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MICROBIOLOGIA GENERALE
INTRODUZIONE
Lo studio della microbiologia ebbe una svolta grazie a Antony Van Leeuwenhoek, che creò delle lenti che
permettevano di visualizzare piccole cellule e microrganismi con una buona risoluzione. Altri personaggi
importanti furono Louis Pasteur, che introdusse la fermentazione e i vaccini, e Robert Koch, che scoprì il
vibrione del colera, l’agente della tubercolosi e dimostrò la correlazione tra microrganismi e malattia.
La microbiologia è la scienza che studia i microrganismi e le loro relazioni con l’ambiente e con gli esseri
viventi. Tra questi abbiamo: batteri, funghi (lieviti e muffe), protozoi e virus.
Diverse caratteristiche distinguono gli organismi procarioti dagli eucarioti. La cellule eucariotica presenta un
involucro nucleare che separa il DNA del citoplasma, mentre nella procariotica il DNA è libero, in una zona
detta nucleoide; la cellula eucariota ha dimensioni comprese tra 10 e 100 micron mentre la cellula
procariota circa 1 micron; il citoplasma della cellula procariota è priva del sistema di endomembrane;
entrambe hanno ribosomi (nelle procariotiche più piccoli). Hanno comunque diverse similitudini: hanno lo
stesso linguaggio genetico, simili vie metaboliche ed alcune caratteristiche strutturali comuni; i mitocondri
si pensa che siano nati da un rapporto tra un microrganismo procariota e una cellula eucariota.
Esistono tre linee evolutive degli organismi viventi: due che indicano i procarioti, bacteria e archea, e uno
che indica gli eucarioti, eukarya. Gli archaea si distinguono dai bacteria poiché hanno sequenze ribosomiali
particolari, una struttura parietale completamente diversa da quella dei batteri ed entrambe condividono
alcune caratteristiche con la cellula eucariota. Il dominio dei bacteria costituisce la parte più abbondante
delle forme di vita, e sono i primi organismi che sono nati sulla terra, dai quali si sono evoluti gli altri. In un
dominio si distinguono raggruppamenti in base a caratteristiche fenotipiche e genotipiche (dal gruppo
all’organismo specifico): dopo i domini ci sono phylum, classe, ordine, famiglia, genere e specie. Esempio:
l’escherichia coli ha il primo nome che indica il genere, mentre il secondo la specie.
I microrganismi dalla loro comparsa hanno colonizzato tutti gli ecosistemi disponibili traendone vantaggi
per la loro sopravvivenza e mantenendo funzioni essenziali per la vita su tutto il pianeta. Essi sono necessari
per i cicli bio-geochimici (o gassosi, in quanto le riserve dei rispettivi elementi sono costituiti da gas). Un
ciclo importante è quello dell’azoto: esso si muove tra l’atmosfera e il terreno, ed è un elemento
fondamentale perché va a formare le molecole organiche fondamentali per la vita degli organismi superiori
(amminoacidi e proteine), ad eccezione dei batteri azoto-fissatori, l’azoto atmosferico non può essere
direttamente assorbito dagli organismi. Le piante possono assimilare l’azoto tramite l’assorbimento di
composti azotati (nitriti, nitrati) prodotti dai batteri azoto-fissatori del suolo (dei noduli radicali delle
leguminose), che sono in grado di trasformare l’azoto in sostanze inorganiche che vengono riassorbite
attraverso l’acqua dalle piante. L’azoto viene poi trasferito agli organismi eterotrofi mediante la catena
alimentare.
I microrganismi sono necessari per la produzione e la conservazione degli alimenti, basata sull’attività
fermentativa e sull’azione di alcuni metaboliti prodotti dai vari microrganismi, e ciò rappresenta uno dei
processi tecnologici alimentari più conosciuti dall’uomo. I primi alimenti fermentati sono nati per caso, ma
l’uomo ha imparato a manipolare le condizioni delle fermentazioni permettendo un’ottimizzazione della
produzione alimentare. Le prime registrazioni storiche della produzione di formaggi risalgono al 6000 a.C., il
pane e il vino al 4000 a.C., la birra al 1750 a.C.
I microrganismi sono fondamentali anche per la produzione degli antibiotici, dei quali l’80% deriva da
batteri e il 20% da funghi. La scoperta degli antibiotici è dovuta alla scoperta di Alexander Fleming, che,
studiando delle culture di staphylococcus aureus, notò che la contaminazione di una piastra con una muffa
verdea vetri contenente il batterio inibì la sua crescita.
Quando gli organismi superiori comparvero sulla terra i microrganismi costituivano una vasta comunità
abitale, dove l’essere umano si è trovato ospite. Oggi per microbiota intendiamo l’insieme di microrganismi
procarioti ed eucarioti che colonizzano le nostre mucose; il tratto gastrointestinale ospita il più grande
complesso eco-microbico conosciuto sulla terra, e svolge funzioni che l’ospite umano non ha evoluto; la
maggio parte risiede nel tratto intestinale e in particolare nel colon, dove la densità si avvicina a 1012
microrganismi per ml, il più alto numero registrato per qualsiasi ambiente microbico.
Il microbiota intestinale agisce come un organo metabolico attraverso la digestione di complessi
polisaccaridici di origine vegetale producendo sostanze organiche che sono fondamentali per il nutrimento
dei nostri microciti; produce vitamine (acido folico, gruppo B, K); ha funzione di assorbimento dei minerali.
Il microbiota svolge un ruolo trofico nella regolazione del turn-over dei microciti, per lo sviluppo del sistema
immunitario, e regola la motilità intestinale. Ha anche funzioni protettive, svolgendo funzioni di difesa da
organismi autoctoni e microrganismi patogeni, sia occupando tutti i siti al livello delle mucose, sia
attraverso la produzione di sostanze antimicrobiche (idrogeno perossido, ammonio, batteriocine)
definendo il fenomeno della resistenza alla colonizzazione.
Le forme dominanti di interazioni tra uomo e microrganismi sono quelle commensali, in cui i microrganismi
beneficiano dell’associazione con l’ospite senza causare danno. Si parla di relazioni simbiontiche nel
momento in cui sia l’uomo che il microrganismo traggono benefici dal rapporto che tra loro intercorre. Il
rapporto può anche diventare pericoloso, poiché in caso di danno all’interno dell’organismo possono
causare infezioni con conseguenze negative per l’uomo, ed in questo caso i microrganismi si definiscono
opportunisti. Si definiscono patogeni invece i microrganismi che possiedono la capacità intrinseca di
attraversare le barriere anatomiche e di resistere alla difese dell’ospite, di moltiplicarsi in tessuti ed organi
danneggiano il normale funzionamento di essi. La virulenza descrive il grado di patogenicità del ceppo
coinvolto nell’infezione; a parte alcune eccezioni come per i batteri tossigenici, dei quali la patogenicità è
legata esclusivamente alla produzione di tossine, il danno è legato alla suscettibilità dell’ospite, alla
virulenza del microrganismo, e al numero di parassiti presenti.
I microrganismi sono troppo piccoli per essere visibili ad occhio nudo, infatti vengono visualizzati tramite i
microscopi, in particolare quelli ottici. Un microscopio ottico è costituito da una sorgente luminosa che
illumina il campione, che è posto su un supporto meccanico che prende il nome di stativo, poi c’è un
sistema di lenti del condensatore, che concentra la luce sul campione e due sistemi di lenti che sono
l’obiettivo e l’oculare, che ingrandiscono l’immagine. L’immagine definitiva è data dal prodotto di
ingrandimento degli obiettivi e dell’oculare. La limitazione di questa microscopia è il grado di risoluzione
dell’immagine, vale a dire la distanza minima che si riesce ad osservare tra due punti distinti; il limite della
microscopia ottica è di 0,2 micrometri, con un massimo ingrandimento ottenibile di 1000-1500 volte.
Esiste anche la microscopia a contrasto di fase, che sfrutta differenze sull’indice di rifrazione tra il campione
da analizzare e il mezzo circostante. Permette un’analisi più dettagliata delle strutture interne. Ad esempio
nell’analisi di un nucleo e un citoplasma di una cellula, in cui il nucleo sarà più addensato del citoplasma;
come conseguenza si avrà l’onda luminosa che passa attraverso il nucleo arriverà in ritardo rispetto a quella
che passa nel citoplasma. Questo microscopio è utile per lo studio strutturale delle cellule eucariotiche e
per mettere in evidenza diverse formazioni batteriche.
La microscopia in campo scuro ha gli stessi obiettivi della microscopia in campo chiaro (la prima) e consiste
in un sistema di illuminazione che raggiunge il preparato lateralmente, formando un’immagine chiara su
uno sfondo scuro. Si ha un miglioramento della risoluzione (0,02 micrometri).
Nella microscopia a fluorescenza il campione è illuminato con la luce ultravioletta in modo da eccitare il
colorante fluorescente precedentemente introdotto nel campione. I coloranti sono detti fluorocromi e
assorbono la luce ultravioletta a breve lunghezza d’onda, emettendo la luce visibile a lunghezza d’onda
maggiore. Le immagini luminose generate dal fluorocromo vengono ingrandite dalle lenti dell’obiettivo e
dell’oculare.
La microscopia elettronica costituisce il limite del potere risolutivo, ed è legato alla lunghezza d’onda della
luce utilizzata. Il potere risolutivo cresce al decrescere della lunghezza d’onda delle radiazioni utilizzate. La
sorgente luminosa usata è costituita da un fascio di elettroni accelerati nel vuoto. Si ricorre a lenti
elettrostatiche o magnetiche. Questa tecnica permette l’osservazione di campioni con ingrandimenti e
risoluzione 1000 volte superiore alla microscopia ottica ordinaria. Esistono microscopi elettronici a
scansione a trasmissione: i primi generano un’immagine che, evidenziando le superfici delle strutture
analizzate, mostra la loro tridimensionalità; i secondi danno un’immagine bidimensionale.
le cellule sono generalmente trasparenti, per cui il contrasto tra cellula e ambiente è insufficiente per avere
una visualizzazione chiara, pertanto si usano i coloranti, che devono consentire: forte contrasto tra
microrganismi e fondo; differenziazione di vari tipi morfologici (forma e organizzazione); evidenziazione di
alcune strutture (flagelli, capsule, endospore). I coloranti sono: basici, che hanno una carica positiva ed
affinità per le strutture acide; acidi, che hanno una carica negativa e affinità per le strutture basiche. Nella
batteriologia si usano per lo più coloranti basici, per lo più sali costituiti da diversi anelli benzenici, dove
legami tra un anello e l’altro costituisce la colorazione. Nelle cellule eucariotiche si utilizzano sia coloranti
acidi che basici per evidenziare nucleo e citoplasma. Esistono colorazioni semplici e differenziali: nelle
prime si utilizza un solo colorante che permette di rilevare la morfologia e l’organizzazione cellulare; i
secondi utilizzano più coloranti e consentono di distinguere due differenti tipologie di microrganismi o due
differenti strutture di un microrganismo.
La colorazione più famosa è la colorazione di Gram (patologo danese), che permette di suddividere i batteri
in due grandi gruppi secondo la composizione della loro parete cellulare: gram positivi e gram negativi. Il
preparato viene stemperato su un vetrino e asciugato a temperatura ambiente per poi essere fissato
fisicamente attraverso un becco bunzen o chimicamente con metanolo puro. Vengono utilizzati:
cristalvioletto e safranina come coloranti, un fissante del primo colorante, ossia il lugol, e dell’ –alcool-
acetone; sul vetrino si versa il cristalvioletto, si mantiene il contatto per un minuto, si tratta con il lugol che
fissa il colorante, poi il vetrino viene sottoposto a decolorazione con una miscela di –alcool- acetone e
infine si introduce la safranina. I batteri gram positivi non perdono il primo colorante, pertanto nel
momento dell’osservazione al microscopio si noteranno dei batteri colorati in viola scuro, mentre i gram
negativi perderanno il primo colorante e si coloreranno con la safranina acquisendo una colorazione rossa.
Altra colorazione importante è quella di Ziehl-Neelsen che consente di riconoscere la presenza di
microbatteri sfruttando la caratteristica alcool-acido resistenza di tali organismi. Vengono utilizzati fuesina
basica fenicata, una miscela di acido e alcool e blu di metilene. Il colorante viene fatto penetrare nei
microbatteri attraverso il calore, quelli che non sono resistenti alla decolorazione di acido e alcool
diventeranno colorati in blu di metilene, mentre quelli alcool acido resistenti manterranno una colorazione
rossa.
BATTERI
I batteri sono organismi unicellulari microscopici con struttura cellulare procariotica, si trovano in ogni
ecosistema e in stretta associazione con ogni tipo di organismo pluricellulare. La cellula batterica ha una
struttura priva di membrana nucleare e diversi organelli (come mitocondri o lisosomi e tutto il sistema di
endomembrane) a differenza della cellula eucariotica, ed organizza il proprio DNA in una struttura chiamata
nucleoide. Il nucleoide batterico è costituito da un’unica molecola di DNA circolare a doppia elica (quindi il
batterio è un organismo aploide), a parte delle eccezioni in cui sono presenti più cromosomi. I batteri
possono contenere piccole molecole di DNA extracromosomico autoreplicante, dette plasmidi, i quali non
sono fondamentali per la vita del batterio, ma conferiscono ad esso delle capacità importanti, come la
resistenza ad antibiotici e la capacità di produrre tossine.
Il citoplasma è racchiuso da un involucro cellulare composto da vari strati funzionalmente distinti, i più
importanti sono la membrana citoplasmatica e la parete cellulare. La membrana citoplasmatica è simile a
quella di una cellula eucariotica, ed è formata da un doppio strato fosfolipidico, sebbene manchino
glicoproteine e steroli, vi sono comunque delle eccezioni che presentano steroli come reagenti nel
citoplasma. La membrana citoplasmatica costituisce una barriera perm-selettiva ed è sede del trasporto
degli elettroni e del trasporto di energia sotto forma di ATP.
La parete cellulare è situata esternamente alla membrana cellulare ed è una struttura semirigida,
reticolata, sacciforme che circonda la cellula. L’unità strutturale della parete cellulare è il peptidoglicano,
che è formato da due carboidrati azotati, N-acetilglucosamina e acido muramico; al gruppo carbossilico
dell’acido muramico è presente un tetrapeptide (costituito da 4 aminoacidi, ossia L-alanina, acido
glutamico, L-lisina, D-alanina); i polimeri lineari che lo compongono si collegano tra loro trasversalmente
mediante legami peptidici trasversali che si stabiliscono tra un peptide e quello adiacente. La parete
cellulare è fondamentale perché conferisce forma al batterio e previene la lisi osmotica.
La struttura della parete cellulare batterico è complessa e presenta profonde differenze tra i batteri gram-
positivi e gram-negativi. Oltre a uno strato spesso dell’involucro polisaccaridico composto dal
peptidoglicano si presentano diverse molecole, come gli acidi tecoici, che prendono contatto con il
peptidoglicano e gli acidi lipoteicoici che prendono contatto con la membrana citoplasmatica. Queste
molecole conferiscono una carica negativa alla superficie della cellula batterica, conferiscono forza ed
elasticità, sono in grado di stimolare il nostro sistema immunitario (immunogeni) e intervengono nei
meccanismi di patogenicità microbica e batterica promuovendo l’adesione alla cellula ospite.
Nei batteri gram-negativi la parete è molto più complessa: è costituita da uno strato sottile di
peptidoglicano avvolto da una membrana esterna, unica in quanto asimmetrica; lo strato che prende
contatto con il peptidoglicano è formato da fosfolipidi, mentre la parte esterna contiene una molecola
peculiare chiamata lipopolisaccaride (LPS). La membrana esterna rappresenta una barriera di permeabilità
selettiva per molecole di grandi dimensioni e per molecole idrofobiche proteggendo, quindi, i batteri da
molecole potenzialmente dannose presenti nell’ambiente. Immerse nella membrana esterna sono presenti
delle porine, delle proteine che formano dei larghi canali consentendo la diffusione passiva dall’esterno di
ioni e molecole idrofile come zuccheri e aminoacidi.
Il lipopolisaccaride è costituito da tre regioni distinte: una regione centrale definita core, che è una porzione
oligosaccaridica, ossia una corta catena di zuccheri, essa è costante in tutti i batteri gram negativi; la parte
esterna è detta antigene O, ossia una lunga catena polisaccaridica costituita dalla ripetizione di una serie di
subunità tri tetra e penta-saccaridiche che comprendono zuccheri diversi e non comuni, variabili nelle
diverse specie batteriche ed è il maggiore antigene dei batteri gram-negativi; immerso nello strato della
membrana vi è il lipide A, cioè un glicolipide formato da due glucosamine fosforilate, esterificate con acidi
grassi saturi, esso è essenziale per la sopravvivenza della cellula batterica rappresentando la frazione
tossica del lipopolisaccaride o l’emotossina dei gram negativi, il lipide A è infatti un potente stimolatore
della risposta immunitaria innata. Durante l’invasione di un gran numero di gram negativi nell’ospite il
lipide A è coinvolto nelle maggiori manifestazioni cliniche delle malattie, come febbre, coagulazione
intravascolare disseminata e shock. La tossicità del lipide A risiede nella sua capacità di attivare il sistema
immunitario innato, ossia il complemento, e stimolare il rilascio citochine da parte di cellule dell’immunità
innata, i macrofagi, inoltre stimola il rilascio di cellule dendritiche e altre cellule.
La cellula batterica presenta anche delle appendici superficiali, ossia i flagelli, che sono dei filamenti a
struttura elicoidale di natura proteica; sono formate da sub-unità proteiche di flagellina (una proteine) e
garantiscono motilità alla cellula batterica, consentendole di avvicinarsi verso ambienti ricchi di nutrienti e
di allontanarsi da zone in cui possono essere presenti sostanze tossiche (chemiotassi). Le flagelline sono
diverse tra specie batteriche e sono dotate anch’esse di proprietà antigeniche, rappresentando quindi
l’antigene H dei batteri; in base alla disposizione dei flagelli i batteri vengono distinti in: monotrichi, con un
solo flagello polare, lofotrichi, con un ciuffo di flagelli a un polo, amfitrichi, con un flagello per ogni polo,
peritrichi, quando i flagelli sono distribuiti sull’intera superficie cellulare.
La cellula batterica presenta, altre appendici, ossia fimbrie e pili, che sono strutture filamentose più sottili
dei flagelli che rivestono il corpo dei batteri; essi sono strutture adesive che sporgono dalla superficie del
batterio. Sono formate da sub-unità della stessa proteina che assume una forma elicoidale intorno ad un
asse immaginario. All’estremo libero delle fimbrie sono presenti delle glicoproteine adesive che hanno la
funzione di riconoscere altri recettori sulle altre cellule in modo tale da legarsi ad esse. I pili possono essere
utilizzati come appendici per il trasferimento di materiale genetico da un batterio all’altro durante la
comunicazione batterica.
All’esterno della parete cellulare possono essere presenti degli altri involucri, come la capsula: in genere è
costituita da polisaccaridi e polipeptidi ed è saldamente legata alla parete cellulare; impedisce l’aggressione
da parte di virus, agisce da barriera per molecole idrofobiche tossiche ed impedisce la fagocitosi da parte
delle cellule del sistema immunitario innato.
Alcune generi microbici gram positivi producono spore, che sono delle forme di vita quiescenti molto
resistenti a calore, essiccamento ed agenti chimici. Esse si formano in risposta ed eventi ambientali avversi,
come mancanza di nutrienti o cambio significativo di pH, e vengono quindi immesse nell’ambiente. Una
spora contiene una copia completa del cromosoma, e grazie ai suoi spessi rivestimenti è resistente alla
penetrazione di sostanze estranee, all’essiccamento, alle radiazioni ultraviolette e presenta un’elevata
termoresistenza. Le spore sono in grado di germinare e di ripristinare la cellule vegetativa.
I batteri sono classificati in base a: morfologia, raggruppamento, colorazione, metabolismo, sierologia e
genetica.
In base alla morfologia vi sono elementi: sferici, detti cocchi, cilindrici, detti bacili, a forma di virgola, detti
vibrioni, spiraliformi, detti spirilli. In base al raggruppamento: a coppie, come diplococchi o diplobacilli, a
grappoli, come gli stafilococchi, a catena, come gli streptococchi o streptobacilli.
I batteri si riproducono per scissione binaria: ogni batterio da luogo a cellule figlie identiche; una volta
ricominciata la replicazione il numero dei batteri aumenta in maniera esponenziale e il processo di divisione
cellulare è preceduto dalla replicazione del DNA e avviene attraverso la formazione di un setto lungo un
piano, che nei bacilli è perpendicolare all’asse maggiore della cellula, e nei cocchi è all’incirca equatoriale. Il
tempo minimo di replicazione può variare da un minimo di 20 minuti fino a parecchi giorni (tempo di
generazione).
Il metabolismo indica l’insieme delle reazioni biochimiche necessarie per la disgregazione del substrato e
conversione in energia utilizzabile. Si parla di catabolismo in caso di reazioni degradative, che ci permettono
la formazioni di composti organici, elementi chimici ed energia; si parla di anabolismo in caso di reazioni
biosintetiche, che richiedono l’utilizzo di energia per diversi processi (movimento, trasporto) e in cui
avviene la costruzione di molecole complesse.
I batteri patogeni sono microrganismi chemioeterotrofi, ossia che utilizzano sostanze organiche per
sintetizzare le proprie molecole organiche ed utilizzano l’energia chimica contenuta nei legami delle
molecole. L’ATP viene prodotta dal glucosio attraverso vie metaboliche di: respirazione aerobia, in cui il
donatore di elettroni è un composto organico (glucosio) e l’accettore finale di elettroni è l’ossigeno
molecolare, la respirazione aerobia è in grado di convertire i 6 atomi di carbonio del glucosio in anidride
carbonica, acqua ed energia (ATP); la respirazione anaerobia, in cui il donatore di elettroni è un composto
organismo e gli accettori finali di elettroni sono diversi composti inorganici (nitrati, carbonati), è meno
efficiente della prima; la fermentazione, un processo che avviene in assenza di ossigeno, in cui il donatore è
un composto organico (glucosio) e l’accettore finale di elettroni è un intermedio organico che può essere
trasformato nella fermentazione alcolica in alcool etilico e nella fermentazione lattica in acido lattico, la
fermentazione è un processo che produce meno energia, ma è molto veloce.
I fattori che influenzano la crescita batterica sono temperatura, pH ambientale e quantità di ossigeno. In
base alla temperatura di dividono: in psicrofili, i batteri che prediligono il freddo, mesofili, i batteri che
prediligono temperature intermedie e termofili i batteri che prediligono il caldo. Tutti i batteri patogeni
sono organismi mesofili, ossia che si sviluppano in temperature ottimali comprese tra i 30 e i 37 gradi. Per
quanto riguarda il pH esistono: acidofili che vivono a pH acido, neutrofili a pH circa neutro, e alcalofili a pH
basico. I batteri patogeni sono neutrofili. Per quanto riguarda l’ossigeno esistono: batteri aerobi obbligati,
ossia gli organismi che vivono esclusivamente in presenza di ossigeno atmosferico, batteri anaerobi
obbligati, che muoiono in presenza di ossigeno atmosferico, batteri microaerofili, che necessitano di una
riduzione della pressione parziale di ossigeno (concentrazione tra 1 e 15% di ossigeno), batteri anaerobi
facoltativi, ossia che sono capaci di crescere in condizioni aerobie ed anaerobie (metabolismo sia di
respirazione che di fermentazione).
Lo studio dei microrganismi sfrutta la loro capacità di crescere in terreni o mezzi di coltura artificiali
contenenti tutti gli elementi fondamentali per il loro sviluppo, come zuccheri, proteine, lipidi, acqua, sali e
vitamine. I terreni di coltura sono solidi o liquidi; un terreno di coltura liquido può essere reso solido
aggiungendo agar (un polisaccaride complesso che funge da agente solidificante) all’1,5%.
I terreni di coltura solidi permettono la crescita e l’isolamento del microrganismo come singola colonia;
hanno la presenza di agar, che forma un reticolo tridimensionale gelatinoso che permette la diffusione dei
nutrienti e non dei batteri, che vengono intrappolati in esso, formando così delle colonie singole. Le singole
colonie possono essere catalogate in base alla loro forma, colore, superficie, margine, aspetto e grandezza.
Le modalità con le quali gli organismi patogeni possono raggiungere l’organismo umano sono diverse; si
definisce serbatoio l’habitat naturale dove i microrganismi si moltiplicano e si mantengono. Da esso
l’agente patogeno può passare ad una sorgente (animata o inanimata), dalla quale passerà all’ospite in
maniera diretta o indiretta.
Nell’uomo le malattie da infezione sono dette endogene quando sono provocate dalla flora autoctona ed
avvengono con due modalità: abnorme espansione, nel caso di un microorganismo già presente nel nostro
organismo, trasferimento, di microrganismi da una sede in cui si trovano a un’altra (il pneumococco, che è
presente nella faringe di persone sane, e che se si sposta nei polmoni porta polmonite).
Le infezioni esogene vengono causate da una sorgente esterna, ossia altri esseri umani, malati
convalescenti, portatori sani, materiale inanimato, animali malati o portatori. Le modalità con cui gli
organismi patogeni raggiungono l’organismo sono: vie aeree, vie alimentari, penetrazioni traumatiche,
inoculazione diretta, contagio sessuale.
Esiste anche la trasmissione verticale, ossia le infezioni esogene congenite: infezioni trasmesse dalla madre
al feto durante vita durante la vita intrauterina, ossia infezioni prenatali; infezioni nel canale del parto, ossia
infezioni perinatali; infezioni attraverso gli stretti rapporti tra madre e neonato, ossia infezioni postnatali.
Le infezioni tratte in ospedale sono dette nosocomiali o ospedaliere; comprendono anche le infezioni che il
personale ospedaliero può contrarre lavorando. Sono sostenuta da microrganismi opportunisti sia esogeni
sia endogeni, spesso antibiotico-resistenti. Le condizioni predisponenti sono terapie immunosoppressive,
manovre strumentali (cateteri, endoscopie), trasfusioni ecc.
Un batterio patogeno segue un processo specifico: adesione (alle cellule ospiti), invasione (degli epiteli),
colonizzazione e crescita, tossicità e invasività, danno ai tessuti e malattia. Durante la colonizzazione
batterica della mucosa la produzione da parte del batterio di enzimi in grado di degradare i principali
componenti tessutali può promuovere la penetrazione del batterio stessi in spazi intercellulari (patogeni
extracellulari). In altre circostanze sono in grado di penetrare nelle cellule ospiti, assicurandosi un ambiente
protetto dal sistema immunitario e ricco di nutrienti (patogeni intracellulari).
La virulenza di un patogeno è determinata anche dalla sua tossicità, ossia della capacità di produrre
sostanze all’esterno che hanno un’azione tossica. Le tossine batteriche sono divise in due gruppi:
esotossine, che sono dotate di una specifica azione tossica, sono di natura proteica, vengono eliminate
all’esterno, sono generalmente termolabili e sono ottimi antigeni; endotossine, ossia i lipopolisaccaridi dei
gram negativi, sono delle molecole molto stabili e non distrutte da una normale processo di sterilizzazione.
VIRUS
I costituenti essenziali dei virus sono: l’acido nucleico (DNA o RNA), un rivestimento proteico con funzione
di protezione, coinvolto nel legame con la cellula ospite, detto capside; esso è formato unità proteiche
dette capsomeri, associate in sub unità. I virus così formati vengono detti virus nudi, o nucleocapsidi
(capside + genoma). Altri virus posseggono un ulteriore involucro, detto envelope (pronuncia in inglese) o
pericapside, formato da glicoproteine, lipidi e proteine, questi virus sono detti virus con envelope o
rivestiti; l’envelope viene acquisito da un virus tramite gemmazione da una membrana cellulare e
conferisce al virus la capacità di uscire dalla cellula ospite senza ucciderla; l’envelope contiene almeno una
proteine codificata dal virus, pertanto se essa viene persa il virus perde la capacità di infettare. I virus con
envelope sono i virus più fragili, mentre i virus nudi sono più resistenti.
A seconda della diversa organizzazione strutturale del nucleocapside i virus hanno diverse simmetrie
(icosaedrica, elicoidale, complessa). I virus a DNA hanno prevalentemente simmetria di tipo icosaedrico,
mentre i virus a RNA possono assumere simmetria di tipo icosaedrico o elicoidale. Esistono anche virus a
forma complessa, che presentano una testa, in cui è presente il materiale genetico, ed una struttura
formata da fibrille, che ha funzione di riconoscimento recettoriale e ha funzione di adesione alle cellule
ospiti.
I virus sono delle entità biologiche prive di organizzazione cellulare, hanno dimensione inferiori rispetto ai
batteri, hanno un ciclo vitale da parassita intracellulare obbligato, poiché non possiedono meccanismi per
la produzione di energia, non sintetizzano proteine e non sono in grado di replicare autonomamente il loro
genoma. Inoltre presentano un solo tipo di acido nucleico, non sono sensibili agli antibiotici e possono
parassitare ogni tipo di cellula, cioè batteri (virus batteriofagi), cellule vegetali (virus vegetali), cellule
animali (virus animali).
Si definisce spettro d’ospite di un virus l’insieme delle specie di animali che possono essere infettate dal
virus, esso può essere ampio o ristretto. Diversi sono i fattori che lo determinano: la presenza o assenza
recettori sulla membrana cellulare e di un macchinario replicativo adeguato, risposta antivirale (è
necessario che l’organismo ospite non sia capace di bloccare o uccidere il virus).
I virus sono classificati in base a: struttura del virione, strategie di replicazione, omologia di sequenza del
genoma. In base a questi criteri di classificazione i virus sono suddivisi in famiglie (desinenza viridae),
sottofamiglie (desinenza virinae), generi (desinenza virus), e specie (nome comune del virus).
A differenza dei batteri che conservano la loro struttura ed infettività durante il loro intero ciclo vitale, i
virus modificano la loro morfologia e la loro infettività. Dopo l’entrata del virus nella cellula ospite infatti il
virus perde la sua infettività; il ciclo di un virus comprende diverse fasi: 1 assorbimento, ossia il legame tra
molecole presenti sulla superficie del virus, i recettori virali, e molecole presenti sulla cellula ospite, cioè
proteine, glicoproteine e talvolta glicolipidi; la presenza sulle cellule di recettori per i virus determina il
tropismo tissutale di un virus, ossia la capacità di un virus di infettare un determinato tessuto o un tipo
cellulare; 2 penetrazione, ossia l’entrata del virus nella cellula ed è diversa per ogni tipo di virus, i virus con
envelope penetrano nella cellula ospite mediante fusione o sono internalizzati nella cellula tramite
invaginazione della membrana citoplasmatica, i virus nudi entrano direttamente per traslocazione
attraverso la membrana plasmatica oppure mediante endosomi. 3 denudamento, evento necessario per
rendere disponibile il genoma, in modo che possano essere sintetizzate le proteine virali, poi c’è l’eclisse
che dura fino alla formazione della prima nuova particella virale; 4 sintesi di acidi nucleici e proteine virali,
che consiste nell’espressione e replicazione del genoma e nella sintesi delle proteine virali, alcuni virus si
replicano nel citoplasma, altri nel nucleo; 5 assemblaggio e 6 rilascio, i virus nudi escono per lisi della
cellula, causandone la morte, i virus con envelope escono per esocitosi o per gemmazione attraverso la
membrana plasmatica.
L’ ingresso del virus nell’organismo, generalmente tramite le mucose del tratto respiratorio, alimentare e
urogenitale è comune ad ogni infezione; alcune infezioni virali restano localizzate nella porta d’ingresso,
causando sintomi localizzati in quella zona (es diarrea), altre diffondono dal sito di entrata ad altri organi e
provocano infezioni sistemica (citomegalovirus, virus del morbillo, della rosolia e della parotite): il virus si
replica nelle cellule presenti al livello della porta d’entrata, dopo di che passa attraverso i linfonodi locali, e,
se non viene eliminato, entra nel circolo sanguigno e da luogo a un’epidemia primaria con possibile
replicazione del virus negli endoteli basali, raggiungendo vari organi bersaglio (fegato, milza, midollo
osseo), dove si replicano e possono causare sintomatiche aspecifiche (come la febbre); dagli organi interni il
virus attraverso il sangue può dare luogo ad una viremia secondaria, colpendo gli organi bersaglio con
sviluppo di sintomi caratteristici della malattia. Alcuni virus (alcuni herpesvirus, virus della rabbia)
diffondono anziché tramite il sangue per via nervosa. Dopo l’infezione il virus, per sopravvivere deve uscire
dall’ospite e infettare altri ospiti suscettibili.
La principale sorgente di infezione virale è costituita prevalentemente da altri uomini e talvolta da animali
(zoonosi). I virus possono essere trasmessi per via orizzontale diretta (da un individuo infetto ad uno sano)
attraverso: via respiratoria, digerente, cutanea, genitale, parenterale. I virus trasmessi per via respiratoria si
replicano nelle cellule delle mucose delle prime vie respiratorie causando malattie respiratorie (polmonite)
o infezioni sistemiche (morbillo, rosolia, parotite). I virus trasmessi per ingestioni si replicano nella mucosa
intestinale causando malattie del tratto digerente (diarrea), altri danno infezioni sistemiche (virus
dell’epatite a). I virus trasmessi per via sessuale infettano le mucose del tratto urogenitale, causando
infezioni localizzate (papilloma virus, herpes simplex), o dare infezioni sistemiche (HIV, HCV, HBV). Per via
cutanea possono dare infezioni localizzate solo se i virus entrano al suo interno attraverso lesioni cutanee, e
non sono in grado di replicarsi al livello cutaneo, poiché le cellule dello strato esterno della cute sono
cellule morte (papilloma virus).
C’è anche una trasmissione orizzontale indiretta, ossia tramite oggetti e sostanze contaminate o vettori
(animali contaminati). Per via verticale invece si intende da madre a figlio: alcuni virus possono attraversare
la placenta ed essere trasmessi al feto durante la vita intrauterina (trasmissione transplacentare, tra cui
rosolia, citomegalovirus, HIV); i retrovirus, che integrano il lodo DNA con il genoma dell’ospite, sono
trasmessi ereditariamente; durante la nascita invece il neonato può infettarsi tramite l’apparato genitale
della madre (herpes simplex, HIV, papilloma virus); inoltre la trasmissione verticale può avvenire attraverso
gli stretti rapporti tra madre e neonato (infezioni postnatali), ad esempio durante l’allattamento possono
essere trasmessi virus presenti nel latte (retrovirus della leucemia umana) o nel sangue infetto (dai
capezzoli, epatite b, c, HIV).
Diversi sono i possibili effetti dei virus sulle cellule: 1 nelle cellule permissive la replicazione virale conduce
alla lisi delle cellule con rilascio delle particelle virali prodotte (infezione litica); 2 in alcuni casi la
replicazione virale è lenta e poco efficiente e non porta alla lisi delle cellule (infezioni persistente
produttiva); 3 in alcuni casi il genoma virale può restare a lungo presente all'interno della cellula senza
essere espresso, quindi senza causare danni né produzione di nuovi virioni (infezione persistente latente);
alcuni virus possono immortalizzare le cellule ospiti con trasformazione delle cellule normali in cellule
tumorali (infezioni trasformanti).
Nell’organismo le infezioni virali possono evolvere in modo diverso in relazione a: le proprietà del virus,
delle cellule, dei tessuti infettati, l’efficienza del sistema immunitario dell’ospite. Nell’influenza c’è un
acutizzazione e un’eliminazione del virus, il virus dell’herpes simplex ha un acutizzazione e diventa latente e
periodica, l’HIV ha un acutizzazione e poi si stabilizza come infezione cronica.
Nella maggior parte dei casi il virus porta alla morte della cellula, i meccanismi di citopatogenesi possono
essere diretti e indiretti. Alcuni virus causano inibizione e sintesi di DNA, RNA o proteine cellulare,
cambiamenti morfologici, formazione di sincizi, crescita infinita, morte o apoptosi (meccanismi diretti). I
meccanismi indiretti sono legati alla presenza di proteine virali sulle cellule infettate che vengono
riconosciute dal sistema immunitario, il quale è responsabile della risposta al virus.
Esistono diversi modi per rilevare e quantificare i virus: il test delle placche misura il numero di virioni
capaci di produrre placche; l’immunofluorescenza misura la percentuale di cellule infettate che sono
visualizzate al microscopio a fluorescenza; emoagglutinazione rileva la un virus o anticorpi;
l’immunoenzimatica rileva un virus o un anticorpo.
MICETI
Costituiscono un gruppo di microrganismi ubiquitari ed hanno funzione di degradare il materiale organi.
Vivono come saprofiti negli strati superficiali del suolo e ossia si nutrono dei materiali organici in
decomposizione; possono vivere anche come commensali in diversi organi animali; alcune specie possono
causare nell’uomo e negli animali delle patologie dette micosi; possono inoltre agire come agenti patogeni
opportunisti, nel caso in cui attacchino individui immunodepressi.
I miceti sono classificati nel regno dei funghi, degli organismi eucarioti differenti dagli altri eucarioti per una
parete cellulare rigida e per la membrana cellulare contenente steroli (come l’ergosterolo); inoltre sono
organismi eterotrofi in quanto dipendenti da composti di carbonio organico per la loro nutrizione, infatti
ottengono il loro nutrimento attraverso la secrezione di enzimi nel substrato a loro disposizione,
assorbendone i nutrimenti rilasciati dopo aver digerito. Hanno una struttura più semplice rispetto alle
piante e agli animali, infatti non esiste una divisione delle cellule in tessuto e organi. Si riconoscono almeno
100000 specie fungine, delle quali solo un centinaio possono essere considerati patogeni, tutti quanti
hanno come habitat il suolo.
Oltre la membrana citoplasmatica formata da un doppio strato fosfolipidico in cui è presente ergosterolo, vi
è la presenza di una parete cellulare rigida composta da: un fitto intreccio di chitina (polimeri di N-
acetilglucosamina) associati a carboidrati come B-glucani, lipidi e proteine. Queste caratteristiche li
differenziano dalle cellule animali perché non presentano la parete cellulare e da quelle vegetali perché la
presentano ma è costituita da cellulosa. La parete condiziona la forma delle cellule e molte delle sue
proprietà antigeniche, attuando diverse interazioni con la cellula ospite, come l’adesività e
l’immunomodulazione della risposta cellulare.
Esistono due forme morfologiche dei miceti, ossia muffe e lieviti. Le muffe hanno un’organizzazione
unicellulare, mentre i lieviti sono unicellulari. Quando le colonie del lievito si sviluppano su un terreno di
coltura si notano colonie simili a quelle batteriche, ossia piccole e sferiche, mentre le muffe si presentano
come colonie più grandi, filamentose e lanose.
Le muffe sono funghi filamentosi aerobi obbligati; il corpo vegetativo, detto tallo, appare formato da una
massa di filamenti tubulari dette IFE, cave e multinucleate; possono essere presenti dei setti, cioè delle
pareti divisorie tra IFE. I setti presentano dei pori centrali sottili che permettono il fluire del citoplasma tra
un IFA e un’altra; le IFE si uniscono a formare una struttura detta micelio. Le muffe si riproducono
principalmente attraverso la produzione asessuale e sessuale di spore. Le spore sono sia strutturalmente
che funzionalmente diverse dalle spore batteriche, poiché il loro significato è quello riproduttivo, mentre
nei batteri costituiscono elementi di resistenza. L’identificazione dei funghi filamentosi patogeni per l’uomo
si basa sul riconoscimento delle spore asessuali.
Quando le muffe si sviluppano producono IFE dette IFE vegetative che crescono sia al di sotto che al di
sopra del substrato, la cui funzione è l’assorbimento dei nutrienti. Si sviluppano inoltre le IFE aeree sulla
superficie del mezzo di coltura, queste IFE sono fondamentali perché si possono specializzare e formare i
conidi, ossia le spore deputate alla riproduzione sessuale. Essi possono essere prodotti per gemmazione o
per frammentazione di segmenti ifali; le spore si trasmettono per vie aerea.
In molti casi le spore vengono dette conidiospore, che si formano su IFE aeree dette conidiofori; esse
diffondono per via aerea e quando incontrano un substrato idoneo germinano dando vita al tallo. In altri
casi si parla di sporangiospore, ossia spore che si sviluppano in un sacco detto sporangio su IFE dette
sporangiofori. Lo sporangio deriva dalle cellule apicali delle IFE le quali a sviluppo completato assumono
una forma a sacculo diversa per ogni specie. Quando lo sporangio raggiunge la piena maturità le
sporangiospore vengono rilasciate e si diffondono nell’ambiente. In altri generi si parla di artrospore o tallo
spore, ossia quando la parte terminale dell’IFA finisce la crescita e si suddivide in corti filamenti che
vengono detti artroconidi; le spore sono quindi prodotte dalla frammentazione dell’IFA vegetativa e questo
processo avviene nel suolo, che è l’habitat naturale di queste cellule. In altri casi si parla di aleuriospore,
nelle quali si sviluppano microconidi e macroconidi alle estremità delle IFE. I macroconidi sono usati per la
classificazione del genere e si presentano fusiformi, allungati e contengono camere tra loro separate da
setti trasversali.
I lieviti sono organismi unicellulari di forma ovale o sferica, le cui cellule sono dette blastocellule, le quali si
riproducono per gemmazione con una cellula madre che genera una cellula figlia attraverso l’emissione di
una piccola gemma. Sono anaerobi facoltativi, ossia che sono in grado di metabolizzare carboidrati in
presenta di ossigeno per mezzo di respirazione aerobia con produzione di acqua e anidride carbonica e in
assenza di ossigeno tramite fermentazione producendo etanolo e anidride carbonica.
Alcuni lieviti formano una gemma di forma allungata, che prende il nome di tubo germinale, il quale rimane
aderente alla cellula madre e produrrà altre gemme di forma allungata, andando a formare delle strutture
dette pseudoife, costituite da cellule che mantengono ognuna la propria individualità. La presenza di
pseudoife può essere utilizzata per distinguere lo stato di infezione del lievito insieme allo stato di
colonizzazione nelle mucose, dove è presente sotto forma di blastocellule.
In alcuni organismi sono presenti, come nei batteri, delle capsule, talvolta 5 volte più grandi delle cellule
stesse, che circondano le blastocellule che si riproducono. La capsula inibisce la fagocitosi e blocca la
capacità dei macrofagi di presentare gli antigeni alle cellule del sistema immunitario inducibile.
Vengono definiti dimorfi i miceti patogeni che presentano una doppia morfologia, ossia quella lievitiforme
in vivo nei tessuti parassitati e in vitro a temperature di circa 37 °, mentre nella fase ambientale sotto forma
di muffe a temperature di circa 25°. I miceti dimorfi sono importanti per l’uomo in quanto responsabili di
micosi profonde e sottocutanee.
Una micosi è un’infezione fungina; le micosi sono caratterizzate da un decorso sub-acuto con frequenti
recidive. La maggioranza delle infezioni fungine origina da microrganismi ambientali o da commensali
endogeni, altre micosi (poche) derivano dagli animali; nelle patogenesi di molte micosi è determinante il
ruolo svolto dall’ospite, poiché tutti i funghi possono essere considerati opportunisti.
Ci sono diversi tipi di micosi, classificabili in base a tessuti infettati e caratteristiche specifiche di tessuti e
microrganismi. Le micosi superficiali sono limitate agli strati superficiali della pelle e dei capelli. Le micosi
cutanee sono infezioni dello strato cheratinizzato di pelle e unghie, membrane mucocutanee, genitali ed
orecchio esterno. Le micosi sottocutanee coinvolgono gli strati cutanei più profondi, compresa la cornea, il
muscolo, il tessuto connettivo e l’osso. Le micosi sistemiche coinvolgono organi interni e visceri.
Le micosi opportunistiche sono attribuibili a funghi commensali che si trovano nell’uomo e nell’ambiente, e
possono causare infezioni quando esistono alterazioni nelle difese dell’ospite, come in caso di individui
sottoposti a radioterapia e chemioterapia o in caso di alterazioni del sistema immunitario come l’AIDS, o in
caso di alterazioni della normale flora microbica, ad esempio in caso di terapia antibiotica.
Generalmente gli individui immunocompetenti hanno un’alta resistenza innata all’infezione da funghi, sono
quindi pochi i funghi virulenti da poter essere considerati patogeni primari. I fattori di virulenza che
permettono loro si superare la barriera immunitaria sono vari: dimorfismo, caratteristico di funghi in micosi
profonde, che garantisce resistenza alla fagocitosi; variazione degli antigeni superficiali, ossia variazioni
nella composizione di molecole antigeniche della parete, che permette di sfuggire al riconoscimento da
parte delle cellule immunitarie e quindi resistere alla fagocitosi; produzione di proteasi extracellulari, ossia
enzimi di natura proteica escreti all’esterno, che vengono prodotti attraverso la pelle e le mucose e
causano la neutralizzazione delle difese attive dell’ospite e la disseminazione ematogena; modulazione del
pH del fagolisosoma, tramite la produzione di enzimi, riuscendo a sopravvivere nei macrofagi.
La diagnosi di laboratorio coinvolge diversi metodi. I metodi microbiologici convenzionali consistono nella
coltura degli organismi su substrati amniotici, che garantiscono la loro sopravvivenza; esistono anche test
metabolici, al microscopio e test che valutano la suscettibilità dei farmaci antifungini. I metodi
istopatologici permettono di osservare i miceti all’interno di tessuti attraverso tecniche di
immufluorescenza diretta, colorazioni specifiche e ibridazione in sito. Metodi immunologici, che si basano
sulla ricerca di anticorpi e o antigeni. Metodi molecolari con l’amplificazione degli acidi nucleici e
l’attivizzazione molecolare.
CONTROLLO DELLA CRESCITA MICROBICA
La patologia infettiva è sempre stata uno dei maggiori problemi medici. Agli inizi dell’800 il chimico francese
Bretonneau ipotizzò che la difterite fosse dovuta a microrganismi che si trasmettono per contagio. In
seguito il medico ungherese Semmelweis capì che l’altissima mortalità per febbre puerperale che si
registrava tra le partorienti era dovuta a infezione trasmessa alle pazienti dalle mani dei medici e degli
studenti di medicina. Robert Koch confermò la natura infettiva di molte malattie e Joseph Lister usò per la
prima volta il fenolo in sospensione oleosa durante un’operazione per impedire che la ferita si infettasse.
Esistono differenti metodi per ridurre o uccidere i microrganismi patogeni e non, presenti nell’ambiente o
sui tessuti viventi. Procedure essenziali per il controllo delle infezioni sono: pulizia, disinfezione e
sterilizzazione. La pulizia avviene attraverso l’uso di acqua e detergenti e rimuove molti microrganismi,
come pulviscolo, terra e materiali organici. Dopo la pulizia avviene la disinfezione, ossia un processo che ha
come obiettivo l’uccisione dei microrganismi allo stato vegetativo o la loro riduzione. La sterilizzazione ha
come obiettivo la distruzione dei microrganismi, patogeni e non, sia in forma vegetativa che sporigena
(soprattutto batteri).
Il controllo della crescita microbica può essere ottenuto mediante: mezzi fisici, come calore, incenerimento,
sterilizzazione a secco o a calore umido, o radiazioni ionizzanti (raggi x e raggi gamma) e non (UV e
microonde), o filtrazione; mezzi chimici, come ossido di etilene, formaldeide, biossido di cloro, ozono, gas
plasma di H2O2, acido paracetico ecc…
Il calore è il metodo più comune, ed è somministrato in tre modi: fiamma diretta o incenerimento, ossia un
procedimento distruttivo che viene applicato solo per materiali a perdere; calore secco (fino a 200°), usato
per vetreria, metallo e oggetti che non fondono; calore umido, più efficace di quello secco, in quando ha un
maggior potere di penetrazione, e a parità di temperatura e tempo garantisce una riduzione più rapida di
microrganismi. L’effetto letale è dovuto a reazioni di idrolisi e denaturazione di macromolecole microbiche
e i metodi di sterilizzazione più usati sono la sterilizzazione frazionata e la sterilizzazione in autoclave.
La sterilizzazione mediante radiazioni anch’esso è molto utilizzato. Le radiazioni più utilizzate sono raggi
gamma e raggi ultravioletti. I raggi gamma sono radiazioni ad altissima frequenza, hanno un alto potere di
penetrazione. L’impiego è limitato a livello industriale e in genere sono utilizzati su materiali già
confezionati; l’effetto sterilizzante è dose dipendente. Gli UV sono radiazioni eccitanti, generate da
lampade a vapore di mercurio o lampade germicide. Hanno azione germicida poiché inattivano i
microrganismi per azione diretta su DNA. Sono utilizzate per sterilizzare ambienti e strumenti usati in
ospedali e laboratori. Hanno un basso potere di penetrazione, infatti non passano attraverso vetro, plastica
o soluzione dense; sono deviate dal pulviscolo presente nell’aria e sono irritanti per la cute e per gli occhi,
pertanto gli operatori devono utilizzare indumenti ed occhiali protettivi.
Altro metodo di sterilizzazione è la filtrazione, un metodo meccanico molto efficace usata per sterilizzare
terreni e supplementi come enzimi, sieri o antibiotici che sono termolabili (a variazione di temperatura
perderebbero la loro funzione). I filtri sono costituiti da materiale poroso, di dimensioni comprese tra 20 e
45 micrometri, attraverso il quale viene fatta passare la soluzione da sterilizzare.
Come mezzo chimico più utilizzato c’è il disinfettante, ossia un composto chimico naturale o di sintesi che
uccide i microrganismi allo stato vegetativo o in maniera non selettiva. I processi di disinfezione vengono
classificati in processi di alto, intermedio e basso livello. La disinfezione di alto livello si avvicina per efficacia
alla sterilizzazione; i disinfettanti di alto livello, ossia perossido di idrogeno, i composti del cloro e l’acido
paracetico sono utilizzati per disinfettare strumenti da usare in operazioni invasive e sono maggiormente
efficaci se la disinfezione è preceduta dalla pulizia.
Ci sono diversi fattori che influenzano l’efficacia del disinfettante. I fattori inerenti al disinfettante sono: la
concentrazione, tempo di contatto, temperatura e pH, e stabilità delle soluzioni. I fattori inerenti al
substrato sono la pulizia del substrato, ossia la carica microbica iniziale, e la completezza ed l’intimità del
contatto. Vi sono poi i fattori inerenti i microrganismi: la specie microbica, in quanto vi sono degli organismi
e virus più o meno sensibili, e la carica microbica iniziale (la pulizia del substrato).
Tra i disinfettanti più conosciuti per il controllo delle infezioni vi sono cloro e composti del cloro, composti
dell’ammonio quaternario e perossido di idrogeno. Il cloro e i composti del cloro hanno un livello alto,
agiscono in fretta con un’azione antimicrobica ad ampio spettro, sono corrosivi; tuttavia negli ospedali sono
poco usati per la loro relativa instabilità e poiché vengono inattivi da materiale organico (feci, urine ecc..).
Cloro e composti del cloro agiscono tramite la denaturazione delle proteine e tramite l’inattivazione degli
acidi nucleici.I composti dell’ammonio quaternario sono disinfettati di livello basso, sono inodori, incolori e
insapori, hanno un limitato spettro d’azione, ossia sono virucidi nei confronti del virus lipofili,ci e battericidi,
non hanno azione contro le spore e generalmente nemmeno con i micobatteri; sono stabili nel tempo e
poco tossici. Agiscono con la denaturazione delle proteine e con la rottura delle membrane cellulari.Il
perossido di idrogeno è di alto livello, ha attività molto blanda sui tessuti viventi ed è un potente biocida sui
materiali inanimati. Il suo meccanismo di azioni si esplica tramite l’ossidazione del DNA e di altri
componenti cellulari.
Si definisce antisepsi il processo che ha come obiettivo l’inibizione o l’uccisione dei microrganismi sulla cute
e tessuti viventi. Per antisettico si intende un composto chimico che si applica sui tessuti vivi, che uccide
microrganismi senza alterare sensibilmente i tessuti su cui viene applicati. I più usati sono alcoli, iodofori, e
derivati guanidici.
Gli alcoli più usati sono l’etanolo e l’isopropanolo. Essi sono hanno azione battericida rapida contro i batteri
in fase vegetativa, micobatteri alcuni funghi e virus contenenti lipidi. Hanno un’antisepsi di livello
intermedio, tossicità limitata e non hanno attività residua; hanno azione antimicrobica ad ampio spettro, e
sono inattivati da materiale organico, la loro attività è maggiore in presenza di acqua. Agiscono tramite la
denaturazione delle proteine e la solubilizzazione dei lipidi.
I composti dello iodio agiscono prevalentemente come agenti ossidenti le proteine. I più usati sono gli
iodofori e la tintura di iodio. Hanno potenza battericida intermedia, sono relativamente stabili e sono
inattivati da materiale organico. Agiscono tramite la denaturazione delle proteine. Uno iodoforo è una
combinazione tra iodio e un agente solubilizzante o trasportatore; a differenza della tintura di iodio sono
incolori e meno irritanti.
I derivati guanidici, come la clorexidina sono di livello intermedio, hanno un’ampia attività antimicrobica
con azione prolungata nel tempo e bassa tossicità. Agisce bloccando le funzioni della membrana citoplasma
e inattivando le proteine enzimatiche.
Uno strumento efficace per il controllo delle malattie infettive è acquisire un’immunità artificiale, ciò può
essere fatto attivamente, attraverso l’utilizzo dei vaccini, o passivamente, attraverso l’utilizzo di sieri
immuni. Le prime pratica di vaccinazione risalgono al 18esimo secolo, con la pratica della variolizzazione,
ossia l’inalazione di croste di vaiolo polverizzate; tale pratica era diffusa tra popolo turco e fu introdotta
successivamente in Inghilterra. Nel 1766 nacque la vaccinazione antivaiolosa: i mungitori si infettavano
mungendo le vacche infette risultavano immuni al vaiolo; così il medico Edward Jenner utilizzò
l’inoculazione sperimentale del virus bovino per proteggere l’uomo dal vaiolo umano. Il vaiolo è stato
completamente debellato nel 97 e ciò rappresenta il massimo successo della vaccinazione contro
un’infezione.
Importanti sono stati anche gli studi condotti da Pasteur, il quale ottenne microrganismi attenuati nella loro
virulenza con lo scopo di immunizzare artificialmente un individuo, rendendolo resistente ad una successiva
infezione. Pasteur sviluppo i vaccini contro il colera dei polli, contro il carbonchio e la rabbia. Per la
prevenzione della rabbia riuscì a sviluppare una forma attenuata del virus responsabile utilizzata come
vaccino che salvò migliaia di persone.
Sono definiti vaccini una sospensione di microrganismi o frammenti di essi utilizzata per indurre una
risposta immunitaria simile a quella che si sviluppa in seguito ad un’infezione naturale. L’immunità
comprende due diverse forme: l’immunità innata e l’immunità inducibile. La prima funziona come prima
linea di difesa contro gli agenti infettivi, e qualora l’immunità innata non sia in grado di debellare gli agenti
infettivi viene attivata l’immunità acquisita, che è in grado di produrre una risposta immunologica specifica,
della che l’organismo conserva la memoria. L’immunità umorale, i cui agenti sono i linfociti B, agisce con i
patogeni che si trovano all’esterno delle cellule. L’immunità cellulare, i cui agenti sono i linfociti T
citotossici, debella le cellule infettate dai patogeni.
Le campagne vaccinali su scala mondiale hanno raggiunto importanti obiettivi. Il vaiolo è scomparso e si è
arrivati a una ridotta incidenza di: difterite, tetano, pertosse, poliomielite, morbillo, rosolia, parotite,
infezioni invasive HiB e febbre gialla. I vaccini utilizzati sono classificati in base alla loro composizione: i
vaccini costituiti da microrganismi uccisi vengono detti inattivati; i vaccini costituiti ma microrganismi vivi e
attenuti sono detti vivi; i vaccini costituiti da tossoidi e frammenti sub-cellulari sono detti a sub-unità.
I vaccini inattivati sono prodotti come microrganismi uccisi mediante inattivazione fisica o chimica, per cui
gli agenti patogeni perdono la capacità di moltiplicarsi ma mantengono il loro potere immunogeno. I
vantaggi sono: non è necessario conservarli in frigo, sono idonei quindi per essere utilizzati nei paesi caldi;
hanno una sufficiente immunità umorale; hanno impossibilità di mutazione o reversione nella forma
virulenta; possono essere somministrati anche a pazienti immuno-compromessi. Hanno anche dei limiti:
forniscono una protezione immunitaria debole che può scomparire col tempo, portando alla necessità di un
richiamo periodico, ciò perché il virus non si replica; inoltre un vaccino che richiede diverse dosi ha un
limitato utilizzo, soprattutto per quei paesi in cui la popolazione ha poco accesso alle strutture sanitarie;
mancata produzione di IgAs; necessitano di uso di adiuvanti per potenziarne l’immunogenicità; richiamano
l’attivazione solo della risposta di tipo B. Esempi ne sono quelli per: la pertosse, tifo, colera, peste, epatite
A, rabbia, poliomielite, febbre Q e Leptospirosi.
I vaccini con microrganismi vivi richiedono agenti infettivi con un potenziale infettivo limitato, sono ceppi
avirulenti attenuati. Sono utili nelle immunizzazioni contro le infezioni da virus, che vengono risolte con le
risposte cellulo mediate o di quei microrganismi che si moltiplicano all’interno dei vacuoli dei macrofagi.
Quando vengono somministrati inducono un’infezione contenuta, stimolando l’azione di tutte le difese
immunitarie tipiche dell’infezione naturale. Inoltre necessitano di un minor numero di richiami, non
necessitano di adiuvanti e garantiscono un’immunità di lunga durata. Essendo formati da organismi vivi
devono essere permanentemente conservati al freddo, possono avere una reversione a virulenza e non
possono essere somministrati a soggetti immunodepressi o durante la gravidanza. Attualmente i vaccini
attenuti vengono prodotti tramite la biologia molecolare, producendo delle mutazioni specifiche o
delezioni di generi responsabili della patogenesi. Esempi ne sono vaccini in via di sviluppo costituiti da
Vibrio choleare attenuati grazie alla delezione di geni specifici.
I vaccini con tossine provate del potere tossico sono detti anatossine e la tossina privata del potere tossico
è detta tossoide. Le proprietà delle anatossine sono: stabilità nel tempo e innocuità indipendentemente
dalla modalità di conservazione; irreversibilità nella detossificazione; potere immunizzante immutato
rispetto alla tossina originaria. Sono utilizzati per combattere patologie sostenute da germi e da
microrganismi produttori di tossine e da microrganismi (soprattutto tetano e difterite) in cui la patogenesi è
dovuta non alla capacità invasiva del microrganismo ma alla diffusione delle tossine (proteine).
Anche i vaccini a frammenti microbici sono molto utilizzati; hanno avuto un notevole sviluppo negli ultimi
anni, la loro produzione richiede raffinate tecniche di produzione delle componenti batteriche o virali. Gli
antigeni possono essere purificati a partire da colture di microrganismi, prodotti attraverso tecniche del
DNA ricombinante, o per sintesi chimici (peptidi sintetici). I vaccini di questo tipo sono: anti-Haemophilus
influenzae capsulare B, anti-meningococco sierotipo C, anti-pneumococcico, contro l’epatite B e contro il
papillomavirus genitali. Sono stati potenziati coniugando il polisaccaride della capsula polisaccaridica
presente all’esterno alla parete cellulare con un tossoide del tetano o una tossina della difterite.
L’immunizzazione passiva viene utilizzata quanto l’esposizione a una malattia è recente o si prevede che
avverrà prossimamente. Essa: fornisce una protezione immediata, migliora la sintomatologia della malattia
in costo, protegge i soggetti immunodepressi e blocca l’azione di tossine batteriche. Si tratta di sieri che
contengono anticorpi in grado di uccidere in microrganismo e sono divisi in: sieri immuni, di origine animali,
gamma-globuline, di origine umana.
TERAPIA ANTIMICROBICA
Paul Ehrlich nel 1910 scoprì il primo farmaco antibiotico, il Salvarsan, una sostanza sintetica efficace contro
il Treponema pallidum (sifilide); nel 1935 Domagk dimostrò che un colorante rosso, il Prontosil, era efficace
per combattere infezioni batteriche, che peraltro era il precursore della sulfanilamide; la scoperta degli
antibiotici risale a Fleming, che scoprì nel 1929 la penicillina (dal penicillium notatum). Da qui cominciò una
grossa ricerca, che portò alla scoperta di diversi antibiotici naturali, che divennero i composti di riferiemtno
per la preparazione di antibiotici semi-sintetici.
Gli antibiotici sono sostanze di origine naturale o di sintesi in grado di uccidere o di inibire la crescita di
microrganismi a concentrazioni che non risultano tossiche per l’organismo umano (tossicità selettiva); in
passato venivano raggruppati come antibiotici quelli naturali prodotti da microrganismi, dei quali l’80%
proveniva da batteri appartenenti agli Actinomycetales, ed il resto da funghi, quali Pencillium e
Cephalosporium; venivano e vengono tutt’ora utilizzati antibiotici semi-sintetici, i quali hanno sostanze di
origine naturale ma sono modificate chimicamente; infine i chemioterapici, che sono prodotti con sostanze
di sintesi.
I principali meccanismi di azioni degli antibiotici sono 4: l’inibizione della sintesi del peptidoglicano;
l’inibizione della sintesi proteica; l’inibizione della sintesi degli acidi nucleici; l’inibizione del metabolismo
dell’acido folico.
Il peptidoglicano è l’elemento strutturale principale della parete cellulare dei batteri, ed è costituito da due
aminozuccheri, N-acetilglucosamina (NAG) e l’acido N-acetilmuramico (NAM), i quali si alternano per
formare delle lunghe catene, che sono collegate tra loro mediante ponti peptidici formando quindi la
parete cellulare. La costruzione delle catene e dei legami crociati che tra essere intercorrono è opera di
enzimi che prendono il nome di proteine leganti da penicillina. Gli antibiotici beta-lattamici sono molecole
di origine naturale o semi-sintetiche caratterizzate dalla presenza di un anello beta-lattamico a quattro
atomi; gli antibiotici beta-lattamici comprendono: penicilline naturali e semisintetiche, cefalosporine di I, II,
III e IV generazione e cefamicine, i carbapenemici e monobattamici. Nei batteri in attiva moltiplicazione i
beta-lattamici impediscono la reticolazione di unità di peptidoglicano, inibendo la formazione dei legami
crociati, catalizzata da proteine leganti le penicillina. Gli antibiotici beta-lattamici agiscono come battericidi
e possiedono uno spettro di attività antibatterica ampio, indirizzato inizialmente verso i batteri gram-
positivi e successivamente, per modificazione chimica, il loro aspetto è stato orientato verso i gram-
negativi.
Gli antibiotici inibenti la sintesi della parete cellulari sono costituiti dai glicopeptidi. Sono molecole di
origine naturale costituiti da una componente glucidica e da una componente peptidica; sono antibiotici
battericidi, che impediscono la polimerizzazione del peptidoglicano. Tra i glicopeptidi utilizzati vi sono
vancomicina e teicoplanina; la famiglia a cui appartengono agisce in quanto ha un’alta affinità per il
dipeptide D-alanina D-alanina, che è presente nella piccola catena di aminoacidi che sono legati all’acido N-
acetilmuramico e che sono importanti nella reticolazione. Il legame dell’antibiotico con la D-alanina D-
alanina, blocca l’azione dell’enzima trans-glicolasi, che è responsabile della reticolazione, impedendo
l’allungamento della catena di peptidoglicani. Gli antibiotici glicopeptidici di origine naturale, vancomicina e
teicoplanina, hanno attività antibatterica su gram positivi aerobi e anaerobi, compresi gli stafilococchi
multiresistenti.
Molti sono i farmaci che agiscono tramite l’inibizione della sintesi proteica. Possono essere suddivisi in due
classi: se agiscono sulla più grande unità ribosomiale 50s sono detti macrolidi, se agiscono quella più piccola
30s sono detti aminoglicosidi. Il meccanismo di azione dei macrolidi si basa sulla loro capacità di legarsi
reversibilmente all’unità ribosomiale 50s bloccando le fasi di traslocazione dell’RNA transfer sul ribosoma,
con effetto generale di blocco della sintesi proteica. I macrolidi hanno azione batteriostatica (anche se
talvolta ad alte dosi può diventare battericida) su gram positivi ed intracellulari e su alcuni gram negativi;
sono molto utilizzati in età pediatrica. Gli aminoglicosidi sono molecole di origine naturale o semisintetica,
si legano irreversibilmente alla subunità 30 s del ribosoma batterico prevenendo la formazione del
complesso di inizio della sintesi proteica e bloccando anche la formazione delle catene. Hanno attività
battericida, sono ad ampio spettro orientato verso i gram negativi, e sono particolarmente efficaci nel
trattamento di malattie infettive; tuttavia la relativa nefrotossicità li rende farmaci non di prima scelta.
Tra gli inibitori della sintesi proteica sono presenti tetracicline. Sono molecole di origine naturale o
semisintetica e caratterizzate da una struttura molecolare tetraciclica; le prime sono ottenute da colture di
streptomyces e le seconde da quelle naturali mediante procedimenti chimici. Si legano reversibilmente alla
subunità ribosomiale 30s in modo tale da impedire l’accesso dell’amminocil-tRNA al sito A del ribosoma con
effetto batteriostatico. Le tetracicline sono state i primi veri agenti antimicrobici ad ampio spettro, essendo
attive su batteri gram positivi e gram negativi aerobi e anaerobi. Sono tuttavia poco utilizzate a causa della
diffusione della resistenza.
Altro inibitore della sintesi proteica è il cloramfenicolo, una molecola di origine naturale, che i lega
reversibilmente alla subunità 50s ribosomiale. Inibisce la sintesi proteica interponendosi nello spazio della
subunità 50s tra il sito A e il sito P, inibendo la formazione del legame peptidico. Il cloramfenicolo è un
antibiotico ad azione batteriostatica ad ampio spettro, essendo attivo nei confronti di microrganismi
anaerobi e aerobi sia gram-positivi sia gram-negativi.
Altra classe di inibitori della sintesi proteica è data dai lincosamidi, il cui rappresentante maggior e la
cilindamicina. Anch’essi si legano alla subunità 50s ribosomiale e agiscono sull’allungamento della catena
peptidica nascente e interferendo con la reazione di traslocazione amminoacidica. Hanno effetto
principalmente su batteri aerobi ed anaerobi gram positivi.
I farmaci inibitori del metabolismo degli acidi nucleici si dividono in base a quale acido nucleico inibiscono.
Gli inibitori delle DNA girasi sono i Chinoloni, ossia molecole di sintesi derivate dall’acido naladixico, ed
interferiscono con il mantenimento della tipologia cromosomale, interagendo con le girasi nelle fasi di
segmentazione del DNA, ne consegue l’inibizione della sintesi del DNA. Hanno un’ottima attività verso i
gram negativi e successivamente sui gram positivi, ed hanno azione batteriostatica. Gli inibitori delle RNA
polimerasi batteriche sono le rifamicine; la rifampicina è un derivato semisintetico della rifamicina B, si lega
con alta affinità alla subunità beta dell’RNA polimerasi DNA dipendente, inibendo quindi le sintesi di RNA
messaggero; la rifampicina è antibiotico non tossico per l’uomo, ed ha attività battericida verso i gram
positivi, è batteriostatica verso alcuni gram negativi ed è molto efficaci contro molti micobatteri.
Altro gruppo fondamentale è costituito dagli antibiotici inibitori della sintesi dei metaboliti essenziali. I
sulfamidici e trimetropin sono una classe di farmaci di tipo sintetico che inibiscono la sintesi dei folati in due
tappe successive della via biosintetica. Vengono utilizzati in associazione e sono utili contro batteri gram
positivi e gram negativi, con azione battericida.
L’antibiotico resistenza il normale meccanismo di resistenza dei batteri nei confronti degli antibiotici; è
accelerata dalla pressione selettiva usata dall’abuso di antibiotici. Un ceppo batterico è resistente ad un
antibiotico quando è in grado di moltiplicarsi in presenza di concentrazioni di antibiotico pasi a quelle
massime raggiungibili nel corso di un trattamento terapeutico. Un terzo dei decessi per malattia è
provocato da germi resistenti agli antibiotici.
Può essere suddivisa in naturale o acquisita. La resistenza naturale è di solito una proprietà intrinseca di
molti batteri (ad esempio i gram negativi rispetto alla penicillina, la cui barriera ne impedica la diffusione),
come micoplasmi, pseudomonas aeruginosa e micobatteri. La resistenza acquisita è dovuta a mutazioni nei
geni cromosomali o per acquisizione di elementi genici mobili (plasmidi), sui quali possono essere presenti
geni che codificano per la resistenza a uno o più antibiotici.
Ci sono vari meccanismi di resistenza. Può esserci una diminuita permeabilità al farmaco, o aumentata
eliminazione del farmaco dalla cellula. Una diminuita permeabilità al farmaco può essere dovuta a geni che
codificano le purine, delle proteine presenti nella parete esterna dei gram negativi che permettono il
passaggio di molecole idrofiliche; le purine hanno un diametro, che determina la permeabilità, e la
variazione di questo diametro può determinare la resistenza del microrganismo a un determinato
antibiotico. Possono formarsi dei sistemi al livello parietale della cellula batterica che prendono il nome di
pompe di flusso, che sono delle proteine carrier che permettono ai microrganismi di espellere determinate
classi di antibiotici quando queste entrano nella cellula batterica.
Altro elemento della resistenza agli antibiotici, che peraltro i batteri condividono con alcuni virus e miceti, è
l’alterazione del sito bersaglio ed iperproduzione delle molecole bersaglio; un farmaco ha un bersaglio
(peptidoglicano o RNA ribosomiali o enzimi) e l’organismo lo modifica, in modo tale che l’antibiotico non
possa più agire.
Altro meccanismo importante di resistenza è la produzione di enzimi che idrolizzano l’antibiotico, di cui i
più importanti sono le beta-lattamasi (che sono indirizzati verso i beta lattamici), nei quali i batteri
idrolizzano l’anello beta-lattamico. Questo meccanismo è adottato sia dai gram positivi e nei gram negativi.
Può esserci la produzione di enzimi che modificano l’antibiotico, non rendendolo più riconoscibile. Sono
comuni nella resistenza agli aminoacidi o al cloramfenicolo; possono essere acetilati o fosforilati, con
conseguente inattivazione.
Ultimo meccanismo importante è dato dallo sviluppo di una via metabolica alternativa che bypassa quelle
tappe che vengono controllate dagli antibiotici.
La stima dell’efficacia degli antibiotici nei confronti di un singolo ceppo batterico viene detta
antibiogramma. L’importanza dell’antibiogramma si basa sul principio che la sensibilità in vitro prefigura
l’efficacia in vivo della terapia antibiotica. Esistono diversi metodi per l’esecuzione dei test per determinare
la suscettibilità ai farmaci antimicrobici. Uno dei più usati è la diffusione in piastre: una concentrazione
standard del microrganismo viene inoculata in una piastra, sulla quale sono deposti poi dei dischetti
contenenti concentrazioni standardizzate di antibiotici; le piastre vengono incubate e temperatura e tempo
prestabiliti (di solito 35° e 24h). L’antibiotico diffonde sulla superficie del terreno e il microrganismo risulta
esposto a un gradiente di concentrazione che diminuisce con l’aumentare della distanza dal dischetto; la
misura dei diametri degli aloni di inibizione che circondano il punto di deposizione del dischetto contenente
l’antibiotico corrisponde all’attività dell’antibiotico nei confronti del microrganismo.
Altro metodo per effettuare l’antibiogramma è il metodo delle diluizioni in brodo: un inoculo standard del
microrganismo in questione è esposto a diverse concentrazioni crescenti dell’antimicrobico
convenzionalmente a una serie di diluizioni a raddoppio riferite a un mg/l, e permette di ottenere la minima
concentrazione inibente, che viene definita MIC, intesa come la più bassa concentrazione del farmaco in
grado di inibire la crescita in vitro del microrganismo saggiato. I valori della MIC vengono usati per
classificare il batterio come: sensibile, intermedio o resistente.
I farmaci antivirali sono in quantità minore e più difficili da realizzare: i virus si replicano all’interno di una
cellula ospite, risulta pertanto difficile impedire la replicazione del virus senza creare danno alla cellula
ospite. L’attività di un farmaco antivirale è di solito mirata ad uno specifico tipo di virus, tuttavia la
resistenza ai farmaci antivirali sta progressivamente aumentando.
Diversi sono i possibili bersagli dei farmaci antivirali. Vi sono gli inibitori dei corecettori: l’assorbimento del
virus all’interno della membrana cellulare viene inibito da molecole analoghe al recettore cellulare o
all’antirecettore virale; un esempio è il maraviroc che è l’antagonista di uno dei recettori cellulari utilizzato
da alcuni ceppi HIV per entrare nella cellula. Altri sono gli inibitori della fusione ed un esempio ne è
l’enfuvirtide che è un inibitore della fusione dell’HIV con la membrana cellulare, è un peptide capace di
legarsi alla glicoproteina di superficie gp41 del virus bloccando l’interazione con le proteine della
membrana cellulare durante il processo e fusione.
Altri farmaci inibiscono la fase di denudamento (amantadina-rimantidina): inibiscono l’acidificazione
dell’ambiente intravirionico, processo necessario per la liberazione dell’acido nucleico virale (usato
soprattutto contro l’influenza A). Esistono inoltre gli inibitori della sintesi degli acidi nucleici: la fase di
replicazione del genoma virale rappresenta il bersaglio principale dei farmaci antivirali; per agire devono
essere attivati da enzimi virali. Tra questi ricordiamo l’aciclovir e gangiclovir che vengono utilizzati con gli
herpesvirus, l’azidotimidina (AZT) nell’infezione da HIV e la ribavirina in gravi forma di infezione da virus
influenzale.
Altri sono gli inibitori del rilascio delle particelle virali, come zamivir e oseltamivir; essi sono analoghi
strutturali dell’acido neuraminico, ed inibiscono la funzione della neuraminidasi virale, un enzima
importante per il rilascio del virus influenzale. In presenza di inibitori della neuraminidasi i virioni, anziché
essere rilasciati, restano attaccati alla membrana cellulare e aggregati tra loro, quindi la diffusione del virus
è inibita. Un altro gruppo di farmaci è data dagli interferon, un insieme di proteine prodotte naturalmente
in risposta ad un’infezione virale; una cellula infettata da un virus produce interferon, il quale si lega ai
recettori presenti sulla membrana delle cellule circostanti non infettate proteggendole e inducendo la
sintesi di diverse proteine antivirali. Gli interferon hanno diverse azioni: degradano l’RNA virale, bloccano la
traduzione degli mRNA virali, impediscono l’assemblaggio e l’uscita dei nuovi virioni.
Essendo i miceti eucarioti sono difficili da combattere. Uno dei farmaci più usati nella terapia antimicotica è
la flucitosina, che interferisce con la sintesi del DNA e dell’RNA delle proteine fungine e si utilizza
soprattutto nei casi di candida. Le echinocandine inibiscono la sintesi del glucano della parete cellulare, si
utilizzano per il trattamento di candidosi e aspergillosi massive. I polienici, azolici e allilamine agiscono
sull’ergosterolo (componente di membrana) ma ognuno in un modo: i primi legano l’ergosterolo causando
un danno ossidativo alla membrana, i secondi inibiscono la sintesi dell’ergosterolo e agiscono di solito
contro i funghi e lievitiformi, le allilamine determinano una diminuzione dell’ergosterolo nella membrana
fungina. Anche i miceti presentano meccanismi di resistenza, ma a differenza dei batteri sono alterazioni
del sito bersaglio o determinano l’incapacità degli antimicotici di entrare nella cellula.