MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ E DELLA … · unisce a voi non è complessa ma...

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1 sommario il nodo Circolare Prot. n. 5435 A/36 – 10 Maggio 2006 anno 9° MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA Ufficio Scolastico Regionale della Basilicata Direzione Generale A. GRANATA, M. FERRACUTI, Presentazione G. VICO, Complessità? Ma… c’è anche la spe- ranza G. ACONE, L’epoca della complessità S. S. MACCHIETTI, Pedagogia della persona oggi: quali sfide educative? L. CORRADINI, Postmodernità, complessità, globalizzazione e didattica C. SCURATI, Analisi di complessità SCUOLE IN RETE R. FINAZZI SARTOR, Complessità: il bambino e l’adolescente di fronte al pluralismo religioso 29 9 3 14 16 19 24 27 L. SANTELLI BECCEGATO, Società complessa ed educazine alla politica 32 Complessità: sfida di senso e di cultura G. BERTAGNA, Complessità: sfida di senso e di cultura. (Intervista di M. Ferracuti a G. Bertagna) 4 dalle Università di… G. SPADAFORA, Comunicazione ed educazio- ne tra democrazia e potere mediatico 35 G. SERAFINI, Il sapere pedagogico come sape- re complesso 37 Editoriale 1

Transcript of MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ E DELLA … · unisce a voi non è complessa ma...

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sommario

il nodo

Circolare Prot. n. 5435 A/36 – 10 Maggio 2006

anno 9°

MINISTERO DELL’ISTRUZIONEDELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA

Ufficio Scolastico Regionale della BasilicataDirezione Generale

A. GRANATA, M. FERRACUTI, Presentazione

G. VICO, Complessità? Ma… c’è anche la spe-ranza

G. ACONE, L’epoca della complessità

S. S. MACCHIETTI, Pedagogia della personaoggi: quali sfide educative?

L. CORRADINI, Postmodernità, complessità,globalizzazione e didattica

C. SCURATI, Analisi di complessità

SCUOLE IN RETE

R. FINAZZI SARTOR, Complessità: il bambino el’adolescente di fronte al pluralismo religioso

29

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27

L. SANTELLI BECCEGATO, Società complessaed educazine alla politica32

Complessità: sfida di senso e di cultura

G. BERTAGNA, Complessità: sfida di senso edi cultura. (Intervista di M. Ferracuti a G.Bertagna)

4

dalle Università di… G. SPADAFORA, Comunicazione ed educazio-ne tra democrazia e potere mediatico

35

G. SERAFINI, Il sapere pedagogico come sape-re complesso37

Editoriale

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G. ROBERTELLA, La crisi della scienza classicae il paradigma della complessità

P. COVELLA, Annuario di operatività e dialogo

F. FASOLINO, Alcune categorie della comples-sità

Dall’Ufficio Scolastico Regionaledella Basilicata – Direzione Generale

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C. FILARDI, I 50 anni dell’Istituto Professio-nale per l’Agricoltura e l’Ambiente “G. For-tunato” di Potenza

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V. RUSSO, La complessità nei Centri Territo-riali Permanenti86

M. T. SANZA, La mediazione scolastica siste-mica87

dalle Istituzioni scolastiche

All’Ufficio Scolastico Regionaledella Basilicata – Direzione Generale

L. STOPPELLI, Scuola e comune in sinergiaper la crescita della collettività89

E. SILENZI, Forme di incentivazione allo svilup-po di professionalità in materia di sicurezza esalute negli ambienti di vita, studio e lavoro

R. CORRADETTI, Fenomeni di linguisticaapplicata: lenizione e metatesi95

Rubrica etimologica

D. PH. VERENE, L’arte dell’educazione umani-stica93

D. DENTE, F. FUSARO, F. NACCI, La famiglia:itinerari e riflessioni92

Spazio aperto – Recensioni

E. LASTRUCCI, La formazione delle figure disistema per l’orientamento in Basilicata

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P. MULÉ, Le problematiche educative dellapost-modernità. Il ruolo della scuola e dellafamiglia

49

G. CANNAROZZO, Essere insegnanti nellacomplessità52

G. D’AGOSTINO, La professione docente traidentità personale e costruzione di comunità.L’attenzione ai circoli di “sapere di pratiche”

57

M. T. MIRCOLI, Riforma e funzione docente

Dall’Ufficio Scolastico RegionaleDirezione Generale Marche

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dalle Istituzioni extrascolastiche

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G. GALEAZZI, Pedagogia del pluralismo perl’educazione in una società complessa66

S. CHISTOLINI, Il senso pedagogico della scuo-la

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Cari amici del Nodo 29,

ecco a voi il nostro e vostro lavoro di metà primavera.Il tema è fortemente rappresentatitivo del particolarissimo tempo che viviamo:complessità: sfida di senso e di cultura.Lo abbiamo messo nelle mani di amici appassionati di vita e di cultura, anzi specialisti diuna cultura di vita significativa, per lasciarci guidare, con il loro filo di Arianna, versoapprodi di senso dagli orizzonti più chiari e appaganti.Se per un momento, lasciando da parte lo studioso della complessità, Edgar Morin, ciabbandonassimo alle nostre sensazioni e percezioni immediate, quanti interrogativinascerebbero sul cammino della nostra complessa quotidianità?È complessità questo rumore di guerre che scuotono interi meridiani della terra?È complessità questa guerriglia diffusa che, come lingue di fuoco, brilla su miserie e morti?Ècomplessità questo social-fondamental-fideismo che ha il volto di un Angelo sterminatore?È complessità questa accelerazione esistenziale che ci divora il presente e il futuro?È complessità questa dissolvenza della realtà in virtualità?È complessità questa sovraesposizione della cultura sulla natura?È complessità questo virus della logica che carica di irrazionalità la razionalità umana?È complessità questo tarlo della solitudine che, già, Nietzsche chiamava malattia storica?È complessità questa incapacità di sedimentare fatti che producano storia e galleggiare sugli eventi?È complessità questo lasciarsi consumare dal consumismo?È complessità questa insostenibile pesantezza dell’essere umano?È complessità questa vita dei giovani come celebrazione dell’attimo fuggente?È complessità questa scuola priva di passione e di motivazione?È complessità … ?

Sarebbe ora di affidarsi a Morin, ma noi senza disconoscere l’uno ci affidiamo alla GrandeSperanza, la spes contra spem. Sempre l’umanità è uscita da labirinti perigliosi a testa alta,aperta sul futuro per costringere gli eventi entro il flusso razionale delle cose possibili eragionevoli. A questo lavoreremo, noi Uomini di scuola.Cari amici, noi speriamo di non aver peccato di complessità. Sappiamo che la tela che ciunisce a voi non è complessa ma trasparente come l’amore, pura come l’amicizia.Ci resta: un saluto caro al Direttore Generale della Basilicata che sentiamo vicino, aicollaboratori delle Università e delle Scuole che onorano, con la loro cultura, il Nodo, all’amicoBertagna che ci ha concesso l’intervista di apertura e a tutti voi la cui semplice esistenza èla nostra forza.

Angela GranataMario Ferracuti

N. B. Come fascicolo integrante del Nodo, richiesto da molti interessati, poniamo il lavoro di unConvegno Regionale tenuto in Basilicata il 25 e 26 del Novembre 2005 sulle “sfide educative”organizzato da Mons. Giustino D’Addezio Direttore dell’Ufficio Scuola Regionale e CoordinamentoInsegnanti di Religione Cattolica e promosso dalla Conferenza Episcopale di Basilicata, incollaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale. Presente il Direttore Nazionale dell’Ufficio CEI,Mons. Bruno Stenco.Lo consideriamo un arricchimento sulla linea del nostro stesso discorso.

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Complessità: sfida di senso e di cultura

GIUSEPPE BERTAGNADipartimento di scienze della personaOrdinario Università di Bergamo

a maggior parte dei problemi che non trovano una soluzione nasce dal fatto che sonomal posti. A partire dal senso delle parole. La circostanza vale in particolare per tuttiquelli che hanno a che fare con la “complessità”. Che cosa intendere, dunque, primadi tutto, con questo termine?

Condivido. È molto importante chiarire il senso delle parole. Sebbene un po’ all’in-grosso, esplicito, dunque, subito quelli che mi paiono i tre grandi grappoli di significatoa cui si può riferire il termine “complessità” quando si entra in campo epistemologico eculturale.

Complessità come inesauribile ricerca del vero. A. Funkestein ha sostenuto che pensie-ro scientifico e teologico, nel Seicento, si intrecciarono in una vera fusione, anche se lacosa fu oscurata dalle autorità religiose. In questo senso, ha documentato che la leggenaturale a cui tutti gli scienziati si sono riferiti come abbrivo delle proprie scoperte nonha niente di naturalistico, ma rimanda ad un ordine divino che non è arbitrario, manecessario, non capriccioso, ma costante e coerente. Per questo, ha concluso, tutta lafilosofia della scienza moderna è di matrice teologica. La scienza come teologia secola-re1. Solo se Dio ha posto un ordine del mondo (cosmo) che lui stesso non viola è possi-bile immaginare di poterlo in qualche modo scoprire, a tempo debito, e con tutti glisforzi che si possono immaginare.

L’islamismo, come è noto, è stato, invece, di idee opposte. Al-Ghazali, per esempio,nella sua Autodistruzione dei filosofi (1150 c.) sostiene che Dio crea permanentementeil cosmo. La natura è al servizio dell’onnipotente. Essa non agisce in modo autonomo,ma è utilizzata al servizio del suo creatore. Per questo non obbedisce ad alcuna norma,e non si può prevedere la sua perpetua coerenza. Come si fa in queste condizioni a farescienza? Alessandro Koyré ha sostenuto per questo che la rivoluzione scientifica è avve-nuta nel mondo cristiano, mentre quello islamico si è estraniato da essa. E non perchécacciato a forza dall’Europa, visto che gli ebrei nonostante la continua diaspora e iciclici pogrom hanno sempre intrattenuto rapporti preferenziali con l’Europa cristiana,ma, appunto, per questioni di profonde compatibilità culturali: non potevano fare scienzase pensavano che Dio potesse cambiare a suo piacimento, in ogni momento, le regoledel gioco della natura e della legge. Né è un caso che la scienza e il diritto si sianosviluppati in un Occidente cristiano legalista, erede, in questo, della civiltà romana.

Editoriale cooperativointervista di Ferracuti a Bertagna

1 A. Funkestein, Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento (1986), tr. it., Einaudi, Torino 1996.

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L’idea di una legge che stesse imperitura a base della natura e della società, indipenden-temente dalla volontà di Dio fu alla base della ‘laicità’ europea2.

Ebbene, in questo contesto, “complessità” significa sostanzialmente inesauribilitàdella scoperta del vero. La verità esiste. Dio è la verità. Dio è Logos. Ha creato perciòl’ordine del mondo e della vita perché è lui stesso ordine e misura. L’uomo, però, anchese vuole essere ‘come Dio’ (la tentazione del serpente), non è affatto Dio. E lo sa. Sullasua pelle. Il dolore, il limite, il disordine, il caos, il clinamen, l’oscurità, la morte, per luiconsueti, lo stanno a testimoniare. La sua condizione, sul piano intellettuale, per esem-pio, è la fatica mai conclusa del conoscere. Ecco perciò la complessità. L’uomo pensa,spesso, di aver raggiunto la verità. In realtà, ha raggiunto una, mille verità. Se ciascunavale per ciò che afferma, non vale per ciò che tace o che nega. La verità è proliferante,infinità. Come Dio. Ne cogliamo una faccia, ma proprio per questo non siamo in gradodi coglierne allo stesso tempo l’altra e le altre. Non è un illusorio gioco degli specchi.Nessun nichilismo veritativo, in questa consapevolezza. Una verità, anche se piccola, setale, è verità. Ma non è la verità. La “complessità” è questa consapevolezza che non èsoltanto epistemologica, ma è anche ontologica e morale e estetica. “Per quanto cammi-ni, non raggiungerai mai i confini dell’anima”, ci ha lasciato detto Eraclito. Per quantofacciamo il bene, conosciamo il vero e apprezziamo il bello, non raggiungeremo mai, inun’unica apprensione, la verità, sintesi del bene, del vero logico e del bello estetico,nella sua totalità. Da soli. Con le nostre forze. Abbiamo bisogno di Dio. Per questo,“fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te” (Agostino, Con-fessioni I, 1, 7-8) : ci hai creati per destinarci a te e non ha pace il nostro cuore finché nonriposa in te.

Complessità come secolarizzazione scientista del significato precedente. La scienza mo-derna, grazie alla sua alleanza sempre più stretta e potente con la tecnica, non avrebbepiù bisogno dell’ipotesi Dio per comprendere le cose. Sarebbe in grado, da sola, di “s-piegare” ciò che adesso è “com-plicato”, proprio nel senso etimologico di togliere lepieghe ad un foglio, squadernandolo, che si presenta, invece, piegato al punto da appa-rire un labirinto. La “complessità” insomma concepita soltanto come “complicatezza”:problema risolvibile che, però, finora non si è stati in grado di risolvere; questione ditempo, e quanto appare impenetrabile alla nostra ragione si presenterebbe penetrabile,quanto è opaco chiaro, quanto “piegato” “s-piegato”. Resta, in altre parole, il razionalismodi base tipico della versione precedente: il mondo, la realtà, la verità sono intelligibili. Adifferenza della precedente versione, però, l’intelligibilità immediata e completa delmondo, della realtà e della verità non sarebbe più prerogativa di Dio, ma dell’uomo.L’inesauribilità nella ricerca del vero di cui si è parlato prima diventa esauribilità possi-bile di tale ricerca perché non si ha più a che fare con un’intelligenza finita che tenta diapprendere quanto è concesso ad un’intelligenza infinita, ma semplicemente con l’uni-ca intelligenza esistente, quella umana, che apprende quanto è intelligibile.

Complessità come inesauribile costruzione della realtà e della verità. In questo secondosignificato del termine “complessità” si parte dal presupposto che la verità non esista.Meglio, in quanto a consistenza propria, non pre-esiste alla nostra apprensione e aimodi e ai contesti in cui essa avviene. La verità è piuttosto creata dalla inesauribilenegoziazione e coevoluzione tra soggetto e oggetto, osservatore e osservato, essere vi-vente e ambiente, nel tempo e nello spazio. Molto più che baconiana veritas filia temporis.Pensare di poter prevedere questo processo che dipende, come si può subito intuire, dai

2 Cfr. E. Grant, Le origini medievali della scienza moderna. Il contesto religioso, istituzionale e intellettuale (1996),trad. it., Einaudi, Torino 2000. La tesi è stata recentemente sviluppata anche da Rodney Stark, docente di scienzesociali alla Baylor University in The Victory of Reason: How Christianity Led to Freedom, Capitalism and WesterSuccess, Radom House, New York 2005.

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contesti e dalla loro perpetua evoluzione spazio-temporale, significherebbe ricadere neipresupposti che giustificano il primo significato del termine “complessità”. Pensare, neldettaglio, che esista un “occhio di Dio” esterno al processo stesso, che lo fonda e lorende Logos: qualcosa di misurabile e di ordinabile. Logos, misurabilità e ordinabilitàdella realtà e della verità, invece, sono i nomi che noi diamo agli accomodamenti con-tingenti che il processo negoziale e coevolutivo prima ricordato produce e costruisce. Ilsenso di tali accomodamenti non è altro dagli accomodamenti stessi, né di più né dimeno. Il termine “complessità”, perciò, diventa qui sinonimo di realtà ed esperienza: èciò che accade, il quale accade non per obbedire a qualche disegno o per essere commi-surato a qualche paradigma razionale formale che lo preceda (il vero come archetipo ocomunque come una realtà pre-esistente da riscoprire), ma accade perché accade, incontinuazione, senza fine e senza altro scopo e senso dall’accadere stesso.

Se questi sono gli scenari filosofici a cui ti riferisci per attribuire significato al termine “com-plessità”, quali sono le conseguenze pedagogiche di queste differenti opzioni? E tu, personal-mente, quale ritieni più legittimata?

Le conseguenze sono evidenti e, per certi aspetti, anche eversive del senso comune.Cercherò di spiegarmi, facendo vedere, ad esempio, come sto cercando di fare nei mieicorsi all’università di Bergamo, le tre diverse interpretazioni che si possono dare del-l’Emilio di Rousseau, assumendo a volta a volta i tre significati prima precisati.

Tutto ciò che esce dalle mani di Dio, dice Rousseau, è buono. Potremmo dire lanatura di ogni cosa esistente, compreso quella di ciascuno di noi, è buona. Buona intesaanche nel senso di vera e bella, secondo l’ammaestramento dei più classici trascendentalidelle scuola tomista. Tutto è rovinato, però, quando entra in campo l’uomo, la societàumana. È rovinato semplicemente perché l’uomo non rispetta la natura di ciascuno e diogni cosa, ma si sovrappone ad essa, deformandola, tradendola, deviandola. E questoaccade in sovrappiù con l’educazione.

Escludiamo, per un momento, il fatto che questo tradimento della natura di ciascunosia perpetrato dagli educatori perché avidi di potere e quindi intenzionalmente “malva-gi”. Maligni, tradirebbero la natura di ciascun educando perché lo vogliono a propriaimmagine e somiglianza, al proprio servizio, infischiandosene della sua autentica natu-ra. Vogliono che l’allievo si adatti a loro, per convenienza, non praticano il contrario,per bontà e verità, come esigerebbe una pedagogia non adulterata. Accettiamo, invece,l’ipotesi che gli educatori tradiscano e deformino la natura di un allievo non perchémalvagi, ma solo perché, in senso letterale, “ignoranti”: non la conoscono, perciò sba-gliano e scambiano in buona fede per natura autentica dell’allievo qualcosa che non lo è,facendo danni involontari. Ebbene in questo caso, i tre significati del termine “comples-sità” portano ad interpretare in maniera molto diversa il testo e lo sforzo rousseauiano.

Prima versione. La natura di un allievo, la sua intima essenza, l’educatore non riusci-rà mai a scoprirla e a referenziarla scientificamente. Ha il dovere deontologico e profes-sionale di continuare ad esplorarla. Deve, a questo proposito, adoperare, con pertinenzae costanza, ‘scienza’ (tutte le scienze e tutte le scienze dell’educazione in particolare) e‘coscienza’ (l’etica), ma è chiaro che, per quanto sia e diventi sapiente (e scienziato), nonsarà mai un sofo dell’allievo, qualcuno che lo conosce come è davvero, fino in fondo, masempre un filo-sofo, qualcuno che ama conoscerlo sempre più, ma che proprio per que-sto sa anche che, “per quanto cammini, non raggiungerà mai i confini della sua anima”.Un residuo di tradimento della natura umana di Emilio, quindi, rimarrà sempre. Aqualsiasi momento dell’avventura umana nel tempo ci si collochi. E rimarrà non soloper il precettore di Emilio anche migliore di tutti i tempi e gli spazi immaginabili, marimarrà per Emilio stesso, se mai egli pretendesse di ‘conoscersi’ del tutto, di internarsie di riflettersi nella e sulla propria natura, aggirando le difficoltà che provengono dalfatto che pretendere di conoscere fino in fondo un altro è forse più “complesso” che

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avanzare la stessa pretesa per se stessi. Per questo, pedagogia e complessità vanno di paripasso. Seconda versione. Grazie a tutte le scienze e grazie, in particolare, a tutte lescienze dell’educazione prodotte dall’intelligenza umana, il precettore giunge a cono-scere Emilio. Poco importa che i tempi per questa completa naturalizzazione della per-sona di Emilio non siano ancora maturi. L’importante è che, prima o poi, si pensi dipoter arrivare a questo traguardo. Ovvio, a questo punto, che se il precettore conoscesenza più pieghe e senza più ombre la natura autentica di Emilio non sbagli più alcunsuo intervento educativo. E che l’uomo e la società non siano più quella sentina ditradimenti e di errori che si consumano contro la natura di ciascuno. Natura e società,allievo e precettore, invece, del tutto riconciliati, grazie alla ‘scienza’.

Terza versione. Non esiste una natura umana in sé, da conoscere. Non esiste, quindi,la natura di Emilio. Come non esiste quella del precettore, e di nessun altro. La naturadi ciascuno, infatti, è solo quanto negozialmente e coevolutivamente scaturisce a volta avolta dall’incontro attivo, spazio temporale, probabile e reversibile (Prigogine, Bateson,Morin e tanti altri) con l’ambiente e con gli altri. Il buono, che poi vuol dire anche ilvero e il bello, di Emilio non proviene, perciò, da nessuna coerenza (adeguazione), perusare vecchi vocaboli, tra la sua pretesa essenza e la sua reale esistenza, così da viverecome è per sua natura ed essere di natura come vive. Essenza ed esistenza coincidono enon hanno altro significato da quello autoreferenziale che assumono nell’intreccio pun-tuale e concreto che Emilio in ogni momento della sua crescita ha con la sua storia e ilsuo ambiente: egli è ciò che a volta a volta è nel contesto in cui cresce, non ha darispondere a niente e nessuno, non deve essere diverso da chi a mano a mano è, in luiessere e dover essere coincidono. Non c’è in lui alcun ‘oltre’ da mobilitare e convocare.

Personalmente sposo la prima versione. E considero, alla lunga, le altre due, seassolutizzate ed esclusive, pericolose per la qualità dell’educazione e, quindi, della con-vivenza umana.

Perché pericolose? Non sei eccessivo? In fondo, “complessità” non significa anche tollerare cheesistano più modi di fare pedagogia?

Riconosco che si può fare pedagogia anche con la versione scientista e coevolutivadella complessità. Al punto che la si fa, e forse anche in maniera maggioritaria. Senzaapparire settario, tuttavia, mentre penso che la prima versione possa contenere le altredue, e succhiare da loro linfa vitale per non isterilirsi, ed anzi autenticarsi, non accade ilcontrario, perché le altre due sono incompatibili con la prima, e non la possono assu-mere, né programmaticamente, né per ipotesi di lavoro.

D’altra parte, adopero l’aggettivo “pericolose” consapevole di aver forse qualche ra-gione per ciò che affermo, ma anche, forse, molti torti per ciò che taccio o che nego.

Pur con questa consapevolezza, non ho dubbi, comunque, sul fatto che, portata allesue estreme conseguenze, la versione scientista della complessità porti dritta all’ideolo-gia del darwinismo eugenetico, oppure a quella di una società ipercontrollata dove lalibertà sarebbe in realtà necessità, obbligo, costrizione, al cui confronto 1984 di Orwellcostituirebbe un’immagine edulcorata. E che la terza versione, quella costruttivista,esasperata, porterebbe alla identificazione di onticità ed eticità, il che porterebbe poiagli stessi esiti della seconda, visto che se ciò che di fatto accade è anche ciò che sarebbebene accadesse non esistono più criteri per definire il buono, il bello e il vero, ma tuttosarebbe buono, bello e vero. Anche eliminare, in quanto frutto di errori, e non di altro,i bambini malformati, i disadattati sociali, i vecchi ecc.

Non puoi fare esempi del tuo discorso che siano più vicini all’esperienza educativa e allariflessione pedagogica?

Senz’altro. Prendo, ad esempio, il programma dell’educazione integrale della perso-

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na umana su cui ha sempre insistito la tradizione pedagogica a cui ambedue facciamoriferimento e che è apparsa spesso anche nella cosiddetta buropedagogia (Programmiministeriali fino al 2004 e Indicazioni nazionali dal 2004).

Non c’è dubbio che il concetto di persona sia un paradigma straordinariamente elo-quente del concetto di “complessità”. Lo dimostrano i saggi raccolti in un volume diprossima uscita del nostro Dipartimento che, unico in Italia, è proprio intitolato alle“scienze della persona”. La persona umana, infatti, non è soltanto individuo, non èsoltanto corpo, non è soltanto soggetto del sapere, non è soltanto mente, non è soltantosentire, non è soltanto mano e così via: è tutte queste cose insieme. Questa acquisizioneè descrittiva. Non esiste persona umana senza tutte queste caratteristiche. Un truismo.Educare in maniera integrale tutte queste dimensioni della persona, senza perderne nem-meno una, e chiedendo all’una di non fare né di più né di meno di quanto effettivamen-te deve e può fare, tuttavia, non è soltanto descrittivo. In pedagogia è e diventa normativo.Ma si fa presto a dire normativo. Sappiamo tutti che bisogna procedere a questaarmonizzazione, ma come e quando e perché la si fa bene, come si dovrebbe fare e comee quando e perché la si fa male, come non si dovrebbe? Non è, questo compito, quantodi più “complesso” si possa immaginare? E qui, appunto, “complesso” in che senso? Nelprimo senso, come probabilmente intendiamo io e te, oppure in uno degli altri due?Intuisci subito che le risposte a questi interrogativi portano a traguardi molto diversi asecondo del significato che attribuiamo al programma della “complessità”. E se a tra-guardi diversi anche a strade, metodi, interventi diversi. Infatti, ad esempio, un conto èparlare di ‘personalizzazione’, di ‘personalizzare’, come insiste la recente riforma dellascuola, rimanendo nella prima versione della “complessità” tipica del compito di edu-care in maniera integrale la persona umana, un altro, ben altro, se ci si collocasse esclu-sivamente nelle altre due versioni, dimenticando o addirittura rifiutando la prima.

Ma pensa anche ad altri temi oggi emergenti: l’intercultura, le tecnologie dell’educa-zione, l’affettività, la cittadinanza: è la stessa cosa pensarli all’interno di una teoria del-l’educazione integrale della persona umana che evoca la prima piuttosto che una dellealtre due versioni del significato del termine “complessità”?

Non vorrei apparirti, a questo punto, un calembourista, ma non è diventato troppo com-plesso educare in una società complessa? Complesso al punto da non poter più essere nellecondizioni, quasi, di educare? Ed avere la tentazioni delle dimissioni?

No, per quel che vale la mia opinione. Del resto, non solo a non volere, ma perfinoa non potere si educa lo stesso. L’educazione accade comunque, in qualunque condizio-ne e società ci si trovi. Senza educazione non c’è più l’uomo, infatti. Dunque delle duel’una: o, siccome, come tu temi, non si può più educare nella società contemporanea,vuol dire che non esiste più l’uomo, oppure si educa e si educherà comunque anche inuna società molto più complessa e complicata della nostra. Magari male, non come sidovrebbe, ma si educa: non si può non educare.

Confesso, tuttavia, che non appartengo alla schiera di chi celebra questa retoricadella complessità sociologica come un tratto caratteristico del solo nostro tempo. Nonè mai esistita, infatti, a mio avviso, una società non complessa. Le società cosiddettesemplici sono il frutto di un’autoconsolazione epistemologicamente narcisistica cheLévi Strauss ha spesso studiato: siamo noi, oggi, che definiamo semplici le società delpassato e l’educazione che hanno prodotto; siamo noi, uomini della terza rivoluzioneindustriale e della rete, che favoleggiamo di improbabili semplicità agropastorali (disolito semplicità solo per chi non le ha vissute!). Ogni società è complessa a modo suo.Anche e soprattutto quella etnograficamente e antropologicamente primitiva. Prender-ne atto mi pare il punto di partenza necessario per non banalizzare il problema e perricominciare dalla prima domanda.

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Complessità? Ma...C’è anche la Speranza

GIUSEPPE VICOOrdinario di Pedagogia

Università Cattolica - Milano

Dalle Università di...

1. Edoardo Spranger sottolineava che la «vita edu-ca» ed è una continua rivelazione di piccole veritàda attingersi fondamentalmente attraverso l’edu-cazione informale1. L’esuberanza di educatori e dimaestri, veri e fasulli, ci induce spesso a rimpian-gere anche quel grande maestro sul quale aveva in-sistito Rousseau con i suoi paradossi: la natura conle sue meraviglie, le sue passioni, i suoi sentimen-ti, le sue emozioni da viversi, ci diceva, lontano datutti e da tutto, soprattutto lontano dalla civiltà edal suo progresso. Affermazioni paradossali perfarci meglio capire e indurci a vedere, proprio den-tro gli uomini e le cose, l’importanza di un’educa-zione diversa, di maestri diversi, di istituzioni for-mative diverse, di uomini diversi per salvare il fan-ciullo Emilio, precursore involontario ma signifi-cativo di Pinocchio e di quel bambino protagoni-sta del libro e del film Io, speriamo che me la cavo,dei ragazzi di Barbiana alle prese con le loro nar-razioni, con le loro professoresse e con l’ignotodel futuro che spesso appiattisce il desiderio, to-glie ali alla speranza e induce giovani e adulti aricorrere alla preghiera e alla invocazione del buonDio, ridotto così a rifugio estremo, a medico delpronto soccorso, a personaggio Egli stesso di quelmondo che Bonhoeffer vedeva e identificava nellacondizione esistenziale e antropologica dell’«etsiDeus non daretur» (come se Dio non esistesse). E,

aggiunge Bonhoeffer, «non è detto che l’uomo vivapeggio di prima»2.

Il desiderio manifesta innanzi tutto che chi de-sidera, manca provvisoriamente di qualche cosadi essenziale e di lontano e che una forza, in pro-prio e/o sollecitata da altri, lo attira e suscita inlui il sentimento e la convinzione che la speranzapuò avere un fine e un esito felice. Desiderio indi-ca mancanza, allontanamento da ciò che è alto,tendenza a conseguire, a trascendersi senza smar-rirsi, a liberarsi in un moto ascensionale verso quelfine che sta già all’inizio del nostro desiderare, chefonda e giustifica la nostra esistenza e il nostroerrare unitamente alla speranza di potere concilia-re lo sforzo di non chiudersi, atrofizzarsi, di nonlasciarsi incapsulare e il desiderio di esistere e diesistere in modo talmente personalizzato da po-terci aprire agli altri, al mondo e al trascendente.

Scrive Mounier: «Essere è amare. Ma essere èanche affermarsi (…), la persona, nell’universo incui viviamo, si trova più spesso esposta che cir-condata, più desolata che in comunicazione. Essaè avidità di presenza: ma l’intero mondo dellepersone le è completamente assente. La comuni-cazione è più rara della felicità, più fragile dellabellezza. Un nulla la ferma o la spezza tra duesoggetti: come sperare di ottenerla in una molti-tudine? “L’universo dei soggetti – scrive Nedon-

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celle – fa spesso pensare ad una macchina in cuisiano saltate le cinghie di trasmissione e i cui in-granaggi girino in disordine”». Gabriel Marcelparla di «un mondo rotto» e non solo disturbato.L’educazione tra rotture e disturbi deve scegliereun fine che non si limiti a rattoppare ma che desi-deri diffondere speranza proprio in una educazio-ne più autentica, integrale, fondata e aperta al Tra-scendente3.

Conoscono bene questa condizione gli edu-catori di comunità, alle prese con complessi pro-blemi giovanili e costantemente desiderosi di ve-dere nei loro ragazzi segni tangibili di rigene-razione. La speranza, paradossalmente, si fermaalle soglie dell’intimità altrui e poche verifichesono possibili su ciò che si svolge all’interno.Matura, allora, seppur lentamente, la virtù dellapazienza, dell’attesa e del trasferimento nel tem-po degli esiti del desiderio e anche dell’eserciziodi una libertà e di una autorità che, alla luce del-l’amore e della condivisione, colgono che gli esitidell’educare sono a lunga scadenza ma nella fedein ideali e valori imprescindibili. Gli educatori,come i profeti, scompaiono o vanno lontano pri-ma che uomini e popoli attingano la Terra pro-messa.

Desiderare è anche divenire altro da quello chesi è senza smarrirsi, diventare sempre più uominisenza perdere la fedeltà al proprio essere e senzaindebolire il desiderio e l’amore di Dio intorno alquale è bene osservare che: «Al problema di Dionon si risponde direttamente, ma tramite l’uomoGesù di Nazareth. Si definisce Dio a partire da lui

o piuttosto non si definisce Dio, ma si rimandainvece alla persona che si rivolgeva a Dio col tito-lo di Padre»4.

Il desiderio di speranza «viaggia» come ventoeducativo. Riprendiamo questa metaforadell’educabilità umana per rendere l’uomo stessoprotagonista di questa erranza, di questo perenneviaggiare alla ricerca del proprio Io, degli altri, delmondo e di Dio, sui quali si impara a non giocaredi finzione ma ad essere sempre più responsabiliintorno al fatto che la fede e la carità sollecitano lastessa speranza al proprio compimento.

Per tanti motivi è bene, quando si vuole ap-profondire il discorso educativo, partire dal bam-bino e dal suo bisogno di sviluppo e di crescita,dalla sua attitudine a manifestarsi come personache porta un senso nuovo nell’esistenza sua e de-gli altri, dal suo desiderio di andare sempre oltrel’acquisito e di non assuefarsi ai preventivi e agliesiti degli eventi educativi. Il bambino apprende,fa cultura, rimescola le carte nell’esistente e aiutafamiglie e contesti a rivedere i loro passi, a ripen-sare ai progetti e ai bilanci familiari attraverso lagrande lezione della pedagogia delle piccole cosequotidiane. L’impegno educativo, proprio quan-do è connotato da intenzionalità e competenza,non fa che porre in primo piano il bambino comeprotagonista della propria educazione e formazio-ne. In termini molto semplici, il bambino ci invi-ta ad entrare nella nostra profondità e a pensarealla verità che egli appartiene solo a se stesso eche, in quanto persona, incomincia a entrare comeparte attiva nel desiderio di eventi educativi.

XX Certamen Horatianum. Venosa 5 maggio 2006. Concorrenti durante la prova.

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Erikson ci suggerisce: «Genitori, attenti! Non sie-te solo voi ad educare il bambino ma è il bambinoche educa voi». Non è azzardato affermare che ilbambino, fin dall’inizio della propria vita, deside-ra gioire di poter fruire dei talenti che ritrova in sécammin facendo. Aldo Capitini così esprimeva ilsapore pedagogico di questa presenza tanto signi-ficativa e propulsiva: «Il bambino non è la nostracontinuazione, ma è l’annuncio di una possibilitànuova. Egli non viene dal passato, come noi daquella mescolanza di bene e di male in cui siamodibattuti (…); il bambino viene da altro, viene dauna realtà liberata e nuova»5. Il bambino appartie-ne solo a se stesso.

La problematica del bambino insegna che dob-biamo alleggerire alquanto il nostro fardello diretorica sull’infanzia, sull’adolescenza, su esisten-ze rigidamente impostate e connotate assai preco-cemente da un destino rieducativo e terapeutico,nell’assenza pesante della speranza di potere vive-re come la ricchezza dell’essere nati persone pre-supporrebbe. Insisto su questo valore del poterenascere e dello sbarcare nel mondo con una pro-pria originalità. Il rischio è grande ma la vita nonpuò eludere il rischio e la scommessa pascalianasulla vita e su Dio. Scrive Benedetto XVI: «Dopoaver riflettuto sull’essenza dell’amore e sul suo si-gnificato nella fede biblica, rimane una duplicedomanda circa il nostro atteggiamento: è veramen-te possibile amare Dio pur non vedendolo? E:l’amore si può comandare? Contro il duplice co-mandamento dell’amore esiste la duplice obiezio-ne, che risuona in queste domande. Nessuno hamai visto Dio – come potremmo amarlo? E inol-tre: l’amore non si può comandare; è in definitivaun sentimento che può esserci o non esserci, mache non può essere creato dalla volontà». NellaPrima Lettera di Giovanni si dice “Chi infatti nonama il proprio fratello che vede” non può amareDio che non vede (…). Il versetto giovanneo si deveinterpretare piuttosto nel senso che l’amore per ilprossimo è una strada per incontrare anche Dio eche il chiudere gli occhi di fronte al prossimo ren-de ciechi anche di fronte a Dio»6.

Per prima cosa dovremmo entrare nel misterodell’amore di Gesù per i bambini e per gli ultimie coglierne la ragione della presenza tra noi in unclima di tanto relativismo e indifferenza educativa.Osserva Ratzinger: «Per prima cosa dobbiamoentrare nella problematica di Dio, quale la speri-menta l’uomo d’oggi, per poter in essa riscopriree parlare di Dio» (21), e per trovare risposte di altavalenza pedagogica in Gesù: «il Dio vivente» che

«si è messo dalla parte degli agnelli, di coloro chesono calpestati e uccisi. Proprio così Egli si rivelacome il vero pastore: “Io sono il buon pastore…Io offro la mia vita per le pecore” (…) Non è ilpotere che redime, ma l’amore! Questo è il segnodi Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi de-sidereremmo che Dio si mostrasse più forte. CheEgli colpisse duramente, sconfiggesse il male e cre-asse un mondo migliore. Tutte le ideologie delpotere si giustificano così, giustificano la distru-zione di ciò che si opporrebbe al progresso e allaliberazione dell’umanità. Noi soffriamo per lapazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bi-sogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenutoagnello, ci dice che il mondo viene salvato dalCrocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è re-dento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impa-zienza degli uomini»7.

Luce e spirito nuovi anche per parlare della vitache educa, dell’educazione alla speranza e del de-siderio del bambino di potere collegare speranza efelicità nelle occasioni formali e informali dell’edu-cazione, che genera ulteriore desiderio di speran-za di educazione. L’esercizio, infatti, non dà solovita a funzioni ma rigenera anche l’esistente e, nellaspirale ascendente della vita, attiva nuovo deside-rio di cultura alla quale anche la speranza deve at-tingere per superare dimensioni del buon senso edel senso comune. Felicità, soprattutto, nella e dallaprofondità della persona e delle interazioni, dallequali i «bambini» e gli «ultimi» sanno elaborareun loro progetto di vita come risposta alla chia-mata del Signore attraverso la voce e l’imperativodella coscienza che dischiude il talento dell’educa-bilità e apre alla rigenerazione e alla comprensio-ne della sofferenza nel mondo e delle non attenua-zioni della stessa da parte degli uomini e delle isti-tuzioni.

Senza questo retroterra ontologico ed escatolo-gico il bambino non è che una espressione anagra-fica, uno tra tanti, senza qualità riconosciute ecostretto a gestire processi in direzione dell’auto-nomia sempre in salita e con scarsa significatività.Scheler ha sottolineato efficacemente che: «nonsoltanto il volere, ma anche la coscienza imme-diata della potenzialità di volere appartiene allapersona. Colui al quale essa è negata (giustamenteo ingiustamente) e colui al quale mancano talipotenzialità e l’immediata consapevolezza di essa,non è persona» nella sua integralità8.

Il bambino avverte e vede la presenza della ve-rità: il desiderio di vivere non è disgiunto dal ten-dere a valori e a ideali indispensabili per compren-

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dere che il vivere è bello e che desiderio, speranzae impegno nella verità non sono cose banali, rega-li, esiti di apprendimento, bensì progetti nella vitae per la vita, talenti da spendere e rischi educativida vivere proprio perché «il bambino viene da al-tro, viene da una realtà liberata e nuova» e devecimentarsi nella vita attraverso l’esercizio, l’abitu-dine a vivere nell’impegno e nella speranza di qual-che dose quotidiana di felicità.

Il bambino, tuttavia, sa andare ben oltre. Se-condo Moltmann: «Le società diventano “moder-ne” quando non accettano più il potere dominan-te che gli antenati continuano ad esercitare sullavita di ogni giorno, e si aprono ai giovani. Ciò chequalifica la mentalità corrente ed ispira ora le scel-te non è il passato bensì il futuro. Le società si“modernizzano” anche perché antepongono aivalori dell’appartenenza alle tradizioni i valori cheattengono alla libertà personale (…) Nelle societàdi tipo tradizionale essere giovani equivale ad es-sere ancora immaturi ed inesperti. La preminenzaqui spetta all’anziano. I seniori siedono al consi-glio degli anziani e decidono sulle cose che piùimportano alla società. Nelle società moderne,invece, “giovane” ha il significato di “nuovo”, edessere giovani vuol dire dinamici, capaci di futuro(…) Con l’andare del tempo s’invecchia, il futurosi riduce e il passato s’ingrossa. Il futuro è dunqueprivilegio dei giovani? Nella vecchiaia non si di-sporrà più di futuro? (…) È vero, con il tempo siinvecchia, ma se si accettano le provocazioni checi vengono dal futuro si ritorna sempre giovani»9.

2. Il viaggio nella profondità umana è anchescoperta di parole nuove che aprono sempre piùagli altri e all’oltre, nel senso di ciò che sta sopra etrascende e che, in quanto trascende, richiama l’uo-mo al proprio fine e al discernimento in ordinealla elaborazione di comportamenti virtuosi. Ilgiovane avverte il desiderio di sperare e la motiva-zione a tradurne il valore e il significato educativonegli eventi della vita da lui ritenuti importantiper conferire un senso ai progetti sul futuro. Ilpensiero elabora, la carica personale fa volare, lavita frena, le carenze educative e di testimonianzedisorientano per l’insignificanza nel tempo di tantesollecitazioni che non durano dall’alba al tramon-to. Il desiderio si intristisce, si rattrappisce, nontrova possibilità di dilatarsi operativamente neltempo e di indurre il pensiero a meditare sulleparole di Paul Ricoeur: «la cura di sé, la cura deglialtri, in istituzioni giuste». Grandi assenti, nelrelativismo attuale e nell’educazionale che hanno

sottratto troppo spazio e tempo all’educativo, sonol’attenzione alla volontà e il suo esercizio nell’unitàdella persona.

Chi ha esperienza nel servizio alla persona, nelprendersi cura e nel lavoro di rete, sa e prova quo-tidianamente che il mondo in cui viviamo non èil peggiore dei mondi possibili. Siamo portati agestire i nostri e gli altrui bisogni in una societàche ha fatto grandi progressi proprio in direzionedi liberazione e di personalizzazione degli inter-venti. Ma dobbiamo guardare anche lontano, dovetutto ciò è ancora un sogno e le parole tra gli uo-mini sembrano finire nelle discariche umane ditante metropoli. Ragione e volontà meritano unostudio nuovo, approfondito e non destinato allebiblioteche del sapere pedagogico ma da incarna-re nella sfera del tempo e della vita vissuta. Senzal’educazione della volontà, carburante dell’educa-zione, il mondo rischia l’inerzialità e il gelo tra gliuomini.

La poetessa Alda Merini scrive a proposito del-l’impoverimento comunicativo tra gli uomini: «Ioho bisogno del mio dolore per poterti capire» eGabriel Marcel aveva già sottolineato che: «dalmomento in cui siamo nell’essere, siamo al di làdell’autonomia». Ogni uomo, credente o non cre-dente, ama il proprio mondo e tende spesso a ri-muove quello altrui non appena ne conosce po-vertà e problemi. Finché non ci sentiamo al di làdell’autonomia e non amiamo la nostra perma-nenza nell’essere, ci troviamo coinvolti, diretta-mente e indirettamente, nella cultura dell’urgen-za e dell’emergenza. Clima culturale che stempe-ra e depotenzia, anche sotto i colpi di esperienze-limite, studiate contro l’uomo e l’umanità delnostro tempo, il desiderio di speranza e di carità egli toglie lo spessore sapienziale indispensabile amantenere alto lo spirito dell’educazione. Si diceche l’uomo d’oggi, pressato dalle ideologieaberranti e dall’opera di disincantamento del va-lore educazione, cada nei miraggi e nelle finzionidi uno spirito sofista che cerca solo di convinceree di dare surrogati e terapie per l’esistenza conno-tata dal male di vivere e dall’impressione che ognievento, compreso quello educativo, siarapportabile al verso di Quasimodo «ed è subitosera». Scrive Ricoeur: «Solo il sofista imita l’esseree la verità, non partecipa vivamente all’eventodell’educare», che promuove al nuovo.

Ritornano a volte richiami e lusinghe della vita«come se Dio non ci fosse» e Joseph Ratzingercosì puntualizza sull’«etsi Deus non daretur» diBonhoeffer: «Egli non dovrebbe coinvolgere Dio

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nelle faccende della sua vita quotidiana e dovreb-be plasmare la sua vita terrena con personale re-sponsabilità. Io, invece, vorrei dire proprio il con-trario: oggi, anche colui per il quale l’esistenza diDio e il mondo della fede sono divenuti oscuri,dovrebbe vivere praticamente quasi Deus esset, vi-vere come se Dio realmente esistesse. Vivere sottola realtà della verità, la quale non è un nostro pro-dotto, ma è nostra signora. Vivere sotto il model-lo della giustizia, che noi non pensiamo da soli,ma è la potenza che misura noi stessi. Vivere nellaresponsabilità nei confronti dell’amore, che ciattende e ci ama. Vivere sotto la pretesa dell’eter-no. Chi, infatti, vive attentamente lo sviluppo,capirà che questa è l’unica maniera in cui l’uomopuò essere salvato»10.

Allorché viene meno il supporto veritativo evaloriale, condizione per riconoscere dignità allepersone e alle cose, l’impegno educativo non de-colla. È vero che la verità rende liberi ma educareed educarsi a questo spirito e stile di vita richiede-rebbe che la speranza e il desiderio non prescin-dessero da una fede, religiosa o laica. Solo creden-do in qualcosa, desiderio e speranza incontranorealmente opportunità di educazione vissuta nel-la continuità e nella significatività. Le verità e laVerità sono, al tempo stesso, fine e punto di par-tenza. Sono per noi la luce e l’amore concreto diDio che illumina con la sua verità i passi di chi locerca. L’educatore che riflette sulla passione perl’educazione spera di non consumare il suo desi-derio di speranza, nella ricerca di ciò che non puòtrovare nella prassi educativa.

Lo spirito dell’educazione è sempre un pocopiù in alto della prassi e oltre ogni progetto chel’educatore elabora per i suoi ragazzi. Don Boscocoglie nel segno quando ci dice che i ragazzi devo-no essere amati nelle cose che essi amano. Poi com-pleta con l’educazione alla «ragionevolezza», conla religione e la preghiera. Giuseppe Catalfamonel 1986 puntualizzava: «Che cosa è possibile fareperché tale processo di significazione distorta deivalori sia arrestato? Che cosa occorre perché ladegradazione della persona, l’inaridimento dellasua potenzialità assiologica, siano arrestate edestirpate? Di quali mezzi e fattori disponiamo? Èfacile rispondere l’educazione e la scuola. Ma pos-

sono davvero l’educazione e la scuola assumersicon prospettiva di successo cotesto compito in-dubbiamente arduo e rischioso? (…) Lo possiamo,certamente, ma entro certi grandi limiti, in misu-ra in gran parte irrisoria. L’educazione non puòtutto, non è onnipotente, se interviene ed agiscein un senso contrario a quello che si origina dal-l’istinto, che vive nascosto e sepolto, ma subdoloe traditore, nel codice genetico di ognuno. In que-sto caso hanno buon gioco e successo le socializ-zazioni all’insegna delle distorsioni significative deivalori, improntate alla disnomia, ossia al disordi-ne dei valori. È questo il grande ostacolo e il gran-de enigma dell’educazione, che opera all’insegnadei valori nella loro universale significatività fon-data sulla coscienza generale che mira a sottomet-tere le spinte individuali radicate nella sferapulsionale-istintiva dell’individualità»11.

L’erranza educativa segue strade non certo li-neari e semplici. La libertà si gioca nel suo costan-te esercizio fino all’abitudine virtuosa di elabora-re e costruire sentieri dell’impegno etico-politico,della scommessa sui fini ultimi, della speranza che,come nell’Esodo biblico, può anche vacillare espingere gli Ebrei a chiedere: «perché ci avete fat-to uscire dall’Egitto per farci morire?». Ma il tuttonel segno di un fine da attingere e nella fede chesorregge anche quando la vita e le sue prove sem-brano allargare il solco tra fede e speranza.

1 Cfr. E. SPRANGER, La vita educa, La Scuola, Brescia1969.

2 D. BONHOEFFER, Resistenza e resa, (Lettera del 16luglio 1944), Paoline, Cinisello Balsamo, 1988, pp. 437-440.

3 E. MOUNIER, Il personalismo, AVE, Roma 2004, p.64.

4 J. RATZINGER, Chi ci aiuta a vivere? Su Dio e l’uo-mo, Queriniana, Brescia 2006, p. 30

5 A. CAPITINI, Aggiunta religiosa, Parenti, Firenze 1958,p. 266.

6 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 16.7 J. RATZINGER Chi ci aiuta a vivere? Su Dio e l’uomo,

Cit., p. 165.8 Citato in G. CATALFAMO, Fondamenti di una peda-

gogia della speranza, La Scuola, Brescia 1986, p. 59.9 J. MOLTMANN, Nella fine l’inizio. Una piccola teolo-

gia della speranza, Cit., pp. 45-47.10 J. RATZINGER, Chi ci aiuta a vivere? Su Dio e l’uo-

mo, Cit., pp. 158-159.11 G. CATALFAMO, Fondamenti di una pedagogia del-

la speranza, Cit., pp. 51-52.

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a nostra epoca è quella che ha avuto unforte incremento della presenza umana nellavicenda millenaria del mondo. La cosa si èverificata non solo per ovvi motivi di cre-

scita demografica, la cui prospettiva pessimisticarisale a Malthus. La presenza protagonistica delfattore umano è determinata in larga parte, nelcorso del XX secolo appena concluso, dall’immanepossibilità offerta alla specie umana di guadagna-re potenza, spazi ed orizzonti rispetto alla repli-cativa immobilità del cosmo e all’immutabile na-tura dei millenni precedenti.

È difficile negare che il XX secolo, da questovisibilissimo punto di vista, sia stato il periodostorico in cui l’antropocentrismo ha trovato il suotrionfo e la sua contestuale sconfitta.

Oggi, mentre scriviamo si va allungando la pri-ma traccia del XXI secolo, tutti noi avvertiamo ilpassaggio inesorabile dall’antropocentrismo altecnocentrismo. Quest’ultimo è dai filosofi inter-pretato, segnatamente dopo Heidegger, come esi-to inesorabile, inevitabile e ineludibile dell’antro-pocentrismo medesimo di matrice metafisica oc-cidentale. Così è considerato estrema propagginedello stesso storicismo radicale, dello sfarinarsirelativistico di ogni ontologia e di ogni etica, estre-ma interfaccia di una deriva nichilistica ormai dapiù parti riconosciuta fino al punto da farne l’oriz-zonte unico entro cui inscrivere gli stessi valoripositivi (Vattimo).

In questo quadro, l’attenzione di pensatori, stu-diosi di scienze umane, sociologi, epistemologi epedagogisti per la metacategoria della complessitàva al di là dello specialismo di tipo accademico oepistemologico.

Vogliamo dire che uno sguardo complesso sul-la complessità sulla vicenda umana contempora-nea diviene assolutamente obbligante. Esso fini-sce per essere l’ultima risorsa del tentativo del clas-sico sguardo globale sul reale.

Fu Piaget, nell’ormai lontano suo libro Saggez-za e illusioni della filosofia ( trad. it. Einaudi, Tori-no 1969), a scrivere che la filosofia è una presa di

posizione ragionata sul tutto. E non è un caso chePiaget sia l’epistemologo del XX secolo che, insie-me ad altri, ha messo maggiormente in crisi l’ideadi totalità filosofica come capace d’interpretare lacomplessità antropocentrica e tecnocentrica deltempo storico della modernità estenuata e tarda.

Ovviamente, c’è una complessità che si riferi-sce ad un approccio filosofico e ce n’è una che siriferisce all’approccio scientifico. In quest’ultimaangolazione prospettica, l’approccio della comples-sità è intendere l’articolazione di una parte comeuna totalità, una parte coincidente con il tutto ola somma delle parti che è qualcosa di talmentecomplesso da configurare un’entità in cui è qual-cosa in più di se stessa (cfr. E. Morin, Introduzio-ne al pensiero complesso, trad. it. SugarCo, 1983).

Metacategoria generale della complessità alloraincomincia a significare, in questi primi anni delXXI secolo, insieme la piena compiutezza e l’as-soluto esaurimento del XX secolo.

Morin, Luhmann, dopo Piaget, nelle scienzeumane, tentano di dare una forma di comprensio-ne generale della realtà dopo che la realtà è statacomplessificata dal trionfo antropocentrico etecnocentrico, dopo la globalizzazione della na-tura in termini di storia prometeica e di avventodi una indistinzione natura/storia, nella quale l’ul-timo tratto è totalmente occupato dalla potenzadella scienza/tecnologia e dalla inesorabile e trion-fale marcia della tecnica.

L’epoca della complessità allora diviene quellain cui non è più possibile leggere realtà, natura,uomo separatamente. Sarà la lettura dialettico-contestuale di Morin o quella sistemica di Luh-mann, fatto sta che l’impressione che se ne ricavaè tutta giocata in una nuova prospettiva che tentauna comprensione del senso generale delle cose,non più in termini di sviluppo-progresso, ma intermini ecosistemici e dialettici nel cui retropen-siero c’è una sorta di nuova tensione verso unapersistente esigenza di totalità e di senso.

In questa direzione, che è quella di una conte-stuale filosofia antropologica, è possibile leggere

L’epoca della complessità

GIUSEPPE ACONEPreside Facoltà Scienze della Formazione

Università di Salerno

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anche la nuova immagine delle scienze umane, conle sue ombre e con l’inesorabile declino delle suecarte, dopo l’avvento delle tecnoscienze e delleneuroscienze.

L’assunzione della categoria di complessità al-l’interno della filosofia dell’educazione contempo-ranea non può prescindere da tale contesto. E, neifatti, almeno per quei pedagogisti che se ne fannocarico, non ne prescinde in alcun modo. Ad esem-pio, non ne prescinde Franco Cambi, che cerca didar voce pedagogica da anni a tali aspetti dell’im-magine del mondo contemporaneo rivisitata in ter-mini di pedagogia e di filosofia dell’educazione (cfr.F. Cambi, Manuale di filosofia dell’educazione,Laterza, Bari 2000). Non ne prescinde l’autore del-la presente nota allorché, in alcuni suoi ultimi vo-lumi (cfr. G. Acone, Declino dell’educazione e tra-monto d’epoca, La Scuola, Brescia 1994; Pedagogiadi fine secolo, Il Segnalibro, Torino 1998; La paideiaintrovabile, La Scuola, Brescia 2004; L’identità dif-ficile della pedagogia tra complessità e post-moderni-tà, in AA.VV., L’identità della pedagogia oggi, Pen-sa, Lecce 2004; L’orizzonte teorico della pedagogiacontemporanea, Edisud, Salerno 2005), ritiene chela pedagogia generale, segnatamente in questa fasestorica, non possa non configurarsi come una sortadi teoria complessa sulla complessità umana.

Resta da vedere, ovviamente nei limiti di unrapidissimo intervento quale questo, in quale di-rezione si fa muovere nella filosofia dell’educazio-ne e nella pedagogia generale contemporaneal’insuperabile orizzonte culturale e di senso della

complessità.C’è una direzione tendente a risolverla conti-

nuamente in una duplicazione teorico-pratica dellacomplessità medesima. È il caso in cui il labirintonon trova mai la porta stretta dell’educazione (perusare la bella metafora di Alberto Granese – cfr.A. Granese, Il labirinto e la porta stretta, La Nuo-va Italia, Firenze 1992).

C’è un’altra direzione, alla quale volgo preva-lenti sforzi di riflessione e di azione io stesso, perla quale il mondo, la realtà, l’uomo sono com-plessi e immersi nella complessità; l’educazione,però, costituisce il filo d’Arianna per tentare diuscire dal labirinto, almeno provvisoriamente ealmeno per ciò che è dato alle condizioni storichedeterminate e finite della nostra esistenza.

L’educazione, pertanto, è complessa nel sensodi essere il contesto intessuto e problematico di sestessa e di esserne anche il senso umano profon-do. In tale ricorsività (non vuota) è la sua massimadifficoltà e la sua massima risorsa. Essa è una for-za debole ed è la dimensione di un orizzonte en-tro il quale si configura la speranza di semplifica-zione compatibile della sua stessa complessità e,al tempo stesso, la consapevolezza che la strutturastessa della realtà complessa del mondo consentesolo semplificazioni provvisorie e parziali, proble-matiche ed aperte.

Solo un orizzonte di trascendenza (ma qui civuole anche fede) consente l’appello ad una fuo-riuscita definitiva dagli aspetti dolorosi del nostroessere complessi.

XX Certamen Horatianum. Venosa 5 maggio 2006. Convegno didattico

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Pedagogia della persona oggi:quali sfide educative?

SIRA SERENELLA MACCHIETTIOrdinario di Pedagogia - Università di Siena-Arezzo

Il personalismo alle sue origini si è espressocome un atteggiamento ed un’aspirazionespeculativa, come intenzionalità e come«protesta morale di fronte alle situazioni e

connessioni ideologiche»1 ed alle violenze opera-te nei confronti della persona…

Significativa è, a questo proposito, la denunciafatta da E. Mounier del decadimento dell’indivi-duo, del passaggio dall’eroe al borghese, del pri-mato dell’irrazionale e della ‘potenza’ che caratte-rizzava il pragmatismo provocatorio del fascismoe del collettivo nazionale, e dell’uomo nuovomarxista, con la sua volontà di trasformare il mon-do, rilevando che l’ottimismo che il marxismo pro-fessava era un ‘ottimismo collettivo’, che nascon-deva ‘un pessimismo radicale della persona’.

Alla denuncia di E. Mounier ed alle aspirazio-ni morali dei ‘padri’ e dei primi pedagogisti delpersonalismo si collegano anche oggi l’attenzio-ne, la premura e le proposte della pedagogia dellapersona che, come è noto, ha incominciato a deli-nearsi alla fine degli anni ’80 del secolo scorso,quasi in coincidenza con l’affermazione delle pro-spettive neopersonalistiche.

In queste prospettive «la persona come compi-to etico evoca il diventar persona più che l’analisimetafisica di un’entità data. La persona si acqui-sta con la nascita, ma poi la si conquista progressi-vamente nella misura in cui si riesce a stimolareanche gli altri ad averla»2. La persona umana vie-ne pertanto considerata sia come un ‘dato’ checome una conquista e vive una creazione conti-nua «non tutta compiuta ma in divenire, da farsi».

Nel 1992 quando in Italia è sorta la rivista Pro-spettiva Persona, il cui direttore Attilio Danese,nell’Editoriale del Fascicolo 1/2 (luglio-dicembre)presentava le ‘Prospettive neopersonalistiche’, a

Padova si è tenuto un colloquio interuniversitario,organizzato allo scopo di effettuare un «chiarimen-to «in comune» sulla pedagogia personalista, o…sul personalismo pedagogico, per una migliorecomprensione» di questa “pedagogia…”3. ‘La gam-ma delle teorie’ infatti andava «da un personalismodogmatico e aprioristico a uno storico-progredien-te», alle proposte di pedagogia «autonoma» e criti-ca, attenta a procedimenti «di stampo ermeneuticoargomentativo»4.

Nel corso di quel colloquio complessivamentefu condivisa l’adozione della formula ‘pedagogiadella persona’ in coerenza con la volontà di testi-moniare un più forte impegno storico e quindi diaffrontare i problemi educativi con puntualità, ri-volgendo l’attenzione alle ‘persone’ viste nella lorosituazione esistenziale, muovendo dal concreto“delle esperienze di vita”.

Dalla persona alle persone

Oggi possiamo agevolmente costatare che laparola persona è molto usata in contesti diversi econ significati diversi5. Possiamo inoltre rilevareche nello stesso ambito pedagogico, se è vero cheesiste una diffusa convergenza nel considerare lapersona come ‘valore intrinseco’, come un «qual-cosa di intangibile e inviolabile» è altrettanto veroche sono differenti «le giustificazioni teoriche…»che stanno alla base di questa considerazione6.

Spesso si parla di persona senza porsi problemisulla sua ‘natura’ ontologica e frequentemente la‘categoria persona’ allarga il suo campo di refe-renze… e, come afferma Carla Xodo, «non appa-re più il termine occidentale per dire uomo, ma sicandida a diventare una categoria meta-culturale,di significato universale. Due sono i significati che

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persone”, di accogliere le loro incerte e non sem-pre univoche autorivelazioni, autocertificazioni,autointerpretazioni: perché, qui, più che altrove,si fa l’esperienza della diversità e dello sviluppodell’esistere e dell’essere personale»12.

Un’altra coraggiosa sfida è quella del coinvolgi-mento di tutti nell’impresa educativa. L’educazio-ne della persona infatti non può non essere un’im-presa comunitaria e il sistema educativo non puònon essere un sistema ‘a rete’, nel quale intera-giscono diversi soggetti educanti, ciascuno con lapropria originalità: la famiglia, la scuola, la comu-nità ecclesiale, lo Stato, le associazioni e le diverseaggregazioni presenti sul territorio.

In coerenza con queste sfide si colloca il doveredi tradurre nella progettazione e nella realizzazio-ne degli interventi educativi quei principi e queivalori che la cultura del personalismo ha sempreproclamato, non rinunciando a riflettere sul suofondamento ma andando oltre…, ricordando chel’educazione si realizza «nell’empirico quale essoè dato individualmente, storicamente ed esisten-zialmente determinato»13. Da ciò deriva che essa èchiamata ad alimentarsi «alla scuola della vita» eda rispondere ai suoi appelli, ad andare incontroalle persone per amarle, per lasciarle essere e peraiutarle ad essere, per sentire responsabilità nei loroconfronti. L’educazione pertanto domanda capa-cità di accoglienza, di ascolto, comportamentiempatici, che esprimono premura, attenzionepersonalizzata per ciascuno, sensibilità umana,simpatia, benevolenza, solidarietà etica e intellet-tuale, fedeltà, disponibilità a dare ‘fiducia’. Giovaricordare, però, che per testimoniare premura perla ‘persona’ appare indispensabile ascoltare le con-crete domande di educazione individuali e sociali,valorizzare le esperienze, le richieste della societàe del contesto e prendere in considerazione la spe-cificità di ogni istituzione formativa…14.

Il discorso fino ad ora fatto consente di rilevareche l’educazione per poter sfidare dovrà esserecapace di comprendere tutte le manifestazioni dellapersona e della sua vita integrale e mirare ‘all’uni-ficazione dell’essere’ e a far convergere tutti gliatti educativi verso il medesimo fine, cioè dovràessere ‘personalizzata’, ‘aperta’ e ‘integratrice’.

L’educazione personalizzata vuole valorizzarele ‘eccellenze personali’ e consentire ad ogni sog-getto, partendo dal suo ‘temperamento naturale’,

veicola il termine persona in ambito mondiale: –dignità umana; – identità personale»7.

Inoltre «per la fenomenologia strettamenteancorata al piano dell’esistenza, il soggetto acqui-sta la dignità di persona nella misura in cui si la-scia coinvolgere “nelle cose” e si apre all’alterità.Solo sperimentando la prossimità – cioè immede-simandosi nell’altro – si manifesta in tutta la suapienezza il senso della persona, in quanto esseresingolare, incarnato, limitato e illimitato, spropor-zionato fra finitudine e infinitudine»8.

In questa prospettiva la persona appare al di làdi ogni possibile concetto, essa è un ‘oltre’ e, per-ciò, mai totalmente raggiungibile, mai rigorosa-mente definibile.

Sembra pertanto condivisa la convinzione diMounier, il quale affermava che «ogni definizionefissa rischia di sclerotizzare ciò che invece è mobi-le, dinamico, fluttuante, trasformando ciò che è edeve rimanere un soggetto, appunto la persona, inun oggetto»9.

Tuttavia, nonostante la rinuncia alle definizio-ni e la varietà delle definizioni e delle concezionidella persona, dobbiamo riconoscere che, valoriz-zando le sue qualità «umane come la scelta, la cre-atività, la valutazione e l’autorealizzazione», ap-prezzando la sua dignità e il suo valore, sollecitan-do un impegno inteso a sviluppare tutto il poten-ziale ad essa ‘inerente’10 e facendo leva sulle virtùo le virtualità che vengono accreditate all’uomo(speranza, volontà, fermezza di propositi e compe-tenza; fedeltà; amore, cura e saggezza11) è possibilecondividere alcune prospettive in cui l’educazio-ne è chiamata a collocarsi e alcuni traguardi del-l’azione educativa.

Ad esempio si può condividere l’attenzione perle finalità del processo educativo e quindi l’impe-gno volto a conferirgli quell’unitarietà che è capa-ce di evitare la dispersione delle conoscenze cheogni uomo può conquistare per realizzare inte-gralmente la propria umanità. E, se riflettiamo sulvalore e sulle prerogative della persona con l’in-tento di valorizzare le potenzialità e l’umanità, chela pedagogia le riconosce siamo sicuramente ten-tati di elencare ‘molte sfide’ di grande significatoesistenziale e valoriale.

In questa prospettiva, come afferma CarloNanni, sembra farsi «vivace l’inderogabile “do-verosità” di dare prioritariamente “la parola alle

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di costruire «il proprio singolarissimo modo diatteggiarsi nella vita di relazione e di costruire ilsuo carattere» e quindi di conseguire le virtù cherendono l’uomo capace ‘di vita buona’.

L’educazione del carattere mira infatti «a por-tare a perfezione le virtù», quindi è strettamentelegata alla maturazione del senso morale, che con-duce alla libertà ed alla responsabilità, all’eserci-zio ed alla testimonianza di abiti virtuosi15.

In questa educazione la nozione di soggetto (cherimanda all’identità e all’autonomia) e quella dipersona (che è collocata nella prospettiva dell’ade-sione, dell’appartenenza e della relazione, dell’alte-rità, della solidarietà, della condivisione e dellaconvivialità) vengono a sovrapporsi e ad identifi-carsi e il dialogo, visto come prospettiva, comemetodo e come finalità dell’educare, viene a con-figurarsi come un elemento indispensabile per larealizzazione del processo educativo e per la stes-sa sopravvivenza dell’umanità16.

Infatti il contatto con l’altro favorisce l’arric-chimento dell’io e la persona nel dialogo enell’interazione con gli altri trova motivi di cre-scita personale e di positiva sollecitazione per lasua stessa maturazione e per la promozione dellecomunità…17.

Pertanto identità e alterità sono i poli dell’unicaidentità solidale il cui conseguimento consente di«dialogare con sincerità e pazienza, non conside-rando ciò che ci separa come un muro insormon-tabile, ma, al contrario, riconoscendo che il con-fronto con la diversità degli altri può diventareun’occasione di maggiore comprensione recipro-ca»18.

Grazie al dialogo l’educazione si configura comeuna comunicazione vitale come «un atto di amo-re attivo verso gli altri» e non può non avere un’ani-ma profondamente etica, che si esprime nella com-prensione, la qual favorisce la comunione e diven-ta perciò segno di ricchezza e di sviluppo19 e puòconsentire la costruzione di un’unica famigliaumana.

1 AA.VV., Il Personalismo (a cura di A. Rigobello), CittàNuova, Roma 1978 (2 ed.), p. 13.

2 A. DANESE, Prospettive neopersonalistiche (Editoriale),in Prospettiva Persona I (1992/1-2), p. 8.

3 G. FLORES D’ARCAIS, Lettera d’invito, in AA.VV.,

Pedagogie personalistiche e/o pedagogia della persona, BulzoniEd., Roma 1998, p. 6.

4 Ib.5 Cfr. G. CHIOSSO, Teorie dell’educazione e della formazio-

ne, Mondadori Università, 2004, p. 119 e segg. Cfr. inoltreil saggio di D. ORLANDO CIAN, Il concetto di persona nel-l’esperienza educativa (pp. 67-76) e quello di P. MILANI, I ser-vizi alla persona e alla comunità interrogano la pedagogia: al-cune questioni aperte (pp. 77-99), in AA.VV., Dalle pedagogiealla pedagogia, Seminari itineranti – 1° Seminario La perso-na prima evidenza pedagogica per una scienza dell’educazione(a cura di C. Xodo) (Padova, 14 novembre 2003), PensaMultimedia, Lecce 2004.

6 Giova ricordare che, come rileva Carla Xodo, se «con-siderata cioè nella dialettica globale… la categoria persona,anziché restringere, allarga il proprio campo di referenza…».Cfr. C. XODO, Per una epistemologia della persona, in AA.VV.,1° Seminario La persona prima evidenza pedagogica per unascienza dell’educazione, cit., p. 45 e segg.

7 Ib.8 Un’ampia e suggestiva riflessione sul recupero del con-

cetto di persona nell’ottica fenomenologico-ermeneutica inchiave pedagogica (con particolare attenzione a Paul Ricoeur)si trova in C. XODO CEGOLON, L’occhio del cuore. Pedagogiadella competenza etica, Brescia, La Scuola, 2001, pp. 147-221.

9 E. MOUNIER, Il personalismo (a cura di G. Campanini,M. Pesenti), Ed. Ave, Roma 2004, p. 13.

10 Cfr. C. BÜHLER, M. ALLEN, Manifesto della psicologiaumanistica, Armando, Roma 1976, pp. 11-12.

11 Cfr. E.H. ERIKSON, Introspezione e responsabilità, Ar-mando, Roma 1968, p. 119.

12 Cfr. C. NANNI, Oltre il personalismo pedagogico stori-co, per una pedagogia della persona, in AA.VV., Pedagogiepersonalistiche e/o pedagogia della persona, cit., p. 292.

13 Cfr. A. AGAZZI, Pedagogia secondo la concezione cristia-na e situazione storico-culturale, in AA.VV., La pedagogia cri-stiana, La Scuola, Brescia 1955, p. 254.

14 Cfr. C. NANNI, L’educazione tra crisi e ricerca di senso,LAS, Roma 1990, p. 126.

15 Cfr. S. S. MACCHIETTI, Le sfide del personalismo. L’edu-cazione, in AA.VV., Emmanuel Mounier. Persona e umanesimorelazionale. Nel centenario della nascita (1905-2005) (a cura diM. Toso, Z. Formella, A. Danese), LAS, Roma 2005, pp.215-217.

16 Giova ricordare che all’importanza del dialogo si sonorichiamati anche i rapporti internazionali. Cfr. ad esempioJ. DELORS (1996), Nell’educazione un tesoro, Armando, Roma,1997, in cui Delors afferma che tra i «pilastri dell’educazio-ne»... c’è l’imparare a vivere insieme. Cfr. anche S. S.MACCHIETTI, Scuola per l’infanzia: luogo di dialogo e di reci-procità educativa, in AA.VV., Infanzia scenari di scuola, a curadi C. Scurati, La Scuola, Brescia 2003, p. 94.

17 Cfr. P. RUFFINATTO, La relazione educativa. Orienta-menti ed esperienze nell’Istituto delle Figlie di MariaAusiliatrice, LAS, Roma 2003, pp. 16-18 e pp. 536-537.

18 S. S. MACCHIETTI, La via della speranza, in ProspettivaEP XXV (2002/1), p. 2.

19 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Dialogo tra le culture per unaciviltà dell’amore e della pace, Messaggio per la giornatamondiale della pace, 1 gennaio 2001, n. 10.

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Complessità: il bambino e l’adolescentedi fronte al pluralismo religioso

ROSETTA FINAZZI SARTORgià Ordinario di Pedagogia - Università di Venezia

Fiamme di devastazione si alzano in orientee bruciano la cupola d’oro della moscheaaraba della città di Samarra che crolla rovi-nosamente; scintilla di un’evocata guerra

civile tra sunniti e sciiti.In India una bomba scoppia negli stessi giorni

nel sacro tempio di antiche tradizioni e di osse-quio meditativo, meta di pellegrinaggi di fedeli emeta di turisti desiderosi di attingere alla bellezzae serenità architettonica dei templi e del paesag-gio: è il Tag Ahàll (ingl. Taj Mahal).

Sempre nelle stesse giornate da Paesi africani(Nigeria ed altre località) giunge la notizia di or-rende carneficine di cristiani e di contigue distru-zioni di chiese cattoliche. In una piccola chiesacattolica in Turchia un sacerdote cattolico vieneucciso mentre prega.

Le gravi informazioni arrivano in ogni casa conla televisione e con la stampa. Perché questo acca-de? che cosa è possibile fare? quale il rapporto trareligione e “politica”? come spiegare ai bambini eai giovani ragazzi queste manifestazioni di offesae di oltraggio? I problemi sono molti ed assai com-plessi.

Nell’immediato la questione è duplice: riguar-da la società attuale, l’estrema rapidità della co-municazione e di conseguenza la diretta parteci-pazione legata all’immagine (molto più pericolo-sa ed ambigua della parola scritta); la seconda ri-guarda la realtà sociale del nostro pianeta ormaivotato ad una sovrappopolazione con societàmultirazziali, multiculturali, con grandi masse didiseredati che si spostano per povertà, per fame,per lavoro, per conflitti etnici e politici, per cata-strofi naturali. Gli organismi internazionali: Onu,Unesco, Ocse, Comunità europea ecc. hanno con-dotto e commissionato indagini elaborando qua-dri statistici di riferimento per poter affrontarealcuni dei massimi ed impegnativi problemi uti-

lizzando spesso la competenza di economisti, stu-diosi di varia provenienza e cultura.

La situazione demografica, economica, sanita-ria e culturale di alcune aree del nostro pianetarispecchia le tragiche difficoltà in cui sono milio-ni di persone. I termini di sottosviluppo, terzomondo, aree depresse, carestie ricorrono soventeper indicare situazioni di vita estremamente pre-carie con l’aggravante di un analfabetismo in co-stante crescita (soprattutto se rapportato all’aumen-to della popolazione) e al quale le campagne dell’U-nesco, in oltre mezzo secolo di programmi, prov-vedimenti ed interventi diretti non sono riuscitea porre argine e rimedio.

Alla fine della seconda guerra mondiale alcunidi tali problemi sono stati affrontati nell’ambitodei diritti umani, del rispetto della persona, dellagiustizia, della libertà.

Sono state riprese le teorie illuministiche ekantiane sulla libertà, il diritto cosmopolitico, lasicurezza. È stata commentata da autorevoli stu-diosi l’opera “Per la pace perpetua (Zum ewigenFrieden)” che Immanuel Kant scriveva nel 1795.Progetto filosofico nel quale le sue idee, come scris-se Norberto Bobbio, restano fra le più audaci eilluminanti.

In Italia Norberto Bobbio scriveva – e riportia-mo una sua pagina – “il riconoscimento e la pro-tezione dei diritti dell’uomo stanno alla base del-le costituzioni democratiche moderne. La pace è,a sua volta, il presupposto necessario per il rico-noscimento e l’effettiva protezione dei diritti del-l’uomo nei singoli Stati e nel sistema internazio-nale. Nello stesso tempo il processo di democratiz-zazione del sistema internazionale, che è la viaobbligata per il perseguimento dell’ideale della«pace perpetua», nel senso kantiano della parola,non può andare innanzi senza una graduale esten-sione del riconoscimento e della protezione dei

Cenni introduttivi

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diritti dell’uomo al disopra dei singoli Stati. Di-ritti dell’uomo, democrazia e pace sono tre mo-menti necessari dello stesso movimento storico:senza diritti dell’uomo riconosciuti e protetti nonc’è democrazia; senza democrazia non ci sono lecondizioni minime per la soluzione pacifica deiconflitti. Con altre parole, la democrazia è la so-cietà dei cittadini, e i sudditi diventano cittadiniquando vengono loro riconosciuti alcuni dirittifondamentali; ci sarà pace stabile, una pace chenon ha la guerra come alternativa, solo quando visaranno cittadini non più soltanto di questo e quel-lo Stato, ma del mondo”.1

Norberto Bobbio cita inoltre l’Enciclica Cente-simus annus, del maggio 1991, a riaffermare solen-nemente l’importanza che la Chiesa assegna al ri-conoscimento dei diritti dell’uomo. Di questi di-ritti il primo è il diritto alla vita e segue il diritto auna famiglia, alla libertà nella ricerca e conoscen-za della verità, il diritto al lavoro e il diritto allalibertà religiosa che è fonte che riassume i dirittiprecedenti.

Religione e civiltà

Una pubblicazione di Adolfo Omodeo di al-cuni decenni fa Religione e civiltà. Dalla Greciaantica ai tempi nostri, presenta ancora all’odiernalettura interesse e validità per la chiarezza degliargomenti trattati.

L’Autore vuole delineare in un unico quadro lastoria delle religioni che hanno concorso a formarela nostra civiltà (dalla Grecia antica, al Cristianesi-

mo, all’Islam) col tentativo di risolvere la difficoltàintrinseca alla storia delle religioni permettendo diraccordare alcuni problemi fondamentali.

Sebbene e apparentemente non vi sia continui-tà e raccordo ma faticosa elaborazione di culti etradizioni si riscontra – di fatto – nel periodo cheprecede il fenomeno dell’ellenismo nella popola-zione della Grecia una forte aspirazione ad unaKoiné eiréne ovvero ad una pace generale che siestende alle popolazioni contigue.

Se ci riferiamo alle culture e popolazioni chenei secoli hanno popolato le coste del mediterra-neo ed alla diffusione nel periodo post-alessandrinodi un linguaggio comune (la Koiné dialektos) usataa finalità commerciali e culturali osserviamo la pre-senza di elevate forme di comunicazione trasversa-le vuoi di tipo economico vuoi letterario. Il termi-ne usato dal Droysen – ellenismo – per indicare l’am-bito geografico e territoriale della diffusione dellacultura greca, di civiltà orientali e teorie scientifi-che che si irradiano nei Paesi che si affacciano alMediterraneo è ormai invalso e l’ellenismo conno-ta un periodo denso di scambi culturali e dierudizione classica. La conquista romana prima eil Cristianesimo poi – in forme diverse – ne subiro-no il fascino e l’influenza. Basterà pensare alla filo-sofia greca, all’ermeneutica alessandrina, ed allepericolose forme di misticismo e teorieorientaleggianti che, come osserva il citato AdolfoOmodeo, vennero successivamente espulse dal senodella Chiesa e “furono designate come eresie […] incontrapposto alla Chiesa universale”.2

Osserva sempre Omodeo come verso la finedel primo secolo e per tutto il secondo “vi furono

XX Certamen Horatianum. Venosa 7 maggio 2006. Preliminari della cerimonia di premiazione

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notevoli tentativi di amalgamare il Cristianesimocon dottrine e teologie eterogenee, secondo il gu-sto dell’epoca di confondere insieme religioni di-versissime per formare un complesso sistema. 3

Si tratta di un sincretismo religioso i cui tentati-vi di realizzazione furono appunto respinti.

Più tardi il percorso filosofico e spirituale diAgostino è l’indice della presenza di forme sugge-stive filosofico-religiose e che, superate, portaro-no alla sua conversione e alla grandezza filosoficae religiosa nel Cristianesimo del tempo e dei seco-li futuri.

Adolfo Omodeo dedica anche una parte consi-stente della sua trattazione all’Islam. La lettura diqueste pagine può essere utile e per la compren-sione della evoluzione storica e sociale della reli-gione araba e per l’impulso che sull’islamismo eser-citarono il diritto romano e la filosofia greca ap-presa dai popoli sottomessi. Appartengono allacultura araba anche i grandi commentari diAristotele da parte di Avicenna ed Averroè, che aloro volta, ebbero notevole influenza nella filoso-fia medievale. In questo periodo la cultura arabaebbe momenti di grande splendore.

Nella «Introduzione» alla edizione italiana delGrande dizionario delle religioni Paul Poupard scri-ve: “La persistenza del fenomeno religioso, la suafondamentale unità e l’inesauribile novità delle sueespressioni sono dati costitutivi dell’esperienzaumana di cui tutte le civiltà, dai più remoti mil-lenni, ci hanno lasciato tracce indelebili.

Il nostro secolo, contrassegnato dalla moderni-tà, aveva creduto di affrancarsi dalla religione inmaniera definitiva con l’epopea dello scientismo,le conquiste del marxismo, il progresso del mate-rialismo, la spinta della secolarizzazione, l’eclissidel sacro, l’indifferenza religiosa. Ma ecco che oggi,col moltiplicarsi delle sette e con l’esplosione deimovimenti carismatici, Dio rifiorisce nel cuoredelle città secolarizzate. La sua attrattiva scuote lesocietà marxiste, leniniste ufficialmente atee. Laforza del suo messaggio mobilita gli uomini incerca di amore e di giustizia, di verità e di libertà”.Parole scritte nel 1988 poco prima della cadutadel muro di Berlino.

Paul Poupard continua ricordando come oggisi disponga di eccellenti mezzi di conoscenza chepermettono all’indagine di aprire “alcuni passaggivertiginosi attraverso il tempo e lo spazio” versociviltà scomparse, verso culture in mutamento edi tracciare, tenendo conto delle loro multiformimanifestazioni “la mappa esatta delle grandi reli-gioni che contribuiscono alla ricchezza del patri-

monio dell’umanità”.Se ci addentriamo nelle epoche più antiche e

nelle quali è stato indagato, l’homo religiosus emer-ge con tutta una simbologia e ritualità che espri-me il bisogno di spiritualità nel culto spesso lega-to alla vita sociale, alla devozione, alla natura, allanascita, alla morte.

Lo studio di tre grandi religioni monoteisticheebraica, cristiana, musulmana rientra precipuamentenella storia delle religioni ed a prescindere dalla fedepersonale e comunitaria, rappresenta un momentoimportante dell’istruzione e dell’educazione.

Il bambino e l’adolescente di fronte al plurali-smo religioso

Non è facile trattare in poche pagine questoproblema. Soprattutto se esso acquista significato“politico” e se di esso se ne fa una questione poli-tica piuttosto che educativa e formativa della per-sonalità individuale.

Una società multirazziale e multiculturale poneil problema oggi in forme pressanti, forse potrem-mo dire ricattatoria se non si dovesse esplicitamen-te affermare che la nostra cultura scolastica e uni-versitaria soffre a questo proposito pesanti ritardi.

Ricordo di avere esaminato più volte, per pa-recchi anni, i programmi universitari di lingua te-desca; in Austria e Germania discipline quali teo-logia e storia delle religioni sono presenti ed ob-bligatorie in molti programmi universitari a diffe-renza che nel nostro Paese. Manca purtroppo l’in-formazione e la cultura religiosa in molti docenti(ne ritengo in parte responsabili i piani di studiouniversitari delle Facoltà umanistiche). Mi limite-rò a ricordare molto sinteticamente il pensiero ele proposte di alcuni insigni pedagogisti ededucatori: Maria Montessori, Jacques Maritain,Wolfgang Brezinka; partendo da esperienze cul-turali differenti essi sono pervenuti a propostesostanzialmente analoghe.

Maria Montessori, dopo aver per anni sottova-lutato il problema dell’educazione religiosa, si ri-volge al bambino per fargli comprendere il ritoreligioso. Alcune sue pagine sono importanti e dielevata sensibilità pedagogica.

Nel periodo che va dal 1916 al 1929 se ne occu-pa in modo particolare; ripercorrendo il metododella pedagogia scientifica applicato nelle Case deibambini essa orienta il suo discorso educativo sulbambino, sulle leggi che regolano la sua crescita,sull’ambiente che la facilitano. Nel concetto di

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embrione spirituale di cui parla Maria Montessorisi trova espressa (osserva G. M. Bertin 4) l’esigenzadi valorizzare sia gli insegnamenti scientifici sia leispirazioni filosofico-religiose. Essa vede nell’em-brione spirituale il principio generatore dell’indi-viduo psichico che esprime il travaglio della co-struzione della personalità individuale le cuipotenzialità, se trovano ambiente positivo ed aiu-to, possono esprimersi nel linguaggio, negli atteg-giamenti, nella stessa religiosità.

L’insegnamento religioso è necessario allo svi-luppo della coscienza infantile. Nelle due opereL’educazione religiosa e l’anima del fanciullo e Ibambini viventi nella Chiesa (sempre del 1922)Maria Montessori pensa ad una didattica che con-templi un insieme di attività pratiche che miranoa mantenere viva la sensibilità interiore del bam-bino e preparano l’espandersi del sentimento reli-gioso mediante la partecipazione attiva del bam-bino a pratiche religiose che riguardano il rito re-ligioso.

I paramenti sacri nei vari colori, nelle varie ce-rimonie e periodi dell’anno liturgico, il calice, laspiga di grano che formerà l’ostia da consacrare,l’uva per il vino della Messa che sarà consacrato,l’ulivo come simbolo di pace. Anche l’ordine de-gli atteggiamenti e delle cose è un aspetto impor-tante nei primi anni di vita del bambino. Il disor-dine fa soffrire il bambino anche se molto picco-lo. L’ordine nell’ambiente esterno, sia esso fami-liare o nell’ambiente religioso tocca una sensibili-tà dei piccoli che se trascurata tende a scomparire.

Nel silenzio della chiesa si attua con la preghie-ra quella concentrazione su sé stessi che caratte-rizza la lezione del silenzio che è uno dei cardinidella pedagogia e dell’educazione montessoriana.

Il soggiorno americano protrattosi nel periododella seconda guerra mondiale ha permesso aJacques Maritain non soltanto d’insegnare al-l’Università di Princeton (USA) ma nel 1947, conla delegazione francese, di presiedere a Città delMessico la seconda sessione della Conferenza Ge-nerale dell’Unesco sul tema riguardante i dirittiumani.

Nell’Introduzione all’opera Dei diritti dell’uo-mo pubblicata in Italia nel 1952 Maritain affermache se non è possibile accordo fra le diverse ideo-logie speculative e religiose sarà possibile edauspicabile trovare un piano comune riguardanteuna ideologia pratica fondamentale e principi diazione comuni e fondamentali. Auspicabile dun-que un lavoro più pragmatico che teorico per tro-vare punti di convergenza e regole di condotta.

Libertà dell’uomo, diritti, giustizia, rispetto delleleggi, tutto questo deve realizzarsi in una societàdemocratica nel rispetto della persona umana.Concetti ripresi da Maritain in due opere L’uomoe lo stato e L’educazione al bivio nelle quali l’A.asserisce “come l’educazione sia palesemente ilmezzo primario per mantenere il comune con-vincimento nella carta democratica”.5 La famigliain primo luogo e la scuola devono rispondere al-l’ideale dell’educazione liberale per tutti; la cartademocratica alla quale i giovani saranno educatiper la tutela di un bene comune e per una societàdemocratica sarà fonte di un comportamento ispi-rato a principi etici. Maritain distingue la educa-zione religiosa, che spetta in primo luogo alla fa-miglia e che nell’ambito di una società pluralisticava rispettata, dall’insegnamento della carta demo-cratica. In una situazione ideale (ma secondo lostesso Maritain difficilmente realizzabile) si po-trebbe affidare l’insegnamento della carta ad inse-gnanti appartenenti a diverse tradizioni religioseo filosofiche. È chiaro che le università americaneriflettenti la diversità delle confessioni religiosenegli Stati Uniti ponevano e pongono questi pro-blemi. Dalla lettura delle opere mariteniane sem-bra di poter dedurre che la società può reggersi subasi comuni se alcuni principi e regole sono ri-spettati da tutti. La formazione religiosa rientranella libertà delle istituzioni e va rispettata.

Ad ultimo, Wofgang Brezinka in due saggi:Credenza ed educazione. L’interpretazione pragma-tica delle convinzioni religiose e ideologiche comeproblemi di filosofia dell’educazione ed Educazioneai valori? Problemi e possibilità,6 scrive sulla capa-cità di condurre una vita responsabile.

L’ideale capacità di condurre una vita respon-sabile ha, secondo l’A., «in ogni società e in ognitempo un contenuto particolare. Dipende dal li-vello culturale il modo in cui esso viene con mag-giore cura definito».7

I genitori hanno il dovere di educare i figli adessere capaci di condurre una vita responsabile elo Stato ha il dovere di favorirli in questo compi-to; tale compito rappresenta l’ideale e la metaeducativa di ogni educazione.

Oggi la società è pervasa da molte incertezze,esse sono attribuibili per il pedagogista tedesco:

a) alla molteplicità delle molteplici contrad-dicentisi concezioni del mondo nell’ambito del-l’esperienza umana ovvero del pluralismo ideolo-gico;

b) alla critica radicale che viene esercitata “innome della scienza e della filosofia critica della

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conoscenza sulle concezioni del mondo, sulle re-ligioni, sui sistemi di credenza o sulle ideologie diogni specie” secondo quella che viene definita ra-zionalità critica.

Già Friedrich Nietzsche aveva parlato di ma-lattia storica e di relativizzazione di tutti i conte-nuti religiosi. Agli interrogativi che si affaccianoa questo proposito lo stesso Nietzsche ha tentatodi dare spiegazione. Attraverso l’esame critico dialtri pensatori, Freud in particolare, Brezinka per-viene (vedi valori di verità e valori di utilità) aduna valutazione – per così dire – delle interpreta-zioni pragmatiche dei convincimenti religiosi dalpunto di vista di una filosofia normativa dell’edu-cazione. Coloro che si avvicinano alla filosofiadell’educazione come mezzo per aiutare gli edu-catori pongono o si impegnano a porre, nella ge-rarchia professionale ed etica dei valori non la co-noscenza scientifica come massimo bene “ma ilbene delle persone da educare e il bene della co-munità cui esse appartengono”.8

L’analisi dello scientismo e le sue insufficienzeconfermano che nel processo dell’educazione vatenuto presente quel minimum esistenziale psichicodell’uomo di avere e di poter avere convincimentireligiosi e /o ideologici. Anche la normativa giuri-dica della comunità pone fra i diritti fondamentalidella libertà di pensiero, di coscienza e di religione,il riconoscimento giuridico di chiese e società reli-giose come enti di diritto pubblico e il diritto allalibera pratica religiosa. Così per la Repubblica fede-rale tedesca nei vari Länder così per l’Austria: “L’im-partire l’istruzione religiosa nelle scuole pubblicheviene legalmente fondato sul diritto dei genitori diassicurare l’educazione dei figli in conformità dellaloro convinzione religiosa”. Il bene del fanciullo eil bene comune sono i cardini di una corretta edu-cazione e trovano conferma giuridica nella Dichia-razione delle Nazioni Unite riguardante il dirittodel fanciullo.

Per concludere, la breve sintesi del pensiero diMaria Montessori, Jacques Maritain e WolfgangBrezinka ci offre la guida per oggi affrontare i gra-vi ed indilazionabili problemi che emergono insocietà multiculturali con la presenza nei cittadi-ni di tradizioni religiose differenti.

Alla famiglia è riservato il compito di conti-nuare l’educazione religiosa del bambino così comela scelta di istituti che confermino tale educazio-ne come compito precipuo.

Per la scuola pubblica valgono le leggi fonda-mentali valide per una coesistenza sociale respon-sabile e democratica, quindi: rispetto della perso-

na, diritti e doveri comuni, coesistenza solidale,rispetto delle tradizioni religiose, conoscenza re-ciproca. Giustamente Maritain scriveva: “Ignora-re e misconoscere con il pretesto di una «separa-zione» tra la Chiesa e lo Stato intesa nel senso piùfalso e più antipolitico, le tradizioni e le scuole dipensiero religioso che sono parte integrante del-l’eredità del corpo politico, significherebbe sem-plicemente per la democrazia separare sé stessa, eseparare la «fede» democratica, dalle loro più pro-fonde e vive scaturigini”.9

Sono queste le radici religiose delle quali si èparlato a proposito della stesura della Costituzio-ne europea, radici che in Europa sono cristiane.Tuttavia, la Carta della scuola e il rispetto dei di-ritti umani per il bene comune in una società de-mocratica e multiculturale (anche ad evitare unanemico sincretismo religioso) sono essenziali.L’obbligo per una solidale convivenza di ottem-perare al rispetto e riconoscimento di valori co-muni, salvaguardando in ciascuna minoranza leproprie tradizioni religiose, è senza dubbio fon-damentale.

1 Norberto Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Tori-no 1990, Introduzione, p. VII.

2 Op. cit., p. 135.3 Ibidem, p. 103.4 Giovanni Maria Bertin, Il fanciullo montessoriano

e l’educazione infantile, Armando, Roma, 1963, p. 13.5 Jacques Maritain, L’uomo e lo Stato, Vita e pensie-

ro, Milano 19922, p. 139.6 Incontri pedagogici (a cura di R. Finazzi Sartor),

Liviana editrice, 1991.7 Credenza ed educazione … cit., in Incontri pedago-

gici … cit., p. 43.8 Ibidem, pp. 53-54.9 Jacques Maritain, L’uomo e lo Stato, cit., p. 146.

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quanto mai evidente che la complessità sipresenta, oggi, come un fatto (un dato in-sieme quantitativamente e qualitativamenterilevante), come un ‘oggetto’ (il frutto di

una mediazione conoscitiva), come un ‘criterio’di adeguatezza e di attendibilità scientifica e comeun termine di validità ed efficacia tecnico-operati-va nei processi di sviluppo umano e sociale.

Nella complessità, quindi, viviamo, la dobbia-mo comprendere, organizzare e svolgere versocontenuti e significati di sempre maggiore umani-tà. Ma la condizione per farlo è di rispettarla e dinon affrettarsi a semplificarla con strategie riduzio-nistiche di vario genere.

Su questa linea proponiamo qualche analisiriferibile alle nostre problematiche educative.

A proposito di pedagogia

La Pedagogia si presenta come la scienza del-l’educazione. È questa una qualificazione sponta-nea che non si vede quali problemi possa solleva-re; di fatto, è ciò che il senso comune ritiene perpacificamente acquisito. Se non che le cose nonprocedono in modo così linearmente semplice:non è per niente acquisito, infatti, che ci sia unasola scienza (o uno ed un solo sapere), da inten-dersi con il termine di Pedagogia, abilitata ed au-torizzata ad esprimere indicazioni, teorie, rifles-sioni e principi direttivi in merito all’educazione.

È quindi facile comprendere i motivi per cui losviluppo dell’autocomprensione epistemologicadella Pedagogia è consistito fondamentalmente nelcercare di rompere con le schematizzazioni unila-teralizzanti e riduttive per rispettare in manierapiù attendibile la complessità e la compositezzadell’esperienza educativa e del sape- re pedagogicostesso. La storia epistemologica della Pedagogia siidentifica, infatti, con la lotta contro le più varieforme di riduzionismo identificatorio ad altri tipi

di sapere (biologia, sociologia, psicologia, politi-ca, filosofia).

L’impiego del paradigma della complessità harappresentato un buon strumento di difesa e direazione di fronte a questa abitudine epistemica.

In primo luogo, la ricerca pedagogica tende aporsi come ambito consistente e significativo diindagine, arricchito e non dissolto dalla multila-teralità e poliedricità degli approcci possibili; insecondo luogo, non si può trascurare il problemacritico del ritrovamento di strategie di consisten-za e di riconduzione ad unità di un universo la cuieffervescenza potrebbe anche approdare a risulta-ti finali di inconsistenza; in terzo luogo, occorrericordare come il discorso e l’azione pedagogicirisultino indissolubilmente collegati e connessi conla più corposa e controversa immediatezza, nellesue varie contestualizzazioni e manifestazioni,dell’educativo sul campo. Parlare di una scienza,cioè, vuol dire disporre di una precisa ‘competen-za’ che si costruisce, si rinnova, si aggiorna conti-nuamente nel rapporto con la ‘domanda’ (perso-nale e storica) e nella tensione a dare senso allaparola ed incisività all’intervento: è il problemadella connessione costante fra la teoria e la prati-ca, fra il concettuale e l’operativo, fra il culturale el’istituzionale.

Passaggi

Il passaggio dalla modernità alla postmodernitàci pone in presenza di una sorta di processo di‘miniaturizzazione pedagogica’, vale a dire all’esi-genza di una pedagogizzazione diffusiva dellemicroesperienze e dei microambienti di vita, in-tesa come incremento del livello di autoconsape-volezza dei propri comportamenti relazional-mente significativi. Si va passando, cioè, da unavisione accademico-formale del discorso pedago-gico ad una pragmatico-orientativa.

Analisi di complessità

CESARE SCURATIDirettore Dipartimento Scienze dell’Educazione

Università Cattolica - Milano

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Al centro di questo processo si trova l’istanzadell’autoriflessività come caratteristica che defini-sce e costituisce la posizione degli operatori pro-fessionali responsabili. Svolgere il giocodell’autoriflessività vuol dire trovare i termini diuna decisionalità reale; parlare, cioè, di operatorieducativi che decidono nel senso di confrontarsicon alternative reali e non di ricondursi ad unaspecie di finta libertà che finisce per coincidere,nei fatti, con una spirale di comportamenti tradi-zionalisticamente esecutivi.

Un secondo tipo di considerazioni, di naturapiù strettamente culturale, riguarda il particolaremomento di natura ‘idiografica’ che la culturaformativa sta attraversando, come il ricorrente ri-chiamo allo specifico, al vissuto, alla biografia edalla memoria dimostra piuttosto chiaramente. Ilsenso della crisi del ‘nomotetico’, per quanto ri-guarda i saperi di formazione, è molto acuto.

La non semplice questione da affrontare è dicapire se questi momenti hanno una natura solareo crepuscolare; se appartengono, cioè, al mondodell’alba o a quello del tramonto: di fronteall’idiografia come progetto – cioè all’esigenzadell’autenticità, dell’immediatezza, dell’interpre-tazione situazionale aperta – rimangono comun-que la forza e la pesantezza delle oggettivazionistrutturali, che collocano oggi in primo piano ilvolto dell’economia e della politica. È sicuramen-te vero, da una parte, che, se si oltrepassa il confi-ne della concretezza, si corre il rischio di una ca-duta nell’estenuazione alienante dell’estetismoirrazionalistico, rimpiazzando colpevolmente lecompetenze (per quanto precarie) dell’esperto conle mistificazioni del guru e dell’imbonitore, marimane anche il fatto di un difficile conflitto dimentalità e di atteggiamenti. Basta porsi qualchesemplice domanda: come si definisce la qualità perun amministratore e per un educatore? come pos-sono intendersi una cultura incentrata sull’inve-stimento, il profitto e l’interesse ed una sulla soli-darietà? qual è il limite reciproco di comprensio-ne intorno al criterio della gratuità come valoreeticamente assoluto del servizio?

È su domande come queste che sarà il caso ditornare per costruire occasioni e prospettive chepossano arrivare a toccare sempre più da vicino ilsenso profondo del lavoro professionale quotidia-no di chi svolge il suo compito in situazioni dialta responsabilità umana. Cercare la qualità, insostanza, vuol dire cercare il senso; o almeno nondimenticarlo: per la Pedagogia, vuol dire cercareil senso dell’educazione.

Discorsi e logiche

È certamente questo un tempo in cui di discor-si sulla scuola e sull’educazione se ne fanno molti,mentre non è altrettanto facile avvertire quali sono(se ce ne sono) le ‘logiche’ sottese a tutto questo,vale a dire gli elementi sostanziali di senso rispet-to ai quali confrontarsi.

In termini estremamente sintetici, emergonodue collocazioni concettuali:

– sul piano epistemologico-formale (il saperepedagogico come disciplina) si profila un muta-mento del rapporto fra pedagogia scolastica e pe-dagogia sociale, nel senso che all’originario e tra-dizionale rapporto di superiorità della prima sul-la seconda ed al successivo momento di collateralitàsta subentrando un momento di prevalenza dellaseconda sulla prima;

– sul piano storico-fattuale si sta consolidandoil passaggio (da considerarsi, una volta giunto allasua piena esplicazione terminale, come una vera epropria mutazione) da un sistema di tipo stratifi-cato-successivo ad uno di tipo sinergico-progressi-vo, con il conseguente esaurimento di un consi-stente numero di ‘regolarità’ (indifferenza recipro-ca degli strati-livelli; definizione di criteri, conte-nuti e proprietà differenti e non trasferibili; riferi-mento ad immagini di prestigio e ad allocazionidi status gerarchicamente disposte) e ‘primati’ (del-l’istruzione formale sugli apprendimenti informali,delle certificazioni sulle verifiche, dei tracciati su-gli itinerari) costituiti.

È un fatto che l’irruzione della coppia forma-zione-pedagogia sociale nell’orizzonte della rifles-sività pedagogica e della revisione innovativa hacertamente comportato una significativa modifi-cazione dei territori sia tematici che elaborativi,al cui centro sta sicuramente la perdita della ‘su-premazia’ indiscussa della scuola nel quadro delleagenzie formative a favore di una visione circolaree composita (polifunzionale, poliedrica, multi-laterale) di un universo di possibilità e di poten-zialità intese tutte come ‘linguaggi’ responsabili(e da responsabilizzare) ai fini del sostegno allapersona nel complesso processo di costruzionedella sua capacità di autoconsapevolezza e diautoprogettazione rispetto al proprio destino edalla propria collocazione nel mondo. Le conse-guenze in senso positivo di questo spostamentoappaiono collocabili sul piano della maturazionedi una considerazione meno corrivamente spic-ciativa dei valori e delle esigenze delle agenzie non

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scolastiche, dell’intensificazione del lavoro di ela-borazione dei quadri concettuali e delle formu-lazioni procedurali adatte alle singole ‘regioni’tematiche della competenza formativa e dell’aper-tura ad una più incisiva ed incidente considerazio-ne per le dimensioni supernazionali ed inter-culturali del confronto e del dialogo pedagogico.Rimangono da vedere, però, dei lati di carattereproblematico e, soprattutto, degli aspetti che stan-no ad indicare la necessità di ulteriori impegni eguadagni di chiarezza e di efficienza.

Cominciamo dall’aumento dell’incertezza sul-la scuola (le sue funzioni, i suoi limiti, le sue effet-tive potenzialità), che non può essere assunto sol-tanto in senso favorevole. Se è giusto, infatti, chemolte errate presunzioni siano cadute, non è menovero che la mancanza della capacità di ‘rappresen-tazione’ della scuola costituisce pur sempre unpreoccupante sintomo di insicurezza culturale edi scarsa energia morale e generativa della comu-nità: al ‘delirio’ di una formazione forte in rela-zione ad una scuola debole (visione polemico-ag-gressiva) va sostituito il ‘sogno’ di una formazio-ne e di una scuola entrambe forti in un quadroorganico di condivisione di obiettivi e di suddivi-sione di ruoli (visione sinergico-progettuale).

L’emersione di nuove (e non sempre previste)professioni formative, poi, va coordinata con l’al-trettanto evidente emersione di posizioni dal for-te contenuto pedagogico senza essere per questocollocate su un terreno esplicitamente ed oggetti-vamente professionale come le altre, per cui oc-corre provvedere una rete di possibilità formativeper questo genere di figure (genitori, animatori dicontesti parrocchiali, di azienda, di tempo liberoecc.), che portano comunque il peso di una quali-tà non trascurabile della nostra (residua) civiltàpedagogica. Ancora, la valorizzazione del quoti-diano, cioè dell’inintermittente esercizio dellacompresenza e della responsabilità formativa nel-le normali situazioni di vita (famiglia, scuola, par-rocchia, associazioni, attività di volontariato, e cosìvia) non deve far dimenticare l’importanza dellascoperta, dell’incoraggiamento e della valoriz-zazione della ricerca e della sperimentazione in-novativa e, più in generale, delle avanguardie ri-volte al cambiamento razionale della tradizionecui, più che una ‘spettacolarizzazione’ effimera estrumentale delle loro avventure di lavoro, servo-no un sostegno convinto dei loro sforzi e la tra-scrizione della novità verificata in possibilità ac-cessibili all’universo interessato (generalizzazionee routinizzazione del cambiamento).

Le dinamiche più complicate e difficili dell’ap-prendimento formativo, ancora, riguardano il ter-reno dei rapporti intergenerazionali ed interisti-tuzionali, concentrandosi sulle difficoltà inerentialla relazione fra età diverse, all’accettazione dellacompetenza dei pari ed alla revisione delle prassiorganizzative ed istituzionali consolidate, dovel’intreccio di cambiamento personale, riforma isti-tuzionale e disponibilità alla comunicazione dicompetenza rappresenta il problema più arduo darisolvere ed insieme la più allettante scommessada vincere. Il compito di riconnettere in modoreciprocamente sostentativo l’istruzione ‘liberale’(la cultura generale, l’educazione di base) e la pre-parazione ‘vocazionale’ (orientata alla pratica, ri-volta alla concretezza del fare e dell’operare) ri-mane in gran parte inevaso, riconducendosi sem-pre al nodo sostanzialmente irrisolto della defini-zione curricolare (cioè effettivamente traducibilein linguaggi e comportamenti didatticamenterilevabili) di quell’umanesimo formativo insiemeuniversale e specifico che tende a restare un (più omeno regolativo) ideale delle aspirazioni pedago-giche piuttosto che un dato verificabile dellaprogettualità educativa. Non si può nascondere,infine, la grande debolezza del tessuto formativorappresentato dalla vita civico-sociale, per cui lacrisi della ‘cittadinanza’ come valore e come stileva assolutamente fermata per innestare una spin-ta contrapposta capace di risalirla e di invertirne ilsenso.

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Postmodernità, complessità,globalizzazione e didattica

LUCIANO CORRADINIGià Ordinario Pedagogia Roma Tre

Presidente Nazionale AIMC-UCIIM-AIDU

l post-moderno può essere visto sia comeperdita di valori, e come rinuncia a proget-tare la trasformazione del mondo, sia comeapertura a nuovi valori nella prospettiva

della mondialità e delle responsabilità che ne con-seguono.

È questa nuova prospettiva che si tratta di co-gliere e di sviluppare in tutte le sue implicazioni,in particolare quelle di tipo educativo.

“Prendere in mano l’evoluzione”

Ha scritto con una certa enfasi, ma anche conmolta lucidità, Ervin Laszlo, uno dei più noti espo-nenti del Club di Roma: «Entriamo in un’epocanella quale dobbiamo prendere in mano la nostraevoluzione». E ha precisato: «Possiamo dare il‘ciak’ alla prospettiva evolutiva se, ma solo se, su-periamo i nostri limiti interni, i limiti che c’inca-tenano al mondo d’oggi, con i suoi modi obsoletidi pensare e di agire. Per giungere alla prossimafase dell’evoluzione storica dell’umanità, sarà ne-cessario passare per le diverse biforcazioni e riu-scire a innovare: un salto oltre il Moderno, nel-l’Epoca globale».

Problema globale, chiarisce Laszlo, è «un pro-blema a lungo termine, persistente, concernenteparecchie persone, la cui titolarità è difficile dastabilire, unico, la cui soluzione ha caratteristicheignote, diffusivo, le cui soluzioni proposte sonocostose in termini di risorse, richiedono stili coo-perativi per essere effettuate e così pure nuovi si-stemi di valori e di aspettative».

Quanto alla categoria della complessità, essa sicaratterizza per l’esistenza di un gran numero divariabili che interagiscono fra loro con modalità econ effetti difficilmente conoscibili. Per E. Morinla complessità sta nella congiunzione di concettiche si combattono reciprocamente. Il guaio è chead affrontare questa complessità non troviamo una

scienza inossidabile, unitaria, certa di attingere laverità, dispensata da scienziati concordi, neutralee capace di fornire supporti sicuri alle decisionipolitiche, ma una scienza multiforme e cangian-te, falsificabile per principio e sempre più consa-pevole che le questioni vitali per l’uomo e per lasocietà stanno fuori del suo dominio.

Gran parte delle scelte più rilevanti per il no-stro comune destino vengono fatte non solo sullabase dei cosiddetti «sporchi interessi», ma sulla basedi rispettabili «teorie», di considerazioni e previ-sioni scientifiche e sulla base di valutazioni eti-che, riconducibili, in ultima analisi, a quella cheWeber chiamava etica della responsabilità, attentaai risultati dell’azione, per distinguerla dall’eticadell’intenzione, attenta ai principi che devono gui-dare l’azione stessa.

Papa Wojtyla, nella sua prima enciclica, Redem-ptor Hominis, ha esteso il concetto di alienazione,introdotto da Hegel e sviluppato da Feuerbach eda Marx, alla generale condizione dell’uomo che,anche quando impiega le sue migliori energie aservizio di progetti di umanizzazione, sperimen-ta l’insuccesso e la sua estraneità nei confronti diquesto mondo.

I nostri insuccessi non sono attribuibili al casoo alla malignità degli astri, o a un “difetto di pro-gettazione”. Il dramma del nostro tempo, la veraalienazione di fronte alla quale ci troviamo, stanel fatto che questi insuccessi sono il frutto del-l’impiego delle nostre migliori energie intellettualie morali, e di un sapere scientifico e tecnologicoche non ha uguali nella storia.

Per questo non si può concepire il salto nel-l’epoca globale come il frutto di un’esperienza ac-cumulata e di un sapere sperimentalmente verifi-cato, o come un atto di immotivata fiducia nellanostra buona stella. Esso è il frutto di una presa dicoscienza insieme morale, sapienziale e pragmaticasulla realtà contemporanea, ma anche di una «spor-

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genza» della «volontà volente» sulla «volontà vo-luta», per dirla con Maurice Blondel, ossia delladecisione di scommettere sul proprio futuro e suquello dell’umanità.

L’umanità, diceva Auguste Comte nell’Otto-cento, non è fatta per abitare sulle rovine: né suquelle del mondo ch’egli chiamava teologico emetafisico, né su quelle del mondo positivo omoderno, a cui andavano illuministicamente lasua fede e la sua speranza. Il problema nostro èquello dei modi per uscire da queste rovine, o dalcrollo dei sogni dei nostri padri.

Secondo Laszlo, i limiti dello sviluppo sonosoprattutto interni, di carattere culturale, psicolo-gico e morale. «Noi disponiamo della capacità diconoscere i delicati equilibri del nostro habitat edi offrire nutrimento, casa, lavoro, educazione euna vita dignitosa e prospera a sei, forse anche die-ci miliardi di nostri fratelli».

Non credo che questa posizione si possa liqui-dare come l’epigono di un sogno illuministico, cherifiuta di prendere atto della bancarotta del pen-siero e della strategia moderna di dominio del mon-do. La FAO fa valutazioni più prudenti, ma nonsmente questa impostazione.

I limiti della conoscenza e le aporie dellacomplessità

Si è visto che nella società complessa è difficilesapere e prevedere: per certe decisioni rilevanti dob-biamo in ultima analisi affidarci alle convinzionie alle persuasioni personali, forse anche ai presen-timenti.

E tuttavia, nonostante questi limiti conoscitivie previsionali, nessuna persona responsabile si so-gnerebbe di dichiarare inutile, per un loro supe-ramento, la ricerca scientifica, la riflessione etica,l’impegno politico e diplomatico, la competenzaprofessionale, l’impegno volontario a servizio dichi è nel bisogno.

Sono fallite le divinizzazioni, ma anche ledemonizzazioni dell’uomo copernicano; sono fal-lite le proclamazioni di autosufficienza, non laragionevole fiducia nelle proprie forze, né le pro-spettive di un duro esercizio della responsabilità.Il postmoderno si è caratterizzato per il sospettoche l’uomo non fosse libero e razionale, ma inbalia di forze oscure, di istinti inconsci, di ingannifatali. Sospetto non del tutto infondato.

Fra tanti sospetti è però legittimo sospettareanche che l’uomo non sia il solo custode del sen-so della realtà. In ogni caso, se si crede di non po-ter rintracciare nella realtà un disegno trascenden-te, si deve almeno riconoscere che spetta a noi co-struire un futuro possibile, o almeno comportarciin modo da non renderlo impossibile. Anche chiritiene di non possedere la filigrana della naturaumana e di non essere in grado di identificare deifini naturali da raggiungere, deve riconoscere checi sono certe condizioni senza le quali qualunqueobiettivo diventa irraggiungibile.

È vero che andiamo vero l’ignoto antropologi-co, ossia che non sappiamo dove stiamo andando.È però anche vero che ci stiamo andando, e chenon possiamo permetterci il lusso di dormire, men-tre l’automobile avanza a velocità crescente. An-che se non è possibile pretendere delle garanziecirca l’esito del proprio impegno, non è ragione-vole rifiutare a priori i compiti evolutivi che citroviamo di fronte, né cercare scuse o alibi di fronteai ritardi evolutivi che caratterizzano la nostra espe-rienza di uomini troppo spesso divisi tra ciò chesappiamo, ciò che vogliamo e ciò che facciamo.

Non si può risolvere il problema di questi ri-tardi affidandosi fatalisticamente alle forze spon-tanee della storia. Sappiamo che la storia non pro-cede in modo lineare. La teoria delle catastrofiinsegna che una piuma, oltre un certo peso, cioè

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oltre una certa soglia di resistenza, spezza la schie-na di un cammello.

Allo stesso modo molti dei processi in atto nonpossono continuare all’infinito con i ritmi attuali,ma determineranno inevitabilmente una serie dicollassi, se non cambieremo direzione, ossia mododi pensare, di produrre, di consumare, di organiz-zare la nostra esistenza personale e collettiva.

Si tratta di avere costantemente presenti i tra-guardi e i pericoli che ci stanno di fronte, nonlasciandosi ingannare e frastornare dal dibattito traottimisti e catastrofisti, che continuamente costru-iscono e cancellano scenari angoscianti sul nostrofuturo.

Un’alleanza globale necessaria, politicamenteimprobabile e pedagogicamente doverosa

Con molta lucidità l’ex segretario generale del-l’ONU U Thant aveva individuato l’esigenza diuna alleanza globale di tutte le nazioni e di tutti ipopoli, per il raggiungimento di obiettivi benefi-ci. Senza questa alleanza globale e senza una veracooperazione internazionale, l’insicurezza, la fame,le carenze di energia e di materie prime, i divari fraricchi e poveri e le condizioni ambientali peggiore-ranno e raggiungeranno dimensioni catastrofiche.Tutto ciò è legato ad una forte iniziativa politica,che si muova decisamente nella direzione del go-verno mondiale, passando attraverso una maggiorvalorizzazione in sede internazionale degli orga-nismi non governativi, che rappresentano interes-si panumani, non legati agli interessi dei singolistati, notoriamente gelosi della loro sovranità.

L’iniziativa politica di cui c’è bisogno per muo-versi in questa direzione è a sua volta legata aduna cultura della mondialità, che non può svilup-parsi se non attraverso l’educazione. La quale ap-pare ora come il processo attraverso il quale adultie giovani si confrontano con la condizione uma-na, con il suo passato e con il suo futuro, e cerca-no di affrontarla con impegno sincero a capirla ea trasformarla al meglio delle proprie possibilità.

Ho riassunto l’impegno che ci sta di fronte conuna sigla che unifica una serie di territori confi-nanti da esplorare e da occupare con la coscienzadi pionieri: la sigla EDDULLPSSSSSSIIAAIEM, chein italiano significa educazione alla democrazia,ai diritti umani, alla libertà, al lavoro, alla pace,allo sviluppo, alla salute, alla solidarietà, allasessualità, allo studio, al senso, all’identità,all’intercultura, all’ambiente, all’alimentazione,all’Italia, all’Europa, al Mondo.

Edgar Faure, nel 1972, aveva intitolato Appren-dre à etre il famoso Rapporto dell’UNESCO sullestrategie dell’educazione. La luce di questa intui-zione è presto svanita nell’oscurità della notte,nella congerie dei piccoli problemi che affliggonole scuole e le società concrete. Di quella luce ab-biamo ancora bisogno, non per abbagliarci conun’astratta metafisica ripetitiva di nobili paroleuniversali, ma per cogliere quella radicalità di sen-so, che può dare intensità e prospettiva all’educa-zione e alla scuola, spesso vissute come realtàresiduali e marginali della vita.

Del resto Jacques Delors ha intitolato L’édu-cation. Il y a un trésor dedans l’ultimo rapportodell’UNESCO (1996), riprendendo il concettod’imparare ad essere e aggiungendovi l’imparare avivere insieme.

I diritti umani, la pace, lo sviluppo, la salute el’ambiente sono aspetti e condizioni di questo es-sere fragile, esposto al rischio di non trovare o diperdere le coordinate della sua esistenza e di quel-la del mondo di cui è parte.

Ciò vale, con diversità di cause e di modi, per i

XX Certamen Horatianum. Venosa 7 maggio 2006.Il Direttore Generale, dott. Franco Inglese,

con il vincitore del 1° premio sezione stranieri

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giovani dei paesi del Nord, come per quelli del-l’Est, come per quelli del Sud. Miseria e opulenzapossono produrre risultati simili di demotivazione,di appiattimento del futuro su un presente privodi tensione ideale, di sdegno e di speranza. Sazietàgarantita e fame cronica possono fare egualmenteperdere il gusto per la vita e per ciò che le dà sen-so, i cosiddetti valori.

Il DPR 417/1974, ricuperato all’art. 395 del TUd.leg.vo 16/4/1994, n. 297) dice che la «funzionedocente è intesa come esplicazione essenziale del-l’attività di trasmissione della cultura, di contri-buto all’elaborazione di essa e di impulso alla par-tecipazione dei giovani a tale processo e alla for-mazione umana e critica della loro personalità».

Trasmettere, elaborare, partecipare sono paro-le significative solo se si riferiscono a qualcosa chevale, che vale la pena d’essere ricordato, conserva-to, contemplato, utilizzato, in vista di una finalitàche si collega, direttamente o indirettamente, conciò che massimamente ci sta a cuore, anche se ogginon si parla più, come nel passato, di virtù, difelicità, di salvezza. Qualcuno pensa che la scuolasia strutturalmente inadatta a sviluppare questaprospettiva e che in sostanza debba limitarsi a tra-smettere saperi consolidati, senza addentrarsi inquestioni controverse, che distoglierebbero la scuo-la stessa dai suoi fini, creando turbamento e com-promettendo il prestigio dell’istituzione. L’argo-mento è serio, ma non convincente.

I problemi più importanti della vita sono con-troversi, e cioè esposti all’errore, come s’è visto.Ma è probabile che il non affrontarli implichi unerrore ancora più grande. E come si potrebbe dareimpulso alla partecipazione al processo di elabo-razione della cultura, in vista della formazioneumana e critica della personalità dei giovani, sen-za affrontare le questioni controverse di cui ab-biamo parlato?

I termini della sfida che l’educazione deve af-frontare, le diverse interpretazioni del post mo-derno e le diverse vie per affrontarlo non sonotemi da affrontarsi soltanto in chiave filosofica epedagogica: sono temi che vanno affrontati, in unmodo o nell’altro, con gli stessi ragazzi.

La questione non è se, ma come affrontare que-sti problemi.

La scuola ha modi suoi propri per affrontareanche le questioni controverse: ce lo suggeriscel’acrostico inventato da Comenio, sulla parola la-tina schola: sapienter cogitare , honeste operari , loquiargute.

Pensare, operare e parlare con sapienza onestà

e arguzia sono attività che mettono in luce l’es-senza della scuola più di tante definizioni sociolo-giche e burocratiche.

Dal disagio vissuto a quello conosciuto: sape-re per impegnarsi

Si può partire dal microcosmo della scuola, dallerelazioni che si vivono nella classe, nella strada,nel quartiere. Punto di partenza può essere il disa-gio, nelle diverse forme in cui si manifesta. C’è ildisagio esistenziale dei giovani ricchi, c’è la mise-ria, l’ignoranza, l’indolenza, l’impossibilità di eser-citare qualcuno dei diritti umani, c’è la mancanzadi prospettive che consentano la realizzazione deisogni dei ragazzi e dei giovani. Si può procederead analizzare il disagio, a cercarne le cause. Si sco-prirà che su qualcuna di queste si posseggono stru-menti d’intervento, diretti e indiretti.

E non è proibito pensare che alcune delle ideeemerse nella ricerca possano trovare attuazionenella realtà della scuola o del mondo civico di cuisono parte i ragazzi, senza che ciò debba necessa-riamente determinare turbamenti, conflitti, abban-dono dei fini istituzionali della scuola.

Se poi si considera che la scuola è solo uno,anche se il più capillare e rilevante, degli enti edu-cativi, accanto alla famiglia, alla Chiesa, all’asso-ciazione giovanile, ai mass media, si può credereche il rapporto tra pensiero e azione potrà trovaresviluppo e coerenza in un contesto più vasto diquello scolastico, in una interazione auspicabiletra quanto si pensa, si progetta e si fa in ciascunodi questi enti.

Non si deve puntare solo a cambiare il mondo:si può e si deve cominciare pulendo davanti allaporta di casa, come suggeriva Lenin al buon rivo-luzionario, e assumendo la coscienza e la capacitàdi esercizio di piccoli frammenti della propria so-vranità di cittadini. A mano a mano che si metto-no in luce connessioni e implicazioni, il discorsosi fa più impegnativo e più rischioso, ma anchepiù interessante. Un grande viaggio comincia conun piccolo passo, dicono i cinesi, con esemplarerealismo. Bisogna però non dimenticare mai chequel piccolo passo acquista senso solo in rappor-to al lungo viaggio, di cui occorre avere il più pos-sibile chiare le ragioni e le prospettive.

Parafrasando l’apologo classico dei tre scalpel-lini, potremmo immaginare di chiedere ad un in-segnante che cosa sta facendo con i suoi ragazzi,durante una normale ora di classe. Uno potrebberispondere che insegna a leggere, l’altro che si gua-

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dagna da vivere, un terzo che svolge il program-ma ministeriale (pardon, le “Indicazioni naziona-li”), un quarto che sta lavorando per mettere i ra-gazzi in grado di affrontare e risolvere i problemidella loro vita, della società e del mondo. Mate-rialmente i quattro docenti fanno la stessa cosa,ma lo spirito e il significato del loro lavoro cam-biano profondamente.

Certo le intenzioni non bastano a produrre unservizio. Insegnare è un’arte che si realizza classi-camente nel fare, ossia nel raggiungere un risulta-to, non solo nell’agire, cioè nel perseguire unoscopo. Tuttavia la consapevolezza dello scopo neldocente decide molto spesso della qualità del ri-sultato dell’allievo. Ecco perché si tratta di lavora-re anche su se stessi e non solo sugli allievi.

Lavorare su se stessi, in vista di una proposta divita da elaborare con gli allievi, implica lo sforzodi acquisire competenze didattiche, con una pre-cisa intenzione, che guida e anima in ogni istantela personalità del docente, in funzione del suo la-voro. E questa intenzione si chiama spiritualitàprofessionale.

Se si tratta di una spiritualità animata da unafede nella trascendenza, il docente sa che l’uomoè chiamato da Dio a progettare e a costruire, sen-za la garanzia che il progetto si realizzi e che lacostruzione resista alle insidie del tempo, anchese il mondo non è, come diceva Shakespeare, unastoriella raccontata da uno sciocco. Se si tratta diuna fede cristiana, questo docente sa che Dio nonè tanto il Vecchio michelangiolesco che si trovaall’origine della storia, quanto il giovane palestineseche ci ha detto, con la parola e con la vita, checosa possiamo diventare; e che ci ha promesso checi verrà incontro dal futuro, per completare ciòche mancherà al nostro sforzo di costruire unacasa adatta a tutto l’uomo e a tutti gli uomini.

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Società complessaed educazione alla politica

L. SANTELLI BECCEGATODipartimento Scienze Pedagogiche e Didattiche

Università di Bari

e interpretazioni che possiamo dare del no-stro tempo ruotano tutte attorno al con-cetto di complessità. Tempo per alcuni con-trassegnato dal superamento di barriere, ab-

battimento di confini, da progressive esperienzedi libertà (prevalentemente di commercio), vistecome occasione di crescita e di diffusione del be-nessere, per altri tempo di grandi ingiustizie, didrammatiche separazioni tra minoranze ricche emoltitudini di disperati,1 di nuove e più subdoleforme di prevaricazioni dei forti sui deboli. La stes-sa globalizzazione viene spesso vissuta più comeglobal pillage» (saccheggio globale) che «globalvillage».2

Anche la diffusione delle conoscenze, espressio-ne di società democratiche, se sviluppata in termi-ni esclusivamente strumentali e non attenta a con-tenuti di formazione e istruzione si espone a dina-miche ambivalenti, in particolare quando i flussiinformativi si muovano lungo linee monodire-zionali: le tendenze all’omologazione, il diffonder-si di modelli consumistici (spesso identificati conla cultura occidentale) sono stati analizzati in ma-niera acuta e pertinente da S. Latouche.3

Come ben sa chi si occupa di scienze umane,uno stesso processo può realizzarsi con obiettiviradicalmente diversi. La nostra attenzione va quin-di portata non tanto e non solo sulle dinamicheche vengono ad attivarsi con l’apertura delle fron-tiere, l’incentivazione dei commerci, la rapidità delleinformazioni quanto invece sulle ragioni che sosten-gono tali dinamiche e sugli scopi che, attraverso talidinamiche, ci prefiggiamo di perseguire. La facilitàdegli scambi, la complessificazione dei processi nonci dice ancora nulla sulla loro finalità. Perdere divista o indebolire questa parte del discorso com-porta, come spesso purtroppo accade, trovarsi den-tro i fenomeni senza essere davvero avvertiti e con-sapevoli di quanto stiamo vivendo.

Anche nei confronti di trasparenza e flessibili-tà, altri tratti che contrassegnano questo nostro

tempo, c’è da osservare come queste siano dimen-sioni che “promettono maggiore certezza per al-cuni (i ‘globali’ per scelta) e maggiore incertezzaper altri (i ‘locali’ per necessità)”.4 Uno dei piùacuti interpreti del nostro tempo, Z. Bauman, èdurissimo a questo proposito e addita nei sosteni-tori e i militanti della trasparenza gli ideologi nondella “lastra di vetro, ma dei vetri a specchio: dauna parte un paradiso per voyeur, dall’altra un’op-portunità di guardare e contemplare la propriacrescente miseria per coloro le cui difese, già ter-ribilmente inadeguate, sono state messe a nudo avantaggio di tutti gli usurpatori presenti e futu-ri”.5 E per quanto riguarda la flessibilità, con essanon si intende la libertà di movimento per tutti,“ma la vivificante leggerezza dell’essere per alcu-ni, che ricade come un’insostenibile oppressionedel fato su tutti gli altri”.6 Ad un’analisi attenta, lastessa flessibilità si configura come una condizio-ne agevolante gli operatori intraprendenti affin-ché “nulla abbia il potere … di ridurre la velocitàalla quale possono procedere coloro i quali si tro-vano dalla parte trasparente del vetro a specchio”7.

Sempre l’umanità è vissuta in condizioni d’in-certezza. Il fatto nuovo in cui attualmente ci tro-viamo di fronte è non l’agire in condizioni d’in-certezza parziale o totale, ”ma la sollecitazionecostante ad abbattere le difese costruite con tantacura, ad abolire le istituzioni destinate a limitareil grado di incertezza e la portata del danno”8 espo-nendo così un numero crescente di persone a unavita sempre più difficile.

Dinamiche, queste, che si costituiscono comepericolose premesse per il diffondersi di rabbia, diaggressività, di violenza che, per ragioni diverse ein diversi livelli e forme, ritroviamo oggi in ogniluogo del pianeta. U. Beck ha giustamente vistole nostre società come «società del rischio» in cuinessuno può più sentirsi al sicuro.9 Ritenere dipoter dare risposte di tipo repressivo a questa si-tuazione è una sfida persa; risultati positivi posso-

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no esserci nel breve periodo e in spazi particolar-mente circoscritti, ma certamente non in tempilunghi e in ambiti estesi.

L’impegno per poter contrastare questi dram-matici squilibri va nella direzione, lunga e fatico-sa, costellata da non infrequenti sconfitte, di unavisione più equa del vivere consociato e cioè diinvestimenti politici ed educativi per sostenere,rafforzare, diffondere saperi e comportamenti amisura d’uomo e non solo a misura dei mercati.

Ognuno di noi può concorrere ai diversi livellidi responsabilità politiche e sociali per cercare difare in modo che risultino con chiarezza le finali-tà e si esprimano con decisione le volontà neces-sarie per cercare di realizzarle. «Oggi la globalizza-zione economica esige (e la globalizzazione del-l’informazione acuisce questa esigenza) che le si-tuazioni più gravi di disuguaglianza siano rimosseanche a livello internazionale. Oltre che un obiet-tivo dettato da ragioni etiche, questa è una condi-zione imprescindibile di ordine e di pace. La lottasistematica alla povertà, oltre ad avere un valorein se stessa, è diventata anche ‘lo strumento perricercare condizioni di sicurezza e relazioni paci-fiche tra i popoli’».10

Cercare di capire quali siano le scelte sul pianoformativo – cognitive, etiche, religiose, sociali…perché sia il mercato globale ad essere al serviziodella popolazione mondiale e non viceversa è ilcompito base che la riflessione pedagogica devesaper assumere. La questione da cui partire è allo-ra se sia possibile razionalizzare, porre sotto con-trollo le forze economiche per perseguire un equi-librio più giusto e umano a livello planetario o seinvece questa sia una proposta ingenua e un obiet-tivo irrealizzabile.

Il tipo di risposta che si dà a questa domandadenuncia il significato e il valore che attribuiamoalla politica e agli stessi processi formativi, vistinella loro incisività e importanza o banalizzati estrumentalizzati dai cosiddetti ‘poteri forti’.

Già dal punto di vista politico – e non solopedagogico – rinunciare a perseguire un’equitàsociale comporta fare «delle istituzioni statali edegli attori politici… sempre più degli zombi chemettono in scena la rappresentazione della politi-ca, ma senza veramente contribuire alla realizza-zione di un bene pubblico sostanziale e capace diaccrescere il benessere comune».11 I soggetti con-temporanei, «bersagliati come sono da una straor-dinaria varietà di informazioni e comunicazioni,possono essere facilmente influenzati da immagi-ni, concetti, stili di vita e idee provenienti da sor-

genti ben lontane dalle proprie comunità e posso-no giungere a identificarsi con raggruppamentilontani dai loro abituali orizzonti sia etnici chereligiosi che sociali o politici».12

Se questo è vero, le considerazioni pedagogico-educative che possiamo elaborare anche sulla scortadi queste letture sociali e politiche vanno nelladirezione sia di un investimento forte a livello disollecitazione culturale nell’ambito non solo del-la scuola, ma di tutte le istituzioni formali e nonformali per essere in grado di fronteggiare la mol-teplicità delle influenze e suggestioni e per poterelaborare una propria autonoma posizione criti-ca; sia di un rafforzamento della visione etica del-la vita anche attraverso una valorizzazione delladimensione sociale e una partecipazione a proces-si di democratizzazione.13

«Per l’identità di molti è possibile che siano piùimportanti idee, impegni e relazioni autonomamen-te scelti piuttosto che l’appartenenza a una comu-nità di nascita da loro non scelta… Le identità cul-turali come quelle politiche sono costantementesottoposte a un processo di ripensamento»,14 dipossibile comparazione e di messa in discussione.

Da qui l’importanza di impostare un lavoroeducativo che assuma pienamente dimensioni ri-flessive, critiche e propositive dei saperi non ridu-cendoli sul piano tecnico-operativo o banalizzan-doli in termini utilitaristici e ripetitivi. Investirein sapere, intendendo con questo termine ciò cheva oltre le conoscenze disciplinari per promuove-re una cultura educante, è il modo per perseguireobiettivi di miglioramento comune.15

È lavorando sul capitale culturale ed educativoche è possibile riuscire a valorizzare le dimensionietiche che entrano nelle dinamiche sociali, soste-nere gli aspetti cooperativi e solidali e avvertirecome puntare solo ed esclusivamente in direzionicompetitive finisca con il minare le basi della stes-sa convivenza civile. La fiducia che il continuosviluppo dei flussi di risorse e delle reti di intera-zione ai diversi livelli regionali, internazionali eglobali e il riconoscimento da parte di un sempremaggior numero di persone della crescenteinterconnessione delle comunità politiche in di-versi ambiti – come quello sociale, culturale, eco-nomico e ambientale – «generi la coscienza del-l’esistenza di ‘destini comuni’ che richiedono so-luzioni collettive»16 va sostenuta, incrementata,diffusa.

È una considerazione, questa, da portare avantinon solo sulla base di consolidate riflessioni eti-che, ma anche in termini logici. Il quesito da por-

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re è se il mio interesse entri in conflitto con l’inte-resse degli altri o, riguardato più attentamente, nonsia invece anche quello degli altri. Vivere in unasocietà che salvaguardi la libertà di tutti e di cia-scuno, che tuteli il singolo nelle sue esigenze dibase – istruzione, lavoro, salute –, che persegual’equilibrio tra libertà e sicurezza, una società ci-vile che riesca ad essere «guardiano della pace emediatore tra interessi di gruppi o individuali»,17

capace di garantire nel contempo a ciascuno la li-bertà di organizzarsi in gruppi, di realizzare leproprie aspirazioni e di scegliere la forma di vitache desidera perseguire è una condizione che con-viene a tutti. Non esasperare le disuguaglianze, nonperseguire rapporti di strumentalizzazione, nonarroccarsi su posizioni difensive di antichi e nuo-vi privilegi possono essere buoni investimenti nonsolo per le parti più diseredate del mondo, ma perl’umanità intera.

Approfondire questi significati sul piano co-gnitivo, valorizzarli sul piano etico cercando lesinergie tra queste due dimensioni e le loro realiz-zazioni nell’ordito della vita quotidiana, elabora-re nuove progettazione e realizzare nuove espe-rienze di educazione alla politica rappresentanole direzioni di sviluppo più interessanti dell’attua-le lavoro pedagogico ed educativo. Si tratta di ver-santi della ricerca densi di difficoltà, attraversatida incertezze diffuse e ambiguità pericolose cherichiedono alti livelli di investimenti senza peral-tro poter assicurare esiti certi.

Le analisi portano a evidenziare come la vitasociale sia articolata su una pluralità di spazi e ditempi; sempre più complicata, confusa, difficile,attraversata da tendenze, spinte contrastanti, am-bigue, prevalentemente competitive.

Sostenere un’educazione alla politica, ricercarenuove e più strette relazioni tra politica ed educa-zione, viste nella loro specificità e nei loro comu-ni ideali può essere alla base di un rinnovamentodell’una e dell’altra in quanto si dispongano a «unacontinua autoanalisi e… un continuo controllo»18

e può essere l’itinerario privilegiato se vogliamocomprendere e gestire la complessità delle dina-miche in corso e cercare di costruire una società,se non migliore, almeno meno pericolosa dell’at-tuale.

1 “Concentrazione oscena” di capitali, secondo P.Singer, che denuncia come il reddito dei tre uominipiù ricchi del mondo sia pari al PIL di tutti i Paesi piùpoveri, che riguardano 600 milioni di persone. P. Singer,One world, trad. it., Einaudi, Torino 2003.

2A. Giddens, Il mondo che cambia, trad. it., Il Mu-

lino, Bologna 2000, p. 28.3 S. Latouche, Il pianeta uniforme. Significato, por-

tata e limiti dell’occidentalizzazione del mondo, trad. it.,Torino 1997.

4 Z. Bauman, ‘La solitudine del cittadino globale, trad.it., Feltrinelli, Milano 2000, p. 33.

5 Ibidem, p. 34.6 Ivi.7 Ivi.8 Ibidem, p. 36.9 U. Beck, La società del rischio: verso una seconda

modernità, trad. it., Roma 2000. Addirittura allucinanteè leggere, nel contesto di un articolo sul traffico d’or-gani, come ormai sia “una rete che opera da un conti-nente all’altro con la disinvoltura della globalizzazio-ne”. F. Porciani, Sulle rotte dei trafficanti d’organi, in“Corriere Salute”, suppl. al “Corriere della sera”, 13VII 2003, p. 12.

10 G.Bazoli, La globalizzazione: problemi e prospetti-ve, in Atti XLI Convegno di Scholé, Globalizzazione enuove responsabilità educative, La Scuola, Brescia 2003,p. 25.

11 D. Held, A. McGrew, Globalismo e antiglobalismo,trad. it., Il Mulino, Bologna 2000, p. 90-91.

12 Ibidem, p. 89.13 V. quanto osservato in M. Corsi, R. Sani ( a cura

di), L’educazione alla democrazia tra passato e presente,Vita e pensiero, Milano 2004.

14 D. Held, A. McGrew, op. cit., p .91.15 In questa direzione sono interessanti le proposte

dei Know-global finalizzate a riprendere in mano ledinamiche in corso partendo da una scelta di fondo:“non accettare come logica inevitabile che la distanzatra i più forti e i più deboli sia comunque destinata acrescere”. P. Folena, U. Sulpasso, Know-global. Più sa-pere per tutti, Baldini e Gastoldi, Milano 2003, p. 160.V. anche le osservazioni di A. Sen che richiama l’esi-genza di “un’etica globale così come di dubbi globali.Quello di cui non abbiamo bisogno è la compiacenzaglobale verso il mondo di opulenza e assoluta povertàin cui viviamo. Possiamo – e dobbiamo – fare di me-glio”. A. Sen, Globalizzazione e libertà, trad. it.,Mondadori, Milano 2002, p. 28.

16 Ibidem, p. 94.17 Z. Bauman, op. cit., p. 156.18 P. Bertolini, Educazione e politica, Cortina, Mila-

no 2003, p. 51.

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Comunicazione ed educazione tra democrazia e potere mediatico

GIUSEPPE SPADAFORAOrdinario di Pedagogia - Università della Calabria

n’attenta riflessione sulla complessità dellacategoria della formazione, si presenta oggicome una delle prospettive pedagogiche piùurgenti in quanto oggi, il soggetto in for-

mazione, “abita” il tempo dell’avvento della civil-tà della comunicazione e dell’instaurarsi del pote-re mediatico.

In tale senso, uno dei problemi che la culturapedagogica contemporanea si pone è quale rap-porto instaurare tra sistema educativo e sistemadei media, dal momento che, negli ultimi anni, lapresenza sempre più massiccia di nuove tecnolo-gie della comunicazione nell’universo cognitivo esociale della persona, ha portato ad una vera e pro-pria “rivoluzione” sia nel campo delle comunica-zioni che nel panorama educativo, formativo ecomunicativo.

Riflettere sulle trasformazioni culturali dei pro-cessi educativi, scolastici e formativi è di fonda-mentale importanza, non solo per definire i cam-biamenti formativi del soggetto in relazione allainfluenza mediatica, ma soprattutto per compren-dere il senso della democrazia e del potere nellesocietà complesse soprattutto in seguito ai cam-biamenti politici e culturali che i media e i newmedia stanno determinando nell’universo cogni-tivo della persona, cambiamenti letti nei terminidi spazio, tempo e memoria.

In tale prospettiva di cambiamenti sociologicie politici in atto, si ripropone con sorprendenteattualità la classica interpretazione del filosofoamericano John Dewey sul rapporto democrazia-educazione.

Nella prospettiva filosofica di Dewey il puntodi partenza fondamentale perché un’educazionepossa definirsi democratica, è il concetto di co-municazione. L’educazione consiste infatti nellatrasmissione per mezzo della comunicazione, chealtro non è che un processo con cui si partecipal’esperienza finchè diventa patrimonio comune.

Ciò che gli uomini devono avere in comune performare una società sono gli scopi, le aspirazioni,le credenze, la conoscenza, e il medesimo mododi comprendere.

Costruire la democrazia significa, quindi, pro-durre il consenso attraverso una comunicazionesociale che limiti le differenze tra le persone e trale classi sociali, in quanto le soggettività indivi-duali e collettive esprimono diversità che devonoessere armonizzate ma non annullate.

Nella prospettiva del filosofo americano, lascuola è vista come un “laboratorio” di democra-zia, in quanto esprime una “comunità in miniatu-ra” che può costruire i rapporti di cooperazionedemocratica e sociale al suo interno, ma può an-che condizionare i rapporti al suo esterno, nelsociale.

In tale senso, nella necessaria e quanto mai ur-gente prospettiva pedagogica di coltivare le “diffe-renze” in una società globalizzata, s’inserisce ilvalore formativo delle comunità ristrette, ovveroluoghi di specifiche capacità, abilità e competen-ze all’interno delle grandi democrazie. Questanecessità di ricercare “isole” di sistemi di valori econoscenze all’interno del flusso in piena dellaglobalizzazione, può appunto trovare nella scuolail tipico esempio di comunità ristretta.

Questa definizione di società democratica deveavere come orizzonte di senso una definizionedemocratica dei legami sociali

In particolare, questa tematica è stata affronta-ta nel testo del 1927 The Public and His Problems,in cui il filosofo americano cerca di definire il si-gnificato del legame sociale tra l’individuo e le isti-tuzioni.

Il rapporto privato-pubblico esprime, dal pun-to di vista politico, la possibilità di costruire unafilosofia della intersoggettività, letta nei terminidi transazione tra la dimensione dell’attività pri-vata e quella pubblica, in quanto la democrazia

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rappresentativa è per Dewey una realtà istituzio-nale in crisi, in quanto non corrisponde agli inte-ressi della maggioranza ma di specifiche minoran-ze politiche e economiche.

La democrazia, d’altra parte, per Dewey, non èsolo un criterio per la scelta dei leader politici,essa ha un valore formativo e morale. Per il filoso-fo americano, infatti, uno dei compiti fondamen-tali di ogni democrazia è quello di creare le condi-zioni sociali necessarie affinché l’uomo della stra-da possa diventare un “cittadino ben informato”.

Uno dei metodi per pervenire alla realizzazionedella Grande Comunità è quello relativo alla diffu-sione dell’informazione e della conoscenza; tuttoquesto presuppone un tipo di cittadino mentalmen-te flessibile e con “un’intelligenza efficiente”.

In tale senso “un’intelligenza efficiente” può tro-vare concretizzazione anche nella riorganizzazionedelle “forze non politiche” che sono espressioneanche del mondo della Scienza e della tecnologia,che determinano rapide trasformazioni sociali, perimporre ai rappresentanti della politica una rapidarealizzazione delle riforme sociali.

Da qui l’importanza delle “comunità locali”che, proprio attraverso la comunicazione socialee, quindi, l’educazione dovrebbero riattivare ilconcetto di pubblico per costruire la cosiddetta“Grande Comunità” che rappresenterebbe per ilfilosofo americano la piena realizzazione del pro-cesso politico di una democrazia come modellouniversale da adattare in tutti i contesti sociali.

Attualizzando e concretizzando il pensiero di

Dewey, nell’attuale società complessa il poteremediatico ormai instauratosi potrebbe aiutare acostruire quel legame sociale che collega le comu-nità locali, come ad esempio l’istituzione scolasti-ca, alla comunità globale solo se è orientato daspecifici processi educativi e da una riflessione at-tenta sul significato della formazione in una realtàcosì problematica e diversa rispetto al passato.

In tale senso, da una quanto mai urgente “alle-anza” tra la cultura leggera ed effimera dei media equella rigida e centralizzata della scuola, potreb-bero scaturire dei nuovi processi educativi che sianell’ambito della scuola, ma ancora di più a livel-lo consapevole o inconsapevole nell’ambito dellereti sociali della comunicazione mediatica, posso-no influenzare la costruzione della democrazia,di una “intelligenza collettiva” democratica che sial’espressione di una costruzione del legame socia-le, di quel rapporto privato-pubblico che ipotizzavagià Dewey come condizione necessaria per costru-ire una società democratica e per limitare quellagerarchizzazione delle competenze che la differen-ziata conoscenza della cultura mediatica potrebbedeterminare.

Ecco perché i processi educativi nell’ambito delrapporto tra i media, la democrazia e l’educazionepossono essere la ragione fondante della democra-zia non perché limitino le differenze culturali e ledisuguaglianze economiche, ma perché, in effetti,sono gli unici strumenti culturali per costruire illegame sociale tra le persone e i nuovi soggettipolitici nel terzo millennio.

I vincitori italiani e stranieri del XX Certamen Horatianum. Venosa 5-6-7 maggio 2006.

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I l sapere pedagogicocome sapere complesso

GIUSEPPE SERAFINIOrdinario Pedagogia – Università di Siena-Arezzo

i piace aprire queste brevi note richiaman-do uno dei contributi più significativi, oalmeno più suggestivi, sul pensiero com-plesso. Il mio riferimento è al breve saggio

di Edgar Morin, Introduzione al pensiero comples-so, di inizi anni novanta (a queste tematiche egliarriva dopo il suo incontro negli anni sessanta conla teoria dei sistemi che costituisce il punto di par-tenza per le sue successive ricerche di natura episte-mologica).

Già in apertura, il sociologo sottolinea come iltermine “complessità” sia venuto via via semprepiù esprimendo il «nostro disagio, la nostra con-fusione, la nostra incapacità di definire in modosemplice, di nominare con chiarezza, di mettereordine nelle nostre idee»1 e, pertanto, come conesso si sia finito per evidenziare i limiti del nostropensiero tutto permeato da una «tensione perma-nente tra l’aspirazione a un sapere non parcelliz-zato, non settoriale, non riduttivo, e il riconosci-mento dell’incompiutezza e dell’incompletezza diogni conoscenza».2

Questi evidenti limitazioni, mentre dovrebbe-ro invitare e consigliare alla prudenza, a non «ad-dormentarci nell’apparente meccanicità e nell’ap-parente ovvietà dei determinismi», a non «rinchiu-derci nel conteporaneismo, cioè nella convinzio-ne che ciò che succede ora continuerà indefinita-mente», dovrebbero anche stimolare a «scuotercidalla pigrizia mentale»,3 a «pensare attraverso lacomplicazione (vale a dire le innumerevoli inter-relazioni), attraverso le incertezze e attraverso lecontraddizioni».4

Si possono avere forti perplessità e non condi-videre affatto i presupposti ultimi del pensiero diMorin, ma è difficile non cogliere le stimolantiprovocazioni dei passaggi precedenti soprattuttoin ordine ai fenomeni educativi e a quel pensiero– pedagogico – che tenta di comprenderli e pen-sarli progettualmente.

Che quelli educativi siano fenomeni complessi

è quanto emerge persino dalla osservazione e con-siderazione meno approfondita e avvertita. Nonc’è chi, impegnato in una impresa educativa (dagenitore, da insegnante, da animatore, da educato-re professionale, da formatore ecc.), non evidenzile difficoltà di quell’impresa, la precarietà di unfare, i timori, le incertezze le ansie, che a più ri-prese si sperimentano.

Quello che emerge da un sentire diffuso trovapiù che ampia conferma nella storia dell’educa-zione e nella storia della riflessione educativa al-meno a partire dalla fine dell’Ottocento, senzatacere incertezze, insicurezze, difficoltà che han-no significativa eco già in una fonte di grande ri-lievo quale la “Guida dell’educatore” di RaffaelloLambruschini. In parecchie delle pagine di quellarivista si sottolineano, infatti, tutta la complessitàe delicatezza di quel che è l’educare che ha da te-ner conto della totalità (mente e cuore) dell’essereumano con il quale si entra in rapporto e in fun-zione del quale quel rapporto si istaura.

Quel che è già nelle pagine della “Guida” è inparecchi degli scritti di quegli educatori che sonol’anima autentica del movimento dell’attivismo.

Emblematiche per quanto vado sottolineandosono le opere di Maria Boschetti Alberti, dallequali emergono insoddisfazioni, incertezze, per-plessità, che la sollecitano a compiere il viaggiopedagogico che cambierà in profondità il suomodo di essere educatrice. Incertezze e dubbi chenon scompaiono, consapevole com’è della signifi-catività particolarità delicatezza di un compito,quando comincia a percorrere con una qualchesicurezza la nuova strada.

Quel che la storia dell’educazione e della peda-gogia attestano non può non trovare il necessarioriscontro in quella parte della ricerca sull’educa-zione impegnata a dar conto delle particolarità diquel fare che è appunto l’educare.

A me pare che l’ottica appena indicata (una “in-dagine su”) sia quella dello specificamente peda-

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gogico o, più precisamente, di una parte di esso.Un’ottica che non è di nessuna delle altre scienzedell’educazione le quali, al massimo, hanno a chefare, se si resta alla loro specificità, con aspettisettoriali di quel fare (la prospettiva, per esempio,di quello stesso se ci si mette dal punto di vistadella filosofia, oppure le variabili psicologiche inesso agenti e che esso sollecita, o ancora, il pesoche le differenti componenti sociali hanno sulmedesimo ecc.). Solo la pedagogia si rivolge a quelfare – un fare intenzionale (anche se può essercipure un fare che non ha esplicitamente e voluta-mente scopi educativi ma che può, tuttavia, pro-muovere educazione) all’interno di un rapportoasimmetrico, teso a sollecitare processi – indagan-dolo nella sua complessità. Una ricerca, quest’ul-tima, dunque, sull’educazione in atto, tutta tesa aseguirne e rappresentarne la ricca fenomenologia,i molti modi di darsi e di compiersi della stessa.Ma ancora e di conseguenza, impegnata a definirequel che in quelle esperienze e in quelle pratichepuò propriamente definirsi educazione rispetto aquel che invece educazione non è, oppure è edu-cazione ma carente, insufficiente, inadeguata, in-certa, parziale ecc.

Soprattutto in riferimento agli ultimi aspetti,il discorso oltrepassa il piano descrittivo e si apreinevitabilmente ad una prospettiva umana che èin stretta relazione con una visione e considera-zione dell’educazione. Ma su questi temi tornopiù avanti.

In conseguenza delle acquisite consapevolezzecui ho fatto cenno e intersecandosi con le possibi-lità offerte da altri punti di vista – il pensare dasociologo, psicologo, filosofo del pedagogista – laricerca “su” non può non impegnarsi a rilevare esottolineare la crescente domanda di educazioneche muove dai gruppi e dai singoli e che attended’essere elaborata e (successivamente) pensataprogettualmente, ma in maniera duttile, critica,creativa.

Sempre nell’intersezione con altri punti di vi-sta, non si può almeno non segnalare, ancora, an-che se per certi aspetti implicito nei passaggi pre-cedenti, la necessità (quasi passata in secondo pia-no negli ultimi anni) di un’analisi approfonditasu mondi, forme, modalità dell’educare in rapportoa universi sociali, culturali, economici ecc.

L’indagine “su” non può, nel contempo, nonsollecitare una riflessione di secondo livello, chetenda a controllare quanto dalla ricerca va emer-gendo. A me pare, per esempio, che sia tutto dariprendere un lavoro sui concetti, ma non per per-

seguire le illusorie prospettive (degli anni sessantae settanta) di un linguaggio univoco, bensì per dareevidenza ad un uso troppo disinvolto (e dunqueragione di enormi fraintendimenti) di certe espres-sioni o al disuso (quasi un discredito) nel qualesono finite certe altre: e penso, a quest’ultimo ri-guardo, per esempio, all’idea di educazione per-manente che meriterebbe nuove analisi in profon-dità, nuove verifiche anche da versanti differenti.

Un’indagine di secondo livello dovrebbe con-sentire un riscontro molto serio sulle capacità dellaricerca attuale di dar ragione della complessità deifenomeni e, contemporaneamente e di conseguen-za, evidenziare e denunciare qualunque tentazionedi indebite e ingiustificate semplificazioni.

Mi pare che quanto sono venuto sottolineandolasci ampiamente intuire come una ricerca peda-gogica che si immaginasse soltanto come indagine“su” non riuscirebbe neppure ad essere solamentequello. Infatti, come potrebbe svolgere quella fun-zione di controllo cui ho accennato prescindendoda scelte e valutazioni, da analisi in prospettiva,dunque, da progetti auspicabili e desiderabili?

L’ottica pedagogica, allora, non può anche nonessere quella di una ricerca “per”: per quel fare cheè l’educazione quando realmente si fa, per le prati-che di chi assume un ruolo e una funzione in unrapporto. Una ricerca che elabora sapere proget-tuale che viene offerto a chi realmente educa per-ché possa eventualmente trarne sollecitazioni espunti per il progetto educativo (elaborato da unaragione pedagogica la quale può differire da quel-la del pedagogista principalmente perché mossada urgenze pratiche immediate) che egli ha da de-lineare.

Che il sapere che da quest’ottica si elabora siaun sapere complesso appare sin troppo ovvio trat-tandosi di progetti di pratiche da realizzare. Unapratica, infatti, anche se semplice è il risultato dimolteplici componenti di varia natura e di variogenere e questo è tanto più vero in relazione allepratiche educative.

La razionalità (sia quella del pedagogista chequella dell’educatore) che progetta queste ultimedeve per forza dar ragione della complessità chel’indagine “su” evidenzia (e sulla quale ho insisti-to) perchè altrimenti si corre il rischio della totaleinsignificanza e del sicuro insuccesso, pensando alsapere progettuale dell’educatore il quale ha ob-bligatoriamente da anticipare teoricamente la pra-tica (la quale inevitabilmente mostrerà un certoscarto rispetto al progetto).

Il pensiero che progetta l’educazione non può

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non fare i conti con il problema (cui ho accenna-to) della prospettiva umana nella quale il progettodi quel fare deve porsi. Una prospettiva che, an-che se soltanto richiamata, in quanto elaborataaltrove, esige un ulteriore impegno di interpreta-zione, argomentazione, mediazione non di pococonto.

L’“altrove” indicato lascia vedere tutto un im-portante lavoro di ricerca, che se non coinvolge ilpedagogista dal punto di vista della sua specificaottica, lo sollecita comunque ad un filosofare an-che intorno a queste questioni, che appare inso-stituibile ed unico proprio perché in funzione diquell’elaborare “per” che analizzo.

E la filosofia dell’educazione del pedagogista,giusto per dar ulteriore conto della complessitàche vado sottolineando, non può non farsi caricodel pluralismo delle visioni del mondo e dell’uo-mo, dei fenomeni di globalizzazione con i conse-guenti grandi fenomeni umani che hanno genera-to, delle sfide dal mondo delle comunicazioni edella rete ecc.

Ma oltre questi aspetti (e in stretta relazionecon essi), c’è l’intero problema dell’oggetto cultu-rale e umano (l’educatore non ha solo a che farecon oggetti culturali anche se certi aspetti e di-mensioni sono influenzati culturalmente). A que-sto riguardo – in un lavoro che si pone a cavallotra i due piani sopra richiamati e che a poco servedistinguere nettamente – ci si trova dinanzi ad ampie complessi problemi di legittimazione e decisio-ne, che in alcun modo possono prescindere da unconfronto serrato con il panorama e il clima cul-turale, sociale, storico attuali.

Ma il progetto pedagogico (progetto educativoelaborato dal pedagogista, ma anche dall’educato-re) esige che si facciano i conti con il soggetto/soggetti per i quali quel fare è pensato e progetta-

to. Il pedagogista (ma pure l’educatore) ha, a que-sto riguardo, da rivolgere la propria attenzione atutto quel vasto universo di ricerche sul soggettoin età evolutiva o in età adulta, che consentono diimmaginare un “fare su misura”. A questo piano(che è quello delle aperture del pedagogico agliambiti scientifici che forniscono conoscenzesull’educabilità del soggetto) parlare di complessi-tà sembra persino riduttivo. Non ci sono soltantoalcuni fra i classici universi ai quali la pedagogia siè sempre aperta – e penso soprattutto a quelli psi-cologico e sociologico, ma anche filosofico – maci sono anche altri universi – da quello della lette-ratura, a quello dell’arte, a quello della religione –come ambiti ai quali rivolgersi per una conoscen-za sempre più approfondita dell’essere umano:delle sue motivazioni e spinte profonde, delle sueattese, delle sue ansie, dei suoi progetti ecc.

Per aggiungere complessità a complessità nonsi può non scordare che da quelli che sono i classi-ci ambiti che forniscono conoscenze sull’esserumano quasi mai giungono spiegazioni univocheriguardo agli aspetti, dimensioni, manifestazionianche più semplici propri dell’umanità di ciascu-no.

Da questo quadro non è difficile ricavare laproblematicità e precarietà del definire un fare chenella pratica – in ragione di quel che ho detto eper il fatto di dover fare i conti con le intenzioni ela libertà dell’altro (che può rifiutarsi di mettersiin giuoco) – è costantemente esposto ai rischi del-l’insuccesso.

1 E. MORIN, Introduzione al pensiero complesso, tr.it., Milano, Sperling & Kupfer 1993 (1990), p. 1.

2 Ivi, p. 3.3 Ivi, p. 83.4 Ivi, p. 102.

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a vita scolastica è definita almeno da quat-tro condizioni di ruolo: dell’alunno, deldocente, del genitore, del negoziatore. Lecondizioni di ruolo sono veicolate da quat-

tro personaggi che vivono in quattro contesti chefunzionano da riferimento prioritario: la famiglia,la scuola, la società, il mercato. La famiglia è ingenere costituita da genitori e figli. La scuola èformata da docenti, alunni, dirigenti, operatori.La società è tutto il resto; vale a dire tutto quelloche non è compreso nella famiglia e nella scuola.Il quarto incluso è il campo della negoziazioneinterpersonale. Ogni soggetto vive di vita proprianel proprio contesto ed interagisce con gli altriper realizzare il progetto educativo al quale parte-cipa deliberatamente, secondo una precisa prospet-tiva pedagogica1.

Si tratta di una rappresentazione volutamenteschematica, adatta a configurare collocazioni spe-cifiche, anche se non esclusive. Ogni persona vive,o non vive, nella famiglia, nella scuola, nella so-cietà, nel mercato dello scambio economico emanifesta il suo stato esistenziale reale. Quandosi argomenta che la scuola è nella società e che lasocietà condiziona la famiglia tanto quanto l’eco-nomia influenza la società, intendiamo evidenziarele forti connessioni intersistemiche che generanola cosiddetta complessità strutturale.

Anche se risulta difficile dare una definizionedi ruolo a ciascuna figura agente, è necessario edopportuno presentare un inventario di identità,di aspettative, di prospettive con lo scopo di me-glio comprendere l’azione dei protagonisti del-l’educazione. La prospettiva di analisi, in questariflessione, è quella della scuola quale ambientenel quale l’alunno, il docente, il genitore, il nego-ziatore vivono gran parte dei valori assunti perimitazione, per convinzione, per contratto, pernegoziazione. L’alunno si reca a scuola per impa-rare, il docente si reca a scuola per insegnare, ilgenitore si reca a scuola per collaborare alla for-

mazione del figlio, il negoziatore si reca a scuolaper offrire servizi di vario genere (computer, corsidi fotografia, progetti di insegnamento della lin-gua araba, russa, cinese). Definire il compito diognuno dei protagonisti è il primo passo per av-viare una serena cooperazione educativa.

Il bambino diviene scolaro che apprende quan-do accoglie con serenità e rispetto le proposte del-l’insegnante. Il docente diviene maestro quandoindica agli alunni la via per crescere interiormen-te, preoccupandosi della salvaguardia della perso-nalità di ciascuno. Il genitore diviene padre, ma-dre quando accompagna il figlio, la figlia nellosviluppo integrale della persona del minore, ve-gliando sul suo progressivo inserimento sociale. Inegoziatore diviene mercante quando vende il suoprodotto alla scuola, rispondendo all’obiettivo diapertura della scuola al territorio.

L’dea di scuola che abbiamo ereditato dal pas-sato si è in parte trasformata: dalla apertura deiluoghi dell’istruzione ad un concetto allargato dipedagogia e di formazione, siamo passati alla con-statazione di una scuola che sempre di più divieneterreno di scontro di pensieri e azioni, di cono-scenze e di esperienze che talvolta non si sa comegestire in forma positiva, volgendo al bene ciò cheappare dominato dal conflitto.

In Die Menschenerziehung (1826), L’educazionedell’uomo (1993), Friedrich Fröbel, scriveva dellascuola, distinguendola in due possibilità di essere.La prima possibilità che la scuola ha è quella diessere una istituzione nella quale si imparano cosesemplici, esteriori, spersonalizzate. La secondapossibilità è quella di fare della scuola un ambien-te nel quale il maestro lavora a destare negli alun-ni la vera vita interiore, mostrando la necessaria,intima, spirituale unità di tutte le cose, insegnan-do a connetterle in una unità dotata di senso. Ilsignificato che traspare dalle poche e tante coseche si apprendono a scuola si esprime nel linguag-gio e nella comprensione reciproca di alunno ed

I l senso pedagogico della scuola

SANDRA CHISTOLINIProfessore ordinario di Pedagogia generale - Università “Roma Tre”

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insegnante. Veniva così fin dall’Ottocento affer-mata la verità del conoscere che la cibernetica nonha eliminato, ma solamente reso più sofisticata conil controllo telematico. Sostanzialmente, il prin-cipio lanciato da Fröbel è rimasto inalterato: ap-prendere l’esteriorità delle cose non vuol dire co-noscerle. Del resto, già Comenio aveva parlato discuola non come “preparazione alla vita”, ma comemezzo, ambiente nel quale l’uomo si realizza per-manentemente, per tutto l’arco della vita, dalmomento prenatale alla vicenda conclusiva dell’esi-stenza terrena (1633).

Precisare i compiti educativi dell’alunno, del-l’insegnante, del genitore, del negoziatore condu-ce a riflettere sui fini e sui mezzi dell’educazione.Senza nulla togliere alla essenza del lavoro che cia-scuno svolge, è necessario cercare quella unità chenel linguaggio si esprime e che attraverso la linguaaiuta a costruire la convivenza reciproca e la com-prensione tra persone, popolazioni e Stati.

Scrive Emmanuel Mounier in Manifeste auservice du personnalisme (1936) che la persona nonsi può definire rigorosamente, poiché in essa l’uo-mo si presenta completamente in ragione, senti-mento, spiritualità. La vita personale, i modi diessere e di vivere, le vie di attuazione dell’espe-rienza non sono tutta la persona. Essi costituisco-no una parte importante alla quale va unita l’af-fermazione dei valori. Tra questi valori emerge ilvalore assoluto della persona. La persona è un as-

soluto, rispetto alla realtà materiale o sociale, e aogni altra persona umana. Essa non va considera-ta come parte di un tutto, come parte della fami-glia, parte della classe, parte dello Stato, parte del-la nazione, parte dell’umanità. La persona non èun mezzo da usare e la sua vita non è separazione,evasione, alienazione, ma presenza e impegno(présence et engagement). L’individuo è dispersio-ne, la persona è concentrazione. Quest’ultima siraggiunge con l’attività intelligente ed ordinatrice.

Jacques Maritain, in La personne humaine engénéral (1937) aggiunge che la persona umana chie-de la vita alla società per rispondere ai suoi biso-gni. La persona, da sola, non può vivere compiu-tamente e pienamente. Unendosi agli altri raggiun-ge la soddisfazione dei bisogni materiali, della co-noscenza e della perfezione della vita morale.L’educazione lavora in questo senso, aiuta la per-sona a sviluppare la ragione e la virtù. Aristotelediceva che la natura politica dell’uomo va ricerca-ta nella sua natura di essere ragionevole, e la ragio-ne si sviluppa con l’educazione, l’insegnamento,il concorso di altri uomini e donne ed in questoprocesso la società si impegna alla realizzazionedella dignità umana.

Le condizioni storiche e lo stato delle cose ren-dono difficile lo sviluppo pieno della società e lapersona trova ostacoli al raggiungimento dei finiche la realizzano nella sua compiutezza materialee spirituale. Le garanzie economiche, il lavoro, la

Dipinto murale. Alunni del Secondo Circolo - Venosa (Potenza)

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proprietà, i diritti civili e politici, il rispetto cul-turale richiamano la persona alla dimensione quo-tidiana dei bisogni e nello stesso tempo sfidano lapersona a cercare il fine superiore verso il qualeguardare e tendere per realizzare il bene comune.La persona ordina la società secondo le sue aspira-zioni più alte. Chi si sacrifica per gli altri, per lacomunità, compie un atto di perfezione moraleche è affermazione dell’indipendenza della per-sona, rispetto alle cose materiali. La persona è in-dipendente perché dotata di intelligenza e libertà.

Ognuno dei nostri protagonisti, l’alunno, ildocente, il genitore, il negoziatore agisce con l’al-tro nella edificazione della società, in quanto per-sona che si unisce ad altre persone per lavorareinsieme alla affermazione della giustizia e alla dif-fusione dell’amicizia. Perché questo lavoro abbiainizio e venga finalizzato alla formazione dellasocietà degli uomini che cooperano alla convivenzacivile ci deve essere l’adulto che educa l’educando,conducendolo a far uso delle sue forze per usciredalla tutela del maestro. Per Tommaso l’educazio-ne è traductio et promotio prolis usque ad perfectumstatum hominis in quantum homo est (guida e pro-mozione della prole fino allo stato compiuto diuomo in quanto uomo).

Con la domanda Esiste la pedagogia? MarioCasotti (1953) affronta il tema della educabilità,riportandola al processo che caratterizza l’educa-zione. Il processo è messo in atto dall’uomo e perquesto va studiato quest’ultimo. Studiando l’uo-mo ci si rende conto che egli nasce senza scienza econ la possibilità di acquisirla, grazie all’opera dialtre persone umane le quali esercitano una azio-ne intenzionale, con caratteristiche specifiche, chepossono essere di volta in volta descritte. Per co-noscere il processo dell’educazione è necessariostudiare chi apprende e chi insegna, alunni ed in-segnanti, figli e genitori, nelle loro azioni recipro-

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che. Quello che osserviamo, descriviamo, inter-pretiamo va poi rapportato al fine che perseguel’educazione e che abbiamo espresso come inse-gnamento di scienza, tecnica, moralità, abilità,capacità che l’educatore offre per rendere l’alun-no libero di crescere autonomamente.

C’è chi sostiene che l’uomo si libera con la tec-nologia. Rudy Rucker nel libro Filosofo cyberpunk(2000) presenta gli spazi sconfinati aperti dalla tec-nologia. La comunicazione elettronica veicola l’il-lusione dell’uomo-macchina reso libero dalla suacreazione. I desideri si realizzano all’infinito e,travalicando ogni confine umano, sembranorilanciare la questione della capacità di distingue-re la fantasia dalla realtà.

Non tutto quello che è permesso alla fantasiasi può accogliere nella realtà. La perdita del confi-ne tra il fantastico ed il reale, con la caduta di tonodel controllo morale e del discernimento tra il beneed il male, è forse tra le cause della confusione divalori dei giovani, lasciati soli a decidere intorno atemi fondamentali come quelli della vita e dellamorte.

Di qui l’urgenza di riprendere con convinzio-ne il discorso pedagogico, fatto di parole ed azio-ni, per educare i giovani ad essere presenti ed im-pegnati in una società mondiale dal volto umano.Una società fondata sul rispetto e sul dialogo chenasce dal confronto sincero inteso a realizzare ilbene comune.

1 La riflessione introdotta in questo articolo con-tiene aspetti delineati, in forma più ampia, nell’inter-vento presentato al Colloquio Internazionale intitola-to Pour une école du dialogue et du respect, UNICEF,Ministère de l’Education et de la Formation, CNIPRE-Centre National d’Innovation Pédagogique et deRecherches en Education, Tunis (ou Hammamet), 14-15-16 avril 2005.

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La formazione delle figure di sistema perl’orientamento in Basilicata

EMILIO LASTRUCCIDocente Università degli Studi della Basilicata

1. Obiettivi e impianto dell’azione FOR

Il progetto “Itinera”. Nell’ambito di “Itinera”,l’azione FOR, diretta da Emilio Lastrucci, ha avu-to quale obiettivo la formazione di tre diverse fi-gure identificate come strategiche per l’attività diorientamento nell’ateneo lucano e le quali saran-no perciò chiamate ad operare in forma stabile epermanente nell’ambito del Centro di Ateneo perl’Orientamento degli Studenti (C.A.O.S.): i Con-siglieri di Orientamento, gli Operatori di Orienta-mento e i Tutor di Orientamento.

I Consiglieri di Orientamento rappresentano fi-gure di sistema abilitate a programmare, realizzaree gestire i processi di orientamento scolastico, pro-fessionale e universitario nell’ambito del sistemadell’istruzione e della formazione. Essi operano inqualità di referenti specializzati all’interno di scuo-le-polo secondarie superiori distribuite sul territo-rio regionale e in alcune province di regioni limi-trofe (Salerno, Cosenza, Foggia, Taranto e Bari),nel contesto di attività e iniziative promosse nellarete di scuole indicata e coordinate dal C.A.O.S. IConsiglieri vengono investiti del loro incarico dal-le scuole di riferimento in seguito al rilascio da par-te dell’Università della Basilicata del titolo di “Con-siglieri di Orientamento” a conclusione dell’attivi-tà formativa svolta nell’ambito dell’azione FOR.

Tale attività è consistita in un corso di alta for-mazione, della durata complessiva di 145 ore, ri-volto a 40 docenti di scuola secondaria superiorescelti sulla base di una selezione iniziale fondatasu criteri relativi al riconoscimento di competen-ze già acquisite attraverso pregresse attivitàformative e/o maturate sul campo e di un elevatogrado di motivazione e inclinazione specifiche adoccuparsi in modo continuativo di orientamento.

Gli Operatori di Orientamento sono rappresen-tati dai componenti dello staff del C.A.O.S. stabil-

mente attivi presso lo stesso. Durante l’intera du-rata del Progetto “Itinera” gli operatori hanno pre-so parte ad un programma articolato di iniziativeformative loro destinate e svolte all’interno delCentro stesso e, in misura ancor più significativa,hanno realizzato esperienze di stage, visitando cen-tri di eccellenza dell’orientamento e partecipan-do a numerose iniziative riconoscibili quali prassivirtuose dell’orientamento universitario.

Hanno concluso il corso per Operatori di orien-tamento e conseguito il titolo finale gli operatoridi orientamento: Davide Scalone, Patrizia Mantae Federica Greco.

I Tutor di Orientamento sono rappresentati daidocenti universitari referenti del tutoring e delleattività di orientamento delle singole facoltàdell’Ateneo, designati dalle facoltà stesse. Per laformazione di queste figure non è stata previstaun’attività di formazione strutturata nella quale itutor d’orientamento prendessero parte qualidiscenti, bensì è stato approntato e realizzato unpiano organizzato di incontri destinati alla pro-grammazione e al monitoraggio delle attività diorientamento realizzate nell’ambito dell’ateneo,attraverso i quali, mediante un processo di autofor-mazione consapevole e strutturata in azione, sipervenisse a mettere a punto strategie di interven-to coordinate per l’orientamento e il tutoring al-l’interno delle singole Facoltà.

Sia ai Tutor di Orientamento sia agli Operatoridi Orientamento è stato comunque consentito difruire delle attività, più articolate e strutturate inun preciso percorso formativo, rivolte ai Consiglieridi Orientamento e di attingere alle risorse infor-mative e formative rese disponibili a questi ultimi.

La formazione dei Consiglieri di Orientamentoè stata articolata secondo tre modalità di azioneformativa: attività in presenza (45 ore), formazio-ne on-line (80 ore) e stage (20 ore).

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2. La fase di formazione in presenza

L’attività di formazione in presenza è stataavviata nel mese di marzo del 2004 e comple-

tata nel mese di marzo del 2005, concentran-dosi soprattutto nella fase iniziale (marzo-giu-gno 2004) e in quella conclusiva (febbraio-mar-zo 2005). Questa specifica fase ha trovato, ingenerale, riscontri positivi e ha sostanzialmenterisposto agli obiettivi che si proponeva di per-seguire. Una prima verifica sull’efficacia di que-sta fase è stata eseguita nel corso degli ultimidue incontri; si è inoltre proceduto a verifica-re più in dettaglio l’acquisizione delle compe-tenze da parte dei destinatari, nonché ad inte-grarla e rafforzarla con alcuni interventi aggiun-tivi ad hoc, nel corso dello svolgimento dellaattività a distanza.

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3. La fase di formazione a distanza

L’attività di formazione a distanza, attuata me-diante l’impiego di metodologie avanzate di‘e-learning (attraverso la realizzazione di una specifi-ca piattaforma – http://www.forconorienta.com– ad accesso riservato ai destinatari e ai responsa-bili), ha avuto inizio nel mese di luglio 2004 e si èconclusa nel mese di gennaio 2005.

La progettazione e realizzazione grafica dellapiattaforma, nonché l’elaborazione dei modulididattici erogati attraverso di essa, sono stati svi-luppati nella fase iniziale del progetto, parallela-mente allo svolgimento delle attività in aula (lapresentazione della piattaforma ai corsisti e le istru-zioni per lo svolgimento della formazione on-linesono state fornite in uno degli ultimi incontri pre-visti nella fase in presenza).

L’attività a distanza è consistita nell’erogazionedi sette moduli formativi, costituiti ciascuno daun numero variabile di unità didattiche, correda-te da una bibliografia e da una sitografia specifi-che e da una serie di strumenti e materiali di ap-profondimento. L’allestimento del sito perl’erogazione della formazione a distanza e la pro-duzione dei testi e degli altri materiali in esso con-tenuti è stata realizzata da Emilio Lastrucci, An-gela Pascale e Raffaele Spiezia. A seguito di un’am-pia e approfondita ricerca bibliografica e sitografica,si è proceduto all’elaborazione e alla stesura deitesti e degli altri materiali, nonché degli strumen-ti di verifica formativa degli apprendimenti, checostituiscono i sette moduli erogati (si veda la ta-bella infra).

I moduli erogati per la formazione a distanzaconstano complessivamente di circa 500 pagine ditesto originali, oltre che di una cospicua quantitàdi altri materiali collazionati attraverso ricerchebibliografiche e sitografiche.

L’attività a distanza ha previsto, oltre allafruizione di moduli didattici in autoformazione,un’attività di tutoring on-line continuo e unmonitoraggio costante del processo di apprendi-mento, mediante verifiche periodiche a conclu-sione di ciascun modulo (senza il superamentopositivo delle quali non viene permesso al singoloutente l’accesso al modulo successivo) e un servi-zio di help-desk, tramite il quale gli utenti hannointrattenuto una corrispondenza via e-mail fittis-sima con i tutor on-line a scopo di chiarimento,approfondimento, integrazione, verifica ecc. rela-tivamente ai contenuti dei moduli erogati. Un ul-teriore strumento utilizzato nel corso della for-mazione a distanza è costituito dal forum di di-scussione, tramite il quale i corsisti hanno mododi intervenire attivamente sui contenuti proposti,discutere e confrontarsi tra di loro ecc. Questacomponente dell’attività formativa è stata parti-colarmente apprezzata dai destinatari (i quali han-no seguito assiduamente le attività e svolto inmedia un monte orario di formazione superiore aquello previsto nel progetto) ed ha costituito sen-za dubbio un punto di forza notevole dell’azioneFOR.

I principali dati statistici atti a descrivere l’an-damento dell’attività di formazione a distanzasono riassunti nella tabella che segue.

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4. La fase di stage

Le attività di stage sono state realizzate tra ilmese di febbraio e il mese di marzo 2005 e sonostate finalizzate essenzialmente ad approfondire,attraverso il diretto coinvolgimento dei partecipan-ti sul campo, le esperienze realizzate nell’ambitodi un altro ateneo (l’Università di Salerno), dovesono state sviluppate iniziative di orientamentoanaloghe a quelle realizzate presso l’Università diBasilicata, in modo da fornire ai corsisti un’op-

portunità di confronto con un’altra realtà ed unaltro contesto.

L’attività del progetto FOR è stata interamen-te progettata, coordinata e diretta dal responsabi-le dell’iniziativa, Prof. Emilio Lastrucci. Vi han-no inoltre collaborato il Dott. Raffaele Spiezia,ricercatore presso lo stesso ateneo lucano, il qualesi è occupato in particolare dell’allestimento delleattività formative in presenza e dell’organizzazio-ne dello stage, oltre che di svolgere il tutoring on-line e di elaborare alcune unità didattiche erogate

Indice dei moduli e delle relative unità didattiche(ciascuna unità didattica è corredata di approfondimenti e bibliografia; dopo lo studio di ogni moduloviene erogata una verifica che gli allievi inviano alla casella di posta del tutor)

• Modulo 1: L’orientamento (erogato il 30/7/04)Unità didattica 1: Cosa si intende per “Orientamento”Unità didattica 2: Orientamento scolasticoUnità didattica 3: Orientamento professionaleUnità didattica 4: Orientamento universitarioUnità didattica 5: Modelli di orientamento in Europa

• Modulo 2: L’orientamento nelle diverse aree disciplinari (erogato il 23/10/04)Unità didattica 1: La funzione orientativa delle disciplineUnità didattica 2: L’orientamento nelle diverse aree disciplinari

• Modulo 3: Il Counselling (erogato il 16/11/04)Unità didattica 1: Cosa si intende per “Counselling”Unità didattica 2: Il Counselling scolastico e universitario

• Modulo 4: Il Tutoring (erogato il 30/11/04)Unità didattica 1: Cosa si intende per “Tutoring”Unità didattica 2: Il bilancio di competenze

• Modulo 5: Il nuovo sistema universitario italiano (erogato il 20/12/04)Unità didattica 1: La riforma universitariaUnità didattica 2: Il nuovo sistema universitario italiano

• Modulo 6: Le Università in Italia (erogato l’1/2/05)Unità didattica 1: Le Università in Italia

• Modulo 7: L’Università degli Studi della Basilicata (erogato il 13/2/05)Unità didattica 1: L’Università degli Studi della Basilicata

Sono stati infine realizzati, fra i mesi di febbraio e marzo 2005, tre incontri in presenza, finalizzatialla verifica sommativa e ad un bilancio complessivo delle attività a distanza. Nel corso di questiincontri si è proceduto anche ad eseguire una simulazione di interventi di orientamento su casi concre-ti, allo scopo di valutare in chiave operativa, secondo un approccio di tipo laboratoriale, le competenzecomplessivamente acquisite nel corso dell’intero itinerario formativo.

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a distanza, e la Dott.ssa Angela Pascale, dottorandadi ricerca in Modelli di Formazione e progettistadi e-learning specializzata, la quale ha curato so-prattutto la progettazione, l’allestimento e la ge-stione della piattaforma utilizzata per la forma-zione a distanza. Hanno concluso il corso perConsiglieri di Orientamento e conseguito il tito-lo finale 31 docenti di ruolo della scuola seconda-ria superiore: Maria Giuseppa Alfonso, CiroAmbrosio, Patrizia Cerfeda, Maria Datena, Da-niela De Scisciolo, Carmela Del Bagno, Mario DiDio, Clelia Di Sevo, Filomena Fabbrizio, Marghe-rita Anna Maria Franculli, Anna Maria FulgidoPalma, Maria Giacemmo, Immacolata Giardinelli,Carmina Giorgio, Silvana Gracco, Maria PiaGuantaio, Rosa Guantaio, Rocco Biagio Laguardia,Maria Rosaria Losavio, Maria Concetta Lotto, VitoMarano, Marianna Silvia Natale, Maria AngelaPetrilli, Giovanna Petruzzi, Maria Picciolo,Evelina Riccardelli, Antonella Santagata, NicolaSchiamone, Domenico Spennacchio, PasqualeTucciariello, Giovanni Vizzielli.

5. Monitoraggio e valutazione finale dell’inizia-tiva FOR e organizzazione dell’attività di orien-tamento con le scuole del territorio

Il monitoraggio dell’azione FOR è consistitoessenzialmente in una raccolta di dati e di docu-mentazione prodotti sia nel corso di svolgimentodelle varie attività formative (in presenza, a distan-za e durante lo stage) sia nella fase conclusiva, at-traverso un incontro finale con i corsisti e attra-verso la somministrazione di un questionariomesso a punto per poter valutare il grado di sod-disfazione e gli esiti dell’esperienza svolta.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la docu-mentazione esaminata rivela una partecipazioneassidua dei corsisti alle attività formative in pre-senza e allo stage. Per la fase di formazione a di-stanza, svolta in auto-apprendimento, va rilevatoche questa è stata conclusa dai partecipanti in tem-pi molto differenziati.

Nella discussione svolta durante l’incontro con-clusivo, tenutosi il 31 marzo 2005, è emersa unagenerale soddisfazione per le attività condotte esoprattutto i corsisti hanno sottolineato la neces-sità di intraprendere una fase operativa finalizzataa svolgere nelle scuole attività di orientamentocontinue mettendo in pratica le metodologie e glistrumenti di cui hanno acquisito la padronanza eche hanno sperimentato attraverso le varie attivi-tà formative svolte.

Anche attraverso l’analisi dei dati raccolti tra-mite il questionario somministrato ai corsisti pervalutare il gradimento dell’iniziativa, che viene diseguito riportato assieme alla tabulazione dellerisposte fornite, è emerso un grado elevato di sod-disfazione generale.

Il questionario si articola in tre quesiti, riguar-danti: a) l’auto-percezione dell’incremento di co-noscenze e competenze da parte di ciascun corsistaa seguito della fruizione dell’attività formativa; b)i punti di forza e di debolezza a giudizio dei sin-goli corsisti; c) suggerimenti e proposte per azio-ni future e ulteriori bisogni di formazione.

Le risposte fornite alla prima domandaevidenziano che in maggioranza i corsisti si rive-lano abbastanza o molto soddisfatti delle varie at-tività svolte. In particolare 13 corsisti ritengonoabbastanza soddisfacente l’attività svolta mentre10 si ritengono molto soddisfatti.

Per quanto riguarda la seconda domanda, i pun-ti di forza maggiormente evidenziati dai corsistisono: l’opportunità di confronto con i colleghi econ gli esperti, l’elevata preparazione dei relatori,l’elevata qualità dei materiali didattici, in partico-lare quelli usati nella formazione a distanza, lanotevole ricaduta sulle proprie competenze pro-fessionali dell’attività di stage. Pochi corsisti han-no sottolineato punti di debolezza del corso. Inparticolare è stata evidenziata la scarsa partecipa-zione dei corsisti al forum on line così come an-che la difficoltà avuta nel conciliare le attività delcorso con la normale attività di servizio.

Per quanto riguarda la terza domanda, i sugge-rimenti espressi dai corsisti vanno nella direzionedi progettare ed attuare interventi di orientamen-to realizzati attraverso una più stretta collabora-zione tra scuola ed università.

Gli sviluppi dell’azione FOR riguardano infattiproprio l’organizzazione di un piano di attività,coordinata dal Centro di Ateneo per l’Orienta-mento degli Studenti, da svolgere nelle scuole doveoperano i corsisti, che assumeranno funzione di“scuole-polo”, per erogare iniziative di orientamen-to nel proprio comprensorio. Tale attività preve-drà incontri periodici di organizzazione e di co-ordinamento ai quali parteciperanno i Consiglie-ri di orientamento.

I Consiglieri di orientamento sono, come si èanticipato, figure di sistema (docenti referenti esper-ti e specializzati), create proprio attraverso l’azio-ne FOR, che opereranno in forma organica alleattività del C.A.O.S. e distribuite in modocapillare sulla rete territoriale delle scuole secon-

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darie superiori. In particolare, essi svolgeranno,nell’ambito dell’istituzione scolastica polo di rife-rimento e nelle scuole collegate in rete con essa, icompiti e le funzioni di seguito indicate.

• Razionalizzare e ottimizzare le risorse dellascuola, integrandole con quelle comunque reperibilinel territorio, per l’orientamento degli studenti.

• Coordinare e promuovere le attività dellascuola, con particolare riferimento al progetto edu-cativo d’istituto e alla programmazione educativae didattica, allo scopo di assicurare il massimo del-l’efficacia dal punto di vista dell’orientamento edella riduzione della dispersione, promuovendo ecoordinando, altresì, iniziative finalizzate alla pre-venzione del disagio giovanile.

• Organizzare servizi interni – coordinati dalConsigliere di orientamento e coinvolgenti l’inte-ra équipe socio-psico-pedagogica – di tutoring,counselling e mentoring che permettano di poten-ziare i livelli di autoconsapevolezza dei giovani,favorendone l’autostima e rafforzandone la moti-vazione e l’impegno didattico.

• Organizzare interventi e promuovere inizia-tive, in forma sistematica, di raccordo fra l’attivitàdella scuola e il mondo delle professioni.

• Favorire la conoscenza dei percorsi formati-vi universitari e di quelli offerti dal sistema dellaformazione superiore integrata.

• Promuovere e progettare iniziative di aggior-namento e di qualificazione che possano giovarealla più puntuale conoscenza di temi e problemiconnessi all’orientamento scolastico, universitarioe professionale.

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in questo tempo della post-modernità chesi profilano prospettive, orizzonti, sfondientro cui l’uomo si muove con azioni, pro-getti, aspettative e speranze nuove, guardan-

do ad una cittadinanza planetaria, a nuove leggid’ospitalità internazionale e di solidarietà. Attor-no e dentro a questo scenario si collocano tuttequelle emergenze educative generate soprattuttodallo scorrere celere di un tempo, intriso da cano-ni legati alla repentinità, all’immediatezza, maanche di una società sempre più disorientata e di-sorientante, priva di punti di riferimento certi edautentici, in cui l’esistenza dell’uomo pone l’ac-cento sovente sui presupposti della banalità e del-la superficialità, perdendo di vista così l’‘essenzia-lità della sua stessa esistenza’, ma anche delle cosee delle persone che costituiscono la stessa società.

E ancora, è in questo tempo della post-moder-nità che la scuola e la famiglia vengono trascinate,invischiate, condizionate, mutando, conseguente-mente, volens o nolens, da un lato, dispositivi, oriz-zonti, teorie e azioni, linguaggi, ma anche modi,approcci che tutte le risorse umane coinvolte do-vrebbero conoscere per affrontare le emergenzesociali, politiche, culturali ed educative.

Comprendere tutto questo significa analizzareinsistentemente l’origine di cause, motivi scate-nanti l’inquietudine, l’incertezza globale nell’am-bito di poli costituiti come il ‘locale’ e il ‘globale’,che producono, oggi, una tensione, un rapportoimprescindibile ed improcrastinabile per produr-re nuovi orizzonti di senso e di significato. Si trat-ta di porre l’accento sulla decostruzione del sensodelle ‘forme’ e delle ‘rappresentazioni’ del mondo

Le problematiche educative dellapost-modernità.

Il ruolo della scuola e della famiglia

PAOLINA MULÉFacoltà di Scienze della Formazione

Università di Catania

È

“Credo che la decostruzionesia l’esperienza dell’impossibilità”

(M. Telmon, a cura di, Colloquio con Jacques Derrida)

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in cui viviamo, per cogliere il ‘pensiero debole’che ha sopraffatto incessantemente gli uomini e igruppi sociali, negandone così la libertà possibile.Si profila, pertanto, ‘una comunità di quelli chenon hanno comunità’, perché non riconosconopiù ‘confini e frontiere’ in una società sempre piùdelocalizzata, mobile, in cui la scuola e la famigliavivono intrinsecamente problemi e forme di rela-zioni sempre più superficialmente. Occorre per-ciò chiamare in causa una forte ‘responsabilità eti-ca’ in questo tempo della post-modernità, in cui illocale e il non locale coesistono strettamente, incui l’altro diventa l’essere da cui e attraverso il qualepassa l’umanamente possibile, il riconoscimentodell’altro con i suoi bisogni, potenzialità e com-petenze mediante l’incontro, il dialogo, la diffe-renza valorizzata.

Bisognerebbe conservare il senso del dovere edella responsabilità, aprirsi all’evento dell’altro,all’avvenire in questo tempo intriso di una pro-fonda crisi di senso, d’instabilità delle istituzionipubbliche e private e, ad un tempo, d’instabilitàpolitica1. In altri termini, siamo di fronte a unprocesso d’involuzione e ‘perdita di contenuti’;tutte questioni che mostrano una preoccupazionein ragione di un disinteresse politico, di dilemmiesistenziali individuali e collettivi che permeanoogni sfera dell’agire umano.

Allora, in questo stato di fatto, come si puòinvertire questa tendenza della «frammentazionepolitica e frenare la perdita di senso e l’appiatti-mento dell’orizzonte soggettivo verso scelte di vitaparziali e contingenti?»2. Occorre predisporre unnuovo paradigma in cui il rapporto tra il soggetto-persona e il mondo è basato sulla dialogicità e l’in-fluenza reciproca. Esso si fonda sul riconoscimen-to dell’essenzialità delle norme e di valori condi-visi ed interiorizzati da tutti attraverso processi dicritica e di confronto con gli altri. La dimensionedialogica e il senso di responsabilità etica diventa-no, o dovrebbero diventare, la chiave di volta del-le questioni della post-modernità. Pertanto, è im-prescindibile indubbiamente accettare l’incontro,il costruire insieme, una forma di tensione intel-lettuale reciproca per produrre un autentico e si-gnificativo progresso planetario umano e civile.

Riconoscere l’altro da sé, significa accettare latensione continua, ammettere la coesistenza nelmondo di soggetti e gruppi umani protesi a con-dividere e lavorare insieme, instaurando relazioniinterpersonali, senza perdere di vista la propriaidentità3. Lungo questa direzione, si muove ancheil percorso di Habermas, secondo il quale «nelle

società complesse soltanto le pratiche comunica-tive dell’autodeterminazione sono ancora in gra-do di rigenerare le forze della solidarietà sociale»4.Insomma, complessità e pluralismo, essendo deivalori liberali e democratici essenziali, sono glielementi costitutivi di ogni società libera. A talproposito, già Stuart Mill, delineava la pericolosi-tà e l’irreversibilità come elementi reconditi in ogniprocesso di omologazione5. Attorno a questi temisi colloca un ben definito ruolo della scuola e,dunque, della formazione esposta particolarmen-te, quest’ultima, alla perdita e allo scacco, innervan-dosi dialetticamente, proprio per la sua radice sto-rica e dinamica, sia all’intenzionalità che all’impre-vedibilità degli eventi che peraltro dovrebbero es-sere gestiti.

Si esige perciò la considerazione di una mag-giore consapevolezza da parte della riflessione dipedagogisti, educatori ma anche genitori in ordi-ne alle emergenze educative che le attuali condi-zioni sociali e culturali pongono alla stessa forma-zione umana. È chiaro che, oggi, i processi dellaformazione sfuggono alle tradizionali istituzionieducative come la scuola e la famiglia, imponen-do così un’adeguata riflessione sui molteplici luo-ghi, tempi, soggetti e modelli della formazione,nonché una profonda riconsiderazione del loro stes-so ruolo.

In questo tempo, si tratta di rinnovare la scuolatenendo conto, in primo luogo, del fatto che biso-gna considerare il soggetto educandus una risorsada orientare e formare attraverso le categorie di‘attenzione’ e di ‘cura’ instaurando relazioni inter-personali significative per una società del futurodemocraticamente costruita ed, in secondo luo-go, di un presupposto etico dando senso e signifi-cato all’essenzialità, all’autenticità delle cose e dellepersone attraverso una profonda responsabilitànecessaria ed imprescindibile per trasmetteresaperi, valori che s’ispirano a principi chiave performare un nuovo uomo in vista di una nuova cit-tadinanza planetaria.

Ovviamente, ciò implica, di conseguenza, un’at-tenzione rilevante verso la formazione dei docen-ti, in particolare, e degli educatori, in generale, chesappiano interagire con le rappresentanze del ter-ritorio, con l’extrascuola, ma soprattutto con lafamiglia che necessita di supporti educativi tali daorientare significativamente i figli, ma anche diapprendere come gestire le relazioni parentali, at-traverso una riconsiderazione del ruolo genitorialee coniugale, tanto più che questo tempo mostraun’immagine della famiglia totalmente trasformata

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rispetto al passato, con stili di vita, valori e ruolidiversi in cui si può inquadrare un processo di cam-biamento interpretato in chiave di ‘moderniz-zazione’, ma anche d’involuzione, di crisi che hadeterminato repentinamente l’avvicendarsi di pro-cessi di individualismo, industrializzazione e de-mocrazia senza precedenti di sorta6.

Attorno a questi cambiamenti si profila un in-dividuo che nell’ambito delle relazioni sociali epersonali è invischiato, esposto sempre più a mag-giori e frequenti insicurezze, incertezze, alteran-do così la propria emotività e, ad un tempo, gene-rando il bisogno di una reale affettività. In questosenso, è la famiglia che dovrebbe sopperire a que-sta carenza rafforzando nei giovani attraverso ilrapporto interpersonale e di fiducia in sé la loroidentità.

È urgente dunque prospettare percorsi di for-mazione familiare tesi a migliorare la relazionegenitoriale e familiare con un’azione pedagogica‘di sostegno’ di natura democratica. Si tratta di in-terventi formativi volti a realizzare una coeduca-zione partecipativa e attiva, in cui la spontaneità,la reciprocità, l’interscambio e l’interdipendenzasono elementi costitutivi e regolativi dell’educa-zione familiare. In questo senso, diventa indispen-sabile rafforzare la personalità di ciascun indivi-duo attraverso una famiglia che, nell’ambito dellacoeducazione, considera e coniuga coesione e so-lidarietà, rispettando il giusto diritto di libertà diogni suo componente, valorizzato nella sua diver-sità.

E ancora, all’insegna di tutte le trasformazionisocio-culturali ed educative del nostro tempo, èurgente evocare ‘l’essenzialità’ della nostra esisten-za, i valori autentici, gli orizzonti di senso e signi-ficato della relazione umana, una responsabilitàetica e civile che è andata perdendosi, dando spa-zio alla frammentazione, alla precarietà.

In definitiva, in questa stagione si tratta di rin-saldare, attraverso la scuola, la formazione, le rela-zioni umane, familiari secondo un paradigma nuo-vo in cui al centro troviamo, da un lato, una fami-glia, depositaria di valori, di significati espressivi esimbolici, nella quale si apprende la relazione, sipromuovono delle personalità antropo-etiche,pensiero autocritico e autocoscienze e, dall’altro,una scuola, volta a costruire una società planeta-ria, in cui gli individui riescono a identificare iloro bisogni, connotandoli valorialmente, nell’ot-tica di una forma mentis aperta alla poliedricità epluralità delle prospettive, alla comprensione, allareciprocità, all’interscambio.

La sfida della post-modernità consiste perciòin una formazione che produca, a dire di Morin,un’antropo-etica, in grado di riconoscere la condi-zione dell’uomo, “cioè nell’essere contemporane-amente: individuo, specie e società o […] ogni svi-luppo veramente umano deve comportare il poten-ziamento congiunto delle autonomie individuali,delle partecipazioni comunitarie e della coscienzadi appartenere alla specie umana”7.

1 Cfr. C. TAYLOR, Il disagio della modernità, Laterza,Roma-Bari 1999, p. 51 e sgg.

2 V. MAIMONE, Il riconoscimento e i conflitti morali,in “Oros” – Filosofia e critica delle idee –, n. specialedicembre 2001, Siracusa, p. 31.

3 RICOEUR, Il giusto, trad. di D. Iannotta di Marco-berardino, Sei, Torino 1998, pp. 21-21. Sull’identitàindividuale Taylor ribadisce che «Noi diventiamo agen-ti umani in senso pieno, capaci di capire noi stessi, equindi di definire un’identità, attraverso l’acquisizionedi linguaggi – che George Herbert Mead enuncia come‘altri significativi’ – dotati di ricche capacità espressi-ve» (C. TAYLOR, Il disagio della modernità, cit., p. 39).Il corsivo è mio. A proposito di G. Herbart Mead, cfr.il testo Mind Self and Society, Chicago University Press,Chicago 1934.

4 J. HABERMAS, Fatti e Norme. Contributi a una teo-ria discorsiva del diritto e della democrazia, a cura di L.Ceppa, Guerini e Associati, Milano 1996, p. 527.

5 J. STUART MILL, Saggio sulla libertà, Il Saggiatore,Milano 1993 (1981)

6 Sul profilo storico e la storiografia della famigliaitaliana nel Novecento e sulla pedagogia familiare, cfr.M. PERETTI, L’educazione familiare oggi, La Scuola,Brescia 1972; N. GALLI, Educazione dei giovani alla fa-miglia, Vita e Pensiero, Milano 1981; G. CAMPANILI, acura di, Le stagioni della famiglia, San Paolo CinisielloBalsamo 1994; G. CIVES, La sfida difficile, Vallardi, Pa-dova 1990; M. CORSI, C. Sirignano, La mediazione fa-miliare. Problemi, prospettive, esperienze, Vita e Pensie-ro, Milano 1999; M. CORSI, Il coraggio di educare. Ilvalore della testimonianza, Vita e Pensiero, Milano2003.

7 J. MORIN, I sette saperi dell’educazione, RaffaelloCortina Editore, Milano 2001 (1999), p. 15.

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Deontologia e libertà di insegnamento in Italiae in Europa

e vogliamo tracciare un percorso per discu-tere il tema della deontologia degli inse-gnanti e giungere a una nozione condivi-sibile, non possiamo prescindere da una

analisi che tocchi gli studi pedagogici.Trattandosi, poi, di scuola pubblica, è necessa-

rio riferirsi sia agli studi recenti sul servizio allapersona, sia contestualizzare l’argomento in unoscenario di cultura quanto meno europeo.

“È compito della Repubblica rimuovere gliostacoli di ordine economico e sociale, che, limi-tando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadi-ni, impediscono il pieno sviluppo della personaumana…”. Così la Costituzione italiana all’arti-colo 3, co. 1. Il testo costituzionale riprende ilconcetto negli articoli successivi e lo cala nel con-testo di vita di ciascuno. Infatti, all’articolo 4, co.2, leggiamo che ogni cittadino “ha il dovere di svol-gere secondo le proprie possibilità e la propria scel-ta, un’attività e una funzione che concorra al pro-gresso materiale o spirituale della società”…. po-tendo contare su alcune garanzie: “l’arte e la scien-za sono libere e libero ne è l’insegnamento. LaRepubblica detta le norme generali sull’istruzio-ne…” (art. 33, co. 1 e 2)… “è dovere e diritto deigenitori mantenere, istruire ed educare i figli…”(art. 30, co. 1)… “la scuola è aperta a tutti” (art.34, co.1)… “i pubblici impiegati sono al servizioesclusivo della Nazione” (art. 98, co. 1).

Fin dal 1948, dunque, sono stati fissati i dueprincipi che danno fondamento alla politicaeducativa del nostro paese e alla mission degli in-segnanti. Il primo è rappresentato dalla centralitàdella persona nel processo di apprendimento/inse-gnamento. Il secondo è espresso dalla responsabili-tà educativa dei primi due soggetti coinvolti in taleprocesso: le famiglie e i docenti.

In forza di tali principi e valori definiti per lasocietà italiana, la Costituzione, mentre sancisce

la libertà d’insegnamento, assicura, senza soluzio-ne di continuità, “i diritti inviolabili dell’uomo,sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove sisvolge la sua personalità” (art. 2). Ne nasce un ro-busto intreccio di diritti e di doveri, caratterizzatodal binomio autorità-libertà, che transitano da chieduca a chi riceve educazione, e viceversa. Com-pito fondamentale dell’educatore sarà, per dirla conLaberthonnière, aiutare le persone a prendere co-scienza di se stesse, dei loro doveri, della loro re-sponsabilità, in una vera e propria iniziazione allavita intellettuale e morale, e, ‘farle nascere’, eser-citando l’‘autorità liberatrice’ non per subordina-re gli altri (l’educando) ai propri fini particolari,ma usando il potere e l’abilità per subordinare sestessi agli educandi, legare la propria sorte alla loroe perseguire, insieme, una finalità comune1.

La libertà di insegnamento acquista, così, unprofilo a più dimensioni: trae linfa dall’esperien-za e riceve motivazione dall’esercizio del propriomagistero, qui incardina la coerenza fra proget-tualità educativa e azioni volte alla persona diven-tando padronanza di sé 2, da qui ricava orientamentoe si trasforma in professionalità.

Seguendo questa impostazione, innalzare la con-dizione morale dei docenti e proteggerne la libertàdi insegnamento corrisponderà, sul piano profes-sionale e deontologico, a garantire la migliore pro-mozione possibile delle capacità potenziali di ognistudente nel suo essere e sarà speculare alle aspetta-tive dei genitori e della community care (comunitàeducante). Equivale a farsi, all’interno del processodi crescita degli alunni, catalizzatori positivi, in gra-do di contenere, rispecchiare, stimolare continuariflessione sull’esperienza di apprendimento, nonsolamente come espressione della maturazione per-sonale, ma come dimensione interpersonaleinscritta in una rete sociale. Queste furono anchele premesse poste dall’Europa, il 5 ottobre 1966,nella Raccomandazione relativa alla condizione delpersonale insegnante per definirne un codicedeontologico e standard professionali, ispirata a

Essere insegnanti nella complessità

GREGORIA CANNAROZZORicercatrice di Pedagogia generale e sociale - Università di Bergamo

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quanto era emerso, nel 1946, durante la prima ses-sione della Conferenza Generale dell’UNESCO.

Fra i principi guida della Raccomandazione leg-giamo che: “l’educazione dovrebbe mirare, fin daiprimi anni di scuola, al pieno sviluppo della perso-nalità umana e al progresso spirituale, morale, so-ciale, culturale ed economico della collettività… (art.3)…,”dovrebbe essere riconosciuto che il progressodell’insegnamento dipende in gran parte dalla qua-lificazione e dalla competenza del corpo insegnan-te e anche dalle qualità umane, pedagogiche e pro-fessionali di ciascuno dei suoi membri… (art. 4)...“l’insegnamento dovrebbe essere considerato unaprofessione i cui membri assicurano un servizio pub-blico, tale professione richiede non solo conoscen-ze approfondite e competenze specifiche, acquisitee mantenute attraverso studi rigorosi e continui,ma anche senso di responsabilità individuale e col-lettiva nei confronti dell’educazione e del benesse-re degli allievi (art. 6)”…Questioni rafforzate dal-l’opportunità di “definire a livello internazionalestandard di formazione degli insegnanti che sianoriconosciuti da tutti i Programmi di formazione”(art. 18) e dalla necessità di “fare qualsiasi sforzoper favorire la collaborazione fra genitori e inse-gnanti, nell’interesse degli allievi” (art. 67).

Dopo il trattato di Maastricht (1992), i due ‘Li-bri bianchi’ della Commissione Europea,“Crescita,competitività, occupazione. Le sfide e le vie da per-correre per entrare nel XXI secolo (1993) e Insegnaree apprendere. Verso una società conoscitiva”(Cresson-Flynn 1995), tracciano le linee di pro-gramma per il futuro dell’educazione scolastica inEuropa e, di rimando, richiamano i doveri degliinsegnanti mettendo in risalto: la promozionedello sviluppo personale e dei valori civili, l’incre-mento di conoscenze attraverso una formazionedi qualità per fronteggiare la trasformazione in attonel continente, la dimensione europea dell’educa-zione, la cura dell’identità culturale in una societàdiventata interculturale, la promozione dei dirit-ti-doveri della convivenza e dell’appartenenza.

Dal 1994 l’UNESCO indice, per il 5 ottobre diogni anno, La Giornata mondiale degli insegnantiper celebrare l’adozione della Raccomandazionepromossa dall’Internazionale dell’educazione (IE),la più grande federazione mondiale di sindacati de-gli insegnanti a cui aderiscono 311 organizzazioni.Per il 2005 la parola d’ordine è stata Insegnanti diqualità per un’istruzione di qualità. In occasione delsuo terzo Congresso mondiale del 29 luglio 2001,l’IE ha fatto propria una Dichiarazione sull’etica pro-fessionale, che si propone di “aiutare il personale

insegnante e educativo a dare risposte alle questio-ni connesse alla condotta professionale e ai proble-mi posti nelle relazioni con i diversi attori dell’edu-cazione” e che sottolinea la necessità di “un impe-gno individuale e collettivo del personale della scuo-la nei confronti dei diversi attori dell’educazione edell’insieme della società”. Il testo della Dichiara-zione è complementare a leggi, statuti e regolamen-ti utili per la definizione dell’esercizio della profes-sione e, con la terminologia nota in Italia, potreb-be essere denominato di autoregolamentazione.

Nel 1996 il Rapporto Unesco-Delors codifica icosiddetti quattro pilastri dell’educazione e, su que-sta onda, la Commissione europea elabora, tra ilmarzo 2000, a Lisbona, e il febbraio 2002, aStoccolma, un ampio programma di lavoro, artico-lato in 13 obiettivi strategici, definiti “Obiettivi peril 2010”. Il primo riguarda proprio il miglioramen-to della qualità dei sistemi nazionali di formazionedegli insegnanti3. In concomitanza con la riflessio-ne su tali obiettivi, nel 2002, prende avvio un im-portante progetto di ricerca dell’OCSE sulle politi-che educative svolte nell’ambito della professionedocente da parte dei 25 Stati partecipanti alla ricer-ca [Australia, Austria, Belgio (comunità fiammin-ga e comunità francese), Canada (Québec), Cile,Corea, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania,Giappone, Grecia, Irlanda, Israele, Italia, Messico,Norvegia, Pesi Bassi, Regno Unito, Repubblicaslovacca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Un-gheria]. Dopo due anni di lavori, si giunge a unrapporto finale, Teachers Matter: Attracting,Developing and Retaining Teachers, da cui emergo-no elementi di preoccupazione e di riflessione sullepossibili azioni da intraprendere per migliorare laformazione degli insegnanti e le loro condizioni dilavoro, fra cui: l’attrattività della professione do-cente, lo sviluppo di conoscenze e di competenzeadatte alla domanda sociale di formazione, il reclu-tamento, la selezione e l’assunzione, la capacità ditrattenere nei sistemi educativi gli insegnanti com-petenti. Sono le medesime premesse su cui, dal 2002,la rete Eurydice imposta la sua analisi sulla profes-sione docente in Europa4.

Nella medesima direzione sono significative an-che le strategie suggerite dal Consiglio d’Europa e, inparticolare, dai Ministri dell’educazione dell’OCSE,tese a orientare l’educazione pubblica degli Statimembri verso la promozione dei valori sintetizzatinell’unica definizione di ‘educazione alla cittadinan-za democratica’5 per la coesione sociale. Fra tali strate-gie, che chiamano tutte in causa la responsabilità degliinsegnanti, una in particolare raccomanda ai mini-

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steri nazionali dell’istruzione di stimolare i docentiad avviare innovazioni educative e a cooperare per laloro messa in opera con gli altri soggetti di rilievo. Dal-la relazione intermedia del Consiglio d’Europa e del-la Commissione europea del marzo 2004, dopo piùdi due anni di ricerca, è uscito un testo, Principi co-muni europei per le competenze e le qualifiche degli in-segnanti, oggetto di una Testing Conference tenutasi aBruxelles il 20 e 21 giugno 2005, in cui sono statienunciati alcuni principi comuni da considerare comebase condivisa e come utile strumento di lavoro asupporto dello sviluppo di nuove politiche naziona-li e regionali nel settore della formazione docenti.Sulla scorta delle linee di indirizzo e di equivalentiesperienze europee, in Italia, nel novembre 2001, ilMiur ha costituito una Commissione per stilare i cri-teri utili alla definizione di un codice deontologicodei docenti, che consenta alla categoria di vedere tu-telata la propria dignità personale e professionale,mentre viene potenziata la qualità del sistemaeducativo. I temi esaminati hanno riguardato: a) ilcodice deontologico degli insegnanti italiani compa-rato con quello delle altre professioni e con quellodegli insegnanti negli altri paesi d’Europa, b) gli aspet-ti giuridici e normativi relativi alla funzione docen-te, c) la sua nuova identità professionale6. Il docu-mento incardina i propri contenuti (collegialità, ri-spetto della dignità umana, competenze organiz-zative, sviluppo della qualità dell’insegnamento, co-operazione con gli altri soggetti ecc.) su un dupliceconcetto di responsabilità. Il primo identifica la re-sponsabilità nel compito di essere autori di azioni edi poterne rispondere per agire autonomamente inuna condizione di libertà. È l’agency, cioè la facoltàdi agire finalizzata al benessere secondo la modernaaccezione dello ‘star bene acquisito’ (well-being) piut-tosto che secondo la semplice idea di welfare 7. Il se-condo significato attribuito dal documento al con-cetto di responsabilità equivale al ‘rispondere a qual-cuno di qualcosa’ (accountability). Tale radicamento,che deve essere letto nel più vasto contesto europeosopra delineato, pone al centro dell’agire educativola responsabilità personale quale nuova dimensione del-l’agire pubblico (Convivenza civile), si fonda sulladomanda etica che arriva alla scuola dal mondo ester-no e realizza il processo avviatosi con l’autonomiadelle istituzioni scolastiche.

Consapevolezza e deontologia: un servizioalla persona

Volendo definire il mestiere dell’insegnare dalpunto di vista deontologico, la professionalità è

una via obbligata, poiché oggi, più di sempre, chiinsegna non solo è interprete, per i suoi allievi,del moltiplicarsi, e frazionarsi, dei saperi e delleconoscenze legate al fenomeno della globaliz-zazione, ma è anche tenuto ad essere modello nel-l’incertezza e nell’inarrestabile cambiamento del-le forme assunte dalla cultura personale e sociale etestimone della importanza di concepire l’educa-zione come armonizzazione fra le tre diverse com-ponenti della vita umana (teoretica, pratica e tec-nica8) e come risposta sempre aggiornata secondotre livelli di analisi.

Il primo è riconoscibile nella domanda di edu-cazione, istruzione e formazione che nasce dal si-stema formale, non formale e informale. Il secon-do scaturisce dalla richiesta sociale di competenzericche di valore aggiunto spendibile per tutto l’ar-co della vita, integrato con le competenze richie-ste per l’interazione sociale e promosso e raggiuntoattraverso componenti cognitive, ma anche emo-zionali e relazionali. Il terzo livello di analisi na-sce da tre condizioni: innanzi tutto la scuola è unservizio alla persona, ha il suo primo interlocutorenella famiglia ed è garante, per Costituzione, del-la libertà di scelta educativa dei genitori; in secon-do luogo, all’autonomia funzionale (Dpr. 275/99,art. 1, co. 1) di cui ogni istituzione scolastica èdotata tocca concretizzare tale servizio e assicura-re, appunto, libertà di scelta in base al principiodi sussidiarietà verticale e orizzontale 9.

La sintesi dei tre livelli di analisi, che potrebbe-ro essere acquisisti come macroparametri per uncodice deontologico degli insegnanti, porta a so-stenere che l’educazione, assunta dal punto di vi-sta pedagogico, non si limita ad essere la puntualedescrizione di un fenomeno, ma la valutazione etrasformazione di esso10 e che è necessario inten-dere il processo educativo come un valore da pro-muovere e da preservare11, pur nella complessità.

Fare propria, in educazione, una simile inten-zionalità significa anche accettare la vecchiezza deltradizionale ruolo del docente rappresentato dallametafora del poter scendere nell’agorà e parlare auna folla attenta ed incuriosita. Oggi chi studiaha a disposizione molti mezzi per accedere a mol-ti saperi e l’attenzione, semmai, è frastornata dal-la proposta di un eccesso di informazioni, che ge-nerano dispersione e frantumazione della cono-scenza e della stessa vita umana, con una difficol-tà crescente sia a provare interessi partendo da va-lori quali l’onestà, la lealtà, la spiritualità…, sianel riuscire a gerarchizzare i valori in base a unaaxiologia rispettosa della vita.

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Dato che la scuola costituisce un crocevia ob-bligatorio di pensiero e di riflessione sull’educa-zione per preparare all’età adulta, spetterà agli in-segnanti accompagnare a viverne, mano a mano, iproblemi geneticamente, nella misura e nelle for-me che hanno risonanza e corrispondenza nelsoggetto e nel momento storico del suo sviluppopsichico e spirituale12. Per farlo, non è possibileaccontentarsi di mettere in atto i differenti aspetticostitutivi dell’unità dello spirito didattico (‘organi-cità dell’opera del singolo insegnante, nella sferadella sua azione, indirizzo concorde delle varieclassi della stessa scuola, normale sviluppo, senzadiscontinuità dell’educazione, coordinazione del-le materie di insegnamento che rifugge, ai fini es-senziali della cultura, tanto dalla frammentarietàenciclopedica, quanto dalle sproporzioni fra levarie sue parti e dall’unilateralità, unità di gover-no, estensione dell’azione educativa alla famigliae al mondo esterno’), ma sarà necessario ancheporsi a modello nella complessità, perché non solonella lezione, ma in tutta la condotta della vita è ilsegreto della vittoria di un maestro13.

Intersezioni fra autonomia, deontologia,rendicontazione

Assumere la responsabilità del proprio eserci-zio professionale, rispondere ai bisogni dei destina-tari dell’Offerta formativa, trasformare l’autono-mia in un effettivo servizio alla persona sono al-trettante sollecitazioni a cui non può sottrarsi ilprocesso di riforma del sistema di istruzione e diformazione e che creano inscindibilità fra deonto-logia dell’insegnare e domanda di educazione. Daqui scaturiscono alcuni punti di attenzione utili adefinire linee guida per una ipotesi di codicedeontologico:• assunzione di responsabilità: mobilita il pensie-ro, fa sentire protagonisti, insieme agli alunni, deiloro processi educativi e promuove un ruolo attivonel cambiamento (innovazione);• risposta alla domanda etica del mondo esterno: a)mette in gioco una formazione degli insegnanticoncretamente finalizzata a valorizzarne l’attitu-dine all’insegnamento e la professionalità; b) rendemanifeste la competenza disciplinare e didattica ela capacità di relazionarsi con tutte le componentidell’istituzione scolastica;• trasformazione dell’autonomia scolastica in un con-creto e documentabile servizio rende la libertà d’inse-gnamento funzionale alla persona, e viceversa;• personalizzazione dei Piani di studio;

• cooperazione sussidiaria14 con la famiglia e con ilcontesto. Cooperazione che, tuttavia, necessita delladefinizione di politiche di governance territoriale,intesa come ricerca di forme evolute di governosorrette dal consenso della società15. Personalizza-zione, cooperazione e rendicontazione rendonosincroniche l’azione educativa, la riflessione sul-l’esperienza e la deontologia professionale;• valorizzazione del proprio ‘essere’ e, simmetri-camente, dei comportamenti personali e socialidegli allievi (sapere, fare consapevole e agire)”16, na-turale esito dello sviluppo armonico ed integratodi tutte le dimensioni della persona (educando) intutti i momenti della vita17;• unitarietà di intenti educativi (collegialità) testi-moniati dal Portfolio, frutto delle interazioni fratutor, équipe pedagogica, genitori e allievi.• rendicontazione, ovvero valutazione documen-tata (accountability) della progettazione educativa;• coerenza fra progettazione, realizzazione, veri-fica e valutazione dei processi di apprendimento:fa entrare in sintesi professionalità, responsabilitàe compiti del docente e crea corrispondenza fradomanda e offerta di educazione;• accertamento e certificazione delle competenzeconquistate da ciascuno partendo dai problemi eutilizzando le discipline per risolverli, in situazione.

L’etica professionale ne esce ulteriormente de-finita ed esaltata e, in particolare, se l’atto del va-lutare, finora, poteva essere considerato come unmero risultato ed il voto/giudizio poteva essereinteso, dai docenti e dai genitori, come il fine delrapporto di apprendimento/insegnamento, esso,oggi, acquista una doppia valenza etica.

In primo luogo, perché si provoca circolarità fraprogettazione (pensare), interventi educativi (agire),riflessione sul fare (pensare a ‘ciò che si fa’) e valuta-zione (mezzo per l’educazione) degli apprendimentie del comportamento. Ogni docente avvertirà ilmomento valutativo come momento cruciale, sia inquanto espressione della competenza professionale(ruolo pubblico) e dell’impegno personale (ruoloprivato), sia in quanto processo reale fatto non solodi una ‘misura’ standardizzata e uguale per tutti, mafrutto di scelte ragionate, di strategie messe alla pro-va, di decisioni attente al bisogno formativo e condi-vise, di attività contestualizzate nel progetto cultura-le dell’istituto.

In secondo luogo, se lo Stato, come dispostonell’articolo 8 del Dpr. 275/99, detta gli ordina-menti del sistema educativo di istruzione e di for-mazione, gli ‘obiettivi generali del processo forma-tivo’, gli ‘obiettivi specifici di apprendimento’, gli

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‘standard di prestazione del servizio’ dei docenti,i ‘criteri generali per la valutazione (valutazioneesterna), è, invece, responsabilità di ogni istituzio-ne scolastica e, in particolare, dei docenti concre-tizzare tutti questi vincoli esterni, lontani e ‘astrat-ti’, in termini di tempo, luogo, azione, standarddi apprendimento, quantità e qualità adatti ai sin-goli studenti18 (personalizzazione e valutazione in-terna degli apprendimenti).

Ciò scaturisce dalla somma qualitativa e quan-titativa delle rilevazioni effettuate nel percorsoscolastico e richiede agli insegnanti di assumersi laresponsabilità di certificare le competenze avvalen-dosi non solo di osservazioni sistematiche prolun-gate nel tempo e di valutazioni collegiali, ma an-che di azioni valutative che coinvolgono altri sog-getti, di processi di autovalutazione dell’allievo edi una costante rivisitazione del proprio insegna-mento e della progettazione educativa.

L’intersezione di tutti questi aspetti implicitinella valutazione sullo studente le fa acquistare unacaratteristica di specularità e produce effetti diautovalutazione dell’insegnante. Infatti, il docen-te che valuta il profitto dei suoi allievi non solonon può evitare di valutare sé stesso, ma si esponead essere valutato nei risultati della sua professio-ne. È in gioco un rispecchiamento dei risultati,che non può certo essere gestito come se fosseunidirezionale e solo tecnico, perché avrebbe ef-fetti didattici negativi, impoverirebbe la figura deldocente, ridurrebbe la consapevolezza, anche psi-cologica, del rapporto didattico e spezzerebbe ibinomi diritti/doveri, libertà/responsabilità.

Ne discende che stabilire il livello di accet-tabilità della competenza manifestata in situazio-ne rende valutativo l’intero contesto. Questa cir-costanza, di per sé, sollecita gli insegnanti a unlivello di professionalità molto alto e affida loro ilcompito di agire quel principio di giustizia, ineli-minabile in una società bene-ordinata, definito daRawl accordo equo e, aggiungo, sussidiario.

Tale principio vuole non solo promuovere ilbenessere dei suoi membri, ma è anche regolatoda una concezione pubblica della giustizia secon-do la quale ogni persona accetta e sa che gli altriaccettano i medesimi principi di giustizia, men-tre, dal canto loro, le istituzioni soddisfano inmodo riconosciuto tali principi19.

Ai fini della presente esposizione, arriviamo,così, alla coerenza fra esercizio della professione, re-sponsabilità educativa, cooperazione e rendiconta-zione. Ingredienti ineliminabili per un codicedeontologico degli insegnanti, che non si fermi a

generiche petizioni di principio, ma che contri-buisca anche a definire la qualità del sistema sco-lastico (Quality Management).

1 L. LABERTHONNIÈRE, Teoria dell’educazione, La Nuo-va Italia, Firenze 1937, p.31.

2 Cfr. I. BERLIN, Due concetti di libertà, Feltrinelli,Milano 1989 e H. ARENDT, Che cos’è l’autorità, in Tra pas-sato e Futuro, di A. DAL LAGO (a cura di), Garzanti, Mi-lano 1991.

3 Per il testo cfr. siti web dell’UE.4 Dalla indagine sono emerse numerose esperienze si-

gnificative circa le competenze qualificanti per la profes-sionalità degli insegnanti e i loro compiti senz’altroafferenti la deontologia: in Francia esiste un documentodi riferimento del 1994 per il livello primario e del 1997per il livello secondario; in Germania, nell’ottobre del2000 è stata pubblicata una dichiarazione congiunta del-la Conferenza Permanente dei Ministri dell’educazionee degli Affari Culturali e dei rappresentanti dei sindacatidell’istruzione, degli insegnanti e di altri sindacati cen-trali; in Spagna è stato stilato, nel 1996, il Código Deonto-logico de los Profesionales de la Educación in cui sono defi-niti i doveri dei docenti rispetto ad alunni, genitori e col-leghi. Altrettanto è stato espresso in Portogallo in duedocumenti ufficiali del 1990 e del 1998; per approfondi-menti cfr. www.eurydice.org.

5 Cfr. G. MALIZIA, Educazione alla cittadinanza demo-cratica. Quali prospettive in Europa, in Orientamenti pe-dagogici, 49, 2002, 1, pp. 113-122.

6 Il Documento è riportato negli Annali dell’Istruzio-ne 2002, nn. 2-3, pp. 125 ss., in particolare, cfr. il contri-buto di C. XODO, Professionalità docente, pp. 95-100.

7 Cfr. A. SEN, La disuguaglianza: un riesame critico, IlMulino, Bologna 1994, p. 47.

8 G. BERTAGNA, Avvio alla riflessione pedagogica, LaScuola, Brescia 2000, p. 89.

9 Ex art. 118 del modificato Titolo V della Costituzio-ne, legge 3 del 18 ottobre 2001 e successive modifiche del20 ottobre 2005, Atti Camera 4862-B; cfr. sul tema G.Bertagna, Valutare tutti, valutare ciascuno, La Scuola, Bre-scia 2004. pp. 91 ss.

10 G. Bertagna, cit., p. 127.11 Ibidem.12 Sono le parole di Aldo Agazzi nella Introduzione a:

La scuola serena di Agno, di M. Boschetti Alberti, La Scuo-la, Brescia 1955, pp.15-16.

13 G. Lombardo Radice, Lezioni di didattica e ricordidi esperienza magistrale, Sandron, Firenze, 1934, p. 64 ss.

14 G. Bertagna, Scuola e sussidiarietà, cfr. GiuseppeBertagna, Scuola e sussidiarietà, in Sergio Belardinelli (acura di), Welfare, Community e sussidiarietà, Egea, Mila-no 2005, pp. 129-149, p. 131.

15 Cfr. L. ANTONINI, La sussidiarietà come principio digovernance, in S. BELARDINELLI, cit. pp. 25 ss.

16 Profilo del secondo ciclo, Dlgs. 17 ottobre 2005,All. A, cit.

17 Profilo, All. D, Dlgs. 59 cit.18 G. BERTAGNA, Valutare, cit., pp. 137 ss.; id., Racco-

mandazioni, www.unibg.it/pers/?giuseppe.bertagna, p. 19.19 J. RAWLS, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Mila-

no 1982.

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La professione docente tra identità personalee costruzione di comunità.

L’attenzione ai circoli di “sapere di pratiche”*

GABRIELLA D’AGOSTINODottoranda di ricerca - Università di Bari

3. La metafora della scuola come sistema dicultura che apprende

ntendendo la formazione professionalecome ambito continuamente sottoposto arevisione, risulta interessante, da un puntodi vista pedagogico, riflettere per trovare

risposte anche provvisorie, su come sia possibilefavorire la formazione di un’identità delineata intermini di “permanenza” nel cambiamento e di“cambiamento” nella permanenza.

Per un percorso in tale direzione, dei suggeri-menti possono rinvenire dall’analisi della metafo-ra di scuola come sistema di cultura che apprende.

È grazie agli studi delle scienze dell’organizza-zione, del knowledge management e di quelli pro-venienti dal mondo della formazione in generale,che viene elaborata l’idea di organizational learninge learning organization ovvero di organizzazioniche imparano e viceversa dell’imparare dentro leorganizzazioni.

Tale concettualizzazione considera l’organizza-zione soggetto di apprendimento e l’apprendimen-to di tipo organizzativo come “processo attraver-so cui un’organizzazione... acquisisce e impiegaconoscenze, strumenti, comportamenti nuovi”.1

La learning organization, mette in evidenza nonsolo e non tanto l’aspetto individuale dell’appren-dimento, quanto quello collettivo che si caratte-rizza non come semplice somma di singoli appren-dimenti, ma sinergia che si crea o viene favoritatra apprendimenti individuali, all’interno di unprocesso complesso di generazione di ulterioriprocessi2.

Considerando la scuola in termini di organiz-

Izazione, interessanti indicazioni provengono dal-la classificazione realizzata da P. Shirivasta3 sulletipologie di apprendimento organizzativo. La ras-segna del 1983 che ovviamente non raccoglie icontributi di ricerca più recenti, ci offre peraltrodelle indicazioni interessanti individuando quat-tro differenti prospettive che parlano di apprendi-mento in relazione a:1) adattamento al contesto esterno4

2) categoria delle “assunzioni condivise”5

3) relazioni causa-effetto 6

4) “curva di esperienza”7.Nell’approccio di C. Argyris e A. D. Schon

che si è inteso privilegiare, il riferimento è alle“teorie dell’azione”8 ovvero a quei programmi diazione che il soggetto pone in essere e che cometali modificano sia “le strategie di azione o gliassunti a esse sottostanti”9 (apprendimento single-loop ovvero a circuito singolo)che i “valori dellateoria-in-uso”10 (apprendimento double-loop ovve-ro doppio circuito). È nel livello di apprendimen-to double-loop che si viene a creare un cambiamentonei valori e nei modelli di lettura del contestoformativo.

C. Argyris e A. D. Schon, definiscono l’appren-dimento organizzativo, come processo che si veri-fica quando i soggetti “sperimentano una situa-zione problematica”11 che peraltro risulta tale inrelazione alla “mancata corrispondenza tra i risul-tati attesi e i risultati effettivi”12. Questo evento-sorpresa crea una sorta di reazione da parte delsoggetto che risponde con nuovi processi di pen-

* La prima parte di questo articolo è stata pubblicata nel “Nodo” n. 27.

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siero e “corsi d’azione che conducono a modifica-re le immagini dell’organizzazione o il modo diintendere i fenomeni organizzativi, e a ristruttu-rare le attività... Perchè l’apprendimento... diven-ga organizzativo, esso deve radicarsi nelle imma-gini dell’organizzazione conservate nelle menti deisuoi membri e/o negli artefatti cognitivi (le map-pe, le memorie e i programmi) radicati nell’am-biente organizzativo”13. È evidente il valore cheviene dato sia alle rappresentazioni mentali che isoggetti creano nel loro giornaliero esperire, siaalla conservazione di queste ultime come memo-ria dell’organizzazione.

Nello stesso approccio di P. Senge, oltre che adun apprendimento adattivo14, si fa riferimento aun apprendimento generativo, ovvero di tipo cre-ativo, fonte di generazione di nuove conoscenze equindi in grado di fornire spinte al cambiamentoper la stessa organizzazione15.

È a questo tipo di apprendimento a cui si in-tende fare cenno quando si parla di scuola cheapprende ovvero di contesto in cui il singolo do-cente elabora, durante lo svolgersi della propriapratica lavorativa nuove teorie, valori, proceduredi azione che diventano nuovi apprendimenti ap-partenenti all’intera scuola, se conservati nellamemoria collettiva. In tal senso il docente diventarisorsa su cui puntare proprio in considerazionedel potenziale di intelligenza flessibile e creativada porre al servizio dell’intera comunità. Questo,tuttavia, richiede il riconoscimento di fronte a sestessi e agli altri della propria identità personale ela volontà di proporsi come professionista carat-terizzato dai tratti dell’autonomia, dell’innovazio-ne e della sperimentazione, dell’impegno consa-pevole e responsabile.

Nella proposta di R. M. Unger le organizza-zioni vengono considerate “contesti formativi”16,costituiti fondamentalmente da un insieme di or-dinamenti istituzionali e da una componente “im-maginativa”; gli elementi istituzionali fanno rife-rimento ai ruoli, alle funzioni, alla struttura dellerelazioni dell’organizzazione, mentre il contestoimmaginativo indica i valori, gli schemi cognitivi,il linguaggio, in generale la “cultura” in generale.Entrambi gli aspetti sono interrelati per cui lamodificazione dell’uno implica il cambiamentodell’altro.

La teorizzazione di C. Argyris e A. D. Schoncome quella di R. M. Unger rientrano nel recentefilone di studi che interpreta le organizzazionicome culture superando così le precedenti meta-fore della macchina e dell’organismo. Entrambi

gli approcci pongono l’accento sia sull’interazionesistemica tra soggetti, considerati generatori diconoscenze, che sul sistema culturale interno esimbolico-rappresentativo (ovvero così come risul-ta dalle rappresentazioni che i soggetti creano)dell’organizzazione stessa.

E proprio partendo da tali considerazioni èpossibile ritrovare delle associazioni forti tra l’ideadi organizzazione come cultura e contesto forma-tivo e la scuola, sottolineando come la compo-nente immaginativa, ovvero le rappresentazioniche i docenti individualmente e collettivamentecreano e che quindi sono il substrato delle loropratiche, costituisca elemento importante proprioperchè funge da agente primario nell’attribuzio-ne di senso e significato all’azione, da parte delsoggetto. È evidente che in tal senso non si vuolefare riferimento alla visione della scuola come or-ganizzazione-impresa, così come è stata elaborataa partire dalla fine degli anni ’60 e con modalitàdiverse viene riproposta ai giorni nostri, ma adun’idea di organizzazione-scuola come cultura.

Partendo dall’associazione organizzazione-cul-tura, nata nell’ambito delle scienze dell’organiz-zazione17, si intende giungere ad un’idea di orga-nizzazione-scuola come sistema culturale cherecupera la sua storia attraverso la valorizzazionedi quei saperi che crea o contribuisce a mantenerein vita. Parlare di sistema culturale, tuttavia puòdare luogo a diverse interpretazioni così come sonostate formulate nel corso del tempo.

Interessante risulta la classificazione operata daL. Smircich che individua cinque sostanziali defi-nizioni di cultura a cui corrispondono cinquedefinizioni di organizzazione18. Quelle a cui siintende far riferimento risalgono agli studi di W.Goodenough e di C. Geertz e indicano rispettiva-mente la cultura come sistema di conoscenze con-divise e come sistema di simboli e significati con-divisi. In tale prospettiva la cultura “non è sempli-cemente un attributo dell’organizzazione, ma leorganizzazioni stesse sono culture nel senso cheesistono solo in quanto rappresentazioni condivi-se degli attori”. Pertanto i significati che circola-no, nel nostro caso, nell’organizzazione scuola,non sono preesistenti alla interazione tra i sogget-ti, ma sono da questi ultimi generati. Come affer-ma lo stesso K. E. Weick l’organizzazione è il ri-sultato della interazione degli attori19.

La persona-docente portatrice di conoscenze,storia, valori ovvero di un sistema simbolico-af-fettivo, dove anche la corporeità gioca un ruoloimportante, contribuisce a determinare la cultura

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del contesto in cui opera e da questo ne viene orien-tata in uno scambio continuo che genera comuni-tà e identità. La dimensione comunitaria dicondivisione di simboli, rappresentazioni, com-portamenti, appartiene costitutivamente al sogget-to poiché in relazione con tutto ciò che è altro dasé, senza peraltro che questo possa precludere l’ori-ginaria unicità e irripetibilità di cui ognuno è por-tatore. Del resto “...il pensiero umano è fondamen-talmente sia sociale sia pubblicoÉ.non consiste inavvenimenti nella testa ma nel traffico di simbolisignificanti”20. “Tra quello che ci dice il nostrocorpo e quello che dobbiamo sapere per funzio-nare c’è un vuoto che dobbiamo riempire noi stes-si... con le informazioni fornite dalla nostra cultu-ra”21.

La metafora della scuola come sistema cultura-le che apprende, tuttavia, pur accogliendo e valo-rizzando la dimensione della culturalità come ri-ferimento preciso, deve riconoscere primariamenteil valore della singolarità del soggetto che nella suairripetibilità elabora e vive corporalmente il mon-do simbolico in un succedersi di condivisioni edivergenze che rendono sostanzialmente impre-vedibile il suo essere futuro. Ed è proprio in que-sto alternarsi di condivisioni e divergenze che vie-ne a connotarsi l’idea di comunità docente.

A tal proposito indagare i rapporti tra singola-rità e comunità in vista della ricerca di un equili-brio riconoscibile nella sua precaria instabilità,esprime l’intento di trovare punti di incontro e disintesi tra dimensioni quali la singolarità della per-sona/docente e la comunità scolastica che risulte-rebbero inconciliabili qualora non vi fosse un’azio-ne orientata a coglierne la complementarietà.

4. La comunità docente

La teorizzazione sulla comunità docente nonpuo’non richiamare le prime riflessioni sulla co-munità che risalgono agli studi sociologici del XIXsecolo di Tonnies, Durkeim, Weber e più recente-mente a quelli di L. G. Beck, W. Foster, C. Merz,G. Furman, T. Sergiovanni e Starratt. Nello spe-cifico, F. Tonnies propone una distinzione traGemeinschaft (comunità del passato) e Gesel-lschaft (società moderna), quali idealtipi di socie-tà. Ciò che differenzia la prima dalla seconda è lareciproca comprensione dei suoi membri, non nelsenso di accordo raggiunto dopo tentativi conti-nui di negoziazione, ma come “sentire comune ereciproco”22, “intima conoscenza”23 condizionatae stimolata “dalla partecipazione immediata di un

essere alla vita dell’altro, dall’inclinazione alla sim-patia nella gioia e nel dolore”24. La comunità sibasa su una sorta di sentimento reciprocamente vin-colante che precede ogni forma di aggregazione eche ne costituisce il collante.

Tonnies pone la naturalezza di tale comprensio-ne comune, tipica delle comunità del passato, qua-le elemento di differenza rispetto alla continua econflittuale ricerca di consenso, tipica delle socie-tà moderne e individua nell’aspetto “naturale”,“intuitivo”, inesprimibile, tacito, intrinseco dellasuddetta comprensione comune, l’origine di ogniforma di aggregazione; esclude, inoltre, la presen-za di qualsiasi forma di impegno riflessivo nelladirezione della costruzione di forme aggregative,proprio in considerazione dello spontaneo lega-me che si crea e che permette ai membri della co-munità di comprendersi senza estenuanti discus-sioni.

L’interpretazione che viene data di comunitàevidenzia il senso di appartenenza, la comunionedi intenti e di sentimenti che esiste originariamentenelle diverse forme di aggregazione, a differenzadella conflittualità che si crea nei negoziati tipicidelle società.

Dello stesso negoziato possono essere, tuttavia,riconosciuti significati differenti; se il termine25,ha un’origine legata al mondo economico nel sen-so di contrattare sul prezzo di un bene duranteuna compravendita, per cui fa riferimento all’uti-le maggiore che il soggetto può riuscire a spuntarenello scambio, in un senso differente e più estesopuò riguardare l’interesse comune di trovare solu-zioni che rispondano alle intenzioni di entrambele parti.

Tonnies ponendo Gemeischaft e Geseillschaftquali poli opposti emblematici di raggruppamen-to umano, idealtipi non esistenti nella realtà informe pure, lascia aperta l’indagine intorno a quel-le dimensioni intermedie che uniscono originariaappartenenza al genere umano e impegno perso-nale e collettivo nella costruzione di aggregazionisociali. Va riconosciuto, accanto alla spontanea enaturale esigenza di comunione con l’altro, lasignificatività di una formazione che favorisca l’in-contro con l’altro, che apra al confronto critico eriflessivo in vista di una continua crescita indivi-duale e collettiva.

Nella delineazione del concetto di comunità,ciò che va considerato non è soltanto la preesi-stenza di un sentimento comune di appartenen-za, di cui peraltro non se ne disconosce l’impor-tanza, quanto la presenza e la formazione di una

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mentalità e di una sensibilità aperte ad accoglierel’altro portatore di una cultura e di una personali-tà particolari, da cui scaturisce la disponibilità acreare giorno dopo giorno comunità dai contornimai definiti e assoluti.

Se Tonnies parla di tre forme di comunità qualiquella “di sangue” (nel senso di unità dell’essenzaumana), “di luogo” (nel senso di coabitazione), “dispirito” (nel senso di connessione della vita menta-le)26, che si implicano a vicenda, T. Sergiovanni nel-la rielaborazione che ne fa, accostando l’idea di scuo-la, suggerisce una quarta forma di comunità , ovve-ro quella di memoria che consolida l’unione di in-tenti nata dalla condivisione di valori ed idee. Laprima forma di Gemeinschaft/Scuola indica unacomune appartenenza umana, la Gemeinschaft/Scuola di luogo è data dalla convivenza in unostesso luogo, la Gemeinschaft/Scuola di spirito siriferisce al legame che si crea nella ricerca di unoscopo comune e nella condivisione di concezionidell’esistenza, la Gemeinschaft/Scuola di memoriacostituisce il rafforzamento dell’unione attraversola tradizione27.

La scuola, mai identificabile con uno solo de-gli idealtipi indicati, può essere tale se si muovenella direzione della costruzione di comunità intutte le diverse accezioni e ai docenti, oggi più chemai preoccupati di definire il proprio ruolo, vaaffidato il compito di avviare un circolo virtuosodi impegno cooperativo che coinvolga tutte lecomponenti scolastiche.

Interessanti a tal proposito le esperienze di al-cune scuole americane che avvertendo il bisognodi comunità ne hanno sperimentato la costruzio-ne offrendo così validi risultati sul piano dell’or-ganizzazione scolastica, delle relazioni interne,della leadership, dell’idea di educazione che si ca-ratterizza per il suo “prendersi cura”28.

Ulteriori suggerimenti intorno all’idea di co-munità docente possono giungere dall’elaborazio-ne di Etienne Wenger della comunità di pratica.Lo studioso ne delinea i contorni individuandotre indicatori di riconoscimento:1) l’impegno reciproco (mutual engagement);2) l’impresa comune ( joint enterprise);3) il repertorio condiviso (a shared repertoire)29.

La comunità di pratica è un’aggregazione di per-sone che si impegnano reciprocamente e collabora-tivamente nello svolgimento di un’impresa comu-ne e che condividono una “cultura” ovvero linguag-gi, conoscenze, valori, comportamenti, pratichemodalità di rappresentazione della realtà.

Conseguentemente, risultano punti chiave in

prospettiva pedagogica l’intenzionalità del soggettonell’assunzione dell’impegno a collaborare per losvolgimento di un compito di cui se ne riconosceil valore, all’interno di un contesto di significazionicondivise. Il legame comunitario che si crea al-l’interno di un gruppo, nasce dalla volontà di rea-lizzare un’impresa a cui viene data una valenza ,dal riconoscimento che è importante l’apportodegli altri e che è possibile lavorare insieme facen-do leva su una “cultura” comune.

Se pensiamo alla scuola ci rendiamo subito con-to di come spesso in modo formale ed informalesi costituiscano gruppi di lavoro, nel senso di co-munità di pratica, uniti da una storia collettiva edalla volontà di raggiungere un obiettivo comunedi cui se ne riconosce il senso.

Il docente in tale posizione, gioca un ruolodeterminante poichè attraverso l’esercizio dellascelta mette in atto un agire pratico, responsabilee consapevole, portatore di significati di senso.

La comunità di pratica veicola una idea di “co-gnizione come attività collettiva, socialmente di-stribuita e organizzata”30. L’assunto di base è chel’apprendimento è un processo sociale (quindi nonesclusivamente individuale) che avviene attraver-so la collaborazione e l’impegno dei soggetti e inmodo situato31 ovvero all’interno di pratiche32 in-tese come saperi che non sono elaboraticognitivamente dal soggetto, ma che risultano di-stribuiti33 nei diversi elementi fisici e simbolici delcontesto.

In termini pedagogici, oggetto di indagine, di-venta la possibilità di orientare e sostenere la for-mazione docente attraverso lo scambio interper-sonale e analizzare le valenze formative delleaggregazioni comunitarie, scongiurando i perico-li dell’omologazione e dell’appiattimento che pos-sono nascere nell’adeguarsi a idee e modalità dipensiero comuni. Parlare di comunità docente si-gnifica di certo riconoscere che si tratta di un’ag-gregazione non solo istituzionale di soggetti, mache nasce dalla condivisione di sentimenti, idee,valori rappresentazioni mentali, comportamenti.

Lo stesso E. Damiano in un suo recente studio,ricostruisce elementi e fattori di cambiamento dellaformazione docente negli ultimi trent’anni, co-gliendo nella valorizzazione dei docenti, comuni-tà professionale di pratiche, il percorso da intra-prendere ai giorni nostri34.

La comunità docente nella dimensione collet-tiva come anche in quella individuale (di ogni sin-golo soggetto), costituisce l’espressione pratica diuna storia costruita attraverso la partecipazione

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critica, riflessiva e responsabile. In tale senso piùche all’appartenere ad una comunità si intende farriferimento al fare comunità ovvero all’impegnopersonale nel costruire la comunità, individuan-do punti comuni e di divergenza e lavorando suentrambi nel rispetto della maggioranza e delleminoranze.

Il fare comunità valorizza l’intenzionalità/vo-lontà della singola persona docente di:1) trovare comunanze e differenze;2) dialogare, confrontarsi, mettersi in discussio-

ne;3) sperimentare il nuovo, tutto ciò che è diverso.

La messa in atto di tale intenzionalità costitui-sce il punto di partenza per l’elaborazione di nuo-ve interpretazioni della realtà e per la sperimen-tazione di nuove pratiche professionali. Fare co-munità significa non subire l’appartenenza algruppo , ma contribuire singolarmente e colletti-vamente alla sua formazione, implica il rifiutoverso qualsiasi forma di inquadramento all’inter-no di un sistema chiuso e predefinito.

È la scelta consapevole a dover rivestire un ruo-lo primario poiché permette ad ognuno di mani-festare compiutamente il proprio sé all’interno diuna comunità “progetto che si fa vita ed esperien-za vissuta lungo itinerari che vanno continuamentetracciati”35 grazie all’apporto di tutti e di ognunoe nel rispetto del valore persona.

La comunità docente va intesa non come insie-me indistinto di operatori, ma come costruzionecontinua, individuale e collettiva di significati e diorizzonti di senso da porre ad orientamento dellepratiche quotidiane di esercizio della professiona-lità. Assumono così un valore differente le prati-che che i docenti pongono in essere per affrontarela complessità scolastica, proprio in considerazio-ne del portato di significati di cui sono depositarie.

5. Sapere pratico e circoli di sapere di pratiche

Parlare di sapere pratico può indurre in primaistanza l’interpretazione che si voglia porre unaseparazione/opposizione rispetto al sapere teori-co; contrariamente le seguenti considerazioni in-tendono evidenziare come il sapere pratico sia lacombinazione sistemica di pensiero e azione eproprio perché in tal modo strutturato, rispondaal tentativo di ricomporre in unità l’essere uomo.La storia del pensiero ci rivela che per secoli teo-ria e prassi si sono alternate e contrapposte costi-tuendo due diversi modi di produrre conoscenza.

La filosofia aristotelica, ad esempio, aveva con-

segnato il primato al sapere teorico, quale fonda-mento della vita contemplativa, ed aveva identifi-cato il filosofo con il sapiente ovvero con coluiche, al di sopra e al di là del reale, era capace dicontemplarne la struttura stabile celata sotto l’ap-parente variare. Significativo è l’elogio che Ari-stotele fa della vita contemplativa36, quale attivitàche permette all’uomo di accedere alla più altadelle virtù della ragione teoretica (la sapienza ov-vero la sophía) e di accostarsi in tal modo alle coseimmortali. Anche se si ritrova in Aristotele il con-cetto di azione, la forma più alta rimane la con-templazione.

Fino ai giorni nostri il sapere teorico ha man-tenuto prevalentemente posizioni di rilevanza esolo a partire dagli anni ottanta gli studi organiz-zativi ne hanno offerto una diversa interpretazio-ne valorizzando il sapere pratico, contestuale ecostituito da elementi di riflessività e dall’azione.

Tale sapere, nell’elaborazione fornita da Vino,risulta caratterizzato da: a) unicità, poiché ognisituazione è costituita da tratti peculiari dal mo-mento che unico è il soggetto agente; b) ambigui-tà, poichè diverse sono le interpretazioni e i signi-ficati che ad ogni situazione dà il soggetto; c)imprevedibilità in relazione all’irripetibilità delsoggetto; d) provvisorietà dal momento che l’azio-ne è causata da altre azioni e ne genera di ulterio-ri; e) conflitto di valori, poiché nella determina-zione di ciò che è “ buono”, “giusto”, “utile”, sirichiamano sistemi di valori che possono entrarein conflitto37.

L’azione, pertanto è strettamente legata al sog-getto che la compie, fondamentalmente “senza unnome, un chi attaccato, è priva di significato”38.

Per la Arendt è attraverso le parole e le azioniche gli uomini esprimono la propria identità e talerivelazione “emerge quando si è con altri, non per,né contro altri, ma nel semplice essere insieme”39.È evidente l’importanza che viene dato all’in-contro, quale momento per esprimere se stessi ealla rete di relazioni che si crea, quale ambito al-l’interno e per mezzo del quale l’azione può at-tuarsi, seguire e generare ulteriori atti. L’agire diognuno si inserisce all’interno di una combina-zione di “volontà e intenzioni... ed è anche a cau-sa di questo medium che essa produce storie”40.

“Sebbene ognuno incominci la propria vita in-serendosi nel mondo umano attraverso l’azione eil discorso, nessuno è autore o produttore dellapropria storia... Qualcuno dà loro inizio e ne èsoggetto nel duplice senso della parola, di attorecioè e di paziente...”41.

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Non si ha agire nell’isolamento come non vi èparlare nella solitudine, ma è attraverso l’incon-tro/scontro con l’altro che quell’azione e quel di-scorso giungono ad approdi inaspettati, assumo-no significati, diventano storie se raccontate. È poinella ricostruzione di quelle storie tramite la ri-flessione critica che si può dare un senso al no-stro agire; esiste una correlazione tra identità, pen-siero e azione42dal momento che quest’ultima havalore in quanto espressione dell’unicità di ognu-no e può essere ricostruita solo a posteriori attra-verso un’opera di riflessione su ciò che è accadu-to, mai conclusa una volta per tutte, ma continua-mente rigenerata dal dialogo tra gli uomini.

Dare valore all’azione, nello specifico del no-stro discorso, significa evidenziare come il docen-te, attraverso ogni suo atto esprima il proprio es-sere persona e interpreti in modo contestuale edialogico la situazione professionale attivando statimentali ed affettivi, comportamenti e atteggiamen-ti significativi che costituiscono quel sapere riferi-to alla prassi di cui ognuno di noi è portatore. Lastretta corrispondenza tra identità , azione e pen-siero, vuole indicare come attraverso l’agire ildocente possa compiutamente manifestare la pro-pria professionalità e nel manifestarla, chiarirlariflessivamente giorno dopo giorno di fronte a sestesso e agli altri. L’identità professionale di cui sivuole parlare, va compresa nel senso non di chiu-sura, individualismo, isolamento, ma come conti-nuo processo di costruzione di sé, attraverso e al-l’interno di una “sfera pubblica”43, intesa con rife-rimento alla polis ovvero espressione di pluralitàe di confronto dialogico. La dimensione politica ecomunitaria della scuola mette in evidenza comenon siano l’efficienza e l’efficacia gli obiettivi pri-mari da privilegiare, pur nella considerazione chevada ad essi rivolta un certa attenzione, ma la for-mazione continua di una disponibilità all’ascolto,al dialogo e alla costruzione di percorsi comuninella condivisione di significati forti e fondantirelativi alla professionalità docente.

Le pratiche che i docenti mettono in atto sonol’espressione di un particolare e personale mododi interpretare la professione e per questo sonoportatrici di significati profondi e di orizzontivaloriali, che vanno individuati e palesati attraver-so il dialogo. Tali impliciti assurgono, infatti, alivelli di piena consapevolezza e di chiarezza at-traverso il racconto/dialogo sulle storie vissute. Lacomplessità e l’incertezza, aspetti che caratteriz-zano la professione docente, possono essere in uncerto modo superate non attraverso una forma-

zione specialistica, ma attraverso l’acquisizione diuna abitudine alla riflessione nel corso dell’azio-ne44. “Quando qualcuno riflette nel corso dell’azio-ne, diventa un ricercatore operante nel contestodella pratica... Egli non tiene separati i fini dai mez-zi, ma li definisce in modo interattivo, mentrestruttura una situazione problematica”45.

La riflessività aiuta il docente a trovare con-nessioni ma anche differenze con le precedentiesperienze, che gli permettono di affrontare lanuova situazione in modo contestuale, sperimen-tando innovative modalità di azione. “Se è la no-stra capacità di vedere come e agire come che ci con-sente di avere una sensibilità per i problemi chenon si adattano a regole esistenti”46, è l’azione checi permette di scoprire il nuovo. La riflessione nelcorso dell’azione quindi, è strettamene collegataalla sperimentazione di nuovi corsi di azione. Essa,tuttavia, può assumere le forme del dialogo inte-riore e di quello comunitario per cui individual-mente e collettivamente il docente può ricostrui-re prima, durante e dopo l’attività didattica quellarete di significati che orientano il proprio agire.

Il dialogo costruito sulle esperienze vissute daldocente con l’esplicitazione delle pratiche utiliz-zate, non costituisce un semplice resoconto di atti,ma una riaffermazione del proprio sé personale eprofessionale, storia che si evolve attraverso loscambio con l’altro. Non va dimenticato che inogni atto ci sono gli attori con le loro motivazionie le loro visioni della vita47.

Diventano, pertanto, determinanti ai fini dellacostruzione dell’identità professionale aspetti quali:

a) l’esercizio della riflessività,b) la circolazione di quei saperi di pratiche che

appartengono al singolo docente, ma che se scam-biati diventano patrimonio collettivo. Denomi-natore comune ad entrambi gli aspetti, è ilcostitutivo senso etico dell’insegnare, la ricerca disignificati sottostanti all’agire, che richiamanoun’idea di persona-docente, soggetto critico,propositivo ed eticamente connotato, che si assu-me la responsabilità delle scelte educative da con-dividere con alunni e genitori.

E. Damiano ricostruendo l’evolversi dei mo-delli di formazione nel passaggio da quello conse-cutivo teoria-prassi a quello integrato, coglie lanuova immagine del docente come professionistapratico-riflessivo, ma anche e soprattutto comeagente morale48.

Una tale idea di docente porta alla valorizza-zione di tutte quelle esperienze professionali quo-tidianamente vissute con impegno e responsabili-

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tà nel tentativo di trovare le soluzioni conte-stualmente adatte alle complesse problematichescolastiche ed eticamente avvalorate da un proget-to educativo.

Pensare è cercare significati49, per cui ogni inse-gnante è depositario di un particolare sapere cheesprime nel proprio agire e che, qualora scambia-to e messo in circolazione, costituisce patrimoniodell’intera comunità scolastica.

Parlare di circoli di sapere di pratiche significafare riferimento all’unicità dell’essere persona-do-cente che, in quanto tale, interpreta in modo pe-culiare la vita scolastica utilizzando pratiche cheforniscono il quadro di una precisa identità perso-nale e professionale. Partire dall’analisi di tali pra-tiche per individuare saperi comuni quale risulta-to di un’attività riflessiva di generalizzazione diesperienze professionali personali costituisce uncampo di indagine estremamente innovativo cheintende cogliere l’articolarsi di singolarità e co-munità.

I saperi, nel senso di visioni della realtà chespesso vengono più che verbalmente, tacitamentecomunicati attraverso atteggiamenti, comporta-menti, pratiche quotidiane, costituiscono il teso-ro di una comunità scolastica che valorizza la sin-golarità nella pluralità, l’unicità nella differenza,la libertà nell’appartenenza.

Sostenere la circolazione di quei saperi attra-verso lo scambio dialogico formale e informale tradocenti, può costituire un interessante percorsodi costruzione della professionalità docente. Lacomunità scolastica presenta una grande varietàdi storie, estremamente interessanti per i signifi-cati a cui rimandano, che spesso si perdono conl’allontanarsi dei loro protagonisti. Favorire la ri-costruzione di quei saperi e sostenerne la circola-zione attraverso il dialogo interiore e quello co-munitario, costituisce un modo per conservarenella memoria collettiva la storia unica di ognidocente che si fa storia comune.

La valorizzazione delle esperienze di ognuno edell’intera comunità, la formazione di una men-talità aperta e collaborativa, la creazione di un cli-ma positivo e di un ambiente dialogico, ilcoinvolgimento di tutti i docenti alla vita dellascuola, possono costituire aspetti da considerarenell’esercizio della professionalità. È in tale pro-spettiva che i circoli di sapere di pratiche rappre-sentano il momento e il contesto durante e all’in-terno del quale condividere esperienze di cui sene riconosce la valenza, non in quanto sempliciatti, ma poiché espressione di sistemi di pensiero

che appartengono al singolo e che possono esseremessi in comune.

Il sapere pratico infatti, oltre ad essere retro-spettivo, riflessivo, narrativo, contestuale, è ancheconoscenza generata dall’azione e orientata al fu-turo50. A tal proposito K. E. Weick esplicita il con-cetto di sensemaking come costruzione di signifi-cato da parte di un soggetto attivo51 e fornisce ledifferenti interpretazioni dei ricercatori che di talecampo di indagine si sono occupati.

Il sensemaking è creazione, produzione di sen-so e non semplice interpretazione; è ristruttu-razione all’interno di una nuova cornice di senso,di una situazione incerta che inizialmente nonha alcun significato52.

Thayer ci offre altri suggerimenti attraverso lesue ricerche in cui elabora la definizione di leadercome soggetto “che dà agli altri un senso diversodel significato di quello che fanno ricreandolo inuna forma diversa nella stessa maniera in cui unpittore o scultore o poeta che fa scuola fornisce aisuoi seguaci un modo diverso di “vedere”– e quin-di di dire e di fare e di conoscere nel mondo.Unleader non dice le cose “come stanno”; le dice comepotrebbero essere...53.

Nella visione di una leadership diffusa all’inter-no della scuola,uno dei punti cruciali risultal’individuazione di percorsi formativi volti a faracquisire ai docenti la competenza di osservare lecose in modo diverso e con uno sguardo progettualee di sviluppo futuro. Si tratta di riuscire a superarel’incertezza di una situazione che presenta caratte-ristiche insolite costruendo significati nuovi chedanno un’impostazione innovativa al problema.Tale chiarificazione, tuttavia, avviene spesso retro-spettivamente rispetto alla situazione in cui ci ri-trova o che è stata creata. “Le persone danno sensoalle cose confrontandosi con un mondo al qualehanno attribuito ciò in cui credono”54.

In tal senso è da cogliere la proposta di favorirela creazione di circoli di sapere di pratiche: è attra-verso un confronto di significati che è possibilecostruirne di nuovi. La predisposizione di conte-sti e di momenti all’interno dei quali e durante iquali i docenti possono dialogare sulle praticheutilizzate per scambiare e costruire significa-ti,costituisce l’idea di fondo dei circoli di sapere,quale cammino per la formazione di una profes-sionalità in continua evoluzione. La dizione cir-coli di sapere di pratiche55 fa riferimento alle dina-miche interattive e di interscambio che favorisco-no la circolazione di rappresentazioni mentali,valori, comportamenti di cui sono portatori i

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membri della comunità scolastica e che come talifacilitano lo sviluppo del senso di appartenenza eil confronto critico/riflessivo, in vista della perso-nale costruzione dell’identità professionale. Co-stituiscono una modalità che intende favorirel’individuazione di saperi comuni attraversoun’azione di generalizzazione riflessiva delle pra-tiche professionali in uso.

I circoli di sapere di pratiche si differenziano dallavoro di gruppo perchè valorizzano:

a) la diffusione in termini di ricostruzione cri-tico/interpretativa di saperi intesi nel senso di vi-sioni della realtà, prospettive, percezioni, valoriche sottendono le pratiche utilizzate di docenti;

b) la realizzazione di una leadership diffusa eallargata che favorisca la partecipazione attiva epersonale dei membri della comunità scolastica.

In conclusione, da un punto di vista pedagogi-co, è la visione del docente quale persona unica,attiva, creativa, autonoma e depositaria di una sto-ria personale e professionale ricca ed articolata, acostituire la premessa di fondo per la creazione diuna comunità di luogo, di pensiero e di memoriache favorisca la realizzazione di circoli di saperedi pratiche quali percorsi progettuali divalorizzazione, diffusione e creazione di esperienzescolastiche.

1 W. BENNIS, B. NANUS, Leader, the Strategies forTaking Charges, Harper & Row, New York 1985.

2 Cfr. M. TOMASSINI, Alla ricerca dell’organizzazioneche apprende, Edizioni Lavoro, Roma 1993.

3 Cfr. P. SHRIVASTAVA, A Typology of OrganizationalLearning Systems, in “Journal of Management Studies”, 20,n. 1, 1983, pp. 7-28.

4 Cfr. R.M. CYERT, J. C. MARCH, A Behavioral Theoryof the Firm, Englewood Cliffs, NJ Prentice Hall, New York1963, trad. it. Teoria del comportamento dell’impresa, FrancoAngeli, Milano 1970; V. E. CANGELOSI, W. R. DILL,Organizational Learning: observations toward theory, in“Administrative Science Quaterly”, 1965, 10, pp. 175-203;J. G. MARCH, J. P. OLSEN, The Uncertainity of the Past:Organizational Learning under Ambiguity, in “EuropenJournal of Political Research”, 1975, 3, pp. 147-171 oppurein J. G. MARCH, Decisioni e organizzazioni, trad. it., Il Mu-lino, Bologna 1993.

5 C. ARGYRIS, A. D. SCHON, Organizational Lear-ning: A Theory of action Perspective, Addison Wesley, ReadingMass. 1978. Confronta anche I. MITROFF, J. R. EMSHOFF,On strategic assumption-making: a dialectical approch to policyand planning, in “Academy of Management Review”, 1979,vol. 4, 1, pp. 1-12; R. O. MASON, I. MITROFF, ChallengingStrategic Planning Assumptions, Adison-Wesley, ReadingMass. 1981.

6 Cfr. R. B. DUNCAN, A. WEISS, Organizationallearning: implications for organizational design, in “Researchin Organizational Behavior”, Staw, Barry ed., JAI Press,Greenwich Conn. 1978.

7 Cfr. BOSTON CONSULTING GROUP, Perspectiveon Experience, Boston Consulting Group Inc., Boston 1968.

8 Cfr. C. ARGYRIS, A. D. SCHON, ÄTheory in Practice,Jossey-Bass, San Francisco-Washington, London 1974.

9 C. ARGYRIS, A. D. SCHON, Organizational Learn-ing II, Theory, Method and Practice, Addison Wesley, ReadingMass., 1978, trad. it. Apprendimento organizzativo, Guerinie Associati, Milano 1998, pag. 35.

10 Ivi11 Ivi, pag. 30.12 Ivi.13 Ivi.14 In riferimento al pensiero adattivo manageriale in rap-

porto con le dinamiche dell’apprendimento cfr. R. M.CYERT, J. G. MARCH, A Behavioral Theory of the Firm,op.cit.

15 Per un approfondimento cfr. P. SENGE, The Fifth Di-scipline: The Age ad Practice of the Learning Organization,Century Business, London 1990.

16 Cfr. R. M. UNGER, False Necessity, CambridgeUniversity Press, Cambridge 1987, pag. 58. Cfr anche, nellariproposizione del concetto C. U. CIBORRA, G. F.LANZARA, I labirinti dell’innovazione: routine organiz-zative e contesti formativi, in “Studi organizzativi”, 1988, 2,pp. 113-134.

17 Del gran numero di autori che hanno studiato la di-mensione culturale delle organizzazioni si citano comebibliografia minima: P. SEZNICK, Leadership inAdministration, Harper & Row, New York 1957, trad. it.,La leadership nelle organizzazioni, Franco Angeli, Milano,1984; P. LAWRENCE, H. LORSCH, Organization andEnvironment, Harvard Unversity Press, 1969; H.S.BECKER, Cultures: A sociological view, in “Yale Review”,1982, n. 71 (Summer); P. J. FROST, L. F. MOORE, M. R.LOUIR, C. C. LUNDBERG, J. MARTIN, OrganizationalCulture, Sage, Beverly Hills CA, 1985; L. R. PONDY, P.FROST, G. MORGAN, T. DANDRIDGE, OrganizationalSymbolism, CT: JAI Press, Greenwich 1983; E. H. SCHEIN,Organizational Cultures and leadership, Jossey-Bass Pub-blishers, 1985, trad. it., Lezioni di consulenza, Cortina, Mila-no, 1992; P. GAGLIARDI (a cura di), Le impresse come cul-ture, Isedi, Torino 1986; B. CZARNIAWSKA-JOERGES,Exploring Complex Organizations: Cultural Perspective, Sage,Newbury Park 1992.

18 Cfr. L. SMIRCICH, Concepts of culture an organiza-tional Analysis, in “Administartive Science Quarterly”, 1983,28, pp. 339-358.

19 Cfr. K. E. WEICK, The Social Psycology of Organizing,Newbery Award Records, 1969, trad. it., Organizzare, ISEDI,Torino 1993.

20 C. GEERTZ,The Interpretation of Cultures, BasicBooks, Inc., New York 1973, trad. it., Interpretazione di cul-ture, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 86-87.

21 Ivi pag. 92.22 F. TONNIES, Gemeinschaft und Gesellschaft, O.R.

Reislad, Leipzig 1887, trad. it., Comunità e società, Edizionidi Comunità, Milano 1979, pag.62.

23 Ivi.24 Ivi.25 Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani: Negozia-

re dal latino negotiari significa in senso intransitivo”esercitareun commercio” e in senso transitivo “fare oggetto di con-trattazione per la compra-vendita”; per estensione nel lin-

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guaggio dei diplomatici, indica il “trattare, il fare trattativepreliminari di un accordo”.

26 Cfr. F. TONNIES, Gemeinschaft und Gesellschaft, O.R.Reislad, Leipzig 1887, trad. it., Comunità e società, Edizionidi Comunità, Milano 1979, pag. 57.

27 Cfr. T. SERGIOVANNI, Building Community inSchools, Jossey-Bass Inc Pubblishers, San Francisco, Cali-fornia 1994, ed. it. M. COMOGLIO (a cura di), Costruirecomunità nelle scuole, LAS, Roma 2000.

28 Ivi.29 E. WENGER, Communities of practice: Learning,

meaning, and identity, Cambridge University Press, Cam-bridge 1998, pag. 78.

30 S. GHERARDI, La conoscenza, il sapere e l’apprendi-mento nelle comunità di pratica, in “Studi organizzativi”,2000, 1, pag. 7.

31 J. LAVE, E. WENGER, Situated Learning: Legitimateperipheral participation, Cambridge University Press, Cam-bridge, 1991.

32 Si rimanda al prossimo paragrafo per la precisazionecirca i significati di sapere pratico.

33 Cfr. H. BORKO, R. T. PUTNAM, Learning to teach,in D. C. BERLINER, R. C. CALFEE (a cura di), Handbookof educational psycology, New York: MacMillan, 1996, pp.673-708; A. S. PALINSCAR, S. J. MAGNUSSON, N.MARANO, D. FORD, N. BROWN, Designing a com-munity of practice: Principles and practices of the GisML com-munity, in “Teaching and Teacher Education”, 1998, 14, pp.5-21; R. T. PUTNAM, H. BORKO, Teacher learning:Implications of new views of cognition, in B. J. BIDDLE, T.L. GOOD, I. F. GOODSON (a cura di), Internationalhandbook of teachers and TEACHERS AND TEACHIENG,Dordrecht: Kluver 1997, pp. 1224-1296.

34Cfr. E. DAMIANO, L’insegnante. Identificazione di unaprofessione, La Scuola, Brescia 2004, pp. 232-254.

35 C. SCAGLIOSO, Comunità e globalizzazione, Uni-versità per Stranieri di Siena, Siena 2003, pag. 54.

36 Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, X.37 Cfr. A. VINO, Sapere pratico. Competenze per l’azione,

apprendimento, progettazione organizzativa, Guerini e As-sociati, Milano 2001, pp. 75-76.

38 H. ARENDT, Vita activa, op. cit., pag. 191.39 Ivi, pag. 190.40 Ivi, pp. 194-195.41 Ivi, pag.195.42 Cfr. H. ARENDT, Vita activa, op. cit.43 Ivi, pp. 34-65.44 Cfr. D.A. SCHON, The Reflexive Practitioner, Basic

Books, Inc., New York 1983, trad. it., Il professionista rifles-sivo, Dedalo, Bari 1993.

45 Ivi, pag. 94.46 Ivi, pag. 159.47 Cfr. C. MATTINGLY, Narrative Reflections on Pratical

Actions, in D. SCHON, The Reflective Turn, Teachers CollegePress, Columbia University Press, New York 1991.

48 Cfr. E. DAMIANO, L’insegnante. Identificazione diuna professione, La Scuola, Brescia 2004, pag. 313 e 319.

49 Cfr. A. VINO, Sapere pratico. Competenze per l’azione,apprendimento, progettazione organizzativa, Guerini e As-sociati, Milano, 2001, pag. 62-66.

50 Cfr. A.VINO, Il sapere pratico, op. cit. pp. 80-89.51 Cfr. K. E. WEICK , Sensemaking in Organizations,

Sage Publications, Inc. 1995, trad. it., Senso e significato nel-l’organizzazione, Raffaello Cortina, Milano 1997, pag. 4.

52 Cfr. D. A. SCHON, Il professionista riflessivo, op. cit.,pag. 40.

53 L. THAYER, Leadership/communication: a criticalreview and modest proposal, in G. M. GOLDHABER, G.A. BARNETT, (a cura di), Handbook of Organizational Com-munication, Ablex, Norwood, New York pag. 250.

54 K. E. WEICK, Sensemaking in Organizations, op. cit.,pag. 15.

55 Tale concetto è stato introdotto dalla sottoscritta nel-l’ambito del Progetto europeo COMENIUS N. 94158-CP-1-2001-1—FR-COMENIUS-C21 di cui fa parte, coordinatodalla prof.ssa Claudie Rault, IUFM Versailles e per l’unitàlocale dalla prof.ssa Luisa Santelli Beccegato dell’Universitàdi Bari.

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1. Per molteplici ragioni – di carattere strutturalee congiunturale – l’odierna società può definirsicomplessa, e da due punti di vista riteniamo cheessa interpelli in modo particolare l’educazione,vale a dire nell’ottica epistemologica e in quella eti-ca, nel senso che dal punto di vista del conoscere eda quello dell’agire ci si trova di fronte ad un plu-ralismo che fa problema.

Infatti, il pluralismo dei saperi e delle culturecomporta una sfida innovativa non meno che im-pegnativa; la possiamo sintetizzare nel dupliceinterrogativo: come passare da una molteplicitàdi conoscenze e competenze, che rischiano di pro-durre frammentazione, ad un sapere entro cui eser-citarle in modo organico? Come passare da unamolteplicità di culture e tradizioni, che rischianodi produrre una conflittualità ingovernabile, aduna società che le faccia interagire in modo fecon-do? Detto in termini che sintetizzano le due que-stioni: come riuscire, in entrambi i casi, a coniu-gare insieme pluralismo ed unità?

2. Per rispondere ad una tale sfida è necessariomostrare anzi tutto che non c’è incompatibilitàtra unità e pluralismo, che cioè i due termini nonsono necessariamente inconciliabili. Ebbene, nonc’è opposizione o alternativa tra i due concetti, acondizione di intenderli nel loro significato posi-tivo. Infatti, duplice è la valenza del pluralismo:può essere particolarismo depauperante ovveropotenzialità arricchenti; e duplice la valenza del-l’unità: può essere unicità omologata ovverounitarietà articolata: sono ambivalenze, che ov-viamente possono portare a risultati molto diver-si, addirittura antitetici.

Che si vada in una direzione, piuttosto che inun’altra, dipende da svariati fattori; ma è certo che,se si vuole optare per un pluralismo unitario, è fon-damentale puntare sull’educazione, la quale porta

in sé, costitutivamente, il bisogno di raggiungereun’efficace unità nel rispetto del pluralismo. L’edu-cazione realizza un tale scopo, puntando sull’unitàcome unitarietà (non unicità) e sul pluralismo comediversificazione (non dispersione).

Se volessimo sintetizzare in due obiettivi untale programma, potremmo parlare per un versodi interdisciplinarità e per altro verso di intercul-turalità. Si tratta, per un verso, di passare da unamultidisciplinarità eterogenea ad una interdiscipli-narità che metta in relazione i diversi gradi e for-me del sapere, mostrando la diversità dei percorsiconoscitivi e la loro complementarietà. Si tratta,per altro verso, di passare da una multiculturalitàconflittuale ad una interculturalità che metta inrelazione le diversità etniche ed etiche, culturali ecultuali, evidenziando la loro legittimità e la lororeciproca influenza.

3. Ecco, dunque, il duplice compito che atten-de l’educazione. In una società complessa dal pun-to di vista della verità e da quello dei valori nonbisogna limitarsi a prendere atto delle differenzegnoseologiche e assiologiche, e fare delle somme,bensì occorre impegnarsi per conoscerle e rico-noscerle nella loro specificità, e operare, fin doveè possibile, delle sintesi feconde.

A tal fine è necessario che l’educazione sia oggipiù di sempre tanto critica quanto creativa, permostrare la ricchezza del pluralismo, pur senzanasconderne i rischi, per mostrare le opportunitàche il pluralismo offre e, insieme, gli ostacoli chedevono essere superati per realizzare fruttuose for-me di collaborazione.

Dal punto di vista epistemologico c’è, pertanto,bisogno di riconoscere la legittimità della ricercaveritativa, che può battere strade diverse: quelladei significati, prodotti dalla scienza, quella delsenso, ricercato dalla sapienza, quella delle scelte,

Pedagogia del pluralismoper l’educazione in una società complessa

GIANCARLO GALEAZZIDirettore dell’Istituto superiore di Scienze Religiose

Pontificia Università Lateranenese - Ancona

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operate dalla saggezza, e quella dei segni in vistadella salvezza. Volendo far nostro l’imperativotomista di Maritain, si tratta di “distinguere perunire”: distinguere le diverse procedure nell’unitàdi una ricerca che non ha fine ma ha valore; sitratta anche di distinguere all’interno di ciascunambito ulteriori approcci da mettere in comuni-cazione per conseguire risultati ogni volta più or-ganici.

Una tale epistemologia può ben essere definitaintegrale, perché rispettosa della integralità antro-pologica: tiene, cioè, conto gnoseologicamente ditutto l’uomo, di tutte le sue esigenze conoscitive:scientifiche, filosofiche, etiche e religiose. È evi-dente che una tale impostazione è alternativa siaall’univocismo che all’equivocismo noetici, siaall’imperialismo che all’anarchismo epistemologici.

Anche dal punto di vista etico occorre procede-re analogamente, bisogna cioè riconoscere la le-gittimità delle culture e delle religioni, delle tradi-zioni e delle morali, non per cedere ad un atteg-giamento di indifferenza (oggi molto diffusa, manon meno pericolosa della diffidenza di ieri), ben-sì per realizzare un dialogo interculturale, che nonnega le identità, ma le mette in comunicazione, enon nega il discernimento, ma lo colloca in un cli-ma di reciproca tolleranza. Si tratta, allora, di di-stinguere con Maritain tra piano teoretico, chereclama giustizia intellettuale, e piano pratico, sucui si possono realizzare forme di amicizia e dialleanza operative.

Una tale assiologia può ben dirsi integrale, per-ché è finalizzata all’integrazione valoriale, che tie-ne conto delle differenze individuali, culturali ereligiose, senza trasformarle in disuguaglianze, etende a recepire quanto di positivo c’è in conce-zioni per quanto diverse.

Anche in questo caso, è evidente che una taleimpostazione è alternativa sia all’etnocentrismo cheal relativismo valoriali, sia all’orgoglio identitarioescludente che al sincretismo compromissorio in-concludente.

4. Da quanto abbiamo detto consegue che unapedagogia della società complessa non può nonessere una pedagogia all’insegna del pluralismo edella collaborazione, vale a dire del riconoscimen-to e del rispetto delle diversità, e, insieme, dellarivendicazione e della realizzazione di forme disinergia. La cosa è possibile, se l’educazione simuove – sul piano delle conoscenze e dei com-portamenti – secondo una logica non riduttiva néseparatista, bensì rispettosa e solidale.

A ben vedere, il rapporto tra i saperi e quellotra le culture si configurano in modo analogo; in-fatti i saperi e le culture possono relazionarsi inmodo oppositivo o alternativo, oppure in modoconciliativo e cooperativo; in questo caso si pos-sono individuare vari livelli di conoscenza: si puòparlare di multi, inter e trans disciplinarità; altret-tanto si può dire per i livelli di convivenza: si puòallora parlare di inserimento, integrazione e intera-zione. Detto questo, occorre avvertire che non sitratta semplicemente di attuare una pedagogiainterdisciplinare e una pedagogia interculturale (chepure hanno ragione di essere adeguatamente ela-borate), ma d’inaugurare una nuova mentalitàpluralistico-unitaria nell’insegnamento e nell’ap-prendimento; si tratta di avviare un nuovo stileche sia espressione della consapevolezza che nellasocietà complessa non si può affrontare un pro-blema, isolandolo dal contesto, entro cui va inve-ce sempre collocato, perché da esso prende valo-re, e in esso esprime la sua effettiva portata.

Al riguardo la questione epistemologica e quellaassiologica possono costituire campi privilegiatiper incentivare un costume cooperativo, grazie alquale pluralismo ed unità non appaiono istanzealternative, bensì complementari: sacrificare l’unoo l’altra porterebbe a un impoverimento antropo-logico, sempre dannoso, ma in particolare in pre-senza di una società come quella attuale, nella qualela “tecnocrazia”rischia di produrre un “riduzio-nismo” conoscitivo e operativo, e il “politeismodei valori” rischia di renderci “stranieri morali”.

L’imperativo, allora, è quello di non cedere allaconflittualità epistemologica e assiologica, e pren-dere coscienza di come visioni noetiche ed etichepossano superare la loro rivalità, aprendosi all’eser-cizio del confronto, che genera incontro e nonscontro fra i saperi e fra le culture.

5. È nel campo dell’educazione che il plurali-smo può rivelare al meglio d’essere opportunitàche può favorire la crescita, in quanto propriol’educazione mostra come, prima ancora che sulpiano cognitivo e sociale, è sul piano personaleche il pluralismo è di fatto e di diritto inevitabile.Infatti, la persona umana è connotata da un ca-rattere comune (trascendentale), cioè la dignità,per la quale gli uomini sono uguali, e da un carat-tere differenziatore (empirico), cioè la concretaindividualità, per cui gli uomini sono tuttidiseguali: sta qui il paradosso della persona: la suadignità è sempre incarnata in una irripetibile con-dizione: individuale e relazionale.

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Ebbene, proprio la pedagogia –e non da oggi-richiama la necessità che l’educazione riconoscal’uguaglianza e, insieme, rispetti le differenze, nelsenso che l’uguaglianza della dignità deve coniu-garsi con le differenze della individualità, e per-ché queste non si trasformino in disuguaglianzeoccorre assicurare l’uguaglianza non solo dei di-ritti ma anche delle opportunità.

Pertanto, l’individualizzazione costituisce ilbanco di prova di una autentica pedagogia chevoglia essere a misura di persona. Ora, proprio laconsapevolezza che le diversità individuali sonocostitutive della persona rappresenta la base perogni ulteriore riconoscimento delle diversità cul-turali, etniche, religiose ecc. Dunque, le diversitànon vanno né enfatizzate né cassate: esse vannoinvece valorizzate come fattori favorenti l’arric-chimento reciproco.

In particolare il personalismo filosofico e lapersonologia scientifica richiamano la necessità dimisurarsi con le varie forme di diversità, ricordan-do che, altrimenti, la rivendicazione della dignitàdella persona rischia di cadere nell’astrattezza,

dando luogo alla retorica della persona.Se, dunque, due sono le coordinate con cui

cogliere la persona: quella a carattere universale(la dignità) e quella a carattere particolare (la indi-vidualità), si può sostenere che l’ontologia dellapersona porta a rivendicare come condizioni dinormale funzionamento della persona tanto il plu-ralismo quanto l’unità. Ne consegue che l’educa-zione o sarà promozione della persona e delle per-sone o non sarà.

Ecco perché, solo a partire da un’antropologiapluralistico-unitaria, la pedagogia può impostarela sua azione di “aiuto alla vita” , di “coltivazionedell’umanità” (le espressioni sono di MariaMontessori), e trovare nel sapere e nell’agire duecampi privilegiati per soddisfare la duplice esigen-za di pluralismo e di unità. In tal modo l’episte-mologia e l’etica, considerate nella loro legittimamultidimensionalità, appaiono del tutto coerenticon l’antropologia, se riconosciuta nel suo essereunitaria e molteplice; a queste condizioni si pos-sono accogliere le sfide, anche quelle educative, diuna società complessa.

Tutti all’opera:alunni, genitori, collaboratori e insegnanti.Secondo Circolo - Venosa (Potenza)

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Dall’Ufficio Scolastico Regionale della BasilicataDirezione Generale

Sul sito www.istruzionebasilicata.it è disponibile questo periodico

dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.Bdall’U.S.R.Bdall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.dall’U.S.R.B.

Alcune categorie della complessità

FRANCESCO FASOLINODirigente Tecnico MIUR

ocietà complessa e sistema complesso sono,a parere di molti, neologismi di tiposociologico ed usati, come alcuni anni fal’espressione post-moderno, con un certo

abuso. Le mode, si sa, sono effimere, per cui abreve o medio termine scomparirà anche questaespressione e rimarrà solo l’aggettivo, adattabilead ogni categoria che si intenda esaminare.

Il complesso, come categoria, è già posto inevidenza da Lucrezio nella sua opera, da Dante,Giordano Bruno, Galilei, Kant, sino ai pensatoridel nostro novecento come Anna Arendt. È il sim-bolo, in questa visione di complessità, che si pol-verizza nella molteplicità frammentaria dell’alle-

goria. Per singolare circostanza operiamo, non solonel nostro tempo, un cammino inverso rispetto aquello che dovrebbe essere il normale, viaggiandonon dal complesso all’unitario, ma dall’unitarioal complesso

Ed è tuttora un discorso aperto, dalle variesfaccettature ed implicazioni, che possono inve-stire ad esempio la dimensione multiculturale del-la nuova realtà europea. Anzi proprio la nuovaEuropa, con la moltiplicata varietà dei tessuti so-ciali, delle culture, dei codici linguistici, dei siste-mi normativi, sembra offrirci la misura di quantosia problematica una definizione di complessità edi individuazione delle categorie, che ci diano il

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senso della governabilità e prevedibilità dei pro-cessi della complessità.

Di certo siamo dinanzi ad una sfida, della qua-le non riusciamo a prevedere esiti e sbocchi anchesalvifici. E ritorna l’antica espressione della filo-sofia ionica “caos”. In questo contesto la “questio-ne interculturale”, come manifestazione, di certoassai importante, della complessità, è stata spessoconsiderata impropriamente la necessità di unpercorso formativo rivolto più o meno ai soli cit-tadini stranieri.

In realtà il problema dello straniero e la conse-guente questione dei nodi interculturali costitui-scono, a partire dal complesso scenario di propo-ste in cui si articolano, lo sfondo da cui prendeavvio anche la specificità di un più vasto proble-ma della formazione degli stranieri non solo, maanche di tutti i cittadini. Si tratta di percorsi cherifiutano sia la logica di una assimilazione talvoltaanche forzata, sia la costruzione ed il rafforzamen-to di comunità etniche chiuse ed impenetrabili.L’educazione interculturale intende infatti favori-re il confronto, il dialogo, il reciproco arricchi-mento entro una concertazione delle differenze edei relativi problemi. Suo obiettivo primario ègarantire la parità di accesso ai diritti ed il pienoinserimento di tutti nel gioco democratico, costru-ito a partire da una innovativa concezione dellacittadinanza planetaria.

Ecco riemergere forte la dimensione della com-plessità, legata alla cittadinanza planetaria. Maanche in questo caso sarà bene non lasciarsi pren-dere dalla paura del problema. L’umanità ha piùvolte incontrato la complessità, ogni volta cioè chesi è aperta al viaggio, alla rottura delle frontiere,di qualsiasi genere.

A confortare la tesi si può presentare la «fami-glia multietnica» che, nel suo significato letterale,indica l’entità familiare che risulta dal «matrimo-nio misto» (unione coniugale tra individui di di-versa razza o nazionalità) o dall’«adozione inter-nazionale» (inserimento di un minore straniero inun nucleo familiare autoctono), fenomeni chehanno entrambi conosciuto la loro maggiore dif-fusione in questi ultimi anni.

Si ricorre, poi, a questa espressione anche perdesignare, in un senso più lato, l’istituzione fami-liare entro una società multietnica, e conseguen-temente per focalizzare le dinamiche di rinego-

ziazione degli equilibri, delle aspettative recipro-che, della divisione del lavoro tra sessi e genera-zioni cui essa è sottoposta in conseguenza del con-fronto con differenti sistemi culturali, e che sonospesso ricondotti alla dicotomia «Tradizione -Modernità». Più che su una sterile contrappo-sizione tra questi due poli, l’analisi del tema inquestione dovrebbe concentrarsi sulle potenzialitàche la presenza di famiglie «altre» offre per unariflessione sulla propria identità individuale e co-munitaria, la cui importanza emerge in pratica solograzie al confronto con una identità diversa. Ed èquesta una nuova immagine della complessità.

Un’idea di complessità sociale era ben presen-te nel pensiero del Mazzini.

Nel 1848 Giuseppe Mazzini, ragionando sullacostruzione della nazionalità italiana che definivacome una «comunità di culture e tradizioni diver-se», poteva scrivere:

«Alcuni invocano le razze: Or le razze tra noidove sono? (…) L’Italia fu il convegno di tutte lerazze. Qui sulle nostre terre si raccolsero tutte quasia Congresso, come se nella Penisola dovesse cac-ciarsi il compendio del mondo; come se l’Italiafutura avesse a riunire la vivezza e la spontaneitàmeridionale colla gravità e la profonda costanzasettentrionale».

Il pensatore poneva l’attenzione su alcuni aspettidi ciò che noi, qualche secolo dopo, riteniamol’idea di complessità.

A ciò si aggiunge una dimensione, che fa levasulle diseguaglianze sociali, ancora più stridentiquando le distanze sono state progressivamentecolmate e l’idea di complessità si scontra con quelledi spazio e tempo come categorie superate del pen-siero classico.

A questo punto mi sembra giusto ricordare leconsiderazioni fatte da Paul Ricoeur, in una bellaconferenza svolta a Napoli sul tema “Etica e poli-tica”. Il filosofo francese notava come le societàoccidentali ricche fossero «ammalate» del propriosuccesso materiale; sono società senza «orizzontedi senso» caratterizzate dal «desiderio senza fine».Inoltre, se si può affermare che sia cresciuta unacerta coscienza della giustizia, si deve purtroppoconstatare l’aumento delle ingiustizie e delledisuguaglianze. Gli squilibri tra Nord ricco e Sudo est povero sono ormai una triste realtà. Allorache fare?

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Paul Ricoeur propone un approccio basato sulcriterio di avere una concezione cosmopolitica(riprendendo qui la concezione dei filosofidell’illuminismo-pensatori come J. J. Rousseau eI. Kant) cioè considerare l’umanità come Una,nonostante la grande varietà storico-culturale. Puòessere una buona base di partenza, per rifletteresulla necessità di dare una catena di senso al pro-blema della complessità. Noi siamo abituati adandare in crisi dinanzi all’insorgere di problemi.Così ci spaventiamo, quando sentiamo parlare odobbiamo risolvere qualche problema legato allacomplessità sociale.

Andiamo per un attimo in America. È stataconiata, di recente, una espressione “melting pot”(melting significa crogiuolo), per dare un’idea dicos’è una megalopoli come New York.

Si tratta di un’immagine, con cui si tenta dirappresentare il fatto che diversi abitanti, prove-nienti da diverse culture, possano coesistere in unademocrazia. Pensate come questa città ha vissutol’11 settembre, anche nelle sue divisioni tra cate-gorie privilegiate o meno.

E si affaccia un altro aspetto della complessità,quello delle differenze di natura economica.

Gli esseri umani dal centro ricco del mondoalla periferia possono circolare con grande facili-tà, offrendo un modello sociale da imitare. Il per-

corso inverso è caratterizzato, al contrario, danumerosi ostacoli. Ed è anche questo un ulterioreelemento di complessità.

In realtà, allora, si dovrebbe avere il coraggio didire, come si sosteneva alcuni anni fa, che il veroelemento descrittivo sono la povertà o la ricchez-za, non la cultura. È chiaro che la cultura, le diffe-renze culturali innestano su conflitti, dovuti allaricchezza o alla povertà, variazioni molto comples-se. Adesso ci troveremo a convivere con tante cul-ture diverse. Però non è difficile ipotizzare che av-verrà una nuova evoluzione del sistema. Bisognadefinire innanzi tutto cosa vuol dire “cultura”. Pri-ma di dire che abbiamo una multicultura edun’intercultura, ce ne sono, in verità, molte, occor-re tentare di dare una definizione di cultura.

Una cultura è un insieme, un contenitore di sti-li di vita, riti, simboli, lingua anche, che unificanoa un certo punto un certo numero di persone, chesi definisce popolo e che vivono su un certo terri-torio. Questa potrebbe essere, senza pretese diassolutezza, una definizione di “cultura”.

Allora la grande novità potrebbe apparire lacostruzione di un sistema formativo, che si ade-gui alla complessità, che non si isoli nelle sueidolatrie conservatrici, ma si faccia interprete del-l’esigenza di integrare ricchezze e povertà non soloeconomiche, ma anche culturali.

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Dall’Ufficio Scolastico RegionaleDirezione Generale Marche

a legge 28 marzo 2003, n. 53 di delega alGoverno per la definizione delle norme ge-nerali sull’istruzione e dei livelli essenzialidelle prestazioni in materia di istruzione e

formazione professionale e la connessa decretazioneattuativa hanno aperto a un dibattito sulla funzio-ne docente che si innerva in una serie complessadi tematiche particolarmente intense quanto adintrinseca inevitabile e, per qualche verso, impre-vista problematicità.

La funzione docente, che è ripensata nello spa-zio di nuovi rapporti e nell’ambito di nuovi com-piti con articolazione, anche inedita, di attribu-zioni e di adempimenti, emerge riaccreditata dalcomplessivo disegno riformatore, sotto il profilopiù propriamente qualitativo, nel senso che siprefigura il potenziamento con l’affinamento delsuo spessore culturale e tecnico-didattico nondisgiunti dalla competenza relazionale ed umana.

L’analisi comparativa dei diversi passaggi, at-traverso i quali il legislatore della Riforma lascia ilsegno della direzione di senso della funzione do-cente, consente di individuare, in prima istanza,come ad ogni insegnante del sistema educativo edi istruzione e di formazione sia chiesta effettivacompetenza culturale e professionale soprattuttonel cogliere le interconnessioni culturali degliobiettivi specifici di apprendimento e la lorovalenza specifica e nel coniugarle concretamentecon la qualità personale e le effettive esigenze diogni alunno, nell’ambito della individuazione de-gli obiettivi formativi.

Sembra realizzarsi, in tal senso, l’affrancamentodefinitivo della funzione docente dal pericolo di

Riforma e funzione docente

MARIA TERESA MIRCOLIDirigente Tecnico MIUR Regione Marche

logiche astrattamente e aprioristicamente deter-ministiche e predittive e di operatività reiterativo-meccaniche con approdo, invece, verso il così det-to trattamento pedagogico-culturale personalizzato,adatto alla persona dell’alunno, unitario, originale,processuale, contestualizzato.

È, dunque, possibile affermare, in sede di pri-ma deduzione sulla funzione docente, così comevien fuori dal nuovo quadro ordinamentale, che“l’attività didattico-educativa, in cui è compresal’attività valutativa, promossa dalla scuola e dicompetenza esclusiva degli insegnanti, viene sot-tratta all’infertile, quando non dannoso, flussodella pratica empirica, astrattamente, uniforme-mente e meccanicamente realizzata’1 per essereconsegnata al ragionamento che, peraltro, inglo-ba, in un tutt’uno, pedagogia e cultura, “su checosa per ogni soggetto e ogni volta si deve fare eperché”, unitariamente da parte di tutti i docenti,a cui sono assegnati gli stessi alunni, proiettandoil tutto sullo sfondo valoriale in cui si interrelanoe si integrano, in continuo progressivo inesauribi-le ampliamento, finalità prioritarie, educazione,cultura, storia personale e sociale, progresso spiri-tuale e storico.

Discende, allora, che, proprio perché la Rifor-ma pone l’accento sui fini generali del processoeducativo, tra i quali è scritta prioritariamente lacrescita con la valorizzazione della persona umanadell’alunno, e proprio perché pone l’accento suobiettivi specifici di apprendimento, che tracciano,unitariamente per tutti gli alunni che frequentanole scuole pubbliche, statali e paritarie, del territo-rio nazionale, le conoscenze e le abilità attraverso

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le quali è promossa e favorita la maturazione deipotenziali di ciascuno in competenze personali,culturali e professionali, il docente è inevitabilmentee obbligatoriamente rinviato, nell’esercizio della suafunzione, nel suo realizzarsi professionale, “aformulazioni teoretico-pedagogiche che abbianovalore per tutti, che siano generali e impersonali,che chiariscano concettualmente il perché e la ne-cessità dell’atto educativo”1, ma è, ad un tempo,obbligato a percorrere la strada della concretezzaoperativa, perché, questa volta, rinviato dall’alun-no stesso alla sua situazione personale che esige at-tenzione e trattamento personalizzato.

L’atto educativo sempre interessa, infatti, “ilsingolo alunno e la norma impersonale, pure seobbligatoriamente assunta dal docente nella for-mulazione teoretico-valoriale, non è sufficiente insé a rendere vivo ed efficace l’atto stesso e a rende-re, di conseguenza, umanamente e culturalmentefertile e congruo il processo educativo-formativoche, in sé, deve promuovere ciascun soggetto”1.

Consegue, perciò, inevitabile il carico obbliga-torio di attenzione del docente nei confronti delsingolo alunno, attraverso la concreta e fedeleindividuazione degli obiettivi formativi a lui adatti,nell’ambito di un’operazione didattico-educativa,corresponsabile e contitolare, relativa alla puntua-le processuale ricognizione di ogni elemento ofattore che riguardano l’alunno stesso per capirecome egli effettivamente è, di che cosa ha vera-mente bisogno, quali sono gli obiettivi specificiche ha acquisito, quali sono le reali capacità chedevono essere sviluppate, come procede nel suoitinerario formativo-apprenditivo, quali e quantiostacoli gli si frappongono o gli si potrebberofrapporre e perché, quali condizioni potrebberomeglio favorire la strutturazione significativa delsuo apprendimento.

La Riforma, infatti, introduce gli obiettivi for-mativi, inserendo obbligatoriamente, nell’itinera-rio educativo-didattico dei docenti, il passaggiofondamentale alla traduzione della norma peda-gogica impersonale generale in soluzione persona-lizzata, procedendo concretamente da ogni alun-no, e raccogliendo di lui, in modo sistematico eorganizzato, con lungimiranza preventiva, senzacedimenti di continuità, di riflessione e di con-trollo critico, ogni elemento di conoscenza e digiudizio, di cui sono in possesso anche la famigliae l’alunno stesso.

Si può ulteriormente osservare che l’insegnanteè sollecitato dalla Riforma a considerare la sua atti-vità come eterno problema che, oltre tutto, viene

preservata dalla deriva dell’inaridimento routinarioquando non viene meno la consapevolezza del valorefondamentale che ha ogni elemento singolare che sem-pre rende specifico e diverso il problema dell’educazio-ne e dell’apprendimento per ogni soggetto.

Funzione docente e profili di qualità: dall’etico-culturale-pedagogico al didattico-organizzativo

Non può sfuggire, dunque, come la funzionedocente, nell’ambito del complessivo assettopsicopedagogico generale in cui si snoda il dise-gno riformatore, si riqualifichi, in modo partico-lare, rispetto al profilo etico-culturale-pedagogicoe al profilo didattico-organizzativo.

Quanto al profilo etico-culturale, la Riformaconsegna ai docenti e alla loro autonomia e, più ingenerale, all’istituzione scolastica autonoma, la re-gola di mai tradire le ragioni della scuola, conside-rata nell’autenticità del significato che ne dà la Car-ta costituzionale del nostro Paese, e pone insiemel’obbligo di avere sempre coscienza piena di che cosasignifichi e che cosa si intenda per educazione e di pra-ticarla in modo esemplare, esaltandone la necessità ericercandone, a mano a mano, con l’intelligenza esplo-rativa della libertà consentita, gli itinerari di svilup-po più propri, che non possono che schiudersi daquelli che sono radicati in profondità.

La Riforma consegna ancora al docente la re-gola di assumere la vera cultura quale bussolavaloriale che orienta le azioni didattiche e chemedia le azioni formative, dialetticamente contra-stando ed impedendo che sia validato e sia pratica-to l’uso riduttivo e meccanico di formule e di sche-mi bell’e pronti, quando questi, in specie, sonoassunti per logiche che predeterminano tout courtprocessi ed esiti, ferendo la dignità personale diogni alunno.

Le ragioni della scuola si rintracciano, dunque,secondo la dimensione fondativo-assiologica dellaRiforma, nelle ragioni della persona umana che vie-ne esaltata, nella sua interezza valoriale e nellaintegralità della sua personalità, quale titolare deidiritti soggettivi “alla crescita e alla valorizzazionedi sé, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delledifferenze e delle identità di ciascuno e delle scel-te educative della famiglia…”, che deve essere aiu-tata, per la espressione piena ed autentica dei suoidiritti, ad avere assicurate tutte le condizioni pos-sibili per maturare apprendimenti significativi eper trasformare gradualmente tutti i suoi poten-ziali in competenze.

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Si avverte, allora, come il docente venga richia-mato dall’assetto teoretico ed etico della Riformaall’obbligo di percorrere itinerari di riflessione edi conseguente operatività a vantaggio di ciascunalunno, tuttavia, in spazi di continua chiarifica-zione concettuale di natura pedagogica, che sicorrelano concretamente con la cultura. Qui è lapersonalizzazione.

Da un lato, infatti, l’insegnante è chiamato atener conto di regole pedagogiche, che sono veree propri norme di condotta, dalle quali trae lemodalità più congruenti di adattamento alla sin-golarità dell’alunno, dall’altro lato deve tener contodell’ elemento fondamentale che veicola l’azioneeducativa e che può essere indicato come la storicitàdell’attività educativa stessa, vale a dire l’elementoculturale che, nondimeno, rende tanto più effica-ce l’atto quanto più esprime le esigenze e le carat-teristiche del proprio tempo.

La cultura, cioè, viene ripensata e ripropostadall’assetto generale della Riforma, come vero eproprio ineludibile “catalizzatore delle azioni diinsegnamento, di apprendimento e di educazio-ne, viene restituita al suo significato di concretez-za spirituale delle società storiche e viene ricollo-cata nello spazio unitario, corresponsabile e soli-dale di un impegno scolastico personalizzato, in-tenzionale, capace di ridare, ogni volta, vigoriaintellettuale, creativa ed operativa al singolo sog-getto, destinatario diretto dell’azione educativa, edi consentire altrettanto ampio respiro e avanza-mento culturale ed umano al contesto sociale”2.

Le Indicazioni Nazionali per i Piani di studiopersonalizzati prefigurano, dunque, il profilo eti-co-culturale, da cui deve trarre giustificazione esviluppo la funzione docente, quando, in partico-lare, disegnando gli itinerari prescrittivi delle co-noscenze e delle abilità che la istituzione scolasti-ca autonoma deve organizzare e che sono sintetiz-zati negli obiettivi specifici di apprendimento (osa),tracciano i significati, i percorsi, le direzioni perla promozione della graduale conquista culturalepersonale.

Le Indicazioni, in sostanza, riconducono ildocente al principio etico-educativo-culturale cheorienta il suo intervento sul conoscere e sul farecon l’obiettivo di promuovere l’impegno perso-nale dell’alunno a ragionare sul conoscere e sulfare, a chiedersi sempre il perché del suo conosce-re e del suo saper fare, a domandarsi, in sintesi,quale significato vitale abbia per sé, ogni volta,l’incontro con la natura, con gli uomini, con i lorolinguaggi e con i più vari e diversificati sistemi sim-

bolico-culturali, ad apprendere e ad utilizzare leconoscenze e il fare per crescere in competenzaculturale ed umana, per modificarsi e per produr-re, a sua volta, crescita valoriale ed umana.

Le Indicazioni Nazionali prefigurano, nel con-tempo, una funzione docente di alto profilo di-dattico-organizzativo, tutto ritagliato nel luogoprivilegiato ove si correlano e si interrelano la suaautonomia, l’autonomia dell’alunno e l’autonomiadell’istituzione scolastica, che non ammettonoalcuna formula posta da terzi o imposta dall’alto,peggio che mai dallo Stato.

La Riforma evoca, dunque, una funzione do-cente che deve fare inevitabile ricorso “alla origi-nalità dell’“invenire”3, alla regola dell’intelligenzae della creatività, che rifiuta formule e schemipredefiniti e posti dall’esterno, che costruisce, amano a mano, risposte attente e congruenti allenecessità educativo-apprenditive di ciascuno, chaaiuta a ben leggere le situazioni e a trovare perognuna la risposta adatta, anche in termini dipredisposizione delle condizioni affinché ognialunno possa sopraelevarsi, aiutato e favorito ade-guatamente nell’autorealizzazione completa deisuoi potenziali e sempre salvaguardato dal perico-lo di regressione disumanizzante.

L’organizzazione didattico-educativa, prefigu-rata dalla Riforma e tutta in mano agli insegnanti,non può, dunque, anch’essa che muoversi, co-struendo e consolidando il profilo di qualità chese ne chiede, sulla base e sulla spinta dell’unicaragione che conta per la scuola e per il sistemaeducativo, nel suo complesso, che è la ragione del-l’alunno, il quale interpella gli adulti, evocandonel’aiuto personalizzato, per esigere che essi faccia-no per lui, sempre, scelte proprie, dalle quali gliderivino sicuri significativi vantaggi, quanto al suoben-essere proiettato sull’apprendimento, sullaformazione, sull’ educazione, sulla cultura.

Dentro i profili di qualità: il coordinamento-tutoriale

Il d.leg.vo 59/04, all’art. 7 comma 5 e all’art.10comma 5, acclarando con la centralità dell’alunnola personalizzazione dell’azione educativa e didat-tica, introduce, questa volta, l’elemento innovati-vo dell’organizzazione della didattica con l’espli-cito riconoscimento e con la espressione operati-va che ne consegue della qualificazione coordina-tivo-tutoriale della funzione docente, in quantointrinseca alla stessa fondamentale qualificazione

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etico-culturale e pedagogico-didattica.La qualificazione coordinativo-tutoriale, infat-

ti, non è estranea alla funzione docente, di cui èattributo sostanziale e non accessorio, in quantoinerente alla fondamentale qualità educativa dellostesso rapporto pedagogico.

Essa, che dà valore sostanziale alla relazionepedagogica, si esprime, nel complessivo disegnoriformatore, con diretto intervento docente arti-colato, in modo visibilmente marcato, secondotempi specifici e cadenze definite, oltre che a de-terminate garanzie e condizioni, in una pluralitàdi attribuzioni, di adempimenti e di compiti, an-che inediti, svolti in luoghi e in rapporti pedago-gici distinti e differenziati, sullo sfondo di una fun-zione docente unitaria che, pur esprimendosi edaffermandosi nella specificità valoriale e nella li-bertà metodologico-didattica di ciascuno, ubbidi-sce al superiore obbligo etico-istituzionale di trat-tamento pedagogico-culturale unitario di ognialunno che chiede di essere aiutato a crescere e diessere pienamente valorizzato.

Sfaccettature della qualificazione coordinativo-tutoriale: articolazioni e problematiche

È possibile, allora, individuare, nei Documentiche accompagnano il processo riformatore, alcu-ne articolazioni della funzione docente, nello spe-cifico della qualificazione coordinativo-tutoriale,quali:

- la modalità e la qualità del rapporto con le sog-gettività adulte e con gli alunni;

- gli impegni di natura didattico-valutativa;- gli obblighi e i compiti di natura documentativa;- le condizioni di natura formativa.

Sotto il primo riguardo, che indica modalità equalità del rapporto del coordinatore-tutor con lesoggettività adulte e con gli alunni, è dato di co-gliere un generale ampliamento qualitativo dellasfera relazionale del docente per l’immissione incircolo di soggettività adulte che, questa volta,sono titolari di carichi e di competenze didattico-educative dalle sfumature diverse rispetto alprevigente ordinamento scolastico, in ragione deicompiti conseguenti alla distribuzione di caricodisciplinare, che è compreso sia nella quota obbli-gatoria che nella quota facoltativo-opzionale del-le attività e degli insegnamenti.

Il discorso riguarda da un lato gli insegnanti,

anche se in modo sensibilmente differenziato traprimaria e secondaria di 1° e 2°, e riguarda, inparticolare, i genitori.

Tuttavia, sia nella scuola primaria, che porta consé la memoria pluridecennale del docente unico,pure se a mano a mano superato, fin dagli anni set-tanta, dalle esperienze di tempo pieno, e poi, conla legge 148/90, dal team di modulo, sia nella scuo-la secondaria, che vanta a suo credito un’esperien-za di lavoro collegiale, espressa nell’ambito delConsiglio di classe, la sfera relazionale tra docentisi esprime tutta nella nuova formula collegiale del-l’équipe pedagogica, che è formata da tutti gli inse-gnanti di classe e non, i quali hanno in affidamentodidattico-educativo gli stessi alunni.

La pluralità docente riguarda, quindi, gli inse-gnanti di classe, ivi impegnati a vario titolo, com-presi i docenti di sostegno, di IRC e, per la scuolaprimaria, i docenti di lingua straniera, ma si esten-de anche ai responsabili delle attività laboratorialie finanche agli esperti.

Le nuove relazioni, che connotano il sistemaeducativo, si estendono inoltre ai genitori che,questa volta, entrano nella relazione pedagogica,titolari di vera e propria visibilità istituzionale.

I compiti, che sono loro riconosciuti, anche senon soggetti a rendicontazione, come sono inve-ce quelli del docente, li abilitano, infatti, ad eser-citare facoltà entro le quali vanno doverosamentee congruentemente riscritte le nuove relazionieducative, che, nello specifico, abbandonate le tra-dizionali asimmetrie, assumono i caratteri partena-riali, e che obbligano, nel contempo, gli insegnantistessi a una rivisitazione sostanziale delle consue-te modalità di conduzione della didattica e di arti-colazione delle nuove organizzazioni della stessa.

Al centro di tale relazionalità allargata si troval’alunno, che richiama costantemente su di sé l’at-tenzione degli adulti quando li interpella, fin dalsuo primo ingresso ch’egli fa a scuola e durantetutto il periodo di frequenza, per consegnare lorola sua situazione personale, apprenditiva, forma-tiva, educativa e culturale e per chiedere aiuto per-sonalizzato, rispetto alle sue necessità di crescita edi valorizzazione personale singolare.

La consegna che di sé fa l’alunno obbliga gliadulti a una risposta che è detta congruente e adat-ta, unitaria e personalizzata e che, in sintesi, è rap-presentata dall’insieme degli interventi culturali,educativi, valutativi e orientativi che gli insegnan-ti e le scuole organizzano, procedendo dai tantielementi di conoscenza e di apprezzamento chehanno e che acquisiscono, cammin facendo, di

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ogni alunno, integrati con quelli che, nella reci-procità della consegna, ricevono a mano a manodai genitori.

Va da sé che tale risposta all’alunno, per essereunitaria e intenzionale, deve essere la risultante diun’operazione coordinativa. Ne discende, infatti,che, proprio se unitaria, intenzionale e coordina-ta tale risposta è capace di garantire ogni alunnorispetto alla salvaguardia dei suoi diritti di crescitae di valorizzazione e di conseguenza rispetto alsuo diritto di essere accompagnato dagli adulti, diessere tutelato, di essere tutorato.

Sul versante, allora, degli impegni didattico-va-lutativi, la Riforma, richiamandosi ai principi ealle regole posti in tal senso dal D.P.R. 275/99, in-tercetta l’obbligo per la scuola di rinnovare la pro-pria mentalità didattico-organizzativa facendolaesprimere in termini di ricerca continua sul “comefare”, nell’ambito di adeguate argomentazioni cri-tiche connesse con il problema educativo di ognialunno e nell’ambito dell’acquisizione di elemen-ti di conoscenza che sono utilizzati per megliointervenire didatticamente su di lui, per valutarloed orientarlo bene.

Ad evitare il rischio di interventi-frammento edi non ricadute o, peggio che mai, di ricaduteimproprie sull’alunno stesso, le argomentazioniproblematiche che supportano la ricerca sul “comefare”, a cui consegue l’organizzazione didattica eche sfociano nelle Unità di lavoro centrate sull’ap-prendimento, le così dette uda, essendo riferite allacompetenza di più soggetti, non possono che es-sere coordinate. Anche qui, dall’azione inevitabi-le di coordinamento, scaturisce per ogni alunnola garanzia che tutto ciò che si mette in moto ascuola deve avere come destinatario proprio lui enon l’immagine astratta che gli assomiglia o, peg-gio che mai, un’immagine che nulla ha con lui ache fare.Questa garanzia si chiama tutorato e il sin-golo docente che, in tempi determinati e a deter-minate condizioni, assicura, rendicontando per sée per tutti, nell’ambito della corresponsabilitàcontitolare con i colleghi, che ciò avvenga, si chia-ma coordinatore-tutor.

Appare, dunque, inscindibile la funzione coor-dinativa da quella tutoriale: l’una richiama l’altrae l’una e l’altra hanno senso, in quanto si richia-mano all’unico obbligo di creare esclusivo vantag-gio ad ogni alunno.

Certo è che la nuova organizzazione della di-dattica presuppone che si debba contare su tuttigli insegnanti dell’équipe e che tutti, e non unosolo, facciano leva sulla loro intrinseca capacità

coordinativo-tutoriale, che anch’essi doverosa-mente diano prova, in campo, di sapere investiresulla loro sensibilità educativa, sulla loro prepara-zione tecnica, sulla loro cultura, sulla loro capaci-tà di migliorarsi e di commisurarsi con l’esistente,sulla loro competenza relazionale ed umana, chesiano, anche, pienamente convinti che, quando siè in più a fare, occorre ricondurre a univocità ogniazione.

È necessario, infatti, che la pluralità dei sogget-ti corresponsabili di impegno educativo, comesono i docenti dell’équipe pedagogica, sia oppor-tunamente governata, nel senso di essere messanelle condizioni di condurre a sintesi le proprieargomentazioni e le proprie scelte, i propri inter-venti e le proprie decisioni, ciascuno accedendo,peraltro, questo sì che è un ulteriore ineludibileimperativo, a forti dosi di intelligenza e di tratta-mento adeguato delle situazioni generali e specifi-che, di saggezza, di sapienza, di prudenza.

Il compito didattico unitario, contestualizzatoe regolato, che si sviluppa in sede di coordinamentodidattico degli interventi dell’équipe pedagogica,prefigura e presuppone l’attività di apprezzamen-to, sia che essa sia posta in termini di verifica e divalutazione degli apprendimenti che di ricogni-zione processuale della formazione e delle com-petenze di ogni alunno.

Si può dire, in sostanza, che l’uno, il compitodidattico unitario, richiamando obbligatoriamentel’altra, l’attività di apprezzamento, ne sia l’ineludi-bile interfaccia.

Anche qui, riemerge il coordinamento-tuto-riale: la consegna all’alunno di interventi didatti-co-educativi a lui adatti, che si concretizzano nel-l’ambito di quelle unità di lavoro didattico-processuali, le così dette unità di apprendimento,e la riconsegna, ogni volta, all’alunno di sé cheapprende, che si forma, che si autorealizza, comericognizione apprezzativa di avvenuto processoeducativo-formativo, utilizzata, peraltro, ogni vol-ta, ai fini di ulteriori interventi didattici unitaried adatti, richiamano alla visibilità di una rendi-contazione che presuppone un lavoro regolato,guidato, mediato, in altri termini, coordinato.

Ma tali consegne e riconsegne, solo se unitariee congruenti, lasciano il segno indelebile nell’alun-no che il suo percorso, nel sistema educativo diistruzione e di formazione, gli ha arrecato effetti-vo sicuro vantaggio per sé, per la sua crescita e perl’ulteriore percorso di vita che lo aspetta, che loriguarda profondamente da vicino e che riguardalui e lui solo.

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I processi che avvengono nel sistema educativodi istruzione e di formazione sono soggetti a speci-fiche imprescindibili regole di valore etico e di va-lore giuridico, tra cui quelle connesse con la visibi-lità dell’azione e la sua rendicotazione formalizzata.

Gli Insegnanti, titolari di pubblica funzione,con impegni di prevalente natura culturale, peda-gogica ed etica, sono anch’essi obbligati a rendi-contare, formalizzando, secondo criteri regolativiche discendono, in larga parte, dalla loro autono-mia, i processi sia didattici che valutativo-orienta-tivi.

Ecco, allora, che le formalizzazioni delle azionidell’équipe pedagogica sono anch’esse soggette adintervento di sintesi unitaria che, a sua volta, pre-suppone interventi adeguati di coordinamento.

Si fa, dunque, ingresso nella documentazioneed è qui, si ritiene, il senso di quella “cura”, espressadagli art. 7 e dall’art. 10 del d.leg.vo 59/04.

Nondimeno, quando si fa appello alla “cura”della documentazione, da parte del docente coor-dinatore-tutor, si richiama la responsabilità in so-lido dell’équipe, senza esclusione di alcun docen-te quand’anche impegnato, per poco tempo, congli stessi alunni, in attività, per così dire, frontalidi classe intera o laboratoriali per piccoli gruppi osemplicemente d’éveil.

Ma quando si parla di “cura” si intende anchel’azione orientata miratamene a quel “cura ut’, “alprovvedere affinché” nulla di significativo sfugga,in documentazione, all’attenzione dei docenti, néalcunché di significativo sia omesso, sia nella fasein cui si ipotizzano e si condividono interventieducativi adatti, sia nella fase esecutiva che di con-trollo valutivo-critico che nei momenti ricognitivi.

La “cura” è, pertanto, rivolta al fare e al conse-guente formalizzare-documentare essenziale epersonalizzato da parte dell’intera équipe, nei con-fronti di ogni alunno affidato alle sue “cure”.

Di qui trae significato e consistenza pedagogi-co-giuridica lo stesso portfolio delle competenze,che è il documento per eccellenza che esibisceanche la capacità di fare e di documentare unita-rio dell’équipe pedagogica, quando riferisce, sen-za lederne i diritti alla riservatezza, del percorsoreale evolutivo della persona e della personalitàdell’alunno concreto, riferendo implicitamente, adun tempo, del proprio percorso personalizzato diintervento educativo-didattico-valutativo.

Ma anche qui l’esibizione documentale, unita-ria e corretta, delle competenze dell’alunno inter-pella l’attività coordinativa del docente tutor, chenon avocherà mai a sé attribuzioni e compiti dei

colleghi né accetterà deleghe né si sostituirà adalcuno né prevaricherà alcuno.

Egli ha il compito di raccogliere sistematica-mente a sintesi tutti gli elementi che scaturisconodalle osservazioni di colleghi e genitori e tale sin-tesi avrà cura di sottoporre, ogni volta, al loro va-glio per la conseguente condivisione, realizzandocosì, anche qui, le condizioni per assicurare ognialunno rispetto al suo diritto di essere trattato inmodo personalizzato.

Non sfugge, tuttavia, quanto sia rilevante perperfezionare i profili di qualità della funzionedocente, anche riguardo alla qualificazione coordi-nativo-tutoriale, la specifica formazione a cui illegislatore della Riforma fa esplicito richiamo nésfugge che i processi innovativi hanno necessità ditempi propri, che non sono sempre tempi celeri.

Si ritiene, tuttavia, ulteriormente di sottoline-are che, per il concreto svolgersi della funzionedocente, in senso coordinativo-tutoriale, molto c’èda esplorare.

Tanti aspetti ancora meritano, infatti, il dovu-to approfondimento. Si può qui fare sintetico ac-cenno ad alcuni:

a) al coordinamento delle azioni didattico-educative che va assunto “come categoria meto-dologica necessaria a garantire regolarità unitariaai connessi processi e a dare garanzia di esiti disuccesso”4;

b) all’alunno quale fondamento regolatore delpercorso didattico che esige di essere tutelato-tutorato dal sistema scolastico, attraverso il con-corso intenzionale di interventi a lui adatti,congruenti, unitari, sviluppati secondo logiche estrategie strutturali;

c) al tempo culturale dell’alunno, che va consi-derato tutt’intero, che non ha spazi residuali e aitempi, ai modi, ai contenuti della didattica perso-nalizzata che vanno scanditi su di esso;

d) alla ricerca della migliore didattica possibilee della valutazione dei processi e degli appren-dimenti corrispondente all’alunno così come è,come apprende e come si modifica;

e) all’interazione funzionale con le famiglie, cheè necessaria per la reciproca conoscenza approfon-dita del patrimonio di esperienze personali checonnotano la personalità dell’alunno e che com-porta l’obbligo per le scuole di cercare nuovemodalità di comunicazione affinché sia snellita efacilitata la veicolazione dei messaggi che riguar-dano unitariamente l’alunno e il figlio.

Concludendo si ritiene di riconoscere che laRiforma accredita il docente, gli dà fiducia e lo

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interpella, appellandosi alla sua autonomia e allasua creatività, alla sua cultura e alla sua competen-za, affinché le giovani personalità che gli sono af-fidate traggano sempre dagli interventi che egliattiva ogni possibile vantaggio per crescere bene eper realizzarsi in piena autenticità ed efficacia.

1 M. TERESA MIRCOLI, Funzione docente, in Lessicodella Riforma, Annali dell’istruzione, Roma 2002, 4-5.

2 M. TERESA MIRCOLI, Tornare ad essere scuola, in“Scuola e didattica”, Ed. La Scuola, Brescia 2003, n.16.

3 M. TERESA MIRCOLI, L’alunno delle Riforma, il vin-colo da esplorare”, in “Scuola e didattica”, Ed. La Scuo-la, 2005, n. 13.

4 M. TERESA MIRCOLI, L’organizzazione didatticanella Riforma-Costruire gli assetti delle singole autono-mie, in “Scuola e didattica”, Ed. La Scuola, 2005, n.18/19

Fase di studio dei soggetti dei murales.I monumenti di Venosa tra forme e colori.

Secondo Circolo - Venosa (Potenza)

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Annuario di operatività e dialogoPASQUALE COVELLA

Dirigente Scolastico 2° Circolo - Venosa

L

Dalle Istituzioni scolastiche

all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.all’U.S.R.B.

All’Ufficio Scolastico Regionale della BasilicataDirezione Generale

a scuola è sempre stata basata sulla discus-sione e sul dialogo. Il piacere di discutere èrappresentato dal contributo che ciascunopuò dare al divenire dell’argomento e non

al suo etichettamento, cioè alla sua ri-organizza-zione sia a livello concettuale che operativo, sen-za alcuna limitazione o distrazione dualistica trail pensare e il fare o agire, tra il “mentale” e “l’emo-zionale” che, parlando di educazione-formazione,tornano a dividersi. Si tratta di accettare la fram-mentarietà e l’approssimazione di ogni punto divista, utilizzando la nozione non più in modounidirezionale (matematico/scientifico), ma intermini multivalenti cooperando così per ilraggiungimento di finalità composite. Per questomotivo la nostra scuola valorizza equamente stru-menti concettuali e operativi.

La pubblicazione di un Annuario delle attivi-

tà, “Scuola a colori 2005”, che persegue questi as-sunti, diventa strumento indispensabile per unacrescita comune dei sette Plessi del Circolo Di-dattico, perché nella scuola va definito attraversoquale stile si intende far circolare le idee e docu-mentare le attività per poter realizzare educazio-ne, informazione e formazione.

Gli insegnanti non disdegnano l’utilizzo dellenuove tecnologie informatiche e l’affidamento alpiù tradizionale materiale cartaceo per far circolareidee, esperienze e attività didattiche programmatee realizzate, creando così l’occasione di dialogo e didibattito culturale con il territorio circostante.

Le tecniche adoperate nella “pubblicazione”seguono la modalità della razionalità sequenziale,utilizzate nell’attuazione delle attività didattiche;non una successione di eventi secondo la logicadel prima e del dopo, dell’inferiore e superiore a

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definire i percorsi operativi e le esperienze didat-tiche che la documentazione adopera, bensì si cercadi fare emergere una quantità di nozioni e segnivisibili ordinabili temporalmente.

Le scelte di modalità insegnative e di stili co-gnitivi, quale quella della razionalità compositivasi rivelano utili per il raggiungimento di un’attivi-tà dialogica presente in tutti i plessi appartenential 2° Circolo, come documentato. Diversamentedalla razionalità sequenziale che considera lo sta-dio iniziale inferiore a quello successivo, la razio-nalità compositiva accetta ogni stadio come dota-to di una sua intrinseca evidenza e autonomia,dotato di una forma che attende a mutarsi in un’al-tra, in rapporto all’incontro con ulteriori eventiaccidentali.

Il primo evento cognitivo fornisce l’idea di pas-saggio, il secondo quello di aggregazione. Nel pri-mo caso per avere una nuova forma occorre passa-re da un luogo ad un altro, che è più ricco di sti-moli rispetto al precedente. Nel secondo caso vie-ne meno l’idea di successione e prevale quello disimultaneità. Lo stile cognitivo accetta soltanto glistadi che possono essere inclusi in un modelloprecostituito di formazione, mentre quello compo-sitivo assiste alla continua creazione-ricreazionedelle forme senza soluzione di continuità (proget-tazione educativa).

Nella formazione la “successione” e “l’impre-visto” costituiscono due momenti della vicendaformativa. La loro adozione complementare ciinduce a considerare la conciliabilità tra il momen-

to regolativo, e l’imprevisto. L’incontro tra le dueforme di formazione dà luogo ad una terza viache può definirsi relazionale. È l’incontro creati-vo tra i vincoli della prima e la libertà della secon-da. La terza forma cioè, è un’organizzazione – inorganizzazione; è processo ed anche prodotto (pro-gettazione educativa/laboratorio educativo/operazionalità), perché, inevitabilmente, le chie-diamo di consentirci di percepire, osservare, toc-care, manipolare, compiacersi delle sue forme chesaranno tanto più seducenti quanto più saranno ilrisultato di una manipolazione dovuta all’una eall’altra razionalità.

È questa la formazione organizzativa, che è al-tra cosa dalla formazione organizzata. La scuolaoggi deve prendere in considerazione “la centralitàdei processi cognitivi nel fare formazione”. Il suoobiettivo deve essere quello di consentire agli alun-ni di diventare adulti. Ciò significa:

- fare apprendere loro a pensare, che deve rap-presentare un apprendimento consapevole;

- fare apprendere loro a decidere, cioè metterlidi fronte a diverse possibilità ed indurli a sceglierela migliore e la più idonea.

La scuola è un sistema complesso che deve tro-vare strategie sempre più organizzative. La scuoladell’autonomia deve porre tutti nelle migliori con-dizioni di rendimento, cercando la trasmigrazionedella logica del dovere all’etica della responsabili-tà. Ancora oggi si tende a privilegiare la trasmis-sione delle conoscenze senza domandarci se lamente di chi la riceve è nelle condizioni idoneeper penetrare nella loro intimità.

L’esperienza cognitiva è sempre apprendimen-to di qualcosa, ed è sempre apprendimento rela-zionale in quanto si dedica all’elaborazione di unaqualche res. Infatti, fenomenologicamente, nonpuò esserci “un pensare privo di pensato”, non puòesserci ricerca che rappresenta un modo di indaga-re (un pensare) privo di pensato (materia indaga-ta), cioè, di pensiero concreto operativo. Appren-dimento, secondo la logica fenomenologica, èintenzionalità rivolta agli oggetti materiali edimmateriali.

Abbiamo rivisto ogni posizione che concepi-sca la formazione e l’apprendimento organizzativocon un processo di trasferimento di saperi e atteg-giamenti pre-confezionati e pre-identificati. Infat-

Immagine di copertina dell’Annuario delle attività “Scuola a colori 2005”.Secondo Circolo - Venosa (Potenza)

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La crisi della scienza classicae il paradigma della complessità

GIOVANNI ROBERTELLADirigente Scolastico I. C. – Corleto (Potenza) - Presidente Regionale ANP

Accettare l’idea che le diverse situazioni incui ci troviamo quotidianamente a viveresiano soltanto semplici o tutt’al più com-plicate è un modo alquanto riduttivo di os-

servare la realtà che ci circonda.Per circa tre secoli la scienza classica (“quella

che, fondando il suo principio di spiegazione sul-l’ordine e sulla semplificazione, ha regnato finoall’inizio del XX secolo, e si trova oggi in crisi”),1introdotta da Bacone, Cartesio e Newton (per ci-tarne solo alcuni), ha portato ad una visione

riduzionistica del mondo secondo la quale noi sia-mo in grado di comprenderlo e poi di organizzar-lo con metodo scientifico scomponendo l’unitànei suoi elementi costitutivi.

Per tutto questo tempo siamo rimasti saldamen-te legati ai “miti della certezza, della completezza,dell’esaustività e dell’onniscienza”.2 Detto in modopiù sintetico, abbiamo agito e continuiamo ad agirein base al paradigma della razionalità assoluta nel-la convinzione di essere capaci di comprendere,spiegare e descrivere tutti i segreti dell’universo

ti, per comprendere il comportamento socialedell’uomo dobbiamo chiarire il sistema non ver-bale che adempie ad una pluralità di funzioni. Essoserve sia per sostenere che per sostituire il linguag-gio verbale, ma anche per esprimere emozioni e/o trasmettere informazioni.

Il linguaggio non verbale, iconografico, musi-cale, artistico, teatrale, filmico ecc. possiede unafunzione retroattiva, necessaria ad ogni intera-zione; offre le informazioni necessarie a compren-dere le modalità mediante le quali i partnersinteragenti stanno dando definizioni alla situazio-ne interattiva in ogni particolare momento. Il dia-logo tra parlante e ascoltatore, qualsiasi codicevenga utilizzato, deve poter essere interpretato edecodificato fra le parti. Se si vuole evitare cheuno scambio comunicativo scada nella confusio-ne e se si vuole organizzare un discorso struttura-to, è necessario che ciascun soggetto, coinvolto intale scambio, verifichi in maniera continuata l’in-cidenza delle sue azioni sugli altri partecipanti.Solo in questo modo possiamo affermare che sus-siste reciprocità nella forma di linguaggio.

In conclusione, gran parte della comunicazio-ne non verbale si riferisce al contratto sociale se-condo il quale i messaggi sono trasmessi e ricevu-ti, rendendo possibile la loro interpretazione.

La capacità di potersi esprimere attraverso lin-guaggi polisemici e il possesso di più codici collo-cano la persona nel mondo e le garantiscono unruolo sociale adeguato alla padronanza dei linguag-gi posseduti. Attraverso i linguaggi si ha la possi-bilità di rivelarsi o dis-velarsi agli altri ed è perquesto che la scuola ha senso, in quanto riesceancora a fare acquisire padronanza dei linguaggi.Oggi non è possibile prescindere dal possesso dicodici di comunicazione che vanno padroneggiatiper realizzarsi al meglio.

Considerazioni tutte che hanno guidato il la-voro duro e oscuro, ma altrettanto professionale,di un anno scolastico testimoniato, in parte, dal-l’Annuario. Riteniamo che la pubblicazione diquesto prezioso strumento di comunicazione ediffusione dell’impegno educativo-didattico delnostro Circolo debba diventare imprescindibileappuntamento annuale.

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con precisione ed oggettività.È stata questa Weltanschauung (visione del

mondo) che ha generato il taylorismo–fordismo(sistema di parcellizzazione di compiti, di unifor-mazione delle mansioni e della standardizzazionedel prodotto) nel mondo del lavoro soprattuttooperaio e il fayolismo (abbastanza simile all’ap-proccio burocratico di Max Weber) nell’organiz-zazione del lavoro impiegatizio e dirigenziale fi-nendo con il contagiare il sistema scuola che haposto “l’enfasi sulla divisione disciplinare, la parc-ellizzazione degli orari, la standardizzazione deirisultati di apprendimento i quali sono da vedersicome elementi che individuano un modo di fun-zionare della scuola che può essere assimilatoall’impostazione tayloristica.”3

Riduzionismo, semplicità, complicatezza, ra-zionalità assoluta, taylorismo-fordismo-fayolismosono state e per molti aspetti sono ancora le cate-gorie fondamentali di riferimento per la compren-sione, organizzazione e gestione dei diversi sub-sistemi nei quali si scompone il più grande siste-ma sociale.

Oggi la rivoluzione scientifica, soprattutto inrelazione al nuovo paradigma della complessità,ha messo in discussione queste categorie e ne haintrodotto di nuove, quali quelle di limitazionedella nostra conoscenza, di finitezza dell’uomo,di incertezza, di disordine, di caos, di irreversibilitàdei processi ed, in definitiva, di “razionalità limi-tata.”4 Si aggiunga a tutto questo la consapevolez-za che ogni evento deve essere considerato comeunico e che non può sussistere isolato dal restodell’universo di cui fa parte, come giustamentepone in evidenza l’economista Jeremy Rifkin: “Inquesto mondo tutto è collegato con tutto il resto,in un delicato e complesso reticolo di interre-lazioni. Neppure il miglior computer che l’uma-nità ha progettato potrebbe calcolare anche solouna piccola parte di tutte le interrelazioni che esi-stono in un semplice ecosistema, quale potrebbeessere quello di uno stagno. Alcuni ricercatori cihanno provato e hanno poi abbandonato dopoessersi resi conto della complessità e della quanti-tà di minuti particolari che entravano in gioco.5”

La scoperta della complessità, intesa come sco-perta dei limiti delle capacità umane6, ci ponenuovi interrogativi in quanto condiziona il no-stro modo di pensare e di rapportarci con i pro-blemi della società contemporanea che richiedo-no di essere affrontati con il pensiero complesso7

piuttosto che con quello della causalità lineare.Quali conseguenze per le istituzioni e per la

scuola in particolare?Molti sono i cambiamenti da introdurre sul

piano organizzativo, progettuale, didattico e cul-turale.

Sul piano organizzativo (l’organizzazione è ilmezzo di cui ci serviamo per far fronte alla sfidadella complessità) diventa fondamentale passare dauna gestione di tipo burocratico ad una di tiporeticolare valorizzando al massimo lo staff di diri-genza sia in termini di status che di retribuzione.È questo un metodo di gestione interessante perdare “senso e significato nell’organizzazione”8 delcomplexus, di ciò che è tessuto insieme, che ri-chiede intelligenze diverse e un lavoro di squadraben diretto e coordinato per cercare di raggiunge-re gli obiettivi individuati. Il completamento delpercorso autonomistico avviato da circa dieci annia questa parte potrebbe agevolare e facilitare ilcompito organizzativo alle istituzioni, scuola com-presa, purchè sia reale e non virtuale.

Sul piano progettuale va sottolineata la necessi-tà di coinvolgere tutta la comunità nella ideazione,condivisione e realizzazione del Piano dell’offer-ta formativa, senza confusione di ruoli tra le par-ti, secondo una visione ecologica del contesto estrategica dell’azione. “La strategia – sostieneMorin – si stabilisce in vista di un obiettivo, comeil programma; essa prefigura scenari d’azione e nesceglie uno, in funzione di ciò che essa conosce diun ambiente incerto. La strategia cerca senza so-sta di riunire le informazioni, di verificarle, emodifica la sua azione in funzione delle informa-zioni raccolte e dei casi incontrati strada facendo.

Tutto il nostro insegnamento tende al program-ma, mentre la vita ci chiede strategia e, se possibi-le, anche serendipità e arte. È proprio un ribalta-mento di concezione che si dovrà attuare per pre-pararci ai tempi dell’incertezza.9” Anche secondoAndrea Ceriani è indispensabile un pensiero stra-tegico per migliorare la scuola in quanto esso ser-ve a “guidare l’azione in modo intenzionale,interrelato e coerente.10”

Sul piano didattico poiché, come ha detto Pascal:“Dunque, poiché tutte le cose sono causate e cau-santi, aiutate e adiuvanti, mediate e immediate, etutte sono legate da un vincolo naturale e insensi-bile che unisce le più lontane e le più disparate,ritengo che sia impossibile conoscere le parti sen-za conoscere il tutto, così come è impossibile co-noscere il tutto senza conoscere particolarmentele parti11”, allora bisogna superare il concetto didisciplina, andare oltre, verso l’interdisciplinarità,multi o polidisciplinarità e transdisciplinarità.

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Sostiene Damiano che la concezione gerarchicadell’insegnamento (dalle finalità, agli obiettivieducativi, agli obiettivi generali, agli obiettivi di-dattici specifici) è venuta meno. “Il punto di vistaattuale non è più ‘verticale’ ma ‘sistemico’, con idiversi punti di riferimento che possono, di voltain volta diventare focali e che sono fatti interagireda uno sguardo multiprospettico, indirizzato aconiugare l’insieme e le parti…”12 Occorre lavora-re nel rispetto del principio ologrammatico inmodo che la parte sia nel tutto, ma anche che iltutto sia nella parte. La strada più facilmente pra-ticabile, da questo punto di vista, diventa quelladi un’organizzazione dell’unità di insegnamento/apprendimento per moduli, per progetti e per pro-blemi, così come suggerito da Guido Petter.13

Sul piano culturale si tratta di superare la sepa-razione delle due culture, quella umanistica e quellascientifica, poiché in una visione sistemica del sa-pere ogni disgiunzione crea fratture, incompren-sione, conoscenza parziale, frammentata e segmen-tata. Mentre noi abbiamo bisogno di formare unpensiero che sappia cogliere “l’unitas multiplex:l’unità e la diversità umane”14 in tutti i campi.Anche se i due pensieri, quello narrativo oumanistico e quello paradigmatico o scientifico,restano divisi per comodità di analisi e di studio,tuttavia quando sono chiamati a dare risposte aigrandi problemi della vita operano insieme ognu-no dal proprio punto di vista, come ha ben chiari-to Bruner: “Ci sono due tipi di funzionamentocognitivo, due modi di pensare, ognuno dei qualifornisce un proprio metodo particolare di ordina-mento dell’esperienza e di costruzione della real-tà. Questi due modi di pensare, pur essendo com-plementari, sono irriducibili l’uno all’altro. Qual-siasi tentativo di ricondurli l’uno all’altro o di igno-rare l’uno a vantaggio dell’altro produce inevita-bilmente l’effetto di farci perdere di vista la ric-chezza e la varietà del pensiero.15”

Sono queste alcune delle condizioni che dovreb-bero caratterizzare le istituzioni, i sistemi econo-mici, le associazioni politiche e sindacali se vo-gliamo rispondere con sensatezza e ragionevolez-

za “alle formidabili sfide della globalità e dellacomplessità” (Morin, 2000).

Solo in questo modo potrà essere garantito agliuomini e alle donne del XXI secolo di non essere“più vittime incoscienti non solo delle loro idee,ma neanche delle menzogne nei confronti di sé. Ècompito capitale dell’educazione armare ciascunonel combattimento vitale per la lucidità”.

16 E. Morin, Il metodo. 1. La natura della natura,Raffaello Cortina Editore, Milano 2001;

2 G. Bocchi - M. Ceruti, (a cura di), La sfida dellacomplessità, Feltrinelli, Milano 1985;

3 M. Orsi, Quaderni di dirigenti scuola. Scuola, orga-nizzazione, comunità. Nuovi paradigmi per la scuoladell’autonomia, Editrice La Scuola, Brescia 2002;

4 H. Simon, Il comportamento amministrativo, IlMulino, Bologna 1967;

5 J. Rifkin, Entropia, Baldini&Castaldi, Milano2000;

6 P. Romei, L’organizzazione come trama. Fondamen-ti per la conoscenza e lo studio dei fenomeni organizzati-vi, CEDAM, Padova 2000;

7 E. Morin, Introduzione al pensiero complesso,Sperling&Kupfer, Milano 1993;

8 K. E. Weick, Senso e significato nell’organizzazio-ne. Alla ricerca delle ambiguità e delle contraddizioninei processi organizzativi, Raffaello Cortina Editore,Milano 1997;

9 E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegna-mento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Edito-re, Milano 2000;

10 A. Ceriani, Un pensiero strategico per migliorarela scuola, in C. Scurati, (a cura di), Guidare la nuovascuola, Editrice La Scuola, Brescia 2002;

11 B. Pascal, Pensieri, Mondatori, Milano 1994;12 E. Damiano, La nuova alleanza. Temi problemi

prospettive della Nuova Ricerca Didattica, La Scuola,Brescia 2006;

13 G. Petter, La valigetta delle sorprese. Saggio sullamotivazione ad apprendere, La Nuova Italia, Firenze1994;

14 E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione delfuturo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001;

15 J. Bruner, La mente a più dimensioni, EditoriLaterza, Bari 1996.

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I 50 anni dell’Istituto Professionale per l’agricoltura el’ambiente “G. Fortunato” di Potenza

CARMINE FILARDIDirettore sede coordinata di Lagonegro dell’I.P.A.A. “G. Fortunato”

inquant’anni. Tanti nesono passati dalla istitu-zione dell’Istituto Profes-sionale per l’Agricoltura

e l’Ambiente “G. Fortunato” diPotenza, avvenuta con DPR n1695 del maggio 1956.

Se ne è discusso a Potenza e aS. Arcangelo nei giorni 24 e 25marzo 2006 alla presenza di rap-presentanti delle Istituzioni lo-cali, provinciali e regionali, dinumerosissimi Dirigenti Scola-stici, di rappresentanti dell’Uni-versità di Basilicata, delle Scuoleagrarie di Francia, Belgio, Olan-da (aderenti ad Europea), di rap-presentanti del mondo produt-tivo.

Sorto grazie alla ferrea volon-tà di illustri personaggi che han-no segnato la storia dellaBasilicata e dell’Italia, per tuttiil defunto ed indimenticato se-natore Decio Scardaccione, an-noverava nel suo ordinamentosette orientamenti tecnico-ope-rativi: per coltivatore, per orti-coltore, per frutticoltore, per oli-vicoltore-frantoiano, per zoo-tecnia e caseificio con sezione dicapostalla e casaro, per viticol-tore e cantiniere, per meccanicoagrario.

Grande è stato il merito del-l’Istituto Professionale nei primidecenni di vita, contribuendocon la sua attività ad innalzare il

Cgetto 2002, dell’autonomiaorganizzativa e didattica previstadall’art. 21 della legge 59/97 edell’organico funzionale.

L’Istituto si è proposto comesollecitatore, attivatore e pro-pulsore di processi di innovazio-ne che investono l’intera comu-nità sociale, secondo le indicazio-ni che provengono dai vari Con-sigli Europei (Lisbona 2000 e suc-cessivi), ed enorme è lo sforzodi ricerca, di innovazione didat-tica, di promozione.

L’Istituto Professionale perl’Agricoltura e l’Ambiente, infat-ti, ha concentrato la propria azio-ne educativa e formativa, metten-do al centro delle proprie atten-zioni l’alunno e la sua persona.

Si è proposto con un’offertaformativa calibrata alle esigenzeche vengono espresse dal territo-rio, inteso nella sua complessitàe variabilità di attori.

Ha rappresentato un punto diriferimento per tanti ragazzi egiovani provenienti dal territorioprovinciale orograficamente dif-ficile. Molti hanno potuto fre-quentare grazie anche alla presen-za dei Convitti annessi alle sediscolastiche (in particolare allasede di Lagopesole di Aviglianoe alla sede di S. Arcangelo): sen-za i Convitti, non potendo viag-giare, tanti ragazzi sarebbero staticostretti a fare scelte diverse e/o

livello culturale e professionaledi gran parte della popolazionerurale, delle aree interne e dellezone dove ha trovato applicazio-ne la riforma agraria. Successiva-mente alterne vicende ne hannosegnato la vita e le attività finoal 1985 quando viene chiamatoa dirigere l’Istituto l’attuale Di-rigente Scolastico prof. Girola-mo Vignola.

Ha inizio un nuovo periodo,che vede l’Istituto partecipareattivamente ai cambiamenti chehanno interessato il sistemaeducativo e formativo italiano,ed in particolare il settore dellaistruzione professionale.

È di questi anni, infatti, unaserie di studi e ricerche per unarivisitazione dei curricoli del set-tore. Alla fine degli anni ottantavengono avviate sperimenta-zioni cui immediatamente l’Isti-tuto di Potenza aderisce. In col-laborazione con altri Istituti,segnatamente quello di Cosenzae quello di Salerno, vengono co-stituiti gruppi di lavoro inter-regionali che sotto la guida e isuggerimenti di Ispettori (tra cuiG. Murolo e G. F. Branchi) delMIUR portano alla sperimen-tazione del progetto ’92, divenu-to successivamente di ordina-mento.

Ad esso hanno fatto seguitopoi le sperimentazioni del pro-

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addirittura a non proseguire piùgli studi.

Si è adoperato per facilitarel’inserimento e l’integrazione dialunni diversamenti abili, azio-ne che si sta rivelando semprepiù una risorsa perché consentedi elaborare strategie didatticheancor più adatte ed idonee alconseguimento del successo for-mativo per tutti gli alunni. (Nonsolo per i diversamente abili).

Ha orientato la propria azio-ne verso la costruzione di unafitta rete di relazioni con il terri-torio, con la realtà sociale in essopresente, con gli Enti su di essooperanti (La Regione, la Provin-cia, i Comuni, le ComunitàMontane, Il Parco Nazionale delPollino, le Organizzazioni deiproduttori, le Organizzazionisindacali, la Camera del Com-mercio, l’Università, Istituti diricerca, l’Alsia, il Corpo Fo-restale dello stato), nell’intentodi elaborare un’offerta formativarispondente alle esigenze ed alleaspettative dell’utenza, consape-voli che ci muoviamo in una re-altà che richiede propensione alcambiamento, flessibilità, adatta-bilità, competenze.

Ha partecipato alla costitu-zione di Europea (*Associazio-ne comunitaria degli istitutiagrari) e partecipa attivamenteai progetti Leonardo “Fancam”(con Belgio, Francia, Olanda,Spagna, Slovacchia, Lettonia,Ungheria) ed “ALIE” (con O-

landa, Austria, Belgio, Lussem-burgo, Germania, Lituania e Re-gno Unito).

Tante sono le iniziative por-tate avanti in rete con altre Isti-tuzioni scolastiche, sia in verti-cale che in orizzontale, per ar-ricchire e diversificare l’offertaformativa:

* Area professionalizzante inconvenzione con la RegioneBasilicata;

* esperienze di alternanza scu-ola-lavoro;

* corsi IFTS (Istruzione e For-mazione Tecnica Superiore) inrete con

* altri attori tra cui L’Univer-sità di Basilicata;

* progetto “Helianthus”.

In questi anni l’Istituto è nu-mericamente cresciuto passandodai circa 470 alunni alla fine de-gli anni 80 agli 812 di oggi.

Tanti sono, ad oggi, i giovaniche usciti dal nostro Istituto sisono affermati nel mondo delleprofessioni, come imprenditoriagricoli e liberi professionisti.

L’Istituto Professionale perl’Agricoltura e l’Ambiente festeg-gia i suoi primi cinquant’anni divita, in un periodo particolare, lastagione della riforma. Moltesono le sfide per il futuro. Negliultimi anni, infatti, profondi sonostati i cambiamenti che hannointeressato tutta la società civile,il mondo della comunicazione e

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della produzione.Anche il settore agricolo si è

profondamente modificato: l’a-zienda non è più soltanto il luo-go di produzione ma è diventa-to un luogo di erogazione di ser-vizi (ospitalità, enogastronomia,turismo rurale) e di sentinella adifesa dell’ambiente. Le impreseagricole si muovono in un con-testo sempre più caratterizzatodalla competitività, dalla multi-funzionalità, dalla sicurezza ali-mentare.

I modelli organizzativi diven-tano sempre più complessi e ar-ticolati.

Ai giovani si richiedono sem-pre più competenze professiona-li specifiche, legate a un abile usodelle tecnologie innovative edalla conoscenza delle lingue.

Per dare risposte significative,l’Istituto con la sua organizzazio-ne e con tutte le sue risorse, so-prattutto umane, culturali e pro-fessionali è pronto e determinatoa proporsi e ad agire come puntodi riferimento per i giovani.

In collaborazione con i pro-pri partners europei, recependogli orientamenti pedagogici oggiprevalenti, sta portando avanti lapropria azione didattica imposta-ta sul lavoro in team, sollecitan-do nei giovani il piacere di ac-quisire, creare, costruire cono-scenze, guidati dai docenti, peressere pronti ad affrontare le re-sponsabilità del lavoro e del fu-turo.

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La complessitànei Centri Territoriali Permanenti

VINCENZO RUSSODocente CTP Scuola Media “Busciolano” - Potenza

on c’è niente di più tristedell’alba di un giorno incui nulla accadrà” scrive-va Cesare Pavese. La vita

oggi ci impone nella sua com-plessità, nel suo frenetico dive-nire, dei ritmi incessanti e guaiall’uomo che si culla sulleacquisizioni antiche e sulle teo-rie del passato. Oggi i grandi ide-ali hanno lasciato il posto adobiettivi settoriali e la personasembra aver perso la sua identi-tà. La paradossia crescente è unodegli aspetti di questa società chepiù preoccupa. Evidenti sono iparadossi: sembriamo avviati allamondializzazione della cultura,al villaggio globale, tuttavia ibeni e le ricchezze sono risorsedi una parte del mondo, mentreil resto vive ancora condizioni dimiseria e in almeno 24 paesi delmondo bambini sono addestratiper la guerra.

Lo sviluppo tecnologico avan-zato sembrerebbe poter liberarel’uomo e soddisfare così la suatensione al benessere ed inveceesso corrisponde alla perdita diposti di lavoro e a forme di alie-nazione sempre più evidenti.

Oggi si evidenzia una ulterio-re minaccia per la liberazionedelle energie creative dei giova-ni, quella rappresentata da que-sta società a vocazione mercan-tilistica: la visione del futuro pro-posta ai giovani è quella di en-trare nel sistema produttivo

bisogni degli adulti che non sia-no appiattimento del modellodella scuola dei giovani, attraver-so la valorizzazione di caratteridi essenzialità e progressività. Ladidattica di chi insegna nellacomplessità delle risposte da dareai bisogni degli adulti deve mo-dellarsi sulla esigenza dei fruitoridei percorsi didattici. Noi nonabbiamo a che fare con una clas-se tradizionale dove gli alunnisono divisi in massimo tre fascedi livello e dove si cerca di por-tare tutti allo stesso livello maabbiamo prima di tutto a che farenegli ultimi tempi con un’utenzamultietnica e multiculturaledove noi operatori del centrodobbiamo dare delle risposte alleaspettative degli adulti alla citta-dinanza attiva e alla speranzadella occupabilità promovendocorsi di formazione generale e disensibilizzazione e orientamen-to con corsi preprofessionali.

L’economia oggi è basata sul-la conoscenza, e il mondo socia-le e politico si presenta con ca-ratteri di complessità e soloun’istruzione adeguata può con-sentire di affrontare tale com-plessità. Noi operatori siamochiamati alla sperimentazione dimodelli scientifici della educa-zione che avviene in tutte le fasidella vita ma per fare questo dob-biamo prima di tutto crederci emettere in campo tutte le ener-gie per risolvere il problema.

“Nestremamente competitivo, co-me parte non “partecipante”,come un ingranaggio facilmentesostituibile.

In questo contesto si avverte,quindi, l’esigenza di recuperareun’idea pedagogica che sappiatornare all’uomo, sappia gestirela complessità, e sappia liberareenergie creative ed emancipative

I Centri territoriali sono di-ventati con il passar degli annilaboratori della complessità nel-lo studio di strategie didatticheeducative relative ai bisogni di unautenza complessa e variegata. Èun’utenza quella dei ctp cherispecchia i complessi meccani-smi di una società in evoluzionecontinua dove i bisogni si molti-plicano di giorno in giorno. edove l’operatore è chiamato aduna continua fase formativa e in-formativa per non vanificare lasua opera educativa. Siamo chia-mati a dare risposte al disagio ingenerale e al caso particolare.

Un extracomunitario che ar-riva oggi in Italia trova nei cen-tri territoriali persone competen-ti in grado di farlo uscire dall’iso-lamento dovuto alla non cono-scenza della lingua del paese chelo ospita e quindi gli viene datain breve tempo quella competen-za che è il primo passo necessa-rio per l’inserimento nel mon-do del lavoro e della società chelo ospita. La nostra ricerca con-siste nel dare delle risposte ai

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La mediazione scolastica sistemica

MARIA TERESA SANZADocente I.T.C. “F. S. Nitti” - Potenza

empre più frequenti sonoi conflitti che dentro efuori le aule sorgono epermangono senza trova-

re una soluzione. Spesso laconflittualità non viene notata oavviene in contesti lontani dal-l’attenzione dei docenti. Il con-flitto affrontato prima che dege-neri in violenza può divenire, pa-radossalmente, fonte di cono-scenza di se stessi e esperienzadi crescita. Attraverso la media-zione sistemica ciò è possibile.La causa di questi disagi è l’inca-pacità di far emergere bisogni etensioni.

Con la mediazione si attivaun processo attraverso il quale leparti in conflitto trovano un ac-cordo, grazie ad un mediatoreche sia in grado di ascoltare e fa-vorire la comunicazione offren-do una soluzione alla risoluzio-ne della questione. In ambitofamiliare, sociale, lavorativo, sco-lastico e aziendale la mediazio-ne diventa un mezzo per trovareun accordo. Questa quindi, è unmetodo alternativo della risolu-zione di conflitti. Il mediatore,opportunamente formato, im-parziale, senza assurgere al ruo-lo di giudice, è una parte terza eneutrale che aiuta a pervenire aduna soluzione della crisi. Attra-verso un sistema di osservazio-ne, il mediatore attiva un conte-sto di ascolto dei bisogni, degliinteressi delle parti in conflitto.

un ascolto interattivo che il me-diatore guida i protagonisti delconflitto e li conduce ad un “sì”condiviso. Il processo si organiz-za e parte da una domanda diaiuto di fronte ad una delle cita-te problematiche.

Il conflitto, però, non trove-rà soluzione con la “vittoria” diuno sull’altro ma con un accor-do duraturo, in cui il mediatoreavrà svolto il ruolo di prevenzio-ne anche dei conflitti futuri. Ilmediatore non è, perciò, il pro-tagonista dell’accordo, bensìconsente la comunicazione rom-pendo, per così dire, quellamembrana che divide le parti inconflitto. Inizia, così, un proces-so di crescita dell’individuo chesupera le difficoltà derivanti dalbisogno di risolvere contraddi-zioni e dubbi apparentementeinsolubili.

Attraverso un lavoro di ascol-to e di domande il mediatore aiu-ta a percepire “l’altro” come sog-getto. Indispensabile nella co-struzione del processo, sarà, dun-que, il coinvolgimento deisottosistemi relazionali coinvol-ti (alunni, docenti, genitori) di-sposti ad ascoltare ed accogliereil disagio, mettendo in giocoanche le qualità degli stessi ragaz-zi a diventare essi stessi media-tori dei conflitti che si presenta-no.

La mediazione scolastica, in-somma, si fonda sulla pratica

SEgli avvia un processo circolareche è tanto più proficuo quantopiù sarà in grado di far emergerele cariche emozionali delle par-ti. L’ascolto del mediatore è ca-pace di stabilire relazioni positi-ve nelle persone coinvolte.

Nella scuola le dinamicheconflittuali, la violenza giovani-le, la dispersione, “Il bullismo”,gli atti di vandalismo rappresen-tano la punta dell’iceberg di unfenomeno che si è diffuso nellesocietà più evolute, nelle cosid-dette società del benessere. Ilparadigma del ruolo dell’istru-zione scolastica si è trasforma-to: la scuola non è più l’ambitodi socializzazione e di formazio-ne, ma è divenuto uno spaziodove esibire forza, immagine ericchezza. L’obbiettivo dellamediazione e, segnatamente diquella scolastica, è quello di ri-durre la violenza, la dispersio-ne scolastica, migliorando il cli-ma e stimolando al confronto ealla cultura della diversità. Lamediazione si pone l’obbietti-vo di promuovere la socializ-zazione e la promozione dellavalorizzazione del sé e dell’al-tro. Non più con un ordineimposto, ma negoziato e rag-giunto attraverso la coalizionee l’alleanza, il sistema scolasti-co tende a sostenere l‘equilibrioraggiunto.

È con una retroazione positi-va che apre sul negoziato, è con

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della comprensione di se stessi,di ascoltare gli altri, di ottenererisorse da utilizzare in modo po-sitivo e competitivo. Più nellospecifico, il ruolo del mediatorenella soluzione del conflitto si ar-ticola in fasi ben distinte:- la individuazione del proble-

ma;- la definizione dello stesso;- l’analisi di soluzioni alternati-

flittuali, guidando le contropartia scegliere una soluzione, senzadare consigli o decisioni perso-nali. In conclusione la mediazio-ne è apertura ad una comunica-zione divenuta difficile che pon-ga le soluzioni alternative o nuo-ve cui le parti devono pervenire,accettando, come sbocco finale,due vincitori.

ve attraverso le risorse dispo-nibili. Lo strumento di cui il media-

tore si serve per aprire una mol-titudine di “piste” da seguiresono le sue “domande”. Egli ope-ra in posizione di neutralità conrispetto degli altri, con cono-scenza precisa delle tecniche; inparticolare ascolta, controlla ilprocesso, ridefinisce le aree con-

Maratea (Potenza). Centro storico, via San Pietro. Maratea (Potenza). Cristo con ruderi

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Dalle Istituzioni extrascolastiche

Scuola e Comune in sinergia per la crescitadella collettività

LOREDANA STOPPELLIAssessore alla Pubblica Istruzione - Amministrazione Comunale Maratea

l mondo della scuola, ne-gli ultimi anni, ha vissu-to grandi trasformazioni.L’autonomia, principio

ispiratore della riforma scolasti-ca, ha sicuramente favorito unamaggiore libertà organizzativadel modello scuola, trasferendoalla singola struttura scolastica lefunzioni precedentemente svol-te a livello centrale. Tutto ciònon modifica solo le regole digestione organizzativa e dellaprogrammazione didattica degliIstituti ma anche ed in misura si-gnificativa, il loro rapporto con

mutamenti della società, hasempre accanto un governo cit-tadino attento e partecipe. Nel-le realtà scolastiche più qualifi-cate si rileva, infatti, come il Co-mune e le Scuole, attraverso for-me di coordinamento ed inte-grazione, realizzino una effica-ce collaborazione orientata asoddisfare i bisogni formatividel territorio, ad affrontare lenuove sfide dell’istruzione edell’educazione ed a gestire nelmodo migliore le limitate risor-se finanziarie ed organizzativea disposizione.

L’Amministrazione comuna-le di Maratea ha piena consape-volezza di questa nuova realtà.Come già programmato nel Pia-no del Diritto allo Studio essanon si limita a fornire alle scuo-le, in modo meccanico, beni eservizi ma assume la posizionedi partner fondamentale dellascuola dell’autonomia in quan-to rappresentante della comuni-tà locale e compartecipe dei Pia-ni dell’Offerta Formativa.

Ed è in questa ottica che sideve leggere l’impegno dell’As-sessorato alla Pubblica Istruzio-

Iil territorio e le altre istituzioniivi presenti.

In questo nuovo scenario sirivela, quindi, necessaria, unamaggiore collaborazione da par-te di tutte le istituzioni coinvol-te affinché la scuola, ampliandogli orizzonti della sua offertaformativa, diventi pienamente ri-spondente alla nuova domandasociale, divenuta sempre più di-versificata, eterogenea, multicul-turale in un’epoca caratterizzatadall’europeizzazione e dallaglobalizzazione.

In questa fase di cambiamen-to, l’Istituzione Comuna-le, se lungimirante, si deveproporre il compito di av-viare un nuovo confrontodialettico e un nuovo rap-porto operativo col mon-do della scuola. All’Entelocale è riconosciuto, in-fatti, un ruolo basilare nel-la rilevazione dei bisognie quindi nel testimoniarele esigenze formative del-la comunità locale. Unascuola ben organizzata edefficiente, pronta a coglie-re in positivo i continui

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ne a sostenere progetti ed inizia-tive educative e didattiche, a pro-muovere relazioni e collabora-zioni tra le scuole e il territorio.E infatti, già alla fine dello scor-so anno scolastico, ha contribu-ito alla realizzazione di iniziati-ve culturali della scuola quali rap-presentazioni e manifestazioniorganizzate dai docenti ed altreiniziative, come il corso di vela,che costituiscono momenti divera crescita culturale ed educa-tiva per gli studenti.

Nell’anno in corso ha già pro-mosso e sostenuto iniziative,quali: “Spiagge pulite”, il calen-dario “I rifiuti come risorsa”, re-alizzato a conclusione del pro-

getto ATO di educazione ambien-tale, il progetto sull’acqua “Lagoccia che fa traboccare il vaso”,ideato dalla Comunità Montanadel Lagonegrese, tra alcune clas-si delle nostre scuole elementaricon quelle di altri paesi limitro-fi. Il 21 marzo scorso, infine, c’èstata la premiazione del concor-so “Caro Albero…”, rivolto aglialunni della Scuola primaria edella Scuola secondaria di primogrado, a cui i ragazzi hanno par-tecipato con elaborati grafici,componimenti e poesie. Altriprogetti seguiranno, miranti so-prattutto a favorire l’integrazio-ne sociale e culturale dei ragazzidi Maratea. Chiave di questa in-

tegrazione deve essere l’acquisi-zione della consapevolezza, inognuno di loro, di disporre di unterritorio unico, con una gran-de valenza storica, artistica, pae-saggistica.

L’Assessorato alla PubblicaIstruzione, in raccordo costantecon i Dirigenti Scolastici, è al-tresì sempre disponibile ad af-frontare le varie problematicheche man mano si presentano eche sono sicuramente particola-ri su un territorio come il no-stro, così geograficamente com-plesso affinché l’anno scolasticopossa continuare ad essere vissu-to serenamente e proficuamenteper tutti.

Maratea (Potenza). La costa da marina.Paesaggio. Il porto

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a prevenzione negli am-bienti di vita, di lavoro edi studio è un tema disempre maggior attualità

che coinvolge tutte le sfere dellapersona.

L’INAIL, da sempre attentoalla tutela della salute e della si-curezza del lavoratore, ha pro-mosso negli ultimi anni dellepolitiche sulla prevenzione chehanno coinvolto anche quegliaspetti della vita sociale, scuolee università, non direttamentecollegate al mondo del lavoro.

Questo processo di sensibiliz-zazione, voluto fortemente dal-l’INAIL, ha trovato nel Ministe-ro dell’Istruzione, dell’Universi-tà e della Ricerca un solido alle-ato con il quale attuare una for-ma di collaborazione efficace edefficiente in grado di indirizzarei giovani, lavoratori e datori dilavoro di domani, verso la cul-tura della prevenzione e la sicu-rezza nel mondo del lavoro.

Nel quadro dei programmicomuni dedicati alla scuola siinserisce il concorso – INAIL-MIUR – per l’assegnazione di 300borse di studio (5 in Basilicata)individuali e collettive a studen-ti di Scuole Secondarie Superio-

Forme di incentivazione allo sviluppodi professionalità in materia di sicurezza e salute

negli ambienti di vita, studio e lavoro

EMIDIO SILENZIDirettore Regionale INAIL-MIUR

Il progetto dell’Istituto Tecni-co Statale Commerciale “Leo-nardo da Vinci”, di Potenza, re-alizzato dagli studenti della 4 B(coordinati dal Prof. StefanoDorsa) ha come titolo “Sei Sicu-ro? Tre spot sulla Sicurezza” edè stato premiato per la fantasia el’efficacia comunicativa.

Il lavoro dell’Istituto Stataled’Istruzione Superiore “Ruggerodi Lauria”, Lauria (Pz), realizza-to dagli studenti della 4ª C dell’IPSIA (coordinati dal Prof. Ing.Nicola Scaldaferri e dal prof.Nicola Cicale), ha come titolo“Sicurezza elettrica”, ed è statopremiato per la qualità ed eleva-te specificità del lavoro realizza-to con riferimento al particolareindirizzo di studi.

L’elaborato dell’Istituto Stata-le D’Istruzione Superiore “E.Majorana”, Genzano di Lucania(Pz), realizzato dallo studenteSimone Roberto (seguito dalProf. Aldo Grignetti, dal prof.Pasquale D’Erario e dalla prof.ssaEmanuela Lasala), ha come tito-lo “Sognando... un po’ di sicu-rezza in più” ed è stato premiatoper l’efficacia comunicativa e laqualità delle rappresentazionigrafiche.

Lri per lavori/progetti in tema disicurezza e salute negli ambientidi vita, di studio e di lavoro.

Le commissioni giudicatricidei lavori relativi all’anno scola-stico 2004/2005, composte darappresentati INAIL-MIUR e isti-tuite presso le Direzioni Regio-nali dell’INAIL, hanno espressoun giudizio con particolare ri-guardo ai contenuti tecnici e allosviluppo progettuale con atti-nenza specifica nell’indirizzo distudi, all’attenzione posta allediverse realtà territoriali e allamodalità dei documentali utiliz-zati. Nell’ambito di tale conte-sto, la commissione, dopo averesaminato i lavori pervenuti han-no proceduto alla assegnazionedei premi seguendo i criteri dicui al bando di concorso e pre-miando l’elevata qualità ed effi-cacia comunicativa.

In tale contesto il 5 aprile2006 alle ore 10, presso la SalaConsiliare dell’Amministrazio-ne Provinciale, alla presenza delPrefetto di Potenza, si è svolta lapremiazione del concorso INAIL-MIUR Basilicata per l’anno sco-lastico 2004/2005 premiando,relativamente alla provincia diPotenza, i seguenti elaborati:

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Donato Dente - Francesco Fusaro - Francesco Nacci,La famiglia: itinerari e riflessioniEdisud, Salerno 2005

Spazio aperto - Recensioni

ueste rifessioni sono scaturite dal comuneimpegno con Francesco Fusaro e France-sco Nacci, già attivi ed intelligenti mieicollaboratori nelle attività di ricerca svolte

dalla Cattedra di Storia della Scuola – 1971-1999 –presso l’Università di Salerno.

La famiglia, nel corso delle molteplici indagi-ni, dal secolo XVI alla fine del XX, è stata oggettodi particolare attenzione. Gli autori di queste notesono tre docenti, che, nella loro esperienza di non-ni, padri e figli, hanno sempre più rafforzata laconvinzione che la nostra presenza in questo uni-verso non sia «un gioco del fato o un accidentedella storia»1.

Essi considerano la famiglia non un dettagliobanale, ma un progetto inserito nel complesso dellacreazione con scopi precisi, comunque depositariadi valori educativi e sociali ineludibili, inscritti nelrapporto ontologico della famiglia. Sicchè quan-do è stato constatato che il «mysterium inquitatis»,stava guastando, e continua in modo irreparabile,la struttura ontologica della famiglia, i tre autorinon hanno saputo trovare altro modo di protesta-re che manifestare le presenti riflessioni.

L’occasione che ha dato la spinta al progetto diuna collettanea ricerca è stata la lettura del docu-mento, tradotto da Francesco Fusaro, ricevutodagli Stati Uniti, più precisamente dal Dipartimen-to dell’Istruzione di quel grande Paese. In esso sirichiamava una sperimentazione in corso sul ruo-lo che alcune famiglie hanno assunto per esserecoinvolte nei processi educativo-istruttivi dei fi-gliuoli … Da qui la richiesta di voler collaborarecon gli insegnanti e seguire, passo passo, la cresci-ta umana, civile e culturale dei ragazzi. I risultati,pubblicati dal Dipartimento citato, si presentanopiuttosto lusinghieri, al punto che siamo stati pre-

si dall’entusiasmo ed abbiamo giudicata l’iniziati-va rivoluzionaria, soprattutto rispetto a quantosapevamo: la famiglia, in un Paese così avanti inogni campo dei saperi e delle mutazioni liberali,aveva aperto gli occhi ed intendeva ritornare, se-condo la nostra intuizione, al suo «destino»: per-petuare le regole e il fine, la crescita dell’umano,del benessere, della gioia e della ragione dell’esi-stenza!

Ci siamo messi dunque a lavoro: molte letturenuove, interpretazioni di documenti, confronto diesperienze comuni e non, idee ed intuizioni, estre-mamente semplificate, sono stati i temi delle no-stre discussioni, cui è seguito l’incarico a ciascunodi scrivere le proprie riflessioni, che, una volta di-scusse, sono state affidate al più anziano di noi per-ché fossero curate integrate e formalmente unifica-te … Del resto queste riflessioni sono venute fuoriper assumere un carattere particolare, diverso daquello che, nel metodo e nei contenuti distinguegli studi precedenti promossi dalla Cattedra di Sto-ria della Scuola, nei quali la famiglia è stata studiatapiù nella specificità e molteplicità del suo esserestorico, secondo quanto si è rinvenuto nelle cartedegli Archivi di Stato ecclesiastici2.

Tuttavia anche in quei lavori non mancano isegni delle emozioni esperite nella fase confusadella famosa crisi «congiunturale» degli anni apartire dal 1968, quando la caduta verticale deltutto sembrava imminente e una nuova «era» sem-bra affacciarsi non senza provocare «timore e tre-more», in tante persone, per i messaggi eticamen-te allarmanti che venivano diffusi contro l’istitu-to della famiglia … Lo sottolineava il mai dimenti-cato Maestro Roberto Mazzetti in una delle gior-nate, in cui ogni cosa sembrava sul punto di dis-solversi e «l’uomo, un tempo ancora immagine di

Dalla premessa di Donato Dente

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Dio, non sembra tale».Questo convincimento spinse il Professore a

interessare i suoi scolari nell’impegno a difenderela famiglia e vivere nel suo interno, perché chi«sbaglia in famiglia, non sbaglia mai», ripetevacome «un Socrate da Villaggio»3 : e il suo villaggioera popolato da giovani studenti calabresi, pugliesi,lucani, della Campania ecc.

Fuori del villaggio a difesa della famiglia haoperato, in un tempo successivo, e dura, Giusep-pe Acone. Egli attraverso studi di notevole inte-resse pedagogico, riguardanti – ovviamente – an-che la famiglia e la ancora possibile azione edu-cativa di essa, si confronta col pensiero dei mag-giori studiosi nazionali ed internazionali, nel ten-tativo di contribuire a far chiarezza nel drammache oggi vive tutta l’umanità... senza famiglia …Appare del tutto evidente – sottolinea lo studioso– che la forma della teoresi in pedagogia assume lafamiglia educante quale guarnizione centrale del-la civiltà occidentale nella sua coscienza etico-ci-vile e nella sua configurazione di paideia, forma-

le, intenzionale e riflessa… La frammentazione/crisi della famiglia di matrice umanistico-cristia-na e del suo assetto antropoetico costituisce la causadeterminante nell’analisi serrata di G. Acone, delblackout della cultura dei sentimenti quale inelu-dibile infrastruttura della cultura dei valori.

La tendenziale deriva in senso nichilistico, subasi scientifiche e post-umaniste, pone gravissimiproblemi alla paideia del nostro tempo. Essaripropone – sottolinea ancora Ancone – il proble-ma dell’intersezione insuperabile tra persona e sto-ria e in termini di pedagogia tra persona, libertà,responsabilità e condizione civile della famigliacristianamente ispirata …

1 Cfr “La mente di Dio” di P. Davies.2 D. Dente, Salerno nel seicento voll. 2, Salerno 1991;

D. Dente - M. A. Del Grosso La civiltà salernitana nelsecolo XVI, Salerno 1982; D. Dente Le condizioni fem-minili nel regno di Napoli, Marano Ed., Napoli 1978;D. Dente Prospettive pedagogiche di A. M. Galdo: Trariformismo e Rivoluzione, Salerno 1974 - Terza Ed.

3 Roberto Mazzetti, Quale umanesimo?, Roma 1970.

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Donald Phillip Verene, L’arte dell’educazioneumanisticaOsanna Edizioni, Venosa 2006, pp. 104, Euro 7,00

Dalla introduzione di Andrea Battistini

d Atlanta, nel profondo sud degli Stati Uni-ti, esiste da tempo un Istituto di Studivichiani guidato da un filosofo che, per quan-to abbia tutte le caratteristiche del maestro

dotato di sapienza e di carisma, vuole che i suoistudenti diventino, prima e più che discepoli, degliamici. Con loro, benché più giovani e molto menoautorevoli, discute da pari a pari, li prende con sénei suoi viaggi culturali nelle diverse Università delmondo, li frequenta anche fuori della cerchia acca-demica, alternando discorsi su Vico o su Hegel agiudizi su un buon vino o sul livello gastronomico

di ciò che si sta gustando. Questo filosofo, che nelterzo millennio fa rivivere le consuetudini deisimposii platonici investendo di spirito socratico lesue lezioni di umanità, è Don Verene, l’autore deipensieri di questo volume intorno all’educazione.Se sono affidati alla forma epistolare, un genere mol-to frequentato dai filosofi, da Platone a Epicuro, daSeneca a Galileo o a Locke, non è per ubbidire auna convenzione letteraria molto collaudata, maper proseguire sulla pagina scritta la conversazioneabituale nella condotta di tutti i giorni.

Coloro che a vario titolo si qualificano come

A

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docenti tendono spesso a separare la professionedai loro comportamenti quotidiani, come se farel’insegnante fosse lo stesso che svolgere qualsivogliaattività tecnica. Nella sua autobiografia Verene rac-conta che il pur grande filosofo Karl Jaspers, ri-chiesto di interessarsi della qualità scadente del ciboche nella mensa universitaria veniva somministra-to ai suoi studenti, rispose che, essendo la sua mis-sione quella di scrivere per l’eternità, non potevaoccuparsi di simili faccende. Verene invece nonha mai compiuto questo divorzio schizofrenicoperché la sua vita si è sempre ispirata ai principîdell’Umanesimo, rendendo feconde le sue letturefilosofiche negli abituali rapporti interpersonali… La retorica classica auspicava una prosa “copio-sa”, non nel senso di uno stile sovrabbondante oaddirittura ampolloso, ma in grado di cogliere tuttii molteplici aspetti delle questioni dibattute.

Si trattava insomma di abbracciare il cerchioquanto più largo possibile delle cognizioni, nonper esibire il greve fardello delle informazioni maper acquisire le competenze necessarie alla critica,ossia al giudicare con la massima competenza eproprietà. Questo cerchio costituisce, alla lettera,l’enciclopedia del sapere, una costruzione che,nell’ansia di attingere a una totalità armonica, èopposta all’avaro specialismo imbozzolato in unasterile ragnatela. Ecco perché Verene elogia le di-gressioni, che già per Sterne erano «il sole, la vita,l’anima della lettura», mentre lo scrittore che sene vale si mostra «raggiante come uno sposo».

Le lettere che immagina di scrivere a uno scien-ziato, insaporite di aneddoti e di battute piene dihumour, affrontano questioni di importanza pri-maria con la signorilità di chi trova motivi di spun-ti filosofici anche dalla letteratura, dalla storia, dallarealtà che cade sotto gli occhi di tutti, proprio comea Socrate capitava di trarre deduzioni da ciò cheosservava per le strade, le piazze, i mercati. Il modostesso di porgere le sue idee fa di Verene, che èstato anche poeta e ha alle spalle esperienze tea-trali, un narratore cordiale, sensibile al magisterodella retorica e a una funzione docente che non siispiri a un gretto utilitarismo e non abbia comefine ultimo quello di sfornare semplici laureati,anziché uomini consapevoli. Si capisce allora per-ché non approvi lo stravolgimento che l’insegna-mento delle scienze umane ha subìto negli ultimitempi, imprigionato nelle angustie di griglie bu-rocratiche che dagli Stati Uniti sono state scim-miottate dai sistemi pedagogici europei, renden-do molto opportuna e attuale la traduzione italia-na di Vincenzo Pepe. L’esperienza negativa denun-

ciata da Verene con accenti di apparente levità fariferimento alla situazione americana ma, verreb-be da dire al lettore italiano, «de te fabula narratur».

D’altro canto si può individuare un corrispet-tivo nelle denunce che, da parte di intellettuali illu-minati, si sono levate negli ultimi tempi da moltiàmbiti culturali. Si pensi, in Francia, al pamphlet diMarc Fumaroli su L’état culturel o in Italia, all’in-domani della riforma universitaria, alla raccolta diinterventi dal titolo molto trasparente di Tre più dueuguale zero … In un mondo quale quello america-no, in cui, soprattutto dalle sponde del Pacifico, siè sviluppata una rivolta contro un ideale di culturaeurocentrica, in nome di un multiculturalismo cheesige di assegnare a ogni cosa lo stesso valore, laprotesta di Verene suona senz’altro anticonformi-sta e coraggiosa quando, nel sostenere che non sipuò mettere tutto sullo stesso piano, così come «nonsi può pretendere che la cicoria sia la stessa cosa cheil caffè», rivendica il dovere di rifarsi alla guida delpassato e di stabilire delle gerarchie … In Italia nonsi è ancora giunti a questi eccessi, ma non ci sonoforse professori universitari che ai corsi su Dantepreferiscono tenere corsi sui “cannibali”, a Machia-velli le teorie dell’ultimo arrivato tra i politologi, aiPromessi Sposi le prose degli scrittori minimalisti?Riesce allora naturale abbandonarsi al pessimismoe condividere la definizione di Verene allorché con-clude che i suoi sono «i pensieri di un umanista chesi ritrova in un mondo disumano». Sbaglierebbeperò chi alla fine giudicasse apocalittico ocatastrofista questo libro. Le critiche ci sono, e nonsi nascondono sotto eufemismi e perifrasi diploma-tiche, ma dietro il dito puntato di Verene emerge lalucida passione di una mente erasmiana che com-batte e che spera, che mentre lamenta lo scadimen-to del canone a una congerie caotica non disperanella scuola della tradizione e della memoria. Perdirla con Italo Calvino, un altro intellettuale cheha spiegato perché valga la pena di leggere i classici,anche Verene è convinto che in ogni filosofia vera,come in ogni poesia vera, esista un «midollo di leo-ne», ovvero un nutrimento per una morale rigoro-sa, per una padronanza della storia, per un linguag-gio capace di trasmettere una sapienza utile ancheper l’azione e per la vita. Lo slancio con cui si rivol-ge agli insegnanti, l’energia profusa per un’educa-zione integrale, l’entusiasmo nel volere suscitare ildialogo tra docenti e discenti non sono i sintomi diuna rassegnazione, ma una lezione di forza, una«semina di pensieri» che, come si legge nell’esergodi Novalis, aspetta con fiducia lettori nei quali qual-che granello possa germogliare.

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Rubrica etimologica

Fenomeni di linguisticaapplicata:

Lenizione e metatesi

RAFFAELO CORRADETTIPreside emerito - Fermo

Chiedo scusa di una specie di mio autori-ferimento personale, ma sento il bisognodi informarvi che da circa 29 anni sto con-ducendo, attraverso Radio Aut Marche diFrancavilla d’Ete, una rubrica linguistica

intitolata “Una parola al giorno” che va in ondaquotidianamente, nella quale, tra l’altro, mi è sta-to dato più volte di trattare di due fenomeni lin-guistici che vanno sotto il nome di “lenizione” e“metatesi”.

Ebbene, mentre è lecito, per certi versi, ritene-re che non bastassero centinaia di anni per “edu-care” ascoltatori e lettori allo studio dei vari tipi esottotipi di linguistica (ne esistono una quaranti-na) con le relative tematiche e problematiche, de-sidero approfittare della gentile ospitalità offerta-mi da “Il Nodo” per indicare ai lettori che si inte-ressino di linguistica applicata non solo i signifi-cati originari e pregnanti dei termini sopraccitati,ma anche vari esempi sui quali, in genere, nellescuole medie inferiori e superiori del passato, nonsi richiamava l’attenzione degli alunni a cui, inve-ce, dovevano essere forniti gli elementi base diquell’habitus rationis che, come altre volte ho avu-to occasione di rilevare, è e rimane il primo, fon-damentale obiettivo a cui gli stessi alunni posso-no pervenire, sia pure con la dovuta gradualità, senon si vuol vanificare la funzione stessa dell’inse-gnamento.

Dunque il termine “lenizione” indica, sostan-zialmente, quel fenomeno per cui talune conso-nanti di parole dell’italiano corrente (quelle dellacosiddetta lingua “standard”) che si trovano tra duevocali, e quindi lettere “intervocaliche”, vengono

cambiate per “eufonia” (= buona pronuncia) sianella corrispondente forma dialettale, sia nellaforma “nazionale”. Tali consonanti sono: c, t, p.Questo “cambiamento” è determinato dal fatto chesi sente quasi il bisogno fisiologico di pronuncia-re certe consonanti intervocaliche in modo “dol-ce”, “lene” (dal latino “lenis”= lene, dolce, legge-ro; cfr. lenimento = alleviamento, addolcimento;lenire = addolcire). E vediamo alcuni esempi.

Noi siamo soliti dire “pagare” quando si versauna somma di denaro per acquistare una merce ousufruire di un servizio; ebbene, la parola “paga-re” deriva dal latino “pacare” che vuol dire, so-stanzialmente, “mettere in pace” il creditore sal-dando il debito: il verbo latino “pacare” contienel’idea della “pax, pacis” = pace; e si dice, tra l’al-tro, “pacato” un tipo calmo, sereno, quieto, cioè“in pace”. Nelle nostre campagne i sente ancoradire, in forma dialettale (cioè più vicina all’origi-nale, cioè al latino, sia pure parlato dal popolo)“Ma me minchioni? Lu so’ pacatu!” = “Ma misfotti, mi provochi, mi porti in giro? L’ho paga-to!”. Ed ancora noi diciamo “strada”; ebbene, laparola originaria è il latino “strata”, da (via, sot-tinteso) “strata” = (via) spianata. Ebbene “strata”è un participio passato (detto, in latino, perfetto= compiuto, passato) dal verbo sterno, is, stravi,stratum, stèrnere = spianare: infatti la strada (strata)è sempre il risultato di uno “spianamento” del fon-do (cfr. l’inglese “street” e il tedesco “strass”). Esi-stono comunque parole italiane dell’uso correnteche si rifanno in maniera evidente, e per forma eper significato, all’etimo indicato: strato,stratificare, stratificazione, stratigrafia, stratiforme,stratosfera etc.

Ora citerò varie parole che presentano il feno-meno di “lenizione” (altre saranno facilmente re-peribili nei dizionari di italiano che, oggi, si di-stinguono per ricchezza di vocaboli e indicazionidegli etimi): lago, dal latino “lacus” (ma abbiamo,come forse più… vicine all’origine, lacuna, lacu-noso, lacustre); sugo, dal latino “succus” (ma ab-biamo succoso e succulento); gamba, dal greco“kampè” (che è, in realtà, il tratto che va dall’in-guine al ginocchio, mentre quello che va dal gi-nocchio al piede si chiama, in greco, “knème” ed,infine, dall’inguine al piede si chiama “skèlos” =gamba, da cui il termine geometrico “isoscele” =gambe eguali, cioè il triangolo con due lati ugualied il terzo (la base) diverso dagli altri due. Ed an-cora: padre, dal latino “patre”; madre, dal latino“matre”; segare, dal latino “secare” (cfr, secante,in geometria); vogare, dal latino “vocare” = chia-

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mare: infatti il vogatore è “chiamato”, incitato adusare i remi; segreto, dal latino “secreto”, dal par-ticipio perfetto del verbo secerno, is, secreti,secretum, secèrnere = separare, distinguere (cfr.secretazione o segretazione che in diritto indica ilprovvedimento con cui l’autorità competente di-spone, quando lo ritenga necessario, il permaneredel segreto d’ufficio nei confronti di atti che po-trebbero essere resi pubblici a danno dello stessoprincipio di giustizia; in dialetto il segretario èdetto “lu secretariu”); spiga, dal latino “spica”; fa-ticare, dal latino “faticari”; pregare, dal latino “pre-cari” (però abbiamo precario, precarietà, prece =preghiera; magari dal greco “makàrios” = beato);bottega dal greco “apothèca”; luogo, dal latino“locus” (ma abbiamo locale, locanda, locazione,localizzare, collocazione, etc.); ricevere, dal latino“recìpere”; riva, dal latino “ripa”, stivare, dal lati-no “stipare”; lido, dal latino “litus” (cfr. però lito-rale, litoranea); podestà; dal latino “potestatem”(abbiamo anche potestà); scudo, dal latino“scutum”; spada, dal latino “spatha” (greco “spà-the”). L’altro termine sopraccitato “metatesi” vie-ne usato in linguistica per indicare un cambiamen-to o, meglio, una “trasposizione” di lettere o silla-be rispetto alla parola originaria.

Deriva dal greco “metà” (preposizione = oltre,al di là, attraverso, con, etc.) ed il sostantivo“thèsis”, dal verbo “tìthemi” = metto, colloco).Si tratta, praticamente, di inversione di due “feno-meni” contigui (“fonema”, dal greco “fonè” = suo-no, è la più piccola unità distintiva della lingua,al cui cambiamento corrisponde un cambiamen-to di significato, come ad esempio: c-are, d-are, f-are, m-are, p-are, r-are: le consonanti iniziali delle

citate parole c, d, f, m, p, r, sono “fonemi”). Peresempio in varie forme dialettali e…nazionali:petra, dal latino “preta” (= pietra); crapa, dal lati-no “capra”; formaggio, dal francese “fromage”;“magnare” per “mangiare”; sempre, dal latino“semper”; “treatu” (dialettale) per teatro;“frabbeca” per fabbrica; “strellacche” persterlacche; “ugna” (dialetto ogna) da unghia (lati-no ungula, da cui “ungulati”); “gericu” (es. “parla-re gnericu) da generico o da gergo il significato,qualunque sia l’etimo è sempre quello: parlare inmodo da non poter fare afferrare il significato);“freve” (napoletano) per febbre; “fisima” per sofi-sma; “da” (come preposizione di moto da luogo,es. “vado da mio padre”) dal latino “ad” = verso;invece “da” (come preposizione di moto da luo-go, es. “vengo da Roma”) deriva dalla fusione dellatino “de” e “ab” = dab = da; vengo da “vegno”(latino venio); tengo (da “tegno”, latino teneo);scatola (latino “casula”); vegliare, dal latino “vigi-lare”; “scì” (dialettale) dal latino “sic” = si; “nu”da “unu” (= uno), es: nu poco, sia in napoletanoche in ascolano; “nà” per “una”, es: “è nà ragazzacarina”.

Vorrei terminare il presente con una conside-razione non certo edificante per quel che attienealla scuola di ieri (di circa 60-70 anni fa): trattazio-ni e spiegazioni del genere di quelle soprariportateerano, ai tempi in cui io frequentavo la scuolamedia (ginnasio inferiore e superiore per otto anni)un sogno. E penso doveroso richiamare ancora unavolta l’attenzione dei lettori sul fatto che per mol-ti aspetti la scuola di oggi è da ritenere (nonostan-te qualche ombra e lacuna) di gran lunga superio-re a quella di ieri.

N

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