Ministry of Defence06 maggio 2013 Anno XV - n 2 - 2013 EDITORIALE La tela di penelope E’ molto...

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  • Numero 2

    http://www.cemiss.difesa.it/

  • Osservatorio StrategicoAnno XV numero 2 - 2013

    L’Osservatorio Strategico raccoglie analisi e reports sviluppati dal Centro Militare di Studi Strategici, realiz-zati sotto la direzione del Gen. D. CC. Eduardo Centore.

    Le informazioni utilizzate per l’elaborazione delle analisi provengono tutte da fonti aperte (pubblicazioni astampa e siti web) e le fonti, non citate espressamente nei testi, possono essere fornite su richiesta.

    Quanto contenuto nelle analisi riflette, pertanto, esclusivamente il pensiero degli autori, e non quello del Mi-nistero della Difesa né delle Istituzioni militari e/o civili alle quali gli autori stessi appartengono.

    L’Osservatorio Strategico è disponibile anche in formato elettronico (file PDF) nelle pagine CeMiSS delCentro Alti Studi per la Difesa: www.casd.difesa.it

    SommarioEDITORIALE

    MONITORAGGIO STRATEGICO

    Valter Conte

    Regione - Danubiana - Balcanica - TurchiaL’accordo Kosovo Serbia del 19 aprile 2013Enza Roberta Petrillo 7

    Medio Oriente - Norda Africa - MENA La crisi politica libanese e le ripercussioni della crisi sirianaNicola Pedde 15

    Sahel e Africa SubsaharianaIl futuro del Sahara Occidentale e la riconfigurazione del SahelMarco Massoni 21

    Russia, Europa Orientale ed Asia CentraleMinacce attuali e potenziali: l'Asia Centrale si prepara al 2014Lorena Di Placido 29

    CinaIl libro bianco della Difesa 2013Nunziante Mastrolia 35

    India Oceano IndianoNew Delhi alla ricerca di una nuova strategia regionale. Più chiara e, possibilmente, sostenibileClaudia Astarita 41

    Pacifico (Giappone, Corea, Paesi ASEAN, Australia)Lo scenario militare convenzionale: un’ipotesi difficilmente praticabileStefano Felician Beccari 47

  • America LatinaBrasile: il libro bianco della Difesa e le sue implicazioniAlessandro Politi 53

    Iniziative Europee di DifesaAl via EUTM la missione degli osservatori militari europei in MalìClaudio Catalano 63

    NATO e teatri d’interventoRagioni e prospettive della cancellazione della quarta fase dell’EPAALucio Martino 71

    Sotto la lenteLa droga dell’Afghanistan: tra insurrezione e problema socialeClaudio Bertolotti 77

    RecensioniCapstone Concept CC - 001Implicazioni militari dell'ambiente operativo futuroStato Maggiore della Difesa - III Reparto – Centro Innovazione della Difesa 83

    LOSING HUMANITY (The Case against Killer Robots)IHRC (International Human Rights Clinic - at Harvard Law School) 85

    Osservatorio StrategicoVice Direttore Responsabile

    C.V. Valter Conte

    Dipartimento Relazioni InternazionaliPalazzo Salviati

    Piazza della Rovere, 83 00165 – ROMAtel. 06 4691 3204 fax 06 6879779

    e-mail [email protected]

    Questo numero è stato chiuso06 maggio 2013

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    EDITORIALE

    La tela di penelopeE’ molto difficile riuscire oggi ad aggiungere qualcosa di nuovo al dibattito sul caso “Enrica Lexie”senza alimentare polemiche di natura politica e senza scivolare nella retorica di un’Italia che nonè riuscita a farsi valere contro una nazione che, per quanto emergente, sta attraversando una fasedi grosse difficoltà di ordine politico, economico e sociale. Allo stesso tempo, però, non solo lavicenda dei due Fanti di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non può essere dimen-ticata, ma sarebbe anche opportuno imparare qualcosa da questo sfortunato incidente.Anzitutto proviamo a immaginare cosa succederà. Abbiamo già scritto che nella vicenda dell’“En-rica Lexie” l’India si è comportata in modo assolutamente imprevedibile, almeno sulla base deinostri canoni, calpestando i principi di buona fede per arrestare i nostri due militari ignorando de-liberatamente la legalità internazionale. Il tutto per ragioni che presumibilmente vanno daun’asserzione di orgoglio localistico al dipanarsi di un intreccio di interessi ognuno con le suespecificità. E con queste premesse diventa legittimo chiedersi quanto possano essere realistici overosimili gli scenari che descrivono l’epilogo di questa triste vicenda.Un paio di elementi che possono essere considerati certi, per fortuna, esistono: l’India non vuoletrascinare all’infinito un contenzioso diplomatico con l’Italia ne’ ha intenzione di essere additatacome partner pericoloso, inaffidabile o prepotente dai suoi alleati attuali e futuri, in virtù del fattoche New Delhi è oggi in una fase in cui ha bisogno di ristrutturare le sue alleanze regionali e non.Allo stesso tempo, le incertezze sugli equilibri che si verranno a creare dopo le elezioni del 2014impediscono all’attuale governo di disinteressarsi delle reazioni dell’opinione pubblica sul casoLatorre-Girone.Se è vero che New Delhi vuole risolvere il caso “Enrica Lexie” senza inimicarsi l’Italia, il restodella comunità internazionale e l’opinione pubblica nazionale, che tipo di soluzione potrà trovareper i due militari italiani? Potremmo scoprirlo presto, se la strategia italiana di sostenere la rapidaconclusione del procedimento giudiziario avrà, come auspichiamo, buon esito; altrimenti, saremocostretti a tollerare ancora una volta le lungaggini e i bizantinismi della magistratura indiana - si-curamente non nota per la sua celerità.Per accontentare l’Italia, l’India, che ha appena ratificato una Convenzione bilaterale per il trasfer-imento in patria dei condannati, potrebbe dichiarare i due militari colpevoli , e chiudere un occhionel caso in cui a Latorre e Girone sarà riconosciuto, dopo il definitivo rientro in Italia, un tratta-mento di favore. In ambito internazionale potrebbe invece farsi promotrice di un dibattito voltoalla definizione di regole condivise sull’immunità dei soldati che operano su imbarcazioni private.Lasciando intendere tra le righe che l’incidente con l’Italia sia stato “favorito” dall’assenza di unanormativa chiara. Tutto questo, però, non creerà malumori in patria solo se queste iniziative ver-ranno ufficializzate dopo le elezioni, perché solo in quel caso non avranno alcun impatto sul votoindiano.

    Valter Conte

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    RegioneDanubiana - Balcanica - Turchia

    Enza Roberta Petrillo

    Eventi►Albania. Ratificato l’accordo intergovernativo con Grecia e Italia relativo al progetto del ga-sdotto TAP. Il 15 aprile, il Parlamento albanese ha ratificato all’unanimità l’Host Government Agreementcon la Trans Adriatic Pipeline-TAP, la joint venture creata per progettare, sviluppare e costruireil gasdotto TAP,cui azionisti sono la società svizzera Axpo (42.5%), la norvegese Statoil (42.5%)e la tedesca E.ON Ruhrgas (15%). Il sì del Parlamento albanese fa seguito alla sottoscrizionedell’accordo trilaterale di collaborazione per la realizzazione dell’infrastruttura siglato da Grecia,Albania e Italia lo scorso 18 febbraio. La Trans Adriatic Pipeline trasporterà gas naturale dalgiacimento azero di Shah Deniz, nel Mar Caspio, attraverso la Grecia, l’Albania e il Mar Adriaticofino all’Italia meridionale e da lì in Europa occidentale. Se realizzato, il progetto permetterà alleforniture energetiche caspiche (la cui portata è stimata dai 10 ai 20 miliardi di metri cubi all'anno)di arrivare ai mercati europei aggirando la Russia e l’Ucraina. La sezione albanese del gasdottopartirà da Bilisht Qendër, nella regione di Korçë, presso il confine greco e arriverà presso la zonacostiera a nord di Fier, dove, dopo aver percorso circa 209 chilometri sul territorio albanese, siimmetterà in Adriatico. L’Host Government Agreement definisce i termini dell’impegno per le fu-ture forniture del Southern Gas Corridor e stabilisce le norme attraverso le quali il progetto verràrealizzato e gestito sul territorio albanese: tra queste, le procedure sull'acquisizione dei terreni,l'adozione delle specifiche tecniche ambientali e di sicurezza, gli standard sociali e i regolamentirelativi ai permessi. Tra i maggiori investitori esteri nel paese, il consorzio TAP ha assunto l’im-pegno di assistere il governo albanese anche nella redazione del piano nazionale energetico enello sviluppo della rete interna di trasporto del gas.►Croazia. Avvio del dialogo con la Serbia per rinunciare alle denunce di genocidio depositatepresso la Corte penale internazionale. La visita del vice primo ministro serbo Aleksandar Vučića Zagabria il 29 aprile ha aperto il disgelo nelle relazioni tra Serbia e Croazia. “Per la primavolta nei rapporti tra Zagabria e Belgrado sono stati fatti dei passi concreti per la soluzione delproblema delle persone scomparse durante la guerra degli anni Novanta, circostanza che apreuno spiraglio per una possibile rinuncia congiunta alle reciproche denunce per genocidio depo-sitate presso la Corte penale internazionale”, ha dichiarato il ministro degli Esteri e vice-premiercroato, Vesna Pusić, dopo i colloqui con il vice-premier serbo. Vučić è il primo alto esponente del

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    governo serbo a visitare la Croazia a quasi un anno dall’insediamento del governo conservatoredi Tomislav Nikolić a Belgrado. Per molti analisti, l’inizio della distensione tra i due paesi è dacorrelare alle informazioni fornite alcune settimane fa dalle autorità serbe al governo croato, chehanno permesso di rinvenire nei pressi di Vukovar una fossa comune con i resti di circa dieci vit-time civili croate risalenti al 1991.►Montenegro. Filip Vujanović riconfermato alla Presidenza della Repubblica. Al termine delleelezioni presidenziali che si sono svolte il 7 aprile, la commissione elettorale statale montenegrinaha ufficializzato la vittoria di Filip Vujanović, candidato del Partito dei socialisti democratici chericoprirà la carica di Presidente per i prossimi 5 anni. Vujanović, al suo terzo mandato, ha battutolo sfidante Miodrag Lekić del Fronte Democratico per un numero esiguo di voti. Si tratta delleseconde elezioni presidenziali del Montenegro a seguito dell'indipendenza dalla Serbia proclamatanel 2006. Dopo i primi exit poll entrambi i candidati si erano dichiarati vincitori accusandosi re-ciprocamente di brogli. Accuse smentite dalla commissione elettorale centrale che ha confermatoi risultati delle urne, dichiarando Vujanović vincitore con il 51.21% dei suffragi contro il 48.79%di Lekić. Esito validato anche dall’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani -ODIHR dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa OSCE, che ha giudi-cato“professionale ed efficiente” il processo elettorale monitorato durante l’ultima tornata pre-sidenziale. Durante la campagna elettorale, il 58enne Vujanović, storico alleato del Primo ministroMilo Djukanović, aveva garantito pieno appoggio al consolidamento democratico e al sostegnoall’entrata del Paese nell’Unione Europea e nella NATO. Obiettivi condivisi anche da Lekić, cheha però fondato la propria campagna elettorale sulla lotta alla corruzione e alla criminalità or-ganizzata, temi sui quali secondo Lekić, il presidente riconfermato Vujanović non avrebbe fattoabbastanza durante l’esercizio del proprio mandato.►Turchia. PKK annuncia ritiro dal territorio turco. Il movimento autonomista curdo PKK (Par-tito dei lavoratori del Kurdistan), lo scorso 25 aprile ha annunciato tramite il leader Murat Ka-rayýlan che le truppe curde presenti in territorio turco inizieranno a ritirarsi l’8 maggio verso ilNord dell’Iraq. A sei mesi dall’avvio del processo di pace con Ankara, si apre adesso la secondatappa della soluzione politica del conflitto negoziata a dicembre del 2012 dallo storico leadercurdo Abdullah Öcalan –attualmente all’ergastolo nell’isola-carcere di Imrali – con il premierturco Recep Tayyip Erdoðan. Una distensione cominciata lo scorso marzo con l'annuncio da partedel PKK di una tregua unilaterale, decisa a seguito di un appello di Öcalan, che il 21 marzo conun messaggio inviato dalla prigione e letto a 40mila persone riunite nel parco Nevruz di Diyar-bakýr, nel sudest della Turchia, aveva chiesto ai militanti di ritirarsi.“Ora le pistole vanno silen-ziate e devono parlare i pensieri. È arrivato il momento che le armi escano dai confini turchi.Questa non è la fine, ma un nuovo inizio”, ha scritto Öcalan. Tra le condizioni poste al governoturco per fermare le ostilità, c’è la richiesta di una nuova costituzione, lo smantellamento delleforze di sicurezza speciali e l’amnistia per tutti i combattenti, incluso il leader Abdullah Öcalan.Ad oggi restano ancora poco chiari i dettagli relativi alla ritirata delle truppe curde. Sebbene Ka-rayýlan abbia garantito che il ritiro dei suoi uomini sarà completato “in tempi brevi e in formaorganizzata e disciplinata, evitando scontri con l’esercito turco”, non è ancora chiaro se la smo-bilitazione delle sue truppe avverrà con o senza equipaggiamento bellico, come vorrebbe Erdoðan.Intanto Karayýlan, memore dei vari tentativi di pace e smobilitazione andati in fumo, ha precisato

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    che se le milizie curde saranno attaccate dall’esercito “il ritiro si fermerà” e i ribelli ricorrerannoal “legittimo diritto di difesa”. Soltanto dopo il ritiro, potrà cominciare la terza tappa, quella delriconoscimento da parte del governo turco, delle garanzie costituzionali volte a promuovere e tu-telare i diritti politici, culturali, religiosi e linguistici dei curdi, che oggi rappresentano il 15% -20% dei 75milioni di abitanti del paese. Secondo il governo turco i miliziani curdi presenti nel-l'area dell’Anatolia sud-orientale sarebbero circa 2mila. Altri 3mila si troverebbero nel Nord del-l’Iraq dove il PKK mantiene il suo quartier generale. Dal 1984, anno di inizio del conflitto levittime censite sarebbero 40 mila.►Macedonia. Pressing della Commissione Esteri del Parlamento europeo per l’avvio dei ne-goziati di adesione.Per l'Unione europea è arrivato il momento di accelerare l’inizio dei negoziati di adesione dell'exRepubblica jugoslava di Macedonia, in stallo da anni a causa della disputa con la Grecia per ilnome del Paese. L’appello arriva dagli eurodeputati della Commissione esteri, che hanno votatoa larga maggioranza (39 voti favorevoli e 13 contrari, nessuna astensione) la relazione dell’euro-parlamentare britannico Richard Howitt (S&D). “Dopo quattro anni di attesa – ha spiegato Howitt- è arrivato il momento. Non si può dire sempre “no”, è tempo di dare un incentivo, mostrare chela Macedonia potrà raggiungere l’ adesione: è questo il messaggio della Commissione esteri”.Una sollecitazione che acquisterà maggiore forza se adottata dall’Euro Parlamento nella plenariadi maggio, il cui esito non è tuttavia dato per scontato. Nel testo adottato in Commissione esteri,gli eurodeputati premono anche sui politici di Skopje affinché rispettino il Parlamento come isti-tuzione democratica e rinforzino le procedure parlamentari, anche al fine di superare le tensionietniche ed eliminare le discriminazioni su base etnico-nazionale.

    l’accordo kosovo-sErbia dEl 19 aprilE 2013

    Dopo sei mesi di trattative e dieci round nego-ziali promossi e coordinati dall’Unione Euro-pea, lo scorso 19 aprile la Serbia e il Kosovohanno siglato l’accordo sulla normalizzazionedelle relazioni tra i due paesi e sulla questionedella gestione delle aree a maggioranza serbadel Kosovo del Nord, territorio fino ad oggi am-ministrato dalle strutture parallele finanziate daBelgrado. Un successo netto sia per l’UnioneEuropea che per le diplomazie dei due paesi,premiate con il via libera di Bruxelles all’aper-tura dei negoziati per l’adesione all’UE dellaSerbia1 e a quelli per l’accordo di associazionee stabilità con il Kosovo2, scelta motivata nei

    rapporti sui due paesi adottati il 22 aprile dal-l’esecutivo dell’Unione e sui quali il Consiglioeuropeo dovrà esprimersi il prossimo giugno. Dopo mesi di inerzia e di rallentamenti nel pro-cesso di allargamento, la prospettiva europeatorna così a giocare un ruolo esplicito nellecomplesse relazioni tra UE, Kosovo e Serbia.Non è un caso che proprio il rapporto sui pro-gressi della Serbia3, abbia collegato l’aperturadei negoziati per l’adesione al soddisfacimento“delle priorità chiave verso il miglioramento vi-sibile e sostenibile delle relazioni con il Ko-sovo”. Attestato di fiducia cui hanno fatto ecole congratulazioni entusiastiche dell’alto rap-

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    presentante della politica estera dell’Unione Eu-ropea Catherine Ashton che ha elogiato i primiministri serbo e kosovaro per “la determina-zione e il coraggio” mostrati in questi mesi ditrattative indirizzate ad un accordo “che allon-tana dal passato e che avvicina all’Europa”.

    Tuttavia, se questo sia o meno - come vorrebbeil premier kosovaro Hashim Thaçi - “l’inizio diuna nuova era di riconciliazione e cooperazionefra Stati” lo stabiliranno le azioni concrete cheverranno messe a punto nei prossimi mesi. Seimplementato, l’accordo potrebbe mettere finealla tensione politica decennale tra i due paesiriaccesasi a luglio del 2011, quando il governokosovaro inviò reparti di polizia albanofoni,supportati dalle truppe della KFOR, a control-lare le frontiere con la Serbia, dando il via adun’escalation di violenza protrattasi fino a qual-che mese fa.

    Di certo c’è che in questa fase qualsiasi previ-sione sulle prospettive dell’intesa sarebbe av-ventata, considerato che sono diversi i punti sucui l'accordo4 non fa luce. Ciò che sembra as-sodato è che l’intesa serbo-kosovara prevede lacostituzione di un’associazione delle municipa-lità a maggioranza serba di Kosovska Mitro-vica, Leposavić, Zvečan e Zubin Potok, cheopererŕ nel quadro giuridico ed istituzionale ko-sovaro, pur mantenendo competenze autonomein materia di sviluppo economico, educazione,sanitŕ e pianificazione urbana e rurale. Lontaneda una diarchia sostanziale, le nuove relazionitra il Kosovo e le municipalitŕ del Nord sem-brano piuttosto configurare un modello di go-verno ad autonomia sorvegliata. Approccio chetrova riscontro nelle sezioni dell’accordo dedi-cate alla polizia e alla magistratura, in cui laSerbia si dichiara disponibile a far confluirenella polizia kosovara i corpi di polizia opera-tivi nelle aree settentrionali, a condizione che alvertice delle forze di sicurezza operative nel

    nord vi sia un comandante di Polizia Regionalescelto dal Ministero degli Interni kosovaro dauna lista di nomi proposti dai sindaci delle quat-tro municipalitŕ settentrionali5. Compromessoche riguarda anche la magistratura e che pre-vede l’assegnazione di una rappresentanzaserba al Ministero della Giustizia kosovaro el’istituzione di una corte d’appello a maggio-ranza serba con competenza sui reati commessidai cittadini serbo-kosovari. Disposizioni fumose e che resteranno verosi-milmente indefinite almeno fino ai due prossimidecisivi giri di boa: l’adozione del piano di at-tuazione per rendere effettivo l’accordo e l’or-ganizzazione delle elezioni comunali previsteentro l’anno. Comincia adesso, dopo le ratifichedell’accordo votate dai parlamenti serbo e ko-sovaro, la fase più delicata del processo che do-vrebbe portare il Kosovo del Nord sottol’effettiva giurisdizione di Pristina. Un percorsonon scevro di ostacoli avviato il 25 aprile a Bru-xelles con un ennesimo round negoziale (ilprimo di una serie, si apprende dalla Commis-sione) volto a definire i termini di applicazionedell’accordo. Sebbene questo summit si sia con-cluso senza dichiarazioni pubbliche, le prioritàoperative di Belgrado sono deducibili dal cali-bro dei partecipanti inviati dal governo a trattarecon la controparte. Chiusa la fase degli accordiistituzionali gestiti in prima persona dal premierIvica Dačić, per questo secondo stadio il testi-mone č passato agli uomini chiave della mac-china amministrativa serba: Marko Đurić,consigliere per la politica estera del Presidentedella Repubblica Nikolic, Veljko Odalović Se-gretario Generale del Governo Serbo, NikolaSelaković ministro della Giustizia e della Pub-blica Amministrazione e Branislav Mitrović,vice-direttore della Polizia nazionale. Esponentiinfluenti del panorama istituzionale serbo i cuiprofili indicano chiaramente quali saranno ifronti caldi su cui si giocherŕ la partita dell’im-

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    plementazione: giustizia, pubblica amministra-zione, polizia e relazioni internazionali. A lorospetterŕ il compito di gestire il passaggio di con-segne delle strutture parallele serbe alla contro-parte kosovara. Operazione sulla qualeprevedibilmente il governo kosovaro non farŕalcuna concessione aggiuntiva e che costituirŕil nodo chiave dell’azione diplomatica europea,per l’occasione guidata dal rappresentante spe-ciale dell’UE in Kosovo Fernando Gentilini, ilcui ruolo, si spera, sarŕ risolutivo, visto che adoggi ognuna delle parti interpreta il patto amodo proprio. Mentre il vice primo ministroserbo Rasim Ljajić chiarisce che “l’accordo nonimplica il riconoscimento del Kosovo”6 , la con-troparte albanese festeggia “l’accettazione daparte della Serbia dello status di nazione del Ko-sovo”. Divergenze di opinione acuite anche dalsilenzio dell’accordo su temi fondamentali qualila tutela dei cittadini serbi che vivono nel Ko-sovo centrale e meridionale e il riconoscimentodi Pristina da parte delle organizzazioni inter-nazionali, Nazioni Unite in testa. Ma non sono solo queste le questioni che com-plicano gli scenari in prospettiva. Ad agitare leacque di questa pacificazione appena abbozzatavi sono anche i fronti della dissidenza internache a Pristina, come a Belgrado e a KosovskaMitrovica (il capoluogo del Kosovo del Nord)mettono in discussione premesse e approdo deinegoziati. A Belgrado, al margine della conci-tata assemblea parlamentare indetta per ratifi-care l’accordo, alcune centinaia di nazionalistiserbi hanno manifestato contro il governo accu-sato di tradimento degli interessi nazionali echiedendo le dimissioni del capo dello stato To-mislav Nikolić. Scenario non dissimile daquanto registrato a Pristina, dove Albin Kurti,parlamentare e leader delle proteste organizzatedal movimento Vetëvendosje, ha dichiarato che“il Kosovo si sta trasformando in una Bosnia,mentre Mitrovica nord sta diventando come

    Banja Luka [la capitale della RepublikaSrpska]”7. Paragone ardito, ma non così invero-simile se si analizza quanto, in questi giorni, staprendendo forma proprio nella città simbolodelle province settentrionali. A Mitrovica,20mila serbi kosovari furibondi per l’esclusionedalle trattative condotte a Bruxelles, hanno pro-testato contro Belgrado al grido di “No al tradi-mento”, chiedendo l’indizione di un referendumsull’intesa siglata a Bruxelles e approvando peracclamazione di piazza la creazione di un “Par-lamento della Regione autonoma di Kosovo eMetohija”. Un messaggio più che chiaro per laSerbia, che da storica alleata si vede retrocedereal rango di traditrice. “Cercheremo di spostare la resistenza dal norddel Kosovo a Belgrado, perché il tradimentonon è in Kosovo, è nella capitale serba”8, ha affermato a scanso di equivoci Marko Ja-kšić, leader dei serbi del nord e deputato delPartito Democratico di Serbia-DSS. Ambizionediventata realtŕ nel volgere di poche ore quando,Krstimir Pantić, sindaco di Mitrovica e vice di-rettore dell’Ufficio serbo per il Kosovo e la Me-tohija, ha chiarito: “Il Kosovo siamo noi, cheviviamo qui, che siamo legati a questi luoghi nelnostro passato e nel nostro futuro. Solo noi pos-siamo trasformarci in traditori, se tradiamo lenostre radici”9. Dichiarazioni in netto contrastocon l’entusiasmo internazionale che ha accoltol’accordo e che pongono diversi interrogativi ri-spetto ai passi che saranno intrapresi dalla diri-genza politica dei kosovari del nord, la cuistrategia potrebbe puntare anche ad esasperarele proteste con l’obiettivo di veder riconosciutoil diritto alla secessione dei territori settentrio-nali10. Uno scenario in evoluzione, che ad oggioffre un solo dato certo: lo spettro della parti-tion dei territori settentrionali non terrorizza piùsoltanto Pristina. A tremare ora è anche Bel-grado, la cui classe politica non a caso continuaa nicchiare sull’implicazione fondamentale

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    dell’accordo: il riconoscimento del Kosovo daparte della Serbia. Ultima mossa registrata nel tourbillon di tira emolla sullo status del Kosovo, quella del capodi stato serbo Tomislav Nikolić, che tramiteun'intervista diffusa dal Jerusalem Post ha dic-hiarato “di aver scritto comunicazioni ufficialia vari paesi per chiarire che le negoziazioni nonimplicheranno il riconoscimento del Kosovo”11, una questione sulla quale Belgrado temporeg-gia, aprendo a livello internazionale fronti didialogo molteplici a scenari variabili. È in que-st’ottica che può essere letta la richiesta di in-tervento alla Russia espressa dal premier serboDačić a Mosca, soltanto otto giorni prima dellafirma del patto di Bruxelles. “I negoziati sonostati trasferiti presso l’UE e ora la Serbia invitala Russia a contribuire per farli tornare pressole Nazioni Unite”12, ha detto a chiare lettereDačić. Richiesta di sostegno prontamente rac-colta dal premier russo Dmitri Medvedev checonfermando il supporto in sede ONU, ha ricor-dato a tutti gli attori coinvolti, in primis l’Eu-ropa, che la vera partita si giocherŕ sulriconoscimento della sovranitŕ territoriale insede internazionale. Tema sul quale la dedizioneeuropeista della diplomazia serba, artefice delnegoziato siglato a Bruxelles, č messa a duraprova dal richiamo all’heimat espresso dal pre-sidente Nikolić, l’europeista riluttante che argo-menta cosě il suo “no” al riconoscimento:“Ovviamente, l’UE dirŕ che se noi riconosciamoil Kosovo, i nostri figli avranno un futuro mi-gliore. Ma non possiamo farlo. Non si tratta dinazionalismo, non si tratta di odio. Si tratta diamore. L’amore per la nostra gente, per il nostropaese”13.

    Frasi ad effetto, la cui concretizzazione è peròimprobabile, considerato che l’UE ha vincolatoproprio al riconoscimento della sovranità terri-toriale del Kosovo gli esiti del percorso di ade-sione serbo. Obiettivo sul quale il premier Dačićnon intende arretrare anche in vista dell’aperturadei negoziati di adesione su cui si esprimerà ilConsiglio europeo atteso per la fine di giugno.Un appuntamento decisivo, il cui risultato è le-gato indissolubilmente alla stabilizzazione dellerelazioni diplomatiche con Pristina, la cui lea-dership, analogamente, freme per il “sì” delConsiglio europeo all’accordo di associazionee stabilità con l’UE. Realisticamente l’Europaresta l’unica prospettiva possibile sia per la Ser-bia che per il Kosovo. La sola che giustifichi lavirata verso questa inedita intesa serbo-albanesesiglata all’insegna della real politik.

    Ora più che mai è necessario che Bruxelles nonsi sottragga alle sue responsabilità nella re-gione, contribuendo all’attuazione dell’accordoe definendo una politica regionale in grado dirivitalizzare il progetto europeo nelle periferiebalcaniche, scongiurando il rischio che il norddel Kosovo si trasformi in una nuova RepublikaSrpska. La possibilità della “partition” dei ter-ritori settentrionali, del resto, non è affatto re-mota. Per questo è fondamentale che l’UE siopponga con chiarezza alle spinte secessionis-tiche caldeggiate dalla leadership politica deikosovari del nord, potenziando - come suggeritoda Wolfgang Petritsch e Christophe Solioz14- iprogrammi di cooperazione transfrontalieragestiti congiuntamente dalle municipalità serbeed albanesi.

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    1 European Commission, 22 aprile 2013, Joint Report to the European Parliament and the Council on Serbia's progressin achieving the necessary degree of compliance with the membership criteria and notably the key priority of takingsteps towards a visible and sustainable improvement of relations with Kosovo,http://ec.europa.eu/enlargement/pdf/key_documents/2013/sr_spring_report_2013_en.pdf. 2 European Commission, 22 aprile 2013, Joint Report to the European Parliament and the Council on Kosovo's progressin addressing issues set out in the Council Conclusions of December 2012 in view of a possible decision on the openingof negotiations on the Stabilisation and Association Agreement,http://ec.europa.eu/enlargement/pdf/key_documents/2013/ks_spring_report_2013_en.pdf .3 Op. cit, http://ec.europa.eu/enlargement/pdf/key_documents/2013/sr_spring_report_2013_en.pdf.4 Il testo dell’accordo è stato diffuso dal quotidiano croato Vecernji List , http://www.vecernji.hr/vijesti/ekskluzivno-procitajte-sto-su-dogovorili-srbija-kosovo-clanak-541751 .5 Si veda E. R. Petrillo, 24 aprile 2013, “Kosovo-Serbia. Habemus Pactum. E ora?”, in Limes,http://temi.repubblica.it/limes/kosovo-serbia-habemus-pactum-e-ora/45863?com=45863#scrivicommenti .6 Si veda “Agreement does not mean recognition of Kosovo”, April 20, 2013, B92, http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2013&mm=04&dd=20&nav_id=858047 E. Peci, “Kosovo Parliament Approves Agreement With Serbia”, Balkan Insight, http://www.balkaninsight.com/en/article/kosovo-approves-resolution-on-agreement-with-serbia.

    8 B92, 23 aprile 2013, Serbs will resist implementation of Kosovo deal, http://www.b92.net/eng/news/politicsarticle.php?yyyy=2013&mm=04&dd=23&nav_id=85853.9 B92, 23 aprile 2013, Serbs will resist implementation of Kosovo deal, http://www.b92.net/eng/news/politicsarticle.php?yyyy=2013&mm=04&dd=23&nav_id=85853.10 Per maggiori approfondimenti si rinvia a G. Gallucci, 29 aprile 2013, “Kosovo. What should the northerners do?”,Transconflict, http://www.transconflict.com/2013/04/kosovo-what-should-the-northerners-do-304/ .11 B92, 3 maggio 2013, President: Kosovo will never become state, http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2013&mm=05&dd=03&nav_id=8599612 Balkans Insight, Serbia Turns to Russia After Failed Kosovo Talks, http://www.balkaninsight.com/en/article/serbia-turns-to-russia-after-failed-eu-mediated-talks .13 B92, 3 maggio 2013, President: Kosovo will never become state, http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2013&mm=05&dd=03&nav_id=85996 14 W. Petritsch, C. Solioz, 23 avril 2013, On peut enfin rêver à des Balkans européens, Le temps,http://www.letemps.ch/queryResult.

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    Medio Oriente - Nord Africa - MENA

    Nicola Pedde

    ►Siria – Il 29 aprile è scampato ad un attentato Wael al-Halqi, Primo Ministro siriano. Non èstata chiarita la dinamica del fatto, occorso nel quartiere di Mezzeh, e che sarebbe costato la vitaad una delle guardie del corpo dell’uomo politico.Figura istituzionalmente rilevante, quella di al-Halqi è tuttavia nella consuetudine politica siriananulla di più che un simulacro dell’apparente pluralismo politico costruito dal partito Ba’ath, esoprattutto dalla famiglia al-Asad, senza in realtà alcuna reale prerogativa di esercizio del ruoloistituzionalmente assegnato.Un simbolo, quindi, utile per danneggiare l’immagine di un regime in sempre maggiore crisi, manon certo capace di creare difficoltà alla gestione politica ed operativa del vero establishment dipotere locale, di fatto esclusivamente concentrato nella cerchia più stretta dei familiari di Basharal-Asad.►Libia – Il 23 aprile, un’autobomba è esplosa a Tripoli dinanzi alla sede dell’ambasciata fran-cese in Libia, , senza provocare vittime, ma danneggiando fortemente l’edificio.L’attentato non è stato rivendicato ufficialmente, sebbene le indagini degli investigatori locali efrancesi portino in direzione di cellule legate alla rete terroristica di Al Qaeda.L’obiettivo sarebbe stato l’ambasciatore, che nelle prime ore della mattinata avrebbe dovuto re-carsi in ufficio accompagnato dalla scorta, transitando nel tratto di strada dove l’ordigno erastato collocato.Secondo le prime ricostruzioni, l’attentato sarebbe riconducibile ad una forma di rappresagliadelle cellule aderenti all’AQMI, che da tempo minacciavano di colpire la Francia e i suoi interessinella regione in conseguenza dell’azione francese in Mali.L’attento alla rappresentanza diplomatica francese, tuttavia, si inserisce nell’ambito di un quadrodi progressivo deterioramento della sicurezza in tutta la Libia, dove le autorità centrali non rie-scono ad esercitare il totale controllo del territorio, dominato al contrario da una pluralità dibande irregolari di diversa estrazione politica, etnica ed ideologica.Ed è in questo contesto, quindi, che il 28 aprile il Ministero degli Esteri libico è stato accerchiatoda un gruppo di uomini armati, che a gran voce hanno chiesto l’epurazione di tutti i funzionaricollusi con il deposto regime di Gheddafi. Il gruppo, dotato di circa quaranta pick-up armati conmitragliatrici di vario calibro, ha completamente circondato l’edificio, nel pieno centro della città,

    Eventi

  • senza che le forze di polizia siano intervenute in alcun modo.►Algeria – Il 26 aprile, alcune unità dell’esercito algerino hanno sostenuto un intenso conflittoa fuoco con un gruppo di miliziani provenienti dal confine libico. La battaglia, protrattasi dal tra-monto sino a notte inoltrata, è stata particolarmente cruenta, stante il poderoso arsenale nellemani dei guerriglieri libici.Le autorità algerine hanno descritto l’episodio come un tentativo di sconfinamento di una cellulaterroristica libica in direzione dell’Algeria meridionale, dotata di cinque mezzi 4x4 e probabil-mente diretti a sud. Nello scontro a fuoco avrebbero perso la vita due miliziani libici, mentre sa-rebbero rimasti feriti una guardia di frontiera e un militare algerini.Non è chiaro se l’obiettivo della cellula libica fosse il semplice transito, forse in direzione delMali, o se, al contrario, si trattasse di un’incursione rapida nell’area di estrazione del gas di InAmenas.L’episodio è stato giudicato in ogni caso di estrema gravità dalle autorità di Algeri, che lamentanouna continua e crescente pressione da parte delle cellule jihadiste provenienti dal Fezzan libico,nel timore di nuovi assalti alle strutture di produzione degli idrocarburi.►Iraq – I primi, parziali, risultati delle elezioni per il rinnovo dei consigli provinciali iracheni,sembrano confermare un vantaggio della coalizione politica di Nuri al-Maliki. Lo spoglio dei voti,ad oggi pari a circa l’85% dei seggi, potrebbe quindi confermare la sostanziale tenuta della for-mazione politica della “Coalizione dello Stato di Diritto”, che si è assicurata con certezza almenootto province, tra cui quella di Baghdad.Queste elezioni provinciali, le prime dal passaggio di consegna dalle autorità americane a quellelocali irachene, rappresentano un importante banco di prova per le principali forze politichelocali, impegnate oggi nella più difficile fase della transizione politica avviata con la caduta delregime di Saddam Hussein nel 2003.Ciononostante, l’affluenza alle urne è stata particolarmente bassa – di poco al di sopra del 50%- dimostrando concretamente due fattori rilevanti dell’odierna società irachena. Il primo è il rin-novato timore per la sicurezza, che soprattutto in occasione degli appuntamenti elettorali si pre-senta come un fattore rilevante e tutt’altro che trascurato dalla società. Ad esso deve essersiaggiunta la crescente disaffezione dalla politica degli iracheni, oggi più che mai interessati allastabilità e alla ripresa economica, nell’ambito di un generale clima di critica verso una politicaritenuta incapace di individuare formule di consenso comuni e funzionali al decremento dell’on-nipresente minaccia settaria.

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  • Il 22 marzo ha rassegnato le dimissioni NajibMikati, da circa due anni Primo Ministro dellaRepubblica libanese, ufficialmente in conse-guenza del mancato supporto del governo allaproposta di estensione dei termini pensionisticiprevisti dalla Legge Nazionale della Difesa.Originario di Tripoli, nel nord del paese, Mikatiè un ricco uomo d’affari, eletto nell’ambito diuna coalizione politica che includeva Hezbollahe che ha avuto il compito di gestire una dellepiù delicate fasi di transizione della politica li-banese.Non sono state commentate pubblicamente leragioni delle dimissioni, sebbene più fonti al-l’interno della coalizione abbiano parlato diun’evidente presa di coscienza dell’impossibi-lità di portare a termine il mandato, di emendarela legge elettorale e di portare il paese nuova-mente alle urne, stante la paralisi determinatadai veti incrociati e dai contrasti tra fazioni.Secondo altri osservatori, Mikati avrebbe vo-luto dare un segnale forte anche ad Hezbollah,richiamando il Partito di Dio alla responsabilitàdi dover cercare una formula di accordo conSaad Hariri in funzione della determinazione diun governo di unità nazionale.È chiaro come una formula di convivenza do-vesse essere ad ogni costo cercata tra le duecoalizioni dell’8 Marzo e del 14 Marzo, cherappresentano i principali aggregati politici na-zionali, sebbene siano in molti a sostenere unapiù cauta ricerca dell’equilibrio da parte dellenumerose ed eterogenee anime all’interno deidue blocchi.Ha inciso enormemente sulla crisi politica na-zionale, chiaramente, anche la pressione poli-tica e militare derivante dalla crisi in Siria, conle immaginabili conseguenze nel sensibile tes-

    suto politico e religioso libanese. L’instabilitànel nord del paese, quale diretta conseguenzadel conflitto siriano, il continuo flusso di pro-fughi, la conseguente necessità di gestire unalogistica sempre più complessa, e la differenteposizione delle diverse comunità libanesi neiconfronti della Siria e di Bashar al-Asad, hannoevidentemente contribuito a destabilizzare unesecutivo già fragile.Lo stesso Mikati, peraltro, era stato apertamenteaccusato dai sostenitori di Hariri di aver co-struito le sue fortune economiche attraverso ilrapporto con la Siria e con al-Asad in partico-lare, gestendo affari di dubbia liceità ed espo-nendo il Libano a gravi rischi di naturaeconomica e militare. Accuse che Mikati hasempre rigettato, negando qualsiasi coinvolgi-mento con la Siria e con il suo regime. Mikati aveva già minacciato le dimissioni in tredistinte occasioni. La prima volta all’inizio del2012 in conseguenza della questione relativa alpagamento di una parte dei costi del TribunaleSpeciale per il Libano da parte del governo li-banese; poi ancora nell’ottobre del 2012, dopol’assassinio del generale Wissam al-Hassan inun attentato, quando decise di restare solo dopoaver ricevuto esplicita richiesta in tal senso daparte di cinque ambasciatori stranieri; e poi an-cora lo scorso 22 marzo, in occasione del man-cato sostegno da parte del governo alla suaproposta di estendere il mandato del GeneraleAshraf Rifi (direttore generale delle Forze di Si-curezza Interna).

    tammam salam è il nuovo primo MinistroLa crisi di governo successiva alle dimissionidi Mikati ha innescato una rapida fase di con-sultazioni tra le varie fazioni della complessa

    la crisi politica libanEsE E lE ripErcussioni dElla crisi siriana

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    politica libanese, dalle quali è emersa la volontàdi risolvere in tempi ragionevolmente rapidi ladifficile fase politica recentemente innescatasi.La coalizione dell’8 Marzo e quella del 14Marzo hanno raggiunto rapidamente un ac-cordo, individuando in Tammam Salam ilnuovo candidato alla carica di Primo Ministro,dimostrando così di voler risolvere in modo ra-gionevole e vicendevolmente utile la pericolosacrisi di governo.Secondo voci provenienti dall’entourage diHezbollah, Salam sarebbe tuttavia stato indivi-duato prioritariamente dal Partito di Dio, sele-zionandolo tra i candidati della parte avversariaper malleabilità e scarsa aggressività, aggiun-gendo anche che, per non imporlo alla coali-zione del 14 Marzo e renderne più agevole erapida la nomina, ne avrebbe sollecitato unviaggio a Riad per ottenere un placet da partedei sauditi e, soprattutto, del leader politico diopposizione Hariri.Salam è stato presentato dalla stampa libanesecome un politico indipendente, non affiliato adalcuna formazione politica, e quindi fortementeindicato in questa fase politica di transizionecome uomo neutrale ed equidistante. Non sonomancate tuttavia le critiche, che lo hanno invecedipinto come una figura neutra, di fatto elevataalla carica di Primo Ministro solo al fine di fa-vorire la ripresa del processo politico, ma senzaalcuna capacità autonoma di condurla. Indi-cando quindi in Hezbollah il vero manovratoredell’operazione e del controllo sul futuro ese-cutivo.Non sono certo facili, peraltro, i compiti che ilnuovo capo del Governo dovrà affrontare, primitra tutti la riforma della legge elettorale e la no-mina del nuovo responsabile della Sicurezza In-terna.Prima di ogni altra cosa, tuttavia, dovrà cercaredi formare un nuovo Governo cercando diamalgamare tutte le anime delle diverse correnti

    politiche, rispettando gli equilibri emersi alleprecedenti elezioni senza esacerbare la già pal-pabile tensione presente in ogni ambito dellapolitica nazionale.Per portare a termine questo compito, non potràfar altro che dar vita ad un’ampia coalizione po-litica, la cui costituzione risulta di difficile re-lizzazione data la richiesta di Salam ai candidatidi non presentarsi successivamente alle pros-sime elezioni. Se tutto ciò andrà in porto, dovràprocedere con la stesura della nuova legge elet-torale, cercando di rispettare la data originaria-mente fissata per giugno delle elezioniparlamentari.Questo significa che, nella migliore delle ipo-tesi, il Governo Salam terminerà il suo mandatopoco prima della prossima estate, o, alternati-vamente, che prolungherà il suo mandato nellaricerca di un accordo per la definizione dellanuova legge elettorale, restando a questo puntoin carica presumibilmente per un ulteriore anno.Un’ulteriore incognita sul mandato di Salam ri-guarda la crisi siriana. Mentre da più parti èstato detto che Salam simpatizzi per le forze diopposizione a Bashar al-Asad, la sua convi-venza con l’alleanza dell’8 Marzo – notoria-mente su posizioni differenti – imporrà dimantenere un profilo cauto e neutro rispetto alvicino conflitto. Cosa non facile, tuttavia, stantela gravità della crisi, gli evidenti effetti sul si-stema politico libanese, e non ultima la solu-zione del secondo nodo politico da scioglierecon una certa urgenza, con la nomina del nuovoresponsabile per la Sicurezza Interna.Il presidente libanese Michel Suleiman ha in-vece approfittato della conferenza della LegaAraba a Doha, il 28 marzo, per esprimere il pro-prio punto di vista sulla crisi politica del propriopaese e più in generale sugli equilibri regionalidel Medio Oriente.Il Presidente ha ricordato come la crisi sirianacostituisca la prima e più importante ragione di

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    preoccupazione per l’esecutivo, soprattutto perquanto concerne le conseguenze nel Libano set-tentrionale, riaffermando la volontà di difenderead ogni costo la sovranità e l’indipendenza delLibano da ogni minaccia esterna.Ha quindi ribadito la piena validità per il Libanodella Carta della Lega Araba, rassicurando in talmodo sia l’Arabia Saudita che il Qatar, ma chie-dendo espressamente sostegno per non trasfor-mare il Libano nella retrovia di crisi delconflitto siriano.Ha chiesto al tempo stesso un concreto aiuto perla gestione dell’emergenza umanitaria connessacon il crescente numero di profughi, indicandola necessità di uno sforzo comune e chiamandola Lega Araba ad esprimere la propria solida-rietà sul caso.

    la designazione di salam e la posizione diHezbollahIl Partito di Dio è stato tra i primi a comunicareil proprio assenso alla candidatura di TammamSalam alla carica di Primo Ministro, alimen-tando al contempo la voce secondo la quale, inrealtà, Salam sarebbe stato scelto proprio daHezbollah come uomo di garanzia per la ge-stione della difficile crisi politica libanese.Ha lasciato effettivamente alquanto sorpresianche l’immediato “gradimento” saudita e laposizione di relativo silenzio della coalizione 14Marzo sulla questione delle attività di Hezbol-lah nel Libano Meridionale e in Siria, confer-mando i sospetti di quanti vedono dietro lafigura di Salam l’elemento di cerniera tempora-nea tra le due principali coalizioni politiche li-banesi.Non si prevede quindi nell’immediato futuro al-cuna forma di conflittualità tra Hezbollah e Ha-riri, stante la necessità di concentrare tutte leenergie sprigionate dalla momentanea treguapolitica in direzione della definizione dellanuova legge elettorale.

    Quando Salam inizierà a formare il governo,poi, l’8 Marzo e il 14 Marzo dovranno affron-tare anche il problema della suddivisione dei di-casteri e delle forze di sicurezza, gestendo inmodo particolare quelli più delicati ed ambiti daognuna delle parti.Tra questi spicca senza dubbio il Ministero delleTelecomunicazioni, non solo in virtù degli ele-vati volumi di cassa generati, ma anche per lapossibilità di controllare le comunicazioni tele-foniche a garanzia della sicurezza.La stampa libanese ha inoltre ampiamente ripor-tato la notizia dell’interesse da parte del drusoWalid Jumblatt non solo per il Ministero delleTelecomunicazioni, ma anche per quello del-l’energia, che secondo alcuni potrebbe diven-tare, nel prossimo futuro, la vera cassafortedell’economia libanese, grazie allo sviluppo deigiacimenti di petrolio e gas recentemente sco-perti al largo delle coste nazionali.L’interesse per entrambi i ministeri è stato con-fermato anche dal Partito Libero Patriottico diMichel Aoun, che li ha presieduti entrambi nelgoverno Mikati.Sia il Ministero delle Telecomunicazioni chequello dell’Energia interessano tuttavia anchead Hezbollah, che soprattutto con il primo po-trebbe incrementare la gestione della propria si-curezza attraverso una capacità capillare dicontrollo delle comunicazioni telefoniche.

    la sicurezza nel libano settentrionaleContinuano i combattimenti tra le forze gover-native e d’opposizione in tutte le regioni dellaSiria occidentale, e in particolar modo nelle areedi Aleppo, Homs e Damasco, interessando di-rettamente il Libano settentrionale a intervalliregolari.Risultano in mano alle forze di opposizione lar-ghe porzioni del territorio alla periferia diDeraa, e sono segnalate attività militari lungol’intero confine con il Libano.

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    Il 15 aprile alcuni razzi sono caduti in territoriolibanese, presso i villaggi di al-Qasr e di Hu-shSayyid Ali, nell’alta valle della Bekaa, a ri-dosso del confine siriano in prossimità dellacittà di Homs. I razzi hanno provocato la mortedi due giovani libanesi, e il ferimento di altri sei.A preoccupare le autorità libanesi, tuttavia, èanche la minaccia di attacchi diretti da partedelle milizie di opposizione al regime siriano diBashar al-Asad, che lamentano la presenza dinumerosi guerriglieri affiliati all’Hezbollah li-banese, minacciando ritorsioni in profondità conartiglierie e i razzi se l’esercito di Beirut nonfermerà il flusso di combattenti del Partito diDio nella regione.Seccamente smentita dalla direzione di Hezbol-lah la presenza di propri uomini in territorio si-riano, sebbene la loro azione sia stataapertamente denunciata da un ufficiale del FreeSyrian Army, il Tenente Colonnello MuhiyeddinZein, al comando delle operazioni nell’areafrontaliera di al-Qasr.Muhiyeddin Zein si è anche assunto la respon-sabilità dei razzi che hanno colpito il villaggiodi al-Qasr e Hush Sayyid Ali sul versante liba-nese, provocando due morti, sostenendo chel’azione sia stata condotta come ritorsione con-tro le milizie di Hezbollah che utilizzano il vil-laggio come base logistica per compiere azioniin territorio siriano.In un successivo comunicato stampa diramatodal FreeSyrianArmy, e firmato dal portavoceAbdul-Hamid Zakaria, le forze di opposizionesiriane hanno denunciato la presenza di circacinquemila miliziani di Hezbollah operativinelle regioni a ridosso del confine libanese, dicui circa duemila in territorio siriano e altri tre-mila impegnati nella logistica e nel supporto inposizione arretrata oltre il confine libanese.D’altra parte, anche Hezbollah denuncia le forzedell’opposizione siriana di utilizzare il territorio

    del Libano settentrionale come retroguardia lo-gistica del conflitto, spostando costantementeuomini, armi, munizioni e mezzi soprattutto indirezione della città di Tripoli.A supporto di questa denuncia, nel corso degliultimi mesi sono stati segnalati alla stampa stra-niera i numerosi feriti trasportati nelle struttureospedaliere della regione, e la presenza di unnumero crescente di individui di nazionalità nonlibanese, presenti nell’area e affiliati – secondoHezbollah – alle milizie del Free Syrian Armye delle unità salafite indipendenti.

    conclusioniLe prospettive di tenuta del nuovo esecutivo li-banese sono alquanto blande, e il nuovo go-verno ha indiscutibilmente una naturasquisitamente transitoria. L’obiettivo, oggi, èquello di riuscire a ricomporre le diverse istanzedell’eterogeneo sistema libanese, impedendouna deriva politica ritenuta a questo punto diestrema pericolosità da tutte le principali forzepolitiche locali.Sul piano nazionale, le principali esigenze sonoquelle connesse alla riforma della legge eletto-rale e alla nomina dei vertici dell’apparato di si-curezza, traghettando il paese verso elezioni che– nelle intenzioni di molti – dovrebbero favorirela determinazione di un quadro politico mag-giormente stabile, meno conflittuale, e capacedi affrontare le non poche sfide economiche, po-litiche e della sicurezza regionale.Il nuovo premier potrebbe quindi essere favoritodall’ampio e concreto supporto delle forze po-litiche di maggior peso, limitando il suo ruoloalla definizione delle questioni elettorali e ter-minando il mandato nell’arco di circa quattro ocinque mesi, o al contrario dover gestire la ri-forma elettorale in modo più complesso e pro-lungare quindi il suo incarico di circa un anno.

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    Sahel e Africa Subsahariana

    Marco Massoni

    ►Camerun: sono stati liberati i sette ostaggi francesi, rapiti il 19 febbraio a Dabanga, nel norddel Paese lungo il confine con la Nigeria, dove imperversano i terroristi di Boko Haram. Nessundettaglio è stato fornito dalle autorità competenti, ma verosimilmente il rapimento potrebbe esserestata una rappresaglia di matrice qaidista contro l’intervento francese in Mali.►Gibuti: Abdoulkader Kamil Mohamed è il nuovo Primo Ministro, nominato dal PresidenteIsmael Omar Guelleh in sostituzione di Dileita Mohamed Dileita. L’avvicendamento scaturiscedell’esito delle elezioni legislative del 22 febbraio, che hanno visto vittoriosa l’Unione per la Mag-gioranza Presidenziale (UMP). Il risulato elettorale è contestato dal principale partito d’opposi-zione, l’Unione per la Salvezza Nazionale (USN).►Guinea-Bissau: l’Ammiraglio José Americo Bubo Na Tchuto, già comandante della MarinaMilitare bissau-guineana, è stato arrestato nel corso di un’operazione congiunta capoverdianae statunitense. Già responsabile di un tentativo di colpo di Stato nel 2011, costui sarebbe un refe-rente delle narcomafie latinoamericane in Africa Occidentale. La complicità dei militari con iltraffico di stupefacenti resta il problema maggiore nel Paese. Infatti anche il Capo di Stato Mag-giore delle Forze Armate, Antonio Indjai, è stato accusato da un tribunale di New York di nar-coterrorismo, in quanto avrebbe celato in Guinea Bissau partite di cocaina provenienti dalle ForzeArmate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), al fine di smerciarle in un secondo momento negliUSA. Le autorità transitorie della Guinea Bissau hanno a loro volta accusato Washington, respin-gendo ogni accusa, perché destituita di ogni fondamento. Nel contempo l’ex Capitano della Guar-dia Presidenziale, Pansau N’Tchama, ed altri due ex ufficiali, il Capitano di Vascello Jorge Sambùe il Colonnello Braima Djédjo, sono stati condannati a cinque anni di prigione con l’accusa diaver organizzato un fallito golpe nell’ottobre del 2012. Per calmare le agitate acque dell’ex coloniaportoghese, il Presidente ad interim, Manuel Serifo Nhamadjo, ha affermato che entro la fine del-l’anno dovrebbero tenersi le elezioni. ►Guinea: ennesimo rinvio al prossimo giugno delle elezioni legislative. È dal 2011 che le ele-zioni subiscono dei rinvii per apparenti ragioni di ordine amministrativo ed organizzativo, ma lacausa di tale stato di cose è il difficile dialogo fra Governo ed opposizione.►Kenya: il nuovo Presidente, Uhuru Kenyatta, eletto il 4 marzo scorso si è subito speso in undiscorso per l’unità nazionale del Paese, che non è stato teatro questa volta del bagno di sangue

    Eventi

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    che invece segnò le elezioni presidenziali del 2007.►Mali: il 25 aprile il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato con la Risoluzione n°2100la creazione di una forza di mantenimento della pace per il Mali – la United Nations Mutlidi-mensional Integrated Stabiliazation Mission in Mali (MINUSMA) – che, dotata di 12.600 uo-mini, sarà dispiegata agli inizi di luglio, mese in cui sono programmate le elezioni presidenziali,sul cui svolgimento si nutrono comunque perplessità. Scopo della missione ONU è di supportarele autorità di transizione maliane nella stabilizzazione del Paese e nell’implementazione della ro-admap, che prevede l’assistenza umanitaria, la protezione dei civili, il rientro dei rifugiati e deglisfollati ed il monitoraggio dei diritti umani.►Madagascar: le date delle elezioni legislative e presidenziali, in calendario il 24 luglio ed il25 settembre, potrebbero subire un rinvio per ritardi nella distribuzione del materiale elettorale.Per conto dell’ex partito di Governo –Tiako I Madagasikara – a sorpresa si è intanto candidataLao Ravolomanana, moglie dell’ex Presidente in esilio in Sudafrica, Marc Ravolmanana. La Co-munità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC), incaricata della mediazione, ha formalmenterichiesto che l’ex Presidente Andry Rajoelina si ritiri dalla competizione elettorale.►Nigeria: per facilitare il negoziato, il Governo federale ha optato per l’amnistia a favore deimembri della setta Boko Haram, i cui attacchi terroristici comunque proseguono senza sosta intutto il Nord-Est della Nigeria.►Repubblica Centrafricana (RCA): dopo il colpo di Stato ad opera di Seleka, un cartello di or-ganizzazioni ribelli, che ha messo fine al regime del Presidente Bozizé, ora in esilio, sono incorso le consultazioni per la formazione di un Consiglio Superiore di Transizione (CST), un enteespressamente richiesto dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (CEEAC-ECCAS) quale organizzazione sub-regionale responsabile della transizione nel Paese. La situa-zione resta particolarmente fluida.►Somalia: in previsione della Conferenza di Londra del 7 maggio, evento in cui i maggiori sta-keholder internazionali riversano molte aspettative circa il futuro dell’ex colonia italiana, l’Etiopiaha avviato i preparativi per ritirare il proprio contingente dal martoriato Paese. Nel frattempo ilRegno Unito è la prima Nazione occidentale ad aver riaperto la propria Ambasciata a Mogadi-scio.►Sudan: sono stati avviati nella capitale etiopica, Addis Abeba, i negoziati diretti tra Khartoume la ribellione del Movimento Popolare per la Liberazione del Sudan–Nord (SPLM-N), con l’au-spicio di pacificare le aree frontaliere del Nilo Blu e del Sud Kordofan lungo il confine fra i dueSudan sotto l’egida dell’Unione Africana. Sono stati scarcerati i principali accusati del presuntoe fallito golpe dello scorso autunno nella capitale sudanese, Khartoum.►Sud Sudan: il Presidente, Salva Kiir, ha ridimensionato per decreto i poteri del Vice-Presi-dente, Riek Machar, annullando peraltro la Conferenza di Riconciliazione Nazionale di luglio.La mossa è probabilmente legata al timore che Machar possa vincere le elezioni presidenziali del2015.►Togo: le elezioni legislative e amministrative in Togo già previste per marzo, sono state ulte-riormente rinviate al prossimo maggio. Non si esclude un nuovo rinvio a causa dell’impasse deldialogo politico fra Governo e partiti d’opposizione. ►Zimbabwe: il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) potrebbe essere incaricato

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    della gestione delle elezioni presidenziali e legislative, che dovrebbero tenersi entro la fine del-l’anno.

    Per l’ONU e per gli Stati Uniti, il mantenimentodello status quo nel Sahara Occidentale è sem-pre meno rinviabile e occorre seriamente tro-vare una soluzione sostenibile quanto prima.Questa, in sintesi, è la novità circa l’annosa que-stione della disputa sulla sovranità del SaharaOccidentale alla luce degli accadimenti interve-nuti nell’aprile di quest’anno, cioè della propo-sta americana di rafforzare il ruolo delleNazioni Unite nell’area, con l’implicito rischioche si aprano scenari poco graditi al Maroccoed alla sua strategia per la regione. Mai comeadesso si rende necessario rafforzare la pre-senza internazionale in tutto il Sahara ed ilSahel, così da bilanciare i rapporti di forza neiPaesi in crisi della regione, come nell’ex SaharaSpagnolo, dove è già presente, benché pocooperativa, la Missione delle Nazioni Unite peril Referendum nel Sahara Occidentale (MI-NURSO)1, istituita nel 1991.

    il sahara occidentaleIl Sahara Occidentale è un’ex colonia spagnoladal 1975 sotto il controllo del Marocco, che loconsidera come propria provincia meridionale.Il Fronte Popolare di Liberazione del Saguía elHamra e del Río de Oro (Fronte Polisario), in-vece, reclamandone la sovranità, proclama il 26febbraio 1976 la Repubblica DemocraticaAraba Sahrawi2 (RASD), riconosciuta dall’U-nione Africana (UA). Per questa ragione ilMarocco dal 1984 si autosospende dall’Orga-nizzazione. Dopo quindici anni di guerriglia,nel 1991 le parti accettano la tregua e inter-rompono le ostilità. Forte del sostegno dell’Al-

    geria in funzione antimarocchina, il Polisario èconvinto di poter ottenere il suo obiettivo, cioèl’indipendenza attraverso un referendum di au-todeterminazione, ma il Marocco attua unastrategia tale da procrastinare indefinitamentel’impasse, fino a proporre un’ampia autonomiacome unica soluzione praticabile. Vediamo insintesi i maggiori accadimenti dopo gli accordidel 1991. Nel 1994 ha inizio l’identificazionedegli elettori (1994-1999) da parte dell’ONU incollaborazione con l’allora Organizzazione del-l’Unità Africana (OUA), che viene tuttaviasospesa per due anni e ripresa nel 1997, graziealla mediazione dell’ex Segretario di Statoamericano, James Baker, ed agli accordi diHouston. L’identificazione degli aventi dirittoal voto si conclude nel 2000 con le seguenticifre: 198.496 casi trattati; 86.386 ammessi;134.000 ricorsi da parte marocchina. In ragionedello stallo derivante dall’enorme numero di ri-

    risvolti africani dEgli Esiti dEl xiv vErticE dElla francofonia

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    corsi, comincia a farsi strada l’idea di una cosid-detta “terza via” alla tenuta del referendum, per-ciò il Marocco si dice favorevole all’autonomiadel Sahara Occidentale nell’ambito dellasovranità e dell’integrità territoriale del RegnoAlawita. In effetti già l’anno dopo, nel 2001, leNazioni Unite avallano un accordo quadro perl’autonomia, il cosiddetto Piano Baker, che èdel tutto respinto dal Polisario. Nel 2003 Bakerpresenta un nuovo Piano di Pace, che contemplaun periodo transitorio di autonomia, questavolta accettato dal Polisario, ma respinto dalMarocco, sennonché l’anno successivo Baker sidimette. In quello stesso anno, Pretoria, con ilsuo peso “africano” e di economia emergente,controcorrente, decide di riconoscere la RASD,nonostante altri Stati abbiano via via deciso diretrocedere dal riconoscimento. A partire dal2005 prende il via l’intifada tra i sahrawi chevivono nei territori della parte controllata dalMarocco attraverso una serie di proteste, cuisegue la repressione da parte delle forze dell’or-dine del Marocco. Dal 2007 riprendono i ne-goziati mediati dalle Nazioni Unite, ma senzaesito alcuno. Nel 2009 il diplomatico americanoChristopher Ross diviene il nuovo Inviato Spe-ciale del Segretario Generale dell’ONU. Nel2012, sono sgomberati ventimila sahrawi dalcosiddetto campo della dignità, ubicato nellaperiferia di El Ayoune, la capitale ufficiosa delSahara Occidentale. Il 22 ottobre a Rabouni (ilcentro amministrativo della RASD a Tindouf inAlgeria) il Movimento Monoteista per il Jihadin Africa Occidentale (MUJAO) rapisce alcunicooperanti, tra cui l’italiana Rossella Urru, ri-lasciati l’anno successivo dopo una lunga deten-zione. In tale circostanza, particolarmentepreoccupante per la stabilità regionale, taluniosservatori avanzano l’ipotesi di possibili col-legamenti fra alcune frange estremiste sahrawicon il terrorismo qaidista, che imperversa sem-pre più nel Sahara e nel Sahel, ma il Polisario

    respinge ogni accusa. Lo scorso anno Ross,sospesi i negoziati diretti fra le parti, perché in-fruttuosi, decide di allargare la mediazione aimaggiorenti dello scacchiere. A dicembre 2011il Presidente Mohamed Abdelaziz è rieletto allaguida della Repubblica in esilio nel corso delXIII Congresso del Fronte Polisario. Abdelaziz,che anche con l’incarico di Segretario del Polis-ario è ininterrottamente al potere dal 1975, rib-adisce in quell’occasione la necessità dicontinuare a perseguire la via pacifica e diplo-matica, anziché dare ascolto ad una minoranzache intenderebbe invece ritornare alla lotta ar-mata. Aumenta l’insofferenza dei giovanisahrawi, alcuni dei quali prendono d’assalto lasede del Fronte nel corso di una manifestazionea Tindouf e chiedono le dimissioni per un ri-cambio generazionale dell’intera classe diri-gente del Polisario. Nel maggio del 2012Cristopher Ross è “sfiduciato” dal Marocco; sitratta di un atto unilaterale da parte di Rabat,provocato dal contestato Rapporto del Segre-tario Generale delle Nazioni Unite sul SaharaOccidentale del 5 aprile dello stesso anno, inquanto denuncia pressioni marocchine sull’op-erato della MINURSO, a capo della quale dal15 giugno 2012 viene nominato il tedesco Wolf-gang Weisbrod-Weber, che è anche Rappresen-tante Speciale del Segretario Generale per ilSahara Occidentale. Nell’ottobre del 2012, ilVice-Segretario Generale dell’ONU, respons-abile delle operazioni di peacekeeping, ilfrancese Hervé Ladsous, si reca in visita nei ter-ritori del Sahara Occidentale. Nella primaveradi quest’anno aumentano sensibilmente leproteste e le manifestazioni di migliaia disahrawi, anche in previsione della celebrazione,il 10 maggio, dei quarant’anni di lotta politicadel Polisario (10 maggio 1973). L’8 aprile 2013il Segretario Generale dell’ONU presenta alConsiglio di Sicurezza (CdS) il Rapporto (an-nuale) sulla Situazione riguardante il Sahara

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    Occidentale, che precede il rinnovo del mandatoper un altro anno della MINURSO. In Consigliodi Sicurezza ha luogo un dibattito molto serrato,poiché Washington avanza la richiesta esplicitadi irrobustire la missione e renderla più efficaceed efficiente, il che effettivamente sorprendeRabat ed anche Parigi, che appoggia da sempreil Marocco sulla questione. La mossa americanasottintende l’opportunità che la MINURSO siadotata al più presto anche di strumenti atti almonitoraggio dei diritti umani, dunque del lororispetto tanto nei territori occupati dal Maroccoquanto in quelli liberati dal Fronte Polisario. Èinteressante notare che il mandato della MIN-URSO non prevede la protezione dei civili,mentre gli altri suoi compiti concernono lo smi-namento e la supervisione del rispetto del ces-sate-il-fuoco fra le parti. Più dettagliatamente laMINURSO deve verificare la riduzione delletruppe marocchine presenti sul territorio; con-trollare il dislocamento delle truppe marocchinee di quelle del Fronte Polisario nelle località as-segnate; accordarsi con le parti in conflitto perassicurare il rilascio di tutti i prigionieri o de-tenuti politici; supervisionare il rilascio di tuttii prigionieri di guerra (Comitato Internazionaledella Croce Rossa); implementare il programmadi rimpatrio (Alto Commissariato delle NazioniUnite per i Rifugiati); identificare e registraregli aventi diritto al voto; organizzare ed assicu-rare lo svolgimento di un libero referendum,rendendo noti i risultati, per l’autodetermi-nazione della popolazione residente nella re-gione del Sahara occidentale. Il 15 aprile leautorità marocchine reagiscono a quello checonsiderano un affronto con l’annullamentosine die dell’esercitazione congiunta con Wash-ington, denominata “Leone africano”. Di con-seguenza gli Stati Uniti ammorbidiscono lapropria posizione e ne viene fuori unaRisoluzione che incoraggia le parti a fare tuttigli sforzi necessari per garantire il rispetto dei

    diritti umani nel Sahara Occidentale e nei campiprofughi. Si tratta di un avvertimento secondoalcuni osservatori o di un’occasione mancataper altri. La formula è frutto di un compromessotra la posizione americana, che intendeva am-pliare il mandato della missione alla supervi-sione dei diritti umani, e le reticenze delMarocco, potenza occupante dal 1975, contrariaa qualsiasi modifica in tal senso. A fine aprile ilRe del Marocco, Mohammed VI, ha invitato ilPresidente Obama a recarsi in visita ufficiale nelPaese, così da discutere questioni di sicurezzaregionale di mutuo interesse, in una chiara richi-esta di distensione. Complice dell’accelerazioneche Washington vorrebbe conferire al processonel suo insieme vi è, secondo alcuni pretestu-osamente, il mancato rispetto dei diritti umanifondamentali tra le parti in causa. In questi ul-timi anni le manifestazioni pro-indipendenzadei sahrawi che vivono in Marocco sono staterepresse e sono seguiti arresti arbitrari, cosìcome c’è incertezza circa le sorti dei militarimarocchini detenuti in Algeria dal Polisario ecomunque più in generale sulle condizioni divita in tutti i campi per rifugiati di Tindouf. Laforma politica della richiesta americana inprima battuta sembrerebbe cercare di mettere inguardia ambo le parti sul fatto che i propri com-portamenti devono essere accountable e che ilruolo dell’ONU vada rispettato fino in fondo:un monito, dunque. In seconda battuta, potreb-bero determinarsi ricadute ben maggiori, vale adire che, se finora il conflitto dimenticato deldeserto non è stato importante strategicamenteper quegli attori che hanno manifestato interessiper il riassestamento geopolitico del Sahel e delSahara, ora il contesto è diametralmente op-posto, e che bisogna dare una svolta – forse di-versa da quanto auspicato da Rabat – alladisputa del Sahara Occidentale, troppo a lungotralasciata, così da garantire la stabilità e la si-curezza della regione. Si aggiunga che tutto

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    questo accade mentre il potere di Algeri è piùdebole, a causa delle precarie condizioni disalute del Presidente Bouteflika e delle immi-nenti elezioni presidenziali in calendario nel2014, ma che potrebbero anche tenersi prima,in caso egli morisse o non potesse più esercitarepienamente le sue funzioni. Probabilmente an-drebbe anche considerato un meno palese seg-nale rivolto dagli USA alla Francia, ancorché inepoca di smart-power americano: il beneplacitofinora accordatole nella gestione degli affariafricani non rappresenta un assegno in bianco.Altrimenti detto, l’ultima parola, quella sovranae definitiva, vorrebbe continuare ad averlaWashington indipendentemente da Parigi. Lasensazione è che, mentre si tarda a risolvere ildelicato conflitto siriano, si stia concretizzandoinvece la volontà di affrontare rapidamentequello solo apparentemente più semplice del Sa-hara Occidentale. Ciò potrebbe essere possibile,dal momento che si stanno ridisegnando gliequilibri in tutto lo scacchiere africano in ques-tione, a seguito delle primavere arabe da unaparte e degli sconvolgimenti in atto nel Sahel adopera di AQMI e dell’intervento internazionaledall’altra parte. Proprio perché lo spettro delloscenario maliano continua ad aggirarsi nel Sa-hara e nel Sahel, bisogna evitare che si ripetanoper i sahrawi le condizioni che avevano portatoi tuareg ad allearsi con i qaidisti e a dichiararecon le armi l’indipendenza dei loro territori. Inprevisione dell’imminente dispiegamento di unanuova e delicata missione delle Nazioni Unitenel vicino Mali – la MINUSMA sarà la terza perordine d’importanza – verrebbe mal tolleratoche la MINURSO mantenga un profilo troppobasso, come è stata costretta a fare sino a questomomento. Inoltre vi è il concreto il rischio chei jihadisti in fuga dal Mali si insedino in altreenclavi critiche dell’intera area. Secondo alcunianalisti un esercito come quello della RASD,tenuto in attesa e non impiegato per oltre venti

    anni, si trova privo della sua stessa ragiond’essere, anche perché, di fatto, sotto tutela es-terna e, cioè, dell’Algeria, Paese nel quale ilPolisario è ospite. Oltre a ciò si aggiunga che apiù riprese i suoi vertici sono andati in rotta dicollisione con le decisioni attendiste delle au-torità civili sahrawi, le quali hanno sempre es-cluso la ripresa della lotta armata. Ebbene in talicondizioni l’esercito sahrawi non può che sfal-darsi definitivamente e alcune frange armatepotrebbero lasciarsi sedurre dalle lusinghe degliAQ-Associated Movements (AQAM). In defini-tiva, le questioni della sovranità del Sahara Oc-cidentale e del Governo in esilio della RASDsono un problema d’incompiuta decoloniz-zazione, che minano in modo crescente la sta-bilità, non solo dell’Africa Settentrionale e delMaghreb, ma dell’intera Africa Occidentalelungo la fascia sahelo-sahariana, dove Al Qaidanel Maghreb Islamico (AQMI) cerca nuovi lu-oghi dove meglio radicarsi. Per questo, primache sia troppo tardi, potrebbe essere il caso chela comunità internazionale riconosca qualchedividendo in più ai sahrawi, i quali hanno man-ifestato finora la ferma intenzione di non dareseguito al proprio irredentismo sotto forma diterrorismo. Per di più, è fondamentale non con-fondere i rifugiati sahrawi con i qaidisti, pena laricerca dello scontro frontale irrispettoso diqualsiasi accordo o mediazione internazionalea favore dell’autodeterminazione dei popoli.D’altra parte è pur vero che tenere in standbyun’intera popolazione per quasi quarant’annisignifica sfiancarla e stressarla, così che, quandosi è messi alle strette, reazioni irrazionali pos-sono dimostrarsi l’ultima ratio in assenza di al-ternative credibili.

    Quanto agli esiti dell’oltremodo rinviatasoluzione del Sahara Occidentale, il Marocco,pur avendo finora assicurato la stabilità re-gionale, perfettamente in linea con la salva-

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    guardia degli interessi americani ed europeinell’area, rischia di subire gli effetti dellaristrutturazione in corso dei centri di potenzanel Sahara e nel Sahel, stretti fra Africa Setten-trionale ed Africa Occidentale. Proprio perchéla situazione è ancora del tutto in evoluzione,sembra prematuro poter dire se si giungeràall’autonomia oppure all’indipendenza, in

    analogia con quanto avvenne nel caso di TimorEst, allorché nel 1999 improvvisamente e in-sperabilmente si crearono una serie di con-dizioni oggettive, le quali permisero sotto egidaONU il referendum di autodeterminazione, checondusse all’indipendenza dell’ex colonia por-toghese.

    1 Alla MINURSO l’Italia contribuisce con cinque osservatori militari dell’Esercito.2 La parola sahrawi (pronuncia semplificata saraui) deriva dal termine sahra, in arabo ÇáÕÍÑÇÁ vale a diredeserto.

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    Russia, Europa Orientale ed Asia Centrale

    Lorena Di Placido

    Eventi►Il FMI approva il quadro macroeconomico della Lettonia. Valutata la sostanziale stabilitàmacroeconomica della Lettonia, il 3 aprile il Fondo Monetario Internazionale ha dichiarato cheil piano di finanziamento avviato nel 2008 in suo favore è stato portato a termine con successonel 2012 e che può quindi essere chiuso l’ufficio di rappresentanza di Riga. Restano, tuttavia, daaffrontare la riforma del settore microeconomico e il problema dell'elevata disoccupazione (14,3%a febbraio 2013). Dato il sostanziale superamento della crisi economica, entro il 2013 la Lettoniapotrebbe diventare membro dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo SviluppoEconomico), alla quale chiese di aderire già nel 1996. Tale richiesta incontra il favoredell'Organizzazione che, tuttavia, chiede una complessiva ristrutturazione del settore bancario,per evitare eventuali nuove bolle finanziarie. ►Nuovo impulso per lo sviluppo dell’estremo oriente russo. Il 4 aprile, il governo della Fede-razione Russa ha approvato un programma di sviluppo regionale denominato “Sviluppo econo-mico e sociale dell’estremo oriente e della regione del Baikal” per il periodo 2014-2025. Essoriguarda gli ambiti energetico, dei trasporti e delle infrastrutture sociali e include: un piano ge-nerale; uno dedicato alle isole Curili; 12 programmi minori per settori specifici. L’impegno ri-chiesto al bilancio federale è notevole. Ad esempio: per le tratte ferroviarie Baikal-Amur e dellaTransiberiana sono stati stimati 8,4 miliardi di dollari di spesa; per un nuovo ponte sul fiumeLena, da costruire nei pressi di Yakutsk, 2,5 miliardi di dollari; l’ammodernamento degli aeroportidella regione viene ipotizzato intorno ai 3,2 miliardi di dollari. Le nuove imprese che deciderannodi investire nell’estremo oriente godranno di benefici fiscali per cinque anni.►Negoziati sul nucleare iraniano ad Almaty. Dal 5 al 7 aprile si è svolta ad Almaty una nuovasessione (priva di risultati) dei negoziati sul nucleare in Iran. La responsabile della politica esteradell’Unione Europea, Catherine Ashton, ha partecipato in qualità di rappresentante di Stati Uniti,Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania.►Erdogan in visita in Kirghizstan. Accompagnato da una numerosa delegazione di operatorieconomici, dal 9 all’11 aprile, il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, si è recato inKirghizstan, dove ha avuto con le massime cariche dello stato colloqui finalizzati ad un sostanzialerafforzamento delle relazioni bilaterali. Al momento, nella repubblica centroasiatica sono attive200 joint ventures turco-kirghize e l’intenzione delle parti è quella di aumentarne il numero e di

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    differenziarne gli ambiti di interesse, con nuovi accordi nel turismo, nei servizi e nel settore delleforeste. Nel 2012, l’interscambio tra i due paesi è stato di 228,7 milioni di dollari, con un incre-mento del 33% rispetto all’anno precedente. La Turchia si è resa disponibile a cooperare con ilKirghizstan anche nel campo dello sfruttamento delle risorse idriche e della costruzione di nuoveinfrastrutture per la produzione di energia idroelettrica, settori strategici che presentano risvoltidi grande sensibilità per gli equilibri regionali.► Ancora alta la tensione in Armenia. In Armenia, l’esito delle elezioni presidenziali del 18 feb-braio (che hanno visto la rielezione di Serzh Sargsyan) non è stato accettato dal candidato del-l’opposizione, Raffi Hovanissian, promotore di una campagna di protesta, culminata il 9 aprilein una contro cerimonia di insediamento per il nuovo presidente. ► Accordo di cooperazione tra Georgia e Iran. Il 21 aprile, Iran e Georgia hanno firmato unaccordo bilaterale per lo sviluppo della cooperazione economica tra le aree di libero scambioiraniane e quella georgiana di Kutaisi.►L’Ucraina possibile osservatore dell’Unione Doganale. Il 23 aprile, è stato annunciato unaccordo di principio per la concessione all'Ucraina dello status di osservatore nell'UnioneDoganale di Russia, Kazakhstan e Bielorussia.►Nuova crisi politica in Moldova, sempre più probabili le elezioni anticipate. Il 5 marzo 2013,il governo moldavo, guidato da Vladimir Filat, si è dimesso a seguito di una mozione di sfiduciapresentata in parlamento dal partito comunista, all'opposizione. Il 16 aprile, il presidente dellarepubblica, Nicolae Timofti, ha incaricato Filat della formazione di un nuovo governo. Ladecisione è stata annullata il 23 aprile dalla Corte Costituzionale, secondo cui il primo ministrosfiduciato non può ricevere l’incarico di formare un nuovo governo. Si profila con sempremaggiore probabilità il ricorso a elezioni anticipate per un paese già interessato da frequenti crisipolitiche. Il governo di coalizione guidato da Vladimir Filat - di orientamento filo-occidentale einteressato a promuovere l'integrazione del paese nell'Unione Europea (UE) – era stato formatoa gennaio 2011, dopo un periodo di instabilità politica, con tre tornate elettorali nel giro di dueanni.►Nuove proteste dell’opposizione in Kirghizstan. Il 24 aprile, nella capitale del Kirghizstan(Bishkek) si è svolta una manifestazione del movimento di opposizione El Unu, che ha chiesto lanazionalizzazione della miniera d’oro di Kumtor, le dimissioni del governo, il rilascio di 3 parla-mentari dell’opposizione detenuti da marzo. ►140 arresti a Mosca per estremismo religioso. In seguito all’arresto di due giovani ceceni,sospettati di essere gli autori dell’attentato a Boston, che il 15 aprile ha causato 3 morti e 260feriti, anche in Russia è ulteriormente cresciuta l’attenzione delle forze di sicurezza verso gli am-bienti più a rischio per quel che riguarda la predicazione estremista. Il 26 aprile, la polizia diMosca ha arrestato 140 persone, che uscivano da una moschea dopo la preghiera. ►Moldova: possibile nuova fase di tensione con la Transnistria. Le autorità di Chisinau hannoistituito lungo il confine con la provincia secessionista della Transnistria nuovi posti di frontiera,operativi dal 1° maggio (con una deroga ai controlli in occasione delle feste pasquali, 5-6 maggio).Percepita come una provocazione dalle autorità di Tiraspol, tale decisione rischia di compromet-tere la delicata iniziativa negoziale multilaterale alla quale partecipano, oltre a Moldova eTransnistria, Russia, Ucraina, USA, Unione Europea, Organizzazione per la Sicurezza e la Co-

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    operazione in Europa (OSCE), nel cosiddetto formato 5+2. Una nuova sessione dei negoziati siterrà a Odessa (Ucraina) nel mese di maggio. ►Kazakhstan: si chiude con 16 condanne il processo ai terroristi di Atyrau. Il 29 aprile, si èconcluso con condanne dai 12 ai 16 anni il processo a carico di 16 sospetti terroristi, scopertimentre erano in procinto di compiere un attentato ad Atyrau nel 2012. Tutti residenti ad Atyrau,Mangistau e in altre località del Kazakhstan occidentale, oltre che di concorso nella preparazionedi un attentato, sono stati ritenuti colpevoli di propaganda terroristica e organizzazione e finanzi-amento di gruppi terroristici.►Incontro a Mosca tra Putin e Shinzo Abe. Il 29 aprile, il presidente russo Vladimir Putin haincontrato a Mosca il primo ministro giapponese Shinzo Abe. Entrambi hanno espresso la volontàdi tenere nuovi colloqui per dirimere la contesa sulle isole Curili meridionali, che ha sinora im-pedito la firma di un trattato di pace tra i due paesi.►Riunione dei capi delle agenzie antidroga dei paesi della SCO. Il 30 aprile, si è svolto a Bishkekil quarto incontro dei capi delle agenzie antidroga dei paesi membri della Shanghai CooperationOrganization (SCO) e del direttore della Regional Counter Terrorism Structure (SCO RCTS). Alcentro della discussione è stata la cooperazione degli stati nel combattere la circolazione illegaledi narcotici, sostanze psicotrope e dei precursori, unitamente alle modalità con le quali contrastarela produzione e il traffico delle droghe afghane. Le parti hanno approvato un piano d'azione peril biennio 2013-2014 per l'attuazione del programma di misure necessarie per completare la strate-gia antidroga della SCO per il periodo 2011-2016. ►Concluso l’accordo per l’esportazione di elettricità dal Tagikistan all’Afghanistan. Il Tagik-istan ha concluso con l’Afghanistan un accordo per l’esportazione di 1 miliardo di kw di elettricitàal suo vicino meridionale; si tratta di un ammontare doppio rispetto al quantitativo esportato nel2012.►Il Kazakhstan liberalizza le licenze minerarie e favorisce la creazione di piccole e medieimprese. Come annunciato dallo stesso presidente Nursultan Nazarbaev all’inizio del 2013, nelmese di aprile il Kazakhstan ha rimosso la moratoria per le licenze alle nuove esplorazioniminerarie. I primi rilasci sono previsti a maggio. Parallelamente, Nazarbaev ha deciso di favorirele condizioni per lo sviluppo di piccole e medie imprese, allo scopo di incentivare attività produttivein comparti diversi da quello minerario, finora predominante per l’economia del paese, e sostenereil settore privato, componente critica nei piani della visione del Kazakhstan al 2050. A tale scopo,ha costituito un nuovo ministero per lo Sviluppo Regionale per stimolare la nascita di nuoveimprese anche nelle aree meno industrializzate del paese.

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    È opinione diffusa tra gli analisti che il ritirodelle forze multinazionali dall’Afghanistan,previsto per la fine del 2014, potrebbe generareuna situazione di ulteriore instabilità nellospazio centroasiatico: non più impegnatiall’interno di quel paese e forti dell’esperienzamaturata negli ultimi anni, i gruppi dicombattenti (alcuni dei quali originari dell’AsiaCentrale) potrebbero decidere di rientrare inpatria e di riorganizzare lì una nuova attivitàestremista. Tale fu l’esito del ritiro dei Sovieticidall’Afghanistan nel 1988, che determinò ilrimpatrio dei militanti islamici provenienti dalsud est asiatico nei loro paesi d’origine dove,grazie alle reti finanziarie e alle competenzelogistiche acquisite, si sono ricostituiti in nuovigruppi organizzati in Malaysia, Indonesia enelle Filippine. Alcuni episodi degli anni piùrecenti hanno evidenziato che undeterioramento delle condizioni di sicurezzacomplessive della regione centroasiatica sia giàin atto e che, se vi si aggiungesse un’attivitàcoordinata di eventuali estremisti religiosi, imargini per una opportuna gestione dell’areasi ridurrebbero pericolosamente. Quindi, gliscontri etnici nel Xinjiang (2009, 2013) e adOsh (Kirghizstan, 2010), le violente proteste diZhanaozen e l’attivismo di stampo terroristicoin Kazakhstan (2011-2012), l’instabilità nelGorno Badakhshan (Tagikistan, 2012),rappresentano i punti di debolezza già presentinei singoli paesi, che, con l’innesto di minaccefinora contenute, rischiano di generare effettiesponenziali. Pertanto, benché il ritiro delle diversecomponenti di ISAF non determinerà unacompleta fuoriuscita delle forze multinazionali,la situazione impone un ripensamento della

    gestione della sicurezza, sia a livello internoagli stati sia, per quanto possibile, in chiavemultilaterale. Segue qualche riflessione sullepiù recenti decisioni in merito di due tra i piùrilevanti paesi dell’area, Uzbekistan eKazakhstan.

    vicini, ma non troppoA giugno 2012 l’Uzbekistan ha sospeso lapropria partecipazione alla CSTO (CollectiveSecurity Treaty Organization), per poiperfezionare l'uscita vera e propriadall’Organizzazione nel dicembre successivo.La decisione sembrerebbe il definitivo esito diuna membership altalenante, influenzata dallavolontà della leadership nazionale disalvaguardare l’indipendenza del paese rispettoalle ingerenze di Mosca (motore e riferimentoper la CSTO) e alle prospettive di una piùprofonda integrazione e interoperatività tra imembri. A rafforzare l’autonomiadell’Uzbekistan in fatto di presenza militarestraniera sul proprio suolo, è sopraggiunta aluglio 2012 la dichiarazione delle autorità diTashkent che non avrebbero più concesso leproprie basi alle forze di altri paesi. Inconsiderazione di tali premesse, l’Uzbekistan haavviato la propria preparazione ad uno scenariopotenzialmente destabilizzante dopo il 2014operando su due fronti, ossia rafforzando irapporti bilaterali con Mosca e sfruttandol’occasione offerta dal passaggio delle forze diISAF in ritiro per migliorare l’equipaggiamentodella Difesa.Per quanto la creazione dell’Uzbekistan post-sovietico rendesse necessaria la costruzione diun’identità nazionale forte e libera daicondizionamenti dell’ex madrepatria, i legami

    MinaccE attuali E potEnziali: l'asia cEntralE si prEpara al 2014

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    con Mosca sono tuttavia rimasti sempre moltoforti e difficilmente possono essere ridottiproprio in una congiuntura critica quale quellaattuale. Se a livello multilaterale (CSTO) è statoavvertito da Tashkent un condizionamentoincompatibile con gli interessi nazionali, laformula del rapporto bilaterale sembrerebbeinvece funzionale a coltivare un legameindispensabile, soprattutto per quel che riguardala sfera economica. Dai temi oggetto diconfronto nel corso di una visita del presidenteIslam Karimov a Mosca, il 15 aprile, sonoemersi proprio alcuni dettagli che megliodefiniscono la posizione uzbeka nei confrontidella Russia: più stretti rapporti economici(tramite la partecipazione dell’Uzbekistanall’area di libero scambio della CSI),mediazione della Russia nelle dispute sullosfruttamento delle risorse idriche di interesseper l’Uzbekistan, possibile scambio diinformazioni tra i rispettivi servizi, unitamenteal riconoscimento di un ruolo positivo di Moscaper la stabilità regionale, ma nessuna presenzamilitare straniera sul suolo uzbeko. La necessitàdi rafforzare le capacità delle forze di sicurezzadel paese tuttavia permane ed è resa più urgenteda alcuni sconfinamenti di civili in armiavvenuti dall’inizio dell’anno lungo il confinecon l’Afghanistan. Di particolare gravità è statol’episodio del 14 marzo, quando 30 afghanihanno violato il confine uzbeko, ingaggiandouno scontro a fuoco con le guardie di frontieraintervenute per il respingimento, nel quale tredi essi sono deceduti. In una certa misura, perTashkent il ritiro stesso di ISAF può costituireuna opportunità per concludere accordi ditransito per le forze che rientrano in patria, cheprevedano il pagamento in mezzi militari edequipaggiamento. Nel caso dell’accordo con ilRegno Unito, infatti, resteranno in Uzbekistanveicoli e camion delle forze britanniche per unvalore di 700 mila dollari.

    leadeship e responsabilitàIl Kazakhstan ha promulgato, il 4 gennaio 2013,una nuova legge di contrasto al terrorismo, dopoche nel corso del 2011 e, in misura minore nel2012, è emersa nel paese l’attività di gruppireligiosi radicali con connessioni nell’area difrontiera tra Afghanistan e Pakistan. Ilsecolarismo della popolazione kazaka, la laicitàdell'ordinamento statale e il rifiutodell'estremismo mostrato da larghi settori dellapopolazione sembrava che potessero arginare lapredicazione radicale e il reclutamento da partedi gruppi jihadisti. Questi ultimi, invece, nonsolo risultano presenti sul territorio, ma sonoanche in grado di realizzare attentati. Solo inalcuni casi, le forze di sicurezza sono riuscite acompiere delle operazioni preventive e aneutralizzare gruppi terroristici in procinto diagire, ma senza raggiungere un grado diefficienza soddisfacente, creando talvolta dannicollaterali e, in alcuni casi, vittime tra gli agentistes