Metallurgia XIV XV

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Aspetti della metallurgia bresciana del primo 400 1 MARIA LUISA BOTTAZZI ASPETTI DELLA METALLURGIA BRESCIANA DEL PRIMO ’400: FUSIONE DI CAMPANE E BOMBARDE Attingendo alla documentazione disponibile difficilmente riuscia- mo a tratteggiare un panorama efficace delle peculiarità storiche, tec- niche e artistiche della metallurgia bresciana del primo ’400, fase per altro caratterizzata da notevoli sviluppi dovuti ad applicazioni sempre più larghe del ferro nella fabbricazione di utensili a uso domestico, ol- tre che agricolo, come da un rapido incremento dell’impiego delle armi in risposta alle numerose guerre combattute in quel periodo. Un crescente sfruttamento delle risorse naturali e l’introduzione di nuovi processi tecnici di fusione sopperirono in quel momento alle ri- chieste sempre maggiori di materia prima; l’Italia e l’Europa, interes- sate da una carenza sempre più importante di metalli preziosi, furono pervase durante tutto il Quattrocento da un acuto e generale interesse per tutte le diverse fasi di lavorazione, sia per le aperture economiche che il settore poteva dare, sia per un forte interesse legato a una tra- smissione tecnica e culturale 1 . 1 F. Zagari, Il metallo nel medioevo. Tecniche Strutture Manufatti, Palombi, Roma 2005, pp. 27-31. Lo sfruttamento delle miniere e le diverse tecniche di forgiatura di acciai, ferro e bronzo furono oggetto di un interesse crescente durante il medioevo. Dal De diversis artibus tradizionalmente attribuito a Teofilo presbiter del secolo XII, al Trattato de architettura di Antonio Averlino, meglio conosciuto come Filarete, ai cinquecenteschi De la pirothecnia di Vannoccio di Biringuccio e al De re metallica di Georg Bauer, latinizzato accademicamente Giorgio Agricola, il panorama della letteratura di periodo medievale dedicata alle tecnologie acquisite in campo metallurgico diventò piuttosto importante. Per ciò che riguardò poi l’ambiente artistico, campo in cui la metallurgia entrò in modo preponderante nel corso del Quattrocento, molte preziose opere iniziarono a fotografare efficacemente non solo il mondo delle fucine, ovvero quello degli artigiani-artisti, ma anche quello vicino alle materie prime. Numerose incisioni a stampa di artisti del Rinascimento riprodussero infatti i diversi ambienti, da quello minerario a quello dei forni e delle fucine, per opere manualistiche e divulgative dell’epoca; tra queste una xilografia di Domenico Beccafumi, detto Mecarino (Siena 1484-1552) presumibilmente collocabile nell’ultima fase della sua produzione (cfr. G. Vasari, Le vite depiø eccellenti pittori, scultori e architetti, Newton Compton, Roma 1991, IV ed. 2001, pp. 910-919), quella cinquecentesca, ritroviamo espressa la logica artistica della produzione metallurgica medievale. Beccafumi 17.Bottazzi.indd 1 06/01/2012 19:41:39

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Metallurgia bresciana

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  • Aspetti della metallurgia bresciana del primo 400 1

    MARIA LUISA BOTTAZZI

    ASPETTI DELLA METALLURGIA BRESCIANA DEL PRIMO 400: FUSIONE DI CAMPANE E BOMBARDE

    Attingendo alla documentazione disponibile difficilmente riuscia-mo a tratteggiare un panorama efficace delle peculiarit storiche, tec-niche e artistiche della metallurgia bresciana del primo 400, fase per altro caratterizzata da notevoli sviluppi dovuti ad applicazioni sempre pi larghe del ferro nella fabbricazione di utensili a uso domestico, ol-tre che agricolo, come da un rapido incremento dellimpiego delle armi in risposta alle numerose guerre combattute in quel periodo.

    Un crescente sfruttamento delle risorse naturali e lintroduzione di nuovi processi tecnici di fusione sopperirono in quel momento alle ri-chieste sempre maggiori di materia prima; lItalia e lEuropa, interes-sate da una carenza sempre pi importante di metalli preziosi, furono pervase durante tutto il Quattrocento da un acuto e generale interesse per tutte le diverse fasi di lavorazione, sia per le aperture economiche che il settore poteva dare, sia per un forte interesse legato a una tra-smissione tecnica e culturale1.

    1 F. Zagari, Il metallo nel medioevo. Tecniche Strutture Manufatti, Palombi, Roma 2005, pp. 27-31. Lo sfruttamento delle miniere e le diverse tecniche di forgiatura di acciai, ferro e bronzo furono oggetto di un interesse crescente durante il medioevo. Dal De diversis artibus tradizionalmente attribuito a Teofilo presbiter del secolo XII, al Trattato de architettura di Antonio Averlino, meglio conosciuto come Filarete, ai cinquecenteschi De la pirothecnia di Vannoccio di Biringuccio e al De re metallica di Georg Bauer, latinizzato accademicamente Giorgio Agricola, il panorama della letteratura di periodo medievale dedicata alle tecnologie acquisite in campo metallurgico divent piuttosto importante. Per ci che riguard poi lambiente artistico, campo in cui la metallurgia entr in modo preponderante nel corso del Quattrocento, molte preziose opere iniziarono a fotografare efficacemente non solo il mondo delle fucine, ovvero quello degli artigiani-artisti, ma anche quello vicino alle materie prime. Numerose incisioni a stampa di artisti del Rinascimento riprodussero infatti i diversi ambienti, da quello minerario a quello dei forni e delle fucine, per opere manualistiche e divulgative dellepoca; tra queste una xilografia di Domenico Beccafumi, detto Mecarino (Siena 1484-1552) presumibilmente collocabile nellultima fase della sua produzione (cfr. G. Vasari, Le vite depi eccellenti pittori, scultori e architetti, Newton Compton, Roma 1991, IV ed. 2001, pp. 910-919), quella cinquecentesca, ritroviamo espressa la logica artistica della produzione metallurgica medievale. Beccafumi

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    Purezza e resistenza del materiale, cos come la disponibilit di ma-nodopera sempre pi specializzata erano i requisiti primi richiesti ai fini di una produzione artigianale sofisticata che cominci ad apparire anche sempre pi industrializzata. In questo settore, come in quello dei panni, Brescia e i suoi artifices, rispondendo appieno alle diverse e nuove esigenze, molto prima del Quattrocento, vennero pienamente coinvolti grazie a una lunga e apprezzata tradizione. Dalle vallate alpi-ne, che si aprivano attorno alla citt, come dal Bergamasco, si cavava il miglior minerale da fondere che trasformato raggiungeva, gi dagli anni settanta del Trecento, mercati controllati da signorie di dimen-sione regionale2; ma una documentazione locale rarefatta, che inizia ad essere molto pi precisa solo dal secondo Quattrocento in poi, a stento permette di cogliere a fondo lentit reale della larga produzione antecedente la dominazione veneziana. Come contrappunto al quadro locale appaiono molto pi ricche di informazioni le testimonianze in-vece provenienti dalle citt in stretto contatto con lartigianato bre-sciano. Al fine di definire pi efficacemente la peculiarit bresciana parso pertanto utile allargare sensibilmente lorizzonte temporale e spaziale di questo lavoro. Dalle carte sparse negli archivi delle vallate montane dellItalia settentrionale come da quelle delle citt in contatto con Brescia si pu delineare un panorama della produzione bresciana molto pi definito ed entro il quale, fin dal secolo XII, limpegno dei progetti nati intorno allestrazione dei metalli, anche preziosi, lontano dalla Val Camonica, o dalla Val Trompia, o dalla Valsabbia, come dal-le valli Seriana, di Scalve e Brembana, era attestata non solo dalla pre-senza del metallo proveniente dalle vallate bresciane e bergamasche, ma anche dalla presenza di competenti artefici bresciani o di bergama-schi chiamati a organizzare, come a dirigere, distanti dai loro luoghi di origine, i diversi processi di lavorazione3. Non fu, infatti, occasionale

    disegn la fucina artigianale di Vulcano, ma quel disegno rifletteva anche la fucina di un qualsiasi altro bravo fonditore di bronzi, intento a predisporre nel suo spazio di lavoro produzioni diverse dalle campane e dai mortai alle bombarde. Il bravo fonditore sapeva, infatti, lavorare a regola darte leghe e produzioni diverse.

    2 P. Mainoni, La politica dellargento e del ferro nella Lombardia medievale,in Ph. Braunstein (ed.), La sidrurgie alpine en Italie (XII-XVII sicle), cole Franaise de Rome, Roma 2001, pp. 417-453, in special modo alle pp. 446-447.

    3 Per un quadro dello sfruttamento delle risorse minerarie cfr. R. Predali, Miniere, forni e fucine. Lindustria del ferro nelle valli bresciane, in G. Biati (ed.), Atlante valsabbino: uomini vicende e paesi, Grafo, Brescia 1980, pp. 132-140; F. Menant, Aspects de lconomie et de la socit dans les valles lombardes aux derniers sicles du moyen ge, in La sidrurgie alpine, cit., pp. 3-30, alle pp. 5-6.

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    la partecipazione, gi nel secolo XII, di bergamaschi alla coniazione argentea presso la zecca di Genova4, e altrettanto significativa nel 1224 la presenza di un Giovanni da Bergamo nella fondazione dellin-sediamento di Ferrera, tra le Alpi occidentali della Val di Susa, lunico esperto convocato a lavorare per i monaci della Novalesa5; come non fu di certo casuale alla met del Trecento lassunzione da parte del Comune di Treviso di Giovanni fabbro da Brescia chiamato a dare a quellistituzione la sua opera esclusiva nella produzione di ferramenta per le artiglierie comunali durante lassedio che quella citt sub dagli Ungheresi6. In quella citt gi dominata da Venezia doveva essere di certo ancora vivo il ricordo dellassedio di Enrico VII a cui Brescia aveva dovuto reagire, circa quaranta anni prima, nel 1311, con delle macchine da guerra che le cronache coeve non avevano mai citate pri-ma: le bombarde7.

    4 Nel secolo XII presso le zecche di Genova, Milano e Pavia lavorarono esperti bergamaschi. Per ci che riguarda la zecca genovese rimando a P. Mainoni, La politica dellargento e del ferro, cit., n. 7, p. 419.

    5 L. Patria, In fodina veteri: prospezioni minerarie e pratiche metallurgiche nelle Alpi Cozie (secoli XII-XIV), in R. Comba (ed.), Miniere, fucine e metallurgia nel Piemonte medievale e moderno, Atti del Convegno di Rocca de Baldi, Domenica 12 dicembre 1999, Rocca de Baldi, Centro studi storico-etnografici Museo provinciale Augusto Doro Rocca De Baldi, 1999, pp. 27-56, alle pp. 49-50. Dopo il grande progetto monastico presso linsediamento di Ferrera, Giovanni Bos, proveniente questa volta da Zuino (Gargnano), un paese del territorio bresciano, rinfranc nuovamente il legame gi esistente con la Novalesa forgiando per quella stessa abbazia, nel secolo XIV, una croce astile in argento (cfr. G. Panazza, Larte gotica, in Storia di Brescia, promossa e diretta da G. Treccani degli Alfieri, I, Morcelliana, Brescia 1964, capitolo II, La scultura e loreficeria del secolo XIV, p. 928).

    6 E. Orlando (ed.), Venezia Senato. Deliberazioni miste. Registro XXVIII (1357-1359), 15, Istituto Veneto di scienze, lettere e arti, Venezia 2009, n. 507, pp. 285-286; P. Paschini, Storia del Friuli, nelle varie edizioni (lultima curata da G. Fornasir, 4 edizione, II ristampa, Arti Grafiche Friulane, Udine 2003), p. 514.

    7 C. Quarenghi, Le bombarde di Brescia nel 1311, in Rivista militare italiana (1870), Comando del Corpo di Stato Maggiore, Roma, 1869, pp. 484-507 che attinge da Bartolomeo da Ferrara. E. Baraldi-M. Calegari, La siderurgia indiretta in area italiana, in La sidrurgie alpine, cit., pp. 93-162, alla p. 96. Le bombarde sicuramente compaiono sulla scena italiana entro i primi decenni del Trecento. Nel panorama italiano pi artistico, un affresco senese del 1345, dipinto nel portico della chiesa di S. Leonardo del monastero di Lecceto presso Siena, era un importante testimone della prima met del Trecento dellimpiego di nuove e pi efficaci artiglierie generalmente predisposte ai piedi delle mura negli assedi cittadini: cfr. G. Ermini, Campane e cannoni. Agostino da Piacenza e Giovanni da Zagabria: un fonditore padano e uno schiavone nella Siena del Quattrocento (con qualche nota su Dionisio da Viterbo e gli orologi), in V. Avery - M. Ceriana (eds.), Lindustria artistica del bronzo del Rinascimento a Venezia e nellItalia settentrionale. Atti del Convegno internazionale di Studi, Venezia, 23-24 ottobre 2007, Scripta Ed., Verona 2008, pp. 387-423, alla p. 391.

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    Quelle appena menzionate sono solo alcune delle attestazioni do-cumentarie precedenti il Quattrocento; per il periodo, invece, molto pi antico il famoso gallo segnavento di Modoaldo, forgiato nei pri-mi decenni del secolo IX per il monastero di S. Faustino Maggiore su commissione del vescovo Ramperto, deve essere considerato come il migliore esempio di una produzione gi importante8; ma solo tra tardo medioevo e prima et moderna Brescia e le sue vallate si distinsero nella lavorazione dei metalli come nella produzione di utensili atti al lavoro agricolo e alluso domestico, nella forgiatura di alari, di infer-riate, cancellate, e altre suppellettili destinate agli edifici di culto, vere e proprie opere darte di fabbri dalla visione artistica; nella forgiatura delle rinomate armi bianche e da difesa, fino alle armi da fuoco che segnarono, nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento, assieme alle nu-merose installazioni di forni detti alla bresciana in molti luoghi di unItalia governata da politiche di signori a volte lungimiranti quanto profittatrici, la specificit bresciana nella metallurgia9. Ma se nei secoli XIII, XIV e XV fu lesperienza e la tecnologia avanzata a richiamare bre-sciani e bergamaschi nei diversi centri metallurgici dellItalia centro settentrionale, alla fine del Medioevo e in et moderna furono le accre-sciute difficolt e le tassazioni sempre pi gravose a persuadere molti di loro esperti a migrare, oltre che nelle altre regioni italiane, anche in

    8 Il gallo di bronzo fatto forgiare dal vescovo Ramperto per essere apposto sulla sommit del campanile della chiesa del monastero oggi custodito in una delle teche del Museo di S. Giulia di Brescia in corrispondenza della collocazione museale MR 10475. Una delle peculiarit pi studiate di quel manufatto senza dubbio lincisione prodotta dallartigiano Modoaldo a ricordo della importante committenza vescovile di IX secolo; sul tema, come sulle qualit artistiche pi peculiari di quel manufatto rimando al commento e alla bibliografia inserita in M. Bottazzi, Italia Medievale epigrafica. Lalto medioevo attraverso le scritture incise, testo in pubblicazione presso il Centro Europeo di Ricerche Medievali di Trieste; come ai lavori di Simona Gavinelli (cfr. S. Gavinelli, Il gallo segnavento del vescovo Ramperto di Brescia, in Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia s. III, IX/3-4(2004), pp. 21-38, alla p. 25; Ead., Il gallo di Ramperto: potere, simboli e scrittura a Brescia nel secolo IX, in F. Forner - C.M. Monti - P.G. Schmidt (eds.), Margarita amicorum: Studi di cultura europea per Agostino Sottili, 2 voll., Vita e Pensiero, Milano 2005, I, pp. 401-427, alla p. 402. Sul gallo forgiato nel secolo IX scrisse una breve nota anche Pietro Toesca definindolo per poco artistico (cfr. P. Toesca, Storia dellarte italiana. Il medioevo, 2 voll., Unione tipografico-editrice Torino, Torino 1927, I, n. 20, p. 462). Ma molto prima del secolo IX a Brescia si rintraccia la presenza di artigiani, probabilmente legati al potere regio, nellarea ad est del foro (cfr. F. Zagari, op. cit., p. 172).

    9 A questo proposito sono importanti i contributi di Luciana Frangioni nonostante la sua ricerca si sia concentrata molto di pi sulla produzione milanese, di fatto la pi documentata della Lombardia: L. Frangioni, I tipi della merce e i loro mercati, in Artigianato Lombardo, 2. Lopera metallurgica, Milano 1978, pp. 14-44; Ead., Unindustria darte per le armature e le armi, pp. 47-65.

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    molti luoghi dEuropa. Non mancano a questo proposito testimonianze che attestino la presenza di bresciani a Cracovia per impiantare un alto forno, o in Francia, in Austria, in Germania e in Svezia, dove con i ber-gamaschi vennero invitati a spostarsi per costruire prima forni a can-necchio, ovvero basso forni, poi alto forni a carbone da legna o fossile, e fucine10. Per quanto, allora, sia importante centrare le nostre attenzio-ni sulla produzione, senza dubbio distintiva di queste zone, penso non sia sbagliato asserire che in primis, prima di ogni altro elemento artisti-co o tecnico, furono le scelte economiche e politiche dei Visconti, dei Malatesta come di Venezia a contrassegnare, segnando negativamente come positivamente e in modo indelebile, la metallurgia di questarea dalle grandi potenzialit, tra i secoli XIV e XVI; e non meno incisivi si mostrarono i pi distanti Estensi e i Medici che con Ercole I e Cosimo I, a partire dal secolo XV e fino a tutto il XVI e parte del XVII, impor-tarono largamente dalle vallate alpine bresciane e bergamasche non solo tecnologia, ma anche manodopera specializzata nellaspettativa di rompere e sottrarre con la propria impresa il monopolio produttivo del ferro e dellacciaio tenuto dai lombardi, sui quali spesso grav perio-dicamente unottusa politica daziaria, oltre a sottrarre loro quello com-merciale11. Gli artefici bresciani son stati astretti partirse cum tutte le famiglie loro et ad habitar altrove, portando larte di trovare et cavar le miniere et di fabricare ogni sorta di ferrarezze che era prima quasi sola in Bressana. La frase appena citata stata ripresa dalla relazione predisposta da Nicol Tiepolo, podest di Brescia, per il Senato vene-ziano; le parole scritte a quel tempo dal rettore veneto di Terraferma, che rappresentava Brescia e il suo territorio nel 1527, riflettevano la grande preoccupazione per un assetto sociale ed economico rappresen-tante non la prima, ma senza dubbio la seconda fonte finanziaria utile al benessere collettivo della citt e del suo vasto territorio svilito da nuove tassazioni e impedimenti che Venezia inizi a imporre dal 1451, ma che molto tempo prima erano stati anche il fulcro della politica

    10 C. Cucini Tizzoni - M. Tizzoni, Li peritj maestri. Lemigrazione di maestranze siderurgiche bergamasche della Val Brembana in Italia e in Europa (secoli XVI-XVII), in Bergomum III(1993), pp. 79-178; C. Tizzoni, Dieci anni di ricerche sulla siderurgia lombarda: un bilancio, in La sidrurgie alpine, cit., pp. 31-48, alle pp. 32, 45.

    11 E. Baraldi - M. Calegari, Pratica e diffusione della siderurgia indiretta, cit., pp. 95-96, 128-130.

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    economica trecentesca dei Visconti12; da queste ultime considerazioni penso sia bene allora iniziare nel percorso euristico di questo lavoro.

    Lampiezza del territorio di giurisdizione bresciana e la particolare posizione geografica che assimila la citt di Brescia a poche altre citt dellItalia settentrionale poste tra pianura e montagna, fornirono questo centro e il suo largo contado di potenzialit economiche considerevo-li. Entro quel paradigma contraddistinto da vallate montuose ricche di nutriti corsi dacqua e boschi di ceduo, indispensabili per lo sfrutta-mento della materia prima, il minerale, la citt di Brescia partecip in quanto centro di raccolta di metalli e di leghe, di botteghe e di empori dove altrimenti si assemblava e si smerciava una buona parte della produzione metallurgica lavorata per lo pi nelle vallate, non lontano da forni fusori posti a met strada tra fucine e miniere che, nella storia economica europea, secondo gli studi di Rolf Sprandel, rappresentano, se non lunico, uno dei pochi casi italiani di sfruttamento continuativo dei siti dallet del ferro a oggi13.

    Lintensificazione dellattivit estrattiva e metallurgica segnalata dalla fine del secolo XII alla met del XIII lascia presupporre che nel Trecento lo sfruttamento delle miniere, oramai signorilmente autoriz-zato nelle valli di Scalve, Palot, Camonica, Trompia e Sabbia, come in quelle bergamasche, doveva essere importante14; come importante numericamente doveva essere la manodopera composta non solo da uomini, ma anche da donne e bambini reclutati, in quei secoli della met del medioevo, per trasportare e fare una prima cernita del mate-

    12 Sui progetti del forno di Volastro della casa dEste (1470-1500), come su tutti quelli predisposti, durante la seconda met del Quattrocento, nellItalia centrale grazie alla presenza di esperti provenienti dalle vallate bresciane e bergamasche, compreso dunque il pi tardo progetto piacentino di Cosimo I de Medici, rimando a E. Baraldi - M. Calegari, Fornaderi bresciani (XV-XVII sec.), in N. Cuomo di Caprio - C. Simoni (eds.), Dal basso fuoco allaltoforno, Atti del 1 simposio Valle Camonica 1988 La siderurgia nellantichit, Sibrium, Varese 1989, pp. 127-141; Idd., Pratica e diffusione della siderurgia indiretta in area italiana (secc. XIII-XVI), in La sidrurgie alpine, cit., pp. 93-153, alle pp. 93-99, 119-129; importante anche: I. Tognarini, La questione del ferro nella Toscana del XVI secolo, in L. Rombai (ed.), I Medici e lo stato senese (1555-1609), Grosseto 1980, pp. 239-259. Sulla politica dei Visconti e del Malatesta riguardo alle ferrarezze cfr. P. Mainoni, Economia e politica nella Lombardia medievale. Da Bergamo a Milano fra XIII e XV secolo, Gribaudo, Cavallermaggiore (Cn) 1994, pp. 115-126; Ead., La politica dellargento e del ferro, cit., pp. 440-453; Relazione di Nicol Tiepolo, Podest, presentata al Senato il 22 marzo 1527, in Relazioni dei rettori veneti in terraferma, XI. Podestaria e capitanato di Brescia, Istituto di Storia Economica dellUniversit di Trieste, A. Giuffr, Milano 1978, pp. 9-21, alla p. 17.

    13 R. Sprandel, La production du fer au Moyen Age, in Annales. conomies Socit Civilisations, *** (1969), pp. ***-***.

    14 P. Mainoni, La politica dellargento e del ferro, cit. p. 427.

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    riale tolto alla montagna15. Ciclica era la circolazione dei docimastri, ovvero di quegli artifices, le cui esperienze si erano tramandate da pa-dre in figlio circa lindividuazione della vena, lubicazione e le esatte proporzioni dei forni atti ad assicurare unimpeccabile presura, fino alla miglior fusione del minerale16; uomini pratichi ed esperti17, dun-que, in tutte le diverse e complesse operazioni da svolgere ai fini di una buona fase daccensione, durante la quale la proporzione tra carbone, minerale da fondere e forza idraulica, la cui introduzione fu fondamen-tale, doveva essere perfetta, fino alla colata vera e propria. Un impiego arcaico del metodo a induzione indiretta, di fatto gi in uso tra il V e il VI secolo tra gli artigiani lombardi, aveva fornito a quegli artigiani del-le vallate prealpine una base tecnica empirica molto anticipata rispetto alla metodologia impiegata, in modo generale, nelle altre zone italiane ed europee. Il raggiungimento allora di primi semilavorati contraddi-stinti da una buona riduzione delle scorie metallifere a garanzia finale di un ottimo ferro e un ancor miglior acciaio, impossibili da raggiunge-re con limpiego di comuni basso fuochi, cio con quei forni, tecnologi-camente inadeguati a garantire una cottura ottimale del minerale come una buona separazione delle scorie a carico, fu lelemento che pertanto contraddistinse tutta la produzione metallurgica lombarda fin dal primo alto medioevo18; ma oltre alle tecnologie introdotte il prodotto di fusio-ne finale rimaneva comunque legato allopera personale dellartigiano che sapeva, e i bresciani e i bergamaschi lo sapevano bene, esaltare le caratteristiche del metallo attraverso opportuni trattamenti di tem-pra. Gruppi di lavoro venivano inoltre bene organizzati tra la miniera e la fornace, tra famigliari o in vere proprie compagnie, allinterno delle quali la comunit rurale fu a lungo una delle parti importanti di quelle imprese altrimenti definite, nella seconda redazione degli statuti minerari di Bovegno (1341,1389), probabilmente ispirati da quelli di Pezzaze (1318), Societates Medalorum19. Limpegno delle squadre

    15 R. Predali, op. cit., pp. 132-140.16 L. Frangioni, I tipi della merce, cit., pp. 14-65, alla p. 24; C. Tizzoni, Dieci anni di

    ricerche, cit., 32-48. 17 Come sono definiti nella documentazione raccolta da E. Baraldi - M. Calegari, Fornaderi,

    cit., alla p. 140.18 C. Tizzoni, Dieci anni di ricerche, cit., 32-48. Un ausilio molto importante per lo studio dei

    documenti e delle tecnologie inerenti allambito metallurgico di periodo medievale il bellissimo lavoro di Enzo Baraldi, Ordigni e parole dei maestri da forno bresciani e bergamaschi: lessico della siderurgia indiretta in Italia fra XII e XVII secolo, in La sidrurgie alpine, cit., pp. 163-213.

    19 E. Baraldi- M. Calegari, Pratica e diffusione della siderurgia indiretta, cit., p. 148.

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    di uomini che avevano parte nel progetto per cavar vene e fare ferro stello20, proprietari della miniera ma, in Valtrompia, non necessaria-mente del forno21, era di due turni di lavoro svolto durante le fasi di stasi del lavoro agricolo22. Lattivit estrattiva e quella fusoria si avvi-cendavano, infatti, allagricola durante i momenti pi freddi dellanno durante i quali i copiosi corsi dacqua ghiacciavano senza invadere i cunicoli minerari della montagna da scavare; di contrappunto, nei mesi estivi, nei cunicoli dove le nuove vene affioranti sarebbero state og-getto della prossima stagione di lavoro, venivano accesi fuochi cos da dare una prima arrostitura al minerale da cavare. Complementari, sul piano dellorganizzazione produttiva, erano poi, dobbiamo ricordarlo, anche le diverse lavorazioni svolte entro le fucine fabbrili occupate a gettare oggetti molto diversi fra loro, tuttavia connessi da passag-gi ed esperienze similari di lavorazione. Pi concretamente, nel tardo Quattrocento, come ho accennato in apertura23, in una stessa fucina il fabbro esperto, da attento conoscitore delle leghe, gettava oramai con una certa assiduit armi da fuoco, le tanto citate bombarde, alternando a quella fusione quella di campane e di mortai come degli altri oggetti artistici sacri, dagli acquamanili ai candelabri fino alle fonti battesimali le cui leghe non potevano essere le stesse, nonostante fosse medesima lorganizzazione del lavoro e lattrezzatura di base.

    Dalle fucine delle valli bresciane e bergamasche uscivano dunque metalli pi o meno preziosi: argento per lo pi dalle miniere berga-masche, oltre che dalla val Sabbia; ferro, piombo e rame tra la Val Trompia, Sabbia e Camonica, lavorati per essere predisposti in lamine e vergelle ed altri semilavorati per ottenere una piccola utensileria casalinga e da lavoro vanghe, zappe e mannaie, chioderie grosse e minute, catene e brocchette come armi bianche e da difesa spade, balestre e corazze , prodotti in genere molto commerciabili, oltre che sul mercato milanese ed extralombardo, anche sul mercato locale. Tut-tavia la gran parte del metallo grezzo e del semilavorato raggiungeva pi facilmente la citt, in quanto luogo predestinato al controllo e alla

    20 Sulla tempra e per una generica spiegazione del significato di per ferro stello cfr. E. Baraldi, Ordigni e parole dei maestri da forno, cit., pp. 171, 181.

    21 Statuti di Valtrompia, Brescia, 1576 (rist. anast. Brescia, 1976), n. 38, cap. 248.22 Per Ardesio: F. Menant, Pour une histoire mdivale de lentreprise minire en Lombardie,

    in Annales. conomies, Socit, Civilisation XL(1987), pp. 779-796, alla p. 784.23 Cfr. qui sopra n. 1.

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    commercializzazione gravata da una gabella ferri24. E in un regime di pi stretto e alto monopolio, dopo gli anni sessanta del Trecento, il me-tallo veniva distribuito poi dal fondegum alle numerose botteghe25, che forgiavano armi e armature, individuate nel numero cospicuo di 167 come attive e censite a Brescia dai registri degli estimi compilati tra il 1388 e il 148626; rilevante per il fondaco di questa citt era anche lo smercio di acciai27, desumibili dal carteggio del fondo Datini di Prato che copre il periodo che va dagli anni ottanta del Trecento ai primi de-cenni del Quattrocento, e che La pratica della Mercatura di Giovanni di Antonio da Uzzano decret nella loro specificit essere diciassette28. Nel caso della Compagnia Datini gli agenti comperavano sulla piazza bresciana e vendevano mettendo in relazione i diversi fondachi italiani ed esteri da dove la merce prendeva poi canali diversi. Dal 1380, i con-tatti pi proficui e numerosi per Brescia vennero con il mercato pisano; da l gli acciai a buon prezzo andavano a Roma; Brescia vendeva ac-ciaio da rocha a Lucca dove si forgiavano spade; tipi diversi di acciai interessavano a Parma; altri acquisti documentati furono di pertinenza genovese; vennero esportati acciai anche nelle piazze di Avignone e Barcellona29.

    24 P. Mainoni, La politica dellargento e del ferro, cit., p. 445. Fin dallaccordo del comune di Brescia dellanno 1291 con i Federici, che accettarono limposizione obbligatoria del sale e di ducere et conduci facere quod sit super terris suis ad gabellam ferri civitatis Brixie.

    25 Una delle lettere di mercatura dellarchivio Datini scritta alla fine di luglio del 1394 aiuta a capire landamento del monopolio commerciale tenuto dal signore di Milano. In quel frangente caratterizzato da una diminuzione delle quantit di metallo sul mercato Pisa che chiedeva lazalo di rocha che vi mandasemo per quello di Lucha si sent rispondere che in quel momento lacciaio non era a disposizione perch loficiale del fondico del signore tuto l tolto per s per fornire el fondico di Milano (cfr. P. Braunstein, Lacier de Brescia la fin du XIVe sicle: lapport dune correspondence daffaires, in La sidrurgie alpine, cit., pp. 455- 479, alla p. 467).

    26 F. Rossi, Armi e armaioli bresciani del 400, in Ateneo di Brescia, supplemento ai Commentari dellAteneo di Brescia *** (1971), p. 11, nn. 10-13.

    27 P. Mainoni, La politica dellargento e del ferro, cit., p. 443.28 Giovanni di Antonio da Uzzano, La pratica della mercatura, in F. Pagnini del Ventura,

    Della decima e di varie altre gravezze imposte al comune di Firenze della moneta e della mercatura de fiorentini fino al secolo XVI, IV, Lisbona e Lucca, 1766, ed anast. Forni, Bologna 1967, p. 105.

    29 Gli acciai commerciati dagli agenti di Francesco Datini, che operavano nelle piazze italiane e estere, e in contatto con i forni bresciani, erano pertanto di molteplici tipologie, ovviamente in risposta alle differenti e molte produzioni. Nella documentazione datiniana composta di lettere mercantili facilmente consultabili grazie a una larga scannerizzazione della documentazione oggi accessibile in rete, (cfr. http://datini.archiviodistato.prato.it/) distinguiamo azzali da gamba, da inchudine, da rocha, da campana, da balestre e molti altri. Un importante e ampio lavoro sulla commercializzazione degli acciai bresciani, che considera molta parte della documentazione raccolta a Prato, stato pubblicato un decennio fa da Philippe Braustein

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    Per ci che riguarda, invece, il versante pi orientale dItalia, sono le cronache coeve e le carte veneziane a venirci in aiuto per definire sommariamente un quadro della tipologia produttiva per lo pi bre-sciana smerciata sulla parte dItalia governata fino al 1420 dal Patriar-ca di Aquileia e poi completamente nelle mani della Repubblica ve-neziana. Il Friuli, economicamente dipendente da Venezia dal secolo XIII30, poteva comperare a Brescia solo prodotto finito, dal momento che Venezia controllava lintero mercato del ferro traendo altrettanto monopolisticamente il suo metallo dalle vallate alpine del Cadore e del Vicentino, come dal mercato centroeuropeo attraverso le vie alpine della Carnia e il Fondaco dei Tedeschi di Venezia, per poi essere con-vogliato nelle fucine cittadine e dellArsenale del capoluogo veneto. Nonostante ci, un documento gemonese del 1324, che riguarda anco-ra la fase di governo pienamente patriarcale del Friuli, testimonia lin-teresse dei milites del patriarca per la produzione bresciana di armi da difesa e dattacco notificando lacquisto in zona lombarda di una lorica da parte di Odorlico di Spilimbergo31. E dal Bresciano, forse, dovettero anche arrivare gli schioppi usati sempre dagli Spilimbergo nellassedio di Cividale del 1331 dal momento che nei registri veneziani del Se-nato abbiamo notizia del continuo rapporto di fornitura bresciana agli stessi signori friulani che nel luglio 1345 chiesero a Venezia di poter importare entro il loro territorio 180 scudi bresciani e balistas quinque magnas et quinque parvas solvendo dacium consuetum a Venezia32.

    in occasione dellimportante progetto collettivo diretto dal 1995 dallo stesso Braunstein in collaborazione con lcole Franaise de Rome; alle sue pagine, dunque, rimando per ci che concerne la corrispondenza mercantile con la piazza bresciana. P. Braunstein, Lacier de Brescia la fin du XIV

    e sicle, cit., pp. 455-479. Una lettera del 24 aprile del 1394, che interessa la

    relazione di Brescia con Pisa, anche edita F. Melis, Documenti per la storia economica dei secoli XIII-XVI, Olschki, Firenze 1972, p. 174.

    30 Per ci che riguarda il monopolio del ferro attuato da Venezia entro il Patriarcato dalla met del Duecento rinvio al lavoro di D. Degrassi, Leconomia del tardo medioevo, in P. Cammarosano - F. de Vitt - D. Degrassi Casamassima, Il medioevo, Udine 1988, pp. 269-435, alle pp. 407-410; R. Hrtel (ed.), I patti con il Patriarcato di Aquileia 880-1255 (in collaborazione con U. Kohl), Viella, Roma 2005, p. 126.

    31 Di Manzano, Annali del Friuli ovvero raccolta delle cose storiche appartenenti a questa regione, 7 voll., Udine, 1862, nuova rist. anastatica, Forni, Bologna 1975, IV, p. 176: sabato 22 dicembre 1324, Rusino da Udine testimonia di fronte Milano di Villalta, capitano di Gemona, che Odorlico di Spilimbergo allinizio di quellanno aveva comperato nel distretto di Milano, essendo a Gorgonzola, una lorica per 4 fiorini doro.

    32 Juliani Canonici Civitatensis Chronica [aa. 1252-1364], ed. G. Tambara (Rerum Italicarum Scriptores, t. XXIV/XIV), Lapi, Citt di Castello 1905, p. 57, aa. 1331-1364. Dopo la met del secolo XIII Venezia defin sia un trattato con il nuovo patriarca guelfo Gregorio di Montelongo (1254) sia un trattato con Brescia (1252) che riguard le ferrarezze.

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    Ma nessuna carta, fino ai primi decenni del Quattrocento, n sul mercato veneziano e patriarcale tantomeno sul resto dellItalia cen-tro settentrionale sembra per documentare la rilevante produzione bresciana di oggetti dallelevata peculiarit, per intenderci le elegan-ti e leggere, nonch numerose, loriche o le tanto famose bombarde, lasciando cos a Milano il primato di primo Quattrocento nei diversi settori dellalta metallurgia documentata33. E altrettanto carenti per quel periodo sono le testimonianze riguardo una produzione di oggetti artistici bronzei (campane e mortai e quantaltro) prodotti a Brescia e nel Bresciano, al pari con quanto ha accennato per lattivit orafa Stefania Buganza34, tanto da poter cos definire lattivit metallurgica bresciana del primo Quattrocento come unattivit priva di prodotti, a meno che non si voglia scorgere alla base del riassetto della zecca ap-portato da Pandolfo Malatesta lidea di un importante progetto artistico atto a tramandare la memoria della sua signoria su tutto il territorio dominato; come probabilmente fu. Le sei monete argentee di diverso tenore dargento, dallalto valore artistico, coniate per un breve perio-do durante il suo governo, spiccarono per simbolismo; in special modo il soldino siglato dalleffigie di Pandolfo. La documentazione che riguarda il progetto della zecca malatestiana non prosegue oltre lanno 1408; non abbiamo testimonianze, quindi, di una continuit di conio oltre quella data, ma fuor di dubbio che quelle sei tipologie di monete emesse rispecchiarono lo stesso orgoglio signorile che ritroviamo nelle medaglie fatte coniare poco pi tardi dai figli di Pandolfo Malatesta, Sigismondo e Novello, oramai lontani da Brescia. Non si discost in-fatti di molto, per importanza simbolica e valore, sia sul piano artistico sia su quello tecnico, la produzione di monete celebrative ad opera di Antonio Pisano e Matteo de Pasti35.

    33 E. Motta, Armaiuoli milanesi nel periodo Visconteo-Sforzesco, in Archivio storico lombardo s. V, 41(1914), pp. 187-232.

    34 Cfr. lintervento di Stefania Buganza in questo stesso volume.35 Sullattivit della zecca bresciana durante il periodo malatestiano cfr. V. Pialorsi, Lattivit

    della zecca: 1406-1408, in G. Bonfiglio-Dosio e A. Falcioni (eds.), La signoria di Pandolfo III dei Malatesti a Brescia, Bergamo e Lecco, Ghigi, Rimini 2000, pp. 137-153. Alla produzione delle prime medaglie commissionata da Sigismondo e Novello, figli di Pandolfo Malatesta, corrispondono di fatto le prime commesse artistiche di alto livello affidate nel 1443 o nel 1444 a Pisanello, artista gi attivo alla corte dei Gonzaga come in quella degli Estensi; di fatto il primo maestro che nel Quattrocento produsse (nel 1438) la prima medaglia commissionata in Italia in onore di Giovanni VIII Paleologo, e che firm per i Malatesta il suo operato titolandosi pittore. Nella medaglia di Sigismondo (diam. 10 cm), custodita oggi presso la National Gallery di Washington, il figlio di Pandolfo venne ritratto, nel recto, nel suo busto, mentre sul verso

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    Le prime testimonianze di una produzione metallurgica bresciana quattrocentesca si identificano allora solo nei singoli pezzi di armature forgiate da maestri locali e registrate per il pagamento nella contabilit della cancelleria signorile di Pandolfo Malatesta, importante custode di ulteriori notizie sulla produzione fabbrile che riguard, in ogni caso, per Brescia e il territorio connesso, una continua e minuziosa manu-tenzione delle armi gi in possesso, probabilmente, del comune o del Malatesta stesso, e per le quali Pandolfo aveva decretato, oltre a una continua cura, anche un attento approvvigionamento da farsi presso le numerose rocche del territorio36. Numerose, e rilevanti, sono, infatti, le registrazioni che si desumono circa la polvere da sparo proveniente dalla val Trompia; le testimonianze indirette della presenza tra gli arti-giani di Pandolfo Malatesta di maestri specializzati nella fabbricazione e manutenzione delle bombarde; sono registrati i pagamenti per gli spostamenti di armi da una zona allaltra, il trasporto e gli ordinativi di carri (plaustra) contenenti lapidi da bombarde per le presumibili 80 bocche da fuoco non meglio documentate, ma per le quali il 13 agosto del 1409 vennero ordinati in due tempi 300 cochonos, ovvero 300 spe-cie di turaccioli di legno dolce che avrebbero chiuso le bocche di un numero importante di cannoni non meglio documentati fino a dopo la met del secolo XV37.

    Pisanello incise lo stemma della casata malatestiana e ancora Sigismondo in tenuta da parata con larmatura, lelmo piumato calato e la spada sul fianco sinistro in posizione di ferma, ma vigile attesa; nella medaglia di Novello, oggi custodita presso il museo civico di Bologna (diam. 8,5 cm), venne riprodotto il busto del Malatesta sul recto, mentre nel verso il giovane Novello (venticinquenne) venne ritratto in posizione genuflessa dinanzi un Cristo in croce. A queste prime medaglie di Pisanello seguirono quelle dedicate ancora a Sigismondo e a Isotta degli Atti, moglie di Sigismondo in seconde nozze, ma commissionate a Matteo de Pasti da Verona attivo alla corte dei Malatesta fin dal 1446 (cfr. I. Bonardi, Pandolfo Malatesta signore di Brescia, Apollonio e C., Brescia 1930). Sulle medaglie S. Rossi, Una famiglia Medioevale: i Malatesta, in www.roth37.it/coins/Malatesta/medaglie.html.

    36 I. Valetti Bonini, Il territorio bresciano durante la dominazione di Pandolfo Malatesta (1404-1421), in La signoria di Pandolfo III, op. cit., pp. 87-136, alle pp. 102-103.

    37 SASFa (Sezione Archivio di Stato di Fano), Codici malatestiani, reg. 42, cc. XXXIv., XXXII, 13 agosto 1409; due poste riguardano lordinativo di cochonos e il pagamento di Nerio de Scenis citato come bombardiere; A. Angelucci, Documenti inediti per la storia delle armi da fuoco italiane, ed. anast. Akademische Druck, Graz 1972, p. 78. Nella documentazione a nostro attivo non rimasta traccia nemmeno del probabile rinforzo degli armamenti svolto durante la guerra contro gli Ungheresi sostenuta in territorio friulano. In quel frangente (1411-1412) Venezia aveva dovuto pensare ad allestire e guarnire nuove fortificazioni. probabile che Pandolfo Malatesta, dal canto suo, rivestendo lincarico di comandante generale delle truppe assoldate da Venezia contro lesercito magiaro probabile che abbia partecipato molto attivamente con i suoi fabbri e con il suo esercito come era gi successo in precedenza (M.E. Mallett, La conquista della

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    La primissima attestazione concreta della produzione di bombarde nel bresciano si colloca allora molto tardivamente nel 1459; si tratta di una delibera del Senato veneziano con la quale la Repubblica decreta-va che venisse fatto un ordine di fornitura di armi da fuoco piuttosto importante ai maestri bresciani delle fucine di Gardone; quelle stesse fucine che nel Trecento avevano probabilmente forgiato le bombarde dellassedio contro Enrico VII nel 131138; e altrettanto tarda, pi preci-samente del 1446, risulta essere anche la prima testimonianza materia-le di parte di unarmatura bresciana prodotta e marchiata nella bottega bresciana di Antonio de Osma e oggi esposta al Metropolitan di New York39; mentre sono completamente insufficienti le notizie che riguar-dano la produzione di campane nonostante lestimo del 1416 mostri la presenza a Brescia di almeno un maestro e le registrazioni dei codici malatestiani ci diano delle informazioni indirette sul loro operato. A Paulino delle campane la signoria di Pandolfo Malatesta chiese di ripristinare nel 1408 il batacchio della campana della Torre del Pegol40. Una squadra di persone registrata tra gli stipendiati del Mala-

    Terraferma, in G. Cracco e G. Ortalli (eds.), Storia di Venezia, IV: Tra pace e guerra. Le forme del potere, Istituto dellEnciclopedia Italiana Treccani, Roma 1995, p. 204).

    38 La delibera del 1459: Archivio Stato Venezia, Senato, Delibere terra, reg. 4, fol. 104 (105 numerazione moderna), anno 1459: Mensis aprilis, die XXI. (A margine sinistro: Ser Stephanus Trivisan, Ser Iacobus Barbadico, Consiliarii). Cum quotidie occurrat quod ex Arsenatu nostro accipiuntur bombarde, spingarde, schiopeti et alie munitiones et mittuntur ad diversa loca nostra maritima et nisi provideatur numerus ipsarum rerum valde diminuetur sitque honor nostri dominii quod dictus Arsenatus sit fulcitus et habundans dictis rebus pro his que occurrere possent, vadit pars quod auctoritate huius consilii scribatur et mandetur in efficacissima forma Rectoribus nostris Brixie et successoribus suis quod omni anno de pecuniis illius camere nostre fieri facere debeant bombardas quinquaginta a galea, decem a reparo cum duabus caudis pro qualibet, spingardas XXV, sclopetos quinquaginta et quinquaginta milliaria ferrorum veretoriorum a mulinello et ea omnia mittere teneantur patronis nostris Arsenatus ante conplementum suorum regiminum. Et patroni nostri Arsenatus sub debito sacramenti esse debeant soliciti quod dicte res fiant omni anno et in dicto nostro Arsenatu reponantur. Et hec pars revocari, suspendi vel retractari non possit sub pena ducatorum centum pro quolibet ponente aut consciente partem in contrarium. De parte 103; De non 6; non sinceri 1. Scriptum fuit Rectoribus Brixie.

    39 Limpiego dei marchi di fabbricazione venne sancito, per ci che riguarda il territorio bresciano, gi nei primi statuti di Bovegno del 1341 (cfr. A. Gaibi, Le vicende dellarte delle armi, in Storia di Brescia, promossa e diretta da G. Treccani degli Alfieri, III, Brescia 1964, p. 860). Pi specificatamente, quella parte di lorica marcata attribuita ad Antonio de Osma un elmo esposto al Metropolitan Museum of Art di New York in una delle teche della collezione darmi medievali con la collocazione 29.150.9 aa.

    40 SASFa, Codici malatestiani, reg. 45, c. 17r: a magistro Paulino feraro per conzare batocholo de una champana de la tore de Povolo soldi X e II denari. Si hanno poi notizie pi tarde di lavori fatti alla campana della torre del Pegol che venne riparata nuovamente nel 1460 da artigiani francesi nonostante a livello locale le carte attestino la presenza in quellanno a Brescia di Costantino e Apollonio detti de li campani, cfr. C. Pasero, Il dominio veneto fino allincendio

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    testa negli anni 1412-1413 attende alle campane del Comune di Bre-scia41; ma un silenzio incombe su tutte le altre numerose campane che nel Quattrocento suonavano a Brescia e ancor di pi sugli artigiani che le fusero e tanto pi sullorganizzazione di questo settore della metal-lurgia che risulta essere carente, in primis, di studi archeologici42. A questo proposito ritengo sia importante richiamare lattenzione sul fat-to che le campane e le bombarde, come le acquasantiere e i candelabri, ma anche le corazze, sono manufatti artistici che nel corso della storia hanno patito non solo di furti o di deperimenti, come in genere si

    della Loggia (1426-1575), in Storia di Brescia, promossa e diretta da G. Treccani degli Alfieri, II, n. 8, p. 148 che rimanda alla documentazione custodita presso lArchivio storico comunale di Brescia, Provvisioni del Comune, 12 ottobre, 10 novembre 1461, 8 agosto 1463.

    41 SASFa, Codici malatestiani, reg. 50, c. 44r, Zonino dal Fianello, Franceschino Degavado, Andrea di Mapello et Comino da Provacli campanarii sopra la torre del Comune de Brixia; tra i nomi di armigeri e balestrieri registrati nel Liber de officialibus et salariatorum anni 1412-1413 troviamo anche quello di Toninus de Serlis e dei suoi soci gi citati in precedenti registri, ibi, reg. 54, cc. IIIv., XXXVr; le poste riguardano il pagamento di stipendi e di altre spese sostenute e documentate da una bulla facta senza aggiungere altri particolari riguardanti i lavori apportati alle campane della torre de domini Pepuli di Brescia. Una squadra di persone che lavora per le campane cittadine allo stipendio del Malatesta.

    42 Un quadro complessivo ed esauriente della produzione lombarda di campane , di fatto, ancora da definire e molti sono i quesiti riguardo lorganizzazione di lavoro in proposito. Risulta, infatti, poco chiaro quanta parte pu avere avuto in questo settore una certa organizzazione industriale e quanta di quella produzione poco dopo poteva dirsi strettamente dambito artigianale, pertanto organizzata secondo tempi e luoghi molto diversi dalle fucine che immaginiamo per Brescia. Recentemente Elisabetta Neri, nellambito di un convegno organizzato a Milano nel 2006, ha denunciato la mancanza di dati per la difficolt oggettiva di allestire nuovi cantieri. In quellambito, per, si dava per scontato che i campanari fossero solo itineranti quindi abituati a lavorare a chiamata e il pi delle volte allinterno dei luoghi di culto. Il dato importante che comunque emerge dal lavoro della Neri per la Lombardia che sui ventisei ateliers individuati archeologicamente, dieci sono afferenti al territorio bresciano. Da unanalisi poi di quelle dieci fosse di campana rintracciate e studiate secondo una logica diversa da quella dellarcheologo individuiamo una produzione artigiana itinerante e non industrializzata in quanto legata al tradizionale impiego antico di gettare gli oggetti apotropaici allinterno o in prossimit di uno spazio sacro. Le dieci fosse di campane del Bresciano sono, infatti, collocabili, per la loro maggior parte, entro il periodo altomedievale, inducendomi allora a pensare, sulla scorta dellesperienza veneziana che gi nel secolo XIII mostra di avere fucine che fondono industrialmente campane allinterno del centro cittadino (cfr. M. Bottazzi, Fonditori di campane: dalla bottega medievale alla produzione industriale nellambiente del Rinascimento veneziano, in V. Avery-M. Ceriana [eds.], Lindustria artistica del bronzo del Rinascimento a Venezia e nellItalia settentrionale. Atti del Convegno internazionale di Studi, Venezia, 23-24 ottobre 2007, Scripta Ed., Verona 2008, pp. 363-374; Ead., Artigiani? Venezia: larte di fondere. Dalla documentazione darchivio e dalle scritture incise (sec. XIII-XVI), in Bullettino dellIstituto Storico Italiano per il Medioevo CXI(2009), pp. 319-342), che per il periodo del pieno medioevo e della prima et moderna, anche a Brescia e nel Bresciano, come a Venezia, dove si fondono bombarde industrialmente si fondono anche campane e che le 136 chiese della provincia diocesana di oggi sono solo un dato per immaginare quanta deve essere stata la domanda bresciana dei tempi pi antichi.

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    propensi a pensare, ma anche di momenti caratterizzati da importanti depredazioni e rimpieghi materiali. Durante il periodo napoleonico e nei pi recenti tempi della prima guerra mondiale, per esempio, le cam-pane e altri manufatti artistici vennero rintracciati e fusi per la stringen-te necessit di recuperare il bronzo e lacciaio occorrente a rimodellare nuovi cannoni43. A prescindere per dalle importanti razzie storiche, durante tutto il periodo medievale era buona norma utilizzare una cam-pana fessa, una bombarda o parti di corazze dismesse per allestirne di nuove. E ancora dallarchivio Datini che apprendiamo, infatti, di un mercato dellusato, un mercato di fatto parallelo che provvedeva alla raccolta di elmi usati o guasti, coppi, e altre cose da riassettare secon-da la guisa, ovvero secondo la moda e le nuove esigenze del commit-tente44. Lopera allora di tanti fabbri dei secoli XIV e XV andata sicu-ramente persa sia materialmente sia tra le filze della documentazione medievale che oggi definiamo rarefatta e insufficiente a tratteggiare quantitativamente, e in modo circoscritto, la realt produttiva quattro-centesca del Bresciano. Restano a mio avviso almeno due canali diver-si da indagare per afferrare il volume della produzione metallurgica bresciana del primo Quattrocento; il primo coinvolge lambiente ar-cheologico, che da tempo studia nei rinvenimenti i dati relativi alla produzione e alle diverse tecnologie usate dagli artifices dellepoca, da leggersi per, secondo unanalisi storica e sulla scorta degli studi fatti sulle fucine veneziane, che rifletterebbe, anche nel Bresciano, unim-postazione industriale data lorganizzazione di lavoro e la mole di pro-duzione supposta. Il secondo implica unanalisi della documentazione afferente alle politiche fiscali. Ritengo non sia sbagliato, infatti, guar-dare come a un indice allinteresse che i diversi signori, dalla met del

    43 Per le campane milanesi e lombarde fuse durante il periodo napoleonico cfr. V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano dal secolo VIII ai giorni nostri, Bortolotti di Giuseppe Prato, Milano 1889-1893, I-XI, XI, pp. XI-XLI. Una raccolta delle iscrizioni di campane destinate alla fusione per ordine dei funzionari dellImpero austroungarico durante la prima guerra mondiale ha dimostrato la fragilit, in tempi di generale e rilevante carestia di metallo, di quelle opere darte bronzee: cfr. A. Gnirs, Alte und neue Kirchenglocken, A. Schroll e Co., Wien 1917. A questo stesso proposito rimando M. Bottazzi, Campane e scrittura: informazioni dalle iscrizioni campanarie e dalla documentazione darchivio, in S. Lusuardi Siena - E. Neri (eds.), Del fondere campane. Dallarcheologia alla produzione. Quadri regionali per lItalia Settentrionale, Allinsegna del Giglio, Milano 2007, pp. 109-117.

    44 F. Bressan, Reperti di armi tardo medievali da contesti archeologici friulani, in G.P. Brogiolo (ed.), II Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Musei civici, Chiesa di Santa Giulia (Brescia, 28 settembre-1 ottobre 2000), Allinsegna del Giglio, Firenze 2001, pp. 481-484. Sia qui il momento per ringraziare Fabrizio Bressan per il solerte aiuto a reperire una parte del materiale bibliografico afferente allambito archeologico e al settore metallurgico.

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    Trecento, mostrarono per i proventi derivanti da politiche economiche e finanziarie applicate alla produzione metallurgica del Bresciano il cui volume e le cui articolazioni dovevano essere rilevanti. A questo pro-posito uno studio degli anni trenta del Novecento di Guido Lonati45, quello di Ida Gianfranceschi Vettori e i pi recenti lavori di Patrizia Mainoni sulle politiche fiscali dei Visconti46, hanno messo in luce la centralit di un sistema economico della fine degli anni sessanta del Trecento costruito su uno stretto controllo dei paratici oltre a una pesante partecipazione del signore (1/3) su quanto veniva incamerato dal fondegum ferraricie. Quella organizzazione monopolistica del mercato delle ferrarezze continu a sussistere fino alla fine della si-gnoria di Filippo Maria Visconti nonostante le forti richieste della po-polazione attiva in quellambito fossero di un cambiamento della pres-sione fiscale. Il fondaco, o piuttosto i fondachi, del signore continuarono dunque a vendere e incassare, anche se non monopolisti-camente, sulla base di un consapevole impiego del diritto regalistico sui metalli passato dalle precedenti istituzioni cittadine ai Visconti47; ma se la politica degli ultimi anni del Trecento di Gian Galeazzo non fu di vero monopolio, certamente punt a disincentivare qualsiasi ac-quisto estraneo alla sua organizzazione attraverso limposizione di una pesante gabella ferri a Milano, ovvero di quel dazio versato da chi ac-quistava del ferro in un mercato libero. Niente venne dato, ad artigiani e mercanti che a Brescia e nelle vallate chiedevano un sostegno finan-ziario per rilanciare il lavoro, anzi. Tassazioni imposte accelerarono, nellultimo decennio del Trecento, il processo di ribellione contro il dominio visconteo. I sommovimenti nelle vallate ricordati nella docu-mentazione dal 1393 e il 1397, cessati con tregue e paci, avrebbero legato la Val Camonica ai Visconti, ma altre sollevazioni, dal carattere pi politico, per le continue taglie di guerra imposte, accompagnarono gli ultimi anni di Gian Galeazzo, il cui scopo pare fosse in quel mo-mento di avviare verso il loro vero scopo le associazioni di arti e mestieri48. Il Visconti comunque non riusc a ridare, o non volle farlo, in quegli anni finali del Trecento, quellimmediato e utile slancio al

    45 G. Lonati, Stato totalitario alla fine del secolo XIV. Illustrazione storica di un codice bresciano di decreti viscontei, in Commentari dellAteneo di Brescia XIV(1935), pp. 9-128.

    46 P. Mainoni, Economia e politica, cit., pp. 115-121; Ead., La politica dellargento e del ferro, cit., pp. 440-452. Sui paratici: I. Gianfranceschi Vettori, I problemi storici, ed. V. Frati (ed.), Brescia nellet delle signorie, Grafo, Brescia 1980, pp. 65-96, alle pp. 87-92.

    47 P. Mainoni, La politica dellargento e del ferro, cit., pp. 423-441.48 G. Lonati, Stato totalitario, cit., p. 18.

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    settore che venne, a mio parere, ulteriormente bloccato da una politica di ripopolamento che and a gravare sullo stato di debolezza economi-ca e politica delle diverse categorie di fronte alle sperequazioni sociali. I magistri armorum, ferrarii, e balistri, a dispetto delle diverse specia-lizzazioni di mestieri registrate nelle filze dellestimo del 1388, appari-vano, infatti, ancora riuniti nellunico e antico paratico ferrariorum sostenuto dalla confraternita dedita a S. Maria del Carmine, e regola-mentati nella pi ampia organizzazione corporativa delle Mercantiae49; privi, perch consapevolmente privati, sulla scorta del modello vene-ziano, delle organizzazioni corporative di mestiere, di forza politica dinanzi le imposte come di fronte quella sorta di conquista del mercato da parte degli artigiani foresti50. A Brescia, nel primo Quattrocento, non mancavano, infatti, botteghe e fucine di propriet di artigiani ve-nuti da luoghi diversi; molti erano i milanesi e i bergamaschi, ma non mancavano nemmeno fabbri e armaroli venuti dal Cremasco, dalla zona comasca; di fatto, tutti privilegiati dal sistema visconteo; compe-ravano dai fondachi ferro e acciaio troppo spesso definito milanese nella documentazione; ma anche prodotto finito, destinato a uno smer-cio milanese e desportazione; mentre Brescia, sappiamo, rimaneva esclusa dal commercio pi libero e redditizio. La vicinanza della citt al mercato della miglior materia prima, lavorata a regola darte da arti-giani locali, aveva inoltre spinto molti artigiani provenienti dalle altre citt lombarde a spostarsi definitivamente in citt e ad acquistare case e botteghe a Brescia51, agevolati dai provvedimenti molto vantaggiosi introdotti da Gian Galeazzo Visconti in risposta allo spopolamento de-mografico che la citt aveva accusato dopo il 1348, ma anche, come soluzione politica a unesigenza di nuova mano dopera artigiana spe-cializzata sul territorio52. Gli artigiani migrati, la cui fama era certa e sicura, vennero decretati immediatamente cittadini ed esentati da im-

    49 G. Bonfiglio-Dosio, Considerazioni socio-economiche sul mondo del lavoro, in Brescia nellet delle signorie, cit., 109-131, alla pp. 117-126. Cfr. C. Pasero, Il dominio veneto fino allincendio della Loggia (1426-1575), in Storia di Brescia II, Morcelliana, Brescia 1963, pp. 127-130, n. 1. Lo statuto dal quale Brescia prese riferimento era quello degli orafi di Venezia.

    50 G. Bonfiglio-Dosio, Considerazioni socio-economiche, cit., pp. 109-110.51 Bertramo da Milano, Donato dArconate fabricator armatorum, Francesco Ferri di Milano

    magister armorum o i Vimercate da Cremona, citati anche nei codici malatestiani, sono solo alcuni esempi tra i tanti artigiani trasferitisi a Brescia prima del governo malatestiano.

    52 G. Bonfiglio-Dosio, La condizione giuridica del civis, in Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, classe di scienze morali, lettere ed arti CXXXVII(1979), pp. 523-532, alla p. 529; Ead., Considerazioni socio- economiche sul mondo del lavoro, in Brescia nellet delle Signorie, pp. 109-131, p. 110.

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    poste per un periodo di cinque anni dalla signoria Viscontea; per con-tro, la forza lavoro originaria bresciana dello stesso settore, che poteva comunque dirsi considerevole specialmente nelle vallate, dove si orga-nizzavano tutte le vere e proprie fasi di lavorazione, continu ad essere pressata dalle imposte e dalle taglie; concentrata professionalmente a soddisfare, in modo preponderante, il centralismo e una visibilit tutta milanese in ottemperanza alla linea viscontea seriamente indirizzata a sfruttare le citt suddite e i loro contadi in favore di unindustrialit milanese53; eppure, Brescia e le vallate secondo i dati dellestimo del 1416 non sembravano aver conosciuto una recessione economica da incidere sulle condizioni dei lavoratori54 in forza, probabilmente, an-che di una buona e innovativa politica malatestiana avvicendatasi nel governo del Bresciano dai primi anni del Quattrocento e intesa a rego-lare da subito la produzione e il commercio delle armi privilegiando produttori e mercanti ed esentando nelle vallate le ferrarezze da dazi55. Difficilmente, limportante produzione delle armi era stata og-getto di tanta attenta cura da parte del legislatore. Ci vero, dal mo-mento che le norme introdotte dal Malatesta poggiarono su una politica sociale che favor lartigianato e i mercanti, tendendo a privilegiare nellimmediato ancora un artigianato foresto che in verit diede an-che slancio alla produzione metallurgica bresciana che diede frutti nel medio e lungo periodo. La norma a favore degli artigiani immigrati a Brescia volta ad agevolare lapertura di botteghe e fucine, gi introdot-ta dal Visconti, venne riconfermata anche da Pandolfo, ma per un pe-riodo desenzione dimposta di dieci anni.

    Certo, attorno al Malatesta gravitava un esercito personale, dei for-nitori e degli artigiani spesso estranei allindustria locale, ma quelli divennero il volano della specificit bresciana nel settore metallurgi-co. Lesperienza dei Vimercate, di Bertramo da Milano, di Gualtiero dInghilterra, di Giovanni da Bruges, di Francesco Ferri, di Donato dArconate e di Franceschino de Bustellis, e di molti altri provenienti

    53 R. Greci, Le corporazioni. Associazioni di mestiere nellItalia del Medioevo, in Storia e Dossier XCIX(1995), pp. 71-97, alla p. 80; E. Cristiani, Artigiani e salariati nelle prescrizioni statutarie, in Gli artigiani e salariati. Il mondo del lavoro nellItalia dei secoli XII-XV, Decimo Convegno Internazionale, Pistoia, 9-13 ottobre, 1981, Centro Italiano studi di storia e darte, Pistoia 1984, pp. 417-429, p. 427.

    54 G. Bonfiglio-Dosio, Considerazioni socio-economiche sul mondo del lavoro, in Brescia nellet delle signorie, cit., p. 110.

    55 I. Valetti Bonini, Il territorio bresciano durante la dominazione di Pandolfo Malatesta (1404-1421), in La signoria di Pandolfo III Malatesti, cit., pp. 89-107.

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    da zone diverse da Brescia, il pi delle volte milanesi se non proprio dOltralpe, se non produssero unimmediata, grande ricaduta economi-ca, lavorarono certamente a beneficio di una produzione estremamente caratterizzata. Lorizzonte di Pandolfo doveva essere, dunque, quello di portare a Brescia il bello e lesclusivo, fattori che di fatto si materia-lizzarono nella specificit delleleganza bresciana delle armi da difesa e da fuoco che oggi vediamo esposte in bella mostra nei musei pi importanti del mondo56.

    Tutte le osservazioni fatte sulla politica economica per Brescia sembrano essere valide fino al 1421, momento in cui fin la Signo-ria malatestiana e momento in cui, come grande centro di produzione, Brescia poteva dire di essersi posta, per conto di Venezia, su un pia-no apertamente concorrenziale con la Milano viscontea e sforzesca. Il breve governo di Filippo Maria, che subentr a Brescia nel 1421, sotto laspetto fiscale, per la citt e le vallate rappresent nuove forti gravez-ze, pressioni e usurpazioni, mentre sotto laspetto storico-sociale dise-gn guerre, epidemie e carestie spingendo allesodo molta popolazione urbana57; oltre ad aver scacciato, pagando sonoramente, lilluminato governo malatestiano. Fu in forza allora dei lunghi rapporti economici, sommessamente politici e nascostamente egoistici che Venezia inter-venne offrendosi allora come unavveduta e liberale Signora, avvezza ai grandi e fruttuosi commerci, dispensatrice di armonia e di accordi, fonti indispensabili per una buona crescita economica, ma solo fino al 1451; anno in cui anche Venezia inizi a rispolverare una nuova, la sua, politica fiscale su Brescia e le sue vallate dopo aver offerto loro importanti privilegi e le ancora pi importanti esenzioni nei primi anni del suo governo58.

    56 Metropolitan Museum of art di New York, collocazione 29.150.9 aa.57 C. Pasero, Dati statistici e notizie intorno al movimento della popolazione bresciana durante

    il dominio visconteo (1426-1797), in Archivio storico lombardo LXXXVIII(1963), pp. 71-97.58 Da un prospetto delle entrate e spese della Repubblica del 1469 risulta che Venezia

    incassava da Brescia ducati 59000 al netto delle sue spese che ammontavano a ducati 16000 (cfr. S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, aggiungere luogo e data di edizione pp. 170-171; A. Zanelli, Delle condizioni interne di Brescia del 1426 al 1644 e del moto della borghesia contro la nobilt nel 1644, in Archivio storico italiano s. V ***(1898), pp. 138-162; Id., Una petizione di Bresciani al Senato Veneto sulle gravezze imposte alla citt e al territorio, in Archivio storico lombardo s. VI *** (1929), pp. 297-322, in particolare alle pp. 308-315 per ci che riguarda una ricomposizione della politica e delle imposte previste dalla Repubblica sulle merci bresciane, ma ancora pi in particolare per ci che riguarda il ferro (ibi, pp. 314-315), per il quale Venezia, dal 1520, viet lestrazione sul territorio bresciano a meno che il ferro estratto non passasse prima da Venezia per pagare il dazio.

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    Per gentile concessione del Ministero per i beni e le Attivit Culturali, Roma Istituto Nazionale per la Grafica. Domenico Beccafumi, incisione F:C: 86555, Vulcano e Plutone davanti il Crogiuolo. Sia qui loccasione per ringraziare la gentilissima Gabriella Golluccio, attenta e solerte responsabile del procedimento di individuazione e riproduzione fotografica oltre a quello dautorizzazione a pubblicare il materiale concessomi.

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