Migrandata - La storia

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Migrandata.

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M i g ra n d ata .

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Al Professor Vincenzo La Valva e all'amica Elisa Iengo

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Parole e Ricordi: Rosario Balestrieri

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è come un sogno così bello che credo esista solo nella mia testa e mi rendo conto che è reale solo quando incontro chi c’è stato…Chi è stato fra le rondini e le aquile, fra i -10 C° indicati sui sacchi a pelo chiusi come crisalidi sot-to ai faggi ed il sudore dell’ul-timo giro del mattino, quando il Sole è più alto del Miletto; fra i muuuuuuuu ed i beee, beeeeee, be-eee, dei nostri vicini di tenda e di transetto, fra anelli e cannocchiali, fra nuove specie ed amici speciali.Per chi non c’è stato questo testo sembrerà scritto da un esaltato, ma queste parole sono rivolte a chi c’è stato ed inconsapevolmente ha contribuito a questa esaltazione... per cui mi capirà.

Parto da lontano:

Erano i primi di settembre del 2009 quan-do una telefonata improvvisa ed inattesa mi raggiunse: era il Professor La Valva, che mi chiese di aiutarlo con

l’escursio-

ne interdisciplinare del triennio di Scienze della Natura. Mi disse: “Possiamo inanellare sul Matese? Per i ragazzi... che dici si può fare?” Gli dissi subito di sì anche perché non avrei mai po-

tuto dirgli di no... pensavo con quel gesto di fargli un favore. Solo qualche anno dopo mi

sarei reso conto che quell’opportunità era il regalo più bello che l’Università potesse far-mi... Ci tenevo a far bella figura per non delude-re il professore, volevo assicurarmi di poter inanellare un buon numero di uccelli per

mostrare agli studenti la tecnica e le forme ed i colori delle specie che compon-gono la biodiversità che studiano. Per rag-giungere questi obbiettivi avevo bisogno di una persona che conoscesse il Matese come le sue tasche e che mi aiutasse ad impiantare le reti nei luoghi più opportuni: fuori dai con-fini invisibili delle proprietà private, lontano dai corridoi utilizzati delle vacche al pascolo e

Migrandata:

Professor La Valva Giovanni

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vicino ai nostri alloggi, in modo da controlla-re il tutto agevolmente a vista. Una persona così pensavo non esistesse, temevo di do-vermi arrangiare, invece un social network mi indica un nome: Giovanni Capobianco.Lo contattai sperando di trovare un aiuto,

ma in lui trovai molto di più: Giovanni rapidamen-te si rivelò essere un amico che non sapevo ancora di avere.In Ottobre 2009 giunsi sul Matese un giorno prima degli studenti, ero teso come la notte prima di un esame... in fondo sarei stato esaminato per come lavoravo per ben tre giorni di seguito dal professore che più stimavo!Aspettai Giovanni al bel-vedere del Miralago ed i pochi minuti di attesa furono sufficienti per perdermi... lo sguardo inseguiva le nubi che si alzavano lente dal lago, accarezzando i pendii della Gallinola e del Miletto; il vento scivolava leggero fra i faggi, portando con sé manciate di foglie gialle che come coriandoli di un’estate passa-ta coloravano l’aria intorno a me prima di cadere in terra. L’odo-re dei funghi che rico-privano lettiera e ra-dici raggiunse presto il mio olfatto e la mia immaginazione... piatti tipici e gustosi ben presto affollaro-no la mia mente.Giunse Giovanni, ci presentammo strin-gendoci la mano, ma fu come rincon-trare un amico che non vedevo da tem-po. Giovy immediatamente mi parlò

del suo Matese: Gallinola e Miletto mi ven-nero descritti in ogni aspetto, manco fossero stati i sui familiari; il lago attraverso i suoi

discorsi mi sembra di guadarlo con un lontro, la tipica im-

barcazione a fondo piatto che veniva utilizzata dai

pescatori locali. Prima di lasciare il belve-dere del Miralago, il

neoamico matesino mi fece notare una piccola diga che s’intravedeva nella foschia. Mi disse che quella era la locali-tà “Scennerato” e che secondo lui era un buon punto, dato che lì spesso osservava innumerevoli specie di uccelli. Anche a me sembrava un ottimo sito, con il canneto che

orla la sponda, isole di cespugli nei prati e sie-pi di sambuco e rovo che scompaiono all’om-bra dei faggi. Quella giornata volò via veloce come una ron-dine. Giovanni mi parlava del suo Matese ed io descrivevo a lui gli uccelli e l’inanellamen-to. Al termine di una giornata in cui instal-lammo decine di reti, martellando picchetti e legando cordini, la stanchezza sopraggiunse solo a tarda sera, quando tutto era pronto...

l’alba del giorno dopo era vicina e dopo di essa le aspettati-ve degli stu-denti.Ore 6.00. Andammo a fare il pri-mo giro alle

reti sperando che non fossero

vuote: due indi-vidui di codirosso

spazzacamino e tre esemplari di cin-ciallegra alla prima

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rete ci rasserenarono. Un saltimpalo e tre cin-cie bigie al secondo transetto ci rallegrarono. Un merlo, tre fringuelli e due zigoli muciatti presi successivamente ci esaltarono... i giri alle reti si susseguirono: nessuno fu a vuoto. Quando sopraggiunsero gli studenti, avevo nei sacchetti i doni che il caso e la natura di quel posto potevano offrire. Spesi qualche pa-rola per presentarmi e molte di più per intro-durre quanto stavano per vedere. Mi sedetti al

tavolo d’inanellamento nel silenzio degli studenti della prima fila e nel brusio

di chi era dietro. Presi il sacchetto in cui era custo-dita la specie e provai ad esporre nel modo più chiaro possibile la

procedura:“L’individuo è in questo sacchetto

di cotone che lo isola, ma gli con-sente di respirare... in tal modo resta tranquillo nella penom-bra di un tessuto che in nes-sun modo può nuocergli.”Tirai fuori l’individuo: si trattava di una cinciallegra, chiesi se qualcuno sapesse

cos’era: mi risponse correttamente una ragaz-za dai capelli ricci e dalla voce decisa e a quel punto, dopo aver dato un nome a quella spe-cie le chiesi di presentarsi. Mi risponse: “Sono Francesca”. Continuai con l’inanellamento: feci notare le dimensioni degli anelli e i codici su essi inci-si... presi la pinza e misi quella piccola identi-tà di metallo al tarso della cincia, dopodiché si susseguirono le misure standard da rilevare: terza remigante primaria, lunghezza dell’ala e tarso, caratteristiche della muta e peso. Quando la scheda fu ormai riempita di dati rilevati, proposi a Francesca di liberare la cincia. Nel consegnargliela le illustrai come manipolare la cinciallegra da inanellatrice provetta e notai che seguì le mie indicazioni in modo molto natu-rale, trasformando in tempi brevissimi le mie parole in gesti. La cincia volò via attra-verso la barriera di stu-denti, sorvolando una materia nuova: l’ornitologia! Mi preparai ad aprire un altro sac-chetto. Venni interrotto dalle acute do-mande di uno studente brillante: Marco, che già aveva intuito il dietro le quinte e le poten-zialità di quei semplici gesti.“Ma i codici degli anelli sono inseriti in una banca dati internazionale? Chi la gestisce?

Ma ricatturare gli uccelli inanellati, oltre

Francesca

M a r c o

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a consentire la ricostruzione delle rotte mi-gratorie, per cos’altro può servire?” Quella pioggia di domande mi consentì di inondare tutti gli studenti di risposte. I sacchetti da aprire si susseguirono e gli anelli volavano via con gli uccelli dalla pinza fino ai cespugli e gli alberi che ornavano l’orizzonte. Salutai i ragazzi che proseguirono con i Pro-fessori in un’escursione lungo le sponde del lago per comprendere i delicati equilibri di quel comples-so ecosistema, dove ogni specie ha un ruolo, la cui importan-za spesso non è correlata alle dimensioni o a quanto sia ap-pariscente, ed è compito di un Naturalista com-prendere come ogni elemento del sistema svolga il proprio ruolo e come le interazioni con le attività umane possano in-fluenzare equilibri naturali millenari. Il pomeriggio successivo rividi gli studenti e prima di sedermi al tavolo dell’inanellamen-to per accoglierli, venni raggiunto con passo svelto e nervoso da uno di loro che mi mise sotto il naso il display di una fotocamera

reflex ed una domanda: “Che specie è?”Osservai con attenzione. Restai stupito non per la specie, ma per la bellezza della foto, sembrava che il soggetto ritratto si fosse mes-so in posa, e che l’ambiente intorno fosse sta-to dipinto. Risposi: “Bella! È una poiana!” Il fotografo aggiunse: “È rara?” ed io: “No, è fra i rapaci più comuni ma è raro vederla ritratta in una così bella posa” “Quindi non è un’aquila?”. “Appartiene allo stesso gruppo ma è molto più comune, qui sul Matese c’è una sola coppia di aquile reali e molte di più di poiane”, risposi. Lo studente mi salutò ringraziandomi e pre-sentandosi: “Comunque sono Francesco. Gra-zie per le info”.Restai colpito da quel ragazzo perché non ag-giunse alla foto alcuna descrizione, nessun commento o impressione. Era come se si fos-se completamente espresso attraverso quell’i-stantanea che comprendeva anche il suo pun-to di vista, che restava inespresso a qualsiasi altra forma di comunicazione. Nuovi anelli furono apposti, domande e ri-sposte s’inseguirono fino al tramonto. Quella sera fu celebrata a suon di brindisi e filastroc-

che. Il Professor la Valva riuscì a dedicare una rima a tutti i nomi e cognomi dei suoi allie-vi... quel piccolo gesto ti faceva sentire per un istante il più importante a quella tavola. La buonanotte collettiva giunse prima di quel che si sperava e all’alba sopraggiunse la sve-glia per il primo giro alle reti. Mi svegliai ed in compagnia del sonno trascinai i piedi fino alle

Francesco

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reti. Chi sembrava immune da stanchezza era Giovanni, che come uno stambecco si muove-va agile e sicuro sul sentiero, non vedeva l’o-ra di ammirare le sfumature ed i profili delle specie che avremmo recuperato al transetto

che stavamo per raggiungere. In programma per quell’ultimo gior-no c’era la visita al giacimento fossile di Pietraroja, quindi tutti gli studenti tranne uno, furono accompagnati dai Professori presso quel sito di raro valo-re paleontologico. Restò agli alloggi, in quanto febbrici-tante, un ragazzo di nome Andrea che dopo poco attirò non poco la mia atten-zione. Aveva la febbre abbastanza alta, ma non si riposava nel letto della came-rata, come avrebbe dovuto ma, seduto su una panchina al sole ci osservava riportando con una matita su carta quello che credevo fossero appunti. Mi avvicinai e capii dall’ampiezza dei movimenti sul foglio che si trattava di disegni ed ipotizzai stesse illustran-do il paesaggio. Decisi di chiedergli

se

poteva mostrarmi cosa stava creando e mi stupì nuovamente rivelandomi i disegni di una natura fumettata, una reinterpretazione della realtà liberata dai dettagli per esaltarne l’essenza e racchiuderla in uno stile carico di personalità. Ne restai molto colpito!Parlai un po’ con Andrea, mi disse della sua passione per il disegno e che contemporanea-mente alle scienze naturali portava avanti un percorso di studi presso una scuola di fumet-to dopo la quale sperava di affermarsi come disegnatore e che questo lo faceva sentire un naturalista “anomalo”. Gli dissi che quel dono lo avrebbe reso un divulgatore naturalista ec-cezionale!Con l’ora del pranzo tornarono studenti e do-centi... dopo poco gli alloggi furono nuova-mente vuoti ed il pullman pieno. Il Professor La Valva mi ringraziò con un ab-braccio e mi regalò, con un sor-riso complice, la certezza di non averlo deluso. Restammo soli io e Gio-vanni... era la prima volta che trovai più faticoso smontare l’impianto d’ina-nellameto che istal-larlo. Quel pome-riggio un velo di tristezza avvolgeva noi ed un sottile stra-to di nebbia ricopriva il lago. Pensai fosse inaccet-tabile per entrambi sup-porre che quel 15/10/2009 fosse la fine di qualcosa... doveva necessariamente divenire l’inizio di altro! L’inizio di un progetto futuro, di un pretesto per dare continuità ad un percorso che per caso o per altro era cominciato… Giunse il momento di salutare Giovanni e con lui il Matese, quando la nebbia sul lago sembrò condensarsi sui nostri occhi rendendoli lucidi. Giò mi chiese di pro-mettergli di tornare con i miei anelli: “Ros

Andrea

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se provvedo a tutto io con l’organizzazione, permessi, alloggi, vitto e tutto il resto, che ne dici di scrivere un progetto per studiare l’avi-fauna di questo magnifico luogo? Potresti?”Risposi a quella domanda come quando all’u-niversità, per aggiungere la lode ad un 30 ti chiedono l’argomento che speravi ed espo-ni con foga ed enfasi quello che sai e quello che provi: “Tornerei anche già domani, ma il freddo dell’inverno su queste montagne, gli impegni professionali presi per la primavera per lo studio della migrazione sulle isole ed il lavoro che devo fare sui nidificanti in estate mi consentono di proporti qualcosa per il fi-nire di agosto sulla migrazione di andata dei passeriformi transahariani” “Va benissimo! Restiamo in contatto e costru-iamo questo sogno...” Trascorsero lente le settimane e veloci i mesi,

ma quei giorni sul Matese ritornarono in mente come un amore estivo che forse

poteva continuare... Il social network che mi aveva fatto conoscere Giovanni ci con-sentì di restare in contatto, inol-

tre tutti gli studenti che più mi avevano colpito rapidamente si aggiunsero ai miei amici web e lentamente entrarono

a far parte del mio quotidia-no: ufficialmente per svolgere corsi di

ornitologia, tirocini universitari e tesi di lau-

rea ma essenzialmente per percorrere insieme un sentiero di crescita umana e professio-nale che spero tutt’oggi non si arresti mai. Erano i primi di giugno del 2010 quando in-viai a Giovanni il progetto da Consegnare al CEDA Matese (Legambiente) nella speran-za che ricevesse un sostegno. Era completo di tutte le con-suete parti, mi mancavano

delle foto

per renderlo più accattivante ed un titolo. Contattai Francesco, spe-rando che oltre la poiana avesse ritratto altre specie ed i momenti salienti delle fasi dell’i-nanella-mento in modo da inserirle nel progetto ed il-lustrare al meglio a chi lo doveva valutare le caratteristiche di quella tecnica. Francesco non mi deluse e dopo pochi minuti, in allegato ad una mail vi erano tutte le foto di cui avevo bisogno e che speravo di ricevere. Lo ringraziai sentitamen-te e lo invitai a partecipare al progetto, qualo-ra fosse stato accettato. Preso dalla foga inviai il documento a Gio-vanni che mi telefonò dopo qualche minuto: “Ros ma hai dimenticato di scrivere il titolo! Come lo chiamiamo?” Ci pensai pochi se-condi e gli risposi frettolosamente: “Studia-mo la migrazione di andata... chiamiamolo

‘Migrandata’!”.

E ci sono anche io, Rosario

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“Semplice ed efficace... mi piace!” appose quel nome

al documento e mi salutò. L’attesa di una ri-sposta affermati-va attraversò len-

tamente tutto il mese di luglio, l’afa che ristagnava fra i vico-li di Napoli e nella mia stanza rendeva i 1000 metri di quo-

ta del Lago Matese una meta ancora più ambita. Giunse Agosto, e come di consueto raggiungo i miei genitori e mia sorella Valeria in Cilento, la felicità di riabbracciare i miei e di oziare su un lettino in riva al mare veniva eclissata da quella risposta che, come un ‘le faremo sapere’ ad un provi-no, temevo non sarebbe mai giunta. La mattina del 7 agosto il mio cellulare, pog-giato sul bordo di una piscina tremava come se scosso da un brivido di gioia: il mittente del messaggio era Giovanni ed il contenuto fu il seguente: “L’Assessorato all’Ecologia della Re-gione Campania è con noi, ha risposto affer-mativamente alla nostra richiesta di sostegno, si parte!” Non terminai neanche di leggerlo che chiamai Giovanni,

dopo averci inondato reciprocamente di frasi sconnesse e ripetitive che ribadivano unica-mente la gioia di quella notizia, le istituzioni (Parco, regioni e comuni) ci appoggiavano in questo monitoraggio dell’avifauna, segno in-discutibile che quello che ci accingevamo a fare non era importante solo per noi. Questo timore penso accompagni tutti gli ornitologi e/o chi si occupa di aspetti della ricerca che non hanno un’immediata ricaduta sulla vita delle persone, come può essere invece per la ricerca medica o tecnologica, ma in fondo basta soffermarsi un po’ per osservare quel-lo che l’attimo prima poteva apparire invisi-bile. Basta pensare che sono le conoscenze raccolte sulla migrazione degli uccelli a dirci se l’influenza aviaria che miete vittime in quella o l’altra parte del mon-do giungerà da noi ed in quanto tempo. Fortunatamente i re-sponsabili delle istitu-zioni coinvolti con quel sì ci dimostrarono la sensibilità e l’attenzione necessarie per capire la bontà del nostro progetto. Quella telefonata si concluse con una data che indicava un ritorno ed una partenza il 20/08/2010. Decisi di restare in Cilento fino a qualche giorno dopo ferragosto, ma da quel momento nonostante d’innanzi a me avessi il mare più bello della Campania, non vedevo l’ora di ve-dere tramontare il sole fra le montagne.Quando pensavo a Migrandata, l’ombrellone si tramutava in un faggio, la sabbia scottava sempre meno fino a ricoprirsi di erba inumi-dita dalla rugiada ed i gabbiani che volavano sul mare mi apparivano come poiane che sci-volavano dall’orizzonte verso le montagne. Ricordo che mia sorella Valeria, seduta sulla battigia accanto a me iniziò a parlarmi del’e-same di letteratura italiana che stava prepa-rando e resasi conto che ero assorto in altro, mi chiese: “Ma dov’è che devi andare adesso, che cos’è questa Migrandata?”

Valeria

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“L’inizio di un monitoraggio che spero si ripe-ta per molti anni, si tratta di studiare la fase migratoria degli uccelli la cui rotta attraversa il massiccio del Matese. Devi sapere che gli studi di questo tipo si concentrano su isole e costa, per cui saremo una delle poche stazio-ni d’inanellamento dell’Appennino. Inoltre il Parco Regionale del Matese oltre ad essere un luogo di rara bellezza è anche quasi del tutto inesplorato da questo punto di vista”. Ero davvero emozionato perché prima di allora avevo partecipato a tanti progetti di studio ornitologico, ma fondamentalmente mi aggiungevo a gruppi di lavoro già formati e consolidati, questa volta sentivo mia la re-sponsabilità piena della ricerca. Mi sentivo anche molto fortu-nato perché tutta la

parte amministra-tiva e logistica

veniva gestita da un Dr. in Scienze Am-bientali, un

ragazzo molto motivato che teneva e tiene tutt’ora enor-memente al proprio territorio.”Valeria: “Compli-menti! Sembra dav-vero interessante, ma già sai quali uccelli inanellerete?”“Suppongo che non mancheranno capinere, cincie e fringuelli... poi ho letto un documen-to in cui riportano

una forte presenza di rondini a dormito-rio, per cui sicuramente sarà fra le specie più catturate”.

Mia sorella pose numerose altre domande sul pro-getto, sulla mi-grazione e sulla tutela ambientale, fui molto felice di risponderle, sem-brava un convegno sulla conservazio-ne dell’avifauna, te-nuto sullo stuoino. Il suo esame passò completamente in secondo piano e mi venne spontaneo

invitarla: “Vuoi venire a darmi una mano?”Valeria non prese seriamente in considerazio-ne quella proposta, perché probabilmente ri-

teneva che il suo mondo di pensieri e poesie fosse troppo lontano da quelle montagne. Per cui si nascose dietro l’esame da soste-nere a settembre e ad un sorriso, forse per timore di migrare in un contesto nuovo che non riguardava solo gli uccelli. Il 18/08 lasciai il Cilento, il 19 caricai la mia auto di tutto il materiale indispensabile per l’inanellamento: pali, reti, cordini, sac-chetti, anelli, bilancia, calibro, righelli oc-cuparono il cofano ed i sedili posteriori. La mattina del 20 alle ore 6.00 lasciai Napoli per incontrare nuovamente Giovanni nei

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pressi di quella piccola diga che proprio lui mi aveva indica-

to nella nebbia dieci mesi prima. Quel giorno tutto prese

forma… i transetti disegnati su Google–Earth mesi prima si materializzarono sui sentieri e le tre tende come funghi si disposero fra le ra-dici del grande faggio dello “Scennerato”. Quel giorno riuscimmo a predisporre tutto grazie all’aiuto di amici e parenti di Giovanni, che erano scesi in campo per sostenere il no-stro progetto con le loro mani, che quel gior-no, dopo aver stretto la mia per le presenta-zioni di rito si coordinarono tra loro come un esercito di dita intente a legare corde, fissare tende, sollevare tavoli, lavare posate, disporre reti ed afferrare taralli e biscotti giunti per al-lietare gli sforzi.I volontari che più caratterizzarono quella prima Migrandata furono Carletto e la fami-glia Ibello, il primo è un ragazzo di rara sim-patia, non capivi mai se scherzava o era se-rio, quel tipo di persona che ti mette di buon

umore alla sola vista. La famiglia Ibello invece era composta da quattro persone, i genitori Geppino e Valentina e due adorabili bambini. Il capofamiglia era un grande amico di Gio-vanni con la passione dei documentari, venu-to al campo per trascorrere le sue ferie con noi per darci una mano e provare a trasformare il nostro progetto in un documentario. Geppi-no nonostante non fosse un documentarista di professione, si dedicò alla riprese per tutta la settimana, valorizzando i vari aspetti della ricerca, filmandoli da diversi punti di vista. Paradossalmente trovava più facile filmare gli animali che studiavamo piuttosto che fil-mare me che illustravo le varie fasi dell’ina-nellamento visto che a volte dall’imbarazzo scoppiavo a ridere o m’incespicavo con le pa-role. Quel primo giorno, nonostante l’enorme quantità delle cose da fare, si trovò anche il tempo di ridere con Carlo e descrivere quanto veniva fatto all’obiettivo di Geppino. Giunse il tramonto e con lui la prima apertu-ra delle reti: con questo gesto si dava ufficial-mente il via a Migrandata! Tutto era pronto tranne me...Le rondini riempirono l’orizzonte quando il Sole era talmente basso sul canneto che sem-brava incendiarlo, colorando di rosso ogni cosa. Questo fece esplodere in me un senso d’immenso che mi fece sentire minuscolo.

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A quel punto l’idea che si debba compren-dere le regole e gli equilibri della natura che ci circonda e che influenzano la migrazione dall’Europa all’Africa non può che farti senti-re inadeguato e non pronto. In pochi minuti oltre l’orizzonte le ron-dini riempirono le reti ad una velocità che mi lasciò sbigottito: erano già tre anni che lavoravo su questa specie ma in una zona umida in provincia di Lati-na e non avevo mai assistito ad una cosa del genere. Prima di quel tramonto ave-vo assistito a “rondinate” in cui gruppi di decine o centinaia di individui vol-

teggiavano su di me fino a quando una porzione fi-

niva in rete. Sul Lago Matese fui sovrastato da una realtà diversa: il cielo sembrava non contenere l’enormità di rondini, stimate tra

50.000 - 100.000 indivi-dui, che volavano basse

sui cespugli ed il canne-to, fra noi che le osservava-

mo increduli. Quando allineavi lo sguardo alla tua verticale notavi che la colonna d’aria che ti congiungeva all’u-

niverso ospitava rondini ad ogni quota.Le reti in pochi minuti furono stracolme... iniziai a temere di perdere il controllo della situazio-ne, solo io, Giovanni ed altre due persone eravamo capaci ed auto-rizzate a togliere gli uccelli dalle reti; inoltre il numero di scatole predisposte ad alloggiare le ron-dini per l’inanellamento nottur-no erano sufficienti appena per la metà di quelle entrate in rete. Presi una decisione difficile ma che era l’unica possibile: chia-

mai accanto Giovanni e gli altri e li infomai, “Ragazzi inanello in rete, mi serve uno di voi che mi segua con la scheda, Carlo vieni tu che non puoi togliere gli uccelli dalle reti! Giovanni tu e gli altri due partite dal lato opposto al mio, mettete le rondini negli ap-

positi scatoloni e chiudete le reti.”Carlo, nonostante il momento concitato men-tre ci avviciniamo al transetto mi chiese, “Ma perché hai deciso d’inanellare così?” Risposi cercando di essere più sintetico e chiaro pos-sibile: “Siamo in pochi per cui rischiamo di togliere le ultime rondini dalle reti fra troppo tempo, inoltre le scatole non sono sufficienti a contenerle tutte”. Carletto incalzò un’altra domanda: “Ma perchè non inanelliamo sem-pre in questo modo?”

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“Perché in que-sto modo si perdono tanti

dati preziosi, non potendo usare gli strumenti per le misurazioni, posso rilevare solo a vista l’età che è l’unico dato insieme all’a-nello che ti chiedo

di riportare in scheda, purtroppo tutte le altre informazioni per questa sera andranno perse, ma l’incolumità degli uccelli viene prima dei dati da raccogliere! Abbiamo tempo fino al calar del buio, le rondini sono uccelli diurni

e hanno difficoltà a volare di notte per cui non possiamo più libe-rarle ed a quel punto non ci resta che metterle nelle scatole sperando siano sufficienti!” Misi la stringa con gli anelli in bocca, in modo da avere le due mani libere ed un pretesto per non rispondere più alle domande di Car-lo. Con una mano scioglievo la rondine dal-la rete, con l’altra sfilavo l’anello dalla bocca e lo stringevo sul suo tarso per poi liberarla, seguendola con lo sguardo per verificare che non torni in rete, farfugliai il codice e l’età a Carlo e proseguii. Cercai di essere più veloce possibile, compati-bilmente alla delicatezza necessaria a togliere da penne e piume i sottili fili che bloccavano

le ali. La luce era sempre più fioca ed il volo delle rondini liberate più indeciso, ma for-tunatamente, grazie all’approccio utilizzato, ben presto ne restarono davvero poche in rete e furono tolte con tutta calma e messe negli scatoli.Giungemmo alle tende con l’aria di chi aveva vinto una battaglia ma utilizzando un esca-motage. Valentina e Geppino intanto avevano preparato la cena: un piatto di strangozzi di rara bontà. Nel cenare mi fu impossibile non notare che era il 20 agosto in Italia meridiona-le ed io ero con il pile e la giacca abbottonata e che tremavo dal freddo. Il sole delle spiag-ge del Cilento e l’afa di Napoli mi apparivano

lontanissime nello spazio e nel tempo… e pensare che tutte e tre le realtà riguardavano una stessa regione.Dopo la cena si ritornò dalle rondini, che passavano da una scatola all’altra dopo aver ap-posto l’anello e rilevato i para-metri morfometrici e fisiologi-ci. L’ultima fu inanellata poco dopo la mezzanotte... la sve-glia sarebbe suonata alle 5.45! Chiudersi nel più breve tem-po possibile nel sacco a pelo era l’ultimo sforzo prima di un meri-tato riposo.

Suonò la sveglia ed io e Giovanni ci demmo il buongiorno nella tenda dedicata al riposo delle rondini: questa era chiusa inte-gralmente nella parte bassa in modo da evitare che volpi ed altri carnivori potessero rom-pere le scatole e raggiungere le rondini.Io e Giò attendemmo qualche minuto prima di sentire il segnale per ridare la li-bertà alle nostre ospiti; nel canneto immerso nella nebbia che ri-splendeva nell’alba

Penna di Rondine

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si sentì esplodere un cinguettare di rondini che si librava nell’aria attraversando i timpa-ni e sorvolando gli alberi. Tutte le rondini che dormivano al motel Lago Matese si erano sve-gliate! Giovy ed io velocemente aprimmo gli sportellini che trattenevano quelle che aveva-no dormito da noi, che come un fiume fuori-uscirono copiose dalla piccola apertura sorvo-lando il lago ed unendosi al mare di rondini che inondava il cielo.La prima alba di Migrandata era sorta e con lei il controllo orario delle reti, come piane-ti di un sistema solare in cui al centro c’era il tavolo dell’inanellamento, giravamo intorno ai transetti, come sonnambuli in pieno inverno nelle prime ore del mattino e come mietitori sudati e stanchi quando il sole era più alto del Mi-letto. Dopo aver chiuso le reti intorno alle 11.00, la stan-chezza ed il sonno pre-sero il sopravvento... ed era solo il primo giorno!! Mentre Morfeo m’indica-va sotto quale faggio sten-dere lo stuoino, provai a non pensare alla soluzione

che volevo cercare, avevo il bisogno di più di qualcuno capace di liberare gli uccelli dalle reti che potessi schierare nel mio esercito per sconfiggere il tramonto e trar-re fuori dalle reti le rondini in tempi ri-dotti, senza protrarre troppo la delicata e stressante fase della permanenza in rete.Mentre ero steso ma sveglio ad occhi chiusi all’ombra del faggio, sentii dei passi e poi poggiare delle cose in terra, nei pressi delle radici, era Giovanni che come un moderno Babbo Natale aveva disposto varie scatole sotto quell’albero che per un istante mi parve un abete. Quelle scatole erano vuote ed erano un regalo per me visto che servivano per le rondini. Parzialmente risolvevano il no-stro problema, ci consentivano di evi-

tare l’inanellamento in rete ma, aumen-tavano enormemente il numero di uccelli da misurare e schedare. Da quella parziale solu-zione ne derivò quel tanto di serenità in più, che mi fece crollare tra le braccia di Morfeo definitivamente. Giunse il tramonto e prima di esso il mio ri-sveglio, lo spettacolo che si ripeté d’innanzi ai nostri occhi fu meravigliosamente lo stesso, ma non per questo meno emozionante: un po’ come l’abbraccio di una persona che ami, che

Bucare ed inserire rondini . . .

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non viene sminuito ma divie-ne più intenso nel ripetersi nei giorni e negli anni.Prima di partire con le scatole per recuperare le numerosis-sime rondini entrate, Carlo ritenne opportuno chiedermi: “Ma perché non chiudiamo un po’ delle reti del trasetto? Così potremmo riuscire a termina-re ad un orario più comodo...”. Cercai di rispondere nel modo più chiaro e sintetico possibile: “Carletto, noi dob-biamo fare un monitoraggio che preveda un transetto di cattura sempre della stessa lunghezza, altrimenti ab-biamo difficoltà a confrontare i dati nei vari giorni e speriamo anni. Se oggi chiudiamo parte delle reti, inanelleremmo meno rondini non perché ce ne sono meno di ieri. Ora però andiamo...”Fortunatamente il numero di scatole ci con-sentiva di essere tranquilli di avere un nume-ro sufficiente di “camere” in cui far dormire le rondini, nonostante tutti ci impegnammo al massimo, ricordo che quella sera finimmo tardissimo. L’ottima cena preparata da Gep-pino e Valentina passò completamente in secondo piano, consumata frettolosamente per inanellare le centinaia di rondini prese... purtroppo quell’anno ero l’unico abilitato a

farlo! Le schede compilate si susseguivano come le ore sottratte al sonno. Quando l’ulti-mo anello di quella notte fu messo non fu un sollievo... solo tre ore ci separavano dall’alba. Ero talmente stanco da non riuscire a dormire, trovare una soluzione era prioritario... pensa-vo e ripensavo fino a rendermi conto che so-gnavo. Sognai che gli studenti dell’Università venivano in visita al Campo e che restavano per sostenermi e darmi una mano, era così re-ale che mi sentivo stringere e scuotere, ma era Giovanni che provava a svegliarmi: “Ros sve-gliati, bisogna liberare le rondini”. Cercai di fare prima possibile, ma non mi fu sufficiente per risparmiarmi lo sguardo di rimprovero dei due bambini figli di Geppino

che attendevano me per vedere la liberazione delle rondini.Dopo le emozioni della libera-zione e gli zuccheri della cola-zione, ripensai al sogno e sopra-tutto ad un ragazzo del sogno, Francesco che avevo sentito i primi di giugno per le foto da inserire nel progetto ed aveva dato la disponibilità a venire. Inoltre mi venne in mente che era stato in primavera a stu-diare la migrazione sull’isola di Zannone dove aveva impa-rato a liberare gli uccelli dal-le reti in modo egregio. Presi

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il cellulare e lo cercai nella rubrica. Mentre scorrevano i nomi mi resi conto di non avere linea, come un rabdomante iniziai a muovere il telefono nell’aria alla ricerca di un segnale. Camminai lungo lo sterrato verso una zona più aperta, sperando che il cellulare prendes-se, quando un’auto rossa mai vista prima mi viene incontro: era talmente ricoperta di polvere da rendere invisibile il con-ducente. Con fare sicuro si fermò a po-chi metri da me e quando la porta si apre mi resi conto che quello che cer-cavo era già li con me: era Francesco!! Dopo un abraccio di saluto, mi disse: “A giugno mi hai invitato a venire se il progetto andava in porto! Ho pre-so cinque giorni di ferie al lavoro, serve una mano? Posso restare?”“Devi!!”, risposi.Mi sembrò più di una fortunata coincidenza, mi sembrò la mate-

rializzazione di un sogno... il mio sogno!! La cosa che mi faceva sorridere fu che Francesco mi fosse infinitamente grato per essere li, ma non poteva sapere quanto fosse vero il con-trario.Se una mano me l’aveva data il destino l’altra dovevo mettercela io: il problema non era tro-vare qualcuno che sapesse liberare gli uccelli dalle reti, avendo lavorato in giro per l’Italia in numerosi campi studio dell’avifauna, cono-

scevo decine di persone con questo requisito; il problema era trovare qualcuno con questa abilità che potesse venire e restare al campo da volontario. Dovevo necessariamente cer-care nel contesto regionale, avrei avuto ancor più difficoltà a convincere qualcuno del Nord Italia a giungere al campo a spese proprie per

il giorno successivo, altra enorme dif-

ficoltà era la data: il “23 agosto” che ricade in un pe-riodo in cui tutti sono in vacanza. Purtroppo il contributo per soste-nere il progetto non era sufficiente per prevedere altri inanellatori e l’immensità numerica delle ron-dini era da considerarsi straor-dinaria, per cui non mi sentivo responsabile di questa situazio-ne di emergenza, ma sentivo la responsabilità di trovare una

soluzione. Cercai in me i volti delle persone capaci nel settore ornitolo-

gico e con la sensibilità di ridurre le loro vacanze per migrare sul Mate-se ad aiutarmi... due amici mi si illuminano nella mente: Ilaria e Marcello.Presi il cellulare, ma il problema linea as-sente persisteva quindi

I lar ia

Marcel lo

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chiesi a Giovanni di prestarmi il suo. Li chia-mai ed erano entrambi al mare in vacanza ma sarebbero stati entrambi accanto a me per il tramonto di quello stesso giorno: con loro la squadra era al completo, potevamo vincere questo mondiale cioè inanellare il maggior numero di rondini provenienti dalle zone più disparate di questa Terra. Quella sera la cena non si freddò nella nostra attesa e riuscimmo a dormire per ben sei ore. I due giorni che seguirono furono all’inse-gna di un ritmo più rilassato, dove le ore di lavoro si intervallavano a momenti di riposo, risate e prodotti tipici. Geppino elaborò an-che una bella idea rispetto ad un aspetto del documentario che diventò in parte un viaggio dei due bambini, i suoi figli, nella natura del Parco del Matese e nella migrazione. I piccoli protagonisti mostrarono una naturale curio-

sità rispetto quello che stavamo studian-

do e si fecero portavo-ce delle domande di

tutti i bambini che avrebbero visto il documentario. Ormai era il gior-no 25 di Agosto e la metà campo

era superata, tutto sembrava rientrare

nella routine del cam-

po, ma una notte ci scontrammo con una realtà inattesa ed inopportuna. Dopo cena tornammo ad inanellare le poche rondini da misurare, quan-do dal buio più profondo un potente rumore di pale metalliche generò un cono di vento che scosse tutto quello su cui posava la sua ombra: le schede cariche di dati volarono dalle nostre mani, il faggio si contorse facendo cadere molte delle sue foglie, e le nostre tende si aggrapparono ai pic-chetti per non volare via. Come in un romanzo fantasy, quattro draghi neri sembravano attaccare il popolo del

lago: erano

quattro elicotteri militari intenti a fare esercitazioni notturne, volando veloci e radenti all’acqua, facendo scappare aironi ed anatre in ogni dove. Simularono atterraggi nel canneto. spazzando via con il vortice d’a-ria le rondini che vi erano posate. Corremmo sulla diga con le nostre lampade frontali ac-cese come la speranza che le rondini spazzate via da quel vento innaturale non fossero ca-dute nel lago, dove l’acqua inevitabilmente le avrebbe sepolte. Attoniti ed ammutoliti, restammo sulla diga, sperando che la vastità

Cannaiola verdognola

Canapino maggiore

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del canneto di lago Matese potes-se aver arginato i danni causati

dall’ignoranza e dall’indiffe-renza di chi, incurante dei li-miti previsti per un’area parco, aveva condotto quelle macchi-

ne da guerra in un luogo in cui re-gnava la pace. I due giorni che restarono alla chiusura di Migrandata trascorsero al telefono con le autorità e le amministrazioni territoriali per informarli della problematica con cui ci eravamo scontra-ti, ma purtroppo il lago fu attaccato da quelle crea-ture di metallo in entram-be le notti. Non sapemmo quante rondini perirono, ma quella situazione ci faceva sentire come un piccolo drappello che si doveva fare porta-voce per difendere un immenso e silente popolo alato.In quei due giorni nelle nostre reti fini-rono anche due buone notizie per il cen-simento dell’avifauna, ben due specie nuove per il Parco: Canapino maggiore e Cannaiola verdognola che non erano mai state segnalate in precedenza. Giunse il 27/08, l’ulti-mo giorno di Migrandata I, quando l’ul-tima tenda fu

smontata, l’ulti-ma rete avvolta ed entrambe riposte sul furgone di Gio-vanni. La prima lacrima solcò il mio stato d’animo e dopo poco, no-nostante il Sole che avvolgeva me e tutti i “migran-danti” in me c’era un temporale... Mi dispiaceva tor-

nare ad una normalità fatta di traffico, pae-saggi cementati e Pc. Mi dispiaceva salutare chi avevo conosciuto da poco ed avrei voluto frequentare per molto tempo ancora, mi di-spiaceva non poter volare in quei tramonti, mi dispiaceva lasciare le rondini alla notte ed

a chi la usava come se fosse solo sua. Ero davvero troppo dispia-

ciuto... Tornai a casa con la voglia di riportare a tutti il sogno che avevo vissuto. Sommersi di rac-conti ed emozioni mia sorella Valeria, che era appena tornata dalle vacanze: i suoi ombrel-loni si alternavano ai miei faggi; le sue bibite ghiacciate alle mie provolette arrostite ed i suoi tramonti sul mare al mio Sole avvolto da rondini che cadeva lentamente su un lago in-

castonato fra i monti. Vale restò colpita

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dal trasporto con cui le raccontavo ogni cosa, le tende erano descritte come ville a più pia-ni, la sveglia all’alba nella nebbia sembrò un privilegio. Cercavo un prete-sto per ritornare fra quei monti, una specie speciale si prestava all’occasio-ne: il piviere torto-lino, un limicolo che durante la mi-grazione di andata, sopratutto all’inizio di settembre utiliz-za le vette dell’Ap-pennino come tappe intermedie per giungere in Africa, ed era un’occasione da non perdere quella di verificare se il Ma-tese era una di queste tappe. Era il 2 settembre del 2010 quando il drappello formato da me, Giovanni, Francesco, Ilaria e Marcello si ricostituì per una nuova missione. A sorpresa mi chiese di unirsi alla missione mia sorella Va-leria, non sapeva a cosa an-dase incontro ma quel giorno avrebbe iniziato un lunghis-simo percorso che l’avrebbe

portata più lontano di quanto pensava e forse sperava: saremmo giunti sul mon-te che per sette giorni avevamo ammi-rato dal Lago, il Monte Miletto, 2050 di quota da raggiungere con un tortuoso sentiero in petraia. Valeria era del tutto impreparata e con le scarpette da gin-nastica ed i piedi sanguinanti raggiunse la vetta insieme a noi con le scarpe da trekking. Il gruppo fu arricchito anche dalla presenza del re dei birdwatchers: Ottavio, un ragazzo con il dono di ri-conoscere centinaia di specie di uccel-li come se fossero i suoi familiari. Un bisbiglio in un cespuglio e riconosce-

va una sottospecie di sterpazzolina; con un colpo d’occhio al cielo poteva incrociare ali e

sagome e salutare da vici-no con il binocolo gracchi, gheppi, lodolai, poiane, bianconi ed astori. Osservando le pen-ne mutate sull’ala di un’aquila, riu-sciva a conoscerne l’età come se stes-se semplicemente contando le cande-line su di una torta. Ottavio, che fino a Ottavio

Piviere tortol ino

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quel momento era stato un personaggio mitolo-

gico dell’ornitologia, mate-rializzò le sue immense capa-cità d’innanzi ai miei occhi ed

alle mie orecchie, identificando prime di me ogni cosa. Ma la dote più straordinaria che rilevai in Ottavio fu

la sua modestia, virtù che penso carat-terizzi solo chi espone le proprie competenze per arricchire gli altri

e non per ostentare un sapere reso ir-raggiungibile da frasi ad effetto ma di

circostanza.

Per quell’occasione Francesco re-galò una divisa alla squadra di ornitologi: una maglia azzurro cielo con una scritta bianca, una bandiera che sottolineava che ormai tutti noi eravamo un unico gruppo. Quel giorno la squadra fu premiata da ol-tre trenta tortolini che ci aspettavano sul-

la cima del Miletto, fu il gruppo più numeroso mai rilevato sul massiccio

del Matese. Non li avevo mai visti pri-ma, erano meravigliosi nelle forme e nei colori, ed era molto curioso vedere que-sta specie con le fattezze di un uccello acquatico muoversi fra le rocce in cima ad una montagna. Giovanni e Francesco,

strisciando fra le rocce si scatenarono nelle foto, documentando quella rara osservazione e conservando nella memoria tanti istanti

che componevano quella giornata d’e-mozione. Scendemmo dal Miletto e mi sentii arricchito come poche altre volte nella mia vita. Trascorsero le settimane, l’estate diven-ne un ricordo ed il Matese perse le foglie e si colorò di bianco; nonostante nuovi impegni ci assorbissero ed il drappello fosse semi-disperso in altre missioni, un filo conduttore tenne tutti uniti: io, Gio-vanni, Geppino Ibello ed il documenta-rio! Tutto il filmato durante i sette tra-monti andava narrato con immagini e parole. Fortunatamente, Giovanni co-nosceva un abile giornalista che risie-deva nel territorio del Parco e teneva

a cuore la tutela del territorio. Il suo nome era Gianfrancesco ed era animato dell’entu-siasmo indispensabile per far parte del team

Gianfrancesco

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di Migrandata, in poco tempo re-galò al video di 22 minuti pro-dotto da Gep-pino, le paro-le che meglio potevano de-

scrivere quanto fatto e la sua voce, che con timbro rassicurante e tono deciso condu-ceva chi lo ascoltava

nei fotogrammi che scor-revano sullo schermo ed in

tutto quello che c’era dietro le quinte. Il documentario: Matese - “Anello” di con-giunzione fra Europa ed Africa era pronto ... ed era più bello di quanto sperato!! Sem-brava di regalare a chi l’osservava una parte della nostra memoria, quella funzionale a comprendere il fenomeno migratorio dell’avi-fauna sul Matese. Quel documentario poteva essere uno strumento importante, per porta-re Migrandata nelle scuole del Parco, dove le nuove generazioni potevano apprendere che si stava facendo qualcosa per conoscere e con-servare la natura di quel posto.Il 18/02/2011 fu organizzato il Convegno: “Mi-grandata: un successo inat-teso” dove mo-stravamo ad ol-tre cinquecento persone i risul-tati del nostro lavoro. Giovanni fu impeccabile nell’organiz-zazione e tanti amici vennero a darci una mano. La mattina nel-la biblioteca

comunale accogliemmo armati di documen-tario le varie classi della scuola elementare di Piedimonte; Geppino e Gianfrancesco, come angeli custodi del documentario collegarono i cavi che consentivano la visione e descrissero gli aspetti curati da loro. Valeria si unì alla con-duzione dei gruppi di bambini che assediava-no la biblioteca. Se penso a quella mattina, ritorna all’udito e mi risuo-na in men-te l’applau-so dei primi cinquanta bambini che esplose sui ti-toli di coda del documentario.Alle ore 17.00 ci trasferimmo all’Auditorium San Domenico – Pie-dimonte Matese, dove ci attendeva la cittadi-nanza adulta, con tanto di sindaci, presidenti di parco, responsabili regionali e presidenti di altre associazioni. A sostenerci per questa seconda parte della giornata giunsero France-sco, Ilaria, Marcello ed altri amici che si occu-pavano della sistemazione dei pannelli didat-tici dedicati al progetto,

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dell’accoglienza del fiume di persone che affluiva nella sala che, nonostante fosse immensa si riempì in poco tempo. Si susseguirono i vari interventi: Ottavio descrisse a tutti le varie specie che com-ponevano l’avifauna del Matese, regalan-do curiosità ed informazioni preziose che consentirono a molti di poter apprezzare

il Parco del Matese con nuovi oc-chi... i suoi occhi!La parola passò a Giovanni che vi-sibilmente emozionato raccontò ai suoi compaesani quante cose non andavano nel Parco del Ma-tese e quanti motivi c’erano per studiarlo, tutelarlo ed amarlo.Il microfono e la parola pas-sarono a me che sentii fra le

mani una grande occasione ed una grande responsabilità. Cercai d’illustra-re a tutti il progetto nel modo più sem-plice e lineare possibile. Illustrai lo sco-po, il metodo ed i risultati. Sottolineai l’importanza per l’Europa intera di un dormitorio stimato di circa 100.000 ron-dini e dei dati raccolti su oltre 1500 individui inanellati. Il referente regionale ed il Presidente del Par-co mi ascoltavano con interesse ed io non po-tevo non “approfittarne” per sottoporre a tutti e sopratutto a loro le problematiche di con-servazione rilevate. Riversai tutte le parole che avevo meditato in quei mesi contro que-gli elicotteri, le stesse parole che avevo scritto sulla relazione che avevo consegnato alle am-ministrazioni coinvolte. Il mio desiderio non era abbattere gli elicotteri ma impedire che violassero ancora una volta quel cielo in cui volavano migliaia di vite che ne avevano più diritto di loro.Il referente regionale prese la parola e disse d’innanzi a tutta la platea che si sarebbe in-

formato ed avrebbe ribadito il divieto di sor-volo sul lago. A quel punto lasciammo posto alle immagi-ni del documentario, sperando che potesse-ro giungere dove parole, dati ed istogrammi non erano arrivati. Si susseguirono ventidue minuti di semioscurità e silenzio: si sentiva-no solo la voce di Gianfrancesco e le musiche che l’accompagnavano. Mi guardai intorno per osservare l’effetto che suscitava il nostro racconto negli altri, la gente che non ci cono-sceva era assorta ed incredula. Era come se stentassero a credere che tanta bellezza fosse racchiusa in un luogo a pochi chilometri dalle loro case, bellezza che non si faceva scorge-re a prima vista ma che aveva bisogno di uno

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sguardo che avesse la capacità di soffermarsi sui dettagli per percepirne la perfezione e l’ar-monia. Negli sguardi di chi ci conosceva inve-ce c’erano emozioni diverse: Francesco sten-

tava a credere di essere uno dei protagonisti di quella storia e mi guardava con un senso di ammirazione che mi faceva sentire importan-te, importante per lui. Ilaria e Marcello sem-bravano davvero contenti di aver rinunciato a parte delle vacanze per partecipare a quel piccolo, grande progetto. Mia sorella mi guar-dava invece contenta di aver compreso final-mente e pienamente in che consisteva il mio lavoro ed i suoi occhi scintillavano di fierezza per quanto era stato fatto. Giovanni forse era il più contento di tutti, gli occhi erano quelli di un bambino che aveva realizzato un sogno, il sogno di realizzare un progetto di conservazio-ne per il suo territorio, valorizzandolo attraverso la divulgazione del suo lavoro.Poco prima dei titoli di coda, nella penombra notai in quarta fila volti che non avevo dimen-ticato: una ragazza dai capelli ricci con accanto un ragazzo silenzioso ed attento... erano France-sca e Marco che avevo incontrato proprio sul Matese grazie all’escur-sione universitaria. Mi

avvicinai per salutarli e mi dissero che aveva-no saputo del convegno e si erano precipitati per prenderne parte. Mentre ero intento a salutare, una standing

ovation si levò, indicando la fine del docu-mentario ed il suo successo in quella sala. Quell’infinito applauso fu il preludio dei complimenti da parte delle autorità e di alcu-ne promesse importanti. Il referente regiona-le prese il microfono per confermarci che il progetto era così importante che la Regione non poteva che confermare il finanziamento per il 2011.Anche il Presidente del Parco Regionale del Matese prese la parola e sottolineò l’impor-tanza del nostro lavoro in un’area parco e sopratutto quella delle tematiche trattate:

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biodiversità, conoscenza, conservazione, estinzione, sostenibilità, tutti termini che un cittadino del Parco avrebbe dovuto conoscere. Il presidente ci propose di organizzare gratu-itamente una giornata a tema Migrandata per tutte le scuole del territorio che ne facevano richiesta. Era un bell’impegno ma il team di Migrandata accettò con entusiasmo.Il convegno di Migrandata terminò ma il pro-getto rinacque e come le rondini, sarebbe ri-tornato sulle sponde del Lago Matese. Una primavera d’impegni ci attendeva: le scuole ci contattavano e gli incontri con le va-rie classi andavano programmati e ripetuti di sezione in sezione, tutto questo andava inse-rito in un quotidiano fatto d’impegni univer-sitari e lavorativi. Durante quella primavera accadde qualcosa d’importante: Francesca, la ragazza dell’e-scursione universitaria mi chiese d’intrapren-dere il percorso per divenire inanellatrice ed io fui felice di farle da tutor. Per cui iniziai a dedicare molto tempo a chi voleva imparare la tecnica e molte più persone si avvicinarono all’inanella-mento. Forse da Migrandata, forse già pri-ma o forse proprio sul Miletto con quelle magliette che identificavano un gruppo, si andò via via costituen-do un’associazione di amici sempre più numerosa, coordinata e coesa. Il 19/07/2011 questa realtà fu formaliz-zata con il nome di ARDEA - Asso-ciazione per la Ricerca, la Divulga-zione e l’Educazione Ambientale. Sentii Giovanni per delineare cosa sarebbe stata Migrandata II e deci-demmo che sarebbe durata per ben dieci giorni di campo e che avreb-

be dovuto ospitare molti più volontari così da poter gestire più inanellamenti con mag-giore serenità. Avevamo bisogno di una casa di appoggio in cui cucinare, il fornelletto da campo non sarebbe bastato così come non sarebbero state sufficienti il numero di tende e l’attrezzatura da campo che Giovanni gene-rosamente metteva a disposizione. Facem-mo una riunione con il team di Migrandata ed esponemmo i vari problemi: aumentare il numero di persone che potesse inanella-re, gestire la casa da fittare e cucinare anche per venticinque persone da ospitare in cam-peggio con relativa attrezzatura. Le soluzioni furono trovate rapidamente con molto senso di responsabilità ed attaccamento al gruppo e spirito di sacrificio. Valeria stupì tutti offren-dosi nella gestione della casa e nel coordina-mento della cucina, onere non da poco vista la fatica del campo in sé e l’impegno di sfamare ed accontentare nei gusti i tanti partecipan-ti, rinunciando alle vacanze in Cilento che avevano sempre caratterizzato la sua estate. Francesco si propose di risolvere il problema attrezzature: gli venne in mente di chiedere a Decathlon una sponsorizzazione per il pro-getto che riuscì ad ottenere dopo pochi gior-ni. Restava il problema del potenziamento degli inanellatori. Mi venne in mente un mio

caro amico Davide che nonostante abi-

Davide

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tasse a poche centinaia di metri da casa mia era sempre in giro per l’Italia e l’Eu-ropa, per cui lo chiamai per chiedergli se

volesse essere la seconda pinza del progetto Migrandata II. Mi disse di sì senza esitare ed il problema fu risolto. Migrandata II ebbe inizio il 24/08/2011 e si sarebbe conclu-sa il 02/09/2011.Quando ripenso a Migran-data 2011 mi volano in mente migliaia di rondini e decine di persone che come le pagine di un libro sfogliato velocemente si sovrappongono, chiudendo-si in un volume da custodire nella biblioteca della memoria nel reparto dei bei ricordi.Il gruppo di conduzione era il seguente: Io, Davide e France-sca all’inanellamento; Giovan-ni e Valeria alla logistica e alla gestione dei volontari; Ilaria e Marcello all’ac-coglienza visitatori ed info-point; Francesco e Marco come jolly tuttofare fra le reti e le ten-de. A queste persone si accodarono almeno

altri venticinque volontari. Il palcoscenico che ospitò Migran-data era sempre lo stesso: il meravi-glioso Matese. Quel luogo rinnova agli occhi un senso di meraviglia ogni volta che lo si osserva. La bel-

lezza del luogo non è solo nell’imponente pa-esaggio, dove tutto sembra immenso (dal cie-lo ai monti riflessi nel lago, dai faggi sotto cui ti puoi stendere alle vacche che ti passano ac-canto), la bellezza di quel palcoscenico è an-

che nei dettagli: le ragnatele all’alba che nella notte sembrano aver voluto raccogliere perle d’acqua per poter catturare l’arcobaleno alle prime luci; l’odore del terreno umido e i colori

delle libellule che spesso sembrano fio-rire sul verde su cui si posano… chi c’è stato sa di cosa sto parlando!Provo a raccogliere i ricordi in ordine cronologico ma ogni giorno, ora e giro era cosi denso ed intenso da rendere questo tentativo vano, come se tutto il periodo fosse stato amalgamato da un frullatore in un unico e bellissimo ri-cordo. Per cui cercherò di sintetizzare tutto l’arco temporale con una giorna-ta tipo.La sveglia al campo non suonava nel-le tende, nè una campana all’esterno segnava il tempo del risveglio, ma era una pioggia di versi come un coro cele-

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ste che veniva dall’alto: ron-dini, che intorno alle 6 di ogni mattino si svegliavano simultaneamente, sollevandosi dal canneto per volare sulle ten-de, sui faggi e sui monti. Come una pioggia quei cinguettii inondavano le tende e le nostre orecchie, facendo aprire i no-stri occhi e le tende. Una corsa di gesti predisponeva le scatole contenenti le rondini inanellate

la sera precedente, venivano aperte e nono-stante la levataccia e le temperature non pro-prio estive, quasi mai nessuno rincunciava a quello spettacolo di risveglio e libertà. Subito dopo il primo giro, Valeria e Giovanni ed altri volontari a turno preparavano la colazione per tutto il gruppo. Venti minuti intorno al tavolo erano fra i più belli della giorna-ta, il tepore della tazza induce-va le dita a spingersi fuori oltre il pile, lo stesso facevano i raggi del Sole con la nebbia. Il torpo-re mattutino sfumava in frene-sia alimentare quando a tavola veniva portata marmellata e cioccolata. Fra i più voraci c’era Marco che come un migratore serbava sostanze nutritive per superare le barriere ecologiche che doveva affrontare.

Durante l’inanellamento mattutino ve-nivano confermate le specie rilevate per la prima volta nel 2010: Cannaiola ver-dognola e Canapino maggiore tramite la cattura di più individui, entrambe a conferma dell’esistenza di un flusso migratorio esiguo ma regolare per en-trambe le specie nell’area parco. Subito dopo il primo giro e poi il secon-do, tante specie si aggiungevano alle rondini, sedentari e migratori si alter-navano sulle schede: Migrandata II ha

inanellato 4002 individui, facendo giungere a 41 le specie monitorate con il progetto.Le catture più importanti furono ben due Lodolai ed altrettanti tarabusini. Ma i record furono determinati dalla quantità di rondini:

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più di 350 prese in una singola sera. Quando la nebbia si diradava ed il vestia-rio da invernale diveniva estivo, era il se-gno che l’ultimo giro della mattina si sta-va per avvicinare. La chiusura delle reti determinata dal caldo Sole indicava che l’info–point al Miralago del Parco e di Ardea si stava per aprire. In quella strut-tura di legno sopratutto Ilaria e Valeria si avvicendavano nel dare informazioni ai turisti sia sul Matese che sul progetto.Le ore a reti chiuse che apparentemen-te dovevano essere di riposo, in realtà erano un tripudio di attività: sistemazione casa ed orga-nizzazione pranzo e cena, archiviazione dati, pulizia dell’area campo, turni docce e mil-le altre vicende. In tutto ciò furo-no preziose Vale-ria e Francesca, la prima era un po’ la sorella maggio-re di tutti. Si pre-occupava dei gu-sti alimentari dei partecipanti e che tutti si sentissero un po’ a casa anche sotto ad un faggio. La seconda si occu-

pava con minuzia della sistemazio-

ne dei dati, del giro alle reti e appren-deva da vicino tutto quello che le serviva per poter diventare un’inanellatrice. Consapevoli che avere tanti natura-listi ed appassionati di natura sotto lo

stesso tetto di foglie era un evento di cui si doveva approfittare, or-ganizzammo tre giornate a tema: • Il Censimento dell’avifauna acquatica,• La giornata dell’Averla • Ed il Tortolino DayLo scopo era quello di arricchire i volontari di esperienze emozio-nanti e nuove conoscenze. Quel-le giornate a tema erano dei veri e propri seminari pratici di appro-fondimento su temi specifici che

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dopo una parte introduttiva esposta nell’aula all’aperto “Grande Faggio” proseguivano con l’esercitazione da svolgere lì dov’era più congruo.Per il Tortolino Day era prevista la scalata del Miletto ed Ottavio non poteva mancare, infatti guidò lui la spedizione. Fu proprio bello vede-

re che a solo un anno di

distanza le persone che saliva-no per cercare quella

specie per molti igno-ta, era passato da sette

a venticinque!!! Le reti si riaprivano

quando la temperatura nuovamente calava, il Sole

tornava basso sull’orizzonte ed il richiamo della rondine

faceva sentire la rondinata sempre più vicina.

Novità del 2011 erano i visita-tori: genitori e bambini incontrati nelle

scuole in primavera, gli ospiti delle strut-ture alberghiere vicine al lago, i turisti in-

formati all’info-point e più timidamente gli abitanti del posto. Questi cominciarono a sedersi nell’angolo riservato a loro mentre le rondini riempivano il tramonto con la grazia di cui solo loro sono capaci.Per avere memoria dei pensieri dei visitatori e dei volontari si istituì il diario di campo che volava di mano in mano, di pensiero in pa-rola, andando a costituire l’album dei ricordi scritti del progetto. Una sera alcuni visitatori furono davvero for-tunati, la nuvola di rondini che si addensava sul canneto fu insidiata da circa sei falchi lo-dolai che sfrecciavano nel mucchio, cercando di sorprendere una delle migliaia di rondini. Ad un certo punto uno dei falchi cambiò tra-iettoria e si diresse verso di noi: sempre più vicino e con gli artigli protesi si lanciò ver-so le rondini ma la rete che si frapponeva fra lui e le sue prede lo catturò. Io e Davide

ci lanciammo sui lati del transetto, per rag-giungerlo prima possibile. Davide giunse un attimo prima di me, ma dal lato sbagliato... il falco nel tentativo di sfuggirgli, vola verso l’apertura, librandosi in aria fra le mie mani che lo presero incuranti dell’inevitabile arti-gliata. Tornammo dai visitatori esterrefatti per quanto visto e per la nostra esaltazione, gli descrivemmo brevemente le caratteristi-che ecologiche ed etologiche della specie e dopo qualche minuto Davide lo portò nella tenda per inanellarlo ed io restai lì a gestire la rondinata.

Lodolaio

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Anche se la cat-tura delle rondini seguiva lo stesso protocollo, era di-ventata comunque una cosa completamente di-versa, non solo per i visi-tatori, ma per tanti altri piccoli ma importanti aspetti. Per distinguere agilmente i volontari dai visitatori avevo fatto cu-cire da mia madre delle casacche con la scritta Staff in modo da ricono-scere e fermare i non addetti ai lavori che si avvicinavano troppo alle reti. Gli scatoloni erano sempre abbondantissimi e c’erano volontari addetti alla loro conduzione e gestione. Quando sopraggiungeva la not-te, l’enorme quantità di lampade frontali disperse fra il canneto ed i faggi sembra-vano mimare le stelle, riproducendo le co-stellazioni che vegliavano su di noi. Quel nuovo assetto ci consentiva d’inanellare molte più rondini in molto meno tempo e tutto ne risultava più sereno e piacevole. Un altro inanellamento interessante e di-vertente fu quello del tarabusino. Valeria stava controllando le reti che si spingeva-no più lontane delle altre quando scorse nella sacca un uccello più grande degli altri con collo e becco lunghi ma corpo

tozzo. Pur non essendo ornitologa non ebbe difficoltà a riconoscere il gruppo di appartenenza per cui iniziò a dire: “Ab-biamo preso un ardeide!! Sì, proprio un ardeide...” tutti noi pensavamo fosse una battuta che indicasse che era stato imbrigliato in rete un socio dell’associa-zione Ardea... invece era proprio lui, un airone in penne ed ossa, la specie più piccola d’Europa ma pur sempre un Ai-rone.Nelle reti non finirono solo uccelli ma, sopratutto al tramonto sciamavano an-

che molti insetti e quelli che restava-no incastrati nelle reti erano in mag-gior misura cole-otteri. Per questo motivo fu istituito il giro insetti da fare al calar della sera, quando una parte del grup-po era intento ad inanellare ed un altro a preparare la cena. I volon-tari che più di

Jessica

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chiunque altro si erano specializ-zati in queste delicate liberazioni erano Nicola e Jessica, due amici di Marco e Francesca che si era-no uniti a noi quell’anno, muniti di una straordinaria sensibilità e armati un’incredibile pazienza, ad uno ad uno liberavano quegli esseri alati a sei zampe. Nicola ci regalò anche momenti di grande ilarità dovuta alla sua capacità di fare battute con un tono molto se-rio che spiazzava chi lo ascoltava, il quale spesso barcollava nel comprendere lo sfottò. Jessica, invece, ad una prima impres-sione, poteva apparire delicata e un po’ tra le nuvole ma con il tempo si rivelò un’instanca-bile collaboratrice con la passione per i grandi mammiferi, soprattutto gli orsi che avrebbe studiato dopo qualche mese in un pro-getto che si svolgeva sulle Alpi.Gli avvenimenti che più caratterizzarono i dieci giorni di monitoraggio furono gli elicotteri nelle prime due notti che ci fe-cero rivivere l’incubo notturno del primo anno. Amareggiati e scocciati chiamam-mo le autorità per ribadire la necessità di risolvere la questione, inoltre comuni-

cammo que-sta increscio-sa abitudine a

Gianfrancesco ed ai giornalisti che avevano mostrato interesse al progetto. Il mattino successivo un’enormità di persone attraverso molti giornali vennero informate sul perico-

lo che le rondini in migrazione correvano in un’area parco così importan-te e forse per coincidenza forse no, ma gli elicotteri non

solcarono più il nostro cielo o meglio il cielo delle rondini.Le notti senza elicotteri erano un tripudio di serenità. Si prese l’abitudine di andare

sulla diga e stendersi per osservare le stelle. Il cielo era sempre limpido e l’aria fredda, il pavimento su cui eravamo sdraiati aveva as-sorbito il calore del Sole per tutto il giorno per cederlo a noi in quel momento. Noi eravamo molti ma le stelle erano infinite, un naturale e reverenziale silenzio si diffondeva, le parole erano più rare delle stelle caden-ti che osservavamo, ma il silenzio comunicava tutto ciò che nessun discorso avrebbe potuto. Un senso

Nicola

Tarabusino

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di pace e serenità far noi e l’uni-verso ci che era intorno e dentro.Altro aspetto che caratterizzò uno degli ultimi giorni furono gli spari dei bracconieri intorno al campo. Stavamo chiacchierando intorno al fuoco dopo la cena e sentivamo gli allocchi emettere i versi quando un primo sparo e poi altri due violarono l’aria. Erano abbastanza distanti quin-di non ci preoccupammo per la nostra incolumità ma per quella del potenziale bersaglio, qua-lunque esso fosse, perché essen-do in un area Parco gli spari erano banditi a prescindere. Giovanni, Marcello e Marco in-seguirono quel brutto suono e si appostarono per osservare elementi da fornire alla Foresta-le che fu chiamata tempe-

stivamente e venne prima possibile ma comunque troppo tardi per fermare gli autori degli spari che fortunatamente non si ripeterono mai più in nostra pre-senza. Geppino ed il suo documentario fu so-stituito dalle interviste MLCvideo, che realizzava quotidiane e veloci interviste ai protagonisti del campo e le caricava su youtube, in modo da tenere informa-ti sul nostro operato chiunque volesse seguire il campo anche a distanza. Era

divertente leggere i commenti o ricevere sms dagli amici di altre regioni che si complimen-

tavano per il nostro operato. Il 2 settembre giunse e con lui il termine di Migrandata 2011 e per festeggiare il successo del progetto, Legambente ci re-galò una cena presso l’Hotel Miralago in cui avremmo do-vuto illustrare i dati del pro-getto ai loro numerosi soci. Dopo aver smontato reti e tende, con ancora gli abiti

da campo, ci accomodammo sulle morbide sedie della sala da pranzo. Lo chef che

ci venne presentato prima dei suoi piatti si chiamava Gian-luca e ci regalò piatti rustici e

sapori eleganti. Per la prima vol-Elisa

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ta in quei giorni non erano Valeria e Giovanni a cu-cinare per tutti e quel regalo lo gradirono più di chiunque altro. Francesca e Davide furono bravi ad ordinare ed elaborare i dati raccolti in quei dieci giorni, unimmo il tutto alle in-formazioni del 2010 e presentammo quanto avevamo scoperto e tutti ne risultarono molto interessati. A sorpresa, dopo la torta prepa-rata da Gianluca, Davide e Francesca offriro-no la ciliegina con un video composto dalle foto e le emozioni immortalate al campo. Dai tavoli di quella elegante sala mi sembrava di osservare un video girato in un luogo ed un tempo lontani in cui un gruppo di persone nel nome della salvaguardia di un territorio si mobilitava per tutelar-lo: ed eravamo proprio noi quel gruppo!Anche quel ritorno a Na-poli fu parziale: una parte di me restava inevitabil-mente in riva a quel lago incastonato fra i monti, ad aspettare di ricongiun-gerci. Ma quella volta era differente. In tanti aveva-mo vissuto quello stesso sogno e parlarne insieme nei mesi che seguirono ci consentiva un po’ di rivi-verlo.Nell’autunno, l’inverno e

l’estate che seguirono ci furono ben tre convegni. Il primo giunse subito, 21 - 25/09/2011 ma ci portò lontano: Cervia, provincia di Ravenna!Si trattava del Convegno Naziona-le di Ornitologia, un appuntamento importantissimo, a cui io, Giovanni, Marcello, Francesca, Davide ed Otta-vio non potemmo resistere. Cercammo

di rappresentare al meglio tutti gli al-tri che tenevamo costantemente

aggiornati. Appendere il poster così lontano e leggere il nostro progetto sugli atti stampati in centinaia di copie, ci dava la di-mensione che il progetto stava crescendo così come il nostro

gruppo, del resto.Fu davvero una sorpresa leggere

dopo qualche giorno un encomio pub-blico da parte del responsabile del Centro Na-zionale di Inanellamento, che faceva i com-plimenti al nostro progetto e a tutti coloro che lo portavano avanti. Era qualcosa che non avrei mai pensato potesse avvenire, qualcosa che non speravo ma quando avvenne fu me-raviglioso. Il 13/01/2012 fu un’altra giornata importante. Tutto il gruppo organizzò all’Oasi degli Astro-ni un convegno per espor-re tutti

Convegno ARDEA - 13-01-2012

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i progetti che portavamo avanti con l’associazione e Migrandata ricopriva un ruolo speciale. Per l’occa-sione cercai di elaborare i dati in un modo nuovo che potesse sottoline-are al referente regionale che facevano sempre di più e che questo trend poteva proseguire. Pensai che il modo più efficace di elaborare i dati in modo nuovo era chiedere ad una per-sona nuova di giungere ai risultati insieme: la persona non poteva che essere uno studente brillante, sensibile ed ingordo di dati e cioc-colata. Non poteva che essere Marco che non deluse le aspettative e regalò grafici e punti di vista nuovi sulle in-formazioni rac-colte. Quel lavo- ro di squadra fu l’unica arma che usammo per con-vincere il referente ad accordarci nuovamente la fiducia ed il contribu-to al progetto.Dopo poco più di un mese, un altro evento accolse Migrandata: “Il Convegno Nazionale degli Inanellatori” - Gaeta 24- 26 /02/2012. Lì io, Giovanni, Davi-

de, Valeria, Francesca, Marco, Ilaria e Marcello potemmo stringere la mano al Responsabile del Centro Italiano d’Inanellamento che fu fe-lice di presentarci gli ospiti inter-nazionali intervenuti al progetto. Un altro evento importante che prese luogo in quell’occasione fu il superamento dell’esame per dive-

nire inanellatore da parte di Francesca che inorgoglì ulteriormente tutti noi e potenziava ulteriormente Migrandata. Giunse nuovamente l’e-state ed il vento soffia-va forte verso il Matese. Cercammo di dare al

progetto più spessore sul fronte della formazione e l’educazione ambientale. Riu-scimmo a realizzare in tempo la convenzio-ne per i tirocini universitari con la Federico II e ci accordammo con alcuni gruppi scola-stici e parrocchie per portare lì i bambini e parlar loro di biodiversità e migrazione. Per accogliere questi nuovi ospiti ci serviva altra attrezzatura. Ritornò in soccorso del progetto

Francesco che organizzò un evento in una sede Decathlon con pannelli fotografici e volontari che forniva-

no le informa-

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zioni utili a comprendere il progetto. Questo ci consentì di ottenere nuovamente la spon-sorizzazione e rifornire di mate-riale utile anche i nuovi parte-cipanti.Migrandata III (21 - 31/2012) doveva ma non poteva superare la precedente, infatti fu sempli-cemente diversa ma ugualmente speciale.Le rondini inanellate furono meno della metà, ma quella di Zagabria ne valse più di mille per cui com-pensò la delusione. E poi verifi-care le fluttuazioni, con tanto di rapporto giovani/adulti era pro-prio il motivo del monitoraggio e comprendere i motivi del calo sarà la missione di chi analizzerà i dati.Nel 2011 al tramonto i lodolai comparivano poco dopo le ron-dini nel cui stormo s’immergevano con picchiate mozzafiato tese a catturarne una su un milione. Di quegli abili predato-ri riuscimmo ad inanellarne due. Alla caccia dei lodolai quell’anno si

aggiunsero i gufi che leggeri e silenziosi, sor-volavano bassi il canneto raccogliendo come se fosse frutta le rondini che si erano posate sui ciuffi più alti; di quegli abili predatori riu-scimmo ad inanellarne ben due!!L’allestimento del campo era iniziato con un’auto che non voleva collaborare: le quat-tro porte chiuse con le chiavi inserite ancora nel cruscotto ed il materiale dentro non da-vano speranze. Il timore di dover rompere il

finestrino dipingeva di sconfitta i volti dei presenti, ma i traguardi irrag-

giungibili sono solo quelli che non si im-maginano o si crede di non poter raggiungere. Ma nel gruppo l’immaginazione e la volontà

abbondavano: due pali per l’i-nanellamento, una chiave ad L ed un nastro adesivo forgiaro-no una nuova chiave e sei mani forti aprirono una breccia nello sportello posteriore. La chiave e la speranza entrarono nell’a-bitacolo e guidate da una mi-riade di voci amiche poste in ogni punto di vista come un navigatore corale fecero incon-trare la volontà di aprire con la chiusura centralizzata che ce-dette, spalancando le quattro porte.Il primo giorno al campo fu

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caratterizzato anche dalla cono-scenza con i tre nuovi tirocinan-ti frutto della convenzione con l’università: Salvatore, Marilena e Monia. Tre studenti di aspetto minuto ma con una forte perso-nalità e voglia di apprendere e spendersi per la conservazione della Natura. Il consueto allestimento campo si era così radicato nella nostra memoria, che i gesti si susse-guirono istintivamente ed in maniera involontaria come lo erano il respirare o il battito del cuore. Quando tutto fu allestito

descrivemmo ai tiroci-nanti quanto avrebbero vissuto durante la rondinata: migliaia di rondini e tutto il protocollo di rilievo. Purtroppo quello che raccontammo loro non si ripeté. Al tramonto poche decine di rondini vola-vano spaurite in un cielo vuoto e triste e fu così per i successivi dieci giorni. Sembrò un vero e proprio tradimento da parte di quella specie che tanto c’era-vamo mobilitati a tutelare. Cercavamo di capire le cause ma queste probabil-mente non erano alla nostra portata: la migrazione, unendo il mondo da Nord a Sud può essere influenzata da cosa accade in un singolo punto e mostrare

gli effetti altrove, come una catena che si spezza in due anche se è solo un anello a cedere. Anche il nostro gruppo era una ca-tena e nessuno doveva cedere se vo-levamo affrontare in modo costrut-tivo quella criticità. Di grande aiuto fu un nuovo volontario Fabio: un ragazzo che apparentemente non c’entrava nulla nè con noi nè con il progetto in quanto si occupava di tecnologia, esperto di sistemi di controllo e videosorveglianza. Ma il suo entusiasmo nei confronti di quella vita fatta di tende, alberi, animali e propositi di conserva-

zione della natura

Monia

Mari lena

Salvatore

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trascinò tutti noi in un clima di allegria impossibile da intaccare, nemmeno dagli inattesi dati ne-gativi. Mi è sempre stato chiaro che sul percorso si sarebbero trovati degli intoppi, ma mi era an-cor più chiaro che la voglia di superarli, unita alla compren-sione ed il sostegno reciproco

erano la ricetta più efficace per sal-

tare gli osta-coli e raggiungere il tra-guardo.

Nel 2012, attraverso un accordo con l’al-

bergo Miralago riu-scimmo ad avere una sponsoriz-zazione dei pa-sti con il servi-zio catering del

superbo chef Gianluca che allietava i no-stri giorni con prodotti tipici e sapori indimenticabili. Purtroppo quell’anno i piatti spesso servivano ad allietare giornate difficili prive di rondi-ni e cariche di preoccupazione per comprendere quell’assen-za. Inoltre quell’anno fu ab-bastanza turbolento anche il rapporto con i pastori che no-nostante fossero stati avvisati continuavano a lasciare le vac-che incustodite nei pressi del

campo. Queste sistematicamente attraversa-vano i transetti, abbattendo le reti e talvolta rompendole. Era estenuante scacciare conti-nuamente le vacche e ricomporre i transetti.La fase della giornata in cui la serenità menta-le ti raggiungeva e ti avvolgeva, sospinta dal-la stanchezza fisica era il dopocena, quando il fuoco e la digestione non consentivano di

lasciare la sgabello per raggiungere la tenda. Ma quell’anno due volontari sembravano immuni a questa fase di

Fabio

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semitorpore: erano due studenti di biolo-gia, Riccardo e Denise. Lui un talentuoso mu-sicista, lei un’appassionata di danze popolari. Grazie a loro quella fase si trasformò e sotto al grande faggio la fiamma della nostra bra-ce non era l’unica ad agitars: Denise, armata di castagnette, batteva le mani al ritmo della musica che Riccardo era in grado di generare, trasformando in uno strumento ogni oggetto. Il tavolo sembrava divenire un pianoforte, le pentole dei tamburi e la sua voce sembrava poter cantare ogni melodia.Partecipare a Migrandata è un pò come per-dersi: il tempo perde il suo valore e ne acqui-sisce altri. Più realtà si succedono contem-poraneamente e mentre un gruppo è sotto al faggio, altri sono al rifugio o ai transetti, men-tre altri ancora al tavolo dell’inanellamento, a scacciare il bestiame o sul Miletto. Il gruppo si compone di squadre mutevoli che si me-scolano interagendo, arricchendo dei propri racconti gli altri.

Un pomeriggio, forse il più triste di tutto il progetto, trovammo il tran-setto “R” vandalizzato: le reti era-no state tagliate di netto all’altezza con un coltello. Ne restammo tut-ti molto colpiti, non credevamo proprio di meritarlo. Ferire così il progetto, tagliando senza un per-ché i fili che ci consentivano di raccogliere i nostri preziosi dati, senza capire tutti gli sforzi dietro

quella rete, sen-za capire tutte le potenzialità di quella rete

di persone ed azioni che solo quell’anno ave-

va portato su quel lago circa quat-trocento

persone venu-te anche per vedere quelle rondini che divenivano sempre

più famose e sempre più

Riccardo

Denise

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importanti anche per una for-ma di turismo più in linea con il messaggio del parco. Quelle reti abbattute in realtà furono il segnale che almeno noi do-vevamo restare in piedi d’in-nanzi ai nemici, dovevamo combattere l’indifferenza dei pastori, la prepotenza dei van-dali e le cause del declino del-la rondine.Nell’ottica di risolvere un problema per volta, Fabio ci

propose una soluzione originale

metten-do in campo quanto inizialmente ci sembrava più lontano.

Dopo un viaggio di andata e ritorno da Napoli, si pre-sentò con alcune telecame-re. Dopo poco ogni tran-setto era videosorvegliato e controllato a distanza: pote-

vamo prevenire le incursioni delle vacche e acciuffare i vandali, potevamo difendere meglio il nostro lavoro. Tutte quelle difficoltà rinforzarono ancor di

più lo spirito di gruppo ed anche i tirocinanti neogiunti divennero rapidamente parte inte-grante del progetto e del gruppo: trasudavano entusiasmo ed amore per ciò che studiavano e che potevano finalmente vivere sul campo. Davano più di quanto gli fosse chiesto e più di quanto fosse necessario e non per protagoni-smo ma perché credevano nella causa. Tutti e tre i tirocinanti erano estremamente inte-ressati alle attività previste dal progetto ma dei tre quello più affascinato all’ornitologia era una ragazza: Marilena, che al termine del

campo mi chiese di fare la tesi sul progetto. Quell’anno in campo dalle 17.00 in poi si tra-sformava in una vera scuola all’aperto dove le materie erano ornitolo-gia, conservazione e mi-grazione e gli studenti erano tutti i visitato-ri, turisti, parrocchie, scuole e famiglie. Nel pomeriggio compariva-no cavalletti con pan-nelli esplicativi, tutta l’attrezzatura diveniva strumentazione didat-tica e tutti i volontari divenivano megafoni

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del progetto. Durante le rondinata, nel ten-tativo di raccogliere le impressioni dei nostri ospiti si faceva passare il diario di campo che come una spugna d’inchiostro emotivo tratte-neva pensieri e parole scritte al volo. Identificare fra la miriade di ricordi che Mi-grandata produce quelli più significativi o piacevoli è come identificare una cannaiola verdognola fra cento cannaiole senza neanche il ri-ghello!Un momento eccezionale che riequilibrò il rapporto con i pa-stori fu quando Marcello, Marco e Carletto mi fecero degli strani segni dalla diga. Io, Giovanni, Francesco e Valeria gli andiamo

incontro, seguiti da Fran-cesca, Ilaria e i tirocinanti. Quando giungemmo da loro osservammo qual-cosa che proprio non ci aspettavamo: Marcello e Marco, nel fango fino alle ginocchia con Carlo che si agita intorno mentre dal fango emerge la te-sta di un toro che vi stava sprofondando. Ci avvici-nammo tutti ma nessuno sapeva cosa fare. Il grosso e stremato animale spro-fondava ad ogni tentati-vo di riemerge, la nostra presenza non sembrava

affatto rasserenarlo. Giovanni recuperò una corda, Marcello e Marco la legarono intorno alle corna, mentre tutti cominciarono a tira-re. Il toro spaventato si opponeva indietreg-giando e a quel punto ebbi un idea: cammi-nando dietro la povera bestia dove la terra era più compatta mi posi alle sue spalle, inizai ad

urlare e ad incentivarlo... riuscii nell’intento prefisso! Il toro spaventato iniziò a muoversi in avanti, unendo le sue forze a chi cercava di tirarlo fuori. Quell’ennesimo lavoro di squa-dra consentì alla bestia di uscire dalla fossa,

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spossato, stanco ed arrabbiato ma con ancora abbastanza forze per caricare tutti. Lì Giovan-ni fu formidabile: corse in prossimità del toro per farsi notare ed inseguire per portare lon-tano dai suoi amici quella minaccia. Il penultimo giorno del campo, il 30/08/2012 fu presa la prima ricattura estera del progetto: una rondine inanellata a Zagabria, ricordan-doci quali formidabili spostamenti compiono questi piccoli messaggeri alati.Se mi fermo e chiudo gli occhi davanti a questa tastiera per far sollevare dal groviglio di neu-roni gli istanti più significativi, prendono for-ma e colore sullo

sfondo nero delle palpebre chiuse i singoli abbracci di saluto che diedi e ricevetti da tutti quelli che lascia-vano il campo nei vari giorni fino all’ultimo! Furono tutti arrive-derci estremamen-te intensi, era come rilasciare un uccello inanellato a cui era stato aggiunto qual-cosa, qualcosa che consente di non perderlo, qualcosa che appartiene ad entrambi. Un elemento im-portante per comprendere Mi-grandata IV fu l’incontro, dopo tanto tempo con il disegnatore An-drea, che mi con-

tattò per aiutarlo con la tesi: co-niugare natura e fumetto. Un argomento non facile ma meraviglioso che ci consen-tì di conoscerci meglio e sotto-porre alla commis-sione qualcosa che non avevano mai visto “Un Naturartista!”Ormai il progetto era così consolidato che non ci fu bisogno di creare un evento per avere il sostegno da parte della Regione che giunse con una lettera alla nostra sede, regalandoci molta soddisfazione.Migrandata IV ebbe inizio il 21/08/2013 e molte cose erano cambiate: Valeria, France-sco, Marcello, Ilaria non c’erano, Marilena non era più una tirocinante ma la tesista del progetto che coordinava molte attività ed ave-va la responsabilità di molti aspetti. La mia seconda pinza non era più Davide ma Fran-cesca e Marco non era più il jolly tuttofare ma

un elemento strutturato

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che si occupava della parallela

migrazione dei rapaci. I tirocinanti non erano più tre ma due ed i pa-stori incredi-

bilmente gen-tili ed accorti

lasciavano in pace le nostre reti. I

volti nuovi del progetto erano molti, inizialmente anche troppi, per me. Forse non ero pronto a tanti cambiamenti, cercavo negli altri i volti di chi c’era già stato. Altra grossa differenza fu la pioggia che nei precedenti tre anni non avevamo mai avuto. Nel 2013 piovve otto giorni su dieci e fu psicolo-gicamente molto pesante da sopportare. Mi sembrava di fare tutt’altro progetto anche perché pure le poche rondini che volavano l’anno prece-dente sembravano averci ab-bandonati.Non mi

era mai capitato ma avevo la sensazione che il progetto fosse giunto al termine di una bel-la corsa, anche perché dopo tutto non poteva durare per sempre. Ricordo che pioveva e re-stai nella tenda in cui custodivamo il materia-le, fra le tante cose osservai il diario di cam-po che raccoglieva i pensieri di chi era stato lì negli anni pretendenti. Iniziai a sfogliarlo, leggerlo e ricordare... le pagine si mossero ve-loci, ripercorrendo la maratona Migrandata frase dopo frase, battuta dopo battuta, saluto dopo saluto, fino a raggiungere l’anno in cui mi trovavo. Ero convinto di leggere cose di-verse, frasi meno entusiaste e persone meno motivate. Invece mi sbagliavo

e di molto: c’erano scritte le stesse identiche cose, con lo stesso entusiasmo e gioia di essere lì nonostante la piog-gia e l’assenza delle rondini. Capii tante cose: Migrandata non era più il pretesto mio e di Giovanni per poterci rive-dere, Migrandata era volato ben oltre noi due. Questo mi fece cambiare punto di vista su molti aspetti. Il progetto forse poteva continuare per sempre se avessimo trovato il coraggio di fidarci delle nuove generazioni e con-

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segnarlo nelle mani del futu-ro. Iniziai a rivedere nei volti dei nuovi volontari la stessa determinazione e passione che pochi anni prima spera-vo che gli altri notassero in me. Capii che se c’era una speranza di far proseguire nel tempo quel progetto era non considerarlo più solo il mio progetto. Le

rondini volano li-bere unendo il mondo e non ap-

partengono a nessuno, neanche a chi le studia. Al campo vennero ancora più volon-tari e visitatori, i primi ormai porta-vano avanti decine di attività contem-poraneamente: inanellamento, censimento rapa-ci, fotografia natu-ralistica e studio dell’avifauna ac-

quatica. I secondi si erano moltiplicati, ormai i visi-tatori venivano portati al campo con autobus gremiti e non man-cavano vere e proprie celebrità in visita: presidenti di altre associa-zioni, sindaci, presidenti di par-co, giornalisti. Ricomparvero anche i volontari storici: Francesco, Ilaria, Mar-cello, Davide ed infine tornaro-no anche le rondini che a poco a poco inondarono gli ultimi tra-monti di ali ed emozioni come era stato in precedenza.Smise di piovere ed il 30/08/2013 venne presa un’altra rondine di

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Zagabria come a sottolineare che la migrazio-ne era con noi, la promessa del ritorno era sta-ta mantenuta! Era il 31/08 l’ultimo giorno di quell’ultimo anno ed Andrea come al solito raccontava se stesso attraverso un disegno. Mi venne un’i-dea che esplose in me come una irrinuncia-

bile necessità: raccontare Migrandata a più persone possibile, per non dimenticare quan-to era stato fatto per ricordare agli altri quan-to ancora si poteva fare. Andrea era lì con le sue matite come quando cinque anni prima era cominciato tutto... era come chiudere un anello intorno alla zampa di un uccello che

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sarebbe andato lontano. Gli chiesi di realiz-zare il Fumetto di Migrandata e lui accettò.Il 30/10/2014 Marilena ha discusso la Tesi di Migrandata, portando il progetto d’innanzi alla commissione.A dicembre 2014 ver-rà distribuito il fumet-to, portando innanzi al

Mondo il sogno che è stato condiviso nel tempo da così tanti volontari e che si spera porterà altrettanti sognatori a spiccare il volo della migrazione.

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Ringrazio tutta la rete di volontari che ha contribuito ad inanellare gli innumerevoli obiettivi previsti dal progetto e che ha arricchito di momenti

piacevolmente indimenticabili, anche le ore più faticose ed impegnative.

Andrea AccennatoAlessandro FranzaAngelo Rotunno

Antonella LoiraAntonietta AntonucciAntonio Romano

Augusto De SanctisCarlo De AngelisClelia GravanteDavide De RosaDenise D'AmbrosioElisa IengoFara IacopelliFederica IorioFiorella Di Napoli

Francesca Ardolino

Francesca BuonincontiFrancesco CapobiancoFrancesco Parisi

Francesco Riccio Francesco Valerio

Giovanni Capobianco

Giovanni Ferrara

Giuseppe Falco

Giuseppe Mennella

Giuseppe Monaco Giusy de Luca Ida Varriale

Gianluca PelusoDino Simoniello

Rosalba CarrizzoIlaria Brandi

Ilaria FozziIlaria Cammarata Jessica PapaFamiglia IbelloLuisa Auletta

Marcella Barbarino Marcello Bruschini

Marcello Giannotti

Marco Basile

Marilena Izzo

Marzia Imparato

Matteo CaldarellaMichele Soprano

Monia Noviello Nando Pirro Nicola Bernardo

Annino Zambardino

Luigi Miceli Nunzia Aprea Ottavio Janni Patrizia CozzolinoFlavio De Marco Riccardo De Filippis

Rosalinda RicciSalvatore Ferraro

Salvatore Pace Sergio Di Donato Silvio D'AlessioSisto Bucci

Adriano ArgenioAdriano Minichino

Angela Perna

Elisabetta Marini

Fabio CapurroGiuseppe Masullo

Lorenzo NottariMario Capobianco

Mario GlaudinoMichela Iannone

Cecilia Paone Paolo Capobianco

Raimondo Putzolo

Tonia Sollo Valeria BalestrieriRosita FranzeseSalvatore Falco

Sebastiano Pirro

Virginia De MatteoFlavio Maffia

Gabriella Clemente

Silvia Romano

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Sisto Bucci

Sebastiano Pirro

Ringrazio sentitamente per la realizzazione grafica e l’efficace impagi-nazione l’amica Monia Noviello che con dedizione si è spesa con costan-za per diversi mesi a titolo volontario per trasformare i miei ricordi

in pagine.

Ringrazio infinitamente chiunque abbia immortalato con le proprie fotocamere gli innumerevoli istanti significativi che hanno caratteriz-zato Migrandata - Matese e particolarmente chi ha donato le foto che

hanno arricchito quest’opera:

Andre Accennato

Valeria Balestrieri

Marco Basile

Andrea Martina Banzi

Nicola Bernardo

Francesca Buoninconti

Ilaria Cammarata

Giovanni Capobianco

Mario Capobianco

Fabio Capurro

Denise D’Ambrosio

Gianfrancesco D’Andrea

Riccardo De Filippis

Davide De Rosa

Salvatore Ferraro

Marcello Giannotti

Giuseppe Ibello

Marilena Izzo

Ottavio Janni

Monia Noviello

Jessica Papa

Francesco Riccio

Mirta Rinaldi

Michele Soprano

Ciro Viaggio

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