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CONTRIBUTI BRONZI ORNAMENTALI E D'ARREDO DI UNA DOMUS DI MODENA D 1 UN GRUPPO di bronzi antichi, restituiti occasio- nalmente dalla Colonia di Mutina, 1 l meritano attenzione quei pezzi i quali, oltre che le nostre c;onoscenze sull' sugli element1 ornamentah della VII Reg10, hanno un mtrin- seco valore estetico e possono considerarsi piccole opere d'arte della toreutica. Mi giova anzitutto presentare degli elementi, che dovevano essere parte decorativa oltre che funzionale di piccoli bacini e fontane e che potevano forse allie- tare il peristilio della domus mutinense, in maniera non da quanto ci mostrano le case pompeiane, pnme fra tutte la domus Vettiorum e quella del Fauno. La domus di Modena ha restituito dei getti d'acqua a stelo, che si espandono in un calice a lamina di bronzo decorata a sbalzo. L'elemento più mutilo, di forma imbutiforme, leggermente al bordo (fig. 5 b; alto cm. 4,8; diametro infenore cm. 3,8, superiore cm. 6,7. Inv. n. 6397), sppra un piccolo toro ed una breve gol_a, si espande ad echino, in cui si coglie, per quanto p1uttosto guasta, ancora la decorazione a foglie d'acqua. Più movimentato è un secondo elemento (fig. 5 a-a'; alto complessivamente cm. 16,5; diametro inferiore cm. 1,7, superiore cm. 7· Inv. n. 64II). Sul tubulo inferiore di innesto si espande un'alta fascia strigilata, quasi tamburo di colonnetta a fitte rabdoseis, che par costituire la base ad un piccolo vaso cantari- forme col bacile decorato a bulino da un giro di bac- cellature e col calice ornato da lunghe foglie d'acqua. Il getto, che sembra dovesse uscire da esso attraverso i fori sbiechi praticati a girandola su uno·spesso (mm. 6) disco metallico (vedasi fig. 5 a; diam: 5,8), che ve- niva ad incassarsi alla sua bocca, formava evidente- mente un gioco d'acqua piuttosto singolare, pensabile del tipo ad ombrello spiraliforme. Ma più singolari e più eloquenti nella loro plastica corporeità slanciata sono le due anatre pressoché iden- tiche in bronzo (figg. 6--8; lunghe cm. 22-22,5; larghe cm. II-II,5; altezza massima cm. IO-II; Inv. nn. 6396; 6509) che, con le zampe rattratte sul ventre e le ali appena rialzate dovevano apparire sul pelo del- l'acqua del bacino di fontana, dove in funzione di hydrorrhoa erano state sistemate probabilmente con- colte dall'artefice quasi nell'atto di spiccare 11 volo, aperti i becchi come m un Con un mi- nuto lavoro di bulino sono stati vanamente individua- lizzati la soffice pelurie sulla base del becco ed attorno all'occhio, ben caratterizzato con la tonda pupilla inca- vata, il morbido piumaggio del capo e le penne che a squame, ciascuna ben delineata nel suo calamo e nelle sue barbe, si allungano dal collo su tutto il corpo e da qui si allargano fino alla costa delle ali, spandendosi _ quasi a forma di edera, sotto i cui lobi si dipartono le penne remiganti delle ali e quelle timoniere della coda col loro deciso aspetto spicato lungo tutto il calamo La accurata, naturalistica notazione dei par- ticolari, che si rileva sulle teste, sui colli sinuosi e sul- l'intera superficie dorsale, si manifesta anche nel piu- · maggio del ventre e nella trattazione delle zampe pal- mate rattratte, la cui pelle rilassata è resa a fitte stria- ture, mentre a serie di fasci striati longitudinali è pure trattato, in forma qui invero meno realistica ma più schematica, il piumaggio interiore dell'ala, poiché ri- maneva fuori dal campo visivo. Non è improbabile che il prototipo del palmipede fosse tratto da qualche esemplare dell'ellenismo maturo, che ebbe una parti- colare predilezione per le raffigurazioni di volatili an- che in graziosi gruppi di genere, come ad esempio la ben nota opera di Boethos del fanciullino che soffoca l'oca del Museo Vaticano o dell'anonimo gruppo, per- venutoci in copia romana, della bimba con la colomba del Museo Capitolino. D'altronde la ricerca realistica della resa del piumaggio negli uccelli trova i suoi ante- cedenti nell'arte classica del V secolo a. C.; basti con- siderare la monetazione argentea di Atene con la in- confondibile civetta, o la monetazione di Akragas con figura o della coppia di aquile, o quella dJ Kamarzna col ctgno trasportante un'Aura. Ma se in questi conii non è stato possibile ai Maestri creatori scendere in dettaglio nei particolari, attesa la ristretta superficie del tondello, antecedenti quanto mai signi- ficativi troviamo in opere del primo ellenismo, dal- l'aquila del celebre gruppo del Ganimede del Museo Vaticano, derivato evidentemente dall'originale di Leo- chares, che va cronologicamente inquadrato tra il 350-320 a. C., al piccolo gruppo frammentato dello stesso soggetto del Museo di Taranto, in cui il piu- maggio del rapace ha una trattazione a squame così agli hydrorrhoa anseriformi in esame, per quan- to sentita in sapore più naturalistico, che si va atte- nuando in opere del tardo ellenismo, conformandosi in uno schema più e pressoché geometrico - si vedano, ad esemp1o, rimanendo sempre nell'ambito tarantino, le sculture della figurina di Sirena o di quella di un uccello, forse civetta, che conserva più ancora una certa grazia nella resa delle lunghe penne delle ali e. della coda 2 l - e. tendendo verso il puro . decorati- vtsmo con una sene pressoché regolare d1 squame, che fanno riandare al motivo ornamentale, che, anèor così vibratamente naturalistico pur nella sua geome- trizzazione, modella la parte della calotta sovrastante la fascia a bucrani e ghirlande nel bruciaprofumi argen- teo della collezione Rotschild a Parigi. 3) Non ci soffermeremo sui resti forse di un porta- lampade dal fusto metallico su treppiedi costitutto da tre agili e veristiche zampe di ariete a snodo con som- mità probabilmente ramiforme per l'appensione delle lucerne (potrebbe appunto essere pertinente all'oggetto il ramo in bronzo fuso, figurante nel complesso pre- sentato nella fig. 24; alt. delle zampe cm. 20; lungh. del ramo cm. 19,). Inv. nn. 64o8; 6410), per passare più diffusamente in esame un altro notevole gruppo di bronzi lavorati, elementi pregevoli di toreutica in funzione dell'arredo evidentemente di un triclinio della ricca domus mutinense. Trattasi di due serie di quattro piedi di klinai sago- .., mati a candeliere nella tipologia propria del tardo elle- nismo, sentendosi per la loro agile eleganza più analo- gicamente vicini alla tipologia riscontrabile ad esem- ' pio nella kline da Priene nel Museo di Stato di Berli- ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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CONTRIBUTI

BRONZI ORNAMENTALI E D'ARREDO DI UNA DOMUS DI MODENA

D 1 UN GRUPPO di bronzi antichi, restituiti occasio­nalmente dalla Colonia di Mutina, 1 l meritano

un~ pa~ticolare attenzione quei pezzi i quali, oltre che arncch1~e le nostre c;onoscenze sull' ~rredamento ~ sugli element1 ornamentah della VII Reg10, hanno un mtrin­seco valore estetico e possono considerarsi piccole opere d'arte della toreutica.

Mi giova anzitutto presentare degli elementi, che dovevano essere parte decorativa oltre che funzionale di piccoli bacini e fontane e che potevano forse allie­tare il peristilio della domus mutinense, in maniera non di~simile da quanto ci mostrano le case pompeiane, pnme fra tutte la domus Vettiorum e quella del Fauno. La domus di Modena ha restituito dei getti d'acqua a stelo, che si espandono in un calice a lamina di bronzo decorata a sbalzo. L'elemento più mutilo, di forma imbutiforme, leggermente mar~inato al bordo (fig. 5 b; alto cm. 4,8; diametro infenore cm. 3,8, superiore cm. 6,7. Inv. n. 6397), sppra un piccolo toro ed una breve gol_a, si espande ad echino, in cui si coglie, per quanto p1uttosto guasta, ancora la decorazione a foglie d'acqua. Più movimentato è un secondo elemento (fig. 5 a-a'; alto complessivamente cm. 16,5; diametro inferiore cm. 1,7, superiore cm. 7· Inv. n. 64II). Sul tubulo inferiore di innesto si espande un'alta fascia strigilata, quasi tamburo di colonnetta a fitte rabdoseis, che par costituire la base ad un piccolo vaso cantari­forme col bacile decorato a bulino da un giro di bac­cellature e col calice ornato da lunghe foglie d'acqua. Il getto, che sembra dovesse uscire da esso attraverso i fori sbiechi praticati a girandola su uno· spesso (mm. 6) disco metallico (vedasi fig. 5 a; diam: 5,8), che ve­niva ad incassarsi alla sua bocca, formava evidente­mente un gioco d'acqua piuttosto singolare, pensabile del tipo ad ombrello spiraliforme.

Ma più singolari e più eloquenti nella loro plastica corporeità slanciata sono le due anatre pressoché iden­tiche in bronzo (figg. 6--8; lunghe cm. 22-22,5; larghe cm. II-II,5; altezza massima cm. IO-II; Inv. nn. 6396; 6509) che, con le zampe rattratte sul ventre e le ali appena rialzate dovevano apparire sul pelo del­l'acqua del bacino di fontana, dove in funzione di hydrorrhoa erano state sistemate probabilmente con­~rapposte, colte dall'artefice quasi nell'atto di spiccare 11 volo, aperti i becchi come m un ~rido. Con un mi­nuto lavoro di bulino sono stati vanamente individua­lizzati la soffice pelurie sulla base del becco ed attorno all'occhio, ben caratterizzato con la tonda pupilla inca­vata, il morbido piumaggio del capo e le penne che a squame, ciascuna ben delineata nel suo calamo e nelle sue barbe, si allungano dal collo su tutto il corpo e da qui si allargano fino alla costa delle ali, spandendosi

_ quasi a forma di edera, sotto i cui lobi si dipartono le penne remiganti delle ali e quelle timoniere della coda col loro deciso aspetto spicato lungo tutto il calamo s~anciato. La accurata, naturalistica notazione dei par­ticolari, che si rileva sulle teste, sui colli sinuosi e sul­l'intera superficie dorsale, si manifesta anche nel piu- ·

maggio del ventre e nella trattazione delle zampe pal­mate rattratte, la cui pelle rilassata è resa a fitte stria­ture, mentre a serie di fasci striati longitudinali è pure trattato, in forma qui invero meno realistica ma più schematica, il piumaggio interiore dell'ala, poiché ri­maneva fuori dal campo visivo. Non è improbabile che il prototipo del palmipede fosse tratto da qualche esemplare dell'ellenismo maturo, che ebbe una parti­colare predilezione per le raffigurazioni di volatili an­che in graziosi gruppi di genere, come ad esempio la ben nota opera di Boethos del fanciullino che soffoca l'oca del Museo Vaticano o dell'anonimo gruppo, per­venutoci in copia romana, della bimba con la colomba del Museo Capitolino. D'altronde la ricerca realistica della resa del piumaggio negli uccelli trova i suoi ante­cedenti nell'arte classica del V secolo a. C.; basti con­siderare la monetazione argentea di Atene con la in­confondibile civetta, o la monetazione di Akragas con l~ figura ~ell' aquil~ o della coppia di aquile, o quella dJ Kamarzna col ctgno trasportante un'Aura. Ma se in questi conii non è stato possibile ai Maestri creatori scendere in dettaglio nei particolari, attesa la ristretta superficie del tondello, antecedenti quanto mai signi­ficativi troviamo in opere del primo ellenismo, dal­l'aquila del celebre gruppo del Ganimede del Museo Vaticano, derivato evidentemente dall'originale di Leo­chares, che va cronologicamente inquadrato tra il 350-320 a. C., al piccolo gruppo frammentato dello stesso soggetto del Museo di Taranto, in cui il piu­maggio del rapace ha una trattazione a squame così an~loga agli hydrorrhoa anseriformi in esame, per quan­to sentita in sapore più naturalistico, che si va atte­nuando in opere del tardo ellenismo, conformandosi in uno schema più re~olare e pressoché geometrico - si vedano, ad esemp1o, rimanendo sempre nell'ambito tarantino, le sculture della figurina di Sirena o di quella di un uccello, forse civetta, che conserva più ancora una certa grazia nella resa delle lunghe penne delle ali e. della coda 2 l - e. tendendo verso il puro. decorati­vtsmo con una sene pressoché regolare d1 squame, che fanno riandare al motivo ornamentale, che, anèor così vibratamente naturalistico pur nella sua geome­trizzazione, modella la parte della calotta sovrastante la fascia a bucrani e ghirlande nel bruciaprofumi argen­teo della collezione Rotschild a Parigi. 3)

Non ci soffermeremo sui resti forse di un porta­lampade dal fusto metallico su treppiedi costitutto da tre agili e veristiche zampe di ariete a snodo con som­mità probabilmente ramiforme per l'appensione delle lucerne (potrebbe appunto essere pertinente all'oggetto il ramo in bronzo fuso, figurante nel complesso pre­sentato nella fig. 24; alt. delle zampe cm. 20; lungh. del ramo cm. 19,). Inv. nn. 64o8; 6410), per passare più diffusamente in esame un altro notevole gruppo di bronzi lavorati, elementi pregevoli di toreutica in funzione dell'arredo evidentemente di un triclinio della ricca domus mutinense.

Trattasi di due serie di quattro piedi di klinai sago­.., mati a candeliere nella tipologia propria del tardo elle­

nismo, sentendosi per la loro agile eleganza più analo­gicamente vicini alla tipologia riscontrabile ad esem­

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I - Grafico del piede di ldine

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no 4l che non ai lecti romani fine repubblica - inizi impero, restituitici ad esempio da Boscoreale (ora nel ricordato Museo) o da Pompei (ora nel Museo Archeo­logico Nazionale di Napoli) o al piede di bronzo di altro letto romano restituito dal Marocco e conservato nel Museo di Rabat : 5) dobbiamo riconoscervi sostan­zialmente, insomma, una immediata influenza dei "tri­cliniorum pedes 11 " Deliaca specie 11 , di quei letti delii cioè, celebrati da Plinio in ben due passi della sua Naturalis Historia (XXXIII, 144; XXXIV, g) . Se la prima serie (fig. g; alt. cm. 38. Inv. nn. 6394; 6402-4), desinente al sommo in duplice disco sopra il breve tratto di fusto semplice, ove sono ancora in parte rico­noscibili dei contrassegni numerali incisi utili per il montaggio del telaio ligneo della kline che veniva a fa ­sciarlo, ha il gambo tornito movimentato da gole, li­stelli, svasature, calotte rovescie listate da solcature ed espansioni discoidali, la seconda serie (figg. ro, 13. Inv. nn. 6393; 6412; 64o0-640I), pur presentandosi formal­mente simile alla prima nella sua sagomatura generale, è però di essa più ricca per la complessa decorazione a bulino delle varie parti e per la singolare presenza di un movimentato gruppo plastico ad alto rilievo nel tratto di fusto svasato compreso tra le due calotte ro­vescie. In monumenti dell ellenismo s'incontrano, in­vero, rappresentazioni di gambi torniti di troni ani­mati da figurazioni di sfin~i, come appare 9ella stele marmorea da Delos attribUlta dal Deonna al secolo IV a. C., 6) o nelle più tarde statuine fittili sedute da Mirina - nei piedi del trono di una figurano delle Nikai 7) -.

Ma un confronto più calzante mi pare possa essere visto nei piedi in calcare del trono dello Zeus di So­lunto, conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Palermo, opera siceliota del tardo ellenismo o, come si usa comunemente dire, ellenistico-romana: 8> questi piedi, conformati a guisa di colonnetta (fig. n), con una sagomatura nel complesso più massiccia, ovviamente richiesta dalla stessa natura del materiale, degli esem­plari bronzei in esame, sono infatti anch'essi decorati, nella zona mediana compresa tra un listello ed una bassa calotta baccellata, da rilievi figurati con una teoria di divinità, tra cui Ares coronato da Nike (fig. ra), Afrodite, Eros e le Chariti. Oltre che questa concor­danza della presenza di una figurazione plastica non può non colpire-anche l'affinità del motivo ornamen­tale, rappreseptato dall 'alternanza di foglie di acanto con foghe ligulate a decise marginatura e nervatura mediana, che trovasi praticato sulla colonnina del trono dello Zeus nelle due svasature contrapposte sotto la scena a rilievo e nei gambi della kline di Modena sul disco superiore, qui assumendo propriamente la forma di un rosone entro un giro di perle ed attorno ad un rosoncino centrale (fig. 14). Quest'ultimo aspetto orna­mentale non può d'altronde non far riandare con la mente alle decorazioni a rosone di molte calotte di coppe megaresi e di alcune coppe argentee, 9) creWoni proprie del tardo ellenismo (dalla metà del III al I secolo a. C.). Prima di esaminare il gruppo plastico sembra opportuno completare la rassegna degli elementi orna­mentali delle varie membrature, che dall'alto in bassO configurano la caratteristica sagoma del piede tornito (vedasi il grafico alla fig. I). Va anzitutto osservato ccr me in questa serie figurata si distinguano due co~ di piedi, l'una leggermente più alta (figg. g, ro; alt. cm. 38. Inv. nn. 6393 e 6412) dell'altra (alt. Cfi 36. Inv. nn. 6400-1) per il maggiore sviluppo ua suo coronamento, caratterizzato dalla prese~ ai uaa

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2 - Grafico del gruppo figurato del piede

pronunciata gola rialzata su un 'largo listello; que­sta coppia a più ricco sviluppo superiore doveva evi­dentemente costituire i due piedi della parte posteriore della kline liberi dal fulcrum. La svasatura rovescia, che ricadeva immediatamente~ al disotto dell'imposto del telaio del letto, è decorata da una baccellatura (fig. 16), mentre sul bordo della sottostante calotta ha risalto un kymation ionico - motivi che si riscontrano ad esempio anche nel ricordato bruciaprofumi argenteo della collezione Rotschild -; ma più impegnativa è la decorazione del campo della stessa calotta, dove si espande un kymation lesbio in cui tra le foglie si alter­nano palmette a tre punte e fiori campanulati, i quali ultimi, già caratteristici delle ceramiche apule ed ita­liote, ci riportano al mondo ellenistico mediterraneo e più propriamente all'ambiente megalo-greco dell'~talia meridionale; e mi sembra da non sottovalutare, a1 fini della ricerca della sede dell'officina da cui poterono uscire siffatti arredi, il fatto che un analogo motivo ornamentale trova un suo precedente in un monu­mento tarentino, sullo zoccolo dei due pezzi del fregio scultoreo di Herakles, l'uno alla Gliptoteca di Monaco con l'eroe agli inferi, l'altro al Museo di Taranto con Herakles e le Amazzoni. 10> Altrettanto esuberante è la decorazione della calotta sottostante alla scena figu­rata: qui è un più agile motivo a palmette rialzate par­tenti da volute e tra cui ad intervalli di ogni due guizza una sinuosa lucertola (fig. 15); il motivo è concluso all'esterno da un kymation lesbio e da un giro di ovoli. Nella tornitura biconica sottostante alla calotta e de­sinente in basso, . dopo una gola tra sagomature, nel codolo d'innesto alla base del piede, la più alta svasa­tura inferiore è decorata da un motivo baccellato su un giro di foglie di loto rovescio: sembra da potersi probabilmente considerare quale base del piede della kline una basetta esagonale, pervenutaci in un solo esemplare (vedasi fig. 5Ci largh. cm. 7,6; lato cm. 4,5; alt. cm. 3,6. Inv. n. 6413), con piccoli nodi agli spigoli ed una corona bombata ornata a margarita attorno al foro centrale dell'immaschiatura: su una delle sue facce è un'apertura rettarlgolare per l'incasso forse di una barra trasversale, ovviamente in bronzo, di cui potre­mo giustificare la funzione più avanti. Il motivo pla­stico, che si sviluppa proprio sotto la metà del fusto tornito a rilievo accentuato con figure pressoché a tutto tondo, è attinente ad un episodio della saga di Herakles ed è costituito da tre figure (vedasi lo svi­luppo grafico a fig. 2), al centro il centauro fronteg-

giato da un efebico guerriero greco ed attaccato da tergo dall'eroe dorico: si può pensare ad una contaminazione di un episodio della celebre centauromachia, in cui accanto ai Lapiti ed a Piritoo figura l'eroe attico Teseo, con quello della lotta di Ercole con il centauro Folo.

La barbuta figura dell'essere bestiale (fig. 17), che si sente ormai prossimo ad essere sopraffatto nell'im­pari scontr:o, accosciato sul treno posteriore ed anna­spando con gli anteriori alzati, inarca il vigoroso busto virile, ove vibra nel plastico gioco chiaroscurale la mu­scolatura gastrica, del fianco e dei pettorali, in un ritmo di torsione . frontale con ambo le braccia oppostamente alzate, l'una per parare il colpo che sta per vibrare il guerriero greco e l'altra per liberarsi dalla presa della massa dei capelli fatta da Herakles, e volge con una espressione patetica, che ancor si può cogliere nella superficie erosa, la testa reclinata allo spettatore: il groppo della clamide avvolta sulla spalla sinistra si al­larga fluttuante dietro il dorso e lambisce con larghe pieghe schiacciate il fianco di quadrupede. L'agilità delle forme equine e la nobiltà dell'aspetto umano nella figura del Centauro trovano i loro antecedenti nella scultura attica della cerchia fidiaca, come mo­strano quelle metope del Partenone con lotte di Lapiti

3 - Tentativo di restituzione grafica

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4 - Ipotetica ricostruzione grafica della kline

e Centauri che più si sentono vicine all'arte del fregio e dei frontoni n) o quale si incontra nel fregio del vesti­bolo occidentale del cd. Theseion; in questo appare anche il prototipo del combattente irrompente da de­stra nell'affondo dal ritmo diagonale con la sinistra avanzata e flessa, il piede appoggiato su un rialzo di terreno, per vibrare il suo colpo contro l'uno dei due Centauri, sollevanti il masso sullo sprofondante Kai­neus, guale è lo slancio d'attacco del guerriero greco nel mòmentaneo ritmo arretrato del torso per impri­mere maggior vigore al colpo di fendente della sua machaira minacciosamente alzata nel gruppo in esame (fig. r8). Né minore espressività di quella del Centauro presenta la struttura del suo nudo, vibrante di incavi e rilievi. La foga del guert~iero trova però qui un'ac­centuazione barocca in quello sbattimento nervoso e duro della clamide, fluttuante dalla spalla sinistra die­tro il dorso e avente il sapore della consistenza degli svolazzanti lembi della pelle ferina di Ercole, che gli si contrappongono (fig. rg). L'eroe dorico, coperto il capo della leontéia annodata sul petto, con balzo dia­gonale ha imposto sulla groppa del Centauro il suo gi­nocchio sinistro, mentre con la destra tiene sollevata minaccioso la clava (fig. 20). Questi atteggiamenti del Greco e di Herakles riecheggiano tipologie che hanno trovato largo favore nelle scene di combattimento del primo ellenismo e si sono più o meno meccanicamente ripetute nelle opere scultoree fino alla tarda antichità; ma il complesso della scena si sente maturato non solo attraverso la conoscenza delle movimentate rappresen­tazioni di lotta del secolo IV a. C., ma anche attraverso la conoscenza del vigoroso temperamento dell'arte per­gamena nella foga del movimento e nella tensione e

passionalità dei volti. Il panneggio innaturale e artifi­cioso, che abbiamo notato nel gruppo, sembra conti­nuare quello invalso nell'arte ellenistica di Taranto sia nelle sculture con guerrieri combattenti, sia in alcuni prodotti · della toreutica, attribuiti ad officina taranti­na. ra) Dalle osservazioni avanzate non sembrerebbe az­zardata una cronologia intorno alla metà del I secolo a. C. per le opere di arredo in esame, piuttosto che scendere ad una datazione tra la fine di detto secolo e gli inizi del secolo I d. C.

Dobbiamo supporre fossero appartenuti a questa kline dai mç>ii.tanti così ricchi di decorazione tre ele­menti di regoli bronzei superstiti (fig. 21; lungh. cm. 27,5; 26 e 17, questi ultimi due combacianti; alt. cm. 3,6; largh. cm. 3· Inv. n. 6407), sui quali si inca­strava l'esterno dell'intelaiatura ijgnea: i fori che si possono ancora notare sulla sua faccia superiore e infe­riore servivano per il chiodo di fissaggio all'anima !i­gnea. Sulla superficie frontale del regolo si sviluppa il classico motivo a meandro ottenuto in niello d'argento, riquadrato da una modinatura ornata da un kymation lesbio dopo il listello esterno e la fila di perline.

Più problematica riesce l'attribuzione di tre ermette maschili clamidate, dal paffuto volto ovale incorniciato dalla prolissa massa de1 capelli rigonfi sulla fronte e scendenti sinuosi sulle spalle (figg. 22-23; alt. rispettive attuali cm. 30; cm. 26,5 e cm. 24. Inv. nn. 6395; 6405-6406): ma se si tien conto che l'altezza complessiva (cm. 30) dell'esemplare integro col suo pilastrino infe· riore su basetta p1ramidale e col pilastrino impostato sul capo dell'ermetta e concluso da un capitellino a sa: goma dorica, ambedue i sezione quadrata e rastremab verso il basso, corrisponde all'altezza del piede della

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5 - a, b, elementi imbutiformi maggiore e minore; c, basettaforse del piede della kline

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6-8- Le due anatre in fun :~;ione di hvdrorrhoa (di prospetto, dal di sopra e dal basso)

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17 - L'aspetto del centauro

19 - I lembi svolazzanti della chlamys del greco e della leonteia di Ercole

18 - Il guerriero greco in atto di colpire

20 - Herakles irrompente sul Centauro

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©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

Page 10: ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del ... · opere d'arte della toreutica. ... forme col bacile decorato a bulino da un giro di bac ... si usa comunemente dire, ellenistico-romana:

kline da sopra il codolo di fissaggio alla linea di imposta del telaio (fig. 3), potremmo supporre che le ermette venivano ad inserirsi tra un supporto bronzeo inferiore, che probabilmente si innestava nella apertura (mm. 28 X mm. 15) vista sulla basetta esagonale del piede, e la faccia inferiore del regolo, in una collocazione che potrebbe essere in corrispondenza del klintérion o fulcrum, se la kline era la prima del triclinium, come appare nel tentativo di ricostruzione grafica alla fig. 4, o al fondo del letto se esso era l'ultimo.

Del resto l'appartenenza all'arredamento di letti può ammettersi anche perché siffatte ermette erano usate pure per i mobili ad essi più vicini, come può vedersi nella lectica del Museo Capitolino ricostruita in base· agli elementi venuti in luce sull'Esquilino nel 1874 dal Castellani; si possono qui infatti riscontrare analoghe ermette di bronzo ornare la parte alta dei due montanti anteriori, che ne sostenevano i supporti del tetto da cui scendevano i vela o plagulae. I3) La ulteriore ag­giunta di questa ornamentazione plastica figurata, non altrimenti nota, tra i montanti della kline del tardo ellenismo può trovare i suoi lontani antecedenti nella presenza di elementi figurati tra i piedi di troni sia nell'arte mesopotamica sia nei troni di Zeus della ce­ramica greca a figure nere e a figure rosse, I4) di cui le ermette della kline restituite da Modena possono rap­presentare i più tardi esempi di una esuberanza deco­rativa non consueta. GINO VINICIO GENTILI

I) Il gruppo di broru;i fu consegnato nel I967 al Direttore del Museo Civico di Modena, prof. B. Benedetti dai Sigg. geom. Pierangelo Julli, Giancarlo Julli e Oscar Manfredi, che recupera­rono occastonalmente i pezzi in via Amendola nella pubblica discarica delle terre di risulta da sbancamenti per nuove costru­zioni nel centro storico di Modena, pare forse dalla zona dove è sorto il cinema Capito! in via Università. Non è impossibile che il complesso, che sembrerebbe piuttosto omogeneo, sia stato rimosso dai mezzi meccanici dal sottosuolo della nuova costru­zione tra le vie Canal Grande e Università, dove è stata invero accertata la presenza di lacerti di strutture murarie con frustoli di pavimenti a mosaico, pertinenti verisimilmente ad una domus della colonia di Mulina: ma ovviamente si naviga sul filo delle ipotesi. Il complesso di bronzi fu quindi ritirato dalla Soprin­tendenza, che provvide a farlo ripulire con adeguato trattamento dalla restauratrice Sig.ra Ancilla Cacace, per consentirne un ap­profondito esame e lo studio. La presentazione anticipatane nel frattempo dal predetto Prof. Benedetti in Atti e Mem. Deputaz. Storia Patria antiche provincie modenesi, Serie X, vol. VI, I97I, PP.· 6g-g2, mi esime dal presentarne una minuta descrizione, d altronde già a suo tempo da me predisposta per la pratica del conferimento del premio dovuto ai rinvenitori (Archivio Sopr. Ant. dell'Emilia e Romagna, foglio del 9 luglio Ig6g, prot. n. 2344-B/5). I grafici che illustrano questo articolo sono stati eseguiti dall'assistente della Soprintendenza Sig. Rino Spinaci e le fotografie, acquisite all'archivio della Soprintendenza sotto i nn. I8504-I8509 e nn. I9453-I9468, dalla Fotofast di Bologna.

2) Si veda L. BERNABÒ BREA, l rilievi tarantini in pietra tenera, estr. da R.I .A.S.A., n. I , I952, p. 73, fig. )2 (piccolo gruppo frammentato del Ganimede); p. 220, fig . 203 ~statuina di Sirena), e p. 222, fig. 205 (figurina d'uccello, forse ctvetta) .

3) In WutLLEUMII!R, Le trésor de Tarente, Paris I930, p. 48, tav. VII (2• sec. a. C.). ·

4) WrEGAND-ScHRADER, Priene, p. 378 ss., figg. 48o-483 (alt. cm. 49,5) . La cronologia, riportata alla fine III-inizi Il sec. a. C., è rialzata al I sec. a. C. da W. FucHS, Der Schiffsfund von Mahdia, I963, p. 3I.

5) Ved. Bull. d'Archéol. Marocaine, IV, Ig6o, p. I97 ss. (C. BoUBI! PrccoT, Les lits de bronze de Maurétanie Tingitane, tav. I, I). Per tutti i letti ricordati ved. G. M. RrCHTI!R, The Furniture of the Greeks Etruscans and Romans, London Ig66, pp. 52, 58, I05, figg. 308, 530, 532, 542·

6) DI!ONNA, Délos, XVIII, tav. VI, fig. 54, p. IO. 7) RICHTI!R, op. cit., p. 23, fig. 83. 8) B. PAci!, Arte e civiltd della Sicilia antica, Il, Milano I938,

pp. I32-I34, figg. I26-129 (ivi bibliografia precedente). Ringrazio

il Soprintendente alle Antichità della Sicilia Occidentale Prof V. Tusa che mi ha fornito le due foto del piede del trono dell~ Zeus.

g) Rimando ad esempio agli esemplari presentati da TH. KRAus, Megarische Becher, Mainz I95I, nn. 5, 7 ~ 8, pp. 7-9, n. 14, pp. I4-I5 e coppa argentea p. I8, nspettlvamente alla tav. 2, figg. 2, 4 e 5-6, alla tav. 3 fig. 6 ed alle tavv. 4 (fig. 5) e 5·

Io) Si veda L. BI!RNABÒ BREA, op. cit. , p. 63 ss., figg. 44-45. n) G . BECATTI, Problemi fidiaci, Milano-Firenze I95I, pp.

92-95· I2) Rimando in proposito a BI!RNABÒ BREA, op. cit., p. I23· I3) DAREMBERG-SAGLIO, Dict. d. Ant., III, parte 2•, s. v.

lectica, p. I005, fig. 4376. I4) Un'ampia esemplificazione è presentata dalla RICHTER,

op. cit., alle figg. 56 (rilievo d'avorio da Nimroud), 57-59, 92-94 e g6.

ROLAND HAMPE, SPERLONGA E VIRGILIO

Q UESTO breve scritto era nato, in un primo mo­mento, come recensione ad un volume di R.

Hampe, I) che riecheggia nel titolo un interessante articolo di P. H. von Blanckehagen. 2l Essendomi, nel frattempo, cresciuta in mano la materia, ho creduto più opportuno farne una nota di carattere più generale.

L'occasione è, dunque, propizia per una serie di appunti, ad integrazione del lungo discorso su Sper­longa da me condotto nel volume XIV di Antike Pla­stik, in corso di stampa presso l'editore già dalla fine del 1971.

Incominciamo con una affermazione fondamentale dello Hampe, quella, cioè, che su Sperlonga si è scritto, finora, troppo e molto affrettatamente (pag. 3); cui noi aggiungiamo che sovente si è anche scritto per astra­zione, senza tener conto della possibilità che il divenire dei restauri potesse subito smentire tesi fin troppo ardi­tamente costruite e spesso meccanicamente articolate. Ancora oggi, del resto, a restauri largamente avanzati, appare talvolta dubbia la possibilità e la concretezza di talune inappellabili teorie sulla composizione, sulla col­locazione e sullo stile dei gruppi di Sperlonga. 3)

Detto questo, mentre apprezziamo la dichiarazione di provvisorietà con cui si apre il discorso dello Hampe (pag. 4), ci riesce difficile comprendere il ripetuto con­trasto fra le ipotesi da lui continuamente avanzate e la costante limitazione che (con buon metodo critico, peraltro) l'autore pone alle sue stesse proposte. Non sarebbe stato, allora, più opportuno attendere i risul­tati raccolti nella già annunziata editio princeps dei grandi gruppi sperlongani; documenti che, senza dub­bio, lo Hampe avrebbe potuto validamente mettere a frutto per la sua opera ?

Un gruppo che ancor oggi presenta una ricca e con­trastata problematica è quello di Polifemo (fig. 1), per il quale il confronto di base è nell'ormai ben noto ri­lievo di Catania (fig. 2). 4) Lo Rampe accetta (pag. 7), in linea di massima, il ricollegamento, ma non vi attri­buisce particolare significato per l'iconografia del grup­po sperlongano. A me sembra, invece, evidente che la probabile fronte di sarcofago catanese sl - certo una tarda trasposizione e rielaborazione del nostro sche­ma - sia indispensabile per comprendere esegesi e disposizione del gruppo di Sperlonga. Del resto, l'ovvia mediazione di cartoni che dovevano correre il mondo romano e le mutazioni che necessariamente

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