MILANO VENERDÌ29MAGGIO2015 .Società .33 ... · pa» Mario Calabresi,...

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LA STAMPA VENERDÌ 29 MAGGIO 2015 . Società . 33 EGLE SANTOLINI MILANO Evento Chemio senza parrucca All’Ieo il casco salva-capelli Paolo Veronesi: “Affrontiamo i tumori secondo due categorie. Quelli che si possono considerare incidenti e quelli che rivelano una predisposizione genetica” L a sala di un albergo riempita di molte signo- re eleganti, non per un matrimonio di maggio ma per celebrare la magica energia femminile che dice no alla ma- lattia e sì al futuro. L’ottava edizione di «Ieo per le donne» non ha avuto alcunché di pieti- stico o di zuccheroso. Si è par- lato di come condividere la pa- ura e di quanto faccia star me- glio uno smalto blu sulle un- ghie (il direttore de «La Stam- pa» Mario Calabresi, ricor- dando un post del formidabile blog di Anna Lisa Russo), del- l’angoscia di attendere gli esiti e dei massaggi rilassanti dopo la chemio. Per l’Istituto Euro- peo di Oncologia fondato da Umberto Veronesi è stata l’oc- casione di incontrare le pa- zienti in campo neutro. Per ascoltarle, festeggiarle, fare il punto sulle terapie e, per esempio, ha suscitato molto interesse un caschetto che si chiama «Dignicap». Serve a ghiacciare tempo- raneamente il cuoio capelluto e grazie alla vasocostrizione protegge il bulbo e impedisce che, come effetto della che- mioterapia, si perdano i capel- li. L’85 per cento di quelle che l’hanno provato se ne sono di- chiarate soddisfatte, tra cui Elisabetta, sorridente e con una magnifica testa castana, «nonostante 12 cicli di tera- pia». Si rallegra il professor Paolo Veronesi, direttore della Senologia Chirurgica dell’Isti- tuto: «Sappiamo quanto que- sto fattore sia vissuto con pre- occupazione dalle donne, tan- to che ancora qualcuna rifiuta di sottoporsi alla terapia per non diventare calva. Oggi stia- mo trovando una soluzione». Sempre di più - prosegue Veronesi - i tumori vengono di- visi in due categorie: «Quelli che possiamo considerare co- me incidenti del tutto casuali, che cerchiamo di individuare il più precocemente possibile, e che spesso vengono elimina- ti con un semplice intervento in day hospital, e quelli che ri- velano una predisposizione genetica della donna ad am- malarsi. Al momento della diagnosi bisogna capire con quale dei due abbiamo a che fare». Uno snodo cruciale, perché - come dice Enrico Cassano, direttore della Radiologia Se- nologica - «è lì che si definisce il percorso da seguire». La re- cente affermazione di Beppe Grillo, poi corretta in corsa, ri- conduce poi a parlare di sicu- rezza della mammografia: «Qualsiasi metodo d’indagine presenta rischi e benefici: quel che conta è il loro bilancia- mento, il principio di giustifi- cazione diagnostica. I classici lavori scientifici sugli scree- ning mammografici in Svezia dimostrano che aumentano del 30% la sopravvivenza». E dunque fatela, per piacere. Ma, se i progressi della ri- cerca oncologica sono conti- nui, un’altra battaglia decisiva si sta combattendo sul fronte psicologico, per restituire in- tegrità e identità a chi si am- mala. È il tema che Emma Bo- nino ha posto con forza, comu- nicando mesi fa di avere un cancro ai polmoni, ma di «vo- ler continuare a essere se stes- sa e non la propria malattia». Con in testa il suo turbante co- lorato, ancora flebile ma fidu- ciosa dopo gli ultimi esami, la Bonino ha aperto con un video il convegno, rivolgendosi «con un certo imbarazzo» a chi «ha di sicuro più esperienza di me in questa sfida. Non sono il mio tumore. Sono una perso- na che ha sogni, difficoltà, aspirazioni, progetti: al mo- mento, quello di passare una buona estate. E mi fido total- mente della mia équipe: mai andata su Internet a cercarmi informazioni ». Il collegio di cura, la neces- sità dell’interdisciplinarità: proprio perché di persone si tratta, da considerare nella propria interezza. Ecco per- ché allo Ieo lavorano insieme radiologi, chirurghi, esperti di ricostruzione plastica, nutri- zionisti, psicologi, sessuologi, allenatori fisici; e anche esteti- ste, senza false ipocrisie, per- ché della cura dell’aspetto ci si può e ci si deve occupare. In- sieme ce la si fa. Chiamando le cose col proprio nome e guar- dando avanti. twitter @esantoli Al centro delle cure riscopriamo la persona N on basta togliere un tu- more dal seno di una donna, bisogna to- glierlo dalla sua mente. Que- sta frase descrive una delle battaglie più importanti della mia vita di medico ed è il credo che otto anni fa mi ha spinto ad ideare «Ieo per le Donne», il primo incontro dedicato al- l’ascolto delle pazienti dopo e oltre la cura. Ma cosa vuol dire concretamente «togliere un tumore dalla mente»? Vuol dire affrontare un’evo- luzione culturale profonda de- gli ospedali, della terapie e del rapporto medico-paziente. Per l’ospedale significa non abbandonare la donna dopo la dimissione, perché il momen- to dei trattamenti è solo un primo passo verso la guarigio- ne e dunque bisogna organiz- zarsi per farsi carico della per- sona finchè non si sente rein- tegrata nella sua vita di prima. Se otteniamo un risultato on- cologico immediato, ma resti- tuiamo alla cosiddetta norma- lità qualcuno che vede distrut- to il suo progetto di vita, abbia- mo fatto il nostro dovere di medici? La ricerca può aiuta- re in questa direzione, met- tendo a disposizione terapie che tengano conto dell’impat- to fisico e psicologico delle cu- re. I trattamenti non devono più guarire la malattia, dimen- ticando la persona, e per que- sto l’impegno per la riduzione della tossicità delle cure non deve mai venir meno. Abbiamo fatto molto negli ultimi decenni, ma possiamo e dobbiamo fare di più. Eppure questo cammino non ci porte- rà all’obiettivo finale, se non cambierà radicalmente il rap- porto medico-paziente. La medicina del futuro deve tor- nare ad essere «medicina della persona». Dobbiamo recupe- rare la dimensione olistica del rapporto medico-paziente, che si è persa con l’avvento della super-specializzazione. Non possiamo più immagina- re di curare qualcuno senza sapere chi è, cosa pensa, cosa sente, qual è il suo progetto di vita. Allora dobbiamo ritrova- re il tempo del dialogo. Biso- gna recuperare inoltre il con- cetto di identità perché, come ha sottolineato la mia cara amica Emma Bonino, nessun malato è la sua malattia. Infat- ti propongo di abbandonare il termine «paziente», che si ri- ferisce a qualcuno senza iden- tità, che subisce passivamen- te, e di iniziare a pensare e par- lare di persone. Persone che hanno una storia passata o presente di malattia da rac- contare e condividere per su- perarla meglio. Questo è il messaggio di Ieo per le donne che non vorrei rimanesse una bellissima esperienza unica, ma diventasse un modello ca- pace di esprimere alla società cosa significa oggi ammalarsi e guarire di cancro. UMBERTO VERONESI La testimonianza/1 “Io, la riparata vivente che ora cerca l’armonia” «H o fatto una grillata, una bella rimozione, fingendo che la ghiandolina che avevo sotto l’ascella non ci fosse. E poi cadevo, inciampavo: il mio corpo con- tinuava a mandarmi segnali e io, osti- nata, non lo ascoltavo». Alla fine Francesca, giornalista, ha fatto «chis- sà come» un’ecografia e il tumore l’ha stanato. «In pochi giorni ero sotto i ferri di due magnifiche chirurghe, le mie Charlie’s Angels. Passato lo spavento, sono scivolata nel protocollo. Ed è stato bellissimo: mi sono abbandona- ta a chi si prendeva cura di me, fidan- domi ciecamente». La chemio, la ra- dio e poi quello che gli esperti chiama- no l’effetto risacca: «Alla fine del ciclo di cure ti dicono che non devi tornare per sei mesi e tu sei persa. In quel po- sto, che pare un po’ un aeroporto, io mi sentivo protetta, come se avessi comin- ciato un viaggio su un’astronave guida- ta da un bravissimo pilota. Poi torni a terra e comincia il difficile, mettere in- sieme la milanese tarantolata che ero prima, tutta lavoro e impegni forsenna- ti, con la “riparata vivente” che sono ora. Divido la mia vita in a.C. e d.C., pri- ma e dopo il cancro. E sto usando uno sguardo diverso, più lungimirante, sul- la vita: per diventare una donna armo- nica». [E. SANT.] La testimonianza/2 “Ti porti dentro un intruso e lui non sogna e non ama” «H o una predisposizione genetica. Per non farla tanto lunga, mi sono abi- tuata a dire che è la stessa di Angeli- na Jolie. Ci vivo da dieci anni, l’ultima volta che il problema si è ripresenta- to è stato l’anno scorso». Daniela, che vive a Roma e ha deci- so di farsi curare allo Ieo di Milano, dice alle altre donne che l’importan- te «non è raccontarvi la cartella clini- ca, ma le mie emozioni. Per prima co- sa tenete sotto controllo l’immagina- rio, perché spesso quello che fanta- sticate sul futuro è peggio della ma- lattia». Nelle sale d’aspetto, nelle stanze dell’istituto, prima degli in- terventi, durante i ricoveri, racconta di aver sempre potuto contare «sulla presenza delle altre donne, che mi hanno aiutato a sopportare l’attesa, il momento per me più difficile. Ma non mi sono mai sentita persa, non ho mai pensato “non ce la faccio”. Ti porti dentro questo intruso, questo clande- stino, che però non sei tu. Il tumore non sogna, non ama, non ha figli né amanti né mariti». Lei, di marito, ne ha invece uno, Sal- vatore, che è psicoanalista e poeta. I suoi versi più belli glieli sta dedicando da dieci anni: «Credevo di aver capito tutto e invece quanto ancora dovevo imparare». [E. SANT.] Emma Bonino Ha aperto con un video il convegno: «Non sono il mio tumore. Sono una persona che ha sogni, difficoltà, progetti: ora è quello di passare una buona estate» Il principio Il caschetto serve a ghiacciare tempora- neamente il cuoio capelluto e agisce grazie alla vaso- costrizione 85 per cento Sono le donne che si dicono soddisfatte dall’uso di «Dignicap» il caschetto che impedisce la caduta dei capelli Con una paziente Paolo Veronesi è direttore della Senologia Chirurgica dell’Ieo

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LA STAMPAVENERDÌ 29 MAGGIO 2015 .Società .33

EGLE SANTOLINIMILANO

Evento Chemio senza parruccaAll’Ieo il casco salva­capelli

Paolo Veronesi: “Affrontiamo i tumori secondo due categorie. Quelli che si possonoconsiderare incidenti e quelli che rivelano una predisposizione genetica”

La sala di un albergoriempita di molte signo-re eleganti, non per un

matrimonio di maggio ma percelebrare la magica energiafemminile che dice no alla ma-lattia e sì al futuro. L’ottavaedizione di «Ieo per le donne»non ha avuto alcunché di pieti-stico o di zuccheroso. Si è par-lato di come condividere la pa-ura e di quanto faccia star me-glio uno smalto blu sulle un-ghie (il direttore de «La Stam-pa» Mario Calabresi, ricor-dando un post del formidabileblog di Anna Lisa Russo), del-l’angoscia di attendere gli esitie dei massaggi rilassanti dopola chemio. Per l’Istituto Euro-peo di Oncologia fondato da

Umberto Veronesi è stata l’oc-casione di incontrare le pa-zienti in campo neutro. Perascoltarle, festeggiarle, fare ilpunto sulle terapie e, peresempio, ha suscitato moltointeresse un caschetto che sichiama «Dignicap».

Serve a ghiacciare tempo-raneamente il cuoio capellutoe grazie alla vasocostrizioneprotegge il bulbo e impedisceche, come effetto della che-mioterapia, si perdano i capel-li. L’85 per cento di quelle chel’hanno provato se ne sono di-chiarate soddisfatte, tra cuiElisabetta, sorridente e conuna magnifica testa castana,«nonostante 12 cicli di tera-pia». Si rallegra il professorPaolo Veronesi, direttore dellaSenologia Chirurgica dell’Isti-tuto: «Sappiamo quanto que-sto fattore sia vissuto con pre-occupazione dalle donne, tan-to che ancora qualcuna rifiutadi sottoporsi alla terapia pernon diventare calva. Oggi stia-mo trovando una soluzione».

Sempre di più - prosegueVeronesi - i tumori vengono di-visi in due categorie: «Quelliche possiamo considerare co-me incidenti del tutto casuali,che cerchiamo di individuareil più precocemente possibile,e che spesso vengono elimina-ti con un semplice interventoin day hospital, e quelli che ri-

velano una predisposizionegenetica della donna ad am-malarsi. Al momento delladiagnosi bisogna capire conquale dei due abbiamo a chefare».

Uno snodo cruciale, perché- come dice Enrico Cassano,direttore della Radiologia Se-nologica - «è lì che si definisceil percorso da seguire». La re-cente affermazione di Beppe

Grillo, poi corretta in corsa, ri-conduce poi a parlare di sicu-rezza della mammografia:«Qualsiasi metodo d’indaginepresenta rischi e benefici: quelche conta è il loro bilancia-mento, il principio di giustifi-cazione diagnostica. I classicilavori scientifici sugli scree-ning mammografici in Sveziadimostrano che aumentanodel 30% la sopravvivenza». Edunque fatela, per piacere.

Ma, se i progressi della ri-cerca oncologica sono conti-nui, un’altra battaglia decisivasi sta combattendo sul frontepsicologico, per restituire in-tegrità e identità a chi si am-mala. È il tema che Emma Bo-nino ha posto con forza, comu-nicando mesi fa di avere uncancro ai polmoni, ma di «vo-ler continuare a essere se stes-sa e non la propria malattia».Con in testa il suo turbante co-lorato, ancora flebile ma fidu-ciosa dopo gli ultimi esami, laBonino ha aperto con un video

il convegno, rivolgendosi «conun certo imbarazzo» a chi «hadi sicuro più esperienza di mein questa sfida. Non sono ilmio tumore. Sono una perso-na che ha sogni, difficoltà,aspirazioni, progetti: al mo-mento, quello di passare unabuona estate. E mi fido total-mente della mia équipe: maiandata su Internet a cercarmiinformazioni ».

Il collegio di cura, la neces-sità dell’interdisciplinarità:proprio perché di persone sitratta, da considerare nellapropria interezza. Ecco per-ché allo Ieo lavorano insiemeradiologi, chirurghi, esperti diricostruzione plastica, nutri-zionisti, psicologi, sessuologi,allenatori fisici; e anche esteti-ste, senza false ipocrisie, per-ché della cura dell’aspetto ci sipuò e ci si deve occupare. In-sieme ce la si fa. Chiamando lecose col proprio nome e guar-dando avanti.

twitter @esantoli

Al centrodelle cureriscopriamola persona

Non basta togliere un tu-more dal seno di unadonna, bisogna to-

glierlo dalla sua mente. Que-sta frase descrive una dellebattaglie più importanti dellamia vita di medico ed è il credoche otto anni fa mi ha spintoad ideare «Ieo per le Donne»,il primo incontro dedicato al-l’ascolto delle pazienti dopo eoltre la cura. Ma cosa vuol direconcretamente «togliere untumore dalla mente»?

Vuol dire affrontare un’evo-luzione culturale profonda de-gli ospedali, della terapie e delrapporto medico-paziente.Per l’ospedale significa nonabbandonare la donna dopo ladimissione, perché il momen-to dei trattamenti è solo unprimo passo verso la guarigio-ne e dunque bisogna organiz-zarsi per farsi carico della per-sona finchè non si sente rein-tegrata nella sua vita di prima.Se otteniamo un risultato on-cologico immediato, ma resti-tuiamo alla cosiddetta norma-lità qualcuno che vede distrut-to il suo progetto di vita, abbia-mo fatto il nostro dovere dimedici? La ricerca può aiuta-re in questa direzione, met-tendo a disposizione terapieche tengano conto dell’impat-to fisico e psicologico delle cu-re. I trattamenti non devonopiù guarire la malattia, dimen-ticando la persona, e per que-sto l’impegno per la riduzionedella tossicità delle cure nondeve mai venir meno.

Abbiamo fatto molto negliultimi decenni, ma possiamo edobbiamo fare di più. Eppurequesto cammino non ci porte-rà all’obiettivo finale, se noncambierà radicalmente il rap-porto medico-paziente. Lamedicina del futuro deve tor-nare ad essere «medicina dellapersona». Dobbiamo recupe-rare la dimensione olistica delrapporto medico-paziente,che si è persa con l’avventodella super-specializzazione.Non possiamo più immagina-re di curare qualcuno senzasapere chi è, cosa pensa, cosasente, qual è il suo progetto divita. Allora dobbiamo ritrova-re il tempo del dialogo. Biso-gna recuperare inoltre il con-cetto di identità perché, comeha sottolineato la mia caraamica Emma Bonino, nessunmalato è la sua malattia. Infat-ti propongo di abbandonare iltermine «paziente», che si ri-ferisce a qualcuno senza iden-tità, che subisce passivamen-te, e di iniziare a pensare e par-lare di persone. Persone chehanno una storia passata opresente di malattia da rac-contare e condividere per su-perarla meglio. Questo è ilmessaggio di Ieo per le donneche non vorrei rimanesse unabellissima esperienza unica,ma diventasse un modello ca-pace di esprimere alla societàcosa significa oggi ammalarsie guarire di cancro.

UMBERTO VERONESI

La testimonianza/1

“Io, lariparataviventecheoracerca l’armonia”

«Ho fatto una grillata, unabella rimozione, fingendoche la ghiandolina che

avevo sotto l’ascella non ci fosse. E poicadevo, inciampavo: il mio corpo con-tinuava a mandarmi segnali e io, osti-nata, non lo ascoltavo». Alla fineFrancesca, giornalista, ha fatto «chis-sà come» un’ecografia e il tumore l’hastanato.

«In pochi giorni ero sotto i ferri didue magnifiche chirurghe, le mieCharlie’s Angels. Passato lo spavento,sono scivolata nel protocollo. Ed èstato bellissimo: mi sono abbandona-ta a chi si prendeva cura di me, fidan-domi ciecamente». La chemio, la ra-

dio e poi quello che gli esperti chiama-no l’effetto risacca: «Alla fine del ciclodi cure ti dicono che non devi tornareper sei mesi e tu sei persa. In quel po-sto, che pare un po’ un aeroporto, io misentivo protetta, come se avessi comin-ciato un viaggio su un’astronave guida-ta da un bravissimo pilota. Poi torni aterra e comincia il difficile, mettere in-sieme la milanese tarantolata che eroprima, tutta lavoro e impegni forsenna-ti, con la “riparata vivente” che sonoora. Divido la mia vita in a.C. e d.C., pri-ma e dopo il cancro. E sto usando unosguardo diverso, più lungimirante, sul-la vita: per diventare una donna armo-nica». [E. SANT.]

La testimonianza/2

“Tiportidentrounintrusoe luinonsognaenonama”

«Ho una predisposizionegenetica. Per non farlatanto lunga, mi sono abi-

tuata a dire che è la stessa di Angeli-na Jolie. Ci vivo da dieci anni, l’ultimavolta che il problema si è ripresenta-to è stato l’anno scorso».

Daniela, che vive a Roma e ha deci-so di farsi curare allo Ieo di Milano,dice alle altre donne che l’importan-te «non è raccontarvi la cartella clini-ca, ma le mie emozioni. Per prima co-sa tenete sotto controllo l’immagina-rio, perché spesso quello che fanta-sticate sul futuro è peggio della ma-lattia». Nelle sale d’aspetto, nellestanze dell’istituto, prima degli in-

terventi, durante i ricoveri, raccontadi aver sempre potuto contare «sullapresenza delle altre donne, che mihanno aiutato a sopportare l’attesa, ilmomento per me più difficile. Ma nonmi sono mai sentita persa, non ho maipensato “non ce la faccio”. Ti portidentro questo intruso, questo clande-stino, che però non sei tu. Il tumorenon sogna, non ama, non ha figli néamanti né mariti».

Lei, di marito, ne ha invece uno, Sal-vatore, che è psicoanalista e poeta. Isuoi versi più belli glieli sta dedicandoda dieci anni: «Credevo di aver capitotutto e invece quanto ancora dovevoimparare». [E. SANT.]

EmmaBonino

Ha apertocon un videoil convegno:«Non sono

il miotumore. Sonouna personache ha sogni,

difficoltà,progetti:

ora è quellodi passareuna buona

estate»

Il principioIl caschetto

servea ghiacciare

tempora-neamente

il cuoiocapellutoe agiscegrazie

alla vaso-costrizione

85per cento

Sonole donne che

si diconosoddisfatte

dall’usodi «Dignicap»il caschetto che

impediscela cadutadei capelli

Con unapaziente

Paolo Veronesiè direttore

dellaSenologiaChirurgica

dell’Ieo