pagina che vadaverso l’Europa e che non porti rischi. I rischi restano.

Qual è dunque una reale alternativa a un modo di ragionareper Stati e foriero nel passato di nefaste conseguenze?Se c’è un passato non lontano in cui queste diverse re-

altà facevano parte di un unico Stato e la diversità fun-zionava (non a caso quando Sarajevo era una città mul-tietnica era considerata culturalmente all’avanguardia),una via di uscita ci deve essere. E questa via di uscita po-

creazione di una terza entità). E così si arriva a un nuovoparadosso, perché essendo i rappresentanti di questi par-titi dalla forte retorica nazionalista tutti eletti democra-ticamente dal popolo, il nazionalismo ottiene in questomodo una legittimazione attraverso elezioni democrati-che. È vero che i Balcani sono dunque un mondo com-plicato, è vero che i politici hanno complicato tale situa-zione, ma è vero anche che gli approcci internazionalihanno contribuito alle contraddizioni che si vivono. Co-sì come vale per la Turchia, eterna fidanzata dell’Ue, lamancanza di una prospettiva chiara d’integrazione del-l’area da parte dell’Unione europea potrebbe influenza-re negativamente l’opinione pubblica delineando scena-ri negativi. Ad esempio la scelta dell’Ue di non dispen-sare la Bosnia Erzegovina e l’Albania dall’obbligo del vi-sto per l’accesso all’area Schengen (a differenza di Ser-bia, Montenegro e Macedonia) genera contraddizioniperché, se i serbi e i croati di Bosnia possono avvalersidella doppia cittadinanza per accedere all’area Schen-gen, altrettanto non può dirsi per i musulmani (bosgnac-chi) di Bosnia. Non possono farlo inoltre i kosovari e ne-anche gli albanesi (entrambi musulmani). Può essere unacoincidenza ma ciò non esclude che nei Balcani alcuniritengano che questa scelta non sia totalmente casualema abbia a che vedere con la paura dell’Islam radicale.Questo è un punto importante. Perché l’unica popolazio-ne musulmana in Europa è nei Balcani.

L’ex ambasciatore Usa, Willian Montgomery, che ha lavoratoa lungo nella regione, ha sostenuto, in un editoriale delNew York Times a giugno 2009, che per poter pervenirea una soluzione in Bosnia Erzegovina sia necessarioadottare un approccio che prenda seriamentein considerazione le esigenze del luogo e la storiadi questa regione. Questo significherebbe,secondo Montgomery, permettere alla Repubblica serbadi Bosnia di tenere prima o poi un referendumsull’indipendenza, con le dovute garanziee sotto la supervisione della comunità internazionale. Questo è ciò che ripete la stessa Serbia. Se al Kosovo

con maggioranza albanese è stato permesso di separarsidalla Serbia, perché i serbi di Bosnia non possono segui-re lo stesso percorso? Del resto chi conosceva bene la re-altà jugoslava sapeva che una disintegrazione selvaggiasarebbe finita male e che la Bosnia Erzegovina ne avreb-be pagato il prezzo più alto. Sebbene rappresentasse una

Un cittadino serbo appende le sue chiavi di casa in Croazia

durante la cerimonia, nella chiesa di Saint Marko a Belgrado,

in ricordo dei connazionali uccisi in questo Paese

nel 1995 durante l’operazione militare denominata “Storm”.

L’operazione, concepita per riprendere il controllo di una parte

della Croazia rivendicata dai separatisti serbi,

durò 84 ore e fu il più grande attacco militare

via terra dai tempi della Seconda guerra mondiale.

o pendenti all’Aja: potrebbe questa essere una strada percorribile ai fini del rilancio di un vero dialogo fra le varie comunità etnico-nazionali della regione?Si tratta sicuramente di un passo molto positivo, so-

prattutto ai fini di un processo di reintegrazione. Alla fi-ne, dopo tutti questi discorsi, è evidente quanto tali Pae-si siano comunque accomunati dalle sofferenze lascia-te dalla guerra e abbiano tutti problemi economici simi-li. A proposito di questa proposta, credo sarà accettatamolto volentieri anche dal presidente serbo Tadic cheha un profilo simile a quello del nuovo presidente croa-to. Questa visione del presidente croato è dunque unesempio e l’idea dell’integrazione regionale nell’Ue enella Nato rimane la principale linea guida per perveni-re a una soluzione. .

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